ALIGHIERI, Dante - LA DIVINA COMMEDIA Tradotta in Dialetto Veneziano
ALIGHIERI, Dante - LA DIVINA COMMEDIA Tradotta in Dialetto Veneziano
LA
DIVINA COMMEDIA
DI
DANTE ALLIGHIBRI
TRADOTTA.
IN DIALETTO VENEZIANO
m
E ANNOTATA
GIUSEPPE CAPPELLI
PADOVA
DALLA TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO
1875
PREFAZIONI
CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Mentre fra l'ombre d' una selva oscura, Danto xe perso in una selva scura,
Dante smarrito in suo pensicr s'attrista E per scansar quell'onda malora,
E all'erto colle Ai salir procura; De montar sora un monte do procura :
Temer lo & di tre fere la vista : Lo spaventa tre fiere ; ma dix fora
Ma Virgilio v'accorre, e gli promette In so agiuto Virgilio, e ghe propone
Altro viaggio, onde speranza acquista; Un altro viagio ; fato cuor alora,
E per novo cammin seco si mette. A caminar con elo se dispone.
Nel mezzo del cammin di nostra vita A meza strada de la vita umana
Mi ritrovai per una selva oscura, Me son trovà drento una selva scura,
Che la dritta via era smarrita. Che persa mi gavea la tramontana.
Ahi quanto, a dir qual era, è cosa dura, Come far dei so orori la pitura,
Questa selva selvaggia ed aspra e forte, Che de quei poco più fa oror la morte,
Che nel pensier rinnova la paura ! E ancora a sol pensarghe go paura !
Tanto i amara, che poco è più morte : Un spasemo go avudo cussi forte,
Ma per trattar del hen ch'i' vi trovai, Che m' ha '1 sangue giazzù, ma dirò quelo,
Dirò dell'altre cose ch'io v" ho scorte. Che ho visto prima ch'abia bona sorte.
I' non so ben ridir com'io v'entrai ; Come ghe fussi entrà sapialo el cielo, 10
Tant'era pien di sonno in su quel punto, Tanto insonà mi gera in quel momento,
Che la verace via abbandonai. Che dei do (m/i go falà '1 più belo.
Ma poi ch'io fui appie d'un colle giunto, Ma quando al pie d'una colina a stento
Là ove terminava quella valle Gera arivà de quela selva in fondo,
Che m'avea di paura il cuor compunto, Che impililo me gavea de gran spavento ; 15
Guardai in alto, e vidi le sue spalle Go alzà i ochi, e le creste a ponte e in tondo
Vestite già de' raggi del pianeta, Dai ragi d'oro ho visto inluminae
Che mena dritto altrui per ogni calle. De la lanterna che fa chiaro al mondo.
Alkir fu la paura un poco queta, Me xe alora le angosce un fià calae
Che nel lago del cuor m'era durata Col tremor che a la note go patio •20
La notte, ch'io passai con tanta pieta. Per le tante paure che ho passae.
E come quei, che con lena affannata Com'el naufrago in mar che tocà el lio
1 A mcza ttrada de la nita umana —- Suppone il Poeta di avere avata questa visione nell'età di 35 anni,
la inolii del corso ordinario della vita, come egli stesso dichiara nel suo Convito.
2 selva ncura = Coli' immagine di questa oscura selva, il Poeta rappresenta nel senso morale e teologico
lo stato di un'anima inviluppata ne' vizj; e nel senso politico la miseria e la confusione nella quale era Italia
afflitta nel pareggiare de' (lui-Iii e de' Uhibellini.
5 un fià = un poco.
7 tpasemo — dolore intenso cagionato fra altro da paura, da spavento.
12 trozi - viottoli, sentieruoli.
13 al pie d'un monte = La cima del colle opposto alla miseria della boscaglia rappresenta la virtù.
19 ttn fià = un po'. = calae = scemate, diminuite.
22 lio = lido.
40 DELL'
Uscito fuor del pelago alla riva, Se volta ansando ansando, e da la rjva
Si volge all'acqua perigliosa, e guata ; L'onda tremenda el varda tramortio ;
Cosi l'animo mio, ch'ancor fuggiva, Col tremazzo che ancora in cuor sentiva, 25
Si volse indietro a rimirar lo passo, Me so voltà per scandagiar quel sito,
Che non lasciò giammai persona viva. Che lassà no ga mai anema viva.
Poi, riposato un poco il corpo lasso, Co ho chiapà fià, per ci sentier romito
Ripresi via per la piaggia diserta, Me gera invià da novo verso l'erta
Sì che '1 pie fermo sempre era '1 più basso. Puzandome al pie indrio sia '1 zanco o '1 drito ;
Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta, Quando in montarla se me ga scoverta
Una lonza leggiera e presta molto, Una pantera lesta lesta e gagia,
Che di pel maculato era coperta. Che de pelo machià gera coverta.
E non mi si partia dinanzi al volto ; Me sta sempre de fazza sta canagia,
Anzi impediva tanto '1 mio cammino, E tanto ci passo la m'incrosa e sera, 35
Ch'io fui per ritornar più volte vólto. Ch'ogni tanto me volto a la boscagia.
Temp'era dal principio del mattino, Gera matina e gera primavera,
E '1 Sol montava 'n su con quelle stelle Ch'el Sol montava su con quele stole,
Ch'eran con lui, quando l'Amor divino Che in quel tempo el Signor da l'alta sfera
Mosse da prima quelle cose belle ; El ga creà co l'altre cosse bele; 40
Sì ch'a bene sperar m'era cagione E che amansasse mi sperava intanto
Di quella fera alla gaietta pelle, La fiera bestia da la bela pelo
L'ora del tempo, e la dolce stagione : L'ora novela e la stagion d'incanto:
Ma non sì, che paura non mi desse Ma co ho visto un lion de truce aspeto,
La vista, che m'apparve, d'un leone. Ho perso el mio coragio tuto quanto. 45
Questi parea, che centra me venesse Parea vegnirme incontro ci maledeto
Con la test'alta, e con rabbiosa fame, Col muso in alto e con rabiosa fame,
Sì che parea che l'aer ne tremesse : Che sin l'aria ha tremà mi ghe scometo.
Ed una lupa, che di tutte brame Anca una lova bruta de pelame
Svnitda vii carca nella sua magrezza, E seca seca xe sbusada fora, 50
E molte genti fe già viver grame. Che tanta zente la ga fato grame.
Questa mi porse tanto di gravezza No ocore dir che son restà mi alora
Con la paura ch'uscia di sua vista, Da la paura tanto scaturio,
Ch'io perdei la speranza dell'altezza. Che no sperava più de andar de sora.
E quale è quei, che volentieri acquista, E come quel che xe restà falio ' 55
E giugne '1 tempo che perder lo face, Dopo aver ingrumà dei bezzi tanti.,
Che 'n tutti i suoi pensier piange e s'attrista ; El pianze, el se despera, el chiama Dio ;
Tal mi fece la bestia senza pace, Cossi mi resto, che vegnindo avanti
/•
-12 DELL INFERNO
Ma tanto lo impedisce, che l'uccide : Ma chi se ostina se faria mazzar.
Ed ha natura sì malvagia e ria, In modo tal custia xe indemoniada,
Che mai non empie la bramosa voglia, Che mai no sazia la so ingorda fame,
E dopo '1 pasto ha più fame che pria. E più la magna e più la xe afamada.
Molti -son gli animali, a cui s'ammoglia, Eia xe in lega co la razza infame; 100
E più saranno ancora, in fin che '1 Veltro Ma un potente signor, sì, vegncrò
Verrà, che la farà morir di doglia. Che a la bestiazza cavarà el pelame.
Questi non ciberà terra nè peltro, Per le richezze lu noi viverà,
Ma sapienza ed amore e virtute, Ma per la sienza, la virtù e la gloria;
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. Questo tra un Feltre e l'altro el nasserà. 105
Di quell'umile Italia fia salute, Per quela Italia el gavarà vitoria,
Per cui mono la vergine Cammilla, Per la qual Turno, Niso Eurialo e ancora
Eurialo e Niso e Turno di ferule : Camita morti i xe ; vera è la storia.
Questi la caccerà per ogni villa, Da tutti i loghi lu, vegnuda l'ora,
Fin che l'avrà rimessa nell' Inferno, La scazzerà tornandola a l'Inferno, 110
Là onde invidia prima dipartilla. Dal qual l' invidia l'ha mandada fora.
Omrio per lo tuo me' penso e discerno, Ma vienme drio che la to guida e perno
Che tu mi segui; ed io sarò tua guida, Mi sarò per cavarle da sti guai,
E trarrotti di qui per luogo eterno, Fazzendote passar per logo eterno.
Ov'udirai le disperate strida Là per drento dai spiriti danai, 115
Di quegli antichi spiriti dolenti, Ti sentirà gran pianti e gran 'lamenti,
Che la seconda morte ciascun grida. Perchè l'anema eterna no mor mai.
E vederai color che son contenti Po quei ti vederà che tra i tormenti
Nel fuoco, perchè speran di venire, Xe rassegnadi, perchè i sa de certo
Quando che sia, alle beate genti : Che presto o tardi i sarà in ciel contenti: 120
Alle qua' poi se tu vorrai salire, Dove, se po ti vorà andar, t'averto,
Anima fia a ciò di me più degna : Che guida, al mio partir, de mi più degna,
Con lei ti lascerò nel mio partire ; Te condurà dal so favor coverto :
Che quell' Imperador, che lassù regna, Che Quelo el qual là su governa e regna,
Perch'io fui ribellante alla sua legge, Con elo no me voi, perchè son sta 125
Non vuoi che "n sua città per me si vegna. A la lege rebele che Lu insegna.
In tutte parti impera, e quivi regge : Per tuto ariva el so poder, e là
Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio : Lu ga '1 so trono e '1 so potente impero ;
O felice colui, cu' ivi elegge ! O beato chi xe da Lu chiamà !
Ed io a lui : Poeta, i' ti richieggio E mi: Poeta mio, per quel Dio vero, 130
Per quello Iddio, che tu non conoscesti, Che no ti ha conossù, aciò svignar
Acciocch'io fugga questo male, e peggio, Da qua mi possa, dove me despero,
101 Alcuni chiosatori di Dante nel profetato Veltro vorrebbero vederci Con Grande della Scala; altri, e fra
questi il Toramoseo e il Giuliani, intendono un Pontefice, e propriamente Benedetto XI nato nel Trtvigiano.
102 corbame = scheletro, carcame.
105 fra un l'rlti-c t l'altro — È ritenuto che colle parole: tra un Feltre e l'altro (nel testo: tra Feltro e
Feltro) sia accennata Verona, posta ini Feltra città della Marca Trivigiana, e Montefeltro cittn della Bomugna.
107-10S Turno figlio del re dei Rutuli nemico di Enea, e capitano nelle guerre contro di lui. fuso e Eu
rialo prodi giovani Trojani; Camilla fu tìglia del re dei V'olisci, che prese le armi contro Enea.
110 tcazzarà = scaccera.
130 per i] nel Dio — Virgilio ammetteva un Ente Supremo, ma non conosceva il Dio vero.
CAMO II. 43
Che tu mi meni là, dov'or dicesti, Là che U ha dito, vogime menar,
Sì ch'io vegga la porta di san Pietro, Cussi che veda i santi arente a Dio,
E color che tu fai cotanto mesti. E i danai veda, e quei che xe a purgar. 1 35
Allor si mosse : ed io gli tenni dietro. Lu s'ha invià alora, e mi go tegnù drio.
CANTO SECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
S'arresta e teme dell'aspro viaggio, A Virgilio, pensando al brusco viagio,
Chiede a Virgilio s'ci sarà possente Ferma, el domanda se. 1 poi farlo elo'
A sostenerlo, e gli risponde il Saggio, Quel responde, per meterghe coragio,
Che dal pia puro cielo e più lucente Che zo calada dal più puro cielo
Beatrice scesa, che cotanto l'ama, '(--i Bice soa, che ghe voi tanto ben.
Lo manda a lui. Di nuovo egli acconsente, Da lu lo manda. Drio sto invido bolo i
E più s'accende dello andar la brama. S'invia da novo, e più vogioso el vien.
25 m quel lo libro li l'onori .- Virgilio nella sua Eneide diede ad Enea il vanto di pio, perchè all'In
ferno intese da Anchine, suo padre, delle cose che gli diedero animo a combattere Turno e i suoi alleati, e quia-
di a fondare Roma, ove doveva risiedere il Pontefice.
27 per i Patlori = cioè per li Papi.
55 Paolo ---. Son Paolo che sali vivente in Paradiso, secondo la Sacra Scrittura.
31 impianto -.-. frase usata per: fondamento, ragione. „
36 zavario - farnetico, vacillo, e significa dir cose fuori di proposito.
40 di-io i ri/lenii che fazzna = dietro ntle mie riflessioni.
54 me no da — mi sono arreso.
56 co una vose = con una voce.
CANTO II. 15
Nella deserta piaggia è impedito In quel bosco d'oror el va cascando,
Sì nel cammin. che vólto è per paura ; E dal spavento dà de volta el passo.
E temo che non sia già sì smarrito, E tanto col cervelo va torziando,
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata, Che per quanto ho podesto in ciel saver, 65
Per quel ch' i' ho di lui nel cielo udito. Temo d'esser vegnua per lu de bando.
Or muovi, e con la tua parola ornata, Va agiutarlo; a lu mostra el bon sentier,
E con ciò ch'è mestieri al suo campare, E co la to retorica d'incanto
L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata. Fa che mi sto contento possa aver.
l' son Beatrice, che ti faccio andare : Mi son Beatrice, che dal logo santo, 70
Vengo di loco, ove tornar disio : Dove bramo tornar, son qua arivada:
\ mnr mi mosse, che mi fa parlare. Me sprona amor che me fa dir sto tanto.
Quando sarò dinanzi al Signor mio, Quando sarò davanti a Dio tornada,
Di te mi loderò sovente a lui. A Lu spesso de ti mi dirò ben:
Tacette allora; e poi comincia' io: E qua la ga linio la so parlada. 75
O donna di virtù, sola per cui E mi: O dona, che virtù ve vien
L'umana spezie eccede ogni contento Per la qual l'omo a quanto gh'è de raro
Da quel rii- I. ch'ha minor li cerchi sui; Su la lera, de sora se mantien;
Tanto m'aggrada il tuo comandamento, Quelo che me ordenè go tanto a caro,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi: Che se avesse ubidio, tardi saria; 80
Più non t'è uopo aprirmi '1 tuo talento. Nè ocore, no, che me parie più chiaro.
Ma dimmi la cagion, che non ti guardi Ma la rason disemu quala sia,
Dello scender quaggiuso, in questo centro, Che dal ciel, dove se' a tornar bramosa,
Dall'ampio loco, ove tornar tu ardi. Vegnì senza badarghe qua zo via.
Da che tu vuoi saper cotanto addentro, Per apagar la mente toa curiosa 85
Dirotti brevemente, mi rispose, Te dirò, la responde, in breviatura
Perch' i' non temo di venir qua entro. Perchè de vegnir qua no son spaurosa.
Temer si deve sol di quelle cose, Solo de quelo s' ha d'aver paura.
C' hanno potenza di fare altrui male : Che ga '1 poder de tormentar la zente,
Dell'altre no, che non son paurose. Ma no de quel che xe d'altra natura; 90
Io son falla da Dio, sua mercè, tale, In modo tal m' ha fata Dio sapiente,
Che la vostra miseria non mi lange, Clic le vostre miserie no me guasta,
Ne fiamma d'estu incendio non m'assale. Nè l'ansia de sto Limbo me fa gnente.
Donna è gentil nel ciel, che si compiange In.: dona zentil, vergine, casta,
Di questo impedimento, ov'io ti mando, i .In. ha calmà la Giustizia, inteneria 95
Sì che duro giudicio lassù frange. De quel del qual parlà i" ho quanto basta,
Questa chiese Lucia in suo dimando, Dove te mando, ha dito a la Lucìa,
E disse : Ora abbisogna il tuo fedele Agiuta el to fedel in quel cimento;
Di te, ed io a te lo raccomando. Tei racomando a ti, delizia mia.
64 torziando - torziar, propriamente significa andare a zonzo, andar vagando, gironzare; ma qui e preso
in sento figurato, e vale vacillare colla mente.
66 de bando = inutilmente.
TO Beatrice = vedi la noia al v. 104.
83 »' = siete.
94 l'uà dona zentil = Alludesi alla Vergine Madre di Dio, o simbolicamente alla divina misericordia.
97 Lucia = è stata la santa martire Siracusana cui furono cavali gli occhi. Qui simboleggia la grazia il
luminante ehe è mossa dalla divina misericordia a soccorso dei miseri mortali.
08 Agiida el to fedel = Dante fu devoto della Vergine di Siracusa.
46 DELL' lNPERNO
Lucia, nimica di ciascun crudele, Lucia, pietosa assae de sentimento, 100
Si mosse, e venne al loco dov' i' era, La se ga mosso, e xe da mi arivada
Che mi sedea con l'antica Rachele : Per dirme ste parole in quel momento
Disse : Beatrice, loda di Dio vera, Che a Rachele vicin gera sentada:
Chè non soccorri quei che t'amò tanto, Bice, zogia de Dio, ti lassi in pena
Ch'uscio per te della volgare schiera ? Chi ha batù per to amor gloriosa strada? 105
Non odi tu la pièta del suo pianto? l so lamenti el cuor no l'incaena?
Non vedi tu la morte, che '1 combatte No ti '1 vedi da morte travagià
Su la fiumana, onde '1 mar non ha vanto ? Tra orori che '1 mar tanti no scaena?
Al mondo non fur mai persone ratte Nissun più presto al mondo mai xe andà
A far lor pro, ed a fuggir lor danno, lncontro a un ben, o ha schivà un dano, quanto
Com'io, dopo cotai parole fatte, Malapena sta dona ga parlà,
Venni quaggiù dal mio beato scanno, Mi son corsa qua /.o dal logo santo
Fidandomi nel tuo parlare onesto, Fidandome al to nobile parlar,
Ch'onora te e quei ch'udito l' hanno. Che onora ti e chi ha sentio el to canto.
Poscia che m'ebbe ragionato questo, La ga zirà, '1 discorso in terminar, 115
Gli occhi lucenti, lagrimando, volse : Pianzenti i ochi bei, che ha avù '1 poder
Per che mi fece del venir più presto. De farme più che in pressa qua arivar.
E venni a te cosi, com'ella volse : E son vegnù da ti per so voler;
Dinanzi a quella fiera ti levai, Da quela bestia l' ho salvà là zoso,
Che del bel monte il corto andar ti tolse. Che del bel monte t'ha serà '1 sentier. 120
Dunque che è? perchè, perchè ristai? Per cossa ti sta donca penseroso?
Perchè tanta viltà nel cuore allette ? Per cossa vestii timido a sto segno?
Perchè ardire e franchezza non hai, Per cossa no ti fa cuor anemoso
Poscia che tai tre donne benedette Dopo che ste tre done nel so regno
Curan di te nella corte del cielo, Le pensa tanto a ti, e mi gramazzo 125
E'1 mio parlar tanto ben t'impromette ? Parlo per el to ben con tanto impegno ?
Quale i fioretti dal notturno gielo Come i fioreti dal noturno aguazzo
Chinali e chiusi, poi che '1 Sol gl'imbianca, Curvi e serai, quando ch'el Sol li scalda,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo ; l se drizza spanii scortando ci giazzo;
Tal mi fec'io di mia virtude stanca, Cossi la mente mia s'ha fato salda, 130
E tanto buono ardire al cor mi corse, E tanto m' ho sentio fortificà,
Ch'io cominciai, come persona franca: Che go comincià a dir in bota calda:
O pietosa colei che mi soccorse, Benedeta culia, che m ha salvà,
E tu cortese, ch'ubbidisti tosto E anca ti gran Pueta benedeto,
Alle vere parole che ti porse ! Che le parole sue li ga ascolta! 135
Tu m' hai con desiderio 11 cor disposto Un desiderio tal drento nel peto
103 Rachele = fu figlia di l.ab-no e moglie dri Patriarca Giacobbe. Ella è posta nel vecchio Testamento
quale figura della vita contemplativa.
104 fìii.f :— Beatrice clic Dante amò giovinetta, fu figlia di Folco Porlinari. E qui simbolo della scirnzu
delle cose divine.
125 ijra mui zo — poveraccio, voce di compassione verso alcuno, o verso su stessi.
127 a t/nnt iu .-: rugiada.
129 apunii .- sbocciati.
132 IH boia calda — maniera avverbiale equivalente a ferro caldo, cioè tostamente.
133 cuila _ colei.
CANTO III. 47
CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
All'uscio che rinchiude eterna doglia, A la porta, che sera eterna dogia,
Giunge il Poeta, e teme sull'entrata ; Xonio el Poeta, el teme su l'intrada;
Ma il buon Virgilio dello andar 1° invoglia, Ma el bon Virgilio a drento andar l'invogla.
E vede gente su nel mondo stata . El vede zente sora al mondo stada
Senza lode, nè biasimo, e la barca Senza far gnente, e l'Acherontea barca,
Per Acheronte da Càron guidata ; Che da Caronte in pope xe vogada;
E come il peccator in essa varca. E el vede po i danai come i se imbarca.
PBR MB SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE : PER QUA SE VA NEL LOGO DBl DANAI :
PER StE SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. PER QUA IN MEZO SE VA DEI DESPERAI.
GIUSTIZIA MOSSE 'L MIO ALTO FATTORE : LA GIUSTIZIA DE DIO XE 'L MIO MOVENTE :
FECEMI LA DIVINA POTBSTATE, M'HA FATO EL SANTO AMOH, DEL DIVIN Fio
LA SOMMA SAPIENZA, E 'L PRIMO AMORE. L'ALTO SAVER, E 'L PARE ONIPOTBNTB.
DINANZI A ME NON Firn COSE CREATE, COSSE PRIMA DE MI NO HA CHEA DIO
SE NON ETERNB, ED IO ETERNO DURO : VIA DE L'ETERNE, E MI IN ETERNO DURO:
LASCIATE OGNI SPERANZA, voi CH'ENTRATE. Vu CH'ENTRÈ LA SPERANZA LASSE ninno.
Queste parole di colore oscuro Ste parole go visto scritte in scuro 10
Vid'io scritte al sommo d'una porta: Sora una porta, e al Mestro mio : Tremar,
Perch'io : Maestro, il senso lor m'è duro. Digo, me fa quel scrito, ve lo zuro.
Ed egli a me, come persona accorta : Bisogna adesso ogni timor scazzar,
Qui si convien lasciare ogni sospetto ; In ton d'omo scaltrio, e ogni viltà
Ogni viltà convien che qui sia morta. Bisogna, dise lu, qua abandonar. lò
Noi sem venuti al luogo ov'io t'ho detto Semo al logo che t' ho zà menzonà,
Che vederai le genti dolorose, Dove ti vederà la grama zente,
C' hanno perduto '1 ben dell'intelletto. Che '1 ben de veder Dio mai no la ga.
E poi che la sua mano alla mia pose E per man lu tegnindome ridente,
Con lieto volto, ond'io mi confortai, Nei loghi, sconti al oimo, entrar me fava :
Mi mise dentro alle segrete cose. Bandio'l timor go alora da la mente.
Quivi sospiri, pianti, ed alti guai Qua sospiri, qua pianti sussurava
Risonavan per l'aer senza stelle, Per quela tetra scurità de morte,
Per ch'io al cominciar ne lacrimai. Che solo in su l'entrar mi lagremava.
Diverse lingue, orribili favelle, Strambi parlari e gran parole storte 23
2
IS DELL INFEB\0
Parole di dolore, accenti d'ira, Do rabia, de furor, de guai, de stenti,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle, Vose alte e basse, e un bater de man forte
Facevano un tumulto, il qual s'aggira Fava un fracasso tal, che te lo senti
Sempre in quell'aria senza tempo tinta, Sempre per l'aria torbia andar là drente,
Come la rena quando il turbo spira. Come che fa '1 sabion co tira i venti. 30
Ed io, ch'avea d'error la testa cinta, Coss'è, digo tra'l mio zavariamento
Dissi : Maestro, che è quel ch' i' odo ? Al Mestro, sto sussuro, e chi è sta zente
E che gent'è, che par nel duol sì vinta ? Che vinta dal dolor manda el lamento ?
Ed egli a me: Questo misero modo E lu : I pianti e i cigori che se sente,
Tengon l'anime triste di coloro, Fa, '1 me responde, le aneme de queli, 35
Che visser senza infamia e senza lodo. Che al mondo ga vissi senza far gnente.
Mischiate sono a quel cattivo coro Coi anzoli eli xe, che a Dio rebeli •
Degli angeli, che non furono ribelli, Stai no i xe, ma, suisti sfegatai,
Nè fùr fedeli a Dio, ma per sè foro. A Lu stadi no i xe gnanca fedeli.
Cacciarli i Ciel per non esser men belli; Per restar puro, el ciel li ha descazzai ; 40
Nè lo profondo inferno gli riceve, E no li ha messi del'inferno in fondo
Che alcuna gloria i rei avrebber d'elll. Aciò no goda chi xe là danai.
Ed io : Maestro, che è tanto greve E mi : Diseme, Mestro, chiaro e tondo,
A lor, che lamentar gli fa sì forte ? Perchè sta zente tanto se dolora ?
Rispose: Dicerolti molto breve. In do parole, el dise, te respondo: 45
Questi non hanno speranza di morte; Questa no spera de morir ancora ;
E la lor cieca vita è tanto bassa, E tanto vii qua i ga la vita e bassa,
Che invidiosi son d'ogni altra sorte. Che i sente invidia de qualsia malora.
Fama di loro il mondo esser non lassa : Sta zente al mondo fama no la la lassa,
Misericordia e Giustizia gli sdegna ; L' ha Giustizia e Clemenza desprezzada : 50
Non ragioniam di lor, ma guarda e paasa. Ma d'eli no parlemo ; varda e passa.
Ed io, che riguardai, vidi una insegna, Ilo voltà i ochi intorno, e de scapada
Che, girando, correva tanto ratta, Ho visto che zirava una bandiera
Che d'ogni posa mi pareva indegna : Senza che mai la fazza una fermada.
E dietro le venia sì lunga tratta A drio de quela tanta zente gera, 55
Di gente, ch'io non avrei mai creduto, Che mi '1 pensier no gavaria mai fato
Che morte tanta n'avesse disfatta. Che morte tanta ne ficasse in lera.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, Dopo che su qualcun go l'ochio trato,
Guardai, e vidi l'ombra di colui. Tra lori l'ombra ho visto de coli,
Che fece per viltate il gran riliuto. Che per viltà ga refudà '1 Papato. 60
Incontanente intesi, e certo fui, So sia in bota avertio e go savi,
90 oo — quando
38 ifcrlatai = sviscerati.
40 descazzai = cacciati.
46 no tpera de morir ancora = cioè non ha speranza che muoja l'anima, come mori il corpo, e quindi
non ha speranza che cessino le pene eterne.
59-60 rie colà = di colui, cioè Pietro Morene cremila il quale eletto Pupa col nome di Celestino V.. fu con
inganni indotto a rinunziorc al papato, e tornando all'eremo, fu incarcerato per ordine di Bonifazio Vili, suo
snccesore, ed in carcere morì. Quando il poeta scriveva queste rose, forse Celestino non era on'M'alo di pubblico
culto. Sin ad Onni modo il gimli/.io di Dante sn la riiiuuziu di q'iest'i pontefice, e secondo le false idre del
mondo, C più ancora secondo la sua ira (perciocchè da qu'-lla rinunzia ne derivò l'esaliazione di Ronifazio ch'e^li
odiava); non già conforme al Vangelo e alia Cbiua, elic lu dichiarò un'azione magnanima (BUCCHI) = refudù
i'i li M i,t i 1 ..
61 So = sono. = in òola -— subilo.
CANTO lll.
Che quest'era la setta de'cattivl, Che la fragia dei vili quei xe stai,
A Dio spiacenti ed a' nemici sul. ln odio a Dio e in odio a Belzebù.
Questi sclaurati, che mai non fur vivi, Sti grami, che no ga vissudo mai,
Erano ignudi, e stimolati molto Afato nudi luti i se mostrava, 65
Da mosconi e da vespe, ch'eran ivi. Da mosconi e da vespe tormentai;
Elle rigavan lor di sangue il volto, E dai beconi el sangue ghe colava
Che, mischiato di lagrime, a' lor piedi Dal viso, che ai so pie, missià col pianto,
Da fastidiosi vermi era ricolto. l vermi fastidiosi zupegava.
E poi ch'a riguardare oltre mi diedi, Go visto po, i ochi stongando arquanto, 70
Vidi gente alla riva d'un gran fiume; Su la riva d'uh fiume tanta zente;
Per ch'io dissi : Maestro, or mi concedi, E al Mestro mio go dito : Scusè al tanto
Ch'io sappia quali sono, e qual costume Mio ardir ; chi xei, diseme, e qual movente
Le fa parer di trapassar sì pronte, Cussi in pressa li va de là passando,
Com'io discerno per lo fioco lume. Come mi vedo in sto lusor moricnte. 75
Ed egli a me: Le coss li fien conte E lu : Ti savarà ste cose quando
Quando noi fermerem li nostri passi Arivai nu saremo su la riva
Su la trista riviera d' Achei.onte. Più tetra d'Acheronte. Vergognando
Allor con gli occhi vergognosi e bassi, Coi ochi bassi alora più no ardiva
Temendo che '1 mio dir crii fusse grave, Secarlo, e la domanda go desmessa 80
ln fino al fiume di parlar mi trassi. lnsin che arente al fiume se vegniva.
Ed ecco verso noi venir per nave Ecote su una barca ariva in pressa
l'n veccliio, bianco per antico pelo, l'n vechio col barbon e col cavelo
Gridando : Guai a voi, anima prave : Tuto bianco, cigando : O zente tressa.
Non isperate mai vedl.r lo cielo: Mai no sperassi de veder el ciclo: 85
l' vegno per menarvi all'altra riva Vegno a monarve da quel'altra riva
.\elle tenebre eterne, in caldo e in giclo. Tra "1 scuro eterno, elerno fogo e gelo.
E tu. che se' costì, anima viva. E in sto sito ti sola, anema viva?
Partiti da cotesti che son morti. Cavite da sii morti via de qua.
Ma poi ch'e' vide ch'io non mi partiva, Ma in veder che da là mi no partiva, 90
Disse: Per altre vie, per altri porti Sto tragheto per ti, '1 dise, no fa,
Verrai a piaggia, non qui, per passare: Ma per un altro te convien passar :
Più lieve legno convien che ti porti. l'n hatel più lezier te porterà.
E'1 Duca a lui: Caron, non ti crucciare: Caronte, el Mestro a lu, no brontolar:
Vuoisi così colà dove si puote Cossi ha ordinà quel Tal che tuto poi 95
Ciò che si vuole, e più non dimandare. Quanto ch'el voi, e più no domandar.
%
Quinci fur quote le lanose gote S' ha quietà a ste parole el barcarol
Al nocchier della livida palude, Peloso dei negrissimo pallio,
Che intorno agli occhi avea dì fiamme ruote. Co un per ile ochiazzi orlai de fogo; e sol
62 la frania = li.nnine clic si appropria alle compagnie ili\crsc, o a classi di persone esercenti un'arU',
o una professione medesima, o preoccupate dagli stessi sentimenti.
67 colava — gocciolava.
li a znIicgnra = surrliiava.
7S Achei.onte = e parola greca composta che significa: fiume del dolore; e per fsso credevano i Gemili
che le fluime passassero all'inferno.
!?4 gcuie eressa — gentaccia, cattiva genie.
94 Caronts — personaggio uiitvlogicu incaricalo di tragittare nella sua barca le anime sul fiume Achcront'!
prr traduile all'inferno.
20 1XFEBNO
Ma quell'anime, ch'cran Iassc e nude, Ogni spirito ch'ora straco e nuo, 100
Cangiar colore, e dibattero i denti, A quel brusco parlar s'ha sbigotio,
Tosto che inteser le parole crude. I ha cambià ciera, e i denti ga sbatuo :
Bestemmiavano Iddio, e i lor parenti, E bestemiando i so parenti e Dio,
L'umana spezie, il luogo, il tempo, e '1 seme L'o'mo e la so semenza ; el logo e l'ora
Di lor semenza e di lor nascimenti. Che i xe al mondo vegnui i ha maledio; 105
Poi si ritrasser tutte quante insieme, Po a tuli a sechi el pianto dando fora,
Forte piangendo, alla riva malvagia, Su la riva del Munii' i s' ha tirai,
Ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Che aspeta chi no teme Quel de sora.
Caron dimonio con occhi di bragia, Caronte co un per d'ochi invelenai,
Loro accennando, tutte le raccoglie : In barca a un a un li va nichiando, 110
Batte col remo qualunque s'adagia. Alenando el remo su i intardivai,
Come d'autunno si levan le foglie Come, co vien l'Utuno via avanzando,
L'una appresso dell'altra, infln che '1 ramo Le fogie una drio l'altra svola via
Rende alla terra tutte le sue spoglie; Dal so ramo, a la tera retornando;
Similemente il mal seme d'Adamo : Xe istesso de la perfida genia, • 115
Gittansi di quel lilo ad una ad una, Che va a moti una a una zo dal lio,
Per cenni, come augel per suo richiamo. Come al rechiamo fa i osei de utia.
Così sen vanno su per l'onda bruna, I va cussi sul pallanoso rio ;
Ed avanti che sien di là discese, E no i xe gnanca ben sbarcai de là,
Anche di qua nuova schiera s'aduna. Che de qua un novo muchio se ga unio. 120
Flglluol mio, disse il Maestro cortese, Fiolo, dise el Dotor, sapi che qua
Quelli che muoion nell'ire di Dio, Xe propriamente ci logo de racolta
Tutti convengon qui d'ogni paese : De tuli quei che mor in tei pecà.
E pronti sono al trapassar del rio, E i passa pronti el rio a la so volta ;
Che la divina giustizia gli sprona Che spronai da divin giusto decreto, 125
Sì, che la tema si volge in disio. La so paura in desiderio i volta.
Quinci non passa mai anima buona; Solo i birbanti passa sto tragheto ;
E però se Caron di te si lagna, Ti sa adesso perche con quel furor
Ben puoi saper omai, che '1 suo dir suona. Caronte l' ha crià pien de despeto,
Finito questo, la buia campagna Finio el sermon, la lera ha dà un tremor 130
Tremò sì forte, che dello spavento Con tanta furia, che dal gran spavento
La mente di sudore ancor mi bagna. Solo in pensarghe su vago in suor.
La terra lagrimosa diede vento, Zeme la lera tuta e supia vento ;
Che balenò una luce vermiglia, L'n gran lampo teribile infogà
La qual mi vinse ciascun sentimento; M' ha tolto a l'improviso el sentimento ; 1 33
E caddi, come l'uom cui sonno piglia. E come uno che dorma son cascà.
CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Xel primo cerchio, che l'abisso fascia Al primo cerchio de l'eterna fossa
Trova il Poeta quelle anime onusto. Trova el Poeta le anemo de nueli,
Che non ebber bntsesmo, e n'hanno ambascia. Che no ha avudo el batizo p i sente angossa.
L'ombre famose non lieto, o non meste No gai, no tristi, i spirti grandi e heli
D'Omero, e Grazio, d'Ovidio e Lucano D'Omero, e Grazio, d'Ovidio e Lucan
Vanno incontro a Virgilio, e vien fra questo Ohe va incontro a Virgilio, e esser tra eli
Accolto Dante, ne l'augurio è vano. Proclama, Dante ga l'onor sovran.
Rnppemi l'alto sonno nella testa Dal mio sono profondo m' ha un gran ton
L'n greve tuono, sì ch'i' mi riscossi, Desmissià d'improviso, ch'el m'ha scosso,
Come persona che per forza è desta : Come un svegià per forza trà un scorlon.
E l'occhio riposato intorno mossi, Me son levà in pie drito, e po go mosso,
Dritto levato, e fiso riguardai, Per vardar in qual logo mi vegnia, 5
Per conoscer lo loco dov'io fossi. L'ochio sin quel momento sta in reposso.
Vero è, che in su la proda mi trovai Fato è, che de la vale, ch'è là via,
Della valle d'abisso dolorosa, Sora la riva m'ho trovà presente,
Che tuono accoglie d'infiniti guai. Che malora no gh'è che là no sia.
Oscura, profondera e nebulosa Fonda, scura, nebiosa xe talmente 10
Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo, Sta vale, che per quanto i ochi in fondo
r non vi discernea veruna cosa. Spenzesse, no vedeva afato gnente.
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo, Adesso andemo zo nel negro mondo,
Incominciò '1 Poeta tutto smorto : Dise '1 Mestro, con viso malcontento,
Io sarò primo, e tu sarai secondo. Me calarò mi primo e ti secondo. 15
!-:i I io, che del color mi fui accorto, Ma in vederlo torbiarse : Che là dentro
Dissi: Come verrò, se tu paventi, Mi zo vegna, ghe digo, in qual maniera,
Che suoli al mio dubbiare esser conforto ? Se vu, che se mia Guida, ave spavento ?
Ed egli a me: L'angoscia delle genti, De quei l'angossa, che sto logo sera,
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne El dise, no '1 limor, come te par, 20
Quella pietà, che tu per tèma senti. • Ma la pietà me fa muar de ciera ;
A mi Mm, che la via lunga ne sospigne. Andemo, che s'ha un pezzo da viazar.
Cosi si mise, e così mi fe entrare De l'inferno cussi lu prima invià.
IX i-i primo cerchio che l'abisso cigne. Nel primo cerchio me ga fato entrar.
Qnivi, secondo ch'io pote' ascoltare, Pianti no gh'è, drio quanto go ascoltà, 25
Non avca pianto ma' che di sospiri, Ma tanti sospironi se sentiva,
Che l'aura eterna facovan tremare. Che insina l'aria eterna ga tremà.
E ciò avventa di duol senza martiri, Cossa mai gera ? de omeni una stiva
Ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi, Granda, imensa, de done e de putei,
E d'infanti e di femmine e di viri. Che i se struzeva el cuor. ma no i pativa. 3D
1 fon = tuono.
3 tenrloa — scotimento, scossa improvvisa della persona.
10 fori(Vit i. : .. intorbidarsi (e sottinteso m volto).
22 DELL INFERMO
Lo buon Maestro a me : Tu non dimandi Dise '1 Mestro : Chi xe che fa sii ni mei,
Che spiriti son questi che tu vedi? Percossa mo no li domandi adesso ?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi, Sapì, avanti avanzar, che qua xe quei
Ch'ei non peccaro : e s'egli hanno mercedi, Che se ben i ha operà, nè i ga comesso
Non basta, perch'e' non ebber battesmo, Pecai, ghe manca del batizo el don, 35
Ch'è porta della Fede che tu credi. Che xe a la fede, che li ha li, l'ingresso.
E se furon dinanzi al Cristianesmo, E se prima vissui de la passion
Non adorar debitamente Dio : De Cristo, Dio no i ga adorà abastanza :
E di questi cotai son io medesmo. E pur tropo anca mi de questi son.
Per tai difetti, e non per altro rio, Senza pecai, e sol per sta mancanza, 40
Scmo perduti, e sol di tanto offesi, Semo qua persi, e luti condanai
Che senza speme vivemo in disio. A bramar sempre Dio senza speranza.
Gran duol mi prese al cor quando lo intesi; Gran dogia ho avudo in ascollar sii guai,
Perocchè gente di molto valore Pensando che là sia, per so malora,
Conobbi che in quel Limbo eran sospesi. Omeni de gran merito mandai. 45
Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, Dime, lion Mestro, ghe domando alora,
Comincia' io, per voler esser certo Per farmi- forte ne la fede in Dio,
Di quella fede che vince ogni errore: Che a ogni dubio o question la va de sora ;
L'scinne mai alcuno, o per suo merlo, A dir che qualchedun s' ha mai sentio,
O per altrui, che poi fosse beato ? Per so merito o d'altri la virtù, 50
V. quei che intese '1 mio parlar coverto, Sia per goder el ciel da qua sortio ?
Rispose : Io era nuovo in questo stato. Scovrindo el mio pensier, responde lu :
Quando ci vidi venire un Possente, Da poco lempo gera mi arivà
Con segno di vittoria coronato. Qua zo co ho visto un Tal che xe vegnù
Trasseci l'ombra del primo Parente, Incoronà trionfante. El ga cavà 55
D'Abel suo figlio, e quella di Noè, De sbalzo fora Adamo e Abel so fio ;
Di Moisè legista, e l'ubbidiente I," ha liberà Noè e chi ha guidà
Abraàm patriarca, a David Re ; La zente Ebrea, e David ci re pio,
Israel con suo padre e co' suoi nati, El Patriarca Abramo, e fora ha trato
E con Rachele, per cui tanto fe; Giacobe, el pare e i fioi devoti a Dio, CO
Ed altri molti ; e fecegli beati : Rachele, per la qual Giac0he ha fato
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi, Da servo, e altri ha liberà quel Santo ;
Spiriti umani non eran salvati. Ma avanti a quei nessun xe sta beato.
Non lasciavam d'andar, perch'e' dicessi, Siben che '1 discoreva, tanto e tanto
Ma passavam la selva tuttavia, No avemo stralassà de andar zirando 65
La selva, dico, di spiriti spessi. D'aneme pien quel logo tuto quanto.
Non era lunga ancor la nostra via Fata un poca de strada, vegno ochiando
Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco, Serà da l'ombra un chiaro assae lusente;
Ch'emisperio di tenebre vincia. E da quelo lontani anca restando,
Di lungi v'eravamo ancora un poco, No ghe gerimo tanto che patente 70
:'i4 co... un Tal := quando vidi un tale, ciao Cristo Trionfatore, che andò a liberare Ir anime de' santi Padri.
56 Oc sbatzo = a dirittura, a vista.
57-58 e c/n ha guida La ztnte Ebrea = cioè Mose.
60-62 Giacobe, ti pare e i fioi te. = il padre di Giacobbe fu Isacco. Giacobbe per avere in isposa Rachele
servi Labano padre di lei per quattordici anin.
CANTO IV.
Ma non sì, ch'io non discevnessi in parte, Da parte no vedesse in quel splendor
Ch'orrevol gente possedea quel loco. Kacolta insieme de la brava zente.
O tu, ch'onori ogni scienza ed arte, Ti che li xe d'ogni arte e scienza el lìor,
Questi chi son, e' hanno cotanta orranza, Chi xe quei che dai altri separai
Che dal modo degli altri gli diparte? I ga qua più de luti quel'onor? 75
E quegli a me : L'onrata nominanza, El Mastro me responde: Quei ic stai
Che di lor suona su nella tua vita, I oineni, ch'el mondo tanto onora,
Grazia acquista nel ciel, che si gli avanza. E Dio li ha qua perciò privilegiai.
Intanto voce fu per me udita : Una vose in sto mentre ga dà fora,
Onorate l'altissimo poeta; Che disca: Femo onor al gran poeta, 80
L'ombra sua torna, ch'era dipartita. Che andà via, qua tra nu lu torna ancora.
Poichè la voce fu restata e queta, Quando la vose la xe stada quieta,
Vidi quattro grand'ombre a noi venire : Quatr'ombre ho ochià, che incontro ne vegnìa,
Sembianza avevan nò trista nò lieta. Con nè trista nè gagia ciera schieta ;
Lo buon Maestro cominciommi a dire : El mio Dolor disendome vien via ; 85
Mira colui con quella spada in mano, Varda là quelo co la spada in man,
Che vien dinanzi a' tre sì come sire. Clic par aver su i tre la signoria ;
Quegli è Oinero poeta sovrano, Queìo IB Omero poeta sovran,
L'altro è Grazio satiro che viene, Xe'l satirico Grazio st'altro là,
Ovidio è '1 terzo, e l'ultimo è Lucano. Xe Ovido ci terzo, ci quarto xe Lucan. 90
Perocchè ciascun meco si conviene Col nome de Poeta i m' ba chiamà,
Nel nome che sonò la voce sola, Com'eli i xe, e una sol vose gera
Fannomi onore, e di ciò fanno bene. Che, mi onorando, lori ga onorà.
Così vidi adunar la bella scuola Cussi de veder confortà me gera
Di quel signor dell'altissimo canto, I gran scolari del cantor, che svola 95
Che sovra gli altri, com'aquila, vola. Sora i altri, cofà l'aquila altiera.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, Dopo averse scambià qualche parola,
Volscrsì a me con salutevol cenno ; I .-' ha voltà da mi con un saludo :
E '1 mio Maestro sorrise di tanto. El mio Mestro a quel ato se consola
K più d'onore ancora assai mi fenno; E ride: ma mi onor più grando ho avudo, 100
Ch'essi mi fecer della loro schiera, Co de quela scientifica brigada
Sì ch'io fui sesto tra cotanto senno. Per el sesto campion i m' ha tegnudo.
Cosi n'andammo insino alla lumiera, Insieme tuli scmo andai de strada
Parlando cose che '1 tacere è bello, Incontro al chiaro da nu visto in prima,
Sì com'era '1 parlar colà dov'era. Disendo cosse longo via la strada,
Venimmo al pie d'un nobile castello, Che stava ben dir là, no adesso in rima. 105
Sette volte cerchiato d'alte mura, Semo arivai al pie d'un gran castelo,
Difeso intorno da un bel fiumicello. Serà da sete muri da j.o in cima,
Questo passammo come terra dura: E intorno via bagnà da un fiumeselo;
Per sette porte entrai con questi savi: Passà '1 fosso a pie suti, entradi semo 110
Giungemmo in prato di fresca verdura : Per sete porte in t'un pra verde e belo.
Genti v'cran con occhi tardi e gravi, Tanti omeni imponenti là trovemo
Di grand'autorità ne' lor sembianti: Con de le ciere degne de rispeto :
Parlavan rado, con voci soavi. Poco i parlava e in dolce ton. S'avemo,
Traemmoci cosi dall'un de' canti, Per poder vèder megio el nobil ceto 115
ln luogo aperto luminoso ed alto, ln tei viso, postai in logo arquanto
Sì che veder si pulcini tutti quanti. Largo, alto e chiaro ; e sora verde leto
Colà diritto, sopra '1 verde smalto, Go possà veder là per tuto quanto
Mi fur mostrati gli spiriti magni, l spiriti per meriti onorai ;
Che di vederli in me stesso m'esalto. E ancora che gli ho visti mi me vanto. i 20
1" vidi Elettra con molti compagni ; Ho visto Eletra, e tanti go osservai
Tra' quai conobbi ed Ettore ed Enea, Dei so compagni : Etore in quei, Enea,
Cesare armato con gli occhi grifagni. Giulio dai ochi d'aquila infiamai;
Vidi Camilla e la Pentesilea Camila ho visto, e po Pentesilea
Dall'altra parte, e vidi '1 Re Latino, Da st'altra banda, e insieme al re Latin 125
Che con Lavinla sua figlia sedea. So fia Lavinia là sentai vedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio, Bruto go visto, che ha scazzà Tarquin,
l.nrn'zi..i, Giulia, Marzia e Corniglia; Giulia, Marzia, Lugrezia e Cornelìa,
E solo in parte vidi '1 Saladino. E soleto in desparte el Saladin.
Poi che innalzai un poco più le ciglia, Quand'ho alzà i ochi un poco a meza via, 1 30
Vidi il Maestro di color che sanno, Aristotele ho visto, el precetor
Seder tra filosofica famiglia. De quei che insegna la filosofia;
Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno : Tuli i lo stima, e i ghe fa tuli onor :
Quivi vid'io e Socrate e Piatone, Socrate con Platon tra quela zente
Che innanzi agli altri più presso gli stanno. l stava più vicini al gran Dotor. 135
Democrito, che il mondo a caso pone, Democrito, che sol da l'acidente
D'iogenès, Anassagora, e Tale, El fa che nassa el mondo a prima vista :
Empedoclès, Eraclito e Zenone: E Diogene e Anassagora, e '1 sapiente
139-143 Eroelilo -.-. di Efeso, scrisse un trattato sulla datura. :-.. Zenone — di Ciltio in Cipro, fu principe
degli Stoici. .-.-.: Seneca = di Cordova, scrisse di filosofia morale. = Empedoele -.. di Agrigrnto, scrisse un poema
salta natura delle cose. = Tutele, -.— di Mileto, uno dei sette sapienti della Grecia -: Or/co = divino poeta so
natore di Tracia. ---: Dioscoride, - • eccellente raccoglitore delle qualità e virtù delle erbe e delle piante, di cui
SITÌ-C' un famoso trattato -— Euelide, = celebre autore degli elementi geometrici. —- Tullio = Marco Tulio Cice
rone, grande oratore, e sommo filosofo romano. = l.ii-in — Tifo Livio padovano, esimio storico latino. —- Tolo-
'.'"" Claudio, è l'autore del sistema mondiale che da lui si appella = Galltno e Ipocralc - sono due medici, il
primo di Pergamo in Asia, il secondo greco. = Avcrroi = arabo, comentù Aristotile -— vien eia --.- viene di seguito.
CANTO QUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Oltre sen vanno i due Poeti, dove Via andando arriva i do poeti, dove
.Mi nos assegna il loco della pena Marca Minosse el logo de la pena,
All'alme ree, ch'ivi discendon nuove. E in quel cala le ree aneme nove.
Quivi un orribil turbo intorno mena Bissabova tremenda intorno mena
Miseri spirti, cui lussuria cinse I schiavi stai de la lusuria at mondo,
Quassù nel mondo in si forte catena, Streti da questa co una tal caena.
Che mala voglia in lor ragione estinse. Che d'eli la rason ga fica a fondo.
Così discesi dal cerchio primaio Dal primo cerchio semo calai zoso
Giù nel secondo, che men loco cinghia, Al secondo, de manco circuito,
E tanto più dolor, che pugne a guaio. Ma de dolor più grando e più rabioso.
Stavvi Minò:, orrìbilmente, e ringhia : Quel orco de Minòs ogni delito
Esamina le colpe nell'entrata : Stizzà a l'ingresso esamina e sentenza;
Giudica e manda, secondo ch'avvinghia. Storze la eoa, e ognun manda al so sito.
Dico, che quando l'anima mal nata Digo, che quando un birbo a la presenza
Gli vien dinanzi, tutta si confessa ; Ghe vien, fa dei pecai la confession;
E quel conoscitor delie peccata E lu, ch'el ga de questi conoscenza,
Vede qual luogo il' Inferno è da essa ; Decreta el logo de la punizion. 10
4 Quel orco. - - Orco, essere immaginario il più spaventevole, e suole essere appropriato a persone d'orri
do aspetto. . - Minot — giudice dell? inferno, secondo la Mitologia.
5 Stizza = arrabbiato.
DELL INFERIVO
Cignesi con la coda tante volte, La eoa drio ai fianchi tante volte el mena,
Quantunque gradi vuoi che giù sia messa. Quanti xe 5 cerchi in zo, elic per preson
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte ; Giic dà. Sempre davanti el ga una piena
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio : Per farse un a la volta giudicar;
Dicono ed odono, e poi son giù vòlte. I conta su, i ascolta la so pena, la
O tu, che vieni al doloroso ospizio, E in dove voi la eoa, ghe loca andar.
Gridò Mlnùs a me, quando mi vide, Co '1 m'ha ochià, li lassa, e' 1 ciga: Olà
Lasciando l'atto di cotanto ufizio, Ti che ti ga l'ardir de qua arivar,
Guarda com' entri, e di cui tu ti fide : Vanta dove ti vien, quel che ti fa;
Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare. No te fidar se larga xe l'intrada. 20
E '1 duca mio a lui : Perchè pur gride ? La mia Guida responde: Cossa è sta?
Non impedir lo suo fatale andare : Ti crii anca ti? no ghe serar la strada:
Vuoisi così colà dove si puote Cossi voi Chi poi luto, e ti oramai
Ciò che si vuole, e più non dimandare. No sta più a domandar, lassa ch'el vada.
Ora incomincian le dolenti note Adesso sì da bon scomenza i guai 25
A farmisi sentire : or son venuto A farse ben sentir; me trovo star
Là dove molto pianto mi percuote. Dove un ragio de Sol no ariva mai.
lo venni in luogo d'ogni luce muto, Là no se fa che pianzer e sustar;
Che mugghia come fa mar per tempesta, E un fracasso se sente che se crede
Se da contrarii venti e combattuto. Che sia el ruzor d'una borasca in mar. 30
La bufera infernal, che mai non resta, La ventera infernal che mai no cede.
Mena gli spirti con la sua rapina ; Quei spiriti strassina a so caprizio;
Voltando e percotendo gli molesta. Li volta in furia o pase mai concede.
Quando giungon davanti alla ruina, Quand'eli vien davanti al precipizio,
Quivi le strida, il compianto e '1 lamento ; Là i ciga, i zeme, i pianze, i fa lamento; 35
Bestemmian quivi la Virtù divina. Là i bestemia sin Dio e' 1 so giudizio.
Intesi ch'a così fatto tormento Condanai, m'è sta dito, a quel tormento,
Eran dannati i peccator carnali, Xe i lussuriosi, che a rason dà '1 bando,
Che la ragion somtnettono al talento. Perchè '1 vizio ha su quela ci soravento.
E come gli stornei ne portan l'ali, Come a schiapi i stornei va destirando, 40
Nel freddo tempo, a schiera larga e piena; Quando fa fredo, le ale a vela piena;
Così quel flato gli spiriti mali Cossi '1 vento d'inferno va butando
Di qua, di là, di giù, di su gli mena : Quei danai da ogni banda, e li remena
Nulla speranza gli conforta mai, De qua, de là, de su, de za, e speranza
Non che di posa, ma di minor pena. No i ga d'un fià de quiete o manco pena. 45
E come i gru van cantando lor lai, Com'el lemo le gruc va in ordenanza
Facendo in aer di sè lunga riga ; Fazzendo in aria prussissionalmente,
Così vid'io venir, traendo guai, Vegnir go visto a poca lontananza
Ombre portate dalla detta briga ; Portada in alto una fila dolente.
Perch'io dissi : Maestro, chi son quelle Come, domando al Mestro, xe chiamada 50
Genti, che l'aer nero sì gastiga ? Quela dal vento maltratada zente?
28 suitar — sospirare.
30 ruzor d'una boratca in mar c= mugghiamento del mare in tempesta
40 iehiapi = stormi.
46 ordenanza = voce applicata a moltitudine di gente posta in ordine, in filj, come appunto usano i gru.
CAiSTO V. 27
La prima di color, di cui novelle La prima, dise lu, sovrana è stada
Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta, De popoli diversi de natura,
Fu imperadrice di molte favelle. A la lussuria tanto trasportada,
A vizio di lussuria fu sì rotta, Ch'el dente per schivar de la censura, 55
Che libito fe lecito in sua legge, Co una lege ha permesso a ogni persona
Per tórre il biasimi in che era condotta. De maridarse a modo soo a dritura.
KH'i Semiramls, di cui si legge, Semiramide è stada quela dona,
Che succedette a Nino, e fu sua sposa ; Che de Nino, so fiolo sta e mario,
Tenne la terra che '1 Soldan corregge. EI setro la ga avudo e la corona 60
L'altra è colei che s'ancise amorosa, Che ga desso el Sultan. Didon adrio
E ruppe fede al cener di Sitimi ; De questa vien, che per amor de Enea
. Poi è Cleopatràs lussuriosa. La s" ha mazza e ga Sicheo tradio :
Elena vidi, per cui tanto reo Po vien Cleopatra de lussuria rea,
Tempo si volse; e vidi '1 grande Achille, Elena che ha mandà Trogia in malora : 65
•Che per amore al line combattco. E varda Achil, d'amor ch'el combatea
Vidi Parìa, Tristano E più di mille Sin lu : Paris, Tristan varda e più ancora
Ombre mostrommi, e nominolle, a dito, D'un miei col deo me n'ha mostrà e chiamà,
Ch'Amor di nostra vita dipartine. Che quel birbo d'amor l' ha fati fora.
Poscia ch'io ebbi il mio Dottore udito Dopo ch'el mio Dotor m' ha menzonà 70
Nomar le donne antiche e i cavalieri, Dei tempi andai le done e i cavalieri, i
Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito. M' ho t mmorilo, e se m' ha '1 cuor strazza.
Poi cominciai : Poeta, volentieri Poeta, ho dito, più che volentieri
Parlerei a que' duo, che insieme vanno, Parlarave a quei do che i va tacai,
E pii ion si al vento esser leggieri. E in sto ventazzo i par tanto lezieri. 715
Ed egli a ine : Vedrai quando saranno Co più a vicin, el dise, i sia arivai,
Più presso a noi ; e tu allor gli prega Pregali per l'amor che li fa andar
Per quell'amor, che i mena ; ed ei verranno. Insieme, e i vegnerà cussi chiamai.
Sì tosto come '1 vento a noi gli piega, Apena el vento ne li ha fati inviar,
Muovo la voce : O anime affannate, Alzo la vose : O aneme afanae, 80
Venite a noi parlar, s'altri noi niega. Vegnì qua, se podè, con nu a parlar.
123 Datar = accenna a Bocsio. Questo autore era famigliarissimo a Dante, il quale disse nel suo Comili.,
d'aver cercato conforto ul suo dolore per la morie di Beatrice. (BURCHI).
127 co = con.
129 Lanciloto = autore del romanzo amoroso: La Tavola Rotonda.
133 ne bfeaaa . . ci pungeva.
138 Golfata . Galeotto era il nome di colui clic fu mezzano tra gli amori di Lancilotlo e Ginevra; galeot
to si chiamò poi ogni mezzano d'illeciti amori.
,-.
50 DELL I>F£R>0
CANTO SESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al tornar della mente, che si chiuse Co i sentimenti m'è tornai, che perso
Dinanzi alla pietà de' duo cognati, Avea in sentir le angosse dei cugnai,
Che di tristizia tutto mi confuse. Che m' ha in fondo del cuor fato un roverso;
Nuovi tormenti e nuovi tormentati Novi tormenti e novi tormentai
Mi veggio intorno, come ch'io mi muova, Vedo intorno ; e per tuto che me mova, 5
E come ch'io mi volga, e ch'io mi guati. O me volta, o me zira, vedo guai.
Io sono al terzo cerchio della piova Me trovo al terzo cerchio: e qua una piova
Eterna, maledetta, fredda e greve : Eterna, maledia, giazzada e greve
Regola e qualità mai non l'è nuova. Vien zoso sempre, e mai no se renova.
Grandine grossa, ed acqua tinta, e neve Tempera grossa, e aqua torbia e neve, 10
Per l'aer tenebroso si riversa: Per l'aria negra casca sempre zoso;
Pule la terra, che questo riceve. Spuzza ci teren che quel inissioto beve.
Cerbero, fiera crudele e diversa, Cerbero, el strambo can, fiero, stizzoso,
Con tre croie caninamente latra El bagia a forte con tre gole adosso
Sovra la gente che quivi è sommersa. A quei negai, che no ga mai reposo. 15
Gli occhi ha vermigli, e la barba unta ed atra, Negri el ga i musi, (ratizzi, e l'ochio rosso,
E '1 ventre largo, ed unghiate le mani; Con gran panza e gran ongie; quei danai
Graffia gli spirti, gli scuoia ed lsquatia. Lu scortela, lu squarta a più no posso.
Urlar gli fa la pioggia come cani: La piova li fa urlar da desperai;
Dell'un de" lati fanno all'altro schermo; Cerca scansar i grami quel malan, 20
Volgonsi spesso i miseri profani. Cambiando sempre fianco. Co '1 n' ha ochiai,
Quando ci scorse Cerbsro, il gran vermo, Ne ga i denti poinli mostrà quel can,
Le bocr.he aperse, e mostrocci le sanne: Tegnindo le tre boche spalancae,
Non avea membro chn ten-jssc fermo. E s' ha tulio missià. Verte le man,
E '1 Duca mio, distese le sue spanne, Tol su un grumo de lera, e po scrae, 25
Prese la terra, e con piene le pugna A pugni pieni el Mostro con vemen'vi
1 Cn = quando.
3 m'ha in fonda drl euor falo un raverso = mi ha Ilubato, sconvolto l'animo,
in lorliiu =-- torliida.
13 Cerbero = il cane dai poeti posto a guardia dell' inferno e per istrozio dei dannali = strau-ba — strano
Ax nuuva foggia.
16 untizzt - untuosi.
21 minia — dimenato, contorto.
CAYTO VI,
La gittò dentro alle bramose canne. La stanza in quele.trc gole sfamai!,
Quale quel cane, ch'abbaiando agugna, Come un can, che bagiando a tuta ardenza,
E si racqueta poi che '1 pasto morde, El se quieta co un osso ga imbocà,
Che solo a divorarlo intende e pugna ; Ch'el tende a rosegar con impazienza; 30
Cotai si fecer quelle facce lorde Cossi i luridi musi ha bonazzà
Dello demonio Cerbero, che introna Del can-demonio, che l'introna urlando
L'anime sì, ch'esser vorrchber sorde. L'aneme ch'esser sorde avria bramà.
>roi passavam su per l'ombre, ch'adona Intanto nu su l'ombre caminando
La greve pioggia, e ponevam le piante Sguazzae da l'infernal piova giazzada, 35
Sopra lor vanità, che par persona. Metemo el pie su quele che, inganando,
Elle giacean per terra tutte quante, Le par persone vive. Una levada
Fuor ch'una, ch'a seder si levò, ratto ' Suso in senton de sbalzo, proprio alora
Ch'ella ci vide passarsi davante. Che n'ha visto passarghe de fazzada:
O tu, che se' per questo Inferno tratto, Ti che ti vien in sta infernal malora, 40
Mi disse, riconoscimi, se sai: Conossime, la dise, se ti è bon,
Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto. TI, che ti è nato avanti che mi mora.
Ed io a lei: L'angoscia, che tu hai, E mi: Convien ch'el crucio e la passton
Forse ti tira fuor della mia mente Una fisonomia t'abia dà nova,
Sì, che non par ch'io ti vedessi mai. Se capace a conosscrte no son, 45
Ma dimmi chi tu se', che in sì dolente Ma dime chi ti xe, dani in sta piova,
Luogo se' messa, ed a sì fatta pena, Che se ghe fusse pezo pena mai,
Che s'aitra è maggio, nulla è sì spiacente. Certo più fastidiosa no se trova.
Ed egli a me: La tua città, ch'è piena Nel to paese, ci dise, pien de guai,
D'invidia sì, che già trabocca il sacco, Dove l'invidia passa ogni confin, 50
Seco mi tenne in la vita serena. I mii zorni là drente go passai.
Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco: Chiaco me ga chiamà quei citadin;
Per la dannosa colpa della gola, Per el vizio dunoso de la gola
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco: Peno, varda. in sta piova senza fin.
Ed io anima trista non son sola; Ma in sta piova no son anema sola, 55
Che tutte queste a simil pena stanno Che sii spiriti tuti xe qua /0
Per simil colpa: e più non fe parola. Per l'egual vizio: e più noi fa parola.
Io gli risposi : Ciacco, lo tuo affanno Chiaco. ghe digo, del to mal mi go
Mi pesa sì, eira lagrimar m'invita: Tanto dolor, ch'el cuor me fa ingropar;
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno Ma, se ti sa, come a Firenze mo, 60
Li cittadin della città parlila; Dime, andarà i partidi a terminar:
S'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione Se gh'è nissun de giusto, e la rason
64 Mazzarse tee. --. Ciocco qui parla ia forma profetica, poichè Dnnte ha immaginato che le anime vedano
le cose future: Vedi il C. X. v. 100-105.
65-67 la Bianca = di cui era capo la famiglia dei Cerchi: della Nera era capo la famiglia de' Donati.
69 Da un gran cara/mm tee = cioù Carlo di Valois fratello di Filippo il Bello re di Francia; fu da (jnc-
sto mandalo a Firenze per comporre que' cittadini divisi. Il francese per altro invece di prestarsi da buon pa
ciere, unì le sue forze a i|uelle dei Neri ed oppresse il partilo contrario: qumdi carico delle spoglie della ma
nomessa Firenze andossenc pe' fatti suoi.
70 l'anderà cimada = andrà orgogliosa.
73 In do .fi' i giusti = due giusti uomini fiorentini, che in quelle turbolenze non erano ascoltati; ma chi
questi .«inni, è difficile indovinare, l'ero dallo stesso silenzio dei nomi potrebbe argomentarsi che uno di questi
fnsIe il modesto Dante Alighieri, e l'altro il suo grande amico Guido Cavalcanti, che Benvenuto da lumia dice:
.Uu-i- oculux Florentìat tempore Dantis. (BUUCIII).
75 tiravolla = sconvolta, disordinata.
79-81 Farinata — Farinata degli Climi: vedi C. X. = Teghiaio Aljlobrandi degli Adimari e Jacopo lìnsii-
i-uci: vedi C. XVI. == Arigo de'Fifanti non vien più nominato nel Poema. = Del Moten vedi C. XXVIII. baule
da i costoro lode, non come peccatori, ma come valentuomini.
92 un fiò .-- un poco.
CANTO VI. 53
Di qua dal suon dell' angelica tromba, De l'anzolo la tromba, co vien l'ora, 95
Quando verrà lor nimica podesta : Lo svegerà. Là, '1 giusto Dio rivando,
Ciascun ritroverà la trista tomba, Tuti el sepolcro soo troverà fora,
Ripiglierà sua carne e sua figura, Vestirà la so carne e la figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba. E i sentirà '1 giudizio eterno alora.
Sì trapassammo per sozza mistura Cussi andavimo a pian tra la mistura 100
Dell'ombre e della pioggia, a passi lenti, De l'ai lun sporca e i sporchi delinquenti;
Toccando un poco la vita futura : E discorendo un fià su la futura
Perch'io dissi : Maestro, esti tormenti Vita, domando al Mestro: Sti tormenti
Cresceranno ei dopo la gran sentenza, Cresseli dopo ci gran final giudizio?
O fien minori, o saran sì cocenti? Sarali i stessi, o manco forti? Senti 105
Ed egli a me : Ritorna a tua scienza, Del filosofo tuo qual xe '1 giudizio,
Che vuoi, quanto la cosa è più perfetta, Lu din: ; e '1 te dirà, che più se sente
Più senta '1 bene, e così la doglianza. Nel perfeto el piacer, com'el suplizio.
Tuttochè questa gente maledetta Siben che questa maledetta zente
In vera perfezion giammai non vada, De vera perfezion ata no sia, 110
Di là, più che di qua, essere aspetta. Dopo i la gavarà più che al presente.
Noi aggirammo a tondo quella strada, Cossi de quela strada atorno via
Parlando più assai ch'io non ridico; Zirà avemo parlando più che digo;
Venimmo al punto dove si digrada : Po zo calai se semo in compagnia:
Quivi trovammo Piuto il gran nemico. E Pluton là trovemo, el gran nemigo. 115
95 co -- qnando.
102 un /;.'t = un poco.
106 Del filosofo tuo = allude alla filosofia Aristotelica seguila da Dante.
115 Pluton — jiiutone Dio delle ricchezze, figlio tli Giasone e di Cerere, secondo la mitologin: qui i fallo
figurare per il gran nemico della pace del mondo; perchè dalla sete dell'oro e delle smisurate ricchezze deri
vano i più gravi disordini nell'umana famiglia.
34 DELL lNFERNO
CANTO SETTlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Taglia le voci nell'orrenda strozza Virgilio taser fa Plnton, e andai
Virgilio a Pluto, ondo i Pofti vanno l dn Pocti al quarto cerchio, i trova
Nel quarto cerchio, ch'altre anime ingozzi. Prodighi e AYari, che i xe condanai
Prodighi e avari quivi lor pene hanno A spenzer pesi grossi; nè ghe giova
Spingendo pesi e con percosse dure Le spente che i se di quei penitenti,
L'aspro gastigo più aspro si fanno. Che più i fa cresser la condana nova.
Poi d'lra, e Accidia veggon le lordure. D'lra e lnvidia i vede po i tornu.ntì.
Pape Salan, pape Satan aleppe.... Pape alepe Satan, pape Satan,
Cominciò Pluto con la voce chioccia : Pluton scomenza co la so vosazza;
E quel Savio gentil, che tutto seppe, Ma '1 Dotor, che quel zergo ga a la man ,
Disse, per confortarmi: Non ti miccia ' Dise, per farme cuor: Se'l te strapazza
La tua paura, che, poder ch'egli abbia, No ghe star a badar, che a ti sto ingresso
Non ti torrà lo scender questa roccia. Elo tor no te poi per quanto el fazza.
Poi si rivolse a quella enfiata labbia, Po contro a quel rabioso el se ga messo
E disse: Taci, maledetto lupo: A dirghe: Tasi, lovo maledeto,
Consuma dentro te, con la tua rabbia. Sfoga quel to velen contro ti stesso.
Non è senza cagion l'andare al cupo: D'andar là so gavemo ci nostro ogeto; 10
Vuoisi cosi nell'alto, ove Michele Voi cussi '1 ciel, dove la rebelion
Fè la vendetta del superbo strupo. Dei aiuoli, Michiel ga ben coreto.
Quali dal vento le gonfiate vele Come sgionfa dal vento in t'un baion,
Caggiono avvolte, poichè l'alber fiacca; Spacà l'alboro, vien la vela a basso;
Tal cadde a terra la fiera crudele. Tal qual fa '1 mostro in tera el stramazzon. 15
Così scendemmo nella quarta lacca, Cossi drezlando al quarto cerchio el passo,
Prendendo più della dolente ripa, Per là calcmo sempre più internando,
Che'l mal dell'universo tutto insacca. Dove s'insaca d'ogni mal l'amasso.
Ahi giustizia di Dio ! tante chi stipa O giustizia de Dio! chi va muchiando
Nuove travaglie e pene, quante io viddi ? Le tante pene che ho podestq ochiar?
E perchè nostra colpa sì ne scipa ? Perchè '1 vizio cussi ne vien strazzando?
Come fa l'onda là sovra Cariddi, Come a Caridi, in quei scogi de mar,
Che si frange con quella in cui s'intoppa; Le onde urtando se rompe; istessamente
Così convien che qui la gente riddi. l danai sempre qua ga da zirar.
1 Pape alepe ecc. =: Taluni pretendono essere pnrole ebraiche, clic avrebbero questo significato: •i Come, o
Salano, come, o Salano principe dell'lnfernol a lasciando sotliuiendere la esclamazione interrotta: un audace mor
tale osa penetrare qua entra? Molle altre interprclazioni furono date, ma questa sembrerebbe la più naturale
quando vogliasi rinvenire un senso. Perù il traduttore, e con esso qualche comentatore, inclinerebbe a credere
clic le parole stesse non appartengono a nessun linguaggio ili questo mondo, ma piuttosto al gergo diabolico
ehe alla capricciosa fantasia del pocta piacque mettere iii bocca a fiutone; il somigliante di cicche vedremo al
pozzo de' Giganti, C. XXXl. 67.
•1 per fanne cuor = per darmi coraggio.
12 •1/iV/nW = l'Arcangelo mandato da Dio per cacciare dal ciclo gli angeli ribelli e confinarli nell'lnferno.
15 strnmazzon . stramazzata, percossa in terra.
10 innrliiniiilH — ammucchiando.
21 strizzando ...:.. stracciando, lacerando.
i2 Come a Cariili = Sciita c Cariddi nel faro di Messina, ove le acque del Mar Jonio e ilei Tirreno s'in
contrano e s'infrangono.
COTO vii. 03
Qui vid'io gente, più ch'altrove, troppa, Qua più che In altri siti ho visto zente, 25
E d'una parte e d'altra, con giand'urll Che col peto gran pesi i spentonava,
Voltando pesi, per forza di poppa : Urlando luti co i se incontra arente.
Percotevansi incontro, e poscia pur lì In tei urtarse, in drio i se voltava:
Si rivolgea ciascun, voltando a retro, Perchè ti tien? Perchè ti spandi ti?
Gridando: Perchè tieni? e: Perchè burli? I se andava disendo; po i tornava 30
Cosi tornavan per lo cerchio tetro, Ancora per quel scuro cerchio lì,
Da ogni mano all'opposito punto, D'ogni banda da l'un a l'altro cao,
Gridando sempre loro ontoso metro ; Con quel insulto a ponzerse cussi.
Poi si volgea ciascun, quand'era giunto, Po ognun voltando ancora da là incao,
Per lo suo mezzo cerchio, all'altra giostra. A mezo del so cerchio zonti apena, 35
Ed io, ch'avea lo cuor quasi compunto, Quel molinelo i fava da recao.
Dissi: Maestro mio, or mi dimostra, Domando al Mestro, dopo ochià sta sena:
Ohe gente è questa, e se tutti fuor cherci Chi xeli mai costori propriamente,
Questi chercuti, alla sinistra nostra. Quei chieregai, che qua a la zanca i pena?
Ed egli a me : tutti quanti fur guerci Xei stai chiereghi luti? E lu: Sta zente 40
Si della mente, in la vita primaia, I ha avù de là'l cervel così stordito,
Che, con misura, nullo spendio ferci. Che ogni spesa i ha fato malamente.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia, La botonada lo sa dir pulito
Quando vengono a' duo punti del cerchio, Ai do ponti del cerchio; e destacai
Ove colpa contraria gli dispaia. Dai do oposti pecati i xe in quel sito. 46
Questi fur cherci, che non han coperchio Chiereghi i gera, papi e cardenai
Piloso al capo, e papi e cardinali, Questi, che in testa xe senza caveli,
In cui nso avarizia il suo soperchio. De prodigalità tuli iuzupai.
Ed io: Maestro, tra questi colali liini Mestro, digo, qualchedun Ira queli
Dovre'io ben riconoscere alcuni, Mi dovarave averne conossuo 50
Che furo immondi di colesti mali. Machiai dal vizio che ga lollo i peli.
Ed egli a me : Vano pensiero aduni : Gnanca per sogno, el me responde nuo;
La sconoscente vita, che i fe sozzi, Sapi ch'eli xe tuli sfigurai,
Ad ogni conoscenza or gli fa bruni. Perchè una vita bruta i ga tegnuo.
In eterno verranno agli duo cozzi : Ai eterni do scontri i xe danai; 55
Questi risurgeranno dal sepulcro Quei ressussiterà col pugno strelo,
Col pugno chiuso, e quelli co' crin mozzi. E i spendachioni coi cavei tagiai.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro Per el contrario vizio iualedeto
Ha tolto loro, e posto a questa zuffa : Perso i ga '1 Paradiso, e pena dura
Qual ella sia, parole non ci appulcro. 1 ga qua via, che de più dir desmeto: 60
Or puoi, fìgliuol. veder la corta buffa Varda, fio, varda quanto poco dura
De' ben, che son commessi alla Fortuna, I beni dispensai da la fortuna,
Per che l'umana gente si rabbuffa. Per i quali la zente se snatura:
32 rfa l'un al'altro cao = espressione elic ha varj significali: ijui è presa nel scuso: du una all'opposta parte.
33 ponzene = pungersi con delti mordaci.
3-1 da là in cao — da quell'estremo lalo.
36 da rccao — di nuovo.
43 In botnnada = il motteggio.
48 caie = spilorci, taccagni.
52 nuo . . nudo, nel senso figurato di schietto.
36 DBLLI lÌVFERNO
Che tutto l' oro, ch'i': sotto la luna, Se de far reposar solo che una
E che già fu, di quest'anime stanche De st'aneme spossae, no ga '1 poder 65
Non poterebbe farne posar una. L'oro ch'el mondo tuto quanto suna
Maestro, dissi lui, or mi di'anche : E ga sunà. E mi: Fame saver
Questa Fortuna, di che tu mi tocche, Cossa xe sta Fortuna, che del mondo
Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche ? l beni la despone a so piacer.
E quegli a me : O creature sciocche, O povari meloni, chiaro e tondo 70
Quanta ignoranza è quella che v'offende! Lu me responde, o che ignorante zente!
Or vo' che tu mia sentenza uè imbocche. Scolta, e del mio sermon ben varda el fondo.
Colui, lo cui saver tutto trascende, Ga fato Quel che sa sora ogni mente,
Fece li cieli, e diè lor chi conduce, l cieli, e ha dà '1 poder a chi li invia,
Sì, ch'ogni parte ad ogni parte splende, De farli luser tuli giustamente. 75
Distribuendo egualmente la luce: Cossi l' ha comandà da là su via,
Similemente agli splendor mondani Che quanti mai ghe xe beni mondani,
Ordinò generai ministra e duce, Da una ministra regoladi i sia;
Che permutasse a tempo li ben vani La qual a tempo e col zirar dei ani,
Di gente in gente, e d'uno in altro sangue, A chi li dà, a chi li porta via 80
Oltre la difension de' senni umani. Contro ogni sforzo dei inzegni umani.
Per ch'una gente impera ed altra langue, Per questo, drio '1 giudizio de custia,
Seguendo lo giudicio di costei, Che, come in erba el bisso, sconta stà,
Ched'è occulto, com' in erba l'angue. Chi xe schiavo, e chi vive in signoria.
Vostro saver non ha contrasto a lei: L'omo no poi stornar quel ch'eia fa: 85
Ella provvede, giudica, e persegue Eia provede drio '1 poder avuo,
Suo regno, come il loro gli altri Dei. E giudica, e comanda a volontà,
Le sue permutazion non hanno triegue : Come i anzoli fa nel regno suo.
Necessità la fa esser veloce; La cambia spesso, e presto la camina;
Sì spesso vien chi vicenda consegue. Chi geri gera un sior, pitoco è ancuo. 90
Quest'è colei, che tanto è posta in croce Questa la «e pur quela che in berlina
Pur da color che le dovrian dar lode, A torto la xe messa anca da quei
Dandole biasmo a torto e mala voce. Che i dovria benedir sera e matina.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode : Ma no ascolta culla sti pianzistei;
Con l'altre prime creature lieta La fa andar la so roda, e va passando 95
Volve sua spera, e beata si gode. Coi anzoli là in ciclo i zorni bei.
Or discendiamo omai a maggior pièta: Se calemo a veder dolor più grando:
Già ogni stella cade, che saliva Gera la meza note andada a spasso,
Quando mi mossi ; e il troppo star si vieta. E più là no se poi star curiosando.
Noi ricidemmo '1 cerchio all'alra riva Tagiando ci cerchio, avemo voltà '1 passo 100
Sovr'una fonte, clic bolle, e riversa Per l'altra riva, dove la cascada
Per un fossato, che da lei deriva. D'una fontana va in un fosso a basso.
L'acqua era buia molto più che persa; Scura assae gera l'aqua e impaltanada;
E noi in compagnia dell'onde bige E drio questa, calando da de là,
6O tulni . ammassa.
70 meloni = vale sciocchi, Ai grosso ingegno.
74 a chi li invia = cioè le lntulligcnzi! motrici. Ogni cMo ovvero ogni sfera celeste crederasi ai tempi di
Dotile elio fosse me.sso in giro ilu un angelo. Così una lntelligenza celeste credevano essere la Fortuna.
!}S d'era la mezzanotte andada a spasso . . Era trascorsa la mezzanotte.
CANTO VII. 37
Entrammo giù per una via diversa. Hivemo zo, ma per un altra strada. 105
Una palude fa, e' ha nome Stige, Co l'aqua sporca l'orlo ga locà
Questo tristo ruscel, quand'è disceso De la riva, dov'erimo passai,
Al pie delle maligne piagge grige. La fa un paluo, che Stige el vien chiamà.
Ed io, che a rimirar mi stava inteso, Tanti de lori ho visti impaltanai,
Vidi genti fangose in quel pantano, Mentre che l'ochio intorno là zirava,
Ignude tutte, e con sembiante offeso. Afato nui con visi da irabiai.
Queste si percotean, non pur con mano, No solo co le man i se pestava,
Ma con la testa e col petto e co' piedi, Ma anca coi peti, co le teste, e i pii,
Troncandosi co' denti a brano a brano. E insin coi denti a lochi i se sbranava.
Lo buon Maestro disse : Figlio, or vedi Dise ci Dotor: Xe qua i inviperii, 115
L'anime di color cui vinse l'ira: Che là al mondo i se ga d'ira passui:
Ed anche x o" che tu per certo credi E altri solo la melma ingritolii
Cbe sotto l'acqua ha gente che sospira, Anca ghe n'è, che coi sospiri sui,
E fanno pullular quest'acqua al smmun, L'aqua i fa brombolar stando là drente,
Come l'occhio ti dice u" che s'aggira. Come vede per luto i ochi lui. 120
Fitti nel limo dicon : Tristi fummo Piantai nel fango i grami dise-a stento:
Nell'aer dolce che dal sol s'allegra, Bruta vita, d'acidìa nu impastai,
Portando dentro accidioso fummo: Passà avemo là sora al sol, al vento;
Or ci attristiam nella belletta negra. E in fango adesso semo qua impiantai.
Quest'inno si gorgoglian nella strozza, Nel gosso ghe vien rota sta canzon, 125
Che dir noi posson con parola integra. Che clrio man tuta no i poi dirla mai.
Così girammo della lorda pozza De quel fangoso cerchio avemo un bon
Grand'arco tra la ripa secca e '1 mezzo, Tòco zirà tra' 1 paltan e la riva,
Con gli occhi volti a chi nel fango ingozza : N'ardami o chi nel fango fa glonglon:
Venimmo appie d'una torre al dassezzo. E d'una tore al pie in li" se ariva. 130
100 Co : -. quando.
103 sii;i,' .-- fiume dell'inferno, secondo i poeti.
113 i pii --. i piedi.
117 ingritolii -.-. rannicchiati.
110 brombolar :- gorgogliare.
127- 128 un Ima Tòco = riferito al cerchio, vale: un buon trailo.
129 glonglon = voce di nimi significato, esprimente solo il romore elic fa un liqaido nell' uscire dal collo
di un fiasco.
38 DELL
CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Con Flegiùs tra le fangoso senti Con Fl.'gias va i Poeti tra i pianzonti
Vanno i Poeti, i- affacciasi alla barca Nel fango, e al so batolo vien Ilavanti
I/ombra orgogliosa di Filippo Ardenti. I/ombra superba do Filipo Arconti.
Da Rt> lo scaccia il buon Virgilio, e varrà; I.o cazza via Virgilio, e tira avanti;
Ma giunto a Ditf-. trova sn lo porte Ma zonto a Dite, su la porta ci trova
Seliiora di spirti roi. che d'ira carca Un grumo de demoni, e tutti quanti
Negagli il passo a quell'eterna morte. Ghe nega ol passo a quella pena nova.
Io dico seguitando, ch'assai prima Digo, tirando avanti, che assae prima
Che noi dissimo al pie dell'alta torre, Fussimo al pie del gran torion rivai,
Gli occhi nostri n'andar suso alla cima, Avemo visto su quel'alta cima
Per duo fiammette, che i vedemmo porre, Che vegnia do lumini colocai ;
Ed un'altra da lungi render cenno E un altro el segno a quel ga da cussi
Tanto, ch'appena '1 potea l'occhio tórre. Lontan, che i ochi a stento i xe L'i andai.
Ed io, rivolto al mar di tutto '1 senno, Voltà dal Mestro : Coss'è, digo mi,
Dissi : Questo che dice ? e che risponde Sti do lumini? e cossa ghe responde
Quell'altro fuoco? e chi son que' che '1 fenno? St'altro ? e chi xe che li ga messi lì ?
Ed egli a me : Su per le suelili- onde E lu : Su queste impaltanae negre onde,
Giù scorgere puoi quello che s'aspetta, Un tal che vegnerà, ti poi scovrir,
Se "i fummo del pantan noi ti nasconde. Se '1 fumo de la melma no lo sconde.
Corda non pinse mai da sè saetta, Mai da l'arco la frezza nel partir,
Che sì corresse via per l'aer snella, Xe corsa via per l'aria tanto in pressa,
Com'io vidi una nave piccioletta Come go visto un sandolo vegnir 15
Venir per l'acqua verso noi in quella, Alora incontro a nu per l'aqua istessa,
Sotto il governo d'un sol galeotto, Co un solo barcarol, el qual cigava :
Che gridava : Or se' giunta, anima fella ! Ah sì, ti xe po qua, anemia tressa!
Flegiàs, Flegiàs. tu gridi a vuoto, Ma ste parole el Mestro ghe sonava :
Disse lo mio Signore, a questa volta : Flegiàs, ti perdi ci Ila: solo in passar -20
Più non ci avrai, se non passando il loto. St'aquazv.a, toi saremo. Lo ascoltava
Quale colui, che grande inganno ascolta El barcariol rabià, e a sto parlar
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca ; L'è restà propriamente come quelo
Tal si fe Flegiàs nell'ira accolta. Che s'intagia i lo vogia minchionar.
Lo Duca mio discese nella barca, Se cala in prima el Mestro in tei batelo,
E poi mi fece entrare appresso lui, E co '1 m' ha fato entrar a lu darente,
E sol, quand'l' fui dentro, parve carca. Se s' ha inacorto esserghe peso in elo.
30 co l'altra zente .. con l'altra gonio, ciao, colle anime olio, essendo ombre, non hanno peso.
31 pachiugo = mollume, broda, poltiglia, terra quasi resa liquida dall'acqua,
35 conzà . concio.
39 lea . limaccio, mota, melma.
40 schifo = piccola barchella.
42 COMO .... voce applicata in via di spregio a persona di cui s'ignora o non vuoisi pronunciare il nome.
51 velen . qui sta per ira. ,
5S desio — strazio.
62 Pipo Argenti = Filippo Argenti fu della nobile famiglia Cavicciuli Adimari, ricchissimo e potente uomo
t oltrcmoilo iracondo. Dicono che avesse il soprannome ili Argenti dall'uso che tenne di armare d'argento le
zampe de' suoi cavalli. Dante si vendica qui della opposizione che questo suo arrabbiato nemico fece tempre al
suo ritorno in patria (UHI. in).
40 DELL
Quivi '1 lasciammo, chè più non ne narro; Avemo lassà là quel paltanoso:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo, E da la banda ho voltà l'ociiiu atento, (5
Perch'io avanti intento l'occhio sbarro. Dove sortiva un lagno doloroso.
E 1 buon Maestro disse : Omai, figliuolo, De Dite a la cità del gran tormento
S'appressa la città, e' ha nome Dite, Semo, dis'el Dotor, quasi arivai;
Co' gravi cittadin, col grande stuolo. Zente assae carga de pecai gh'è drento.
Ed io : Maestro, già le sue mesciute E mi: ln quel logo vedo là oramai 70
Là entro certo nella valle cerno l torioni, o Dotor, rossi in maniera,
Vermiglie, come se di fuoco uscite Che i par da un fogaron noma cavai.
Fossero : ed ei mi disse : ll fuoco eterno, Lu me dise : L'eterna gran foghera,
Ch'entro le affoca, le dimostra rosse, Che ghe xe drento, manda quel color
Come tu vedi, in questo basso lnferno. Rosso, che stando qua ti vedi. Gera 75
Noi pur giugnemmo dentro all'alte fosse, Za rivà ai fossi fondi col Dotot,
Che vntlan quella terra sconsolala : Che i brazza atorno la cità dei guai :
Le mura mi parea che ferro fosse. Per fero i muri se podeva tor.
Non senza prima far grande aggirala, Dopo tanto zirar, semo arivai
Venimmo in parte, dove '1 nocchier, forte, A un sito, in dove el barcarol ga urla : 80
Uscite, ci gridò, qui è l'entrata. Qua è l'intrad.i, smontò. Dal ciel cascai
lo vidi più di mille in su le porte Un mier d'anzoli e più go visto là,
Dal ciel piovuti, che stizzosamente Che ingrintai sul porton eli diseva :
Dicean : Chi è costui, che senza morte Chi è sto vivo che vien zirando qua,
Va per lo regno della morta gente ? Dove i morti sol zira ? Respondeva 85
E '1 savio mio Maestro fece segno El Mostro mio col farghe un moto suo,
Di voler lor parlar segretamente. Che parlarghe in secreto dir voleva.
Allnr chiusero un poco il gran disdegno, Alora i ga la stizza un li à tegnuo,
E disser : Vien tu solo, e quei sen vada, E i dise : Vien ti solo, e vaga via
Che sì ardito entrò per questo regno. St'altro, che ardir de vegnir qua l' ha avuo : 90
Sol si ritorni per la folle strada : Prova quel mato, se mai solo el sia
rrimvi, se sa; chè tu qui rimarrai, Bon da refar la strada così scura,
Che scorto l'hai per sì buia contrada. Senza che ti ghe fazzi compagnia.
Pensa, lettor, s'io mi disconfortai Pensa ti che ti lezi, qual pontura
Nel SUDIi delle parole maledette; M' ha dà al cuor quel discorso maledeto, 95
Ch'io non credetti ritornarci mai. Che no tornar più al mondo ho a vii paura.
O caro Duca mio, che più di sette O vn, mio caro Mestro benedeto,
Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto Che salvà tante volte me gavè
D'alto periglio che incontra mi stette, Da tremendi pericoli, soleto,
Non mi lasciar, diss'io, così disfatto : Ghe digo, qua in sti imbroi no me lassè: 100
E se l'andar più oltre c'è negato, E se colori n" ha negà l'intrada,
Ritrovinm l'orme nostre insieme ratto. lndrio voltemo presto presto el piè.
CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quando pensosi per entrar si stanno, Mentre i sta pensierosi in su l'intrada.
Veggon tre Furie, alla cui fera testa Tre Furie i vede, che ga per caveli
Per capelli serpenti cerchio fanno. De serpenti la fronte circondada.
E mnntre fuggon la vista molesta Insin che de Medusa i scansa queli
Del capo di Medusa, un Messo eterno, I/orida testa, vegnù un Messo eterno
Dal ciel.disceso, con ira e tempesta Dal ck'lo, invelenì contro i rebeli,
Apre lor la città del buio inferno. Ghe averze la cita del negro inferno.
Quel coler che viltà di fuor mi pinse, Vista el ga apena, nel tornar indrio,
Veggendo '1 Duca mio tornare in rolla, Sul mio viso depenta la paura,
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse. Che sconta ha la so bile el Mestro mio.
Attento si fermò com'uom che ascolta ; Po fermà, '1 tien la rechia in positura
Che l'occhio noi potea menare a lunga De ascoltar, no podendo in lontananza 5
Per l'aer nero e per la nebbia folta. Veder tra quel caligo a l'aria scura.
Pur a noi converrà vincer la punga, E pur nu vinceremo sta baldanza,
Cominciò ei: se non.... tal ne s'offerse. Dise, se no el so agiuto un tal n" ha oferto;
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga ! Oh che pena me fa sta tardiganza !
Io vidi ben sì com'ei ricoperse Da questo so discorso go scoverto, 10
Lo cominciar con l'altro che poi venne, Che le parole ch'el ga in fin zontà.
Che fur parole alle prime diverse. No andava co le prime de concerto.
Ma nondimen paura il suo dir dienne, Per altro quel parlar m' ha spaventà,
Perch'io traeva la parola tronca Perchè ho dà un senso a la parola monca
Forse a peggior sentenzia, ch'ei non tenne. Forsi più bruto ch'elo noi ga dà. 15
In questo fondo della trista conca Domando al Mesi ro : In fondo a sta spelonca
Distende mai alcun del primo grado, Xe mai andà nissun dal Limbo zoso,
Che sol per pena ha la speranza cionca ? Che ga per pena la speranza tronca ?
Questa question fec'io. E quei : Di rado Raro M- '1 caso, lu me ga resposo,
Incontra, mi rispose, che di nui Che fazza qualchedun de nu la strada, 20
Faccia il cammino alcun per quale io vado. Che adesso fazzo : ma no xe dubioso
Ver è ch'altra fiata quaggiù fui Che l'ombra mia una volta ghe xe andada,
Congiurato da quella Eriton cruda, Co la fiera Eritòne, che chiamava
Che richiamava l'ombre a' corpi sui. Le aneme ai corpi soi, l' ha sconzurada.
Di poco era di me la carne nuda, Da lì a poco, mi m'orlo, la me fava 25
Ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro, Quela maga andar drento per quel muro,
Per trame un spirto del cerchio di Giuda. Per cavar fora un tal che se giazzava
9 tardigania —. tardanza.
20 de nu la strada = Virgilio, come si è rilevalo nel C. Il, per interposizione di Dcatrice era uscito dal
Limbo per essere guida a Dante.
23 Eritone = maga di Tessaglia, (Iella quale si valse Pompeo per intendere il fme della guerra tra suo
padre e Cesare. Sembra che a costei in una delle consuete sue operazioni venisse l'estro di costringere l'anima
del fumoso poeta Virgilio, appena morto, a portarsi all'inferno.
25-27 Finge il poeta elic Virgilio abbia tratto dal cerchio di Giuda un'anima, e ciò col fine di far crede
re che esso Virgilio era pratico dell'inferno. Altra spiegazione non può darsi da questo passo, dacchè Virgilio
non nC fa il menomo cenno nel suo poema.
CAATO lX.
Qucll'è il più basso loco e il più oscuro, ' De Giuda al cerchio, ch'è '1 più basso e scuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira: E più lontan dal cielo superior
Ben so il cani m in; però ti fa securo. Ai alili, so la strada, sta sicuro. 30
Questa palude, che il gran puzzo spira, El paluo che qua su manda el fetor,
i"in'..f dintorno la città dolente, Circonda tuta la cità dolente,
V non potemo entrare omai senz'ira. Dove entraremo in grazia d'un crior.
Ed altro disse, ma non 1' ho a mente; Quel che dopo el ga dito, no go in mente,
Perocchè l'occhio m'avea tutto tratto Per la sola rason che m' ha distrato 35
Vèr l'alia torre alla cima rovente, De quel alto torion la cima ardente ;
Ore in un punto furon dritte ratto E là vedo arivar luto in t'un trato
Tre furie infernal di sangue tinte. Tre furie de l' lnferno sangttenose,
Che membra femminili avieno ed atto ; Che de dona le ga la forma e'1 trato.
E con idre verdissime eran cinte: Per centura le ga idre furiose, 40
Serpentelli e ceraste avean per crine, Bisseti per cavei ghe strenze a eie
Onde le fiere tempie erano avvinte. La fronte intorno, che le fa rabiose.
E quei, che ben conobbe le meschine El mio Dnlni . che ha conossudo in quele
Della regina dell'eterno pianto. De Proserpina proprio le servete,
Guarda, mi disse, le feroci Erine. Varda, el dise, le fiere tre sorele 45
Questa è Megera dal sinistro canto : Erini : a zanca xe Megera : Alete
Quella, che piange dal destro, è Aletto : L'altra, che pùtnze a drita ; e Tisifóne
Tesifone e nel mezzo: e tacque a tanto. Sta in nnvii a lore; e più noi djse un ete.
Coli* unghie si fendea ciascuna il petto; Co le inan le se sbate; in sen le ongione
Batteansi a palme, e gridavan sì alto, Le s'impianta; e al Dotor, tanto le ha urlà, 50
Ch'i' mi strinsi al Pueta per sospetto. Me chiapo per tinnir de quele done.
Venga Medusa, sì il farem di smalto Se l'assalto a Tesèo lisso el gh'è andà,
(Gridavan tutte riguardando in giuso) : Vegna Medusa a far costù de piera,
Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. Tute, vardando in zoso, le ha cigà.
Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso ; Voltite indrio, me dise el Mestro, e sera 55
Che se il Gorgon si mostra, e tu '1 vedessi, l ochi, che se '1 Gorgon li vedi adesso,
Nulla sarebbe del tornar mai suso. Adio speranza de tornar più in tera.
Così disse il Maestro ; ed egli stessi Da st'altra banda el m' ha volta lu istesso ;
Mi volse, e non si tenne alle mie mani, Po. per esser più certo, a le mie zonto
Che con le sue ancor non mi chiudessi. Ga le so man su i ochi mii per tresso. 60
61-63 O letori ec.•. — Tale avvertimento vale per questo ed altri luoghi del poema. Qui non è a dubitare
che per le farle non sia significato il rimorso onde sono più speeialmcnte seguiti i delitti di pura malizia; ed
è questo II ministro più ,1111 crudele dell'ira di Dio nei peccatori cosi in questa vita come nell'altra. Il volto poi di
:he uvea potenza d'impietrare la gente, e contro cui Virgilio ticp chiusi gli occhi del suo alunno, rap
Medusa che
presenta ii piacere sensuale che indura il cuore dell' uomo, ne oscura l' intelletto e spegne in lui ogni gusto del
ie cose divine. E bene le maligne furie volean servirsi di questo mezzo per impedire a Dante la magnanima im
presa. Ma Virgilio gli ha insegnalo col fatto due grandi armi contro il terribile Gorgone, la custodia degli occhi,
figurata nel chiudergli da si stesso, e lo studio delle cose filosofiche, significato nell'aiuto di Virgilio.
68 tcalmanada - infocata.
71-72 Co -- con. - a la.tcapada = a fuga precipitosa.
77 «a/urte = impaurile.
78 tbrissa = sta nel senso di svigna, fugge.
79-80 A mier — a migtiaja. = nHO che pattava — accenna a un misterioso Messo del cielo, cioè un angelo.
S6 co - con.
89 ;onlv - -=- • giunto = la tjn averla .--- l'aperse.
CA> ro IX. .48
A cui non puote il fin mai esser mozzo, Che al so fln mai nissun intopo trota, U5
E che più volte v" ha cresciuta doglia T E pezo angossa spesso là v' ha dada ?
Che giova nelle fata dar di cozzo ? Andar contro ci destin cossa ve giova ?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda, Se ave memoria, ci vostro can ancora
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. Ga spelà '1 muso e '1 gosso. Po '1 renova
Poi si rivolse per la strada lorda, La strada stodra, e nissun moto alora 100
E non fe molto a noi ; ma IV sembiante Lu ha fato a nu, ma in viso el ga mostrà
D'uomo, cui altra cura stringa e morda, Come un altro pensier lo ponza e acuora,
Che quella di colui che gli è davante. E più de nu lo gabia interessà.
E noi movemmo i piedi in ver la terra, Ha le sante parole ben fidai,
Sicuri appresso le parole sante. Nu s'inviemo de Dite a la cità. 105
Dentro v'entrammo senza alcuna guerra : Drento senza contrasti semo entrai :
Ed io, ch'avea di riguardar disio E mi che de saver gera smanioso
La condizion, che tal fortezza serra, Quai M- i tormenti e chi xe là serai;
Com'io fui dentro, l'occhio intorno invio ; Apena drento, l'ochio mio curioso
E veggio ad ogni man grande campagna Vede per luto intorno gran campagna ito
Piena di duolo e di tormento rio. De tormento e dolor. Come là zoso
Sì come ad Arti, ove '1 Rodano stagna, A Arti, dov'el Rodano se stagna,
Sì come a Pola presso del Quarnaro, O a Pola, che al Quarnaro arente sta,
Che Italia chiude e i suoi termini bagna, Che sera Italia e i so confini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo ; Le arche tol al teren la parità; 115
Così facevan quivi d'ogni parte, T." istesso xe in sti loghi de lamenti,
Salvo che '1 modo v'era più amaro ; Però cussi che paragon no ga ;
Che tra gli avelli fiamme erano sparte, Che ghe xe tra quel'arche foghi ardenti,
Per le quali eran sì del tutto accesi, E le infiama cossi, che eguali mai
Che ferro più non chiede verun'arte. No poi vegnir i ferì più roventi. 120
Tutti gli lor coperchi eran sospesi, Tuli i coverchi gera in su levai ;
E fuor n'uscivan sì duri lamenti, Dei lagni fora se sentiva i cori,
Che ben parean di miseri e d'offesi. Che mandava i meschini là serai.
Ed io : Maestro, quai son quelle genti, Mestro, digo, chi xeli mai costori?
Che seppellite dentro da quell'arche Che zente xe là drento sepelia, 125
Si fan sentir con gli sospir dolenti ? Che fa sentir sin qua quei so dolori?
Ed egli a me : Qui son gli eresiarche E ln a mi: Qua xe i capi de resta
Co' lor seguaci d'ogni setta, e molto Con quei de la so razza; e, più che a ti
Più che non credi, son le tombe carche. Par, le arche xe impinie de sta genia.
Simile qui con simile e sep'olto, Fragia con fragia i xe saradi li, 130
E i UH HI i in i' ni i son più, e men caldi. Dove i tormenti xe più o manco duri.
E poi ch'alia man destra si fu volto, Co '1 s' ha zirà a la drila, lu e mi
Passammo tra i martiri e gli alti spaldi. Semo passai tra l'arche e i alti muri.
CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Ora sen va per uno stretto calle Desso s' inviemo per un trozo streto
Tra '1 muro della terra e li martiri Tra '1 muro e i grami che penar se sente ;
Lo mio Maestro, ed lo dopo le spalle. Va in prima el Mestro, e mi drio lu me melo.
O virtù somma, che per gli empi giri Ti, che ti me condusi, o gran sapiente,
Mi volvl, cominciai, com'a te piace, Per sii cerchi qua zo come ti voi,
Parlami, e soddisfammi a' miei desiri. Contenta el desiderio mio: La zente,
La gente, che per li sepolcri giace, Che xe in quel'arche là, veder se poi?
Potrebbesi veder ? già son levati I so coverchi i xe za tuli alzai,
Tutti i coperchi, e nessun guardia face. Nè gh' è nissun che fazza guardia. Sol,
Ed egli a me: Tutti saran serrati, Lu responde, i sarà luti serai, 10
Quando di Insana qui torneranno Quando coi corpi abandonai là sora,
Coi corpi che lassù hanno lasciati. Da Giosafate i sarà qua tornai.
Suo cimitero da questa parte hanno Da sta drita Epicuro, in so malora,
Con Eplcuro tutti i suoi seguaci. E compagnia xe sepelii là zo,
Che l'anima col corpo morta fanno. Che l'anema col corpo i fa che mora. 15
Però alla dimanda, che mi faci, La to domanda mi contentaro,
Quinc'entro soddisfatto sarai tosto, E de quel che ti tasi, e ho za capio,
E al disio ancor, che tu mi taci. Qua drento el desiderio apagarò.
Ed io : Buon Duca, non legno nascosto Per no dir massa, digo, legno indrio
A te mio cor, se non per dicer poco ; El pensicr, che go in peto, come dito
E tu m' hai non pur mo a ciò disposto. Ti me ga e consegià, bon Mestro mio.
O Tosco, che per la città del foco O toscan, che qua vivo, e con pulito
Vivo ten vai così parlando onesto, Parlar ti va tra i morti brustolai.
Piacciati di ristare in questo loco. Fa '1 piacer du fermarle un iìà in sto sito :
LA tua loquela ti fa manifesto El to linguRgio mostra a nu danai, 25
Di quella nobil patria natiu, Che là in quel bel paese ti xe nato,
Alla qual forse fui troppo molesto. Al qual forsi ho portà mi tropi guai.
Subitamente questo suono uscio D' improviso da un'arca se ga fato
D'una dell'arche : però m'accostai, Sentir sta vose, e mi da la paura
12 da Giusafule = vale a dire dopo il giudizio universale elic avverrà nella Valle di Giosaffalle.
13 t'lneuro «= filosofo Ateniese; Ira gli altri errori insegno che con la morie perisse tutto l'uomo, anima e
corpo.
19 inumi -- troppo.
;' I un fi a - un poco.
CANTO X. 47
Temendo, un poco più al Duca mio. Più da vidii al Mestro mio m' ho tralo, 30
Ed ei mi disse : Volgiti ; che fai ? Che : Voltile, el me dìse, la figura
Vedi là Farinata che s' è dritto : De Farinata è quela, e star là (lido
Dalla cintola in su tutto il vedrai. Vardilo da la testa a la centura.
Io avea già il mio viso nel suo fitto; Mi lo gò fissà in viso : fronte e peto
Ed ei s'ergea col petto e colla fronte, Quel pecator l'alzava altieramente, 35
Com'avesse lo Inferno in gran dispitto : Quasi a sprezzar l' Inferno con despeto.
£ le animose man del Duca e pronte Anemoso, da quelo prestamente
Mi pinser tra le sepolture a lui, Tra i sepolcri el Dotor m' ha spentonà,
Dicendo: Le parole tue sien conte. Disendo: Parla giudiziosamente.
Tosto ch'ai pie della sua tomba fui, Co al pie de l'arca soa mi so arivà, 40
Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso M' ha dà un'ochiada ; po quasi stizoso :
Mi dimandò : Chi fur 1i maggior tui ? Chi è sta i to vechi? lu m'ha domandà;
Io, ch'era d'obedir disideroso, De ubidirlo mi za desideroso,
Non gliel celai, ma tutto gliel'apersi : Lo go informà de luto. Elo levai
Ond'ei levò le ciglia un poco in soso ; Un poco i ochi in su, me ga resposo : 45
Poi disse : Fieramente furo avversi Nemici fieri ai vechi mii xe stai
A me e a' miei primi e a mia parte, I toi a mi e al mio partio ; per questo
Si che per duo fiate gli dispersi. Mi li go per do volte descazzai.
S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte, Se i mii gavò scazzà, rispondo lesto,
Risposi lui, e l'una e l'altra fiata ; I è tornai tute le do volte ancora, 50
Ma i vostri non appreser ben quell'arte. Ma i vostri st'arte no i ga ben savesto.
Allor surse alla vista scoperchiata A la boca de l'arca alzarse alora
Un'ombra lungo questa in fino al mento: Alti "ombra ho visto, credo, in zenochion,
Credo che s'era inginocchion levata. Perchè l'aveva sol la testa fora.
Dintorno mi guardò, come talento La m' ha ochià atorno, ha parso co intenzion 55
Avesse di veder s'altri era meco ; De scovrir se nissun gera con mi;
Ma poi che il sospicar fu tutto spento, Ma quando ga mancà la so ilusion,
Piangendo disse: Se per questo cieco Pianzendo dise : Se ti va cossi
Carcere vai per altezza d' ingegno, Per sta preson in grazia al to inteleto,
Mio figlio ov' è? e perchè non è teco ? Dov'è mio fiol? perchè noi xe con ti ? 60
Ed io a lui : Da me stesso non vegno : Ghe rispondo : No vegno qua soleto,
32 Farinata = fu questi della nobile fumiglia degli liberti, uomo di grand'animo, e capo dei Ghibellini di
Firenze. A Montaperli presso il 1lume Arbia, disfece in una sanguinosa ballaglia l'esercito Gucilo, e rientralo trion
fante in Firenze, ne cacciò tulli i Gucili, ira i quali 1n famiglia di Dante. Ma quando i Ghibellini nell'insolenzà delln
vittoria messere ad Empoli il parlilo di distruggere Firenze, quel generoso vi si oppose con una fermezza romana,
e solo per lui Firenze fu salva. Dante rende giustìzia ul magnanimo cittadino, ma non fa grazia al miscredale.
(BIANCHI).
88 m'ha spentomi = mi spinse.
40 Co - quando.
42 i to uce'n - : li tuoi antenati.
48 li go per do volte descazzai = li lio cacciati due volle: la prima volta quando Federico II. sostenendo i
Ghibellini, furono i Guelfi costretti ad uscir di Firenze, il cbe avvenne il 2 Febb. 1248; la seconda dopo la scon
fìtta di ilontuperli nel 1260 (BUSCHI).
50 / è tornai = dopo la cai-elata del 1248, i Guelfi tornarono a Firenze nel Gen. 1251, In seguilo delln rolln
data ai Ghibellini a Figline ai 20 Ottobre dell'anno precedente. Dopo la seconda cacciala, ritornarono a Firn!*n
nel 1266 per In sconfitta e la morte dui re Manfredi. ila a que.»lo nuovo ritorno Farinata non vi tornò, perchè mot
to nel 1261 (BUSCHI).
51 i i-astri il'arte no i ga ben savesto = nel 1300 Dante era Guelfo; perciò qui risponde con una certa iro
nia al Ghibellino Furinala.
48 DELL' ttmnato
Colui, chi attende là, per qui mt mena, Chi là me npeta, è quelo che me mena;
Forse cui Guido rostro ebbe a disdegno. Per lu Guido ha sentio forsi despeto.
Le sue parole e il modo della pena M'avea za '1 so parlar e la so pena
M'avevan di costui già letto il nome : Dito el so nome, e de petachio è andada 65
Però fu la risposta così piena. La resposta che mi go dada piena.
Di subito drizzato gridò : Come Ga cigà in bota l'ombra in pie levada :
Dicesti eyli ebbe? non viv'egli ancora? Per cessa ti m' ha dito : l' ha sentio ?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? Sarialo morto? più la luse amada
Quando s'accorse d'alcuna dimora l'inno.! noi vede ? Quando el ga capio 70
Oh' io faceva dinanzi alla risposta, Che mi a darghe resposta intardigava,
Supin ricadde, e più non parve fuora. L' è andà indrio copa, nè '1 xe più sortio.
Ma quell'altro magnanimo, a cui posta Farinata, col qual prima parlava,
Restato m'era, non mutò aspetto, Senza muar ciera, senza far un moto,
Nè mosse collo, nè piegò sua costa. El gera ancora là ch'el me aspetava. 75
E se, continuando al primo detto, Se i mii, tornando sul discorso roto,
Egli han quell'arte, disse, male appresa, Quel arte, el dise, i spela da imparar,
Ciò mi tormenta più che questo letto. De questo ho più dolor che star qua soto
Ma non cinquanta volte fia raccesa Ma avanti abia la Luna da zirar
La faccia della donna che qui regge, Cinquanta volte, sarà chiaro a ti 80
Che tu saprai quanto quell'arte pesa. Quanto quel'arte te farà suar.
E se tu mai nel dolce mondo regge, Cossi tornar te possa al mondo, dì
Dimmi, perchè quel popolo è sì empio Coss'è che in qualsesia lege de Stato
Incontro a' miei in ciascuna sua legge ? Fa i toi tanto irabiar contro dei mi ?
Ond' io a lui : Lo strazio e '1 grande scempio, La strage, digo, che ga l'Arbia fato 85
Che fece l'Arbia colorata in rosso, Insanguenar, quel sangue vendicando,
Tale orazion fa far nel nostro tempio. Fa zurar sta vendeta tà in Senato.
Poi ch'ebbe sospirando il capo scosso, Dopo scorià la testa sospirando :
A ciò non fu' io sol, disse, nè certo No so sta solo, el dise, in quela impresa,
Senza cagion sarei con gli altri mosso : Nè senza un che no so restà de bando. 90
Ma fu' io sol colà, dove sofferto Solo per altro go impedio l'ofesa;
Fu per ciascuno di tor via Fiorenza, Co se volea Firenze bater via,
Colui che la difese a viso aperto. Mi solo a viso franco l' ho difesa.
Deh, se riposi mai vostra semenza, Pase a la vostra dissendenza sia,
Prega' io lui, solvetemi quel nodo, Ma spieghe, cussi '1 prego, el dubio duro, 95
63 Guido = ebbe a d'spetto Virgilio perchè egli filosofo, riteneva la filosofia, coin' ella è, da mollo più elic
lu poesia; il pudre di lui Cavalcante Cavalcanti era Guelfo.
65. de pclachio ---= a capello, a puntino.
71 intardiriava -- ritardava.
72 L' è aiuta indrio cupa -- cadde supino.
74 muar -« cangiare.
70-81 Mti avanti ece. — con queste parole Farinata voleva annunciare a Haute, elie, avantielift ijnattro anni
fossero scorsi, esso sarebbe cacciato da Firenze: vedi nota 123 - suar = sudare: qui è preso nel senso di tra
vaglio e all'anno.
84 dei mi -- dei miei, cioè, discendenti.
85-86 ;iti l'Arbia falo iiau-ngnenar = allude alla grande disfatta dei Gucili sofferta per opera dei Ghibel
lini a Montaperli, per cui rimase insanguinato il fiume Arimi.
•90 de bando — qui vale: inoperoso.
$2 Co te volca = quando si voleva =- Firenze batti- via = distruggere Firenze.
CANTO X. 49
Che qui ha inviluppata mia sentenza. Che fa tanto torziar la mente mia :
E' par che voi veggiate, se ben odo, Vederessi mai vualtri nel futuro,
Dinanzi quel che '1 tempo seco adduce, Come me par, drio quel che ho qua sentio,
E nel presente tenete altro modo. E ve saria el presente afato ncuro ?
Noi veggiam, come quei e' ha mala luce, E lu : Vedemo quel ch'è ancora indrio, 100
Le cose, disse, che ne fon lontano : Come da lonzi i presbiti ghe vede ;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce : De tanto ancora ne fa grazia Dio ;
Quando s'appressano, o son, tutto è vano Co nasse un fato, o arente s'el prevede,
Nostro intelletto; e, s'altri noi ci apporta, No lo vedemo, e al mondo no savemo,
Nulla sapem di vostro stato umano. Se no ne vien contà, cossa sucede. 105
Però comprender puoi, che tutta morta • Quando al linai giudizio ariveremo,
Fia nostra conoscenza da quel punto, Ti capirà che l'avegnir fluido,
Che del futuro lìa chiusa la porta. Anca questo da veder finiremo.
AHur. come di mia colpa compunto, Come d'un falo fusse mi pentido,
Dissi : Or direte dunque a quel caduto, Donca, digo, diseghe a quel che adesso 110
Che '1 suo nato è co' vivi ancor congiunto. Xe cascà zo, ch'el vive ancora Guido;
E >' io fui dianzi alla risposta muto, E te resposta no go dà a lu istesso,
Fate i saper che '1 fei, perchè pensava Xe perchè de ^onosser me restava
Già nell'error che m'avete soluto. Quelo che m'ave dito dessadesso.
E già '1 Maestro mio mi richiamava : E perche'1 mio bon Mestro me chiamava, 115
Perch' io pregai lo spirito più avaccio, Gè pregà Farinata a dinne in pressa,
Che mi dicesse chi con lui si stava. Con quai danai là drento el se trovava.
Dissemi: Qui con più di mille giaccio: Xe qua, '1 dise, con mi gran zente messa :
Qua entro è lo secondo Federico, El secondo Ferigo, el Cardenal
E '1 Cardinale, e degli altri mi taccio. Otavian, e dei altri tiro tressa ; 120
Indi s'ascose : ed io in ver l'antico E po '1 se sconde : intanto al Principal
Poeta volsi i passi, ripensando Vago incontro, pensando e ripensando
A quel parlar che mi parea nimico. A quel parlar, forier per mi de mal.
Egli si mosse; e poi così andando, Lu se ga mosso, e insieme caminando,
Mi disse: Perchè sei tu sì smarrito? Perchè, '1 me dise, ti xe tanto aliilo? 125
E io li soddisfeci al suo dimando. E mi lo go informà del cossa e quando.
La mente tua conservi quel che udito Tien ben in mente quel che t'è sta dito
Hai contra te, mi comandò quel Saggio, A dano too, m' ha '1 Mestro comandà,
E ora attendi qui : e drizzò '1 dito. E adesso ascolta, e '1 ga levà '1 deo dri^o :
103 Co natte un fato, o arente s'el prevede -- quando accade un fatto, o se lo prevede prossimo.
119 El i-econdo Ferigo = Federico II, della Casa di Svevia, fu figlio di Arrigo VI. e- nipote di Barbarossa.
Era re di Napoli e di Sicilia, e per il favore dei Ghibellini e protezione del Papa Innocenze HI., era stalo
eletto imperatore. Fu principe magnanimo, proiettore muuillco dei letterati, e letterato egli stesso, ma di sfrenali
costumi, e poco curante in fatto di religione. Sono celebri le sue contese colla Corte di Roma, della quale fu
acerrimo nemico (BUSCHI).
120 Otaviaii = Ottaviano degli Ubaldini, detto il Cardinale per eccellenza, fu tanto animoso in parte Ghibel
lina, che disse: •• Se anima è, io l'ho perduta pei Ghibellini». Perciò costui vien posto cogli Epicurei. -. lira
trt*ia = frase che vale: metto line, degli altri non parlo.
121 ni Principal - questo vocabolo viene usato dai Veneziani in luogo di: Capo, Padrone, Superiore; ed
è perciò qui riferito a Virgilio, che Dante chiama ora Maestro, ora Guida, ora Duca, ora Dottore.
123 forier per mi de mal -. cioè di sventure, e la più grave quella dell'esilio che Farinata predicevagì i
colle misteriose parole, di cui ai v. 79, SO C SI.
129 el deo --- il dito.
50 DELL,
Quando sarai dinanzi al dolce raggio Quando davanti a quela ti sarà, . 130
Di quella, il cui bell'occhio tutto vede, Che tuto vede con quel ochio ardente,
Da Isi saprai di tua vita il viaggio. Ria la vita toa te predirà.
Appresso volse a man sinistra il piede: Po volta a zanca, a la cità pianzente,
Lasciammo il muro, e gimmo in ver lo mezzo Passà '1 muro, passemo in mezo, e fora
Per un sentier, che ad una valle fiede, S'introzemo a una vale spuzzolente, 135
Che 'nlin lassù facea spiace;' suo lezzo. Ch'el so felor mandava sin là sora.
130 davanu a quela = allude a Beatrice, la stessa di cui ai v. 70 C 104 del C. II., e XV. 90.
135 t'iatrozemu = c'incamminiamo.
CANTO UNDECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Per lo gran puzzo, che l'sldsso citta, Dal irran fetor che ria l'abisso sort?,
Traggonsi dk-tro ad una pietra dura, I va drio un sasso d'una sepoltura,
In cui l'eterna morto £ d'uno scritta. Dove se scrita de un l'eterna morte.
Narra Virgilio, .che nell'ombra oscura Virgilio informa, che ne l'omlira scura
De.' tre corriii di sotto hanno lor pena Dei tre ziri de soto el so tormento
La Violenza, la Fraudo o l'Usura: Ga la Violenza, el Baro, e ga 1' Usura:
Di questa a Dante t1A contezza piena. De questa a Dante tien ragionamento.
27 / ìugarbuyioni — i fraudolenti.
32 al ina -- al suo, cioè alle proprie sostanze.
41 e eoi far del soo da sguazzi = e col fare scialacqui de' suoi beni.
50-31 Quei da Caorsa e Sodoma = Caorsa capitale del Guerà nella Cnienn, elio al tempo di Dante era fa*
ni" -:i pel numero degli U-IIIMJ. I Caorsini adunque, i Sodomiti, e ehi bestcmia Dio, non con impelo Ili cicca iru,
ma per malizia, sono condannali al terzo girone.
PEI.L I>'FEH\0
Ipocrisia, lusinghe e chi affattura, Va '1 ladro, ci falso, l'impostor infame,
Falsità, ladroneccio e simonia, Quel che adula, el rufian, chi simonia
Ruffian, baratti, e simile lordura. Fa, el barador e simile leame. 60
Per l'altro modo quell'amor s'obblia Per st'altro modo el santo amor se svia
Che fa natura, e quel ch' è poi aggiunto, De la natura, e anca la union che vien
Di che la fede speziai si cria : Dal parentà o da qualch'altra via.
Onde nel cerchio minore, ov'è '1 punto De traditori el cerchiei terzo è pien,
Dell'Universo, in su che Dite siede, Dove xe '1 centro de la tera in lu: 65
Qualunque trade in eterno è consunto. Lucifero el so trono là zo '1 lien.
Ed io: Maestro, assai chiaro procede E mi: Mestro, assae chiaro parie vu; •
La tua ragione, e assai ben distingue Sparilo sto abisso vu assae ben gavè,
Questo baratro e il popol che possiede. E qual zente sia drento go sa vii.
Ma dimmi : quei della palude pingue, Ma quei nel fango, e quei bulai, disè, 70
Che mena il vento e che batte, la pioggia, Dal vento, e quei dal gran pioval sguazzai,
E che s'incontran con sì aspre lingue, E chi ai do scontri se ponze, perchè
Perchè non dentro della città roggia No i xe anca eli qua a basso condanai
Son ei puniti, se Dio gli ha in ira ? Se a Dio i xe in odio ? e se no li odia Dio,
E se non gli ha, perchè sono a tal foggia ? Perchè mo i xe là sora tormentai? 75
Ed egli a me: Perchè tanto delira, Responde lu : Cossa go mai sentio !
Disse, lo 'ngegno tuo da quel ch'ci suole? Perchè no xe più a segno el to cervelo,
Ovver la mente tua altrove mira? 0 de squara el to inzegno xe sortio?
Non ti rimembra di quelle parole, Da bravo, via, no ti ricordi quelo
Con le quai la tua Etica pertratta Ch'el filosofo too nei libri insegna? 80
Le tre disposizion, che il Ciel non vuole, Che no voi, no, l'incontinenza ci cielo ?
Incontinenza, malizia, e la matta Come con questa la malizia el sdegna
Bestialitade ? e come incontinenza E la bestialità ? E incontinenza
Men Dio offende e men biasimo accatta ? Manco ofendendo Dio xe manco indegna?
Se tu riguardi ben questa sentenza, Se ti rilleti ben a sta sentenza, 85
E rechiti alla mente chi son quelli, E ti chiami a la mente chi xe stai
Che su di fuor sostengon penitenza, Quei che sora de qua fa penitenza,
Tu vedrai ben perchè da questi felli Ti vedcrà perchè da sti danai
Sien dipartiti, e perchè men crucciata 1 xe queli divisi, e manco i sia
La divina giustizia gli martelli. Da la giustizia eterna maltratai. 00
O Sol, che sani ogni vista turbata, O luse, che descazza ogni ombra via,
Tu mi contenti sì quando tu solvi, El dubio mio, quando ti 1' ha levà,
Che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. Caro el me xe quanto la scienza mia.
.
54 DELL
CANTO DUODECIMO
ARfiOMKXTO ARGOMENTO
Del settimo Girono a guardia stanno Sta Nesso. Fole, e sta Chiron del /iro
Nesso, durone o Foto, aliu cui membra Seitimo a guardia. Omo e cavalo i xe
D'uom quelle di cavallo unite vanno. In un sol corpo. Pronti sempre al tiro
Costor nel sangue, ove a giacer s'assembra De l'arco sui violenti i sta, aciochè
I.a mala compagnia dei violenti, Da la fossa ùo sangue i condanai
l'Vriscon, s'uno duj.rli altri si smembra, Sortir no i possa più de quolo eh.i
Ed esce più, che tu, C'iel. non consenti. Ti voi ti, o Ciel, olio i segni ti ha marcai.
Era lo loco, ove a scender la riva De erode el lego xe, dove in calar
Venimmo, alpestro, e, per quel ch'ivi er'anco, Semo zonti, e con quel, che gcra là,
Tal, ch'ogni vista ne sarebbe schiva. Bruto cussi, da noi poder vardar.
Oual è quella ruina, che nel fianco Come del monte i rovinaz*i ha urtà
Di qua da Trento l'Adige percosse D'Adese el fianco che xe qua da Trento, 5
O per tremoto o per sostegno manco, Per taramoto, o sostegno manca ;
Che da cima del monte, onde si mosse, E croiai da là iu cima al bassamente,
Al piano, è si la roccia discoscesa, I ha fato l'erta tanto imbarazzada,
Ch'alcuna via darebbe a chi su fosse; C'ie chi in su fusse calarave a stento ;
Colai di quel burrato era la scesa: Tal qual de quel logazzo xe la strada. iO
E in su la punta della rotta lacca Sul principio del roto sta là via
L'infamia di Crcii era distesa, L'infamità de Creta destirada,
Che fu concetta nella falsa vacca : Drente in vaca de legno concepia :
E quando vide noi, sè stesso morse Co '1 n' lia visto, el s' ha i lavri morsegà,
Si come quei, cui l'ira dentro fiacca. Come un rabià se rode in sen. Mo via, 15
Lo Savio mio in ver lui gridò: Forse Contro cuiii '1 mio Mostro ga cigù:
Tu credi che qui sta '1 duca d'Atene, Credisto che qua sia d'Atene el re,
Che su nel mondo la morta li porse? Che là de sora al mondo t' ha mazzà?
Parlili, bestia, che questi non viene Va, bestia, che noi vien questo perchè
Ammaestrato dalla tua sorella, Da la sorela loa el sia istruio, 20
Ma vassi psr veder le vostre pene. Ma '1 vien veder le pene che gave.
Qual è quel toro che si staccia in quella Com'el toro che a morte sta ferio,
C' ha ricevuto già '1 colpo morlale, Rota la corda ch'el legniva lì,
('.h • gir non sa, ma qua e là saltella; Noi sa andar, ma '1 trà salti avanti e indrio;
Vid'io lo Minotauro far cotale. Cossi fa '1 Minotauro : Pronto a mi 25
E quegli accorto gridò : Corri al varco ; Po dise '1 Mestro : Cori presto al passo ;
Mentre ch'ò in furia, è buon che tu ti cale. Sin ch'el xe in furia calile zo li.
Così prendemmo via giù per lo scarco Su quele piere donca andemo a basso,
67 JVenao -- 11 Centauro, che tentò rapire Deianira; ma Ercole, marito di lei, ferì colle frecce tiule nel
sangue dell'Idra il rapitore, che morendo diede per vendicarsi la propria vesta insanguinata a Deianira, dicen
dole che in quella era virtù di distorre il marito suo dall'amare altre donne. La credula diede la veste ad Er
cole, il quale come se l'ebbe messa' in dosso infurii e muri (munn).
71-72 Chiron, Folo = altri due Centauri: il primo fu precettore ed aio di Achilli-; il secondo uno dei
più iracondi e risoluti nelle audaci imprese, ni dire dei poeti.
Si per ibrio -.- modo d'affermazione , e vale Alii-.
87 rason -- motivo.
SS l'nn dona - cioè Beatrice.
94 i-guazzar = guadare.
CANTO XII.
Ove i bollili faccan alte strida. Dove i bogii fa noma che cigar.
I' vidi gente sotto in (inn al ciglio : Go visto insin soto le cegic zente :
E '1 gran Centauro disse : E' son tiranni, E '1 gran Centauro dise : I xc tirani,
Che dier nel sangue e nell'aver di piglio. Che ha mazzà e robà. Invanamente 105
Quivi si piangon li spieiati danni : I pianze adesso qua i feroci dani.
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero, Qua è Lissandro e Dionisio, quel crudel,
Che fe Cicilia aver dolorosi anni. Che ha fato penar tanto i Siciiani.
E quella fronte, e' lia 'l pel così nero, Xe Ezelin quel che negro ga '1 cavel,
È Azzolino ; e quell'altro, ch'è biondo, E st'altro là, che ga '1 cavelo biondo, 1 IO
È Obizzo da Esti, il qual per vero Ohi/.» d'Este el xe, che ha fato quel
Fu spento dal figliastro su nel mondo. Fin d'esser trucidà dal fiastro al mondo.
Aliivi mLvolsi al Poeta; e quei disse: Dise '1 Dotor, co m' ho voltà da lu :
Questi ti sia or primo, ed io secondo. Te sia adesso cio el primo, e mi '1 secondo.
Foco più oltre il Centauro s'affisse Ga ochià '1 Centauro, avanti un poco più, 115
Sona una gente, che "n lino alla gola Zente, che sin la gola vegnir fora
Parea che di quel bulicame uscisse. Pareva dal bogior, che salta in su.
Mostrocci un'ombra dall'un canto sola, El n'ha mostra in disparte un'ombra alora,
Dicendo : Colui fesse in grembo a Dio Disendo: In t'una Chiesa sto birbante
Lo cor, che 'n sul Tamigi ancor si cola. Ga spacà '1 cuor, che ancora Londra onora. 120
Poi vidi gente, che di fuor del rio Aneme ghe n' ho viste dopo tante,
Tenean la testa ed ancor tutt '1 casso : Che avea fora la testa e tuto el peto :
E di costoro assai riconobh'io. E de custie n' ho conossude arquante.
Così a più a più si facea basso De man in man andava el sangue schieto
Quel sangue sì, che copria pur li piedi : Più sbassando cossi, che i soli pie 125
E quivi fu del fosso il nostro passo. El coverziva : e femo qua '1 tragheto.
Siccome tu da questa parte vedi Dise '1 Centauro : Come che vedè
Lo bnlicame che sempre si scema, Sempre calar el sangue qua in sto fondo
Disse il Centauro, voglio che tu credi, Da sta parte, vogio anca che sapie,
Che da quest'altra a più a più giù prema Come '1 se fa da l'altra più profondo 130
Lo fondo suo, infin ch'ei si raggiunge Zirando atorno via, sin ch'el se unisse
ranni (BURCHI).
109 Ezelin = Ezselino da Romano, Vicario imperiale della Marca Trivigiana e tiranno crncklùsimo di Pa
dova: fu ucciso nel 1259.
Ili Obizo d'Ette = marchese di Ferrara e della Marca di Ancona, uomo crudele che fu soffocato da un
suo figlio cioè Azio Vili. Fece la lega con Carlo di Angui e cooperò alla rovina di Manfredi e di Corradino,
ultimi sostegni del partito imperiale. Mori nel 1293.
114 Te tia adeno eia el primo e mi 'I secondo - cioè in quella parte di viaggio.
119 no birbante .- - Guido Conte di Monteforte, elie nel sacro tempio di Viterbo e nel momento in cui A
alzava l'ostia santa, uccise il nipote di Arrigo III. re d'Inghilterra, chiamato pur esso Arrigo, in vendetta di Si-
mone di Monteforte 900 padre, che per delitto era stato giustiziato in Londra. Il fallo avvenne nel 1270. Fa
Guido uomo di molto valore e grande amico e sostenitore di Carlo d'Angiù (BUNCHI).
120 Ga npacò 'I cuor = il cuore del morto rr. fu recato dentro una coppa a Londra e collocato sopra una
colonna a capo del ponte del Tamigi, ove ancora si onora (BUSCHI).
58 . I}ELL
Ove la tirannia convien che gema. Dove zeme chi è stai Urani al mondo.
La divina giustizia di qua punge La giustizia divina qua punisse
QueirAitila, che fu flagello in terra, Sesto, Alila, chiami FI.AGEI.UM Dsr,
E Pirro, e Sesto ; ed iu eterno munge E Piro; sto bogior ghe scaturisse 135
Le lacrime, che col bollor disserra Lagrcme eterne coi eterni oimei
A Rinier da Corneto, a Rinier Patto, A Rinier da Corneto e Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra. Assassini da strada e da cornici ;
Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo. Po voltà indrio, el ga refato ci sguazzo.
CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
GÌ C lano sangue gli squarciati rami D'un bosco i roti rami buta fora
D'un empio bosco, dove fan lor nido Sanano. Le brute Arpie fa là ci so nio,
Le Arpie, che pascou quello foglie infami. E le magna 1i? fogie in so malora.
Però Dante s'avvede al sangue, o al grido. Dal sangue e dal parlar Daoti;, stortiio,
Che in tronchi e sterpi gli uomini cambiati, Vien a conossrr nhi? omc.ni cambiai
Formano selva in quell' iniquo lido ; In sterpi, i forma ci bosco del tli?sìo.
Ei1 altri "rm da cagno lacerati. E da cagne dei altri xe sbranai.
Non era ancor di là Nesso arrivato, Noi gcra ancora Nesso a st'altra riva
Quando noi ci mettemmo per un bosco, Zonto, quando se semo a un bosco inviai,
Che da nessun sentiero era segnato. In dove gnanca un trozo se scovriva.
Non frondi verdi, ma di color fosco, Negro negrc le fogie; verde mai:
Non rami schietti, ma nodosi e involti, Rami a gropi intrigai ; gnanca un de dreto ;
Non pomi v'eran, ma stecchi con losco. Fruti no gire, ma spini tossegai.
Non han sì aspri sterpi nè sì folti No ha le liere tra Cecina e Cornelo,
Quelle fiere selvagge, che in odio hanno Che scampa dalle tere collivae,
Tra Cecina e Cornetti i luoghi colti. Sterpi più folti e nubili d'aspeto.
Quivi le brulle Arpie lor nido fanno, Fa qua '1 so nio le sporche arpie frustae, 10
Che cacciar delle Strofade i Troiani Che ha scazzà da le Strofade i Trogiani
I zumo = arrivato.
3 trozo = sentieruolo, viottolo.
6 toisegai = attossicati.
7 Cecina t Corneto = Tra il fiume Cecina e la città di Corneto si annidano lici i- elie amano di nasconderti
nei boschi, e fuggono i luoghi coltivati ed aperti.
10 Fa iluà 'I so aio le tporelic Arpie = le Arpie sono mostri hi cui forma e qui appresso descritta. Una di
esse detta (aleno nelle Strorade. isole del mar Ionio, predisse ai Troiani, t'Ite avrebbero per fame divorate le men-
ne. Cosi Virgilio al I. iii. Ili dell'Eneidc - frustac .- cialtrone.
CIMO xni. S9
Con tristo annunzio di futuro danno. Predisendoghe mali a danni assae.
Ale hanno late, e colli e visi umani, Le ga gran ale, e coli e visi umani,
Pie con artigli, e pennuto il gran ventre: Pene al panzon, e sgrinfe ai pie; le fa
Fanno lamenti in su gli alberi strani. Su i albori Culle lemi da cani. 15
E '1 buon Maestro : Prima che più entro, Prima d'andar più in su, li savarà,
Sappi che se' nel secondo girone, Me dis'el Mestro, elic ti xe al secondo
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre /.inni, e in questo ti caminerò
Che tu verrai nell'orribil sabbione. Sin ti arivi al ardente orido fondo
Però riguarda bene, e sì vedrai Sabioso. Osserva ben : vere le cosse 20
Cose che torrien fede al mio sermone. Ti vederà, che mi go scrite al mondo.
lo sentia d'ogni parte traggcr guai, Da ogni banda sentiva urli d'angosse,
E non vedea persona che '1 facesse ; Siben chi li mandava no vedesse :
Perch'io tutto smarrito m'arrestai. E penso, imatonio, cossa mai fosse.
l' credo ch'ei credette ch' io credesse, Oedo abia lu credù, che mi credesse, 25
Che tante voci uscisser tra qne' bronchi Che da quei sterpi tuto quel cigor
Da gente, che per noi si nascondesse. Mandasse zente là che se scondesse.
Però, disse il Maestro, se tu tronchi Prova mo a scavezzar, dise el Dotor,
Qualche fraschetta d'una d'este piante, L'n sol de sii rameti, e te farà
Li pensier e' hai si faran tutti monchi. Veder ci falo che ti xe in eror. 30
Allor porsi la mano un poco avante, Slongo alura una man ; e togo là
E colsi un ramoscel da un gran pruno : Da un gran spincr un ramo picinin.
E '.I tronco suo gridò : Perchè mi schianto ? Ciga el tronco: Perchè ti m'ha strapà?
Da che fatto fu poi di sanguo bruno, Vegnù po fora el sangue da quel spin:
Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi? Perchè sbregarme? el torna dir; sii guai 35
Non hai tu spirto di pietate alcuno ? •" No te fa compassion gnanca un tantin ?
l'omini fummo, ed or sen fatti sterpi; Da omeni in sterpi semo qua cambiai : \
Ben dovrebh'esser la tua man più pia, Più la to man pietosa la saria,
Se state fossim'anime di serpi. Se fussimo de bissi aneme stai.
Come d'un stizzo verde, ch'arso sia Come quando da un cao brusando via 40
Dall'un de' capi, che dall'altro geme, Va un stizzo verde, da quel altro ancora
E cigola per vento, che va via; L'interno umor frizzendo scapa via ;
Così di quella scheggia usciva insieme Da quel ramo cussi vegniva fora
Parole e sangue: ond'io lasciai la cima Sangue e parole in t'un : e mi la cima
Cadere, e stetti come l'unni che teme. Go molà zo da la paura aloni. 45
S'egli avesse potuto creder prima, Se cio al falo credeste avesse in prima,
Rispose il Savio mio, anima lesa, Cossi responde ci Mestro a chi parlava,
Ciò ch' ha veduto, pur colla mia rima, Che lelo el ga nel mio racconto in rima,
14 Pene al panzon = penne alla ginn pancia — sgrinfe ai pie - orligli ai piedi.
15 {CIMI — mugolii.
19 fundo = per terreno.
!1 che mi ga tcriìc al mointo = Nell'EneUle Lib. III. Virgilio racconta elic sul corpo del morto Poliporo e-
rano cresciute le verinciu., le quali divelta da Enea sanguino runo.
- 1 imatonìo - sbalordito.
40 da un cuo = da un capo.
45 Ga mala zu = lasciai cadere.
46-48 al falu re. = Virgilio accenna a (inaido narrò nell'Encide di Polidoro. Vedi noia al v. 21.
60 DELL INFERIVO
Non averebbe in te la man distesa ; Ancma ofesa, lu noi te locava :
Ma la cosa incredibile mi fece Ma quel che fiaba par, scovrir lu sol, 50
'(minilo ad ovra, ch'a me stesso pesa. A mi (laminmo pena, lo lassava.
Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece' Ma dighe chi ti è sta, che sto mio fio I
D'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi La lo fama abia in scambio a rinfrescar
Nel mondo su, dove tornar gli lece. Là su al mondo, perchè tornarghe el'pol. •
E '1 tronco: Si col dolce dir m'adeschi, Dise el tronco : Sto dolce too parlar 55
Ch' io non posso tacere ; e voi non gravi M'invischia a dirve su la storia mia ;
Perch' io un poco a ragionar m' inveschi. No ve dispiasa donca de ascoltar.
P son colui, che tenni ambo le chiavi Son quel che ha avudo la cancelaria
Del cor di Federico, e che le volai De Ferigo ; e '1 so cuor voltar fazzeva
Serrando e disserando sì soavi, A mio piacer con tanta cortesia, 60
Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi : Che la so confidenza altri no aveva.
Fede portai al glorioso ufizio, Tanto fedel a l'onorato ofizio
Tanto ch' io ne perdei le vene e i polsi. Mi son sta, che la vita insin perdeva.
La meretrice, che mai dall'ospizio L'invidia sfrontadona, malefizio
Di Cesare non torse gli occhi putti, Che in regia Corte la va sempre in ziro, 65
Morte comune e delle corti vizio, Mal generai, e de le regie vizio,
Infiammò contra me gli animi tutti, Tuli m' ha inimigà per mio deliro.
E gi' infiammiii i infiammar sì Augusto, Fato z0 Augusto da la birba zente,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti. I onori mii se m' ha cambià in martiro.
L'animo mio, per disdegnoso gusto, Credendo col morir l'ira potente 70
Credendo col morir fuggir disdegno, Strozzar, che m'ha chiapà, mi stesso veglio
Ingiusto fece me contra me giusto. A lavine ingiusto contro mi inocente.
Per le nuove radici d'esto legno Vfr zuro per el spin, dove me legno,
' Vi giuro che giammai non ruppi fede Che mi de fede no go mai mancà
Al mio sigaor, che fu d'onor sì degno. Al mio paron, ch'è sta de stima degno. 75
E se di voi alcun nel mondo riede, E se al mondo un de vualtri tornerà,
Conforti la memoria mia, che giace Vogia difender l'onor mio là sora
Ancor del colpo, che invidia le diede. Ancora da l'invidia strapazzà.
Un poco attese, e poi : Da ch'ei si tace, Spela un poco el Dotor, po vista l'ora,
Disse il Poeta a me, non perder l'ora ; Dise : Tol, sin ch' ci tase, sto momento 80
Ma parla e chiedi a lui se più ti piace. Per farghe, se li voi, domande ancora.
Ond' io a lui : Dimandai tu ancora E mi a lu: Ti da novo a chi è la drento
Di quel che credi che a me soddisfaccia ; Faghene in cossa ch'abia mi piacer,
Ch' io non potrei : tanta pietà m'accora. Che in drio me tien la compassion che sento.
Però ricominciò: Se l'uom ti faccia E '1 Dotor : Cussi st'omo el to voler 85
Liberamente ciò che '1 tuo dir prega, Fazza volentiera, ombra impresonada,
Spirito incarcerato, ancor li piaccia Che adesso piasa a li farne saver,
Di dirne come l'anima si lega Come in sii gropi è l'anema serada;
CANTO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di sotto a' piedi rena ardento cuoce. De solo ai pie brusa el sabion ardente :
E fiamma arcosa si versa di sopra. Vogo da l'alto cala zo : tortura
Che a' violenti in questo giron nuoce. Dopia i violenti in questo ziro i sente.
Chi contro Dio, n a natura s'adopra, Per chi fa contro Dio, e la natura,
E contro l'arte, ivi non ha difesa, K contro l'arte., scudo ai guai no giova.
Che sotto jl salvi, o dall'alto il ricopra: Che gnente poi scansar la pena dura ;
Si a vendetta di Dio non vai contesa. Contro l' ira del Ciel sfuma ogni prova.
Poichè la carità del natio loco Co de patria l'amor m'ha'l cuor ferio,
Mi strinse, raunai le fronde sparte, Go sunà i rami sparsi, e li ho tornai
E rende' le a colui ch' era già fioco. A quel che i gran lamenti lo ha ii ricino.
ladi venimmo al fine, ove si parte Po tra'l secondo e '1 terzo ziro andai
Lo secondo giron dal terzo, e dove Semo, dove Giustizia fa penar
Si vede di giustizia orribil' arte. Fra tormenti teribili che mai.
A ben manifestar le cose nuove, Digo, le cosse nove a ben contar,
Dico che arrivammo ad una landa, Che in un logo deserto nu rivemp,
Che dal suo letto ogni pianta rimuove. In dove gnanca un erba poi spontar.
La dolorosa selva le è ghirlanda Tornià tutto dal bosco lo vedemo, 10
Intorno, come il fosso tristo ad essa : Come ci bosco del pianto dal fosson:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa. Tra'l bosco e'1 pian fermadi se gavemo.
Lo spazzo era un' arena arida e spessa, Xc'l lego pien de fisso arsio sabion,
Non ii' altra foggia fatta che colei, Compagno a quel che dai sol dai un di
Che fu da' piedi di Caton soppressa. In Africa zapar fazzea Caton. 15
O vendetta di Dio, quanto tu dei O vendeta de Dio, come per ti
Esser temuta da ciascun che legge Ga da tremar quei, che lezendo sente
Ciò che fu manifesto agli occhi miei ! Coss' ha podesto veder i echi mi !
1)' anime nude vidi molte gregge, Afato nua go visto tanta zente
Che piangcan tutte assai miseramente; A muchi, che pianzendo i se struzeva,
E parea posta lor diversa legge. E i pareva penar diversamente.
Supin giaceva in terra alcuna gente; Tanti butai, el viso in su i gaveva,
Alcuna si sedea tutta raccolta, Tanti sentai, a cufolon i stava,
Ed altra andava continuamente. Senza fermarse mai, tanti coreva.
Quella che giva intorno era più molla, Assae più gera quei che atorno andava, 25
E quella men, che giaceva al tormento, E manco quei fermai solo ci tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta. Ma più de tuli questi se lagnava.
-
64 DELL' INFERIV0
Sovra tutto '1 sabbion d'un cader lento Scrii tutto el sabion fogo vlen spento
Piovean di fuoco dilatate falde, In zo a fioconi adasio adasio, al par
Come di neve in alpe senza vento. De la neve su i monti senza vento. 30
Quali Alessandro in quelle parti calde Come ha visto Lissandro zo a cascar
D'India vide sovra lo suo stuolo Nei siti caldi d' India su i soldal
Fiamme cadere inflno a terra salde; Foghi vivi sin lera, che pestar
Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo Lu fazzeva drio in. MI, noma cascai,
Con le nuè schiere, perciocchè '1 vapore El sabion, a ciò fusse da colori 35
Me' si stingueva mentre ch'era solo : Sul teren nudo megio destuai ;
Tale scendeva 1' eternale ardore, Cussi calava là i eterni ardori,
Onde l'arena s'accendea, com'esca Cussi, come la lesca a l'azzalin,
Sotto il focile, a doppiar lo dolore. Ardea el sabion a creseerghe i dolori.
Senza riposo mai era la tresca No fazzeva quei miseri che un fm 40
Delle misere mani, or quindi or quinci De sìontanarse co le man qua e là
Iscotendo da sè l'arsura fresca. I foghi che calava senza fin.
Io cominciai: Maestro, tu che vinci Mestro, ho dito, che tuto superà
Tutte le cose, fuor che i Dimmi duri, Ti ga, via dei demoni la hulada,
Che all'entrar della porta incontro usciaci, Co a la porta de Dite i n ha incontrà ; 45
Chi è quel grande che non par che curi Chi è quel grando, che al fogo par no bada,
).' incendio, e giace dispettoso e torto E altier là destirà co l'ochio storto,
Sì che la pioggia non par che '1 marturl ? Par che no l'avilissa sta piovada ?
E quel medesmo, che si fue accorto E quel tal ch' el se gera za inacorto
Ch' io dimandava il mio Duca di lui , Come de lu al Dotor mi domandasse : 50
Gridò: Qual i' fui vivo, tal son morto. Talqual vivo so sta, talqual son morto,
Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui Ciga; se'l fravo soo Giove stracasse,
Crucciato prese la folgore acuta, El fulmine dal qual, indespetio,
Onde l'ultimo dì percosso fui; L'ha avù, che m'ha dà morte, o ch'el cigasse,
O s" egli stanchi gli altri a muta a muta Quando tuti un drio l'altro el ga slmili 50
In Mongibello alla fucina negra, D' Etna i Cielopi a la fusina negra :
Gridando : buon Vulcano, aiuta aiuta : Agiutime, po via, Vulcano mio ;
Sì com' ei fece alla pugna di Flegra, Come a la guera coi ziganti in Flegra,
E me saetti di tutta sua forza, E infurià el me sbasisse da là su,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra. Noi podarave aver vendeta alegra. 60
Allora il Duca mio parlò di forza Con tanta forza aloni el Mestro a lu
03 Capauco = fu uno diri selle ir, elic assediarono Tibe, ciItà della Grecia, uomo superbo e sprezza late degli Dei.
74 no {iuzaryhe sarà — non poggiarvi sopra.
79 Come dei Ilalicam = Bulicami- chiamava:-i un laglnXto d'arnia bollente situato a due miglia di Viterbo.
i'>i.-iva du esso un ruscello, le acque diri quale le meretrici a una certa distanza della sorgente, quando era già
raffreddalo alquanto, si dividevano fra loro, in quanto che ciascuna di esse volgeva alla propria stanza quella
ln'niirnc d'acqua, die le abbisognava (limoin).
82 .inori = argini.
'.i't De nume l'rtia = Crciu è un isola del Mediterraneo, d'onde l'origine dei Troiani, dai quali poi Enea,
e da questi l' impero romano. *
Pn He Saturno — Saturno è la più antica iìcita mitologica. Ammogliatosi con Rea, eldainaio QnellG Bereni
ce, Cibel.., Opi cce, da quesia unione nacque lìiove, Nettimo e l'Intone. E poichù il marito si divorava i figliuoli
i'be di lei nascevano, fece nutrir (ìiove segretamente nel monte Ida, dove, aftìnelnr non si sentissero i 'vagiti
di-I bambino, faceva fare da quelle genti grande strepilo e mandare alte veci d'allegrezza C di festa misto al
tuono dei i.emb.di.
66 DELI/
Una montagna v'è, che già fu lieta Là'l monte Ida pien gera d'aque e piante,
D'acque e di fronde, che si chiama Ida; Po, invechio, più nissun se vede e sente.
Ora è diserta come cosa vieta. A forza de cercar, Rea a le tante
Rea la scelse già per cuna lida Qua l'ha sconto so fiol gelosamente, 100
Del suo figliuolo, e, per celarlo meglio, E la faseva, per covrirghe'l cigo,
Quando piangea, sì facea far le grida. I cimbani sonar da quela zente.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio In pie là drento sta un gran vechio antigo;
Che tien volte le spalle in ver Damiata, Voltà a Damiata el tien le spale, e, al moto,
E Roma guarda si come suo speglio. Par vardar Roma come un spechio amigo. 105
La sua testa è di (m'oro formata, La testa d' oro fin xe de capoto,
E puro argento son le braccia c'1 petto, El ga de puro arzento i brazzi e'1 peto,
Poi è di rame infino alla forcata : De rame el resto insin al cavaloto ;
Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Da de qua in zo xe luto fero schieto
Salvo che'l destro piede è terra cotta, Fora eh' el drito pie de tera cola ; 110
E sta in su quel, più che 'n su l'altro, eretto. E più su questo quel vechlon sta drelo.
Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta Xe ogn' altra parte, via che l'oro, rota
D' una fessura, che lagrime goccia, Da una sfesa, che lagreme dà fora,
Le quali accolte foran quella grotta. E tutte insieme sbusa ci monte, e in bota,
Lor corso in questa valle si diroccia : Vegnue de eroda in eroda da là sora, 115
Fanno Acheronte, Stige e Flegetonta ; Le fa Stige, Acheronte e Flegetonte ;
Poi sen van giù per questa stretta doccia Per sto streto canai po le va ancora,
1 M lin là ove più non si dismonta : Sin dove no se va più in zoso, sconte :
Fanno Cocito; e qual sia quello stagno, Le fa '1 Cocito ; ma qual sia Cocito
Tu'l vederai; però qui non si conta. Ti vederà ; e qua el lassemo a monte. 120
Ed io a lui: Se'l presente rigagno E mi : se questo rio, come ave dito,
Si deriva così dal nostro mondo, El ga derivazion dal nostro mondo,
Perchè ci appar pur a questo vivagno ? Perchè no se lo vede che in sto sito ?
Ed egli a me: Tu sai che il luogo è tondo, Lu responde: Ti sa ch'el logo è tondo;
E tutto che tu sii venuto molto E siben ti ga molto caminà 125
Pur a sinistra giù calando al fondo, A man zanca calando zozo in fondo.
Non se' ancor per tutto il cerchio volto ; Tulo quel cerchio no ti ga /.irà ;
Perchè, se cosa n' apparisce nuova, Se se scoverze novità perciò
Non dee addur maraviglia al tuo volto. No ti ga da restar maravegià.
131-135 et bogior farle avisà =.-. la parola Flegetonte viene dal Greco, che vuoi dire: ardente; perciò dice
Virgilio a Dante che doveva accorgersi dal bollore che l'acqua sanguigna è appunto Flegetonte.
136 /,'-/t- da de iIna via ti vederà - . Lete fiumu dell'oblio, secondo i poeti, vien posto, come vedremo alla
fine del Purgatorio, nel Paradiso terrestre, ove le anime pentite e purgnte vanno a lavarsi, avendo la virtù
quelle acque di far loro dimenticare le colpe commesse.
CANTO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
In quell'eterne e disperate angosce Andando in raezo a quele eterne angosse,
Dante cammina, e fra molti l'aspetto Fra i tanti desgraziai Dante l'aspeto
DI Brunetto Latini riconosce. De Bruneto Latini el riconosse.
Coma a maestro nnO, laggiù rispetto Como so mestro al mondo, con rispeto
Ancor gli mostra; e molto parla u chiede. Lo trata ancora là, e quel parlando
Quegli rispondo e fa veder dispetto De varie cosse, fa veder despeto
Dell'esilio di Dante, ch'ei prevede. In preveder cho Dante andarà in bando.
Ora cen porta l'un de' duri margini, Per un dei arzari impetrii se andava,
E il fummo del ruscel di sopra aduggia E '1 fumo del rielo in su restando,
Si, che dal fuoco salva l'aqua e gli argini. Dal fogo l'aqua e i arzari salvava.
Quale i Fiamminghi tra Guzzante e Bruggia, Come tra Brugia e tra Quante, quando
Temendo '1 fiotto che in ver lor s'avventa, I Fiamenghi ha timor che se ghe mola
Fanno lo schermo, perchè '1 mar si fuggia ; Contro furioso el mar, se va parando ;
E quale i Padovan lungo la Brenta, E com'el Padoan, aciù no croia
Per difender lor ville e lor castelli, La casa longo ci Brenta, e alaga el pra,
Anzi che Chiarentana il caldo senta; Prima ch'el Chiarentan la neve scola,
16 Co = quando.
il l'ago imfiiraudo = intrndnccmlo il filo nella cruna dell'ago.
24 l'rr un pinzo = per un lembo, per una estremila della veste, perche lo spirilo era giù nella rena, e
Danle. rra su l'argine.
25-26 Arazzo = braccio. =: rotilo . arrostito.
2S Tanto e lanto = tuttavia.
21/ al viso so = ol viso suo. a
30 Urlnioto := Brunetto Latini fu gran filosofo e maestro ili Dante. Dopo la rotta ili Mnntaperli amifi esule
a Parigi, dove scrisse in francese il suo Tesoro. Era nato verso il 1220; mori in Firenze 12!>1, dov'era tornato
ciumnio i Guelfi riguadagnarono la Stato.
31-32 mo = p. irli, .i.ll.i riempitiva. — nn fin = un pocliino.
11 e po =. e poi ^. rasonfcrò = raggiungerò.
CAM'O XV. 69
Ei cominciò : Qual fortuna o destino Qual sorte mai te ga portà qua via
Anzi l'ultimo dì quaggiù ti mena ? Prima del tempo, lu me disc alora,
E chi è questi che mostra '1 cammino ? E chi xe che te guida? di' po via.
Lassù di sopra in la vita serena, Che rcspondo : Nel mondo là de sora
Rispos'io lui, mi smarri' in una valle, M' ho perso in t'una selva con gran pena, 50
Avanti che l'età mia fosse piena. Quando no avea l'età maura ancora.
Pur ier mattina le volsi le spalle : Sol ger matina go voltà la schena :
Questi m'apparve, tornandolo in quella ; Me xe comparso, co tornava in quela,
E riducemi a ca per questo calle. Questo, che per de qua a cao me mena.
Ed egli a me : Se tu segui tua stella, E lu: Se drio ti va de la to stela, 55
Non puoi fallire a glorioso porto, E se al mondo go ben pronosticà,
Se ben m'accorsi nella vita bella. Avarà el nome too fama assae bela.
E s'io non fossi si per tempo morto, E se de più fusse vissù de là,
Veggendo il cielo a te così benigno, Co go visto ch'el cielo te fa ciera,
Dato t'avrei all'opera conforto. Altre lezion mi t'avaria insegnà. fio
Ma quell'ingrato popolo maligno, Ma quel popolo ingrato da galera,
Che discese di Fiesole ab antico, Che procede da Fiesole in antigo,
E tiene ancor del monte e del macigno, E ga del monte ancora e de la piera,
Ti si farà, per tuo ben far, nimico. Per far ti '1 ben, ci le sarà nemigo.
Ed è ragion; chè tra li lazzi sorbi Ma tra sorbole garbe, è naturai, Ga
Si disconvien fruttare il dolce lieo. Mal eresse e no maura el dolce fìgo.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi: Orbi li chiama un vechio proverbiai :
Gente avara, invidiosa e superba : Popolo arpia, de boria impastrochiù
Da' lor costumi fa che tu ti forbì. E de invidia; te varda da quel mal.
La tua fortuna tanto onor ti serba, Tanta gloria la sorte te darà, 70
Che l'una parte e l'altra avranno fame Che te t lirà con cio ogni partio,
Di te : ma lungi lia dal becco l'erba. Ma '1 desiderio sol ghe resterà.
faccian le bestie Fiesolane strame Fè, bestie Fiesolane, imputridio
Di lor medesme, e non tocchin la pianta, Strame de vualtre, e no toche la pianta,
S'nlcuna surge ancor nel lor letame, Se la fa in quel lcame ancora el nio, 75
'•i Quando na acca l' età maura ancora = Dante si smarrì moralmente dopo la morte ili Beatrice nel 1390.
(Icdi Pur);. C. XXXl). Si trovò smarrito, cioè si avvide di essere in una falsa via, nell'equinozio di primavera
ilei 1300. Qui si parla dell'Epoca dello smarrimento ehe avvenne ai suoi 25 anni quando l'età non era per anco
nella sua pienezza, cioè alla sua perfezione clic si fissa ai 35 anni.
"'i a eoo me mena — mi condnce al termine. E sottoiuteso: ilei mio viaggio.
59 Co =: quando = le fa etera = ti fa buon viso.
0l .62 .l'u quel popolo ingrato - il popolo liorailino ebbe origine da Fiesole, antica dita posta sopra un
colle, cirea a tre miglia da Firenze.
65 sorbole gnrbe = sorbo, frntlo autunnale — rIarbe = aspre.
07 Orbi li chiama = due cagioni si adducono di questo soprannome dato ab antico ai Fiorentini. Vi bn chi
llice clic se lo acquistassero quando di due cose offerte loro dai Pisani, ehe volevano ricompensarli di aver guar
dato Pisa mentre essi erano alla conquista delle llalcari, o due porte bellissime di bronzo, o due colonne di por
fido guaste dal fuoco, e state perciò coperte ili scartato; e i Fiorentini scelsero quest'ultime. Altri dicono, e ron
PIÙ fondamento, clic il nome di Ciccia venisse loro dato quando si lasciarono prendere alle lusinghe di Totila,
clic ottenne per questo mezzo quello clic non avea potuto nè eoli' armi, nc* con un lungo assedio, di essere ri
cevuto in Firenze, che poi il traditore riempi ili stragi e di rovine (LIARCIII).
OS l'apulo arpia = popolo avaro = de boria inifiastrocliià = lordato di superbia. Si ricordi ciò che disse
Ciacco dei Fiorentini: vedi C. Vl v. 71, 75.
73-74 f e, btttif jlesnhinc oc. =: Si dice che Firenze fosse edificata da una colonia di Noma accresciuta poi
ilai Fiesolani. Dante ieneusi discendente da una famiglia Koniana, clic i suoi biografi dicono essere stata quella
ilei Frangipani = imputridio tftromt — strame imputridito,
70 DELL' INFERIVO
In cui riviva la sementa santa Ne la qual viva la semenza santa
Di quei Roman, che vi rimaser, quando De quei pochi Romani là restai
Fu fatto il nido di malizia tanta. In mezzo al marzo de malizia tanta.
Se fosse pieno tutto '1 mio dimando, Se fusse sta i mii voti secondai,
Risposi lui, voi non sareste ancora Digo, ancora del ciel quel'aria pura 80
Dell'umana natura posto in bando: Vederessi : che in mente go nichiai,
Che in la mente m'è fitta, ed or m'accora, E dolor me fa adesso, la figura
La cara e buona imagine paterna Vostra paterna e i trati bei, perchè
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora Come de l'omo la memoria dura
M'insegnavate come l'uom s'eterna: Là su al mondo insegnà vu me gave, 85
E quant'io l'abbo in grado, mentr'io vivo, E de vu sin che ho vita parlare
Convien che nella mia lingua si scerna. Con quel cuor grato che restà me xe.
Ciò che narrate di mio corso scrivo, El pronostico vostro legnerò
E serbolo a chiosar con altro testo Con qualc'altro, per farmelo spiegar
A donna che '1 saprà, s'a lei arrivo. Da una donna, se da eia ariverò : 90
Tanto vogl' io che vi sia manifesto, Solo vói che sapie, che mi al voltar
Pur che mia coscienza non mi garra, De la sorte, son sempre parechiù,
Ch'alia fortuna, come vuoi, son presto. Se la consienza no me voi falar.
Non è nuova agli orecchi miei tal'arra : Mi za a ste cosse so oramai usà;
Però giri fortuna la sua rota La so rua la fortuna pur rerolta, 95
Come le piace, e il villan la sua marra. E '1 vilan la so vanga a volontà.
Lo mio Maestro allora in sulla gota La testa indrio '1 Dotor alora el volta
Destra si volse indietro, e riguardommi; A (I rHa; el m'ha vardà, po'l dise: Quanto
Poi disse : Bene ascolta chi la nota. Quei, che lo marca, ben l'aviso ascolta.
Nè per tanto di men parlando vommi Con Uni n ri i i parlando, tanto e tanto 100
Con ser Brunetto, e dimando chi sono Vago via ; e chi xei, mi ghe domando,
Li suoi compagni più noti e più sommi. I so compagni che i xe in fama tanto.
Ed egli a me: Saper d'alcuno è buono; E lu : Ne vegnerò qualcun chiamando :
Degli altri fia laudabile il tacerci, De i altri megio laser xe oramai,
Che '1 tempo saria corto a tanto suono. Ch'el tempo ne andarave via mancando. 105
In somma sappi, che tutti fur cerchi, Sapi insomma, che tuli sti danai
E letterati grandi e di gran fama, Chiereghi stadi e leterati in fama,
D'un medesmo peccato al mondo lerci. Del pecà istesso al mondo i s" ha sporcai.
Priscian sen va con quella turba grama, D'Acorso va e Pressian tra quela grama
E Francesco d'Accorso anco ; e vedervi, Trupa, e veder qua star in penitenza, 1ÌO
S'avessi avuto di tal tigna brama, Se mai de sta sporchisia ti ga brama,
Colui potei che dal Servo de' Servi Ti poi colù che per papal sentenza,
Fu trasmutato d'Arno in fiacchiglione, Vói dir, Vescovo Andrea, descazzà fora
119 i:l mio Ttsoro - un libro intitolato: 11 Tesoro. È questo una specie di Encielopedia, in cui l'autore ha
Yoluto raccogliere tulio lo scibile de' suoi tempi. È scritto in francese, ma nel suo originale non è stato mai edi
to; ne abbiamo la traduzione fatta da limiti Giamboni.
122-123 L'è corso come iIùci ce. = Solca in antico farsi in Verona il Palio del Drappo Verde la prima
Domenica di Quaresima. La corsa si facca a piedi.
CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Tre grandi alme al Poeta fan richiesta Tre gran aneme a Dante ghe domanda
Della sua patria : a quelle esso risponde De la so patria: in modo tal respondo
Cosi, che in esse meraviglia desta. Da farghe a lore maravegia granda.
Poi con Virgilio giunto, ovo dell'onde' Po, dove a strepitnr se sente l'onde
Si ode il romor. questi una fune cala Zonti eli do, Virgilio per segnai
Per cenno, e tosto al cenno corrisponde Cala una corda; al qual po corisponde
Gerione, e all'in su dispiega l'ala. Vegnindo in su Gerion, bruto anemal.
Già era in loco ove s'udia il rimbombo Gera in dove un rebombo se sentia
Dell'acqua che cadea nell'altro giro, D'aqua, che in st'altro ziro la cascava,
Simile a quel che l'arnie fanno rombo ; Come al bozzo el ruzor l'ave farla;
Quando tre ombre insieme si partiro, Co tre spirili in t'un se destacava
Correndo, d'una torma che passava Da la so trupa, che passava solo
Sotto la pioggia dell'aspro martiro. Al martirio del fogo : Ognun cigava :
Venian ver noi ; e ciascuna gridava : Fermile ti, corendo a nu de troto,
Sostati tu che all'abito ne sembri Che a la vesta per un te se poi tor
Essere alcun di nostra terra prava. De quel nostro paese assae galioto.
Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri Che piaghe vechie e fresche, o Dio, che oror, 10
Recenti e vecchie dalle fiamme incese ! In quei corpi la Rama ha mai stampae !
Ancor meno duol, pur ch'io me ne rimembri. Solo in pensarlo se me strenze el cuor.
Alle lor grida il mio Dottor s'attese, Se ga '1 Mestro, sentindo ste cigae,
1 ritomiio =. rimbombo.
3 bozzo = alveare, cassetta dentro cui le api fabbricano il mele e la cera — ruzor = ronzio = ave = api.
4 Co = quando = m /'nn = simultaneamente.
/
72 DELL
Volse il viso ver me, e: Ora aspetta, Fermà ; po : Aspeta, el dise, usar sta ben
Disse : a costor si vuole esser cortese : La cortesia con st'aneme dauae : 15
E se non fosse il fuoco che saetta E se no fusse el fogo che zo vien
La natura del luogo, i' dicerei, Per sto sito, dirave, quando mai,
Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta. Che più d'eli aver pressa a ti convien.
Ricominciar, come noi ristemmo, ci La vechia solfa, apena nu fermai,
L'antico verso; e quando a noi fur giunti, I renova, e co arente i n'è vegli ui, 20
Fenno una ruota di sè tutti e Irei. Una roda fa d'eli i tre danai.
Qual suolen i campion far nudi ed u"hti, Come i biavi da pugni usa onti e nui
Avvisando lor presa e lor vantaggio, Studiar i colpi che i voria molar
Prima che sien tra lor battuti e punti ; Con so pro, avanti d'esserse batui ;
Così, rotando, ciascuna il visaggio Tuli tt'gniva el viso nel zirar 25
Drizzava a me, si che in contrario il collo Su mi, in modo circi colo revoltù
Faceva a' pie continuo viaggio. Al roverso dei pie doveva andar.
Dch, se miseria d'esto loco sollo Se sto misero logo insahionà,
Rende in dispetto noi e nostri preghi, Sto muso brustolio, un d'eli ha dito,
Cominciò l'uno, e '1 tinto aspetto e brollo; Nu e '1 nostro prego desprezzar ne fa; 30
La fama nostra il tuo animo pieghi El nome nostro da la fama scrito,
A dirne chi tu se', che i vivi piedi Chi ti xe fazza dirne, che per questo
Così sicuro per lo Inferno freghi. Ti ziri, vivo e franco, orido sito.
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, Questo, del qual le poche qua mi pesto,
Tutto che nudo e dipelato vada, Siben nudo e spelà qua atorno ci vada, 35
Fu di grado maggior che tu non credi. L'è sta più che ti credi omo de sesto:
Ncpote fu della buona Gualdrada : N erodo el gera a la bona Gualdrada;
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita (iuidoguera. el ga nome, e gran campion
Fece col sonno assai e con la spada. El xe sta col saver e co la spada. "
L'altro ch'appresso me l'arena trita, St'altro, che a mi vicin zapa el sabion, 40
E Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce Xe Teghiaio Aldobrandi, e là de sora
Nel mondo su dovrebbe esser gradita. I dovria a la so vose dar rason.
E io, che posto son con loro in croce, E mi che d'eli go l'egual malora,
Jacopo Rusticucci fui: e cerio Giacomo Itusticuci son: e qua
CANTO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Poichè del cerchio settimo fu chiara Co ben i efeti de IVterna bampa
La condizion. che quello anime pone I ha visti sui danai, al qual tormento
!ii fiamma sempre sì nova eri amara: Tuli se storze, ma nissun lo scampa:
S'adattan su le spalle u Gerione Virgilio in prima, e dopo Dante a stento
I.i due Poeti : egli all'ottava varca, Monta in gropa a Gerìon, che tuti do
E giunte colaggio, le lor persone Dal setimo a l'ottavo cerchio drento
D'una stagliata rocca al pit> discarca. Li scarga in fondo al precipizio zo.
t
Ecco la ficra con la coda aguzza. Eco la fiera co la eoa pontia,
Che passa i monti, e rompe mura ed armi ; Che sbusa el monte e rompe l'arma e'1 muro,
Ecco colei che tutto '1 mondo appuzza. Che luto ci mondo impesta, eco culìa.
Sì cominciò lo mio Duca a parlarmi, Da la mia Guida sto parlar rancuro ;
Ed accennolle che venisse a proda, Po'l segno che la vegna cio ga da, 5
Vicino al lin de' passeggiati marmi: In orlo del batuo a.'zare duro :
E quella sozza imaginc di froda, Quel mostro inganator ci s' ha avanzà
Sen venne, ed arrivò la testa e'1 busto; Con tuto el peto a riva prontamente,
Ma in su la riva non trasse la coda. Ma là su la so eoa noi ga puzà.
La faccia sua era faccia d'uom giusto ; La fazza d'omo giusto el ga e ridente ; 10
Tanto benigna avea di fuor la pelle ; Bela assae xe la pele per de fora ;
E d'un serpente tutto l' altro fusto. E ci resto ga la forma del serpente.
Duo branche avea pilose in (in l'ascelle : Do gran branche pelose el sporze in fora;
Lo dosso e '1 petto ed ambedue le coste Schena, peto e le bande fa vedèr
Dipinte avea di nodi e di rotelle. Come de gropi e scudi i se incolora. 15
Con più color sommesse e soprapposte Tartara e Turca zente del mestier,
Non fer mai in drappo Tartari nè Turchi, A colori alti e bassi ha mai tessuo
Nè fur lai tele per Aragne imposte. Drapi eguali, nè Aragne sul teler.
Come tal volta stanno a riva i burchi, Nei burchi a riva mai ve seu imbatuo,
Che parte sono in acqua e parte in terra; Che parto in lera e parte in aqua i sguazza ; 20
E come là tra li Tedeschi turchi E nel Castor che al pesse vivo e cruo
Lo bevero s'assetta a far sua guerra ; Sta pronto drio'l Danubio a dar la cazza?
Così la fiera pessima si stava Cussi '1 bestion su l'orlo in piera stava,
Su l'orlo che, di pietra, il sabbion serra. Che zira atorno a la sabiosa piazza.
1 In questa 1lerà i simboleggiata In frode che si fa strada ovunque = eoa pontia — coda aguzza.
3 calia - - colei. .
4 rancuro — colgo.
6 del batuò arsure duro .-- cioè dell'argine pietroso sul quulc Dante e Virgilio aveano camminato (batIuto
l'argine).
9 noi ga puzà — non poggiò.
10 La fazza - la faccia.
18 Aragne = celebre tessitrice di l.idin, elic fu da Pulhide cangiata in ragno, giusta la storia mitologica -
Ieler = telujo.
19 Ve sco = vi siete = imbalun — incontrato a caso.
£1 Cattar — queslo animale ha la proprietà di ti. ir la caccia ai pesci stando colla nula nell'acqua. Diersi
che la coda di questo animale renda oli-osa l'acqua alla quale poi corrono mgordamente i pesci = per dar la
cazza = per dnr la caccia.
2Z drio'l Danubio = lungo il Danubio, fiume settentrionale.
CANTO xvii. 77
Nel vano tutta sua coda guizzava, Tuta quanta in tei vodo bulegava 25
Torcendo in su la venenosa forca La soa voltada in su eoa inforcada,
Che a guisa di scorpion la punta armava. Ch'el so velen, com'el scarpion, portava
Lo Duca disse : Or convien che si torca In ponta. Dise el Mestro : Da la strada
La nostra via un poco in li un a quella Convien desso che un lià nu se storzemo
Bestia malvagia che colà si corca. Sin là che sta la bestia colegada. • 30
Però scendemmo alla destra mammella, A la drita perciò tirai se semo,
E dieci passi femmo in sullo stremo E per podcr scansar fogo e sabion,
Per ben cessar la rena e la liammella: Diese passi su l'orlo fato avemo.
E quando noi a lei venuti semo, Zonti apena vicini al gran bestion,
Poco più oltre veggio in su la rena Go visto in su la sabia un lui più in là, 35
Gente seder propinqua al luogo scemo. Darente al vodo star zente in senton.
Quivi '1 Maestro: Acciocchè tutta piena Aciò ti gabi, dise el Mestro qua,
Esperienza d' esto giron porti , Piena l'idea de questo ziro In testa,
Mi disse, or va, e vedi la lor mena. A veder la so sorte adesso va.
Li tuoi ragionamenti sieh là corti, Con quei conversazion fa curta e lesta : 40
Mentre che torni parlerò con questa, Dirò, sin che ti torni, a sto anemal,
Che ne conceda i suoi omeri forti. Che'l forte so gropon a nu l'impresta.
Così ancor su per la strema testa Solo cussi al LUI 1 i li i i de l'infernal
Di quel settimo cerchio, tutto solo Setimo cerchio vago tra la gente
Andai, ove sedea la gente mesta. . Meschina, che in senton pianze el so mal. 45
Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo: Mostrava i ochi el gran dolor che i sente ;
Di qua, di là soccorrien con le mani, D'ogni banda dal fogo co le man
Quando a' vr.pori, e quando al caldo suolo. Pararse i studia o dal sabion ardente. '
9
Non altrimenti fan di state i cani, Cussi col muso e co le zate el can
Or col ceffo, or col pie, quando son morsi Se difende d' istà dai morsegoni 50
O da pulci o da mosche o da tafani. Del puisc, de la mosca, o del tavan.
Poi che nel viso a' certi gli occhi porsi, Gnanc'uno tra i scotai da quei lincimi
Ne' quali il doloroso fuoco casca, N'ho conossù per quanti ghe ne ochiasse;
Non ne conobbi alcun ; ma io m' accorsi Ma m' ho incorto che a ognun de quei briconi,
Che dal collo a ciascun pendca una tasca, Una borsa dal colo pendolava 55
Ch'avea certo colore e certo segno, Tute marcae col so color e insegna,
E quindi par che il loro occhio si pasca. E con granda passion se la vardava.
E com' io riguardando tra lor vegno, Diversi mi passandone in rassegna,
In una borsa gialla vidi azzurro, L'na borsa zalona co un limi
64 co = con = Ironia = scrofa. Questi elie parla è Rinalda Scrovigni di Padova, avente per nlemma la
Scrofa aziurra in fondo manco — piena - gravida.
68 Vitalian = Vilaliano del Dente, padovano, grande nsurajo, vicino di casa del dello Rinaldo Scrorigui.
09 Se xmierà = siedera.
71 a lutto fià = a tulin possa.
72-73 i-i eavalier tovran - detto ironicamenle: quesli è Giovanni Duiamontc cavaliere floreutino, il più ls-
dro usuraio di que' tempi. La sua arma si compone di Ire rostri di uccello.
74 drio un tberlefo = dopo un contorcimento di bocca.
78 noi (ria = non sgridi.
85-86 ingritulio = rannicchialo. — L'mrIit — L'unghie.
95 Couzà a|ima — acconciato appena.
CANTO XVII. 79
E disse : Gerlon, moviti omai : Po'l dise: Va Geriòn, e fa che sia
Le ruote larghe, e lo scender sia poco : Larghi i to ziri, movile adasieto,
Pentia la nuova soma che tu hai. E pensa al cargo che ti porti via.
Come la navicella esce di loco Com' ci batel se starga dal tragheto 100
In dietro in dietro ; sì quindi si tolse ; Reculando a pianin, s' ha inulà istesso
E poi ch'ai tutto si senti a giuoco, Gerion; e co'l s'ha visto al largo, el peto
Là 'v'era il petto, la coda rivolse, Dove gera la eoa proprio'l ga messo,
E quella tesa, come anguilla, mosse, Che destesa a bisata se moveva
E con le branche l'aere a sè raccolse. Cbiapando l'aria co le branche spesso. 105
Maggior paura non credo che fosse, Credo piv.o paura no gaveva
Quando Fetonte abbandonò li freni, Fetonte, che ha molà presto le brio,
Perchè '1 eiel, come pare ancor, si cosse : Co '1 ciel, come ne vede ancora, ardeva :
Xè quand' Icaro misero le reni Nè Icaro quando in aria s' ha sentie
Senti npennar per la scaldata cera, Scolar le pene, e'1 pare drio ghe urlava HO
Gridando il padre a lui : Mala via tieni ; Co angossa: Ti va mal, visiere mie;
Che fu la mia, quando vidi ch' i' era De quela che go avua, co me trovava
VII" aer d'ogni parte, e vidi spenta luto tornià da l'aria, e no vedeva
Ogni veduta, fuor che della fiera. Che la bestia che intorno la nuava
Ella sen va notandp lenta lenta; Adasio adasio in zozo; e no me aveva 115
Ruota e discende, ma non me n ' accorgo, Gnanca incorto de moverne, se no
Se non ch'ai viso, e di sotto mi venta. Dal vento che de solo me sbateva
l'sentia già dalla man destra il gorgo E in viso. D'aqua a la mia drita po
Far sotto noi un orribile stroscio, Un ni-idn fracasso go sentio
Perchè con gli occhi in giù la testa sporgo. Solo a nu ; perciò testa e ochi in zo 120
Ailui- fu' io più timido allo scoscio : Go sporto. M' è vegnudo un tremolio
Perocch' io vidi fuochi, e sentii pianti ; Co ho visto foghi e go sentio gran pianti;
Ond'io tremando tutto mi raccoselo. E chiapà dal tremor me so ingrotio.
E vidi poi, che noi vedea davanti, Po in calar, quel che no vedeva avanti, ^
Lo scendere e'1 girar, per li gran mali Tormenti in fondo a quel' aerea scala 125
Che s' appressavan da diversi canti, Per tutto vedo, e sento cighi tanti.
Come'l falcon ch' è stato assai sull'ali, Come un pezzon restà sempre su l'ala
Che, senza veder logoro o uccello, Senza richiamo e preda, indespetio
Fa dire al falconiere : Oimè tu cali : Straco morto el falcon zoso se cala,
Discende lasso, onde si muove snello Dove ci volo l' ha tolto su con brio, 130
97 Geriòn = Gci-ione re di Spagna, Impiun i Poeti aver avuto Ite corpi, ed essere stato astutissimo; il per
chè fatto simbolo della frode, t posto dal poeta a guardia dell'otiavo cerchio dei fraudolenti. Dante, tra i vio
lenti contro il prossimo pone i Centauri, tra i suicidi le Arpie; e quasi a passaggio tea l'alto inferno e Djla
Flegins; dagli eretici ai violenti il Minotauro: e qui dui violenti ai fraudolenti Gcrione.
101 Iteculando = riunii. nulo.
104 tiiata - anguilla.
107 Fetonte — personaggio mitologico: ebbe vaghezza di guidare il carro del Sole condotto da Apollo, ma
inesperto, avvicinatosi troppo al rii-In ue. arse una parte.
108 Co '/ del = quando il cielo.
109 lcaro -- altro personaggio mitologico: trovandosi chiuso in un Laberiuto, ni potendo trovarvi uscita, si
addotto le ali con dulia cera, e spiccato il volo si avvicinò tanto al Sole il cui calore liquefacendo la erra, stramazzò,
110 e/ pare -.- il padre del detto Icaro.
113 /ornià - circondato.
122 Co = quando = chiapà = preso.
123. me so iagroiio = mi sono accosciato, e ristretto le spalle sopra la lesta.,
125 aerea scala *= detto «'guittamente.
80 DKLL INFERNO
Per conio ruote, e da lungi si pone E'1 va dal falconicr da lon/i un fii,
Dal suo maestro disdegnoso e fello : Al qual fa dir: Ti »c calà, per sbrio:
Così ne pose al fondo Gerione Cussi Gerion al pie ne ga puzù
A piede a pie della stagliata rocca, Del precipizio, e co del Mestro mio
E, discarcate lo nostre persone, E de mi bravamente s'ba scarpà, 135
Si dileguò, come da corda cocca. Come frezza da l'arco el x? sparlo,
131 da lonzi un fìà - - - un po da lungi.
132 per ibrlo — mmio di affermazioin', e vale per Dio, affé.
134 co : quando.
CANTO DECIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Chi trapge allo sue voglie, od alle altrui, De la scurii i rulìani ga rl castigo,
Femmina con inganno, ha qui la pena E de le done i infami sedutori:'
Sotto la sferza, dei peccati sui. Ogni scuriada ghe fa trar un clpo.
Pirt oltre poi gli adulatori mena Piii avanti sta a penar i adulatori
I.or colpa al fondo d'una fossa lorda In fondo a un fosso d'escrementi umani:
D'alta immondezza, e tal feccia ripiena, A la materia e ai so fetonti odori
Che col parlar fallace b™ s'accorda. Ailatai xa i disoorsi de qivi cani.
25 .mi = nudi.
28-33 l'ano del Giubileo -.- cioè nel 1300 Bouil'uzio Vili fece dividere per lo lungo il ponte Castel San-
l'Angelo con uno spurlimento e con quest'online: che dall'una parte del ponte passassero quelli elic andavano
verso San Pietro, e dall'altra quelli che tornavano, andando verso il monte Gianicolo, o come altri dicono, il
monte Giordano.
45 un /ni indrio - - un poco in dietro.
46 frutta = cialtrone, tristo.
50-56 \ (.Mdien li xe Caeianenu'go = Venedico Caccianimico bolognese, per avidità di danaro indusse sua so
rella chiamata la bella Ghisola ad appagare le voglie del marchese Obizo d'Este signore di Ferrara = t'ha sgculo
- ti spinse.
82 DELL' INFERNO
Anzi n'è questo luogo tanto pieno, Che de eli xe sto logo tanto pien
Che tante lingue non son ora apprese Che no ghe ne xc tanti in quel paese 60
A dicer SIPA tra Savena e '1 Reno : Che dise SIPA Ira Savena e '1 Ren :
E se di ciò vuoi fede o testimonio, E se mai una prova ti voi bona,
Recali a mente il nostro avaro seno. A la nostra avarizia pensa ben.
Così parlando il percosse un demonio Insin ch'el parla un diavolo ghe sona
Della sua scuriada, e disse : Via, l'na scuriada, e dopo a lu : Va via, 65
Ruffian, qui non son femmine da conio. Rulian, che qua da bezzi no gh'è dona.
10 mi raggiunsi con la scorta mia : A razonzer so andà la Guida mia:
Poscia con pochi passi divenimmo, E dopo pochi passi rivai semo,
Dove uno scoglio della ripa uscia. Dove un ponte da l'arzare sortia.
Assai leggieramente quel salimmo, Sora quelo adasieto nu montemo, 70
E volti a destra sopra la sua scheggia, E voltai sora la so eroda a dreta,
Da quelle cerchie eterne ci partimmo. Del muro el pozzo abandonà gavemo.
Quando noi fummo là, dov'èi vaneggia Quando i pie nostri in cima al colmo i pela,
Di sotto, per dar passo agli sferzati, Che avre de solo el passo ai stafilai,
Lo Duca disse : Attendi, e fa che feggia Dise el Dotor: Che i sia qua zonti aspela, 75
Lo viso in te di questi altri malnati, E dopo varda ben sii altri danai,
A' quali ancor non vedesti la faccia, Che no ti ga possù vederli in muso,
Perocchè son con noi insieme andati. Perchè da drio de nu i gera inviai.
Dal vecchio ponte guardavam la traccia, Dal vechio ponte ochiavimo dar suso
Che venia verso noi dall'altra banda, Incontro a nu una fila in st'altra banda, 80
E che la ferza Slmilmente scaccia. Dal stafii scorsizai secondo l'uso.
11 buon Maestro, senza mia dimanda, El Mestro mio senza aspetar domanda,
Mi disse: Guarda quel grande che viene, Varda, ci dise, vegnir quel omenon,
E per dolor non par lagrima spanda : "Che lagrema per dogia par noi spanda:
Quanto aspetto reale ancor ritiene^ Che aria reai l' ha ancora ! el xe Giason, 85
Quelli è Jason, che per cuore e per senno Che pien d'ardir ai Colchi ga robà,
Li C.uklii del monton privali fene. E con gran indriture, el so Molton.
Egli passò per l' isola di Lenno, Per l'isola de Leno el xe passa,
Poi che le ardite femmine spietale Dopo che quele femene bricone
Tutti li maschi loro a morte dienno. Tuli i nnirni soi le ga cupà. 90
Ivi con segni e con parole ornate Là con promesse e con parole bone,
Isifile ingannò, la giovinetta, Lu ga la tosa Isifile tradia,'
Che prima l'altre avea tulle ingannate. Che ha tradie prima tute le altre done :
61 si/iu = è la espressione affermativa dei dlaidio bolognese .- Savena e 'I lini — Savena e il Reno, so
no due fiumi tra i quali giace Bologna con Par(e del suo territorio.
64 ghe tona i gli vibra.
73 t pela — poggiano.
SI ieorzizai — l'ulti correre in furia.
84 per tiogia = per duglia.
85 (ìiason = Giasouc fu quello elic rapi il vrllo d'oro ai Culelii popoli dell'Asia minore, uccidendo il dra
go che vegliava a la sua custodia.
89 quele fcmenc bricone . le donne di Lenno istigate da Venere uccisero tulli gli uomini di quell'isola:
come si vede è questo un fatto favoloso della mitologia.
93 che ha tradir prima tute le altre done = Isi(ilc avea dapprima ingannate (ulte le altre donne, dando
loro a credere di avere ucciso il padre suo Tuante, mentre nascostolo nel Tempio di Bacco, l'aiu(ù poi a fuggire.
CAMO XVIII. 83
LucioUa quivi gravida e soletta : Po impiantada la ga gravia là via.
Tal colpa a tal martirio lui condanna ; Per sto dellto, e aver Medea inganada, 95
Ed anche di Medea si fa vendetta. . Sta pena el ga qua zo : con lu va via
Con lui sen va chi da tal parte inganna : La zente de quel falo impegolada :
E questo basti della prima valle Ma basta de sto logo maledeto
Sapere, e di color che in sè assanna. Saver, e de la zente in lu serada.
Già eravara là 've lo stretto calle Za in dove al secondo arzare el trozelo 100
Con l'argine secondo s'incrocicchia, S'incrosa, son rivà col Mestro mio,
E fa di quello ad un altr'arco spalle. Sul qual arzare altro arco fa tragheto.
Quindi sentimmo gente che si nicchia Zente che susta avemo po sentio
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa, Da st'altra bolgia, e che col muso sbrufa,
E sè medesma con le palme picchia. E co le man se pesta e fa desio. 1 05
Le ripe eran grommate d'una muffa Gera le rive incatramae de nmfa,
Per l'alito di giù che vi si appasta, Per la spuzza che vien dal basso in su,
Che con gli occhi e col naso facea zuffa. Ch'el naso impesta e anca i ochi stufa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci baita Scuro è '1 fondo cussi, che veder nu
L'occhio a veder senza montare al dosso No podeimo se no sora l'arcada 110
Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta. Del scogio, in dove el leva alto de più.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso Là montai, a quel fondo ho dà un ochiada,
Vidi gente attuffata in uno stereo, E ho visto zente in merda sepelia,
Che dagli uman privati parea mono. Che dai condoti da de qua portada
E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco, La pareva. Vardando là zo via, . 115
Vidi un col capo sì di merda lordo, Un ghe n' ho visto in modo tal smerdà,
Che non parea s'era laico o cherco. Che chierego, o no, '1 fusse no capia.
Quei mi sgridò : Perchè se' tu sì ingordo Perchè, '1 me ciga, ti xe più invogià
Di riguardar più me che gli altri brutti ? Mi che no i altri sporchi de fissar ?
E io a lui : Perchè, su ben ricordo, Perchè d'averte visto per de là, 120
Già t'ho veduto coi capelli asciutti, Digo, coi cavei neti a mi me par;
E sei Alessio Interminei da Lucca : Ti xe Alessio da Luca Interminei;
Però t'adocchio più che gli altri tutti. Più de tuti perciò te vói vardar.
Ed egli allor, battendosi la zucca : E lu alora, strapandose i cavei :
Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe, L'adulazion m'ha strassinà qua zoso, 125
Ond'io non ebbi mai la lingua stucca. Che sempre in boca ho avua per questi e tluei.
Appresso ciò lo Duca: Fa che pinghe, Po me dise ci Dotor : L'ochio bramoso
Mi disse, un poco il viso più avante, Spenzi un poco più avanti, e fa ch'el vada
Sì che la faccia ben con gli occhi attinghe A veder ben pulito el viso esoso
Di quella sozza scapigliala fante. De quela sporca dona sgrendenada, 130
CANTO DEClMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1 Simon mago = offerse danari a S. Pietro per acquistare i doni dello Spirito Santo. Da ludi in poi il con
traltare le cose sacre fu detto Simonia = d,' la fragia .- de' suoi seguaci.
5 sè = siete.
6 averfo — apro =- i mii = i miei.
CA^TO XIX. 85
Non mi parèn meno ampi nè maggiori, Queli i pareva, quanto a la misura,
Che quei che son neI mio bel San Giovanni Che xe al mio San Zuane istessamente
Fatti per luogo de' battezzatori ; Per i hai izi. D'uno la rotura
L'un degli quali, ancor non è molt'anni, Pochi ani indrio mi ho fato, ancora ho in mente,
Rupp'io per un che dentro v'annegava : Per salvar un bambin che se negava : 20
E questo sia suggel ch'ogni uomo sganni. E tanto basta per smagiar la zente.
Fuor della bocca a ciascun soperchiava Pie e gambe insin la polpa in fora dava
D'un peccator li piedi, e delle gambe' Dal proprio buso ognun de quei danai :
lniino al grosso, e l'altro dentro stava. Tuto el resto del corpo in drento stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe ; Gera tuli i do pie così infogai, 25
Per che sì forte guizzavan le giunte, Che trando in furia le caichie zonte,
Che spezzate averian ritorte e strambe. Le corde e i venchi i avaria sbregai.
Qual suole il fiammeggiar delle cose unte Come la bampa sora le cosse onte
Muoversi pur su per l'estrema buccia ; Se move solo superficialmente;
Tal era lì da' calcagni alle punte. Dai calcagni anca là la va ale ponte. 30
Chi è colui, Maestro, che si cruccia, Chi è quel, digo al Dotor, che la più ardente
Guizzando più che gli altri suoi consorti, Fiama lo snehi.-i, e che stanzando va
Diss'io, e cui più rossa fiamma succia ? I so pie in pressa più del'altra zente?
Ed egli a me : Se tu vuoi ch'io li porti Te porterò drio l'arzare zo là,
Laggiù per quella ripa, che più giace, Se ti voi, che de st'altro xe più basso, 35
Da lui saprai di sè e de' suoi torti. Me dise, e i fati soi lu te dirà.
Ed io: Tanto m'è bel, quanto a te piace : Paron mio, el piacer too da far no lasso,
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto Digo, el cuor mio ti vedi, e ti sa ben
Dal tuo volere, e sai quel che si tace. Che senza el to voler no movo un passo.
Allor venimmo in sull'argine quarto ; Arh i-mo con lu, che me sostien, 40
Volgemmo, e discendemmo a mano stanca Al quarto arzare, e a zanca se calcimi
Laggiù nel fondo foracchiato e arto. Al fondo, streto assae de busi pien.
E '1 buon Maestro ancor dalla sua anca El Mestro, insin che al buso zonti semo
Non mi dipose, sin mi giunse al rotto De quel, che trà scalzae, el me ga sora
Di quei, che sì pingeva colla zanca. E1 so fianco tegnudo, e là rivemo. 45
O qual che se', che '1 di su tien.di sotto, O frustà, sii chi sia, scomenzo alora,
Anima trista, come pai commessa, Col teston piantà in zoso come un palo,
Comineia'io a dir, se puoi, fa motto. Se ti poi, la parola buta fora.
Io stava come 'l frate che confessa Mi stava com'el confessor, ch'el falo
17 Che xè al mio San Zuane — Nella Chiesa di San Giovanni In Firenze intorno la fonte battesimale
erano quattro pozzetti fatti perche i preti battezzatori stessero più presso all'acqua.
21 tmagiar —. ribattere, confutare.
26 caicni'e zonte = noci IIr i piedi unite.
27 i venchi -= i vinchi, vimini.
28 bampa ..- fiamma.
30 a le ponte = alle punte, alle cime (dei piedi).
43 zonti temo -- giunti siamo.
44 trn tcalzae = lancia calci.
46 tcomenzo = incomincio.
49 Mi sturn nmi' i-i confessar — Tra i crudeli supplizi dell'antichità mivi questo: Si faceva entrare il mal
fattore in una buca a capo in giù al modo che si usa nel propaginarc le viti: geltavasi poscia entro di quella
a poco a poco la terra per soffocarlo. Soleva spesso l'assassino, cosi Ulto, chiamare il confessore: allora i carne
fici restavano dal gettare la terra, e il frate abbassava il capo verso la buca por udire la confessione.
s
86 DELL INFERNO
I .o perfido assassin, che poi ch'è fitto, Scolta de l'assassin da lu chiamà 50
Richiama lui, per che la morte cessa. Per tardigar de la so morte el baio.
Ed ei gridò : Se' tu già costi ritto, Colù ha cigà: Xestu oramai ti qua,
Se' tu già costì ritto, Bonifazio ? Ti qua in pie, Bonifazio ? de più ani
Di parecchi anni mi mentì lo scritto. El pronostico donca m'ha inganà.
Se' tu sì tosto di quell'aver sazio, Oramai t' ha sazià quel che co ingani 55
Per lo qual non temesti tórre a inganno Ti ga ingrumà col trapolar la Chiesa
La bella Donna, e di poi farne strazio ? Per po impilarla tuta de malani?
Tal mi fec'io, quai son color che stanno, A sto discorso go tegnù sospesa
Per non intender ciò ch'è lor risposto, La mente, come chi no intende un cesto,
Quasi scornati, e risponder non sanno. E noi sa cossa dir ne la sorpresa. 60
Allor Virgilio disse : Dilli tosto, Me dise ci Mestro alora : Dighe presto :
.Nun son colui, non son colui che credi : No son quel che ti credi, no son quelo ;
Ed io risposi come a me fu imposto. E sta resposta in fati go rendesto ;
Per che lo spirto tutti storse i piedi : Drio la qual lu ga fato un molinelu
Poi sospirando, e con voce di pianto, Coi pie: po sospirando e inlin pianzendo, 65
Mi disse: Dunque che a me richiedi? Donca, el dise, da mi cossa de belo
Se di saper chi io sia ti cai cotanto, Ti cerchi ? se te va tanto premendo
Che tu abbi però la ripa scorsa, De saver chi son mi, che ti è perciò
Sappi ch'io fui vestito del gran manto : Da la riva calà in sto sito oreodo,
E veramente fui figliuol dell'orsa, Sapi che so sta Papa Nicolo 70
Cupido sì per avanzar gli orsattì, Orsin : da ingordo i bezzi go imborsai
Che su l'avere, e qui me misi in borsa. Per i mii, po imborsà mi qua me so.
Di soto al capo mio son gli altri tratti Qua soto a la mia testa \v ficai
Che precedetter me simoneggiando, I altri Papi impestai de simonia
Per la fessura della pietra piatti. Prima de mi, e in tei buso ben strucai. 75
Laggiù cascherò io altresì, quando Là cascare anca mi, quando che sia
Verrà colui ch'io credea che tu fossi, Vegnù quel per el qual t'ho tolto in falo,
Allor ch'io feci il subito dimando. Co te go fata la domanda mia.
Ma pi iì è '1 tempo già che i pie mi coesi, Ma in questo de tormento novo stalo,
E ch'io son stato così sottosopra, Quanto mi, Bonifazio noi starà 80
Ch'ei non starà piantato e coi pie rossi : A cusinarse i pie e a far da palo ;
Che dopo lui verrà di più laid'opra Che dopo d'elo, presto vegnerà
Di ver ponente un pastor senza legge, Da la Guascogna un Papa più brìcon,
Tal che convien che lui e me ricopra. Che Bonifazio e mi coverzirà.
51 Inrdigar =. ritardare.
52 \rsiu oramai li qua ee. = quegli elie dirige il discorso a Dante è Pupa Nicolo III, di casa Orsini, il
quale vedendo appunto Dante approssimarsi alla buca, lo credette Papa Bonifnzio Vili.
55 co . -- qui sta per con.
56 ingrumà — ammassato.
59 no intende un cesio = non -intende niente aflatto.
71 iirxin - Papa Nicolo fu, come si disse, di casa Orsini, la cui arma disegnava un'Orsa — bezzi =
danari.
7! Per i mii = cioè per li miei parenti = me no = mi Mmo.
78 Co = quando.
SI A cutinarsi- = a cuocersi.
82 un altro vignerà = alludesi a Papa Clemente V.
S4 'i-oro-ziro = coprirà.
CANTO XIX. 87
Nuovo lason sarà, di cui si legge Come dei Macabei nuovo Giason, 85
Ne' Maccabei : e com'a quel fu molle Nel re de Franza un altro Antioco presto
Suo re, così fia a lui chi Francia regge. L'averà cofà '1 primo massa bon.
lo non so s'i' mi fui qui troppo folle, Siben de pro speranza no abia avesto,
Ch' io pur risposi lui a questo metro : Darghe in resposta sto sermon m'invio :
Dch or mi di', quanto tesoro volle Dime de grazia, qual monea ha volesto 90
Nostro Signore in prima da San Pietro, Da l'Apostolo Piero el nostro Dio,
Che ponesse le chiavi in sua balia? Prima d'aver le chiave a lu fidà ?
Certo non chiese se non : Viemmi dietro. Solo ni ga dito : Piero, vienme di io.
Nè Pier nè gli altri chiesero a Mattia San Piero e i altri Apostoli no ga
Oro o argento, quando fu sortito Mai oro e arzento domandà a Malia, 95
Nel luogo che perdè l'anima ria. Co '1 xe al posto de Giuda in sorte entrà.
Però ti sta, che tu se' ben punito ; Sta condana qua donca ben te sia,
E guarda ben la mal tolta moneta, E strenzi i bezzi avudi, in to malora,
Ch'esser ti fece contra Carlo ardito. Per scazar Carlo da Sicilia via.
E se non fosse ch'ancor lo mi vieta E se no fusse che go adesso ancora 100
La reverenza delle somme chiavi, Rispeto grando per le chiave sante,
Che tu tenesti nella vita lieta, Che ti ha tegnue nel mondo là de sora,
l' userei parole ancor più gravi : Più te dirave aspre parole, e quante!
Che la vostra avarizia il mondo attrista, Che la vostra ingordisia el mondo impesta,
Calcando i buoni e sollevando i pravi. Pestando el bon e alzando su el birbante. 105
Di voi, Pastor, s'accorse il Vangelista, Per v uà 1 1 ri. papi, questo a dir me resta;
Quando colei, che siede sovra l'acque, Scoverlo ha '1 Vangelista in so rision
Puttaneggiar co' regi a lui fu vista : Prostituirse ai Re la Dona onesta,
Quella che con le sette teste nacque, Che lege soa la vanta e religion.
E dalle dieci corna ebbe argomento, Sin ch'el Pastor ga ai (i bon sentimento, ito
Fin che virtute al suo marito piacque. Anca la Chiesa ha avuo reputazion.
Fatto v'avete Dio d'oro e d'argento : Ve gavò fato un Dio d'oro e d'arzento :
E che altro è da voi all'idolatre, Qual tra rualtri e' 1 Pagan diversità
Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento ? Gh'è, via che uno elo adora e vualtri cento ?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, Quanto mal, Costantin, ga semenà, 115
Non la tua conversion, ma quella dote No la to conversion, ma propriamente
Che da te prese il primo ricco patre ! Quel don, che al primo Papa sior ti ha dà !
E mentre io gli cantava cotai note, Mentre che sta canzon Nicolo sente,
O ira o coscienza che '1 mordesse, O pentimento o rabia ch'el gavesse,
Forte spingeva con ambo le piote. Le gambe el trava maledetamente. 120
85-86 nova Giaton ece. = Viene paragonalo Papa Clemente a Giasone: Come a Giasonc fu pieghevole il
suo re Antioco, cosi sarà a Clemente Filippo il Bello re di Francia. Clemente infatti ottenne il Pontificato per
fivorc del re Filippo, ed egli ne lo ricambiò trasferendo la Sede Pontifìcia in Ariguene, e consentendo alla di
struzione dei Templari.
S7 co/o = come.
98 E iirenzi i bezzi - - e stringi i danari.
99 Per nazzar Carlo da Sicilia i-in — È corsa voce elic Giovanni da Precida desse danaro a Papa Nicolo
per avere aiuto nella congiura, che si ordiva contro i Francesi in Palermo e in tutta Sicilia, della quale era al
lora signore Carlo 1 d'Angiò. •
107 ha 'I Vangelista = qui è preso il concetto dall'Apocalisse di S. Giovanni Evangelista.
108 la Dona ouata - la Santa Chiesa.
115-117 Quanto mal Costumiu ece. — Alludesi al dono elic ai tempi del Poeta credeasi fa tto da Costan tino Ma
gno a Papa Silvestre quando si fece Cristiano; il qual Papa fu perciò il primo Pontefice ricco = tior = ricco.
DELL INFERM)
Io credo ben ch'ai mio Duca piacesse, Dal modo ch'el gavea le rechie messe
Con sì contenta labbia sempre attese Sempre in ascolto i-i Mestro, go credesto
Lo suon delle parole vere espresse. Che a lu le dite verità piasesse :
Però con ambo le braccia mi prese, Perciò brazzarne tutto el ga volesto,
F, poi die tutto su mi sYhhc al petto, E quando ben el me ga streto al peto, 125
Rimontò per la via onde discese; Per remontar la riva el s' ha moveste.
Nè si stancò d'avermi a sè ristretto, Nè '1 m' ha lassà, tegnindome ben streto,
Se mi portò sovra '1 colmo dell'arco, Se no quando su l'arco el m' ha portà,
Che dal quarto al quint'argine è tragetto. Che dal quarto xe al quinto arzar traghete.
Quivi soavemente spose il carco Qua el s'ha del caro peso descargà 130
Soave, per lo scoglio sconcio ed erto, Pianin sul ponte gropoloso e erto,
Che sarebbe alle capre duro varco. Che a montar su le cavre avria stentà.
Indi un altro vallon mi fu scoverto. Un'altra gran valada ho po scoverto.
CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di nova pena mi convien far versi, Dedica la mia Musa a nova pena
E dar materia al ventesimo canto Sto canto qua de la Canzon che canta
Della prima Canzon, ch' è de' sommersi. Sora la zente cht1 a l'inferno pena.
Io era già disposto tutto quanto La mia atenzion gaveva tuta quanta
A risguardar nello scoverto fondo, Da là in cima impegnada al basso fondo
Che si bagnava d'angoscioso pianto : Bagnà dal pianto tra l'angossa tanta.
E vidi gente per lo vallon tondo E go visto in quel quarto valon tondo,
Venir, tacendo e lagrimando, al passo Zita zita pianzendo vegnir zente
Che fanno le letane in questo mondo. Col passo, come in prossission al mondo
Come '1 viso mi scese in lor più basso, I usa. Co soto i m' è vegnui più arente, Ili
Mirabilmente apparve esser travolto Go visto, oli maravegia! che i gai èva
Ciascun dal mento al principio del casso : Per pena, testa e colo propriamente
Che dalle reni era tornato il volto, Voltà al roverso ; i ochi soi vedeva
"E indietro venir gli convenia, La schena soa, e i caminava iudrio,
Perchè'l veder dinanzi era lor tolto. Che vederse davanti no i podeva. 15
5 da là in cimo = cioè dalla sommità dell'arco, ove giunto era Dante: vedi in line del Cauto precedente.
CANTO XX. 89
Forse per forza già di parlasia Chi sa che qualchedun cossi servio
Si travolse così alcun del tutto, El sia sta da paratesi fatal,
Ma io noi vidi, nè credo che sia. Ma no l'ho visto, nè'l credo. Se a Dio
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto Piasa, letor, lassarle d'una tal
Di tua lezione, or pensa per te stesso, Lezion cavar el pro, pensa a dritura 20
Gnu" io potea tener lo viso asciutto, Come podeva no sentirme mal,
Quando la nostra imagine da presso Co a \ itin roversada la figura
Vidi sì torta, che '1 pianto degli occhi De l'omo ho visto, e dei soi oclti el pianto
Le natiche bagnava per lo fesso. Bagnarghe del da drio la spartiura.
Certo io piangea, poggiato ad un de' rocchi A una ponta de eroda mi pertanto 25
Del duro scoglio, sì che la mia Scorta l'nzl'i. pianzea cussi, ch'el mio Paron,
Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Anca li, el dise, sioco ti xe tanto ?
Qui vive la pietà quando è ben morta. Qua xe pietà no averghe compassion.
Chi è più scelerato di colui, Chi xe de quel più birbo tra i birbanti,
Ch'ai giudicio divin passion porta ? Che al castigo de Dio sente passion ? 30
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui Alza la testa, e varda a chi davanti
S'aperse, agli occhi de'Teban, la terra, Ai Tebani se ga averta la tera ;
Per che gridavan tutti: Dave mi, Che : O A n liamo, cigava tulti quanti,
Anfiarao ? perchè lasci la guerra ? Dove ti caschi zo ? perchè la guera
E non rostò di rumare a valle Ti abandoni ? ma in zo el destin lo mena 35
Fino a Minòs, che ciascheduno afferra. Là de Minosse ne la gran stallera.
Mira, e' ha fatto petto delle spalle : Vardilo ch'el fa peto de la schemi:
Perchè volle veder troppo davante, Perchè davanti massa el ga varilà,
Dirietro guarda, e fa ritroso calle. Vardar e andar ghe toca indrio per pena.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante, Tiresia è là ch'el viso ga muà, 40
Quando di maschio femmina direnne, E in femena da maschio el xe vegnuo
Cangiandosi le membra tutte quante ; Co i do bissi intorchiai lu ga vischià,
E prima poi ribatter le convenne Cambiando tutto quanto el corpo suo ;
Li duo serpenti avvolti colla verga, Po baterli da novo per tornar
Che riavesse le maschili penne. Maschio, ga co la vischia convegnuo. 45
Arante è quei, ch' al ventre gli s'atterga, Quel che ti vedi a la so panza star
Che nei monti di Limi, dove ronca Voltà in schemi, xe Armile, al qual ga piasso
16 COMI servio ••.-. detto ironicamente, e vale far mali uHhi o mali tratti ad altri.
19-20 d'una tal Lezion cavar el pro . - il profitto da cavarsene, cioè persuaderai clic il voler predire il fu
turo è vanita.
22 rovertada . rovesciata.
24 ilei da drio la tparliura = la fessura delle natiche.
25-26 A una pania de eroda = ad una punta di roccia. — Puzà . appoggiato.
30 patrion - qui sta per pena, dolor di cuore.
32 averla = aperta.
33 Anfiarao = uno dei sette re, clic assediarono Tebe. Era indovino, e prevedendo di dover morire sotto le
mura di quella citta, si nascose in luogo noto soltanto alla moglie sua, la quale inni tenne il segreto: perchè
egli fa condotto all'esercito, e nell'ardor della pugna, apertaglisi la terra sotto, rn ino sino all'inorno.
3» de .Vmone ne la gran stallera = Minosse giudice dell'lnferno: vedi C. V. v. 4 = slaliera = stadera.
38 maxìa —. troppo.
40 Tirata = altro indovino nativo di Tcbc. Costui percosse con uua verga due serpi e divenne femmina.
Uopo sette anni ritrovati i medesimi serpi, li ripercosse e tornò maschio. ~ muà mutato.
42 intuirllini -.- attortigliati =: vitchià — vergheggiato.
45 i•i.nhiu .-. bacchetta sottile ed elastica, verga.
47 Arante = famoso indovino toscano.
90 DELL INFERNO
Lo Carrarese che di sotto alberga, Viver de Luni ai monti, in dovè ano-
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca Fa el Cararese la so tera a basso,
Per sua dimora; onde a guardar le sielle Ne la grota tra i marmi bianchi e bei: 50
E '1 mar non gli era la veduta tronca. Da veder cielo e mar là el ga avu spasso.
E quella, che ricopre le mammelle, E culia, che i so peti coi cavei
Che tu non vedi, con le trecce sciolte, Di-in molai covre, e no ti poi vedèr,
E ha di là ogni pilosa pelle, E la ga a quela banda tuli i pei,
Manto fu, che cercò per terre molte; Xe Manto, che assae loghi dopo aver 55
Poscia si pose là dove nacq' io : Cercai, dove son nato s'ha fermà:
Onde un poco mi piace che m' ascolte. Perciò che ti me ascolti go piacer.
Posciache il padre suo di vita uscio, Morto so pare, quando la cità
E venne serva la città di Baco, De Baco in schiavitù vegnuda gera,
Questa gran tempo per lo mondo gio. In pezzo per nI mondo eia ha zirà. '60
Suso in Italia bella giace un laco De l'Alpe al pie nel' Italiana tera
Appie dell'alpe, che serra tamagna Ghe xe'l lago Benaco, che in voltar
Sovra Tiralii, ed ha nome Benaco. Sera el Tirolo, l'Alemagna sera.
Per mille fonti, credo, e più, si bagna, Tra Garda e Val Camonica bagnando
Tra Garda e Val Camonica, Pennino Vi™ l'Apenin un numero infinito 65
Dell'acqua, che nel detto lago stagna. De rieli, che in quel lago i va calando.
Luogo è nel mezzo là dove"l Trentino Se i ghe andasse, là in me/o ghe xe un sito
Pastore, e quel di Brescia, e 'i Veronese Dove de Bressa, Trento in comunion
Segnar potria, se fesse quel cammino. E de Verona, ha i Vescovi dirito.
Siede Peschiera, bello e forte arnese Drio la riva, che a quel fa cornison, 70
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, Ma in calar , ghe xe '1 forte de Peschiera,
Ove la riva intorno più discese. Contro Bergamo e Bressa bon bastion.
Ivi convien che tutto quanto caschi Là, sormontando l'aqua la riviera
Ciò che in grembo a Benaco star non può, Del lago, la straboca e se sparpagna
K fassi fiume giù pei verdi paschi. Su i piai : e po, corendo, una numera 75
Tosto che l'acqua a correr mette co, La va fando via via per la campagna :
Non più Benaco, ma Mincio si chiama Benaco el gera, Minchio el xe qua via
Fino a Governo, dove cade in Po. Chiamà sin a Governo ; e là la magna
Non molto ha corso, che trova una lama, El Po. I .' incontra, un poco ch 'el s" invia,
Nella qual si distende e la 'mpaluda, Un fondo basso assae, ch' elo impalua 80
CANTO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Mentre di sè e altrui narra le colpe Mentre nn col ganzo tira su per forza,
Un tratto fuori della pece a forza, Conta i fali dei altri, e dise ch'elo
E dice, com'ei fu maligna volpe ; Un trufador l'è sta de prima forza ;
Ogni dimenio a mal fargli si sforza; Tuti i demoni ghe fa impazzo a quelo ;
Ma egli due ne inganna Analmente, Ma da lu ne minchiona finalmente,
Sicchè fra lor la rabbia si rinforza, I quali tra de lori i fa un duelo,
E va nel lago la coppia dolente. E i casca in te la pegola bogente.
Sardegna, occupò i Giudicali di Logodoro e di CulIura, e li ritenne fino al 1249, epoca in cui passato a guer
reggiare in Italia, rimase prigioniero dei Bolognesi. Allora Michiel Zanche suo siniscalco, prese a governare in
nome di lui, finchè sposata Lanza Bianca madre di esso Enzo, della quale era stato drudo, colorili meglio i suoi
ambiziosi disegni, malmenò la provincia a suo talenio fino all'anno 1275 in cui fa ucciso a tradimento dal suo
nero Branca d'Uria genovese.
93 sgrafa = graffia.
95 Ribaltava - stralunava.
98 e! statario - - l'impaurilo.
102 m tenton - - siedulo = tulin - niffolo.
107 furbazzo - - qui vale per: furbo maligno.
103 che impianta — qual pretesto.
109 a sguazzo - - a profusione.
110 matit -- troppo.
112 Dà tu = sorge.
120 restia- = restio.
CANTO xxii. 404
Di che ciascun di colpo fu compunto, Resta ognun da quel tiro imatonìo,
Ma quei più, che cagion fu del difetto ; Ma più Alichina causa del mal : questo 125
Però si mosse, e gridò : Tu se' giunta. ( i lui svola iirili cigando: Ti xe mio;
Ma poco valse : che l'ale al sospetto Ma '1 fa fiasco, chi più de l'ale presto
Non potero avanzar: quegli andò sotto, Xe '1 spavento. El scampà s" ha ficà solo,
E quei drizzò, volando, suso il petto : L'altro xe svolà indi-io col smaco al cesto.
Non altrimenti l'anitra di botto, Cussi solo aqua l'anara de troto 130
Quando '1 falcon s'appressa, giù s'attuffa, Se lica, se '1 falcon se ghe avicina,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Che broà '1 torna in su straco dal moto.
Irato Calcabrina della buffa, Stizzà dal cogionelo, Calcabrina
Volando, dietro gli tenne, invaghito Gongolante ch'el furbo sia svignà,
Che quei campasse, per aver la zuffa. Svola per barufar contro Alichina: 135
E come '1 barattier fu disparito, Scomparso el barador, lu ga voltà
Così volse gli artigli al suo compagno, Le guzze ongiazze sora el compagnon, -
E fu con lui sovra '1 fosso ghermito. E sul fosso con elo el s'ha brincà;
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno Però quel altro xe sta belo e bon
Ad artigliar ben lui, ed ambedue De ben sgrinfarlo, e luti do tacai, 140
Cadder nel mezzo del bollente stagno. In mezo al gran bogior fa un tombolon.
Lo caldo sghermitor subito fue : Quel scotor li ga in bota destacai ;
Ma però di levarsi era niente, Ma no i podea da là cavarse fora,
Si avieno inviscate l'ale sue. Perchè i gera ne le ale impegolai.
Barbariccia con gli altri suoi dolente Barbarizza e quei altri se dolora; 145
Quattro ne fe volar dall'altra costa Quatro da l'altra riva svolar fava
Con tutti i rulìi, ed assai prestamente Con tutti i ganzi, e presto presto alora,
Di qua di là discesero alla posta : In quel sito calai, qua, là i andava
Porser gli uncini verso gl'impaniati, ' Sporzendoghe in agiuto i rampegoni
Ch'eran già cotti dentro dalla crosta : Ai do invischiai, che intanto i se lessava: 150
E noi lasciammo lor cosi 'mpacciati. E là imbrogiai lassemo quei demoni.
CANTO VENTESlMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
A passo a passo per la Bolgia sesta Va adasio adasio per la llolgia sesta
Degli lpocriti vaii l'anime vinte Dei lmporriti i spiriti dolenti,
Cui nuovo peso, ed eterno molesta. Che un peso novo li ha servii da festa.
Cappe di fuori a color d'oro tinte, Cape indorae de fora i ga lnsenti
Ma piombo dentro gravan loro il dosso, Ma drento via de piombo tute quante:
E il capo si ch'esser vorriano estinte, For de questo i voria tnti i tormenti;
Pria che si fatto incarco avere addosso. Tanto li afana l'abito pesante.
5 Lo favola d'Esopo = Raccontasi che una rana avendo in animo di annegare un topo, se lo recò sul dorso
dicendogli di volerlo portare di h'i da un fosso; ma mentre andavano per l'acqua un nibbio calatosi ratto sopra
di loro li divorò.
7 rlii ghe dà 'l tato -.• quegli che ne fu la prova, o che ne fa l'assaggio.
10 tal = suole.
14 minchionada --- burla.
17 i,ireIfinii — arrabbiati.
18 flit al lievro mola la denfada — che al lepre appiccica la dentata.
CANTO xxtn. 403
L'imagine di fuor tua non trarrei Le to forme retrar mi avria cussi,
Più tosto a me, che quella d'entro impetro. Come ho '1 to cuor in mi scolpir savesto :
Pur mo venieno i tuoi pensier tra' miei I to pensieri ho avui desso anca mi,
Con Minii atto e con simile faccia, E la paura toa istessamente,
Sì che d'entrambi un sol consiglio fei. E l'idea de scampar, che ti ha avù ti. 30
S'egli è che sì la destra costa giaccia, Se a drita l'arzar pende dolcemente,
Che noi possiam nell'altre bolgia scendere, In st'altra bolgia da poder calar,
Noi fuggirem Immaginata caccia. No ne farà più mal la bruta zente.
Già non compio di tal consiglio rendere, Noi ga gnanca finido de parlar,
Ch' io gli vidi venir con l'ali tese, " Che avicinarse ho visto la genia, 35
Non molto lungi, per volerne prendere. Per brincarne su nu pronta a svolar.
Lo Duca mio di subito mi prese, M' ha subito brazzà la Guida mia,
Come la madre ch'ai romore è desta, Come una mare dai cigor svegiada,
E vede presso a sè le fiamme accese, Che visto el fogo, che a vicin s'invia,
Che prende il figlio e fugge, e non s'arresta, Tol su '1 fio, al qual più che a sè stessa bada, 40
Avendo più di lui che di sè cura, Nè se ferma, e in scampar l'è tanto lesta,
Tanto che solo una camicia vesta. Che solo una camisa s'ha impirada.
E giù dal collo della ripa dura E dopo in schena per la dura cresta
Supin si diede alla pendente roccia, L'è sbrissà zo drio '1 pender de la riva,
Che l'un dei lati all'altra bolgia tura. Che sera un fianco a l'altra bolgia sesta. 45
Non corse mai sì tosto acqua per doccia Stada l'aqua xe mai tanto coriva
A volger ruota di muli u terragno, In mover roda d'un molin da tera,
Quand'ella più verso le pale approccia ; Quando alle pale arente più l'ariva ;
Come '1 Maestro mio per quel vivagno, Come el caro Dotor per la riviera,
Portandosene me sovra '1 suo petto, Quasi fio, e no compagno, me portava 50
Come suo figlio, e non come compagno. Sora el so peto. Apena al fosso el gera
Appena furo i pie suoi giunti al letto Rivà in fondo, e sul pian i pie el ptrzava,
Del fondo giù, ch'ei giunsero sul colle Ch'eli xe in cima a l'arzare spontai
Sovresso noi : ma non gli era sospetto ; Proprio su nu, ma più timor no i fava;
Che l'alta providenzia che lor volle Perchè Dio, dai custodi destinai 55
Porre ministri della fossa quinta, Sora la quinta bolgia, no voi sia
Poder di partira' indi a tutti tolle. I confini, che Lu ha segnà, passai.
Laggiù trovammo una gente dipinta, Zente depenta ochiemo là zo via,
Che giva intorno assai con lenti passi Che atorno andava fando un passo a l'ora
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta. Pianzendo, e la parea straca e a villa. (M)
Egli avean cappe con cappucci basai Cape i ga coi capuzzi ai uchi sora,
Dinanzi agli occhi, fatte della taglia Sagomae come quele che i frati ma
Che per li monaci in Cotogna fassi. De Cotogna, e indorae tanto defora,
66 Ferigo = Ai rei di lesa maestà Federigo II. faceva porre addosso una gran veste di piombo, e cosi ve
stiti li faceva mettere in. un
__ gran vaso di fuoco --. pagia stima - - paglia vuota.
77 cupa in bota ---.- grida subito.
84 Tardigar = ritardare.
85 col pegio = con cipiglio, guardatura bieca.
86 nrfìnr =s fiatare.
92 fragia - compagnia.
97 «o = siete.
100 zali = gialli.
CANTO XXIIf. 105
Fan così cigolar le lor bilance. Che a chi li porta fa cigar oime.
Frati Godenti fummo, e Bolognesi, Frati Godenti bolognesi stai
Io Catalano, e costui Loderingo Smini ; mi Calalan chiamà, e questo
Nomati, e da tua terra insieme presi, Lodringo, al lo paese destinai, 1 05
Come suoi esser tolto un uom solingo Com'è l'uso, ai partii nu strani, in sesto
Per conservar sua pace ; e fummo tali, A mantegnir la pase; e dei segnali
Ch'ancor si pare intorno dal Gardingo. De nu al Gardingo ghe n'è ancora un resto.
Io cominciai: O frati, i vostri mali Mi scomenzava : Frati, i vostri mali
Ma più non dissi; che agli ochi mi corse Ma n'ho dito de più; che i ochi porto 110
Un crocelìsso in terra con tre pali. S'un omo in lera in erose con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse, Co quel m' ha visto, el s' ha luto contorto
Soffiando nella barba co' sospiri. Supiando in tei barbon tra '1 sospirar.
E '1 frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, El frate Catalon, che se ga incorto :
Mi disse: Quel confitto, che tu miri, Caifasso è quelo che ti sta a vardar, 115
Consigliò i Farisei, che convenia Dise, che i Farisei 1° ha consegià
Porre un uom per lo popolo a' martiri. Un omo per el ben sacrificar
Attraversato e nudo è per la via, Del popolo. Nuo in strada calpestà,
Come tu vedi, ed è mestier eh" e' senta Come ti vedi, el peso dei passanti
Qualunque passa com'ei pesa pria : Prima el ga da sentir là destirà. 120
E a tal modo il suocero si stenta Cossi pena in sta fossa in mezzo ai pianti
In questa fossa, e gli altri del concilio, So missier Ana, e i altri del compioto,
Che fu per li Giudei mala sementa. Che ga portà ai Giudei dei mali tanti.
Allor vid'io maravigliar Virgilio Virgilio de stupor l' ha fato un moto
Sopra colui ch'era disteso in croce Per quella crocifissa creatura, 125
Tanto vilmente nell'eterno esilio. Che in eterno avilia la sta là soto. .
Poscia drizzò al frate cotal voce : Dopo el ga al frate domandà a dritura :
Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci Se ve piase e podè, disene mo
S'alia man destra giace alcuna foce, Se a drita ghe xe qualche avertaura,
Onde noi ambedue possiamo uscirci Tanto che nu podemo tuti do 1 30
Senza costrìnger degli angeli neri, Da qua andar fora senza che obligar
Che vegnan d'esto'fondo a dipartirei. S'abia i demoni a compagnarne zo.
Rispose adunque: Più che tu non speri lì' he più a vicin che no ti poi sperar,
103 l'uni Godenti — frati di un ardine cavalieresco istituito per combattere contro gli infedeli e i violulori
della giustizia. Il loro nome era di frati di S. Maria, ma furono dal popolo soprannominati Godenti, perchè con-
ducevano vita molto agiata.
104-105 Calalan - < Catalano dei Malavolti di parte guelfa = Lodringo -- o Roderico degli Andalo di parte
Ghibellina, entrambe bolognesi, eletti podestà di Firenze nel 1266.
106-108 ai partii nu nfrani' = ai partiti noi estranei. Venivano eletti a podestà persone forestiere non vin
colate da nessun rapporto nella città per mettere l'ordine. Quando questi due frati ebbero in mano il governo
della città, si manifestò la loro ipocrisia, poichè corrotti dai Guelfi, turbarono la pace cacciando e perseguitan
do i Ghibellini e ardendo le loro case e segnatamente quelle degli liberti che erano nel Gardingo; del qual no
me si chiamava una contrada presso Palano Vecchio, dove è stata la Dogana lino al nostri giorni. :- in iato
— in buon ordine.
115 Caifatto = elie mascherò coll'umor del pubblico bene il suo odio contro Gesù Cristo: e u buon dritto
ba Ira gli ipocriti quello stesso supplizio di che fa cagione all'innocente oppresso.
122-123 Ho mister Ana - Anna sacerdote, suocero di Caifasso = compialo = combricola, compagnia o con-
venazione di gente che consulti insieme di far male. a» La morte di Cristo decisa in concilio portò lo tlcrminio
dei Giudei, e la distruzione di Gerusalemme per opera di Tilo.
128 mo = particella riempitiva.
129 ava-laura = apertura, fesso.
-106 DELL IIVFEKNO
S'appressa un sasso, che dalla gran cerchia Responde, un ponte che tutti i valoni
Si muove, e varca tutti i valimi feri, Va, partindo dal cerchio, a traversar, 135
Salvo ch'a questo e rotto, e noi coperchia : Via che a sta fossa el xe tuto a boconi :
Montar potrete su per la ruina, Perciò è scoverta ; podere andar su
Che giace in costa e nel fondo soperchia. Là zo per rovinazzi e per sassoni.
Lo Duca stette un poco a testa china ; Ga'l Mestro el viso basso un fià tegnù,
Poi disse : Mal contava la bisogna Po '1 disii : Donca chi i danai là via 140
Colui che i pecator di là uncina. Rampina, ri ha inganà. E'1 frate a lu :
E'1 frate: l'udi' già dire a Bologna A Bologna mi questa go sentia,
Del diavol vizi assai, tra' quali udi' Che pien de vizi è '1 diavolo, e tra tanti
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna. Lu falso, pare el xe de la busia.
Appresso, il Duca a gran passi sen gì, Dopo el Mestro a gran passi el xe andà avanti, 1 i.'i
Turbato un poco d'ira nel sembiante : Mostrando un poco el viso indespetio :
Ondlo dagl'incarcati mi parti' E lassai quei dai abiti pesanti
Dietro alle poste delle care piante. Ai passi ho tegnù drio del Mestro mio.
CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Gio per lo dosso scosceso e dirotto Calando da una eroda a passo a passo,
D'un aspro sasso, dalla Bolgia sesta Sola strada che a stento a iar ghe giova,
Scendon li duo Poeti più di sotto. De la setima Bolgia i zonze a basso.
Di Olanni l'ucci lo caso gli arresta, Giani Fuci in quel sito a caso i trova
Che ivi tra ladri fra le serpi giace ; Coi ladri tra i serpenti, e là sbasìo,
E cener fatto, di nuovo nx desta, Da cenere tornando a vita nova,
E conosciuto, nue. colpe non tace. Col dir su i so pecai el ga flnio.
1 o là là intorno — circa.
4 troia = brina.
C da là tot fià = da II a un momento.
CANTO xxiv. 407
Biancheggiar tutta, ond'ei si batte l'anca; Batendose in ti fianchi se lamenta :
Ritorna a casa, e qua e là si lagna, Tornà in casa, qua e là va indespetio, 10
Come'l lapin che non sa che si faccia; Com'uno che no sa quel ch' el se fa.
Poi rinlr, e la speranza ringavagna, Da là poco da novo po sortio,
Veggendo '1 mondo aver cangiata faccia La speranza, in vedèr tuto cambià
In poco d'ora, e prende suo vincastro, Ghe torna al cuor ; e tolta la bachela,
E fuor le pecorelle a pascer caccia : Para fora le piegore sul pra : 15
Così mi fece sbigottir lo Mastro, Cossi m' ho sbigotio, a dirla schieta,
Onand" io gli vidi sì turbar la fronte, Quando ho visto al Dotor scurirsi- el fronte ;
E così tosto al mal giunse lo 'mpiastro : Ma go trovà al mio mal pronta riceta :
Che come noi venimmo al guasto ponte, Che co scimi arivai al roto ponte,
Lo Duca a me si volse con quel piglio La mia Guida me varila dolcemente 20
Dolce, ch' io ridi in prima a pie del monte. Come la prima volta a pie del monte.
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio Dopo fermà '1 pensier ne la so mente,
Eletto seco, riguardando prima I rovinazzi prima ben vardando,
Ben la ruma, e diedemi di piglio. Me chiapa tra i so brazzi bravamente.
E come quei che adopera ed ìstima, E come chi un imbrogio sta osservando 25
Che sempre par che innanzi si provveggia ; Davanti a quel ch'el fa, e ghe provede;
Così, levando me su ver la cima D'una eroda cussi '1 me va levando
I)' un ronchione, avvisava un' altra scheggia, Su in cima, e el dise, insin che sporzer vede
Dicendo : Sopra quella poi t" aggrappa ; Un altra ponla: Brinchela, ma avanti
Ma tenta pria se è tal, ch' ella ti reggia. Varda ben se al to peso no la cede. 30
Non era via da vestito di cappa, Noi gcra un viai per abiti pesanti,
Che noi appena, ei lieve, ed io sospinto, Se lu leziero e mi a spentoni, a stento
Poteram su montar di chiappa in chiappa. S" andava su de eroda in eroda avanti.
E se non fosse, che da quel precinto. E se più curto l'arzare de drento
Più che dall'altro, era la costa corta, Noi fusse sta de l'altro, mi durà 35
Non io di lui, ma io sarei ben vinto. No avaria, no so lu, in quel cimento.
Ma perchè Malebolge in ver la porta Ma perchè Malebolge in pender va
Del bassissimo pozzo tutta pende, Tuta verso el gran pozzo molto basso ;
Lo sito di ciascuna valle porta, Fata è in modo ogni vale, che in su sta
Che l'ima costa surge e l'altra scende : Un arzare, e in zo l'altro. Tra sto amasse 40
Noi pur venimmo alfine in su la punta Tant' e tanto andar su se se inzegnava
Onde l'ultima pietra si scoscende. Proprio in dove sporzea l'ultimo sasso.
La Iena m' era del polmon sì munta Tanto el fià nei polmoni me mancava
Quando fui su, ch'io non potea più oltre, Co son sta in su, che no podeva arfiar ;
Anzi mi assisi nella prima giunta. E subito là zonto me sentava. 45
Omai convien che tu così ti spoltre, Via mo, no star qua fermo a poltronar,
47 nizioi — lenzuolo.
49-50 «razzar fune contento La vita sr fosse disposto dissipare la propria esistenza.
55 State pia longa = la salita del Purgatorio, per veder Beatrice.
59 m tòta = subito.
63 E intrigaxo che mai sz e quanto mai difficile.
66 L'osava a forte = vociava forte. — co =: con.
79 Dal cao del ponte = dalla estremità del ponte.
83 d'ogni raton = d'ogni specie.
84 giazxor = agghiacciare.
CAUTO XXTV.
Più non si vanti Libia con sua rena ; Lassa col to sabion, Libia, la boria: 85
Che, se chelidri, iaculi e farce Chè se ti dà chelidri, anfesiben,
Produce, e ceneri con anfesibena ; Farce, giaculi e ceneri; mai la gloria
Nè lante pestilenzie, nè si rce Ti ha avù de tante bestie col x clon,
Mostrò giammai con tutta l' Etiopia, Nè cussi liriT con l'Etiopia intiera,
Nè con ciò che di sopra il mar Bosso ce. Nè con quel che 1" Egito in elo tien. 90
Tra questa cruda e tristissima copia ln uiivii a ste bestiazze aneme gera
Correvan genti nude e spaventate, Nue tute, che coma spaventae;
Senza sperar pertugio o eutropia. E un buso, o eutropìa eie no spera.
Con serpi le man dietro avean legate ; Gavea le bisse a quei le man ligae
Quelle ficcavan per le ren la coda Co la so eoa in schiena e co la testa, 95
E'1 capo, ed' eran dinanzi aggroppate. E a le panze le gera intorcolae.
Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda, Eco su un che a la nostra banda resta,
S'avventò un serpente, ch'1 trafisse S' ha sianzà un bisso, e lo ferisse lì,
Là dove il collo alle spalle s'annoda. Dove le spale al colo se ghe inesta.
Né O A tosto mai, nè l si scrisse, L'O tanto presto t'ha mai cerito o l'l, 100
Gom' ei s'accese e arse, e cener tutto Come quel s' ha impizza, l' è arso ; e fato
Convenne che cascando divenisse : Cenere tuto, el xe cascà cussi.
E poi che fu a terra sì distrutto, Po quando in tera l' è restà desfato,
Le cener si raccolse per sè stessa, La cenere eia sola se ingrumava,
E in quel medesmo ritornò di butto : E in quel ch' el gera, a vista s' ha refato. 105
Così per li gran savi si confessa, l." istesso, come i Savi assicurava,
Che la Fenice muore e poi rinasce, Mor la Fenice, che revive ancora
Quando al cinquecentesimo anno appressa. Dopo ani cinquecento. Nè de biava,
Erba nè biada in sua vita non pasce, Nè d'erba qualsesia la se restora,
Ma sol d'incenso lagrime e d'amomo; Ma de giozze d'incenso e amo mo sol, 11O
E nardo e mirra son l'ultime fasce. E nardo e mira da morbido odora.
E qua1 è quei che cade, e non sa como, Come chi ha fato, e '1 modo dir noi poi,
Per forza di demon eiìa terra il tira, Col demonio in tei corpo un tombolon,
O d'altra oppilazion, che lega l'uomo, O i sentimenti se altro mal ghe tol,
Quando si leva, che intorno si mira, Levà da tera, i ochi in confusion 115
Tutto smarrito dalla grande angoscia Zirando, da l'angossa tramortio,
Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira ; Varda atorno, po '1 mola un sospiron ;
Tale era il peccator levato poscia. Cossi s'ha alzà quel pecator smario.
85 Libia ••. Libia chiamatasi dai Greci quella parte del monilo clic i Rumimi poscia chiamarono Africa.
i'li strssi Romani conservarono il nome di Libia n quel paese arenoso dell'Africa ehe giace al Ponente dell'l Vii.
'" e che oggi è detto: Deserto di Bcrilon. Di questa Libia ilei Romani ne parla il Pocta.
86 CAr/iVr/, Anfesiben ecc. — varie specie di serpenti.
80 Etiopia =: altra provincia dell'Africa.
93 eutropia •• dal volgo in antico credevasi che la pietra verde con macchie rosse chiamata Eutropia,
avesse virtù di rendere invisibile chi la portava indosso.
96 niforco/ne — attortigliale.
101 •' lui impizzà —MI': acceso.
104 te ingrvmara = si ammncchiava.
106 i Savi :-• della Fenice parlano Pomponio, Tacito, Plinto, Claudiano, Brunetto Latini ed altri, che. suno
forse i Savi, cui ebbe in mente il Pocta.
H2-113 Come chi Ha faia ec. = come l'ossesso indemoniato fece il capitombolo,
DELL' INFERNO
O giustizia di Dio quant' è severa, Oh quanto nei castighi xe severa
Che cotai colpi per vendetta croscia ! La giustizia teribile de Dio ! 120
Lo Duca il dimandò poi chi egli era : Ga domandà po' 1 Mestro chi ch' el gera ;
Perch'ei rispose: l' piovvi di Toscana, E lu responde : Da Toscana vegno,
Poco tempo è, in questa gola fera. E da poco danà so in sta galera.
Vita bestiai mi piacque, e non umana, Vita ho menà bestiai senza retegno ;
Si come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci Son Vani Fuci bestia; chiamà son 125
Bestia, e Pistola mi fu degna tana. Mulo, e Pistogia m'ha dà'l cuzzo degno.
E io al Duca : Dilli che non mucci, Mi al Mestro : Che noi scampa di' al bricon,
E dimanda qual colpa quaggid '1 pinse; E fate dir per cossa el xe in sto sito,
( '.li' io '1 vidi uom già di sangue e di corrucci. Se l'ho visto de stilo gran campion.
E il peccator, che intese, non s' infinse, Quel danà che ha sentio quanto mi ho dito , 139
Ma drizzò verso me l'animo e '1 volto, Vergognoso a dritura s'ha voltà
E di trista vergogna si dipinse; Da mi, ma col rabiezzo in fronte scrito.
Poi disse : Più mi duol che tu m' hai collo Po'l dise: Che ti m'abi qua trovà
Nella miseria, dove tu mi vedi, In sta miseria, più me fa penar
Che quand' i' fui dell' altra vita tolto. Che quando a l'altro mondo i m'ha impicà. 135
l' non posso negar quel che tu chiedi : Quel che ti voi, no posso a ti negar:
In giù son messo tanto, perch'io fui Qua son danà perchè a la sacrestia
Ladro alla sagrestia de' belli arredi; I paramenti bei so andà a robar,
E falsamente già fu apposto altrui. E a un altro è sta imputà la colpa mia.
Ma perchè di tal vista tu non godi, Ma a ciò no ti abi gusto del tormento 1*0
Se mai sarai di fuor de' luoghi bui, Qua visto, se ti torni là su via,
Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi. A quanto son per dir sta ben atento :
Pistola in pria di Neri si dimagra, I negri da Pistogia descazzai,
Poi Firenze rinnova genti e modi. Va a Firenze, che quel so regimento
Tragge Marte vapor di vai di Magra, Renova. Marte i fulmini stanzai ti."i
Ch' è di torbidi nuvoli involuto, De guera da Valmagra in quantità ;
E con tempesta impetuosa ed agra Minazzando teribili che mai,
123 to = sono.
125 Son Foni Fuci Vanni Facci fu bastarda di Messcr Faccio de' Lazzari nobile Pistojese; perciò è qui
nominato mulo.
126 el cuzzo - il covile, e sta in relazione al titolo di bestia attribuitosi da Vanni Fucci.
128-129 = m ito tilo -- cioè tra i ladri, e non tra i violenti, se Dante lo conobbe sanguinino.
132 rattezza = rabbiosa stizza.
137-139 Qua son danà ee. --. Vanni Facci della Dolce, Vanni della Monna, e Vanni Mironne Pistoiesi, si
unirono per rubare il tesoro di S. Jacopo; tentarono difatti il gran furto, ma non successe loro pienamente, fu
gati da qualche mmore che intesero. La giustizia fece arrestare diversi come sospetti del delitto, e tra gli altri
un Rampino di Ranuccio che fu preso a perderne il capo. Finamente preso Vanni della Monna, confessò la ve
rità del fatto e i suoi compiici. Ciò avvenne nel 1203. La sjcristia di S. Jacopo di Pistoja, dove si custodivano
i preziosi, era chiamata il Tesoro. — to anda — sono andato.
143 / Negri da Pistoia = La narrazione che fa FIUTI ha la forma profetica. La divisione di Pistoja in
Bianchi e in Neri avvenne nel 1300, e nel 1301 i Bianchi Pistojesi coll'ajnto dei Bianchi Fiorentini cacciarono
dalla cillà i Neri, i quali rifugiatisi in Firenze '-t' accostatisi alla parte Nera, fecero si che questa prevalesse alla
Rianca, e venuta al potere cambiò nella Repubblica modi di governo e governanti. Allora i IVeri Fiorentini de
liberarono di muover le armi contro Pistoja dominata du parte Bianca e per maggior sicurezza si collegarono
con Lucra, eletto capitano dell'impresa Maroello Malaspina, marchese di Giovagallo in Lunigiana; il quale mos-
sossi, venne a por l'assedio a Seravalle, castello importante dei Pistojesi. Questi veduto il pericolo che gli mi
nacciava, misero insieme quanta più gente poterono, e aiuIarmi» contro i nemici. Ma il llulaspina sentito l'av
vicinarsi dei Bianchi, usci loro addosso con grandissimo impeto e gli sconfisse inferamente nel piano che è tra
Seravalle e Monti-catini, che è campagna Pesciatina chiamata dal Poeta Campo Piceno. Alla battaglia, che, se
condo le storie Pistojesi. avvenne nel 1302, seguitò la resa di Scravalle, la dedizione di Pistoju, e la rovina in
generale di parte Bianca. Questo è l'avvenimento che sotto forma allegorica vaticina a Dante il ladro Fucci.
CANTO XXV. ili
Sopra Campo Picen fia combattuto : Sora Campo-Picen i piomberà ;
Ond'ei repente spezzerà la nebbia, E su i Bianchi sfogando el so furor,
Sì ch'ogni Bianco ne sarà feruto : Tuli in t'un lampo li sterminerà: 150
E delto l' ho, perchè doler len debbia. Questo a ti digo a ciò "i te brusa el cuor.
CANTO VENTESlMOQUlNTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Ecco di serpi cinto si martira Revoltolà dai bissi cha desio
Caco ladron con quelli della Retta. Fa de lu, el ladro Caco a compagnia.
Che costaggiù de' suoi furti sospira. Dei latrocini soi qua paga el ilo.
E pili ferisce divina vendetta ; Ma acio più ancora el ciel vendici sia,
Ch'or nuov'nomo, ed or fera divenuta, Mua'l bisso in omo, e l'omo in un serpente.
Costi sen va la gente maledetta, La maledetii va ladra genia:
E spesso l'un nell'altro sì tramuta. E un nel' nitro cambiar spesso ae sente.
E con gli anterior le braccia prese; Quei davanti ai so brazzi intorno zira,
Poi gli addentò e l'ima e l'altra guancia : E coi denti i ga '1 viso morsegà.
Gli diretani alle cosce distese, Quei da drio pe* le cosse li destira, 55
E miseli la coda tr'ambedue, E tra de queste la so coa passada,
E dietro per le ren su la ritese. Drita su per la schena la ritira.
Ellera abbarbicata mai non fue Su un alboro s' ha mai cussi tacada
Ad alber sì, come l'orribil fiera L'elera, come quela orenda fiera
Per l'altrui membra avviticchiò le sue : ln tei corpo de l'omo s'ha incastrada. 60
Poi s'appiccar, come di calda cera Po s' ha i acni, come de calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore ; Fusse, i do corpi ,e s'ha missià "1 color
Vi' l'un nè l'altro già parca quel ch'era : Da no saver l'un l'altro qual ch'el gera;
Come procede innanzi dall'ardore Come la tenta scura tra '1 brusor
Per lo papiro suso un color bruno, De la carta va su, ma no la xe 65
Che non è nero ancora, e il bianco muore. v/L'i'.i ancora vegnua, ch'el bianco mor.
Gli altri duo riguardavano, e ciascuno l altri do varda, e i ciga insieme: Oimè!
Gridava: O me, Agnel, come ti muti! Aiizolo, se ti mui ! varda per dia,
Vedi che già non se' nè duo nè uno. Desso nè un, nè gnanca do ti xe.
Già eran li duo capi un divenuti, De do leste una sola comparia, 70
Quando n'apparver duo figure miste Quando, i corpi insembrai, magicamente
In una faccia, ov'eran duo perduti. Dai so do musi un muso sol sorlia.
Fersi le braccia duo di quattro liste ; Do tochi i brazzi umani, e del serpente
Le cosce colle gambe, il ventre e il casso l pie licii ; cosse, gambe, panza e tuto
Divenner membra che non fur mai viste. Ga tolto forme che vien gnanca in mente. 75
Ogni primaio aspetto ivi era casso : E1 primo aspeto in lori s' ha destruto :
Due e nessun l'imagine perversa Nissun dei do gavea figura schieta;
Parca, e tal sen gia con lento passo. Cussi adasio va via quel mostro bruto.
Come '1 ramarro, sotto la gran fersa Com'el langur, co el Sol d'istà più '1 peta,
De' dì canicular, cangiando siepe, Cambiando ciesa, s'el traversa mai 80
Folgore pare, se la via attraversa : E1 stradon, sbrissa via che par saela ;
Cosi parea, venendo verso l'epe Tal qual un serpentin negro che mai,
Degli altri due, un serpentello acceso, Cofà '1 pevere e smorto, e sgionfo d'ira
Livido e nero come gran di pepe. Contro le panze el va dei do restai.
E quella parte, donde prima è preso Sora un de lori in furia el colpo tira 85
Nostro alimento, all'un di lor trafisse; Al bonigolo, e là lo ga sbasto ;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso. Po cascà, a lu davanti el se destira.
55 owae = coscie.
58 tacada — attaccata.
6! mitriti — mescolalo.
64 la (mia = la tinta.
68 Anzolo - è questi Agnolo Brunelleschi uno dei tre di cui la nota 35.
'1 immurni = mescolati.
73 Do tochi .. due pezzi.
79 langur = è il lucertonc verde- chiaro conosciuto a Venezia e dintorni sotto il nome di leguro o languro
(umano) = co = quando = pela — percuote.
SO ciaa =: siepe.
81 tbrùta .- termine usato per esprimere la velocita del correre .. . tbrinar — sdrucciolare.
82.83 un terpentfn — qnesto è il trasformato Francesco Guercio Cavalcanti, come si dira all'ultimo verso
«l Canto. - Co/a = come.
86 ni bmigolo = all'ombelico = lo ga tbasìa = lo freddò.
8
.-
1 14 DELL' IM'ER.AO
Lo Ir:i li! i n il mirò, ma nulla disse: Senza parlar lo ga vardà el ferio :
Anzi co' pie fermati sbadigliava, Anzi restando in pie el sbadagiava,
Pur come sonno o febbre l'assalfsse. Come da sono o freve inseminio. 90
Egli il serpente, e quei lui riguardava : EI serpente e quel altro i se vardava:
L'un per la piaga, e l'altro per la bocca Un per la boea, e un da la feria
Fumavan forte, e il fumo s'incontrava. Gran fumo i manda, e i fumi s'incontrava.
Taccia Lucano omai, là dove tocca Che Lucania parlar noi vegna via
Del misero Sabello e di Nassidio, Del povero Sabelo e de Nassidio, U5
E attenda a udir quel ch'or si scocca. Ma qua '1 staga ascoltar la storia mia.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio : Tasa de Cadmo e de Arelusa Ovidio;
Che se quello in serpente, e quella in fonte Che se quexla in t'un rio, quelo in serpente
Converte poetando, io non l'invidio : Poetizando el cambia, no lo invidio :
Che duo nature mai a fronte a fronte Che do nature a fazza a fazza arente 100
Non trasmutò, sì ch'ambedue le forme Noi ga cossi urna, che la so forma
A cambiar lor materie fosser pronte. Scambiasse e la natura prontamente.
Insieme si risposero a tal norme, Le- ligure se cambia con sta norma:
Che il serpente la coda in forca fesse, La eoa del bisso in longo s' ha spacà,
E il feruto ristrinse insieme l'orin?. E i pie de l'omo in eoa i se trasforma : 105
Le gambe con le cosce seco stesse Gambe e cosse tra d'eie s' ha incastrà
S'appiccar si, che in poco la giuntura In modo, che sparia la spartiura,
Non facea segno alcun che si paresse. In t'un sol loco le se ga mostrà.
Togliea la coda fessa la figura, La eoa spartia ga tolta la figura
Che si perdeva là, e la sua pelle Dei pie, che l'omo avea: morbia oramai 1 IO
Si facea molle, e quella di là dura. Se fa la pele al bisso, e a l'omo dura.
I' vidi entrar le braccia per l'ascelle, I brazzi ne le assele s' ha internai,
E i duo pie della fiera ch'eran corti, E i do pie curii al bisso inviperio
Tanto allungar quanto accorciavan quelle. S' ha stongà quanto i brazzi s' ha scurtai.
Poscia li pie diretro insieme attorti, Po insieme intorcoladi i pie da drio, 115
Diventaron lo membro che riunii cela, Quelo che l'omo sconde va formando,
E il misero del suo n'avea duo porti. E quel de l'omo in do se ga spartio.
Mentre che '1 fumo l'uno e l'altro vela Sin ch'el fumo li involze, novo dando
Di color nuovo, e genera il pel suso I miin color al bisso e viceverso,
Per l'una parte, e dall'altra il dipela, E a quel dà el pelo, a questo el va cavando; 120
L'un si levò, e l'altro cadde giuso, Un s'alza, casca l'altro zo a roverso:
Non torcendo però le lucerne empie, Ma resta i ochi orendi per vardar
Sotto le quai ciascun cambiava imi -n. Dal primo a vegnir su muso diverso.
--
CANTO XXV. i 15
Quel ch'era dritto il trasse io ver le tempie, Quel levà in pie a le tempie lo fa andar,
E di troppa materia che in là venne, E la materia che da questo avanza, 1 25
Uscir gli orecchi delle gote scempie : Le recide in fora la ghe va a formar :
Ciò che non corse in dietro, e si ritenne, Con quanto de più ancora soravanza,
Di quel soverchio fe naso alla faccia, Se fa '1 naso che in mezo al viso staga,
E le labbra ingrossò quanto convenne. E i do lavri ingrossai ben abastanza.
Quel che giaceva, il muso innanzi caccia, Quel butà, fa ch'el muso avanti vaga, 130
E gli orecchi ritira per la testa, E '1 ritira le rechie come fa
Come face le corna la lumàccia : Nel ritirar i corni la lumaga;
E la lingua, ch'aveva unita e presta E la lengua che lesta ga parlà,
Prima a parlar, si fende, e la forcuta Se spaca in do ; del bisso la forcua
Nell'altro si richiude, e il fumo resta. Se zonta, e dopo el fumo s'ha sfantà. 135
L'anima, ch'era fiera divenuta, L'anema che in serpente xe vegnua,
Si fugge sufolando per la valle, Scampa per la valada via fischiando,
E l'altro dietro a lui parlando sputa. E l'altro civili de lu parlando spua.
Poscia gli volse le novelle spalle, Dopo le nove spale a quel voltando,
E disse all'altro : l' vo' che Buoso corra, Ghe dise al terro : Vói che Buoso mo, 140
Com'ho fatt'io, carpon per questo calle. Come mi ho fato, cor'a qua strissando.
Così vid'io la settima zavorra Cossi go visto a far la m ua là zo
Mutare e trasmutare ; e qui mi scusi De la setima bolgia la genia :
La novità, se fior la penna aborra. Me scusa el caso se stongà me so.
Ed avvegnachè gli occhi miei confusi Siben i ochi confusi e sbalordia 145
Fossero alquanto, e l'animo smagato. L'anema avesse, tanto go possù
>on poter quei fuggirsi tanto chiusi, Katìgurar Puchio Sciancato, o sia
Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato : Quelo solo dei tre ch'era vegnù
Ed era quei che sol de' tre compagni, Avanti in compagnia, e quelo sol,
Che venner prima, non era mutato : Che de patir el cambio noi ga avù. 150
L'altro era quel che tu, Gaville, piagni. L'altro è quel per el qual, Gavil, te dol.
130 quel bnlà . quello disteso, cioè l'uomo clic ilivenU serpente.
135 Se zonta = si congiunge = a' ha sfanta r= dileguossi.
138 '/"i" = spula
no òhe dise al terzo = cioè a quello ehe non erasi ancora trasformalo, rd e Puccio Sciancalo, uno dui
Us di cui la nota 35. .,,iii• particella riempiti».
144 ae slonga me so = se mi sono dilungalo (nel trallare tale subbietto).
151 L'altro è quel . colui clic sotlo forma di serpente feri Buoso nel bellico. Questi e messcr Francesco
Cavalcanti fiorentino ucciso in una terra di Val d'Arno detta Gaville, molti de' cui abitanti vennero poi nccisi per
veadetla della morie del Cavalcatili: vedi nota al v. 82.
116
CANTO VENTESlMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Chi fraudolento altrui porge consiglio Chi co ingano el ronsegio ai altri di,
La giù sen vola nella fossa ottava, Zo ne Potava Bolgia ghe convieu
A cui fiamma novella di di pìglio: ln un fogo restar revoltola.
E il fascia si, che d'essa non si cava Ogni n'ama un dana .eia se tien
Eternamente; ed ogni fiamma un prende; Eternamente, via che una sen veds
Salvo che insieme nella fiera cava Do tegnirsene streti in tei so sen;
Ulisse con Diomede un foco accende. E questi do 'xe Ulisse con Diomede.
Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, Sta alegra, o gran Firenze, e te consola
Che per mare e per terra halti l'ali, Che xe pien del to nome el mar, la tera,
E per lo lnferno il tuo nome si spande. E per l'inferno la to fama svola.
Tra li ladron trovai cinque cotali Cinque tra i ladri, che l'inferno sera,
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna, Dei citadini toi me xe dà fora :
E tu in grande onranza non ne sali. Go mi vergogna, ma ti onor no spera.
Ma se presso al mattin del ver si sogna, Ma se '1 vero se sogna in su l'aurora,
Tu sentirai di qua da picciol tempo Presto el malan ti sentirà qual sia,
Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna. Che Prato e altre cità t'augura ogn'ora.
E se già fosse, non saria per tempo. E se sta '1 fusse, intardigà l'avria : 10
Cosi foss'ei, da che pure esser dce ! Za ch'el ga da vegnir, fusselo sta !
Che più mi graverà, com' più m'attempo. Chè mi invechià de più, più patirla.
Noi ci partimmo, e su per le scalee, Lassà avemo quel logo, e per de là
Che n'avean fatte i borni a scender pria, Dove i sassi a andar zo n' ha fato scala,
Rimontò il Duca mio, e trasse mce. Tornà in su '1 Mestro, el m' ha con lu tirà. 15
E proseguendo la solinga via E soli andando, a ciò ch'el pie no fala
Tra le schegge e tra' rocchi dello scoglio, Montando or un or l'altro sasso in fora,
Lo piè senza la man non si spedia. Per darghe agiuto a lu la man se cala.
Alidi mi dolsi, e ora mi ridoglio, El dolor ch' ho sentio lo sento ancora,
Quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi ; Co penso a quel che ho visto ; freno più
E più lo 'ngegno aflrcno ch'io non soglio, Del solito rinzegno aciò noi cora
Perchè non corra, che virtù noi guidi; Senza ch'el sia guidà da la virtù ;
Sì che se stella buona, o miglior cosa Che se la sorte, o Dio, me l' ha dà san,
M'ha dato il ben, ch'io stesso noi m'invidi. Vói far bon uso e no abusar de lu.
Quante il villan, ch'ai poggio si riposa, Quando d'istà su l'ora che a man man
Nel tempo che colui, che '1 mondo schiara, El mossato a la mosca dà '1 scambieto,
La faccia sua a noi tien meno ascosa, Quante zo per la vale el bon vilan
4 Cinque lra i ladri — i cinque nominati nel cauto precedente, cioè: Agnol Brunclltbllii, Buoso degli Abati,
Pnccio Sciancato, Cianfa, e Francesco Cavalcanti.
5 me xe dà fora = modo di dire e vale: mi sono comparsi.
10 tntardigà . . ritardato, cioè il male desiderato.
20 Co = quando.
24 Vói = voglio.
26 El manata = la zanzara.
CANTO XXVI.
Come la mosca cede alla zanzara, In colina sorando, tra '1 scureto
Vede lucciole giù per la vallea. Vede le lusariole andar a spasso
Forse colà dovè vendemmia ed ara : Su forsi la so vigna o '1 so campeto; 30
Di tante fiamme tutta risplendea De tante bampe gera piena a basso
L'ottava bolgia, si com'io m'accorsi, L'oLa va bolgia, e solo l' ho savudo,
Tosto che fui là 've il fondo parea. Co i ochi mii s'ha verto in fondo el passo.
E qual colui, che sì vengiò con gli orsi, Come Elisèo, che la venduta ha anulo
Vide il carro d'Elia al dipartire, Dai orsi, ga ochià '1 caro andar d'Elia, 35
Quando i cavalli al cielo erti levorsi ; Co el troto in aria ga i cavai batudo,
Che noi potea sì con gli occhi seguire, E coi ochi scovrir insili la via
Che vedesse altro che la fiamma sola, Solo el lusor del fogo elo podeva,
Sì come nuvoletta, in su salire : Come una nuvoleta andar su via ;
Tal si movea ciascuna per la gola Così ognuna in quel modo se moveva 40
Del fosso, che nessuna mostra il furto, Per la boca del fosso, senza far
E ogni fiamma un peccatore invola. Veder el pecator ch'eia scondeva.
Io stava sovra '1 ponte a veder surto, Stava drite sul ponte mi a vardar,
Sì che x'io non avessi un rochion preso, Ma se no avesse un so sponton brincà,
Caduto sarei giù senza esser urto. Senza un spenton podeva zo cascar. 45
E il Duca che mi vide tanto atteso, Dise '1 Mestro vedendome incantà :
Disse: Dentro da' fuochi son gli spirii : In ogni Maina un spirito gh'è drento,
Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso. Che se brusa in tei fogo revoltà.
Maestro mio, risposi, per udirti Mestro, ho resposto, el fato che a dir senio
Son io più certo : ma già m'era avviso Da ti, me fa più eerto ; e tal ch'el sia 50
Che cosi fusse, e già voleva dirti : M'ho incorto, e stava in dirle za un momento :
Chi è in quel fuoco, che vien sì diviso Chi xe in quel fogo, che per qua s'invia
Di sopra, che par surger della pira, Co do ponte, e dal fogo par vegnisse
Ov' Eteócie col fratel fu miso ? Dov'Etèoele è sia messo in compagnia
Risposemi : Là entro si martira De Polinice so fradelo ? Ulisse, 55
Disse e Diomede, e così insieme El dise, con Diomede se tortura ;
Alla vendetta corron cqniall'ira: Stai soci a l'ira, in società i patisse :
E dentro dalla lor fiamma si geme Del cavalo là i pianze la indrilura,
L'aguato del cavai, che fe la porta Che ga averto el porton, per dove in fato
Ond'uscì de' Romani il gentii seme. La romana è sortia gloria fulura ; 60
Cinque volte racceso, e tante casso, Cinque volte la Luna n'ha mostrai 130
Lo lume era di sotto dalla luna, E altretanti n" ha sconti i raggi sui,
Poi ch'entrati eravam nell'alto passo, A quel sboco fatai dopo arivai;
Quando n'apparve una montagna bruna Co un monte scuro da lontan vegnui
Per la distanza, e parvenu alta tanto, Se xe a scovrir, tanto alto, che tra tanti,
Quanto veduta non ne aveva alcuna. Compagni mai da veder ghe n' ho avui. 1 35
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto ; Ma presiu l'alegria s' ha voltà in pianti ;
Che dalla nuova terra un turbo nacque. Che dalla nova lera un satanasso
E percosse del legno il primo canto. Vento ha urtà '1 bastimento per davanti.
Tre volte il fe girar con tutte l'acque. Tre volte el zira d'aqua tra un sconquasso,
Alla quarta levar la poppa in suio, La quarta in su da pope el xe investiu, 140
E la prora ire in giù, com'altrui piacque, Po in zo da prova, come a Dio ga piasso,
lalin ch '1 mar fu sopra noi rinchiuso. Sin che, punfete, el mar ne ga ingiotio.
133-134 Co un mante scuro ce, - quando un monte oscuro. Sembra volersi qui accennare la montagna
del Purgatorio, che Dante immagina nell' emisfero a noi opposto, e di cui parla in flnc di questa Cantica.
142 punfete - espressione che denota una caduta con fracasso, e qui applicata alla precipitosa sommer
sione nel mare della nave di Uliise. A questa voce corrisponderebbe nel nostro idioma: tonfo
CANTO VENTESIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
D° un' altra fiamma coperto e vestito, Dal fogo in t'un balon l'anima involta
Guido di Monteforte fuor parole De Guido Monteforte, fora manda
Manda, che fisano ad ascoltare invito. Parole da incantar chi là le ascolta.
E narra quelle colpe onde si duole Conta el perchè de qnela pena granda,
Si trasformato; e come altrui non giova E dise come dnl perdon no giova
Chieder perdon di quel che far poi vuole. Del mal che se voi far, far la domanda :
Chi cosi i-n, perdon da Dio non trova. Chi fa cussi perdon da Dio no trova.
Già era dritta in su la fiamma e queta Iti ila za stava in su la fiama e quieta
Per non dir più, e già da noi sen già Tasendo, e za da nu l'andava via,
Con la licenza del dolce Poeta ; Che licenzià lo aveva el mio Poeta ;
Quando un' altra, che dietro a lei venia, Quando un' altra, che a quela drio vegnia,
Ne fece volger gli occhi alla sua cima, I ochi a la ponta soa ne ga chiamà
Per un confuso suon, che fuor n' uscia. Drio un confuso ruzor, che ghe sortia.
Come'l bue Cicilian, che mugghiò prima Com' el bo de Sicilia ga mugià
Col pianto di colui (e ciò fu dritto) Prima coi urli (e ben gh' è sta '1 tormento)
Che l'avea temperato con sua lima, De colù che lo aveva fabricà,
Mugghiava con la voce dell' afflitto, Co la vose el mugiava dada in drento 10
19 (lessiu/esin — or ora.
il Va pur, te. = sta in relazione al v. 3, in quanto Virgilio aveva acconsenlito alla fiamma dov'era chiuso
disse d'andarsene.
25 melegnasa = malaugurata.
29 Moniefeltro = città posta sopra un monte tra Urbino e la sorgente del Tevere.
34 za pronta in ponto in broca = di già pronta per l'appunto.
36 rh' ci tt tchioea = che ti percuote.
39 averla = aperta, palese. %
42 Dai siori da Polenta — La famiglia dei Polentani, che signoreggiava Ravenna e Cervia. In quel tempo
n'era signore Guido amico di Dante —= <iort = signori.
43 Farli = città della Romagna. Quando il Conte Guido da Montefeltro ne era signore, Martino IV mandò
contro lui un esercito composto in gran parte di Francesi. Ciò avvenne nel 1282.
45 ti verde lion -- cioè sotto il dominio degli Ordelaffi che avevano per arma un leoncino verde, dal mezzo
in su d'oro, e dal mezzo in giù con tre liste verdi e tre d'oro; ne era allora signore Sinibaldo.
122 DELL' INFERIVO
E'1 Mastin vecchio, e '1 nuovo da Verrucchio, E quei do Malatesta, che i ga fato
Che fecer di Montagna il mal governo, El Montagna morir, altro no i pensa
Là. dove soglion, fan de' denti succhio. Che de castrar i popoli ogni trato.
Le città di Lamone e di Santerno li' lmola la cità e de Faensa
Conduce il lioncel dal nido hianco, Quel Mainardo Pagani ga '1 comando, 50
Che muta parte dalla state al verno : Ch 'el partio scambia da Nadal a Sensa :
E quella a cui il Savio bagna il fianco, E Cesena, ch 'el Savio va bagnando,
Così com'ella sie tra' I piano e'1 monte, Come l'è messa là tra'l monte e '1 pian,
Tra tirannia si vive e stato franco. Sta tra libera e schiava trachegiando.
Ora chi se' ti prego che ne conte : No esser desso, te prego, cortesan 55
Non esser duro più ch' altri sia stato, Manco dei altri, in dinne chi ti è ti,
Se'l nome tuo nel mondo legna fronte. Cussi possa el to nome andar lontan
Poscia che'l fuoco alquanto ebbe rugghiato Su al mondo. Co la fiama arquanto lì
Al modo suo, l'aguta punta mosse La ga ruzà a so modo, qua e là via
Di qua, di là, e poi die cotal l'iato : Fa andar la ponta, e parla po cossi : 60
S" io credessi che mia risposta fosse Se dar credesse la resposta mia
A persona, che mai tornasse al mondo, A una persona che tornasse al mondo,
Questa fiamma starla senza più scosse: Drento in sta bampa mi no parlarla.
Ma perciocchè giammai di questo fondo Ma za, se vero xe, che da sto fondo,
Non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero, Nissun vivo tornar ha avù '1 poder, 65
Senza tema d' infamia ti rispondo. Senza sentir vergogna te respondo :
l' fui uom d'arme, e poi fu' cordigliero, Frate son sta dopo esser sta guerier,
Credendomi, sì cinto, fare ammenda : Credendo de purgarme col cordon;
E certo il creder mio veniva intero ; E saria sta anca bon el mio pensier,
Se non fosse il gran Prete, a cui mal prenda, Se'l Papa, elio mal vegna a quel bricon, 70
Che mi rimise nelle prime colpe ; Tornà noi me gavesse nel pecato ;
E come, e quare voglio che m'intenda. E vogio che ti ascolti la rason.
Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe, Sin da quando mia mare me ga fato,
Che la madre mi die, l'opere mie Mai franche e schiete stae xe le azion mie,
Non furon leonine, ma di volpe. Ma ai imbrogi, ai ingani me son trato : 75
Gli accorgimenti e le coperte vie Tute mi le fufigne e l'urbane
Io seppi tutte ; e sì menai lor arte, Go savesto, e le go tanto zirae,
Ch' al fine della terra il suono uscie. Insin che tuto el mondo le ha sentie.
Quando mi vidi giunto in quella parte Quando po gora zonto a quula etae,
Di mia età, dove ciascun dovrebbe Che chiama l'omo a far la ritirada, 80
Calar le vele e raccoglier le sarte ; Dopo d'aver lassà le briconae ;
46 E fitti do Malaitsiii = i due Malatesta padre e figlio signori di Rimini: si sono distinti per tiranni*.
47 El montagna = nobilissimo cavaliere Riminese fatto crudelmente morire dai Malatesta come cupo dei
Ghibellini in quella regione .--- (BURCHI).
48 castrar = qui vale angariare, aggravare i sudditi.
49 D' latola = altra citta della Romagna posta presso il fiume Lamone, e Faenza presso Santerno.
51 da Nadal a Stnia — dal di del Santo 'Natale a quello dell'Ascensione, frase che vale a denotare la lire-
vita dell' intervallo.
52-53 E Ciiena — altra citta della Romagna bagnala dal fiume Sin in posta tra il monte e il piano; sim
bolo di libertà il primo, e di servitù il secondo (Biincai).
59 ruzà ----- cigolato.
70 Se '/ Papa = allude a Papa Bonifazio Vili.
78 fufigne •-- intrighi, gherminelle.
CANTO XXVII. 423
Ciò che pria mi piacera, allor m' increbbe, La cossa che m' ha piasso ho aldi , i odiada :
E pentuto e confesso mi rendei, Pentio e purgà m' ho fato frate. Oimei,
Ahi miser lasso ! e giovato sarebbe. Che de Dio bona gera la chiamada !
Lo Principe de' nuovi Farisei El prencipe dei novi Farisei, 85
Avendo guerra presso a Laterano Stando in guera darente a Lateran,
(E non con Saracin, nè con Giudei; (No za coi Saraceni o coi Giudei,
Che ciascun ino nemico era Cristiano, Che ogni nemigo soo gera Cristian,
E nessuno era stato a vincer Acri, E nissun domar Acri ha avù l'ardir,
Nè mercatante in terra di Soldano), Nè mercantar in lera del Sultan) 90
Nè sommo ufficio, nè ordini sacri Del Papato a l'onor senza a venir
Guardò in sè, nè in me quel capestro, Nè ai soi ordeni sacri, nè a la corda
Cbe solea far li suoi cinti più macri: Mia, che fava per solilo smagrir;
Ma come Costantin chiese Silvestro Ma come Costantin che da la lorda
Dentro Siratti a guarir della lebbre; Lepra, a guarir dal Papa ricorea 95
Così mi chiese questi per maestro In Sorate ; cussi a sanar l' ingorda
A guarir della sua superba febbre : So passion, iU. chiamarme ha avù l'idea;
Domandommi consiglio, ed io tacetti, M'ha domandà un consegio, e go lasesto,
Perchè le sue parole parver ebbre. Che da mato o imbriago el discorea :
E poi mi disse : Tuo cor non sospetti ; Po '1 me dise: No aver timor per questo; 100
Finor t'assolvo, e tu m'insegna fare Te assolvo prima : di' come ho da far
Sì come Penestrino in terra getti. Paron de Penestrin per vegnir presto ;
Lo ciel poss' io serrare e disserrare, Posso el cielo inchiavar e deschiavar,
Come tu sai ; però son duo le chiavi, Come ti sa; perchè x e do le chiave,
Cbe il mio antecessor non ebbe care. Che ha pensà Celestin de refudar. 1 05
Allov mi pinser gli argomenti gravi Visto ho alora che puzo assae sarave
Là 've '1 tacer mi fu avviso il peggio, A discorso Papal no dar resposta,
E dissi : Padre, da che tu mi lavi E ho dito : Pare Santo, mi dirave,
Di quel peccato, ove mo cader deggio, Za che l'assoluzion m' ave proposta
Lunga promessa con l'attender corto Del pecà che ho da far, prometè assae, 110
Ti farà trionfar nell'alto seggio. Mantegnì poco, e vincere la posta.
Francesco venne poi, com' io fu' morto, Francesco, co i gareti ho destirai,
Per me; ma un de' neri Cherubini vicn per torme ; ma un diavolo per dia,
Gli disse: Noi portar; non mi far torto. Lassimelo, el xe mio ; tra i mii danai
Venir se ne dee giù tra' miei meschini, I ." ha da vegnir, ghe dise, in compagnia, 115
CANTO VENTESIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Chi poria mai pur con parole sciolte Chi mai dir gnanca in prosa avria '1 talento
Dicer del sangue e delle piaghe appieno, Del sangue e piaghe, che go ochià là via,
Ch'i' ora vidi, per narrar pi (i volte? Lo disess'anca cento volte e cento ?
Ogni lingua per certo verria meno Certo un gran fiasco ogni parlar faria
Per lo nostro sermone e per la mente, Che '1 linguagio de nu, la nostra mente,
C' hanno a tanto comprender poco seno. Nè dirlo, nè pensarlo poderia.
CANTO xxvni. 128
Se s'adunasse aneor tutta la gente, Se s' ingrumasse su tuta la tenie
Che già in su la fortunata terra De la tera de Puglia insanguenada,
Di Puglia fu del suo sangue dolente Causa i Romani, misera e dolente ;
Per li Romani, e per la lunga guerra E per la guera tanto in longo andarla, 10
Che dell' anella fe sì alte spoglie, Che ha dà un monte de anei le morte man,
Come Livio scrive, che non erra ; Come ben giusta Livio 1' ha contada ;
Con quella, che sentio di colpi doglie, Con queli che ha chiapà bote da can
Per contrastare a Roberto Guiscardo ; Contro Guiscardo; e l'altra che là in tera
E l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie Ga ancora i ossi in vista de Oprati, 15
A Ceperan, là dove fu bugiardo Dove i Pugliesi traditori i gera ;
Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo E là che Alardo quasi senza armai
Ove senz" arme vinse il vecchio Alardo; Arcate a Tagliacozzo ha vinto in guera ;
E qual forato suo membro, e qual mozzo E chi fusse smozzai e chi sbusai,
Mostrasse, d'agguagliar sarebbe nulla In confronto di quei sarave un gnente, 20
11 modo della nona bolgia sozzo. Che xe a la nona bolgia condanai.
Gii veggia, per mezzul perdere o lulla, Ròta in IILCz,O sfondada o a l'orlo arente,
lÀnn' io vidi un, cosi non si pertugia, No ga'l buso, come un che ho visto là,
Rotto dal mento insin dove si trulla. Spacà dal mento al foro propriamente.
Tra le gambe pendevan le minugia; Tra le gambe i buei scortando va, 25
La corata pareva, e '1 tristo sacco La coraela se ghe vede e'1 saco,
Che merda fa di quel che si trangugia. Che fa merda de quel che s' ha magnà.
Mentre che tutto in lui veder m' attacco, Sin che de ochiarlo ben no me destaco,
(i IMI-I lummi, e con la man s' aperse il petto, Lu me fissa, e coi dei se avene el peto,
Dicendo : Or vedi come io mi dilacco : Disendo : Varda, mo, come me spaco ; 30
Vedi come storpiato è Maometto. Varda in qual modo xe conzà Maometo.
Dinanzi a me sen va piangendo Ali Davanti a mi xe Ali, che se dolora
134 fin-tram dal Bornio = fu Visconte del Castello d'Altaforle nella Diocesi di Piregueux in Guascogna,
irovai.!]' sublime, armigero famoso, e nell'amore e nell'odio del pari veemente. Incitò egli dapprima Enrico, d
maggior tiglio di Enrico II detto il re giovane, perchè coronato re d'Inghilterra ancor giovanetto, e per di
stinguerlo cosi dal padre, a muover guerra a suo fratello Riccardo conte di Guiena e di Poitù; e perchè vide
fdi accorgimenti di Riccardo non dar luogo alle armi di lui, lo stimolò e levarsi contro lo stesso padre. L'in
felice giovane fu colto dalla morte nel flore della vita (Bisneni).
137 Achiiàfd = colui che seminò discordia tra Davide e Assalone suo figlio, onde si mossero guerra
In loro.
142 La lege del Tagion = La legge del Taglione: legge romana antichissima che condannava il malfat
lore i subire dauco per danno nel caso della frattura di un membro.
CANTO VENTESIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
5 mo = particeli! riempitiva.
130 DELL INFERIVO
17 e gn zontà = ed aggiunsi.
21 sgnesnla - bagatella (detto per ironia).
24 e gaòito in a mente r. e non curarlo.
26 fd dea = cui dito. = minuzzar ..- minacciare.
27 Geri (M Belo — fu figlio di Bello nato d'Alighiero bisavolo di Dante. Ma Dante discendeva da uà alno
figlio di Alighiero chiamato Bellincione.
31 la so violenta morte - Geri del Bello uomo di mula vita, e seminatore di risse, fu ucciso a tradimento
da uno di-i Sacchetti; t• nessuno della famiglia Alighieri, ingiuriala per questo omicidio, ne prese vendetta; nis
xienc narralo che liTnt'unni dopo fu fnila questa vendetta da un suo nipote, cioè da un figlio di Ursser Cionr.
il quale uccise uno dei bacchetti sulla porta della sua casa (BisncHi).
32 dei sai = dui suoi Carenti). *
33 el l'hu chiapaia forte = ni è fieramente sdegnalo.
40-41 Co --. quando. — l'ultima fossa - - perelio dopo viene il pozzo dei giganti.
44 zcme — geme.
CANTO xxix. 131
Di Valdichiana tra '1 luglio e '1 settembre, Che tra '1 Lugio e '1 Setembre ai ospedai
E di Maremma e di Sardigna i mali Ghe xe de Valdechiana, de Mareme
Fossero in una fossa tulti insembre; E de Sardegna, in t'un tuli ingrumai;
Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva, Cussi qua ; e su vegniva un fetor grando 50
Qual suole uscir delle marcite membre. Come quel dei cadaveri. Smontai
Noi discendemmo in su l'ultima riva Semo a l'ultima riva, zo calando
Del lungo scoglio, pur da man sinistra, Sempre a zanca del longo ponte drio;
E allor fu la mia vista più viva E '1 negro fondo vegno là vardando,
Giù ver lo fondo, dove la ministra Dove, qua d'eli tolta nota, el fio 55
Dell'alto Sire, infaliir.il giustizia, Fa pagar dei falsari a la genia,
Punisce i falsator che qui registra. E là ficadi li castiga Dio.
Non credo ch'a veder maggior tristizia Più la vista dolor fato no avria,
Fosse in Egina il popol tutto infermo, Co da la peste el popolo d' Egina
Quando fu l'aer si pien di malizia, Moriva tra le dogie d'angonia. 60
Che gli animali, ialino al picciol vernici, E con lu morta xe ogni bestia, insina
Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Che s' ha po rcnovà (se mai no ingana
Secondo che i pueti hanno per fermo, Dei pueti el cantar su sta rovina)
Si ristorar di seme di formiche ; Da formighe la vechia razza umana;
Ch'era a veder per quella oscura valle Come a veder dei grami el cuor strazzava, C5
Languir gli spirti per diverse biche. Fati su in tanti muchi, la condana.
Qual sovra '1 ventre, e qual sovra le spalle Chi ha in zo la panza e chi drio'schena stava
L'un dell'altro giacca, e qual carpone Un sora l'altro, e a gatognao chi va
Si trasmutava per lo tristo calle. Scambiandose de sito. Nu s'andava
Passo passo andavam senza sermone, Pian pianin, ziti ziti per de là 70
Guardando ed ascoltando gli ammalati, Ascoltando e vardando i amalai,
Che non potèn levar le lor persone. Che alzarse no i podeva gnanca un fià.
1' vidi duo sedere a sè poggiati, Stava un su l'altro do in senton puzai,
Come a scaldar s'appoggia tegghia a tegghia, Come antian contro antian sora el fogher,
Dal capo a' piè di schianze maculati : Da la testa a le piante incrostolai. ' 75
E non vidi giammai menare stregghia Menar la stregia ho visto mai stalier
Da ragazzo aspettato dal signorso, Aspetà dal paron, con tal furor,
Nè da colui che mal volentier vegghia ; Nè chi, lnsonà, al leto ga '1 pensier;
Come ciascun menava spesso il morso Come qua e là, rabiosi dal spizzor,
48 de Valdfchiana re. — campagna fra Arezzo e Cortona, Chiusi e Montepulciano, ave corre il fiume Chiana
ora divenuta una delle più fertili provincic di Toscana = Mareme — Maremma, paese tra Pisa e Siena lungo la
marina.
49 Sardegna =: isola presso l'1talia. ln quella localita, per ragione dell'aria malsana, gli spedali erano d'e
state pieni d'ammalnli.
53 •/• / longo ponte = lungo perchè traverss tutte le dieci bulgic.
59 Co = quando =- Egina = è un'isuletta vicina al Pcloponneso, ove al tempo di Eaco suo re, fu pesti
lenza si grande per l'infeziune dell'aria che distrussc tutti gli uomini e gli animali.
60 dogie =• doglie. •
64 Da formighe = E favola che Giove ai preghi di Eaco, trasformasse lo formiche ili Egina in uomini: da
ciò venne il nome di tlirmidoni ai popoli di quell'isola.
68 a gatognao = a carponi.
72 gnatica un fia . nemmeno un tantino.
73 do = dnc. = ni senton . . seduti -- puzai - appoggiati.
74 antian = tegame = fugher = focolare.
76 la stregia — la striglia.
79 spinar = pizzicore.
132 DELL'
Dell' unghie sovra sè per la gran rabbia I se sgrafava in furia e su ogni costa, 80
Del pizzicor, che non ha più soccorso. Che remedio no i ga de quel magior.
E si traevan giù l'unghie la scabbia, L'istesso del cortel lori se scrosta,
Come collel di scardova le scaglie, Che leva da la scàrdova la scagia,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia. O da altro pesse de più larga crosta.
O In che colle dila ti dismaglie, Ti, dise '1 Mestro a un de quela fragia, 85
Cominciò '1 Duca mio ad un di loro, Che ti te scrosti, e i dèi qualche momento
E che fai d'esse lalvolla tanaglie, Te li fa servir anca da tanagia ;
Dimmi s'alcun Lalino è tra costoro Di' se qualche Italian ghe xe qua drento
Che son quinc'entro, se l'unghia ti basti Tra questi, cussi possa a li qua zo
Eternalmente a cotesto lavoro. Bastar l'ongia a l'eterno scrosta mento. 90
Lalin sem noi, che tu vedi si guasti Senio Italiani conzi luti do
Qui a m boiUi.', rispose l'mi piangendo: Qual ti vedi, un pianzendo ga resposto,
Ma lu chi se' che di noi dimandasti? Ma ti, che ti domandi de nu, mo
E '1 Duca disse: l' son un che discendo Chi xestu ? E a lu el Dotor : De posto in posto
Con questo vivo giù di balzo in balzo, Con sto vivo qua zo vegno zirando, 95
E di niusIrar l'inferno a lui intendo. Che a musini rulir l'Inferno m'ho proposto.
Allor si ruppe lo comun rincalzo; Se va quei do in alora destacando,
E iremando ciascun a me si volse E con tremor i s' ha voltà da mi
Con alili, che l'udiron di rimbalzo. Con quei, che i l' ha sentido de rimando.
Lo buon Maestro a me tulto s'accolse, E da mi voltà '1 Mestro, dise : Di' 100
Dicendo : Di' a lor ciò che lu vuoli. Quel che te piase a lori francamente.
Ed io incominciai, poscia ch'ei volse : De za ch'elo lo voi, parlo cossi :
Se la vostra memoria non s'imboli Che la vostra memoria da la mente
Nel primo mondo dall'umane menti, Dei Diurni no l'abia da sortir,
Ma s'ella viva sollo molti soli, Ma se mantegna in quei perpetuamente : 1 05
Ditemi chi voi siete e di che genti : De qual razza e chi sie vogeme dir ;
La vostra sconcia e fastidiosa pena La vostra sporca fastidiosa pena ,
Di palesarvi a me non vi spaventi. No ve legna dal farve a mi scovrir.
I' fui d'Arezzo, ed Albero da Siena, Son sta d'Arezzo; e Alberto quel da Siena
Rispose l'un, mi fe mettere al fuoco; Brusar m' ha fato, un dise, ma a penar Ito
Ma quel perch'io mori' qui non mi mena. Qua, quel perchè son morto no me mena.
Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco: Xe vero che parlando per scherzar,
I' mi saprei levar per l'aere a volo : Disendo a lu che de volar so bon,
E quei, ch'avea vaghezza e senno poco, L' ha volesto, smanioso de imparar.
Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo Che st'arle ghe insegnasse, quel minchion : Ilo
Perch'i' noi feci Dedalo, mi fece E perchè noi xe un Dedalo sortio,
Ardere a tal che l'avea per figliuolo. Me ga fato arder per ordinazion
Ma ncirullima bolgia delle diece Del Vescovo, che l' ha dotà per fio.
83 scardava = specie di pesce = scagia =. squama.
85 rfe iInela fragia = di quella compagnia, cioè a uno dei due, di cui al v. 73.
86 i' da - le dita.
9I conii = acconciati = tuli do = entrambi.
93 mo = particella riempitiva.
99 de rimando = qui vale: indirettamente.
109-118 Son s'a d'Arezzo = Sono stato d'Aiezzo. Ditesi elic costui fosse un certo Griffolino alchimista, che
vantandosi di sapere l'arte di volare, promise d'insegnarla a I11I Senese chiamato Albero, n secondo altri Al-
CANTO XXIX. 433
Me per alchimia che nel mondo usai, Ma qua in st'ultima bolgia de le diese,
Dannò Minos, a cui fallir non lece. Minosse, che no fala, m'ha punio 120
Ed io dissi al Poeta: Or fu giammai Come Alchimista. K mi al Mestro: El Sienese
Gente sì vana come la Sanese ? Cussi poco giudizio el ga? per dia,
Certo non la Francesca sì d'assai. Che assae de più ghe n'ha de lu U Franzese.
Onde l'altro lebbroso che m'intese, L'altro leproso, che la vose mia
Rispose al detto mio : Tranne lo Stricca, L'avea ascoltà, responde: Via del Strica, 125
Che seppe far le temperate spese ; Che ha savesto far ben la emioin ia ;
E Niccolo, che la costuma ricca Via de Nicola, che l'usanza rica
Del garofano prima discoperse Del garofolo, primo el ga trovà
Nell'orto, dove tal seme s'appicca; Ne l'orto proprio dove ch' el se fica,
E tranne la brigata, in che disperse E de la fragia co la qual strazzà 130
Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda, tìavea Cacia d'Assian luto el so aver,
E l'Abbagliato il suo senno proferse. E Abalgiato el so inzegno avea sfogià.
Ma perchè sappi chi sì ti seconda Ma chi d'acordo, se ti voi saver,
Centra i Sanesi, aguzza ver me l'occhio Xe con ti contro Siena, spenzi l'ochio;
Sì che la faccia mia ben li risponda : Vardime fisso ben : e in mi vedèr, 13ó
Sì vedrai ch'i' son l'ombra di Capocchio, Sì in mi ti poderà quel tal Capochio,
Che falsai li metalli con alchimia ; Che ga falsa i melali co l'Archimi, i,
E ten dee ricordar, se ben t'adocchio, E te morderà, se ben mi t'ochio,
Com'i' fui di natura buona scimla. Cbe son sta per natura brava simia.
berlo, il quale dapprima gli credette, e poscia accortosi di essere ingannato lo accusò al Vescovo di Siena come
reo di negromanzia: e Griffolino come negromante per ordine di esso Vescovo fu brucialo vivo (Bisncm). = so bon
- sono buono, capace - - dotà = adottato.
120 Minone = giudice dell'Inferno: vedi C. V. v. 4.
124 /.' nitrn leproso --- Capocchio alchimista, e falsator di metalli.
125 Via del Srrina --: è detto ironicamente. Lo Stricca altro Sicoese, scialacquatore del suo avere.
126 «monna — economia.
127 Nicola -- Nicolo: dicono che costui fosse dei Salimbeni o de' Bonsignori di Sienu, e che si studiasse di
dare nuovi e delicati sapori alle vivande. Una specie di arrosto nella quote egli poneva garofani ed altre spc-
zierie, che molto costavano a quei tempi, fu nominata lu eotluma (l'usanza) ricca (Bisioin).
129 .Vi- l'orlo = e delta per antonomasia in luogo delln ritta di Siena dov'era quella usanza in voga.
130 E detta fragia = e (tranne) la compagnia: Si racconta che in Siena fu una compagnia di giovani ric
chi, i quali venduta ogni loro cosa e fatto un cumulo di duecentomila ducati, in pochi mesi li scialacquarono
io gozzoviglie, e divennero poveri (BiiNcm) = ttrazzà — consumò, scialacquo.
131 IJII-ÌH fAttian = fu uno dei giovani Sienesi che consumò quello che aveva di vigne e di boschi. Ascia
no castello in quel di Siena (Bisacm).
132 Abalgiato — Abbagliato, altro giovane Sienese -- sfogià ---- mise fuori tutto il suo ingegno, s'Intende
nel profondere il suo.
136 Capochio = Capocchio: vedi la noia 124; aggiungesi ch'egli fu di Siena, e studiò filosofia naturale con
Dante, e poscia datosi all'arie di falsare metalli, parve in questa meraviglioso (BiincHi).
139 ìii-ia-i'. ritma = cioè bravo imitatore e contraffattore.
434 DELL INFERNO
CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Correndo sempre per gli eterni piani Danai a corer sempre xe i briconi, .
Color, che finser sè altra persona, Che tol del altri el nome e soo lo ia
Mordonsi a guisa di bramosi cani, Molandose corendo morsegoni.
E chi falso monete vi ragiona, La sè patisse quei else ga falsa
Per sete ha pena: acuta febbre preme La moneda, e danadi a la frevona
Chi per falso parlar danno cagiona; Chi parlando, ga'l prossimo ingana.
Ed hanno zuffa di parole insieme. E i se insulto, e i se da pugni che sona.
Nel tempo che Giunone era crucciata Co Giunon per Semèle ingelosia
Per Semelè centra '1 sangue (ebano, Contro i Tebani tuli a trato a trato
Come mostrò già una ed altra fiata, La s" ha mostrà coi fati inviperia;
Aliunante divenne tanto insano, Xe deventà Atamante tanto mato,
Che reggendo la moglie co' duo figli Che solo in veder la mugier che ga
Andar carcata da ciascuna mano, Un per man i do tioi, ciga in t'un trato :
Gridò : Tendiam le reti, sì ch'io pigli Cestiremo la re, che chiapa qua
La lionessa e i lioncini al varco : Al passo la lionessa coi lionzin :
E poi distese i dispietati artigli, Slongae le sgrinfe Learco el ga brincà;
Prendendo l'un ch'avea nome Learco, A roda a roda el zira quel meschin, 10
E roteilo, e percosselo ad un sasso ; E po, infurià, lo stauza contro un sasso ;
E quella s'annegò con l'altro incarco. E la mare con st'altro fantolin
E quando la fortuna volse in basso Se nega. E co la sorte ha mandà a basso
L'altezza de' Troian che tutto ardiva, L'ardir de Trogia e la so boria a lera,
Sì che insieme col regno il re fu casso; Tanto ch'el Re col regno xe ami ù a spasso ; 15
Ecuba trista misera e cattiva, Ecnba desgraziada e presoniera,
Poscia che vide Polisena morta, Quando la vede morta Polissena,
E del suo Polidoro in su la riva E del so Polidor su la riviera
Del mar si fu la dolorosa accorta, Del mar la vede la dolente sena,
Forsennata latrò sì come cane; lmalia, come un can bagia che mai, 90
Tanto il dolor le fe la mente torta. Che '1 gran dolor la mente via ghe mena.
1 Co Giunon per Semole — Semèle fu una giovane Tebana amala da Giove, che di lei generò Bacco, e per
ciò avuta in odio dalla gelosa Giunone moglie di Giove, che insaziabile di vendetta tolse a perseguitare per di-
versi modi tutta la stirpe di Tebe. = co = quando.
3 inviperia = irritata.
4 iiHniautr - re di Tebe che Giunone fece diventare furioso di guisa che incontrandosi egli con Ino sua
moglie portante in collo Learco e Meliccrta suoi figliuoletti, la credi una lionrssa e follemente gridò: Tendiam
le reti si ch'io pigli la leonessa e i leoncini.
5 la mugier - la moglie.
7 Destiremo la re .-. tendiamo la rete.
9 igrinfe = unghie (per artigli).
13 co = quando.
H L'ardir de 'Frogia ce. - allude all'alterigia e all'ardire dei Troiani nel fare ogni cosa scellerata, come
fu quella di rapire Elena a Menelao suo marito e re di Sparta, causa della grande e lunga guerra tra i Greci
e i Troiani.
15 'l'unni = vale onde per la qual cosa = xe amia a apatsa -.— andarono consunti reggia e regno.
16-21 Emiia = moglie di l'riamo re dei 'I vomii, dopo l'eccidio di Troia fu fata prigioniera con una sua
figlia chiamata Polissena, che i Greci svenarono sulla tomba di Achille per placarne l'ombra. Ecuba incamminan
dosi prigioniera verso la Grecia, si scontrò sui lidi della Tracia nel cadavere di suo figlio Polidoro che era stato
CANTO xxx. 135
Ma nè di Tebe furie nè Troiane Ma le furie no sol de Tebe mai,
Si videi mai in alcun tanto crude, 0 de 'frogia s' ha visto incrudelir
Non punger bestie, non che membra umane, Su l'omo, ma su gnanca i anemai,
Quant'io vidi due ombre smorte e nude, Quanto do ho viiti (morti e imi vegnir, 25
Che mordendo correvan di quel modo, Che dando morsegae corca cofà
Che il porco quando del porcil si schiude. El porco co dal staolo sta in sortir.
L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo Uno andà su Capochio, ga ruoli
Del collo l'assaunò, sì che, lirando, Tra copa e colo un morsegon sì grando,
brattar gli fece '1 ventre al fondo sodo. Ch'el teren co la panza el ga gratà. 30
E l' Ardui, che rimase tremando, Me dise l' Ardin, restà tremando :
Mi disse : Quel folletto è Gianni Schicchi, Giani Scinchi xe quelo, e '1 va, rabioso
E va rabbioso altrui così conciando. Foleto, i altri cussi ben coniando.
Oh, diss'io lui, se l'altro non li ficchi E mi: Prima ch'el svigna, son vogioso
Li demi addosso, non li sia falica De saver chi xe st'altro, cossi indrio 35
A dir chi è, pria che di qui si spicchi. 1 so denti el te legna. Lu ha resposo :
Ed egli a me : Quell'è l'anima antica De l'empia Mira l'anema, ho sentio
Di Mirra scelerata, che divenne Esser quela del pare inamorada,
Al padre, funr del drillo amore, amica. Ma d'un amor da l'onestà bandio.
Questa a peccar con esso così venne, Con lu per via d'ingano s'ha cavada 40
Falsificando sè in altrui forma; La passion ; com'el Giani, che va via,
Come l'altro, che in là sen va, sostenne, Che la inegio cavala ha guadagnada
Per guadagnar la donna della torma, Imitando con fina furbaria
Falsificare in sè Buoso Donati, Buoso, e testando in modo che, inganai,
Testando, e dando al testamento norma. Tuli ha credesto ch'elo Buoso sia. 45
K poi che i duo rabbiosi lui- passati, Quando me xe scomparsi i do irabiai
Sona i quali io avea l'occhio tenuto, Sora dei quali i ochi mi gaveva,
Rivolsilo a guardar gli altri malnati. M' ho volti per vantar i altri danai.
l' vidi un fatto a guisa di liuto, Vedo un, che al liuto somegiar podeva,
Pur ch'egli avene avuta l'anguinaia Se le cosse ghe fusse a la persona 50
Tronca dal lato che l'uomo ha forculo. Tagiue solo el panzon che ghe sporzeva.
La grave idropisia, che sì dispaia La intropista, che i corpi sproporziona,
Le membra con l'umor che mal converte, Guasta i umori, e '1 viso zupegà
uctiso da Polinèstore, ond'ella per gran dolore mise altissime grida che somigliarono a latrati di tane = co —
quando
25 do = due. % ,
-Vi co/a = come.
27 Muoio = porcile. (
31 l' Arelin - lo stesso GriflblinO, di cui il canto precedente al v. 109.
32 Csan»' Schichi = dicesi essere stato de' Cavalcanti di Firenze, abilissimo nel conti-aftare le persone: l'a
nima di lui irrequieta e molesta gli meritò il titolo di folletto.
37 Mira = Mirra perdutamente innamoratasi di suo padre (.miri, venne al talamo paterno sotto altro nome
e con inganno.
40 per via — per mezo.
41 Con' «-/ Ciani ee. = lo stesso Giani Schicchi di cui la nota al v. 32. Dicono che costui rimosso dal letto
il cadavere di Buoso Donali, ed entrato in luogo di quello, e fintosi Buoso moribondo, dettò un testamento in
•inia regola a vantaggio di Simone Donati nipote del morto, pattuita prima con esso nipoti- in premio del buon
ufficio una famosa cavalla, l'onore della mandra di Buoso (Bisscai).
50 tonte = coscie.
"•-' intropiiia =- idropisia.
53 zu)injù s** succiato.
•136 DELL' INPERNO
Che '1 viso non risponde alla ventraia, Fa vegnir, e vegnir fa la panzona ; ' -
Faceva lui tener le labbra aperte, Far stava a boca averta quelo là, 55
Come l'etico fa, che per la sete Come l'etico quando ghe vien sè,
L'un verso '1 mento e l'altro in su riverì*. Che un lavro in zo e l'altro in su lo ga.
O voi, che senza alcuna pena siete 0 vualtri mo, che senza pena andè,
(E non so io perchè) nel mondo gramo, No so per cossa, per sto mondo gramo,
Diss'egli a noi, guardate e attendete Quel ne dise, vardè, consideri: 60
Alla miseria del maestro Adamo : Quala miseria sia del mestro Adamo:
Io ebbi vivo assai di quel ch'i' volli, Tulo quel che ho volesto ho avù vivendo,
E ora, lasso ! un goccioi d'acqua bramo. E adesso, o Dio ! un giozzo d'aqua bramo.
Li ruscelletti, che de' verdi colli 1 rieli, che dai coli zo vegnendo
Del Casentin discendon giuso in Arno, Del Casentin, in Arno i va in pendio K
Facendo i lor canali freddi e molli, Morbieti e freschi i so canai fazzendo,
Sempre mi stanno innanzi, e non indarno; Li ho sempre in mi stampai per dolor mio;
Che l'imagine lor via più m'asciuga, Che la memoria d'eli me smagrisse
Che '1 male ond'io nel volto mi discarno. Più del mal, che me smagra el viso. Dio;
La rigida giustizia, che mi fruga, Che con tuto el rigor qua me punisse, 70
Tragge cagion del luogo ov'io peccai, Tol motivo da là dove ho pecà,
A metter più gli miei sospiri in fuga. Aciù più forte el mio dolor sentisse.
Ivi è Romena, là dov'io falsai La monea del Batista go falsà
La lega suggellata del Batista, De Romèna al castri co l'arte mia,
Perch'io '1 corpo suso arso lasciai. E là sora perciò so sta brusà. 75
Ma s'io vedessi qui l'anima trista Ma d'ochiar Fonte-Branda lassarla,
Di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate, Pur che Lissandro mi podesse o Guido,
Per Fonte Branda non darei la vista. O l'altro so fradelo ochiar qua via.
Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiale Se a l'annue rabiose mi me lido
Ombre, che vanno intorno dicon vero : Che qua zira, uno d'eli xe qua drènto : 80
Ma che mi vai, e' ho le membra legate ? Ma cossa serve, se son mi impedido !
S'io fossi pur di tanto ancor leggiero, Se lezier fusse che podesse a stento
Ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia, Io cento ani avanzar solo un'onzeta,
Io sarei messo già per lo sentiero, Me saria de lu in cerca invii contento
Cercando lui tra questa gente sconcia, Tra la bruta zentagia maledela, 85
Con tulto ch'ella volge undici miglia, Se anca in sta vale in longo undese mia,
E men d'un mezzo di traverso non ci ha. E in largo almanco mezo se ghe mela.
Io son per lor tra sì fatta famiglia : Causa d'eli mi son tra sta genia ;
Ei m'indussero a battere i fiorini. Causa d'eli i fiorini go cugnai
CANTO TRENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
L'empio gigante, per cui le favelle Nembrote, per el qnal xe sta el linguagio
Fnron divise, e Fialte che prove Confuso, e Fialte, che de guerizar
Fece contro agli Dei, fatto ribelh-, Contro i potenti Dii l'ha ava el coragio,
Ritrovan quivi, e Anteo, cui già di Giove Qua i vede el forte A ateo, ch'ha ardio maxzar
Lo figlio uccise, sì lo strinse allora. £1 fio de Giove co una streta nova.
Questi i Poeti giuso cala, dove Sto ziganton li cala dove star
Lucifero con Giuda fa dimora. Lucifero con Giuda in ijiazzo i trova.
Una medesma lingua pria mi morse, Quela iengua che m'ha prima crià,
Sì che mi tinse l'una e l'altra guancia, Tanto che da vergogna mi rossiva,
E poi la medicina mi riporse. La me ga dopo luto consola.
Così odo io, che solera la lancia Cussi la lanza, come a dir sentiva,
D'Achille e del suo padre esser cagione D'Achile e de so pare, la feria
Prima di trista e poi di buona mancia. La fava in prima, e po la la guariva.
Noi demmo '1 dosso al misero vallone, Da la decima bolgia andemo via
Su per la ripa che '1 cinge dintorno, Su per IH riva che ghe zira atorno,
Attraversando senza alcun sermone. Senza gnanca au ir boca, in compagnia.
Quivi era men che notte e men che giorno, No gera là ben note nè ben zorno, 10
Si che '1 viso m'andava innanzi poco : Perciò la vista poco .se sìongava :
Ma io senti' sonare un alto corno, Ma '1 forte son mi go sentio d'un corno,
Tanto ch'avrebbe ogni tuon fatto lineo, Ch'el ton, per grando el fusse, superava ;
Che, contra sè la sua via seguitando, E a quela parte l'orino mio drizzando
Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco. Da la qual el vegniva, lo incontrava. 15
Dopo la dolorosa rotta, quando No cussi forte andava via sonando
Carlo Magno perdè la santa gesta, Dopo el sterminio ae la santa guera,
Non sonò sì terrìbilmente Orlando. Che ha perso Carlo Magno, quel d'Orlando.
Poco portai in là volta la testa, Là co la testa un fià voltà me gera,
Che mi parve veder molte alte torri ; E m'ha parso scovrir tanti i orioni: ao
Ond'io : Maestro, di', che terra è questa ? Cossa xe digo al Mestro, quela tera?
Ed egli a me : Però che tu trascorri E lu : Da lonzj veder no xe boni
Per le tenebre troppo dalla lungi, I ochi toi tra sto scuro chiaramente ;
Avvien che poi nel maginare aborri. E per questo ti chiapi dei maroni.
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, Ma ti vederà quanto, andando arente, 25
Quanto il senso s'inganna di lontano : I. "ochio s'ingana a la lontana via :
Però alquanto più te stesso pungi. Sbrighile donca ; e dopo afabilmente
1 cria - - sgridato.
4-6 Cani la lanza tr. = fu detto dai poeti elic la lanciu di Achille, elie prima fu di Peleo suo padre,
avesse virtù di sanare le ferite elic prima faceva.
17 dopo el stermmio = la rotta di Roncisvaltr, dove per tradimenio di Ciano furono trucidati trentamila
uomini ivi lasciati da Carloraagno (l'.iix.'m).
18 gutl efOrlandn = narra Turpino che il suono del corno d'Orlando in quella occasione fu udito da Carlo-
magno alla distanza di otto miglia.
12 un pà = un pochino.
24 (i chiapi dei maroni -- lu prendi abbaglio.
440 DELL'IIVPEBIVO
Poi caramente mi prese per mano, Co la so man chiapandome la mia,
E disse: Pria che noi siam più avanti, Me dise: Prima che più andemo avanti,
Acciocchè '1 fatto men li paia strano, Ació manco a ti stranio el fato sia, 30
Sappi che non son torri, ma giganti, Sapi che, no torioni, ma ziganti
E son nel pozzo intorno dalla ripa Xe in lei pozzo internai, fora restando
Dali'umbilico in giuso tutti quanti. Dal bonigolo in suso tuti quanti.
Come, quando la nebbia si dissipa, Come quando el caligo va sfantando,
Lo sguardo a poco a poco rafligura A poco a poco l'ochio rafigura 35
Ciò che cela '1 vapor che l'aere stipa ; Quel che sconde el vapor; cussi sbusando
Cosi, forando l'unni grossa e scura, La mia vista quel'aria fissa e scura,
Più e più appressando in ver la sponda, Sempre più vicinandome a la sponda,
Fuggèmi errore, e giugnèmi paura. Spariva ingano e me vegnia paura.
Perocchè come in su la cerchia tonda Che, come a Montregion su la rotonda, W
Montereggion di torri si corona ; Fa tante tore a quel castel corona ;
Così la proda, che '1 pozzo circonda, Cussi del pozzo da la vera londa
Torreggiavan di mezza la persona Su dal inivo impenava la persona
fili orribili giganti, cui minaccia Dei feroci ziganti, minazzai
Giove dal cielo ancora, quando tuona. Ancora in ciel da Giove 'quando el tona. 45
Ed io scorgeva già d'alcun la faccia, Mi za d'uno de quei gaveva ochiai
Le spalle e il petto, e del ventre gran parte. E viso, e spale, e pelo, e panza in parte,
E per le coste giù ambo le braccia. E i brazzi per le coste zo calai.
Natura certo, quando lasciò l'arte Natura ha pensà ben de scordar l'arte
Di sì fatti animali, assai fe bene, Per far sii mostri sora tuli quanti 60
Per tor colali esecutori a Marte. Fieri ministri del gueriero Marte.
E s'ella d'elefanti e di balene E se de far balene e lìonfanti
Non si pente, chi guarda sottilmente, No la xe stufa, chi ghe vede drento,
Più giusta e più discrela la ne liene ; Giudiziosa la stima e ghe fa vanti;
Che dove l'argomento della mente Perchè se a l'anemal l'intendimento 55
S'aggiugne al mal volere ed alla possa, Sia co la forza, e l'orida intenzion,
Nessun riparo vi può far la gente. La difesa de l'omo è trata al vento.
La faccia sua mi parea lunga e grossa, Me parea longo e grosso el so teston,
Come la pina di San Pietro a Roma ; Come la pigna de San Piero a Roma,
E a sua proporzion eran l'altr'ossa.» E gera tuto el resto in proporzion. 6*
Sì che la ripa, ch'era perizoma L'orlo del pozzo lo covriva noma
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto Dal mezo in zo, e tanto lo scovila
Di sopra, che di giugnere alla chioma Dal in su, che un su l'altro la so chioma
Tre Frison s'averian dato mal vanto ; Tre Frisoni tocar no arivaria ;
33 bonigolo = ombelico.
34 sfamando - dileguando.
37 l'aria fiata ..- densa.
40 Montregion -.-. Monteroggione, castello de' Sanesi, è cinto Intorno di torri che gli fan corona.
42 da la vera --- dall'anello (del pozzo).
43 impenava la persona - - tenevano ritta la persona.
59 la pigna de San Piero = la gran pina di bromo che una volta era posta sopra la mole Adriann "
Roma, e che oggi è nella sala dell'Apside di Bramante.
01 noma = soltanto.
64 Tre Frisoni —. Frisoni, popoli della Germania Settentrionale, i quali sogliono essere di altissima sia'""
che l'uno all'altro sovrapposti non avrebbero potuto giungere alla chioma del gigante.
CANTO XXXI. '
Perocch'io ne vedea trenta gran palmi Che più de trenta pie n'ho visti mi 65
Dal luogo in giù, dov'uom s'affibbia il manto. Dal colo in zo, e che de più no i sia.
lì" fi/ mai amèch tabi almi, Rafel mai amèch sali almi,
Cominciò a gridar la fiera bocca, Quel zigantazzo ha scomenzà in sto ton,
Cui non si convenien più dolci salmi. Che parlar noi poi megio de cossi.
E '1 Duca mio ver lui: Anima sciocca, El mio Dolor a lu : Sioco bricon, 70
Tienti col corno, e con quel ti disfoga, Sona ei corno, e con quel la rabia fissa
Quand'ira o altra passion ti tocca. Sfoga co la te chiapa, o altra passion.
Cercati al collo e troverai la soga Cerca el cordon, che dal to colo sbrissa,
Che '1 tien legato, o anima confusa, Al qual el xe tacà, lesiona sbusa;
E vedi lui che '1 gran petto ti doga. Varda che sul gran stomego el te strissa. 75
Poi disse a me : Egli stesso s'accusa ; Po a mi: Quel xe Nembrote, ch'el se acusa
Questi è Nembrotto, per lo cui mal colo I. n istesso, e per aver mal calcolà,
Pur un linguaggio nel mundo non s'usa. . Un sol linguagio al mondo più no i usa.
Lasciamlo stare, e non parliamo a voto : Ma impiantemolo, e no butemo el fià,
Ohe cosi è a lui ciascun linguaggio, Che "I linguagio de lu mai capiremo, 80
Come il suo ad altrui, ch'a nullo e noto. Com'elo quel dei altri gnanca un fià.
Facemmo adunque più lungo viaggio Più longo viazo a zanca fato avemo ;
Volti a sinistra; ed al trar d'un balestro E al tiro d'una frezza a nu presente
Trovammo l'altro assai più fiero e maggio. Più grando e lino un ziganton vedeme.
A cinger lui, qual che fosse il maestro, Chi lo gabia ligà mi no so gnente : 85
Non so io dir, ma ei tenca succinto Ma ligà per davanti el zanco gera,
Dinanzi l'altro e dietro il braccio destro. E da drio el brazzo drilo istessamente
D'una catena che '1 teneva avvinto ilo una caena, che lo strenze e sera
Dal collo in giù, sì che 'n su lo scoperto Quanto el dà in fora dal gran colo in zo
Si ravvolgeva infino al giro quinto. Per cinque ziri la figura intiera. 90
Questo superbo voll'essere sperto Ha cimentà sto buio el brazzo so,
Di sua potenza contra '1 sommo Giove, El Mestro a mi, contro el potente Giove,
Disse il mio Duca, ond'egli ha cotai merlo. Per questo i brazzi el ga ligai qua zo ;
Fialte ha nome; e fece le gran prove, Fialte el ga nome, e contro i Dii le prove
Quando i giganti fer paura ai Dei : , L'ha fato ne la guera dei ziganti; 95
Le braccia ch'ei menò, giammai non muove. Perciò le man ch'el ga menà noi move.
Ed io a lui : S'esser PUMI e. i' vorrei El gran colosso Briareo Ira tanti,
67 Raphtl mai te. — Le parole messe in bocca a Ncmbrot pretendono taluni siano provenienti dall'idioma
Arabo, ed altri dal Siriaco, dando a queste quell'intcrprelazionc che meglio loro pince; ma è più probabile l'o-
ì iMnm:' di olii crede che questo verso sia un miscuglio di parole senza significato lolle da diversi dialetti orieniali,
e stia per rappresentare la confusione delle lingue avvenuta presso lu torre 'elevala da quel superbo (Bis.icio).
71 la rabia fissa = la rabbia veemente.
72 Co la le chiapa — quando la li piglia.
73-74 Cerca el curdon = Ncmbrol, secondo le Sacre corte, avendo voluto innalzare una torre fino al cielo,
m pena di sua follia ebbe confusa la mente, elic dimenticò il proprio lingaggio. Virgilio suppone che per sme
morataggine non sappia ove sia il curno, che pur testò egli sonava = el cordon =: la coreggia = lesiona niuta
h -i-i vuota, senza crilcrio.
75 ii, un ttomego = gran stomaco, gran petto.
76-77 r/i'.7 ne acuta lu inciso — si da a conoscere egli medesimo con quel suo strano e confuso linguaggio.
79 impiantemolu — lasciamolo, abbandoniamolo = no infemo el fià = nou getlmmo il flato.
81 i1nn.,,,, un fià = nemmeno una briccioln.
91 i-i brazzo so = il braccio suo.
94-87 Fialte, Briareo — due gig.iuli elic più degli altri si mostrarono audaci nella guerra contro Giove.
U2 DELL'
Che dello smisurato Brlareo Se se poi, a lu digo, propriamente
Esperienza avesser gli occhi miei. Vogia avaria de vederne davanti.
Ond'ei rispose: Tu vedrai Anteo Ti vederà, el responde, qua darente 100
Presso di qui, che parla, ed è disciolto, Anteo, ch'el parla e ga del moto l'uso;
Che ne porrà nel fondo d'ogni reo. Lu in fondo de l'Inferno bravamente
Quel che tu vuoi veder, più là è molto, Ne porterà, Briareo xe assae più in suso,
Ed e legato e fatto come questo, Ligà come costù e grando e grosso;
Salvo che più feroce par nel volto. Solo d'esser più nero el mostra al muso. 105
Non fu tremoto già tanto rubesto, Dal taramoto con tal forza smosso
Che ncotesse una torre così forte, Xe sta nissun torion, com'el fracasso
Come Jialte a scotersi fu presto. Che ha fato Fialle, ch'el s' ha in bota mosso
Allm temetti più che mai la morte; In sentir questo. Allora ho visto a un passo
E non v'era mestier più che la dotta, La morte, e saria morto da paura, 110
S'i' non avessi viste le ritorte. Se noi vedea ligà dall'alto al bano.
Noi procedemmo piò avanti allotta, Anteo più in su trovemo là a dritura,
E venimmo ad AH leu. che ben cinqu'alle, Che anca senza la testa fora el gera
Senza la testa, uscia fuor della grotta. Dal pozzo trenta pie co la figura.
O tu che nella fortunata valle, O ti, che ti ha chiapà l'ioni a miera 115
Che fece Scipion di gloria reda, Là in vale, zogo de la sorte stada,
Quando Annibal co' suoi diede le spalle, Dove batudo Anibale a la guera,
Recasti già mille lion per preda ; Sipion ga fato dar la reculada ;
E che se fossi stato all'alta guerra E se dei to fradci sta in compagnia
De' tuoi fratelli, ancor par chV si creda, Ti fussi contro la celeste armada, 120
Ch'avrebber vinto i figli della terra; Aver vinto i ziganti se dirla ;
Mettine giuso (e non ten venga schifo) Caline de Cocito a la giazzera;
Dove Coelto la freddura serra. Sii bon, e non voler che da nu sia
Non ci far ire a Tizio, nò a Tifo: A Tifeo fata o a Tizio sta preghiera.
Questi può dar di quel che qui si brama : Questo poi recordarte là de sora. 125
Però ti china, e non torcer lo grifo. Sbassile, via, no far la bruta ciera ;
Ancor ti può nel mondo render fama ; Lu poi metei te in fama al mondo ancora,
Ch'ei vive, e lunga vita ancora aspetta, Che '1 vive, e '1 viverà per longo andar,
Se innanzi tempo grazia a sè noi chiama. Se el cielo no lo chiama avanti l'ora.
Così disse il Maestro ; e quegli in fretta Cussi '1 Mestro ; e la man, che ben strucar 130
Le man distese, e prese il Duca mio, Ercole ga sentio, presto ha chiapà
Ond' Ercole sentì già grande stretta. La Guida mia, che nel sentirse alzar,
Virgilio, quando prender si senlio, Me vicn disendo: Tirite più in qua,
Disse a me: Fatti 'n qua, sì ch'io ti prenda: Che te possa tor su ; e un sol balon
Poi fece sì, che un fascio cr'egli ed io. Parevimo lu e mi co '1 m' ha brazzà. 135
137 Caritenda = torre di Bologna, così chiamata dal nome di chi la fece innalzare e elic oggi è delta la
torre mozza. Essa è molto pendente, e lercio può sembrare a chi sta sotto di quella, guardando in allo quan
do passa alcuna nube in direzione contraria alla sua inelinazione, che, non la nnbe, ma la torre stessa si muova
e deelini. ,
138 par la fazza un lombolon = pare che precipiti.
CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
15 .lImanco cafre (tasi al tannilo stae . almeno foste stnle capre al mondo.
17 rifai rr giunti.
27 Tnnn - il Tana o il Don, gran fiume clic negli amichi tempi divideva l'Europa dall'Asia.
29 Tubernik o /Vera/lana = il primo e un montu altissimo nella Schiuvonia. Pietrapana o Pietra Apuana.
altro monte ultissimo nella Carfugnana.
30 sericolà = scricchiolalo.
31 È came per criar = e come, per gracidare.
34 /(.l„„, — di colorito nero-rossigno, come diviene la pelle a cagione del massimo freddo.
•12 Do = due.
•16.47 moyi sol ilrcuto — soltanto bagnati internamente. — ai ori = alle orlature degli occhi, cioè palpebre.
CAUTO xxxii. 145
Legno con legno spranga mai non ciate Legno e legno cussi forte strucando,
Forte così; ond'ci, come duo becchi, Come quelc do aneme irabiae, 50
Cozzaro insieme : tant' ira li vinse. Cofà insieme do bèchi se va urtando.
Ed un, ch'avea perduti ambo gli orecchi E un altro, che le rechie ga magnae
Per la freddura, pur col viso in giue Dal giazzo. dise a mi col viso in zo :
Disse: Perchè cotanto in noi ti specchi? Perchè su nu ti moli quele ochiae?
Se vuoi saper chi son cotesti due, Se ti voi, te dirò chi xe sti do ; 55
La valle, onde Bisenzio si dichina, De lori e de so pare Alberto gera
Del padre loro Alberto e di lor fue. La vale per la qual Bisenzio zo
D'un corpo usciro : e tutta la Caina S'invia. l ha avù la mare istessa: intiera
Potrai cercare, e non troverai ombra La Caina pur zira, e nissun più
Degna più d'esser litta in gelatina : Degno ti troverà de la giazzera. 60
Vii quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra Nè quelo, al qual el colpo ha molà Artù,
Con• esso un colpo, per la man d'Arto. : Peto e ombra sbusaudoghe in t'un hà:
Non Focaccia: non questi che m'ingombra Nè Focacia; e po gnanca qua costù,
Col capo sì, ch'i' non veggio oltre più, Che col teston me tol d'ochiar più in là ;
E fu nomato Sassol Mascheroni: L' ha avudo nome Sassol Mascheroni ; 65
Se Tosco se', ben sa' omai chi fu. Se ti è toscan, eh' il xe ti savarà :
E perchè non mi metti in più sermoni, Ma aciò strussiar no m'abia più i polmoni,
Sappi ch' i' fui il Camicion de' Pazzi, Sapi, che Camicion son mi dei Pazzi:
Ed aspetto Carlin che mi scagioni. Speto Carlin, ch'el scusa i mii maroni :
Poscia vi,i ' io mille visi cagnazzi Po a miera ho visti là visi paonazzi 70
Fatti per freddo: onde mi vien ribrezzo, Dal fredo deventai, che intirizzir
E verrà sempre, de' gelati guazzi. Me fa sempre in pensarghe i stagni giazzi.
E mentre oh' andavamo in ver lo mezzo, E mentre al centro in zo, dove a unir
Al quale ogni gravezza si rauna, Tende i corpi s' inviemo, e mi sbasìo
51 Co/a = come.
54 ti moli guelt ochiae — hi getti quelle occhiale.
57 la vals ec. — questa valle e fonnata de' contrafforti clic nella direzione ila Settentrione ai1 Ostro scen
dono dall'Apennino ili ilontepiano e di Vcrnio, le quali branche prolungandosi a destra per Monte Giavello fino
a Monte Murlo, a sinistra per Monte Cuccioli e ln Calvana, prendono in mezzo la pianura e la citta di Prato;
' |>er questo tratto appunto corre Bisenzio.
58 / ha ami la mare intesfa : sono i due fratelli Alessandro e Napoleone, conti di Mangona, che morto
il padre loro Alberto degli Alberti nobile fiorentino, si diedero a tiranneggiare le terre intorno, e finalmente ve-
nnli tra loro in discordia per ragione dello eredita pnternu, l'uno ammazzò l'ultro a tradimento.
59 La Caina _ da Caino nccisore del fratello: son qui puniti i fratricidi e i traditori del proprio sangue.
61 Nè quelo ec. = Montrcc, il quale essendosi posto in augnato per nccidere il proprio padre Artù re
della gran Bretagna, fu da lui veduto, e poscia trapassato con una lancia a modo che, secondo che narrasi
nelle storie cavalieresche, per mezzo la ferita passò un raggio ili Sole così manifestamente, che Girlkt lo vide.
Perciò vien detto dal pocta: •• o cm" fu rotto il Iiclla e l'ombra»; cioè fu rotta dal raggio del Sole quell'ombra
dic il petto faceva sopra il suolo.
62 in t'un fia = in un attimo.
63 Focacia — Focaccia de' Cancellieri, nobile Pistojese, il qualt mozzò una mano ad un suo cubino, ed in..
tue un suo zio.
65 Sassol mascheroni fiorentino: questi essendo tutore di un suo nipote, per rimanere erede l'uccise; onde
a lui fa tagliata la testa in Firenze.
67 serustiar = affaticare.
68 Camicion son mi dei Pazzi = Messcr Alberto Camicionc de' Pazzi di Val d'Arno, il quale a tradimento
uccìse Stesser tibertino suo parente.
69 Carlin = Messer Carlino de' Pazzi, di parte Bianca, diede per danaro a tradimento il castello di Piano
ui Trevigne in mano dei Neri di Fircnze, ondo molti furono morti o presi dei migliori usciti di Firenze =
i ''i' senta i mii maroni = cioè, che co' suoi più gravi peccati faccia apparire pili leggicei i miei.
74 = sbatio .--- questa voce che in altro senso vale per morto, qui e presa per, languente , assiderato.
10
146 DELI/ INFERIVO
Ed io tremava nell' eterno rezzo ; Gera in quel giazzo eterno ; no io dir 75
Se voler fu, o destino, o fortuna, Se destili, caso, o pur voler de Dio :
Non so : ma passeggiando tra le teste, • Ma in mezo a quele teste andando via,
Forte percossi il pie nel viso ad una. Una ghe n'ho zapada col pie mio.
Piangendo mi sgridò: Perche mi peste? Perchè ti m'ha pestà, pianzendo el cria;
Se tu non vieni a crescer la vendetta De Montaperti a cresser la vendeta 80
Di Moni' Aperti, perchè mi moleste ? Se no ti vicn, perchè la testa mia
Ed io : Maestro mio, or qui m' aspetta, Ti maltrati? E mi al Mestro digo; Aspeta
Sì ch' i' esca d'un dubbio per costui : Che un mio dubio in costù vegna schiarando,
Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta. E po dame pur pressa, o mio Poeta.
Lo Duca stette ; ed io dissi a colui Co '1 s' ha fermà, mi digo a chi infuriando 85
Che bestemmiava duramente ancora: Nove bestemie gomitava fora :
Qual se' tu che così rampogni altrui ? Chi xestu, che a la zente va criando ?
Or tu chi se', che vai per l'Antenora Dise elo : E chi estu ti, che a l'Antenora
Percotendo, rispose, altrui le gote Ti vien cussi a pestarne, che saria
Si, che se foni vivo, troppo fora? Massa el peso se ti vivessi ancora ? 90
Vivo son io, e caro esser ti puote, Son vivo, ghe respondo, e poderia,
Fu mia risposta, se domandi fama, Per la to fama sta ocasion giovar,
Oh' io metta '1 nome tuo tra l'altre note. Perchè tra le mie note scriverla
Ed egli a me : Del contrario ho io brama : Anca el to nome. No, no me notar,
Levati quinci e non mi dar più lagna; Lu a mi, che per sedur qua sto to zelo 95
Che mal sai lusingar per questa lama. El fa fiasco ; va via, no me secar.
Aliiii- lo presi per la cuticagna, Per el copin mi chiapo alora quelo,
E dissi: E' converrà che tu ti nomi, E digo : E sì ti ga da dirme come
O che capei qui su non ti rimagna. Ti te chiami, o no resta a ti un cavelo.
Onii" egli a me : Perchè tu mi dischiomi, Strapime, el me responde, pur le chiome, 100
Nè ti dirò chi io sia, nè mostrerolti, E anca ti me pestassi un mier de volte,
Se mille liate in sul capo mi tomi. Nè'l viso mostro, nè te digo el nome.
Io avea già i capelli in mano avvolti, Za avea le chiome tra le man involte,
E tratti glien avea più d'una ciocca, E strapada gavea più d' una chioca,
Latrando lui con gli occhi in giù raccolti ; Lu urlando co le cegie in 20 revolte; 105
Quando un altro gridò: Che hai tu, Bocca? Quando un altro ha cigà : Coss'astu Uoca ?
Non ti basta sonar con le mascelle, No te basta sonar dal fredo el dente
Se tu non latri? qual diavol ti tocca? Senza bagiar ? qual diavolo te schioca ?
Omai, diss' io, non vo' che tu favelle, Tasi, ghe digo adesso al prepotente,
Malvagio traditor, ch' alla tua onta Birbante, traditor, che per to scorno HO
Io porterò di te vere novelle. Portarò le to nove a l'altra zente.
78 zupada = calcala.
79 Perchè ti m' ha pestà .- . costui che qui parla è Bocca degli Aboti, fiorentino, di parte Guelfa, per tra
dimento del quale fimmo trucidati presso Moulaperli quattromila Guelfi = ti cria = ci sgrida.
84 pressa = premura.
87 criando = sgridando.
88 Ammara = cosi è chiamato lo spartimento ove si puniscono i traditori della patria, la quale «IciK-
miuazione proviene dal Troiano Antenore, che secondo qualche antico storico vendè Troja ai Greci.
90 Massa = troppo.
101 nn Mia- de volle = mille volte.
105 co le cegie. - eoa le ciglia-
CAP(TO XXXII. i 47
Va via, risptw, e ciò che tu vuoi, conta; Va, di' pur su, che no m' importa un corno,
Ma non tacer, se tu di qua entr' eschi, Me responde, ma se da sto logazzo
Di quel ch'ebbe or cosi la lingua pronta. Ti sorti, di' de chi ha sonà mo'l corno;
Ki piange qui l'argento de' Franceschi: De Franza i bezzi, pianze qua el furbazzo. 115
l'vidi, potrai dir, quel da Duera Go visto, ti poi dir, quelo da Duera,
Là dove i peccatori stanno freschi. In dove pena i pecatori in giazzo.
Se fossi dimandato altri chi v' era, Se i te domanda chi altri qua ghe gera,
Tu hai da lato quel di Beccheria, Ti ga al to fianco quel de Becheria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera. Che ha sentia de Firenze la manera. 120
Gianni del Soldanier credo che sia Giani del Soldanier, credo che sia,
Più lì con Ganellone e Tribaldello, E Ganelòn con Tribaldel più in là,
Ch'aprì Faenza quando si dormia. Che de note Faenza l'averzia.
Noi eravam partiti già da elio, Apena avemo quel bricon lassà ,
Ch'i' vidi duo ghiacciati in una buca, Go visto in t'una busa do giazzai, 125
Si che l'un capo ali' altro era cappello : Col cragno un sora l'altro in zo fracà.
E come '1 pan per fame si manduca, E come el pan i magna i afamai,
Cosl'l sovran li denti all'altro pose Quel sora a l'altro i denti ghe ficava
Là Vi cervel s'aggiunge colla nuca. Tra'l zucoto e '1 cervel -drente che mai.
Non altrimenti Tideo ti rote Talqual de Menalipo rosegava 130
Le tempie a Menalippo per disdegno, Tideo el cragno co la rabia in cuor,
Che quei faceva '1 teschio e l'altre cose. Com 'el (lanà su quela testa fava.
O tu che mostri per sì bestiai segno Ti che al tanto bestiai ato de oror
Odio sovra colui che tu ti mangi, 'l'i mostri odiar chi ti xe drio magnar,
Dimmi '1 perchè, diss'io, per tal convegno. La causa, digo, di' del to fm-or, 135
Che se tu a ragion di lui ti piangi, E se giusta rason de lu lagnar
Sappimi Jo chi voi siete, e la sua pecca, Te fa, chi sie se ti dirà e '1 so torto,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi, Te savarò là su contracambiar,
Se quella con ch'io parlo non si secca. Se parlar posso avanti d'esser morto.
114 de ehi ha tona mo'l corno -= detto metaforicamente, e vale: di colui che mi ha or ora palesata n«
•o = qui sta per or ora.
115 De Franza i bezzi - quegli di cui parla Bocca, è Buoso da Duera Cremonese, il quale per danaro
offertogli dal conte Guido di Monteforte condottiero dell'esercito di Francia, non gli contese il passo nella Pu
glia, come era obbligato di fare, essendo stato posto dai Ghibellini e da Manfredi nei luoghi verso Parma, ap
punto per ostare a Carlo d'Angiò. — furbazzo = furfante.
119 ii uri de Becheria = questo fu di I'.i vi,i, conosciuto sotto il nome di Don Tesauro di Beccheria Abate
ai Vallombrosa, al quale fu tagliata la testa per essersi scoperto certo trattato ch'egli fece contro i iinelli in
favore dei Ghibellini in Firenze, ove fu mandato legato per Papa Alessandro IV.
121 Ciani de Soldanirr =- di parte Ghibellina: volendo i Ghibellini torre il governo di mano ai Guelfi, oi
li tradì; s'accostò ad essi Guelfi, e fecesi principe del nuovo governo.
122 Ganelòn - questi è quel Gono traditore di Carlo Magno, di cui tanto dice l'Ariosto, e pel cui tradi
mento furono tagliati a pezzi (lai Mori di Roncisvallc trentamila Cristiani — Tribaldel = Tribaldello de' Man
fredi era cittadino di Faenza, la qual citta tencasi per il conte Guido da Montefcltro. Costui per tradimento ne
aperse di notte una porta a Giovanni de Apia Francese, che da Papa Martino IV era stalo nominato conte di
nomagna.
130-131 Tideo figlio di Èneo re di Calidonia, e Menalippo tebano, combatterono insieme presso Tebe, e re
starono insieme mortalmente feriti. Tideo sopravvivendo al suo nemico fecesi recare la testa di lui, e per rabbia
U Ii rose.
148 DELL IM'ERXQ
CANTO TRENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ^ ARGOMENTO
Dell' inimico teschio empia pastura ,'-. ,' DIÌ Ruger, Arcivescovo, rodendo
Conte Ugolino giù fa nella ghiaccia ; { * ' Sta in tei giazzo Ugolin, el cragno odia,
E narra il modo tli sua morte dura. E la crudel so morte vien disendo.
Poi ver la Tolommna lo pie s'avaccia Verso la Tolomea po insieme va
De' due Poeti, e nella fredda costa I do Poeti, e da le giazze ondo
Frate Alberigo a favellar s'affaccia, Da su frate Alberigo; questo fa
Che Dante prega, e nulla n' ha risposta. Un prego a Dante, el qual no ghe responde.
La bocca sollevò dal fiero pasto Ga alza la boca quel danà in (riazzera,
Quel peccator, forbendola a' capelli Forbindola a la chioma de la testa,
Del capo ch' egli avea di retro guasto. Ch' el divora da drio comè una fiera.
Poi cominciò: Tu vuoi ch'io rinnovelli Po '1 scomenza : Ti voi che la tempesta
Disperato dolor che'l cor mi preme, Me svegia in sen, che prima de parlar
Giù pur pensando, pria ch' i' ne favelli. Solo el pensier me rode el cuor, lo impesta!
Ma se le mie parole esser, den seme, Ma al traditor cha stago a rosegar,
i Che frutti infamia al traditor ch' i' rodo, Se darà infamia quelo che dirò,
Parlare e lagrimar vedrai insieme. Vardime sin che parlo a lagremar.
l' non so chi tu sie, nè per che modo Chi ti è no so, nè come mai qua zo 10
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino Ti xe vegnù; ma, certo, Fiorentin
Mi sembri veramente quand' i' t' odo. Ti me pari al linguagio. Sapi mo
Tu dèi saper ch' i'fui'l Conte Ugolino, Che al mondo mi so sta el Conte L'eolio,
E questi l'Arcivescovo Ruggieri: E Ruger l'Arcivescovo costù :
Or ti dirò perch' io son tal vicino. E perchè rodo qua sto berechin 15
Che per l'effetto de' suo' mai pensieri, Te contarò. Che mi fidando in lu
Fidandomi di lui, io fossi preso Sia sta messo in preson, e morto là
E poscia morto, dir non è mestieri. Da elo tradio, no importa saver più.
Però, quel che non puoi avere inteso, Però nissun te poi aver contà
Cioè come la morte mia fu cruda, Quanto crudel la morte mia xe stada :
Udirai, e saprai se m' ha offeso. Scolta, e varda se' el m'abia sassinà.
Breve pertugio dentro dalla muda, Dal fenestrin de la tore chiamada
La qual per me ha'l litol della fame, De la fame per mi, morto là via,
E in che conviene ancor ch'altri si chiuda, Dove altra zente vegnerà serada,
M' avea mostrato per lo suo forame Che più lune za gera passae via 2o
27 skraca = scoppia.
29 Dar cazza al lovo e ai so loveli = dar la caccia al lupa e ai suoi lupicini: sono qui figurati il conte
Ugolino coi suoi figli.
30 Che a valer Luca xe al Piian d'impazzo = allude al monte S. Giuliano por il quale, essendo posto Ira
Pisa e Lucca, si toglie alle due citta vicine di potersi vedere — impazzo = imbarazzo, inciampo.
32 Gualandi cie. — vedi noia 13-14.
34 Dopo aver corso un fià = dopo brevissima corsa.
35 El pare e i poi = il padre e i ligli, cioè i lupi e i lupicini = guzzi denti = denti sgim.i, acuii.
37-33 Co = quando — insonà = assonnato, tra la veglia e il sonno.
40 te HO le fa pecà n: se non ti muove a compassiono.
41 me lontoaava = mi mormorava, mi bucinava.
58 iuisrion = si usa comunemente in dnletto per dolore dell'animo.
60 m bòia = tosto.
DELL lNFERNO
E disser : Padre, assai ci lui men doglia, E, pare, i dise, ne fa manco dogia
Se tu mangi di noi : tu ne vestisti 9e ti magni de nu ; ti ha ti vestio
Queste misere carni, e tu le spoglia. Questo misero corpo, e ti lo spogia.
Queta'mi allor per non farli più tristi: Per semarghe al dolor, el dolor mio
Quel dì e l'altro stemmo tutti muti : Trategno; in quel dì e l'altro stemo muti; 65
Ahi dura terra, perchè non t'apristi? Barbara lera, e no ti n' ha ingiotio 7
Posciache fummo al quarto di venuti, Uh adi al quarto zorno, tra i mii puti,
Gaddo mi si gettò disteso a' piedi, Gado ai pie'l se me buta destirà
Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti? Disendo : Pare mio, no ti me a làuti ?
Quivi mori: e come tu me vedi, Là'l mor: e come ti me vedi qua, 70
Vid'io cascar li tre ad uno ad uno l altri ho visti morir a un a un
Tra '1 quinto dì e '1 sesto : ond' io mi diedi Tra '1 quinto zorno e'1 sesto; e mi za orbà
Già cieco a brancolar sovra ciascuno, Cercandoli a taston li andava ognun.
E tre dì li chiamai poi ch' e' fur morti : Li ho chiamai per tre zorni dopo morti:
Poscia, più che '1 dolor, potè il digiuno. Po del dolor podesto ha più el dezun. 75
Oliami' ebbe detto ciò, con gli occhi torti Co '1 ga lin in, fascndo i ochi storti,
Riprese il teschio misero co' denti, Da novo ci gho piantava i denti fini
Che furo ali' osso, come d'un can, forti. Come d'un can, del cragno a l'osso, e forti.
Ahi Pisa, vituperio delle genti Ah Pisa ! desonor dei citadini
Del bel paese là dove il at suona ; Del bel paese in dove i dise *«; 80
Poichè 1 vicini a te punir son lenti, Se intardiga a punirte i to vicini,
Movasi la Capraia e la Gorgona, Che Capragia e Gorgona sol per ti •,
E faccian siepe ad Arno in su la foce, Se mova, e '1 sboco d'Arno de in stropar,
Sì ch' egli annieghi in te ogni persona. Tuti quanti negar ve fazza lì.
Che se il Conte Ugolino aveva voce Che se '1 conte i castei col mercantar 85
D'aver tradita te delle castella, D'averte lu tradio se mormorava,
Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. No ti dovevi i Boi martorizar.
lnnocenti facea l'età novella, Tebe nova ! inocentl Ugocion fava
Novella Tebe, Uguccione e il Brigata, La zoventù, Brigala e i altri do,
E gli altri duo che il canto suso appella. Che più in suso sto canto menzonava. 90
Noi passamm' oltre, la 've la gelata Col mio Dotor avanti invia me so,
Ruvidamente un' altra gente fascia, Dove in tei giazzo altri danai gh' è drento,
Non volta in giù, ma tutta riversata. Che in su voltà i ga el viso e no più in zo.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia, El pianto là. xe al pianto impedimento ;
E '1 duol, che truova in su gli occhi rintoppo, No trovando le lagrcme el passagio, 95
97 stropagio = turacciolo.
lis de vero .-: di vetro.
99 teragio = serraglio.
112 impazzo = imbarazzo, riferito alle lacrime fatte ghiaccio negli occhi.
118-110 Mi son frale Alberigo ec. ;_• Alberigo dei Manfredi Signori di Faenza, fecesi dei frati Gaudenti.
Essendo in discordia con alcuni suoi consorti, e bramando levarli dal mondo, finse di volersi riconciliare con
loro, e li convitò magnificamente. Al recarsi delle frutta, che accenna provenienti dal cattivo orto, secondo ch'egli
area ordinato, uscirono alcuni sicarii che nccisero molti convitali.
120 El datolo t/nd teambia per el figo ..: moto proverbiale fiorentino, che significa; essere' ricambiato con
usura del mal fatto.
123 me so tuforlo . mi sono accorto.
124 IJH questo de bon = ha questo vantaggio — Tolomìa — Tolomea i denominato il luogo ove si puniscono
i traditori della amicizia.
126 Atropoa . • una delle tre Parche, quella che recide lo stame dello, vita degli uomini.
128 vói = voglio.
152 DELL, INFERMO
Come fec'io, il corpo suo l'è tolto Ga pecà, come mi, el demonio atento, 130
Da un dimonio, che poscia il governa l'iil suso el corpo soo, e se -lo tien
Mentre che '1 tempo suo tutto sia volto. Insin che ghe staria l'anema drento.
Ella ruina in sì fatta cisterna ; Quela a prccipiton qua zo la vien ;
E forse pare ancor lo corpo suso E Cui -.i sarà el corpo anca là sora
Dell'ombra, che di qua dietro mi verna. De oolù, che drio a mi nel giazro el svien. 135
Tu'l dèi saper, se tu vien pur mo giuso: Ti lo devi saver, che solo a st'ora
Egli è Ser branca d'Oria, e son più anni Ti vien qua zo. Xe quelo Branca d' Oria
Poscia passati ch' ci fu si racchiuso. Arivà da tanti ani in sta malora.
l' credo, diss'io lui, che tu m'inganni; Ti li xe a toma, digo, co la storia :
Che Branca d'Oria non morì unquanche, El Branca d'Oria vive; e certo son, 140
E mangia e bee e dorme e veste panni. Che '1 magna, el vesta, el dorma ho mi memoria.
Nel fosso su, djss'ei, di Malebranche, E lu : Zanche Michiel in quel fosson,
, Là dove bolle la tenace pece, Dove bogie de pegola el paltan,
Non era giunto ancora Michel Zanche, Fato ancora no aveva el tombolon,
Che questi lasciò un diavolo in sua vece Ch'el Branca ga a un demonio lassà in m. ni li".
Nel corpo suo, e d'un suo prossimano, Kl corpo soo e quel d'un so parente,
Che '1 tradimento insieme con lui fece. Che nel gran Iradimento ga dà man.
Ma distendi oramai in qua la mano. Ma vienme adesso col lo brazzo a rente;
Aprimi gli occhi : ed io non gliele apersi, Verzime i ochi : gnanca li ho locai,
E cortesia fu lui esser villano. E xe sta gentilezza averlo in mente. 150
Ahi Genovesi, uomini diversi Ah Genovesi carghi de pecai,
D' ogni costume, e pien d'ogni magagna, D' usi diversi de qualunque razza,
Perchè non siete voi del mondo spersi ? Perchè no i v'ha nel mondo sterminai?
Che col peggiore spirlo di Romagna Che con quel da Romagna, gran robazza,
Trovai un lai di voi, che per su' opra Un dei vostri ho trovà, che per mal far, 155
In anima in Cocilo già si bagna, A l' Inferno co l'anema el se giazza,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra. E in corpo vivo al mondo ancora el par.
CANTO TRENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
I Vexilla Itiiiis ee. =» I vessilli del re dell'Inferno avanzano verso noi. Questi vessilli sono le grandi ale
sventolaini di Lucifero: le tre prime parole sono il principio di un Imin con elic la Santa Chiesa esalta la Croce
trionfante insegua di G. C. Le usa Dante per richiamare ad un confronto tra i due duci Cristo e Lucifero.
5 Cazzò = respinto.
7 «Varo = spalanco.
II te nliieni -- si traspare.
12 la pagia - la paglia.
13 iiravacai . - sdrajati.
13 Quel lai ..- cioè Lucifero l'angelo decaduto.
20 flirt — nome mitologico del re dell'Inferno.
4 54 DELL INFERNO
Però ch'ogni parlar sarebbe poco. Che lengua al mondo noi sa dir con sesto.
Io non morii, e non rimasi vivo : Nè vivo ben, nè morto m'ho sentio: 25
Pensa oramai per te, s' hai fior d'ingegno, Pensa, se un 1là ti ga de bon criterio,
Qual io divenni, d'uno e d'altro privo. Quanto in quel stato go d'aver patio :
Lo imperador del doloroso regno El gran Sovran del doloroso imperio
Da mezzo '1 petto uscia fuor della ghiaccia ; A U1IVO peto fora vien dal giazzo ;
E più CIMI un gigante io mi convegno, Manco stranio a un zigante mi, sul serio, 30
Che i giganti non fan con le sue braccia : Son, che i ziganti arente d'un so brazzo:
Vedi oggimai quant'esser dee quel tutto Varda donca che imenso farabuto
('.ira così fatta parte si confaccia. Xe, drio sto paragon, quel diavolazzo.
S'ei fu sì bel com'egli è ora brutto, Se lu belo el xe sta quanto el xe bruto,
E contra '1 suo Fattor alzò le ciglia, E contro el so Crcator el se ga mosso, 35
Ben dee da lui procedere ogni lutto. Xe ben certo ch'el mal da lu '1 vien tuto.
O quanto parve a me gran meraviglia, Oh da qual maravegia son sta scosso,
Quando vidi Ire facce alla sua testa! Quando ho visto tre musi a la so testa !
L'una dinanzi, e quella era vermiglia ; Quelo de fazza xe de color rosso :
Dell'altre due, che s'aggiugnèno a questa Quei altri do, che da le bande resta, W
Sovr'esso '1 mezzo di ciascuna spalla, In mezo d'ogni spala ognun ga '1 sito,
E si giugnèmmo al luogo della cresta, E i va a incontrarse insieme su la cresta ;
La destra mi parea tra bianca e gialla ; Tra '1 zalo e '1 bianco me pareva el drito,
. La sinistra a veder era tal, quali Negro xe '1 zanco, come quei là dove
Vengon di là, onde '1 Nilo s'avvalla. Ga '1 leto el Nilo e te Etiopia dito. 45
Sotto ciascuna uscivan duo grand'ali, De soto a ognun sortia do alone nove
Quanto si conveniva a tanto uccello : Adatae a quel diavolo de oselo:
Vele di mar non vid'in mai cotali. Vele compagne in mar mai no se move.
Non avean penne, ma di vipistrello No le ga pene, ma del barbastelo
Era lor modo ; e quelle svolazzava, Le ga la forma, e tanto el le menava, 50
Sì che tre venti si movien da elio. Che fazzeva i tre venti mover elo.
Quindi Cocito tutto s'aggelava : Perciò Cocito tuto se giazzava.
Con sei occhi piangeva, e per tre menti Con sin ochi el pianzeva, e su i tre menti
docciava il pianto e sanguinosa bava. Sgiozzava el pianto e sanguenosa bava.
Da ogni bocca dirompea co' denti Per ogni boca un pecator coi denti, 55
Un peccatore a guisa di maciulla, Come gramola el canevo, el rompeva,
Sì che tre ne facea così dolenti. A tre in t'un colpo dandoghe tormenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla A quel davanti, el morsegon no aveva
Verso '1 graffiar, che talvolta la schiena Gnente che far co le sgrafae, che in schen»
Rimanca della pelle tutta brulla. Restar senza la pele lo fazzeva. M
Quell'anima lassù che ha maggior pena, Colù in cima, che ga la più gran pena,
? t «m ntstn — esaltamento.
30-31 Adunco stranio =•• meno strano, sfiguro meno — urente -* qui sta per in confronto.
32 f.iniimin - - voce appropriata ulto sgherro, al sicario, e Mmili scellerati.
45 Hit 'I telo ti Nilo e xe Etiopia dito — dai monti dellai ILuna cade il Nilo nella sottoposta valle di Kiio; i :
49 barbanelo n• pipistrello.
M Codio - limnc dell'Inferno.
53 Con tie oc/u ti pianzcva =• Con sei occhi egli piangeva, poichè erano tre le teste.
56 gramola = maciulla = canova = canape.
5$ mvrseyon — morso, morsicatura.
CANTO XXXIV. 155
Disse '1 Maestro, è Giuda Scanotto, Xe, me elìso el Dotor, Giuda Scariole;
Che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena. E1 tien la testa in dentro, e fora el mena
Degli altri duo e' hanno il capo di sotto, I pie. Dei do che ga la testa solo,
Quei che pende dal nero ceffo è Bruto : Bruto xe quel che pende dal mustazzo 65
Vedi come si storce, e non fa motto : Negro : noi parla e '1 tien le gambe in moto :
E l'altro è Cassio, che par sì membruto. Xe l'altro Cassio con quel so corpazzo.
Ma la notte risurge ; e oramai Ma dà suso la note, e za che qua
È da partir, che tutto avem veduto. Tulo s' ha visto, abandonemo el giazzo.
i '.uiifa lui piacque, il collo gli avvinghiai; Come el voi, al so colo m' ho brazzà ; 70
Ed ei prese di tempo e loco poste : E a lempo, con quel echio soo sicuro,
E, quando l'ale furo aperte assai, Quando el ga l'ale Belzebù stargà,
Appigliò sè alle vellute coste : E1 se brinca al peloso fianco scuro;
Di x elio in v i-Ilo giti discese poscia Po in zo de pelo in pelo el fa una mossa
Tra '1 folto pelo e le gelate croste. Tra '1 foltissimo pelo e '1 giazzo duro. 75
Quando noi fummo là dove la coscia Rivedi proprio al sito, che la cossa
Si volge appunto in sul grosso dell'anche, Al fianco del demonio se gh' impira,
Lo Duca con fatica e con angoscia E1 mio Dotor con gran fadiga e angossa,
Volse la lesta ov'egli avea le zanche, Dov'el gaveva i pie la testa el zira,
Ed aggrappossi al pel com'uom che sale, E al pelo rampegando in su, me par 80
Sì che in Inferno i' credea tornar anche. Che a l'Inferno da novo in zo '1 me tira.
Attienti ben, che per cotali scale, Dise el Mestro spossà, stentando arliar :
Disse '1 Maestro ansando com'uom lasso, Tiente ben streto, che a sia scala drio
Conviensi dipartir da tanto male. Convien desso l' Inferno abandonar.
Poi uscì fuor per lo foro d'un sasso, Po dal buso d'un sasso el xe sorlio ; 85
E pose me in su l'orlo a sedere: E co su l'orlo el m' ha puzà in senton
Appressso porse a me l'accorto passo. De quel sasso, el s' ha messo al fianco mio.
l' levai gli occhi, e credetti vedere Levo i ochi, credendo el diavolon
Lucifero com'io l'avea lasciato, De veder come l' ho lassà là via:
E vidili le gambe in su tenere. Se m'abia in mezo al cuor sentio un sinicon, 90
E s'io divenni allora travagliato, Co go visti i pie in su, lo pensarla
La gente grossa il pensi, che non vede I meloni, i alochi e i lurlulù,
Qual era '1 punto ch'io avea passato. Che per dove no i sa sbusà mi sia.
Levati su, disse '1 Maestro, in piede : Da bravo, dise el Mestro, leva su,
La via è lunga, e il cammino è malvagio, Che la strada xe longa e rebaltada, 95
E già il Sole a mezza terza riede. E el Sol se ga levà da un'ora e più.
Non era camminata di palagio No gera de palazzo spassizàda,
62 (iiudn Scariota ±= quegli che tradì Gesù Cristo suo benefattore e Maestro.
65-67 Bruto e Cassia uccisero proditoriamente il riformatore e rettore dal romano impero Giulio Cesare.
Cassio era nomo corpulento.
76 COMO - coscia.
77 ti ghe impira =• se gli incastra.
8! or/far = respirare.
86 IH .icniim -— u sedere.
80 Se me gatia in lei cuor tcntia un ttrueon — se mi sia sentilo darmi una stretta al cuore.
91 i pie in m = i piedi in sn.
95 rcbultada = dirupata.
87 tpaniiada = pasneggiata.
-156 PELL INFERNO
Là Veravam, ma naturai burella Dove stevimo nu, ma soto lera
Ch'avea mal suolo, e di lume disagio. A orbon s'andava per scossosa strada.
Prima ch'io dell'abisso mi divella, Mcstro, ho dito, co in pie messo me gera, 100
Maestro mio, diss'io quando fu' drillo, Avanti che mi vaga via da qua
A ti ,'irmi d'erro un poco mi favella. Cavime sii mii dubi : La giazzera
Ov'è la ghiaccia ? e questi com'è fitto Dove mai xela ? como xe piantà
Sì sottosopra ? e come in sì poc'ora Costà de solo in su? e come a si" uni
Da sera a mane ha fatto il Sol tragitto ? Da note a dì oramai ga el Sol zirà ? 105
Ed egli a me : Tu immagini ancora , E tu : Ti credi ti d'esser ancora
D'esser di là dal centro, ov'io m'appresi Al centro, in dovè m' ho tacà sul pelo
Al pel del Termo reo che '1 mondo fura. Del verme pecator ch'el mondo fora.
Di là fosti cotanto, quant'io scesi: Ti è sta là sin che so andà zoso, e in quelo
Quando mi rolsi, tu passasti il punto Che m' ho voltà, ti ga passà quel ponto, 110
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi : Che i corpi greri tira tuli a elo :
E se'or sotto l'emisperio giunto E za al vólto celeste ti xe zonto,
Ch'i contrapposto a quel che la gran secca Contrario a quel che move quela tera,
Coverchia, e sotto '1 cui colmo consunto Dove ha avù soto el colmo ci grando afronto
Fu ITum che nacque e visse senza pecca : El Fiol de Dio fat'omo. Su la sfera 115
Tu hai i piedi in su picciola spera Picola i pie ti puzi adesso ti,
Che l'altra faccia fa della Giudecca. Che al so roverso la Giudeca sera.
Qui è da man, quando di là è sera : Quando de là xe note, qua xe dì:
E questi che ne fe scala col pelo, Costù che al pelo suo m' ho ramperà,
Fitto è ancora, sì come prim'era. Come prima el xe ancora piantà lì : 120
Da questa parte cadde giù dal cielo; Da sta banda dal ciel l'è zo piombà ;
E la terra che pria di qua si sporse, E la tera che avanti qua xe stada,
Per paura di lui fe del mar velo, De colù spauria, s" lui sprofondà
E venne all'emisperio nostro ; e forse Drento in mar; e per lu forsi scampada
Per fuggir lui lasciò qui il luogo voto Quela che s'ha in quel monte convertio,
Quella che appar di qua, e su ricorse. Dal vodo sta caverna xe restada.
Luogo è laggiù da Belzebù rimoto Logo è là zo da Belzebù spartio,
Tanto, quanto la tomba si distende, Quanto l' Inferno longo, largo e grando,
90 A orbon = a tentone = per scossosa strada — per una strada scheggiosa, scropolosa.
103 IM verme pecalor ----- cioè di Lucifero.
109 m qutlo = in quel mentir.
110 rIui-l ponto ----- cioè il centro ove tendono i corpi pesanti.
112-115 E za al vallo celeste li xe ionio -. e gii sei giunto alla volta celeste, eli'è opposta al nostro emi
sfero, elie sta sopra la terra, e sotto il più alto punto del quale, fu ucciso l'Uomo Dio. Immagina il Poeta che
Gerusalemme siu posta nel punto medio dell'emisfero boreale, il solo, secondo le idee di quc' tempi aiutato; e clic
l'emisfero opposto, l'australe, sia lutto mare, tranne il punto antipodo a Gerusalemme, in cui s'alza la montagna
del Purgatorio.
117 Giudeea -- cosi chiamata dal tristo Giuda; e l'ultimo luogo dell'Inforno ove sono puniti quelli clie
tradirono i loro benefattori e Signori.
119 rampegà — arrampicato.
121 lìn sia banda ee. = Con una portentosa fantasia flnge il Poeta, elic Lucifero cadesse colla testi riversa
da quell'emisfero al quale or si dirige, e con tal veemenza che sprofondò limi al centro della terra; che la terra
prima sporgentesi nell'emisfero australe, impaurila a questa vl-hi, rientrò e si sporse dall'emisfero opposto, Mi
che gran parte del mare che questo in prima totalmente copriva, corse ad invader quello; e elic il tratlo in
terno di terra per cui egli passò, preso pur esso di orrore, ricorse in su, e fece quella montagna che s' eleva so
pra le acque dell'emisfero australe (lìuscm).
127 Loyo è là zo = Avendo Virgilio terminato il suo discorso, comincia qui Dante a parlare al lettore.
CANTO XXXIV. \ 57
Che non per rista, ma per suono è noto Che no se vede, ma lo insegna un rio,
D'un ruscelletto che quivi discende Che un poco in pender sempre vien ruzando 130
Perla bocca d'un sasso ch'egli ha roso D'una masegna zo per la fissura,
Col corso ch'egli avvolge, e poco pende. Che va coi ziri a bissa rosegando.
Lo Duca ed io per quel cammino ascoso Col mio Dotor su quela strada scura
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo : Semo entrai per tornar al chiaro mondo :
E senza cura aver d'alcun riposo E senza de reposo torse cura, 135
Salimmo su ci primo ed io secondo, Montemo sii lu primo e mi secondo,
Tanto ch'io vidi delle cose belle, Tanto che ho visto arquanto de quel belo
Che porta il Ciel, per un pertugio tondo : Che Dio ga fato, per un buso tondo :
E quindi uscimmo a riveder le stelle. Da là sortindo rivedemo el cielo.
DEL PURGATORIO
CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1-3 La navciela ce. : ali ';;nri,i elic Mgnilic:i: trattando materia meno spaventevole che quella dell'Inferno
= iixanda — termine m&rinaresco : levando.
'.i (Mi-ipe = e quella delle nove Muse elic presiede allo stile eroico.
11 l'iche — furono nove sorelle, li^lic di l'icrio di l'ella città della Macedonia, elic avendo provocalo le
Muse a cantare a prova con loro, ed essciulo stute vinte, furono cangiate in gazze.
15 ut jirinio ciil'i =2 cioè il cielo della I. una.
10 CiagÌHiu — lieti, allegri.
19 D'amor la stella — la stella Venera.
20 panò = appannato, offuscalo.
11
•162 DEL Pl'H(HTORIO
Velando i pesci ch'erano in sua scorta. I Peni, che davanti i ghe trotava.
Io mi rotai a man destra, e posi mente Vedeva a l'altro polo, co voltà
All'ulivo polo, e vidi quattro stelle Me so a man drita, luser quatro stele,
Non viste mai fuor ch'alia prima gente. Che solo i nostri primi pari ha ochià.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle. Rideva el cielo : tanto le era belc ! 25
O settentrional vedovo sito, Misero Nord, che no ti poi qual sia
Poichè privato se' di mirar quelle ! La delizi. i sentir d'amirar quele!
Coniio dal loro sguardo fui partito, Quando da lore l'ochio ho tolto via,
L'n poco me volgendo all'altro polo, Voltandome un lantin da l'altro polo,
Là onde il Carro già era sparito; Dove l' Orsa Magior gera sparia ; 30
Vidi presso di me un veglio solo, Ho visto a mi vicin un vecido solo,
Degno di tanta riverenza in vista, Che a vardarlo ispirava tal rispelo,
Che più non dee a padre alcun figliuolo. Che de più per so pare no ga un fiolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista Barba avea longa e grisa, e grisi al pelo
Portava, a' suoi capegli simigliente, In do chioche i cavei zo ghe vegniva. 35
De' quai cadeva al petto doppia lista. I ragi ardenti el venerando aspeto
Li raggi delle quattro luci sante De quele quatro stele ghe schiariva ;
Fregiavan si la sua faccia di lume, E tanto granda la so luse è stada,
Ch'io '1 vedea come '1 Sol fosse davante. Che come in fazza al Sol mi lo scovriva.
Chi siete voi, che contra '1 cieco fiume Chi sè, '1 dise, la barba venerada 40
Fuggito avete la prigione eterna ? Movendo, che d' Inferno ave zo là
Diss'el, movendo quell'oneste piume : Contro el rio scuro la preson scampada ?
Chi v' ha guidati ? o chi vi fu lucerna, Chi mai v' ha fato lume, o v' ha scortà,
Uscendo fuor della profonda notte Per vegnir da la orenda note fora,
Che. sempre nera fa la valle inferna ? Che negra l'infernal valona fa? W
Son le leggi d'abisso così rotte? Xc '1 decreto d'abisso andà in malora?
O è mutato in Ciel nuovo consiglio, O un novo ghe n'è in ciel d'un altro ton,
Che dannati venite alle mie grotte ? Che danai sto mio regno trovi fora?
Lo Duca mio allor mi die di piglio, Fatome alora star el mio panni
E con parole e con mani e con cenni Co le man, co la vose e i moti a drio, 50
Reverenti mi fe le gambe e il ciglio. Rispeitoso a oc. hi bassi e in zenochion,
Poscia rispose lui : Da me non venni : Respondc: No son qua per voler mio',
Donna scese dal Ciel, per li cui prieghi Del cielo m' ha prega una dona pia,
Della mia compagnia costui sovvenni. Che agiuta questo che me tiro drio.
Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi Ma de za che ti voi spiegà te sia, 55
Di nostra ci nuliz iini com'ella è vera, Come semo vegnudi per sto verso,
II / Ptmi = cioè le stelle elic furmano la costellazione dr'lYsri, e che d'alquanto precedevano la sii-"1
Venere su per lo vòlta Ilei cielo.
Z2-23 co = quando — Me no = mi sono. .
24 pari -- padri, Adamo ed Evu progenitori dell'ninan genere, dimorando nel paradiso ImrsIn.. siimi ,
«•coitdo la finzione del Poeta, in cima al mmile del Purgatorio, vedevano di colà le stelle del Polo Antartico.
30 l'Orsa Magior — la costellazione dell'Orai Maggiore, ossia il Carro di Boote.
40 eAi iiè = chi siete.
42 Cantra et rio ncuro = vale a dire: contro il corso del fiume, che resta nelle tenebre della gran caveròi
sottoposta al Purgatorio, che i poeti avevano risalilo.
50 e i muli a drio = e co' cenni accompagnando la mano e la voce.
54 me tiro drio ----- mi faccio venir dietro.
56 verInudi per ilo verso — venuti prr questa parte.
CANTO I. 463
Esser non puote il mio che a te si niegbi. Contento la to vogia co la mia,
Questi non vide mai l'ultima sera, La vita ancora st'omo noi ga perso,
Ma per la sua follia le fu sì presso, Ma per le mate vogie ch'el ga avii,
Che molto poco tempo a volger era. La morte gh'è passada de traverso. CO
Sì come i' dissi, fui mandato ad esso Come t' ho dito, a darghe agiulo a lu
Per lui campare, e non c'era altra via Son sta mandà, nè go trovà altra strada
Che questa per la quale io mi son messo. l'er salvarlo, che questa che ho batù.
Mostrata ho lui tutta la gente ria ; La zente de l'Inferno go mostrada,
E ora intendo mostrar quegli spirti E adesso farghe veder mi voria 65
Che purgan sè sotto la tua balia. Chi soto al to poder fa la purgada.
Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti: Dir come l'ho scortà, longo saria:
Dell'alto scende virtù che m'aiuta Vien dal ciel la virtù che m' ha agiutà
Conducerlo a vederti e a udirti. A condurlo da ti: con cortesia
Or ti piaccia gradir la sua venuta : Riceverlo te piasa. Libertà 70
Libertà va cercando, ch'è sì cara, Lu cerca, e diga quanto la xe cara
Come sa elù per lei vita rifiuta. Chi dà '1 sangue per eia. Ti tei sa
Tu '1 sai, che non li fu per lei amara Che no te xe la morte stada amara
In Utica la morte, ove lasciasti Là in Utica per eia, e al dì final
La veste ch'ai gran dì sarà sì chiara. Se farà la to vesta tanto chiara. 75
Non son gli editti eterni per noi guasti, No xe rota per nu lege imortal;
Che questi vive, e Minos HIT non lega; Che lu vive, e Minòs mi no me tien,
Ma son del cerchio ove son gli occhi casti Ma son co la to Marzia aHnfernal
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega, Cerchio, e par la te prega, omo daben,
O santo petto, che per tua la tegni : Aciò ancora per toa ti te la tegni: 80
Per lo suo an.ore adunque a noi ti piega. Fanè per amor soo donca sto ben ;
Lasciane andar per li tuoi sette regni: Lassine andar per i to sete regni;
Grazie riporterò di te a lei, Sta to finezza a Marzia conterò,
Se d'esser mentovato laggiù degni. Se d'esser menzonà là zo ti degni.
Marzia piacque tanto agli occhi miei, Disc alora Caton : Marzia mi go 85
Mentre ch'i' fui di là, diss'egli allora, Quando viveva al mondo tanto amada,
Che quante grazie volle da ms, fei. Che ho sempre fato el desiderio so.
57 cogiu = desiderio.
60 /.o morie gh'è jiamada de Iraverta = la morie gli passò rasento, cioè fu presso a morire. Allude al
"i.il passo, nel quale si (rovo Dunte nella selva selvaggia: vedi Canto I.
CG C'Ai sntn el lo poder fu In purgada = Catone viene |n:-.iu d. d Poeta a custode del Purgatorio.
73 i'.'.'ir la morie là in t'Uni — Catone si diede la morie in Ulìca, città dell'Africa, affine di sottraici alla
servitù della pttria.
74-75 al di fiinti ce. = al di del giudizio universale la tua veste corporea sarà luminosa - vesta - detto
metaforicamente per corpo.
77 Minòi = giudice dell'Inferno: vedi C. V. v. 4. Inferno.
78 ila ton con M:ir;in toa ce. • Marzia moglie di Catone trovavasi al Limbo con Virgilio: vedi Canto IV.
n. 128. dell' Inferno.
S2 per i lo tele regni = cioè per i sette gironi del Purgatorio del quale Catone è il eustode, Il Monte
del Purgatorio presenta, come fu immaginato dal Poeta, la figura di un cono troncato alla cima. Esso In dicci
simni, o cornici, o balzi, o ripiani come voglionsi chiamare; i primi tre dei quali costituiscono l'antipurgato
rio, uve giacciono i negligenti, e gli nitri suite formano il Purgatorio, e vi si purgano i sette peccati capitoli
eoa quest'ordine: 1 Superbia, 2 Invidia, 3 Ira, 4 Accidia, 5 Avarizia, 6 Gola, 7 Lussuria. I poeti salgono di
girone in girone per scale scavate nel sasso, le "quali divengono loro mon faticose, qaanto più s'avanzano verso
li cima.
83 ita lo finezza -* questa tua cortesia.
87 (o — suo.
DEL PURGATORIO
Or che di là dal mal fiume dimora, Se de là d'Acheronte a star l'è andada,
Più mover non mi può per quella legge Co son fora dal Limbo mi vegnù,
Che fatta fu quand'io me n'usci' fuora. Per lege ogni passion me xe passada. 90
Ma se donna del Ciel ti muove e regge, Ma se t'invia una santa de là su,
Come tu di', non c'è mestier lusinga : Come ti disi, sol per eia fa
Bastiti ben, che per lei mi richegge. La to domanda, che la vai de più.
Va dunque, e fa che tu costui ricinga Va donca, e al fianco ti ghe strenzerà
D'un giunco schietto, e che gli lavi '1 viso, Un venchio lisso, e '1 viso al tempo istesso 95
Sì che ogni sucidume quindi stinga : D'ogni sporchezze ti ghe lavarà ;
Che non si converria l'occhio sorpriso Che andar impotachiai no xe permesso
D'alcuna nebbia andar davanti al primo A l'anzolo davanti, che guardian
Ministro, ch'è di quei di Paradiso. El xe del Purgatorio su l'ingresso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, De sta isoleta in fin del basso pian, 100
Laggiù, colà dove la batte l'onda, Dove l'aqua la sbate atorno via,
Porta de' giunchi sovra '1 molle limo. Nasse i venchi sul tenero paltan.
N'ull'altra pianta che facesse fronda, Pianta con fogie de qual sorte sia,
O indurasse, vi puote aver vita, O che induria, no vogia in zo piegar
Però ch'alle percosse non seconda. De l'onda a l'urto, là no viverla. 105
Poscia non sia di qua vostra reddita; Dopo de qua no ste più indrio tornar:
Lo Sol vi mostrerà, che surge omai, El Sol che sponta mostrerà la strada
Prender il monte a più lieve salita. Manco erta, che sul monte ve fa andar.
Così sparì ; ed io su mi levai L'è scomparso ; e mi, dopo sta parlada,
Senza parlare, e tutto mi ritrassi Levà in pie, al Mostro, senza boca avrir, 110
Al Duca mio, e gli occhi a lui drizzai. M'ho tirà arente, e go impiantà un ochiada.
Ei cominciò : FigliuoI, segui i miei passi : Vien con mi, fiolo, elo scomenza a" dir,
Volgiamei indietro, che di qua dichina Voltemo adesso indrio per qua le piante,
Questa pianura a' suoi termini bassi. Che sto pian va belbelo in zo a fmir.
L'alba vinceva l'ora mattutina, L'alba fava in spontar lustro el Levante, 115
Che fuggia innanzi, sì che di lontano E ho visto da lontan, l'ochio fissando,
Conobbi il tremolar della marina. . De la marina l'onda tremolante.
Noi andavam per lo solingo piano Per solitario pian se andcmo inviando
Com'uom che torna alla smarrita strada, Come chi torna su la persa strada,
Che infino ad essa li par ire 'nyano. Che ghe par sin a quela andar de bando. 120
Quando noi fummo dove la rugiada Co arivai seino dove la rosada,
Pugna col Sole, e per essere in parte Resiste al Sol, e stando eia a l'ombria
Ove adorezza, poco si dirada, Se mola ci giazzo un fià che l'ha formada,
Ambo le mani in su l' erbetta sparte Averte le do man la Guida mia
Soavemente il mio Maestro pose; Su l'erba le ha puzade con bon sesto; 125
CANTO SECONDO
ARGOMEiNTO ARGOMENTO
All'apparire del nocchier celeste, Sta el piloto del ciel per comparir,
Che a {arsi belle l'anime conduce, Che là a purgarse l'anenne conduse,
Nude di qua di lor terrena veste, E apena Dante el 1' ha possù scovrir,
Vinto il Poeta da cotanta luce, Se mete, per rispeto a quela Insù.
Cala con umiltade le ginocchia In zenochio e a man zome avanti a eia.
Davanti al messo dell'eterno Duce; Fra le tante sbarcae ombre coafuse,
Indi fra l'ombre il suo Casella adocchia. I .' ha conossa l'amigo soo Cascia.
1-3 in quel aito ece. = II Poeta pone il Purgatorio antipode a Gerusalemme. = giusto = per I appunto.
4-7 E al contrario del Sol In noie andando ce. = la notte, che diametralmente opposta al Sole gira, sor
geva fuori del fiume Gonne, accompagnata dal segno della Libra (coi baltmzini), il qual segno cessa d accompa
gnarla quando essa i falla più lunga del giorno.
466 DEL PURGATORIO
Che va col coro, e col corpo dimora : Chi va col cuor, e i pie sta fermi ancora.
Ed ecco qual, su '1 presso del mattino, E come quando el zorno \c in vegnir,
Ver li grossi vapor Marte rosseggia Per causa dei vapori, là a Ponente,
Giù nel ponente sopra '1 suoi marino; Se vede som el mar Marte a rossir; 15
Colai m'apparve, s'io ancor lo veggia, Scoverzo, oh la 'vedesse novamente!
Un lume per lo mar venir si ratto, Luse avanzar sul mar tanto infugada,
Che'l mover suo nessun volar pareggia; Che no gh'è osel che possa starghe arente;
Dal qual conf io un poco ebbi ritratto La qual, insin che al Mestro bo dà un ochiada
L'occhio per dimandar lo Duca mio, Per domandarghe cossa mai la sia, 20
Rividii più lucente e maggior fatto. L' era più granda e chiara deventada.
Poi d'ogni lato ad esso m'appario Dopo una roba bianca ghe scovria
Un non sapea che bianco, e di sotto Sporzerghe da le bande, e a questa solo
A poco a poco un altro a lui n' uscio. A poco a poco un altra ne sortia.
Lo mio Maestro ancor non fece motto El Dotor no ga fato nissun moto 25
Mentre che i primi bianchi apparser ali. Sin che nei bianchi el scovre dai do lai
Allor che ben conobbe il galeotto, Le ale; ma apena conossù'l piloto,
(iridò: Fa, fa che le ginocchia cali; 7.o -t.o in zenochio, el m' ha cigà che mai,
Ecco l'Angel di Dio : piega le mani : Eco 1" M n zoi de Dio: zonta le man:
Omai vedrai di si fatti u ficiali. Compagni a lu ti'n vederi oramai. 30
Vedi che sdegna gli argomenti umani, Varda, noi voi nissun conzegno uman :
Sì che remo non vuoi, nè altro velo Remo noi voi, nè'l ga altra vela a prua
Che l'ale sue, tra lili si lontani. Via de l'ale; e'1 x'mn tanto da lontan.
Vedi come l'ha dritte verso '1 cielo, Varda, che al ciel le tien drizzae, e '1 nua
Trattando l'aere con l' eterne penne, Con quele pene che no ga mai fm, 35
Che non si mutan come mortai pelo. E come le mortali, no se mna.
Poi come più e più verso noi venne Quando po el ie arivà più a nu vicin,
L'uccel divino, più chiaro appariva; Più la so luse la s' ha fata viva,
Perchè l'occhio da presso noi sostenne, E tanto, che sbassar go i ochi insin
Ma chinaii giuso ; e quei sen venne a riva Doveste; e s'una barca el vien a riva W
Con un vasello snelietto e leggiero Svelta svelta cussi, cussi leziera,
Tanto, che l'acqua nulla ne inghiottiva. Che a fior d'aqua l'andava via gualiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero, Del mariner divin che a pope gera,
Tal. che parca beato per iscripto ; Sul fronte santità parea scolpia :
E più di cento spirti entra sediero. Drento d' aneme stava un centenera. *i
15 Marle = la stella Marte = a roiiir - a rosseggiare, a motivo dei più densi vapori a Ponente.
17 tanto infagada = con tanta foga, celerilà.
18 urente = vicino.
22-23 Dopo una roba Inaura te. T= I due bianchi, che a destra e a sinistra della luce apparivano in lon
tananza, erano le indistinte ali di un angelo, dalla cui faccia raggiava la della luce.
24 un'ahto ne sartia = un'ultra roba bianca, ch'era il vestimento.
26 ((ni do Ini = dai due lali.
28 i-in' mai -- avv. 'usato per aggiungere forza ad una azione qualunque.
29 r.'iniii le mnn -.-- tieni le mani giunte.
31 I"III:I'fIHII ---- ordigno, arnese e simili.
34 mia = nuota.
36 tutto = cangia.
42 gualiva » senza ondeggiamento, egualmente piana.
45 mi centtnern . -.- un centinaio-
CANTO II. 467.
/« exilu Isràel de jEgijplo In exitu hrael de Eyypto, e via
Cantava» tutti insieme ad una voce, Col resto de quel Salmo luti canta,
Con quanto di quel salmo è poscia scripto. Mandando insieme sola un armonia.
Poi fece il segno lor di santa croce ; Po benedia la trupa tuta quanta,
Ond' ci si gittàr tutti in sulla piaggia, Lesto, come vegnù, l' o tornà indrio, SO
Ed ei sen gì, come venne, veloce. E quela ga sul lio puzà la pianta.
La turba che rimase li, selvaggia Come chi in veder novità inzochio
Parea del loco, rimirando intorno, Resta, d'aneme el grumo là arivà
Come colui che nuove cose assaggia. Api.jiu, el logo intorno incocalio
Da tutte parti saettava il giorno L'ochiava. Da do ore el Sol levà, 55
Lo Sol, ch" avrà colle saette conte I.' aveva co la frezza soa infogada
l>; mezzo '1 ciel cacciato il Capricorno ; Ha mezzo al ciel la Cavra descazzà,
Quando la nova gente alzò la fronte Co quela zente verso nu voltada,
Ver noi, dicendo a noi: Se voi sapete, Insegnane, la dise, se suvò,
Mostratene la via di gire al monte. D' andar sul monte quala sia la strada. 60
E Virgilio risposi- : Voi credete Responde et Mestro : Vualtri credere
Forse che siamo sperti d'esto loco; Forsi che nu sti loghi conossemo,
Ma noi sem peregrin, comè voi sete. Ma novi scmo come vualtri se.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, Un lìà prima de vii rivai qua semo
Per altra via, che fu sì aspra e forte, Per una strada indiavolada assae, 65
Che lo salire omai ne parrà gioco. Che andar a spasso l'andar su stimemo.
L'anime che si fùr di me accorte, Apena s' ha quel aneme intagiae
Per lo spirar, che io era ancor vivo, Dal mio respiro che so ancora vivo,
Maravigliando diventaro smorte; Stupindo le xe smorte deventae.
E come a messaggier, che porta olivo, Come drio un Messo coronà d'olivo, 70
Tragge la gente per udir novelle, Core zente a scollar qualche novela,
E di calcar nessun si mostra schivo ; E no ghe xe a far bozzolo un tardivo;
Così al viso mio s'affisar quelle Cussi coi ochì fissi, tuta quela
Anime fortunate tutte quante, • Sora mi stava fortunada zente,
Quasi obliando d' ire a farsi belle. D' andar quasi scordando a farse bela. 75
lo vidi una di lor trarresi avante Uno de quei go ochlà farmese arente
Per abbracciarmi con sì grande affctto, Per abrazzarme con un tal afeto,
Che mosse me a far lo somigliante. Che i brazzi ho sporti a lu l'istessamente.
O ombre vane, fuor che nell'aspetto ! O ombre vode for che ne l'aspeto !
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, Le man drio lu tre volte me incrosava, 80
46 In exilu re. = Salmo di ringraziamento » Dio per l'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto.
51 Ho - - lito.
52 iazoehio = sbalordito.
53 grumo = mucchio, drappello.
54 incoealio = trasognalo.
57 la Cavra - il segno del Capricorno.
58 Co = quando.
61 come vualtri *c - -: come voi siete.
64 Un /là prima = un momento prima.
67 intagiae =. accorte.
68 (7ti- to - - elic io sono.
72 bozzolo = circolo di persone, capannello = un tnnlh'O - uno in ritardo.
75 a fanè bela = cioè a purgarsi e rendersi degna drlla gloria ceiosie.
.468 DEL PURGATOniO
E lante mi tornai con esse al petto. E le me xe tornae tre volle al pelo.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi; El mio viso stupor certo mostrava,
Perchè l'ombra sorrise e si ritrasse, Perchè lu reculava soridente,
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi. E incontro a elo i passi mi sìongava.
Soavemente disse, ch' io posasse : Che tralassa, ci me u^ise dolcemente : 85
Allor conobbi chi era, e pregai L'ho alora conossudo, e l'ho pregà
Che per parlarmi un poco s'arrestasse. di' el se ferma un pocheto solamente
Risposcmi : Così com' io t'amai Per parlarme. El respoiide: Come amà
Nel mortai corpo, così t'amo sciolta; Te go quando ho vissù, t'amo anca adesso;
Però m'arresto: ma tu perchè vai? Perciò me fermo: e ti perchè ti è qua ? 90
Casella mio, per tornare altra volta Casola, per rcfar sto viagio istesso
Laddove io son, fo io questo viaggio, Son qua vegnù, ghe digo, ma, fradelo,
Diss' io ; ma a te come tant' ora è tolta ? Chi t' ha fato aspetar tanto sto ingresso ?
Ed egli a me : Nessun m' è fatto oltraggio, Lu dise: Un torto no i m" li, i usà, se quelo
Se quei, che leva e quando e cui gli piace, Che tol in barca chi ghe piase più, 95
Più volte m' ha negato esto passaggio ; M' ha negà lante volte ci so batelo ;
Che di giusto voler lo suo si face. Perchè quel che Dio voi, voi anca lu.
Veramente da tre mesi egli ha tolto Per altro da tre mesi chi là drento
Chi ha voluto entrar con tutta pace. Voleva entrar, l' ha in pase tolto su :
Gnu? io che er'ora alla marina volto, Tanto xe vero, ch 'elo za un momento, 100
Dove l'aqua di Tevere s' insala, Dove se scarga el Tevere nel mar,
Benignamente fui da lui ricollo. De torme in tei batel l' è sta contento.
A quella foce ha egli or dritta r ala ; Desso a quel sboco el torna a navegar,
Perocchè sempre quivi si raccoglie, Che là xe sempre el logo de racolta
Qual verso d'Acheronte non si cala. De chi a l'Inferno no ghe loca andar. 105
Ed io : Se nuova legge non ti toglie E mi: Se lege nova no t'ha tolta
Memoria o uso all'amoroso canto, Memoria o usanza a l'amoroso canto,
Che mi solea quetar tutte mie voglie, Che calmae le passion me ga ogni volta,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto De la to vose fa sentir l' incanto,
L'anima mia, che, con la sua persona Che a sto spirito mio conforto dona, 110
Venendo qui, è affannata tanto. Che a vegnir qua col corpo ha patio tanto.
Amor che nella mente mi ragiona, Amor che nella mente mi rayiona,
Cominciò egli allor sì dolcemente, I . ha scomenzà el so canto dolcemente
Che la dolcezza ancor dentro mi suona. Cussi, che ancora el dolce in cuor me sona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente Stavimo ci Mestro, mi e quela zente i 15
C li' eran con lui, parevan sì contenti, Vegnua con lu, sì atenti là fermai,
Com' a nessun toccasse altro la mente.' di' altro no ne passava per la mente.
83 rcculava = indietreggiava.
85 Che troiana = che tralasci, che cessi; s'intende dall'inutile sforzo per abbracciarlo.
111 Caiela — fu un eccellente musico fiorentino, dal canto tlel quale traeva soumio diletto il Poeta amiro
di lui -. : per refar sto viagto = cioè quando sarò morto. ,
94 se quelo : cioè l'angelo nocchiero.
98 Per altro da tre mesi = cioè dall'incominciamento del Giubileo, vale a dire dal Natale del 1299.
101 Dove se teurgo ci Tevere nel mar = Era credenza popolare assai diffusa, elic l'anime dei defunti fos
sero tragittate in isole. Senonchè Dante elesse qui il luogo elic più importava alla Chiesa. Come i pellegrini vi
venti andavano a Roma per l'indulgenza del Giubileo, cosi vi mamlu le anime, elic devono andare al Purgatorio.
112 Amor ee. •. . cosi comincia una cantone delle più nobili di Dante ch'egli pose nel Convito.
CANTO ii. 469
Noi eravam tulli fissi ed attenti Tuli a quel canto gerimo incantai,
Alle sue note, ed ecco il veglio onesto, Quando eco vien Caton tra nu criando :
Gridando : Che è ciò, spiriti lenti ? Cossa feo fermi qua come cocai? 120
Qual negligenza, quale stare è questo ? Spiriti pegri, cossa steo qua oziando ?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio, Core al monte i pecai a descargar,
('.ir esser non lascia a voi Dio manifesto. Che ve fa velo a Dio. E come quando
Come quando, cogliendo biada o loglio, Un seluapo de colombi a becolar
Gli colombi adunati alla pastura, Sta ingrumadi tranquili la pastura, 125
Queti, senza mostrar l'usato orgoglio, E più no i va cimai come i sol far,
Se cosa appare orni" elli abbian paura, Se qualcossa i ga ochià d'aver paura,
Subitamente lasciano star l'esca, I lassa in bota el gran, e po i se sbanda,
Perchè assalili son da maggior cura; Che de scampar più i sente la premura;
Così x iil' in quella masnada fresca Cussi ho visto trotar, lassà da banda 130
Lasciar il canto, e fuggir ver la costa, El canto, quela trupa incontro al monte,
Com' unin che va, nè sa dove riesca : Come chi va, nè sa da quala banda.
Nè la nostra partita fu men tosta. Nè manco è stae le nostre gambe pronte.
CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Non san li due come si salga al monte. Per andar sora el monte xn intrigai
Pero pensosi del cammin si stanno I do Poeti, che no sa la strada,
Col core incerto, e con lor voglie pronto. E pensierosi e incerti i stn fermai.
Ma una schiera di spiriti, chn vanno Ma una trupa che a far va la purgada
A farsi belli poi regno felice, Per el cini, là arivada proprio alora,
Mostrau la via. Manfredi apra il suo afianno, (ìhe la mostra. Manfredi qual xe stada
Nipote di Costanza Imperatrice. D'elo la morte el conta, e se dolora.
30 Cht un citlo no fa a l'altro nittun ombra — perche i cieli sono lutti perfettamente diafani.
36 Co una -.. con una.
38-39 » ni-istf vino tee. = che è quanto } dire: Se colle potenze naturali aveste potuto veder tulio, non
era duopo che Maria partorisse il Redentore, poiché Adamo non avrebbe peccato vedendo la ragione del divino
dmrto ben diversa dal diabolico: Erilia sicut Dii (Gen. III. 5.)
40-43 Bramar li ha vitto ir. . - vedi i v. 41, 42 del C. IV. dell'1ni Senio ./•tn pern/ e tulli coinìaaai A bra
mar Dio trina speranza
44-45 /.' in laser, i.Iuà ee. :.-. Virgilio a questo punto abbassò malinconica la testa, pensando che egli pure
Iroravasi nel Limbo privato della vista di Ilio.
47 inulu = roccia.
49 L'ini e Turbin ... due luoghi posti nella riviera di Genova, il primo a Levante, l'altro a Ponente, nel
quale tratto sonovi monti assai alti e scoscesi.
5S grumo -- mucchio.
472 DEL PURGATORlO
•Guardommi allora, e con libero piglio Me varda, e: Spera, fìol, da lori andemo
Rispose: Andiamo in là, ch'ei vengon piano; lncontro, franco el me responde alora, 65
E tu ferma la speme, dolce tìglio. Chè in qua i vien tropo a pian. Fati nu avemo
Ancora era quel popol di lontano, Un mier de passi, e le ne gera ancora
l' dico dopo i nostri mille passi, Quanto un sasso da un bon brazzo sianzà
Quanto un buon gittator trarrla con mano ; Quel'ancme lontane; quando sora
Quando si strinser tutti a' duri massi Ai masegni ingrumac le s' ha puzà "O
Dell'alta ripa, e sunter fermi e stretti, Del monte, e tute le xe là rcstae,
Come a guardar, chi va dubbiando, stassi. Come un tra '1 dubio varda, e fermo sta.
O ben lmiti, o già spiriti eletti, O morti in ben, o aneme graziae,
Virgilio incominciò, per quella pace Virgilio ha scomenzà, per quela pase
Ch'io credo che per voi tutti s'aspetti, Per la qual sè, mi credo, destinae, 75
Ditene dovè la montagna giace, Da che banda disene, se ve piase,
Sì che possi hi 1 sia l'andare in suso; Se poi per la montagna montar suso:
Cla': M perder tempo a chi più sa più spiace. Chè a chi più sa, più l'oziosar despiase.
Come le pecorelle escon del chiuso Coine fora dal eoo sortir ga l'uso
Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno A una, a do, a tre le piegorete, 80
Timidette atterrando l'occhio e '1 muso, E le altre intimidie le cala el muso,
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, E la prima imitar tute se mete,
Addossandosi a lei s'ella s'arresta, Se la se ferma, e no le sa '1 motivo,
Semplici e quete, e lo 'mperchc non sanno : Le ghe va adosso inocentine e quiete :
Sì vid'io mover, a venir, la testa Cossi vegnir mi da là via scovrivo, 85
Di quella mandria fortunata allotta, l primi de la trupa benedeta
Pudica in faccia, e nell'andare onesta. Modesti in viso e col andar tardivo.
Come color dinanzi vider rotta Co quei davanti ha ochià che a la mia dreta
La luce in terra dal mio destro canto, Rota gera del Sol la luse in tera,
Sì che l'ombra era da me alla grotta, Chè al monte l'ombra mia gera direta, '•"'
Ristaro, e trasscr sè indietro alquanto; Fandose indrio i resta là de piera;
E tutti gli altri, che venieno appresso, E tuti i altri che ghe vien darente
Non sappimdo il perchè, fero altrettanto. Fa istesso, no savendo cossa gera.
Senza vostra dimanda io vi confesso, Senza che fe domande, schisamente
Che questi è corpo uman che voi vedete, Ve digo, a eli el Dotor, che vivo è quelo 95
Per che il lume del sole in terra è fesso. Che rompe el ragio al Sol e v'è presente :
Non vi maravigliate ; ma credete, No ve maravegiè; chè xe, credelo,
Che, non senza virtù che dal ciel vegna, Per volontà de Chi ga in cielo el regno,
Cerca di soverchiar questa parete. Se montar l'erta eroda el cerca elo.
Così '1 Maestro. E quella gente degna, Tornè indrio donca, se gavè sto impegno, 100
Tornate, disse, mirale innanzi dunque, C.u nu, quei dise, e avanti a nu andè via,
Co' dossi delle man facendo insegna. E co le man roverse i ne fa '1 segno.
70 iiujruinne = ammncchiate.
75 sè = siete.
79 ilitl eoo = dal covo.
88 Co — quando.
92 Darente = dappresso.
101 Co nu -: con noi.
102 oo le man roecrse = con le mani rovescie.
CANTO IH. 4 73
Ed un di loro incominciò : Chiunque E un me dlse : Qualunque ti te sia,
Tu se', così andando volgi il viso, Voltile, e andando di' se mai de là
Pon mente, se di là mi vedesti unque. Ti m' ha visto ; ochìa ben sta fazza mia. 105
Io mi volsi ver lui, e guardaii fiso : Voltandome da lu l'ho ben fissà:
Biondo era e bello, e di gentile aspetto ; L'era un bel biondo e de zentil aspeto,
Ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. Ma un gran colpo de siabola spacà
Quand'i' mi fui umilmente disdetto Gavea una cegia. Quando con rispeto
D'averlo visto mai, ei disse : Or vedi : Go dito che no l'ho mai visto: Vedi, 110
E mostrommi una piaga a sommo il petto Mostrandone una piaga in cima al peto,
Poi disse sorridendo : l' son Manfredi, Me dise soridendo, son Manfredi •
Nipote di Gostanza imperadrlce : Nevodo de Costanza Imperatore ;
Ond'io ti prego che quando tu riedi, Tornando su, va, a sto mio prego cedi,
Vadi a mia bella figlia, genitrice Da mia fia bela, mare de chi onora 115
Dell'onor di Cicilia e d'Aragona, I troni de Sicilia e de Aragona ;
E dichi a lei il ver, x'altro si dice. Dighe sto fato se i lo descolora :
Poscia ch' i" ebbi rotta la persona Co per do gran ferie la mia persona
Di due punte mortali, io mi rendei Restada è moribonda, in mezo ai pianti
Piangendo a Quei che volentier perdona. Me son dà a Chi de tuto cuor perdona. 120
Orribil furon li peccati miei ; I inii pecai xe stadi orendi e tanti ;
Ma la bontà infmita ha si gran braccia, Ma cossi granda è la bontà de Dio,
Che prende ciò che si rivolve a lei. Che abrazza chi a Lu core tuli quanti.
Se'l pastor di Cosenza, ch'alia caccia Se '1 Pastor de Cosenza ben capio
Di me fu messo per Clemente, allora Questa gran verità l'avesse alora 125
Avesse in Dio ben letta questa faccia, Che Clemente lo ha invià per darme drio,
L'ossa del corpo mio sarieno ancora I mii ossi sarave là de sora
In co' del ponte presso a Benevento, A pie del ponte ataco a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora. De sassi soto una gran mota ancora.
Or le bagna la pioggia e move il vento Ma la piova li bagna e move el vento 1 30
Di fuor dal Regno, quasi lungo il Verde, Drio '1 Verde in altro regno portai là,
Ove le trasmutò a lume spento. Co gnanca un candeloto. In t'un momento
CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Stanco per lo salir sul poggio, siede Dante per rcposar la gamba stanca
Dante, ed ammira li rai rilucenti D'andar su l'erto monte, la ferma
Del Sol, che quivi da sinistra il fiede. Varda ci Sol, clic ghe batn a parta zanca.
E cola trova che de' negligenti K la dei negligenti el ga trovà
Si purga il vizio, e Belacqua conosce. Che purga el vizio, e lìolaqua el conosse
Che la sen giace fra gli spirti lenti, Che de le so orazion per carita
E orazion desira alle sue angosce. Lo prega, clic ghe scurta le so angosse.
Quando per dilettanze ovver per doglie, Co una potenza sua l'anema stanza
Che alcuna urlù nostra comprenda, Su nu, per dogia o da un piacer chiamada,
L'anima bene ad essa si raccoglie, La tien drio qucla co una tal costanza,
Par ch' a nulla potenzia più intenda: Che insin par l'abia ogn'altra abandonada:
E questo è contra queir min, che orede Fato contrario al creder de la zmin
Che un'anima sovr' altra in noi s'accenda. Che in nu sia più d'un anema scrada.
E però quando s' ode cosa o vede, Se una cassa perciò se vede o sente,
Che tenga forte a sè l'anima volta, Che drio d'eia vien l'anema tirando,
Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede : Va" l tempo, e l'omo no s'incorze gnente:
Ch'altra potenzia è quella che l'ascolta, Chè la potenza, che la sta fissando, 10
1 Co = quando.
I per dogia :- per duolo.
3 co una = con un i.
5-6 Datone opinò clic fossero nell'uomo tre anime; la vegetativa nel fegato, la xeuriliva nel cuore, ls i*
telititir u nel cervello: lui.clic credevusi dalla gente d'allora.
CANTO iv. 475
E l'altra è quella che ha l'anima Intera: No xe de l'altra eguai che no laora :
Questa è quasi legata, e quella è sciolta. Libera è quela, e questa sta de bando.
Di ciò ebh'io esperienza vera, De tanto ho avudo ini la prova alora
Udendo quello spirto, ed ammirando; Che Manfredi in scollar gera incantà
Che ben cinquanta gradi salito era i In modo, che cressù de più d'un ora 15
Lo Sole, ed io non m'era accorto, quando El Sol, mi me ne son solo intagiù
Venimo dove quell'anime ad una Quando la zente che va a farse pura,
(iridaro a noi: Qui è vostro dimando. Rivada a un sito, in coro ga cigà :
Maggiore aperta molle volte imprima, Qua è'1 logo che cerche. L'avertaura
Con una forcatella di sue spine, Che spesso del vilan una forcada 20
i. 'unni della villa quando l'uva imbruna, De spini stropa co vlen l'un maura,
Che non era la calla, onde saline Xe più larga de quela, che montada
Lo Duca mio ed io appresso soli, Ga'l Dotor prima, e mi dopo de lu,
Come da noi la schiera si parlino. Quando la trupa se la ga svignada.
Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli : A Noli ia zo, se va a Sanleo in su ; 25
Montasi su Bismantova in cacume A pie sora Bismantova l'ariva ;
Con esso i pie; ma qui convien ch' uom voli : Ma svolar per de qua ne loca a nu:
Dico con l'ali snelle e con le piume Vói dir co l'ale d' una vogia viva,
Del gran disio, diretro a quel condolto, Andando drio de quelo che me dava
Che speranza mi dava, e facca lume. La speranza, e la strada m'averziva. 30
Noi salivam per entro il sasso rotlo, Per un trozo, che dentro s'incastrava
E d'ogni lato ne stringea lo stremo, Scavà in t'un sasso, a gatognao s'inviemo;
E piedi e man voleva il suoi di SDÌ i n. Streto el gera cussi, che'l ne russava
Quando noi fummo in su l'orlo supremo I fianchi. Co de l'alta riva seino
Dell' alta ripa, alla scoperta piaggia, Rivadi in cima al orlo a cielo averto: 35
Maestro mio, diss'io, che via faremo? Mestro, digo, qual strada legneremo?
Ed egli a me : Nessun tuo passo caggia ; I .ii me responde alora : Mi t'averto
Pur suso al monte dictro a me acquista, De no mai recular, ma vienme drio,
Fin che n'appaia alcuna scorta saggia. Sin che una guida troveremo certo.
Lo sommo er' alto che vincca la vista, No arivava a la cima l'ochio mio 40
E la costa superba più assai, Del monte erto cossi, ch' el va a finir
Che da mezzo quadrante a centro lista. Verso el pian quasi a piombo. Mi sbasto
Che a lui fui giunto, alzò la testa appena, Ohe so arente, un tantin l'alza con fiaca
Dicendo : Hai ben veduto come il Sole La testa, e dlse : Gastu visto mo
Dall'omero sinistro il carro mena? Come da la to zanca el Sol le maca ? 120
Gli atti suoi pigri, e 16 corte parole I moti pegri, e'1 curto parlar so
Mosson le labbra mie un poco a riso; Me ga fato da rider un pocheto;
Poi cominciai: Belacqua, a me non duole Po digo : Dolorà per ti no so,
Di te omai; ma dimmi, perchè assise Belaqua, adesso; ma perche, di'schieto,
Quirilta se'? attendi tu iscorta, Ti n qua sentà ? aspètistu una scorta, lì5
O pur lo modo usato t'hai ripriso ? O i," ha chiapà anca qua quel to difeto? •
Ed ei: Frate, l'andare in su che portin? E lu : Cossa andar su, fradel, m' importa ?
Che non mi lascerebbe ire a' martiri Se no me lassa in Purgatorio entrar
L'angel di Dio che siede in su la porta, L'anzolo che fa guardia su la porta !
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri Qua de fora m'ha'l cielo da zirar 130
Di fuor da essa, quanto fece in vita, Quanto el m' ha zirà in vita, che pentio
Perch' io indugiai al fin li buon sospiri ; M' ho tardi, se però prima ci pregar
Se orazione in prima non m'aita, De vero cuor da chi ha la grazia in Dio,
Che surga su di cor che in grazia viva: No me dà agiuto; gala mo valor
L'altra che vai, che in ciel non è udita? L'altra preghiera, che no ascolta Idio? 135
E già '1 Poeta innanzi mi saliva, Montando primo l'erta el mio Dotor
E dicea : Vienne omai, redi ch' è tocco Dise : Vien, vanta el Sol che ha za locà
Meridian dal Sole, ed alla riva Mezodi, e su Maroco el covertor
Copre la notte già col pie Marrocco. La note a destirar ga scomenzà.
CANTO QUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
*
Che dentro al terre.n corpo .alma sou vada Dei pnrgandi se va maravegianrto
Han maravigrlia spiriti novelli Come che un otno, che xu vivo ancora,
In quella di lor pena aspra contrada. In logo morto veyna caiumando.
Como usciron del mondo tro di quelli Trft de quei, che la drento se dolora,
Narrano ; e i modi di lor morte amari ; Conta come i xe morti, e infin de vita
Cassando sol d'esser a Dio ribelli I s'ha pentirti, a Dio voltai alora,
A la lor fine ; ond'egli pur gli ha cari. Che sempre abrazza l'anema contrita.
30 i unitu st1 co i n' ha un'i-,ii cioè, insorgono a chiedere quando ci furono vicini.
40 brinando, in tornar tu, el lerai = (brnlar la (era o la simita) è frase usila per esprimere ls grami'
velocità dello corsa.
47 imi - . tuo.
CO li- to -- le sue.
66 no lo manda -a fondo =. non lo rende Inefficace.
c.s te al paeie = cioè la Marca di Ancona elic resta tra Ramagiia e la Puglia, signoreggiala da Carlo II J'Angw.
CANTO V. 484
Chefiede tra Romagna e quel di Carlo, Tra la Romagna a quel che tien re Carlo,
Che tu mi sic de' tuoi prieghi cortese De far che a Fano per mi, qua in sti guai, 70
In Fano sì, che ben per me s'adori, Vegia i boni pregar ci ciel cussi,
Perch'Io possa purgar le gravi offese. Che presto scontar possa i gran pecai.
Quindi fu'io, ma li frofondi fori, Mi son da là ; ma sapi adesso ti,
Ond'uscì '1 sangue, in sul qual io sedea, Che le ferie, per dove el sangue mio
Fatti mi furo in grembo agli Antenori, Go per,so, ho avue sul Brenta ; e quando lì 75
Là dov'iii più sicuro esser credea : Me credeva al sicuro, i m' ha sbasio.
Quel da Esti il fe far, che m'avea in ira No de tuta rason xc stada l'ira
Assai più là che dritto non volea. D'Azzo d'Este, che m'ha cussi sorvio.
Ma s'io fossi fuggito in ver la Mira, Che se fusse scampà verso la Mira,
Quandi' fui sovraggiunto ed Oriaco, Quando i nemici iiiii m' ha chiapà a Oriago, 80
Ancor sarci di là dove si spira. Sarave ancora in dove se respira.
Corsi al palude, e le cannucce e il braco Invece nel paluo corendo vago ;
M'impigliar si, ch'io caddi, e li vid'io Tra i canei casco e '1 fango ingambarà,
Delle mie vene farsi in terra laco. E a far là vedo del mio sangue un lago.
Poi disse un altro: Dch, se quel disio Po un altro dise : Che te sia pur dà 85
Si compia che ti traggo all'alto monte, La pase che ti cerchi in cima al monte ;
Con buona pietate aiuta il mio. Fala anca a mi trovar per carità.
Io fui di Montefeltro, i' son Bonconte : So sta de Montefeltro, e son Bonconte :
Giovanna, o altri non ha di me cura; Nana e nissun dei mii no i me ga in mente,
Perch'io vo tra costor con bassa fronte. Perciò tra questi vergognoso el fronte 90
Ed io a lui : Qual forza, o qual ventura Tegno. E mi : Qual mai forza ossia accidente
Ti traviò si fuor di Campaldino, Te ga fato desviar da Campaldin,
Che non si seppe mai tua sepoltura ? Che no s' ha del to corpo savù gnente ?
Oh, rispos'egli, appie del Casentino El me responde : A pie del Casentin
Traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano, Un aqua passa per Archian chiamada, 95
Che sopra l'Ermo nasce in Apennino. Che nasse al Romitagio in Apenin.
Là 've '1 vocabol suo diventa vano Dove no l'è cossi più menzonada,
Arriva' io forato nella gola, So arivà con un buso ne la gola,
Fuggendo a piede, e sanguinando il piano. E a pie scampando ho insanguinà la strada.
Quivi perdei la vista, e la parola Là go perso la vista e la parola 100
Nel nome di Maria lini, e quivi Pronunziando el bel nome de Maria,
Caddi, e rimase la mia carne sola. E là restada è la mia carne sola.
112 Zoida 'I laìento al mal ee. = congiunto airintellipunza il mal fare.
114 L'i naturai virtù - cioè, la potenza elic l'angelica natura gli diede.
liti 1'ramagua — IVatomagno, elic Ilivide d Casteilino dal Vahiamo.
118 L'uria imbombada = l'aria pregna.
120 quanta j-c a la lerà intrigo . .- quanta non può essere assorbita dulia Idra.
123 Arne -- liume elic scorre lungo il territorio della Toscana.
125 spento . - spinto.
133-135 Pia — Gentildonna Saneae, si maritò ad un Tolomei, e rimasta vedova di Ini. fu sposata ntl un
Nello, o l'agnnello de' Pannoeliieschi signore dcl casiello della Pietra. Condottala in Maremma, il marito lo I"*'
da un famiglio prendere per lo gambe e gettare dalla finestra. Alcuno disse che Nello fosse spinto a i|UcH'utui
barbaro dal sospetto della infedeltà di lei; ma altri invece asserisce, cifri lo facesse per toria di mezzo, affine
di poter prender in moglie, il che non gli «enne poi l'atto, una contessa Margherita Aldobrandi-schi, bella ed ertde
di molte ricchezze. Il tragico fatto avvenne circa il 1395.
183
CANTO SESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quando si parte il giuoco della zara, Quando va via chi ga zogà ai tre dai,
Colui che perde si riman dolente Sta a revoltarli imusonà '1 perdente,
Ripetendo le volte, e tristo impara: EI ponto per studiar vegnudo mai :
Con l'altro se ne va tutta la gente : Va intorno al vincitor tuta la zente;
Qual va dinanzi, e qual diretro il prende, < ,lii a lu da drio ghe va, e chi davanti,
E qual da Iato gli si reca a mente. Chi ai fianchi se ghe sfregola darente.
Ei non s'arvesta, e questo e quello intende : Tini, caminando, a bada tuli quanti;
A cui porge la man, più non fa pressa; Tase chi ga la mandola becada,
E così dalla calca si difende. E libero cussi, lu tira avanti.
Tal era io in quella turba spessa, Talqual mi m' ho trovà su quela strada : 10
Volgendo a loro e qua e là la faccia, Uno e l'altro vardando, e prometendo,
E promettendo mi sciogliea da essa. Da tanta fola me la son cavadn.
Quivi era I" A voi in. che dalle braccia Qua gera l'.Vretin, che dal tremendo
Fiere di Ghiu di Tacco ebbe la morte; Ghin de Taco xe sta in funzion sbasio :
E l'altro che annegò correndo in caccia. E chi, inseguio, se ga negà corendo. 15
Quivi pregava con le mani sporte Con le man zonte me vegniva drio
Federigo Novello, e quel da Pisa Con Kerigo el Pisan, del qual po ga
Che fe parer lo buon Marzucco forte. El bon Marzuce intrepido simtio
Tidi Coni' Orso, e l'anima divisa La morie. Po Coni" Orso ho visto là,
1 dai = dadi. Il gioco della zara, come dice il lesto, si faceva con (re dadi, e dicevnsi zara il far soli tre
o qnaltro punti.
2 imusonà - ingrugnato.
6 te ghe ifregola damde = gli si raccomanda dappresso.
* ga la mandola becada — ha buscala la mancia (x'iiucnik dal vincitore del giaco).
12 me la son cavada = mi sono liberai;i.
13-14 l'Artliu re — Messcr Benincasa Aretino dotio giureconsulto, essendo podestà di Siena, condannò a morie
Tacco e Turrino da Turrila, nipole di lui, perchè aveano ruhalo alla strada; non mollo dopo lasciain Siena, andò
giudice a Itomn. Quivi allora porlossi Ghino frali-Ilo di Tacco, e lui sedente in tribunale, per vendetta del fra
tello, uccise portandone seco la lesta recisa. Di questo Chino di Tacco, che fu un Im'ibilo ladrone ed era di
Asinalunga, parla Bocaccio nella novella 92 (l-'ralicelli). ^ sbasta — ucciso.
15 /." c/ii inseguia ..-. fu questi un Cione o Guccio Tarlali di l'iutramala, il quale dopo la rotla ch'ebbero
gli Aretini e Bibbiana, fuggendo dai nemici elic lo inseguivano, cutrù col cavallo nell'Arno credendo poterlo
guadare, ma quivi annegò (r'raticelli).
17-18 Ftrigo — Federico Novello fu figlio del conte Cuido di Battifolle, e fu ucciso da uno de'Bostoli detto
il Fornaiuolo = el Pitan = cioè Farinala degli Scornigiani, che fu ucciso da Beccio di Caprona, e a Marzucco
suo padre, che già era frate minore, diede occasione di mostrarsi forte; poichè rassegnato al volere di Dio, andò
cogli altri frati all'esequie del figlio ed esortò il parentado ad aver pace coll'omicida.
19 Coni' (trto = Credono alcuni che fosse degli Alberi! di Val di Bisenzio e fosse ucciso dai suoi consorti.
184 DEL PURGATORlO
Dal corpo suo per astio e per inveggia, E l'anema anca per invidia e ira 20
Come dicea, non per colpa commisa; Del da Brocia inocente giustizià.
Pier dalla Broccia dico : e qui provveggia, E mi digo, che insin che la respira,
Mentr'è di qua, la donna di Brabante, La ghe remedia Maria de Brabante,
Sì che però non sia di peggior greggia. Che '1 diavolo, se no, con lu la tira.
Come libero fui da tutte quante f .11 me son liberà da tute quante 25
Quelle ombre ehe pregar pur ch'altri preghi, Le aneme che ha pregà che i altri prega,
Sì che s'avacci il lor divenir sante, Aciò presto le possa farse sante ;
lo cominciai: E' par che tu mi nieghi, Me par, digo a Virgilio, che se nega
O luce mia, espresso in alcun testo, Nel to libro famoso, o luse mia,
Che decreto del Cielo orazion pieghi; Ch'el decreto del ciel l'orazion piega ; 30
E queste genti pregan pur di questo. St'aneme qua che prega per sia via,
Sarebbe dunque loro speme vana ? Pregaravele donca invanamente?
O non m'è il detto tuo ben manifesto ? O la sentenza toa no ho ben capia ?
Ed egli a me: La mia scrittura è piana, E lu: Scrito è '1 mio verso chiaramente:
E la speranza di costor non falla, La speranza de st'aneme è sicura, 35
Se ben si guarda con la mente sana ; Quando se ghe riflete giustamente ;
Chè cima di giudicio non s'avvalla, Chè '1 giudizio de Dio no mua nalura,
Perchè fuoco d'amor compia in un punto Se "l pregar fa che sia presto fìnio
Ciò che dee soddisfar chi qui s'astalla. Quelo che qua col tempo se maura.
E là dov'io fermai cotesto punto, E in dove go quel dito proferio, 40
Non si ammendava, per pregar, difetto, Disca de chi pregava senza efeto,
Perchè il prego da Dio era disgiunto. Perchè "1 prego no gera aceto a Dio.
Veramente a così alto sospetto Ma questo dubio no legnine in peto;
Non ti fermar, se quella noi ti dice, Ascolta quanto te vorà dir quela,
Che lume lia tra '1 vero e l'intelletto. Che al puro vero schiara l'inteleto. 45
Non so se intendi; io dico di Beatrice: Se no ti sa, la xe la Bice bela :
Tu la vedrai di sopra, in su la vetta Più chiara in cima ti ochiara culia
Di questo monte, ridente e felice. De sto monte, e più lustra d'una stela.
Ed io : Buon Duca, andiamo a maggior fretta ; E mi : Più in pressa, Mostro, andemo via,
Che già non m'affatico come dianzi ; Che de la straca m'è passà Tangossa; •"'''
E vedi omai che il poggio l'ombra getta. Varda ch'el monte dà oramai l'ombria.
Noi anderem con questo giorno innanzi, Avanti mora ci dì, più che se possa
30.23 E fonema anca te. .-. Pietro dalla Broccia era segretario del re ili Krancin Filippo lll, e molta po
teva appresso ili lui, il perchè non solo i cortigiani presero ad invidiarlo, ma altresi Alarla di Rrabante seconda
maglie di quel re. Unitisi costoro, lo accusarono di aver rivelato al re ili Bastiglia i secreti di Stato, e il trolipo
credulo Filippo lo fece condannare a morie: ciò avvenne ucl 1276.
25 Co = quando.
20-30 Nel lu libro fumato te. = al lib. Vl dell'Encide, Virgilio scrisse: u Detine fnta Dcum fteeti sperart
prteando •„ non giova sperare che si cangino colla preghiera i destini si.puiti dagli Dei.
31 per sm via = a questo line.
32 iuvanamente — indarno.
34 è'l mio vena chiaramente = il verso accennato qui sopra alla nota 29-30.
37 mi mua = non mula.
40-12 E in doue go quel dito proferìa = cioè nell'ln forno, dove la Sibilla parlava a Palinuro clic chiedeva
di passare lo Slige innanzi tempo.
47-48 ni cima... De sto monte — dove ticu col loculo dal Pocta il Paradiso terrestre.
49-50 E mi: Più in pretta te. =, si noti come Dante solo in sentirsi ricordare la sua Beatrice clic lo attende
m cima al monte del Purgatorio, più non sente la stanchezza, e sollecita anzi Virgilio a proseguire il viaggia.
CAUTO VI, -185
Risposi!, quanto più potremo omai; Sgambeterèmo ; ma come ti voi,
Ma il fatto è d'altra forma che non stami. Lu dise, che la sia, no sta la cona.
Prima che sii lassù, tornar vedrai Prima d'esser là in cima, ancora el Sol 55
Colui, che già si copre della costa, . Ti vederà drio al monte adesso sconto
Sì che i suoi raggi tu romper non fai. Cussi, che i ragi romper no ti poi.
Ma vedi là un'anima, che a posta Ma varda sola un'anema, che pronto
Sola soletta verso noi riguarda : Tien là Fochio su nu; ben savarà
Quella ne insegnerà la via più tosta. Eia ci sentier che a far ne torna conto. 60
Venimmo a lei: O anima lombarda, Là semo: O qual li avevi gravità, -
Come ti stavi altera e disdegnosa, Lombarda anema granda, onestamente
E nel mover degli occhi onesta e tarda ! I uchi movendo adasio e in serietà !
Ella non ci diceva alcuna cosa; ND la fa molo, nè la dise gnente ;
Ma lasciai ani- gir, solo guardando Ma ne lassava andar, solo vardaodo 65
A guisa di leon quando si posa. ComVl lion cufà varda la zente.
Par Virgilio si trasse a lei, pregando Tanto el Dotor ghe va vicin pregando
Che ne mostrasse la miglior salita ; Che la ne mostra la più bona strada :
E quella 'non rispose al suo dimando; Ma invece, de responderghe schivando,
Ut di nostro paese e della vita La patria, ne domanda, e quala 1'- stada 70
C'inchiese. E il dolce Duca incominciava : L'estrazion nostra. El Mestro cominciava:
Maniova.... E l'ombra, tutta in sè romita, Maniova.... E quela in prima concentrada,
Surse ver lui del luogo ove pria stava, Levada in pie, incontro a lu l'andava ;
Dicendo: O Mantovano, i' son Sordello O Mantovan, mi son Sordelo, e '1 mio
Della tua terra. E l'un l'altro abbracciava. Xe '1 to'paese, el dise; e i se abrazzava. 75
Ahi serva Italia, di dolore ostello, Ah schiava Italia de dolori nio,
Nave senza nocchiero in gran tempesta, Barca senza timon in mar furioso, . ,,
Non donna di provinole, ma bordello ! Regina no, ma dona de partio !
Quell'anima gentil fu cosi presta, Al patriojo soo quelo là zoso,
Sol per lo dolce suon della sua terra, Al nome sol de la so cara tera, 80
Di faro al cittadin suo quivi festa ; Ga fato in bota un bel cieron grazioso ;
Ed ora in te non stanno senza guerra E adesso qua i to vivi i se fa guera,
Li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode E un co l'altro se rode a l'infmito
Di quei che un muro ed una fossa serra. Quei che una fossa e una muragia sera.
Cerca, misera, intorno dalle prode Misera varda, varda ben pulito 85
Le tue marine, e poi ti guarda in seno Longo i to mari, e vardite po in sen,
S'alcuna parte in le di pace gode. Se la pase ti trovi in nissun sito.
CANTO SETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di gir più oltre a' due Poeti toglie Tol Sordido ai Poeti la speranza
Sordel la speme, insin che novo piorno De andar più avanti insin eh' ci dì sfantat
La gotta non isgorabri, ch'ivi coglie. No ha l'ombre de la note, che s'avanzx
Intanto ranno con lor guida intorno, Sordelo intanto dove sta senbae
E trovan alme sedersi cantando: Li conduse tante anome cantando
Srdvereylnaj in luogo verde e adorno. Satrereyina, in verde pra insembrae,
Che di lor pace al ciel fanno dimando. Che ghe daga la pace el Ciel pregando.
103 E quti Nanlo -- E questi Filippo III l'Ardito, re di Francia: lo chiama Nasetto perchè aveva piccolo il naso.
104 quel dal dulct aspelo .-- è Arrigo III conte di Sciampagna, e re di Novaru detto il Grasso.
105 / ' xe morto in scampar — Filippo III sconfìtto in battaglia navale da Ruggicri Duri.i, ammiraglio dei
re Pietro III i1'Angona, si ritirò a Perpignano, ove mori di dolore — sporcando ti zegio = cioè macchiando
per quella sconfitta l'onore della Francia, che ha per arma il Giglio.
107 Sl'altro ochiè — cioè Arrigo III.
109 Uri mal de Franza - Filippo III era il padre, e Arrigo III il suocero di Filippo il Bello, qui chiamato
dal Poeta il mal di Francia, perchè caitivo principe.
112 l'I colosso - cioè lo stesso Pietro III d'Aragona, di cui la nota 105 il quale occupò la Sicilia dopo i
Tamosi Vespri, per diritto che credea venirgliene da sua moglie Costanza, figlia di Manfredi ultimo re di Casa Sveva.
113 Con guel'altro nason = Carlo 1 conto di l'rovenza e iv di Puglia: era fornito di un naso maiuscolo,
115 Se'l -m, a.- = Alfonso, Giacomo, Federigo e Pietro furono i ligli di Pietro III. Alfonso il primogenito,
snccesw al padre nel regno di Aragona, e dopo sei anni, cioè nel 1291 mori giovane e sema figli. Lgli è il gio
vinetto qui accennato.
117 taria da tu = sarebbe sorta ogni virtù di cui il verso 113.
119 Giacomo e Ferigo - figli di Pietro III giù accennali nella Nota 115: il primo ebbe il trono d'Aragona,
il secondo quello di Sicilia.
124-125 al colosso = cioe a Pietro 111. di cui il v. 112 - a quel dal nason = cioò a Carlo I, di cui il
>'. 113, che cantano uniti assieme la Salve Reniaa, di cui il v. 83.
128 dii nual = cioè del nasuto Carlo I su detto. Puglia e Provenza si dolgono pel malgoverno che ne fa
Cario II figlio di lui.
127-129 Tra'l pare e i poi ce. = tanto è men virtuoso Carlo II del padre suo Carlo I, quanto Costanza
(ancor viva nel 1300), si vanta di suo inarilo Pietro III, pii! di quello che Beatrice e Margherita si vantino del
mirilo loro. Beatrice figlia del conte Raimondo di Provenza, fu hi prima moglie di Carlo I; Margherita figlia
di Eudc duca di Borgogna fu la seconda; vuoi dire: v'ha tanto divario in bontà tra Carlo II e Carlo I, quanto
n'era tra quest'ultimo e Pietro d'.Vraguna.
4 92 DEL PtRGATORIO
Vedete il re della semplice vita L'inglese Arigo, che ha menà una vita 130
Seder là solo, Arrigo d'Inghilterra ; Modesta, solo là sentà vardè;
Questi ha ne' rami suoi migliore uscita. Elo no ga nei lini Ifuciii desdita.
Quel che più basso tra costor s'atterra, Quel che più in zo dei altri sentà xe
Guardando in suso è Guglielmo marchese, E varda in su, Gulielmo xe '1 marchese,
Per cui e Alessandria e la sua guerra Per el quai Alessandria ha dà un suda 135
Fa pianger Monferrato e il Canavese. A quei de Monteforte e al Canavese.
130-132 I.' iinjleit Arigo ee. =- Arigò III re d'Inghilterra fu uomo di buona fede e di semplici costumi: i
suoi Baroni aventi allu testa il conte di Leicester, gli si ribellarono. Ma il di lui figlio Edoardo, \iucendo i ri
belli, lo liberò e lo fece rimontare sul trono — qutla desdila -- quell'avversità, mala sorte.
134-135 Gntitlmo - . Guglielmo Marchese di Monferrato, preso a tradimento da quelli di Alessandria dclli
Puglia, fu chiuso in una gabbia di ferro, e dopo«17 mesi mori di dolore nel 1292. Per lo che tra quei di
Monferrato e Canavese, e quei di Alessandria fu lunga ed aspra guerra. = ha dà un ru/li .--: dal Francese souf
flè!; diede una dirotta di busse (in battaglia).
CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Scendono a guardia di quel basso loco Cala zo a guanlia de quel basso logo
Due vaghi spirti, che venti han le vesti, Do Anzoli, che verde i ga la vesta,
Verdi le penne, e spade hanno di fuoco ; Verde i ga le ale, e spade i ga de fogo.
Li .|nui si movon minacciosi e presti Pronti i se move, e i va co l'ala lesta
Contro la forza di quel mal serpente, Contro el maledeto orido serpente,
Ohe sempre a' danni alimi sempre tien ( Che aneme el tenta e de velen le imposte;
Ond' ei son fugge ratto, che gli sente. Quel se la stiigna apena che li sente.
Era già l'ora che volge il disio Gcra l'ora cb/el cuor tenero fa
Ai naviganti e intenerisce il core, Del navegante, per vegnirghe in mente
Lo dì e' han detto a' dolci amici addio ; I amici che in lassarli el ga basa;
E che lo novo peregrin d'amore E anca al novizio pelegrin, se '1 sente
Punge, te ode squilla di lontano, El son de la campana da lontan,
Che paia il giorno pianger che si muore : Che par la pianza el dì che io moriente:
Quand'io incominciai a render vano Quando flnindo el canto, vedo al pian
L'udire, ed a mirare una dell'alme lln'anema levarse, e el moto in -io
Surta, che l'ascoltar chiedea con mano. A Ui altre d'ascoltar far co una in, m :
Ella giunse e levò ambe le palme, Po zontae, la le alzava tute do, IO
Ficcando gli occhi verso l'oriente, Quasi, el Levante (isso fisso ochiando,
Come dicesse a Dio : D'altro non calme. Disesse a Dio : Altro pensier no go.
53 Giudice Nino — Nino della caso Visconti ili fisa, gimlire nel giudicato di Galiura in Sardegna, capo di
parte Guelfa, nipote dei Conte L'golino della Glierardrsca. l'u egli nel 128$ cucciato da Pisa, e mori in seguiin
guerreggiando contro i Pisani. Dante lo avea conosciuto ii 1 1' assi-dio del castello di Caprona nel 1290 (Buncui).
55 Co .. quando.
57 iInuaitn vegnir li ga padellai = vedi canto M. v. 100.
61 ni --- quando.
62 / un iinlrio co/m = esprime il moto naturale di chi colto da una sorpresa, indietreggia alquanto colli
persona.
03 de iòalzo -.. a prima giunta.
07 del mondo al gran Paron = al gran Padrone del mondo.
(19 In rason = il perchè, il motivo.
70 a la Nana mia - - Giovanna figlia di Nino, questa fu moglie a Riccanlo da Camino, Trevigiano.
73 La mare tea = Beatrice Marchesana d'Este prima moglie di questo Nino, e poi di Galcano Visconti di
Milano.
79-81 fin ghe farà onorada tepollura = I Visconti di Milano avevano per istemma una vipera; un gallo era
lo stemma di Nino Giudice di Cattura.
CANTO Vìll. 495
La vipera, che il Melanese accampa, La vipera sul scudo del Visconte, 80
Com'avria fatto 11 gallo di Gallura. Come avria fato el gaio de Galura.
Così dicea, segnato della stampa Cossi Nino parlava ; e dal so fronte
Nel suo aspetto di quel dritto zelo, Dignitoso, ben giusto se scovriva
Che misuratamente in core avvampa. El lagno senza far sentir le ponte.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo, I ochi Fissi a le stele mi tegniva, 85
Pur là dove le stelle son più tarde, Che va più adasio, come roda più
Sì come ruota più presso allo stelo. Vicina a l' asso, manco va coriva.
E il Duca mio: Figliuol, che lassù guarde? E '1 Mestro : Cossa vardistu la su ?
Ed io a lui : A quelle tre facelle, Vardo, respondo, quele tre candele,
Di che il polo di qua tutto quanto arde. Che de qua tulo el polo schiara: E lu 90
Ed egli a me : Le quattro chiare stelle Da novo a mi : Le quatro bele stele,
Che vedevi staman, son di là bassu, Che s' ha ochià a l'albizar, là zo le tirn,
E queste son salite ov'eran quelle. E ga dà su ste tre dov'era quele.
Com'ei parlava, e Sordello a sè '1 traete Insin cifri parla arente a lu s'el tira
Dicendo : Vedi là '1 nostro avversaro ; Sordelo, e dise : Varda là '1 nemigo 95
E drizzò '1 dito, perchè in là guatasse. Nostro, e a ciò là '1 vardasse el deo el destira.
Da quella parte, onde non ha riparo Dal sito che la valesela intrigo
La picciola vallea, era una biscia, No ga o riparo, xe sortio un serpente,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro. rtnsi ristesso tentator antigo.
Tra l'erba e i liin venia la mala striscia, Tra i fiori e l'erba el vien pulitamente, 100
Volgendo ad or ad or la testa, e il dosso Ognitanto movendo la so testa,
Leccando come bestia che si liscia. - E licandose in schena bravamente.
Io noi vidi, e però dicer noi posso, No ho visto, nè so dir quel che a dir resta,
Come mosser gli astor celestiali, Come s' ha mosso i Anzoli de Dio,
Ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso. Ma li ho visti svolar co l'ala lesta. 105
Sentendo fender l'aere alle verdi ali, Co a sbater l'ale el bisso ga sentio,
Fuggio '1 serpente, e gli Angeli dier volta Se la ga fata, e i Anzoli svolando
Suso alle poste rivolando iguali. Xe al so posto tornai cubiadi in di in.
L'ombra che s'ura al giudice raccolta, Corado arente al giudice, da quando
Quando chiamò, per tutto quell'assalto Lo avea chiamà, sta che ha durà el duelo 110
Punto non fu da me guardare sciolta. Sempre e po sempre ci me vegniva oculando.
Se la lucerna, che ti mena in alto, Se quela grazia che te dona el cielo,
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera, Trova, el dise, in ti fede sufìciente,
CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al corpo lasso del Poeta apporta Dante straco su l'erba se destira,
Quiete il sonno, ond' ei sognando veda E dormindo se insogna d'esser In
L'aquila, che per l'aria alto ne'l porta. Da un aquila brinci che in su lo tira.
E intende poi ch'egli ha mutata soi.-.; Sente che in dove el gera noi xe più.
E l'Angiol trova, che delle sue brame, Su una scalcia un Anzolo in senton,
E della nuova via ragion gli chiede. Cossa el voi ghe domanda da la su ;
Poi di grand' uscio srhiudcgli il serrame. E dopo el ghe deschiava el gran porton.
I la bela morosa del Titon = e mitologicamente personificata l'aurora elic stava per sorpjere. La Dea Au
rora amante e sposa di Titone, non impetrò, inconsiderata, prima delle sue none da (ìiove coll'immorlalita anelie
l'eterna giovinciza per il suo sposo, o perciò questi divenne vecchio decrepito.
5-6 i; qui raffigurala la custellaiione dei l'esci =- (arai -- uniti, allacciti = do = due.
10 chiujiù = preso.
II in cinque -- cioè Dante, Virgilio, Sardella, Nino e Corrado.
12 Me to .i mi sono = riestirà = sdraialo.
15 d.-i vcr/u" unni = allude alla favuhi di Filomela elic fu mutata in rondine: redi C. XVII. v. 19, 20.
17 a ogni penticr dò 'I banda - bandito ogni pensiero.
"-'-'.'I I/'/iìi parta -. . allude alla favoln per la quale Ganimede fu sul monte lda rapito dn Giove trasformato
in aquila, e portato d'innanzi all'alto consesso dei numi Oi - : quando = i 10i taisui -- abbandonali i
tuoi parenti.
498 DEL PURGATORIO,
Disdegna di portarne suso in piade. Con questa ùi le sgrinfe in su svolar.
Poi mi parea che, più rotata un poco, Dopo fato coi voli a roda el zogo,
Terribil come folgor discendesse, M' ha parso come fulmine piombasse,
E me rapisse suso in lìmi al foco. E Icvamloinr in alto sin al fogo, 30
Ivi pareva ch'ella ed io ardesse, Parea là che con eia me brusasse:
E sì l'incendio immaginato cosse, Tanto, sognando, el fogo me scolava,
Che convenne che il sonno si rompesse. Che ha bisognà ch'el sono me lassasse.
Non altrimente Achille si riscosse, Come in svegiarsc Achil i ochi zirava
Gli occhi svegliati rivolgendo in giro, Atorno atorno mezo indormenzà, 35
E non sapendo là dove si fosse, No savendo in qual logo el se trovava,
Quando la madre da Chirone a Schiro Co da Chiron so mare l'ha portà
Trafugò lui dormendo In le sue braccia, A Sciro de scondon dormiente in brazzo,
Là onde poi gli Greci il dipartiro; E da là i Greghi a Trogia i l' ha menà ;
Che mi scoss'io, sì come dalla faccia Cossi co m' ho svegià pien de tremazzo 40
Mi fuggì '1 sonno, e diventai smorto, Senza un giozro de sangue, m' ho impetrio,
Come fa l'uom che spaventato agghiaccia. Come chi dal spavento vien de giazzo.
Da lato m'era solo il mio Conforto, Al fianco no gavea ch'el Mestro mio ;
E il Sole er'alto già più di due ore, Più d'un per d'ore el Sol corso el gaveva
E il viso m'era alla marina torto. In suso, e '1 mar mi ochiava imatonio. 45
Non aver tema, disse il mio Signore ; Sta ben sicuro, el mio Dotor diseva,
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto : Smmi a Ima porto, no sta aver paura :
Non stringer ma rallarga ogni vigore. Fa cuor, da bravo, lu me ripeteva,
Tu se'omai al Purgatorio giunto: Ti xe del Purgatorio drio la mura :
Vedi là '1 balzo, che il chiude d'intorno; Varda la cinta che lo sera intorno; 50
Vedi l'entrata là 've par disgiunto. Varda l'intrada in quela avertaura.
Dianzi, nell'alba che precede al giorno, Sul far de l'alba che fa strada al zorno,
Quando l'anima tua dentro dormia Quando l'anema toa in ti dormia
Sopra li fiori, onde laggiù è adorno, Là zo su i fiori sparsi atorno atorno,
Venne una donna, e disse : I' son Lucia ; Se ga a nu presenta una dona pia, • 55
Lasciatemi pigliar costui che dorme, E lassè, la disea, che a sto dormiente
Sì l'agevolerò per la sua via. Glie resparmia ci stradai, mi son Lucia.
Sordel rimase, e l'altre gentil forme : Xe restà là Sordelo e l' altra zente ;
Ella ti tolse, e come il dì fu chiaro, Qua su la t' ha portà co ha fato dì,
Sen venne suso, ed io per le sue orme. E mi drio d'eia ghe vegniva inente. CO
Qui ti posò : e pria mi dimostaro Qua t' ha puzà segnando in prima a mi
28 coi tali a rada ci zogo = coli' aver roteato a volo quasi giocando.
30 al fogo — cioè alla sfera del fuoco, che, secondo le dottrine cosmografiche d'allora, restava in mezzo
alla sfera dell'aria, e al cielo della Luna col quale fìnge il Poeta confini la cima del Purgatorio.
37 Chiron — durone aio di Achille figlio di T.-li, la quale sot Unendolo dalla custo.lia di lui, lo porti
dormiente sulle su* braccia uell' Isola di Sciro, d'onde i Greci Ulisse e Diomede lo trassero poi, per condorlo
alla guerra di Troia.
40 trcmazzo = tremore.
•l'. tftia/oni'o - sbalordito.
51 avermura .- apertura, fenditura.
57 mi .vini Lucia = è quella medesima nominata al C. II. dell'1nferno.
59 co liu. falo di - -- quando ba fatto giorno.
60 umiie ----- vicino.
61 Qua t'ha puzà - qui li poggiò.
CANTO IX. 199
Gli occhi suoi belli quell'entrata aperta ; Coi ochi bei l'intrada. Lucia- e '1 tuo
Poi ella e il sonno ad una se n'anda™. Sono, in t'un lampo xe sparii cossi.
A guisa d'uom che in dubbio si raccerta, Come quel che da un dubio combatuo,
E che muti in conforto sua paura,' Cambià in bota in conforto la paura, 65
Poi che la verità gli è discoverta, Quando la verità l' ha conossuo ,
Mi cambia'io : e come srnza cura M' ho cambià mi, ma quel che ha de mi cura,
Videmi il Duca mio, su per lo bal/.o Co '1 me vede tranquilo el se incamirsa,
Si mosse, ed io diretro in ver l'altura. E mi da drio de lu, per quel'altura.
Lettor, tu redi ben coin" io innalzo Letor, ti vedi quanto vien più fina 70
La mia materia, e però con più arte La mia materia, e no maravegiar
Non ti maravigliar s'io la rincalzo. Se perciò l'arte mia la se ratina.
Noi ci appressammo, ed eravamo la parte, Vegnui più arente, s'ha possù osservar,
Che là, dove pai-cami in prima un rotto, Che in dove ho credù veder a bonora
Pur com'un fesso che muro diparte, Una rotura el muro in do spacar, 75
Vidi una porta, e tre gradi di sotto, Gera una porta a tre scalini sora
Per gire ad essa, di color diversi, Dè color vario, e un portiner che un sesto,
IM un portici-, che ancor non facea motto. 0 un moto, noi n'aveva fato ancora.
E come l'occhio più e più v'apersi Sentà el scovro, co l'ochio ho ben spenzesto,
Vidil seder sopra '1 grado soprano, Su quel più alto, e in viso el resplendeva 80
Tal nella faccia, ch'io non lo soffersi: In modo, che fissarlo no ho podesto.
Ed una spada nuda aveva in mano, Nuda una spada in man elo strenzeva,
Che rifletteva i raggi sì ver noi, 1 ragi de la qual su nu stanzai,
Ch'io dirizzava spesso il viso invano. Come el so viso, orbar i me fazzeva.
Ditei costinci: che volete voi? Cossa, el scomenza a dir, voleo qua mai ? 85
Cominciò egli a dire : ov'ù la scorta ? Respondè stando là: dov' è la scorta?
Guardate che '1 venir su non vi nói. Vardè se a vegnir su ve vien dei guai!
Donna del Ciel, di queste cose accorta, Dona del ciel, che sa qual lege porta
Rispose il mio Maestro a lui, pur dianzi Sto logo, el Mestro sta resposta ha dada,
Ne disse : Andate là, quivi*è la porta. N'ha dito adesso : Andè, là i e la porta. 90
Ed ella i passi vostri in bene avanzi, E eia ve sia de guida ne l'intrada,
Ricominciò il cortese portinaio : Co altro ton el portier n' ha ripetudo,
Venite dunque a' nostri gradi innanzi. Vegni donca a la nostra scalinada.
Là ne venimmo ; e lo scaglion prunaio Col Mestro al scalin basso son vegnudo
Bianco marmo era si pulito e terso, De marmo bianco, cussi lisso e puro, 95
Ch'io mi specchiava in esso quale i' paio. Che in quel m'ho visto come spechio nudo,
Era il secondo, tinto più che perso, Gera el scalin secondo mezo scuro,
D'una petrina ruvida ed arsiccia, E '1 sasso, screpolà per ogni banda,
Crepata per lo lungo e per traverso. Tulo arso el gera, gropoloso e duro.
83 in t' mi lampo -- in un attimo.
65 m bàia -- subito.
77 un ttilo -- un atto, un gesto.
79 co l'ochio ho ben tpenzesio — quando spinsi innanzi l'occhio.
92 Co altro ton = con diverso tuono di voce.
95-98 De marmo bianco ere. -— simboleggia il riconoscimento delle proprie colpe, e il candore e la since
rili della confessione.
97-99. Gira el tcalin i-econdo mexo acuro ee. -= simboleggia il duro cuore del peccatore, e gli effetti che
opera in esso la contrizione.
200 DEL PIRGiTORIO
Lo terzo che di sopra s'ammassicia, Quel de sora de luti, el color manda 100
PoiTido mi parea sì fiammeggiante, D'un bel porfido fin rosso liamante,
Come sangue che fuor di rena spiccia. Come xr '1 sangue che una vena spanda.
Sopra questo teneva ambo le pianto Puzava in questo l'Anzolo le piante,
I/Angel di Dio, sedendo in su la soglia, Sora el lustro sogèr stando in senton,
Clic mi seminava pietra di diamante. Ch'el me pareva piera de diamante, lui
Per li Ire gradi su di buona voglia Su de quei tre scalini el mio Paron
Sii trasse il Duca mio, dicendo : Chiedi M'ba tira de bon annuo, disendo:
Umilemente che '1 serrame scioglie. Pregalo ch'el te sverza in zenochion.
Rivoto mi gittai a' santi piedi: E mi i zi'imelii ai santi pie metendo,
Misericordia chiesi, e ch'oi m'aprisse; Ch'el m'averza per grazia l'ho pregà, 110
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi. Tre volte in prima el peto mio batendo.
Sette 1' nella fronte mi descrisse Col sponton de la spada el m' ha segnà
Col punton della spada, e: Fa che lavi, Sete P in fronte, e 'i dise : Co ti o drento,
Quando se' dentro, queste piaghe, disse. Lavar ste piaghe pensier too «arà.
Onere o terra che secca si cavi, Color cenere, o lera arsia depento 115
D'un color fora del suo vestimento, Xe '1 so vestio, e soto via de quelo
E dì sotto da quel trasse duo chiavi. D'oro una chiave, e un'altra, ma d'anento,
I.'una era d'oro, e l'altra era d'argento : Ga cavà fora l'Aiisolo del cielo :
Pria con la bianca, e poscia con la gialla E co la bianca e dopo co la zala
Fece alla porta sì ch'io fui contento. (ìo visto con piacer avurzer elo 120
Quandunque l'una d'este chiavi falla, La porta, e po : Ogni volta, che una fala
Che non si volga dritta per la toppa, Da zirar, dise, ne la seradura,
Diss'egli a noi, non s'apre questa calla. No i'averze la porta su sta scala.
Più cara è l'una ; ma l'altra vuoi troppa Più preziosa è la d'oro, ma indritura
D'arte e d'ingegno avanti che disserri, Fina ghe voi quel'altra in manovrar, 125
Perch'eli'è quella che il nodo disgroppa. Perche eia la desgropa la fatura.
Da Pier le tengo; e dissemi, ch'io erri Piero in darmela, ch'abia da fatar,
Anzi ad aprir, ch'a tenerla (errata, M'ha dito, co la zerite s'ha umiliada
Pur che la gente a' piedi mi s'atterri. A mi, in avrir piulosto che in serar.
Pui pinso l'uscio alla porta sacrata, Dopo el spenze la porta consacrada, 130
100-102 Quel de sarà ilc tuli te. — simboleggia il terzo requisito per la buona confusione.
10-t sayièr = soglia = m senton = seduto.
108 ai.'ir;a = opra.
113 col spanto* _ colla punta.
113 Srle P in fronte = i sette P significano i sette peccati capitali dei quali il penili'ntc è stalo assollo,'
dei quali le reliquie o piaghe devono essere lavate.
115 lerà aniui = terra arsiccia, diseccata.
117 D'oro mia chiave --- la chiave d'oro significa l'autorità del confessare; quella d'argealo la sua scinn»-
119 e co = o con.
124-126 Wii preziosa i la d'oro = perchè è frutto della passione e morte del Redentore ^ mo ladril*™
: ma destrezza e mollo ingegno si richiede nel maneggiare l'ultra d'argento, perche la scienza non s'neqtisln
i-iie con fjiica; e di essa vuoisi far uso avanti di assolvere, perchè è quella = che desgroppa la falura =• che
scioglie il I. mìni interno della serratura, vale a dire elic insegna al penitente i modi opportuni a sciogliersi »"
lacci del peccato.
127 /'/ero = S. Pietro.
123 co (o zenit = quando la gente.
129 in avrir piutatio che in scrar = vale a dire, elio io sia piuiiosto misericordioso che severo,
130 spente = spinge.
CA1VTO X. 201
CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
DI xauta miniiti sturle scolpita Entraci apena in Purgatorio, Dante
Vede il Poeta, là dov'è l'entrata Scovro scohure de umiltà storiae
Del Purgatorio, diverso ed unite ; Con xvnti scolpie e vaiie e tanto,
Che specchio sono alla prima brigata die de Superbia a l'aneme machiae
DeL'ahna, eh' ivi lmrgan la lordura Xe d'esempio, purgando 1:1 ci peci
Della Superbia da' pesi oppi-ossatii, Coi pesi elio le tien in zo sbassae:
Sì clie ben paga la mal nata altura. Sto castigo ghe xe ben adaia.
Poi fummo dentro al soglio della. pori. i Apena entradi drento de la porta
Che il malo amor dell'anime disusa, Da l'aneme assae poco frequentada,
Perchè fa parer dritta la via torta, Che tien d'un falso amor la strada storta,
Sonando la senti' esser richiusa : Sento dal verso che la .•i" ha serada :
E s'io avessi gli occhi volti ad essa, Se per vardar me fusse voltà alora,
Qual fora stata al fallo degna scusa ? Qual scusa al falo mio avvia trovada ?
Noi salivam per una pietra fessa, Per l'averto d'un sasso andemo sora
4 rri-xn ---- quel suono che manda una porta nel chiudersi.
5-0 St prr vardar te. = allude all'avvertimento dato dall'Angelo. Vedi il v. 132 del cauta precedente.
7 Per l'averto = per i' apertura.
202 DEL PIRGATORIO
Che si moveva d'una e d'altra parte, Ch'entra e sporze a zigzag per ogni banda,
Sì come l'onda che fugge e s'appressa. Come l'onda va e vien a ora a ora.
Qui si conviene usare un poco d'arte, Qua un poca de indritura se domanda, 10
Cominciò '1 Duca mio, in accostarsi Dise la Guida mia, movendo el passo
Or quinci or quindi al lato che si parte. Qua e là, de man in man cifri muro sbanda.
E ciò fece li nostri passi scarsi Tanto a pian perciò andemo per quel sasso,
Tanto, che pria lo scemo della luna Che za lucà co la so parte scura
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi, La Luna aveva l'orizonte basso, 15
Che noi fossimo fuor di quella cruna. Prima che nu passada la fissura.
Ma quando fummo liberi ed aperti Ma co semo a l'averto su arivai,
Su dove '1 monte indietro si rauna, Dov'èl monte se strenze la figura,
Io stancato, ed ambedue incerti Mi straco, e '1 mio Dotor, come mi, incerto
Di nostra via, ristemmo su in un piano Del sentier, fermi stavimo s'un pian 20
Solingo più che strade per diserti. Più isolà de la strada in un deserto.
Dalla sua sponda, ove confina il vano, L'orlo, che varda in zo, gera lontan
Appie dell'alta ripa, che pur sale, Dal pie de l'alta riva, che se leva
Misurrchbe in tre volte un corpo umano: Quanti slarìa tre omeni drio man :
E quanto l'occhio mio potea trar d'ale E per quanto tirar l'ochio podeva 25
Or dal sinistro ed or dal destro fianco, A drila e a zanca, talequal mi alora
Questa cornice mi parea cotale. La cornise cussi larga vedeva.
Lassù non eran mossi i pie nostri anco, No se gaveva fato un passo ancora,
Quand'io conobbi quella ripa intorno, Co m' ho incorto ch'el ziro de la riva
Che dritto di salita aveva manco, Cussi in pie, che no lassa andar de sora, 30
Esser di marmo candido e adorno Gera luto de bianca piera viva
D'intagli sì, che non pur Polieleto, Fornio de intagi bei, che Polieleto
Ma la natura gli averebbe scorno. Darente e la natura scompariva.
L'angel che venne in terra col decreto L'Anzolo vegnù in tera col decreto
Della moit'anni lagrimata pace, Sospirà per tanti ani in mezo al pianto, 35
Ch'aperse il Ciel dal suo lungo divieto, Pegno de pase e amor, cussi perfeto
Dinanzi a noi pareva sì verace Là intaglà al naturai n'ha parso tanto,
Quivi intagliato in un atto soave, E con dolcezza tal, che se dirave
C he .non sein biava ir uà gin o che tace. Figura che la parla per incanto.
Giurato si saria ch'ei dicess'/lre; S'avria zurà ch'elo disesse Ave; M
Perchè quivi era immaginata Quella, Perchè intagiada là la Dona gera,
Ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave. Che del santo perdon go avù la chiave;
Ed avea in atto impressa esta favella : E par che in ato ile chi prega e spera
Ecce Andila Dai, si propriamente, Diga : Ecce Andila Dei, come saria
10 indrilura sm accorgimento.
14-15 Che zu locà co la no parte scura te. == cioè quella parte della Luna elic rimane oscurata e ch'i la
prima a toccar l'orizzonte a ponente.
17 co — quando.
30 Cuoi in pie — a perpendicolo.
32-33 Polielelo = celebre sculIore = Dnrenlc = vicino, e qui vale in confronto.
34-36 L'Anzolo vegnù in lerà = l'Angelo Gabriele, che recando l'annunzio a Maria Vergine, venne in lem
col Decreio della pace da molti secoli sospirata, la qual pace o riconciliazione con Dio aprì agli uomini il cieto
dopo il peccato di Adamo.
41 la Dona — Maria Vergine.
CANTO X. 203
Come figura in cera si suggella. La figura marcada su la cera. 45
Non tener pure ad un luogo la mente, Tra tanti loghi no te perder via
Disse il dolce Maestro, che m'avea A un solo, el mio bon Mestro me ausava,
Da quella parte, onde il core ha la gente : Stando de fianco de la drita mia:
Per ch'io mi volsi col viso, e vedea Perciò, i ochi voltai, se me fazzava,
Diretro da Marin, per quella costa, Dopo de la Madona la figura, 50
Onde m'era colui che mi movisi, Da de là in dove el mio Dotor restava,
Un'altra istoria nella roccia imposta : Una nova belissima scultura :
Per ch'io varcai Virgilio, e fe' mi presso, E '1 Mestro scavalcà, go possù arente
Acciocchè fosse agli occhi miei disposta. Farme a quela per vederla a dritura.
Era intagliato lì nel marmo stesso Là intagià mi go visto chiaramente 55
Lo carro e i buoi traendo l'arca santa, El Caro e i bo, che tira l'Arca Santa,
Per che si teme ufficio non commesso. Che no loca senza ordine la zente.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta, Ghe xe a quela davanti zente tanta
Partita in sette cori, a duo miei sensi In sete cori, i quali ai ochi mi
Ficea dicer l'un No, l'altro Sì canta. Fa dir Sì, e a le rechie : No, no i canta. 60
Similemente al fumo degl'incensi, Coin" ci fumo d'incenso xe cussi
Che v'era immaginato, e gli occhi e il na.-o Con arte tanto lina là intagià,
Ed al sì ed al no discordi l'unsi. Che de No dise el naso e i ochi Sì.
Lì precedeva al benedetto vaso, Baiando avanti l'Arca Santa, là
Trescando alzato, rumile Salmista, Più che Re coi pie in aria el Re Salmista, 65
E più e men che re era in quel caso. E de Re manco la figura el fa.
Di centra effigiata, ad una vista D'un gran palazzo a la fenestra ho vista
D'un gran palazzo, Micol ammirava, De fazzada la Micol so mugier
Sì come donna dispettosa e trista. CITrl mario varda dispetosa e trista. 70
Io mossi i pie del loco dov'io stava, Da de là me son mosso per aver
Per avvisar da presso un'altra storia Più da vicin una diversa storia,
Che diretro a Micòl mi biancheggiava. Che dopo la Micòl resta a vedèr.
Quivi era storiata l'alta gloria Del prencipe roman scolpia è la gloria,
Del roman prince, lo cui gran valore Per le virtù del qual, e '1 so valor,
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria: San Gregorio ga avù la gran viteria: 75
Io dico di Traiano imperadore : Vogio dir de Tragian l'imperator.
Ed una vedovella gli era al freno, Sta là ferma una vedòa a la testa
49 *t me fazzava = mi si affacciava.
56 CI Caro e i bo ee. :-. questa scollura rappresenta il trasporto dell'Arca da Cariatarim a Gerusalemme
ordinato dal re Davide.
59 mi = miei.
65-66 Più che Re = per esser tulio assorto in Dia e da Lui mosso = E de Re manco = per istarc in atto
non dicevole alla maestà regale.
69-70 Nicol = liglia di Snul, adirata e dolente per l'avvilimento in cui eia credeva caduto suo marito dan-
xando io pubblico.
75 San Gregario ee. =« Alcuni antichi scrittori raccontano che S. Gregorio Magno considerando le insigni
virtù di Traiano, tanto pregò Dio a perdonargli l'eterna pena, che finalmente fu dalla divina elemenza esaudito,
ma è questa per favola ritenuta dai critici moderni.
77 una vedoa = una vedova alla quale era stato ucciso il figlio, si fece inconIro a Traiano, che movevi
alii testa del suo esercito, per domandargli giustizia. L'imperatore fermato |l'escrcito, nmndo per scoprire l'p-
"i'idu. e trovalo ch'era il suo proprio figlio, chiese alla vedovu te voleva la morte di lui, ovvero riceverlo in
luogo dell'ucciso. Ed ella accettò la seconda proposta.
204 DEL PURGATORlO
Di lagrime atteggiata e di dolore. Del cavalo pianzendo dal dolor.
Dintorno a lui parea calcato e pieno Cavalieri el ga atorno una tempesta,
Di cavalieri, e l'aquile dell'oro E par l'aquile d'oro a lu de soni, 80
Sovresso in rista al vento si movieno. Dal vento mosse a qucla parte e a questa.
La miserella infra tutti costoro La meschina tra quei par la se acuora
Parea dicer : Signor, fammi vendetta Disendo : l m' ha mazza mio fìol, vendeta
Del olio figlluol ch'è morto, ond'io m'accoro. Fame, o Signor, del Mo che me dolora.
Ed egli a lei rispondere : Ora aspetta Par lu responda: Sin che torno aspeta. 85
Tanto ch'io torni. Ed ella : SignorTmio, Ma quela da passion fata impaziente:
Come persona in cui dolor s'affretta, Se no ti torni? par che la ripeta;
Se tu non torni? Ed ci: Chi lia dov'io, E lu : El mio sucessor l'istessamente
La ti farà. Ed ella: L'altrui bene La farà. E pronta : Cossa serve a ti
A te che fìn, se '1 tuo metti in obblio ? D'un altro el ben, se al too no ti dà mente? 90
Ond'egli: Or ti conforta, chè conviene Elo alora : Sta quieta ; a vista mi
Ch'io solva il mio dovere, anzi ch'io muova : Qua '1 dover farò prima che me mova,
Giustizia vuole e pietà mi ritiene. Perchè pietà e giustizia voi cossi.
Colui, che mai non vide cosa nuova, Dio, per el qual no xe cossa mai nova,
Produsse esto visibile parlare Sto dialogo visibile intagiava, 95
Novello a noi perchè qui non si truova. Che in ste nostre sculture no se trova.
Mentr'io mi dilettava di guardare lnsin che a veder questi mi gustava
Le immagini di tante umiliimii, Fati d'umiliazion, ch'el grando Autor
E per lo Fabbro loro a veder care; Più ancora in eli inamorar me fava ;
Ecco di qua, ma fanno i passi radi, Tanta zente eco qua, dise el Dotor 100
Mormorava il Pueta, molte genti : Soto vose, che a pian camina; questa
Questi ne invieranno agli alti gradi. La n'inviarà sul ziro superior.
Gli occhi mici, ch'a mirar erano intenti, De curiosar la smania che me resta
Per veder novitadi, onde son vaghi, Per scovrir novità, da quela zente
Volgendosi ver lui non furon lenti. M' ha in t'un supio voltar fato la testa. 105
Non va' però, lettor, che tu ti smaghi Mi no vogio, letor, che da la mente
, l»i buon proponimento, per udire Te scampa el bon pensier in ascoltar
Come Dio vuoi che il debito si paghi. l castighi cUmidi al penitente.
Non attender la forma del martire : La sorte de la pena no vardar :
Pensa la succession ; pensa clic, a peggio, Pensa a quel che vien dopo, e che oltre ria 110
Oltre la gran sentenzia non può ire. Del gran giudizio no la poi durar.
1' cominciai : Maestro, quel ch'io veggio Mestro, digo, la roba che s'invia
Muovere a noi, non mi sembran persone, Qua da nu 110 par zente, e in verità
E non so che: sì nel veder vaneggio. No so gnanca capir cossa la sia.
Ed egli a me: La grave condizione A sta domanda sta resposta ci dà: 115
Di lor tormento a terra gli rannicchia Li tien curvi ci tormento sin a tera
Sì, che i miei occhi pria n'ebber tensione. Tanto, che mi a scovrivii go stentà.
CANTO DECIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Pregau pii spirti per lo ben dn'vivi; Per eie e per i vivi va pregando
Tra essi è Omberto, che di qua si altero, Quoll'aneme ; e Omberto, al mondo altiero,
Sopra dì sè ha gli occhi aperti quivi. Qua vede el vizio quanto el se sta grande.
Cosi conosce di sua fama il vero Anca Oderisi, che qua vede el vero,
Oderisi d'Agobbio, e cede altrui Cede ai altri i onori del penello,
Di sua bell'arte, con umil pensiero, Che lo ha fato superbo, e stima un nero
L'onor, che Dante dar vorrebbe a lui. L'onor che Dante dar vorave a elo.
O Padre nostro, che ne' cieli stai, O Pare nostro, che ti sta su in cielo,
Non circonscruto, ma per più amore No confinà, ma per più grando amor
di' a' primi errati di lassù tu bai, De quanto ti ha creà prima per elo;
Laudato sia il tuo nome e il tuo valore Lodà da ogni creatura con calor
Da ogni creatura, coin" è degno Sia el to nome e '1 poder, e in modo degno 5
Di render grazie al tuo dolce vapore. Ringrazià l'amor tuo de tuto cuor.
Vegna ver noi la pace del tuo regno, A nu vegna la pase del to regno,
Che noi ad essa non potem da noi, Perchè da nualtri soli insina là
S" ella non vien, con tutto nostro ingegno. No podemo arivar col nostro inzegno.
Come del suo voler gli angeli tuoi Se i dona a ti la propria volontà 10
Fan sacrificio a te, cantando Osanna, Cantando el Gloria i Aiuoli là su,
Così facciano gli uomini de' suoi. Dai omeni la soa te sia donà.
Dà oggi a noi la cotidiana manna, El pan de luti i dì dane ancuo a nu,
Senza la qual per questo aspro diserto Senza el qual in sta vale sin che stemo,
A retro va chi più di gir s' affanna. Indiiu più resta chi se strussia più. 15
E come noi lo mal ch'avem sofferto E come a tuli el mal nu perdonemo
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona Che i n'ha fato, anca ti a nu perdona,
Benigno, e non guardare al nostro merlo. Nè badar se '1 perdon nu meritemo.
Nostra virtù che di leggier s'adona, No cimentar la nostra poco bona
Non spermentar con l'antico avversaro, Virtù al vechio nemigo inviperio, 20
Ma libera da lui, che sì la sprona. Ma salvila da l' arte soa bricona.
Quest'ultima preghiera, Signor caro, No avendone bisogno, o caro Dio,
29-30 Come iInel dir t'ha provò In qualche sogno = simile a quella oppressione che si prova, quando si sogna
di avere un lai peso addosso.
42 «anca in pie = meno cria.
SS .l/i liuliiiu da un Toiean la vita ho nrun = Gustni fu Omberto figlio di Guglielmo Aldobrandeschi dei
Conti Santafìure. Dai Sanesi, che l'odiavano per la sua alterigia, fu fallo uccidere in Campagnatico, luogo delta
Sanciie.
203 DEL PTJHGATOntO
De' miei maggior mi fer sì arrogante, Dei rechi mil, m' ha tanto insuperbio,
Che non pensando alla comune madre, Ch'ogni persona con maniere amare
Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante, Go sprezzà, no pensando al comun nio,
Ch'io ne mori', come i Senesi sanno, Che alfin son morto, come sa ben Siena 65
E saliti in Campagnatico ogni fante. E ognun del Campagnatico el fin mio.
Io sono Omberto : e non pure a me danno • Son Omberto; e la boria d'aria piena,
Superbia fe, che tutti i miei consorti Mal no ha fato a mi solo, perchè ancora
Ha ella tratti seco nel malanno. Tuli i parenti mii ga avù la pena.
E qui convien che questo peso porti Per eia el peso qua, che me dolora, 70
Per lei, tanto ch'a Dio si soddisfaccia, Tra i morti ho da portar, a Dio scontando
Poi ch'io noi fei tra' vivi, qui tra' morti. Quel che tra i vivi no ho scontà là sora.
Ascoltando, chinai in giù la faccia; Basso el viso tegniva mi ascoltando,
Ed un di lor (non questi che parlava) E un de lori, no quelo che parlava,
Si torse sotto '1 peso che lo impaccia : Contorzendose solo el peso grando, 75
E videmi, e conobbemi, e chiamava, M'ha visto, conossudo, e me chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi Sporzendo a stento i ochi sora mi,
A me, che tutto chin con loro andava. Che gobo gobo e a pian con eli andava.
O, dissi lui, non se tu'Oderisi, Oderisi, go dito, xestù ti?
L'onor d'Agubbio, e l'onor di quell'arte Xestu l'onor de Agubio, e de quel arte 80
Che alluminare è chiamata in Parisi ? Chiamada in Franza enluminer cussi?
Frate, diss'egli, più ridon le carte Lu responde: più belle xe le carte,
Che pennelleggia Franco Bolognese : * Che dcpenze Francesco Bolognese;
L'onore è tutto or suo. e mio in parte. Tuto elo ancuo ha l'onor, e mi una parte.
Ben non sare'io stato" sì cortese No saria de sta lode sta cortese 85
Mentre ch'io vissi, per lo gran disio Quando viveva, per la smania forte
Dell'eccellenza, ove mio core intese. D'esser primo, in quel' arte, del paese.
Di tal superbia qui si paga il fio : Per la superbia se ga qua sta sorte :
Ed ancor non sarei qui, se non fosse E no l' avaria gnanca, se voltà
Che, possendo peccar, mi volsi a Dio. No me fusse al bon Dio avanti morte. 90
O vanagloria delle umane posse, O de l'opera umana vanità,
Com'poco verde in sulla cima dura, Quanto poco in fiorir eia la dura,
Se non è giunta dall'elafi grosse ! Se adrio no ghe rien zente che no sa !
Credette Cimabue nella pintura Credeste ha Cimabue ne la pitura
Tener lo campo, ed ora ha Gioito il grido, I)" aver el vanto ; ancuo Gioto ha una gloria 95
Sì che la fama di colui oscura. Tal, che de quelo fa la fama scura.
Così ha tolto l'uno all'altro Guido Cossi un Guido su l' altro la vitoria
La gloria della lingua ; e forse è nato Ga nel linguagio, e forsi uno xe nato,
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido. Che a tuli do ghe smorzerà la boria.
62 Dei vechi mii — de' mici antenati.
64 al comun uni — alla comune origine per cui gli uomini sono eguali Ira loro -.- mo = nido.
79 Odti-iii :—. Oderisi d'Agnbbio, città del Ducato di Urbino, fu della scuola di Cimabue, miniatore eccellente.
Pare essere poco prima del 1300: e forse Dante, ehe le arti del disegno amava, lo avra conosciuto nello studio
di Giotto di lui amico.
SI adnmincr — voce francese: alluminare, miniare.
83 Frnnci-tco Bolognese = fu questi scolaro di Oderisi, e divenne miniatore cosi eccellente, che saperi il
maestro.
84 ancuo -= oggidì.
CANTO XI. 209
Non è U mondan rumore altro che un fiato El chiasso che fa '1 mondo xe '1 retrato 100
Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi, Del vento, che va or qua or là supiando,
E muta nome, perchè muta lato. E in muar silo de nome fa barato.
Che fama avrai tu più, se vecchia scindi Sia che vechion ti mori, o mama quando
Da te la carne, che se fossi morto Ti chiami, cossa mai te resterà
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi, Da qua un mier d'ani del lo nome grando? 105
Pria che passin mill'anni ? ch'è pi iì corto Che sto tempo vicin l'eternità
Spazio all'eterno, che un mover di ciglia Più curto el xe che un bater de palpiera
Al cerchio che più tardi in cielo è torto. Rente al ciel che più a pian in ziro va.
Colui, che del cammin sì poco piglia Chi adasio a mi davanti va oro-tera,
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta, La Toscana ha impinio del nome suo, 110
E ora appena in Siena sen pispiglia, E oramai scorda Siena quel ch'el gera
Ond'era sire, quando fu distrutta Lu, ch' ci ga là regnà, co '1 pesto ha avuo
La rabbia fiorentina, che superba Firenze, che, stizzia tanto alto el muso
Fu a quel tempo, sì com'ora è putta. Tegniva alora, quanto vii l'è ancuo.
La rostra nominanza è color d'erba, La vostra fama ga del'erba l'uso, 115
Che viene e va, e quei la discolora, Che mua color e smorta al Sol vien spesso,
Per cui ell'esce della terra acerba. Per el qual fresca e verde la dà suso.
Ed io a lui : Lo tuo ver dir m'incuora E mi: Umiltà el to dir in cuor m'ha messo,
Buona umiltà, e gran tumor m'appiani : De la boria levandome el malan :
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora ? Ma chi xe quel, che li disevi adesso? 120
Quegli è, rispose, Provenzan Salvani ; Xe, '1 me dise, Salvani Provenzan,
Ed è qui, perchè fu presuntuoso E '1 xe in ste pene per aver ardio
A recar Siena tutta alle sue mani. De farla in luta Siena da sovran.
Ilo è cosi, e va senza riposo, L'ha avù sto fin, e apena morto, el fio
Poi che morì : cotai moneta rende L'è vegnù qua a scontar: de sta monea 125
A soddisfar, chi è di là tropp'oso. Vien qua pagà chi là s'ha insuperbio.
Ed io: Se quello spirilo ch'attende, Se un'anema in pentirse, perchè rea,
Pria che si penta, l'orlo della vita, Solo al ponto de morte, zo la sta,
Laggiù dimora, e quassù non ascende, El tempo stabilio, mi ghe disea,
Se buona orazion lui non aita, Ch'el ga vissudo, e se noi gh'è scurtà 130
Prima che passi tempo quanto visse, Da un bon prego, noi poi montar in su,
Come fu la venuta a lui largila ? Com'halo donca falo a vegnir qua?
133-138 l'»' I governo de Siena ne. — 11 fatto cui vien fatta allusione è questo: Un amico di Provenzanp. che
dicesi essere stato un tal Vigna, era prigioniero di gnerra di Carlo I. re di l'uglia il quale minacciava ucciderlo
se pel suo riscatto non gli venissero esborsati diecimila fiorini d'oro. Provenzano udunque, nel tempo della
sua maggiore gloria e potenza, vincendo la ripugnante che l'uomo prova nel venire ad atto simile, si piulò
francamente nella gran piazza del Campo; e li, per trarre l'amico suo dall'angoscia che soffriva in prigione, chicse
l'elemosina per liu.
140 ila tanto, e presto, ee. — qui è inelusa la predizione che Oderisi fa a Dante dell'esilio a cui sarà dan
nato dai suoi concittadini, provando allora quanta sia la pena di chi è costretto a domandare altrui la carità.
142 St'azion ee. = per questa buona azione Provenzano fu liberato dall'essere confinato per parecchi
anni laggiù nell'antipurgatorio.
CANTO DECIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di sotto a' passi scolpiti gli esempi Esempi soto i pie scolpii xe qua
Son di superbia, e veggonsi scherniti De superbia, e se vede malmenai
Quei che di qua per tal vizio inr empj. Quei che al mondo in sto vizio s'ha sporca.
Ma tu intanto i due Poeti aiti, Ma ti intanto i Poeti imbarazzai
Angiol beato ; onde al secondo giro Ti apiuti, Anzolo santo, e cussi Dante
Un Dante i piedi più lievi e spediti, Più lesti e più leiieri i pie levai,
Perchè gli spiuge in su miglior desiro. Va sul secondo ziro gongolante.
Di pari, come buoi che vanno a giogo, Come va un per de bo tacai al zogo,
M'andava io con quell'anima carca, Con Oderisi mi tirava avanti
Fin che '1 sofferse il dolce pedagogo. Sin che ha permesso el mio bon Pedagogo.
Ma quando disse : Lascia lui, e varca, Ma co '1 m' ha dito : Lassilo e va avanti,
Che qui è buon con la vela e co' remi, Che va ben la so barca a spenzer qua
Quantunque può ciascun, pinger sua barca ; Più che i possa se inzegna tutti quanti;
Dritto sì, com'andar vuoisi, rife' mi Su drito in schena in bota m' ho levà,
Con la persona, avvegna che i pensieri Siben che avesse l'animo avilio,
1 sago - giogo, quell'istrumento di legno con cui si uniscono due buoi al lavoro.
I tirava avanti = tirava Innanzi, cioè seguitava a camminare.
7 m bota. = subito.
CANTO XII.
Mi rimanessero e chinati e scemi. Per le pene che ho visto, e '1 cuor strazzà.
Io m'era mosso, e segala volentieri De bona vogia ai passi andava drio 10
Del mio Maestro i passi, ed ambedue Del mio Dotor, e favimo vedèr
Già mostrai ain com'eravam leggieri; Com'el pie avemo tuti do spedio ;
Quando mi disse : Volgi gli occhi in giue : Co '1 dise a mi: Tien i ochi sul sentier;
Buon ti tarà, per alleggiar la via, Varda ben dove i pie ti puzi in tera
Veder lo letto delle piante tue. Se ti voi andar megio. Come per 15
Come, perchè di lor memoria sia, Chiamar a mente quei che vivi gera,
Sovr' a' sepolti le tombe terragne Un'arma, un scrito, un nome star se vedo
Portan segnato quel ch'elli eran pria ; Su le arche, ch'el teren in elo sera;
Onde lì molte volte si ripiagne E tantissime volte lì sucede,
Per la puntura della rimembranza, Che ochiando impietosio segni o scriture, 20
Che solo a' pii dà delle calcagne : Fa una preghiera el spassizier che ha fede;
Sì rid'io lì, ma di miglior sembianza, Cossi mi là go visto, ma in scolture,
Secondo l'artificio, figurato, Sul sentier che dal monte sporze in fora,
Quanto per via di fuor dal monte avanza. Segnae, ma quanto megio ! le figure.
V tdt. a colui che fu nubil creato Là vedea quel che a ogni creatura sora 25
Più d'altra creatura, giù dal ciclo Creà perfeto, da l'Eterno brazzo
Folgoreggiando scendere, da un Iato. Scazzà, vien zo tra i lampi soto e sora;
Vedeva Briareo, fitto dal telo Là go visto Briareo el zigantazzo,
(ilestial, giacer dall'altra parte, Da la frezza de Giove sta sbasto,
Grave alla terra per lo mortai gelo. Che xe a la tera fredo e greve impazzo. 30
Vedea Timbreo, vedisi Pallade e Marte, Vedea dintorno a Giove là scolpio
Armati ancora, intorno al padre loro, Minerva, Apolo e Marte armadi, star
Mirar le membra de' Giganti sparte. Vardando dei ziganti el gran desio.
Vedea Nembrotte appie del gran lavoro, Vedea Nembrot, fora de elo, vardar
Quasi smarrito, e riguardar le genti Al pie de la gran tore su la zente 35
Che in Sennaar con lui superbi foro. Stiula con lu superba in Sanaar.
O Niobe, con che occhi dolenti O Niobe, come l'ochiti tuo dolente
Vedeva io te segnata in su la strada Tra la tanta fiolanza a morte andada,
Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti ! Vedea là dissegnà divinamente!
O Saul, come in su la propria spada Come, o Sanl, su la to stessa spada 40
Quivi parevi morto in Gelboè, Ti par morto a Gelboè su la colina,
42 aguazzo *• rugiada.
43 Aragne ... celebre tessitrice ili l. i. li, i: osò sfidare Minerva a elii meglio tesseva. Vinta dulia Dea, fu con.
vertita in ragno in sul suo medesimo^drappo stracciatole in faccia.
45 strazze = stracci.
46 lloboam • Roboamo figlio di Salomonc fu re superbo e tiranno. M popolo lo pregò a voler diminuire
le gravezze imposte dal padre suo, ed egli rispose: 11 padre vi battò culle verghe, ma io vi batterò con bastoni
impiombati. ll popolo si mosse a rumore, e delle dodici tribù del suo regno gli se ne ribellarono dicci. Uu-
d'egli per porsi in salvo se ne fuggì sopra un carro a Gerusalemme.
50-51 Come a so mare ec. = Erifìle vinta da Polinice col regalo ili una preziosa collana, gli discopri ove
Ami, ir. i, i suo m• li.ilo s'era nascosto per non andare alla guerra di ÌVbe, ov'ei sapeva dover restar morto. Per aen.
dicare la morte del padre, Almeone nccise hi madre = zogia = giuifllo = ghe fazza =: le faccia.
52.54 Dai fini Scuacherib ec. =: due filili di Senacherib, re superbissimo degli Assiri, si gettarono sopra lui
mentre era dentro ad un tempio, e lasciatolo quivi morto, fuggirono Dell'Armenia.
55.57 Da Tamiri el macel fniu ec. == Allude alla scontiita data da Tamiri regina degli Sciti a Ciro superbo
tiranno dei llersi. Taniiri comandò che dal busto del morto re Ciro fosse recisa la testa, e fattosi recare un vaso
picno di sangue umano, in quello la immerse dicendo: Saziati del sangue di che uveiti sete cotanta = Co —
quando.
53 Come in rota te. = accenna allo sterminio fatto dagli Ebrei sull'esercito degli Assiri dopo morto Olo
ferne suo generale = te l'è batua — si diedero a precipitosa fuga.
62 Le cate frautumae = sgretolate, ridotte in rottami = o co avilia — o quanto avvilita.
63 lliòn — Troja.
66 restar = stupire.
69 petlai . . calcati.
CA?iTO Xll. 213
Or superbite, e via col viso altiero, Superbo adesso el viso in su levè, 70
Figliuoli d'Eva, e non chinate il volto, 0 nuli d'Eva, e no sbassè la lesta
Sì che veggiate il vostro mal sentiero. A ochiar la bruta strada che batè.
Più era già per noi del monte volto, Zirando una gran parte de la cresta
E del cammin del Sole assai più spesso, Se gavemo, straviai, lassà scampar
Che non stimava l'animo non sciolto : L'ora che xe passada tanto lesta. 75
Quando colui, che sempre innanzi atteso Quando el Mestro, che sempre sta a osservar,
Andava, cominciò : Drizza la testa ; Andando avanti el dise : Leva el viso ;
Non è più tempo da gir si sospeso. No convien più formarse a curiosar.
Vedi colà un Angel che s'appresta Varda un Anzolo là del Paradiso,
Per venir verso noi: vedi che torna 1 ih" rl xe za drio a vegnir incontro a nu: 80
Dal servigio del dì l'ancella sesta. Varda, ch'el Mezodì ne dà '1 so aviso.
Di riverenza gli atii e il viso adorna, Per invogiarlo de condurne in su,
Sì che i dilelti lo inviarci in suso : Melite presto in ato de rispeto,
Pensa che questo dì mai non raggiorna. E pensa che sto dì noi torna più.
lo era ben del suo ammonir uso Tante altre volte el me ga dà '1 preceto 85
Pur di non perder tempo, sì che in quella De no perder el tempo, che doveva
Materia non potea parlarmi chiuso. Capir quel ch'el voleva schieto e neto.
A noi venia la creatura bella L' Anzolo incontro a nualtri se moveva
Bianco vestita, e nella faccia quale ln vesta bianca ; e come su l'aurora
Par tremolando mattutina stella. Luse la stela, el viso suo luseva. 90
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale : L' ha averli i brazzi, e l'ale averte fora :
Disse : Venite ; qui son presso i gradi, Vivn'ì, '1 dise, la scala xe qua arente
Ed agevolemente omai si sale. Per la qual se va franchi là de sora.
A questo invito vengon molto radi : Quanto pochi a sto invido ghe dà mente !
O gente umana, per volar su naia, O anema per el cielo destinada, 95
Perchè a poco vento così cadi 1 Perchè le sbanda un refolo da gnente ?
Menocci ove la roccia era tagliata : Lu ne conduse in dove xe tagiada
Quivi mi batteo l'ale per la fronte ; La eroda : qua co l'ale sora el fronte
Poi mi promise sicura l'andata. Me sbate, e po m' ha garantio la strada.
Come, a man destra, per salire al monte, Come a man drita per montar el monte, 100
Dove siede la Chiesa che soggioga ln dove da là su varda la Chiesa
La ben guidala sopra Rubaconte, La governada ben sul Rubaconte,
Si rompe del montar l'ardita foga, Per le scale, stae fate per impresa
Per le scalce che si fero ad etade Da chi inganar ai tempi soi no usava,
Ch'era sicuro il quaderno e la doga ; Xe tolto l'erto che andar suso pesa; 105
Così s'allenta la ripa cha cade Cussi più dolce assae sta riva andava
Quivi ben ratta dall'altro girone : De la prima, ma streta in modo tal,
110 Beati pauptrct te. = Beati gli ornili: versetto con che quelle anime lodano 1" umilia, virtù contrarii
al peccato della superbia.
121-123 n P, ette t'è restai, Siben quati sparidi ee. = colla cancellazione del peccato della superbia contras
segnato dal primo P, dice quasi scomparsi gli altri sei per essere di questi radice ed alimento la superbia.
133 eoi' dii — colle dita.
135 L'Anzolo da It chiave = l'angelo portinaio del Purgatorio, che teneva le due chiari bianca e gialla;
vedi C IX. v. 117-118.
136 co un = con un.
215
CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Livida pietra questo giro cìnge, Atorno al ziro smorta xe una piera,
£ di lividi manti ricoperti E smorti manti covre i disgraziai,
Sono gli spirti cui l'Invidia tinge. Che per l'Invidia ha fato ai altri guera.
La divina Giustizia gli occhi aperti La Giustizia de Dio i ochi seral
Non lascia lor, perchè guardaron torto, che tien, perchè da sguerzi el ben vardà
Mentre viveano, gli altrui beni e i merti. I ha dei altri e i onori meritai.
Sapia fa Dante di suo stato accorto. Sapia a Dante nove noe ghe di.
4 co/a — come.
5 una vera = un'anello.
8 La riva e 'I trozo — la ripa e il viottolo.
23 un mier = un migliaia.
24 in prata in pressa — frettolosamente.
25 Co = quando.
216 DEL PURGATORlO
29 lYnum non habcnt . parole di Maria Santissima dette per cariu alle nozze di Cana affine d'impetrare
dal suo divino figliuolo la mutazione d'acqua in vino.
32 ase = voce = son Oreste •. queste parole sono di Pilade il quale, per salvare l'amico presentatosi ad
Egisto clic stava condannando o morte Oreste senza conoscerlo, gli gridò: Oreste son io.
36 Wii mal v'ka fato, amè = diligite Minims vestros, sono parole ili C. C. nel Vangelo ili S. Malteo.
Ili. 1.' La bria .-. li briglia: vedi Canto XlV dal v. 130 al 144, nei quali si spiega di clu.il tuono intende
il Pocta debiia essere il freno per raltencrc gli invidiosi dal correre in quel vizio, cioè bisogua sia di minaccia
e non di amore — al passo del pardon = cioè al terzo girone ove sta l'angelo clic perdono il peccalo dell'in
vidia.
48-49 e co tirà Me san = e quando ni i frossi.
50 Maria, prega per nu = le litanie di M. V.
57 Dal gran pecà = dalla gran compassione.
CA:\TO XIII. 217
Stanno a' perdoni a chieder lor bisogna, In coste de le Chiese istessamente
E l'uno il capo sopra l'altro avvalla, Un sora l'altro i visi tien calai
Perchè in altrui pietà tosto si pogna, Per mover compassion ; nè solamente
Non pur per lo sonar delle parole, (".-d I e ino de la vose, ma co l'ato 65
Ma per la vista che non meno agogna. Del viso i mostra quanta fame i sente.
E come agli orbi non approda il Sole, E com'el Sol per i orbi noi xe fato,
Così all'ombre, dov'io parlav'ora, Cossi ai puzai, che a mi vicini gera,
Luce del ciel di sè largir non vuole : La luse no serviva afato afato ;
Che a tutte un fil di ferro il ciglio fora, Che tuti i ochi co un MI de fero 70
E cuce sì, cimi', i sparvier selvaggio Cusii precisamente eli gaveva,
Si fa, però che queto non dimora. Come s'usa in domar el sparaviero.
A me pareva andando far oltraggio, Strada fazzendo, a lori me pareva,
Vedendo altrui, non essendo veduto : Che no i vede e mi sì, farghe despeto;
Perch'io mi volsi al mio Consiglio saggio. Perciò me volto dal Dotor. Saveva 75
Bnn sapev'ei, che volea dir lo muto ; Elo za quelo che mi aveva in peto,
E però non attese mia dimanda, Nè spelando che fazza la domanda,
Uà disse : Parla, e sii breve ed arguto. Me dise : Parla fin e circospeto.
Virgilio mi venia da quella banda Stava el mio bon Virgilio da la banda
Della cornice, onde cader si puote, Del pian dove ghe gera el precipizio, 80
Perchè da nulla sponda s'inghirlanda : Perchè sponda no gli'è picola o granda ;
Dall'altra parte m'eran le devote Da l'altra i orbi col so vii cilizio,
Ombre, che per l'orribile costura Che zo dal viso per la cusidura
Premevan sì, che bagnavan le gote. Ghe cola el piànto in prova del suplizio.
Vni -imi a loro, ed : O gente sicura, Voltà da lori, o vu, zente sicura 85
Incominciai, di veder l'alto lume De veder Dio, mi digo, e puramente
Che il disio vostro solo ha in sua cura, In Lu la vostra brama se rancura ;
Se tosto grazia risolva le schiume Cussi vegna su i «aliri prestamente
Di vostra coscienza, sì che chiaro , La grazia, che ve lava la consienza,
Per essa scenda della mente il fiume, E ve piova la luse ne la mente ; 90
Ditemi (che mi Ma grazioso e caro) Disè se anema, e avrò «conoscenza,
S'anima è qui tra voi, che sia latina ; Italiana tra vualtri gh'è dissima,
E forse a lei sarà buon, s'io l'apparo. Che ben ghe poi Vegnir, se ho conossenza
O frate mio, ciascuna è cittadina D'eia. Del ciel qua citadine ognuna
D'una vera città; ma tu vuoi dire, Semo, fradelo, ma ti vorà dir 95
Che vivesse in Italia peregrina. Ch'abia vissù in Italia qualcheduna.
Questo mi parve per risposta udire M' ha parso sta resposta a mi vegnir
Più innanzi alquanto, che là dov'io stava ; Da una vose più in su da in dove stava,
Ond'io mi feci ancor più là sentire. Perciò m'ho fato anca più in là sentir.
Tra l'altre vidi un'ombra che aspettava Tra l'altre una ne scovro che mostrava 100
Troppa è più la paura, ond'è sospesa Ma me spaventa più del sasso grosso
L'anima mia, del tormento di sotto, El tormento che ho visto qua de soto,
Che già lo incarco di laggiù mi pesa. Chè quel peso me par sentirlo adosso.
Ed ella a me : Chi t" ha dunque condotto Chi t'ha donca, eia llise, qua condoto
Quassù tra noi, se giù ritornar credi? Se là tornar ti credi ? E mi a eia : 1 40
Ed io: Costui ch'è meco, e non fa motto: Questo compagno mio, che noi fa moto.
E vivo sono; e però mi richiedi, Mi son vivo, e se mai, anema bela,
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova Ti voi che al mondo ancora mi me mova
Di là per te ancor li mortai piedi. Per ti, domandimelo pur. Oh bela!
Oh questa è a udir sì cosa nuova, La dise, questa sì che la xe nova: 145
Rispose, che gran segno è che Dio t'ami; Ch'el Signor te voi ben xe segno chiaro ;
Però col prego tuo talor mi giova. Donca fa ch'el to prego a mi '1 me giova.
E chieggoti per quel che tu più brami, Te sconzuro per quanto ti ha più caro,
Se mai calchi la terra di Toscana, Se mai ti va nei loghi de Toscana,
ChV miei propinqui tu ben mi i.infami. Che ai mii ti meti la mia fama in chiaro. 150
Tu gli vedrai tra quella gente vana Te li poi veder tra la sente vana
Che spera in Talamone, e perderagli Che spera in Talamon, e manco sorte
Più di speranza, ch'a trovar la Diana : l gavarà che no a trovar la Diana :
Ma più vi perderanno gli ammiragli. Ma avarà i Amirai dano più forte.
CANTO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Guido del Duca il Poeta ritrova, Guido del Duna là el Poeta trova,
E Rinieri da Calboli, che stanno E Rinieri da Calboli, che i sta
Purgando Invidia in quella vita nova. Purgando Invidia in quela vita nova.
E mentre quelli a passo a passo vanno, E mentre queli insieme a passo i va,
I/un di que' due di lor paese il vizio Un d'eli do del so paese el vizio
Va ricordando con doglioso affanno, In menzonar el vien tutto afanà
Dando d'un mal, ch'avvenir deve, indizio. Dando d'un mal, che ha da vegnir, l' indizio.
Chi è costui che il nostro monte cerchia, Chi xe costù che zira rl nostro monte,
Prima che morte gli abbia dato il volo, No ancora morto, e a so piacer va via
F.il apre gli occhi a sua voglia e coperchia? Tegnindo le palpiere or verte or zonte ?
Non so chi sia; ma so ch'ei non è solo. So che solo noi xe ; nè so chi '1 sia :
Dimandai tu che più gli t'avvicini, A lu ti più vicin, con grazia ti
E dolcemente, sì -che parli, accolo. Domandilo, aciò '1 parla in cortesia.
Così due spirti, l'uno all'altro chini, Un su l'altro sbassai, de mi cussi
Ragionavan di me ivi a man dritta ; I discoreva a drita; po levà
Poi fèr li visi, per dirmi, supini; El viso per parlarme, un dise a mi :
E disse I" uno : O anima, che fitta O anema che incontro al ciel ti va,
Nel corpo ancora in ver lo ciel ten vai, Siben nel corpo ancora ti è serada,
Per carità ne consola, e ne ditta, Consoline, e di' su per carità
Onde vieni, e chi se' ; che tu ne fai Chi ti è, e da dove ti xe qua calada ;
Tanto maravigliar della tua grazia, Perchè sta grazia toa ne fa incantar
Quanto vuoi cosa, che non fu più mai. Tanto quanto una cossa mai più stada.
Ed io : Per mezza Toscana si spazia E mi : Da Falterona va a cascar
Un fiumicel che nasce in Falterona, Per la Toscana un fiumeselo a basso,
E cento miglia di corso noi sazia. Che a più de cento mia s'el vede andar.
Di sovr'esso rech'io questa persona; Sora una' là de le so rive nasso :
Dirvi chi sia, saria parlare indarno ; Dirve chi son sarave tempo perso,
Che '1 nome mio ancor molto non suona. Che ancora el nome mio no fa gran chiasso.
Se ben lo intendimento tuo accarno Se '1 pensier too mi vedo dal so verso,
Con lo intelletto, allora mi rispose Quelo da la domanda m'ha resposo,
Quei che prima dicea, tu parli d'Arno. Ti voi menzonar l'Arno de traverso.
I C/n xe costù - questo primo elic parla è Guido del Duca nobile uomo e prudente.
3 Tegnindo le palpiere or verte or zonte = aprendo e chiudendo le palpebre = sanie = unite, congiuo"
4 So ehe soln noi xe = questi che risponde è Rinieri di Foril, della nobile famiglia do' Calboli.
16 Fallcrona --. e rosi chiamata quella parte d'Appennino dove nasce l'Arno.
18 cento mia ..- cento miglia.
20 sarave — sarebbe.
22 Se '/ luniiiii- tuo mi vedo dal so verto = se vedo bene nel tuo pensiero. •
24 de Iravcrto — trasversalmente, cioè indirettamente.
CANTO XIV. 221
E l'altro disse a lui : Perchè nascose . E a lu st'altro : Percossa el ga nascoso 23
Questi il vocabol di quella rivera, Del limili: el nome, quasi se tratasse
Pur com'uom fa delle orribili cose? D'una cossa che avesse del'esoso ?
E l'ombra che di ciò dimandata era, Ga parso che cossi se la cavasse
Si sdebitò così : Non so, ma degno Chi ga resposto : Mi no so el perchè,
Ben è che '1 nome di tal valle pera ; Ma saria ben ch'el nome in fumo andasse. 30
Che dal principio suo (dov'è sì pregno Che dal sortir (dove tanta aqua xr
L'alpestro monte, ond'è tronco Pelero, Là al monte, che a Pelor noi se destende,
Che in pochi luoghi passa olira quel segno) Che in pochi siti poco più ghe n'è)
Infin là, 've si rende per ristoro In sin al mar, al qual i fiumi tende,
DI quel che il ciel della marina asciuga, E quant'aqua el vapor ga a lori dada, 35
Ond'hanno i fiumi ciò che va con loro, Al mar, ch'el Sol ga tolta, i ghe la rende ;
Virtù così per nimica si fuga Come nemiga è la virtù scampada
Da tutti, come biscia, o per sventura Da luti cofà un bisso, o per malora
Del loco, o per mal uso che li fruga ; Del logo, o per la zente assae viziada.
Ond'hanno sì mutata lor natura Fato è, che i abitanti a l'Arno sora, lo
Gli abitator della misera valle, De tanto i ga cambià la so natura,
Che par che Circe gli avesse in pastura. Che i par messi da Circe in magnaora.
Tra brutti porci, più degni di galle, Tra i porchi più de glande per pastura
Che d'altro cibo fatto in uman uso, Degni, che no de quel che l'omo ha in uso,
Dirizza prima il suo povero calle. Aqua scarsa in principio a quei procura ; 45
Botoli trova poi, venendo giuso, Dopo el trova, vegnindo da là suso,
Ringhiosi più che non chiedt: lor possa, Cagneti che la stizza mai no lassa,
Ed a lor disdegnosa torce il muso. E a lori storze con desprezzo el muso.
Vassi caggendo, e quanto ella più ingrossa, El va calando, e a man che più el s'ingrassa,
Tanto più trova di can farsi lupi Tanto più i cani farse lovi el trova 50
La maledetta e sventurata fossa. Quel canai maledio sfortunà massa :
Discesa poi per più pelaghi cupi, Po in vegnir zo l'incontra zente nova
Trova le volpi sì piene di froda, Volpona, tanto ne l'ingano iatorta,
Che non temono ingegno che le occupi. Che nissun furbo a farla zo se prova.
N'è lascerò di dir, perch'altri m'oda : Ne lassarò da dir, che no m'importa 55
E buon sarà costui s'ancor s'ammenta Se altri ascolta; anzi vói che costu senta
Di ciò che vero spirto mi disnoda. Sta mia vision, e in mente se la porta.
58 Kl lo anodo -- cioè il nipote tli Rinieri al qunle Guido continua a rivolgere il discorso parlandogli io
tuono profetico. Questo nipote fu Tulcicri di Calboli, il quale nel 1303 fallo per due volte podestà di Firn»'-.
fu dai Neri per danaro indotto a perseguitare i Bianchi.
50 ai lavi = ai lupi: allude agli abitanti luogo l'Arno.
64 liut gramo botto - Firenze.
70 L'altr'anema ----- cioè Rinieri.
72 Co = quando.
79 dr za, = poiche.
88 Rinier = Hinim da Calboli di Forli.
.
.-I-.f.
97 l.fzin - Messer Lizio da Valbona, cavaliere da bene e virtuoso = Arigo Manardi = da Faenza uomo
prndeute, magnanimo e liberale.
93 Guido de Carpigna • fu da Montefeltro, nobilissimo uomo e libendissimo = Traversar = Trnversaro fu
Signor di Ravenna-, molto splendido ed amatore della virtù; il quale dicono elic maritasse una sua figlia al re
d'Ungheria.
100 Fabro : de Lambertazzi da basso stato si alzò tanto, che poco non mancò divenisse signore di Bologna
sua patria.
101 Nardo Fosco ••: Bernardino Fosco di umile schiatta divenne per lo sue virtuose opere tanto chiaro, che
Faenza sua patria ne ricevette splendore.
104 co = quando.
105 Vii,' dir = voglio dire. = Guido da Prata ----- fu valente e liberale signore del Castello detto Prala tra
Faenza e Foriì. .- - Azzo Ugolin .--- fu degli Ubaldini, famiglia Toscana.
106 Tignaio - Federigo Tignoso, gentiluomo di Rimini pieno di virtù.
107 Anaitayi t Travcrjiara = nobile famiglia di Ravenna.
108 i n0i . cioè i 'suoi discendenti.
111 Inii"' - oggidì.
112 lìn-iiiHiin = oggi Bcrtinoro, paese di Romagna.
IH se la ga ivignada - sono fuggiti altrove.
115-116 llniiiun'nrul, Caitrocaro e Conio = SOnO Castelli di Romagna = fiatar --. figliare.
11S Pagan = Manardo Pagani sopranominato il Demonio per le sue malvagità.
119 tcontraura - intoppo, controtempo, inciampo.
121 Fantoli Ugolin = virtuoso gentiluomo di Faenza che nou ebbe prole maschile,
224 DEL PURGATORIO
Chi far lo possa tralignando oscuro. Ti senza Boi, macularla o farla scura.
Ma va via, Tosco, omai, ch'or mi diletta Ma va, Toscan, ch' el mio parlar m'ingessa,
Troppo di pianger più che di parlare, E ho più vogia da pianzer riflettendo !-"i
Sì m'ha nostra region la mente stretta. A la patria là su, che mete angossa.
Noi sapevam che quell'anime care Che i ne sentia saveimo, e eli laseudo,
Ci sentivano andar : però tacendo Che xe bona, i vegniva a darne aviso,
Facevan noi del cammin confidare. La strada che nu andavino batendo.
Poi fummo fatti soli procedendo, Caminando soleti, incontro al viso 130
Folgore parve, quando l'aer fende, Come fulmine ha parso se ne taca
Voce che giunse di contra, dicendo : Sta vose ne le rechie d'improviso :
Aucid ria mini qualunque m'apprende; Chi me scovre me mazza: e se destaca
E fuggio, come tuon che si dilegua, Scampando come el ton che va con Dio,
Se subito la nuvola scoscende. Se subito la nuvola se spaca. 135
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua, Apena da sentirla s'ha linin.
Ed ecco l' altra con sì gran fracasso, Un'altra ne dà su con tal fracasso,
Che somigliò tonar che tosto segua : Che ha parso el ton che al primo vegna drio :
lo sono Aglauro, che divenni sasso. Mi son Aglauro convertida in sasso,
E allor per istringermi al Poeta, La disea, e per strenzerme al Poeta, 1W
Indietro feci o non innanzi il passo. Drìo de lu, no davanti, ho messo el passo.
Già era l'aura d'ogni parte quota, Za d'ogni banda gera l'aria quieta;
Ed ei mi disse: Quel fu il duro camo, E lu me disc : Bria quella mi chiamo
Che dovria l' uom tener dentro a sua meta. Ch'esser dovria del'omo la ricela.
Ma voi prendete l'esca, sì che l'amo Ma chiapè invece el dolce che su l'amo 1*5
Dell'antico avversario a sè vi tira ; Sporze a vualtri el demonio e a lu ve tira;
E però poco vai freno o richiamo. Poco cossi la bria serve e '1 rechiamo.
Chiàmavi il cielo, e intorno vi si gira, El ciel v'invida, e atorno via el ve zira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne, Col mostrarve le cosse soe stupende,
E l'occhio vostro pure a terra mira ; Ma in lera sol legni vualtri la mira; 150
Onde vi batte chi tutto discerne. E ve castiga Quel che tuto intende.
133 C/n me scovre me mazza =• par,olc delle da Caino dopo elic per invidia uccise il fratello Abete.
134 che va con Dio -- modo di dire che equivale: che parte.
137 ne da su = ne sorge fuori.
130 Aglauro = secondo la favola, figlia di Eretteo re di Atene, ebbe invidia d'Erse sua sorella, perchè
amata da Mercurio: oude il nume convertilla in sasso.
143 Bria quela chiamo re. •.-- Virgilio qui allude a quanto disse da prima: vedi C. precedente v. 40.
225
CANTO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Per salir suso al terzo balzo invito Al terzo ziro a montar su invidai
Hanno da un Angiol si bello e splendente. Un Anzolo li ga cussi splendente.
Che Dante n'ha lo suo viso smarrito. Che a Dante se ga i oehi imbarbagiai.
E olire andando si ferma la menta K avanzando de- strada i da de mente
In altri esempii, onde distrntta è l'Ira, Ai esempi che i vede contro l'ira:
Che quanto ijuivi a lui nen è presento. No M, che là noi veti,. .• là noi scnte.
In ristane estatiea rimira. Ma In in vision tra Testisi li amira.
Quanto tra l'ultimar dell'ora terza, Quanto d Sol in tre ore dal levar
E il principio del di par della spera. Ga corso via per la celeste sfera,
Che sempre a guisa di fanciullo scherza, Che come i fioi no se poi mai fermar,
Tanto pareva già in ver la sera Tanto ancora de viazo incontro a sera '
Essere al Sol del suo corso rimaso : Far ghe restava per andar a monte : 5
Veipero là, e qui mezza notte era. I à '1 fm del dì, qua mezanote gera.
E i raggi ne ferian per mezzo il naso, /ii .'i gavemo in modo atorno al monte,
Perchè per noi girato era sì il monte. Che andando driti nu verso Ponente,
Che già dritti andavamo in ver l'occaso ; I ragi ne bateva sora el fronte;
QuandMo senti' a me gravar la fronte Co i m IMI luui.'i m' ha un novo lume, arente 10
Allo splendore assai più che di prima, AI solito lusor che manda el Sol;
E stupor m'eran le cose non conte : E me stupiva, e no capiva gnente :
Ond'io levai le mani in ver la cima In forma mi perciò de parasol
Delle mie ciglia, e ferrmi il solecchio, lr man m' ho messo sora i urlii in tagio,
Che del soverchio visibile lima. i .ir. 'i tropo chiaro un Ilà smorzar ne poi. 15
Come quando dall'acqua o dallo specchio Come da l'aqua o speeldo in suso el ragio
Salta lo raggio all'opposila parte, Sbalza rinesso per l'oposta banda
Salendo su per lo modo parecchio Dè r. ili i n. che '1 ga in zoso fato el viagio,
A quel che scende, e tanto si diparte E da la perpendicolar se sbanda
Dal cader della pietra in igual tratta, E questo n quel per un istesso trato, 20
Si come mostra esperienza ed arte ; Come se vede e fisica comanda ;
Cosi mi parve da luce rifratta Un riflesso cussi m' ha tolto afato
Ivi dinanzi a me esser percosso ; I., i vista, e no podendolo afrontar
Perché a fuggir la mia vista fu ratta. Da un'altra parte i ochi presto bo trato.
Che è quel, dolce Padre, a che non posso Pare, digo, coss'è '1 lusor, che par
Schermar lo viso tanto che mi vaglia. Ne vegna incontro, e che scansar, per sbrlo, 25
66 imbraca = afferra.
78 la tora = cioè in cima ilei Monte.
82 co = quando.
33 Zonto = giunta.
84 la ose = lo voce.
W nt ritiro = tosici, a dirittura.
87 /n ano Chiesa =: nel tempio ili Gerusalemme = dr la stnte = cioè Dottori e popolo.
S8.92 una mare . una madre: questa è Maria Vergine clic avendo smarrito il divin Figlio, e rilrovalolo
Jupo tre di nel tempio, gli dine con dolcezza: fili, rIuid feristi nobix tic! fc'ccc paler tuia et eyo uolaites iluarc-
Guanfi te. =: mo = particclla riempitiva = a(a /iro? = cioè questa scappata?
94 un'altra dona = la moglie di Pisistrato re d'Atene, clic domandò al marito vendetta contro il giovane
rhe, acceso d'umore verso la figlia loro, in publico baciolla.
97 Se ia cità te. =- Alene, ov'elibero incremento le scienze — che i Dei = cioè Nettano e Minerva.
228 DEL PVROATORlO
Vendica te di quelle braccia ardite Pisistrato ti è '1 Re; ti de colù, 100
Che abbracciar nostra figlia, o Pisistrato. Del sfrontadon, che nostra fia ha basà,
E il signor mi parea benigno e mite Fa vendeta. E parea con calma lu
Risponder lei con viso temperato : Ghe respondesse, e con serenità :
Che farem noi a chi mal ne disira, Cossa faremo a chi ne brama i guai,
Se quei che ci ama è per noi condannato ? Se chi ne ama per nu vien condanà ? 105
Poi vidi genti accese in fuoco d'ira, Po tanti e tanti ho visti, che imbuii
Con pietre un giovinetto ancider, forte Un zovene a sassae i massacrava
Gridando a sè pur : Martira, marlira : Sbragiando tra de lori : Dai, dai, dai.
E lui vedea chinarsi per la morte, ln tera lo vedeva ch'el cascava
Che l'aggravava già, in ver la terra, Da la morte, meschin, tuto sfinio, 11O
Ma degli occhi facea sempre al ciel porte ; Ma i ochi sempre al ciel elo voltava.
Orando all'alto Sire in tanta guerra, Pregando nel martirio el so bon Dio,
Che perdonasse a' suoi persecutori, De perdonar a chi ghe fa i maltrati
Con quell'aspetto che pietà disserra. Cussi, che avaria i sassi intenerio.
Quando l'anima mia tornò di fuori Sfantada la vision, son ionià ai fati 11o
Alle cose, che son fuor di lei vere. Fora de quela, nel considerar
lo riconobbi i mici non falsi errori. l casi stai, che in sogno me xe nati.
Lo Duca mio, che mi potea vedere ))ise el Mestro, che in mi stava a osservar
Far sì com'uom che dal sonno si siega. l moti de chi apena s' ha svegià :
Disse : Che hai, che non ti puoi tenere : Coss'astu mai che in pie no ti poi star, 140
Ma se' venuto più che mezza lega E più de mezo mio ti ha caminà
Velando gli occhi, e con le. gambe avvolte Coi ochi indormenzai, le gambe a zeta,
A guisa di cui vino o sonno piega ? Come un tolto dal vin o insonolà ?
O dolce Padre mio, se tu m'ascolte, Pare, respondo, vói contarle, aspeta,
l' ti dirò, diss'io, ciò che mi apparve Quelo che ho visto, se ti xe contento, " ••'
Quando le gambe mi furon sì tolte. Co gnanca una mia gamba andava dreta.
Ed ei : Se tu avessi cento larve Se, lu me dise, cento volti e cento
Sovra la faccia, non mi sarien chiuse Te coverzisse el viso, tanto e tanto
Le tue cogitazion quantunque parve. Scoverziria quelo che in ti sta drento :
Ciò che vedesti fu, perchè non scuse T'è sta mostrà quei fati aciò un impianto 130
D'aprir lo cuore all'acque della pace. No ti vadi a cercar per trarte al mal,
Che dall'eterno fonte son diffuse. Col desviarte dal santo amor, che è spanto
Non dimandai, Che lmi ? per quel che face Da Chi de pase e amor fonte è imortal.
Chi guarda pur con l'occhio che non vede, Co te go domandà: Coss'astu mai?
Quando disanimato il corpo giace : No t' ho vardà co l'ochio d'un mortai, 135
Ma dimandai per darli forza al piede: Ma per svegiarte i spiriti insonai
CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
I Solo un puco de cielo sotto un breve trullo di cielo (Inul si presenta a chi si trova in una valle chiusa
Irn monti.
9 .Ve vegnù in costc --- mi si mise di fianco.
10 ch'api a (a Scoria — attaccalo alla scorin: s'intende :\ braccio od u mano della scoria.
12 ventar anca lbaiio = rimanere forse marlo.
14 Taci = stretto.
230 I>EL
Pur : Guarda, che da me tu non sie mozzo. Sta a mi unir,, e a no stacarte bada. 15
Io sentia voci, e ciascuna pareva, (in sentio de le vose, e me pareva
Pregar per pace e per misericordia Le pregasse per pase e per pietà
L'Agnel di Dio, che le peccata leva. De Dio l'Agnelo, che i pecati leva.
Pure Ayints Dei eran le loroj esordia: Co fAyntts Dei le ha quele scomenzà,
Una parola in tutti era ed un modo, Disendo al modo istesso la preghiera, 20
Si che parea tra esse ogni concordia. Da parer un bel coro concertà.
Quei sono spirti, Maestro, ch'i" odo ? Xei spiriti che prega In sta maniera?
hi vs'in. Ed egli a me : Tu vero apprendi, Domando al Mestro : E lu : Ti tlisi ben,
E d'iracondia van solvendo il nodo. E i va l'ira purgando in sta fumera.
Or tu chi se' che '1 nostro fumo fendi, Chi xestu mai, che a stramezar ti vien 25
E di noi parli pur, come se tue El nostro fumo, e come te sia ancora
Partissi ancor lo tempo per calendi ? Tra i vivi, quel parlar su nu ti tien?
Così per una voce detto fue. Co sto dir un la vose ha mandà fora;
Onde il Maestro mio disse : Rispondi, E a mi el Dotor : Respondi in prima, e in fin
E dimandi se quinci si va fue. Domanda se per qua se va de sora. 30
Ed io : O creatura, che ti mondi, Anema, digo, che ti purghi insin
Per tornar bella a colui che ti fece, Che pura a Dio ti torni, te farò
Maraviglia udirai se mi secondi. Maravegiar, se ti me vien vicin.
Io ti seguiterò quanto mi lece, Sin che mi posso t'accompagnerò,
Rispose; e se veder fumo non lascia, La diite, e se dei ochi el fumo l'uso 35
L'udir ci terrà giunti in quella vece. Ne tol, serva la rcchia a tuli do.
Allora incominciai : Con quella fascia, Mi ho scomenzà : Co sta coverta suso,
Che la morte dissolve, nini vo suso, Che desfarà la morte, vegno fora
E venni'qui per la infernale ambascia ; Da l'oror de l'Inferno, e vago in suso ;
E se Dio m'ha in sua grazia richiuso Ma se '1 bon Dio del so favor me onora W
Tanto, cire' vuoi ch'io vegga la sua corte In tolerar che a quel so regno vada
Per modo tutto fuor del modcrn'uso, In modo, che nos'ha mai visto ancora;
Non mi celar chi fosti anzi la morte, Di' chi ti è sta, prima che qua mandada
Ma dilmi, e dimmi s'io vo bene al varco ; T'abia la morte, e se invia; ben mi son;
E tue parole lien le nostre scorte. La vose toa ne insegnerà la strada. K
Lombardo fui, e fui chiamato Marco : Marco son sta e Lombardo: cognizion
Del mondo seppi, e quel valore amai Ho avua del mondo, e la virtù go amà,
Al quale ha or ciascun disteso l'arco : Che tuli adesso lassa in abandon:
Per montar su dirittamente vai. Per andar su, la strada ti ha imbucà.
Così rispose; e soggiunse: Io ti prego Cossi '1 responde, e '1 dise po : fradelo, 50
Che per me preghi, quando su sarai. Prega per mi, co in cima ti sarà.
Ed io a lui: Per fede mi ti lego Te prometto de far, ghe digo, quelo
Di far ciò che mi chiedi ; ma io scoppio Che ti domandi; ma de vogia schiopo
19 Co l'Agnus lici le ha quelc ienmenzà — Con l'Agnus Dei, quelle anime cominciarono il loro canto.
2S itrnmczar . dividere, interporsi tra mezzo.
37 Co uà coverta = con t|uest.i coperlu, cioi\ col corpo.
40 Marco :..- questo M unni Lombardo dicono che fosse un nobile Veneziano, uomo di molta esperienza, p
lieo delle Corti e di grandi affari, ma facile all'ini. Il Bocaccio dice elic fu di Casa Lombardi di Vennia;
altri dicono che la voce Lombardo sia qui sinonimo di Italiano.
53 de vogia sehinpo = scoppio dal desiderio.
(UNTO XVI. 231
Dentro da un dubbio, l' i" non me ne spiego. Se no me cavo un dubio dal cervelo ;
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio El i|ual del dopio el M: cressudo, dopo 55
Nella sentenzia tua, che mi fa certo Quel elic ti ha dito, che con quanto indrio
Qui ed altrove, quello ov'io l'accoppio. I m' ha contà, me lo -conferma tropo.
Lo mondo è ben così luto diserto D'ogni viriu dal mondo xe sparlo
D'ogni virtule, come tu mi suone, El segno, come dito ti ha li stesso,
E di malizia gravido e coverto -, E solo de malizia el s'ha impinio: 60
Ma prego che m'additi la cagione, Ma '1 motivo, te prego, dime adesso,
Sì ch'io la vegga, e ch'io In mostri altrui ; Che co '1 so, possa al mondo dirlo su;
Che nel cielo uno, ed un quaggiù la fona. Mentre chi in cielo, e chi Ira nu l'ha messo,
Alto sospir, che duolo strinse in bui, l'riina el Irà un sospiron tinido in uh
Mise fuor prima, e poi cominciò : Frate, Fio del dolor, dopo la vose mossa, 65
Lo mondo è cieco, e tu vien' ben da lui. Dise : Orbo xe '1 mondo, e ti ti vien da lu.
Voi che vivete ogni cagion recate Vualtri zo in tera de qualunque cossa
Pur suso al cielo, sì come se tutto De causa al cielo, come da là via
Movesse seco di necessitate. Tuto ,ihi, i per necessità la scossa;
Se così fosse, in voi fora distruttu Sr cussi fusse, libertà, per dia, 70
Libero arbitrio, e non fora giustizia, No avaressi da far quel che volè,
Per ben, letizia, e per male, aver lutto. Nè premio el ben, ne' '1 mal pena avaria.
Lo cielo i vostri movimenti inizia ; La prima spenta a le a/imi vostre avo
Non dico tutti; ma, posto ch'io '1 dica, Dal ciel, no in tute, e se anca, la rason
Lume v'è dato a bene ed a malizia, Ve disc el ben e '1 mal in dov' el xe ; 75
E libero voler che, se fatica Libero ave l'arbitrio, e le passion
Nelle prime battaglie col ciel dura, Se domar in principio fe fadiga,
Poi vince tutto, se ben si notrica. Le vincere con bona educazion.
A maggior forza ed a miglior natura Liberi sè; e solo Dio ve liga
Liberi soggiacete, e quella cria A Lu, che la ragion ve ga concesso, 80
La mente in voi, che 'I ciel non ha in sua cura. Su la qual i pianeti no se intriga.
Però, se il mondo presente disvia, Perciò se '1 mondo xe in ancuo mal messo,
In voi è la cagione, in voi si chieggia, In vualtri xe la causa, com" el mio
Ed io te ne sarò or vera spia. Chiaro smmuì te farà veder desso.
Esce di mano a lui, che la vagheggia Pura vien fora da la inan de Dio, 85
Prima che sia, a guisa di fanciulla, Che '1 la varda co amor, come bambina,
Che piangendo e ridendo pargoleggia, Che pianzc e ride, e core avanti e indrio,
L'anima semplicetta, che sa nulla, L'anema che inocente a orbon camina,
Salvo che, mossa da lieto fattore, Senza la sapia quel che ghe convien,
Volentier torna a ciò che la trastulla. Verso il piacer che drio se la strassina. 90
Di picciol bene in pria sente sapore ; Là credendo trovar el vero ben,
56-57 = che con gnaulo indrio I m'ha conta -- allude al discorso tenutogli da Guido del Duca nel canto
precedente deplorando la maligniti! dell'umana specie.
68 De = date.
73 tptnia = spinta, impulso: si pretese che i pianeti esercitino una prima intlucuza sulle azioni dell'uomo.
79 sè n= siete.
SI - . i pianili no ne intriya -..- non esercitano veruno intluenza nntla ragione.
82 in ancuo _ oggidì.
86 co amor = con amore.
232 DEL PURGATORlO
Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, La se stanza tra i gusti dela tera,
Se guida o l'i m non torce il suo amore. Su una guida o la forza no la tien.
Onde convenne legge per fren porre ; Perciò una lege necessaria gera,
Convenne rege aver, che discernesse E un re che almanco sapia quala strada 95
Della vera cittade almen la torre. Che mena a la giustizia sia la vera.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse ? Ghe xe la lege, ma chi mai ghe bada?
Nullo ; però che '1 pastor, che precede, Sa '1 Pastor, ciìè de scorta, rumegar,
Ruminar può, ma non ha l'unghie fesse. Ma per altro noi ga l'ongia spacada.
Perchè la gente, che sua guida vede Perchè la zente che lo vede andar 100
Pure a quel ben ferire ond'ella è ghiotti*, Sol drio a quel ben che anca eia la ga a cuor,
Di quel si pasce e più oltre non chiede. No la voi altro, e '1 resto lassa andar.
Ben puoi veder che la mala condotta Donca ti capirà che s' ha da tor
E la cagion che il mondo ha fatto reo, La rason del malan, no za dal fondo
E non natura, che in voi sia corrotta. Del insilo naturai, ma dal Pastor. 105
Soleva Roma, che il buon mondo feo, Do Capi a Roma, e questo no te scornin,
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada Tirava un dì la zente al ben, mostrando
Facèn vedere, e del mondo e di Deo. l'n la strada del eiel, l'altro del mondo.
1 ."n n l'altro ha spento ; ed è giunta la spada Un il,' lori a quel altro ga dà '1 bando,
Col pasturale ; e l'uno e l'altro insieme Fasendose paron de spada e fede, 110
Per viva forza mal convien che vada ; Che no poi, no, confarse a un sol comando;
Perocchè, giunti, l'un l'altro non teme. Perchè, unie, nissuna a l'altra cede.
Se non mi credi , pon mente alla spiga, Se no ti credi, ochia la spiga, amigo,
Ch'ogni erba si conosce per lo seme. Che da la sema, erba qualsia se vede.
ln sul paese ch'Adige e Po riga Dov'el Po core e l'Adese, in antigo 115
Solea valore e cortesia trovarsi Costumi boni se podea trovar
Prima che Federigo avesse briga : Prima che avesse litigà Ferigo :
Or può sicuramente indi passarsi Poi ogni birbo ancuo per là passar,
Per qualunqne lasciasse, per vergogna Ch'el xe certo che un bon noi darà fora
Di ragionar co' buoni, o d'appressarsi. Per farlo col so aspeto svergognar. l-a
Ben v'en tre vecchi ancora, in cui rampogna Tre vechi in quei paesi ghe xe ancora,
L'antica età la nuova, e par lor tardo Che i pianze i tempi andai, e i prega Dio
Che Dio a miglior vita li ripogna : Che li fazza morir prima de l'ora :
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo i '.maiici, ci bon Girardo, e ghe vien drio
E Guido da Castel, che me' si noma Quel Guido che xe in Franza nominà 125
98-90 rumegar te. = ruminare: la metafora, compresa in questi due versi, ha questo significato:
il Pastore, cioè il Papa, che è di guida alle genti cristiane, può ben insegnare, ma non da altrui buon esempio
eoi bene operare. l.a carne degli animali, che non avevano la qualita di ruminare e dell'unghia fessa, era agli
Ebrei proibita; e gli interpreti del mistico significato dicono, clic per lo ruminare si vuole intendere il sapere,
per l'unghia fessa l'operare.
104 (a rason ..= la causa, il motivo.
106 Do capi .-- due supreme autorita, cioè l'lmperatore e il Papa.
114 sema = semente.
115 llov'rl Po care e l'Adae . nella Lombardia irrigala dal Po, e nella Marca Trivi)!ìuna dall'Adige.
117 Prima che avttse litigà Ferigo - cioè, prima ehe Federigo ll imperatore avesse briga col Pontefìrt,
e cominciassero le animose contestazioni fra il Sacerdozio e l' lmpero, le quali furono accompagnale da vilape.
revoli eccessi per ambo le parti, e per le quali si alimentarono le divisioni e gli odi tra i popoli italiani.
119 noi darà fora -... non si furn vedere.
124-126 Corado = Corrado da Palazzo gentiluomo Bresciano. = Girardo •.. Clicrardo da Trevigi Signor da
Camino, per le sue virtù chiamato il buono. = Guido = Guido da Castello, gentiluomo Reggiano.
IUM'0 XVI. 233
Franceacamente il semplice Lombardo. El semplico Lombardo. Amigo mio,
Di'oggimai che la chiesa di Roma, Se la Chiesa Romana ga missià
Per confondere in sè duo reggimenti, I do governi, eia con quei de lea
Culi. nel fango, e sè brutta e la soma. Se sporca. Giusto e ben ti ga parlà,
O Marco mio, diss'io, bene argomenti ; Marco mio, e oramai, mi ghe disea, 130
Kit or discerno, perchè dal retaggio Vegno a saver perchè a la spartizion
Li figli di Levi furono esenti. I Leviti teren no i riceve*.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio Ma chi \r, dime, quel Girardo bon,
Di'ch'è rimaso della gente spenta, Lfn dei vechi restai tra zente nova,
fa rimproverio del secol selvaggio? Per vergogna del secolo bricon ? 1 85
O tuo parlar m'inganna, o e' mi tenta, O ti me burli, o li me dà la prova,
Rispose a me ; chè, parlandomi Tosco, I. ii dise, che parlandome in toscan,
Par che del buon Gherardo nulla senta. Par no ti gabi de Girardo nova :
Per altro soprannome io noi conosco, Per altro nome no lo go a la man,
ST noi togliessi da sua figlia Gaia. Se noi togo da Gagia de lu Ca: 140
Dio sia con voi, che più non vegno vosco. Ma andè con Dio : no vegno più lontan
Vedi l'albòr che per lo fumo raia, Con vualtri. El Sol da novo com'el spia
ili.'i biancheggiare, e me convien patirmi, Varda tra '1 fumo ; l'Anzolo xe lu,
L'Angelo è ivi, prima ch'egli paia. E go, avanti ch'el vegna, d'andar via.
Così tornò, e più non volle udirmi. Cossi '1 me lassa : e più noi m'ha ascoltà. 145
CANTO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1 chiapà = cólto. ,
4 ingrizzoìio = tenuiuc liguratamenlc applicalo al Sole, che per folta nebbia se lo scorge intristito.
6 nei tfantarte la s'ha un fià schiariu — uri dileguarsi si è un poco diradala.
8 tpierava = traspirava.
12 Co = quando.
15 ci nan - il suono.
19 De calia la birtantaila = cioè di Prugne. Costei per vendicarsi di una ingiuria ricevala da Ti-reo suo
marito fece in pezzi il figlio Ili, e glielo diede n mangiare; il perelic fu dagli Dei trasformain in ussignuolo.
CANTO xvii. 235
Dentro da sè, che di fuor non venia Che in nissun'altra cossa star atenta
Cossa che fosse allor da lei recetta. Podesto alora no la gavaria.
Poi piovve dentro all'alta fantasia A la mia fantasia se me presenta 25
Un crocifisso dispettoso e fiero Po un omo in erose, che anca angonizando
Nella sua vista, e colai si moria. La fierezza sul viso ci ga depenta.
lntorno ad esso era il grande Assuero, L'era tornià dal re Assuero, el grando,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo, Da Ester so sposa, e Mardocheo, el bon,
Che fu al dire e al far così intero. Sta modelo in parlar e anca operando. 30
E come questa immagine rompeo Co rota da per eia sta vision,
Sè per sè stessa, a guisa d'una bulla Come schiozzada l'aqua che la porta,
Cui manca l'acqua sotto qual si feo; La llluminila se desfa de saon ;
Surse in mia visione una fanciulla, ' M'è vegnù st'altra : Una regazza smorta,
Pungendo forte, e diceva: O regina, ln t'un diroto, la disea cussi : .35
Perchè per ira hai voluto esser nulla ? Perchè, o regina, ti è per rabia morta?
Ancisa t'hai per non perder Lavina; Ti i ' ha mazzà per no me perder mi :
Or m'hai perduta: i' sono essa che lutto, Ma Lavinia ti ha perso, mare, e avanti
Madre, alla tua, pria ch'all'altrui ruina, Mi altri pianza. son mi che pianzo ti.
Come si frange il sonno, ove di butto Roto el sòno, se mai luse davanti 50
Nuova luce percuote il viso chiuso, Ai ochi chiusi d'improviso passa,
Che fratto guizza pria che muoia tutto; Prima ch'el mora tra' dei sguizzi tanti;
Cosi l'imniaginar mio cadde giuso, Qucll'imaginazion cossi me lassa,
Tosto che un lume il volto mi percosse, Quando un stranio lusor, che me vegnia
Maggiore assai, che quello ciìè in nostruso. Sm•. i dei mili, m' ha batudo massa. 45
F mi volgea per vedere ov'io fosse, M' ho volta per vardar dove mi sia, ~ .
Quand'una voce disse : Qui si monta : Quando se sente a dir: Se monta qua:
Che da ogni altro intento mi rimosse ; Sta vose ogn'altra idea m' ha portù via ;
f. fece la mia voglia tanto pronta E per veder chi xe cbe ga parlà,
Di riguardar chi era che parlava, Me vien un ansia tal, che gnente poi 00
Che mai non posa, se non si raffronta. Tegnirla indi iu, se no la s" ha apagà.
Ma come al Sol, che nostra vista grava, Ma come resta orbà chi fissa el Sol
F, per soverchio sua figura vela, Per i ragi infogai che ghe fa velo;
Cosi la mia virtù quivi mancava. l odii cussi quel gran lusor me tol.
Questi è divino spirito, che ne la Disc el Mestro: El xe un Anzolo del ciclo 55
Via d'andar su ne drizza senza prego, Che sul sentier ne invia senza pregarlo,
E col suo lume sè medesmo cela. E '1 se tien sconto nel so lume belo.
Sì fa con noi. come l'uom si fa sego ; Quel che fa per lu l'omo, elo voi farlo :
26 un omo IH crose = costui e Amano primo ministro ili Assuero re ili Persia, fallo da lni crocifiggere
perchè reo di crudelta contro la nazione cbren, e contro il buon Mnrdocheo zio della regina Ester.
28 tornià . circondato.
31 Co -- quando.
33 La bromliola te iletfa ile suon •_- . la bolla si dilegua ilei .sapone.
35 ln t'un iliroto =1 piangendo dirottamente.
36 Peretie, o regina = questa che parla, come si rileva o Lavinia. Avemlo creduto clic Turno, il .promesso
•|"'.Jn ili lei, fosse stato ncciso dal suo rivale Enea, Amaia, madre di essu Lavinia, che non voleva il vincitorr
Pcr genero, per disperala rabbia s'impiccò.
14 tlranio = estranio, fuori ili uso.
256 DEL PURGATORIO
Che quale aspetta prego, e l'uopo vede, Che chi in altri el bisogno ga scovrio
Malignamente già ai mette al nego. D'agiuto, e spela el prego, sta in negarlo. 60
Ora accordiamo a tanto mvito il piede : Za che ne invida l'Anzolo de Dio,
Procacciala di salir pria che s'abbui, Su andemo avanti note, che se no
Che poi non si poria, se il dì non riede. Spelar ne loca insin al zorno drio.
Così disse il mio Duca ; ed io con lui A una scala s'inviemo tuti do,
Volgemmo i nostri passi ad una scala : E in sul primo scalin messo el pie apena, 65
E tosto ch'io al primo grado fui, Sul viso un sventolar sentio me go
Senti'mi presso quasi un muover d'ala, Per el moto d'un'ala che aria mena.
E ventarmi nel volto, e dir : Beati E Beati pacifici, a dir sento,
Pacifici, che son senz'ira mala. Perchè l'ira no i ga degna de pena.
Già eran sopra noi tanto levati Dava suso la note, andà '1 Sol drento, 70
Gli ultimi raggi, che la notte segue, E insieme a questa in ciel za comparia
Che le stelle apparivan da più lali. Qua e là diverse stele ogni momento.
O virtù mia, perchè sì ti dilegue? Perchè ti me abandoni, o lena mia ?
Fra me stesso dicea, che mi sentiva Tra mi diseva, che de quando in quando
La possa delle gambe posta in tregue. A mancarme le gambe me sentia. 75
Noi crn va ii i dove più non saliva Zonto col Mestro, sempre in su montando,
La scala su, ed eravamo aftissi, Su l'ultimo scalin, là se fermemo,
Pur come nave ch'alia piaggia arriva. Come a riva una barca va siandu.
Ed io attesi un poco s'io udissi So sta un poco a scollar se un moto, un lemo
Alcuna cosa nel nuovo girone ; Dal novo ziro mai vegnisse fora, 80
Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi : Po digo al Mestro, in sin che fermi stemo:
Dolce mio Padre, di', quale oflensione Di', quai pecà se purga qua de sorn ?
Si purga qui nel giro, dove semo ? Se i pie sta fermi, che se mova almanco
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone. La vose toa. Lu responde alora:
Ed egli a me : L'amor del bene, scemo L'amor de far el ben ch'el xe de manco 85
Di suo dover, quiritta si ristora, De quelo e li" o I dev'esser, qua se giusta,
Qui si ribatte il mal tardato remo. E "I remo pegro se fa qua più franco.
Ma perchè più aperto intendi ancora, Ma se ti voi che te la spiega giusta,
Volgi la mente a me, e prenderai Scollimi- insin che stemo qua fermai,
Alcun buon frutto di nostra dimora. E fa che la to mente el fruto gusta. '•"-
Nè Creator, nè creatura mai. Nè '1 Creator nè creatura mai
Cominciu ci, figliuol, fu senza amore, Senza amor, o de propria volontà,
O naturale o d'anime. ; e tu '1 sai. O d'amor naturai, dise, xe stai.
Lo naturai fu sempre senza errore ; El naturai l' ha mai po mai •-garà ;
Ma l'altro puote errar per malo obbietto, Ma l'altro, mal sciegliendo, poi falar '-'"'
O per troppo, o per poco di vigore. O per tropa, o per poca de ansietà.
62-63 Su andemo avanti note ee. = al C. VII. v. 53, 54 è dello = Varda bea; Colà 'I Sol, no li panitii
tremila.
68 Iteiiti pacifici ee, — limii pacifici iIuimiaiu filii Dei vocalnmlnr: parole di S. Malleo: Beati i paciGci, I'ì'i
i'Iii- saranno detti figliuoli di Dio.
69 degna de pena -—: poichè l'ira |icr«giusto zelo nun (• soggetta a pena.
78 n'ando — tenendo coi remi la barca indietro.
79 So ita — seno stalo. -- temo — lamento senza articolazione di parole.
87 E "1 remo pegro te fa qua più franco = dello metaforicamente, e vale: qui sì percuote e panitce colui,
che fu tardo nelle opere di carità.
CANTO xvii. 237
Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto, Se sto amor tende al ciel, o '1 va a puzar
E ne' secondi sè stesso misura, Sul ben teren con bona discrezion,
Esser non può cagion di mal diletto ; El piacer che ghe vien mal no poi far ;
Ma quando al mal si torce, o con più cura, Ma se al mal tende, o 'l va a precipiton 100
O con mei) che non dee, corre nel bene. Drlo al ben, o tropo a pian, alora, amigo,
Contri il Fattore adovra sua fattura. L'omo a Dio se rebela. In conelusion
Quinci comprender puoi, ch'esser conviene Ti poi desso capir da quel che digo,
Amor sementa in voi d'ogni virtute, Che a la un i'i l'amor xe '1 fondamento,
E d'ogni operazion che merta pene. Come a ogni azion che merita castigo. 105
Or perchè mai non può dalla salute Se stacarse l'amor perciò un momento
Amor del suo suggello volger viso, Da le cosse noi poi dov'el rissiede,
Dall'odio proprio son le cose tute : Iinulina in quele poi l'odio starghe drento.
E perchè intender non si può diviso, E se cossa qualsia star no se vede
Nè per sè stante, alcuno esser dal primo, Da sè, e da Dio divisa, donca amà 110
Da quello odiare ogni affetto è deciso. Da luti è Dio dal qual lulo procede.
Retta, se, dividendo, bene stimo, Se la mia spartizion go ben piantà,
Che il mal che s'ama è del prossimo, ed esso Resta sol l'odio al prossimo, e la guera
Amor nasce in tre modi in vostro limo. L'omo in tre modi a quel ga preparà :
È chi, per esser suo vicin soppresso. Gire chi iu la rovina de uno spera 115
Spera eccellenza, e sol per questo brama Grandizar, e perciò el sospira l'ora
Ch'el sia di sua grandezza in basso messo. De vederlo cascar da l'alto in lera.
È chi podere, grazia, onore, e fama Gh'c chi teme in vedèr levarse un sora,
Teme di perder perch'altri sormonti, De perder grazia, poder, fama e onor ;
Onde s'attrista sì, che il contraro ama; Lo vorave sbassà e se dolora. 120
Ed è chi per ingiuria par ch'adonti E gh'è chi, se insultà, monta in furor ;
Sì, che si fa della vendetta ghiotto ; E la vendela de cavar smanioso,
E tal convien, che il male altrui impronti. El modo per sfogarla el ga za in cuor.
Questo triforme amor quaggiù disotto Ste tre passion pXirga el so amor qua zoso.
Si piange ; or vo' che lu dell'altro intende, Vogio farle capir quel'altro adesso 125
Che corre al ben con ordine corrotto. Ch'el va via adasio, o '1 va precipitoso.
Ciascun confusamente un bene apprende, Tuli in confuso ga '1 pensier istesso
Nel quai si quieti l'animo, e desira : D'un ben che dà la pase, e i lo voria ;
Perchè di giugner lui ciascun contende. Perciò tuli se sforza al so possesso.
Se lento amore in lui veder vi lira, Se pegro pegro el vostro amor va via 130
O a lui acquistar, questa cornice, Cercandolo per strenzcrselo al sen,
Dopo giusto penter, ve ne marlira. Qua '1 purga, se s' ha l'anema pentia.
Altro ben è che non fa l'uom felice: Che felici no fa gh'è un altro ben ;
Non è felicità, non è la buona Perchè felicità vien da quel solo
Essenzia, d'ogni ben frutto e radice. Ben, dal qual i altri beni tuli vien; 135
CANTO DECIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Posto avea fme al suo ragionamento Co '1 Dotor ga '1 discorso terminà,
L'alto Dottore, ed attento guardava Me impianta i ochi in viso per scovrir.
Nella mia vista s'io parea contento. Se de quelo mi fusse sta apagà.
Ed io, cui nuova sete ancor frugava, E mi, che aveva vogia de sentii
DI fuor taceva, e dentro dicea : torse Qualcossa ancora, tra de mi pensava :
Lo troppo dimandar, ch'io fo, gli grava. A furia de domande infastidir
Ma quel padre verace, che s'accorse No lo voria. Ma hi che s'intagiava
Del timido voler che non s'apriva, Del desiderio che tegniva indrio,
Parlando, di parlare ardir mi porse. Parlandome a dir suso el me anemava.
Ond'io : Maestro, il mio veder s'avviva E digo: Mestro, l'in d'Irto mio 10
Sì nel tuo lume, ch'io discerno chiaro Se va tanto schiarindo al to lusor,
Quanto la tua ragion porti o descriva : Che quel che ti m' ha dito ho ben capio.
Però ti prego, dolce Padre caro, Ma cossa sia dimostrimi sto amor,
Che mi dimostri amore, a cui riduci Che come ti m'avevi dito avanti,
Ogni buono operare e il suo contraro. Produse el ben e '1 mal. E '1 mio Dotor,
Drizza, disse, ver me l'acute luci Sta atento, el dise, e i granzi tuti quanti
Dello intelletto, e lici i manifesto Ti vegnerà a conòsser chiaro e neto
L'error de' ciechi che si fanno duci. De quei che fa da Mostri e xe ignoranti.
L'animo, ch'è crealo ad amar presto. L'anemo per natura dreto dreto
Ad ogni cosa è mobile che piace, Drio quelo che ghe piasc el tende andar
1 Co '/ Dotar = quando il Dottore.
V t'intagiava = s'accorgeva.
14 come <i m'avevi dito avanti = vedi il Cauto precedente, v. 104-105.
16 Grami = granchi, dello figuratamente per errori, abbagli e simili.
CANTO XV111. 239
Tosto che dal piacere in atto è desto. Subito che lo stuzzega el diletto.
Vostra apprensiva da esser verace L'inteleto che ave ve fa pensar
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, Sura la cossi che de vu xe fora,
Si che l'animo ad essa volger face. E con tuta atenzion la ste a vardar ;
E se, rivolto, in ver di lei si piega, E se in vardarla el cuor se ghe trà Mira, 25
Quel piegare è amor, quello è natura, Quel trarse è proprio amor, quel xr natura
Che per piacer di nuovo in voi si lega. Ch'el piacer in vu liga e ve inamora.
Poi come il fuoco movesi in altura, l'u come el fogo alsarse in su el procura,
Per la sua forma, ch'è nata a salire Per forza naturai tendendo andar
Là dove più in sua materia dura; Dove la so materia sempre dura ; 30
Coti l'animo preso entra in disire, Dal licheto, per l'ato del bramar,
Che è moto spiritale, e mai non posa Che no ha materia, l'anema se sente
Fin che la cosa amata il fa gioire. Insin ch'el ghe dà gusto strassinar.
Or li puote appare r quant'è nascosa Capissi adesso come certa zente,
La verìtade alla gente ch'avvera Che vorave ogni amor de lode degno, • 35
Ciascuno amore in sè laudabil cosa : De questa verità no la sa gnente.
Perocchè forse appar la sua matera Che in natura sia bon l'omo ritegno,
Sempr'esser buona ; ma non ciascun segno Ma siben che la cera bona sia,
È buono, ancor che buona sia la cera. ' Hon no vien sempre sora quela el segno.
Le tue parole e il mio seguace ingegno, Sto discorso a l'atenta mente mia, 40
Rispose lui, m' hanno amor discoverto ; Chi. digo, m'ba spiegà l'amor, ma più
Ma ciò ni" ha fatto di dubbiar più pregno: Questo il.' dubi me la ga impinia.
Ohe s'amore. è di fuori a noi offerto, Se da tiurlo che xe fora de nu
E l'anima non va con altro piede. Vien l'amor che s' ha l'anemo ligà
Se dritto o torto va, non è suo merlo. Sia in ben sia in mal, cossa ghen poi mo lu? 45
Ed egli a me : Quanto ragion qui vede E elo : Dir no te posso che sin là.
Dir ti poss'io ; da indi in là t'aspetta Dove ragion umana poi rivar ;
Pure Beatrice, ch'è opra di fede. Quel ch'è de fede, Bice te dirà.
Ogni forma sostanziai, che setta L'anema che confusa no poi star
K da materia, ed è con lei unita, Col corpo, a lu siben la sia tacada, 50
Specifica virtude ha in si- colletta, Una virtù la ga particolar,
La quai senza operar non è sentita, Che in azion sol se sente, e vien mostrada
Nè si dimostra ma che per efletto. Drio l'efeto ; cussi el verde saver
Come per verdi fronda in pianta vita. Fa che un pomer la vita ha conservada.
Perù, là onde vegna lo intelletto Perciò l'omo non sa '1 modo veder 55
Delle prime notizie, uomo non sape, Ciii' in elo nasse i primi arsioni, nè
21 itHzzega = stimola.
25 se ghe Ira som = n lui s'inelina, si piega, si abbandona.
26 Quel trarse — quell'inelinarsi, quel piegarsi.
30 Dove te. = cioè sotto il cielo dulia I. una. Colu gli antielii collocavano la sfera del fuoco; ma è inutile
il dire che quel loro sistema cosmico andava assai lontano dal vero.
31 li' lifm -, cosa che alletta od attrae.
43 che xt fora de nu = vedi sopra il v. 13.
45 cotta yhtn poi mo lu> — qual colpa o merito può averne lui?
47 ritar — armara, giungere.
SO tacada = unita.
240 DEL PURGATORIO
E de' primi appetibili l'affetto, L'amor de quel che prima dà piacer
Che sono in voi, sì come studio in ape Che xe in vualtri, come ne l'ave xe
Di far lo mele ; e questa prima voglia L'amor del miei ; lodar nè biasemar
Merlo di lode o di biasmo non cape. Sta prima vogia no se poi che ave ; 60
Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia. Ma se drio questa le altre vedè andar,
Innata v'è la virtù che consiglia, Con vualtri è nata la ragion che insegna
E dell'assenso de' tener la soglia. Quel che ave da tegnir o da lassar ;
Quest'è il principio là onde si piglia Da sto principio nasse che ve vegna
Cagion di meritare in voi, secondo Vero merito o biasemo, secondo 65
Che buoni e rei amori accoglie e viglia. Che al belo o al bruto amor eia se tegna.
Color che ragionando andaro al fondo, I dotori, che ha ben pescà nel fondo,
S'accorser d'esta innata liberiate ; Sta libertà in natura i ga scovrii',
Però moralità lasciaro al mondo. E la moral i ha semenà nel mondo.
Onde pognam che di necessitate Suponemo che in vualtri scaturio 70
Surga ogni amor che dentro a voi s'accende, Sia qual se vogia amor naturalmente ;
Di ritenerlo è in voi la potestate. Se' ben paroni de tegnirlo indrio.
La nobile virtù Beatrice intende A sto arbitrio ghe dise la sapiente
Per lo libero arbitrio, e però guarda Beatrice : nobile virtù, e bada,
Che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende. Se eia ten parla de tegnirlo a mente. 75
La luna, quasi a mezza notte tarda, In forma d'una sechi» infogonada
Facea le stelle a noi parer più rade, La Luna arquante stele desinar
Fatta coin' un secchione che tutt'arda; Faseva, quasi a meza note alzada ;
E correa contra '1 ciel, per quelle strade E sul stradai la gera drio a trotar
Che il Sole infiamma allor che quel da Roma Che schiara el Sol quando el romali là via 80
Tra' Sardi e' Corsi il vede quando cade ; Tra '1 Sardo e '1 Còrso vede in zo calar;
E quell'ombra gentil, per cui si noma E '1 Mestro per el qual s' ha nobilia
Pietola più che villa Mantovana, Pietola più che Mantova, l'aveva
Del mio carcar disposto avea la soma. Apagà in tutto la domanda mia :
Perch'io, che la ragione aperta e piana Quando dal so discorso al qual tendeva 85
Sovra le mie questioni avea ricolta, Go vista la rason che ghe cercava,
Stava com'uom che sonnolento vana. Star come un sonolezo me credeva :
Ma questa sonnolenza mi fu tolta Ma da sta sonolenza me cavava
Subitamente da gente, che dopo In bota de la zente che da drio
Le nostre spalle a noi era già volta. Vegnia de nu. Come de note andava 90
E quale Ismeno già vide ed Asopo I Tebani in gran furia e in fola drio
76 In fornai d'una secchia iufagonada ... la Luna calante di cinque notti, come trovava"i allora, è qmsi
una sfera troncata, tonda nel fondo, tronca alla cima a somiglianzà di un secchione.
77 (tatuar = spegnere.
S2 nobiltà .---- nobilitata.
83 l'ii-inta — o come altri la chiamano Bietola, i'. un villaggio presso Mantova, dagli antichi denomioalo
li-*, ove nacque Virgilio.
87 sonolezo = sonnolento.
89 in bòia = iosto.
78-91 E sul ttradal la gira drio a Iratar ee. —: La Luna era avviata contro il molo del cielo stellato, ciò*
da Ponente a Levante, per quella via del Zodiaco, verso il fine del segno dello Scorpione, nel quale si trota il Sole
allorchè l'abitante di Roma lo vede tramontare in quella parie di cielo che è tra la Corsica e la Sardegna.
91-93 drio Le riviere — lungo le riviere = Atopo e Itmea - - Asopo e Ismeno sono liinisi della Retaia, lnnf"
i quali i Tebani con faci accese, e chiamando il Dio Bacco con varii suoi nomi, s'affollavano di notte per averlo
propizio specialmente nelle pubbliche bisogna.
CAYTO xvui. 241
Lungo di sè di notte furia e ealca, 1. t- riviere d'Asopo e Ismen, pregando,
Pur che i Teban di Bacco avesser uopo : Dal bisogno tirai, Baco el so Dio;
Tale per quel giron suo passo falca, Ossi vegnirne incontro galopando
Per quel ch'io vidi, di color, venendo, Mi go visto la zente fortunada, 95
Cui buon volere e giusto amor cavalca. C.iiYI grando amor del ben va stuzzegando.
Tosto fur sovra noi, perchè correndo Presto la trupa xe da nu rivada;
Si min IM tutta quella turba magna ; E i do primi pianzendo i se diseva:
E duo dinanzi gridavan piangendo : Maria xe al monte in gran prestezza andada;
Maria corse con fretta alla montagna ; E Ilerda per far soa Giulio meteva 100
E Cesare, per sugiugare Ilerda, Marsilia in erose ; po subito via
Punse Marsilin, e poi corse in Ispagna. In Spagna de bon troto elo coreva.
Ratto, ratto, che il tempo non si perda Presto presto l'acidia buta via,
Per poco amor, gridavan gli altri appresso ; Disea po i altri tuli, e fando el ben
Che studio di ben far grazia rinverda. Rinfrescada su nu la grazia sia.' 105
O gente, in cui fervore acuto adesso O zente che la smania qua ve vien
Ricompie forse negligenza e indugio Per remediar al scarso santo amor,
Da voi per tepidezza in ben far messo, Del qual el vostro cuor xe adesso pien ;
Questi che vive (e certo io non vi bugio) Questo che vive, e '1 digo sul mio onor,
Vuole andar su, purchè il Sol ne riluca ; El voria, co fa zorno, andar de su; 110
Però ne dite ond'è presso il pertugio. Diseme quala strada se poi tor.
Parole furon queste del mio Duca : Cussi el mio Mestro ga parlà; e a lu
Ed un di quegli spirti disse : Vieni Un «le lori responde: Viene drio
Diretr'a noi, che troverai la buca. Ch'el sentier te faremo trovar nu.
Noi siam di voglia a moverci sì pieni, La gran vogia d'andar n'ha sgangolio, 115
Che ristar non potem ; però perdona, E se gnanca un tantin la ne tratien,
Se villania nostra giustizia tieni. No aver per sgarbo quel ch'è amor de Dio.
l' fai Abate in San Zeno a Verona, Son sta a Verona Abate de San Zen,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa, Soto de quel bon cao de Barbarossa,
Di cui dolente ancor Melan ragiona. Sul qual Milan ancora spua velen. 120
E tale ha già l'un pie dentro la fossa, E un tal, che ga za '1 pie zo in te la fossa,
Che tosto piangerà quel monistero, Sarà pentio d'aver su quel Convento
E tristo li.i d'avervi avuta possa; Messo la man per farne una de grossa ;
Perchè suo figlio, mal del corpo intero, Perchè in logo del vero Abate, drento
96 iluzzrgando'=. stimolamia.
99-102 Maria xe al manie ce. = due esempi di celerilà a stimolo degli accidiosi: uno di Maria Vergine elic
portandosi a visitare sua cognata Santa Ellsabetta: aititi IH montana cum fei-litiationt (si trasse al monte con pro
""-n: l'altro di Giulio Cesare, che partendo da Roma, andò con grandissima celerilà a Marsilia, e quella la-
- nn'lii assediata, corse in Spaimo a combattere i l'ompeiani a soggiogare Merda (oggi Lerida) città principale
1li quella provincia.
Ili te poi lar = si può prendere.
115 n'ha sgangolio = frase che vale: ci struggeva.
118 Abotì de Sun Zen = di costui null'altro si sa, se non elic fu un Don Gherardo
11U bon cao — frase ironica, vale: cattivo soggetto.
120 Milan ancora apua velai = Milano ancora irritala per essere stata distrulta dall'imperatore Barharossu
°el 116?, sputa veleno.
121 E un tal - intende parlare di Alimi in della Scala Signor di Verona, giù vecchio, il quale per forza
Ui-i 129! fece Abate di S. Zeno un suo tiglio naturale chiamato Giuseppe, storpio del corpo e dell'animo.
124 fa lago = in cambio, invece.
16
242 DEL PURGATORIO
E della mente peggio, e che mal nacque, L' ha ficà un so bastardo, che stancà i 25
Ila posto in luogo di suo pastor vero. E più strupio del corpo ga '1 talento.
Io non so se più disse, o s'ei si tacque, Tanto da nu el se gera stontanà,
Tant'era già di là da noi trascorso; Da no destinguer se '1 parlasse ancora;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque. Ma questo ho mi sentio e ho recordà.
E quei, che m'era ad ogni uopo soccorso, Dise chi me lien sempre i ochi sora: 130
Disse : Volgiti in qua, vedine due Voltile adesso, e ascolta che becada
All'accidia venir dando di morso. Dà a i .irilli, i sii do, ma ben sonora.
Diretro a tutti dicean: Prima die Di io a tuli i dise : In prima a morte è andada
Morta la gente, a cui il mar s'aperse, La zunte ch'a eia el mar verto s'avea,
Che vedesse Giordan le rede sue, Che i so fioi del Giordan l'aqua abia ochiadi;
E quella, che l'affanno non sofferse E quel'altra, che i stenti con Enea
Fino alla fine col fìgliuol d'Anchise, No la ga sin in ultimo patii,
Sè stessa a vita senza gloria offerse. De gloria no ha lassà nissuna idea.
Poi quando fur da noi tanto divise Co i spiriti purganti xe partii,
Quell'ombre, che veder più non potersi. E fora della vista i ne xe andai, 140
Nuovo pensier dentro da me si mise, M'è vegnù un pensier nuovo ; e po sortii
Del qual più altri nacquero e diversi : Da quel, tanti altri se me n'ha ingrumai :
E tanto d'uno in altro vaneggiai, E in mezzo a lori tanto go tomà,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi, Che baucando a la fin i ochi ho serai,
E il pensamento in sogno trasmutai. E i pensieri in t'un sogno i s'ha scambià. 145
CANTO DEClMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
COD falso canto una femmina lorda Con canto iuganator d'nna donazza
Sogna il Poeta; ma questa fi scacciata Dante s" insogna, e un altra dona pia
Tosto dall'altra, cho ila loi discorda. Co la colera in sen via la descazza.
Svegliasi, e sale ove la terra guata Svogi:l. el monta pia in suso, e andando via
Pur chino in t'iuso chi quassù dovizia Scovre vardar la terra in zo voltai
Volle d'averi con voglia assetata, Chi i bezzi qua ha varda con frenesia,
Sviandosi da Dio per avarizia. Da Dio per avarizia stontanai.
Nell'ora che non può il calor diurno Quando no poi del dì el calor, smorzà
lni. piJlir più il freddo della luna, Dal fredo de la tera e anca da quelo
Vinto da Terra o talor da Saturno; De Saturno, scaldar la note ; e sta
Quando i geomanti lor maggior fortuna El strolego a spiar col bastoncelo
Veggiono in oriente, innanzi all'alba, La sorte soa da oriente, a man in man
Suiger per via che poco le sta bruna ; Che xe per comparir l'aurora in cielo ;
Mi venne in sogno una femmina balba, D'una dona m'insogno co le man
Con gli occhi guerci, e sovra i piè distorta. Cbiompe, barbota, strupia, sguerza, storta,
Con le man monche, e di colore scialba. Co una ciera color del zafaran.
lo la mirava; e, come il Sol conforta Mi la fissava, e come el Sol conforta 10
Le fredde membra che la notte aggrava. L'omo dal fredo de la note pesto,
Cosi lo sguardo mio le facea scorta. A le mie ochiae la lengua, prima intorta,
La lingua, e poscia tutta la drizzava La se ghe mola ; la figura presto
ln poco d'ora, e lo smarrito volto, Se ghe drizza, e la fazza scolorada
Com'amor vuoi, così le colorava. El color che ama amor l' ha ricevesto. 15
Poi ch'ella avea il parlar così disciolto, Co. s' ha la lengua tuta desligada,
Cominciava a cantar sì, che con pena Cussi ben scomenzà la ga a cantar,
Da lei avrei mio intento rivolto. Che d'ascoltarla l'avria mai lassada.
l» .un, cantava, io son dolce sirena, Mi son Sirena cuccila, che in mar
i Dal fredo dt la lera = la terra di sua natura è fredda, sicchè di notte mette fuori totta la sua rigidezza.
3 De Saturno = era opinione degli antichi astrologhi che Saturno trovandosi di notte sull'emisfero appar
isse freddo.
!.8 El strolego = qui vale per indovino. Gli indovini nell'arte loro si valevano in qualche modo della terra,
e chiamavano la loro fortuna quella figura di punti che essi alla cieca facevano sull'arena con una verga, e che
fosse riescila somigliante alla disposizione delle stelle che compongono il fme del celeste segno dell'Aquario e il
principio dei Pesci.
8 Chiompt -. monche = barbala = balba, balbuziente.
9 Co = con.
11 i".siu = affi a n l'i.
12 la lengua prima intarla = la lingua che era intralciata, avviluppata.
13 H ghe mola = le si scioglie.
U fazza = faccia, volto.
15 ./ colar che ama amar = cioè quel colore delicato che pende al pallido, color sentimeutalc.
16 Co = quando,
19 corata = dolce, graziosa, vezzeggiatrice.
244 DEL PVliGATORlO
ti Cantando ec. = costei sarebbe la maga Circe, che trasse a se Ulisse col canto affascinatore e lo Unnt
presso lei più di un anno: vedi l ut•. C. XXVl v. 91, e scg,
23 m'impianta — m'abbandona.
26-27 Co = quando. = culia = colei = dana santu = per questa ilonna alcuni intendono la Virtù, altri
la Verita, e altri Lncia, o la grazia illuminante.
32 e co = e quando.
40 strussiai = affaticati.
50 Btali qui lugent qtwniam ìpti confolabantur (S. Matteo) Beali coloro clic piangono le loro colpe poichè
avranno consolazione.
54 un fià — un pochino.
CAUTO XIX. 245
Sì ch'io non posso dal pensar partirmi. Che me dà da pensar. Gastu, bon fio,
Vedesti, disse, quell'antica strega, Lu a mi, mo visto quela vechia striga,
Che sola sovra noi omai si piagne ? Che sol per eia qua de su i sospira?
Vedesti come i un m da lei si stega? E come da eia l'omo se destiga ? 60
(tastiti, e batti a terra le calcagne, Te basta ; stonga el passo, e tol de mira
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira Del ciel le maravegie tante e tante,
Lo i ivi- eterno con le rote magne. Che Dio co le so rode eterne zira.
Quale il falcon che prima a' pie si mira, Come in prima el falcon se ochia le piante,
Indi si volge al grido, e si protende, Po '1 se buta al rechiamo del paron, 65
Per lo disio del pasto che là il tira ; Tirà dal pasto tuto gongolante ;
Tal mi fec'io, e tal, quanto si fende L'istesso fazzo mi, che invià me son
La roccia per dar via a chi va suso, De quela strada per el trozo averto,
IV'andai iniin dove il cerchiar si prende. Sin che scomenza el nino cornison.
Com'io nel quinto giro fui dischiuso, Co al quinto ziro so arivà al scoverto, 70
Vidi gente per esso che piangea, Vedo zente butada, che pianzea
Giacendo a terra tutta volta in giuso. Tegnindo el viso in tera zo coverto.
.'i1-i''it pavimento anima meo, Adàcesit pavimento anima mea,
Sentia dir lor con sì alti sospiri, Li sento con tal susto strepitar,
i. hi la parola appena s'intendea. De quasi no capir quel che i disea. 75
E eletti di Dio, gli cui soflriri O dileti del ciel, che dal penar
E giustizia e speranza fan men duri, E giustizia e speranza ve steziera,
Drizzate noi verso gli alti satiri. Vogiene el trozo d'andar su insegnar.
Se '.ni venite dal giacer sicuri, Su vegnì senza star voltai zo in tera.
E volete trovar la via più tosto, E più presto intendè trovar la strada, 80
Le vostre destre sien sempre di furi. Tegnì la drita in fora. In sta maniera
Così prego il Poeta, e sì risposto Prega el Dotor, e sta resposta dada
Poco dinanzi a noi ne fu ; per ch'io Vi- xe sta un fià davanti ; e mi pensava
Nel parlare avvisai l'altro nascosto ; A la vose che sconta xe restada .
E volsi gli occhi allora al Signor mio : Verso '1 Mestro perciò i ochi drizzava : 85
Ond'elli m'assentì con lieto cenno Lu ga i mio desiderio ben capio,
Ciò che chiedea la vista del disio. E un seguo de compiaserme el me fava.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno, Quand'ho podesto far a modo mio,
CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Mentre quel balzo va dove si piange Mentre in quel Ziro va dove a purgar
Avara voglia, che tenne ristretta Sta l'Avarizia, che ligada streta
La mente al mondo, cho acquistando s'ange, La mente al mondo tien bezzi a ingrnmar ;
Trova il Ponta starvi Ugo Oiapetta Trova el Poeta 1A Ugo Chiapeta
Fra quegli afflitti, che de' suoi si lapnu, Tra quei purganti, che dei sui se lagna.
E sopra lor predice aspra vendetta; E su lori predise gran vendeta :
Poi tremar sente alfin l'alta montagna. Dopo ni simta tremar ijuela montagna.
•2-3 ha «ititi fin te. .... similitudine elic significa la curiosità del l'uetu non appieno
5 sbratu = sgombra dalle anime elic stanno « giareri. bocconi = eroda = roccia.
6 raso via -—. raseule.
7 c/n' igiozza e nuda = allude a' penitenti elic piangendo boccone versano dagli ocehi il or male
del mondo, cioè l'avarizia.
10-12 Maledcla lovnna = imprecazione all'avarizia.
1S butae E= coricate.
24 /'.M- ii ya punì "1 lo parlo santo = la capanna di Bcttcmme, ove Maria depose il suo nato.
249
Seguentemente intesi : O buon Fabrizio, O Fabrizio, po sento che vien dito, 25
Con povertà volesti anzi virtute, Ti ha preferio restar in povertà
Che gran ricchezza posseder con vizio. Co la virtù, che sior con el delito.
Queste parole m'eran si piaciute, Ste parole le m'ha cussi incontrà,
i. ir i' mi trassi oltre per aver contezza Ohe m'ho tirà più arente per scovrir
Di quello spirto, onde parean venute. Chi gera che in sto modo ga parlà. 30
Esso parlava alieni della larghezza Lu seguitava de la dote a dir,
Che fece Niccolao alle pulcelle, Che Nicola ga fato a le tre tose,
Per condurre ad onor lor giovinezza. Perchè '1 so onor no avesse da patir.
O anima, che tanto ben favelle, Chi xestu, ho dito, che da la lo vose
Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola Sto bel parlar vien fora, e di', per cossa 35
Tu queste degne lode immurili- ? Ti è solo a recordar ste azion gloriose '"
vin lia senza mercè la tua parola, Hagarò ci to favor, co tornar possa
S'i' ritorno a compir lo cammin corto De sta mia vita a consumar el resto,
Di quella vita ch' al termine vola. Che in t' un lampo finir va in ('una fossa.
Ed egli: I ti dirò, non per conforto A contentarle, el dise, mi me presto; 40
Cb'io attenda di là, ma perchè tanU No per sperar de là un qualche agiuto,
Grazia in te luce prima che sii: morto. Ma per la grazia che ti ha vivo avesto.
f fui radice della mala pianta, El zoco son de quel albore bruto,
Che la terra cristiana tutta aduggia Che a la lera cristiana mal fa tanto,
SI, che buon frutto rado se ne schianta. E raro \r ch'ul vegna a dar bon fruto. 45
ila se Doaggio, Guanto, Lillà e Bruggia Ma se Doagio, Lila, Brugia e Guanto
Potesser, tosto ne saria vendetta ; Podesse, i faria subito vendeta ;
Ed io la cheggio a lui che tutto giuggia. E la domando mi dei Santi al Santo.
Chiamato fui di là L'ito Ciapetta : Al mondo i in'ha chiamà Ugo Chiapeta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi, I Pipi e i Gigi vien dal zoco mio, 50
Per cui uni rii, un. 'ni. è Francia retta. ('.he la lege a la Franza ancuo i ghe deta.
Figliuol fui d'un beccaio di l'arigi. 1)' un becher parigin mi son sta Ilo:
Quando li regi antichi venncr meno Andai i Carlovingi in destruzion,
Tutti, l'uoi ch'mi renduto in panni bigi, Via d'uno che la tonega ha vestio,
85 Fabrizio - virtuoso romauo, srblienc assai povero rifisdo le ricchezze elic per corromperlo gli otFriva
il re Pirro.
27 «or = signore.
28 It m'Ha cani inenntrù = tanto mi piacquero.
89 Che m'ho tira più arcidi- = che mi trassi più vicino
32 Che Nicola = S. Nicolo di Mira fu liberale verso tre fanciulle, elic per gran povertà erano in pericolo di
abbandonarsi a vita disonesta.
37 co = quando.
39 m t'ua lampo -- con celerila.
45 El zoco a. — il ceppo (di famiglia): questi è Ugo Magno Duca di Francia e Conte di Parigi padre di
lpi Captlo primo re dei Capelingi.
46 Doagio, Lila ee. = sono città di Fiandra. Ugo Magno dice, elic se avessero forze sufficienti, queste citta
farebbero vendetta d'essere stale occupate violeutemenlc dal re Filippo il bello nel 1299.
50 / Pipi e i Gigi = i Filippi e i Luigi. Dopo la morte di Enrico I, nel 1000, tulli i re di Francia furono
o Filippi o Luigi.
51 ancuo = oggidì.
54 Via d'uno = tranne uno: dicono alcuni elio quest'imo fosse Carlo il Semplice, il quale non già si fa
cesse monaco, ma per la sua umilia, fuggendo le umane grandezze, si ridusse a vivere e morir solitario nel Cn-
sullo di Peri-enne = tonega = tonaca.
250 DEL PURGATORIO
Trova'mi stretto nelle mani il freno De tuto el regno in man go avù 'i timon, 55
Del governo del regno, e tanta possa E quando el xe più grando deventà,
Di nuovo acquisto, e sì d'amici pieno, Con a fianco d'amici un nuvolon,
Ch'alia corona vedova promossa Mio fioi sul trono vodo s'ha sentà,
La testa di mio figlio fu, dal quale E da lu de costori la real
Cominciar di costor le sacrate ossa. Origene a dar su ga scomenzà. 60
Mentre che la gran dote Provenzale Insin che la gran dote Provenzai
Al sangue mio non tolse la vergogna, No ha svegià a la mia razza l'albasia,
Poco valea, ma pur non facea male. La podea poco, ma no fava mal.
Lì cominciò con forza e con menzogna Da là scomenza la rebaldaria
La sua rapina ; e poscia, per ammenda, Dei so usurpi; e per far po penitenza 65
Ponti e Normandia prese, e Guascogna. Pontiù ha robà, Guascogna e Normandia.
Carlo venne in Italia, e per ammenda, Carlo in Italia andà, per penitenza
Vittima fe di Curradino ; e poi L'ha mazzà Coradin, e dopo ancora
Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 'l'omaso ha in ciel mandà per penitenza.
Tempo vegg'io, non molto dopo ancoi, Ma vedo che l'infamia, e arente è l'ora. 70
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia, D'eia e dei sol per meter ben in mostra,
Per far conoscer meglio e sè e i suoi. Vien da la Franza un altro Carlo fora.
Senz'arme n'esce, e solo con la lancia Senza armada lu vien, e ne la giostra
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta Co la lanza de Giuda el ferirà,
Sì, ch' a Fiorenza fa scoppiar la pancia. Per far ben grama la Firenze vostra. 73
Quindi non terra, ma peccato ed onta Perciò, no tere, ma '1 guadagnarà
Guadagnerà, per se tanto più grave, Colpa e infamia che cresser le farave
Quanto più lieve simil danno conta. In rason che del mal conto noi fà.
L'altro, che già uscì preso di nave, Sl'altro, che presonier l'è sta de nave,
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne, Vedo a vender per pato in sin so fia, 80
Come fan li corsar dell'altre schiave. Come i pirati fa de l'altre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne, Cossa, o avarizia, a far te resteria
55 go avù 'I limon — ebbi le redini del governo essendo stato eletto reggente.
58 Mio fiol = mio figlio, cioè Ugo Capeto = sul trono vodo = ruoto, senza regnante, perchè morto Lodo-
vico V ultimo re dei GarTovingi.
80 a dar tu ga seomenzà - incominciò a sorgere.
61 la gran doli Provenzal ----- sono gli Stati dapprima del Conte di foiosa, che andarono alla Francia pel
matrimonio di sua figlia con Alfonso fratello dei re San Luigi U12S); poscia quelli di lUimondo Berlinghicri
Conte di Provenza, venuti alla Francia pel matrimonio di Carlo d'Angiò, altro fratello di S. Luigi, colla Con
tessa Beatrice, ultima figlia ed erede di Raimondo (IH5).
68-69 Coradin — nipote di Manfredi, rimasto prigioniero alla battaglia di Tagliacozzo, iu da Carlo d'Angiò
nel 1268 fatto decapitare. San Tommaso andando al Concilio di Lione, dicesi che dal detto Carlo d'Angiò l'osa
per opera di un suo medico fatto avvelenare per timore d'averlo contrario a' suoi desiderii in quel Concilio.
71 D'eia = cioè della sua raiza, di cui il v. 62.
72 un altro Carlo = questi è Carlo di Valois, uscito di Francia nel 1301.
74-75 colla lanza de Giuda — cioè col tradimento. Il detto Carlo fu dal Papa Bonifazio Vili mandalo in Fi
renze a rimettervi la pace; ed invece con tradimenti e frodi, estorsioni ed incendii, la scompiglio maggiorami»
e la lasciò mezzo spogliata e distrutta. L'esilio di Dante avvenne principalmente per la venula di Carlo di Va-
lois in Firenze.
76-77 Perciò no (erre ee. = costui infatti fu per dileggio chiamato Carlo Senzaterra, perchè non poti mai
impossessarsi d'alcun paese.
79-80 it'altro ee. — Sciami Colonna e Nogaretto Capitano di Francia con genti e bandiere di quella coroni
entrarono il di 7 Sett. 1303 per tradimento in Alagna (Anagni, città nelle campagne di Roma), e vi Fecero prigio
niero Bonifazio Vili.
CANTO XX. 251
Poi c'ivii il sangue mio a te si tratto, De più, dopo tiradi a mercantar
Che non xi cura della propria carne ? l mii sin sul so sangue, bruta arpia ?
Perchè men paia il mal futuro e il fatto, Per covrir el mal fato e quel da far,
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, Col zegio a Alagna andar i vedo, e redo
E nel Vicario suo Cristo esser catto. Nel so Vicario Cristo impresonar.
Veggiolo un'altra volta esser deriso; Da novo a sbufonarlo là li vedo ;
Veggio rinovellar l'aceto e il fele, A lu da noro darghe aseo e lici.
E tra nuovi ladroni essere anciso. E in mezo ai ladri po morir lo vedo. 90
Veggio il nuovo Pilato sì crudele, Vedo el novo Pilato, quel crudel,
Che ciò noi sazia, ma, senza decreto, Che no ben sazio, i beni el roba ancora
Porta nel tempio le cupide vele. De quei che serve Chi su regna in ciel.
O Signor mio, quando sarò io lieto Quando, gran Dio, de la vendeta l'ora
V veder la vendetta, che nascosa Mi goderò, che l'ira sconta in Ti 95
Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto ! Fa dolce nel to arcano ! Quel che alni a
Ciò ch' i' dicea di quell'unica sposa De la Vergine Santa ho dito mi,
Dello Spirito Santo, e che ti fece E dopo domandà la spiegazion
Verso me volger per alcuna chiosa, Ti m'avevi, xe, insin che dura el dì,
Ianfè disposto a tutte nostre prece, De munii tuli quanti Porazlon; 100
Quanto il dì dura ; ma quando s'annotta, Ma co vicn note, alora nu disemo
Contrario suon prendemo in quella vece. Cosse afato contrarie. Pigmalion
Noi ripetiam Pigmalione allotta, Traditor, ladro, alora recordemo,
Cui traditore e ladro e patricida L'assassin de so barba, che ha sfogà
Fece la voglia sua dell'oro ghiotta; La passion per i bezzi ; e ripetemo 105
E la miseria dell'avaro Mida, De Mida l'avarizia, o desgrazià!
Che seguì alla sua dimanda ingorda, Che ingordo d'oro, in mezo a quel, la ve
Per la qual sempre convien che si rida. Anca da rider, morto el xe afamà.
Del folle Ai;. mi ciascun poi si ricorda, Recordemo Acam ladro, in modo che
Come furò le spoglie, sì che l'ira Del tesoro robà par sin che l'ira 110
Di Josuè qui par che ancor lo morda. Lo ponza ancora qua de Giosuè.
lndi accusiam col marito Sn lira : Po acusemo con so marlo Salira ;
113 ( tcutìi =* i calci = Èliodarn . fu mandato ila Selcuco re ili Siria in Gerusalemme per torre i
•inei dal tempio; ma appena posto il piede aulta soglia, comparve un uomo armalo sopra un l.avallo, clic con
i calci lo ributtò indietro.
115 Del latiron —• cioè l'olincotorc re ili Tracia, clic nccise Polidoro suo nipote per rubargli il tesoro con
segnatogli dal re f'riaiuo padre di lui.
llo Crosto — Marco Grasso Senatore e generale Romano, famoso per ricchezza e avarizia: mori in una S|K.
dizione contro i Parli, i quali trovatone il corpo sul campo, ne spiccarono la testa a coi in bocca versarono
dell'oro liquefano, dicendo per ischerno: Bevi dell'oro, poichè dell'oro avesti sete.
121 za un ffù = gia un momento.
123 for che mi = fuori clic io.
130.132 I>(hi . isola dell'Arcipelago clic tremava e movevasi. l.atona vi cercò un rifugio, e in lei partorì
Apollo e Diana, cioè il Sole e la Luna: e dopo l'isola, per merito dell'ospizio, più non si mosse.
134 fandamese areale — venendomi dappresso
140 i pastori = cioè i pastori di Bcllemme.
CANTO XXI. 253
Se la memoria mia in ciò non erra. De saver la rason s'ha in mi svegiae
Quanta paremi allor pensando avere : Del i .ii iiiuni n, al qual pensava sora :
IVe per la fretta dimandare er' oso. Domandar per la pressa no azzardava.
Nè per me li potea cosa vedere. Nè podea da per mi trovarla fora ; 150
Così m'andava timido e pensoso. Cossi mi incerto e penseroso andava.
CANTO VENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Ragion perchè lo monte ivi si scuota La rason perchè '1 monte ga trema
Ode il Poeta da Stazio, che ascen'U: Sente Dante da Stazio, che 1 favor
Quindi purgato alte superne ruote. L'ha avù alora d'invlarse al ciel, purga.
Lo qual gli narra quanto amor raccende Quanto el ga per Virgilio e qual amor
Pel buon Virgilio, e mentre si favella tihe conta; e mentre el parla, ch'el gh'è in fazsa
Ne '1 riconosce, tal che gli sorprende Savudo, tanto se ghe starga el cuor
Letizia in cor disusata e novella. Dal piacer, che noi sa quel ch'el «e fazza.
La sete naturai, che mai non sazia, De saver me struzea la sè, che sazia,
Se non con l'acqua onde la femminella Solo l'aqua, che un zorno domandà
Samaritana dimandò la grazia, Ga la Samaritana a Cristo in grazia ;
Mi travagliava, e pungèmi la fretta De star drio al Mestro pressa sento là
Per la impacciata via retro al mio Duca, Tra l'aneme ch'el Iroto imbarazzava, 5
E condolièmi alla giusta vendetta. E le so pene, pena le me fa.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca, Quando, come San Luca recordava,
Che Cristo apparve a' duo ch'erano in via, Che Gesù dal sepolcro za Miriin.
Già surto fmir della sepulcral buca, S" ha mostrà ai do che in Emaus s' inviava ;
Ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia Un s'ha visto cussi vegnirne drio, 10
Dappie guardando la turba che giace; La zente ochiando In tera destirada;
Nè ci addemmo di lei, sì parlò pria, Né s'incorzemo se , Fradei, da Dio,
Dicendo: Frali miei, Dio vi dea pace. Noi disi-vn, la pase ve sia dada.
Noi ci volgemmo subilo, e Virgilio Nu se voltemo, e '1 Mestro con bel alo
1-3 De saver ec. •- - il desiderio di sapere e d'intendere mai non può saziarsi se non por quell'acqua sa-
lulare, che la Samaritana chiese a G. C. dopo che ebbe detto: Chi bevern dell'acqua, che io gli darò non avrà sete
in eterno; nella qual acqua era significata la sapienza duina procedente da Dio = cercà = chiesto.
5 iroso - viottolo, senticruolo.
6 le so — le sue.
S-9 Dal scjiolcro ir, - Gesù Cristo apparve dopo la sua rcéurrezione a due discepoli che andavano in
Emaus. -- za torlio .-• appena escito - ai' do ..-. ai due suddetti.
14 con bel alo = con bel cenno.
254 DEL PURGATORIO
Rendè lui '1 cenno ch' a ciò si conface. La so riconoscenza el ga mostrada.
Poi cominciò : Nel beato concilio Po '1 responde : La pase nel beato
Ti ponga in pace la verace corte, Logo te daga la celeste Corte,
Che me rilega nell'eterno esilio. Che a mi l'eterno bando m' ha dà '1 fato.
Come! diss'egli (e parte andavam forte), Come ! quel dise, mentre andemo a forte,
Se voi siete ombre che Dio su non degni, Se del cielo no ancora degni sè,
Chi v'ha per la sua scala tanto scorte? Chi a sta scala, che mena a le so porte,
E il Dottor mio : Se tu riguardi i segni V'ha scortà? E'1 Mestro: Se ti vardi i P
Che questi porta e che l'angel proffila, Che in fronte a questo un Anzolo ha segnà,
Ben vedrai che co' buon convien ch' è' regni Degno del ciel ti capirà ch'el xe.
Ma po' colei che di' e notte fila, Ma za che la Lachesi terminà
Non gli avea tratta ancora la conocchia, No ha '1 filo su la roca che per lu,
Che Cloto impone a ciascuno e compila ; Come per tuli, Cloto ha intortigià ;
L'anima sua, ch' è tua e mia sirocchia, Solete noi podea vegnir qua su,
Venendo su, non potea venir sola ; Elo ch'el ga de nu l'anema istessa,
Però ch' al nostro modo non adocchia : Siben la soa no vede come nu :
Ond' io fui tratto fuor dell'ampia gola So sta cavà dal Limbo in tuta pressa ,
D'inferno per mostrarli, e mostrerolli Per mostrarghe sti loghi, e mostrerò
Oltre, quanto '1 potrà menar mia scuola. I altri a lu su la strada a mi pemessa.
Ma dinne, se tu sai, perchè lai crolli Ma se ti sa, per cossa za un lili, mo
Die dianzi il monte, e perchè tutti ad una Ga tremà '1 monte, e luti in compagnia 35
Parver gridare in lino a' suoi pie molli? Parea i cigasse da la cima in zo ? .
Sì mi die dimandando per la cruna Sta domanda ha incontrà la vogia mia,
Del mio desio, che pur con la speranza Amansada un tantin, per la speranza
Si fece la mia, sete men digiuna. In mi vegnuda che apagada sia.
Quei cominciò: Cosa non è che sanza Quel responde : Nissuna qua cambianza
Ordine senta la religione Senz'ordene ga logo : al monte santo
Della montagna, o che sia fuor d' usanza. Cossa no ariva mai fora d'usanza.
Libero è qui da ogni alterazione: Gnente poi qua cambiar, via de quel tanto,
Di quel che '1 cielo in sè da sè ricere Che voi la naturai virtù del cielo,
Esserci puote, e, non d'altro, cagione : Nè altra causa poi mai far altrelanto.
Perchè non pioggia, non grando, non neve, Perciò piova più in suso dal livelo
Non rugiada, non brina, più su cade, No vien dei tre scalini, nè qua sora
Che la scaletta de' tre gradi breve, Vien tempesta, nè brosa, neve o gelo ;
IO té = siete.
22 i P = sono i segni dei peccati dei quali sulla fronte di Dimlcjnc restarono ancora tre dopo i quatIro
già cancellati.
25 la Lacheii = è la Parca che fila lo stame della vita.
27 dolo - - l'altra Parca che colloca sulla rocca di Lachesi quella porzione di stame, durante la fiUtun d"
quale vuoi che duri la vita di ciascuno = intortigià ...- attortigliato.
30 siben la soa no vede come nu -- essendo l'auima di Dante chiusa nel corpo, non intende ne vede come
intendono e vedono i puri spiriti.
31 Sa ila cava dal Limbo = fui tratto dal Limbo.
34 in un fià == di già un momento = mo = partieella riempitiva.
37 lui incontrà la vogia mia — — corrispose al mio desiderio.
48 trntn = brina.
CANTO XXI. 255
.Nuvole spesse non paion, nè rade, Nè niola grossa o scarsa visto ancora
Nè corruscar, nè figlia di Yaumante, Se ga, ne visto mai l'arcoceleste, 50
Che di lì cangia sovente contrade. Che in st'altro. mondo o qua o là dà far*.
Secco vapor non surge più avante No poi suto vapor alzar le creste
Oh' al sommo de' tre gradi ch'io parlai, Sora i scalini che t" ho menzonà,
Ov'ha'l vicario di Pietro le piante. Dove fa guardia el portiner celeste.
Trema forse più giù poco od assai; Più o manco a basso forsi tremerà, 55
Ma, per vento che in terra si nasconda, Ma per vento interà, questa montagna,
Non so come, quassù non tremò mai : Come la sia no so, ga mai tremà.
Tremaci quando alcuna anima monda La trema, co purgada la magagna,
Si sente sì, che surga, o che si muova Un leva in pie, o '1 se move e al ciel s'invia,
.Per salir su, e tal grido seconda. E i altri con quel cigo i l'acompagna. 60
Della mondizia '1 sol voler fa pruova, Ch'el se gabia purgà, prova ne sia •
Che, tutto libero a mutar convento, La vogia de andar su che gh' è vegnua.
L'alma sorprende, e di voler le giova. Anca prima sta vogia ghe saria,
Prima vuoi ben; ma non lascia il talento, Ma la xe da quel altra combatisa
Che divina giustizia contra voglia, De la purga, che Dio mete al tormento, 05
Come fu al peccar, pone al tormento. Come contro al far ben la vogia avua.
Ed io che son giaciuto a questa doglia E mi che go più d'ani cinquecento
Cinquecento anni e più, pur mo sentii Passà in ste pene, de portarme a Dio,
Libera volontà di miglior soglia. El libero voler sol Tiesso sento.
Però sentisti il tremoto, e li pii Perciò col taramolo ti ha sentio 70
Spirili per lo monte render lode Ste aneme qua lodar Chi prego presto
A quel Signor, che tosto su gl'invii. Vogia chiamarle al logo benedio.
Cosi gli disse; e però che si gode Cossi el parla, e se lanto s' ha godesto
Tanto del ber quant'è grande la sete, In bever, quanta più gera la sè,
Non saprei dir quant'ei mi fece prode. No posso dir luto el piacer che ho avesto. 75
E il savio Duca : Omai veggio la rete Dise el mio Mestro: Adesso so el perchè
Che qui vi piglia, e come si scalappia, Sè qua ligai, e come ghe andè fora;
Perchè ci tremo, e di che congaudete. Del tremar, e perchè ve ralegrè:
Ora chi fosti piacciati ch' io sappia, Ma dime, fame sta finezza ancora,
E, perche tanti secoli giaciuto Chi ti geri e perchè, come ti ha dito, 80
Qui in", nelle parole tue mi cappia. Ti è sta butà dei secoli qua sora.
49 nido. -- nuvola.
51 -la fora = si mostra, sorge fuori.
iuta m/m' - vapor secco, onde hanno origine i venti, diverso dal vapor umtdo da coi viene la piog
gia, la neve, la grandine, la rugiada, la brina — aliar le creile = erigersi prepotente.
54 Dove fa guardia el porliner telate = vedi C. IX. v. 78.
56 .Un per vento intera = gli antichi credevano che il vento sotterraneo fosse cagione di terremòti.
58 co purgada la magagna - quando purgato il mal fatto, cioè il peccato.
59 Un leva in pie = è riferito alle anime ivi giacwli = o 'I se movi = è riferito alle anime degli nUri
gironi.
62 la. vogia — il desiderio.
72 Vogia = voglia (verbo).
74 la tè — la sete.
77 Sè tIua 'i'»;» i • detto figuratamente per la cagione che tiene legate e prese le anime messe a purgare
io quel girone -- came giù andi fora = io quai maniera ve uè liberale = Sè = siele.
79 fame ila finezza •= fammi questo favore.
buiò = giaciuto, disteso.
"56 DEL HliBC.VrOlilO.
Nel tempo che il buon Tito con l'aiuto Elo responde: Al tempo ch'el bon Tito
Del sommo rege vendicò le fora, Da Dio agiutà, del Giuda maledeto,
Olid" uscì '1 sangue per Giuda venduto, Che ha vendù Cristo, ha vendicà "1 delito,
Col nome che più dura e più onora Gera al mondo vardà con gran rispeto 85
Er'io di là, rispose quello spirto, Per l'onorato nome de pueta ;
Famoso assai, ma non con fede ancora. Ma ancora no gdvea la fede in peto.
Tanto fu dolce mio vocale spirto, Ga merità rl mio canto, che dileta,
Che, Tolosano, a sè mi trasse Roma, Mi, Tolosan, de farme a Roma andar,
Dove mni.lai le tempie ornar di mirto. E che l'illuni in fronte là i me meta. 90
Stazio la gente ancor di là mi noma ; Stazio al mondo i me seguita a chiamar ;
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille, De Tebe, e '1 forte Achil mi go cantà,
Ma caddi in via con la secortda soma. Ma sto secondo canto terminar
Al mio ardor fur seme le faville, No m' ha lassà la morte. M' ha scaldà
Che mi scaldàr, della divina fiamma, L'estro mio la bampa imortalada, 95
Onde sono allumati più di mille; Che a più d'un mier el peto ga intiama;
Dell' Eneida dico, la qual mamma Vogio dir de l'Eneide, che stada
limimi, e fummi nutrice puetando : Xe mare e nena mia puetizando :
Senz'essa non fermai peso di dramma. Gnanca una idea senza eia go creada.
E, per esser vivuto di là quando E per esser vissudo al mondo quando 100
Visse Virgilio, assentirei un sole Vivea Virgilio, rassegnà de star
Più chTjnin deggio al mio uscir di bando. Sarave ancora un ano qua penando.
Volser Virgilio a me queste parole Virgilio m' ha molà, drio sto parlar,
Con viso che tacendo dicea : Taci : Tal un ochiada che disea : Sta zito,
Ma non può tutto la virtù che vuole : Ma sempre ci so voler no se poi far, 105
Chè riso e pianto son tanto seguaci Chè più de questo vien scoltà el prorito
Alla passion da che ciascun si spicca, Del rider o del pianzer ; e in scampon
Che meli seguon voler ne' più veraci. Fazzo anca mi un soriso, el qual ga dito
lo pur sorrisi, come l'uom che ammicca; Che aveva za capia la so in Uv.iun ;
Perchè l'ombra si tacque, e riguardommi Tase Stazio, e nei ochi el m'ha vardà, 110
Negli occhi, ove'l sembiante più si ficca. Dov'el pensier se spia e la passion.
E, se tanto lavoro in bene assommi, Po '1 dise : Se el progeto che ti ga,
Dissi., perchè la faccia tua testeso Felicemente possa andar compio.
Un lampeggiar di riso dimostrommi? Perchè un riseto t'è sbrissà za un fià?
Or son io d'una parte e d'altra preso: Chiapà cussi in tanaca, che un, per sbrio, 115
L'una mi fa tacer, l'altra scongiura Voi che lasa. a parlar l'altro me tira,
Ch' i' dica ; ond'io sospiro, e sono inteso. Sospiro nel contrasto : m' ha capio
Di', il mio Maestro, e non aver paura, El mio Mestro, che l'ordine el ritira
17
258 T>EL Pt'RKATORIO
CANTO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quale in (piri balzo sua colpa purgasse Informa Stazio traal peci el purgava
Racconta Stazio, od a Credenza santa Proprio In quel Ziro, e in te 1% fedo santa
Da qual facella guidato n'andasse. Quala luse su al mondo lo guidava,
Oltre poi vanno, e trovano una pianta I va piiì avanti, -• i trova una gran pianta
Chi- tutti li suoi rami ali' ingiù piega, Che la ga tuti i rami voltai zoso
E d'odorosi e boi pomi s'ammanta. Con i pomi odorosi e bei, che incanta.
In questo giro Gola si disìega. Purga in sto Ziro ci so peci el goloso.
Già era l'Angel dietro a noi rimaso, Da (trio de nu quel Anzolo restando
L'Angel che n'area volti al sesto giro, Che invià '1 n'aveva sora al ziro sesto,
Avendomi dal viso un colpo raso : Un altro P dal fronte mio levando;
E quei c'hanno a giustizia lor disiro Esser beati, dirne ga pinsesto,
Detto n'avea Beati, e. le sue voci Quei che ama la giustizia, e '1 terminava
Con sitinnt, senz'altro, ciò forniro. Co la parola sitiunt senza el resto.
Ed io, più lieve che per l'altre foci, Più che in st'altri scalini caminava
M'andava sì, che senza alcun labore Lezier mi tanto, che tegniva drio
Seguiva in su gli spiriti veloci: Lesto ai do Savi che in prestezza andava;
Quando Virgilio cominciò : Amore, Co a Stazio cussi parla el mestro mio : IO
Acceso di virtù, sempre altro accese, Se un ama un altro per le so virtù,
Pur che la fiamma sua paresse fuore. Questo rende l'amor che ha in quel scovrio;
Onde, d'allora che tra noi discese Perciò sin dal momento che fra nu
Mei limbo dell'inferno Giuvenale, Giuvenal zo nel Limbo xe arivà,
Che la tua airezion mi fe palese, E l'amor too per mi m'ha contà In ;
Mia benvoglienza inverso te fu quale Quanto ami te go mi, nissun ga amà
Più strinse mai di non vista persona, Un visto mai cussi, che con ti in far
Sì ch'or mi parran corte queste scale. Ste scale, curte a mi le pararà.
Ma dimmi, e come amico mi perdona Ma di' ; e a mi, to amigo, perdonar
Se troppa sicurtà m'allarga il freno, Te piasa la mia tropa confidenza, 20
E come amico omai meco ragiona : E come amigo vogime parlar :
Come poteo trovar dentro al tuo seno Come mai l'avarizia far semenza
Luogo avarìzia, tra cotanto senno, In ti ha possudo ; in ti, omo de sesto,
Di quanto per tua cura fosti pieno ? Che ti ha savù ingrumarte tanta sienza ?
6 Co la parola sitiunt tenza el resta = l'Angelo disse: Ili-ati gai tininii iutn'tiam omettendo exurimd, ri-
serbato nel cerchio superiore dei golosi. Vedi l'ultima terzina del C. XXIV.
10 Co ..- quando.
14 Giavenal - Giuvenale poeta latino che fiori poco dopo Stazio.
23 omo de testa = uomo assennato, di garbo.
24 C/ie ti' ha savù ingrumarte = che hai saputo accumularti.
-
CANTO XXII. 259
Queste parole Stazio mover fermo Drio ste parole Stazio ga ridesto 25
Un poco a riso pria; poscia rispose: Prima un iau i in ; po '1 ghe responde: Grato
Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno. Ogni lo dito me va al cuor. Del resto
Veramente più volte appaion cose, Gh'è cosse che de quel che le xe in fato,
Che danno a dubitar falsa malera, Spesso diverse le se crederla,
Per le vere cagion che son nascose. No savendo el perche. Co ti m' ha fato 30
La tua dimanda tuo creder m'avvera La domanda se avaro sta mi sia,
Esser, ch'io fossi avaro in l'altra vita, Me gera incorto che ti l' ha credudo,
Forse per quella cerchia dov'io era : Perchè ai avari gera in compagnia :
Or sappi ch'avarizia fu partita Sapi anzi ch'el contrario vizio ho avudo
Troppo da me, e questa dismisura De l'avarizia, e questo falo mio 35
Migliaia di lunari hanno punita. Dei mesi a mier a mier m' ha là tegnudo.
E, se non fosse ch'io drizzai mia cura, E se no me gavesse convertio,
Quand'io intesi là dove tu chiame, Co a 'dir ti sto crior, quasi indii,'i
Crucciato quasi all'umana natura : Co la natura umana, t' ho sentio :
Perchè non reggi tu, o sacra fame D'oro empia fame, insin dove ti va 40
Dell'oro, l'appetito de' mortali ? Mai l'omo a strassinar? pur mia malora
Voltando sentirei le giostre grame. Saria tra i volta pesi condanà.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali Che sbuse avea le man m'ho incorto alora,
Potean le mani a spendere, e pentoliii E pentido me son de sto pecà,
Cosi di quel come degli altri mali. Come dei altri m' ho pentido ancora. 45
Quanti risurgeran co' crini scemi, Quanti ressussitando mancava
Per l'ignoranza, che di questa pecca Dei so cavei, che in vita, o in sul morir
Toglie il penttr vivendo, e negli estremi ! No i se pente, perchè '1 sia un mal no i sa !
E sappi che la colpa, che rimbecca E come zo a l'Inferno, t'ho da dir,
Per dritta opposizione alcun peccato, Che i do oposti pecati anca qua drento 50
Con esso insieme qui suo verde secca. I ga l'istessa pena da patir.
Però s'io son tra quella gente stato, Se qua donca dei ani cento e cento
Che piange l'avarizia, per purgarmi, Mi so sta tra i avari, come lori
Per lo contrario suo m'è incontrato. Per el vizio contrario ho avù el tormento.
Or, quando tu cantasti le crude armi Ma, salta su chi ga cantà i pastori : 55
Della doppia tristizia di Giocasta, Co dei fradei la morte ti ha cantà,
Disse 'l Cantor de' bucolici carmi, Ghe a Giocasta ga dà do gran dolori,
27 lo dito — tuo detto = Del resto = frase usala quando si ripiglia un argomento sospeso per interiezione,
30 Co = quando.
36 Itti meli a mier a mier =. a migliaia vedi v. 67 del C. precedente.
38 Co -_- quando ;- ilo crior i|unsi trainà = questa gridata quasi adirato.
40 D'oro nnliiu fame = è il passo del Lib. IH dell'Eneide. — Quid non mortalia pecioni cogli, ourt sin.ru
[noits 1
42 Saria ira i volta pai condanà — cioè, sarei dannato a volgere i gravi pesi tra gli avari e i prodighi
laggiù nell'inferno. Vedi Inferno C. VII. v. 25 e seguenti.
43 Che sbiisc avea le man -- frase che vale prodigalità.
46-47 mancarii Dei to cavei -.. vedi C. VII. v. 57 dell'lnf., uvV detto, che i prodighi risusciteranno nel di
del giudizio coi capelli tosati.
53 to -- sono.
55 Ma, tallo su = ma soggiunge = chi ga cantò i pastori = cioè Virgilio autore della Bucolica, ossia dei
versi pastorali.
58 Co = quando = dei fradei = Eteoele e Polinice ligli di Giocasta, la cui morte viene descritta da Sta
zio nella sua Tebaide.
57 do = due = Giocasta soffrì doppia amarezza per la pugna dei due suoi ligli Eteoele e Polinice.
260 DEL PURGATORIO
Per quel che Clio lì con teco tasta, Dai tasti che con Clio ti ga tocà,
Non par che ti facesse ancor fedele Par no ti avessi fede ancora in Dio,
La fe', senza la qual ben far non basta. ' Che senz'eia el far ben valor no ga. 60
Se così è, qual sole o quai candele Qual celeste o teren lume schiario
Ti stenebraron sì, che tu drizzasti T'ha donca 1'intetelo, e persuaso
Poscia diretro al Pescator le vele ? Del Pescaor starghe a le vele drio?
Ed egli a lui : Tu prima m'inviasti Lu ghe responde : A l'aqua del Parnaso,
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte, Ti m' ha invià prima ti, po m' ha moitrà fu
E poi appresso Dio m'alluminasti. Del ciel la strada la to scrita. El caso
Facesti come quei che va di notte, De chi porta el feral, ti ha renovà,
Che porta il lume dietro, e sè non giova, De note in schena, che noi serve a elo,
Ma dopo sè fa le persone dotte, Ma el ghe fa chiaro a chi da drio ghe va,
Quando dicesti : Secol si rinnova ; Quando ti ha dito: El secolo vien belo; 70
Torna giustizia e primo tempo umano; Torna giustizia, e '1 primo tempo uman,
E progenie discende dal ciel nuova. E un omo afato novo vien dal cielo.
Per te poeta fui, per te cristiano : Per ti so sta poeta e po cristian :
Ma perchè veggi me' ciò ch'io disegno, Ma a farle ben capir come l'è stada,
A colorar distenderò la mano. La storia mia te contarò drio man. 75
Già era il mondo tutto quanto pregno Gera per luto el mondo semenada
Della vera credenza, seminata La vera fede de Gesù incarnà,
Per li messaggi dell'eterno regno; Che i Apostoli soi ga proelamada ;
E la parola tua sopra toccata E con quanto li ha li profelizà,
Si consonava a' nuovi predicanti ; Le prediche de lori se acorda va; 80
Ond'io a visitarli presi usata. Per questo a praticarli m' ho invogià.
Vennermi poi parendo tanto santi, La so bontà cussi m'interessava,
Che, quando Domizian 1i perseguette, Che quando Domizian li ha maltratai,
Senza mio lacrimar non fm lor pianti. Con eli da passion mi lagremava.
E mentre che di là per me si stette, Sin che ho vissudo mi li go agiulai; 85
Io gli sovvenni, e lor dritti costumi Le virtù soe m' ha inàmorà talmente,
Fèr dispregiare a me tutt'altre sette ; Ohi1 i dogmi dei pagani ho desprezzai.
E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi No gavea la Tebaide ancora in mente
Di Tebe poetando, ebh'io battesmo; Co ho av ù el batizo, ma no go volesto
Ma per paura chiuso cristian fu' mi, Per paura scoverzerme; e la zente !i"
Lungamente mostrando paganesimi : Pagan per un gran pezzo m' ha credesto :
CANTO VENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Desio dell'arbor, che spiega suoi rami La vogia de quei pomi a de la pura
Verso ali' ingiù, e sete di pura onda Aqua, .'h.' tien i rami soi shianzai.
"I "ni dimagra, e andar ne li fa grami. Li fa tanto smagrir da lar paura.
Narra Forese, che quivi si monda Conta a Dante Forese i so pecai;
Sue colpe; e loda della moglie il pianto Loda do so mugier el pianto caro.
Che il suo purgarsi avaccia ed asseconda, Che ga i ani de pena a In scurtai.
E all'altre donne di biasimo intanto. E a l'altre done el tagia 20 el labaro.
Mentre che gli occhi per la fronda verde Mentre tra i rami verdi l'ochio mio
Ficcava io così, come far suole Ficava, come el cazzador lo tien,
Chi dietro all'uccellin sua vita perde; Perdendo el tempo, a l'oseleto drio ;
Lo più che padre mi dicea : Figliuole, Quel che me fa più che da pare: Vien
Vienne oramai, che '1 tempo che c'è imposto Con nu, el me dise, che a far pro del resto
Più utilmente compartir si vuole. ' Del tempo che i ne dona, ne convien.
r voUi '1 viso e il passo non men tosto El viso e i pie voltai, m' ho tirà presto
Appresso a' savi, che parlavan sie, Rente ai Savi, dei quali me liiz/e,i
Che l'andar mi facèn di nullo costo. I bei discorsi andar lem-io e lesto.
Ed ecco pianger e cantar s'udie, Quando in coro pianzendo, Labia mea, 10
Labia meo, Domine, per modo Domine, s' ha sentio cantar cossi,
Tal, che diletto e doglia parturie. Che in cuor dogia e dileto ve mutivi.
O dolce Padre, che è quel ch'i' odo ? Coss'è, pare, sti canti ? ho dito mi ;
Comincia' io : ed egli : Ombre, che vanno E lu: Aneme xe, che, ghe scometo,
Forse di lor dover solvendo il nodo. El so pecà le sta purgando lì. 15
Sì come i peregrio pensosi fanno, Come i viandanti coi pensieri in peto,
Giugnendo per cammiu gente non nota, Incontrando no mai veduda zente,
Che si volgono ad essa e non ristanno ; I se volta a vardarla e i tira dreto ;
Così diretro a noi, più tosto mota, Cussi presto drlo a nu ne ariva arente
Venendo e trapassando, ci ammirava Vardandone una trupa, e passa via, 20
D'anime turba tacita e devota. D'aneme senza arfiar devotamente.
Negli occhi era ciascuna oscura e cava. I ochi a tute incavai se ghe scovriu :
Pallida nella faccia, e tanto scema, Smorte smorte e smagrie le gera a ségno,
Che dall'ossa la pelle s'informava. Che sola pele i ossi coverzia.
Non credo che così a buccia strema Erisitòn tanto smagrà ritegno 25
Erisilon si fusse fatto secco, Noi fusse dal dezun co, spaventà,
Per digiunar, quando più n'ebbe tema. Morir da la gran fame el xe sta degno.
28-30 gara i Ebrei = gli Ebrei elic furouo costretti a cedere a Tilo Gerusalemme, assediata, uri qmk m-
contro Maria, gentildonna Girosolomitana, vinta da rabbiosissima fame, volsc i denti nel proprio fìgliuolino.
32-33 Chi leze mno tee. = nel volto umano pare ad alcuni elie si veggano i segni della lettera M, fra )<
gamlic della quale sìeno frapposti due O; onde leggonvì Omo: i due O sonagli occhi; l'Jf formasi dalle cigiii
e dal naso. Questi segni meglio appariscono nei volti scarni.
36 no Irovaudo el drila — nuli sapendo scuoprirnc il modo.
48 Farese = fu della famiglia fiorentina dei Donati fratello di Messer Corso e di Piccarda, ed amico e "a-
rente di Dante, di cui era moglie una Gemma di Donati.
50 infrapolia = raggrinzata.
54 mo = particella riempitiva.
59 to incanta --. sono preso da miraviglia.
60 Che no avria el mio d'inono 6an impianto •.. che il mio discorso sarebbe non bene fondato.
CANTO xxrti. 265
Tutta Mia gente che piangendo canta, Qua indrio. Tuta sta zente per aver
Per seguitar la gola oltre misura, La gola secondada, pianze e canta 65
In fame e in sete qui si rifà santa. Tra la fame e la se' per po godèr.
Di bere e di mangiar n'accende cura Da magnar e da bever de la pianta
L'odor ch'esce del pomo, e dello sprazzo Ne fa vogia l'odor, e l'aqua chiara
Che si distende su per la verdura. Ohe su tute le fogie la vien spanta.
E non pur una volta, questo spazzo No una sol volta questa pianta avara, 70
Girando, si rinfresca nostra pena ; , Qua zirando, la pena ne renova ;
Io dico pena, e dovre' dir sollazzo ; Digo pena, e dovea zontarghe cara :
Che quella voglia all'arbore ci mena, Che la brama de l'album se prova,
Che menò Cristo lieto a dire Eli Che ha menà Cristo a dir alegro Eli,
Quando ne Uberò con la sua vena. Quando el n" ha dì col sangue vita nova. 75
Ed io a lui : Forese, da quel dì Mi ghe digo : Forese, da quel di
Nel quai mutasti mondo a miglior vita, Che al mondo per el ciel ti ha dà l'adio,
Cinqu'anni non son volti insino a qui. (•Fianca cinque ani xe passai. Se ti
Se prima fu la possa in te finita La pase nel morir ti ha avù con Dio,
Di peccar più, che sorvenisse l'ora Quando pecar no ti podevi più, 80
Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, Che alora solo ti t" ha ben pentio ;
Come se' tu quassù venuto ? Ancora Vegnir come astu fato sin qua su ?
Io ti credea trovar laggiù di sotto, Credea trovarle là da basso ancora,
Dove tempo per tempo si ristora. Dove sta chi se perno tardi. E lu :
Ed egli a me: Sì tosto m'ha condotto El dolce absinzio a ingioter qua de sora, 85
A ber lo dolce assenzio de' martiri Me ga tirà ben presto et lagremar
La Nel'.a mia col suo pianger dirotto. Che a goti la mia Nela ha butà fora.
Con suoi prieghi devoti e con sospiri Eia m' ha coi sospiri e col pregar
Tratto m' ha della costa ove s'aspetta, Cavà via da de là dove s'aspeta,
E liberato m' ha degli altri giri. E anca da sii altri ziri liberar 90
Tant'è a Dio più cara e più diletta La m' ha possù. Più ancora a Dio xe acela
La vedovella mia, che tanto amai, La vedoela mia, che ho tanto amada,
Quanto in bene operare è più soletta ; Mantegnindose in mezo al sporco nela;
Che la Barbagia di Sardigna assai Che Barbagia in Sardegna, più onorada
Nelle femmine sue è più pudica Per le sgualdrine soe se poi tegnir, 95
Che la Barbagia dov'io la lasciai. Che la Barbagia, in dove l'1to lassada.
O dolce frate, che vuoi tu ch'io dica ? Caro fradelo, cossa possio dir ?
Tempo futuro m'è già nel cospetto, Vegnerà '1 tempo, e za el me xe presente
70 avara - nel senso elic rifiuta i suoi fratti agli affamati che purgano il peccato della gola.
72 ;,,nini iilir --- aggiungerle.
74 III, = Eit lammo tabachtani, sono parole elic Cristo disse sulla croce poro avanti di spirare, e signifi
cano: Dio mio, perchè mi hai abbandonalo ?
76-84 = Vedi il C. MI. v. 136-140, e il C. IV. v. 130-135.
85 l'J dolce absinzio — chiama Koresc dolce assenzio le pene sebbene amare per se medesime, perchè sono
desiderale siccome quelle che lo fanno degno dell'eterna beatitudine.
87 a goti = frase che denota il Ingrimare a dirotto = AWo = moglie di Forese, elin benchè giovane ser
bi) usta vedovanza e fece molle buone opere in suffragio dell'anima del marito.
94 Rarbayia = e la parte più incolta e montuosa di Sardegna: cosi era chiamala per esser quasi barbara
E quando i Genovesi tolsero l'isola agli infedeli, non mui soggiogarono la Uurbngia, dov'erano donne mollo sco
stumate e disonestamente vestile.
06 (l„ la Barbogia .-.-.- di quello elic sia la Barbagia di Toscana, vale a dire di Firenze.
266 DEL PURGATORlO
Cui non sarà quest'ora molto antica, Nè '1 starà tanto, quando proibir
Nel qual sarà in pergamo interdetto Se sentirà dal pulpito aspramente 100
Alle sfacciate donne fiorentine A te sfrontade done fiorentine,
L'andar mostrando con le poppe il petto. De andar mostrando i nui peti a la zente.
Quai Barbare fur mai, quai Saracine, Quando Barbare mai, o Saracine
Cui bisognasse, per farle ir coverte, Bisogno ha avù, per farle andar coverte,
O spiritali o altre discipline ! De corezion umane o de divine ! 105
Ma se le svergognate fosser certe Ma se le vergognose fusse certe
Di quel che il ciel veloce loro ammanna. De quel che presto ghe parechia il cielo,
Già per urlare avrian le bocche aperte. Le sfaragiarave con le boche averte,
Che, se l'antiveder qui non m'inganna, Che se no profetizo mal, fradelo,
Prima flen triste, che le guance impeli Prima custie le gavarà el castigo 110
Colui che mo si consola con nanna. Che nassa al so bambin sul viso el pelo.
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi; Ma di' com'estu qua vegnudo, amigo ?
Vedi che non pur io, ma questa gente Varda che no mi solo, ma sta zente
Tutta rimira là dove il Sol veli. Se incanta dove al Sol ti xe de intrigo.
Perch'io a lui : se ti riduci a mente E mi: se quel che insieme ti ga in mente 11o
Qual fosti meco e quale io teco fui, Semo stai nu quel tempo desgrazià,
Ancor fia grave il memorar presente. Mai ne farà in pensarlo solamente.
Di quella vita mi volse costui, Dai bruti vizi, l'altro dì passà '
Che mi va innanzi, l'altr'ler, quando tonda M' ha tolto questo che me va davanti,
Vi si mostrò la suora di colui Quando la Luna el tondo ga mostrà. 120
(E il Sol mostrai). Costui per la profonda Elo, mi vivo, el m' ha menà tra i pianti
Notte menato m' ha de' veri morti, Dei danai al'lnferno, e vegnui fora
Con questa vera carne che il seconda. Da là, coi so consegi e avisi tanti,
lndi m' han tratto su gli suoi conforti, El m' ha tirà zirando qua de sora
Salendo e rigirando la montagna, E rezirando per sto monte via, 125
Che drizza voi che il mondo fece torti. Che dai guasti del mondo ve restora.
Tanto dice di farmi sua compagna, S' ha impegnà lu de farme compagnia
Ch'io sarò là dove Ma Beatrice : Sin che troverò Bice in altro regno ;
Quivi convien che senza lui rimagna. Là eia sola sarà compagna mia.
Virgilio è questi che così mi dice Questo è Virgilio, e con un dèo gh'el segno, 130
(E addita' lo), e quest'altro è quell'ombra Ch'el m' ha dito cussi, l'altro «e quelo,
Per cui scosse dianzi ogni pendice Per el qual desso ha tremà el monte, e degno
Lo vostro regno che da sè la sgombra. Del ciel, lo lassa andar libero el cielo.
103 Sortifine = nel medio Evo si chiamavano Saracine indistintamente tutte le nazioni, tranne gli Ebrei,
clic non professavano il Cristianesimo.
108 /.e tòragiarave •••• esse striderrbbcro.
114 al Sol li xe de intrigo = cioè, fai col tuo corpo inciampo al passaggio del raggio solare.
116 anno stai nu = cioè, quali fummo insieme, vale a dire dati alla vanita ed ai piaceri del secolo.
119 quexto — cioè Virgilio.
130 dèo = dito.
131 l'altro re — cioè Stazio.
267
CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Un'altra pianta qui spiega sue frutte. Un altro arhoro mostra qua I so fruti.
Sotto cui striiion le bramose genti, Soto el qual sta cigando de la xente
Col desio acceso, e. colle labbra asciutte ; Co la vi-L'iii dei pomi, n i lavri snti;
Alian le mani, e a v6to usano i denti. I alza le man, e 1 denti invanamente
Poi si diparton li Poeti, e vanno I sbate. I do Poeti ariva avanti,
Dove un de Cherubini rilucenti Dove andar suno un Cherubin lusente
Pio su gl'invita, ov'altrc anime stanno. Li invida, e i trova altre aneme purganti.
Nè il dir l'andar, ne l'andar lui più lento Nè'l parlar fava adasio caminar,
Ftcea : ma ragionando andavam forte Nè l'andar parlar pian, ma là s'andava
Sì come nave pinta da buon vento. Parlando, come vela sgionfa in mar.
E l'ombre, che parean cose rimorte, L'aneme, che ai stramortì somegiava,
Per le fosse degli occhi ammirazione Per esser vivo mi, maravegiando,
Traean di me, di mio vivere accorte. Tute i ochi incavai le me piantava.
Ed io, continuando il mio sermone. E digo, el mio discorso seguitando,
Dissi: Ella sen va su forse piùtarda, Più che noi voria el passo lu retarda,
Che non farebbe, per l'altrui cagione. Forsi perchè con nu lu vien parlando.
Ma dimmi, se tu sai, ilo v è leccarda ; Ma dime, se ti sa, dov'è Picarda; 10
Dimmi s'io veggio da notar persona E se nissun ch'abia de fama el vanto
Tra questa gente che sì mi riguarda. Ghe sia tra questi che cussi me varda.
La mia sorella, che tra bella e buona La mia sorela, che no so dir quanto
Non so qual fosse più, trionfa lieta Se più bela o più bona la sia stada,
Viniliti Olimpo già di sua corona. Xe in ciel gloriosa, el dise, e dopo : Tanto Ì5
Si disse prima : n poi : Qui non si vieta La fame n' ha la ciera desformada,
Di nominai ciascun, da ch' è sì munta Che ognuna de quest'aneme qua su,
Nostra sembianza via per la dieta. Oramai la poi esser nominada.
Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta ; Xe Bongiunta de Luca questo, e lu
Buonaglunta da Lucca : e quella faccia Me l' ha mostrà col dèo, e quel de là
Di là da lui, più che l'altre trapunta, De tuti i altri zupegà de più,
Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia : L'è sta Papa dal Torso, c'1 purga qua
56 a Gui/on = Guittonc fu d'Arezzo poeta più elegante di Bonagiunta: nacque nei 1250; di 34 inni si fece
dei frati Gaudenti, fu buon cittadino = Nodaro . il Notaro è il poeta Jacopo da tentino. Visse circa il 1270.
1* sue rime sono assai disadorne.
58 V muri vcrti = Dice vostri, perelio allude alle poesie non del solo Dante, ma di Guido Cavalcanti e di
Ciao da Pistola.
88 a drilu ockiandv -.—. volgendo gli ocelu a iit,iii dritta, come andavano prima.
SI cuoi no.' — cosi non fossel
83 Forese qui parla in tuono profetico.
84 C/ii ./» più colpa = cioè il Corsu Donati. Questi fu cavaliere di grande animo, ardito e franco, valen-
lissimu e bellissimo uomo. Fece farn in Firentc molti scandali per avere Stalo e Signoria; per il che nel 1308
fu citato dal popolo e condannato; le caso di lui assalite. Egli si difese co' suoi; abbandonato dai soccorsi pro-
iwssi da Uguceioue fuggì; ma inseguilo dai soldati Catalani, cadde o si gettò da cavallo e restato con un piede
utili staffa, ne fu tanto strascinato che i suoi nemici lo soprnggiunscro e lo finirono di uccidere presso u San
Silfi poco distante da Firenze, il di 6 di Ottobre.
86 tbatio = morto.
270 DEL, PtiRtiVrORlO.
Non hanno molto a volger quelle ruote No farà '1 Sol gran ziri avanti e indrio,
(E drizzò gli occhi al ciel), ch' a te lla chiaro (E '1 ga ochià '1 ciel) che quel che no me lassa
Ciò che '1 mio dir più dichiarar non puote. Più dir la boca, te sarà schiario. I
Tu ti rimani omai, chè '1 tempo è caro Fermite qua oramai: ch'el tempo passa
ln questo regno si, ch'io perdo troppo A nu tanto prezioso, e mi per starle
Venendo teco sì a paro a paro. A pari passo ghe ne perdo massa.
Qua1 esce alcuna volta di galoppo Come vien fora un cavalier de Marle
Lo cavalier di schiera che calvachi, Da la fila a galoppo, per i onori 95
E va per farsi onor del primo intoppo ; Del primo scontro, e core a l'altra parte;
Tal ti partì da noi con maggior valchi; Cussi lu andava a passi coridori
Ed io rimasi in via con esso 'i due, Coi altri do, lassandome impiantà,
Che fur del mondo sì gran maliscalchi. Che nel mondo i xe stai do gran dotori.
E quando innanzi a noi sì entrato fue, Co '1 s' ha da multi i tanto stontanà,
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci, Che in confuso sol vèderlo podeva,
Come la mente alle parole sue; Come el discorsp soo scuro el m' è sta ;
l'arvermi i rami gravidi e vivaci Un altro arboro verde mi vedeva
D'un altro pomo, e non molto lontani, Cargo de pomi, e no lontan da nu,
Per esser pur allora volto in laci. Chè solo alora l'ochio là spenseva. 105
Vidi gente sott'esso alzar le mani, Soto a quel zente co le man in su,
E gridar non so che verso le fronde Ghe diseva a le fogie no so cossa,
Quasi bramosi fantolini e vani, Cofà i palei, vogiosi che mai più,
Che pregano, e il pregato non risponde ; Prega chi no responde, el qual l'angossa
Ma per fare esser ben lor voglia acuta, Per cresserghe, el zogatolo veder
Tien alto lor disio, e noi nasconde. Fa in su cussi, che a quel rivar no i possa.
Poi si partì sì come ricreduta ; Tolti d'ingano i ga lassà el pomer ;
E noi venimmo al grande arbore adesso, E nu a l'alboro andemo al prego muto,
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta. E che de pianti no ne voi saver :
Trapassate oltre senza farvi presso ; Passe, no vegnì arente de sto fruto ; 115
Legno è più su che fu morso da Eva, El vien da l'altro che magnà ga Eva :
E questa pianta si levò da esso. Quel xe più in suso, e questo xe un so buto
Sì tra le frasche non so chi diceva ; Tra i rami, chi no so, cussi diseva ;
Perchè Virgilio e Stazio ed io ristretti Perciò Stazio, el Dotor e mi, lacai
Oltre andavam dal lato che si leva. Rivemo in dov' el muro alto se leva.
Ricordivi, dicea, de' maledetti Po la ose istessa ; Pensè a quei frustai,
Ne' nuvoli formati, che satolli Che da niola sortii, Teseo i sfidava,
Teseo combattèr co' doppi petti : Passui, coi peti umani e de oavai:
124-126 Pntè ai Mirti éc. = i soldati Ebrei, bevendo al fonte di Armi, si mostrarono troppo delicati ed
avidi, ponendosi giù in terra a bere culla bocca nella fonte; il perche Celicone, secondo il comandamento di
Dio, non li volle per compagni quanit'egli discese le colline per muovere contro i Madianili alleluiali alla pia
nura = punti = qui vale per puniti.
127 lientt a un orlo del trozo -.- vicino ad una estremità del viottolo: vedi qui sopra la nota 1 19 = NH
MIl'»' = noi giunti.
129 senati = nascosti, cioè ignorati prima di ascoltarli dai purganti.
130 sliraluila :- sgombra dagli alberi e dalle anime.
131 senza arfiar - senza fiatare.
132 d'un miera = d'un miglio.
134 trngn un SOMMI = dò un trabalzo: quello scotimento naturale dellu persona al sentire una voce im
provvisa.
149 scattando -... cassando, cancellaqdo.
151 ln quest'ultima terzina è parafrasato il lieali aui txuriunt iustitiam, parole omesse dall'Angelo, di cui
il v. 8 del C. XXll; vedi la nota ivi.
272 DEL PVRKATOnin
CANTO VENTESlMOQUlNTO
ARGOMENTO ^ ARGOMENTO
;J
Come sì puo far magro ove non aia \. , Come se poi vegnn. magri in un sito
Uopo di cibo, Dante chiede, e Stazio Dove el cibo no ocor : sto dubio andando
Gli selva il dubbio meniro sono in via. Fa Dante, e Stazio lo ha schiario pulito.
Poi trovan fiamma nell'ultimo spazio, Po ne l'ultimo ziro un fogo grando
Chfi quivi ardendo quel peccato monda, Eli trova, che brusa quel pec^,
Ond' hanno l'alme sulla terra strazio, Che in sto mondo va l'aneme strazsando,
Se mal volere Venore asseconda. Se l'abuso de Venere se fa.
Ora era che '1 salir non volea storpio, Passada gera de do ore l'ora
Chè '1 Sole avea lo cerchio di merigge De mezo zcinni, e tempo da butar
Lasciato al Tauro, e la Notte allo Scorpio. No ne avanzava per andar de sora.
Per che, come fa l'unni che non s'aflligge, Perciò come chi ha pressa d'un afar,
Ma vassi alla via sua, checchè gli appaia, Se '1 vede tirar drito la so strada,
Se di bisogno stimolo il trafigge; E qualsia incontro no lo fa fermar;
Cosi entrammo noi por la callaia, Cossi un drio l'altro avemo nu imbocada
Uno innanzi altro, prendendo la scala La stradela, chiapando la scaleta,
Che per artezza i salitor dispaia. Che a do a do no lassa che se vada.
E quale il cicognin che leva l'ala E come per svolar la cicogne!a le
Per voglia di volare, r non s'attenta Prova l'ala a stargar, nè avendo cuor
D'abbandonar lo nido, e giù la cala ; De lassar el so nido in zo la pela ;
Tal era io, con voglia accesa e spenta Tra la vogia anca mi e tra '1 tinnii
Di dimandar, venendo in lino all'atto Re domandar, fazzo de quelo el sesto
Che fa colui ch'a dicer s'argomenta. Che la parola, ch'el voi dir, ghe mor.
Non lasciò, per l'andar che fosse ratto, Dise, siben andassimo aseae presto
Lo dolce Padre mio, ma disse : Scocca El mio bon Pare : Via, quel buta fora
L'arco del dir, che insino al ferro hai tratto. Che ti geri per dir, nè ti ha podesto.
Allor sicuramente aprii la bocca, Scazzà '1 limni , la boca averzo alora,
•211
E cominciai : Come si può far magro E digo : Come poi smagrir la zente
Là dove l'uopo di nutrir non tocca ? ('.he no ghe ocor el cibo più qua sora ?
Se t'ammontassi come Meleagro Se come consumà ti avessi in mente,
Si consumò al consumar d'un tizzo, S' ha Melagro d'un stizzo al consumar ;
4 pretta — premura.
9. a do a da = n due a due uniti.
11 nè uneuitii cuor -•• nò avendo coraggio.
12 tu zo la psla . in giù la butta, la deppne.
14 fazzo de quelo el tetto — faccio l'atto di colui.
17 Pare = padre.
23 .S Vi a Melagro = nato Mcleagro, le fate dissero clic il viver suo avrebbe durato finclic fosse consumslo
un ramo d'albero ch'esse posero ad ardere. Sua madre Altra prese e spense il lizzo. Poi Meleagro nccise il cin
ghiale mandato per ira di Diana a ne dono ad Atalanta la testa. Gli zii di lui n'ebbero ira, presero quel teschio
ed egli gli nccise. Alluni Altea per vendetta dei due fratelli, venne in tanto furore che rimise nel fuoco T1
lizzo onde il giovane si mori.
CANTO XXV. 273
\on fora, di-v. questo a te si agro : Ti capiressi el fato chiaramente.
E se pensassi come al rostro guizzo E com'el spechio, se ti sta a pensar, 25
Guizza dentro allo specchio vostra image, Te rende a vista moto qualsesia,
tii che par duro ti parrebbe rizzo. Saria panada quel che osso te par.
Ma perchè dentro a tuo roler t'adage, Ma aciò de man in man te sia schiaria
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego, La cossa, eco qua Stazio, che lo prego
Che sia or sanator delle tue piage. Fartela ben capir per cortesia. 30
Se la veduta eterna gli dispiego, Disc Stazio : Se avanti a ti ghe spiego
Rispose Stazio, laddove tu sie, Le maravegie de sto eterno sito,
Discolpi me non potert'io far niego. Me scusa el prego too che no tei nego.
Poi cominciò: Se le parole mie, Po '1 scomenza: Fradelo, se pulito
Figlio, la mente tua guarda e riceve, Ti consideri e intendi el mio parlar, 35
Lume ti fieno al come che tu die. Te scomparirà '1 dubio che ti ha dito.
Sangue perfetto, che mai non si beve Al sangue puro che no poi suchiar
Dall'assetate vene, e si rimane Le vene che ga sè, e sempre el sta
Quasi alimento che di mensa leve, lndrio, come l'avanzo del disnar,
Prende nel cuore a tutte membra umane Per formar corpi umani el cuor ghe dà 40
Virtute informativa, come quello Virtù tal, che per farse in quei va lesto
Ch'a farsi quelle per le rene rane. Tra le vene. Più ancora ratinà
Ancor digesto scende ov'è più bello Zo '1 vien in dove laser xe modesto ;
Tacer che dire; e quindi poscia geme Po '1 cala su altro sangue in tei vaseto
Sovr'altrui sangue in naturai vasello. Da la natura destinà per questo. 45
lvi s'accoglie l'uno e l'altro insieme, Là insieme fa i do sangui un missianzeto,
l.'un disposto a patire e l'altro a fare, Un disposto per tor, l'altro per dar,
Per lo perfetto luogo onde si preme; Perchè zoso da un logo el vien perfeto.
E giunto lui, comincia ad operare, Sto sangue unito a l'altro a laorar
Coagulando prima, e poi avviva Scomenza ; in prima el se infississe, e quando 50
Ciò che per sua materia fe constare. S" ha formà l'embrion lo va anemar.
Anima fatta la viriate attiva, Annua, la virtù, che sta operando,
Qual d'una pianta, in tanto differente, Vien, solo da una pianta diferente,
Che quest'è in via, e quella è già a riva, Che questa è a cao, e quela se va inviando ;
Tanto ovra poi, che già si muove e sente, L'opera insin che la se move e sente, 55
Come fungo marino ; ed ivi imprende Come un fongo de mar; e la scomenza
Ad organar le posse ond'è semente. l organi a far del corpo bravamente.
Or si spiega, figlinolo, or si distende L'umor che vien dal cuor, al qua1 potenza
La virtù ch'è dal cuor del generante, Ga dà natura el corpo a generar,
Dove natura a tutte membra intende. El se siarga e se stonga a l'ocorenza. 60
Ma, come d'animai divegna fante, Ma come in questo la ragion entrar
46 i do sanguì = cioè |il sangue del maschio e quello ilclla femmina — un tnissianzeto ..- una mesco-
luz*.
48 iln nn lago el vien perfeto = discende dal cuore ili tintura perfetta.
50 e/ te infusine — si coagula.
51 l'embrion = cioè il feto.
54 è a cao = è compiuta.
18
274 DEL PURGATORIO
Non vedi tu ancor : quest'è tal punto Possa, no ti sa ancora. A tomo via
Che più savio di te già fece errante; Un più savio de ti ga fato andar
Sì che, per sua dottrina, fe disgiunto Sta question. L'inteleto in compagnia
Dall'anima il possibile intelletto, De l'anema no sta, perchè, dis'elo, G5
Perchè da lui non vide organo assunto. In quel noi scovre un organo qualsia.
Apri alla verità, che viene, il petto, Ma come po la xe, scolta : el cervelo
E sappi che, sì tosto com'al feto Sapi, chtl apena apena là nel felo
L'articolar del cerebro è perfetto, In luta perfezion s'ha fato, Quelo
Lo Motor primo a lui si volge lieto, Che tuto move, varda con dilclo 70
Sovra tant'arte di natura e spira Tant'arte de natura, e col so Ilà
Spirito nuovo di virtù repleto, Spirito ghe introduce de inteleto,
Che ciò che truova attivo quivi tira Che di in lu, quel che ha moto e xe aneroà
In sua sustanza, e fassi un'alma sola, Se tira ; e cussi un ancma elo sola
Che vive e sente, e sè in sè rigira. Che vive e sente, e che riflete el fa. 75
E perchè meno ammiri la parola, Ma per megio capir la mia parola,
Guarda il calor del Sol che si fa vino, Varda el calor del Sol che se fa un,
Giunto all'umor che dalla vite cola. l 'nìn a l'umor che da la vida còla.
E quando Lachesis non ha più lino, E co I. uchrsi ga lilà el so Un.
Solvesi dalla carne, ed in virtute L'anema lassa el corpo, e drio se porta 80
Seco ne porta e l'umano e il divino. Quanto Il'uni, in l'aveva e de ilivin.
L'altre potenzio tutte quante mute ; Del corpo ogni potenza resta morta ;
Memoria, intelligenzia, e volontarie, Ma el voler, la memoria e Hnteleto
In atto, molto più che prima, acute. Più ancora se rafina. Senza scorta
Senza ristarsi, per sè stessa cade La fa subitamente el so viazrio 85
Mirabilmente all'una delle rive; Sin Acheronte, o al mar; e po là zonta,
Quivi conosce prima le sue strade. Quai sia la vede in prima el so tragheto:
Tosto che luogo lì la circonscrive, E in dove la se ferma se fa pronta,
La virtù formativa raggia intorno. Solo per virtù soa, de l'aria un velo
Così e quanto nelle membra vive. Su la forma del corpo, in dove sconta 80
E comè l'aere, quand'è ben piorno, L'è stada. E come tra i vapori el cielo
Per l'altrui raggio che in sè riflette, Per riflesso del Sol el se pitura
1)1 diversi color si mostra adorno ; De diversi colori e se fa belo ;
Così l'aer viclu quivi si mette Cossi tol l'aria intorno la figura,
In quella forma, che in lui suggella Che in virtù soa ga l'aintma incalmada. 95
62'63 A larzìo via Un più savio de ti gn fato aiutai- = fece i-udore iu orrore, prenderir abbaglio UH;i di
te più sapiente. Averroe commentatore d'ArUtulelc disgiunse dall'anima lu facoltà d'Intendere così denominain da
gli scolastici, perchè non vide che l'intelletto per inU-ndrrc facesse uso d'alcun organo corporeo, a quel modi-
elic fu l'anima sensitiva, quando per vedere usa di-li 'occhio e per udire dell'orecchio.
fif-70 Quelo elic luta move = Dio.
71-75 col so fiù tee. = eoi suo (iato infondo un nuovo spinto d'intellcllo: questa e l'anima intelleitiva che
attrae e identifica nella propria sostanza tutto quello che nel feto trova di attivo, cioè l'anima sensitiva t la
vegetativa; u così, di tre anime ne fu una sola, elic xrgrti, sente ed intende.
78 còla — scola.
79 co = quando = Lachesi = e quella deìle Ire l'ardic elic lila lo stame della viia umana.
86 Sin Achci-onte, o ni mar — Acheronte, fiume dell'Infcrnv, al mare .Medilcrrauco sulla foce del Tevere
Vedi C. II. v. 101 = e po In Z'mtu = e poi eulii giunia.
S7 tr0yhtlo — trafitto per l'acqua.
95 iucalmaita = qui e presa nel significalo di impressa.
CAM'O XXV. 275
Virtualmente l'alma che ristette: E come al fogo, che per so natura
E simigliarne poi alla fiammella Tien ili in la llama da per luto el vada,
Che segue il fuoco là 'vunque si muta. Cossi sta l'aria, per l'avtia potenza,
Segue alio spirto sua furma novella. Forma nova al so spirito tacada.
Perocchè quindi ha poscia sua paruta, Ombra ha nome perciò la so aparenza ; 100
E chiamat'ombra ; e quindi organa poi E regolai po tuli i sentimenti,
Ciascun sentire insino alla veduta. lnsina de la vista no va senza.
Quindi parliamo, e quindi ridiam noi, Qua donca nu parlcmo tra i tormenti,
Quindi facciam le lagrime e i sospiri, Come anca rider, pianzer, sospirar
Che per lo monte aver sentiti puoi. Ti ga in sto monte za scntio e ti senti. 105
Secondo che ci affiggon li disiri Co le vogie ne vien a bisegar,
E gli altri affetli, l'ombra si figura; L'ombra la fa d'un vivo i sesti e i tiri,
E questa è la cagion di che tu miri. E xe quel che te fa maravegiar.
E già venuto all'ultima tortura Vegnù dove xe i ultimi sospiri, »
S'era per noi, e volto alla man destra, L'alenzion nostra a drita ne chiamava 110
Ed eravamo attenti ad altra cara. De quel ultimo ziro altri martiri.
Quivi la ripa fiamma in l'mir balestra, Qua una fiama la sponda gomitava
E la cornice spira fiato in suso, Kemandada con furia da un gran vento,
Che la reflette, e via da lei sequestra. Che l'orlo del trozeto in su supiava ;
Ond'ir ne convenia dal lato schiuso E a un a un sforzai d'andar a stento 115
Ad uno ad uno, ed io temeva il fuoco Hi ii) quel orlo, in azonU al gran suplizio
Quinci, e quindi temeva il cader giuso. Del fogo, de cascar gavea spavento.
Lo Duca mio dicea : per questo loco Me diseva el Dotor : Qua gran giudizio
Si vuoi tenere agii occhi stretto il freno, Bisogna aver, e i ochi in testa qua
Perocch'errar potrebbesi per poco. Per scapolar la iiama e '1 precipizio. 1.20
Summce Deus clementia>, nel seno El Smania; Deus clementine go ascoltà
Del grand'ardore allora udi' cantando, ln mezo al fogo vegnir via cantar,
Che di volger mi fe caler non meno. E là in quel sito l'ochio go butà.
E vidi spirti por la fiamma andando : Quando spiriti ho visti caminar
Perch'io guardava ai loro ed a' miei passi, • ln tui fogo, le ochiae mi spartindo, ora 125
Compartendo la vista a quando a quando. I so passi, ora i mii stava a spiar.
Appresso il fìne, ch'a quell'inno fasst, ln sul linir del Salmo, a forte alora . . ,
Gridavan alto: Virum non cagnosco; K• Virum non cognoaco, eli cantava y
lndi ricominciavan l'inno bassi. Po a voso bassa i lo cantava ancora.
Finitolo, anche gridavano : Al busco Terminà che i ga l'lno, anca i cigava : 130
99 tacada = congiunta.
106 histqar = frugare.
107 i sesti e i tiri -- gli atti r i modi.
113 ltemaniladu •••• respinta in dietro.
lH l'orto — la cima dellu rivu si.nza spumi:i — trn i.Io — vi.illdo — xnfiiucu =: sufliava.
116 in iizuHt'i " in aggiunta.
119 e i ufili in testa = i: stare accorti.
121 Suiuraie Dcux clementiiv i• il principio ilcll'imio ihc hi ivdla m'l matlntinu ilei 'Sattato, o che
nnnr purgatili la lussuria, cantano percliè in esso si ilonianila a Din il dunii ilrlla purita.
128 Vinoa non cugnoicu = parole iletto ila Maria Vergine ull'AiTìnigflu Uabricle.
276 DEL l'IiRGATORIO
Si tenne Diana, ed Elice caccionne, Diana coreva al bosco, e Elice via
Che di Venere avea sentito il tosco. Ga descazzada per lusuria in bando.
Indi al cantar tornavano; indi donne Dopo altri canti, eli a lodar se invia
Gridavano, e mariti che fur casti, liini r e mai i i stai casti, come za
Come virtute e matrimonio imponne. . La virtù e '1 matrimonio voi che sia. 135
E questo modo credo che lor basti E de sto i riitu penso i andarà
Per tutto il tempo che '1 fuoco gli abbrucia : Sin che li purga el fogo: el pentimento
Con tal cura conviene e con tai pasti E quel martirio ghe destruzerà
Che la piaga dassezzo si ricucia. L'ultimo vizio a l'ultimo tormento.
131-132 Diana coreva al botca ce. - Diana cacciatrice, che sempre si mantenne vergine, avendo inteso etic
una fanciulla del suo seguito chiamata Calisto, era gravida, corse al bosco ove aveala lasciata, e tosto ne la cac
ciò. = Questa poi divenne in cielo l'Orsa Maggiore, costellazione che in greco chiamasi Elice.
134 e i marti = e i mariti.
136 E de tlo trota -- e cosi di seguito.
139 L'ultimo vizio a l'ultimo tormento -- cioè il peccato elic si punisce nell'ultimo girone.
CANTO VENTESIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro, In orlo andando un dopo l'altro, Bada,
Ce n'andavamo, spesso il buon Maestro De trato in trato el Mestro me disevn,
Diceva : Guarda ; giovi ch'io ti scaltro. Dove ti puzi i pie longo la strada.
Feriami il Sole in su l'omero destro. La spala drita el Sol za me bateva,
Che già, raggiando, tutto l'occidente El qual coi ragi sol tuto el Ponente,
Mutava in bianco aspetto di cilestro ; Da celeste, perlin vegnir faseva.
Ed io facea con l'ombra più rovente Se mostrava, per l'ombra mia, più ardente
Parer la fiamma, e pur a tanto indizio La fiama, e questo solo ga bastà
Vidi molt'oimbre, andando, poner mente. A lante aneme in moto, a darme mente.
Questa fu la cagion che diede inizio Xe questo sta '1 motivo che ga dà
Loro a parlar di me ; e cominciarsi A loro de parlar de mi, col dir:
A dir: Colui non par corpo liti izin. Noi par un corpo fmto colù là.
1 In orlo andando = andando per l'orlo (dell'angusto sentiero) vedi il v. 114 e seg del Canto precedenIe
6 perlin = color della perla.
9 tante aneme in moto -. che andavano camminando — a dorme mente = ad osservarmi.
(UNTO XXVI. 277
Poi verso me, quanto poteVan farsi, Qualcune po, più che le poi vegnir,
Cerii -.i feron, sempre con riguardo Rente a mi s'ha tirà, sempre vardando
Di non uscir dove non fosser arsi. Da quele tiame da no mai sortir. 15
O tu, che val, non per esser più tardo, Ti che ti va drio i altri cumuiando,
Ma forse reverente, agli altri dopo, Per linea forsi no, ma per rispelo,
Rispondi a me, che in sete ed in fuoco ardo : Respondi a mi che me ardo qua bramando :
Né solo a me la tua risposta è uopo ; Nè za mi solo la resposta aspeto,
Cha tutti questi n' hanno maggior sete Che vogia d'eia, più che d'aqua freda 20
Che d'acqua fredda Indo o Etiopo. Etiopo o Indian, sentimo luti in peto.
Dinne com'è che fai di te parete Dine mo come mai al Sol suceda
Al Sol, come se tu non fossi ancora Che ti te oponi, quasi no te sia ,
Di morte entrato dentro dalla rete ? Da la morte chiapà fato so prjjda. /
Sì mi parlava un d'essi, ed io mi fora Cussi un de quei; e mi za gera in via 25
Gii manifesto, s'i non fossi atteso Per scovrirme, se un'altra novità
Ad altra novità ch'apparse allora ; No gavesse impegnà la mente mia;
Che per lo mezzo del cammino acceso Che de mezo al sentier tuto incendià
Venia gente col viso incontro a questa, Vegniva incontro a questa nova zente,
La qual mi fece a rimirar sospeso. E in v;u dai In ben fisso m' ho incantà. 30
Li veggio d'ogni parte farsi presta Quel'aneme s'incontra, e prestamente
Ciascun'ombra, e baciarsi una con una, Le se basa una a una de scampon,
Senza ristar, contente a breve festa. De farse ciera in passar via contente.
Così per entro loro schiera bruna Talqual in negra lila de sbrisson
S'ammusa l'unii con l'altra formica, Le formighe una a l'altra dà de muso, 35
Forse a spiar lor via e lor fortuna. Per spiar forsi el so viazo e '1 so bocon.
Tosto che parton l'accoglienza amica, In lassarse, lima la festa d'uso,
Prima che '1 primo passo 1i trascorra, Ognun de quei prima d'inviarsi- ancora,
Sopraggridar ciascuna s'affatica I uni ai altri in premura dise suso,
La nuova gente: Soddoma e Gomorra; Quei vegnui dopo : Sodoma e Gomora.; 40
E -l'altra; Nella vacca entra Pasife, In vaca entra Pasife, sii altri ciga,
Perchè il torello a sua lussuria corra. Aciò '1 toro a la soa lusuria el cora.
Poi come gru, ch'alle montagne Rife Dopo, come ai Rifèi monti una riga
Volasser parte, e parte in ver l'arene, Va de grue, e l'altra in Libia va svolando,
Queste del giel, quelle del Sole schife ; Del fredo questa, del calor nemiga 45
L'ima gente sen va, l'altra sen viene, Quela ; cossi vegnindo un grumo, e andando
E tornan lagrimando a' primi canti, L'altro, col nino pianto i torna ai canti,
E al gridar che più lor si conviene: I adatai casti esempi recordando.
H raccostarsi a me, come davanti, E queli istessi, che pregà m' ha avanti,
S6-87 de culia - di colei cioè Pasife entrata nella vacca fabbricata in legno.
92 Guinccli ..- Guido Guinicelli celebre rimatore bolognese, uomo retta e ralente in iscienza, e dei primi
a pulire lo stile italiano. Fu Ghibellino ed esale nel 1268.
93 Go avù avanti morir del vizio dogia -- ebbi prima di morire dolore del mio peccato.
91 Licurgo — re di Nomea; aveva dato il fìgliuletta Ofclte in custodia ad I-i dle, ed essendogli stato morto
da un serpe, acciecalo dal dolore si disponeva ad uccidere lsiOle, quando nell'atto di essere sacrificata, venne
Coperta dai suoi due figli Toantc ed Euneo dopo essere andati in traccia di lei che era stata rapita dai Corsari.
95 ao mare = sua madve.
96 ma no ho avudo d'eli ci cuor - ma non ebbi di essi l'egual coraggio. l detti due ligli si gettarono nel
l'impeto dell'affetto al collo della madre loro appena lu videro e la conobbero. Dante non ebbe il coraggio di
fare altrettanto verso il Guinicelli porcile le fiamme ne lo impedivano. -- cuor -- sta qui per coraggio.
97 mio pare = mio padre.
108 Che no lo poi scurir d'obvio el regna =; che il regno dell'oblio, cioè Lete, non può oscurare.
lli tanto a caro = tanto affezionato.
116 a dèo -•• a dito.
118 cocoloni = cari, amorevoli: ò questi Anulilo Dunicllo celebre trovatore e pocta provenzale del secolo Xlll.
280 DEL PURGATORlO
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti L'è '1 primo, e quel de Lemosi pur lassa
Che quel di Lemosi credon ch'avanzi. Ch'el sia megio de )u dir ai zuconi. 120
A voce più ch'ai ver drizzan li volti, Più che ai fati, a la vose i bada massa,
E così ferman sua opinione E i dà fora cussi la so opinion
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti. Senza aspetar che altra rason ghe nassa.
Così fèr molti antichi di Guittone, Cossi i fava in antigo de Guiton
Di grido in grido pur lui dando pregio, Portà in ciel da le vose, insina tanto 125
Fin che l' ha vinto il ver con più persone. Che altri pueti i l' ha licà in canton.
Or se tu hai sì ampio privilegio, Ti che oramai la grazia ti ha tra '1 canto
Che licito ti sia l'andare al chiostro, Dei beati d'andar in ciel là su,
Nel quale è Cristo abate del collegio, Che i ga per el so capo Cristo Santo,
Fagli per me un dir di Paternostro, Per mi ti dighe un Paternostro a Lu, 130
Quanto bisogna a noi di questo mondo, Solo sin ch'el ne giova qua in sto mondo,
Ove poter peccar non è più nostro. ln dove no podemo pecar più.
Poi, forse per dar luogo altrui secondo, Po forsi per dar logo a quel secondo,
Che presso avea, disparve per lo fuoco, Che ghe vien drio, tra '1 fogo ci se sianzava,
Come per l'aqua il pesce andando al fondo. Com'el pesse in tei aqua sbrissa in fondo. 135
lo mi feci al mostrato innanzi un poco, Andà più arente a quel ch'el me segnava
E dissi ch'ai suo nome il mio disire Col dèo, mi lo sconzuro che sentir
Apparecchiava grazioso loco. Me fazza con qual nome el se chiamava.
E cominciò liberamente a dire: Elo scomenza zentilmente a dir:
Tam m'abelhis vostre cortes deman, Tan m'abelhis vostre cortes deman, 1W
Qu'ieu no m puesc ni m tolli a vos cobrire. Qu'ieu no-m paese nt-m voill a vos cobrir.
leu sui Annuii-, que piar, e vai chantan: le sui Arnaulz, que piar, e vai canlan;
Consiros vei la passatitx /o/or, Consiros vei la passada folor,
E vei jauzen lo joi qu'esper denan. E vei jauzen lo joi qu'esper, denan.
Arax us prec per aquella valor, Ara us prec per aquella valor, 145
Que us guia al som sens freich e sens calina, Que us guia al som sens freich e sens scolma
Sovcnha us atemprar ma dotar. Savenha us atemprar ma do/or.
Poi s'ascose nel fuoco che gli affina. Po '1 xe spario in tei fogo che i aliila.
110 i1nil de Lanosi = cioè Gerault de Bcrneil pocta di Limoges o Lemasi, clic il volgo preferi ai) Arnaldo
Danicllo.
120 zuconi . . stolti, ignoranti.
124 fluilmi .- Guittone pocta Aretino.
131 $0(0 si',) ch'el ne giova qua in slo mondo = sin dorè ci gioia a questo mondo (del Purgatorio), cioè sino
all'ultima parie del Pater noster; vedi il C. Xl.
133 a iInfl umniiti1 ~- cioè Arnaldo Daniello di cui la nota sopra 118.
135 tbritta = sdrucciola.
110 l'ini m'abelhis ec. = ceco la traduzione italiana levata ila1 Fraticelli, colla corrispondente veneziana.
Tanto m'c bel vostro gentil comando, Xe la domanda vostra zentil tanto,
Ch'io non mi posso o voglio a voi coprire: Che no posso nè vogio a vu star sconto:
Arnaldo io .mi, che piango e vo cantando; Anulilo son che qua pianzendo cauto;
Pensoso veggio il mio passato errore, Sempre me sia 'l miu falo drente io nior,
F. lo sperato ili veggio esultando. E alt.gro speto ci di che saro santo.
Or faccio prego a voi per quel valore Adesso prego vu per quel favor.
Che al sommo della scala v'incammina, Che in cima de lu scala ve fa andar,
Di temprar vi sovvenga il mio dolore. De siesicrir pregando el mio dolor.
148 infma — purgando l'anime dai peccati.
281
CANTO VENTESIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Entra nel foco per veder Beatrice Dante va in fogo per veder la Bice ;
Dante, e lo passa col dolce pensiero, Recala un fià, ma dopo col pensier
Che lo rinfranca pur d'esser felice. Dolce lo passa ch'el sarà felice.
lodi col sonno pio si fa leggiero ; Dopo un sono el se sente più lezier ;
Ma desto aiiiu Virgilio pii rammenta, Ma el bon Virgilio fa vegnirghe in mente,
Ch'ei non gli è guida nel nuovo sentiero, Che de guidarlo noi ga più el poder,
Io coi puo gir da so quando il consenta. E solo el poi andar liberamente.
Siccome quando i primi raggi vibra Nel ponto gera el Sol che a la montagna
Là dove il suo Fattore il sangue sparse. De Sion stanzando i primi ragi, favà
Cadendo Ibero sotto l'alta Libra, Mezodi in India e meza note in Spagna :
E 1'onde in Gange da nona riarse, Per conseguenza là dove se stava,
Si stara il Sole ; onde '1 giorno sen giva, Scampando alora ci di vegniva sera, 5
Quando l' Angel di Dio lieto ci apparse. Quando un Anzolo a nu se presentava
Fuor della fiamma stava in su la i iva, Fora dal fogo luto alegro in ciera, ,
E cantava Beati mundo corde, Beati mundo corde, elo cantando,
In voce assai più che la nostra viva. ('.o una vose, che più che umana gera.
Poscia: Più non si va, se pria non morde, Po: Più avanti no andè, se no passando, 10
Anime sante, il fuoco ; entrate in esso, Aneme sante, el fogo : entreghe d mito,
Ed al cantar di là non siate sorde. E ascoltò de là el canto. Cossi quando
Sì disse, come noi gli fummo presso ; Ghe semo stai vicini a dir lo sento :
Perch'io divenni tal, quando lo 'ntesi, E come quel che vivo i sepelissa,
Qual è colui che nella fossa è musso. Mi gera deventà dal gran spavento. 15
In su le nLin commesse mi protesi, , Vardando el fogo, in su le man me sbrissa
Guardando il fuoco, e immaginando forte Con tra de lori i dèi tuti incrosai :
Umani corpi già veduti accesi. E in mente m'è sbalzà come finissa
Volsersi verso me le buone scorie ; /cuti! vista a brusar. Da mi voltai
E Virgilio mi disse : Figliuol mio, S' ha i do Savi; e me tliso el Mestro mio : 20
Qui puote esser tormento, ma non morie. Ti qua ti poi patir, ma morir mai.
1-4 nel ponto gera el tot ee. --- Posto elie a Gerusalemme il Sole vibrava in quell'ora i suoi primi raggi,
. -i'^iii- che tramontava al Purgatorio; che era mezzanotte in (spagna confine occidentale; che era mezzogiorno
in India, confine orientale, quindi tra loro antipodi, come lo sono tra loro il Monte Sion (Gerusalemme) e il
Monte del Purgatorio, ciocchè fu altra volta accennato.
S Beati iumulu carde = Beali coloro che sono mondi nel cuore.
a Co = con.
16 in tu le man me torti»» = le mani mi si sollevano in tutta fretta.
17 (.'rni ira ne lori i dèi tuli incrotai — con tutte le dita incrocicchiate tra loro.
18 iu'è sòn'zà = mi balenò.
282 PEL Pl'HGATORIO
Ricordati, ricordati e, se io Recordele, recordete e, se indrio
Sovr'esso Gerion ti guidai salvo, Salvo sora Gerion te go portà,
Che farò or che son più presso a Dio ? Cossa adesso farò più arente a Dio ?
Credi per certo che, se dentro all'aivo Ma sta certo, che xe in quel fogo là
Di questa fiamma stessi ben mill'anni, Anca un mier d'ani ti ghe stassi ti,
Non ti potrebbe far d'un capei calvo. Noi t'arsiria gnanca un cavelo. Ma
E se tu credi forse ch'io t'inganni, Se mai ti credi che t'ingana mi
Fatti ver lei, e fatti far credenza Fa la prova co un pinzo de la vesta;
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni. Ogni tininr ti scazzerà cussi.
Fon giù omai, pon giù ogni temenza ; Ma via, da bravo mo ; volta la testa
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro. Da sta parte e vien franco ; e mi là duro,
Ed io pur fermo, e contra coscienza. E sì, che in cuor la convinzion me resta.
Quando mi vide star pur fermo e duro, Co '1 me vede star fermo al so sconzuro,
Turbato un poco, disse: Or vedi, figlio, Fando un fià '1 pègio : Fiolo, el sento dir,
Tra Beatrice e te è questo muro. Tra Beatrice e ti ghe xe sto muro.
Com'al nome di Tisbe aperse il ciglio Come al nome de Tisbe, in tei morir,
Piramo in su la morte, e riguardolla, Piramo avrindo i udii l' ha vardada,
Allor che il gelso diventò vermiglio; E s' ha visto el morer rosso vegnir ;
Così, la mia durezza fatta solla, Cussi la mia durezza s'ha molada:
Mi volsi al savio Duca, udendo il nome Da lu me volto al nome benedetto
Che nella mente sempre mi rampolla. De quela che in cuor sempre m'è restada.
Ond'ei crollò la testa, e disse: Come! Scortando elo la testa : Ma cospeto !
Volemei star di qua ? indi sorrise, Stemo qua tionca ? dise, e '1 ride un fià:
Com'al fanciul si fa ch'è vinto al pome. Vince un pomo cussi d'un puteleto
Poi dentro al fuoco innanzi mi si mise, L'ostinazion ; po in fogo primo entra,
Pregando Stazio che venisse retro, L'ha pregà Stazio de vegnirme in seliena,
Che pria per lunga strada ci divise. Che in mezo a nu I' ha un pezzo cammà.
Come fui dentro, in un bogliente vetro In fornasa de vero, drento apena,
Gittato mi sarei per rinfrescarmi : Me sarave butà per rinfrescarme ;
Tanto er'ivi lo incendio senza metro. Tanto quel fogo, o Dio, me dava pena.
Lo dolce Padre mio, per confortarmi, Volendo el mio bon pare consolarme,
tt Reeorttite, reeordilt = forse Virgilio con questa tronca espressione vUOl richiamare a eoccwo'i
Dante, che non era del tatto mando del vizio che quel fuoco puniva.
23 sora Cerio* = il mostro infernale descritto al Canto XVII dell'Inforno.
21 arente = vicini.
26 mi min- faiti = un migliaio d'anni.
ì.. artiria = arsiccerebbe.
tO co UH = con un = pinzo = lembo.
34 Co = quando.
35 Kn fia "1 pigio — un po' di cipiglio.
37-39 Piramo e Tisbe giovani amanti babilonesi, si erano un giorno dato un convegno presso un noto gi-l.«
fuori di città. Tisbe giunse la prima, ma impaurila alla vista di una leonessa, si die alla fuga, e nell'impelo :
cadde il velo. La belva avvenutasi in quello, e fiutandolo e voltolandolo, lo lasciò imbrattato del sangue di riic
per avventura avea lordo il ceno. Venne poco appresso Piramo, e veduto a pie del gelso il velo della sua amaaU-.
e credutala morta, pieno di disperato dolore con un pugnale si trafisse. In quella sopraggiunse Tisbe, alla
uu-e il giovine moribondo apri gli occhi, ma un momento dopo li rinchiuse per sempre. Tisbe allora si ucrist an
ch'essa. Il gelso bagnato dal sangue dei due Infelici, cambio, dice la favola, in rosso le sue more bianche.
44 un lià — un pochino.
49 de vero = di vetro
CANTO XXVII. 283
Pur di Beatrice ragionando andava, De la Bice cussi elo parlava :
Dicendo : Gli occhi suoi già veder parmi. Me par za veder i ochi soi. Per farme
Guidavaci una voce che cantava Scorta a mi e a quei do, de là cantava 55
Di là; e noi attenti pure a lei, Una ose, e drio tegnindo ai canti bel,
Venimmo tuoi là ove si montava, Fora nmlemu per dove se montava.
l'emie, beni-ateli patria mei. Venite, benedirti Patrii mei,
Sonò dentro da un lume, che lì era Sento che dise un tal vivo splendete,
Tal, che mi vinse, e guardar noi potei. Che insin me son stropà i ochi coi dèi. 00
Lo Sol sen va, soggiunse, e vie» la sera ; E po : Desso vien sera, e '1 Sol za mor ;
Non v'arrestate, ma studiate il passo, No ve fermè, spesseghe ben el passo
M.'iiuv che l'ucciderii,' non s'annera. Avanti che destira el eovertor
Dritta salia la via per entro il sasso, La note. L'erta scala drento al sasso
Verso tal parte, ch'io toglieva i raggi Montando suso, i ragi mi rompeva 55
Dinanzi a me del Sol ch'era già lasso. Del Sol che andava caminando a basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi, Dopo qualche scalin se s'incorzeva
Che il Sol corcar, per l'umbra che si spense, Ch'el Sol da drio de nu gera sparlo,
Sentimmo dietro ed io e gli miei Saggi. Perchè più l'ombra mia no se vedeva.
E pria che in tutte le sue parti immense lì avanti abia la note incoluno 70
Fussc orizzonte fatto d'un aspetto, L'orizonte, e per quanto imenso el xe,
E Notte avesse tutte sue dispense, Dè la so scurità tuto impinio;
Ciascun di noi d'un grado fece letto; Femo ognun d'un scalin un canapè,
Che la natura del monte ci alTVanse Perchè in montar, la qualità del monte
l.a possa del salir più che il diletto. Più che la vogia ne ga tolti i pie. 75
Quali si fanno ruminando manse Come le cavre che arditete e pronte
Le capre, state rapide e proterve Le ha corso avanti d'esser pasturae,
Sopra le cime, prima che sien pranse, Per le gobe dei monti o su le ponte ;
Tacite all'ombra, mentre che'l Sol furve, Passue le ruma a l'ombra stravacae,
Guardate dal pastor, che in su la verga Scotando el Sol, sin ch'el pastor el sùra, 80
Poggiato s' è, e lor di posa serve ; E al so baston puzà le tien vardae;
E quale il mandrian, che fuori alberga, E come ne de note chiapà fora
Lungo il peculio suo queto pernotta, Co la maiulia, el guardian la sta vegiando,
lìuardando perchè fiera non lo sperga ; Ació ch'el Invii no la fazza fora ;
Tali eravamo tutti e tre allotta, Nu al paragon vegnimo somegiando: 85
Io come capra, ed ei come pastori, Mi a la cavra, e ai pastori i altri do,
80 tfondro — sfondo.
94 co = quando.
95 la più beta stela — ls stella Venere.
102 ita = figlia di Labano e prima moglie del l'atriurca (jiacobbe. Ella e qui simbolo della vita uttiva che dee
seguire alla espiazione, e che è passo alla contemplativa simboleggiata dalla sua sorella Racliclc: vedi v. 105.
105-106 Rachele ••.• seconda moglie di Giacobbe, è figura della vita contemplativa come si ilissc qui sopra
— la xe dei so bei ochi entutiatlada = specchiandoli nella perfezione di Dio.
107 Come mi nel fornirme de sii fiori . cioè, com'io nell'operare le belle ed utili azioni.
115 Quel caro ben ece. — cioè la felicitò della quale ò figura il Paradiso terrestre posto alla cima ilei Pol*
gatorio.
CAUTO xxvri. 285
Come la scala tutta sotto noi . Co terminà la scala se gavea,
Fu corsa, e fummo in su 'I grado'superno, E l'ultimo scalin anca tocà, 125
ln me ficcò Virgilio gli occhi suoi, Vardandome Virgilio me disea :
E disse: ll temporai fuoco e l'eterno L'lnferno, fiolo mio, visto ti ga
Veduto hai, figlio, e se' venuto in iparte K el Purgatorio, e ti è arivà in t'un regno,
ni 'in per me più oltre non discerno. Dove la mente mia no va più in là.
Iratto t'ho qui con ingegno e con arte ; Qua t'ho menà co l'arte e co Hnzegno: 130
Lo tuo piacere omai prendi per duce ; El to voler adesso te conclusi' ;
Fuor se' dell'erte vie, fuor se' dell'arte. Qua de stretezze o d' erto no gh'è segno.
Vedi là il Sol, che in fronte ti riluce; Varda là '1 Sol, che sul to fronte luse ;
Vedi l'erbetta, i fiori e gli arboscelli, Varda l'erbeta, i alboreti e i fiori,
Che questa terra sol da sè produce. Che da so posta sto teren produse. 135
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli, Sin che ti aspeti i ochi, che ti adori,
Che lagrimando a te venir mi fenno, E da ti i me ga invià col lagremar,
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli. Ti poi sentarte e spassizar tra lori.
Non aspettar mio dir più, nè mio cenno : Da mi più un ete, o un moto no aspetar :
Libero, dritto, sano è tuo arbitrio. Libera ti ga e sana la ragion, 140
E fallo fora non fare a suo senno ; E gran falo saria no l'ascoltar :
Perch'io te sopra te corono e mitrio. Donca mi fazzo ti de ti paron.
124 Co - • quando.
136-137 Sin che li lupetti i ochi che li adori = allude a Beatrice che dolente pei frammenti di Dante
fece venire Virgilio in di lui soccorso: vedi C. ll. dell'lnf. v. 70.
138 spattizar = passeggiare.
286 DEL PURGATORlO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Vago già di cercar dentro e dintorno Le piante fresche e folte drento e intorno
La divina foresta spessa e viva, D'ochiar smanioso in quela selva viva,
Ch'agli occhi temperava il nuovo giorno, Che un fìà '1 lusor smorzava al novo zorno;
Senza più aspettar lasciai la riva, Senza gnanca aspetar lasso la riva,
Prendendo la campagna lento lento Là via per drento inviandomi. adasieto
Su per lo suoi che d'ogni parte oliva. Tra '1 grato odor per luto che sortiva.
Un'aura dolce, senza mutamento Sempre costante, eguai, un zeflreto
Avere in sè, mi feria per la fronte Me carezzava el viso dolcemente,
Non di più colpo che soave vento; E fazzeva le fogie sul rameto
Per cui le fronde, tremolando pronte, Tremolar presto presto e leziermente 10
Tutte, quante piegavano alla parte Pendendo tute dov'el monte santo
l,""' la priuf ombrn gitta il santo monte ; Destende in prima l'ombra soa a Ponente:
Non però dal lor esser dritto sparte No pendolava i rami però tanto,
Tanto, che gli augplletti per le cime Che i oseleti, stando in cima a lori,
Lasciasser d'operare ogni lor arto; Per el so pendolar lassasse el canto; 15
Ma con piena letizia l" óre primo, Che a l'incontrarlo alegri i so bei cori
Cantando, ricci ionn intra le foglie, Al zentil basso-ton i va acordando
Che tenevan bordone alle sue rime, Defalca a l'aria in tra le fogie e i fiori,
Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie Come che ru.za i pini a Chiassi, quando
Per la pineta, in sul lito di Chiassi, Tra i rami el vento da Siroco là •il)
Quand'Eolo Scirocco fuor discioglie. De l' Adria su la spiagia va supiando.
Già m'avean trasportato i lenii passi Pian caminando, tanto in drento za
Dentro all'amica selva tanto, ch'io Dà sta selva vecluona me trovava.
23 Co = quando.
2!l T'oriie = (orinde.
34 i otlii go butai — gettai lo sguardo.
37 MC fa là restar = mi fa rimnacrv estatico.
IO IM vista d'una dona — questa è Matelda simboleggiaule la grazia preveniente e cooperante .
44 Ti lo ìmpizzi = tu ti accandi.
45 sai entr = suoi essere.
49-31 Ti me ta rccordur ce. = avnulo Cerere perduta la ii-.:li-i Proscrpina nella liorila valle Elnea, colà
In rapiti da Plutoin:.
53 rtia-trrt — rascntc terra.
288 PEL PURGATORIO
Tosto che fu là dove l'erbe sono Rivada apena là, dove l'erbeta
Bagnate già dall'onde del bel fiume, Vien bagnada da l'aqua del rielo,
Di levar gli occhi suoi mi fece dono. De ochiarme m' ha grazià sta benedeta.
Non credo che splendesse tanto lume Forsi che i odii d'un lusor più belo
Sotto le ciglia a Venere trafitta De la mare d'amor no resplendeva, 6ó
Dal figlio, fuor di tutto suo costume. Co in falo l'ha ferida el so putelo.
Ella ridea dall'altra riva dritta, Iti Ha su la persona eia rideva
Trattando più color con le sue mani, Da l'altra sponda, e i fior la manizava
Che l'alta terra senza seme gitta. Che senza somenarli là nasseva.
Tre passi ci facea '1 fiume lontani ; Soli tre passi el rio ne separava : 70
Ma Ellesponto, là 've passò Serse, Per l'Elesponto che, pagando el fio,
Ancora freno a tutti orgogli umani, Serse, esempio ai superbi, un dì passava,
Più odio da Leandro non sofferse, Odio tanto no ga Leandro sentio,
Per mareggiare intra Sesto ed Abido, Co l'onde lo ha negà tra Sesto e Abido,
Che quel da me, perchè allor non s' aperse. Quanto al rio mi, ch'el passo m'ha impediii. 75
Voi siete nuovi, e forse perch'io rido, Foresti vualtri sè, e perchè rido
Cominciò ella, in questo luogo eletto In sto logo, che visto mai gavè,
All'umana natura per suo nido, La dise, a Pomo destinà per nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto; Forsi maravegiando in dubio ste ;
Ma luce rende il salmo Deteetasti Ma '1 Salmo Deleetasti ve farà 80
Che puote disnebbiar vostro intelletto. Entrar in testa quel che no save.
E tu che se' dinanzi, e mi pregasti, Ti là davanti, che ti m' ha pregà,
Di' s'altro vuoi udir, ch'io venni presta Se ti voi, fame altre domande ancora,
Ad ogni tua question, tanto che basti. Che per questo vegnua so in pressa qua.
L'acqua, diss'io, e il suon della foresta, L'aria e l'aqua, che trovo qua de sora, 85
Impugnan dentro a me novella fede Se opone, digo, a quel che ni" i- sta dito,
Di cosa, ch'io udi' contraria a questa. E m'è sta fato creder. Eia alora
Ond'ella : I' dicerò come procede Responde : Te dirò per el so drito
Per sua cagion, ciò ch'ammirar ti face ; De quel che te sorprende la rason,
E purgherò la nebbia che ti fiede. E la to mente schiarirò pulito. M
04-66 Foni che i ochi ce. = Cupido Dio dell'umore, volendo baciare sua madre, le punse inawrtitamenle
il cuore con uno dei suoi strali, ond ellu si senti accesa per Adone che in quel punto passava dinaizi i lei
68 maniznua = volgeva per le man i.
71-78 l'Elespoido ne. = L'EIIesponto è quello stretto di mare elic l'Asia divide dall'Europa. Sersn re dci
Persiani, vi fece sopra un ponte di navi, e per quello passò con un immenso esercito; ma sconfitto dt Temi
stoele, non trovando più quel ponte che i Greci avevano distrutto, lo ripassò fuggepdo in una povera barca di
pescatore.
73-74 Leandro — per recarsi a Sesto, ov'era la sua amante chiamata Ero, da Abido sua patria trapassando
l'Ellespunto a nuoto, si sommerse.
76 xe = siete.
80 .Va '( intimi Deleetaili = il versetto 5 del Salmo 91 dice: « M'hai dilettato, o Signore, nella Ini fattura,
e nelle opere delle tue mani esulterò. »
SI to in presiia = sono in fretta.
85-87 l.'ni-iu e l'aiIua ce. = Stazio disse a Dante (Canto XXI, v. iti t seg.) ulte dalla porta del Porgilo-
rio in su, non erano ni venti nè pioggie.
88 per el to drito — esattamente.
90 pulito = per bene .
CANTO XXVIII.
Lo sommo Bene, che solo a sè piace, Dio sol sè stesso intende, e fando bon
Fece l'uom buono; e il ben di questo loco I." omo, el ca dà sto logo benedeto
Diede per arra a lui d'eterna pace. Curiii- pegno d'eterna pase in don.
Per sua diffalta qui dimorò poco ; Per el so falo, el xe sta qua un pocheto ;
Per sua diffalta in pianto e in affanno Per el so falo in pianto e afano grando 95
Cambiò onesto riso e dolce giuoco. I.' ha scambià l'alegrezza e ogni dileto.
Perche il turbar, che sotto da sè fanno Aciò el vapor, che in zo del monte stando,
L'esalazion dell'acqua e della terra, La tera e l'aqua in su, quasi un ventazzo,
Che, quanto posson, dietro al calor vanno, Le spenze a forte verso el Sol supiando,
All'uomo non facesse alcuna guerra. No dovesse al primo omo darghe impazzo; 100
Questo monte salio ver lo ciel tanto, Sto monte tanto incontro al ciel l'è alzà,
E libero è da indi, ove si serra. Che qua su non vien vento, piova e giazzo.
Or, perchè in circuito tutto quanto Ma perchè atorno de la tera va
L'aer si volge con la prima volta, L'aria col primo ciel, quando dal vento
Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto; Nti ghe vien roto el ziro o qua o là; 105
In questa altezza, che tutta è disciolta A investir drito vien quel movimento
XelPaer vivo, tal moto percuote, Sto alto monte tornià da un aria pura,
E fa tonar la selva perch' è folta ; E '1 folto bosco fa ruzar qua drento;
E la percossa pianta tanto puote, E in moverse eie a l'aria ghe procura
Che della sua virtute l'aura impregna, Per virtù soa el poder de generar, 110
E quella poi girando intorno scuote: E l'aria po al teren fa eguai fatura.
E l'altra terra, secondo ch'è degna La tera vostra per particolar
Per sè o per suo ciel, concepe e figlia Soa qualità, o dal elima intjuenzada,
Di diverse virtù diverse legna. Da eia sola la poi piante frutar.
Non parrebbe di là poi maraviglia, Se sta cossa i gavesse indovinada, 115
Udito questo, quando alcuna pianta No i larla de là caso in veder pianta
Senza seme palese vi s'appiglia. Vegnir su senza averla semanada.
E saper dèi che la campagna santa, E sapi ancora che sta lera santa,
Ove tu se', d'ogni semenza è piena, D'ogni rason de piante e fruti è piena,
E frutto ha in sè che di là non si schianta. Che al mondo no i ga idea gnanca una schianta ;
L'acqua, che vedi, non surfce di vena, St'aqua qua no la vien da qualche vena
Che ristori vapor, che giel converta, Mantegnua dai vapori, che va in piova,
Come fiume ch'aquista o perde lena ; Come acqua o poco o molta i fiumi mena;
Ma esce di fontana salda e certa, Ma da una che no sgara e afato nova,
Che tanto dai voler di Dio riprende, Che l'aqua che la svoda da do bande, 125
Quant'ella versa da duo parti aperta. Per volontà de Dio la se rinova.
Da questa parte con virtù discende, Ga la virtù quel'aqua, che una spande,
Che toglie altrui memoria del peccato ; De levar la memoria del pecà ;
Dall'altra, d'ogni ben fatto la rende. L'altra la dà per le azion bele e grande.
Quinci Lete, così dall'altro Iato De quela el sboco, Lete i l'ha chiamà, 130
Eunoè si chiama; e non adopra, Eunoè questa, ma no fa l'efeto,
Se quinci e quindi pria non è gustalo. Se no le s'abia tute do gustà.
A tutt'altri sapori esto è di sopra . Xe '1 so saor su tuli el più perfeto ;
Ed avvegna ch'assai possa esser sazia E siben creda che ti t'abi messo
La sete tua, perchè- più non ti scopra, Lontan el dubio che ti avevi in peto, 139
Darotti un corollario ancor per grazia; Un'altra verità te dirò adesso;
Nè credo che il mio dir ti sia men caro, E penso sta atenzion uo la te agrava.
Se oltre promission teco si spazia. Se digo più de quel che t'ho promesso.
Quelli, ch'anticamente poetaro , porsi i poeti, che ani indrio cantava
L'età dell'oro e suo stato felice, L'età d'oro, sto sito dei contenti 140
Forse in Parnaso esto loco sognaro. Là in cima del Parnaso eli sognava.
Qui fu innocente l'umana radice; Qua Adamo e Eva stadi xe inocenti:
Qui primavera sempre ed ogni frutto ; Qua gh' è ogni fruto e dolce è la stagion :
Nettare è questo di che ciascun dice. Qua, tuli a dir, xe '1 netare ti senti.
Io mi rivolsi addietro allora tutto Voltà indrio dai Poeti mi me son 145
A' miei Poeti, e vidi che con riso Alora, e ho visto come in ascoltar
Udito avevan l'ultimo costrutto: I è stai ridendo quela conelusion.
Poi alla bella donna tornai '1 viso. La bela dona ho tornà po a vardar.
CANTO VENTESIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Da lunge vede setto alberi d'oro Sete arbori ghe par de veder d'oro
Dante, che sono candelabri e luci. Da lontan Dante, e i xe candelieroni
Che adagio vanno e fan beato coro; E Inse, che va a pian, e i fa un bel coro:
Diretro ad essi, pur come a lor duci. El vede a drio de quei tanti omenoni
Vede genti venir ed animali E anemai avanzar in procession :
Misteriosi, in cui lisa le luci ; Danto maravegià el f& i ochioni.
Leuore, i' noi so dir, s'ivi non sali. Dirte de più, letor, mi no so bon.
27 matta = troppo.
32 vogia — desiderio.
IIS vryit — veglie.
-lo Klictma — -- ii giogo dei Parnaso, ove sorge il fonte l'egasco.
41 I/Tanta = che voi dire celeste; e quella delle Muse che canta delle cose celesti.
43 un /io = un poco.
45 co areale — quando da vicino.
46 Ghc so arivù = sono giunto ad essi.
54 co - quando.
PO Le notizzt == le spose novelle.
61 imalonio = sbalordito per meraviglia.
CANTO XXIX. 293
E ciò che vien diretro a lur non guardi? E no ti vardi quel che ghe vien drio ?
(ìenti vid'io allor, com'a lor duci, Come so scorta fusse ho visto alora
Venire appresso vestite di bianco ; /ente vegnirghe drio bianco-vestia, 65
E tal candor giammai di qua non luci. Ma d'un tal bianco che no gh'è qua sora.
L'acqua splendeva dal sinistro fianco, Corendo el fiume dalla zanca mia
E rendea a me la mia sinistra costa, In quel'aqua lusente me spechiava
S'io riguardava in lei, come specchio anco. El sinistro mio fianco. E co là via
Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta, Della riva in t'un sito me trovava, 70
Che solo il fiume mi facea distante, Ch'el rielo solo la distanza mete,
Per veder meglio a' passi diedi sosta ; Per poder veder megio me fermava.
E vidi le fiammello andare avante E ho visto andar avanti le fiamete,
Lasciando dietro a sè l'aer dipinto, lmlrin lassando una strisseta ognuna,
E di tratti pennelli avean sembiante ; Che somegiava a tante bandierete ; 75
Sì che di sopra rimanea distinto In modo, che sora eie una per una
Di sette liste, tutte in quei colori, Sete striche a colori s'ha m usti ar
Onde fa l'arco il Sole, e Delia il cinto. D'arco celeste, o de inebiada Luna.
Questi stendali dietro eran maggior! Tanto lore a l'indi in le s' ha stongae,
Che la mia vista ; e, quanto a mio avviso, Da no rivar co l'ochio; e le do ai lai 80
Dieci passi distavan quei di fuori. Tien forsi diese passi separae.
Sotto cosi bel ciel, com'io diviso, Solo un ciel ch'el più bel s'ha visto mai,
Ventiquattro seniori a due a due, Vintiquatro vechioni in compagnia,
Coronati venian di fiordaliso. luti a do a do de zegi coronai,
Tulli cantavan : Benedetta tue Benedeta, cantando eli vegnia, 85
Nelle figlie d'Adamo, e benedette Ti tra tute le done, e benedele
Sieno in eterno le bellezze tue. Le to belezze eternamente sia.
Poscia che i (ìori e l'altre fresche erbette, Quando ai fiori missiai le fresche erbete
A ritnpetto di me dall'altra sponda, De fazzada de mi da l'altra riva,
Libere fur di quelle genti elette ; Passà i vechioni, se vedeva schietti ; 90
Sì come luce luce in ciel seconda, Come stela drio stela in cielo ariva,
Vennero appresso lor quattro animali, De fogie verde tuti ghirlandai,
Coronato ciascun di verde fronda. Quatro anemai arente a quei vegniva.
Ognuno era pennuto di sei ali, (lera ognun d'eli de sie ale armai,
Le penne piene d'occhi ; e gli occhi d'Argo, Con de le pene carghe d'ochi al par (15
Se fosser vivi, sarebber cotali. De quei d'Argo, se vivi i fusse stai.
A descriver Ipr forma più non spargo Vorave, o mio letor, de longo andar
64 so = sua.
60 E co là via — e quando giunsi in lui punto dellu riva.
73 pamele -- le fiaccole accese sui candelabri.
80-81 e le do ai lai e li- due ai lati, cioè alle due estremili'! opposte, distanti una dall'altra dieci passi
circa. I candelabri figurano, secondo gli interpreti, i sette doni dello Spirito Santo; e i dieci passi, i dicci co
mandamenti.
83 Vmh'f nafro vechioni — simboleggiano questi i 24 libri del vecchio testamento.
S4 de xeni = di gigli.
85 Benedeta ee. = questa lode appartiene a Maria Vergine; ma forse è qui da riferirsi a Beatrice, che ve
dremo apparire nel Canto seguente.
93 Qnatrn anemai : i quattro animali simboleggiano i quattro Evangelisti, i quali lummi per loro emble
ma un animale.
% Argo -.-. era munito di cento occhi.
294 DEL PliBGATORIO
Rime, leltor; ch'altra spesa mi strigne Per depenzerli ben, ma altri argomenti
Tanto, che in questa non posso esser largo. Me streme e no me posso qua fermar.
Ma leggi Ezechiel, che li dipigne Però lezi Ezechiel che li ha depenti, 100
Come li vide dalla fredda parte Come visti vegnir dal fredo Bora
Venir con vento, con nube e con igne; Li ga tra '1 fogo, i nuvoloni, i venti ;
E quai li troverai nelle sue carte, E via che in quanto a l'ale el vaga fora
Tali eran quivi, salvo ch'alle penne De quel ch'abia San Zuane e mi pensà,
Giovanni è meco, e da lui si diparte. Dirà come che i gera là de sora. 105
Lo spazio dentro a lor quattro contenne Un gran Caro a do rue trionfai serà
Un carro, in su duo rote, trionfale, Nel trato in mezo ai anemai restava,
Che al collo d'un grifon tirato venne. Tira da un Grifo al colo soo ligi ;
Ed esso tendea su l'una e l'altr'ale Una per banda Io ale sventolava
Tra la mezzana e le tre e tre liste, Tra la strissa de mezo e quele in lin, 110
Si ch'a nulla, fendendo, facea male. E, nissuna tocando, in su le andava
Tanto salivan, che non eran viste; Tanto, da no poder vederghe el fm :
Le membra d'oro avea quanto era uccello, Tut'oro gcra quanto gora usi-lo,
E bianche l'altre di vermiglio miste. Bianco el reato mbsià col cremesin.
Non che Roma di carro così bello No solo a Roma el caro cussi belo 115
Rallegrasse Africano, ovvero Augusto ; Sarave sia de Augusto, o de Sipion,
Ma quel del Sol saria pover con elio ; Ma gnanca quel del Sol arente a'elo;
Quel del Sol che sviando fu combusto, Quel del Sol, che andà fora de stradon,
Per l'in uzioa della Terra devota, Giove dal mondo la preghiera avua,
Quando fu Giove arcanamente giusto. Ga dà al cucino la giusta punizion. 120
Tre donne in giro dalla destra ruota, Tre done in ziro da la drita rua
Veniaii danzando; l'una tanto rossa, Vien baiando : una tanto rossa gera,
Ch'a pena fora dentro al fuoco nota : Che saria a stento in fogo conossua;
L'altr'era, come se le carni e l'ossa L'altra fata pareva tuta in piera
Fossero state di smeraldo fatte; De smeraldo; la terza tuta bianca tJa
La terza parea neve testè mossa : Come neve cascada alora in lera.
Ed or parevan dalla bianca tratte, Parea el baio guidar ora la bianca,
Or dalla rossa, e dal canto di questa Ora la rossa, e col so canto questa
L'altre toglien l'andare e tarde e ratte. Fava andar l'altre in pressa o a pian. Da zanca
Dalla sinistra quattro facean festa, Altre quatro ghe gera a quela festa 130
107 Un gran Caro -.... questo Carro figura la Cattedra pontificia, elic posa su due testamenti: a destra sul
Nuovo, e di là le virtù Teologiche; sul Vecchio a sinistra, e di qua le Virlù Cardinali. La Chiesa è cosi In Ir
Virtù della ragione e le rivelate.
107 Nel Irato = nello spazio.
108 Grifo - - è un animale biforme immaginato dai poeti o dai pittori. La parte anteriore di esso è dV
quila, la posteriore di Icone. Simboleggia Gesù Cristo in cui sono due nature.
114 misuiii :: mescolato.
115-116 Accenna ai Carri trionfali montati da Cesare Augusto e da Scipionc Africano, quando coperti rii gln-
ria per le vinte battaglie rientravano ili Roma.
117 urente = qui vale: in confronto.
118-120 Qnel del Sol ee. -. il carro del sole guidato da Fetonte andando fuori di via, fu arso dal fuUninr
di Giove in seguito alle preghiere fattegli dalla terra. = coc/no = cocchiere.
121 Tre clone = sono esse le Virtù Teologali. La rossa £ la Carità; la verde, la Speranza; e la bianca, la
Fede.
1 SO in prena = prestamente.
130 altre iIuatro = le altre quattro sono le Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortali'
CANTO XMX. 295
ln porpora vestite dietro al mudo Vcstie de rosso, in baio secondando
D'una di lor, ch'avea tre occhi in lesta. Una d'eie, che avea tre ochi in tosta.
Appresso tutto '1 petrattato nodo, Dopo i sogeti, che so andà mostrando,
Vidi duo vecchi in abito dispari, Do rechi ho visto in abiti dispari,
Ma pari in atto ed onestato e sodo. Ma compagno l'aspeto venerando. 1 35
L'un si mostrava alcun de' famigliari De lpocrate un pareva tra i scolari,
Di quel sommo lpocràte, che natura . Ai omeni donà da la natura,
Agli animali fe ch'ell'lia più cari. Che sora i anemai la ga più cari.
Mostrava l'altro la contraria cura L'altro mostrava la contraria cura,
Om una spada lucida ed acuta, Con spada lustra in man cussi pontia, 1.10
Tal che di qua dal rio mi fe paura. Che anca de qua dal rio ho avù paura.
Poi ridi quattro in umile paruta, Dopo altri quatro ho visto vegnir vìa
E diretro da tutti un veglio solo Umili in ato, e a eli un vechio a drio
Venir, dormendo, con la faccia arguta. Co una ciera da svelto, e sì '1 dormia.
E questi sette col primato xtnolo Eguai sti sete aveva el so vestio 145
Grano abituali; ma di gigli (Solo che i zegi in testa no i gnveva)
D'intorno al capo non facevan brolo; Dei vintiquatro menzonai più indrio:
trui di rose e d'altri fìor vermigli : Ma rose e lini i rossi ghe strcnzeva
Giurato avria poco lontano aspetto, ! ... tempie ; e un fià da lonzi ochiai, zurà
Che tutti ardesser di sopra da' cigli: Se avaria che la fronte in tuli ardeva. 150
E quando il carro a me fu a rimpetto, Quando a mi in fazza el Caro s' ha mostrà,
Un tuon s'udì; e quelle genti degne S'hn scntio un ton, drio el qual la tuti quanti
Parvero aver 1 andar più interdetto, floi candelieri in testa i s'ha ferma,
; i MI. in il 1 1 .'hi con le prime insegne. E ha parso no i podesse andar più avanti.
132 (ma d'eie che uvea lre oclii in lesta = questo i• la Prudenza.
133 clic so amià mostrandn = che andai mostrando.
134 Do aechi • i due vecchi sono S. Luca, scrittore uYpjli Atti apostolici, e S. Paolo, scrittore dell'Epistole.
136 San Luca era medico, e perciò è detto discepolo d'lpocrute, clic la natura produsse per vantaggio do.
.'i nomini.
139-140 L'aliro = cioè S. Paolo clic, tenendo nella mano una spada, mostrava amichè di conservare la vita
dell' Domo, di torglieln.
142 Dopo altri fiuatro = sono essi gli Apostoli Giacomo, Pietro, Giovanni, e Giuda Taddeo, scrittori dell'F.pi-
slule canoniche. Altri intende qui accennarsi dal Pocta i Dottori.
143-144 aa vechio = questi è S. Giovanni Evangelista, clie, quando compose l'Apocalisse, aveva qnasi 90
.inni = svelto = qui vale, accorto, lino.
147 menzonai più in drio = vedi sopra v. 83.
152 UH (on = un tuono.
153 in testa = a capo del convoglio.
296 DEL PURGATORIO
CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Tra' fior discesa in angelica festa Bine tra i fiori vien che atorno via
Viene Beatrice, e della fiamma antica I Anzoli spande: del so antigo amor
Forza nel sen di Dante anco si desta. Dante in cuor sente avrirse la feria.
Volgesi a lui la bella donna amica. Da In Bice se volta e con dolor
E gli rinfaccia che il viaggio torse D'elo, la ghe rinfazza l'abaudon
Via da virlù che l'anima nutrica, De la virtù de l'anema vigor,
Poco pregiando aita che gli porse. Butando i so conscirl in t'un canton.
Quando il settentrion del primo cielo, Quando i lumi dal primo ciel calai,
Che nè occaso mai seppe nè orto, Che al contrario de l'Orsa indrio e avanti
Nè d'altra nebbia, che di colpa velo, Mai no i va, dal pecà solo apanai,
E che faceva lì ciascuno accorto El viazo là mostrando a quei viandanti,
Di suo dover, come il più basso face Come el porto al piloto segna el faro,
Qual timon gira per venire a porto, I s' ha a la prussission fermai davanti ;
Fermo si affisse, la gente verace, I vintiquatro vechi tra quel chiaro
Venuta prima tra il grifone ed esso, Splendor de lumi e '1 Grifo, al Caro belo
Al carro volse sè, come a sua pace : S' ha voltà, come al ben che i ga più caro.
E un di loro, quasi dal elei messo, E un d'eli quasi ambassador del cielo, 10
Veni, sponsa, de Libano, cantando, Veni sponsa de Libano, ha cantà
i. rido tre volte, e tutti gli altri appresso. Tre volte, e i altri in coro el ritornelo.
Quale i beati al novissimo bando Come i beati fora vegnerà
Surgeran presti ognun di sua caverna, Dal so sepolcro a l'ultima chiamada,
La rivestita voce alleluiando ; E avarà el corpo novo alelugià: 15
Colali, in su la divina basterna, Cussi in pie de quel ('aro la levada
Si levar cento, ad vocem tanti senis, Fa cento Anzoli ad vocem tanti senis,
Ministri e messaggier di vita eterna. De la vita imortal guida a la strada.
Tutti dicean : Benedietus, qui venis ; Benedietits, disea tuli, qui venis.
E, fior giltando di sopra e d' intorno, Fiori qua e là spandendo anca i discva: ÌO
Manìbits o date lilia plenis. Manibus o date litia plenis.
Io vidi già nel cominciar del giorno Come a le volte a l'alba mi vedeva
1 Quando i lumi dal primo ciel calai - cioè i lumi dei sette candelabri simboleggiatdi i doni dello Spirilo
Santo, discesi dal primo cielo, ossia dall'Empireo.
10-11 E UH d'eli _ questi è Salomonc scrittore della Sacra Cantica nella quale sono quelle parole lalinr.
17 mi fui-,-ni tanti senti = alla voce di tanto vecchio, cioè di Salomone.
19-21 Bcni-dielint qui vi-nis = benedetto tu che vieni; parole proferite dagli angeli e rivolte, chi pifienilf
a Dante, chi al Grifone simbolo di G. C., e riii, con maggiore probabilità, a Beatrice = Manibai o dati UH'
pienia . - spargete i gigli a piene mani.
23 dal caligo = dalla nebbia.
CANTO XXX. 297
La parte orientai tutta rosata, Dal caligo el Levante sconto afato,
E l'altro ciel di bel sereno adorno, E in tuto el resto el ciel seren luseva,
E la faccia del Sol nascere ombrata, E '1 Sol farse nebioso apena nato 25
Si che per temperanza di vapori In modo, che tra l'ombra dei vapori
L'occhio lo sostenea lunga liata : S'el podeva fissar per un bon trato ;
Così dentro una nuvola di fiori, Cossi tra una gran nuvola de fiori
Che dalle mani angeliche salira, Hai Anzoli stanzai, del Caro Santo
E ricadeva giù dentro e di fuori, Drente e fora cascando a bei colori, 30
Sovra candido rei cinta d'oliva Vedo una dona tra '1 celeste incanto,
Donna m'apparve, sotto verde manto, Con bianco velo coronà d'oliva,
Vestita di color di fiamma viva. E in vesta rossa solo verde manto :
F, lo spirilo mio, che già cotanto E za Fini emo mio, che no sentiva
Tempo era stato, ch'alia sua presenza Da un gran pezzo el tremazzo, che no digo, 35
Non era di stupor tremando affranto, Co grando vicin d'eia me vegniva,
Senza degli occhi aver più conoscenza, Sihci vanIarla in viso per l'intrigo
Per occulta virtù che da lei mosse, Del velo no podesse, el ga sentio
D'antico amor sentì la gran potenza. Per arcana virtù l'amor antigo.
Tosto che nella vista mi percosse Apena apena s' ha svegià in cuor mio, 40
L'alta virtù, che già m'avea trafitto In veder quela dona, el tanto amor
Prima ch'io fuor di puerizia fosse, Che insina da putelo m' ha ferio ,
Volsitni alla sinistra col rispitto A zanca m' ho voltà col balicuor,
Col quale il fantolin corre alla mamma, Col qual corc a la mama el bamboleto,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto, S'el ga paura, o afano el ga de cuor, 45
Per dicere a Virgilio : Men che dramma Per dir : Virgilio mio, no m'è un giozzeto
Di sangue m'è rimasa, che non tremi ; * De sangue senza spasemo restà ;
Conosco i segni dell'antica fiamma. Vedo i segni del vechio amor che ho in peto.
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi Ma in abandon Virgilio m' ha lassà ;
Di sè, Virgilio dolcissimo padre, Virgilio, el caro Pare, al qual m'aveia 50
Virgilio, a cui per mia salute die'mi: Mi, per meterme in salvo, confidà.
Nè quantunque perdeo l'antica madre, Tuli i tesori che ga perso Eva,
Valse alle guance nette di rugiada, Tegnirme indrio no ga podesto el pianto,
Che lagrimando non tornassero adre. Che dai ochi za suti me pioveva.
Dante, perchè Virgilio se ne vada, Dante, no pianzer no, no pianzer tanto 55
Non pianger anco, non pianger ancora ; Perchè è parlio Virgilio; che più grando
Che pianger ti convien per altra spada. Motivo a pianzer te farà, ma e quanto !
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora Come Amiragio, che da pope ochiando
Viene a veder la gente che ministra vii-u e da prua la zente soa de mar
Per gli altri legni, ed a ben far la incuora, Su le altre nave, quela incoragiando ; 60
Io su la sponda del carro sinistra, Del Caro al zanco fianco, co a vardar
Quando mi rolsi al suon del nome mio, Me son voltà sentindo el nome mio,
CANTO TRENTESlMOPRlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
O tu, che se' di là dal fiume sacro Dopo drizzando el so discorso a mi,
(Volgendo suo parlare a me per punta, Che anca per sbiego el tossego m' ha spanto,
Che pur per taglio m'era parut'acro), La ga de longo seguità cussi :
Ricominciò, seguendo senza cunta, Ti, che ti stà de là dal fiume santo,
Di', di', se quest' è vero : a tanta accusa Di' ti se digo el vero; via di' suso:
Tua confession conviene esser congiunta. l to fali confessa drio sto tanto.
Era la mia virtù tanto confusa, Gera cussi smario, cussi confuso,
i. ln' la voce si mosse, e pria si spense Che provando la vose a butar fora,
Che dagli organi suoi fosse dischiusa. Del gargato la s' ha fermà in tei buso.
Poco sofferse; poi disse: Che pense? Cossa ti pensi? po la dise ancora
52 E co = e quando.
56 / piaceri busiari = i piaceri bugiardi, cioè falsi.
58-59 No dovea cc — Dopo morta Beatrice, Dante fu pure suggetlo ad innamorarsi; per esempio s'innamo
rò della (Idillica, di cui il C. XXlV. v. 37 e seg. o dietro quanto narra qualche storiografo, sarebbe stato preso
da passione amorosa per madonna Pietra degli Scrovigni padovana .
61 noma = appena . mo/ai = ^ortiti.
64 i putei . i l'uncinili.
65 tenza arfiar = sema fiatare.
79 in/ini = gonfl.
CA-YTO xxxi. 303
Vincer, che l'altre qui quand'ella c'era. Che l'altre done co de qua l'è stada.
Di penter sì mi punse ivi l'ortica, Dir qual rimorso là me tormentasse, 85
Che di i ni i". ili i i, cose, qual mi torse No so, ma '1 xe sta tal, ch'ogn'altra cossa
Più nel suo amor, più mi si fe nimica. Che più go amà l' ha fato che mi odiasse.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse, Cossi granda in pentirme ho avua l'angossa,
Ch'io caddi vinto, e quale allora femmi, Che me son perso, e come sia restà,
Salsi colei che la cagion mi porse. Quela lo sa che me ga dà la scossa. 90
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, Po, co la conossenza m'è tornà,
li Donna ch'io avea trovata sola, Vedo la dona che ho trovada sola,
Sopra me vidi, e dicea : Tiemmi, tieinmi. Rente a mi, e me disea : Sta a mi tacà.
Tratto m'avea nel fiume i n lino a gola, La me fonda in canai fin a'ia gola,
E, tirandosi me dietro, sen giva E a remurchio tirandome, eia andava 95
Sovrt-sso l'acqua, lieve come spola. Snr, i l'aqua leziera a mo de spola.
Quando fui presso alla beata riva, La santa riva quasi mi locava,
àtperyei me sì dolcemente udissi, Co un tanto dolce asperges me sentiva,
Ch'io noi so rimembrar, non ch'io lo scriva. Che dir nè scriver so come i cantava.
lì bella donna nelle braccia aprissi, La bela dona i brazzi l'averziva, 100
ibbracciommi la testa, e mi sommerse, La m' ha brazzà la testa, e un caorio
Ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi. Fatome far, l'aqua cossi ingiotiva :
Indi mi tolse, e bagnato m'offerse Po cavà mogio mogio da quel rio,
Dentro alla danza delle quattro belle, La me conduse da le quatro bele,
E ciascuna col braccio mi coperse. Che baiando coi brazzi m' ha covrio. 105
.Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle ; Ninfe semo in sta selva, e in cielo stele;
Pria che Beatrice discendesse al mondo, Prima che Bice fusse nata al mondo,
Fummo ordinate a lei per sue ancelle. Sumo stac destinae soe damigele.
Mi uivini ; agli occhi suoi : ma nel giocondo Da eia te conduremo, ma nel fondo
Lume ch' è dentro, aguzzeran li tuoi Dei soi bei ochi i toi entrar farà 110
Le tre di là, che miran più profondo. Le tre là in cao, che ga un saver profondo.
Così cantando cominciaro : e poi Cossi cantando, le me ga menà
Al petto del grifon seco menarmi, Dal Grifo de fazzada, e al sito istesso
Ove Beatrice volta stava a noi. Bice da nu voltada ochicmo là.
Disser: Fa che le viste non risparmi; Po le me dise: Varda ben adesso ; 115
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi, Ti xe davanti ai ochi brilantai
Ond'Amor già ti trasse le sue armi. Coi quali amor el fogo in cuor i.' ha messo.
Mille disiri più che fiamma caldi Un mici- de desideri i più infiamai
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti, De quei ochi el splendor me fa fissar,
84 Co = quando.
92 Vedo la dona — cioè Matelda.
93 Reate a mi = vicina a me = Sia a mi lacà = stringili a me dappresso.
94 La me fonda in canai = cioè nel fiume Lete.
98 Co = quando = asperges me = parole del Salmo 50, elic il Sacerdote proferisce quando con l'acqua
la asperge il popolo.
100 Ln beta dona = cioè la stessa Maleldu
101 caorio = capitombolo sotto acfjua.
103 mogio mogio = grondante.
104 da le iIuatro bele - le quattro Virih Cardinali.
Ili Le Ire = Virtù Teologiche = là in cao = di là, cioe dall'altra parte del Carro.
118 Un mia- = mille.
304 DEL PURGATORlO
Che pur sovra il grifone stavan saldi. Che sempre sul Grifon i sta fermai. 120
Come in lo specchio il Sol, non altrimenti Come in tei spechio el Sol, drento cambiar
La doppia liera dentro vi raggiava, De la bestia la forma se vedeva
Or con uni, or con altri reggimenti. Ora umana or divina. E qua pensar
Pensa, lettor, s' io mi maravigliava, Ti poi, letor, come restar doveva
Quando vedea la cosa in sè star queta, Mi, quando ci Grifo fermo, a trato a tratu 125
E nell'idolo suo si trasmutava. ln quei ochi muarse visto aveva.
Mentre che, piena di stupore e lieta, Sin che amirava imatonido afato
L'anima mia gustava di quel cibo, Quel incanto, che più lo sto vardando,
Che, saziando di sè, di sè asseta ; A gustarlo de più me sento trato;
Sè dimostrando del più alto tribo Co un far che mostra aver rango più grande, 130
Negli atti, l'altre tre si fero avanti, Le altre tre bele fatese davanti
Danzando al loro angelico caribo. Tra '1 so anzelico canto vien baiando.
Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi, Zira Beatrice, zira i ocbi santi
Era la sua canzone, al tuo fedele, Sul to amigo fedel, eie cantava,
Che, per vederti, ha mossi passi tanti. Ch'el ga fato per ti sti viazi tanti. [Ì35
Per grazia fa noi grazia che disvele Fane a nu sta finezza, via da brava,
A lui la bocca tua, sì che discerna Scovrighe el novo tuo celeste viso,
La seconda bellezza che tu cele. Che per vederlo tanto el spasemava.
O isplendor di viva luce eterna, O Bice mia, splendor del Paradiso,
Chi pallido si fece sotto l'ombra Chi è quelo che in Parnaso ha strussià tanto,
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, O sa fato le Muse el più bon viso,
Che non paresse aver la mente ingombra, Che intrigà noi sarave col so canto
Tentando a render te qual tu paresti A dir come ti geri tra '1 concerto
Là dove armonizzando il ciul t'adombra, Dei anzelici cori, e soto el manto
Quando nell'aere aperto ti solvesti? D'un ciclo puro co ti t'ha scoverto? 1*5
CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quando il Poeta dal sonno si desta. Svegià Dante dal sono, vede star
Trado sotto alla pianta il Carro vede; Soto la pianta ni Caro, malmena
Cui prima forte un'Aquila molesta. Da l'Aquila un flà prima. 'Quelo sliusar
Ed indi un Drago salendo lo fiede: Va un Drago, o ghe ne strapa un loco. Ma
ljoi d'esso mftravlgfie i-scon maiririori. Dt'. uni'? maravegie, eho faria
Allo cui ulto senso si richiede Trassucolar, che sorte da de lu,
D' allegorico velo tra rii fuori. Cavegha el senso da l'alegoria.
Tanto i-rau gli occhi miei fissi ed attenti Dopo dies'ani de desun, tegniva
A disbramarsi la decenne sete, Su Bice i ochi uiii tanto incantai,
Che gli altri sensi m'eran tutti spenti; Ch'altro mi no vedeva nè sentiva.
Ed essi quinci e quindi avèn parete Nissuna cossa al mondo li ha straviai
Di non caler, così lo santo riso Quanto quel riso, che fissar ardisso, 5
A sè traèli con l'antica rete; E li a vr,i, come sempre, incadenai ;
Quando per forza mi fa volto il viso Quando senza voler col'ochio sbrisso
Ver la sinistra mia da quelle Dee, Su Ir tre done a zanca, perchè sento
Perch'io udia da loro un : Troppo fiso. Che le dise : Ti vardi massa fisso.
E la disposizion, che a veder ec Come quel che vardando el Sol atento, 10
Negli occhi pur teste dal Sol percossi, Dal lusor tropo forte resta orbà,
Sanza la vista alquanto esser mi fee ; Me ga mancà la vista in quel momento.
Ma poichè al poco il viso riformossi Ma su altre luse co la s'ha infrancà
(lo dico al poco per rispetto al molto (Arquanto manco vive in paragon
Sensibile, onde a forza mi rimossi), De quela, che per forza go lassà) 15
Vidi in sul braccio destro esser rivolto Vedo zirar la santa prussision
Lo glorioso esercito, tornarsi A drita incontro al Sol e ai candelieri,
Col Sole e con le sette liamme al volto. Che inlumina l'anzelica funzion :
Come sotto gli scudi per salvarsi Come, parai dai scudi, fa i gucricri
Volgesi schiera, e sè gira col segno, Co la bandiera in ziro la voltada, 20
Prima che possa tutta in sè mutarsi ; Prima che se rad rizza i ranghi intieri;
Quella milizia del celeste regno, Tuta del ciel la trupa xe passada
Che precedeva, tutta trapassonne Avanti abia el timon del Caro pio
Pria che piegasse il carro il primo legn0. Fata dopo de quela la zinula.
Indi alle rote si tornar le donne, Tornae le done a le so rode indrio, 25
1 Dopn diei'ani de desmi - dopo dicci nuni di digiuno. Erano scorsi dicci anni dalla morte di Beatrice :
'lai 1290 al 1300: vedi C. XXX. v. 34-36
^ co l'nrlii» sbrisso == mi cudc l'occhio.
3 Su le Ire dtmt = cioè le tre virtù Teologali eho stavano a desini del Carro (la ('.hìr-ii, e alla sinistra
di Dante.
9 massa = troppo.
13 m st'altre luse = cioè nelle luci delle altre cose celesti.
19 pumi =-_ riparali, difesi dai colpi del nemico.
2! (a inilm = cioè gli scrittori della legge antica e i profeti.
20
306 DEL PURGATORIO
E il grifon mosse il benedetto carco, Senza vederghe pena Iremolar,
Sì che però nulla penna crollonne. S' ha lirà '1 Grifo et sanlo peso drio.
La bella donna che mi trasse al varco, Quela che m' ha '1 canai fato passar,
E Stazio ed io seguitavam la rota Si. i/io e mi, compagnavimo la rua,
Che fe l'orbita sua con minor arco. Che fa '1 ziro più strelo in tei vollar.
Sì passeggiando l'alta selva vota, Per la selva se va de zente nua,
Colpa di quella ch'ai serpente crese, (Colpa de quela che ha scollà el serpente)
Temprava i passi un'angelica nota. Dei anzelici canti a la balua.
Forse in tre voli tanto spazio prese Slongai Ire tiri d'arco, o là là arente,
Disfrenata saetta, quanto eràmo Se gera, co culia che sempre bramo
Rimossi quando Beatrice scese. Xe smonimia dal Caro. la imi dolente
Io senti' mormorare a tutti : Adamo ! Tuli Ira i denti e in fià i ha dilo : Adamo !
Poi cerchiaro una pianta dispogliata Dopo una pianta i ga lornià, che fruti
Di fiori e d'altra fronda in ciascun ramo. No l'aveva nè fogie in nissun ramo.
La chioma sua, che tanto si dilata Più in su va i rami, e più se starga i fouli
Più, quanto più è su, fora dagl'Indi Tanto alii, che compagni in mezo a lauti
Ne' boschi lui per altezza ammirata. No vanta el bosco Indian che amira tuli.
Beato se', grifon, che non discindi Ti beato, Grifon, che no ti pianti
Col becco d'esto legno dolce al gusto, El to bèco in sto legno dolce al gusto.
Posciache mal si torse il ventre quindi. Causa de tanti mali, afani e pianti.
Cosi d'intorno all'arbore robusto Cussi i altri diseva in i orno al fusto ;
Gridaron gli altri ; e l'animai binato : E '1 Grifo sia sentenza ha pronunzià :
Sì si conserva il seme d'ogni giusto. La semenza cossi resta del giusto.
E volto al temo, ch'egli avea tirato, E voltà al Caro, ch'el gavea tirà,
Trasselo a pie della vedova frasca ; Ai pie lo mena della spogia pianta,
E quel di lei a lei lasciò legato. Che ghe aparlien, e a quela el 1' ha ligà.
Come le nostre piante, quando casca Quando la luse el Sol d'avril ga spanta.
Giù la gran luce mischiata con quella Dando n le nostre piante el so calor,
Che raggia dietro alla celeste lasca, PronIamente anemae le se descanta,
Turgide fansi, e poi si rinnovella Le se sgionfa, n le buta novo fior,
Di suo color ciascuna, pria che '1 Sole Prima ch'el cora a un altro segno drio.
Giunga li suoi corsier sott'altra stella; Mostrando ognuna el proprio so color ;
28 Quela = cioè Malelda, quella elic fece passar il fiume l,cln (Vdi C. XXXI v. 94 e seguenti) e che gii
tenne compagnia nell'incontro del Paradiso terrestre.
29 rn n - ruota.
31 de sente nua • spoglia di genie.
33 a la balua = a tempo di musica.
31 Stangai — dilungati =: o là là areate — o lò a un dipresso
35 co culi" — quando colei, cioè Beatrice.
37 i/i fìà = in fiato, a voce sommessa = Adamol — eselamazione di rimprovero verso Adamo porciii pfr
sua inobbediciua tale luogo era perduto dalla umana generazione.
38 una pianta = è I albero della scienza del bene e del male: qui i- simbolo della monarchia universale <
del Romano impero = f ga /orma — hanno circondalo.
40 i 6o/i' = i gcrmi: vedi il C. seg. v. 65-60.
50 tpayin = spoglia di fronde.
51 die ykc apparticu — Cristo fondò la sua Chiesa nell'impero e per l'impero; e BUpicntcmcute d I'.
nel suo discorso sull'allegoria del Sacro poema osserva che in questo fatto del grifone di lasciare il rarru Ji !<•
gno legato al legno della pianta, è un documento che il Papa colla sua cattedra, figurata nei curro, è
mandato qual cittadino temporale e membro della società, alla vigilanza e cura dell' imperatore. Vedi C. 11 t
l'inferno.
CANTO XXXtf. 307
Men che di rose, e più che di viole, Cossi l'alboro nuo, se ga vestio
Colore aprendo, s'innovò la pianta, Color viola, e de rosa solo un fià.
Che prima avea le ramora sì sole. Qua 7.0 no i canta, nè l'ho mai sentio, 60
Io non lo intesi, ni quaggiù si canta Quel Ino dolce che i cantava là ;
L'inno che quella gente allor cantaro, E el me ga fato tanto deliziar,
>'è la nota soffersi tuttaquanta. Che avanti el sia finio m'ho indormenzà.
S'io potessi rii m r come assonnato Se dir savesse come indormenzar
Gli occhi spieiati, udendo di Siringa, De Siringa la fiaba ha podesto Argo, 65
Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro; Che caro ga costà lanto vegiar ;
Come pintor che con esempio pinga, Drio quel modelo me torave el cargo
Disegnerei com'io m'addormentai; De spifarar come insonà me sia,
Ma qual vuoi sia che l'assonnar ben finga. Ma a dirlo ben ghe lasso ai altri el largo.
Però trascorro a quando mi svegliai, E digo, per finir la storia mia, 70
E dico ch'un splendor mi squarciò il velo Che m'ha svegià una luse e sto parlar:
Del sonno, ed un chiamar : Surgi, che fai ? Cossa i'astu qua ti? leva su via.
Quale a veder de' fioretti del melo, Come i fiori del Melo andai a ochiar
Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti, Xe Piero, Zuane e Giacomo, cifri l'i uhi
E perpetue nozze fa nel cielo, I Anzoli gioii in ciel fa consolar, 75
Pictro e Giovanni e lacopo condotti, E in cielo quel so pomo i gusta luto ;
E vinti ritornaro alla parola, E là cascai, la vose che ha svegià
Dalla qual furon maggior sonni rolli. - Soni più duri, el soo anca ha destruto ;
E videro scemata loro scuola, Tornai po in eli, partir via da là
Così di Moisè come d' Elia, I ha visto Elia e Mosò, e i xe restai 80
E al maestro suo cangiata stola ; Ch'el so Mestro de vesta s' ha cambià ;
Tal torna' io, e vidi quella Pia Cussi go tegnù i uchi spalancai
Sovra me starsi, che conducitrice Su la dona, che longo el rio la strada
Fu de' miei passi lungo il fiume pria; Mostrandone, ha i mii passi acompagnai.
E tulio in dubbio dissi: Ov'è Beatrice? Con ansia digo: Dov'è Bice andada? 85
Ed ella: Vedi lei sotto la fronda E eia : Solo le fogie là in senton
58-59 unn -- nudo • - ae ga veslio -.-. si vesti (di nuove foglie). Allegoricamente: Tosto ehe la scde aposto
lica ebbe il suo luogo, Roma, che prima era disadorna d'ogni virtù, se n'abbellì tutta quanta, a somiglianzà delle
punte, che in primavera si vestono di fronde e di fiori, mostrando un colore misto di roseo e di violaceo, quale
-i è il sangue: n qui si allude forse al sangue di G. C., e a quello dei martiri, ond'ebbe incremento la Chiesa.
(Fraticelli;. = un fià — un poco.
64-66 Se dir zaveste = secondo le favole Giove in. nulo in terni Mercurio per SvITU in poter suo la giovi
netta lo, guardata, per ordine di Giunone gelosa, da Argo ehe con cento occhi la vegliava senza sentire alcuna
Mfi. i di lei. Il divino messaggero venne ad Argo, e si pose a raccontargli con si dolce cauto la favola di Si
ringa amala da Pane, che gli infuse negli occhi il sonno e poi l'uccise .--: vegiar — vegliare.
67 i-/ cargo -.-. il peso. Qui è preso per impegno, incarico assunto.
68 de tpifarar = di spiattellare.
69 ti larga = il campo.
73-81 del Mi-In ee. - nel Melo (pomo) è simboleggiato Gesù Cristo: cosi la Donna dei Sacri Cantici: Situt
metia mfer tigna silvarum, sic dileelus menu. I tre discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo, furono condoni a vedere
' fioriidei melo, cioè un saggio della gloria della divinità di Gesù Cristo nella sua trasfigurazione; e dopo essere
cadali a terra percossi e stupefatti dal divino fulgore, si riebbero alle parole: Surgile ci notile limare, 'di-tic
dal Redentore, alla cui voce fu rotto pure il sonno di Lazzaro quando disse: l,azare, vani furuz, e videro par
tire Uose ed Elia, elic erano apparsi con Gesù Cristo, e sparire il niveo splendore delle veslimenla divine. -
renai = rimasti attoniti.
83 Su la dona — Matelda.
86 m scidon = siedala.
308 DEL PURGATORIO
Nuova sedersi in su la sua radice. La xe al pie de la pianta revivada
Vedi la compagnia che la circonda; In mezo a le compagne, e drio al Grifon
Gli altri dopo il grifon sen vanno suso, Tuli quei altri in cielo i xe tornai
Con più dolce canzone e più profonda. Cantando una più tenera canzon. 90
E se fu più lo suo parlar diffuso Se più la gabia dito, chi '1 sa mai!
Non so, perocchè già negli occhi m'era Che altro, co ho visto quela che m'incanta,
Quella, ch'ad altro intender m'avea chiuso. N' ho sentio, e in eia i ochi go fermai.
Sola sedeasi in su la terra vera, L'era sentada su la lera santa
Come guardia lasciata lì del plaustro, Quasi in guardia del Caro, che mi aveva "
Che legar vidi alla biforme fiera. Visto ligar dal Grifo a quela pianta.
In cerchio le facevan di sè elaustro Le sete done cerchio ghe fazzeva
Le sette ninfe, con que' lumi in mano Tegnindo ognuna uno dei lumi in man,
Che son sicuri d'Aquilone e d'Austro. Che stuar Siroco o Bora no podeva.
Qui sarai tu poco tempo silvano, Via da sto bosco, e'1 lempo no è lontan, 100
E sarai meco senza fine cive Ti sarà citadin con mi e con Cristo
Ili quella Roma, onde Cristo è Romano ; De la Cità dove xe Lu el Sovran.
Però, in pro del mondo che mal vive, Ma perchè se reveda l'omo tristo,
Al carro tieni or gli occhi, e, quel che vedi, Varda sto Caro, e co ti torni al mondo,
Ritornato di là, fa che tu scrive. Pensa de scriver quelo che li ha visto. 105
Cosi Beatrice; ed io che tutto a' piedi Cossi Bice me parla, e sin al fondo
De' suoi comandamenti era devoto, Del cuor locà per quela ordinazion,
La mente e gli occhi, ov'ella volle, diedi. Con ochi e mente el so voler secondo.
Non scese mai con sì veloce moto Mai da l'allo cussi a precipiton
Fuoco di spessa nube, quando piove Xe '1 fulmine piombà quando che piove, HO
Da quel confine che più è remoto, Come in calarse zoso de ficon
Com'io vidi calar l'uccel di Giove Veder me ga locà Posel de Giove
Per l'arbor giù, rompendo della scorza, Su la pianta, sbregandoghe la scorza,
Non che de' fiori e delle foglie nuove; Stradando i fiori e le so fogie nove.
E ferio '1 carro di tutta sua forza, E el Oro trionfai con tuta forza !l•i
Ond'ei piegò, come nave in fortuna, Scosso, come in borasca un bastimento
Vinta dall'onde, or da poggia or da orza. Ora a di-ita ora a zanca andar lo sfora.
Poscia vidi avventarsi nella cuna Dopo sìanzarse ne la cassa drento
Del trionfai veiculo una volpe, Vedo una volpe, che pareva mai
Che d'ogni pasto buon parca digiuna. No l'avesse gustà bon nutrimento. '20
Ma riprendendo lei di laide colpe, Ma co Vice i so imbrogi ha strapazzai,
La Donna mia la volse in tanta futa. Jn tanta pressa se la ga batua.
SS campagne = cioè le selle donno simboleggiatdi le Ire Virtù teologali, come fu dello sopra alla noia S., (
le quatlro virtù cardinali.
92 co ha visto — quand'ho vedulo,
103 se receda — si emendi.
109 a precipilon = prceipilosamente.
111 ite ficmi = di li lalo.
112 l'osci rf" Giove = l'aquila simbolo dell'Impero nimanu.
1 13 tbvcgundoght la scorza — lacerandole la corteccia.
115-117 E 'i caro trionfai = alludesi alla persecuzione fathi alla Chiesa dagli imperatori romani.
Ilil una txi!]}c — eioò l'eresia elic astutamente e fraudolenteinente cerca iidroJursi nella Chiesn-
121 Ma co = ma quando.
122 In tanta pressa .- con tanta prestezza = se la ga batua — si mise a fuggire.
CANTO xxxn. 309
Quanto sofferson l'ossa senza polpe. Quanta ghe permetea i ossi spolpai.
Poscia, per indi ond'era pria venuta, Po da dove la xe prima vegnua,
L'aquila vidi scender giù nell'arca L'aquila drente al Caro xe svolada, 125
Del carro, e lasciar lei di sè pennuta. Lassandoghe de pene una gran mua.
E, qual esce di cuor che si rammarca, Come dogia de cuor dal cuor mandada,
Tal voce uscì del cielo, e cotal disse : Una vose dal ciel £ussi ha parlà :
O navicella mia, com' mal se' earca ! Barcheta mia, co mal che i i ha cargada !
Poi parve a me che la terra s'aprisse M' ha parso po el teren s'abia spacà 1 30
Tr'ambo le rote, e vidi uscirne un drago, Tra le rue, e visto ho un drago che sortio
Che per lo carro su la coda fisse : Uà quel, la eoa in tei Caro el ga piantà :
E, come vespa che ritragge l'ago, Come el sponton la vespa tira indrio,
A sè traendo la coda maligna, La eoa el ritira, e un loco in quela el tien
Trasse del fondo, e gissen vago vago. Del fondo, e a zighezag po '1 xe sparlo. 135
Quel che rimase, come di gramigna Del Caro el resto, come el bon teren
Vivace terra, della piuma, offerta De gramegna se covre, de la pena
Forse con intenzion casta e benigna, (Che gh'è sta dada forsi a fin de ben)
si ricoperse, e funne ricoperta Se ga coverto ; e de l'istessa pena
E i'ima e l'altra rota e il temo in tanto, S'ha coverte le rode e anca el timon, 140
Che più tiene un sospir la bocca aperta. Sintanto che un sospiro se dà apena.
Trasformato cosi il dificio santo Vegnù in sto modo el Caro un mascaron,
Mise fuor teste per Je parti sue, 1 .' ha cazzà fora teste d'ogni banda :
Tre sovra il temo, ed una in ciascun cauto. Tre sul timon e un'altra per canton;
Le prime eran cornute come bue ; Le prime i corni come i bo le manda; 143
Ma le quattro un sol corno avean per fronte : E le altre quatro un solo su la fronte :
Simile mostro visto mai non fue. Mai s' ha visto una cossa più nefanda.
Sicura, quasi rocca in alto monte, Ferma come una torc in cima a un monte,
Seder sovr'esso una puttana sciolta Sentada in Caro una putana stava,
M'apparve con le ciglia intorno pronte. Zirando i ochi e la sfazzada fronte. 150
f; come perchè non gli fosse tolta, Al so fianco un zigante in pie la ochiava,
Vidi di costa a lei dritto un gigante, Aciò che da nissun la sia tocada,
126 una gran mua = una gran quantità, cioè le ricchezze donale dagli Imperatori alla Ciucca.
127 elogia ._ doglia.
128 una vote =: una voce nell' Apocalisse (XVIII. lì psce dal cielo; voce di rammarico nella visione della
femmina fornicante coi re.
129 co inni = quanto male — i-In i l'ha cargada = elic ti hanno caricata.
131 rue .- ruote --.: un drago = cioe lo Scisma che tenta introdnrsi esso pure nella Chiesa.
133 'I tponlon = il pungiglione.
134 e un loco = e un pezzo.
135 a zightzag — voce elic significa, tortuosità, serpeggiamento.
13S '.Vir iila sia dada farsi a fin de ben = Sono qui simboleggiati i mali effetti prodotti dalle ricchezze
offerte alla Chiesa con buona intenzione, in quanto miravano al maggior lustro della sede e al sovvenimento dei
poveri; le quali in breve spazio di tempo diventarono strabocchevoli (Fraticelli).
H2 un matcaron - qui vale per figura lu più deforme; cioè la Sede Pontificia divenuta un mostro por
che le ricchezze corrompono il cuore dci Pontefici.
143 L'ha cazza . spinse fuori — d'ogni banda .-.- per tulli i luti. Nelle selle teste sono simboleggiati li
'die peccati capitali.
145 una putana = simbolo dei l'astori che si sono lasciati corrompere dalle ricchezze.
151 UH zigaide ... è qui simboleggiato Filippo il Bello re di Francia, che patteggiò con Bonifazio Vili e
cogli altri Pontefici, e li voleva tenere schiavi alle sue voglie.
310 DEL PURGATORIO
E baciavansi insieme alcuna volta : E a quando a quando insieme i se basava:
Ma perchè l'occhio cupido e vagante Ma perchè la me ga molà un ochiada
A me rivolse, quel feroce drudo Bricona, el so berton inzrlosio 155
La flagellò dal capo insin le piante. La ga da testa a pie ben pelufada.
Poi, di sospetto pieno e d'ira crudo, Tra "1 sospeto e '1 velen po incrudelio,
Disciolse il mostro, e trassei per la selva Destigà el Caro, un mostro deventà,
Tanto, che sol di lei mi fece scudo Per el bosco lontan s'el tira drio :
Alla puttana ed alla nuova belva. Cussi putana e mostro s'ha sfantà. 1611
CANTO TRENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Volta Beatrice parla in dolce aspetto, Beatrice parla con Ingnignita
E quel che Pante avea con occhio scorto, A Dante, al qual su quanto el ga possii
Brevemente dichiara al suo intelletto. Là descovrir, la spiegazion ghe da.
Indi perch'abbia nel suo sen conforto Po per aver più forza in la virtù,
Vera virtù, che l'anime fa belle. Che piase a Dio, e l'anemo fa belo,
Dee d'Eunoe, d'onde si fa più accorto, Beve ne l'Eunoè. Puvo vegna,
Turo, e disposto a salire alle stelle. El se despone d'andar suso in cielo.
1 Ora le tre ora le yuatro tele = le donne accennate al v. 88 del Canto precedente.
2 Deus veneraut genici ee. -= Sahno nel quale Davide piange le abominazioni del Tempio di Gerosolima,
ed invoca il braccio di Dio contro gli operatori di quelle.
7 .!/n co = ma quando.
10-12 Modicum ». .-. ancora un poco e non mi vedrete; e uovamente: ancora un poco e voi mi vedrete.
Parole di Gesù Cristo colle quali predice a' suoi discepoli che fra poco gli avrebbe lasciati e sarebbe salito
i'Ititi.
CAIVTO xxxni. 314
Poi le si mise innanzi tutte e sette, Po mandando davanti tute sete,
E dopo sè, solo accennando, mosse La Matelda con Stazio e mi, invida i
Me e la Donna, e il Savio che ristette. Con un moto, drio d'eia la ne mete. 15
Così sen giva, e non credo che fosse Cussi la va, e no Cavea puzai
Lo decimo suo passo in terra posto, Diese passeti sul teren antigo,
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ; Quando i soi coi mii ochi -" ha incontrai.
E con tranquillo aspetto: Vien più tosto, Calma in ciera eia a mi: Camina, amigo,
•Mi disse, tanto che s'io parlo teco, Più presto tanto, che con ti parlando, 20
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto. Ti possi ben sentir quelo che digo.
Si com'i' fui, com'io doveva, seco, Fatome arente apena avù el comando,
Di-vmi: Frate, perchè non t'attenti Perchè, la dise, no ti fa domanda
A dimandare omai venendo meco? Desso, che insieme andemo caminando ?
Come a color, che troppo reverenti, Come davanti a una persona granda, 25
Dioanzi a suoi maggior parlando sono, Impedia per la tropa sugizion,
Che non traggon la voce viva a' denti, La vose piena fora no se manda ;
Arrenne a me, che senza intero suono Cussi è de mi, che digo in semiton :
Incominciai : Madonna, mia bisogna O santa dona, quel che me bisogna
Voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono. Vu ben save, perchè save chi son. 30
Ed ella a me : Da tema e da vergogna E eia a mi: La temanza e la vergogna
Voglio che tu omai ti disviluppe, Scazza via, che de ti no saria degno
Sì che non parli più com'uom che sogna. De parlar come quelo che s'insogna.
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe, Sapi; ci Caro sfondà dal drago indegno,
Fu, e non è ; ma chi n' ha colpa creda No xe più lu, ma i birbi sentirà 35
Che vendetta di Dio non teme suppe. Come l'ira de Dio no ga ritegno.
Non sarà tutto tempo senza reda L'aquila, che le pene ga lassà
L'aquila che lasciò le penne al carro, Al Caro vegnù mostro e po botin,
Perchè divenne mostro e poscia preda ; Un erede più bon la trovarà :
Ch'io veggio certamente, e però '1 narro, E tanto certa son, che vedo insin 40
A darne tempo già stelle propinque, (Perciò lo digo) el ciel ch'el tempo belo
Sicuro d'ogni intoppo e d'ogni sbarro; El segna, senza intopi a nu vicin ;
Nel quale un cinquecento dieci e cinque, Nel qual un capitan mandà dal cielo,
Messo di Dio, anciderà la fuia, Del gran zigante e de la so sìondrona,
E quel gigante che con lei delinque. Tra le soe briconaè farà un macelo. 'ia
E forse che la mia narrazion buia, Forsi ste cosse scure le te sona,
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade, Come de Sfinge e Temi xe l'arcan,
16 puzai = posti.
17 ,..\iHl., — mitico, riferito alla terra del Paradiso terrestre abitata dai primi uomini.
31 I. n (manzo = la tema.
34-36 Sa/n' ee. — viene fatta allusione alla sede Pontificia, che non e più tale quale fu da Dio stabilita dopo
perdute le sue virtù fondamentali, la povertà e l'umili:! ; e dopo essere stata trasportata in Avignoue, e ciò per
colpa del Papa Clemente V, e Filippo il Bello re di Francia: vedi v. 158, 159 del Canto precedente.
37.45 l'aquila che le pene ce. — fuori di metafora significa, elic l'imperatore che fece donazioni alla Santa
Sede, il perchè ella divenne mostruosa e poscia preda dei francesi, troverà migliore successore, e il tempo è
vicino nel quale un Capitano inviato dal cielo abbatterà la rapace Curia Romana e il re di Francia, quella raf
figurata sotto le forme della meretrice, questi sotto quelle del gran gigante. Nel Capitano sarebbe inteso da alcuni
chiosatori Can Grande della Scala duce della lega Ghibellina. V. quanto s'ù detto del Veltro, Inf. C. I. v. 93.
= 'londrona = donna di mal fare, meretrice.
47 Sfingi- e Temi = due deità, la prima pronunciava enigmi; la seconda oracoli.
512 PUR fUXORlO
l'ercii" a lur modo lo intelletto attuia; E come quelo Hnteleto introna ;
Ma tosto lini li falti le Naiàde, Ma presto tei farà tocar con man,
Che solveranno questo enigma forte, Credi, i fati ch'el velo avarà roto 50
Senza danno di pecore e di biade. Senza perder le piegorc ne '1 gran.
Tu nota; e, sì come da me son porle Tien nota ; e porta al stesso velo soto,
Queste parole, si le insegna a' vivi Come tei digo, sto discorso mio
Del viver ch'è un correre alla morie; A chi, vivendo, a morte va de troto.
Ed aggi a mente, quando tu le scrivi, E co tei scrivi, avanti aver finio, 55
Di non celar qua1 hai vista la pianta, No sconder come vista li ha la pianta
Ch'è or due volte dirubata quivi. Qua robada do volte. Contro Dìo
Qualunque ruba quella o quella schianta, Bestemia chi la roba o chi la spianta,
Con bestemmia di fatto offende Dio, E a Lu coi fati gran insulto fa,
Che solo all'uso suo la creò santa. Che per Lu solo el la ga fala santa. 60
Per morder quella, in pena ed in disio Morsegandola, Adamo ha '1 lio pagà
Cinqucmil'anni e più, l'anima prima CinquemU'ani sospirando e più,
JJramò colui che il morso in sè punio. Chi per quel morscgon tanto ha penà.
Dorme lo ingegno tuo, se non istima Dorme ci to inzegno, o pur noi xe più lu,
Per singular cagione essere eccelsa So de l'altezza la rason noi s.inte 65
Lei tanto, e sì travolta nella cima. De l'alboro e del so siargarse in su.
E, se stati non fossero acqua d' Elsa E se le idee del mondo in la to mente
Li pensicr vani intorno alla tua mente, !)' Elsa l'aqua l'efeto no fasesse,
E il piacer loro un Piramo alla gelsa ; Come Piramo al gelso istessamente;
Per tante circostanze solamente Queste strasordenaric cosse istesse, TU
La giustizia di Dio nello interdetto La proibizion e l'alboro l'aria
Conosceresti all'aliici. moralmente. Che de Dio la giustìzia in li lusessc.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto Ma perchè vedo clic ti ga impetria,
Fatto di pietra ed in petrato tinto, Scura scura la mente e in confusion,
Sì che t'abbaglia il lume del mio detto, f.la' no t'intendi la parola mia, 75
Voglio anche, e se non scrino, almen dipinto, Vói ti la porti almanco in embrion
Che '1 le ne porli dentro a le per quello Drcnto in ti. come el pelegrin sul legno
Che si reca il bordon di palma cinto. Ga la palma co '1 torna dal perdon.
Ed io : Sì come cera da suggello, Mi digo: Come del sigilo el segno
86 i xe a torzio — vaneggiano.
9} ' la v'abia abandond ee. = cioè elic abbia abbandonato lo studio delln scienia Teologico (figurata in
Beatrice).
95 penia al Ltle - l'acqua del fiume Lele, come fu dello altrove, ha la proprietà di far dimenticare, io
dii nè beve, le male opere che ha commesse; come le acque dell'altro liumc Eunoe hanno invece la proprietà' di
richiamare alla memoria le opere virtuose e buone. Ora Dante che bevelte l'acqua del Lete, come fu dello al
Unto XXXI v. 102, non ricordava più di avere lasciala la buonn strada tracciatagli da Beatrice sulla terni.
101-102 che 'I (or6i'o lo cerne/o = perchè il Ino cervello oscuro, confuso, = No le lana capir = Dante
ha perduta la memoria del male bevendo l'acqua del Loie, ma In sua mente è tuttavia offuscata finche non la
rinnovi bevendo quella di-H'Eunoè.
103-104 D'andar più adazio er. - quando il Sole è a mezzogiorno, apparisce più splendente perchè manda
i suoi raggi meno obliqui e sembra muoversi più lento, perchè poca variazione fanno le ombre dei eorpi.
107 a cao = a capo, alla testa M'uiis truppa/
111 rieli = canalini, ruscelli, rivi, rigagnoli.
344 PEL PURGATORIO
Veder mi parve uscir d'una fontana, Vegnir col Tigri a pian da una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri. E d'acordo sparir le aque beate.
O luce, o gloria della gente umana, O luse e gnor de la famegia umana, Ilo
Che acqua è questa, che qui si dispiega Digo, st'aqua coss'ela, che vien fora
Da un principio, e sè da sè lontana ? Dal sboco istesso, e in do le se stontana ?
Per colai prego detto mi fu : Prega Prega Matelda, a mi la Bice alora,
Matelda che il ti dica. E qui rispose, ' Che la te daga informazion de ste onde.
Come fa chi da colpa si distega, Come chi da una colpa che l'acuora 120
La bella Donna : Questo, ed altre cose Voi scargarse, Matelda ghe responde :
Dette li son per me; e son sicura Questo e altro go dito, e certa son
Che l'acqua di Letè non gliel nascose. Che a lu l'aqua Letèa no ghe lo sconde.
E Beatrice : Forse maggior cura, E Bice : Forsi una più gran rason,
Che spesse volte la memoria priva, Che spesso la memoria porta via , 125
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura. (i a messo la so mente in confusion.
Ma vedi Eunoè che là deriva : Ma x ,n ila l' Eunoè, ch'el core via :
Menalo ad esso, e, come tu se' usa, Là condusilo drio l'usanza tua,
•
La tramortita sua virtù ravviva. E fa che in luto revivà lu sia.
Come anima gentil che non fa scusa, Come dona zentil nata e cressua, 130
Ma fa- sua voglia della voglia altrui, La vogia in altri vogia soa la fa,
Tosto com'è per segno fuor dischiusa ; Sol che da un moto la abia conossua ;
Così, poi che da essa preso fui, Cossi eia co per man la m'ha chiapà
La bella Donna mossesi, ed a Stazio Se move mentre a Stazio, vien con lu,
Donnescamente disse : Vien con lui. Dise co un far da zentildona. E qua 135
S'io avessi, lettor, più lungo spazio Se mi avesse, letor, carta de più,
Da scrivere, io pur cantere' in parte Diria parte del gusto che ho sentio
l.o dolce ber che mai non m'avria sazio. Co l'aqua, che no stufa, go bevù ;
Ma perchè piene son tutte le carte Ma perchè anca sto fogio xe impinio,
Ordite a questa Cantica seconda, A sta seconda cantica, la pena MO
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte. In meter zo, ghe dago un bel adio :
Io ritornai dalla santissim'onda Tornà dal'aqua santa pien de lena,
Rifatto sì, come piante novelle • Refato come un alboro novelo,
Rinnovellate di novella fronda, Che ha butà novi rami apena apena,
Puro e disposto a salire alle stelle. ' Parificà son pronto a andar in cielo. 149
112-114 me paria l'Eu/rate ee. --- l'Kuliak e il Tigri sono due fiumi che la Bibbia pone che escano oi-l
Paradiso terrestre da un medesimo fonte, ai quali il Poeta qui paragona i liinni Lete e Eunoè già descritti nei
canti precedenti. ,
121 scanjarsc = sollevarsi.
122 Questa e oliro go dito = vedi C. XXVIII. v. 130 e seguenti.
124 una più gran raton = una maggior causa ^quella di vedere Beatrice/
188 drio -.. secondo, conforme.
131 In vogia = il desiderio.
133 co per man la m'Ita chiopà == quando mi prese per mano.
135 co = con.
137 Dina parie del gutlo = perchè non sarebbe possibile a mente umana di esprimerlo per intiero.
133 Co = quando.
139 ilo fogio — questo foglio.
PARADISO
317
DEL PARADISO
CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al primo Cìel dove gioia s° inizia, Del primo Clelo dove l'alegrezza
Che più non manca, il cantor nostro sale, Comincia in Paradiso, toca Dante
E con Beatrice trae maggior letizia.' Co la so Bice guida soa, l'altezza.
A cai chied'ei come in suo corpo vale Domanda come poi cussi pesante.
A salir colassuso: ella risponde, Per i corpi lezieri passar elo :
Che per ascender quivi mette l'ale Bice dise ch'el bon voler costante
Buon voler, che al voler di Dio risponde. Da a l'omo l'ale per svolar in cielo.
1-2 II divino raggio risplende più o meno sul creato secondo che l'essere si trova in maggiore o minore
grado eminente collocalo.
4 SOM nla al tlel ee. — il cielo Empireo, che più d'ogn'altro cielo è illustrato dalla luce di Dio. In esso è
il trionfo maggiore delln sua magnificenza, ed ivi le anime sono pienamente beate. Dieci sono i cieli secondo le
'loltrine degli scolastici al cui sistema cosmico si attiene il Poeta, cioè 1, il eielo della Luna — 2, il cielo di
Mercurio = 3. il cielo di Venere = \, il ciulo del Sole = 5, il cielo di Marte = 6. il oielo di Giove = 7, il
ritlo di Saturno = 8, il cielo stellalo, n delle stelle lissc = 9, il cielo cristallino o primo mobile = 10, il cielo
Kmpireo.
7 al Ben = cioè a Dio.
16 m'ha teginulo m . mi sostennero, mi diedero il loro appoggio.
17 arente =n vicino.
318 PEL l'.UUIMSO
Entra nel petto mio, e spira tue Vegnime in sen, e insieme a le sorele
Sì come quando Marsia traesti Quel son donème che gave sonà, 20
Della vagina delle membra sue. Quando che al Marsia ave cavà la pele.
O divina virtù, se mi ti presti Biondo Dio, se me dè tanto de fià,
Tanto, che l'ombra del beato regno Che possa cantar ben quanto al pensier
Segnata nel mio capo io manifesti, Del Paradiso in ombra m'è restà;
Venir vedra'mi al tuo diletto legno, Vegnerò al vostro caro lavraner, 25
E coronarmi allor di quelle foglie, Per far ingirlandar la fronte mia
Che la materia e tu mi farai degno. Del verde ramo, premio del saver.
Sì rade volte, Padre, se ne coglie, Tanto de raro se ne leva via,
Per trionfare o Cesare o poeta O Apolo, a coronar poeti e re,
(Colpa e vergogna dell'umane voglie), (Ai omeni rossor, vergogna sia) 30
Che partorir letizia in su la lieta Che vu, gran Dio de Delfo, sentire
Delfica Deità dovria la fronda V i-i ;i consolazion quando bramar
Peneia, quando alcun di sè asseta. Qualcun el vostro lavrano vedè.
Poca favilla gran fiamma seconda : Da faliva vien bampa: per chiamar
Forse diretro a me con miglior voci D'Apolo dopo mi la protezion lò
Si pregherà perchè Cirra risponda. Forsi altri savarà megio cantar.
Surge a' mortali per diverso foci Con più segni del mondo el gran lampion
La lucerna del mondo; ma da quella, Nasser se vede, ma co '1 sorte fora
Che quattro cerchi giugne con tre croci, Con quelo de l'Ariete, la stagion
Con miglior corso e con migliore stella Ridente vien cussi, che la inamora; W
Esce congiunta, e la mondana cera Anema e vita lu ghe dà a la tera
Più a suo modo tempera e suggella. Col calor e la luse che la indora.
Fatto avea di là mane e di qua sera De qua el Sol con quel segno fava sera,
Tal foce, e quasi tutto era là bianco E là matina, e '1 cielo quasi bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera, Dà una parte, da l'altro scuro el gera, W
Quando Beatrice in sul sinistro fianco Quando el Sol Bice dal sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole : Ga ochià : l'aquila mai ga avù coragio
Aquila si non gli s'affisse unquanco. De piantarghe in quel modo Vochìo franco.
E si come secondo raggio suole E come zo vegnudo el primo ragio
Uscir del primo e risalire insuso, Riflesso dal secondo torna indrio, 50
Pur come peregrin che tornar vuole; Comè fa el pelegrin refando el viagio;
Così dall'atto suo, per gli occhi infuso Massendo per quel'ato, in pensier mio
Nell'immagine mia, il mio si fece, L'istesso so pensier, i ochi ho fissai
E fissi gli occhi al Sole oltre a nostr'uso. Incontro al Sol, nè i ga perciò palio.
Molto è licito là, che qui non lece Se poi far tante cosse là arivai, ài
19 intime
2I Quando ache
le al
sorele = unitamente
Mania — il Satiroallo Muse.osò sfidare Apollo a chi meglio sonasse. Rimasto Marsii i»'r"'
Marsin
Apollo in punizione della sua temerità lo scorticò.
22 tanto de fià ..- tanta vigoria.
25 hin-iinir --. pianta d'alloro.
37 Con più iegni - cioè i segni del Zodiaco = el gran lampion -.-. dot il Sole.
40 Quando il Sole e giunto in Ariete incomincia a portar giorni sempre più belli e lieti.
42-43 Hi- qua el Sol con iinrl segno ec, =. È noto che quando a un Iato della terra spunta il mattioo, -"
lato antipodo deve sorgere In sera; perciò mentre qui (in Italia) era sera, là nel Purgatorio spuntava il
44-45 e 'I cielo yuan bianco ee. = perchè l'emisfero s'illumina e si ottenebra a gradi.
CAIVTO I. 319
Alle nostre virtù, mercè del loco Che qua far no podemo certamente,
Fatto per proprio dell'umana spece. In grazia ai loghi a l'omo destinai.
Io noi soffersi molto nè si poco, Su quel i ochi ho tegnui discrètamente,
i '.'i"i" noi vedessi sfavillar d'intorno E sfiamegar l' ho visto atorno via,
Qual ferro che bollente esce del fuoco. Come cavà dal fogo azzai rovente. 60
E di subito parve giorno a giorno E m' ha parso in t'un fià cressudo sia
Essere aggiunto, come Quei che puote Del dì ci lusor, Dio quasi avesse di
Avesse il ciel d'un altro Sole adorno. Un novo Sol al Sol per compagnia.
Beatrice tutta nell'eterin' rote Bice fissava i cieli, e mi piantà
Fissa con gli occhi stava ; ed io, in lei Avendo in quel so viso l'ochio mio, 65
Le luci fisse di lassù rimote, Dopo dal Sol averlo via levà,
.Nel suo aspetto tal dentro mi fei, A forza de amirarla m' ho sentio
(Jual si fe Glauco nel gustar dell'erba, Una natura nova in mi vegnir,
Che il fe consorto in mar degli altri Dei. Come xe, in magnar l'erba, Glauco un dio
Trasumanar significar per verba Vegnù. No vai parola a far capir 70
Non si pmi.', ; però l'esempio basti Questo strasumanarse in t'un momento,
A cui esperienza grazia serba. Ma sto esempio ai graziai possa servir.
fio cia sol di me quel che creasti Se co l'anema sola al cambiamento
Novellamente, Amor, che il ciel governi, Sia mi restà, ti '1 sa ben ti, Dio bon,
Tu '1 sai, che col tuo lume mi levasti. Che tirarme là su ti è sta contento. 75
(luando la rota, che tu sempiterni Co i cieli per lo amor sempre in azinn.
Desiderato, a sè mi fece atteso, Tuta ha chiamà, con quel so acordo belo
Con l'armonia che temperi e discerni. Da Ti ben regolà, la mia alenzion :
Parveroi tanto allor del cielo acceso Arder m' ha parso alora tanto cielo
Dalla fiamma del Sol, che pioggia o iìume Per la bampa del Sol, che tanto logo 80
Lago non fece mai tanto disteso. Piova o fiume ha chiapà mai quanto quelo.
La novità del suono e il grande lume Per saver de quei cieli e del gran fogo,
Di lor cagion m'accesero un disio Novi a mi, la rason, vogia ho sentio
Mai non sentilo di cotanto acume. Tal, che compagna in mi no ha avù mai logo.
Ond'ella, che vedea me, sì com'io, La Bice che ga leto nel cuor mio, 85
Ad acquetarmi l'animo commosso, A smorzarme la smania, avanti sporlo
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio, Ghe avesse el mio pensier: Quanto inzochio,
E cominciò: Tu stesso ti fai grosso La dise, ti te fa pensando storto !
Col falso immaginar, sì che non vedi Mentre se veder no ti ga savù
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso. Quel che xe tanto chiaro, tuo xe '1 torto. 90
Tu non se'in terra, sì come tu credi; Come ti credi, in lera no ti è più,
Ma folgore, fuggendo il proprio sito, Ma 'I fulmine dal cielo in zo scampando,
>'on corse come tu ch'ad esso riedi. Quanto ti noi ga corso in vegnir su.
CANTO SECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
O voi che siete in piccioletta barca, O vualtri che a la nave mia da drio
Desiderosi di ascoltar, seguiti Sora d'un sandoleto vegnul sè,
Dietro al mio legno che cantando varca, Per vogia d'ascoltar sto canto mio,
Tornate a riveder li vostri lili : Torne a le case che lassae gave;
Non vi mettete in pelago; che forse, No viazè in st'aque ; perchè a torzio andar
Perdendo me, rimarreste smarriti. Podaressi, se d'ochio me perdè.
L'acqua, ch'io prendo, giammai non si corse. Mi '1 còro, e mai nissun còrso ha sto mar :
Minerva spira, e conducemi Apollo, Go in sen Minerva, Apolo me dà man ;
E nuove Muse mi dimostrati l' Orse. Muse nove me vien le Orse a mostrar. .
Voi altri pochi, che drizzaste '1 collo Vualtri pochi che ave bonora el pan
Per tempo al pan degli angeli, del quale De verità gustà, del qual qua vive,
Vivesi qui, ma non si vien satollo, Ma no se sazia l'inteletto uman ,
Metter potete ben per l'alto sale Podè le vostre barche da le rive
Vostro naviglio, servando mio solco Spenzer drio de la mia seguindo el solco,
Dinanzi all'acqua, che ritorna eguale. Che se gualiva sora le onde vive.
Que' gloriosi, che passare a Coleo, No ga avù tanta maravegia a Coleo
.Non s'ammiraron, come voi farete, I Greghi, quanta se farà la vostra,
Quando vider Giason fatto bifolco. Co i ga visto Giason fato bifolco.
La concreata e perpetua sete La con nu nata viva smania nostra
Del deiforme regno cen portava Ne portava de fuga al divin regno,
II come i to ziri et ciel ve moitra = secondo la falsa opinione di quei tempi, il cielo compie l'immenso
mo giro io 24 ore intorno la terra.
24 tbrittar = qui sta per sprigionarsi, lanciarsi.
26 drio copa m'ha buta _.. esprìme il moto naturale di chi collo da improvvisa meraviglia da un po' in
dictro la testa, come preso da sbalordimento.
27 igangolir d'angona --. consumarsi, struggersi per voglia di che che sia, e qui di sapere intorno la cosa
cadutagli sot t'occhio.
31 m ponto in broca -- precisamente.
50-51 de Cain ee. .- si pensava dal volgo che nella luna fessevi Caino con un fascio di spine -- de '- falope
= delle fole.
55 melensa = fiacca, debole.
324 BEL PARADISO
D'ammirazione omai, poi dentro a' sensi Drio solo i sensi xe la so rason,
Vedi che la ragione ha corte l'ali. La qual spesso perciò la va a la Sensa ;
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi. Ma quala saria, di', la to opinion.
Ed io : Ciò che n'appar quassù diverso, De ste machie, mi digo, el fisso e '1 chiaro
Credo che '1 fanno i corpi rari e densi. Che sia la causa go persuasion. 60
Ed ella : Certo assai vedrai sommerso Te farò, la responde, amigo caro,
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti Tocar con man che un granzo ti ha chiapà :
L'argomentar, ch'io gli farò avverso. E ascolta la rason che te preparo.
La spera ottava vi dimostra molti Tanti lumini mostra el ciel stela
Lumi, li quali e nel quale e nel quanto Diversi per la luse e per grandezza : 65
Notar si posson di diversi volti. Se mai da tute ste diversità,
Se raro e denso ciò facesser tanto, Vegnir dovesse el chiaro e la fissezza,
Una sola virtù sarebbe in tutti Una sola virtù ogni pianeto
Più e men distributa ed altrettanto. Più o manco el gavaria drio la grossezza.
Virtù diverse esser convengon frutti Ma virtù varia ha luti, e vien l'efeto 70
Di principii formali : e quei, fuor ch'uno, Da diversi principi, che sfumai,
Seguiterieno a tua ragion distrutti. Via d'un, saria drio el to pensar. Gbe melo
Ancor, se '1 raro fosse di quel bruno Anca questo : Se '1 chiaro fusse mai
Cagion, che tu dimandi ; od oltre in parte, La causa de ste machie, o che sbusada
Fora di sua materia sì digiuno La sarave la Luna da più lai, 75
Esto pianeta ; o si come comparte O che da strati la saria stivada
Lo grasso e '1 magro un corpo, così questo Fissi e chiari, del grasso e magro al par
Nel suo volume cangerebbe carte. De la carne in un corpo destirada.
Se '1 primo fosse, fora manifesto Del Sol la ecrisse veder te poi far,
Nell'ecelisse del Sol, per trasparere Ch'el primo star no poi, per la rason 80
Lo lume, comè in altro raro ingesto. Che per là i ragi dovaria passar,
Questo non e. Però è da vedere Come per i altri busi ; e se mi son
Dell'altro: e s'egli avvien ch'io l'altro cassi, Bona de bater zo l'altro suposto,
Falsificato fia lo tuo parere. Destruta restarà la to upinion.
S'egli è che questo raro non trapassi, Se de passar el Sol noi trova un posto 85
Esser conviene un termine, da onde In te la Luna, convien dir che un ponto
Lo suo contrario più passar non lassi; Ohe sia, che al so passagio s'abia oposto;
Ed indi l'altrui raggio si rifonde Perciò recularave el ragio pronto,
Così, come color torna per vetro, Come che a recular s' el vederà
Lo qual diretro a sè piombo nasconde. Dal vero, che da drio ga el piombo sconto. 90
129 Da quei alesa = cioè dalle celesti intelligenze clic sono gli angeli clic girano i cieli.
131 ci ciel stelà = il ciclo stellato, il medesimo terzo ciclo ili cui il v. 115. /
136 L'Anzolo ci rIual de ala virtù ga 'l vaso :- cioè. lo stesso ciclo stellato che riceve direttamente il movi.
dall'Essere intelligente, ossia dall'angelo clic vi presiede.
140 calia = colei.
146 e 'l chiaro = qui vale per rado.
14S e 'l chiaro = qui vale per chiarore opposto della scurità.
327
CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quelle che d'esser verginei^ e pure Quele, che d'esser pure o vergìnele
Avcan promesso con lor voto n Dio, Le avea promesso a Dio, ma ghe xe sta
Ma poi ila forza altrui non fur sicuro. Da la violenza strozzà el voto a eie,
Benchè serbassel cuor pudico e pio, Sihen tuto nel peto et ghe resta,
Mostran quassil la loro eterna pace, Gode in sto Ciclo le alegrezze santo
K merco giusta di santo desio ; Come ben giusto premio merita:
Tal condlsion Piccarda nota faco. Cussi risponde la l'ir;a ila a Dante.
Quel Sol, che pria d'amor mi scaldò '1 petto, Bice, el mio primo amor, m'aveva fato,
Di bella verità m'avca scoverto, Dopo la bela verità mostrada
Provando e riprovando, il dolce aspetto. Con prove, e contro prove sodisfato ;
Ed io, per confessar corretto e certo E per larghe saver che in mente entrada
Me stesso tanto, quanto si convenne, La me gera el mio granzo a descazzar, 5
Levai lo capo a profferer più erto. Quanto ha ocorso la testa go invada.
Ma visione apparve, che ritenne Ma una nova comparsa rechiamar
A sè me tanto stretto, per vedersi, Ha podesto cussi l'atenzion mia,
Che di mia confession non mi sovvenne. Che ho stralassà, distrato, da parlar.
Quali per vetri trasparenti e tersi, Come tra i veri che se spiera, ossia 10
O ver per acque nitide e tranquille, De drento le aque chiare nete e quiete,
Non sì profonde che i fondi sien persi, Ma ch'el fondo però sconto noi sia,
I nrnmi de' nostri visi le postille Tanto languidi i visi se reflete
Debili sì, che perla in bianca fronte Che la perla a scovrir su bianca fronte
Non vien men forte alle nostre pupille; Manco fadiga i ochi nostri mete; 15
Tali vid'io più facce a parlar pronte: Cussi mi ho visto .zente a parlar pronte :
Per ch'io dentro all'error contrario corsi Contrario ingano a quelo de Narciso
A quel, ch'accese amor tra l'uomo e '1 fonte. Go avù, co '1 se spechiava ne. la fonte.
Subito, sì com'io di lor m'accorsi, Che i possa esser, apena visti in viso,
Quelle stimando specchiati sembianti, Visi mandai da spechi, ho avudo in mente, 20
Per veder di cui fosser, gli occhi torsi : E per veder de chi, me son deciso
E nulla vidi; e ritorsili avanti Volturimi indrio : ma no vedendo gnente,
Dritti nel lume della dolce Guida, La cara Guida m'ho voltà a guardar,
Che sorridendo ardea negli occhi santi. Che gera nei bei ochi soridente.
lVon ti maravigliar perch'io sorrida, Eia dise : No te maravegiar 25
Mi disse, appresso '1 tuo pueril coto, Se rido al to pensici da puteleto,
Poi sopra '1 vero ancor lo piè non fida, Che verità noi trova, ma cascar
Ma te rivolve, come suole, a vóto. Te fa al solito in falo dreto areto.
106 Sia stale de mal far ee. — Corso Donati preso seco un Farinata, sienrio famoso, e Miri dodici musai-
dieri, e scalate le mura, entrò nei chiostri, e presa la sorella di forza, la trasse alla sua casa; poi strappatole
l'abito religioso, l'ebbe fonata alle nozze.
118 distanza = era figha del re di Puglia e Sicilia Ruggieri; la quale dissero gli antichi storici, essere
stata monaca nel Monastero di S. Salvatore in Palermo, ed esserne tratta a forza dal re Guglielmo suo nipote p"
darla in isposa all'imperatore Arrigo nel 1186 quando contava 31 anni di .eta.
1 19-l2u CAe de la Casa Sveva Ha genera L'ultimo ee. = cioè Federico II ultimo principe potente di quella casa.
123 s'Im sfuma -— ti dileguò.
125 e co = e quando.
127 ifr primo miro = a prima giunta.
331
CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1-3 L'orno libero te. -- la nostra volontà per risolvci?i tra più cose alla scelta di una, ha bisogno di un
motivo preponderante qnal che siasi; diversamente ella rimane inerte = ronzai = conditi.
4-6 Tra do lovi ee. = nella prima similitudine dei lupi, è io essi eguale il timore; nella seconda del cane,
la voglia = (manzo = timore = do = due.
7 TnleiIual = per appunto.
8 mtY -— miei.
13-14 Come ha tatù Daniel ee. = vedi la nota al v. 103 del C. XIV dell' Ini-. = sfinir — spegnere.
23-24 thè a le itele ee. — era opinione di Piatone, filosofo greco, che le anime fossero create prima dei
corpi e abitanti le stelle, e che di 11 scendessero in terra, e dopo morte risalissero in cielo per dimorarvi più o
mno lungamente recondo i propri meriti.
332 DEL PARADISO
Queste son le quistion, che nel tuo velie Istessamente le te fa torziar 25
Pontano igualemente. E però pria Ste do question che ti ga adesso in vista :
Tratterò quella che più ha di felle. Ma la più falsa prima vói schiarar.
De' Serafin colui che più s'india, Quelo dei Serafmi su la lista
Moisè, Samuello, e quel Giovanni, Che più xe arente a Dio, Samuel, Mosè,
Qual prender vuogli, io dico, non Maria, San Zuane Evangelista o sia el Batista, 30
Non hanno in altro cielo i loro scanni, E gnanca la Madona, a un cielo i xe
Che quegli spirti che mo t'appariro, Gnente diverso de sto basso cielo :
Nè hanno all'esser lor più o men anni : Nè i ghe sta più o manco ani; mentre che
Ma tutti fanno bello il primo giro ; In eterno i ralegra el ciel più belo,
E differentemente han dolce vita, E i se gode in rason che Dio grazià 35
Per sentir più e men l'eterno spiro. Più o manco ga de gloria questo e quelo.
Qui si mostraro, non perchè sortita Qua quele do no le te s' ha mostrà
Sia questa spera lor, ma per far segno Per esser qua mandae, ma per notar
Della celestini, c'ha men salita. Ch'el ciel più basso manco gloria ga.
Così parlar conviensi al vostro ingegno ; Se ga a vualtri in sto modo da parlar, 40
Perocchè solo da sensato apprende Che solo per i sensi ve stampe
Ciò, che fa poscia d'intelletto degno. Quel che po a Hnteleto ha da passar.
Per questo la Scrittura condiscende La Scritura a l'intender che gave
A vostra facultate, e piedi e mano Se sbassa, siben altro el pensier sia,
Attribuisce a Dio, ed altro intende. Depenzendove Dio con man e pie. &
E santa Chiesa con aspetto umano E trove in Chiesa la usonomia
Gabriele e Michel vi rappresenta, De Michiel e Gabriel d'omo depenta,
E l'altro, che Tobia rifece sano. E di chi i ochi ga guario a Tobia.
Quel, che Timeo dell'anime argomenta, Quanto nel so Timèo Platon s'inventa,
Non è simile a ciò che'qui si vede, Come se vede qua, no xe in figura, 50
Perocchè, come dice, par che senta. Ma par che quel cifri dise proprio el senta.
Dice, che l'alma alla sua stella riede, Torna a la stela l'anema sicura,
Credendo quella quindi esser decisa, Dise lu, da là in crederla pai li, i.
Quando natura per forma la diede. Co al corpo l' ha lacada la natura.
E forse sua sentenzia è d'altra guisa, Forsi che la opiniini diversa sia 55
Che la voce non suona : ed esser puote Da le parole, e forsi l'intenziou
Con intenzion da non esser derisa. Tanto no la saria da liutai via.
S'egli intende tornare a queste ruote Se elo intende dover al mal e al hon
L'onof dell'influenza e '1 biasmo, forse Influir qua sti cieli, de qualcossa
In alcun vero suo arco percuote. Gavarave intivà la so opinion. 00
Questo principio, mal inteso, torse El mondo, che ha st'idea capio a la grossa,
64 Quell'altro dubio -- ciok il primo dei due, di cui i vv. 19, 20. ZI.
72 cogia K voglio.
73 quando el violentà .- quando chi soffre la violenza.
74 iVo mola un ponto = non cede punto.
82 Se le tegniva duro = se fossero stale salde (nel loro volere).
83 Come Lorenzo .-_ San Lorenzo tenne fermo il suo volere sulla graticola.
84 E iluzio — Muzio romano, elic fallitogli il colpo coatro Porsenna, pose la sua destra sui carboni ardenti
q'usi a punizione; onde dal moncherino fu detto N vola.
95 Le sarave = sarebbero.
90 zavariar - farneticare.
03 con gran striasii - con molta fatica.
94 ìli za t'ho dito, per sicuro ce. = vedi C. Ili, v. 5l C seguenti.
96 .'.i->- = attaccalo.
334 DEL PARADISO
E poi potesti da Piccarda udire, E po da la Picarda ti ha sentio,
Che l'aOezion del vel Gostanza tenne ; Che sempre in cuor ga avù Costanza el velo;
Sì ch'ella par qui meco contraddire. E qua par che la m'alda contradio.
Molte fiate già, frate, addivenne, Tante volte se dà, caro fradelo, 100
Che, per fuggir periglio, contro a grato Che se fa cosse contro volontà,
Si fe' di quel che far non si convenne : Per scampar da un inalaii o da un bordelo;
Come Almeone, che di ciò pregato Come dal pare in angonia pregà,
Dal padre suo, la propria madre spense, Crudel per amor soo fato Almeòn,
Per non perder pietà, si fe' spieiato. Insin la propria mare el ga mazzà. 100
A questo punto voglio che tu pense, E qua vogio che t'entra in opinion,
Che la forza al voler si mischia ; e fanno Che forza e volontà missiae, fa che
Si, che scusar non si jjosson l'offense. No se possa scusar le brute azion.
Voglia assoluta non consente al danno : Tra '1 mal e volontà lega no gh'è;
Ma consentevi in tanto, in quanto teme, Ma volontà se taca al mal, per po ito
Se si ritrae, cadere in pi (i a (Tanno. No cascar in un pezo. Perciò xe,
Però quando Piccarda quello spreme, Che del vero voler ha parlà mo
Della voglia assoluta intende : ed io Picarda, e mi de l'altro, ma, a le tante,
Dell'altra : si che ver diciamo insieme. Ragion avemo avudo tute do.
Cotai fu l'ondeggiar del santo rio, Dal fonte d'ogni verità ste sante 115
Ch'usci del fonte ond'ogni ver deriva : Parole go sentide vegnir fora,
Tal pose in pace uno ed altro disio. Che ba sazià le mie vogie tute quante.
O amanza del primo Amante, o diva, O morosa de Dio, mi ho dito alora,
Diss'io appresso, il cui parlar m'innonda Dona divina, che la vostra vose
E scalda sì che più e più m'avviva; Me svegia, me fa vivo, me inamora ; 120
Non è l'affezion mia tanto profonda, Mi no so ringraziarve co la dose
Che basti a render voi grazia per grazia: Compagna del piacer che m'ave dà,
Ma Quei, che vede e puote, a ciò risponda. Ma el diga Chi per nualtri è morto in erose.
Io veggio ben, che giammai non si sazia Mai l'intetelo nostro xe apagà,
Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra, Se de la luse sua noi fa contento 125
Di fuor dal qual nessun vero si spazia. Quel che solo ga in Lu la verità.
Posasi in esso come fera in lustra, Co '1 r ha arivada, el se ghe nichia drento,
Tosto che giunto l'ha: e giunger puollo; Come in tana el lion ; la poi rivar
CANTO QUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
L'alto legame, onde lo voto stringe, Dante come se liga el voto santo
I.ini si palesa: indi al secondo Cielo Intende : dopo su al secondo Cielo
Ignota fona il buon vate sospinge. EI se vede porta come d'incanto.
Dove d'un puro e luminoso velo Ancme el trova la in quel logo belo,
Vede molt'alme vestite e contente; Che spande luse, e co alegrezza pronte
Onde una, piena d'amichevol zelo, A le so vogie le se mostra a elo:
Di quel che brama chiarir lui consente. No le tien Dante, a una de quele, sconte.
1-6 Se eoi fogo te sfiamego ee, = Giova qui pure ricordare che Beatrice figura la scienza divina, la foie io
ciclo comprende più perfettamente il bene che posa in Dio =» d'nnuu- = cioè dell' amor divino.
13 un lagio — un taglio; qui i preso nel senso di rottura, d' interrompimento.
CAKTO V. 337
E tutte e sole, furo e son dotate. Dolae, solo che a lore el ga dona.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti, Ti capirà, metendoghe atenzion, 25
L'alto valor del voto, s'è sì fatto, De qual peso sia el volo qua in sto regno,
Che Dio consenta quando tu consenti: Se ti tei dà, e Dio lo tol in don.
Che nel fermar tra Dio e l'uomo il patto, Perchè l'omo in serar con Dio el convegno,
Vittima fassi di questo tesoro Sto bel tesoro el ga sacrificà,
Tal, qual io dico; e fassi col suo atto. Volendo verso Lu torse st'impegno. 30
Dunque, che render puossi per ristoro ? Cossa donca in so cambio se darà ?
Se credi bene usar quel e' hai offerto; Se col tor indrio el don ti credi mai
Di mal toilette vuoi far buon lavoro. Far el ben, ti '1 farà col don robà.
Tu se'omai del maggior punto certo. Ti ha '1 ponto principal capio oramai ;
Ma perchè santa Chiesa in ciò dispensa, Ma la Chiesa dal voto dispensando, 35
Che par contra allo ver ch'io t'ho scoverlo; Par contradissa ai lumi che t" ho dai.
Convienti ancor sedere un poco a mensa, Bisogna ti te vegni preparando
Perocchè '1 cibo rigido, e' hai preso, Anca a sentir sto resto, ació la mente
Richiede ancora aiuto a tua dispensa. Ti possi al duro tema andar schiarando.
\prì la mente a quel ch'io ti paleso, Sta donca atento, e quel che dìgo tiente 40
£ fermalvi entro : che non fa scienza, Stampà ne la memoria ; che quel tal
Senza lo ritenere, avere inteso. Che no sa recordar, no sa un bel gnente.
Duo cose si convengono all'essenza Do cosse ocor perchè no*vaga a mal
Di questo sacrificio : l' una è quella, Sto sacrilìzio : una è la cossa dada,
Diche si fa; l'altra è la convenenza. E l'altra xe la convenzion formai. 45
Quest'ultima giammai non si cancella, Mai no la vien quest'ultima scassada,
Se non servata': ed intorno di lei Se no la s' ha esauria, e questa qua
Si preciso di sopra si favella : De sora discorendo, ho precisada.
Però necessitato fu agli Ebrei Perciò i Ebrei i ha avù necessità,
Pur l'offerere, ancor che alcuna offerta Siben ch'eli cambiar l'oferta i possa, 50
Si permutasse, come saper dèi. De far l'oferta, come za ti sa.
L'altra, che per materia l'è aperta, Quela che sta, t' ho dito, ne la cossa,
Puote bene esser tal, che non si falla, Tal la ga d'esser, che no mai se fala
Se con altra materia si converta. Se dal cambio co un altra la vien smossa.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla Ma a capricio nissun se starga l'ala
Per suo arbitrio alcun, senza la volta In cambiarsela, senza far istanza
E della chiave bianca e della gialla. A chi volta le chiave bianca e zala.
Ed ogni permutanza credi stolta, Credi, che xe da mato ogni cambianza,
Se la cosa dimessa in la sorpresa, Quando la cossa nova no la cressa
Come '1 quattro nel sei, non è raccolta : D'un terzo de la prima e soravanza. 60
Però qualunque cosa tanto pesa Se l'è d'un peso che in balanza messa.
46 tcanada = cancellata.
48 De torà diacurendo ho precisaii^ — vedi i vv. 31-33.
55 tlarga l'ala = prendersi licenza.
57 A chi volta le chiave bianca e zala = vedi C. IX r. 117 e seg. del Purg., vale a dire senza la permis
sione immediata o moliata del Sommo l'outelicc,
22
338 DEL PARADISO
Per suo valor, che tragga ogni bilancia, No la possa a la prima starghe solo,
Satisfar non si può con altra spesa. La cambianza no xe, certo, permessa.
Non prendano i mortali il voto a ciancia. No fazza l'omo bagolo del voto:
Siale fedeli, ed a ciò far non bieci, Ste in parola : schivò de lefte el fato, 65
Come fu Jepte alla sua prima mancia : Che per una sorada el xe andà zoto.
Cui più si convenia dicer : Mal feci, Se '1 ghe pensava, megio l'avria fato,
Che, servando, far peggio. E così stolto Che no far pezo, el voto a stralassar ;
Ritrovar puoi lo gran duca de' Greci, Varda in Agamenòn un altro mato,
Onde pianse Iligènia il suo bel volto, Che dUligènia el viso belo andar
E fe pianger di sè i folli e i savi, Fato ha in pianto, e '1 crudel rito in veder
Ch'udir parlar di così fatto colto. Doti e zuconi ha fato sangiotar.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi : Cristiani, no opere sorapensier;
Non siate come penna ad ogni vento ; No ste a svolar come le piume al vento,
E non crediate ch'ogni acqua vi lavi. Che no purga ogni oferta. Podè aver
Avete '1 vecchio e '1 nuovo Testamento, Tanto el vechio che '1 novo testamento;
E '1 Pastor della Chiesa, che vi guida : Ve insegna el gran Pastor la strada bona;
Questo vi basti al vostro salvamento. Più no ocor per condurve a salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida, Se in altro la passion la ve tontona,
Uomini siate, e non pecore matte, Omeni sie, no pampani, e no fe
Sì che '1 Giudeo tra voi di voi non rida. Che l'Ebreo in mezo a vu, vu ve sbufona.
Non fate come agnel, che lascia il latte L'agnel zogatolon no simiotè,
Della sua madre, e semplice e lascivo Ch'el late de la mare abandonando,
Seco medesmo a suo piacer combatte. Trà salti imbizario, ne '1 sa perche.
Così Beatrice a me com'io lo scrivo; Cussi la Dice m'è vegnù parlando,
Poi si rivolse tutta disiante E ansiosa po se volta da la sfera
A quella parte ove '1 mondo è più vivo. Là donde ci Sol va '1 mondo più schiarando.
Lo suo tacere e '1 tramutar sembiante El so silenzio, el so cambiar de ciera,
Poser silenzio al mio cupido ingegno, Contro mia vogia fa che indrio me legno
Che già nuove quistioni avea davante. Le altre question, che parechiae me gera.
E sì amie, saetta, che nel segno Come a piantarse va la frezza al segno,
Percuote pria che sia la corda queta, Che da Iremar la corda ben fìnio
Così corremmo nel secondo regno. No ga, svolemo de Mercurio al regno.
Quivi la Donna mia vid'io sì lieta, Alegro tanto ho visto l'amor mio.
Come nel lume di quel ciel si mise, Quando in quel uovo cielo el xe arivà,
CANTO SESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
18 Sani'Agapito = fu Sommo Pontefice; egli tenne a Costuntinopoli, disputò con Giustiniano sulla di lui
credenza che avesse Gesù Cristo la natura umana e i uni più.
24 al gran laorier — al gran lavoro (del Codice,1.
25 Belisario = nipote di Giustiniano e celebre tra i Capitani u quel tempo per le sue imprese in Italia
contro i Goti, e per le sue vittorie sui Persiani e sui Mori.
28 a la prima lo domanda - vedi Canto precedente v. 127, 128.
30 coi zontar = voglio aggiungere.
33 CAi farla soa = i Ghibelliin, che dicendosi sostenitori dell'impero facevano in effetto per sè, erano usur-
palori eguali dei Guelfi che si opponevano dichiaratamente all'impero — tcazzada — cacciata.
36 Palante = Fallante, venuto in soccorso di Enea, mori iu battaglia contro Turno, afflneliè si fondasse il
regno di cui l'aquila doveva essere l'insegna.
39 S'ha i 3ie batudo = cioè i tre falcili Orazii contro i Ire fratelli Curiazii.
41 da le Sabine al fato = dal fatto delle Sabine rapite sotto fede dell'ospitalità, a quello del violato tala
mo di Lagrezia.
43 Areno =. limmo capitano dei Galli Senoni, era presso ad impadronirsi del Campidoglio, ma ne fu re
spiato dalla virtù di Furio Camillo.
44 Piro -- re degli Epiroti, venne in Italia e dapprima vinse i Romani, ma poscia fu vinto da essi.
54C2 l'ABADlSO
Onde Torquato e Quiiuio, che dal cirro Perciò a Torquato, a Quinzio dai cavei
Negletto fu nomato, e Deci e ".'ahi Rebufai, ben de cuor i elogi sui,
Ebber la fama che volentier mirro. E ai Deci e ai Fabi fazzo meritai.
Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi, Eia i Cartaginesi ili.io vegnui
Clic diretro ad Annibalu passaro De Anibale, quel monte scavalcà 50
L'alpestre rocce, Po, di che tu labi. Dal qual, ti, o Po, ti vira, l'ha ben batui.
Sott'esso giovanotti trionfaro Per eia zoveneti ga trionfà
Scipione e Pompeo : ed a quel colle, Pompeo e Sipion ; e insin s'Jia '1 monteselo,
Sotto '1 qual tu nascesti, parve amaro. Al pie del qual ti è nato, spaventà.
Poi presso al tempo che tutto '1 ciel volle Po arente al tempo che ga piasso al cielo 55
Ridur lo mondo, a suo modo, sereno, Che, come in ciel, la pase al mondo nassa,
Cesare per voler di Roma il tolle : Ga portà Giulio Cesare sto oselo :
E quel che fe' dal Varo insino al Reno, E quanto l'abia fato, el sa anca massa
lsara vide ed Era, vide Senna, El Varo, el Reno, lsara, e l'Era, e Sena,
Ed ogni valle onde '1 Rodano è pieno. E le vaiai' ch'el Rodano le ingrassa. 60
Quel che fe' poi ch'egli uscì di Ravenna, Traversando in gran furia da Ravena
E saltò '1 Rubicon, fu di tal volo, El Rubicon, l'ha fato un tal schiamazzo,
Che noi seguiteria lingua, nè penna. Che dir no poi la vose nè la pena.
lnvèr la Spagna rivolse.lo stuolo, Co le armae l'è andà in Spagna ; po a Durazzo ;
Poi vèr Durazzo; e Farsaglia percosse E'1 ga a Farsalia consegnà un tal pesto, 05
Sì, ch'ai IS'il caldo si sentì del duolo. Che sin l'Egito ga scntio ci tremazzo.
Antandro e Simuenta, onde si mosso, L' ha Antandro e '1 Simuenta rieedesto,
. Rivide, e là dov'Ettore si cuba : Donde el s'ha mosso, e d'Etore la tomba;
E mal per Tolomeo poscia si scosse : E a pestar Tolomeo l'è corso presto :
46 Torqunti = Tito Mantio Tcrquiito capitano romano. Foce divieto .1! figlio suo d'attaccare la battaglia roi
Latini; esso non l'obbedì ma vinse. Eppuro Torquato per tener saldi gli ordini dflla militare disciplina, lo con
dannò a moria ..-_. (luiuzio = che dai capelli inrulli ebbe il soprannome di Cincinnato, era un virtuoso romano
che di propria mano coltivava il suo campo, f'reato Dittaluiv, trionfò dei nemifi, e dopo sedici giorni riounzìo
uila dittatura tornando alle sue cure eumpfstri.
48 ni lìcci = padre, figlio e nipote, i quali l'uno contro i Galli, Puliro contro gli Etruschi, e l'ultimo con
tro l'imi, si sacrificarono agli Dei infernali IaT ottenere vittoria alle armi romane — ui Fabi . ... molti Inn '
di questa famiglia gloriosi in Roma, lino dei più ciliari fu Quinto Knbiu Massimo, il quale culla prudenza mi
litare rimise in piedi la Republica gia cadente per le vittorie di Annibale.
50 quel monte = le Alpi.
53 t'ha 'I mnnteìclo = accenna al culle viciniasinio a Firenze, cioè Fiesole. Per aver ricoverato Catilina fu
Fiesole in gran parte dai Romani distrulto.
55-57 /'o artntc al tempo te. = poi vicino al tempo in clic nacque il Redentore, s'inviò Giulio Cesare con
quest'aquila contro la Gallia.
53 unni massa .- anche troppo.
59 Varo = fiume clic divide la Provenza dalla Liguria. = Reno = fiumc della Germania presso i cullimi
della Francia . . ttara e l'Era = fiumi di Francia che mrll.ui.i nel Rodano fiume di lVoven/a .. . Sena = fiume
di Francia clic traversa Parigi. Qui si accennano le imprese di Giulio Cesare .nelle (ìallie e nella Germania.
62 Rubicou = ll Rubicone è un fiume presso Ravenna.
G1 l'è andà in Spagna • - Giulio Cesare portò l'aquila nella Spagna, dov'erano i legali Pompesmi Petrrjo,
Aframo, Vari une: indi si volse a Durazzo citta della Macedonia, m'era parte dell'esercito di Pompeo.
05 Farsalia — luogo della Tessaglia ove Cesare sconfisse Pompeo = un i. il pesto =. una siffatta dirotta ili
busse. Dopo la sconfitta di Pompeo, riparando questi nelP E pitto presso il re Tolomeo fu da lui ncciso a tra
dimento. F. più tardi Cesare insidialo pur da quel re infido, parlò la (.Micrra contro di lui.
60 lrtuiuzzo =; tremore.
67-63 Calandro = citta della Frigia = Sim.ienta = fiumi* vicino a Troia, da dove l'aquila si parti con
Enea.
69 A palar Tnlomfo . Cesare sconfisse in battaglia il delto Tolomeo, e gli tolse il regno per ilonzrlo i
Cleopatra.
CAATO VI. 343
Donde discese folgorando a Giuba : Po, fulminando, contro Giuba el piomba : 70
Poi si rivolse nel rostro occidente, Dopo al Ponente vostro el se ga trato,
Dorè sentia la pompeiana tuba. Dove ha sentio la Pompegiana tromba.
Di quel che fi.-' col baiulo seguente, (.'-urhi che co Otavian st'aquila ha fato,
Bruto con Cassio nell'inferno latra ; ili din e Cassio a l'Inferno i va sbragiando
E Modona e Perugia fu dolente. E Modena e Perugia ha pianto el falo. 75
Piangene ancor la trista Geopatra, Pianze Cleopatra ancora, che scampando
Che, fuggendogli innanzi, dal colùbro La so vista, meschina, la s'ha dada
La morte prese subitana ed atra. Pronta morte col bisso. Sia, svolando,
Con costui corse insino al lito Rubro ; Con lu sin al mar Rosso xe arivada ;
Con costui pose '1 mondo in tanta pace, Con lu l'ha '1 mondo in tanta pase messo, 80
Che fu serrato a Giano il suo delubro. Che de- Giano la porta è sta serada.
Ma cin, che il segno, chc parlar mi face, Ma l'oselo, del qual parlà ho fin desso,
Fitto avea prima, e poi era fatturo Fasendo sto parechio per amor
ter lo regno mortai, cb/a lui soggiace, Del regno che xe a elo sotomesso,
Diventa in apparenza poco e scuro, Ancora noi mandava quel splendor
Se io mano al terzo Cesare si mira Che '1 gavea, ben vardando, co a portarlo
Con occhio chiaro e con affetto puro : El terzo re Tiberio ha avù l'onor:
Che la viva giustizia, che mi spira, Che nel so sdegno Dio (per Lu te parlo)
Gli concedette, in mano a quel ch'io dico, Aciò le imprese soe sia più famose,
Gloria di far vendetta alla sua ira. Gloria granda ga dà per vendicarlo. 90
Or qui l'ammira in ciò ch'io li replico: Adesso resta al son de la mia vose:
Poscia con Tito a far vendetta corse Po corendo con Tito ba vendicà
Della vendetta del peccato antico. Chi per el primo falo è morto in erose.
E quando '1 dente longobardo morse Co i Lombardi ha la Chiesa maltratà,
La santa Chiesa, sotto le sue ali Solo l'ala de l'aquila romana, tJ5
Carlo Magno, vincendo, la soccorse. Carlo Magno l'agiuto soo ga dà.
Ornai puoi giudicar di que' cotali Giudica li oramai che bona lana
Ch'io accusai di sopra, e de' lor falli, Xe quei che ho za acusà coi so maroni.
70 Giuba -- re della Mauritania, presso il quale dopo la battaglia di Farsalia, cui resti dell'esercito di Po-m
iro, s'eraR raccolti Catone, Scipione, ed altri avversarj di Cesare.
73 eo = con = Olavian = Ottaviano Augusto che portò l'aquila dopo Cesare, disfatti Bruto e Cassio, cosi
(he per disperazione si uccisero, diede l'ultimo colpo alla republica e forino stabilmente l'impero.
74 Bruto e Caisio = si divincolano rabbiosamente nelle bocciie di Lucifero vedi Inferno C. XXXIV. v. C5, 66.
75 ilodena e Perugia = furouo dolenti per le stragi fnile da Augusto combattendo contro Marc'Anlonio in
sicme ai coasoli Irzio e Pansa presso la primi, e contro Lucio Antonio fratelli del detto Marco assediato e fatto
prigioniero nella seconda città.
76-78 Cleopaira = regina dell'Egitto, (lattasi alla fuga nella battaglia d'Azio, per scansare In vista dell'a
quila romana recata da Ottnviano Augusto e per non venire viva in mano di lui, si fece da un aspide dar
morte subitanea.
79 Con lu = cioè con Ottaviano Augusto cui il v. 73.
81 de Giano la porta = chiudevasi il Tempio di Giano quando Roma era in pace.
84 Del regno = cioè del regno della terra sottoposta all'aquila romana.
86 eo a parlarlo - - quando a porlarlo.
50 per vendicarlo .-.- ronzio Piiate che condiscese ai Giudei di uccidere Gesù Cristo, era governatore della
Giudea per Tiberio: ed infatti i soldati romani assistettero alla crocifissione. Cosi l'aquila imperiale, in mano a
Tibtrio, soddisfece allo sdegno di Dio nel sangue del suo Figlio innocente.
9I resta = stupisci.
94 Co — quando.
98 Che ho za ocinù = vedi v. 33 e la nota relativa = coi to maroni = coi loro errori.
344 DEL PARADISO
Che son camion di tutti i vostri mali. Causa del mal al qual i ve condana :
L'uno al pubblico segno i gigli gialli Chi l'aquila no voi, ma i zei zaloni 100
Oppone, e l'altro appropria quello a parte ; Voria; e altri la voi per i so fmi,
Sì ch'è forte a veder qual più si falli. E xe un pensier trovar i più briconi.
Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte Fazza pur i so brogi i Ghibelini
Sott'altro segno : che mal segue quello Con altro segno, che no va drio quelo,
Sempre chi la giustizia e lui diparte. Basa a l'ingiusto, i giusti citadini. i 05
E non l'abbatta esto Carlo novello De pestarlo coi (inciti el re novelo
Co' Guelfi suoi; ma tèma degli artigli, Noi tenta, e da le sgrinfe ch'el se varda,
Ch'a più alto leon trasser lo vello. Che a più forte lion ga cavà '1 pelo.
Molte Tiate già pianser i figli Tante volte a pair el fiol no tarda
Per la colpa del padre ; e non si creda, Del pare i fali, che no voi, no, Dio, HO
Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli. Che l'aquila coi zi-pi se bastarda.
Questa piccola stella si correda Questo picolo cielo xe l'orti io
De' buoni spirti, che son stati attivi, D'aneme che ga fato assae del ben,
Perchè onore e fama gli succeda: Aciò onor ghe ne vegna e fama drio:
E quando li desiri poggian quivi Ma via dal bon sentier, se amor teren 115
Si disviando, pur convien che i raggi Se gusta, manco in cima el ragio belo
Del vero amore in su poggin men vivi. D'amor divin stanzarse ghe convien.
Ma nel commensurar de' nostri gaggi Stimar el nostro merito col cielo
Col merlo, è parte di nostra letizia, Anulo in premio, in parte xe '1 dileto
Perchè non li vedem minor nè maggi. De nu, perchè adatà se questo a quelo. 120
Quinci addolcisce la viva giustizia Perciò ne fa sentir Dio benedeto,
In noi l'affetto sì, che non si puote L'amor più puro, e tal, che portà via
Torcer giammai ad alcuna nequizia. L'è mai da una passion che sia in difeto.
Diverse voci fanno dolci note : Come manda una dolce melodia
Così diversi scanni in nostra vita Note diverse, fa cussi assae bela !£i
Rendon dolce armonia tra queste ruote. Varie glorie in sti cieli l'armonia.
E dentro alla presente margherita La luse de Romeo brila in sta stela,
Luce la luce di Romeo, di cui Che far la granda azion lu ga savudo,
Fu l'opra grande e bella mal gradita. E ingratamente i l'ha tralà per quela.
Ma i Provenzali, che fèr contra lui, Per altro i Provenzai no ga ridudo 130
Non hanno riso. E però mal cammina Che i l' ha acusà ; perchè i la fala in fondo,
CANTO SETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Kt (fonIma fi-. = Sia gloria a te. o Dio degli eserciti, elic spargi il lume della chiarezza Ina sopra i Mui
fuochi, cioè sopra le anime beate di questi regni,
4 Zirando — aggirandosi intorno.
5-8 Queta zogia te. --- cioè l'anima di Giustiniuno gloriosa di doppio splendore, vale a dire, lo splendore
delle leggi e quello delle armi. — nua :.- nuota.
7 co = con = de fuga = velocemente.
8 tu l' un lampo = in un baleno.
O fativi = faville.
17 co = con.
20-21 Come te è giuxla la erocifittion te. = parla della vendetta della prima colpa di Adamo, di che in"
il C. pree. v. 99. 93.
CA:\TO vii. 347
Ma io ti solverò tosto la mente. Ma '1 dubio levarò co la ragion.
E tu ascolta: che le mie parole Sta '1 mio discorso co atenzion scollando,
Di gran sentenzia ti faran presente. Che te farà de gran dotrina el don.
Per non sodi-ire alla virtù che vuole Perchè Adamo ubidir de Dio al comando 25
Freno, a suo prode, quell'uom che non nacque, Noi ga volesto con so imenso dano,
Dannando tè, dannò tutta sua prole : Tuli i so fioi l'ha condanà pecando;
Onde l'umana specie inferma giacque Perciò nel mondo i omeni in ingano
Giù per secoli molti in grande errore; Xe stai per tanti secoli, sin tanto
Fm ch'ai Verbo di Dio discender piacque Ch'el Divin Verbo per tor via el malano 30
I" la natura, che dal suo Fattore Ch'avea l'omo da Dio sìontanà tanto,
S'era allungata, unio a sè in persona, La natura de st'omo ha tolto in lera
Con l'atto sol del suo eterno amore. Per la sola virtù de l'Amor Santo.
Or drizza '1 viso a quel che si ragiona. Sta ben atento a st'altra tossa vera :
Questa natura al suo Fattore unita, Come l' ha fata Dio a I.H tacada, 35
Qual fu creata, fu sincera e buona : Bona de l'omo la natura gera;
Ma per sè stessa pur fu isbandita Ma la s' ha da sè stessa descazzada
Di Paradiso, perocchè si torse Dal Paradiso, quando lu lassava
Da via di veritate, e da sua vita. De Vila e Verità la vera strada.
La pena dunque, che la croce porse, Donca per l'omo pena no se davà 40
S'alia natura assunta si misura, Che fusse de la erose giusta più,
Nulla giammai si giustamente morso : Ne la i'onit.i ih'l qual Cristo l'entrava:
E cosi nulla fu di tanta ingiura, E de più ingiusta mai s'ha conossù,
Guardando alla persona che sofferse, Per aver quela ci Fioi de Dio soferto
In che era contratta tal natura. Co la natura umana unida in Lu. 45
Però d'un atto uscir cose diverse ; Da un fato oposti efeti s' ha scoverlo ;
Ch'a Dio ed a' Giudei piacque una morte: Che Dio e i Giudei sta morie ga apagi:
Per lei tremò la terra, e '1 ciel s'aperse. La lera ga Ircmà, s' ha " 1 cielo averto.
.Non ti dee oramai parer più forte Facilmente capir ti podetà
Quando si dice, che giusta vendetta Adesso, come un giusto tribunai 50
Poscia vengiata fu da giusta corte. Ga una giusta vendela vendicà :
Ma io veggi'or la tua mente ristretta Ma tra un pensier e l'atiro vedo qual
Di pensiero in pensier dentro ad un nodo, Imbrogio va ingropando la to mente,
Del qual con gran disio solver s'appella. Che se no la desgropo la sia mal.
Tu dici: Ben discerno ciò ch'i'odo: Ti disi: Sin qua intendo chiaramente, &5
Ha perchè Dio volesse, m'è occulto, Ma no so come al nostro salvamento
A nostra redenzion pur questo modo. Bisognasse sta pena propriamente.
Questo decreto, frate, sta sepullo Frndelo, in sto secrelo ha visto drento
Agli occhi de' mortali, il cui ingegno Solo chi se nel santo amor nutrio.
Nella fiamma d'amor non è adulto. Ma perchè lanto sora st'argomento 60
M co = con
35 tacada = unita.
47 l'.lu- Dio t i Giudei ila marle f;n apagà — La marle di Cristo piacque a Dio per soddisfazione drll'of-
'«n ricevuta da Adamo; piacque ai Giudei perchè sfogarono la loro rabbia.
43 La lerà te. = tremò la terra per la soddisfazione rendutane a Dio, il cielo fu aperto ai peccatori redenti.
348 DEL PARADISO
Veramente, però ch'a questo seguo Là zo se studia e poco s' ha capio.
Molto si mira e poco si discerne, Dirò perchè de l'omo a la salvezza
Dirò perchè tal mbdo fu più degno. I. "i ihia el Signor quel modo preferio.
La divina bontà, che da su sperne El bon Dio che da Lu qualunque asprerza
Ogni livore, ardendo in sè sfavilla Sdegnoso scazza, l'arde in cussi pura 65
Si, che dispiega le bellezze eterne. Carità, che in Lu mostra ogni belezza.
Ciò che da lei senza mezzo distilla, Quel che da le so man vien a datura,
Non ha poi line ; perchè non si muove No ga mai fin, perchè no xe scassada
La sua impronta, quand'ella sigilla. De l'opera compia la imprimitura.
Ciò che da essa senza mezzo piove, La cossa che senz'altro Elo ha creada, 70
Libero è tutto, perchè non soggiace Sempre libera xè, perchè al poder
Alla virtute delle cose nuove. De qualunque altra no la xe ligada.
Più l'è conforme, e però più le piace; Più ghe somegia, e più ghe dà piacer;
Che l'ardor santo, ch'ogni cosa raggia, Che '1 so amor luto schiara, e quel che più
Nella più somigliante è più vivace. Somegia a Dio, più luse fa veder. 75
Di tutte queste doti s'avvantaggia Tuli sii beni l'omo ha ricevù,
L'umana creatura : e s'una manca, E se uno manca, da l'avua da Dio
Di sua nobilità convien che caggia. So grandezza el va zo colpa de lù.
Solo il peccato è quel che la disfranca, El pecà solo poi farlo avilio,
E falla dissimile al sommo Bene, Farlo scompagno de l'Eterno Ben, 80
Per che del lume suo poco s'imbianca; Perchè dal so lusor poco schiario;
Ed in sua dignità mai non riviene, E a la prima grandezza elo no vien,
Se non riempie dove colpa vota, Se co la penitenza in proporzion
Con ir a mal dilettar, con giuste pene. Del so gran falo, no ghe torna el ben.
Vostra natura, quando peccò tota Quando in Adamo i omeni el maron 85
Nel seme suo, da qoeste dignitadi, I ha fato, da sto ben i \i- cascai,
Come di Paradiso, fu remota : Come dal Paradiso, a tombolon.
Nè ricovrar poteasi (se tu badi Nè più rimessi i se sarave mai,
Ben sottilmente) per alcuna via, Quando ti vardi ben sta verità,
Senza passar per un di questi guadi : Se no per una de ste strade andai : *i
O che Dio solo, per sua cortesia, O che Dio per la sola so bontà
Dimesso avesse; o che l'uoin per sè isso Abia donà ci perdon, o da lu stesso
Avesse satisfatto a sua follia. L'omo al mal fato no abia remedià.
Ficca mo l'occliio per entro l'abisso La mente tua più che ti poi adesso
Dell'eterno consiglio, quanto puoi Al gran pensier de Dio racolgi e leva, 95
Al mio parlar direttamente iìsso. Del qual mi son per meterte al possesso.
Non potea l'uomo nei termini suoi L'omo imperfeto, dopo noi podeva
135 Da altra virtù creada i xe formai = cioè gli accennati elementi ricevono la forma non da Dio imme
diatamente, ma da altra virtù da Dio gii creala.
138 Crearfa è li materia che xe in lori = cioè creata immediatamente la materia di che sono composti i
detti elementi.
140 erra con quel . • cioè, colla materia elementare atta e disposta per sua essenza a generare l'animi dei
dei bruti e delle piante, la quale non essendo creazione immediata, è mortale.
142 de prima intra - di primo sìancia, immediatamente.
35i
CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Tn ricevi ambo due, Venere stalla. Ne la to stela, Vrnere, ti ga
Lo cui nome nel mondo * si profano, Quel do scordai dal mondo, e nel to Cielo
E costà l'alme con sua gloria abbella. Sempre gloriosi i nomi Boi sari.
Carlo Martello in quel luogo sovrano In quela stela hi Carlo Martelo
Parla, e dichiara in Un come por puote Parla, e in fin el dismostra palmarmente
Germoglio peggiorar di ceppo umano Come poi sviar dal tronco questo e quelo
PT colpa nostra, e non di quelle ruote. No per colpa del ciel, ma de la zente.
Solca creder lo mondo in suo perielo, Credeva el mondo, con so dano grando,
Che la bella Ciprigna il folle amore Che la spandesse in tera el mato amor
Raggiasse, vòlta nel terzo epicielo : Venere bela al terzo ciel zirando ;
Per che non pure a lei faceano onore Perciò no solo i ghe fazzeva onor
Di sacrinei e di votivo grido Coi tanti sacrifizi e co orazion,
Le genti antiche nell'antico errore; Che ai tempi indrio i ghe disea de cuor;
.Uà Dium' onoravano e Cupido, Ma i pregava Cupido e la itimi.
Quella per madre sua, questo per figlio : Per mare questa, e quelo per so fio,
E dicean ch'ei sedette in grembo a Dido. Sta, i disea, su i zenochi de Didon.
E da costei, ond'io principio piglio, Da custia, da la qual sto canto mio ÌO
Pigliavano il vocabol della stella, Mi scomenzo, la stela el nome tien
Che '1 sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. Che ora al Sol va davanti ora da drio.
Io non m'accorsi del salire in ella : Come ghe fusse entrà dir no so ben,
Ma d'esservi entro mi fece assai fede Ma d'esserghe m' ho incorto solo quando
La Donna mia, ch'io vidi far più bella. Go visto Bice che più bela vien. 15
E come in fiamma favilla si vede, Come faliva in bampa va sguizzando,
E come in voce voce si discerne, E come de do vose, se una mai
Quando una è ferma, e l'altra va e riede ; Sta ferma, va via l'altra modulando;
Vid'io in essa luce altre lucerna In quela stela novi lumi ho ochiai
Muoversi in giro, e più e men correnti Più o manco presto atorno via zirar
Al modo, credo, di lor viste eterne. Conforme che da Dio i è stai graziai.
Di fredda nube non disceser venti, No mai giazzada nuvola mandar,
27 / Serafini ee. = questo cielo di Venere, come tutti gli altri, ha il suo impulso dal nono cielo dello il
primo mobile, al quale presiedono i Seralìni.
34 /.ir, uni insieme ai prencipi celesti = secondo lu opinione di Tolomeo i cieli sono i cori celestiali che si
cirli presiedono nell'ordine seguente. Al primo mobile presiedono i Serafini: al cielo delle stelle fisse i Cheru
bini: a Saturno i Troni: a Giove le Dominazioni: a Marte le Virtù: ni Sole le Potestà: a Venere i Principali:
a Mercurio gli Arcangeli: nlla Luna gli Angeli.
37 Voi' che intendendo ee. - è lu prima canzone del Convito. Gli scolastici assegnano a ciascuno dei deli
una intelligenza che ne governa le rivoluzioni.
49 Poca al mondo ho avù vita = questi che parla è Carlo Martello, il maggiore dei figli di Girlo II deno
lo Zoppo, e di Maria di Ungheria. Morto Ladisìao nel 1290, Carlo Martello per diritto materno si trovò legittimo
erede della corona d'Ungheria, sebbene quegli che veramente regnò fu il suo emulo Audrea III, che morì nd
1301. Carlo Martello mori nel 1205 d'anni 23 vivente tuttora il padre di lui; ma nel 1291 avea sposata de
menta figlia di Rodolfo di Ilabsburgo imperatore d'AIcmagna da cui cube un figlio chiamato Coroberlo che h
riconosciuto ed eletto re d'Ungheria nel 1308. Carlo II di Napoli morì nel 1309, ed avendo credulo Coroberto
figlio del suo primogenito abbastanza provisto, fece crede de' suoi Slali il suo terzogenito Duca di Calabria, poi
chè il secondogenito di lui, Luigi, che. poi fu santo, era Vescovo di Tolosa. Coroberto non s'acquetò di queslo
arbitrio del nonno suo e pretese la successione negli Slati di Napoli e Provenza, come figlio del primogniili
di Carlo II. Ma rimessa la cosa al giudizio del Papa Clemente V, questi sentenziò in favore di Roberto. Dmlc
aveva conosciuto di persona Carlo Martello, ed avealo avuto per le sue tgualità mollo caro. (Bianchi).
50 tanto avria fato = Unto mi sarei adoperato. Dante fa qui profrtizzarc i mali della guerra cagioni» :
Roberto prr opporsi all'ingrandimenIo di Arrigo VII. (Bianchi;.
CANTO Vili. 353
La mia letizia mi ti lien celato, Tra l'alegrezza, che me fa beato,
Che mi raggia d'intorno, e mi nasconde, Me covre e a ti me sconde el mio lusor,
Quasi animai di sua seta fascialo. Come galeta sconde el so bigato.
Assai m'amasti, ed avesti bene onde : Ti m'ha in tera ti amà, e mi de cuor 55
Che, s'io foisi giù stato, io ti mostrava T" ho amà, che se vissù fusse più là
Di mio amor più oltre che le fronde. T'avriatcoi fati dismostrà '1 mio amor.
Quella sinistra riva, che si lava Del fianco Prorenzal, che xe bagnà
Di Rodano, poich'è misto con Sorga, Dal Rodano col Sorga, a tempo andar
Per suo signore a tempo m'aspettava ; El sovran mi sarave deventà : 60
E quel corno d'Ausonia, che s'mborga E doveva in Italia mi regnar
Di Bari, di Gaeta e di Crotona, Là tra Bari, Gaeta e tra Crotona,
Da ore Tronto e Verde in mare sgorga. Per dove el Tronto e '1 Verde casca in mar.
Fulgeami già in fronte la corona Portava de quel logo la corona,
Di quella terra, che '1 Danubio riga, Dov 'el Danubio fa corendo el sguazzo 65
Poi che le ripe tedesche abbandona ; Dopo che la Germania elo abandona :
Eia bella Trinacria, che caliga E la bela Sicilia, che sul brazzo
Tra Pachino e Peloro, sopra '1 golfo Del mar fumarea spande, al qual ghe dà
Che riceve da Euro maggior briga, Tra Peloro e Pachin l'Euro più impazzo,
.Non per Tifeo, ma per nascente solfo, (No per Tifeo, per zolfare internà) 70
Attesi avrebbe li suoi regi ancora, Per re i mii lini, che da Ridolfo i vien
Nati per me di Carlo e di Ridolfo ; E dal re Carlo, eia avaria chiamà,
Se mala signoria, che sempre accora Se '1 governo tiran, vero velen
Li popoli noggetti, non avesse Dei suditi, Palermo no l'avesse
Mosso Palermo a gridar : Mora, mora ; Tirà a urlar : Mora, mora. E quando ben 75
E se mio frate questo antivedesse, Sto tanto mio fradelo prevedesse,
L'avara povertà di Catalogna I ui «rom spiantai de Catalogna
Gii fuggirla perchè non gli offendesse : El schivarla col mal che aver podesse ;
Che veramente provveder bisogna Che propriamente i altri, o lu, bisogna
Per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca Che i ghe rcmedia avanti che cargar 80
Carica più di carco non si pogna. De più la barca carga no i se insogna.
La sua natura, che di larga parca Splendido de famegia, a sparagnar
84 de ingrumar = di ammassare.
86 co/a mi - come me.
95 lampante ---- evidente, chiaro.
102 i-h'rl nichio suo --- cioè il posto assegnato alta naturale sua inelinazione.
108 scombussola = scompigliato.
110 De chi move le stele = cioè delle celesti intelligenze, ossia degli angeli che danno molo alle stelle,
111 C/u xe de vera perfezion modelo = cioè Dio.
CANTO Vilr. 555
Potcia conchiuse : Dunque esser diverse' Sta conclusion : Donca che sia convien
Convien de' vostri effetti le radici : Diverse in vualtri le nature, quando
Per ch'uà nasce Solone, ed altro Serse, Chi per far el legista al mondo vien.
Altro Melchisedech, ed altro quello, Chi '1 prete, chi '1 sovran, chi l'artesan. 125
Che, volando per l'aere, il figlio perse. L'influenza dei cieli ha fato ben,
La circular natura ch'è suggello Quando zirando atorno la so man
Alla cera mortai, fa ben su' arte ; Una marca diversa l'ha batù
Ma non distingue l'un dall'altro ostello. Sul fiol d'un re, d'un doto, o d'un vilan.
Quinci addivien, ch'Esaù si diparte Dè Giacobe perciò no ga Esaù 130
Per seme da Giacob; e vien Quirino La natura, e i fa a Marte che sia fio
Da si vii padre, che si rende a Marte. Romolo, che ha avù un pare turlulù.
Natura generata il suo cammino l fioli ai pari tegnerave drio,
Simii farebbe sempre a' generanti, Ma altro despone quela stela e questa,
Se non vincesse il provveder divino. Per l'influenza che ghe vien da Dio. 1 35
Or quel che t'era dietro t'è davanti. Questo te xe entrà adesso ne la testa :
Ma, perchè sappi che di te mi giova, Ma aciò più ancora intenderlo te possa,
Cn corollario voglio che t'ammanti. Darle ho piacer la zonta che me resta.
Sempre natura, su Fortuna truova Se natura s'imbate in t'una cossa
Discorde a sè, come ogni altra semente Che confarse no poi, fa istessamente 140
Fuor di sua regì'on, fa mala pi nova. D'una pianta zentil in tera grossa.
E se '1 mondo laggiù ponesse mente Se a la inclinazion l'omo dasse mente
Al fondamento che natura pone, Che al so nasser dal cicl segnà ghe xe,
Seguendo lui, avria buona la gente. Megio l'aravi: el so mestier la zente.
Ma voi torcete alla religione Ma vualtri a farse prete strassinè 145
Tal, che fu nato a cingersi la spada, Quel che xe nato per portar la spada,
E fate ro di tal ch'è da sermone : E chi xe nato a predicar fe re:
Onde la traccia vostra è fuor di strada. Per questo vualtri andè fora de strada.
CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, -Dopo ch'el Carlo tuo me ga cavà,
^l'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni, Bela Clemenza, el dubio, el me diseva
Che ricever dovea la sua semenza. Quali ingani i so fioi riceverà :
Ma disse : Taci, e lascia volger gli anni : Ma che laser dovesse el me imponeva ;
Sì ch'io non posso dir, se non che pianto Perciò sol digo: Giuste pene e guai
Giusto verrà diretro a vostri danni. Vegnerà a chi ve ofende. E za gaveva
E già la vista di quel lume santo L'anema santa i ochi sol voltai
Rivolta s'era al Sol che la riempie, Al primo Ben, a Dio Onipotente,
Come a quel ben ch'ad ogni cosa è tanto. Che ha cielo e tera del so amor graziai.
Ahi, anime ingannate, fatue ed empie, O balorda, canagia, o mata zente, 10
Che da sì fatto ben torcete i 'cori, Che andar lasse per ochio un tanto ben,
Drizzando in vanità le vostre tempie ! Per tegnir drio a budele da gnente!
Ed ecco un altro di quegli splendori Ma eco che un altro de quei lumi vien
Vèr me si fece, e '1 suo voler piacermi Da mi, mostrando col chiaror de fora
Significava nel chiarir di fuori. La vogia che a compìaserme '1 ga in sen. 15
Gli occhi di Beatrice, ch'eran fermi Dice coi ochi su mi fermi alora
Sovra me, come pria, di caro assenso Come prima, licenza de parlar
Al mio disio certificato fèrmi. Graziosamente la me dava ancora.
Dch metti al mio voler tosto compenso, Vogime, digo, anema santa, far
Beato spirto, dissi, e fammi pruova. La finezza de dirme in qual maniera
Ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso. Mai possa el mio pensier in ti passar.
1 Dopo ch'el Carlo tuo ee. = Dante volgo il discorso a Clemenza ch'era ancora viva quando egli scriver!
questi versi. Questa Clemenza non è pia la figlia di Carlo Martello, come hanno credulo varii coinmeutalori, poi
chè nel 1300 non contava ella elic sci o sette anni di eta, ma bensì la sua sposa chiamata pur essa Clc'inrini
(Fraticelli).
2 rl iini, i, i = cioè come dai padri differiscono i figli.
3 iI uali ingani ee. = alla occupazione del regno di Puglia fatta da Roberto nel 1309, in pregiudizio di Car
lo Umberto o Carohorto figlio del detto Carlo Martello e della detta Clemenza rl-Y,iiirrlli).
11 che andar lasse jier ochio = che trasandate.
12 aiidele = baie.
17 Come prima = Dante chiese permissione a Beatrice di parlare a Carlo Martello. Vedi C. Vili, v. 10.
10 Vogime - mi voglia.
20 finezza = cortesia.
i
CANTO ix. 357
Onde la luce, che m'era ancor nuova, El bel lusor, che ancora no me gera
Dal suo profondo, ond'ella pria cantava, Sia nominà, e ga fato la cantada
Scguette, come a cui di ben far giova : Co i altri, cussi parla volentiera:
In quella parie della terra prava .Vi sito de l'Italia malandada, 25
Italica, che siede intra Rialto, Tra '1 Brenta, el Piave e '1 Venezian, xe là
E le fontane di Brenta e di Piava, Una colina picola piantada,
si leva un colle, e non surge molt'alto, Da in dove s' ha una fiamola calà
Là onde scese già una facella, Per portar desterminio ai Padovani.
Che fece alla contrada grande assalto. El medesimo pare generà 30
D'una radice nacqui ed io ed ella : Ga quela bampa e mi : là tra i mondani
Cunizza fui chiamata : e qui refulgo, Cunizza ho nome, e luso al terzo cielo,
Perchè mi vinse il lume d'esta stèìla. Perchè ho sentido de sta stela i dani.
Ma lietamente a me medesma indulgo Uà volentiera me perdono quelo
La cagion di mia sorte, e non mi noia : Causa del quai son qua, nè me dolora; 35
Che forse parria forte al vostro vulgo. „ Scuro xe questo ai curii de cervelo.
Di questa Inculcata e cara gioia Ga sta zogia lusente, che inamora
Del nostro cielo, che più m'è propinqua, El nostro cielo, e che me xe più arente,
Grande fama rimase; e, pria che muoia, Lassà gran nome in tera, e avanti el mora,
Questo centesim'anno ancor s'incinqua. Dei secoli andarà. Vanta la zente 40
Vedi se far si dee l'uomo eccellente, Se no ga dopo morte de lassar
Si ch'altra x ita la prima relinqua ! Un altra vita da vegnir in mente!
E ciò non pensa la turba presente, Ma la zente no xe de sto pensar
Chi Tagliamento ed Adice richiude ; Tra '1 Tagiamento e l'Adese serada,
V, per esser battuta, andor si pente. Nè le disgrazie no la fa cambiar. 45
Ma tosto fia, che Padova al palude E Padoa farà presto insanguenada
Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, L'aqua che core per Vicenza, che
Per essere al dover le genti crude. Zente ingiusta la xe, zente ostinada.
E dove Sile e Cagnan s'accompagna, Dov'el Sii e '1 Cagnan missiadi i xe,
Tal signoreggia, e va con la testa alta, Se fa la rede per chiapar col M 50
Che già per lui carpir si fa la ragna. Ch'el va cimà fazzendola da re.
23 la i-in, nubi - . rii»., che cantò in coro Osauna: vedi i v. 23, Ì9 del Conio precedente.
25 .\,l niio de l' Italia - . si descrive il territorio elic è tra i confini del Padovano, ove scorre la Brenta; la
ilarca Trevigiana, ove scorre la l'invii: e del Ducato di Venezia = malandada = condotta a mal termine.
17 Una a.ti, m jiicaia = il colle ove sorge il Castello di Romano .
28 Da in dove t'ha una fiamola calà — cioè il tiranno Eziellino III della famiglia di Onara, conte di Bas
ano — fiamola - facella, liammetta.
30 El medesimo pare, ce. = questa elic parla è Cunizza sorella del dello Ezzelino = pare = padre.
33 ho tcntido de ila itela i dani --. Cunizza fu dedila ai piaceri di Venere.
37 sia zogia = chi fosse quesla gioia lo dice il v. 94.
38 arenle : vicino.
41 Tra 'I Tagiammto e l'Adese = il ragliamento e l'Adige sono fiumi che nel 1300 erano i termini della
Marca Trivigiana.
46-47 E i Padoani tv. = tre volte furono i Padovani sconfini a Vicenza dai Ghibellini. La prima nel 1311,
ia seconda nel 1314, in cui fu fallo prigione Jaeopo da Carrara, e la lerza con più sangue nel 1318 quando era
Capitano della lega Ghibellina Can Grande.
49 Dov'el Sii — cioè Trevigi ove si congiungono insieme i due liumi Silc e Caghano.
50-51 cotù -- cioè Riccardo da Camino --: cima r_ pettorulo, in atteggiamento orgoglioso. Riccardo fu ucciso
da alcuni sicari, mentre che nulla sospettando, -i sìava a giocare agli scacchi, e chi dice ad istigazione d'Altinicro
de' Calzoni trivigiano.
558 DEL PARADlSO
Piangerà Feltro ancora la diffalta Pianzarà Feltre el tradimento avù
Dell'empio suo pastor, che sarà sconcia Dal Vescovo bricon, che eguai genia
Sì, che per Mmii non s'entrò in Malta. Mai la tore de Malta ha ricevo.
Troppo sarebbe larga la bigoncia, ln un tinazzo el sangue no starla 55
Che ricevesse '1 sangue ferrarese, Dei Feraresi, e ingranfiria la man
E stanco chi '1 pesasse ad oncia ad oncia, Chi per onza pesarlo lo voria,
Che donerà questo prete cortese, Che donerà sto prete cortesan
Per mostrarsi di parte. E colai doni Al so partio ; e sti doni po sarà
Conformi ficno al viver del paese. Al viver adatai de Feltre. l gran 60
Su sono specchi, voi dicete troni, Anzoli chiamai Troni da de là,
Onde rifulge a noi Dio giudicante ; Come spechi el giudizio i ne renette
Sì che questi parlar ne paion buoni. De Dio, e xe certo quel che i due. Qua
Qui si tacette, e fecemi sembiante, La tase, e come prima la se mete
Che fosse ad altro vòlta, per la ruota A zirar in quel ciel da altro chiamad.i, 65
ln che si mise, com'era davante. Che a restar più con mi no ghe permete.
L'altra letizia, che m'era già nota, La zogia da Cunizza menzonada,
Preclara cosa mi si fece in vista, Come dal Sol batù rubin lusente,
Qual fm baiaselo in che lo Sol percuota. La gera dai so ragi ralegrada.
Per letiziar lassù fulgor s'acquista, Fa in cielo l'alegria l'anema ardente; 70
Sì come riso qui: ma giù s'abbuia Rider fa l'omo in tera, ma a l'lnferno
L'ombra di fuor, come la mente a trista. Negra xe l'ombra sua come la mente. i
Dio vede tutto; e tuo veder s'inluia, Dio vede luto, digo, e nel so interno
Diss'io, beato spirto : sì che nulla Cussi ti vedi ti, spirito belo,
Voglia di sè a te puote esser fuia. Che in ti se stampa el so pensier eterno. 75
Dunque la voce tua, che '1 ciel trastulla E la to vose, che ralegra el cielo,
Sempre col canto di que' fochi pii, Dei Serafini al dolce canto unia,
Che di sei ale fannosi cuculia, Che i se fa de sìe ale un largo velo,
Perchè non satisfacc a' miei desii? Perchè apagar no voi la brama mia ?
Già non attendere'io tua dimanda, La to resposta no starla aspetando, 80
S'io m'intuassi, come tu rimimi. Se, come che ti in mi, mi in ti scovi i, i
La maggior valle in che l'acqua si spanda, . La vogia toa gavesse. El mar più grando
lncominciaro allor le sue parole, Dopo quelo, scomenza lu a parlar,
52-53 Pianzara Fclli.c ec. = essendo rifuggiti in Feltro molli Ferraresi, lra gli altri cerii gentiluomini della
Fontana, per salvarsi dallo sdegno del Pupa, col quale erano in guerra, furono dal Vescovo Gena ili Lussia, al'
lora tcmporal signore della detta città, con false cortesie ricevuti, indi folti prigioni e consegnati al Governatore
di Ferrara Pino della Tosa, clic li fece crudelmente morire.
54 la lare de Malia •--. la Torre di Malta o Marla, era l'ergastolo in riva al lago ili Bolsena, e vi xi rinar
ravano i chierici rei di capitali delitti.
55 tinozza = tino.
56 ingranfirin = aggranchirebbe.
SS corlesan . nel senso di bravaccio, prepotente, e simili.
50 al so parilo .- cioè al partito dei Guelfi, che era il parlito del detto Vescovo Gorca. = xli Ani ~ delto
figuratamente.
61 Troni • • cosi chiamali gli angeli dell'empireo. = dt là -. cioè in terra.
67 La zngia = cioè l'altr'nnimu beala accennata da Cunizsa (v. 37, 38, 39), e colla quale Dantf .ipiv il ili'
scorso, e Folco da Marsiglia, come si vedra.
7S ilr sic ale ec. = come li descrive il profeta lsaia, i Serafini si fanno ampia veste di Sri nli.
8? El mar più grando = cioè il Mediterraneo, creduto anticamente il maggiore dei mari dopo l'O
CANTO IX. 3S9
Fuor di quel mar che la lerra inghirlanda, Che tien la lera in sen, sempre riazando
Tra discordanti liti contra '1 Sole Da Ponente a Levante, va a trovar 85
Tanto sen va, che fa meridiano Diversa zente de diverso rito.
Là, dove l'orizzonte pria far suole. El lio mi go abità de quel gran mar
Di quella valle fu'io littorano Tra l'Ebro e '1 Magra, che viazando drilo
Tra Ebro e Macra, che per cammin corto E in curto, el Genovese dal Toscan
Lo Genovese parte dal Toscano. A divider per mezo va pulito. 90
Ad un occaso quasi e ad un orto Xe quasi solo al stesso meridian
Buggea siede, e la terra ond'io fui, Bugia e Marsilia, che la m' ha cunà,
Che fe del sangue suo già caldo il porto. E '1 Porto ga machià de sangue uman.
Folco mi disse quella gente, a cui Folco la zente al mondo m'ha chiamà;
Fa noto il nome mio: e questo cielo Schiaro col mio lusor sto ciel qua su, 95
Di me -'impnmU, com'io fe' di lui : Come i amori soi m'avea scaldà.
Che più non arse la figlia di Belo, Didon no ga sentio l'amor de più,
(X'oiando ed a Sicheo ed a Creusa) Che Creusa e Sicheo gelosi fava,
Di me, in liu che si convenne al pelo ; De quelo che ho sentio mi in zoventù ; .
Né quella Rodopea, che delusa Nè Rodopea, ch'el perfido inganava 100
Fu da Demofoonte ; nè Alcide, Demofonte ; nò quando el forte Alcide
Quando Jole nel cuore ebbe richiusa. Arente a Iole per amor filava.
Non però qui si pente, ma si ride, Qua po no se se pente, ma se ride,
Non della colpa, ch'a mente non torna, IS'o za del falo, che noi vien in mente,
Ma del valore ch'ordinò e provvide. Ma de quel ben che Dio con nu divide. 105
Qui si rimira nell'arte che adorna Nel creà tuto la divina mente
Cotanto effetto, e discernesi '1 bene, Qua se amira, e se sa come e per cossa
Per che il mondo di su quel di giù torna. El cielo su la tera xe influente.
Ma perchè le tue voglie tutte piene Ma i desideri luti aciò te possa
Ten porti, che son nate in questa spera, Mi apagar, che vegnui te xe in sta stela, 110
Procedere ancor oltre mi conviene. Bisogna che te diga un'altra cossa :
Tu vuoi saper chi è "n questa lumiera, Ti voressi saver chi mai xe in quela
Che qui appresso me cosi scintilla, Luse, che la resplende a mi darente,
88-90 Tra l'Ebro e 'I Magra — e circoscritta Marsiglia, città elic resti quasi In mezzo tra l'Ebro fiume della
Spagna, che si scarica nel Mediterraneo sotto Tortosa, e la Magra, piccolo fìumc in Italia che per breve tratto o
quasi rettilineo, divide il Genovesato dalla Toscana.
92 Bugia - o Buggea nello Stato di Algeri, è quasi sotto il meridiano di Marsiglia, onde viene necessaria
mente ad avere quasi lo stesso Occidente = '.l«- la m'ha cunò - che mi diede culla.
83 E 'I Porto ga machià es. = accenna la strage dei Marsigliesi fatta da Bruto quando per ordine di Ce
sare assediò ed espugnò quella citta.
94-96 Folco la :rni• ".' mondo m'ha chiamà t-e. = narrasi che Folco molle rime d'amore scrivesse in lode
i Adalagia moglie di Barale di Marsiglia, alla cui corte si stava, la qual dama era da lui grandemente amata,
e che, lei morta, si facesse monaco; che poscia fosse fatto Vescovo di Marsiglia e finalmente Arcivescovo di Tolosa.
97-98 Didon no ga tcntia ee. = Didone innamorata di Enea, destava col suo amore gelosia a Sicheo di lei
marito, ed a Creusa già moglie di Eneo.
100 Rodopea -— cioè Filli abitatricc di un luogo presso il monte Rodope nella Tracia. Costei, secondo le fa
vole, abbandonata da Demofoonte, si uccise, e fu dagli Dei convergila in mandorlo.
101-102 Altidc ..-. ovvero Ercole figlio di Alfco, s'innamorò di Iole figlia di Eurilo re di Etolia, fino al punto
di mettersi a filare tra le ancelle di lei.
104 No :a del falo, chi noi vien in mente = le anime prima di salire al Paradiso bevono l'acqua del finme
Lete che ha la proprietà di far dimenticare le male azioni in cui fossero incorse in vita: vedi l'nrg. C. XXVIII.
v. 121-130.
113 a mi (tartine x a me dappresso.
560 DEL PARADISO
Come raggio di Sole in acqua mèra. Come ragio de Sol in aqua bela.
Or sappi, che là entro si tranquilla Sapi, che drento là la pase sente 115
Raab : ed a nostr'ordine congiunta, Raab, che insieme a nu fa che sta sfera
Di lei nel sommo grado si sigilla. Più bela la deventa e più lusente.
Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta Prima che Cristo vinta abia la guera
Che '1 vostro mondo face, pria ch'altr'alma Contro Inferno, l'è stada qua logada,
Del trionfo di Cristo, fu assunta. In dove buta l'ombra sua la tera : 1 -i)
Ben si convenne lei lasciar per palma E xe sta ben che in qualche ciel lassada
In alcun cielo dell'alta vittoria, Per segno questa sia de la vitoria
Circi s'acquistò con l'una e l'altra palma ; Che "1 ga Lu su la erose guadagnada ;
Perch'ella lavorò la prima gloria Perchè eia ha favoriti la prima gloria
Di Giosuè in su la Terra Santa, Che in Tera Santa Giosuè onora, 125
Che poco tocca al papa la memoria. De la qual poca el Papa tien memoria.
La tua città, che di colui è pianta, La to cità, sortia da colù fora
Che pria volse le spalle al suo Fattore, Che s' ha fato rebele al so Creator,
E di cui è la invidia tanto pianta, Per l' invidia del qual se pianze ancora,
Produce e spande il maledetto flore, Produse e spande el maledeto fior, 139
C' ha disviate le pecore e gli agni, Che ga fato sbandar piegora e agnelo,
Però e' ha fatto lupo del pastore. Perchè un Lovo el ga fato del Pastor.
Per questo l'Evangelio e i Dottor magni Santi Padri scordai, per lu, e Vangelo,
Son derelitti; e solo ai Decretali Se studia tanto i soli Decretai,
Si studia sì, che appare a' lor vivagni. Da lassar dei dèi l'onto in questo e in quelo.
A questo intende '1 papa e i cardinali : Tende a far bezzi el Papa e i Cardenai :
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette, Nè i pensa a Nazaret, dove ha portà,
Là, dove Gabrielo aperse l'ali. Gabriel la gran nova. Ma oramai
Ma Vaticano e l'altre parti elette El Vatican con quanto Roma ga
Di Roma, che son state cimiterio De sacro, che ha sur viti da cimiterio i iii
Alla milizia, che Pietro seguette, A quei che drio de Piero ha caminà,
Tosto libere fìen dall'adulterio. Presto el fm vedcrà del vituperio.
116 limili = la meretrice di Geriro, la quale avendo salvali in sua casa alcuni esploratori di Giosuc, la <•
questo Capitano preservata nel sacco di detta città, ond'essa poi adorò il vero Dio.
118-120 Prima che Critto te. = prima della Redenzione = 7u0 logada — qui collocata, dove al dire Ji
Tolomeo, termina l'ombra piramidale della terra.
124 In prima gloria = Gcrico fu la prima città che Giosuò vinse combattendo.
126 puta ti Papa tien memoria = lini posa cura.
127-129 La la cità te. — cioè Firenze patria di Dante, la quale fu edificata sotto gli auspicii di colui clu
si ribellò a Dio, cioè il demonio, l' invidia del quale fu cagione del peccato di Adamo, per cui tanto >i piange
nel mondo. Al v. 153 e seguenti del C. XIII dell' Inferno è detto elie Kirenic nel suo cominciamenlo ebbe |HT
suo nome tutelare il Dio Marte (Bianchi).
130-132 tl mainino fior — cioè il liorino d'oro che fa traviare non solo pecore e agnelli, cioè laici (d "'
elesiastici, ma diventar lupo il Pontefice, che figura il pastore del gregge.
134 Decretai — Dante dice elic i preti studiavano più le Decretah che il Vangelo e i Santi Padri, perelic
solo per la profonda cognizione di quelle giungevano agli onori e alle ricchezze, che unicamente curaiami.
135 Da Innar dei dei l'auto = da lasciar l'untume delle dita nei margini.
137-138 Nè i pensa a tia;arèt = allude alla povera casa di ISazaret abitala da G. C. e dove l'Angelo C*
briele si rivo ad annunziarc la Santa Vergine.
138-141 Mn oramai El Valiean ee. — il Vaticano ov'è il sepolcro Ji S. Pielro e le tombe dei gloriosi nnf
tiri e dei Pastori che seguirono l'esempio di San Pietro.
561
CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al quarto Cielo, ove lo roggio sorgo. Al quarto Ciel, da in dove zo vien viva
Onde s'aggiorna qui l'ajuola nostra. La lusn a intuminar sta nostra torà,
Lievo il Poeta va ciio non s'accorge. Dante senza inacorzerse l'ariva.
Fra molti lumi al suo viso si mostra San Tomaso d'Aquin, che santa tu era,
Tommas d'Aquino, cho d'altri fulgori Ga fata al mondo, itrento la so luso
Gli da contezza che in sì chiara chiostra (Ihi? da nove de quei de quella sfera,
A Ini fè cerchia irraggiando di fuori. Ohe ghi- fa cerchio, e fui.- quanto luse.
Guardando nel suo Figlio con l'amore, El Pare con so Fiolo e l'Amtn Santo,
Che l'uno e l'altro eternalmente spira, Che dal Pare i procede eternamente,
Lo primo ed ineffabile valore, Con ordene l' ha fato tal e tanto
Quanto per mente o per occhio si gira Quel che al pensier e a l'ochio xe presente,
Che tanto ordine fe, ch'esser non puote Che chi lo varda ben ga da gustar
Senza gustar di lui chi ciò rimira. Tuto che ha fato la divina mente.
Leva dunque, lettore, all'alte ruote I ochi con mi, o letor, vien a levar
Meco la vista, dritto a quella parte, A le sfere del ciel da quela banda
DOve l'un moto all'aliro si percuote: Che co l'Ariete le se va a incrosar.
Eli comincia a vagheggiar nell'arie E lì a varda r scomenza l'arte granda
Di quel Maestro, che dentro a sè l'ama De Dio, che, come la so amante ria,
Tanto, che mai da lei l'occhio non parte. Da quela l'ochio eterno mai no sbanda.
Vedi come da indi si dirama Varda come el Zodiaco va via,
L'obliquo cerchio, che i pianeti porta, E a benefizio de la tera el porta
Per satisfare al mondo che gli chiama. I pianeti per sbiego in compagnia.
E se la strada lor non fosse torta, E se la strada no la fusse storta
Molta virtù nel ciel sarebbe invano, Ch'eli fa, saria poca la virtù
E quasi ogni potenzia quaggiù morta: De sii cieli, e la tera quasi morta.
E se dal dritto più o men lontano Che se più in zo '1 Zodiaco, o più in su
Fosse 1 partire, assai sarebbe manco Camioasse, imperfeto assae saria ao
E su e giù dell'ordine mondano. L'ordene in tera e l'ordene là su.
Or ti riman, lettor, sovra '1 tuo banco, Ma perche '1 tropo dir te stufarla,
Dietro pensando a ciò che si preliba, Pensa, Ietor, sul lo taolin puzà, :i
S'ssser vuoi lieto assai prima che stanco. AI gusto che sio luto te dada.
9 i... i l'Aritte = cnn l'Ariete, dove sono punii noi quali l'Equatore s'incrocia col Zodiaco.
10 l'arie --- cioè l'arlilizio, il magistero.
12 CocAi'o eterno ™ l'occhio di Dio o simbolo della provvidenza conscrvatrice.
15 per ibiego •-- obliquamente, perchè il piano dello Zodiaco taglia traversalmèntc il piano dell'Equatore.
16 £ te la strada no la finte slorlu = Se il giro dei pianeti non fosse obliquo, non si avvicinerebbe or
all'una ora all'altra parte della terra: ed iu tal guisa invece d'influire al tempo stabilito direttamente sopra
ciascuna di esse parti, influirebbe sopra una sola, e perciò molta virtù del cielo sarebbe superflua. È dottrina di Ari-
uotele (Bianchi) = noria = cioè obliqua.
13 {a i,-,-,, funsi morta — per la privazione dogli iuflnssi celesti.
23 puzà == appoggiato-
362 PEL PARADISO
Messo t'ho innanzi : omai per te ti ciba; Quel godi intanto che i ' ho parechiù : 25
Cile a sè ritorce tutta la mia cura Ch'el gran sogcio de sta mia scritura,
Quella materia ond'io son fatto scriba. Voi che là torna, in dove l'ho lassà.
Lo ministro maggior della natura, El pianeto magior de la natura,
Che dal valur del cielo il mondo impronta, Che anuhia el mondo, e '1 so lusor da fora
E col suo lume il tempo ne misura, Col qual el tempo sparte e lo misura, 30
Con quella parte che su si rammenta Insieme a quel che ho menzonà qua sora,
Congiunto, si girava per le spire, Intendo dir l'Ariete, per de là
In che più tosto ognora s'appresenta : L'andava che dà '1 dì più a bonora.
Ed io era con lui ; ma del salire D'esser iu sto pianeto mi za entrà
Non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, M' ho incorto, come chi '1 primo pensier 35
Anzi '1 primo ptmsier, del suo venire. Sol descovre co in mente el gh'è arivi.
Oh Beatrice, quella che si scorge Qual luse mai doveva Bice aver,
Di bene in meglio sì subitamente, Guidandone de ben in megio a Dio
Che l'atto suo per tempo non si sporge, Co un stanzo tal, ch'el tempo in so poder
Quant'esser convenia da sè lucente ! Noi ga ! Giusta una idea l'inzegno mio 40
E quel ch'er'entro al Sol, dov'io entra' mi, Nè l'arte no ve poi nè l'uso dar,
Non per color, ma per lume, parvente, De quel che drento al Sol mi go scovi iu
Perch'io l'ingegno e l'arte e l'uso chiami, Luser più del lusor che poi mandar
Si noi direi, che mai s'immaginasse: Lu istesso : ma credèlo fermamente,
Ma creder puossi, e di veder si brami. E de vederlo in ciel dove sperar. 45
E se le fantasie nostre son basse Se tanto alto no va la nostra mente.
A tanta altezza, non è maraviglia ; Che s'abia da maravegiar no intendo :
Che sovra '1 Sol non fu occhio ch'andasse, Che del Sol più gran luse mai la zente
Tal'era quivi la quarta famiglia No ha visto. Cossi là de Dio lusendo
Dell'alto Padre, che sempre la sazia, Sta la quarta famegia ch'Elo sazia 50
Mostrando come spira, e come figlia. Sempre, sè stesso in uno e tre scorrendo.
E Beatrice cominciò : Ringrazia, E la Bice me dise : Via ringrazia
Ringrazia il Sol degli angeli, ch'a questo El bon Dio, e ringrazialo de cuor,
Sensibil t'ha levato per sua grazia. Che de levarle al Sol l' ha fato grazia.
Cuor di mortai non fu mai sì digesto Mai nissun omo ha ringrazià '1 Signor 53
A divozione, ed a rendersi a Dio, Pien de riconossenza e devozion,
Con tutto '1 suo gradir cotanto presto, Come mi presto, nè con tal calor ;
Com'a quelle parole mi fec'io : Tanto a quel dir intenerio me son,
E sì tutto '1 mio amore in lui si mise, E tanto è sta l'anuir che a Dio ho rendeste,
Che Beatrice ecelissò nell'oblio. Che insin la Bice go lassà in canton. 6°
81 Insieme a quel che ho menzonà qua sora — cioè colla costellazione dell'Ariete accennata al v- 0.
32-33 per de là L'andava ce, = cioè passando dall'Equatore al Tropico.
36 co = quando.
38 de ben in megio = di bene in meglio.
39 Co aa con.
42 De quel che drento al Sol = sono le anime dei beati elie risiedono entro il cielo del Sole = tedi qui
sotto i v. 64, 65 e seg.
50 la quarta famegia = vien detto la quarta famiglia, perchè in questo quarto cielo appariscono qe.dle Mi
me beate di dottori in teologia e filosofia.
51 tè tinto in uno e tre «. = come ii scorge la Sonin Trinità.
57 nè con tal calor — nè collo stesso calore, fervore.
60 oo lassò in canton — hsciai da canto, trascurai.
CANTO x. 363
Non le dispiacque ; ma si se ne rise, Nè ga despiasso ; ma anzi soridesto
Che lo splendor degli occhi suoi ridenti La m' ha cossi, che i mii pensieri atenti
Mia mente unita in più cose divise. Solo in Dio, s'ha in più cosse dividesto.
Io ridi più fuigor vivi e vincenti Go visto luse più del Sol lusenti
Far di noi centro, e di sè far corona, Far d'eie un cerchio intorno a nu più d'una (5
Più dolci in voce, che in vista lucenti. Più dolce in vose, che eie resplendenti.
Così cinger la figlia di Latona Una fassa così Inazzar la Luna
Vedem tal volta, quando l'aere è pregno Se vede, quando l'aria de vapori
Si, che ritegna il fiI che fa la zona. Sgionfa, i colori atorno se ghe suna.
Nella corte del eiel, d'ond" io rivegno. Tanto bele ghe xe zogie dei cuori 70
Si trovau molte gioie care e belle In quel cielo da in dove so tornà,
Tanto, che non si posson trar del regno ; Che a depenzerle qua manca i colori ;
E'1 canto di quei lumi era di quelle: E tra quele el so canto. Quei che là
Chi non s'impenna sì che lassù voli, Con un per d'ale no va su svolando,
Dal muto aspetti quindi le novelle. Poi da un muto aspelar le novità. 75
Poi, sì cantando, quegli ardenti Soli Quei lumi ardenti po ne ga cantando
Sifur girati intorno a noi tre volte, Zirà atorno tre volte, come stele
Come stelle vicine a' fermi poli ; Che atorno ai poli fissi va zirando.
Donne mi parver non da ballo sciolte, Veder m' ha parso in baio done bele,
Ma che s'arrestin tacite, ascoltando Che sta ferme ascoltando senza arfiar 80
Fin che le nuove note hanno ricolle. Sin che le ga sentio note novele.
E dentro all'un sentii cominciar : Quando Drento un de quei cussi senio parlar :
Lo raggio della grazia, onde s'accende Za che la bela grazia ti ga avudo
Verace amore, e che poi cresce amando, Vegnua dal vero amor, che co l'amar
Mulliplicato in te tanto risplende, Va cressendo, e in ti tanto el xe cressudo, 85
Che ti conduce su per quella scala, Che insin là in cima el t'avre quella strada,
i'' senza risalir nessun discende ; Dove su torna chi xe zo vegnudo ;
Qual ti negaste '1 vin della sua fiala Chi negasse de nu far apagada
Per la tua sete, in libertà non fora, La vogia tua, libero noi saria,
Se non com'acqua, ch'ai mar non si cala. Come al mar no va l'aqua impresonada. 90
Tu vuoi saper di quai piante s'infiora Ti voi saver chi in sti lusori sia
Questa ghirlanda, che intorno vagheggia Che festiza la dona per virtù
La bella Donna che al ciel t'avvalora. De la qual ti va '1 ciel zirando via.
Io fui degli agni della santa greggia, La scuola de Domenego ho batù
Che Domenico mena per cammino, Che fa i scolari virtuosi insin 95
L" ben s'impiguti, se non si vaneggia. Che a le mondane frascarie vend ù
61 Nè ga despiatso = nè le merebbe.
67 fassa — fascia, cioè l'alone che circonda la luna quando l'aria è pregna dei vapori.
69 atorno te ghe sana = le si raccolgono intorno.
71 to tornii = sono ritornato.
73 E tra rIuele el so canto — e tra le lante belle gioie di cui il v. 70, si annovera il conio delle luci, ossia dei
Mnti, di cui il v. 64.
74 Con un per d'ale = con un pajo d'ale.
80 senza arfiar = sema fiatare.
89 la vogia tua — il tuo desiderio.
92 la duna = cioè Beatrice.
96 franane 3= inezie, leggerezze, futilila.
564 TiEL PARADISO
Questi, che niè a destra più vicino, No i s'abia. Questo a driia a mi vieni,
Frate e maestro fummi : ed esso Alberto Xc Alberto de Colonia, mio fradelo
È di Cotogna, ed io Thomas d'Aquino. Sta e Mestro : e mi Tomaso son d'Aquin.
Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo, Se po ti voi saver de questo e quelo, 100
Diretro al mio parlar tea vien col viso, A quanto digo tienme ben adrio,
Girando su per lo beato serto. Zirando per sto cerchio cussi belo.
Quell'altro fiammeggiare esce del riso Se gode in st'altra luse che vien drio
Di Graziati, che l'uno e l'altro foro Grazian, che '1 ga savù, da gran dotor,
Aiutò sì, che piacque in Paradiso. Le do legi abinar che ha piasso a Dio. 10J
L'altro, ch'appresso adorna il nostro coro, Quel che fa dopo al nostro cerchio onor,
Quel Pietro fu, che con la poverella Xe '1 Piero, che cofà la povareta,
Offerse a santa Chiesa il suo tesoro. • Quel ch'el gavea a la Chiesa ha dà de cuor.
La quinta luce, ch'è tra noi più bella, Tra nu la quinta luse più perfeta,
Spira di tal amor, che tutto il mondo La vien da tal inamorà, ch'el mondo 110
Laggiù n'ha gola di saper novella. D'aver nova de lu smanioso aspeta.
Entro r'è l'alta mente, u' sì profondo Gh'è drente l'inteleto più profondo;
Saver fu mosso, che, se '1 vero è vero, Che, se xe vero quel che xe sta scrito,
A veder tanto non surse '1 secondo. No ga dà suso mai ci so secondo.
Appresso vedi '1 lume di quel cero, Là vicin el lusor varda pulito 115
Che, giuso in carne, più addentro vide De quelo che sui aiuoli scrivendo
L'angelica natura e '1 ministero. El libro, più dei altri ha visto drito.
Nell'altra piccioletta luce rido Nel lusor picinin se sta godendo
Quell'avvocato de' tempi cristiani, Quel Avocato dei cristiani dì
Del cui latino Agostin si provvide. Che i so scriti Agostin xe andà lezendo. 120
Or se tu l'occhio della mente trani Se a le luse lodae drio man da mi
Di luce in luce, dietro alle mie lode, Ti ha tegnù d'ochio, volontà restada
Già dell'ottava con sete rimani. De rotava saver mi scovro in ti.
Per vedere ogni ben dentro vi gode De Dio la vista gode là nichiada
L'anima santa, che '1 mondo fallace L'anemia santa, che la ga mostrà 125
88 Alberto = Alberto Magno di Colonia famoso maestro di S. Tommuso d'Aquino. il quale qui parla. Al
berto Magno nacque in Lawingen, ma visse lungamente in Colonia e vi morì nel 12S2 — fradelo — frattilo
d'Ordine perchè anch'esso domenicano.
104-105 Grcaian ee, = Graziano nacque in Chiusi, città della Toscana: fu Monaco Benedettino e compii"
una collezione di canoni ecelesiastici che intitolò Decreto, ed aiutò il foro civile e il foro ecelesiastico concitimtlo
le leggi dell'uno con quelh: dell'altro.
107-108 Ae '/ Pierà te. = Pietro Lombardo, il maestro delle sentenze, chiaro pei suoi libri di teologìa;
desso come la poverella dell'evangelio, otrt-i in dono ulla Chiesa l'opera sua, unica cosa elic possedesse. Fa dcilo
I,otni',mio perchè era di Novaru in Laiubardia; fu Vescovo di Parigi e mori nel 1 164. — cotà = come.
109-114 Tra nu la quinta luse ee. = questi è Salomone l'autore della Cantica e della Sapienza == /Vo 53
dò sino mai ci so secondo = non sorse mai il suo secondo.
ralezze del mondo, dalla qual opera molti fatti rilevò S. Agostino per d suo gran lavoro: De civitalc Dei
124-129 De Dio la vista gode là ce. = questa è l'anima di Severino Boezio,, che scrisse il famoso libro P'
eansolatione pluìosophiae — Boezio fu in grande stima per la sna dottrina, e pih volte ebbe l'onore dei cons0"
lalo. Venuto in sospetto di tener pratiche coi Greci per liberar Roma dai Goti, fu dn Teodorico fatto arri-slart
insieme al di lui SHOccro Simmaco; e condotto in Pavia, dopo sci mesi di prigionia nel qual tempo scrisse il
libro De consolatione, fu fatto strangolare il 23 Ottobre del 524 (Bianchi,l = Cieldor = o la Chiesa detta Cido
d'oro in Pavia ove Doezio fu sepolto,
CANTO X. 385
Fa manifesto a chi di lei ben ode. Del mondo i f.iiì a chi l' ha ben scollada.
Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace Lassà '1 corpo a Cieldor martorizà,
Giuso in Cieldauro ; ed essa da martir E ! ..•• ni/ le pene de la tera,
E da esigilo venne a questa pactf. jL'è vrgnuda a l'eterna pase qua.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro Più in là resplender varda la lumiera 130
D'lsidoro, di Beda e di Ricardo, Dc lsidoro, de Beda e de quel gran
Che a considerar fu più che viro. Ricardo, che pia ch'omo al mondo el geva.
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, D'un ,r 'l lusor qua in ultimo de man
E il lume d'uno spirto, che, in pensieri Che a la vita morial quando el pensava,
tiravi, a morir gli parve d'esser tardo. Ga parso el tempo per morir lontan. 135
Essa è la luce eterna di Sigieri, L'anema de Sigevi, che insegnava
Che leggendo nel vico degli strami, Del strame sul stradai logica fina
Sillogizzò invidiosi veri. La xe, e per questa invidia el se tirava.
lndi, come orologio, che ne chiami Dopo, come el relogio de matina,
Nell'ora, che la sposa di Dio surge Quando la Sposa voi la m.tina^a 140
A mattinar lo sposo perche l'ami, Far al so Sposo con canzon divina,
Che Puna parte l'altra tira ed urge, Che una roda da l'altra strassinada,
fin tin sonando con sì dolce nota, El tintina sonando con tal sesto,
Che '1 ben disposto spirto d'amor turge: Che fa l'anema bona inamorada;
Cosi vid'io la gloriosa ruota Cossi '1 coro beato s' ha movesto, 145
Muoversi, e render voce a voce in tempra Acordando le vose dolcemente
Ed in dolcezza, ch'esser non può nota, A un canto cha ha nissun sentir podesto,
Se non colà, dove il gioir s'insempra. Via de chi gode in ciclo eternamente.
131 ltidoro = fu Vescovo ili Sivilia: scrisse un libro De SUHUHO bona e I'Eliinulugie, e meri nel 636 = Betta
= onorato del titolo ili Venerabile, sacerdote inglese, scrisse una Storia ecclesiastica dell'lugUilterra e dei pre
giali commenti su vari libri della Scrittura. Mori nel 735.
132 Ricardo =i Riccanlo ila San Vittore era Scozzese; visse nel Xll secolo o scrisse molte opere teplogiclic.
130 Sigari = fu maestro ili lu-I.M, o come altri dicono ili teologia in l'arigi nella via detta degli Strami
o ilclla Paglia ov'erano le scuole. Dicono clic quella via preso il nome idi fonare clic significa paglia, perche.
non usandosi in quei tempi ne sedie nè panehi nelle scuole, se gradiva sedere, si portava ogni giovane uu fa-'
stelletto di paglia. (Bianchi,).
llo la Sposa = cioè la Chiesa sposa ili Gesù Cristo = malinuda = è il suonare e il cantare agli anionii
in sul mattino davanti alla casa dell'innamorata; idea qui applicata al canto delle l. nuli fatte ul Signore sul
l'ora mattntina.
M3 con tal msto =: con fal garbo, piacevolmente.
DEL PARADlSO
CANTO DECIMOPRlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Nel puro cerchio dell'alme scintili-! San Tomasj vegnudo più lussate
Segue Tommaso in tua lieta favella, Dopo che col Pocta el ga parlà,
Poiohè rifulsa di nuore favillo. l 'lni. i el ghe sa dir cho questo ha in menti).
La vita di Francesco poverella Po la gloriosa vita e santita
A Dante narra, e iju.il d'ogn 'altra sposa Ghe conta de Francesco e i|a.il ln forte
Pur povertade a lui parve pia bella, Campion gera de quela Poverta,
Cbe sembra ad ooohio uman orribil cosa. Che l'unio scansa qua come la morte.
'.il Inncenzo = Innocenze III Papi = averto ti cuor = manifestata la sua intenzione.
99 la vogia = il desiderio ardente.
100 frumar = affrontare.
10! Del supcrbo Sidlau = il Soldino d'Egitto.
104 co i 10i = cioè con gli apostoli.
105 Per no star là de bando = per non rimanere là inuiilmente = a far temenza — a propagare la fede.
106 Mei manie de l'Alvernia — posto tra il Tevere e l'Arno vicino a Bibiena nel Casentine.
107 Le Slimate = i segni della passione di G. Cristo.
113 la dona del *n afelo = cioè la poveri.i.
115 dal pelo .- dal grembo della donna del suo affetto.
117 *enza cai/rio = seniu il cataletto, feretro.
119 la barca = cioè la Chiesa.
120-121 compagno m In ghe gera — il compagno di San Francesco in sostegno della Chiesa, era San Do-
cupo dell Ordine al quale appartenne San Tommiso che pirla.
2i
370 DEL PARADISO
Ma il suo peculio di nuova vivanda Ma xe per altro pasto cussi granda
È fatto ghiotto sì, ch'esser non puote, La gola de le piegore, da far 125
Che per diversi salti non si spanda : Che in pradaria diversa le se sbanda.
E quanto le sue pecore rimote, E quanto più dal capo stontanar
E vagabonde più da esso vanno, Le se vede a lorzion, e più de late
Più tornano all'ovil di latte vote. Le se vede al so eoo vode tornar.
Ben son di quelle che temono '1 danno, Tacae ghe ne al Pastor, nè fa da mate ; 130
E stringonsi al pastor ; ma son sì poche, Ma tanto poche, che ocor lana poca
Che le cappe fornisce poco panno. De tonega a vestir ogni bon frate.
Or, se le mie parole non son fioche, Se ga parlà ben schietti la mia boca,
Se la tua audienza è stata attenta, Se ti è sta atento ai miì discorsi chiari,
Se ciò e' ho detto alla mente rlvoche, Se quel che ho dito la to mente imbroca, 133
In parte iìa la tua voglia contenta : Schiario ho un to dubio, e adesso ben t'impari
Perchè vedrai la pianta, onde si scheggia, Come perda la scuola la virtù,
E veder;! i il corregger ch'argomenta : Come vegnir virtuosi fa i scolari,
V ben s'impinyna, se non si vaneyyia. Quando no i s'abia a l'ambizion vendi.
124-126 tln xe per altro patio ee. .—. fuori di metafora; ma il suo gregge, cioè i frali Domenicani, uno
divenuti si ghiotti dei beni e delle vaniti del mondo, che non può non accadere, che deviino dalla regola dt!
Sauto loro fondatore.
129 -al to eoo rodc tornar =-. al loro ovile ritornar vuote.
132 tonega — tonaca, cocolla; la veste di sopra che portano i monaci.
135 imbroca = afferra.
136-138 Schiario ho un to dubio ee. = vedi ciò che fu dello in proposito nel Canto precedente al r. 95,
ed in questo al v. 25.
571
CANTO DECIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1 io = sua.
I bampa =- rampi, nella quale sta chiusa l'anima di San Tommaso.
3 Ch'tl tanto cerchio = cioè il circolo formato dai dodici beati nominati nel Canto X.
$ va de torà ~- va di sopra, supera.
10 un per d'archi = un paio d'archi, cioè il doppio arcobaleno.
14-15 Cofà la ose ee. = come per riflessione formasi il parlare dell'Eco, raga ninfa, che per amore di IVar-
(no si consunse come i vapori ai raggi del sole — la ote = la voce.
16-18 E al mondo ce. — gli arcobaleni fanno la gente presaga che non sarà più allagato il mondo dal di-
Inno, e_ ciò dietro la promessa che Dio fece a Noè quando gli disse: Farò apparire il mio arco a ricordare il
Pitto di non più mandare il diluvio.
372 DEL PARADISO '
E sì l'estrema all'intima rispose. A mo de do girlande istessamente.
Poichè '1 tripudio e l'altra festa grande Dopo che dal beato festegiar,
Sì del cantare e sì del fiammeggiarsi Sfiamegando de Iuse tra '1 godèr
Luce con luce, gaudiose e blande, Dolcemente col canto e col baiar,
Insieme, a punto ed a voler, quetàrsi, D'acordo i s' ha fermà, come in vedèr 25
Pur come gli occhi, ch'ai piacer che i muove I ochi, che insieme vien verti e serai,
Conviene insieme chiudere e levarsi ; Conforme che i se move a so piacer ;
Del cuor dell'una delle luci nuove Drento un lusor tra quei dopo arivai,
Si mosse voce, che l'ago alla stella Una vose vien fora, e per de là,
Parer mi fece in volgermi al suo dove. Come ago al polo, i ochi go voltai. 30
E cominciò : L'amor, che mi fa bella E la dise: L'amor che m'ha in lumi a,
Mi tragge a ragionar dell'altro duca, Me fa dir de quel altro gran campion
Per cui del mio sì ben ci si favella. Che in lodar lu s'ha '1 mio tanto lodà.
Degno è, che dov'è l'un, l'altro s'induca; Va ben che istessa sia la conelusion,
Sì che, com'elli ad una militar». Perchè sicome insieme i guerizava, So
Così la gloria loro insieme luca. X o giusto sia la gloria in comunion.
L'esercito di Cristo, che sì caro Quel'armada de Cristo, che costava
Costò a riarmar, dietro all'insegna Tanto a armarla da novo, a la so insegna
Si movila tardo, sospeceloso e raro : Incerta,' pegra e scarsa drio ghe andava:
Quando lo imperador, che sempre regna, Quando el Sovran, che in cielo sempre regna, 40
Provvide alla milizia, ch'era in forse, La ga dal gran pericolo salvada
Per sola grazia, e non per esser degna ; Solo per grazia, e no per esser degna ;
E, com'è detto, a sua sposa soccorse Coi do capi la Sposa el ga agiutada,
Con duo campioni, al cui fare, al cui dire Com'è sta dito, e ai fati e al dir de quel,
Lo popol disviato si raccorse. La zente po coreta s' ha mostrada. 45
In quella parte, ove surge ad aprire Là dove in primavera i ventesci,
Zefflro dolce le novelle fronde, I fruti, l'erba e i fiori fa spontar.
Di che si vede Europa rivestire, Che se vede in Europa cossi bei;
Non molto lungi al percuoter dell'onde, Vicin al lio, che l'onde va a bagnar,
Dietro alle quali, per la lunga foga, E' I Sol d'istà drio quele par ch'el mora, 50
Lo Sol talvolta ad ogni inan si nasconde, Scondendose al tramonto soto el mar.
Siede la fortunata Callaroga, Ghe xe la fortunada Calahora,
Sotto la protezion del grande scudo, Proteta dal gran re che ga un lion
In che soggiace il leone e soggioga. Nel scudo segnà soto, e un altro sora.
Dentro vi nacque l'amoroso drudo Nato là de la Fede è '1 gran campion S5
CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Spiega Tommaso che B'OÌ disse prima, Spiega Tomato, che disondo sora
Che il quinto spirto non ebbe secondo, Che no ga Salomon el so seconda,
Altrui colai sentenza non ndima. Cristo e Adamo se ga da lassar fora.
Indi ammaestra, che nel cupo fondo Dopo T insegna che nel scuro fondo
D'incerti dubhj a giudicar sia lento D'incerti dubi, adasto In giudicar
Uom, fin che vive giù nel cieco mondo, O» d'andar l'omo Insin ch'el vivo al mondo,
In cui s'inganna umano accorgimento. Se dei grauzi noi voi elo chiapar.
Immagini, chi bene intender cupe Chi quel, che ho visto, Intender voi pulito,
Quel, ch'io or vidi (e ritegna l'image, De ben stamparsi- in mente elo procura
Mentre ch'io dico, come ferma rupe), Sto paragon che qua ghe lasso scrito:
Quindici stelle, che in diverse plage Le quindese gran stole el se figura,
l.o cielo avvivan di tanto sereno, Che in più bande de luse el elei fa belo
Che soverchia dell'aere ogni compage : . Tanto, da vincer el vapor che impura
Immagini quel Carro, a cui lo seno Fa l'aria ; el pensa al Caro, che del cielo
Basta del nostro cielo e notte e giorno, Nostro fa el ziro tra la note e M zorno,
Sì ch'ai volger del tèmo non vien meno : E'1 voltar del liinon se vede in quelo;
Immngini la bocca di quel corno, Se figura la buca de quel corno,
Che si comincia in punta dello stelo, Che ha la ponta su l'asso de sto mondo,
A cui la prima ruota va d'intorno, Al qual el primo cielo zira intorno;
Aver fatto di sè duo segni in cielo ; E de eie fa/va in ciel do segni in tondo,
On.d fece la figliuola di Minói Come quelo d'Ariana co la è morta;
Allora che sentì di morte il gielo ; E anca el se meta del cervulo in fondo, 15
E i'un nell'altro aver li raggi suoi Che un d'eli a l'altro la so luse porta,
Ed ambudno girarsi per maniera, E luti do i se zira in tal maniera,
Chc l'uno andasse al prima e l'altro ai poi: Che uno a zanca e uno a drita se trasporta;
Ed avrà quasi l'ombra della vera E solo squasi in ombra lu la vera
1 pulito = bene.
4 Le quindese gran stele te. ••-- quindici delle stelle più risplendenti e di prima grandezza.
7-0 .!/ Caro te. = al curro di Boote, cioè le sette stelle dell'Orsa maggiore, al qual carro basta fioriio <
nnite per fare il suo giro, lo spazio del nostro cielo, tanto che al voltar del timone non si nasconde ai noslri
occhi. Questa costellazione è sempre visibile. (Bianchi).
10-12 la baca de quel corno — cioè le due ultime stelle dell'Orsa minore, che ha la forma di un como, il
cui cominciamento sia presso la punta dell'asse della terra intorno al quale ni aggira il primo mobile, cioè il
nono cielo.
13-14 E de eie pizza in ciel do tcgni et. = di tutte le accennate ventiquattro stelle, cioè le quindici mì(-
pìari, le sette dell'Orsa maggiore, e le due dell'Orsa minore, si formmo nella immaginazione due segai celefji
o costellazioni, ciascuna di dodici stelle disposte a cerchio, simili a quelle che fece Arianna quando mori, cioè si
mili a la ghirlanda, di che Arianna, figlia di Miuus, ormi vasi il capo, quando fu da Bacco convertiti! in una c*lri-
luzione.
16 Chc un d'eli a l'altro la to lase porta = cioi che i detti duo segni fatti a guisa di ghirlanda, si (*
munichino a vicenda i loro splendidi raggi.
18 i hr uno a zanca e uno a (trita te trasporta ---- cioe girino in senso inverso.
CANTO xiii. 377
Costellazione, e della doppia danza, Costelazion e i bali el gavarà 20
Che circulava il punto dov'io era: Dove mi centro al dopio cerchio gera:
Poi ch'è tanto di là da nostra usanza, Digo in ombra, perchè de sora va
Quanto di là dal muover della Chiana, Tanto ai nostri usi, quanto de la Chiana
Si muove '1 ciel, che tutti gli altri avanza. Più core el ciel, che sora i altri sta.
Lì ti cantò non Bacco, non Peana, No s' ha cantà là Baco, ni Peana, 25
Ma tre persone in divina natura, Ma Dio in tre persone se cantava,
Ed in una persona essa e l'umana. E in una sola la Divina e umana.
Compie '1 cantare e '1 volger ma misura, Co a tempo el baio e '1 canto terminava,
Ed attesersi a noi quei santi lumi, Passando a un altra cossa, quei beati
Felicitando sè di cura in cura. Da nu sempre gagiosi i se voltava. 30
Ruppe '1 silenzio ne' concordi numi Dei lusori, che fa d'acordo i ati,
Poscia la luce, in che mirabil vita Roto ha '1 silenzio quel che m' ha schiaria
Del poverel di Dio narrata fumi ; Del povareto i portentosi fati;
E dì,-,' : Quando l'una paglia è trita, E '1 dise : Za che ti ga ben capio
Quando la sua semenza è già riposta,' Quanto sul primo dubio ho dismostrà, 35
A. batter l'altra dolce amor m'invita. L'altro te schiaro per l'amor in Dio.
Tu credi che nel petto, onde la costa Ti credi che nel peto, dov'el ga
Si trasse per formar la bella guancia, Tolta la costa Dio per formar Eva,
II cui palato a tutto '1 mondo costa; La gola de la qual tanto ha costà ;
Ed in quel che, forato dalla lancia, E in Quel elic in erose, su la qual zemeva -40
E poscia e prima tanto satisfece, Morindo, a la giustizia del Signor
Che d'ogni colpa vinse la bilancia ; Novi e vochi pecai pagà '1 gaveva,
Quantunque alla natura umana lece El saver luto quanto che poi tur
Aver di lume, tutto fosse infuso La natura de l'omo, sia sta messo
Da quel valor, che l'uno e l'altro fece : Da Chi xe sta del mondo el creator. 45
E però ammiri ciò ch'io dissi suso, Te go visto perciò restar de cesso
Quando narrai, che non ebbe secondo Quando t'ho dito: no ha da su el secondo
Lo ben, che nella quinta luce è chiuso. A chi nel lusor quinto splende adesso.
Ora apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo; Sta atento, e varda in quel che te respondo
E vedrai lo tuo credere e '1 mio dire Vegnir dal creder tuo e dal mio dir 50
Nel vero farsi, come centro in tondo. Do verità, come sta'l centro al tondo.
20-21 Coilelazion i i bali te. — cioè la costellazione dei 24 beati e il doppio ballo formato dai due cerchi.
22-23 de tara va Tanto ai noitri uti --. è tanto superiore a quello che siamo usi di vedere sulla terra
•= 'a Chiana = fiume in quel d'Arezzo in Toscana, che per avere poca pendenza muovesi lento.
24 rl del, che torà de tuli ila = il cielo più alto degli altri e di tutti il più celcre nel luo moto, cioè il
primo mobile.
-'-"i No t'ha cantà là Baco nè Peana — soleva*i cantare dagli antichi l'inno di Bacco: lo Bacche, e l'inno di
Apolline: lo rcan.
30 gagiori — lieti.
32 'IMI che m'ha tchiario = cioè S. Tommaso.
33 Del povareto = cioè di S. Francesco.
35-36 II primo dubbio dimostrato è il detto Fa i scolari virtuosi; e l'altro da dimostrarsi è: HO ga da iuta
«io inondo.
37 nel pelo --- di Adamo.
40 E in Quel = cioè nel petto di C. Cristo.
43 Po/ /or = pu5 ricevere.
48 Te go vitto perciò renar de xeno = modo di dire riferito a chi rimane come di gesso o petrifìcalo per lo
"Opore.
47-48 no I,,, rhì m el «conrfo = vedi C. X. v. 114. = Mi nel lutar quinto = cioè il sapiente Salomone.
378 DEL PARADISO
Ciò che non muore, e ciò che può morire, Quel che no mm, e quel che poi morir,
Non è se non splendor di quella idea, Altro noi ic ch'el ragio de la luse
Che partorisce, amando, il nostro Sire : Che Dio fa per so amor da Lu sortir :
Chi quella viva luce, che sì mea Perchè '1 Splendor eterno, che produse 55
Dal suo lucente, che non si disuna Quelo del Verbo e quel del Santo Amor,
Da lui, nè dall'amor che in lor s'intrea, E in uno solo tuli tre traluse,
Per sua bontate il suo raggiare aduna, ' El ragio suo in grazia del so amor
Quasi specchiato, in nove sussistenze, Ai nove cieli, come spechio invia,
Eternalmente rimanendosi una. Restando sempre un sol nel so splendor. 60
Quindi discende all'ultime potenze Po dai esseri el cala sote via,
Giù d'atto in atto, tanto divenendo, E lassandoghe in queli i so colori,
Che più non fa che brevi contingenze : De forza el scema scannando via.
E queste contingenze essere intendo Xe tuli quanti sti esseri minori
Le cose generate, che produce, Con o senza semenza generai 65
Coin seme e senza seme, il ciel movendo. Conforme i cieli sa influir su lori.
La cera di costoro, e chi la duce, I stessi efeti sempre no ga dai
Non sta d'un modo: e però sotto '1 segno La pasta e chi la fa : perciò i se mostra
Ideale poi più o men traluce: Più o manco da quel ragio inluminai :
Ond'egli avvien ch'un medesimo legno, Cossi una pianta d'egual specie mostra 70
Secondo spezie, meglio e peggio frutta \ Come megio de l'altra i fruti meta ;
E voi nascete con diverso ingegno. E ha vario inzegno la natura vostra.
Se fosse appunto la cera dedutta, Se sta pasta la fusse schieta schieta,
E fosse il cielo in sua virtù suprema, E del ciel l'influenza a tuta lena,
La luce del suggel parrebbe tutta : Ogni creatura la saria perfeta. 75
Ma la natura la dà sempre scema, Ma no poi la natura virtù piena
Similemente operando all'artista, Darghe a la pasta, come che al senior
Cha l'abito dell'arte e man che trema. Ghe trema* de le volte in man la pena.
Però se '1 caldo amor la chiara vista Se Dio per altro, nel so caldo amor,
Della prima virtù dispone e segna, De la prima so luse l' ha segnada, 80
Tutta la perfezion quivi s'acquista. D'esser quela perfeta ga '1 favor,
Così fu fatta già la terra degna Cussi creando Adamo, Dio ga dada
Di tutta l'animai perfezione : A quelo la vital sua perfezion,
Cosi fu fatta la Vergine pregna. E incinta Maria Vergine xe stada.
Sì ch'io commendo tua opinione ; Quando ti meli fora la opinion "
Che l'umana natura mai non fue, Che ha avù nissuno la natura istessa
Nè fia qual fu in quelle duo persone. De Cristo e Adamo, el lo pensier xe bon ;
Or (s'io non procedessi avanti piue), Se adesso al mio sennon tirasse tressa,
Dunque come costui fu senza pare ? Donca, te sento dir, come no aveva
5! Quel elie no mar = ogni creatura incorruttibile = e 1Iuel che poi morir = = ogni creatura corruttibile
55-56 el Splender eterno — di Dio, da cui procede il Divin Verbo e il Santo Spirito.
68 La pana e ehi la fa = cioè la materia onde si compongono le cose generate, e la roano che In
ma, ossia la rirtù effettrice.
73 schietti tehiela = depurata da materie eterogenee.
80 De la prima Iute -- cioè per opera diretta di Dio.
84 C incmto Maria Vergine xe stada = per opera immediata di Dio.
88 tirane Iresia — dessi compimento.
CANTO XIH. 379
Comineierebber le parole tue. Questo el so eguai ? Ma aciò te resta impressa
Ma, perchè paia ben quel che non pare , Ben la rason ch'entrar no te podera,
Pensa chi era, e la cagion che '1 mosse, Pensa chi '1 gera e a quelo ch'el ga dito
Quando fu dello : Chiedi, a dimandare. Quando: Domanda, a lu Dio ghe diseva.
Non bo parlalo a che tu non posse Da sti argomenti ti poi veder di ito
Ben veder ch'ei fu re, che chiese senno, Che la sapienza ha domandà, lu Re, 95
Acciocchè re sufficiente fosse: Per governar i popoli pulito;
Non per saper lo numero, in che enno No per mover sti cieli in quanti i xe,
Li motor di quassù ; o se necesse Nè se dal dubio e verità podesse
Con contingente mai necesse fenno ; St' ultima saltar fora che cerche.
Non si est dare primum motum esse ; No si est dare primum motum esse; 100
O se del meno cerchio far si puote O in mezo cerchio un triangolo senza
Triangol, sì ch'un retto non avesse. L'angolo reto nissun far savesse.
Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, Zonta questo a la prima mia sentenza,
Regal prudenza è quel veder impari, E che d'un Re el saver no gh'è l'egual,
In che lo strai di mia "ntcnzion percuote : Ti capirà anca ti, de la prudenza. 105
8 te al Surse drizzi gli occhi chiari, Se ti vardi al da su col canochial,
Vedrai aver solamente rispetto Ti scovri che ai Re solo el gh'è adatà
Ai regi, che son molti, e i buon son rari. Che i xe tanti, ma i più governa mal.
Con questa distinzion prendi "1 mio detto: Capia sta distinzion, ti vederà
E così puote star con quel che credi Che la poi acordarse al to pensar 110
Del primo padre e del Nostro Diletto. Su Adamo e Cristo nostra zogia qua.
E questo ti fia sempre piombo a piedi, Da questo impara ti con tìaca andar,
Per farti muover lento, com'uom lasso, Che in quel che no ti sa, no ti par bon
Ed al sì ed al no, che tu non vedi: Dir sì e no senza avanti ben vardar;
Che quegli è tra gli stolti bene abbasso, Perchè chi senza far la distinzion 115
Che senza distinzione afferma o niega, Conferma o nega, in questo e in st'altro caso
Così nell'un come nell'un altro passo. Se mostra tra i zuconi el più zucon.
Perch'egli incontra, che più volte piega L'orba passion per quel che persuaso
L'opinìon corrente in falsa parte ; Lo ga in gran furia, zavariar lo fa,
E poi l'affetto l'intelletto lega. Perciò spesso nel falso el peta el naso. 120
Vie più che indarno da riva si parte, Chi cerca el vero e in dov'el sia noi sa,
CANTO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Olle il Pocta che la chiara luce, Da s. il,. ni" 1 1 ga Dante ben capio.
rh'm circonda gli spirti beati, Ch'el lusor dei Beati sempre belo
Tal sara sempre avanti al sommo Duce. Come adesso el sara davanti a Dio.
Poi Beatrice e Dante son trastati Po con Bice va Dante al quinto Cielo,
Al quinto Ciclo, in cui divino segno Dove lumi tra lori forma el segno
Forman di Croce raggi costellati, De la CroGe e su e zo i va per quelo,
E Cristo ingemma il prezioso legno. E Cristo sfiameg.tr fa ci santo legno.
Dal eentro al cerchio, e si dal cerchio al centro Conforme l'aqua in vaso tondo sia
Muovesi l'acqua in un ritondo vaso, Smossa de fora, o pur scossa de drento,
Secondo ch'è percossa fuori, o dentro. La va al centro o se starga atorno via.
-Nella mia mente fe subito caso E m'è saltà al pensier sto movimento
Questo ch'io dico, sì come si tacque Apena San Tomaso ga finio
La gloriosa vita di Tommaso, Quel so discorso, al qual mi so sta atento,
Per la similitudine, che nacque Per el confronto che me xe sortio
Del suo parlare e di quel di Beatrice, Dal so chiaro parlar, come da quelo
A cui sì cominciar, dopo lui, piacque: De la Bice, che a lu cussi tien drio :
A costui fa mestieri (e noi vi dice, St'omo ha bisogno (a vualtri noi dis'elo
Ne colla voce, nè pensando ancora) Co la so boca e gnanca co là mente)
D'un altro 'vero andare alla radice. D'un'altra verità vederghe el pelo.
Ditegli se la luce, onde s'infiora Disèghe se sta luse propriamente,
Vostra sustanzia, rimarrà con voi Che ve fa cussi bei v'abia da star
Eternalmente, sì com'ella è ora : lntorno, come adesso eternamente : 15
E, se rimane, dite come, poi E se la resta, come mai poi dar,
Che sarete visibili rifatti, Quando luti sarò ressussitai,
Esser potrà ch'ai veder non vi nói. Che no la v'abia i ochi a desturbar.
Come da più letizia pinti e tratti Come queli che tuti ingaluzzal,
Alcuna fiala quei, che vanno a ruota, Tra '1 cantar e '1 baiar sempre zirando, 20
Levan la voce, e rallegrano gli atti; E moti e sesti alegri i fa che mai;
Così all'orazion pronta e devota L'istesso i santi cerchi i va mostrando,
Li santi cerchii mostràr nuova gioia A la domanda franca e rispetosa,
Nel torneare e nella mira noia. ln baiar e cantar piacer più grando.
• so = suo = to = sono.
19 iagaluaai = dicesi di chi fa sorcrclii cenni di allegrezza con atti e con movimenti.
382 DEL PARADISO
Qual il lamenta perchè qui si muoia, Chi per viver lì su fa dolorosa 23
Per viver colassù, non vide quive La morte e se lamenta, ah ! no, no i ga
Lo rifrigerio dell'eterna ploia. Visto del ciel la pase deliziosa.
Quell'uno e due e tre che sempre vive, Chi in Uno in Do in Tre per sempre sta,
E regna sempre in tre e due ed uno, E regna sempre in Tre in Do in Un,
Non circoscritto e tutto circoscrive, Che no ha cemfin, e luto ha confinì ; 30
Tre volte era cantato da ciascuno Tre volte ga cantà de lori ognun
Di quelli spirti, con tal melodia, Con tal dolcezza, che no poderia
Ch'ad ogni merto saria giusto muno. Lodarse megio merito nissun.
Ed io udii nella luce più dia Da la luse più viva ose è sortia
Del minor cerchio una voce modesta, Del cerchieto minor, modesta quanto 35
Forse qual fu dell'angelo a Maria, Forsi quela de l'Anzolo a Maria,
Risponder : Quanto fla lunga la festa Per responder cossi : Dio, sina tanto
Di Paradiso, tanto il nostro amore Dura del Paradiso l'alegrezza,
Si raggierà d'intorno colai vesta. Spanderà sora nu sto lusor santo.
La sua chiarezza seguita l'ardore, Camina drio a l'amor la so chiarezza, 40
L'ardor la visione; e quella è tanta, Va l'amor drio a la vista; e più xe questa,
Quant' ba di grazia sovra suo valore. Quanta è più de la grazia la grandezza:
Come la carne gloriosa e santa Co dal sepolcro i alzerà la testa
Fla rivestita, la nostra persona Gloriosa i nostri corpi, più sarà
Più grata fia, per esser tutta quanta. Cara Pancma a Dio co la so vesta; 45
Perchè s'accrescerà ciò, che ne dona Perchè '1 bon Dio cresser su nu farà,
Di gratìiilo lume il sommo Bene, Aciò megio se possa veder Lu,
Lume, ch'a lui veder ne condiziona : La luse che Elo solo a nu ne dà.
Onde la vision crescer conviene, Ne cresserà perciò la vista a nu,
Crescer l'ardor, che di quella s'accende, In questa ardendo cresserà l'amor, 50
Crescer lo raggio, che da esso viene. La luse fia d'amor, cresserà più.
Ma sì come carbon che fiamma rende, Come vince el carbon col so lusor
E per vivo candor quella soverchia L'istessa dama sua, e in mezo a quela
Sì, che la sua parvenza si difende; Se lo vede mandar vivo splendor ;
Così questo fulgor, che già ne cerchia, Cussi sta luse, che gavemo bela, 55
Pia vinto in apparenza dalla carne, La sarà superada da la carne,
Che tutto dì la terra ricoperchia: Che la tera tien desso drento in eia.
Nè potrà tanta luce affaticarne, No poderà sta luse desturbarne
Chà gli organi del corpo saran forti . La vista, che de più resisterà
A tutto ciò che potrà dilettarne. A quel che poderà più gusto darne. M
.Tanto mi parver subiti ed accorti Tanto è stai pronti quei do cerchi là
E l'uno e l'altro coro a dicere : Anime, D'acordo tuti insieme in tei dir Amc,
Che ben mostrar disio de' corpi morti : Che gran vogia dei corpi i ga mostrà ;
Z8 Chi in Uno te. = Dio: una essenza, due nature e tre persone.
34 ott i norda = è la voce di Saldinone che risponde.
36 de l'Anzolo — dell'Angelo Gabriele quando si presentò a Maria.
41 la villa = è sottintesa la vista di Dio.
45 co la to vesia --- cioè coll'anima racchiusa nel corpo.
61 quei do cerchi = due cerchi luminosi formati dagli spiriti beati.
61 Ante — amen, cosi sia.
CANTO xiv. 383
Fora non pur per lor, ma per le mamme, E per eli no sol, ma per le marne,
Per li padri, e per gli altri che f'iìr cari, I pari e amici, prima de vegnir 05
Anzi che fosser sempiterne fiamme. Qua su a indossar d'amor l'eterne fiame.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari, Quando eco un lusor novo comparir
Nascere un lustro sopra quel che v'era, Sora dei primi, istesio lustro e belo,
A guisa d'orizzonte che rischiari. Com'el chiaro orizonte. A l'imbrunir
E -i come al salir di prima sera Co i lumini a spontar scomenza in cielo, 70
Cominciari per lo ciel nuove parvenze, Tanto smorti i par eli in su quel ora,
Sì che la cosa pare e non par vera ; Che tra '1 sì e '1 no se scovre questo e qurlo ;
Parvemi li novelle sussistenze Cussi m' ha parso novi lumi alora
Cominciare a vedere, e fare un giro Veder formar un terzo cerchio drio
Di fuor dall'altre due circonferenze. Ai primi do, zirandoghe de fora, 75
O vero sfavillar del santo Spiro, O luse vera spanta dal bon Dio,
Come si fece subito e candente Come in t'un lampo la se ga imputà
Àgli occhi miei, che vinti noi soffriro ! Da no poder frontarla i'ochio mio !
Ma Beatrice ti bella e ridente Ma cossi bela Bice s' ha mostrà,
Mi si mostrò, che tra l'altre vedute Che taso insieme a quanto in ciel de novo 80
Si vuoi lasciar, che non seguir la mente. Go visto, e da la mente m'è scampà.
Quindi ripreser gli occhi miei virtute Pib gagiardi perciò i ochi in su movo,
A rilevarti ; e vidimi transtato E za de sbalzo in un più alto cielo
Sol con mia donna a più alta salute. Solo con Bice trasportà me trovo.
Ben m'accors'io, ch'i'era più levalo, M' ha fato incorzer d'esser levà in quelo 85
Per l'affocato riso della stella, La gran luse infogada, e quel lusor
Che mi parea più roggio che l'usato. M'ha parso rosso più che noi sol elo.
Con tutto '1 cuore, e con quella favella Ho ringrazià '1 Signor, ma ben de cuor
Ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto, Col l'mguauio che tuli quanti sa,
Qual conveniasi alla grazia novella. Ch'el s' ha degnà de farme quel favor. M
E non er'anco del mio petto esausto No gavea ancora el prego terminà,
L'ardor del sacrificio, ch'io conobbi Che ho conossudo ch'el bon Dio, ah ! xì,
Esso litare stato accetto e fausto ; El mio ringraziamento ga acetà ;
Che con tanto lucore e tanto robbi Perchè do tressi xe comparsi a mi
M'apparvero splendor dentro a duo raggi, Tanto rossi e infiahmi, che ho dito in bota: 95
Ch'io dissi: O Eliòs, che si gli addobbi! Gran Dio, che cussi bei te li fa Ti !
Come, distinta da minori e maggi Come la Latea via da longa mola
99 fa torziar = fa vaneggiare.
101 al venerando ttgnn - della Croce.
108 Co in ciclo = quando in cielo.
112 f/i tbiego . . obliquamente . . dà mso .•. sorgono.
113 Tardivi = lenti —•• bulega • • brulicano.
Ufi l'ini «ritta : : una striscia.
117 ni rnuta = a motivo.
119 e/ ton = il sudiio.
123 induca • • sbalordito.
125 Risunjt e vinci — sono parole ili un lnno in lode di G. Cristo trionfatore della morte, il quale
peggiava in quella Croce.
129 imbolsamò = detto figuratamente, che m'abbia deliziato.
131 lassando i otiti beli = di Beatrice.
CA.MO XV. 585
Ma cbi s'avvede, che i vivi suggelli Ma chi sa qual belezza manda 1 cieli
D'ogni bellezza più fanno più suso, Su luto, e più alti i xe, i luse più,
E rlfiii non m'era li rivolto a quelli. Se no me gora ancora voltà a queli, 135
Escusar puommi di quel ch'in m'accuso Scusar me poderà per certo lu
Per iscusarmi, e vedermi dir vero : De quel che per scusarme mi me acuso,
Che '1 piacer santo non i-, qui dischiuso, Sentindo da mi ci fato ; che là su
Perchè si fa, montando, più sincero. luto lusc de più, più andando in suso.
CANTO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
04 /;'/ xe sta lo bimano e fiala mio = quel figlio di Cacciaguida si chiamò Aldighicro I. il quale generò
Bellincione, e di questo nacque Aldigbiero II, che fu padre di Dante. Da quell'Aldighiero I, la famiglia di Daolt.
che dn prima chiamavasi Elisei, nominossi Aldighieri, e poi per dolcezza Alighieri.
95 scartaryhe = accorciargli.
96 del gran pao cìt'et ga drio - i superbi nel Purgatorio sono condannati a portar gravato il dorso di
un peso che li fa andar curvi. Vedi la detta Cantica al C. X.
97 drente de le veehic mura - - cioè dentro il primo recinto delle mura fatto dopo elie fu venuto Carlo Un...
98 Dove te sona ee. — le ore dicono alcuni elie fossero suonate nella Badia, altri nel Palazzo pubblico, edi
lizi ambedue che restano dentro alle antiche mura.
100 No la usava ee. = non v'era l'uso di collane e di manìgli e di corone di materia preziosa.
104 noi smainavo - non si agitava.
105 e in giusta rason = e in giusta proporzione.
106 Case ancoro no se vedea svodar = farsi vuoti di abitatori per gli osigli e le morti prodotte dIl pa
leggiare.
108 Sardanajialo = ultimo re degli Assiri celebre per le sue crapule e incontinenze.
109 De Roma el lusso ee. = Firenze non era ai tempi di Cacciaguida giunto a superare la raagnificmu
degli edilizi di Homu (Fraticelli). Che poi Firenze ai tempi di Dante avesse fabbriche superiori in grandezza a
quelle di Roma, è credibile, poichè i palagi e gli edilìzi, per cui oggi Roma va tanto avanti a Firenze, non con
tano più di tre secoli. (Bianchi).
1 10-1 12 e come ìuparada ec = e come Firenze superò poi Roma nel suo ingrandire, (in dar tu) così la so-
pererà nel decadimento fin dar zo) per cagione delle civili discordie. = El primo = qui ha il valore tli sol*-
riorita ossia di primato = Berli = Belincion Berli illustre cavaliere liorentinu, della nobile famiglia K "---"'
ni, padre della buona Gualdrada: Inferno C. XVI, v. 37.
115-116 i iVer/i e i Vcelun — due nobili famiglie di Firenze. = pura = cioè senza adornamento.
11S-1ZO ognuna era sicura cc = ogni donna era <icura di morire in patriu, perchè non erano per a"[0
"\
CANTO XV. 389
Della MI/I sepoltura : ed ancor nulla Morir in patria, e star indrio nissuna
Era per Francia nel letto deserta. Da sposar per la Franza avea paura. 120
L'una vegghiava a studio della culla, Stava una in guardia del bambin in cuna,
E consolando usava l'idioma, Fando, aciò el tasa, el so parlar, che invogia,
Che pria li padri e le madri trastulla : E fa a mama e papà passai la luna.
L'altra, traendo alla rocca la chioma, L'altra filando, per scazzar la nogia,
Favoleggiava con la sua famiglia Le fiabe ai soi contava su de spesso 125
De' Troiani e di Fiesole e di Roma. E de Roma, e de Fiesole e de Trogia.
Saria tenuta allor tal maraviglia Maravegia avarave alora messo
Una Cianghella, un Lapo Salterello, Una Cianghela, un Lapo Saltarelo,
Qual or saria Cincinnato e Corniglia. Come Cornelia e Cincinato adesso.
A così riposato, a così bello Tra tanta pase e viver cussi belo, 130
Viver di cittadini, a così fida Tra tanta citadina carità,
Cittadinanza, a così dolce ostello, De Dio la Mare, in sta cità modelo,
Marla mi die chiamata in alte grida ; Chiamada tra le dogie m'ha puzà;
E nell'antico vostro Battisteo E al vostro vechio batister tegnuo,
Insieme fui cristiano e Cacciaguida. Caciaguida e cristian son sta chiamà. 135
Moronto fu mio frate ed Eliseo : Per fradei Eliseo e Moronto ho avuo;
Mia donna renne a me di Val di Pado; Da Val de Po xe mia mugier vegnuda,
E quindi '1 soprannome tuo si feo. E xe vcgnù da quela el nome tuo.
Poi seguitai lo imperador Currado ; Po di in Corado imperator, batuda
Ed ei mi cinse della sua milizia: La marchia, cavalier elo in crearme 140
Tanto per bene oprar gli venni a grado. El ga l'opera mia riconossuda.
Dietro gli andai incontro alla nequizia Drio de lu contro i Turchi ho brandio l'arme,
Di quella legge, il cui popolo usurpa, Che i se tien, colpa el Papa, ingiustamente
Per colpa del Pastor, vostra giustizia. La lera santa; e gloria per cercarme,
Quivi i'u'in da quella gente turpa Fasendo guera a quela bruta zente 145
Disviluppato dal mondo fallace, Son morto, e '1 falso mondo abandonà
II cui amor molte anime deturpa; (L'amor del qual a tanti tol la mente)
E venni dal martirio a questa pace. Dal martirio in sto cielo son passa.
insorte le fazioin a cacciare in esilio i vinti; e nessuna era abbandonata dui marito, elie andasse in Francia, poi
chè non per anco l'avidità del guadagno stimolava i cittadini a andar fuori a mercatare.
122 i'ln- invogia — elic dò piacere.
125 ai sui - alle persone di sua famiglia.
12S Cianghela = della nobile famiglia Tosinoii, rimasta vedova di I, ito degli Alidesi da Imola tornò in
Firenze ove menò vita assai disonesta _- /."/'' Saltarella = Lapo di Saltarelli giureconsulto fiorentino e uomo
maledico.
129 Cornetta = figlia di Scipionc il maggiore e madre dei Gracchi: donna eloquente e magnanima, che alla
matrona Capuana, che le additava il proprio ornamento, rispose: I miei vezzi sono i mici figli .--. Ciucinoto -
virtuoso romano, che dopo avere condotto l'esercito a combattere il nemico e vintolo, ritornò al lavoro del uno
campo.
133 Chiamada Ira le dogie -- chiamata tra le doglie del parto- V. Purg. XX. 19.
137 Da Val de Po = Dalla Valle del Po, cioè il Ferrarese; e dall'essere la moglie di Cacciaguida stata
AUighieri, fu fatto il cognome della famiglia di Dante.
139 Corado -.- Corrado III imperatore della Casa di liohenstanfen, o di Svevia.
112 contro i Turchi co. = la Crociata che qui si accenna, e quella predicata da S. Bernardo nel 11C7 al
tempo di Eugenio III e di Luigi IX di Francia, che vi 'si recò in persona, e la quale ebbe un triste esito.
14S Dal martirio = cioè morto combattendo per la fede di Cristo.
390 DEI. P Ali AD ISO
CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
3 se giazza = si raiiVnld.i.
6 Viii rfi'r = voglia dire.
S Se "ijui Ionio un Iacun no ght vn suso = se una toppa o un rallacconamento di quando in quanilo W.i-
vi si mette.
11 In Roma nsavosi al Icmpo di C. Cesaru-darc alla persona, cui rivolgevasi il discorso, del voi, iinrtt Al
Tu come fu nsitn di poi.
13-15 E Ilice, the. in deiparle ee. = leprosi nel romanzo della Tavola Rotonda: l,a fante di Ginevra Ieri
gendosi dal primo passo pericoloso fulio dalla sua padrona nell'amore di l.ancillolto, tossi per farla canla- E p""
Irice sìmilmente uri sentiie in Dante quel modo cerimonioso, i-oine burlandolo dell'usare quelle forme ia wl*
sogghignò per avvertirlo a lasciar tali fonnole. Si noti ehn Dante aveva aperto il suo dialogo con CacciJgoiJJ
dandogli del Tu; e qui lo riprendeva col Voi per rispetto dopo che gli fu noto l'esser suo (Fraticelli)' = 6i =
quando.
20 munirai' = raccolti.
21 yayia = heta.
CAM'O XVl. 391
Ditemi dunque, cara mia primizia, Diseme donca, pare, chi xe stai
Quai fur li vostri antichi, e quai fùr gli anni, l vostri vechi, e quando vu su nato
Che si segnaro in vostra puerizia ? Quanti ani da la lncarnazion xe andai.
Ditemi deirovil di san Giovanni, Diseme in quanti gera quei che ha fato 25
Quant'ara allora ? e quali eran le genti So protetor San Zuane, e tra la zente,
Tra esso degne di più alti scanni? Quai più degni de onor s' ha in alto tratc.
Come s'avviva allo spirar de' venti Come al supiar del vento, più lusente
Carbone in fiamma, così vidi quella Rampa manda el carbon, ristesso qucla
Luce risplendere a' miei blandimenti : Luse, grata al mio dir, se ln più ardente. 30
E come agli occhi miei si fe più bella, E deventada ai ochi mii più bela,
Cosi con voce più dolce e soave, Cossi con dolce vose, e col più bel
Ma non con questa moderna favella, Linguagio, megio de sta nostra ochela,
Dissemi : Da quel di, che fu detto Ave, La me dise : Dal di che Gabriel
Al parto in che mia madre, ch'è or santa, • Ga visità la Vergine Maria, 35
S'alleviò di me, ond'era grave, A quelo che mia mare, adesso in ciel,
Al suo Leon cinquecento cinquanta La s' ha sgravà de la persona mia ;
E tre fiate venne questo fuoco Mile cento e sei ani passai gera.
A rinfiammarsi sotto la sua pianta. Sfinii mi e i vechi mii nati là via,
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco, Dove ogni ano co vien la vostra fiera, '(O
Dove si truova pria l'ultimo sesto lncontra el Sestier ultimo più presto
Da quel che corre il vostro annual giuoco. El cavai che va al palio de cariera.
Basti de' miei maggiori udirne questo : Te basta dei mii vechi sentir questo :
Chi ei si furo, ed onde venner quivi, Chi i fusse e quala vose d'eli cora,
Più è tacer, che ragionare, onesto. Megio xe taser che parlar sul resto. 45
Tutti color, ch'a quel tempo eran ivi Quei che tra Marte e Zuan Batista alora
Da poter arme, tra Marte e i Batista, Avria podesto strenzer l'arma in man,
Erano '1 quinto di quei che son vivi: Gera un quinto de quei che vive a st'ora.
Ma la cittadinanza ch'è or mista Ma i citadini, adesso col vilan
Di Campi <• di Certaldo e di Kigghine, De Certaldo missiai (lampi e Fighin, 50
Pura vedeasi nell'ultimo artista. Puri i gera sin l'ultimo artesan.
88.89 i l'ylii = fondatori della Chiesa di S. Maria a Ughi • • • i Caletini •• al presunte non ò ricordo ili loro
•- i filila = abitarono in Mercato Nuovo = i Greci = fu di loro tutto il borgo dei Greci; ora sono spenti =
i Ormani = abitarono dov'è adesso il palagio del popolo, ed ora si chiamano Foraboschi - i Alberighi — furo
no di loro le case di S. Maria Alberighi di Casa Donali; oggi nessuno esiste di loro.
90 Za in decadenza .- di fortuna.
9ì de l'Arca = nei quartieri di S. Pancrazio.
93 = Sotdanieri = d' uno di questi vedi C. XXX11 v. 121 dell' lnferno - Ardingi e Botlighi -•. abitavano
in Orto S. Michele
94 b porta - di San Pietro. = arca = qui vale per sentina, cioè ricettacolo il' immondezze fisiche e morali.
95 da galia .-... da galera.
96 la barca •• cioè lo Stato.
97-9'J i Ravignani :_. era anticamente illustre famiglia dalla quale è disceso il conte Guido, stipile della
famiglia dei Conii Guidi di Modiglinna ... Belincion = Bellincion Berti personaggio illustre pure dei comi Guidi.
100-102 De la fretsa .•- il primogenito della famiglia Della Pressa sapeva le arti di beo governare, e in
rasa de'Galigai erano gia i distintivi della nobilta, i quali consistevano in aver dorata l'elsa ed il pomo della
spada —s manego = manico, qui applicato all'elsa della spada.
103 Granala del Vagio la cotona ec. ..-. allude alla potente famiglia Pilli, che nell'arma aveva una colonna,
ossia una larga lista dipinta a pelle di vaio, animaletto di colore bigio scuro.
104 Sacluli, Giochi cc. -- sono nomi di famiglie fiorentine.
105 e quei che ga rosslo te. = quelli ch'ebbero vergogna per causa dello staio (tler) falsato da un loro
toiuangnineo con levarne una doga (l'urg. C. Xll) sono i Cliiaramontesi, i quali caddero quando i Cerchi furo
no cacciati (Fraticelli).
106 i Calfaei — abitarono nel sesto di porta Sanpiero.
107 zoco = ceppo.
394 DEL PA1UDISO
Alle cui idc Si/ i ed Arrigucci. In alto rango alzai Sizi e Ariguci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti Oh come ho visti quei andar desfati
Per lor superbia ! e le palle dell'oro Per boria! e dir che le so baie d'oro 110
Fiorian Fiorenza in tutti i suoi gran fatti. Fornia Firenze in tuli i so gran fali!
Così facean li padri di coloro. Cussi faseva i pari de coloro,
Che, sempre che la vostra chiesa vaca, Che, quando el vescovado xe vacante
Si fanno grassi, stando a consistero. I ghe magna l'entrada in concistoro.
L'oltracotata schiatta, che s'indraca E za la razza altiera, che rogante 115
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra '1 dente, Xe con chi scampa, e a cui ghe mostra el dente
Ovver la borsa, com'agnel si placa, O l'oro, la s'incurva sin le piante,
Già venia su, ma di piccola gente ; Vegniva suso, ma da bassa zente ;
Sì che non piacque ad Ubertin Donato E ga despiasso a l'TJbertin Donato
Che '1 suocero il facesse lor parente. Che lo fazza el missier de quei parente. 120
Già era '1 Caponsacco nel Mercato Caponsaco, abitante del Mercato,
Disceso giù da Fiesole, e già era Vegnù zoso da Fiesole za '1 gera :
Buon cittadino (ìnula ed Infangato. Gera bon citadin Guida e Infangato.
Io dirò cosa incredibile e vera: Dirò cossa a no crederse ma vera :
Nel picciol cerchio s'entrava per porta, La picola cità gavea l' intrada 125
Che si nomava da quei della Pera. Per la porta ch'el nome ha avù dai Pera.
Ciascun, che della bella insegna porta Chi l'arma soa co l'arma ga incrosada
Del gran barone, il cui nome e '1 cui pregio Del gran baron, che da Tomaso ancora
La festa di Tommaso riconforta, La memoria del nome è festegiada,
Da esso ebbe milizia e privilegio ; L'ha avudo tante distinzion che onora; 130
. Avvegna che col popol si rauni $ibeu trarse al parlio se veda ancuo
Oggi colui, che la fascia col fregio. Del popolo quel tal che l' arma indora.
Già eran Gualte'rotti ed Importuni, Za i Gualteroti e i Importuni e el suo
13(5 La aita the. vi ga parla el malano = la famiglia degli Amidi-i, ondYldie erigine la divisione di Firenze
in Guelfi e Ghibellini.
Ili rfn'ri nau eliinchiarada = in scrailo ad una elliaelliernU; cioe per l'impulso elic a mancare di parola
alle nozze stabilite rolli fanciulla Amidi-i esso Buondelmonte ebbe dalla madre della fanriulin de' Donati. (Bianchi).
143 l'Inni .-- fiumii-rllo elic si deve passare da Montchuoni, castello dri Bnondelinonti per venire a Firenze.
147 ni pie siti falso dio = cioè .IMI, i statua di Marte mutilata da quando il ponte vecchio cadde nell'anno
1173, a 25 Novembre, e che guarda esso ponte. Quivi fu ucciso noi 1215 Buoudelmonte dagli Amidi-i e loro
consoni.
396 DEL PARADlSO
CANTO DEClMOSETTlMO
Lo buon congiunta a Dante dà contezza A Dante Cacciaguida vien a dir
Do lo suo esilio, e quanto gli dichiara De lu l'esìlio, e quanti a questo drio
Dee sofferirne strazio ed amarezza; Dolori e afani ol dovara patir.
lndi lo sprona che quant'ivi impara E dopo, quanto ch'el ga lu sentio,
E quanto vide negli altri due regni, E nei altri Ho regni el ga osservà,
Senza temer, con penna ardita e chiara Senza paura de pagar el fio,
Liberamente in carte verghi e segni. A scriver ghe da cuor con verita.
venne a Climonè, per accertarsi Come per saver quel che contradio
Di ciò ch'aveva incontro a sè udito Gh'è sta, xe andà da Climen chi tegnir
Quei ch'ancor fa li padri a' figli scarsi ; Da le vogie dei fioi fa i pari indrio ;
Tale era 'io, e tale era sentito Cossi mi gera, e m' ha savù capir
Da Beatrice e dalla santa lampa, Bice e la luse santa, che de sito 5
Che pria per me avea mutato sito. S'ha cambià per più arente a mi vegnir.
Per che mia Donna : Manda fuor la vampa Tanto è vero che Bice la m' ha dito :
Del tuo disio, mi disse, si ch'ell'esca El desiderio tuo meti pur fora
Segnata bene dell'interna stampa ; Cussi, che el sorta dal to cuor pulito ;
Non perchè nostra conoscenza cresca No per megio saver quel che qua sora 10
Per tuo parlare, ma perchè t'ausi Savemo, ma sì a dirlo aciò ti te usi,
A dir la sete, sì che l'uom ti mesca. Onde l'omo te apaga co te ocora.
O cara pianta mia (che si t'insusi, O cara mia raise, che ti lusi
Che, come veggion le terrene menti Qua, e come poi vèder l'umana mente
Non capere in triangolo du' ottusi, 1 Che no sta in un triangolo do otusi, I"'
Cosi vedi le cose contingenti Le cosse ti poi vèder chiaramente
Anzi che sieno in sè, mirando '1 punto, Che le ga da vegnir vardando in Dio,
A cui tutti li tempi son presenti) Al qual qualunque tempo xe presente,
Mentre ch' i' era a Virgilio congiunto Mentre a l'lnferno col Virgilio mio
Su per lo monte, che l'anime cura, /ii .iva intorno, e al Monte, dove bela 20
E discendendo nel mondo defunto, Vien l'anema, l'augurio go sentio
1.3 Fetonte il cai triste line nel guidare il carro del Sole, clic il padre vinto dalle sue molle preghiere
aveagli concesso, altra volta fu accennato (vedi Purg. C. XXlX, v. 113-120), venne affannoso a dimeno sua ma
dre per farsi certo se egli fosse veramente figlio di Apollo, perchè da Epofo, tiglio di Giove, cragli stata con
traddetta quella origine = Iegnir Da le vogie dei fioi fa i pari indrio = cioè l'esempio di Fetonte fa essere i
padri meno condiscendenti ai desideri dei ligli.
5 i. ln lme tanta = cioè la luce di Cacciaguida.
6 S'ha cambià = si cangiò, essendo dal braccio destro della Croce disceso al piede di essa. Vedi C. XV.
v. 19 e seguenti.
8 meli pur fora = apri francamente.
12 co = quando.
13 mia raisc = mia radice; qui sta per origine di famiglia, ceppo.
15 ila otiati — è sottinteso due angoli ottusi.
20 ni Monte = del Purgatorio.
21-23 l'augurio ga «enda ec. = allude ai tristi annunzi a lui falli du Fni.inata, Brunelle Uitini. Corrado
Molospiua e C-derisi d'Agobbio (vedi C. X. v. 79-81, e C. XV. v. til e seg. dell'1nf. e C. Vili. v. 133.13H * C.
XXlV. v. 43 e seg. del Purgatorio).
CANTO XVII. 397
Dette mi fùr di mia vita futura Che m' ha dà la brutissima nuvola
Parole gravi ; avvegna ch'io mi senta Sul resto de mia vita, siben sia
Ben tetragono ai colpi di ventura. Mi pronto ai colpi de nemiga stela.
Per che la voglia mia saria contenta Gran vogia de saver perciò avaria 25
D'intender qual fortuna mi s'appressa; El mio destin, chè, quando se lo sa,
Che saetta previsa vien più lenta. Manco dolor sentir fa la feria.
Cosi diss'io a quella luce stessa, Cussi a Caciaguida go parlà ;
Che pria m'avea parlato ; e, come volle E come Bice la voleva, a lu
Beatrice, fu la mia voglia confessa. Quelo che aveva in cuor go spiferà. 30
Non per ambage, in che la gente folle No in modo scuro, che inzucava su
Già s'invescava, pria che fosse anciso La sioca zente che adorava i dii
L'Agnel di Dio che le peccata lolle, Avanti de la morte de Gesù ;
Ma per chiare parole, e con preciso, Ma sii chiari discorsi xe sortii
Latin rispose quell'amor paterno, Da la lucerna del parente mio, 35
Chiuso e parvente del suo proprio riso : Mostrandose più lustra ai ochi mii :
La contingenza, che fuor del quaderno I fati in mezo al dubio ancora indrio,
Della vostra materia non si stende, Che l'omo no li vede ni indovina,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno. Tuli presenti sta davanti a Dio.
Necessità però quindi non prende, Perciò necessità no li strassina, 40
Se non come dal viso, in che si specchia, Come l'ochio no fa che barca inviada
Nave, che per corrente giù discende. Da la corente, in grazia soa camina.
Da indi, sì come viene ad orecchia Da Dio '1 tempo me vien, come sonada
Dolce armonia da organo, mi viene De l'organo a la rechia, e te so dir
A vista '1 tempo, che ti s'apparecchia. Quala sorte per ti xe parechiada. 45
Qnal si parti Ippolito d'Atene Come da Atene Ipolito partir
Per la spieiata e perfida noverca, L' ha dovù per la birba so maregna,
Tal di Fiorenza partir ti conviene. Ti da Firenze te convien sortir:
Questo si vuole, e questo già si cerca, Questo se voi, se cerca aciò ch VI regna,
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa E lo farà chi pensa a questo, là 50
Là, dove Cristo tutto dì si merca. Dove Cristo se vende e se lo impegna.
La colpa seguirà la parte offensa Come sempre, la colpa la sarà
In grido, come suoi : ma la vendetta De chi ha la pezo, ma la pena in chiaro
Fia testimonio al ver che la dispensa Melerà ben la pura verità.
Tu lascerai ogni cosa diletta Tuto ti lasserà che ti ha più caro; 55
Più caramente: e questo è quello strale, Che l'esser da la patria mandà in bando,
Che l'arco dell'esilio pria saetta. Per el bandio xe '1 primo passo amaro.
Tu proverai sì come sa di sale Come dei altri el pan ti andrà provando
Lo pane altrui, e com'è duro calle Sia tossego, e dei altri sia pesante
Lo scendere e '1 salir per l'altrui scale. Far le scale su e zo de quando in quando. 60
30 go tpitcrà = ho spiattellato.
31 mzucava = sbalordiva.
•16 Ipolito = Ippolito partissi calunniato da Ateae per non volere aderire alle inique voglie di Fedra sua
iMlngna.
E lo farci chi pana a yursfo, là Dove Mito a. = cioè quelli della Curia Romana.
398 DEL PARADISO
E quel che più ti graverà le spalle, Ma de le toe malore tante e tante,
Sarà la compagnia malvagia e scempia, IVzn sarà trovarle co la mota
Con la qual tu cadrai in questa vallo; De zente tressa assae, zente ignorante;
Chc tutta ingrata, tutta matta ed empia Che ingrata, mata, e in baronada rota,
Si farà contra te: ma poco appresso Contro de li se voltarà; ma presto
Ella, non tu, n'avrà rotta la lempia. Eli avarà, no ti, la testa rota.
Di sua bestialitate il suo processo Farà i maroni soi veder, del resto,
Farà la pruova, sì ch'a te fia bello 1 fati in fin cossi, che onor sarà,
Averti fatta parte per le stesso. De li ch'el so pai tio ti ha avudo in cesto.
Lo primo tuo rifugio e '1 primo ostello El to primo refugio ti avarà
Sarà la cortesia del gran Lombardo, A Verona ai coverti del Gran Can,
Che in su la scala porta il santo uccello: Che su la scala ha l'aquila segnà;
Ch'avrà in te sì benigno riguardo, El qual se mostrerà tal cortesan,
Che del fare e del chieder tra voi due Che avanti ti ghe sporzi la domanda,
Fia primo quel, che tra gli altri è più tardo. Lu primo a ti te sporzerà la man. 75
Con lui vedrai colui che impresso fue, Con lu ti vederà chi virtù granda
Nascendo, sì da questa stella forte, Ga dà in nasser sta stela, e darà '1 cigo
Che mirabili fien l'opere sue. Del so valur la fama da ogni banda.
Non se ne sono ancor le genti accorte Sol nove ani ga quel del qual mi digo;
Per la novella età, che pur novi- anni . Perciò ancora nissun no sa de lu ; 80
Son queste ruote intorno di lui torte. Ma avanti che 1'ingano el grando Arigo
Ma pria che 'I Guasco l'alto Arrigo inganni, El gabia da Clemente ricevù,
Parran faville della sua viriaIe, In no curar i bezzi e in laòrar,
In non curar d'argento, nè d'afTanni. El darà segni chiari de virtù.
Le sue magnificenze conosciute La splendidezza soa elo in sfogiar, 85
Saranno ancora sì, che i suoi nlmici Sin i nimici soi, ch'el ga un cuor belo
Non ne potran tener le lingue mute. I dovarà per forza confessar.
A lui t'aspetta ed a' suoi benefici: Lu te farà del ben : in grazia d'elo
Per lui Ila trasmutata molta gente, Cambiarà la so sorte tanta zente,
Cambiando condizion ricchi e mendici. Fando povàro questo e rico quelo.
E porteraine scritto nella mente Quanto digo de lu tientelo in inente,
Ili lui, ma noi dirai... E disse cose Ma noi dir a nissun e cosse el dise
Incredibili a quei che fia presente. Da no creder da chi sarà presente.
Poi giunse : Figlio, queste son le chiose E po : Le cosse queste xe precise
, mia rnitr = è qui adoperata la frase per esprimere un senso affettuoso, e vale: mia gioia, vita min, e
simili.
104 Co = quando = e che rla cuor = e di buon cuore.
HO col /or/o che amo più = cioe la cara patria.
124 yarhii = aspro, necrbo.
1!6 o dei toi = o dei loro parenti.
l'I Iu ose Ina = la tua voce.
400 DEL PARADISO
Questo tuo grido farà come 11 vento, La farà com'el vento, che più pesta
Che le più alle cime più percuote : Le alte cime, e alte più, più le bastona;
E ciò non ila d'onor poco argomento. E farà questo che più onor te resta. 135
Però ti son mostrale in queste ruote, Però in dove là zo no se perdona,
Nel monte, e nella valle dolorosa, Al Monte, e in questi cieli, de la zente
Pur l'anime, che son di fama note : Ti ga visto, dei quali fama sona ;
Che l'animo di quel ch'ode non posa, Che no se quieta quel che ascolta, e gnente
Nè ferma fede, per esempio c'haia Crede, quando provien da zente bassa 140
La sua radice incognita e nascosa, L'jesempio avù, nè questo gh'entra in mente,
Nè per altro argomento che non paia. Se da razza più nobile noi nassa.
CANTO DECIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Sale il Poeta al sesto Cielo ; scorge Ariva al sesto dei celesti regni,
Schiera che luminosa roteando Lumini vede Danto che zirando
Varie rigare di parole porge; De letere diverze i forma i segni;
la cui legge, cho qui vissero amando E da quele sto senso el vien cavando:
Santa Giustizia, ed or beali sono Che la santa Giustizia ava a moilelo
Nel cielo, e questo vaii significando Qua zoso in tera i ga vissudo amando,
Nel figurato lor tacito suono. E i xe adesso perciò beati in cielo.
3 Tra 'I dola e "1 garbo = cioè tra il piacere delle cose buone rivelategh da Cacciagiuaa, e d disgustoso
nell'udire da lui stesso il tremendo colpo elic la foriumi gli preparava, cioè Periglio.
4 Co = quando.
5 areate — dappresso.
6 A Quel — cioè a Dio -*- tlciierio = alleggerito ogni torto, esaliando l'ingiustomente perseguitato, e ca-
stigando e umiliando il maligno persecutore con giustiiia (Bianchi).
7 ton = suono.
15 altri vogit = altri desiderii-
26
402 DEL PARADISO
L'affetto nella vista, s'ello è tanto In nu l'ansia dai ochi sbrucar fora,
Che da lui sia tutta l'anima tolta ; Se in quei sia tuta l'anema racolta;
Così nel fiammeggiar del fulgor santo, Cossi '1 lusor, che m'ha parlà là sora, 35
A cui mi volsi, conobbi la voglia Dal quai me son voltà, lusendo più,
In lui di ragionarmi ancora alquanto. L' ha mostri vogia de parlarne ancora.
E cominciò: In questa quinta soglia E '1 scomenza : In sto quinto ciel qua su
Dell'albero che vive della cima, Che sempre de beati xe fiorio,
E frutta sempre, e mai non perde foglia, E ga dal più alto cielo la virtù, 30
Spiriti son beati, che giù, prima Ghe n'è de quei che avanti goder Dio,
Che venissero al ciel, fflr di gran voce I ha avudo in tera fauna tal e tanta,
Sì, ch'ogni musa ne sarebbe opima. Che materia a ogni Musa avria fornio.
Però mira ne' corni della croce : Varda su i tressi de la Crose santa :
E quel ch'io nomerò, lì farà l'alto Chi adesso chiamarò, comparirà 30
Che fa in nube il suo fuoco veloce. Com'ei lampo dal nuvolo se schianta.
Io vidi per la croce un lume tratto Apena Giosuè lu ga chiamà,
Dal nomar Giosuè, com'ei si feo; Per la Crose un lusor se ga movesti) ;
Nè mi fu noto il dir prima che il fatto. Nè l' ho sentio chiamar prima che ochià.
Ed al nome dell'alto Maccabeo E del gran Macabeo al nome, presto 40
Vidi muoversi un altro roteando; Un altro vedo andar gagio zirando
E letizia era ferza nel paleov Come a la stringa el tintolo va lesto.
Cosi per Carlo Magno, e per Orlando, De Carlo Magno al nome e a quel d'Orlando,
Duo ne seguì lo mio attento sguardo, Do cussi atento, conni varda, vardo,
Com'occhio segue suo falcon volando. El caziador el so falcon svolando. 45
Poscia trasse Guglielmo e Rinoardo Dopo ho visto Gulielmo e Rinoardo,
E '1 duca Gottifredi la mia vista, E "I gran duca Gofredo in quela Crose,
Per quella croce, e Roberto Guiscardo. E go visto Roberto e anca Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista, Po andando tra le altre aneme gloriose,
Mostrommi l'alma, che m'avea parlato, ,. La luse che ha parlà, sentir me fava 50
Qual era tra i cantor del cielo artista. Tra quei cantori una stupenda vose.
lo mi rivolsi dal mio destro lato, Dopo, da novo a drita me voltava,
Per vedere in Beatrice il mio dovere, Per poder ne la Bice duscovrir
O per parole, o per atto, segnato; Quel che a moti o a parole me ordinava;
E vidi le sue luci tanto mere, E alegri tanto i ochi soi vegnir 55
Tanto gioconde, che la sua sembianza Go visto, e cussi puri, che eli torlo
126 dal bruliirimo eiemplar = i riferito al trista esempio dei Romani pastori.
128 m lar ti jian = nel togliere il pane, cioè li Sacramenti della Chiesa che sono il pane spirituale dei
tiltolici.
130 Ma penta li che per scansar te. = (l'invettiva è rivolta a Papa Bonifazio) cioè, che scrivi le ccnsurc non
fa correggere e gastigare, ma per venderne poi la rivocazione e la riconciliazione, cassandole.
131 fui ionio Orlo — detto metaforicamente per la Chiesa di G. C.
131 i j-e in citi vivi .-- volendo significare: per punirti.
133-134 Ti tmi/erà btn dir et. = il santo di ciu si protesta devoto questo buon papa, è il Battista, non
quello però che vive in ritin, ma quello che vedesi improntato sni fiorini d'oro della Repubblica di Firenze.
Gio. Battista fu tratto ni martirio per salti e balli della figlia del re Erode; la quale arendo saltato nel con
iilo, domando al padre, per conforto della madre il capo di S. Giovanni Battista, e da quello le fa dato per il
'allo giuramento.
138 Ni 'I Pesmor = cioè San Pietro = Polo = S. Paolo.
406 DEL PARADISO
CANTO DECIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Molte bell'alme insieme collegate Tra nle tacae, tante aneme el dissegno
Forman l'aguglia, onde il Poeta apprende D'un aquila le forma, e Dante quanto
Quel che indarno volca molte fiate, Da qnela intende, che col proprio Inzegno
II benedetto rostro poi riprende Mai l'ha capio. Po parla el beco santo
Li re malvagi, entro al cui sen Oiuetizia Contro i re infami, che no ha svii Oiustiiis;
I ..'i sua pura facella non accende ; Nei popoli perciò s'ha mosso el pianto
Sicchè il mondo patio di lor nequizia. Su i bruti efeti de la so malizia.
!5 mo — particella riempitiva.
27 Per torght ti scuro -- per togliere la scurità (del dubbio;.
19 Troni — uno dei più elevati ordini aagelici del Paradiso: vedi C. lX v. 61.
35 i'n gringola = in allegrezza.
36 capeteto = quella coperta di cuoio che il cacciatore pone in testa al falcone perche lume non vegga e
Don si dibatta.
46-47 1'anzolo te. = Lncifero la più perfetta d'ogni craatura, clic per min aspettare il lume della grazia
divma, cadde dal ciclo, prima di essere confermato in grazia ^Bianchi). ' • • .
408 DEL PARADISO
In pelago non vede ; e nondimeno Del lido el fondo, no l'ariva el sen
Egli r : 11i,i "i cela lui l'esser profondo. Scovrir del mar, che '1 fondo ghe xe sconto.
Lume non è, se non vien dal sereno, No se dà lume se dal ciel noi vien,
Che non si turba mai ; anzi è tenèbra, Che no se apana mai; xe ogni altro scuro, 65
Od ombra della carne, o suo reneno. O del'omo ignoranza el xe o velen.
Assai t'è mo aperta la làtèbra, La rason ti sa adesso per sicuro
Che t'ascondeva la giustizia viva, Che l'eterna Giusti/.ia te covriva
Di che facei quistion contanto crebra : E te faceva dar la testa al muro:
Che tu dicevi : Un uom nasce alla riva Che ti disevi: Un tal che nassa e viva 70
Dell'Indo; e quivi non è chi ragioni A l'Indie, in dove che de Cristo mai
Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva : No gh'è chi parla, o leza, nè chi scriva,
E tutti suoi voleri ed atti buoni L'abia in opere bone i dì passai
Sono, quanto ragione umana vede, E in bon voler, e, come l'omo vede,
Senza peccato in vita od in sermoni: Sì nel far che in parlar, senza pecai; T5
Muore non battezzato e senza fede; Se '1 mor no batizà e senza fede,
Ov'è questa giustizia che '1 condanna ? Perchè mo sta giustizia lo condana ?
Ov'è la colpa sua, sed ei non crede ? Che colpa gaio se in Gesù noi crede ?
Or tu chi se', che vuoi sedere a scranna, Ma chi estu ti, che in caregon se afana
Per giudicar da lungi mille miglia Giudicar da lontan un mier de mia, 80
Con la veduta corta d'una spanna ? Co la vista più curia d'una spana ?
Certo a colui, che meco s'assottiglia, Certo, che chi con mi trovar vorla
Se la Scrittura sovra voi non fosse, El pelo al vovo Senza la Scritura,
Da dubitar sarebbe a maraviglia. Farse gran maravegia el dovaria. . .
O terreni animali, o menti grosse ! O animai de la lera, o zente dura ! 8S
La prima volontà, ch'è per sè buona, Bona è sempre de Dio la volontà,
Da sè, ciré sommo ben, mai non si mosse. Che no se cambia mai, sempre la dura.
Cotanto è giusto, quanto a lei consuona : Giusto >e quanto in eia se confi;
Nullo creato bene a sè la tira ; Eia ogni ben creà se tira drio,
Ma essa, radiando, lui cagiona. Nè la ga per nissun parzialità. CO
Quale sovr'esso '1 nido si rigira, Come cicogna /ira sora al nio,
Poi e' ha pasciuto la cicogna i figli, Dopo dà ai so putini da magnar,
E come quei, ch'è pasto, la rimira ; E come ochia, sazià, la mare un fio ;
Cotai si fece, e sì levai li cigli, L'aquila utesso a mi, che ho alzà, in vardar
La benedetta immagine, che l'ali Quel santo oseio, i ochi ; e ghe vedeva i*'.
Movea sospinte da tanti consigli. Le ale per tante vogie tremolar.
Roteando cantava, e dicea : Quali Zirando la cantava e la diseva :
Son le mie note a te che non le intendi, Come el mio dir va sora al to intelelo,
Tal è il giudicio eterno a voi mortali. Sora l'omo el pensier de Dio se leva.
Che saranno in giudicio assai men prope Che del giudizio al dì, più a Lu lontani
A lui, che tal che non conobbe Cristo. Sarà, de chi no ga conossù Cristo.
E lai Cristian dannerà l'Etiópe, Svergognar l'African farà i Cristiani,
Quando si partiranno i due collegi, Quando parte i sarà glorificai, 110
L'UDO in eterno ricco, e l'altro inópe. E parte maledii. l re Persiani
Chi potran dir li Persi ai vostri regi, Ai vostri re cossa diraii mai,
ComV vedranno quel volume aperto, Quando che i vederà sul libro averto
Nel qual si scrivoa tutt'i suoi dispregi ? Le infamità e i vizi soi notai ?
Lisi vedrà tra l'opere d'Alberto Là tra le azion se vederà de Alberto 115
Quella, che tosto moverà la penna, Quela (e la scriverà presto el Signor),
Per che '1 regno di Praga lla deserto. Che de Buemia la farà un deserto :
Lisi velini lo duol, che sopra Senna Là de Parigi se ochiarà '1 dolor,
lnduce, falseggiando la moneta, Colpa de chi ga la monta falsà,
Quel che morrà di colpo di cotenna. E d'un porco a l'ut ioti vedo ch'cl mor. 120
Lì si vedrà la superbia ch'asseta, La boria del Scozzese e lnglese là
Che fa lo Scotto e l'lnghilese folle Se vederà, che per gran sè i va in furia,
Sì, che non può soffrir dentro a sua meta. Perchè star drentro al so confin no i sa.
Vedrassi la lussuria e '1 viver molle Se ochiarà el viver morbio e la lusuria
Di quel di Spagna e di quel di Buemme, Del re de Spagna e de Buemia insieme, 125
Chè mai valor non conobbe, nè volle. Che del far ben ga mai sentia la scuria ;
Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme Segnade al zoto de Gerusaleme
Segnata con un l la sua bontade, Le bone azion co un l se vederà, ,
Quando '1 contrario segnerà un emme. E le so briconae segnae co un eme.
Vedrassi l'avarizia e la viltade Se ochiarà l'avarizia e la viltà 130
Di quel che guarda l'isola del fuoco, De quel che de Sicilia ga la cura,
Dove Anchise fini la lunga etade: Dove Anchise la vita ga lassà ;
100 Po = poscia = uri segno cr s'intende l'aquila insegna del romano impero. = Vedi nota 2.
115 Alberiu = Alberto d'Austria, figlio di Rodolfo d'liusburgo, invase e devastò la Bocmia nel 1303.
118-120 Là ile Parigi te. = Filippo il Bello re di Francia fece battere moneta falsa colla quale pagò l'eser
cito assoldalo contro i Fuuiinglii, dopo la rotta di Contrai. Mori nel 1314 alla caccia per ragione di un porco
selvatico.
121-123 del Scozzete e lnglesc te. — sembra alludere ad Edoardo l. re d'lnghilterra, e a Roberto di Sco-
tia, allora in guerra tra loro = per gran te = per gran sete (di superbia;.
124 ci viver morbio --= il vivere tra la morbidezza.
123 Del re de Spagna = Alfonso X re di Castiglia e di Leone, per la cui mollezza fu lu Spagna infestata
''jì Saraceni — e de Bocmia = Vencesiao re di Bocmia, figlio di Ollocuro, di cui fu parlato al C. Vll. v. 98 del
fiirg.
128 lui mai xentia la acuna •• non sentì mai l'impulso, lo stimolo.
127-120 Segnade al zoto = è costui Carlo ll detlo lo Zoppo, re di l'uglia e di Gerusalemme = co un / =
con un l, cioè uno = eme = M, cioè mille.
131-132 De quel — cioè di Federigo figlio di Pietro di Arugona clic reggeva la Sicilia ove è morto Anchise
padre di Enea.
410 DKL PARADlSO
E, a dare ad intender quanta è poco, E le so vili azum su la seritura,
La sua scrittura Ben lettere mozze, Aciò in ristreto tute sia mareae,
Che noteranno molto in parvo loco. Le note sarà fate in breviatura. 135
E parranno a ciascun l'opere sozze Là tuti vederà la galiotae
Del barba e del fratel, che tanto egregia Del barba e del fradel, che una real
Nazione, e due corone han fatte bozze. Famegia e do corone i ga sporcae.
E quei di Portogallo e di Norvegia E del re de Norvegia e Portogal •
Lì si conosceranno ; e quel di Rascia, Se vederà ben là col Raguseo, 140
Che male aggiusta '1 conio di Vinegia. Che ha '1 cugno venezian làora mal,
O beata Ungheria, se non si lascia • O felice Ongaria, che più un sol deo
Più malmenare! e beata Navarra, No i ghe toca ! E N'avarn fortunada
Se s'armasse del monte, che la fascia ! Se in difesa metesse el Pirineo
E creder dce ciascun, che già per arra Che la sera ! E credè che malmenada 143
Di questo, Nicosìa e Famagosta La sarà ; e coi lamenti za dà '1 segno
Per la lor bestia si lamenti e garra, Cipro, e col so crior, per la sbrenada
Che dal fianco dell'altre non si scosta. Bestiona, come le altre, che ha quel regno.
137 ilei barba = del zio. Lo zio di Federigo fu Jacopo re di Maiorica e Minoriea, e il fratelliI del della Fi.
derigo fu Jacopo re di Aragona.
139 re de Kmuegia e l'ortogal — chi fosse il re di Norvegia, non lo dice ali.uno dei commentatori. Re del
Portogallo era allora Dionisio l'Agricola. Fu avaro e mercante: regnò dal 1279 al 1325.
140 eoi ttaguseo = re della Scliiavonia pretcndesi fosse Orosio di Ragnsi, citta della Sehiavonia posta sul
l'Adriatico. Egli falsava nel 1300 i ducati veneziani.
142-143 O felice Ongaria ec. — re d'Ungheria a quel tempo Andrca lll, sebbene il regno spettasse ni Aglio
di Carlo Martello: vedi Purgai. Vili v. 04 = più uà sni deo No i ghe toca = non è più malmenata = iro =
dito.
143-144 E Navafa fortunada ec. al re Carlo di Navarrt, ultimo di quella Casa, successe sua figlia Giovsnaa
maritatasi nel 1284 a Filippo il Dello, la quale mori nel 1304. l re francesi agognavano aggiunsero ls Navsrra
ai loro domimi; ed infatti Luigi Utino, morto suo padre, prese il titolo di Rr di Francia e di Navarra. .
145 148 E credè che malmenada ec. = nel 1300 regnava nell'lsola di Cipro Arrigo ll dei Lusignzni, K
malvagio = col io crior = con le sue grida di biasimo = per la tbrnailu = par la sfrenata = Efnia*a —
epiteto affibbiato al re di Cipro suddetto = come le olire = come gli altri re bestie sopraccennati.
CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quando colui, che tutto '1 mondo alluma, Co '1 lanternon che schiara el mondo luto,
Dell'emisperio nostro sì discende, Solo el nostro emisfero è belo andà,
Che '1 giorno d'ogni parte si consuma ; E da ogni banda el chiaro s'ha desinilo;
Lo citi, che sol di lui prima s'accende, El ciel che da quel gera inlumina,
Subitamente si rifà parvente Torna per tante stele a luser presto, 5
Per molte luci, in che una risplende. De quel lusor che a ognuna el Sol ghe dà,
E quest'atto del ciel mi renne a mente, E sto moto del ciel go in mente avesto,
Come '1 segno del mondo e de' suoi duci Quando del mondo e dei imperatori
Nel benedetto rostro fu tacente : El segno, serà '1 bèco, ga tasesto ;
Però che tutte quelle rive luci, E più luse spandendo quei splendori 10
Vie più lucendo, coiminciaron canti Ga intoni tali canti, che in la mente
Da mia memoria labili e caduci. Solo un fiaetin me xe restà de lori.
O dolce amnr, che di riso l'ammanti, O caro amor divin sempre ridente,
Quanto parevi ardente in que' flavilli, Quanto in qual canto là tuto impildo,
Che aveano spirto sol di pensier santi ! De idee celesti ti parevi ardente ! 15
Poscia che i cari e lucidi lapilli, Co i lumi, che ga parso a l'ochio mio
Ood'lo vidi ingemmato il sesto lume, Rubini brilantai nel ciel de Giove,
Poser silenzio agli angelici squilli, I so anzelici cori ga fìnio,
Udir mi parve un mormorar di limni' Sentir credeva un fiume che se move,
Che scenda chiaro giù di pietra in pietra, Ruzando in tei cascar tra sasso e sasso, 20
Mostrando l'uberià del suo cacume. Con quela piena che da l'alto piove.
E come suono al collo della cetra E come la chitara or alto or basso
Prende sua forma, e sì come al pertugio Dal colo varia el son, e '1 lià da un buso
Della sampogna vento che penetra ; A l'altro del elarin fa vario passo;
Coti, rimosso d'aspettar indugio, . De l'aquila cussi montando in suso 95
1 Cn = quando.
7 mitilo =i avuto.
9 El tcgno = cioè l'aquila imperiale.
10 quei tplendori = cioè i beili che di sè formano la figura dell'aquila.
18 vii fiaelin = un pochino.
16 Co = quando.
2O Ruzando — mormorando.
23 ti ton = il suono = et fià = il fiato.
t*i fa vario pano = s'intende musicale.
412 DEL PARADISO
Quel mormorar dell'aquila salissi El ruzor per el colo, a questo in bota
Su per lo collo, come fusse bugio. L'è rivà in cima com'el fusse sbuso.
Fecesi voce quivi ; e quindi uscissi Là, fato in vose, la parola dota
Per lo suo becco, in forma di parole, Dal béco in l'un sermon xe vegnù fora
Quali aspettava '1 cuore, ov'io le scrissi. Qual me spetava, e in cuor go tolto nota. 30
La parte la me, che vede e pate il Sole Quela parte ochia ben, me dlse alora,
Nell'aquile mortali, incominciommi, Del corpo mio, che l'aquila in natura,
Or lisamente riguardar si vuole : Fronta el ragio del Sol, che ghe la indora:
Perchè de' fuochi, ond'io figura Ainimi, Che tra 1 lumi che fa sta mia figura,
Quelli, onde rocchio in testa mi scintilla, Quei che I» ila ne l'ochio, luse i ga 35
Di tutti i loro gradi son li sommi. De tuti i altri più resplendente e pura.
Colui, che luce in mezzo per pupilla, Chi fa da baia lustra ga cantà
Fu 11 cantor dello Spirito santo, I bei salmi ispirà da l'Amor Santo,
Che l'arca trastalò di villa in villa. E ha guidà l'Arca de cità in cità.
Ora conosce 'I merlo del suo canto, Desso el merito el vede del so canto, 40
In quanto effetto fu del suo consiglio, In quanto è stada soa la partesela,
Per lo remunerar, che è altrettanto. Dal premio avudo ch'el xe sta altretanto.
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio, Dei cinque che me fa la cegia bela,
Colui che più al becco mi s'accosta, Quel che ti vedi, areale al bèco star,
La vedovella consolò del figlio. Ga consolà del fiol la vedoela. ''•"'
Ora conosce quanto caro costa Desso elo vede quanto da ha costar
Non seguir Cristo, per l'esperienza No andar drio Cristo, dopo aver provà
Di questa dolce vita e dell'opposta. Queste delizie, e tra i danai penar.
E quel, che segue in la circonferenza, Chi arante al primo sora l'arco sta,
Di che ragiono, per l'arco superno, Per far più penitenza el ga possuo 50
Morte indugiò per vera penitenza. Slongar la vita soa. La volontà
Ora conosce che 'l giudicio eterno Desso el vede de Dio nel regno suo,
Non si trasmuta, perchè degno preeo Che no se mua, per far un bon pregar
55-57 (J'ir I dopo ee. -• quegli che segue. E questi Costantino: cedette Roma io dopo i Papa Siliestro con
buona intenzione ma di questo dono ne segui cattivo frutto, avvegnachè a cagione di rsso l'Italia si divise in
"ne fazioni che portarono disordine e anarchia: il trasferimento però di Costantino a Bisanzio colla sede dell'lm-
Kro, non segui per aver ceduto Roma al Papa, come eredevasi da alcuni, ma per lutt'altro motivo: vedi C.
*!X d. 'Il' Ini v. 115 (Bianchi) = ingregar = per aver trasportato l'impero in Greca regione.
61-63 Gulietmo — Gughelmo II detto il Buono, re di l'ujjlia e di Sicilia, cui piange morto quella Sicilia,
thè si duole di veder vivi Carlo lu Zoppo angioino, e Federigo d'Aragona. L'uno le faceva la guerra per ricon-
"urli a rasa di Francia; l'altro con sua brutta avarizia la travagliava. (Bianchi).
08 Iti fi. i - Rifeo troiano hi, serondo eho. scrive Virgilio, uomo di gran giustizia e mori per la sui patria.
71 zavrtriu - farnetica.
Tì tarsiando — vagando.
74 iniinamenle = fino a tanto.
83 ifiamegar — fiammeggiare, scintillare.
414 DEL PARADISO
Per Son tenermi in ammirar sospeso : L'ochio, l'ha scomenzà cussi a parlar :
Io veggio che tu credi queste cose, Ti te credi in ste cosse solamente,
Perch'io le dico : ma non redi come ; Perchè le digo; ma sconte restando,
Sì che, se son credute, sono ascose. Com'ele nassa no ti sa po gnente. 90
Fai come quel che la cosa per nome 1,'ìstesso ti ti fa de chi imparando
Apprende ben ; ma la sua qulditate Va '1 nome de la cossa, e no i ghe vede
Veder non puote, s'altri non la prome. Drento se i altri no i la vien spiegando.
Reynum ccelorum violenza pate Reynum ccelorum a la forza cede
Da caldo amore, e da viva speranza, Del grando amor, che sin la volontà 95
Che vince la divina volontate, Vince de Dio co la speranza e fede ;
Non a guisa che fauin all'uom sovranza, No come un omo l'altro ha superà,
Ma vince lei, perchè vuoi esser vinta, Ma perchè eia la voi vinta restar,
E vinta vince con sua beninanza. E vinta, vince per la soa bontà.
La prima vita del ciglio e la quinta L'anema de Rifeo maravegiar 100
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi E quela de Tragian te fa, perché
La regi'on degli angeli dipinta. Ti le vedi qua in ciel; ma no pensar,
De' corpi suoi non uscir, come credi, Che Pagani quei do morti no i xe;
Gentili, ma cristiani in ferma fede, Ma da cristiani i ga credeste in Cristo;
Quel de' passuri, e quel de' passi piedi. Quel ch'el dovrà patir, e questo che 105
Che l'una dall'Inferno, u' non si riede L'ha za patio : una l'Inferno ha visto,
Giammai a buon voler, tornò all'ossa : Dove al ben no se torna, e da là l'era
E ciò di viva speme fu mercede ; Tornada al corpo ; e questo è sta un aquisto
Di viva speme, che mise sua possa Fato da la speranza con preghiera
Ne' prieghl fatti a Dio per suscitarla, A Dio pietoso per retsussitarla, HO
Sì che potesse sua voglia esser mossa. Aciò la fazza el ben de vogia in tera.
L'anima gloriosa, onde si parla, L'anema bela de la quai se parla,
Tornata nella carne, in che fu poco, Tornada al corpo suo per un pocheto,
Credette in Lui che poteva aiutarla : Ga creda in Quelo che podea salvarla:
E credendo s'accese in tanto fuoco E con fede sentio l'ha tanto afeto 1 15
Di vero amor, ch'alia morte seconda In Dio, che a l'altra morte, degna è stada
Fu degna di venire a questo giuoco. De vegnir in sto logo benedeto.
L'altra, per grazia, che da sì profonda Queraltra, da la Grazia è sta tocada,
Fontana stilla, che mai creatura El fondo de la qual nissun misura,
Non pinse l'occhio insino alla prim'onda, Nè ha savù mai nissun come sia dada. I-'1
Tutto suo amor laggiù pose a drittura; L' ha amà de cuor là zo giustizia pura;
Per che, di grazia in grazia, Dio gli aperte Che tra altre grazie, la vision ga Dio
89 sconto = nascoste.
84 Rnjnvm cirìnrum = il regno dei cieli.
102 ma no pensar = ma non stare a darli alcun pensiero.
105 Quel = cioè Rifco elic visse prima di C. Cristo credette che doveva esser crocifisso = e queiln = fi"
Traiino, che visse dopo la morte di G. Cristo, che aveva patita la crocifissione credette.
KiB-lll una -.-. cioè l'anima di Troiano dall'Inferno tornò ad abitare il suo corpo per intercessione di Su
Gregorio: vedi nota 43 qui sopra -— de vogia — di buon animo.
114 m ffurla =3 cioè in Cristo.
116 a l'ohrà morie = la seconda morte di 'Imiimo dopo essere stato risuscitato.
118 Qud'altra = cioè l'anima di Rifeo.
CANTO XX. 415
L'occhio alla nostra redenzion futura. Dà de la nostra redenzion futura.
Onde credette in quella ; e non sofferse E in quecta elo credendo, l' ha un adio
Da indi '1 puzzo più del paganesmo, Dà al Paganesmo, anzi el ga dà su 125
E riprendeane le genti perverse. La vose ai infedeli. Ga servio
Quelle tre donne gli far per battesmo, Da batisterio le tre done a lu,
Che tu vedesti dalla destra ruota, , Che ti ga viste da la roda dreta,
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo. Mile ani avanti sia el batizo e più.
O predestinazion, quanto rimota O predestinazion, quanto è imperfeta 130
E la radice tua da quegli aspetti, Per veder drento in ti l'umana mente,
Che la prima cagion non reggion tota ! Che no scovre l'origine ben schieta !
E voi, mortali, tenetevi stretti E l'omo in giudicar el sia prudente,
A giudicar : che noi, che Dio vedemo, Perchè tuli i graziai no conosceme
Non conosciamo ancor tutti gli eletti. Nu, che Dio qua vedemo a nu presente. 135
Ed ènne dolce così fatto scemo ; E che la sia cussi contenti semo ;
Perchè '1 ben austro in questo ben s'affina, Perchè'l nostro piacer più se r a lina,
Che quel, che vuole Dio e noi volemo. Mentre quel, che Dio voi, nualtri volemo.
Coti da quella immagine divina, Cossi da la sant'aquila divina
Per farmi chiara la mia corta vista, Aeiò che vegna la mia mente chiara, 140
Data mi fu soave medicina. He xe sta dà la dolce medesina.
E come a buon cantor buon citarista Com'el bravo cantor su la chitara
Fa segisitar lo guizzo della corda, El io canto col son fa un bel acordo;
In che pia di piacer lo canto acquista ; Drio del qual la canzon la xe più cara;
Si, mentre che parlò, mi si ricorda Cussi mentre eia parla, me recordo 145
Ch'io vidi le duo luci benedette, Che ho viste le do luse benedete,
Pur come batter d'occhi si concorda, Come el bater dei occhi va d'acordo,
Con le parole muover le fiammette. Co le parole mover le fiamete.
CANTO VENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Già eran gli occhi miei riflssi al volto Da novo i ochi mi za avea fissai,
Della mia Doma, e l'animo con essi : Dov'el cuor gera, su la Bice mia,
E da ogni altro intento s'era tolto : I altri pensieri avendo descazzai.
Ed ella non ridea; ma: S'io rideni, No la ride, ma dise: Vegneria,
Mi cominciò, tu ti faresti quale Se ridesse, su ti et destin che ha avi
Fu Semelè, quando di cener fèssi. Semele, co l' è stada inceneria :
Che la bellezza mia, che per le scale Che la belezza mia, che granda più,
Dell'eterno palazzo pi {i s'accende Vien come ti ha in sta regia riscontrà
(Com'hai veduto) quanto più si sale, De man in in;iu che se lo monta su,
Se non si temperasse, tanto splende, Se tuta la se avesse a ti mostrà, ÌO
Che'l tuo mortai potere al suo fulgore El to vigor mortai al so splendor
Sarebbe fronda, che tuono scoscende. Ramo saria dal fulmine schiantà.
Noi sein levati al settimo splendore, Semo levadi al setimo lusor,
Che sotto il petto del Lione ardente Che insembrà al segno del Lion ardente,
Raggia mo misto giù del suo valore. Dei ragi soi sentir fa zo el vigor.
Ficca diretro agli occhi tuoi la mente, Vicin ai ochi loi ferma la mente,
E fa di quegli specchio alla figura, E fissarli a la cossa ben procura,
Che in questo specchio ti sarà parvente. Che te comparirà in sto ciel lusente.
Qual sapesse qual'era la pastura Chi de capir avesse la bravura
Del viso mio nell'aspetto beato, Qual gusto aveva in amirar quel viso,
Quand'io mi trasmutai ad altra cura, Conosserave quanta ho avù premura
Conoscerebbe quanto m'era a grato Co lor via da cio l'ochio m' ho deciso,
Ubbidire alla mia celeste Scorta, Tra de lori i do gusti confrontando,
6 Semelé = amata da Giove, istigata dalla gelosa (ìiunone, chiese u Giove elic a lei si mostrasse in in"1
la sua maestà. Ottenne la grazia e rimase dulie folgori di lui fulminata = co = quando.
9 De man in man che te lo monta tu - di niano in mano elic si sale a un cielo più alto.
11 lo = tuo ---- so ..- suo.
13 al si-iimo lutar — cioè al cielo di Saturno.
14 Che intontirà = assembrato, mischiato.
15 zo = giù in terra.
ti Co = quando.
23 Tra de lori i do ynii = cioè il gusto uell'obbedirla e quello di rimirarla
CANTO xxr. 417
Contrappesando l'un con l'altro lato. De ubidir la mia Scorta iti Paradiso.
Dentro al cristallo, che '1 vocabol porta, limitii questo bel ciel, che va zirando 25
Cerchiando'1 mondo, del suo caro duce, Atorno al mondo, e'1 caro nome tot
Sotto cui giacque ogni malizia morta, Del so Re, ch' a ogni vizio ga dà '1 bando,
Di color d'oro, in che raggio traluce, Color de l'oro inluminà dal Sol
Vili" io uno scalèo eretto in suso Vedo una scala alzarse tanto sora,
Tanto, che noi seguiva la mia luce. Che l'ochio mio sin là rivar no poi. 30
Vidi anche per li gradi scender giuso Vegnir ni dai scalini vedo ancora
Tanti splendor, ch'io pensai ch'ogni lume Tanti splendori, che del ciel le stele
Che par nel ciel, quindi fosse diffuso. Tute lusesse in quela ho pensà alora.
E come per lo naturai costume E come l'uso ga le cornachiele,
Le pole insieme, al cominciar del giorno, Che al principiar del zorno, in compagnia 35
Sì muovono a scaldar le fredde piume; Se move per scaldarse e queste e quele;
Poi altre vanno via senza ritorno. E po senza tornar lante va via,
Altre rivolgon sè, onde son mosse, l'ante se vede avanti e incido tornar,
Ed altre roteando fan soggiorno ; E tante star svolando atorno via;
Tal modo parve a me che quivi fosse Talequal mi vedeva bulegar 40
ln quello sfavillar , che insieme venne, Quei lusori, e da l'alto s'un scalin
Si come in certo grado si percosse. Tuti insieme con impito piombar.
E quel, che presso più ci si ritenne, Tanto quel che a nu gera più vicin
Si fe sì chiaro, di' io dicea pensando : Lusea, che tra mi digo: Scovro el grando
lo veggio ben l'amor, che tu m'accenne. Amor che ti ha per mi dal to lumia. 45
Ma Quella, ond'io aspetto il come e'1 quando Ma ilici., da la qual speto el comando,
Del dire e del tacer, si sta ; ond' io, Che tasa o parla no me dà sentor,
Contra'l disio fo ben s'io non dimando. E contro vogia gnente mi domando.
Per ch'ella, che vedeva il tacer mio Eia che vede ne l' Eterno amor,
Vl veder di Colui che tutto vede, Che tuto vede, quanto so bramar, 50
Mi disse: Solvi il tuo caldo disio. Dise : Di' su, quel che ti ga nel cuor.
Ed io incominciai: La mia mercede E mi: Ai meriti m i i no sta a badar,
Non mi fa degno della tua risposta ; Dè la resposta indegno son, ma li
Ma per colei, che il chieder mi concede, Per quela che me lassa domandar,
Vita beata, che ti stai nascosta Anema santa, che ti sta cussi 55
Dentro alla tua letizia, fammi nota Drento ser'ada ne la to alegria,
La cagion, che sì presso mi t'accosta : Dime perchè vicin ti vlen a mi ;
E di' perchè si lace in questa ruola E per cossa la cara sinfonia
La dolce sinfonia di Paradiso, No se fa qua sentir del Paradiso,
Che giù per l'altre suona sì devota. Che zoso in sti altri cieli se sentia. 60
Tu hai l'udir mortai, sì come '1 viso, Rechia a la vista eguai ti ha de preciso
26 tal =: prende.
27 Dal so Re . cioè del re Saturno = che a agni vizio ga ila 'l lamlo • - allude all'eta dell'oro, nella
l'i ile'le regnò
recnù Saturno.
40 bulegar = brulicare.
48 contro vogia .. contro voglia.
49 ne l'Eterno amor = cioè in Dio.
27
448 DEL PARADISO
Rispose a me : però qui non si canta Curia, me dise ; qua se no se canta .
Per quel che Beatrice non ha riso. Xe '1 perchè istesso, che no t'ha soriso
Giù per li gradi della scala santa Bice. Da l'alto de le scala santa .
Discesi tanto, sol per farti festa Me son calà per farle deliziar 65
Col dire, e con la luce che m'ammanta. Co la mia vose e la mia luse tanta.
Nè più amor mi fece esser più presta : No m' ha fato più amor più spessegar,
Che più e tanto amor quinci su ferve, Che qua su de compagno e più del mio
Sì come il fiammeggiar ti manifesta. Ghe n'è, come ti vedi al sfiamegar.
Ma l'alta carità, che ci fa serve Ne fa operar cossi l'amor in Dio: 70
Pronte al consiglio che il mondo governa, ì .uin 'Elo voi, e al fin che Lu ga in inente
Sorteggia qui, sì come tu osserve. Cerne chi ?1 crede, e el m' ha per ti ceraio.
' Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna, Vedo ben, digo, o anema lusente,
Come libero amore in questa corte Come de Dio la volontà qua via
Basta a seguir la provvidonza eterna. Tute fe con amor liberamente ; 75
Ma quest' è quel ch' a cerner mi par forte, Ma stento intender la rason qual sia
Perchè predestinata fosti sola Che ti sola li è sta predestinada
A questo ufficio tra le tue consorte. Tra le compagne a farme compagnia.
Non venni prima all'ultima parola, No ho l'ultima parola pronunziada,
Che del suo mezzo fece il lume centro, Che quela luse ha scomenzà a /irai 80
Girando sè come veloce mola. Come roda va atorno de scapada.
Poi rispose l'amor che v'era dentro : Po l'anema s' ha invià cussi a parlar :
Luce divina sovra me s'appunta, Ragio divin sta luse mia passando.
Penetrando per questa, in ch' io m' inventro ; Dove serada son me vien locar ;
La cui virtù col mio veder congiunta La so virlù col mio inleleto, alzando 85
Mi leva sovra me tanto, ch'io veggio Tanto me va su mi, che vedo ben
La somma Essenzia, della quale è munta. I /mi 'el vegna dal Esser el più grando.
Quinci vien l'allegrezza, ond' io fiammeggio ; Po l'alegria che brila in mi me vien,
Perchè alla vista mia, quant'ella è chiara, Perchè quanta de Dio xe la chiarezza,
La chiarità della fiamma pareggio. Tanta in vardarla el lusor mio ne otien. 90
Ma quell'alma nel ciel che più si schiara, Ma'l Serafin che ha in ciel più lucidezza
Quel serafin che in Dio più l'occhio ha fisso, No poi, siben ch' el sia a Dio più arente,
Alla dimanda tua non satisfara : De quel ti cerchi scrutinar l'altezza ;
Perocchè sì s' inoltra nell'abisso Per la rason che tanto ne la mente
Dell'eterno statuto quet che chiedi. Eterna el se sprofonda, che arivar 95
Che da ogni creata vista è scisso. Nissun certo ghe pol nè intender gnente.
Ed al mondo mortai, quando tu riedi, Co ti sarà al to mondo per tornar,
CANTO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
i
Di Benedetto la celeste vita Drento nel so Insor conta el gran Santo
Chiuso in sua luce narra come al pio Benedeto, che qua pagana zente
Culto già trasse assai gente smarrita. De tirar a la Fede l'ha avil el vanto.
A lui palesa Dante il suo desio De domnndarghe grazia a Dante in mente
Di lui veder fuor de' suoi raggi belli : Vien, ch'el ghe scovra a lu i so ragi bei;
Ei gliel promette pia dappresso a Dio; Co '1 sari ghel promete a Dio presente.
Intanto sale agli eterni Gemelli. EI se alza intanto al Cielo dei Zemei.
Oppresso di stupore alla mia Guida Sbalordio m' ho voltà da la mia Guida,
Mi volsi, come parvol, che ricorre Com' el putin, se dogia lo tormenta,
Sempre oolà, dove più si confida. Core sempre da chi lu più se fida.
E quella, come madre, che noccorre E eia, come una mare che ochia atenta
Subito al figlio pallido ed anelo L'ansante smorlo smorto so putelo,
Con la sua voce, che'l suoi ben disporre, Lo quieta co la vose e lo contenta,
Mi disse: Non sai tu che tu se' in cielo ? Me dise : No ti sa d'esser in cielo ?
E non sai tu, che '1 cielo è tutto santo, No li sa che xe in cielo tulo santo,
E ciò che ci si fa vien da buon zelo ? E quanto qua vien fato è tuto belo ?
Come t'avrebbe trasmutato il canto, Desso li poi pensar cossa drio al canto 10
Ed io ridendo, mo pensar lo puoi, Ti saressi e al mio riso deventà,
Poscia che '1 grido t" ha mosso cotanto ; Se quel cigor el le ga scosso tanto;
Nel qual, se inteso avessi i prieghi suoi, Nel qual se'l prego ti avessi scoltà,
Già ti sarebbe nota la vendetta, La vendeta ti avressi anca sentia,
La qual vedrai innanzi che tu mimi. Che prima de morir li vederà. 15
La spada di quassù non taglia in fretta, La giustizia de Dio presto vien via,
Nè tardi, ma' che al parer di colui, O lardi vien, se no per chi bramada
Che, desiando o temendo, l'aspetta. O per chi con leror vista la sia.
Ma rivolgiti omai inverso altrui, Ma varda st'altra trupa qua logada ;
Ch' assai illustri spiriti vedrai, Ti ne vederà tanti in fama stai, 20
Se, co m' io dico, l'aspettQ ridui. Se, come digo, ti ghe dà un ochiada.
Com' a lei piacque, gli occhi dirizzai, Come ga piasso, i ochi go voltai,
E vidi cento sperule, che insieme E («lunedi i ho visto a centener
2 dnyiu = doglia.
4 mare = madre.
10-11 Desso li poi pensar co. — si allude al sorriso di Beatrice e al cantare nel Paradiso di cui i v. 4,
62, 63 del Canto precedente.
12 cigor = grido: vedi il canto precedente, v. 140.
14 la vendila = la vendetta cioè che Dio prenderà sui pastori a lui ribelli, i qnali antepongono il fasto
mondano alla umiltà insegnata da G. Cristo.
19 logada — collocata.
13 Woncjiii = palloncini.
422 DEL PARADISO
Più s'abbellivan con mutiii rai. Scambiarse insieme ragi bei che mai.
Io stava come quei che in su ripreme Mi gera come chi contro voler ì'a
La punta del disto, e non s'attenta La smania tien indrio che ghe fa dogia,
Di domandar ; sì del troppo si teme. E'1 tropo domandar lo fa temer:
E la maggiore e la più luculenta E la più granda e più lusente zogia
Di quelle margherite innanzi fèssi, A mi davanti la se ga tirà
Per far di sè la mia voglia contenta. Per poder far contenta la mia vogia. 30
Poi dentro a lei mi i" : Se tu vedessi, Po dise : Se vedèr la carità
Com'io, la carità che tra noi arde, Che xe tra nu, podesse l'ochio to,
Li tuoi concetti sarebbero espressi : Com' el mio, ti avaressi za parlà ;
Ma perchè tu, aspettando, non tarde Ma l'alto scopo del to viazo ació
All'alto fine, io ti farò risposta No te intardighi, a quel che ti ga in mente, 35
Pure al pensier, di che si ti riguarde. E che ti tien dal dir, responderò.
Quel monte, a cui Gassino è nella costa, Quel monte, che redosso aver se sente
Fu frequentato già in su la cima Cassino, el gera sta frequentà in cima
Dalla gente ingannata e mal disposta. De zente orbada, da idolatra zente.
Ed io son quel, che su vi portai prima E mi son quelo che ha portà là in cima M
Lo nome di Colui, che in terra addusse El nome santo de Chi dava al mondo
La verità, che tanto ci sublima. El Vangelio, che tanto ne sublima.
E tanta grazia sovra me rilusse, E tanta grazia ho ricevudo al mondo,
Ch' io ritrassi le ville circostanti Che i paesi atorno go possù via tur
Dall'empio culto, che 'i mondo sedusse. Dai falsi dii che inzinganava el mondo. K
Questi altri fuochi tutti contemplanti Ste altr' aneme che manda sto splender,
Uomini furo, accesi di quel caldo, Stai xe in far e in pensar omeni santi,
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. Perchè infiamadi dal divin amor.
Qui è Maccario, qui è Romualdo; Qua Macai io e Romualdo gh'è tra i tanti;
Qui son li frati miei, che dentro a' chiostri Qua xe i mii frati, stai nei so conventi 60
Fermaro i piedi, e tennero '1 cuor saldo. Sempre fermi, e a la Regola costanti.
Ed io a' lui: L'affetto, che dimostri E mi : L'amor che ti dismostri e senti
Meco parlando, e la buona sembianza, Con mi parlando, e sto più bel lusor
Ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri, Che in vualtri vedo, o Santi resplendenti,
Così m' ha dilatata mia fidanza, Me ga dà tanta fede e stargà '1 cuor, 55
Come '1 Sol fa la rosa, quando aperta Com' el Sol tuta quanta fa spanir
26 dogia = duolo.
28 zogia = gioiello.
29 se ga lirà = si trasse.
30 vogia .-. desiderio.
31 Po = poi, poscia.
32 l'ochio lo = l'occhio tuo.
38 Cattino — castello in Terra di Lavoro.
39 da idolatra zente --- di idolatri che frequentavano il tempio di Apolline eretto molto vicino al moni''
41 El nome santo de Chi = il nome di G. Cristo. Questi che parla e San Benedetto principale instilutOK
della vita monustica in Occidente. Era nato in Norcia nel 480; morì verso il 540.
45 inzinganava _- ammaliava.
49 Macario = San Maccario: due furono i Maccarii: qui pare si debba intendere l'Alessandrino detto il ji»
unii-, che fra il IV e V secolo dirigeva da 5000 monaci = Romualdo . San Romualdo fondatore dell'ordine Ci-
maldolese, fu nativo di Ravenna, e visse nel secolo X. (Bianchi;.
56 tpanir = sbocciare.
CAIVTO'XXII. 423
94-95 Più stupir fa'l Giordan ce. — allude ai duc miracoli operati da Dio che a le preghiere di to,
fece andare indietro il corso del fiume Giordano, ed aprire le acque del Mar dosso per dar tempo agli Ebrei in
seguiti dall'armata di Faraone = indrio voltò -... facendo il corso a ritroso .-=(-n-». quando.
99 bissabova — girone, vortice turbinoso di renio.
102 iji-ivi-z-n -..-. gravita, peso.
105 con iiuni mio trota -- con quella mia celerilà.
107 culpa — voce Ialina usata comunemente.
109 dni -- dito.
110 eh'ti segno = il segno celeste elic segue il Toro sono i Gemelli, o sfera delle stelle fisse.
112-114 Gloriose siete ee. —- Dante era nato nel Maggio del 1265, nel qual mese il Sole o in Gemini , "-
stellazionc che gli astrologhi dicevano influire l'ingegno e la scienza delle cose.
115 xe quelo — cioè il Sole. .
118 E co = e quando.
122 vogiè = vogliate.
123 Al gran pano --. cioè alla difficile impresa di descrivero il cielo empireo, e di favellare della Triaiià
e delle due nature in Cristo; vale a dire, alla conelusione del poema, dove si serbano le cose più alte e -'
124 armlt = dappresso.
CATTO xxii. 425
Cominciò Beatrice, che tu dèi Bice a mi, credi pur ai diti imi, • 125
Aver le luci tue chiare ed acute. Che ga da veder i ochi toi de più.
E però, prima che tu più t'inlei, Perciò avanti più arente ti ghe sii,
Rimira in giuso, e vedi guanto mondo Varda in zo el mondo e ogni sfera bela,
Sotto li piedi già esser ti fèi; Che i' ho fato restar soto i lo pii,
Si che'l tuo e ui a, quantunque può, giocondo Aciò, più gagio che ti poi, in quela 130
S'appresenti alla turba trionfante, Santa trupa te imbati, che trionfando
Che lieta vien per questo etereo tondo. La vien alegra alegra qua in sta stela.
Col riso ritornai per tutte quante Col viso in zo mi i sete cieli ochiando
Le sette spere: e vidi questo globo Stava da novo, e in veder el meschin
Tal, ch' io sorrisi del suo vii sembiante. Globeto nostro, andava soghignando; 135
E quel consiglio per miglior approbo, Calcolo l'omo d'un inzegno fin,
Che I " ha per meno : e chi ad altro pensa, Che lo desprezza, e d'una virtù rara
Chiamar si punte veramente probo. Chi pensa a Dio che xe principio e fin.
Vidi la figlia di Latona incensa Visto ho la Luna senza machie e chiara,
Senza quell'ombra, che mi fu cagione, Che la mia testa tacila r me fava, 140
Per che già la credetti rara e densa. Col creder che la fusse fissa e chiara.
L'aspetto del tuo nato, Iperìone, El Sol in fazza là' franco fissava ;
Quivi sostenni; e ridi coin' si muove, E'come intorno e arente a quel se move
Urea e vicino a lui Maia e D'ione. Con Venere Mercurio anca vardava.
Quindi m'apparve il temperar di Giove In tra Saturno e Marte ho visto Giove, 145
Tra "I padre e '1 figlio; e quindi mi fu chiaro Che calma el fredo e '1 caldo ; e ho capio là
D variar, che fanno di lor dove De cambiar sito qual rason li move.
E tutti e sette mi si dimostraro E tuli sete i se me ga mostrà
Quanto son grandi, e quanto son veloci, Quanto i xe grandi e coridori al pari,
E come sono in distante riparo. E come giusta la distanza i ga. 1 50
L'aiuola, che ci fa tanto feroci, L'areta, che ne fa superbi e avari,
Volgendoli!' io con gli eterni Gemelli, Mentre zirava atorno coi Zemei,
Tutta m'apparve da' colli alle foci : Tuta vista la go dai monti ai mari :
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli. Po i ochi go voltà su i ochi bei.
CANTO VENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
12 Chc più a pian = quando il Sole sorge dall'Orizzonte terrestre, l'ombra dei corpi è lunghissimi; n»
quella lunghezza si diminuisce da principio con molta rapidità: indi a poco a poco la rapidità vini meno, uà-
tanto che, accostandosi il Sole al mezzo del cielo, pare che l'ombra punto non iscemi. All'incontro rapidamenie
va allungandosi allora elic il Sole piega verso l'Occidente. Da questo fenomeno il volgo arguisce che il Sole
nel mezzodì abbia men fretta (Bianchi A
24 costruì» = profitto.
CANTO xxirr. 427
Quale ne' plenilun'i! sereni Come ride al seren Diana restia 25
Trivia ride tra le ninfe eterne, ln piena gala tra le sue sorele,
Che dipingono '1 ciel per tutti i seni, Che brila in ciel per tuto dov'el sia;
vi. l'in sopra migliaia di lucerne Go visto sora un mier de luse bele
Un Sol, che tutte quante l'accendea, Un Sol che tute quante inluminava,
Come fa'l nostro le viste superne : Com'el Sol nostro inlumina le stele. 30
E per la riva luce trasparea K. tanta luse quel gran Sol mandava
La lucente sustanzia tanto chiara, De carità divina e cussi chiara,
Che lo mio viso non la sostenea. Che l'ochio mio in vardar se imbarbagiava.
O Beatrice, dolce guida e cara! O Bice, ho dito mi, mia Guida cara !
Ella mi disse : Quel che ti sobransa Quel che te orba, la dise prontamente, 35
E virtù, da cui nulla si ripara. Xe cossa da la qual nissun se para.
Quiri è la sapienza e la possanza, El Sapiente xe qua, qua xo '1 Potente,
Ch'apri la strada tra'l cielo e la terra, Che da la lera al ciel verta ha la strada,
Onde fu già sì lunga disianza. Che tanto tempo ha sospirà la zente.
Come fuoco di nube si disserra, Come bampa nel nuvolo stargada, 40
Per dilatarsi sì che non vi cape, Da quel che più no la contien, sortia,
E fuor di sua natura in giù s'atterra ; Contro el so istinto in tera s'ha sianzada ;
Così la mente mia, tra quelle dape Cossi tra quele zogie più ingrandia
Fatta più grande, di sè stessa uscio ; La mia mente, da mi la s'ha diviso,
E che si fèsse rimembrar non sape. E no recorda i fati de là via. 45
Apri gli occhi, e riguarda qua1 son io : Bice a mi : Leva i ochì, e dopo in viso
Tu hai vedute cose, che possente Vardime, che drio quel che ti ga ochià,
Su' fatto a sostener lo riso mio. Ti podarà frontar anca el mio riso.
lo era come quei che si risente Come chi un sogno s'ha desmentegà
Di visione oblita, e che s'ingegna Mi gera, che se strussia a recordarse, 50
lndarno di rifi urlasi alla mente ; Ma a la memoria far vegnir no sa,
Quando io udi' questa profferta, degna Co ho sentio sto tantin, che de stampar.se
Di tanto grado, che mai non si stingue El grato cuor in mente dovaria,
Del libro che'l preterito rassegna. Aciò ch'el possa in questa conservarse.
Se mo sonasser tutte quelle lingue, Se i cantori che tuli Polinia 55
Che Polinnia con le suore fèro lnsieme a le sorele del Parnaso
A
CANTO XXIII. 429
E com'ambo le luci mi dipinse E apena qual go ochià gera el lusor
I : quale e '1 quanto della viva stella, E quanto, che in virtù elo xe là,
Che lassù vince, come quaggiù vinse, Come qua '1 xe sta in gloria superior ;
Per entro '1 cielo scese una facella, Da l'Empireo una fiama s'ha calà,
Formata in cerchio a guisa di corona, Che fata a cerchio in forma de corona, 95
E cinsela e girossi intorno ad ella. Zirando intorno la lo ga serà.
Qualunque melodia più dolce suona El più bel canto che qua io s' intona
Quaggiù, e più a sè l'anima tira, E più l'anema incanta, pararla
Parrebbe nube che squarciata tuona, El sbregarse del nuvolo che tona, »
Comparata al suonar di quella lira, Messo in confronto de la melodia 100
Onde si coronava il bel zaffiro, Dè lu che incoronava quel brilante,
Del quale il ciel più chiaro s'inzaffira. Per el qual chiaro el ciel più comparia.
Io sono amore angelico, che giro Son l'aiuolo che esalta giubilante
L'alta letizia, che spira del ventre, L'alegria che ha dà el sen dov'è sta Quelo,
Che fu albergo del nostro desiro : Che nu avemo aspetà con ansie tante; 105
E girerommi, Donna dei ciel, mentre E andaró atorno a Ti, Dona del cielo,
Che seguirai tuo Figlio, e farai dia Sin che ti sta col Fio, e li farà
Più la spera suprema, perchè gli entro. Luser più el più bel ciel Ti drento in elo.-
Cosi la circuiate melodia Cussi i in/oli: el canto ha terminà;
Si sigillava, e tutti gli altri lumi E le altre luse tute in dolce ton 110
Facean sonar lo nome di Maria. El nome de Maria le ga cantà.
Lo real manto di tutti i volumi Del ciel che i altri involze in t'un balou,
Del mondo che più ferve e più s'avviva Fasendoli zirar, n otien de più,
Nell'alito di Dio e ne' costumi, Più a rente a Dio, lusor e perfezion;
v , , sopra di noi l' interna riva El colmo soto via lanto da nu 115
Tanto distante che la sua parvenza Lontan se alzava in su, che l'ochio mio
Lì, dov' i' era, ancor non m'appariva. Da là zo no l'andava sin a lu.
Però non ebber gli occhi miei potenza Perciò no go podesto tegnir drio
Di seguitar la coronata fiamma, A la Dona divina, che vicin
Che ti levò appresso a sua semenza. Se ga alzà coronada al divin Fio. 120
E come fantolin, che inver la mamma E come a la so mama el fantolin,
Tende le braccia, poi che '1 latte prese, Dopo el late succhià, sporze i brazzeli
Per l'animo che indn di fuor -" infiamma ; Per l'amor che ghe scalda el coresin;
Ciascun di quei candori in su si stese Tuli quanti quei cari lumineti
Con la sua cima, sì che l'alto affetto, Ga stongà la so ponta, e quanto alora 125
127 Regina Cali = k un'antifona che la Chiesa recita a Compieta nel tempo Pasquale; e nel tempo di Pa
squa appunto si trova il poeta in Paradiso = po = poscia.
128 De fazza a mi = di faccia a me, dirimpetto.
135 t chiatti =. nel senso di bagordi mondani.
138 c/n tato Crino = cioè S. Pietro.
431
CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Lo bnoo Pastor, al qual Cristo fidava Qael buon Pastor, al qual Cristo fidava
Cristo il governo già da prima diede, Dei Cristiani el governo, e a lu le sante
E l'alta chiavi, e la divina legge; Chiave del Paradiso consegnava;
Fattosi innanzi, allo Poeta chiede, Fatose avanti, ghe domanda a Danto
Per farne con esame sperienza, In cossa che se basa la so Fede.
Qnaj sieno i fondamenti di sua fede; La Bice lo incoraci.! e po a le tanta
Ei gli risponde, e vera e sua credenza. Lu responde, e xe vero quanto el crede.
1 cerultai = scelta.
2 Del caro Agnel = cioè G. Cristo.
5 loia = tavola da pranzo = '• fregole = le briceiole, cioè i frammenti della sovrabbondante gloria divini.
6 tal tu = raccoglie.
7 A la gran vogia ch'el i/a IH — all'ardente desiderio di lui.
8 De quel licor divin = cioè della divina sapienza = licor — liquore = un /io = un pochino.
13 cofà i i-ertiii = a guisa dei cerchi = relogio .= orinolo.
15 e porta l'ultima dal vmto = e l'ultimo va con tutta velociti.
432 DEL PARADlSO
64 virtù più /',,i-n —- perchè in questa si fonda ogu'.dtra virtù, com'è dichiarato al v. 90-91.
79 Quando in ilo hon verso = quando .la questo buon lato, cio£ rottamente.
81 che va a rovcrto = cioè elic intende u rovescio.
85 n la ga mauro — tu l'Ini maturu, ridi' stabilitu.
88 Da là un fìà = da lì u poco.
93 Per via = per mezzo.
94 raton = cagione, motivo.
97 Per cotta — per qual motivo. '
28
434 DEL PARADISO
Non scaldò ferro mai, nè batta ancude. No la ga avudo parte un sol momento.
Risposto fammi: Di', chi t'assicura E lu: Dime, chi xe che te assicura
Che quell'opere fosser? quel medesmo Dei miracoli : xeli forsi stai
Che vuoi provarsi non altri il ti giura . I Testamenti? o qualchedun tei zura? 105
Se '1 mondo si rivolse al cristianesmo. Se i M; al mondo cristiani deventai,
Diss'io, senza miracoli, quest'uno Digo, senza miracoli, sto solo
È tal, che gli altri non sono '1 centesmo : Ga cento volte i altri superai,
Che tu entrasti povero e digiuno Che povareto e senza gnanca un colo
In campo a seminar la buona pianta. De fama ti ha la fedo predicà, 110
Che fu già vite, ed ora è fatta pruno. Che adesso la va al mondo a rompicelo.
Finito questo, l'alta corte santa A sto sito i beati ga mandà
Risonò per le spere un : Dio lodiamo, Dai cerchi un : Dio lodemo, con quel canto
Nella melode che lassù si canta. Armonioso che solo in ciel se fa.
E quel Baron, che sì di ramo in ramo, E cossi tamisandome quel Santo Ilo
Esaminando, già tratto m'avea, Ponto per ponto circa la vertenza,
Che all'ultime froade appressavamo, Che a terminarla no mancava tanto,
Ricominciò : la grazia, che donnea L'ha comincià da novo: La potenza
Con la tua mente, la bocca t'aperse De la grazia ch'el to cervei tien drito,
Insino a qui, com'aprir si dovea ; T'ha fato dir sin qua bona sentenza; 120
Sì ch'io approvo ciò che fuori emerse : E mi convegno in quel che ti ga dito:
Ma or conviene esprimer quel che credi, Ma in cossa che ti credi, e cossa è sta
Ed onde alla credenza tua s'offerse. Che te fa creder dime su pulito.
O santo padre, o spirito, che vedi O Santo, digo, che ti vedi qua
Ciò che credesti, si che tu vincesti Quel che credeste ti ga ti cossi, 125
Vèr lo sepolcro più giovani piedi, Che d'un zovene prima ti è arivà
Comincia'io, tu vuoi che io manifesti Al sepolcro, ti voi che spiega mi
La forma qui del pronto creder mio ; In cossa credo, e diga anca del mio
Ed anche la cagion di lui chiedesti. Civdiii franco el motivo. Eco che a ti
Ed io rispondo : Credo in uno Dio Respondo: lu un sol credo Eterno Dio, 130
Solo ed eterno, che tutto '1 ciel muove Che mosso da nissun, luto Lu move
Non moto, con amore e con disio. El ciel, e con amor el ghe tien drio;
Ed a tal creder non ho io pur pruove E in creder questo, go no sol le prove
Fisiche e metafisiche; ma il almi Fisiche e metafisiche, ma i schieti
Anche la verità, che quinci piove Oracoli » f i'l dise, che zo piove 135
Per Moisè, per profeti e per salmi. Da Mosè, dal Salmista, dai Profeti,
10! No la •i" umiln parte --- non ci entrò punto = UH sol momento - uè punto ne poco.
107 ito solo = questo solo.
109-110 senza gnanca un colo De fama = senza uno goccia, un bricciolo di fama.
Ili a rompicelo = a soqquadro.
113 Dai cerchi = dai circoli luminosi, di cui sopra si è dello al v. 11 = nn: Dio lodemo = un Te Dcom
laodamus.
115 tamisandome = esaminandomi con rigore.
123 pulito = bene.
126 Che d'un zovene prima li è arivà ce. = correndo S. Pietro con Giovanni al Sepolcro di G. C. gli fu dal
la divina grazia concesso di entrarvi il primo, e vincere cosi il condiscepolo ch'era più giovane e più agile di lui.
132 tl ghe lien drio =t Io sorveglia, lo governa.
135 Oracoli = cioè detti di verità .- Oracolo nel dialetto veneziano Ira i vari significati ha quello partdi
verità assoluta. •
CANTO xxiv. 435
Per l'evangelio, e per voi che scriveste, Dal Vangelio e da vualtri, che l'avè
Poi che l'ardente Spirto vi fece almi. Scrita, co Dìo v'ha dà grandi inteleti.
E credo in tre Persone eterne ; e queste Credo Dio in tre persone, e credo che
Credo una esscnzia si una e sì trina, Queste un Esser le sia, che in singolar 140
Che solfera congiunto sani et fste. Comporta ci xe, come in plural i xe.
Della profonda congiunzion divina. St'arcana, de la qual son drio parlar,
Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla Santa union, el Vangelio ferma e viva
Più volte l'evangelica dottrina. La fa in più siti in mente mia stampar.
Quest'è'l principio, quest'è la favilla, Xe questo el fondamento e la faliva, l i."i
Che ti dilata in fiamma poi vivace, Che in bampa po se starga su le brase,
E, come stella in cielo, in me scintilla. E come stela lustra in mi l'ariva.
Come il signor, ch'ascolta quel che i piace, Come che in ascoltar quel che ghe piase,
Da indi abbraccia '1 servo, gratulando Se va via via el paron ingaluzzando,
Per la novella, tosto ch'ei si tace; E abrazza el servitor apena el tase; 150
Cosi, benedicendomi cantando, Cossi benedisendome e cantando,
Tre volte cinse me, sì com'io tacqui, Tre volte, co ho tasù, m' ha tornià '1 Santo,
L'apostolico lume, al cui comando Al qual gavea parlà per so comando;
lo aveva detto ; sì nel dir gli piacqui. Quel che go dito, ah sì, ga piasso tanto.
CANTO VENTESIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quegli, per cui Galizia ancor s'onora. (Jmd Santo, per el tjual tanto se onora
Ed or e i'iin'- nella pura stanza l,a Galizia, n in quela sfera là
Kra quei che un solo oggetto si innamora, l.use tra quei che un Sol tuti inamura.
Chiede tre cose intorno alla Speranza; Su la Speranza tre domande el fa.
Una Beatrice, due ne scioglie DanU'. A una Bice renponde, e a l'altre Dante.
Giovanni Evangelista indi n'avanza San Zuane, co l'esame e termina,
Kra l'altre due facelle eterne e sante. /onze tra le do prime luse sante.
Se mai continga che '1 poema sacro, Se Dio voi che sto sacro canto mio,
Al quale ha posto mano e cielo e terra, Che in farlo tera e ciel ga di le spente,
Sì che m'ha fatto per più anni macro, Tanto che per dei anni el m' ha smagrio,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra Amansa la fierezza, che inocente
Del bello ovile, ov'io dormii agnello M' ha IM//ÌI fora da la patria mia, 5
Nimico a' lupi, che gli danno guerra ; Tolto a odiar da la soa nemlga zente;
Con altra voce omai, con altro vello Coi cavei bianchi e vose indebolia
Ritornerò poeta, ed in sul fonte Tornarò là poeta, e incoronà,
Del mio battesmo prenderò '1 cappello : Dov'el balizo ho avuo farò che tia ;
Perocchè nella fede, che fa conte Perchè mi son in quela fede entrà, 10
L'anime a Dio, quivi entra'io; e poi Che dà le aneme a Dio, e Piero gera
Pietro per lei sì mi girò la fronte. Per eia atorno al fronte mio /irà.
Indi si mosse un lume verso noi Po un lusor destacà da la lumiera
Di quella schiera, ond'uscì la primizia, (Dal primo un poco avanti abandonada
( '.ho lasciò Cristo de' vicarii suoi. Dei Vicari che Cristo ha lassà in tera) 15
E la mia Donna piena di letizia, Ne vien incontro. E tuta ralegrada
Mi disse : Mira, mira : ecco '1 Barone, Bice a mi : Varda, varda : eco quel Grando.
Per cui laggiù si visita Galizia. Per el qual xe Galizia visitada.
Sì come quando '1 colombo si pone Come fa do colombi, che tirando
Presso al compagno, l'uno all'altro pande, Un drio l'altro dismostra tra de lori 20
Girando e mormorando, l'affezione ; El so amor, e i se cocola tugando ;
t lerà t ciel --- la scienza umana, cioè la filosofìa, e la scienza divina, cioè la teologia = ga da le tpe*»
= gli die le spinte, cioè gli diede uiuto.
5 cazza -- cacciato.
6 Tolto in odio - • preso a odiar.
13 da la lumiera —- formata dai beati spiriti: vedi i v. 11 e 12 del canto prcced. ove fu dello: Comt i
cerchi tu i perni dal contento zirando ce.
14 Dal primo = cioè S. Pietro.
17-18 eco iini-l Grando ee. — cioè San fiiacoino, per divozione al quale i pellegrini tritano Compostelii di
Galizia ov'è il suo sepolcro.
21 e i te cocola = e si accarezzano -- lugando = lugar è il vero termine usalo per esprimere il cupo
mormorio proprio dei colombi.
CANTO XXV. 437
Coii vid'io l'uri dall'altro grande Cussi quei do campioni i santi amori *
Principe glorioso essere accolto, Mostrarse ho visto co la istessa ardenza,
Laudando il cibo, che lassù si prande. Mandando lode a Dio, pasto ai so cuori.
Ma poi che '1 gratular si fu assolto, Ma ziti in fazza a mi, drio st'acolgenza 25
Tacito coram me ciascun s'affisse Tuli se ga fermà cossi lusendo,
Ignito sì, che vinceva '1 mio volto. Che no ho possù frontar la so presenza.
Ridendo allora Beatrice disse : Bice al novo vegnù dise ridendo :
Inelita vita, per cui la larghezza O glorioso campion, che l'abondanza
Della nostra basilica si scrisse, Ufi doni, che fa Dio, ti è andà scrivendo, 30
Fa risonar la Speme in quest'altezza : Parla da sto alto ciel su la Speranza
Tu sai che tante volte la figuri, Che ha in li tre volte figurà Gesù,
Quante Gesù a' tre fe più chiarezza. Quando el ga ai tre schiaria la so possanza.
Lerà la testa, e fa che t'assicuri ; Leva la testa, via, no temer più;
Che ciò che vien quassù dal mortai mondo, Che ha d'esser rafinà da sto lusor 35
Convien ch'a' nostri raggi si maturi. Tuto quel che dal mondo vien qua su.
Questo conforto dal fuoco secondo (ÀJSSÌ la nova luse m' ha dà cuor ;
Mi venne; ond'io levai gli occhi a'monti, E l'ochio su i do santi ho alzà mi aloni,
Che gl'incurvaron pria col troppo pondo. Che in prima avea sbassi dal gran splendor.
Poichè per grazia vuoi che tu t'affronti Za che la grazia, avanti che te mora, 40
Lo nostro Imperadore, anzi la morte, De parlar ai so Santi Dio t' ha dà,
Nell'aula più segreta co' suoi Conti, Che questo ciel privilegià i onora,
Sì che, veduto "1 ver di questa Corte, Aciò, vista qua ti la verità,
La Speme, che laggiù bene innamora, La speranza, conforto de la tera,
In te ed in altrui di ciò conforte; Saldar ti gabi in ti e in quei de là ; 45
Di' quel ch'ell'è, e come se ne infiora Cossa xela mo, dime, in qual maniera
La mente tua ; e di' onde a le venne. Ti speri, e donde la te i e vegnuda:
Così seguio '1 secondo lume ancora. Cussi el discorso el lusor novo sera.
E quella Pia, che guidò le penne E Bice, che bontà per mi l' ha avuda
Delle mie ali a così alto volo, De trarme tanto in alto d'eia a drio, 50
Alla risposta così mi prevenne: Cossi la mia resposta ha prevegnuda :
La Chiesa militante alcun figliuolo La Chiesa guerizante no ga un fio
Non ha con più speranza, com'è scritto Che supera in sperar l'anema sua,
Nel Sol, che raggia tutto nostro stuolo. CDIIU', schiarii da Dio, vedemo in Dio.
Però gli è conceduto che d'Egitto Perciò la grazia de vegnir l' ha avua 55
56-57 armili aver Sia in fin la to guera = cioè prima che abbia posto termine, colla di lui morie, al suo
combattere nella vita mortale in favore dellu religione.
59 Ti ghe carchi - - tu gli domandi.
62 Tanto intrigai = tanto intralciati, avviluppati.
72 Unti gran cantor — cioè David che cantò le lodi di Dio.
73-74 Spera IH Ti ec. ^ nei suoi canti sublimi in lodo di Dio egli dice: Sperino in te coloro che cono
scono il nome tuo, e sunno che In sei misericordioso.
76 dal lo voto = dello sotto metafora, per vaso dellu scienza.
77 Kc l' l'inzndri tua = cioè, col mezzo della tua Epistola = con eln = uioè, colh' cose delti- da
7S mi pien a. - cioò, io abbondantemente fornito di lauta grazia, lu riverso sopra gli altri.
81 Coine in t'nn nnpio — come in un attimo, in un baiter di ciglia.
39 la mela tia - cioò il Paradiso.
CANTO XXV. 439
Dice Isaia, che ciascuna vestita Con do veste sarà, dise Isaia, •
Nella sua terra fià di doppia vesta : Vestia ne la so patria, e se capisse
E la sua terra è questa dolce vita. Che sta patria xe '1 ciel. E lo diria
E "1 tuo fratello assai vie più digesta, Megio ancora San Zuane, el qual schiarisse,
Là dove tratta delle bianche stole, Dove de stole bianche el ga tratà, 95
Questa rivelazion ci manifesta. Questo revelo ne l'Apocalisse.
E prima, appresso 'I fin d'este parole, De parlar prima ch'abia terminà,
Sperent in te, di sopra noi s'udì : Sperent in te, su nu s" ha sentio lì,
Al che risposar tutte le carole. E tuli i lumi la resposta ha dà.
Poscia tra esse un lume si schiarì Po un lusor vien tra quei chiaro cussi, 100
Sì, che, se '1 Cancro avesse un tal cristallo, Che se '1 Cancro l'ardesse in tal maniera,
II verno avrebbe un mese d'un sol dì. Per un mese d'inverno saria dì.
E come surge, e va, ed entra in ballo Come vergine gagia entra leziera
Vergine lieta, sol per fare onore In baio, no per ambizion, ma oimi
Alla novizia, non per alcun fallo ; Per farghe a la novizza e bona ciera; 105
Cosi vid'io lo schiarito splendore Cossi vegnir go visto quel lusor
Venire a' due, che si volgeano a ruota, Incontro ai primi do, che presto presto
Onai conveniasi al loro ardente amore. I andava in ziro spenti dal so amor.
Misesi lì nel canto e nella nota : Po '1 ga cantà quel canto e con quel sesto:
E la mia Donna in lui lenea l'aspetto, E come sposa zita e queta sta, 110
Pur come sposa tacita ed immota. Bice tegniva in quei l'ochio modesto.
Questi è colui, che giacque sopra '1 petto Questo è quel che sul peto ha repossà
Del nostro Pellicano ; e questi fue Dè Cristo, che per fiolo el ga a Maria
Di su la croce al grande ufficio eletto. Stando sora la Crose destinà.
La Donna mia così : nè però piue Cussi Bice, che mai no leva via 115
Mosser la vista sua da stare attenta I ochi sintanto la xe drio a parlar,
Poscia, che prima, le parole sue. Da quei lusori. Come chi voria,
Quale è colui, ch'adocchia, e s'argomenta Quando l'ecrisse ita per scomenzar,
Di vedere ecelissar lo Sole un poco. Fissar i ochi in tei Sol, ma no ghe giova,
Che, per veder, non vedente diventa ; Che ancora el tropo chiaro lo fa orbar; 120
Tal mi fec'io a quell'ultimo fuoco, Cossi resto in fissar la luse nova,
Mentreche detto fu : Perchè t'abbagli Mentre eia dise : Perchè qua ti sta
Per veder cosa, che qui non ha loco? A orbarle in scovrir quel che no se trova ?
91 Con do veste = cioè la beatitudine dell'anima e la glorificazione del corpo. = dine liaia == ecco le pa
role d'Isxia, In terra sua dupliciu poisidebunt, lalilia tempilerna erit tia. Is. LXI, 7.
9! ne la so patria -... cioè la patria dei Beati.
96 revelo = rivelazione.
98 Spermi in le -• parole del Salmo IX.
101 Cancro - una delle dodici costellazioni del Zodiaco.
103 gagia = lieta, allegra.
105 la novizza -- la sposa novella.
108 tpenti = spinti, eccitali.
109 Po'/ ga canta ce. — S. Giovanni, entrato ter-io fra i due, cantò le medesime pai-ole di cui al v- 98. —
• con 'iiu-i ttilo — e colla stessa cantilena.
112 Quello i iinel = cioè S. Giovanni riposò sul pelle di G Cristo.
120 orbar - abbagliare.
123 in tcotirir -/•"-' che no ie trova = Dante si affissava nello splendore di S. Giovanni per vedere se era
lassù anche col corpo. Questo dubbio era nato dalle parole di G. C. intorno a lui: Sic emo volo manere donee
reniam (Bianchi/
440 DEL PARADISO
In terra è terra il mio corpo ; e saragli 'Lo in in « xe '1 mio corpo, e el starà là
Tanto cogli altri, che '1 numero nostro Con luti i altri come Dio ha deciso, 125
Con l'eterno proposito s'agguagli. Sin ch'el dì del giudizio vegnerà.
Con le duo stole nel beato chiostro Co l'anema e col corpo in Paradiso
Son le duo luci sole che saliro : Xe solo i do Inso) i in su levai ;
E questo apporterai nel mondo vostro. Reporta al mondo questo de preciso.
A questa voce lo infiammato giro A st'ultima parola s' ha fermai 130
Si quietò con esso '1 dolce mischio, Quei tre chiari splendori da zirar,
Che si facea nel suon del trino spiro ; E i ga i canti in terzeto stralassai,
Sì come, per cessar fatica o rischio, Come rischio e fadiga per scansar
Gli remi, pria nell'acqua ripercossi, I barcaroi fa insieme una siada,
Tutti si posan, al sonar d'un flschio. Quando el popier i ga sentio a subiar. 135
Ahi quanto nella mente mi commossi, * Oh ! quanto ho avù la mente conturbada,
Quando mi volsi per veder Beatrice, Per no poder vardar la Bice in ciera,
Per non poter vederla, ben ch'io fossi Co m' ho voltà co la mia vista orbada,
Presso di lei, e nel mondo felice ! Siben in ciel, e arente la me gera !
127 Co l'minii,t e col carpn = sono le due stole, cui alludono i versi 92-95.
128 Xi- solo i do lusori ee. — cioè O. Cristo e Maria Vergine (vedi C. XXII.), che alla visin di Dante salirono
all'Empireo.
134 una siada - - azione del remo per eui la barca si arresta dal cammino, o d. i indietro.
135 el popier - il barcnjuolo elic remiga a poppa e dirige la barca — nubiar -.. fischiare.
139 e areale -.-. e dappresso.
44Ì
CANTO VEMTESIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
' '.'i 'vii ama Dio Dante a Giovanni spiega, Dante che l'ama Dio Zuane el sicura
E che a cio il trasse intelligenza e fede, Per el criterio o fede ch'el ga In,
Onde conobbe il ben, che l'alme Ioga. Vedendo el ben, che l'anema fa pura
Poi vestito di luce Adamo vede, Po de Adamo el lusor vede dar su,
Lo quale brevemente soddisfece Ch'el desiderio interno in In scoverto.
A quanto ei col desìro in suo cor chiede. Ohe contenta, perchè i scovre lì su
Poichè si legge ld quanto altri tace. Quel che qua zo scovrir no se poi certo.
Mentr'io dubbiava per lo viso spento, Mentre mi imbarbagtà sul dubio stava,
Della fulgida fiamma, che lo spense, M' ha descantà la vose a mi mandada
Uscì uno spiro, che mi fece attento, Dal splendor cussi vivo che me orbara,
Dicendo : Intanto che tu ti risense Disendo: Intanto che la imbarbagiada
Della vista che hai in me consunta, Ti pari via, che t'è vegnua da mi,
Ben è che ragionando la compense. Refete discorendo. Dove vada
Comincia dunque ; e di' ove s'appunta A basarse el lo amor adesso di',
L'anima tua : e fa ragion che sia E no sta a dubitar, che ìndebolia,
La vista in le smarrita e non defunta : No destruta ti ga la vista ti:
Perchè la Donna, che per questa dia Che quela dona, che te mena via 10
Region ti conduce, ha nello sguardo Per sii bei cieli, ga nel so vardar
La virtù, ch'ebbe la man d'Anania. La virtù che in la man ga avù Anania.
lo dissi: Al suo piacere e tosto e tardo Presto o tardi, respondo, remediar
Vegna rimedio agli occhi, che fdr porte, Vogia eia a sti ochi, dove xe entrà dreto,
Quand'ella entrò col fuoco ond'io sempr'ardo. Come da porte el fogo, che impizzar 15
Lo Ben, che fa contenta questa Corte, Me fa. Principio e fin d'ogni mio afeto
Alfa ed Omega è di quanta scrittura Xe Dio, che in cielo ogni anema inamora,
Mi legge amore o lievemente u forte. Picolo o grando che me vegna in peto.
Quella medesma voce, che paura La vose, ch'el timor m' ha apena alora
Tolto m'avea del subito abbarbaglio, Tolto de rimproveri imbarbaglada,
Di ragionare ancor mi mise in cura; M'ha messo in vogia de parlar ancora,
-- abbarbagliato.
I datatdà = distolto (dal dubbio) o più propriamente, mi ha chiarito.
3 Dal tpltndor catti vivo - - cioè la luce, ehe nascondeva S. Giovanni.
-1 imbarbagìada , abbagliamento.
5 Ti pari via = discacci = chiapada — pre.<a.
6 Refett — risarcisciti.
7 A botane — a fondarsi, avrr per base.
10 ii itelu dona = cioè Beatrice.
12 ga avù Annuiu - ebbe Ananiit; la cui mano ebbe la virtù di remlciv'la vista a S. Paolo acciecato
Hallo luce celeste che lo colpi.
14 Vngiii eia = voglia essu (Beatrice).
15-16 ihc impizzur Mi fa = che mi abbrucia.
19 I. a vote = la voce Mi S. Giovanni).
il in riniin in desiderio.
442 DEL PARADISO
E disse: Certo a più angusto vaglio Con dir : Megio bisogna che spiegada
Ti conviene schiarar ; dicer convienii Sia sta lo idea, disendo a bramar Dio
Chi drizzò l'arco tuo a tal bersaglio. La bona anema tua chi ga drizzada.
Ed io: Per filosofici argomenti, Per ragion natural, digo, e po drio 25
E per autorità, che quinci scende, Revelazion, che da de qua zo vien,
Cotale fuiioì convien che in me s'imprenti: Se ga svegià sto amor in tei cuor mio :
Che '1 bene, In quanto ben, come s'intende, Che '1 ben, visto ch'el sia per vero ben,
Così accende amore; e tanto maggio, De lu inamora, e tanto più inamora,
Quanto più di bontate in sè comprende. Quanta più de bontà in lu contien. 30
Dunque all'Essenzia, ov'è tanto avvantaggio, Donca a Dio, che su luto va de sora,
Che ciascun ben, che fuor di lei si truova, E qualunque altro ben senza de Lu,
Altro non è che di suo lume un raggio, Xe solo un ragio, che da Lu vien fora,
Più ch'in altra conviene che si muova Chi ga sta verità ben conossù,
La mente, amando, di ciascun che scerne D'ogn'altra cossa che ghe staga a cuor, 35
Lo vero, in che si fonda questa pruova. L'ha da fermar la mente soa de più.
Tal vero allo intelletto mio sterne De questa verità me dà sentor,
Colui, che mi dimostra il primo amore • '.hi dei anzoli e i omeni vedèr
Di tutte le -mstanzir sempiterne. Me ga fato quai fusse el primo amor.
Sternei la voce del verace Autore, La stampa el vero Dio nel mio pensier, 40
Che dice a Moisè, di sè parlando: Quando el dise a Mosè : La perfezion
Io ti farò vedere ogni valore. Che xe in mi, farò tuta a ti saver.
Sternilmi tu ancora, incominciando E ti te me la mostri, o pare bon,
L'alto preconio, che grida l'arcano Più de luti in principio del Vangelo,
Di qui laggiù, sovra ad ogni altro bando. Proelamando là zo la Incarnazion. 45
Ed io udii : Per intelletto umano, Za che ragion umana, me dise elo,
E per autoritade a lui concorde, Con divina ragion xe in armonia,
De' tuoi amori a Dio guarda '1 sovrano. Sporzi a Dio dei to amori quel più belo :
Ma di' ancor se tu senti altre cordo Ma anca di', se altre cause mai ghe sia,
Tirarti verso lui ; sì che tu suone, Che a Lu te spenze, e in quanti modi di' 50
Con quanti denti questo amor ti morda. Sto amor te vien a stuzzegarle via.
Non fu latente la santa intenzione La so intenzion, co '1 m' ha parlà cussi,
Dell'aquila di Cristo, anzi m'accorsi No m'è sta sconta, anzi ho capio qual tor
Ove menar vohla mia professione. Elo voleva spiegazion da mi.
Però ricominciai : Tutti quei morsi, Quante, digo, ghe xe, che poi el cuor 55
Che posson far lo cuor volgere a Dio, C inan tirar a Dio, bone rason,
Alla mia cariiate son concorsi: Tute in mi ga svegià per Lu l'amor ;
22 Megio = meglio.
25 e po drio = e poi in seguito.
38-39 Chi te. = cioè Piatone il quale nel suo Convito disse: » L'amore deali Dei essere di tntti antichis
simo e augusto*; altri vogliono che l'innominato sia Ai-inuiile, che nel libro De causts dice: nla catena degli
effetti e delle cause è infinita; per la qual cosa è di necessità pervenire ad una cagione elic sia cagione di tutte
le altre cioè a Dio. -•
46-47 Za che ragion umana ee. - cioè argomento lilosofico e teologico.
51 a iluszrgarle • • a stimolarli.
53 il uni lar ..- qual prendere; qui sia per scegliere.
56 tane raton = boni molivi.
CANTO XXVI.
Che l'essere del mondo, e l'esser mio, rh:- del mondo e de mi la creazion,
La morte che ci sostenne perchè io viva, I.a morte per salvarme che ha patio,
E quel che spera ogni fedei com'io, E ognun che spera in l.u con devozion, 60
Con la predetta conoscenza viva, Come mi, co le cosse dite indrio ;
Tratto m'hanno del mar dell'amor tòrto, Me ga cavà da l'amor falso, e invia
E del diritto m'han posto alla riva. Su la strada del vero amor de Dio.
Le fronde, onde s'infronda tutto l'orlo In tuto quel, che al mondo è sta creà,
Dell'Ortolano eterno, am'io cotanto, De Dio l'opera adoro, e amo tanto 65
Quanto da lui a lor di bene è pòrto. Per quela perfezion ch'Elo ga dà.
Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto Apena go tasesto, un dolce canto
Risonò per lo cielo ; e la mia Donna S' ha sentio in cielo, e con la Bice mia
Uicea con gli altri : Santo, santo, santo. I altri diseva: Santo, Santo, Santo.
E come al lume acuto si dissonna Come dal sono un gran lusor desvia, 70
Per lo spirto visivo, che ricorre Per l'istinto che ha Tochio de voltarse
Allo splendor, che va di gonna in gonna, Al chiaro, che ghe baie drento via,
E lo svegliato ciò che vede abborre E svegià de vardarlo voi scansarse,
(Sì nescia è la sua subita vigilia) Tanto fastidio quel lusor ghe fa,
Fin che la stimativa nel soccorre: Sin che noi vegna a poco a poco a usarse : 75
Così degli occhi miei ogni quisquilia ('.ossi dai urlii mii Bice ha scazzà
Fugò Beatrice col raggio de' suoi, (ini bel ragio dei soi qualunque intopo,
Che rifulgeva più di mille inillia : Lusendo quei un miri de mia più in là;
Onde, me' che dinanzi, vidi poi ; Perciò mogio do avanti ho visto dopo;
E quasi stupefatto dimandai _ E in scovrir tra nu un quarto bel lusor, 80
D'un quarto lume, ch'io vidi con noi. De la curiosità desfando el gropo,
!. la mia Donna : Dentro da que' rai Chi '1 sia domando: e Bice: In quel splendor
Vagheggia il suo fattor l'anima prima, Xe l'anema da Dio prima creada,
Che la prima virtù creasse mai. Che inamorada adora el so Creator.
i '.min' la fronda, che (lette la cima Com'el ramo de vento a una sbrufada 85
Nel transito del vento, e poi si leva Storze la cima, e dopo la se leva
Per la propria virtù che la sublima ; Per forza naturai che l' ha drizzada ;
Fec'io in tanto, in quanto ella diceva, Muto mi resto, insin che eia diseva,
Stupendo : e poi mi rifece sicuro E imbacucà; me ga svegià po fora
Un disio di parlare ond'io ardeva. La vogia de parlar che me struzeva. 90
E cominciai: O pomo, che maturo O fruto sol creà mauro, alora
Solo prodotto fosti ; o padre antico, A quel go dito, o antigo pare mio,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro; Che ogni sposa to lia xe e to niora;
128 o del del drin l'influenza n . - -. fu già detto altra volta che, secondo gli antichi, gli astri esercitino
una influenza sulle azioni degli uomini - - drio . -. qui vale per: seguendo.
139 In cima de tIuel manie - cioè in cima del monte del l'urgulorio.
44C DEL PARADISO
CANTO VENTESIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Contro i Pastor non buoni arde dì sdeuno Chiapa da santa i'ili- mena zo
Degli Apostoli il primo, e si rammarca, San Piero stafilade d'ogio santo
Che mal s'occupi il suo loco si degno Contro i pastori pervertii qua zo.
Ed ecco che il Poeta intanto varca El Poeta al Ciel nono ariva intanto
Al nono Cielo lucido e felice. Più dtìi primi lusente e più felice;
Qunl natura .- viriù fra gli altri il marra. Do le virtù e no hetezze el vanto
Li pienamente a lui spiega limatrice. In longo e in largo a lu ghe fa la Bice.
Al Padre, al Figlio, allo Spirilo Santo El Gloria l'atri cussi ben cantar
Cominciò gloria tutto '1 Paradiso; El Paradiso luto cominciava,
Sì che m'inebriava il dolce canto. Che l'ancma m'ha fata ralegrar.
Ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso Pareva in tuto quelo che vardava
Dell'universo ; però che mia ebbrezza Ridesse la natura, e sta dolcezza 5
Entrava per l'udire e per lo viso. Per le i i-chic e per i ochi la m'entrava.
O gioia ! o ineffabile allegrezza ! O delizia! o purissima alegrezza!
O vita intera d'amore e di pace ! O vita sol' de pase e de amor tanto!
O senza brama sicura ricchezza ! 0 sempre a sazietà vera richezza !
Dinanzi agli occhi miei le quattro face Davanti a mi quei quatro lumi tanto IO
Stavano accese : e quella che pria venne, 1 luseva, ma '1 primo là arivà,
Incominciò a farsi più vivace ; Cominciava a vegnir più vivo alquanto;
E tal nella sembianza sua divenne, E vegnù '1 gera come deventà
Quid diverrebbe Giove, s'egli e Marte Sarave Giove, se tra elo e Marte
Fossero augelli, e cambiasse»i penne. I se avesse i colori baratà. 15
La provvidenza, che quivi comparte Oui'l Dio proveditor, che ben el sparte
Vice ed uflcio, nel beato coro A ognun le tasche nei beati Còri,
Silenzio posto avea da ogni parte : L'ha falo far silenzio da ogni parte;
Quand'io udi' : Se io mi trascoloro, {'.o sento a dir: Se cambio de colori
Non ti maravigliar ; chè, dicend'io, No far caso, perchè veder ti poi, 20
Vedrai trascolorar tutti costoro. Sin che parlo, cambiarli anca qua lori.
58-59 ì'rrli Cnonini te. = i preti di Culmi-.- nella Guienna col Pontefice Giovanni XXII Caorsino, e quelli di
Guascogaa col Pontefice Clemente V Guascone: questi fu Papa ut-I 1305, quegli nel 1316 --= bevarm = cosi è
chiamala quella bevanda d'acqua e farina, che si da d'ordinario a' cavalli, ma qui è adoperalo in aenso figuralo
per denotare l'impinguarsi dci detti preti del patrimonio iionato dai fedeli alla Chiesa in devozione del sangue
sparso dai primi Pontefici martiri.
61-62 che col brazzo d? Sijiiou — Scipionc Romano difese a Roma l'impero del mondo contro la nemici
Cartagine.
64 E co = e quando.
88-69 quando Et gran pianetu el Capricorno loca — quando il Sole è in congiunzione col segno del Capri
corno, cioè da mezzo Dicembre a mezzo Gennaio.
79 In mima visto ee. =. vidi la prima volta ---- vedi C. XXII v. 12S e seg.
80 eoi Zemei — col segno dei Gemelli
82-84 It' Vliìsc ci strambo pino — Olisse (culo di navigare il mare Atlantic» e vi fece naufragio. Vedi il
Canto XXVI dell'Infcniu .— strambo = qui vale inconsiderato, avventato = ci Ho = il lido Fenicio, dove GÌOvC
trasmutato in toro rapi Europa figlia del re Agenore.
85 il'arela noitra = la parte terrestre del Globo.
86 d'un tcgno — del Zodiaco.
xxvn. 449
Ad essa gli occhi più che mai ardea. L'amor i ochi su d'eia me spenzeva. 90
E se natura, od arte fe pasture Quanto in pitura o in carne umana far
Da pigliare occhi, per aver la mente, Sa l'arte e la natura, che la mente
In carne umana, o nelle sue pinture . E l'ochio ne fa tanto deliziar,
Tutte adunate parrebber niente Sarave tuto insieme sempre un gnente
Vèr lo piacer divin, che mi rifulse, In confronto del gusto che go avù, 05
Quando mi volsi al suo viso ridente. ('o me son voltà al viso suo ridente.
E la virtù, che lo sguardo m'indulse, R una so ochiada ha avudo la virtù
Dal bel nido di Leda mi divelse, De straparme dal cielo dei /onci,
B nel eiel velocissimo m'impulse. E trasportarne in quel che core più.
Le parti sue vivissime ed eccelse Tuli i loghi xe là ristesso bei, 100
Sì uniformi son, ch'io non so dire Che mi dir no so proprio qual cenno
Qual Beatrici- per luogo mi scelse. M'ubiii la Bice mia tra questi e quei.
Ma ella, che vedeva 11 mio desire, Ma eia che ha visto el desiderio mio,
Incominciò, ridendo tanto lieta, Dise ridendo alegra e con tal moto,
Che Dio parca nel suo volto gioire : Ch'ha parso rida in quel bel viso Dio: 105
Li natura del moto, che quieta Comincia da sto ciel dei cieli el moto,
II mezzo, e lutto l'altro Intorno move, Che per natura sua, movendo el resto,
Quinci comincia, come da sua meta. Tien fermo el centro e i ciell va de troto.
E questo cielo non ha altro dove Altro no gh'è che daga moto a questo
Che la mente divina, in che s'accende Se no che Dio, l'amor del qual lo zira, 110
L'amor che '1 volge, e la virtù ch'ei piove. E lu zirar fa luti i altri presto.
Luce ed amor d'un cerchio lui comprende, Luse e amor lo circonda e in lu sospira,
Sì come questo gli altri : e quel precinto Come lu i altri abrazza; e da Dio po
Colui che '1 cinge solamente intende. Elo brazzà, Dio sol lo tien de mira.
Non è suo moto per altro distinto ; Nissun moto misura el moto so, 115
Ma gli altri son misurati da questo, Ma si '1 soo quel dei altri, come aponto
Sì come (lici-c da mezzo e da quinto. Xe '1 diesc misurà dal cinque e '1 do.
E come'l tempo tenga in cotai testo Desso ti poi capir come al confronto
Le sue radici, e negli altri le fronde, Dei altri cieli, che i se vede andar,
Omai a te puot'esscr manifesto. L'origine del tempo in lu tien sconto. 120
94 Saravc =» sarebbe.
96 Co ne ton — quando mi sono.
97 to . sua.
99 e Iratportnrme in iIutl che core pia .. cioè al nono cielo detto il primo mobile, che 1 r.i il mato più veloce.
100-102 Tuli i lntilii xe lu l'isteno bei :-. La uniformiti! nella natura e nella luce in quel cielo è tale, elic
da luogo a luogo non si distingue come negli nitri cieli. Questa unifoi-mità procede dall'cizcr il dello cielo al-
'--'inni e quasi loccantesi colla prima Virtù, Iddio, e perù sente lauto di questa semplii-ilà ed unita di essere, ehe
non da luogo ri parli, ne n divisione (CrsJ = errmo = scelto.
106-111 vedi il C. Il v. 112-113.
112 I.Hse e amar i.-. : l'Empireo, sede di Dio. che e lutto luce e muore.
114 lo ticn de mira = lo sorveglia.
115 i-I moto to = il muto suo.
116 soo — suo.
117 A'e '/ ditte ee. — il dirci mi: m.do dui suo ijuinto, cioè dal due (du).
118-120 Desto li poi capir ee. — gli Scolastici, attribuendo al primo mobile l'origine del moto, a lui attri
buivano parimente la prima misura del tempo, e non al Sule - in In lien iennto — m lui, cioè il primo mo
bile, linnc occulto, come di cosa elic si vede solo duM'cffelto.
29
450 DEL PARADISO
O cupidigia, che i mortali affonde O Ingordlsia, che l'omo sofegar
Sì sotto te, che nessuno ha podere Nel to pozzo ti voi cussi, che lu
Di ritrar gli occhi fuor delle tue onde ! Mai da ti no poi i oChl destacar !
Ben fiorisce negli uomini '1 volere ; Ben qualche fior dai omeni dà su,
Ma la pioggia continua converte Ma anca piovendo al longo ci bon susin 125
In bozzacchloni le susine vere. Intisichindo perde la virtù.
E fede ed innocenza son reperte Fede e inocenza solo nel putin
Solo ne' pargoletti; poi ciascuna Se trova, e '1 perde questa e quela in t' un,
Pria fugge, che le guance sien coperte. Prima ghe sponta in viso el pelo fin.
Tale, balbuzìendo ancor, digiuna, Sin ch'el balbela, zuna qualchedun: 130
Che poi divora, con la bocca sciolta, Dopo co '1 parla franco, ogni piatanza
Qualunque cibo per qualunque luna: El smagnazza anca in tempo de dezun.
E tal, balbuzìendo, ama ed ascolta Sin ch'el baiiiela, con amor se stanza
La madre sua, che, con loquela intera. Da la mare, e la ascolta con premura,
Disia poi di vederla sepolta. E dopo che la mora el ga speranza. 135
Cos'i si fa la pelle bianca nera, Cussi la pele umana, che natura
Nel primo aspetto, della bella figlia Nel bambiin-lo la fa bela e bianca,
Di quel ch'apporta mane e laicia sera. Col tempo la se vede vegnir scura.
Tu, perchè non ti faccia maraviglia, Per no stupir a sto pensier pensa anca
Sappi che in terra non è chi governi: Che là zo in tera no ghe xe governo; 140
Onde si svia l'umana famiglia. Perciò a far ben la zente bada gnatica.
Ma prima che gennaio tutto si sverni, Ma avanti che Genaro lassa inverno,
Per la centesma, ch'è laggiii negletta, Per la frazion in tera trascurada,
Ruggeran sì questi cerchi superni, Ruzerà in modo tal el cielo eterno,
Che la fortuna, che tanto s'aspetta, Che la rivoluzion tanto aspetada, 145
Le poppe volgerà u" son le prore, Del bastimento volterà '1 timon,
Sì che la elasse correrà diretta ; Fasendoghe tor drita la brivada ;
E vero frutto verrà dopo '1 flore. E drio po al fìor el fruto sarà bon.
CANTO VENTESlMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quale ad occhio mortai divina essenza Per quanto l'ochio uman ga de potenza.
Mostrar si puote, in un punto di luce ln un ponto de luse la su io cielo
Appare a Dante, ond'ei n'ha conoscenza. Amira Dante la divina essenza,
lntorno intorno Amor sempre conduce D'Anzoli ardenti de l'Amor più belo
Nove lucidi corchi innamorati Nove cori va sempre via zirando
Al primo punto, che di tutto è Cuoi, Atorno al ponto cha tien tuto in elo:
E cori sono d'Angeli e beati. Dante resta incanta dal gusto grando.
1 Co — quando.
3 Quela -~ cioè Beatrice.
9 Co la batua del tempo = colla battuta a tempo ili musica = va de teda s: frase ch'esprime Ululare di
perfetto accordo.
12 i" me ;/n sfumi, i -. mi sparsero.
14 lII. le costazze .-. ilcllc cose granili, muravigliosc.
16 Un ponto - in questo punto e figurata lu Divinità, clic lutto comprende in un punto il passato, il pre
sente e il futuro.
1S in fazza = in faccia, di fronte.
20 rente a quel ponto = qui sta per appresso, ossia confrontata la più piccola stella con quel punto.
DEL PARADISO
cinger la luce, che '1 dipigne, Atorno al Sol, dal .Sol inluminè,
Quando '1 vapor che '1 porta più è spesso, Che la nebiazza spenze sin là via;
Distante intorno al punto un cerchio d'igne Tanto al ponto vicin zira infogà 25
Si girava sì ratto, ch'avria vinto Con tal vemenza un cerchio, che più presto
Quel moto, che più tosto il mondo cigne. No core el ciel che con più fuga va.
E questo era da un altro circuncinto, E circondà da un altro el gera questo,
E quel dal terzo; e '1 terzo poi dal quarto, Quel da un turzo, dal quarto serà via,
Dal quinto '1 quarto, e poi dal sesto il quinto. Dal quinto el quarto, e el quinto po dal sesto;
Sovra seguiva '1 sattimo, sì sparto E tanto in largo el sellmo vegnia.
Già di larghezza, che '1 messo di Giuno Che gnanca co la soa zinula intiero,
Intero a contenerlo sarebbe arto. Mai l'Iride abrazzarlo poderia.
Così l'otta vo e '1 nono : e ciascheduno Cussi l'otavo e el nono : e quanti i gera
Più tardo si movea, secondo ch'era Più dal centro lontani, ognun coreva 35
In numero distante più dall'uno. Tanto più adasto atorno la so sfera:
E quello avea la fiamma più sincera, E più lusente la so fiama aveva
Cui men distava la favilla pura : Quel più vicin a. la fiameta pura;
Credo però che più di lei s'invera. Credo perchè più amor la riceveva.
La Donna mia, che mi vedeva in cura In veder la curiosa mia premura 40
Forte sospeso, disse : Da quel punto Dice me disc : Da quel ponto el cielo
Dcpende il cielo e tutta la natura. Dipende e tuta quanta la natura.
Mira quel cerchio, che più gli è congiunto, Guarda ci cerchio, che xe più arente a elo,
E sappi che '1 suo muovere è sì tosto, E sapi, che lo fa corer cussi
Per l'affocato amore, ond'egli è punto. n'aiiii.i! ci fogo, c tanto lo fa belo. 45
Ed io a lei : Se '1 mondo fosse posto Se regoladi fusse, digo mi,
Con l'ordine ch'io veggio in quelle ruote, I cieli de sii cerchi istessamente,
Sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto : De tuto quel che ti me disi ti
Ma nel mondo sensibile si puote Mi saria persuaso pienamente:
Veder lo vòlte tanto più festine, Ma quanto lonzi più dal centro i cora 50
Quant'elle son dal centro più remote. De più, là zo se vede chiaramente.
Onde, se '1 mio desio deve aver fine Aciò ch'el desiderio mio qua sora
In questo miro ed angelico tempio, In sto bel ciel, cho altro coniih noi ga
Che solo amora e luce ha per coniine, Che luse e amor, desmentegà noi mora,
Udir convieinmi ancor, come l'esemplo Che sapia anca convien, come no va 55
E l'esemplare non vanno d'un modo; L'esempio e l'esemplar al modo istesso ;
Che io per me indarno a ciò contemplo. Che a intender da pi-r mi tempo è butà.
92-83 A miera a mitra — a migliaia a migliaia =.-. cìit no in dopiar I tcachi tra de lori — Se nella primi
casella dello scacchiere si segna 1, nella seconda 2, nella terza 4, nella quarta 8, nella quinta 16, e via sino alii
sessantaquattresima, raddoppiando, si verrà a formare un numero di venti cifre che contiene una quantità di mil-
lioni sorprendente. Inventore dello scacchiere fu un Indiano, che, come raccontasi, presentandolo a un re di
Persia, n quegli offertosi a ricompensarlo come volesse, non altro chiese colui che un granello di grano du
plicato successivamente per ogni casella del suo scacchiere sino alla fine ; del che dapprimail monarca si rise
ma venuto al calcolo, trovò che non aveva in tutto il sno regno (grano abbastanza per soddisfarlo. Questi sto
riella doveva essere volgare ul tempo di Dante.
95 El ponto fermo = cioè Dio che forma il loro centro.
105 i tre primi cori i ga tempio = cioè compirono la prima gerarchla composta di tre cori.
107 darente = dappresso.
112 m rason = in proporzione. * •
116 In primavera eterna = cioè in Paradiso = dcxpogia = spoglia.
117 ci Molton = l'Ariete opposto al Sole che è nella Libra, gira rii notte sopra il nostro emisfero nel tempo
di Autunno — co =3 quando.
120 m una augia — in un gioiello.
CANTO xxviii. 455
Poscia ne' duo penultimi tripudi I Prencipati e Arcanzoli dà su
Principati ed Arcangeli si girano : Ai penultimi cerchi, e tuto pien 125
L'ultimo è tutto d'angelici ludi. D'anzoli alegri è l'ultimo più in su.
Questi ordini di su tutti rimirano, Sti ranghi i varda in alto al primo Ben,
E di giù vincon si, che verso Dio Che a Lu II tira, e i fa che a Dio tirai
Tutti tirati sono, e tutti tirano. Xe luti quanti quei de soto : e ben
E Dionisio con tanto disio Dionisio come mi li ha separai, 130
A contemplar questi ordini si mise, E come mi chiamai, quando là zo
Che gli nomò e distinse com'io. Con tanta devozion li ha contemplai.
Ma Gregorio da lui poi si divise: Ga altro ordene Gregorio dà; perciò
Onde, sì tosto come gli occhi aperse Quando in sto cielo lu ga l'ocido averto,
In questo eiel, di sè medesimo rise. S' ha messo a rider del maron : se po 135
E se tanto segreto ver p rollerse Dionisio in tera ga sto arcan scoverto,
Mortale in terra, non voglio ch'ammiri: No te maravegiar tanto per quelo:
Che chi '1 vide quassù gliel discoverse, Che chi vivo è sta qua, lo ha fato certo
Con altro assai del ver di questi giri. De questo e altro, che '1 ga visto in cielo.
124 da tu = sorgono.
130 Dimiiio • S. Dionisio Areopagila nel libro De tali hierarchia.
133 Ha altro ontene Gregario rfù —• ceco l'ordine degli angeli secondo San Gregorio Magno; Serafmi, Cheru
bini, Potestà, in luogo dei Troni, Principati, in luogo dulie Dominazioni, Virtù, Dominazioni in luogo delle Po
treia, Troni, in luogo dei Principati, Arcangeli e Angeli.
135 maron = fallo, errore.
13S chi — allmlesi a San Paolo, elic era vivente asceso in cielo, e a cui Dionisio era stalo discepolo.
450 DEL PARADlSO
CANTO VENTES1MONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
1-3 el zcnit = la zenit è il punto vrrtir ilc di un corpo, ma i|ui riferito a due corpi, i' il punto fra essi
verticale = licn in balanza •-- tiene in bilancia, in equilibrio -• Molton — l'Ariete =: Butan:a = la Libra, clic
sono i segni opposti nel zodiaco.
6 Tiniit> ka tasttto Dice cc. = il punto che il Sole e la Luna sino nel medesimo orixzontr quasi bilanciati
dallo zenit, e un istante; è un istante appunto Beatrice tacque, guardò, poi si vol-r
S ponto rixlilcnileiìte = il punto di cui il v. 16 del Cauto precedente.
9 po la me il/ne ancora - . Beatrice riprende il disborso tenuto in fino del Canto prccnlcnte. e soppeso per
quell'istante clic l' -ù l'occhio sul punto luminoso.
19 de bando = inoperoso.
ti tutina - cioè gli angeli simalUinesnMDte creati allu forma e mnteria .- in l'nii /tu ... in un Ulule.
O\:\TO XM\.
Usciro ad esser ciic non uvea fallo, Come tre frezze, che in t'un supio fora
Come d'arco tricorde tre sa elte: Scampa da l'arco con tre corde armù :
E come in vetro, in ambra, od in cristallo E come che dal Sol, che luto indora, 25
Raggio risplende sì, clic dal venir» Sia el vero o l'ambra, o sia el cristal balui,
All'esser tutto non è intervallo : Dei so ragi in l'un lampo i se incolora ;
Così '1 triforme effetto dal suo Sire Talqual insieme sii tre efeti sui,
Nell'esser suo raggiò insieme tutto, Da Dio, ne l'Esser suo perfeto, qucli
Senza distinz'ion nell'esordire. Senza impiego de tempo xe vegnui. 30
Concreato fu ordine e costrutto L'ordenc belo è sta creà con eli ;
Alle sustanzie : e quelle furon cima Dio, aciò i gabia ci mondo a regolar,
Nel mondo, in che puro atto fu produtto. El ga i Anzoli messo in cima ai cieli;
Pura potenzia tenne la parte ima : E in fondo al mondo, quanto ha d'aspetar
Nel mezzo strinse potenzia con atto D'eli ì'azion ; po in mezo el ga un ligazzo 35
Tal x ime, che giammai non ai disviimi. Fato, che no se poi mai desiigar.
Jeronimo vi scrisse lungo traito De Girolamo dise el scartafazzo,
Di secoli, degli angeli, creati Che i anzoli creai del mondo avanti
Anzi che l'altro mondo fosse falto: Dei gran secoli i gera ; ma le fazzo
Ma questo vero 6 scrino in molti lali Saver, che quel che mi I' ho dito, in Unti 40
Degli scrittor dello Spirito Santo: Siti lo dise la Scritura schieto;
E tu lo vederai, se ben vi guati. E ti'l poi \ elici su quei libri santi:
Ed anche la ragion lo vede alquanto, E anca le lo assicura l'inteleto,
Chè non concederebbe, che i motori El qual, saria el motor, le va osservando,
Senza sua perfezion fosscr cotanto. Senza cossa da mover imperfeto. 45
Or sai tu dove e quando questi amori Adesso ti conossi el come, ci quando
Furon creati, e come ; sì che spenti E come xe sta i Anzoli creai;
Nel tuo disio già son li tre ardori. E ve quel che li andavi ti cercando.
Nè giugneriesi, numerando, al venti Dn l'un al vinti no se conta mai
Sì tosto, come degli angeli parte Presto cossi, come precipità 50
Turbò '1 suggelto de' vostri elementi. Ga '1 mondo vostro i anzoli sbrcnai.
L'altra rimase, e cominciò quest'arte Restai quei altri in ci. 'l. i ha scomenzà
Che tu clicermi, con tanto dilelto, Zirar, e sempre i zira, come adesso
56-57 de quelo es. — cioè Lucifero elic sta nel centro della terra oppresso da tutti i pesi che gravitano rerso
esso centro.
5S Quexli = cioè gli Angeli rimasti fedeli.
65 m raton = qui vale per in conformità.
73 nua = mula.
75 i la mua = la cangiano.
83 i-hi a quttlo crede, o no = allude a coloro che credono la dottrina elic insegna gli angeli ricontarsi
alla maniera degli uomini, e gli altri elic non credono essa dottriin! e negano essere memoria alcuna negli angeli.
85 Sul vero trozo — sulla vera via.
90 intarla ...-. storpiata, stiracchiala, intesa falsamente.
CANTO XXIX. 459
Non vi si pensa quanto sangue costa Chi al sangue che ha costà va mai pensando,
Seminarla nel mondo, e quanto piace Per darla al mondo, e quanto a Dio ghe piase
Chi umilemente con essa s'accosta. Chi con tuta umiltà la vien scollando
Per apparer ciascun s'ingegna, e face De quelo ch'el s'inventa se compiase
Sue invenzioni; e quelle son trascorse Ognun per parer doto, e insuperbio 95
Da' predicanti, e '1 Vangelio si tace. Lo predica, e 'l Vangelio po se tase.
Un dice, che la Luna si ritorse Chi la Luna sostien tornada indii"
Nella passion di Cristo, e s'interpose, Ne la passion de Cristo, e chi tra '1 Sol
Per che '1 lume del Sol giù non si porse : Messa e la tera, questa s' ha scurio ;
Ed altri, che la luce si nascose E mal ; che '1 Sol s' ha sconto da lu sol ; 100
Da sé ; però agl'Ispani ed agl'Indi, Perciò sta ecrisse tanto s' ha mostrà
Com'a' Guidei, tale eelissi rispose. A l'Indian, al Giudeo, quanto al Spagnol.
Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, Lapi e Bindi Firenze no, no ga
Quante sì fatte favole per anno Tanti, quante ste fiabe in luti i ani
In pergamo si gridfn quinci e quindi : Se predica dal pulpito qua e là : 105
Sì che le pecorelle, che non sanno, E cossi senza pro torna i Cristiani
Tornan dal pasco pasciute di vento ; Pieni de vento da la Chiesa imi rie: :
E non le scusa non veder lor danno. Nè li scusa el no veder i so dani.
Non disse Cristo al suo primo convento: Mai Cristo ai so scolari s'ha sentio
Andate, e predicate al mondo ciance; Dirghe: Andè, e prediche chiachiarc al mondo;
Ma diede lor verace fondamento. Ma ben la Verità, che vien da Dio.
E quel tanto sonò nelle sue guance , De questa solo con saver profondo
Sì ch'a pugnar, per accender la fede, I ha parlà, e per alzar la fede pura,
Dell'Evangelio fèro scudi e lance. Del Vangelo i s' ha armai da capo a fondo.
Ora si va con molti e con iscede Adesso da bufoni l'impostura 115
A predicare; e pur che ben si rida, Se predica; e dà al publico dilelo,
Gonfia '1 cappuccio, e più non si richiude. Sgionfa '1 capuzzo, el resto se trascura.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida, Ma un certo osei sta sconto nel becheto,
Che, se'l vulgo il vedesse, non torrebbe Che se squagià, la zente no voria
La perdonanza, di che si confida: Le indulgenze che tien con fede in peto. 120
Per cui tanta stoltezza in terra crebbe, Per queste tal xe al mondo siocaria,
Che, sanza prova d'alcun testimonio, Che senza el Papa le abia de so pugno
Ad ogni promession si converrebbe. Scrile, ih io le promesse i cereria.
Di questo ingrassa il porco santo Antonio, De queste Antonio l'anemal dal sgrugno
Ed altri assai, che son peggio che porci, Ingrassa, e altri, dei porchi pezo, ingrassa 125
126 Pagando con moneda tenza eugno = pagando con monda senza eonio, pagando cioè con false indul
genze e cnn vani perdoni.
127 stargai matta = allargali troppo.
129 Mi-im It gambe = sgambetta, t'uffretla.
131 ll:u, icl -.- D.mirtr il profeta = i un'in-, t c miara = Ir mi -ii M i e migliai,!.
l'i!,' m raton . .-. redi sopra la noia 65.
145 Renando In ... Uno e inditisiuile.
401
CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Nell'Empireo C lei si volo lumi- Ne l'Empireo del so vede lume
Tra due rive fiorito: altre favilh- Tra do rive florae. e va zo e sora
Vnngono, « vanno a ai mirubil fiume. Kalive d'oro a quel stupendo fiume.
l'oscia il Poeta aguzza sue pupille, Dopo Dante, spendendo i ochi in fora,
E allor ved'esscr gli Angeli « i turati Hi- 1 Anzoii e beati luse vive,
Quei che pareano veloci scintille, Tuto maravegia, el scovre alora
K fidgor puri agli occhi appresi-ntati. Comparir quei che ghe parea falive.
Forse scimila miglia di lontano Quando che al nostro mondo un ora manca
Ci ferve l'ora sesta, e questo mondo A spontar fora el Sol, o là virin,
China già l'ombra, quasi al letto piano, A poco a poco in mezo el ciel s'imbianca;
Quando '1 mezzo del cielo, a noi prorondo, E tra le stelc scarse de lumin
Comincia a farsi tal, che alcuna stella Comincia qualcheduna a destuarse, , 5
Perde 'l parere inlino a questo fondo: Come vedemo qua da sto coniili ;
E come vien la chiarissima ancella E come co l'aurora xe per farse,
Del Sol più oltre, così '1 ciul si chiude Le altre stele finisse tute quante
Di vista in vista in lino alla più bella. I (l'in man sin la più bela de mostrarse ;
Non altrimenti '1 trionfo, che lude Cussi d'anzoli ci coro, gongolante 10
Sempre dintorno al punto, che mi vinse Sempre atomo a quel ponto che me orbava,
Parendo inchiuso da quel ch'egli inchiude, Che luto .ibi,i/zR e par dal trionfante
A poco a poco al mio veder si stinse : Coro a I ir a zza, a bel belo se ne andava:
Per che tornar con gli occhi a Beatrice E sparlo afato dai mii ochi, alora
Nulla vedere ed amor mi costrinse. L'amor a veder Bice me chiamava. 15
Se quanto inlino a qui di lei si dice Se mi in lodarla el sin qua dito ancora
Fossa conchiuso tutto in una loda. Tuto dovesse dir, noi bastarave
Poco sarebbe a fornir questa vice. L'elogio a farghe merità là sora.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda La so belczza mai se poderavu
Non pur di là da noi, ma certo io credo. Da nu capir, ma tuto ci so Creator, 20
Che solo il suo Fattor tutta la goda. Credo certo, Lu solo capirave.
Da questo passo vinto mi concedo, A sto passo me manca afato el cuor,
Più che giammai da punto di suo tèma Più che dal duro tema vinto sia
Suprato fusse o comico, o tragcdo. Sta mai comico o tragico scritor :
Che, come Sole il viso che più trema. Che, come al Sol la vista indebolia 25
69 co — quando.
75 la ga zontà = ella vi aggiunse.
79 dure = difficili.
SS noma = appena.
91 ri'ih:i -- maschera. = co = quando
93 no i fateva = inni facevano.
94-95 Ae /olive — le scintille = Lamua = lo scambio. Gli Angeli in luogo delle scintille, e l'anime umane
Ossia i beati, in luogo dei fiori.
07 splender de Dio -.. lu grazia illuminante, o la seconda persona della Trinitù.
464 DEL PARADlSO i
L'alto trionfo del regno veraci!. El gran trionfo del celeste regno,
Dammi virtude a dir com'io lo vidi. Dame virtù de dir come l'ho visto.
Lume è lassù, che visibili: face Lume è là su, che ha de mostrar l'impegno 100
Lo Creatore a quella creatura, El Creator a quela creatura,
Che solo in lui vedere ha la sua pace: Che vede solo in Lu de pase el pegno :
E si distende in circolar figura E a cerchio po el se siarga in tal misura,
ln tanto, che la sua circonferenza Ch'el Sol balarghe poi la contradanza.
Sarebbe al Sol troppo larga cintura. Quanto granda xe mai la so fìgura, 105
l'assi di raggio tutta sua parvenza, Tuta la vien dal ragio, che se sianza
ReOesso al sommo del mobile primo, ln cima al nono ciel, che per divina
Che prende quindi vivere e potenza. Virtù, da quclo ga vita e possanza.
E come clivo in acqua di suo imo Come in tei rio se specilla la colina ,
Si specchia, quasi per vedersi adorno, Che al pie el ghe core, e par se tegna in bon
Quando è nel verde e ne' fioretti opimo ; Dei so Muri e de l'erba verdolina ;
Sì, soprastando al lume intorno intorno, Cossi atorno a la luse s'un milion
Vidi specchiarsi in più di mille soglie, De scalini go visto quei spechiarse,
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno. Che ga lassà la lera in abandon ;
E se l'infimo grado in sè raccoglie Se l'infimo scalin tanto stargarse 115
Sì grande lume, quant'è la larghezza lìol, quanto de sta rosa no saria
Di questa rosa nell'estreme foglie ? Larghe le ultime fogie ! Nè in sianzarse
La vista mia nell'ampio e nell'altezza Tanto in largo che in alto se smaria
Non si smarrira, ma lutto prendeva La vista mia, ma scoverziva schiete
ll quanto e '1 quale di quell'allegrezza. Le cosse che fa là tute alegria. 120
Presso e lontano lì nè pon, nè leva : Là '1 vii.in e '1 lontan no cava, o mete,
Chè dove Dio sanza mezzo governa, Chè in dove Dio governa pien d'amor,
La legge naturai nulla rileva. La lege naturai no gh'entra un ete.
Nel giallo della rosa sempiterna, Nel bel cuor de la rosa, del gran lini ,
Che si dilala, rigradn e redole Che in su se siarga, nè a mandar se stanca 125
Odor di lode al Sol, che sempre verna, DB lode al Sol sempre d'avril l'odor;
Qual o colui, che tace e dicer vuole, Come chi voi parlar nè l'arfia gnanca,
Ali trasse Beatrice, e disse : Mira Dise Bice tirandome a eia arcnte :
Quanto è il convento delle bianche stole! Varda che trupa da la vesta bianca !
Vedi nostra città, quanto ella gira. Varda sto nostro palazzon lusente, 130
132 Che a impiiarli ghe manca poca zenit = ne manca poca perchè è vicino, secondo la credenza di quei
tempi, il giudizio universale.
13•1 Per via de la corona -- a motivo della corona imperiale posta sopra esso scanno.
135 ni, i :—. nido.
136 D'Arigo monterà ee. = Arrigo VII di Luxentburgo. del quale Dante finge di predire nel 1300 la co
ronazione elic segui nel 1308.
130 nirnfniii- .- allucinare, abbagliare.
141 ui-uà — balia.
143 L'n tal = cioè Clemente V Papa.
U7-148 De Simun Mago Ioga mali-itelo = ciot nella Bo'gia dei Simoniaci. Vedi C. XIX Inf. v. 76 e se
guenti. = I! quel U'.ilayun = cioè Bonifazio Vili.
30
.
466 DEL PARADISO
CANTO TRENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
In forma dunque di candida rosa In forma donca d' una bianca rosa
Mi si mostrava la milizia santa, Ma se mostrava quel' ai mati u santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa. Che Cristo in erose fata ga so Sposa.
Ma l'altra, che volando vede e canta Ma st' altra, che svolando vede e canta
La gloria di Colui che la innamora, La gloria de Chi tanto la inamora,
E la bontà che la fece cotanta , E la bontà che alzada 1' ha de pianta ,
Sì come schiera d'api, che s'infiora Come le ave che a schinpi ai fiori sora
Una fiata, ed altra si ritorna Va per suchiarli, e po le torna indrio
Là, dove 11 suo lavoro s'insapora , El sugo a render dove le lavora ,
Nel gran flor discendeva, che s'adorna Vegniva zoso nel gran lìor fornio 10
Di tante foglie; e quindi risaliva De tante fogie, e dopo la tornava
Là, dove lo suo amor sempre soggiorna. AI so ben, al so amor, insoma a Dio.
Le facce tutte avean di fiamma viva, Tuli i visi infogai ghe sfiamegava;
E l'ale d'oro; e l'altro tanto bianco, I gavea le ale d' oro, e tuto el resto
Che nulla neve a quel termine arriva. Più de candida neve bianchizava.
Quando scendcan nel lìor, di banco in banco Calai sul fior, sora quel scagno e questo
Porgevan della pace e dell'ardore, Pase i spartiva e amor, che i riceveva
Ch'egli acquistavan, ventilando il fianco. Da Dio svolando sin a Lu. E resto
Nè l'interporsi, tra '1 disopra e '1 fiore, Come sta trupa, che svolar vedeva
Di tanta moltitudine volante, Tra '1 divin Trono e '1 fior, ombra qual sia 20
Impediva la vista e lo splendore ; . Me ai ochi mii, nè a quel splendor fazz m.
Che la luce divina è penetrante Che la so luse drita Dio la invia
Per l'universo, secondo ch'è degno, Su ogni essenza, e la dà più qua che là,
Sì che nulla le puote essere ostante. Conforme el 1' ha più o manco nobilia.
t quel' animda tanta —. cioè le anime umane elie Gesù Cristo col mezzo del suo sangue fece sue spose.
4 Ma il'altra — ma quest'altra, si sottintende armata, cioè gli angeli. Vedi noia 43 a 45, del Cantu prece
dente.
6 de pianta = modo avverb. elic significa da nuovo.
7 che a tchiapi —- che a gomitoli.
li i/e innii- fugie •-- cioè di tante anime beate disposte in forma delln rosa accennala al primo vr-o
16 tara iIutl (cagno e questo = sui quali siedono i beati.
18 E rato — e stupisco.
2I mi i a miei.
22-24 Che la to Iute te, =» .Vedi i primi versi del Canto I. di questa Caotica = nobiltà — nobilitala.
CANTO XXXI. 467
Questo sicuro e gaudioso regno, luto sto regno alegro, semenà 25
Frequente in gente antica ed in novella, De santi antighi e novi, altro che Dio
Viso ed amore avea tutto ad un segno. No vede e brama. O Santa Trinità,
O trina luce, che in unica stella Che un unico lusor da Ti partin,
Scintillando a lor rista si gli appaga, Spandendo in eli te li fa contenti ;
Guarda quaggiuso alla nostra procella. Varda el mal che in sto mondo fa desio. 30
Se i barbari, venendo da tal plaga, Se a boca averta i barbari dai venti
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra, Vegnudi del Setentrion restava
Rotante col suo figlio, ond'ella è vaga, De le romane fabriche i portenti
Veggendo Roma e l'ardua sua opra Vardando, quando tanta zente andava
Stupefaceansi, quando Laterano Per el perdon a Lateran, che insin 35
Alle cose mortali andò di sopra ; Ogn'altra arentc a quele sfigura va;
lo, ched era al divino dall'umano, Mi dal consorzio uman vegnù al divin,
Ed all'eterno dal tempo venuto, Veghu dal tempo a quela eternità,
E di Fiorenza in popol giusto e sano, E in paese d' amor dal fiorentin,
Di che stupor doveva esser compiuto ! Quanto dovea stupir ! ma '1 fato sta 40
Certo, tra esso e il gaudio mi facea Che tra questo e '1 piacer, gusto più grando
Libito non udire e starmi muto. El silenzio dei altri e '1 mio m' ba dà.
E quasi peregrin, che si ricrea Come se gode el pelegrin Vardando
Nel tempio del suo voto, riguardando, La Chiesa del so voto, e vede l' ora
E spera già ridir com'egli stea ; Da dir come l'è fata ai soi tornando;
Si, per la vìva luce passeggiando, Cossi tra Unta luse, or soto or sora
Menava 'io gli occhi per li gradi De quei scalini i ochi go butai,
Mo su, mo giù e mo ricirculando. E or li zirava atorno a lori ancora.
E redea risi a carità siiadi E ho scoverti d' amor visi infìamai,
D'altrui lume fregiati e del suo riso, Schiarii dal suo e dal lusor de Dio, 50
Ed atti ornati di tutte onestadi. E sesti che i più bei s' ha visti mai.
La forma generai di Paradiso Tanto in longo che in largo l'ochio mio
Già tutta lo mio sguardo avea compresa, El Paradiso luto scorabiava,
In nulla parte ancor fermato fiso; Ma a nissun ponto el ga tegnù ben drio;
E volgeaml con voglia riaccesa E vogioso de Bice me voltava, 55
Per dimandar la mia Donna di cose, Perchè la me schiarisse de preciso
£6 De unni antighi e novi - ciuè dei santi del vecchio e nuovo Tostamente-.
27-23 O uniin Trinila = la Trinità delle persone divine in una sola Essenza.
31-33 rIuando tanta zente andava a cercar paté a Lateran - accennasi al tempo dei Giubbilco nel 1300,
qnando da tulle le parti del mondo e dall'ultimo settentrionale, posposto ogn'altro temporale interesse, corse la
gente a Laterano a ricevere,l:! gran perdonauxa (Bianchi).
30 urente — qui vi,lr in confronto.
30 desio -—• strazio.
39 pacte d'amar — allusivo al Paradiso confrontalo col vizioso paese fiorentino.
45 ai .sni = a' suoi parenti di casa.
50 iini tuo ---. (lusor) cioè del proprio bagliore.
51 E sesli =• e gesti, e atteggiamenti.
53 scorabiava — scorrazzava.
54 Ma. a nissun ftmlo et ga legnò ben drio = ma non si affisse, non si soffermo in alcun punto partico
lare (del Paradiso).
55 t;oo.iV»i' = desideroso.
56 me stHiariite = mi chiarisca, mi dilucidi.
y
468 DEL PARADISO
Di che la mente mia era sospesa. Certi dubi che ancora me restava.
Uno intendeva ed altro mi rispose : Cercando una, in t'un altro go dà 1 viso :
Credea veder Beatrice, e vidi un Sene Un vechio ho visto, e no la Bice mia,
Vestito einù" le genti gloriose. Vestio come i beati in Paradiso. 60
Diffuso era per gli occhi e per le gene In quei ochi e in quel viso se scovria
Di benigna letizia, in atto pio, L'alegrezza benigna e la bontà,
Quale a tenero padre si conviene. Come un pare amoroso mostraria.
Ed: Ella ov'è? di subito diss'io. Dove xela ? go in bota domandà ;
Ond'egli : A terminar lo tuo disiro E lu : Aciò le to vogie d'apagar 65
Mosse Beatrice me del luogo mio. Mi fìnissa, m' ha Bice qua mandà.
E, se riguardi su nel terzo giro Se al terzo ziro ti te fa a vardar,
Dal sommo grado, tu la rivedrai Sul trono ti poi vederla là sora,
Nel trono, che i suoi merli le sortiro. Ch'eia se ga savesto meritar.
Senza risponder gli occhi su levai ; Senza responder levo i ochi alora, "O
E vidi lei, che si facea corona, E la scovro dai ragi coronada
Riflettendo da sè gli eterni rai. De Dio renessi in eia, che i la indora.
Da quella regìon, che più su tuona, Chi dal più alto ciel dasse un ochiada
Occhio mortale alcun tanto non dista, In fondo al mar, lontan manco saria
Qualunque in mare più giù s'abbandona, Quel trato a l'ochio suo, che no la strada 75
Quanto lì da Beatrice la mia vista : Che insin a Bice l'ochio mio no sia ;
Ma nulla mi facea ; che la sua effige E pur mi bela la vedea lampante,
Non discendeva a me per mezzo mista. Perchè gnente de mezo me impedia.
O Donna, in cui la mia speranza vige, O dona de le mie speranze tante,
E che soffristi per la mia salute, Che per mio ben la Irazza ti lassavi 80
In Inferno lasciar le tue vestige ; Zo ne l'Inferno de le sante piante;
DI tante cose, quante io ho vedute, Ti la virtù de veder ti me davi
Dal tuo podere e dalla tua bontate Per to grazia e poder, per tua bontà
Riconosco la grazia e la virtute. Ste belezze. Ti ancora ti me favi
Tu m' hai di servo tratto a libertate Da l'esser schiavo ci don de libertà 85
Per tutte quelle vie, per tutt'i modi, In tante forme e tante vie cussi,
Che di ciò fare avean la potestate. Che io far quel che sta in ti no ti ha lassà.
La tua magnificenza in me custodi, In modo i doni toi maulien in mi,
Sì che l'anima mia, che fati' hai sana, Che l'anema talqual ti ha fata bona,
Piacente a te dal corpo si disnodi. Sorla dal corpo, come piase a ti. 90
Coti orai ; e quella sì lontana, Cossi lontan, come parca, la dona
Come parea, sorrise e riguardommi; Prego, che soridendo me vardava ;
Poi si tornò all'eterna fontana. Po voltà la s' ha a Dio co la persona.
lì '1 santo Sene : Acciocchè tu assommi E cossi el santo vechio me parlava :
Perfettamente, disse, il tuo cammino, Da li el prego de Bice, aciò a bon fin 95
A che priego ed amor santo mandommi. Vaga el to viazo, e el santo amor me inviava.
CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Qui vedi il Fior, che il sommo frutto diede, In veder qua quel tìor se se consola,
Onde s'aperse il Cielo a noi mortali, Chi-, n'ha da el Fruì" che n'ha verto n1 cielo,
Ove l'alma di qua sciolta sen riede. Dove l'anema fibera la svola.
Vicino al vago Sor dispiega l'ali Alegro sbaie l'ale Gabrielo
L'Angiol, che nunzio fu di tanta pace; Là arante, che de pase ha da l'aviso ;
E lodan mille spiriti immortali E un mier de vose loda in coro belo
L'alta Reina del regno verace. La Regina imortal del Paradiso.
Affetto al suo piacer, quel contemplante Bernardo sempre l'amor suo vardando,
Libero ufficio di dottore assunse, De farme el ciceron se ga impegnà
E cominciò queste parole sante: Con ste sante parole scomenzando :
La piaga, che Maria rinchiuse ed unse, Là da pie de Maria la dona sta
Quella, che tanto bella è da'suoi piedi, Bela che mai, che ha averta e incrudelin 5
È colei che l'aperse e che la punse. La piaga che Maria ga risanà.
Nell'ordine, che fanno i terzi sedi, Al terzo ziro solo de custia
Siede Rachel, disotto da costei, Rachele co la Bice insieme xe,
Con Beatrice, sì come tu vedi. Come ti vedi, Sara, po vien via
Sara, Rebecca, Judit e colei, Rebeca, la Guidila, e quela che 10
Che Tu bisava al cantor, che per doglia Bisnona gera a chi del mal pentio
Del fallo disse: Misti-ere (nei, Ga cantà el Misercre, e ha dito oime,
Puoi tu veder così di soglia in soglia Tal qual le chiamo per scali», fiol mio,
Giù digradar, com'io, che a proprio nome Da su in zo, ti le poi subitamente,
Vo per la rofa giù di foglia in foglia. Come mi, veder in sto fìor de Dio. 15
E dal settimo grado in giù, lì come Come dal primo al setimo, egualmente
In lino ad esso, succedono Ebree, Da questo, a scala zo per tuto el lior
Dirimendo del li or tutte le chiome; Vien altre Ebree, e par che propriamente,
Perchè, secondo lo sguardo che fee Le forma insieme un muro divisor
La fede in Cristo, queste sono il muro, Dei beati, che in Cristo beoedeto 20
A che si parton le sacre scalee. Diversamente i ga avù fede in cuor.
•J!.ìl Qua da sla banda ec. . vengono qui denotali gli clcili dell'Antico Testamento.
25.27 Un st'altra in dove te. = e qui sono accennati gli eletti del Testamento Nuovo.
29 E i altri che glf'è tota -..• e gli altri scanni delle donne Ebrte.
31 Sempre santo — Giovanni fu santificato nel ventre ili sua mailre Santa Elisabclla.
33 Za al Limbo un per de ani .- due anni corsero dalla morte di S. Gio: Battista a quella di Cristo.
35 co Agostin » con Agostino.
36 tcalinandn »• discendendo per gradini.
38 l'unfi e l'altra fila dei beati = cioè quella che credette in Cristo venturo, e l'altra ohe credette io Cri-
stOfvenuto,
39 a l'impar -.. del pari, egualmente. Clic gli eletti del Nuovo Testamento eguagleranno in numero quelli
dell'Antico, è detto secondo certe opinioni clic a quel tempo si avevano riguardo al numero degli cletti, ed alU
mirata della leggc di grazia, all'epoca della fine ilei mondo iv ; cose tutte che non hanno alcun fondamento ili
speciale rivelazione divina, e rimangono questioni di mera curiosità, e in parte vane e ridicole. ^Bianchi)
42 Con terte condizion = cioè clic i bambini fossero circoncisi prima della istituzione del battesimo, e lsli-
tuito questo, fossero battezzati: Vedi il v. 76 e seguenti.
43 e le ostie = e le vocine.
50 tur vài l'imbarazzo = voglio togliere l'imbarazzo in cui si avvolge il dubbio di Danto, ed e qnesio:
Come i bambini, essendo in l'amdiso per i meriti di Gesù Cristo, si trovino collocati in varii gradi di gloria,
e non lutti nel grado medesimo.
CATTO XXXll. 473
Casual punto non puote avor sito, Come gnanca no gh'è, perciò no dù
Se non come tristizia, o sete, o (ume : Paturnia, fame, o sè nissun impazzo:
Chè per eterna legge è stabilito Perchè quel che ti vedi, xe ordenà 55
Quantunque vedi, sì che giustamente l)a Dio cossi, che luto è in proporzion,
Ci si risponde dall'anello al dito. Com'è adatà l'anelo al deo. E qua
E però questa festinata gente Perciò a sta vita eterna de licon
A vera vita, non è ame causa, Vegnù sti fi ni. de l'altro uno no gh'è
lntra sè, qui più e meno eccellente. Che sia megio logà senza rason. CO
Lo rege, per cui questo regno pausa Come pase a sto regno ha da '1 so Re
ln tanto amore ed in tanto diletto, 'Tra l'alegrezza e in mezo a tanto amor,
Cbe nulla volontade è di più ausa, Che de più bramizar mai no podè,
Le menti tutte, in suo lieto cospetto La grazia el ga dà a Pomo con magior
Creando, a suo piacer di grazia dota 0 m'unr dosa quando el l' ha creà ; 65
Diversamente. E qui basti l'effetto. E qua, fiol mio, de più saver no ocor.
E ciò espresso e chiaro vi si nota Da la Scritura santa questo è sta
Nella Scrittura santa in que' gemelli. Messo in chiaro nel caso dei zemei,
Che nella madre ebber l'ira commota. Che i ga in sen de la mare barufà ;
Però, secondo il colui de' capelli Perciò la grazia i ga drio i so cavei, 70
Di cotal grazia, l'altissimo lume E convien degnamente i sia logai.
Degnamente convien che s'incappelli. Per questo, senza merità i pulsi»
Dunque, senza mercè di lor costume. Se l'abia, i xe in sto sito destinai ;
Locati son por gradi differenti, E solo manco, o più vicini a Dio,
Sol differendo nel primiero acume. Su diversi scalini i xe sentai. 75
Bastava sì ne' secoli recenti ltastava al fantolin ni tempi indrio
Con l'innocenza, per aver salute, Per salvarse, ch'el pare sol credesse
Solamente la fede de' parenti. Che doveva vegnir el lini de Dio :
Poichè le prime etadi fùr compiute, Dopo, aciò i maschi apena nati avesse
Convenne a' maschi alle innocenti penne, La grazia, ha bisognà che i pari sui, 80
Per circoncidere, acquistar virtute. Rassegnai, circoncider li facesse.
Ma poichè '1 tempo della grazia venne, Ma de la grazia i dì co xe vegnui,
Senza battesmo perfetto di Cristo, 1 bambinei senza el batizo in Cristo
Tale innocenza laggiù si ritenne. Morti, al Limbo la zo gera tegnui.
85-86 vaniu ti risa che più a Cristo Somegia in luti — r il volto di Maria Vcrgiue.
98 in fazta = di faccia, dirimpetto = destirà = spiegò, distese.
103 fa co l'ale el zogo -- cioè il morimento delle ali in segno di letizia.
106 a ehi - cioè a S. Bernardo -- muma --- perfino.
108 la itela de manna = è la stella Venere.
Ili i' cimi alegro nu volemo el sia — perchè vogliamo quello che Dio vuole. Vedi C. III. v. SI.
118-120 Quci da -= sono Adamo capo del vecchio Testamento, e S. Pietro cupo del nuovo, come viene chia
rito qui di seguilo. — rat» -.-. radici. = tanto arente = vicinissimi.
CANTO XXXII. 473
È '1 padre, per lo cui ardito gusto Xe chi '1 fruto gustar se ga azardà,
L'umana specie tanto amaro gusta. Dando perciò ai so fioi pena e dolor.
A destra vedi quel padre vetusto A la so drita quelo varda là,
Di santa Chiesa, a cui Cristo le chiavi Al qual le sante chiave Gesù Cristo i 25
Raccomandò di questo lini venusto. De sto bel Paradiso el ga fidà.
E quei, che vide tutt'i tempi gravi, E quel che avanti de morir ga visto
Pria che morisse, della bella sposa, 1 dani de la Chiesa, che la xe
Che s'acquistò con la lancia e co' chiavi, De la passion de Cristo degno aquisto,
Siede lungh'esso : e lungo l'altro posa Gh'è arente; e arante a Adamo sta Mosè, 130
Quel duca, sotto cui visse di manna Soto del qual vissudo ga de mana
La gente ingrata, mobile e ritrosa. La /culi! ingrata e intestardia. Ghe xe
Di contro a Pietro vedi seder Anna, De fazza a Piero là in senton Sant'Ana,
Tanto contenta di mirar sua figlia, Tanto contenta in amirar so fia,
Che non muove occhio per cantare osanna Che ne li -.i i no bate per cantar Osava. 135
E contro al maggior Padre di famiglia E de fazza de Adamo sta Lucia,
Siedi Lucia, che mosse la tua Donna, Che ha stuzzegà la Bice tua per farle
Quando chinavi a minai le ciglia. Salvar dal precipizio là zo via.
Ma perchè '1 tempo fugge che t'assonna, Ma '( tempo de la to vision za parte ;
Qui farem punto, come buon sartore, i- IMO o ponto perciò, com'el sartor, 140
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna : Che conforme xe '1 pano, l'usa l'arte.
E drizzeremo gli occhi al primo Amore, E volteremo i ochi al primo Amor
Sì che, guardando verso lui, penetri, Cussi, che nel vardarlo, quanto più
Quant'è possibil, per lo suo fulgore. Ti poi, ti abi da entrar nel so splendor.
Veramente, nè forse tu t'arretri, Ma aciò tentando de avanzar in su 145
Movendo l'ale tue, credendo olii ,n Ii, No ti torni po in zo, convien, fioi mio,
Orando, grazia convien che s'impetri; La grazia col pregar ti abi da Lu,
Grazia da quella, che puote aiutarti: Per via de Quela che più arente a Dio
E tu mi seguirai con l'affezione Te poi giovar: perciò con devozion
Sì, che dal dicer mio lo cuor non parti. E col cuor, sin che prego, vienine drio. 150
E cominciò questa santa orazione. Po el scomenza a dir suso sta ora/ion.
122 Xt ehi -= Adamo
124 furio varda là = S. Pietro.
127-129 E iiiiel che avanti ee. = accenna a S. Giovanni Evangelista, elic vide nella sua estasi le calamiIà fa
tare della Chiesa.
130 arnie — dappresso = Mosi - condotiiero dei popolo Ebreo.
132 I. n zenit = cioè il popolo Ebreo.
133 De fazza = vedi Noia 98 = Sant'Ana -. Sant'Anna madre di M, ni, t Vergine.
136 Lucia — Santa Lucia, vergine martire, in cui nell'1nferno C. Il, v. 97 viene figurala la grazii illumi
nante.
137-133 che ha tluzzeyà la Dice e:. — elic Iia eccitata Beatrice: vedi Canto suddetto, v. 94-108.
139 Ma 'I tempo de la lo vision - cioè il tempo che Dio aisegnò a Dante per questa visione -— de la lo =
della tua.
142 al primo Amor - cioè a Dio.
148 Per via de Quela = l'or meno, cioè, di M. V. =. più arenti- = più vicino.
47G PEL PARADlSO
CANTO TRENTESlMÒTERZO
. ARGOMENTO ARGOMENTO
La vista del Pocta è omai sincera La vista a Dante tal vepnuda gera.
Sì. che più oltre fa sempre viaggio Che sempre in su de ciclo in cielo andando,
Nell'alta lUCH, che da sé è vera. L'ha possudo fissar la Luso Vera.
Ma ben s'avvede che intelletto saggio Ma come strussieria sempre de bando
Veste non trova d'umane favelle, l.'inteleto più fin capio el ga elo,
Onde ridir di qual risplend.i raggio Pc.r dir da quala luse el ragio granilo
L'Amor, che move il sole, e l'altre stelle. Unsplende dull'Amor, che move el cielo.
Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, Vergine mare, linia del to Fio,
Umile ed alta più che creatura, Umile e granda più d'ogni creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio ; Pensier eterno del eterno Dio:
Tu se' colei, che l'umana natura Ti è quela che del omo la natura
Nobilitasti sì, che '1 suo Fattore Ti ha nobilìa cossi, ch'el so Creator
Non disdegnò di farsi sua fattura. S'ha fm degnà de farse so fatura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore, Ne le vissere tue possù ha l'amor
Per lo cui caldo, nell'eterna pace, De più scaldarse, per el qual formà
Così è germinato questo fiore. S'ha sto santo consorzio in sto bel fior.
Qui se' a noi meridiana face Nostro Sol ti è qua drento in carità; 10
Di caritade; e giuso, intra i mortali, E l'omo che no fa che sospirar,
Se' di speranza fontana vivace. Per Ti, in Ti ogni speranza el ga.
Donna, se' tanto grande e tanto vali, Tanto ti è granda, e tanto ti poi far,
Che qual vuoi grazia, ed a te non ricorre Che chi voi grazia e po da ti no vicn,
Sua disianza vuoi volar senz'ali. La vogia soa senz'ale voi svolar. 15
La tua benignità non pur soccorre Ti begnigna, no solo ti sovien
A chi dimanda, ma molte fiate A chi domanda, ma spesso a chi aspira
Liberamente al dimandar precorre. Senza domanda, e questa ti previen.
ln te misericordia, in te pietate, Misericordia e amor in li respira,
ln te magnificenza, in te s'aduna ln ti xe splendidezza, in li se suna 20
Quantunque in creatura è di bontate. Quanta in creatura de bontà se amira.
Or questi, che dall'infima lacuna Questo, che ha avù de vèder la fortuna
1 mars = madre.
5 Mobilia --:. nobilitala.
9 santo consorzio = cioù il Consesso ilei beati IH uo ld fior = cioiì la rosa celeste già descritta nei
canti precedenti.
20 se suna - . si aduna.
22 Questo = cioè Dantc,
CANTO xxxni. 477
Dell'universo insin qui ha vedute Dal basso lnferno lina qua de su
Le vite spiritali ad una ad una, Le aneme dei tre regni a una a una,
Supplica a te, per grazia, di virtute Te prega aciò, per grazia toa, virtù 25
Tanto, che possa con gli occhi levarsi Tanta ti vogi darghe, che levar
Piti alto, verso l'ultima salute. Possa cio i ochi a veder Dio la tu.
Ed io, che mai per mio veder non arsi E mi, che tanta vogia de vardar
Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei prieghi Per mi no ho avua quanta per elo, i mi
Ti porgo (e prego che non sieno scarsi), Preghi ai toi zonto, e fa che da bastar 30
Perchè tu ogni nube gli disieghi l gabia, perché Dio, pregà cussi,
Di sua mortalità, co' prieghi tuoi, Quanto è in lu de mortai ghe scazza via,
Sì che '1 sommo piacer gli si dispieghi. E el veda schieto el primo Amor per ti.
Ancor ti prego, Regina, che puoi Regina, che ogni cossa qualsesia
Ciò che tu vuoli, che conservi sani, Ti voi, ti poi, che ti ghe legni san 35
Dopo tanto veder, gli affetti suoi. El cuor da le passion te pregarla
Vinca tua guardia i movimenti umani : Dopo el za visto, e da ogni mal lontan.
Vedi Beatrice con quanti beali Varda Bice e i Beati, tuti drio
Per li miei prieghi ti chiudon le mani. A la preghiera mia zontar le man.
Gli occhi da Dio diletti e venerati, l ochi de Quela tanto cara a Dio, 40
Fissi nell'orator, mi dimostraro Fissi in chi ga pregà, veder me fava
Quanto i devoti prieghi le son grati. Qual piacer per quel prego eia ha sentio.
lndi all'eterno lume si drizzaro, Dopo al Lusor eterno i se drizzava,
Nel qual non si può creder che s'invii Al qual altro ochili, certo, no ghe ariva
Per creatura l'occhio tanto chiaro. Chiaro cussi. E mi, che arente andava 45
Ed io, ch'ai fine di tutti i desii Al vero Ben, la brama che sentiva,
M'appropinquava, si com'io doveva, Oramai tuta abandonada aveva,
L'ardor del desiderio in me finii. Perchè tuta saziada me vegniva.
Bernardo m'accennava, e sorrideva, Bernardo a sta mia grazia sorideva,
Perch'io guardassi in suso : ma io era Fandome el moto aciò vardasse in su ; 50
Già per me stesso tal qual ei voleva : Ma alzadi i ochi a modo soo za aveva :
Chè la mia vista, venendo sincera, Chè vegnindo la vista mia più fina,
E più e più entrava per lo raggio Xe a poco a poco in quela Luse entrada,
Dell'alta luce, che da sè è vera. Che xe de Verità Luse Divina,
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio La cossa, che se m' ha po presentada, 55
Che '1 parlar nostro, eh' a tal vista cede; A dir linguagio d'omo xe impotente,
E cede la memoria a tanto oltraggio. E la memoria insin resta copada.
Quale è colui che sonn'iando vede, Come un fato in sognar vede el dormiente,
29 i mi = i mici.
30 zonto - . aggiungo.
32 n ke scazza via .- gli discaccia.
33 E el veda sciatto = ed egli veda aperUmente -. rl primo Amor cioè Dio,
39 zontar ls man = giugncre le mani.
40 ile Quela .•- cioè di Maria Vergine.
43 ni lMSOv eiernu = cioè a Dio.
46 Al vero Ben = a Dio.
51 aoo = suo
57 copada = morta.
478 DEL PARADlSO
E dopo '1 sogno la passione impressa E drlo el sogno ghe resta l'impression,
Rimane, e l'altro alla mente non riede; Ma '1 sogno noi ghe poi tornar in mente : 60
Culai son io : chè quasi tutta cessa Cossi mi : che sfantada la visìon
Mia visione, ed ancor mi distilla Da la memoria quasi tuta, ancora
Nel cuor lo dolce che nacque da essa. Me resta drento in cuor el saor bon.
Cosi la neve al Sol si disigilla; Cussi la neve al Sol la se svapora,
Così al vento nelle foglie lievi Cussi '1 vento i oracoli ha mandà 65
Si perdea la sentenzia di Sibilla. De Sibila, e le fogie sotosora.
O somma luce, che tanto ti lievi O gran Luse, che tanto in alto va
Da concetti mortali, alla mia mente Sm a el pensier dei omeni, me dona
Ripresta un poco di quel che parevi; La memoria de quando i" ho amirà ;
E fa la lingua mia tanto possente, E la parola mia fa tanto bona, 70
Ch'una favilla sol della tua gloria Che una faliva sol de la belezza
Possa lasciare alla futura gente : Tua più gloriosa, ai nostri floi ghe intona;
Chè, per tornare alquanto a mia memoria, Che tornandome in mente la dolcezza,
E per sonare un poco in questi versi, E in sti mii versi un tantinin sonando,
Più si conceperà di tua vittoria. De più se capirà la to grandezza. 75
lo credo, per l'acume ch'io soffersi ln sostegnir quel ragio cossi grando,
Del vivo raggio, ch'io sarei smarrito, Penso che me saria tuto smario,
Se gli occhi miei da lui fossero aversi. Da quel lusor divin i ochi levando.
E mi ricorda, ch'io fu' più ardito E più forte perciò l'anemo mio,
Per questo a sostener tanto, ch'io giunsi Recordo, in afrontarlo el deventava 80
L'aspetto mio col Valore infmito. Cossi, che univa l'ochio mio con Dio.
O abbondante grazia, ond'io presunsi O imensa grazia che me incoragiava
Ficcar lo viso per la luce eterna A spenzer i ochi sul Lusor più belo,
Tanto, che la veduta vi consunsi! Tanto che la mia vista consumava !
Nel suo profondo vidi che s'interna ln tei so fondo mi go visto quelo, 85
Legato con amore in un volume Che ligà co l'amor, in compagnia
Ciò che per l'universo si squaderna : Se spande qua zo in tera e sora el cielo ;
Sustanzie ed accidenti e lor costume, Quanto sta da sè solo, o vegnù sia
Tutti conflati insieme per tal modo, Da altra cossa, atacà tuto è cussi,
Che ciò ch'io dico è un semplice lume. Che quel che digo solo xe in ombria. 90
La forma universal di questo nodo Sto nodo credo d'aver visto lì ;
Credo ch'io vidi; perchè più di largo, Perchè nel recordar sta verità,
Dicendo questo, mi sento ch'io godo. Sento che più se starga el cuor in mi.
Un punto solo m'è maggior letargo, Più presto in t'un sol ponto m'ho scordà,
61 tfnninitii = dileguata.
63 et saor bon = il buon sapore.
65-68 Catti 'l vento = narra Virgilio clic la Sibilla Cuniana scriveva i suoi oracoli nelle foglie, che disten
deva in terra dinanzi al suo antro; ma il vento stesso, clic si faceva all'aprir dullu grotta, metteva io disordine
quello foglie e nessuno raccappezzava più nulla.
71 /o/iva = scintilla.
74 un inniinin — un fantolino, un minimo.
85-86 go vitto gutlo te. = cioè quanto per la creazione si manifesta diffuso.
S8 Quanto sta da sè solo — Tutto ciò clic sussiste da se.
94 in C'ni sol ponto = s'iutende dopo la beata visione.
CANTO xxui. 479
Che venticinque soculi all'impresa, Che in venticinque secoli sonai, 95
Che fe Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. S'alda d'Argo Netun desmentegà.
Cosi la mente mia tutta sospesa, Fra '1 stupor e l'amor, cussi fermai
Mirava fissa, immobile ed attenta; I mii pensieri in quel Lusor tegniva,
E sempre di mirar faceasi accesa. Che i a' ha in fissarlo sempre più invogiai.
A quella luce colai si diventa, Tali vegnimo a quela I, use viva, 100
Che volgersi da lei, per altro aspetto, Che mai lassarla no podemo nu,
È impossibil che mal si consenta: Mentre gnent'altro contentarne ariva:
Perocchè '1 ben, ch'i: del volere obbietlo, Perchè '1 ben, al qual l'omo tende più,
Tutto s'accoglie in lei: e fuor di quella In quel Lusor se nichia ; e via de quelo
È difettivo «io, ch'è lì perfetto. Tuto è imperfeto, e sol perfeto è Lu. 105
Omai sarà più corta mia favella Da desso per quel poco che ho in cervelo
Pure a quel ch'io ricordo, che d'un fante, El mio discorso più sarà imperfeto,
Che bagni ancor la lingua alla mammella. De quel che fa da late un bambinelo.
Non perchè più ch'un semplice sembiante No perchè più ghe fusse d'un aspeto
Fosse nel vivo lume, ch'io mirava, In quel vivo Lusor, che mi vardava, 110
Chà tale è sempre qual s'era davante, Che mai cambia el divin lume perfeto,
Ma, per la vista che s'avvalorava Ma perchè la mia vista s'infrancava
In me, guardando, una sola parvenza, Amirando in Lu sola una belezza,
Mutandom'io, a me si travagliava. Lu no, ma mi in fissarlo me cambiava.
Nella profonda e chiara sussistenza Drento in quel Esser tra la gran chiarezza, 115
Dell'alto lume parvermi tre giri Tre cerchi grazia ho avua che se mostrasse
Di tre colori, e d'una contenenza : De tre colori e d'una eguai grandezza :
E l'un dall'altro, come Iri da Iri, Un parea che da l'altro derivasse,
Parea riflesso : e '1 terzo parea fuoco, Come i arcocelesti, e propriamente
Che quinci e quindi igualmente si spiri. Pareva el te;zo al fogo se infiamasse 120
Oh quanto è corto '1 dire e come fioco Dei do primi. O co scarso a quel che ho in mente
Al mio concetto! e questo a quel ch'io vidi, Xe '1 dir ! e '1 dir a quel che ho visto è tanto
È tanto che non basta a dicer poco. Poco, che quasi el poco dir xe gnente.
O luce eterna, che sola in te sidi, O Luse, che in ti sola a star ti ha '1 vanto,
Sola t'intendi, e, da te intelletta Ti sola ti te intendi, e za capia 125
Ed intendente, te ami ed arridi ! Da ti, te t'ami e ti te piasi tanto !
Quella circulazion, che sì concetta Nel cerchio, che vegnù par da ti '1 sia,
65-96 Che in viuticinrIut tceoli te. — allude alla meraviglia prorata da Nettana, Dio del mare, quando ven
ticinque secoli addietro vide per la prima volta U nave d'Argo scorrere sul suo elemento = tonai' = passati,
compili.
99 invogiai = invogliati di fissare.
HO ouel vivo Lutar - cioè Dio.
116 Tre cerchi = questi Ire cerchi figurano le persone dulia Trinila, distinte ma eguali.
11S-U'1 l'n = cioè il Figlio - - pareva da l'altro derivaste *= cioè dal Padre . Parea el lerto che al fo
go te infiamane Dei do primi i': in questo luogo simboleggiato lo Spirilo Santo, cioè l'amore che procede dui
Padre e dal Figlio - vedi C. X v. 1-2 Un, scarso - O quanto scarso.
125-126 'l'i tola li te intendi = cioè la luce intelligente elic è il Padre = e xa enjiia = cioè la luce in
tendente che è il Figlio - le l'ami e li te piati tanto = cioè l'umore e la compiacenza del Padre e del Figlio;
con elic viene espressa teologicamente la Trinità.
127 Nel cerchio ee. = cioè il secondo dei tre già descritti (redi v. lift) quello vale a dire del Figliuolo de
rivante dal Padre.
480 DEL PARADISO
Pareva in Le, come lume reflesso, Come el ragio da un altro refletuo,
Dagli occhi miei alquanto circonspetta, Che mi vardava atorno atorno via,
Dentro da sè, del suo colore istesso, M' ha parso d'aver proprio conossuo 130
Mi parve pinta della nostra effige : Col color stesso drento in lu depento
Per che il mio viso in lei tutto era messo. Dè nu '1 retrato, e là l'ochio ho tegnuo.
Qual è '1 geometra, che tutto s'affige, Coin 'el serio geometro sta atento
Per misurar lo cerchio, e non ritruova, Del circolo a studiar la quadratura,
Pensando, quel principio ond'egli indige; E buta el tempo e la fadiga al vehlo. 135
Tale era io a quella vista nuova: Cossi resto davanti a la figura:
Veder voleva come si convenne Volea mo intender coine mai podeva :
L'imago al cerchio, e come vi s'indova; Star col Verbo de l'omo la natura;
Ma non eran da ciò le proprie penne: Ma la mente in pensarghe se perdeva
Se non che la mia mente fu percossa Che non è, una luse me mostrava 140
Da un fulgore, in che sua voglia venne. El gran mistero che capir voleva.
All'alta fantasia qui mancò possa. La memoria a sta vista me scampava:
Ma già volgeva il mio desiro e '1 velie, Sia, come roda che va via a penelo,
Sì come ruota che igualmente è mossa, El voler mio al so voler piegava
l.'Vmor che muove il Sole e l'altre stelle. L' Imperator che move lera e cielo. 145
CORREZIONE
Tag. 398 Canto XVII v. 71 del Paradiso — In luogo dui Gran Can deve leggersi del Sovran,
e così pure nella Nota corrispondente.
ERRATA CORRIGE
Pag. 13 Vers. 5 Del largo Del longo
n 18 » 49 no la la lassa no la lassa
ii 20 » 111 su i in tani iva i, su i intardivai.
» 41 » 112 n'ho sentio no ho sentio
» 48 n 78 qua soto qua soto.
» 55 » 57 a cozzar a cazzar
» 60 » 82 la drento là drento
» 79 » 115 zozo zoso
» 97 » 2 la battaglia la guera
» 111 » 14 N'ho visto No ho visto
» 117 » 50 più eerto più certo
» 129 » 135 ho dai un dai.
» ibid. » 9 vintindo mia umido mia
w 171 » 59 Vegnirme Vegnirne
» 202 » 42 go ga
» 239 » 28 alsarse alzarse
n 244 n 23 viaso viazo
n 266 » 116 nu quel nu in quel
» 270 » 1 Bada bada
-> 288 » 69 somenarli semenarli
» 289 » 109 ele elo
» 291 » 14 voltante voltando
» 391 » 38 sei ani sie ani
» 396 » 16 veder vedèr
» ibid. » 19 cava. cava
» 412 » 36 resplendente splendente
» 414 » 120 dada. dada,
n 416 » 9 lo monta la monta
» 454 n 102 più più
» 459 » 93 scollando scollando.
» 463 » 92 veder vedèr
» 469 » 97 zira ben ochi intorno zira ben i ochi intorno
» 474 » 118 che piacer più i sente più piacer i sente
» 476 n 12 in Ti ogni speranza el ga ogni speranza in Ti lu ga
» 477 » 27 la su là su
» 480 » 137 podeva: podeva
» ibid. » 13l) perdeva perdeva :