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ALIGHIERI, Dante - LA DIVINA COMMEDIA Tradotta in Dialetto Veneziano

Divina Commedia in dialetto veneziano

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Diegovskij
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S7

LA

DIVINA COMMEDIA
DI

DANTE ALLIGHIBRI
TRADOTTA.

IN DIALETTO VENEZIANO
m
E ANNOTATA

GIUSEPPE CAPPELLI

PADOVA
DALLA TIPOGRAFIA DEL SEMINARIO
1875
PREFAZIONI

ILI dialetto veneziano, fra i tanti parlati in Italia, è senza dubbio


il più affine alla lingua pura italiana, e perciò il più idoneo a rilevare
la espressione dantesca, oltre di essere il meglio inteso per tutta Italia.
Cotal dialetto adunque, sebbene adoperato comunemente per trattare
argomenti famigliari e scherzevoli, non è spoglio di venustà, e potremo
anche dire di una certa gravita e decoro a preferenza degli altri, che
mancanti di tali prerogative, mancano altresì di quella grazia, di quella
dolcezza e fluidità che la veneziana parola caratterizza. Ne fanno piena
testimonianza l'immortale Goldoni, il Pasto, il Lamberti, il Gritti e il
Buratti, nelle più castigate sue composizioni, che seppero ali' Decorrenza
dare al vernacolo la lirica ed elegiaca impronta.
La versione della Divina Commedia da me fatta in dialetto vene
ziano, non già per i dotti, ma per coloro che a tale ordine non ap
partengono, non esclusi quelli che quantunque di coltura forniti, non
vogliono affaticare la mente applicandosi ad uno studio più serio, ha
per iscopo di rendere, per quant' è possibile, popolare un' opera astrusa
alle volte persine nell' esteriore sua forma, e dai pochi studiosi soltanto
compresa, nonché ad agevolarne la intrinseca intelligenza: al qual fine
ho corredata la versione stessa di note storiche, sacre, profane e mitolo-
giche e della spiegazione ben anco delle più interessanti allegorie, ed
a comodo -dei lettori non veneziani, vi aggiunsi la dichiarazione nella lin
gua italiana delle frasi veneziane e dei termini meno comuni. Per l'op
portuno confronto sta di fronte alla versione l'originale, e in testa d'ogni
4
canto ho riportato l'argomento composto dal rinomato Gaspare Gozzi, e
che pure voltai in veneziano.
Fuori di questa via non saprebbesi per verità quale altra migliore
possa dare a comprendere il divino poema a que' tali che di buoni studi
non sono punto forniti, e indurii a leggere, dopo la traduzione, l'originale,
che non apparirebbe loro, come dapprima, di difficile intelligenza.
Del resto il dialetto da me usato, reso così men arduo nella sua vera
appropriata intelligenza, è quello che parlasi dalla civile società venezia
na, quello usato dai poeti sopraccitati, siccome il più adatto alla, dignità
del soggetto.
Ciò non di meno fino ad un certo punto fui titubante a rendere di
pubblica ragione questo faticosissimo mio lavoro; senonchè a vincere la
mia esitazione valse il suffragio avuto e l'incoraggiamento datomi da
uomini illustri consumati nelle lettere, e segnatamente l'autorevolissi
mo giudizio del periodico fiorentino Z' Unità della Lingua, diretto dal
l'insigne e chiarissimo filologo Cav. Pietro Fanfani, che dichiarò (V.
K° 10 del 5 Maggio 1873) questa mia traduzione n utile nel riguardo
n dello scopo cui mira, e veramente bellissima n ; valse l'encomio diffu
samente ragionato dal sig. Conte Alessio Besi nel suo dotto opuscolo
Della necessità di tornare allo studio di Dante (coi Tipi di L. Merlo
di Venezia 1873); come pure il cenno bibliografico inserito nella Gaz
zetta di Venezia 9 Gennaio 1874 N.° 8, più d'ogn' altra competente
in siffatta materia, la quale a proposito del detto opuscolo, manifestò
n il desiderio di vedere al più presto diffusa questa traduzione ad onore
n del nostro concittadino e del nostro dialetto, che così bene si presta
n alla difficilissima versione n. Anche il giocoso Sior Tonin Bonagrazia
trovò in questa traduzione materia degna di encomio (Vedi 2 maggio
1874 N.° 52).
L' illustre Mons. Canonico Luigi Dalla Vecchia, nel Foglietto di Vi-
cenza (26 Aprile 1874 N.° 17) manifestò l'impressione che gli produs
sero parecchi saggi di questo mio lavoro. È troppo seducente l' onore
che me ne deriva dall'articolo dettato da un personaggio di sì alta fama
o
e per ogni riguardo rispettabilissimo, perché debba tralasciare, sia pure
col rischio di apparire vanitoso, di qui riprodurlo nella sua integrità.
Eccolo :
nChi non ha sentito nominar Dante e la sua Divina Commedia?
nMa quanto pochi la intendon bene e penetrano il midollo che si na-
nsconde sotto quei versi stranii Commenti sopra commenti vennero fatti,
n tanti da formarne una libreria. Ma volete senza rompicapo, e senza
n tante note farvelo tutto vostro? Prendete in mano il Dante tradotto
nin Dialetto Veneziano da Giuseppe Cappelli, e vi assicuro che la vi-
n vacità, la forza, la naturalezza, il fraseggiare di quel linguaggio vi farà
n gustare con vero diletto e senza stento quella sublime Commedia. Fatica
n immensa deve avergli costato a travestirla così ; ma si merita gratitudine
n dall' universale, che interpretazione più esatta non si avrebbe potuto
nfare. Un'occhiata alla terzina di Dante che sta di fronte, un'altra a
n quella del Cappelli, e si maraviglierà del come siasi così bene rilevato
»il concetton.
Che si sappia, fino ad ora quattro poeti italiani, tra cui taluno di
chiara fama, fecero prova di tradurre la Divina Commedia, e sono: il
D.r Nardo: La morte di Ugolino, in dialetto chioggiotto; il Candiani: Un
saggio di traduzione di Dante, in dialetto veronese ; l' Jacarino : II popo
lare Dante, in dialetto napoletano; il Porta: Traduzione liliera del Canto
I." dell'Inferno e Frammenti dei canti IL0, III,0, V.°, e VII.0 pure del-
l' Inferno, in dialetto milanese ; ma il tutto si è limitato a semplici ten
tativi ; nessuno ha compiuto l' opera, probabilmente per gli inciampi della
troppo ardua fatica.
Quanto siasi cresciuto lo studio sulla Divina Commedia lo attesta
ad esuberanza l' insegnamento che se ne dà in tutta Europa; ove sono in-
stituite cattedre per farne la spiegazione nei vari idiomi nazionali. Per
fino in America il poeta Longfellow si è reso benemerito per i suoi studi
Danteschi.
Non sarà dunque fuor di proposito il modo per me usato ad esten
derne la intelligenza anche a coloro, e sono il maggior numero, che non
6
si danno a questo studio; anzi confido che anche il dotto più austero,
considerata la mia versione sotto questo rispetto, vorrà essermi cortese
della sua indalgenza.
Il popolo, e in particolar guisa quello della Venezia, potrà per la
via di parole scritte nel suo linguaggio farsi una idea di quanto si con
tiene nel gran libro, gloria e onore dell' Italia nostra.
Ivi informato a principii veri del giusto e dell' onesto, e le pitture
del turpe vizio discoprendo, saprà inspirarsi ad elevati e nobili sensi
degni del nome italiano.
Al popolo pertanto consacro principalmente questa mia fatica; la
quale, se non offrirà nel campo letterario che una assai languida idea
del gran tipo da cui soltanto è dato ritrarre lo slancio prodigioso di una
mente quasi divina, avrà almeno il conforto di avere dischiusa alla in
telligenza dei più un'alta creazione, che seminata di maschie virtù cit
tadine, infonde nell' uomo generosi sensi di patria carità, e lo rende
capace di magnanime imprese.
E sarò ben fortunato, se questa mia versione potrà indurre taluno
a scorrere il testo del sacro poema, a quella guisa che un informe abbozzo
di un rinomato dipinto invoglia il dilettante a vagheggiarne l' originale.
INFERNO
DELL'INFERNO

CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Mentre fra l'ombre d' una selva oscura, Danto xe perso in una selva scura,
Dante smarrito in suo pensicr s'attrista E per scansar quell'onda malora,
E all'erto colle Ai salir procura; De montar sora un monte do procura :
Temer lo & di tre fere la vista : Lo spaventa tre fiere ; ma dix fora
Ma Virgilio v'accorre, e gli promette In so agiuto Virgilio, e ghe propone
Altro viaggio, onde speranza acquista; Un altro viagio ; fato cuor alora,
E per novo cammin seco si mette. A caminar con elo se dispone.

Nel mezzo del cammin di nostra vita A meza strada de la vita umana
Mi ritrovai per una selva oscura, Me son trovà drento una selva scura,
Che la dritta via era smarrita. Che persa mi gavea la tramontana.
Ahi quanto, a dir qual era, è cosa dura, Come far dei so orori la pitura,
Questa selva selvaggia ed aspra e forte, Che de quei poco più fa oror la morte,
Che nel pensier rinnova la paura ! E ancora a sol pensarghe go paura !
Tanto i amara, che poco è più morte : Un spasemo go avudo cussi forte,
Ma per trattar del hen ch'i' vi trovai, Che m' ha '1 sangue giazzù, ma dirò quelo,
Dirò dell'altre cose ch'io v" ho scorte. Che ho visto prima ch'abia bona sorte.
I' non so ben ridir com'io v'entrai ; Come ghe fussi entrà sapialo el cielo, 10
Tant'era pien di sonno in su quel punto, Tanto insonà mi gera in quel momento,
Che la verace via abbandonai. Che dei do (m/i go falà '1 più belo.
Ma poi ch'io fui appie d'un colle giunto, Ma quando al pie d'una colina a stento
Là ove terminava quella valle Gera arivà de quela selva in fondo,
Che m'avea di paura il cuor compunto, Che impililo me gavea de gran spavento ; 15
Guardai in alto, e vidi le sue spalle Go alzà i ochi, e le creste a ponte e in tondo
Vestite già de' raggi del pianeta, Dai ragi d'oro ho visto inluminae
Che mena dritto altrui per ogni calle. De la lanterna che fa chiaro al mondo.
Alkir fu la paura un poco queta, Me xe alora le angosce un fià calae
Che nel lago del cuor m'era durata Col tremor che a la note go patio •20
La notte, ch'io passai con tanta pieta. Per le tante paure che ho passae.
E come quei, che con lena affannata Com'el naufrago in mar che tocà el lio

1 A mcza ttrada de la nita umana —- Suppone il Poeta di avere avata questa visione nell'età di 35 anni,
la inolii del corso ordinario della vita, come egli stesso dichiara nel suo Convito.
2 selva ncura = Coli' immagine di questa oscura selva, il Poeta rappresenta nel senso morale e teologico
lo stato di un'anima inviluppata ne' vizj; e nel senso politico la miseria e la confusione nella quale era Italia
afflitta nel pareggiare de' (lui-Iii e de' Uhibellini.
5 un fià = un poco.
7 tpasemo — dolore intenso cagionato fra altro da paura, da spavento.
12 trozi - viottoli, sentieruoli.
13 al pie d'un monte = La cima del colle opposto alla miseria della boscaglia rappresenta la virtù.
19 ttn fià = un po'. = calae = scemate, diminuite.
22 lio = lido.
40 DELL'
Uscito fuor del pelago alla riva, Se volta ansando ansando, e da la rjva
Si volge all'acqua perigliosa, e guata ; L'onda tremenda el varda tramortio ;
Cosi l'animo mio, ch'ancor fuggiva, Col tremazzo che ancora in cuor sentiva, 25
Si volse indietro a rimirar lo passo, Me so voltà per scandagiar quel sito,
Che non lasciò giammai persona viva. Che lassà no ga mai anema viva.
Poi, riposato un poco il corpo lasso, Co ho chiapà fià, per ci sentier romito
Ripresi via per la piaggia diserta, Me gera invià da novo verso l'erta
Sì che '1 pie fermo sempre era '1 più basso. Puzandome al pie indrio sia '1 zanco o '1 drito ;
Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta, Quando in montarla se me ga scoverta
Una lonza leggiera e presta molto, Una pantera lesta lesta e gagia,
Che di pel maculato era coperta. Che de pelo machià gera coverta.
E non mi si partia dinanzi al volto ; Me sta sempre de fazza sta canagia,
Anzi impediva tanto '1 mio cammino, E tanto ci passo la m'incrosa e sera, 35
Ch'io fui per ritornar più volte vólto. Ch'ogni tanto me volto a la boscagia.
Temp'era dal principio del mattino, Gera matina e gera primavera,
E '1 Sol montava 'n su con quelle stelle Ch'el Sol montava su con quele stole,
Ch'eran con lui, quando l'Amor divino Che in quel tempo el Signor da l'alta sfera
Mosse da prima quelle cose belle ; El ga creà co l'altre cosse bele; 40
Sì ch'a bene sperar m'era cagione E che amansasse mi sperava intanto
Di quella fera alla gaietta pelle, La fiera bestia da la bela pelo
L'ora del tempo, e la dolce stagione : L'ora novela e la stagion d'incanto:
Ma non sì, che paura non mi desse Ma co ho visto un lion de truce aspeto,
La vista, che m'apparve, d'un leone. Ho perso el mio coragio tuto quanto. 45
Questi parea, che centra me venesse Parea vegnirme incontro ci maledeto
Con la test'alta, e con rabbiosa fame, Col muso in alto e con rabiosa fame,
Sì che parea che l'aer ne tremesse : Che sin l'aria ha tremà mi ghe scometo.
Ed una lupa, che di tutte brame Anca una lova bruta de pelame
Svnitda vii carca nella sua magrezza, E seca seca xe sbusada fora, 50
E molte genti fe già viver grame. Che tanta zente la ga fato grame.
Questa mi porse tanto di gravezza No ocore dir che son restà mi alora
Con la paura ch'uscia di sua vista, Da la paura tanto scaturio,
Ch'io perdei la speranza dell'altezza. Che no sperava più de andar de sora.
E quale è quei, che volentieri acquista, E come quel che xe restà falio ' 55
E giugne '1 tempo che perder lo face, Dopo aver ingrumà dei bezzi tanti.,
Che 'n tutti i suoi pensier piange e s'attrista ; El pianze, el se despera, el chiama Dio ;
Tal mi fece la bestia senza pace, Cossi mi resto, che vegnindo avanti

25 (remazzo = tremolio ingenerato da.Ua paura.


26 Me to = mi sono. Si avverte per sempre che il so viene adoperato anche per so (sapore) e per suo.
28 Co = quando. = Si avverte una volta per sempre, che il co viene anche adoperato per con e per
quanto. :- chiapa fià . preso vigore, rinvigorito dopo il riposo.
32 La pantera, il Icone, di cui al v. 44, e la lupa (lova) di cui al v. 49, significano moralmente l'invidia
(o secondo gli anticlii cementatori, la lussuria), la superbia e l'avarizia, che si oppongono all'uomo nel conse
guimento della virtù; e nel senso politico, le tre principali potenze Guelfe che tenevano l'1talia divisa. La pan
tera è Firenze, divisa in Ghibellini e Guelfi; il leone, la Casa reale di Francia; la lupa, la Curia Romana.
34 de /azza = di faccia, dirimpetto.
53 scaturio -.-. impaurilo, intimidito.
56 bezzi = danari.
CA>TO I. 4l
Che venendomi incontro, a poco a poco La bruta leva me parava indrio,
Mi ripingeva là dovè '1 Sol tace. Tulendome la strada fata avanti. 60
Mentre ch'io minava in basso loco, Stava per tombolar zo imatonio,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Quando de fazza se me ga scoverto
Chi per lungo silenzio parca fioco. Chi parea dal gran laser irochio.
Quand' i' vidi costui nel gran diserto : Co ho ochià quela figura in quel deserto :
Miserare di me, gridai a lui, Pietà de mi, omo, ombra che te sia, 65
Qual che tu sii, od ombra, od uomo certo. Go cigù tanto, che me son averto :
Risposemi: Non uomo; uomo già fui, Omo son sta e no son, lu a dir vini via,
E li parenti miei furon lombardi, E i parenti ch' ho a HI i xe stai lombardi,
E mantovani per patria ambedui. Mantova è stada la so patria e mia.
Nacqui sub Julio, ancorchè fosse tardi, Soto Cesare nato, siben tardi, 70
E vissi a Roma sotto '1 buono Augusto Ln vita solo Augusto go passà
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi. A Roma, che adorava i dii bastardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto Son sta Poeta, e in versi go cantà
Figliuol d'Anchise, che venne da Troia, Del bon fiolo d'Anchise la prodezza,
Poi che il superbo Il'ion fu combusto. Co da Trogia, brusada, el xe scampà. 75
Ma tu, perchè ritorni a tanta noia ? Ma ti, perchè te trovo in sta tristezza ?
Perchè non sali il dilettoso monte, Perchè mo no ti va su la colina,
Cirè principio e cagion di tutta gioia ? Che mena drito drito a I*alegrezza ?
Or se' tu quel Virgilio, e quella fonte, Xestu Virgilio ti, de la Latina
Che spande di parlar sì largo fiume 1 Musa onor ? vergognandone ho resposo, 80
Risposi lui con vergognosa fronte. Arca de sienza, o testa sopralina !
O degli altri poeti onore e lume, O dei poeti faro luminoso :
Vagliami '1 lungo studio, e 'i grande amore, Sia ti luse e conforto mio per quanto
Che m' han fatto cercar lo tuo volume. Sul to libro lio imparà cossi preziosa.
Tu se' lo mio maestro e lo mio autore : Clie ti te sia mio Mestro mi me vanto, 85
Tu se' solo colui, da cu' io tolsi Che le scrilure che m'ha fato onor
Lo bello stile, che m'ha fatto onore. Da le toe go imparà di' ho studià tanto.
Vedi la bestia, per cu' io mi volsi : Varda la fiera che me fa teror,
Aiutami da lei, famoso saggio, E m' ha obligà spaurio, tornar da basso ;
Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi. Salvime da culla, ti gran dotor. 90
A te CIMI vim tenere altro viaggio, Se cavarle ti voi dal bruto passo,
Rispose, poi che lacrimar mi vide, Elo dise, vedendome sustar,
Se vuoi campar d'esto luogo selvaggio: Ti ha da voltar da un'altra banda el passo :
Che questa bestia, per la qual tu gride, Perchè la lova che te fa tremar,
Non lascia altrui passar per la sua via, Mai nissun lassa andar per la so strada, 95

61 imatonio — sbalordito, stordito.


63 irochio — fioco, rauco.
66 me son averto — frase esprimente il gridare a squarciagola.
74 lh'l bon fiolo d' Anchise — Enea figlio di Anchisc fu uno dei campioni di Trojo, Dopo lunga guerra
sostenuta contro i Greci, ch'ebbe termine coll'incendio di Trojn, abbandonata la terra natale, venne con pochi
suoi compagni in Italia, e fu fondatore dell'impero Latino.
79 Virgilio = Principe della latina Epopea, in cui Dante mollo studiò per formarsi alla poesia, e lo scelse
a sua guida, perchè Virgilio cantò la divina origine del Latino impero.
02 tastar --- sospirare.

/•
-12 DELL INFERNO
Ma tanto lo impedisce, che l'uccide : Ma chi se ostina se faria mazzar.
Ed ha natura sì malvagia e ria, In modo tal custia xe indemoniada,
Che mai non empie la bramosa voglia, Che mai no sazia la so ingorda fame,
E dopo '1 pasto ha più fame che pria. E più la magna e più la xe afamada.
Molti -son gli animali, a cui s'ammoglia, Eia xe in lega co la razza infame; 100
E più saranno ancora, in fin che '1 Veltro Ma un potente signor, sì, vegncrò
Verrà, che la farà morir di doglia. Che a la bestiazza cavarà el pelame.
Questi non ciberà terra nè peltro, Per le richezze lu noi viverà,
Ma sapienza ed amore e virtute, Ma per la sienza, la virtù e la gloria;
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. Questo tra un Feltre e l'altro el nasserà. 105
Di quell'umile Italia fia salute, Per quela Italia el gavarà vitoria,
Per cui mono la vergine Cammilla, Per la qual Turno, Niso Eurialo e ancora
Eurialo e Niso e Turno di ferule : Camita morti i xe ; vera è la storia.
Questi la caccerà per ogni villa, Da tutti i loghi lu, vegnuda l'ora,
Fin che l'avrà rimessa nell' Inferno, La scazzerà tornandola a l'Inferno, 110
Là onde invidia prima dipartilla. Dal qual l' invidia l'ha mandada fora.
Omrio per lo tuo me' penso e discerno, Ma vienme drio che la to guida e perno
Che tu mi segui; ed io sarò tua guida, Mi sarò per cavarle da sti guai,
E trarrotti di qui per luogo eterno, Fazzendote passar per logo eterno.
Ov'udirai le disperate strida Là per drento dai spiriti danai, 115
Di quegli antichi spiriti dolenti, Ti sentirà gran pianti e gran 'lamenti,
Che la seconda morte ciascun grida. Perchè l'anema eterna no mor mai.
E vederai color che son contenti Po quei ti vederà che tra i tormenti
Nel fuoco, perchè speran di venire, Xe rassegnadi, perchè i sa de certo
Quando che sia, alle beate genti : Che presto o tardi i sarà in ciel contenti: 120
Alle qua' poi se tu vorrai salire, Dove, se po ti vorà andar, t'averto,
Anima fia a ciò di me più degna : Che guida, al mio partir, de mi più degna,
Con lei ti lascerò nel mio partire ; Te condurà dal so favor coverto :
Che quell' Imperador, che lassù regna, Che Quelo el qual là su governa e regna,
Perch'io fui ribellante alla sua legge, Con elo no me voi, perchè son sta 125
Non vuoi che "n sua città per me si vegna. A la lege rebele che Lu insegna.
In tutte parti impera, e quivi regge : Per tuto ariva el so poder, e là
Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio : Lu ga '1 so trono e '1 so potente impero ;
O felice colui, cu' ivi elegge ! O beato chi xe da Lu chiamà !
Ed io a lui : Poeta, i' ti richieggio E mi: Poeta mio, per quel Dio vero, 130
Per quello Iddio, che tu non conoscesti, Che no ti ha conossù, aciò svignar
Acciocch'io fugga questo male, e peggio, Da qua mi possa, dove me despero,

101 Alcuni chiosatori di Dante nel profetato Veltro vorrebbero vederci Con Grande della Scala; altri, e fra
questi il Toramoseo e il Giuliani, intendono un Pontefice, e propriamente Benedetto XI nato nel Trtvigiano.
102 corbame = scheletro, carcame.
105 fra un l'rlti-c t l'altro — È ritenuto che colle parole: tra un Feltre e l'altro (nel testo: tra Feltro e
Feltro) sia accennata Verona, posta ini Feltra città della Marca Trivigiana, e Montefeltro cittn della Bomugna.
107-10S Turno figlio del re dei Rutuli nemico di Enea, e capitano nelle guerre contro di lui. fuso e Eu
rialo prodi giovani Trojani; Camilla fu tìglia del re dei V'olisci, che prese le armi contro Enea.
110 tcazzarà = scaccera.
130 per i] nel Dio — Virgilio ammetteva un Ente Supremo, ma non conosceva il Dio vero.
CAMO II. 43
Che tu mi meni là, dov'or dicesti, Là che U ha dito, vogime menar,
Sì ch'io vegga la porta di san Pietro, Cussi che veda i santi arente a Dio,
E color che tu fai cotanto mesti. E i danai veda, e quei che xe a purgar. 1 35
Allor si mosse : ed io gli tenni dietro. Lu s'ha invià alora, e mi go tegnù drio.

CANTO SECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
S'arresta e teme dell'aspro viaggio, A Virgilio, pensando al brusco viagio,
Chiede a Virgilio s'ci sarà possente Ferma, el domanda se. 1 poi farlo elo'
A sostenerlo, e gli risponde il Saggio, Quel responde, per meterghe coragio,
Che dal pia puro cielo e più lucente Che zo calada dal più puro cielo
Beatrice scesa, che cotanto l'ama, '(--i Bice soa, che ghe voi tanto ben.
Lo manda a lui. Di nuovo egli acconsente, Da lu lo manda. Drio sto invido bolo i
E più s'accende dello andar la brama. S'invia da novo, e più vogioso el vien.

Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno Stava el dì per finir, e l'aria scura


Toglieva gli animai, che sono in terra, Tuti del mondo i anemai chiamava
Dalle fatiche loro ; ed io sol uno A reposar; solo che mi la dura
M'apparecchiava a sostener la guerra Impresa a cimentar me parechiava
Sì del cammino e sì della pietate, Del largo viazo e de l'interna pena,
Che ritrarrà la inente, che non erra. Che ve farà saver la mente brava.
O Muse, o alto ingegno, or m'aiutate : Donème, o Muse mie, la vostra lena,
O mente, che scrivesti ciò ch'io vidi, No me tradir, memoria, in sii momenti,
Qui si parrà la tua nobilitate. Ma quel che ho visto di' de bona vena.
Io cominciai : Poeta, che mi guidi, Mi fazzo al Mestro sti ragionamenti : 1O
Guarda la mia virtù, s'ell'è possente, Prima che vaga tra l'eterno pianto,
Prima ch'aJl'alto passo tu mi lidi. Varda ben se mi go forze ocorenti :
Tu dici, che di Silvio lo parente, Ti, mia Guida, ti disi nel to canto,
Corruttibile ancora, ad immortale Ch' ha avù '1 pare de Silvio, vivo ancora,
Secolo andò, e fu sensibilmente. De andar l' Inferno a visitar el vanto.
Però se l'avversario d'ogni male Se lo ha grazià '1 Regnante in ciel là sora,
Cortese i fu, pensando l'alto effetto Pensando a chi dovea vegnir da elo,
Ch'uscir dovea di lui, e '1 chi, e '1 quale ; E qual gloria saria sortida fora,
Non pare indegno ad uomo d'intelletto : La rason vede ognun, che ha bon cervelo :
Ch'ei fu dell'alma Roma e di suo impero Che a esser pare de Roma e del so impero 20
Nell'empireo ciel per padre eletto : Enea sta gcra destinà dal cielo.
La quale e '1 quale (a voler dir lo vero) L' impero e Roma, a voler dir el vero,
Fur stabiliti per lo loco santo, Per el logo de tuli i sucessori
U' siede il successor del maggior Piero. Xe stabilii del primo Papa Piero :
10 fazzo == faccio.
13 nel to canto = nell'Eneide.
I ! pare de Silvio = Enea padre di Silvio generato di Laviuia, e dal quale fu poi edificata Alba.
17- is Pensando a ehi dovea vegnir da elo — cioè al popolo Romaao, elic dovea provenire da Enea n alla
gloria di lui.
DELL INFERIVO
Per questa andata, onde gli dui tu vanto, Là, come in quel lo libro li l'onori, 25
Intese cose che furon cagione Lu ga imparà quel tanto che ha servio
Di sua vittoria e del papale ammanto. Per la vitoria soa, per i Pastori.
Andovvi poi lo Vas d'elezione, E per la fede revlvar, che in Dio
Per recarne conforto a quella fede, Solo ne salva, Paolo el logo santo
Ch'è principio alla via di salvazione. Ga visto, quando in ciel l'è sta rapio. 30
lila io perchè venirvi? o chi'l concede? Ma mi, chi me fa andarghe? e con che impianto?
Io non Enea, io non Paolo sono : Mi San Paolo no son, nè gnanca Enea:
Me degno a ciò nè io nè altri crede. Mi, tati sa, no merito sto tanto.
Perchè, se del venire i' m'abbandono, E rischiando sto viazo, ghe disea,
Temo che la venuta non sia folle : Qualche malano no vorave aver; 35
Se' savio, e intendi me' ch'io non ragiono. Ti ti sa se zavario co sta idea.
E quale è quei, che disvuoi ciò ch'e' volle, E come chi cambiando de pensier,
E per nuovi pensier cangia proposta, !Vo voi più quela cessa, ch'el voleva,
Sì che del cominciar tutto si lolle ; E de progeti no ne voi saver;
Tal mi fec'io in quella oscura costa : Cussi mi, drìo i riflessi che fazzeva, 40
Per che, pensando, consumai l'impresa, Go in t'un Irato l'impresa abandonada,
Che fu nel cominciar cotanto tosta. Che in luta pressa cominciada aveva.
Se io ho ben la tua parola intesa, Se la parola loa go ben scoltada,
Rispose del magnanimo quell'ombra, L'ombra de quel gran omo m' ha resposo,
L'anima tua è da viltate offesa: La viltà nel lo cuor se ga ficada : 45
La qual molte fiate l'uomo ingombra Questa fa spesso l'omo timoroso,
Sì, che da onrata impresa lo rivolve, E lo sìontana da ogni azion d'onor,
Come falso veder bestia quand'ombra. Come xc proprio del cavai ombroso.
Da questa tema acciocchè tu ti solve, Ma per via descazzarle sto timor,
Dirotti perch'io venni, e quel ch'io intesi Te contarò perchè son vegnù qua, 50
Nel primo punto che di te mi dolve. E quel che a dir de li go con dolor
Io era intra color che son sospesi, Sentio. Mi gera al Limbo là serà;
E donna mi chiamò beata e bella, Cossi bela una dona me chiamava.
Tal che di comandare i' la richiesi. Che in bota ai so comandi me so dà.
Lucevan gli occhi suoi più che^la Stella: Più che do stele i ochi soi brilava, 55
E coiminciommi a dir soave e piana, E co una vose, che inamora i santi,
Con angelica voce in sua favella : Quel anzolo in sto modo me parlava:
O anima cortese mantovana, O gran Poeta sora luti quanti,
Di cui la fama ancor nel mondo dura, Che fa'l lo nome,al mondo tanto chiasso,
E durerà quanto '1 mondo lontana, E sempre al mondo se farà i lo vanti: GO
L'amico mio, e non della ventura, L'amigo mio desfortunà, là a basso

25 m quel lo libro li l'onori .- Virgilio nella sua Eneide diede ad Enea il vanto di pio, perchè all'In
ferno intese da Anchine, suo padre, delle cose che gli diedero animo a combattere Turno e i suoi alleati, e quia-
di a fondare Roma, ove doveva risiedere il Pontefice.
27 per i Patlori = cioè per li Papi.
55 Paolo ---. Son Paolo che sali vivente in Paradiso, secondo la Sacra Scrittura.
31 impianto -.-. frase usata per: fondamento, ragione. „
36 zavario - farnetico, vacillo, e significa dir cose fuori di proposito.
40 di-io i ri/lenii che fazzna = dietro ntle mie riflessioni.
54 me no da — mi sono arreso.
56 co una vose = con una voce.
CANTO II. 15
Nella deserta piaggia è impedito In quel bosco d'oror el va cascando,
Sì nel cammin. che vólto è per paura ; E dal spavento dà de volta el passo.
E temo che non sia già sì smarrito, E tanto col cervelo va torziando,
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata, Che per quanto ho podesto in ciel saver, 65
Per quel ch' i' ho di lui nel cielo udito. Temo d'esser vegnua per lu de bando.
Or muovi, e con la tua parola ornata, Va agiutarlo; a lu mostra el bon sentier,
E con ciò ch'è mestieri al suo campare, E co la to retorica d'incanto
L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata. Fa che mi sto contento possa aver.
l' son Beatrice, che ti faccio andare : Mi son Beatrice, che dal logo santo, 70
Vengo di loco, ove tornar disio : Dove bramo tornar, son qua arivada:
\ mnr mi mosse, che mi fa parlare. Me sprona amor che me fa dir sto tanto.
Quando sarò dinanzi al Signor mio, Quando sarò davanti a Dio tornada,
Di te mi loderò sovente a lui. A Lu spesso de ti mi dirò ben:
Tacette allora; e poi comincia' io: E qua la ga linio la so parlada. 75
O donna di virtù, sola per cui E mi: O dona, che virtù ve vien
L'umana spezie eccede ogni contento Per la qual l'omo a quanto gh'è de raro
Da quel rii- I. ch'ha minor li cerchi sui; Su la lera, de sora se mantien;
Tanto m'aggrada il tuo comandamento, Quelo che me ordenè go tanto a caro,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi: Che se avesse ubidio, tardi saria; 80
Più non t'è uopo aprirmi '1 tuo talento. Nè ocore, no, che me parie più chiaro.
Ma dimmi la cagion, che non ti guardi Ma la rason disemu quala sia,
Dello scender quaggiuso, in questo centro, Che dal ciel, dove se' a tornar bramosa,
Dall'ampio loco, ove tornar tu ardi. Vegnì senza badarghe qua zo via.
Da che tu vuoi saper cotanto addentro, Per apagar la mente toa curiosa 85
Dirotti brevemente, mi rispose, Te dirò, la responde, in breviatura
Perch' i' non temo di venir qua entro. Perchè de vegnir qua no son spaurosa.
Temer si deve sol di quelle cose, Solo de quelo s' ha d'aver paura.
C' hanno potenza di fare altrui male : Che ga '1 poder de tormentar la zente,
Dell'altre no, che non son paurose. Ma no de quel che xe d'altra natura; 90
Io son falla da Dio, sua mercè, tale, In modo tal m' ha fata Dio sapiente,
Che la vostra miseria non mi lange, Clic le vostre miserie no me guasta,
Ne fiamma d'estu incendio non m'assale. Nè l'ansia de sto Limbo me fa gnente.
Donna è gentil nel ciel, che si compiange In.: dona zentil, vergine, casta,
Di questo impedimento, ov'io ti mando, i .In. ha calmà la Giustizia, inteneria 95
Sì che duro giudicio lassù frange. De quel del qual parlà i" ho quanto basta,
Questa chiese Lucia in suo dimando, Dove te mando, ha dito a la Lucìa,
E disse : Ora abbisogna il tuo fedele Agiuta el to fedel in quel cimento;
Di te, ed io a te lo raccomando. Tei racomando a ti, delizia mia.

64 torziando - torziar, propriamente significa andare a zonzo, andar vagando, gironzare; ma qui e preso
in sento figurato, e vale vacillare colla mente.
66 de bando = inutilmente.
TO Beatrice = vedi la noia al v. 104.
83 »' = siete.
94 l'uà dona zentil = Alludesi alla Vergine Madre di Dio, o simbolicamente alla divina misericordia.
97 Lucia = è stata la santa martire Siracusana cui furono cavali gli occhi. Qui simboleggia la grazia il
luminante ehe è mossa dalla divina misericordia a soccorso dei miseri mortali.
08 Agiida el to fedel = Dante fu devoto della Vergine di Siracusa.
46 DELL' lNPERNO
Lucia, nimica di ciascun crudele, Lucia, pietosa assae de sentimento, 100
Si mosse, e venne al loco dov' i' era, La se ga mosso, e xe da mi arivada
Che mi sedea con l'antica Rachele : Per dirme ste parole in quel momento
Disse : Beatrice, loda di Dio vera, Che a Rachele vicin gera sentada:
Chè non soccorri quei che t'amò tanto, Bice, zogia de Dio, ti lassi in pena
Ch'uscio per te della volgare schiera ? Chi ha batù per to amor gloriosa strada? 105
Non odi tu la pièta del suo pianto? l so lamenti el cuor no l'incaena?
Non vedi tu la morte, che '1 combatte No ti '1 vedi da morte travagià
Su la fiumana, onde '1 mar non ha vanto ? Tra orori che '1 mar tanti no scaena?
Al mondo non fur mai persone ratte Nissun più presto al mondo mai xe andà
A far lor pro, ed a fuggir lor danno, lncontro a un ben, o ha schivà un dano, quanto
Com'io, dopo cotai parole fatte, Malapena sta dona ga parlà,
Venni quaggiù dal mio beato scanno, Mi son corsa qua /.o dal logo santo
Fidandomi nel tuo parlare onesto, Fidandome al to nobile parlar,
Ch'onora te e quei ch'udito l' hanno. Che onora ti e chi ha sentio el to canto.
Poscia che m'ebbe ragionato questo, La ga zirà, '1 discorso in terminar, 115
Gli occhi lucenti, lagrimando, volse : Pianzenti i ochi bei, che ha avù '1 poder
Per che mi fece del venir più presto. De farme più che in pressa qua arivar.
E venni a te cosi, com'ella volse : E son vegnù da ti per so voler;
Dinanzi a quella fiera ti levai, Da quela bestia l' ho salvà là zoso,
Che del bel monte il corto andar ti tolse. Che del bel monte t'ha serà '1 sentier. 120
Dunque che è? perchè, perchè ristai? Per cossa ti sta donca penseroso?
Perchè tanta viltà nel cuore allette ? Per cossa vestii timido a sto segno?
Perchè ardire e franchezza non hai, Per cossa no ti fa cuor anemoso
Poscia che tai tre donne benedette Dopo che ste tre done nel so regno
Curan di te nella corte del cielo, Le pensa tanto a ti, e mi gramazzo 125
E'1 mio parlar tanto ben t'impromette ? Parlo per el to ben con tanto impegno ?
Quale i fioretti dal notturno gielo Come i fioreti dal noturno aguazzo
Chinali e chiusi, poi che '1 Sol gl'imbianca, Curvi e serai, quando ch'el Sol li scalda,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo ; l se drizza spanii scortando ci giazzo;
Tal mi fec'io di mia virtude stanca, Cossi la mente mia s'ha fato salda, 130
E tanto buono ardire al cor mi corse, E tanto m' ho sentio fortificà,
Ch'io cominciai, come persona franca: Che go comincià a dir in bota calda:
O pietosa colei che mi soccorse, Benedeta culia, che m ha salvà,
E tu cortese, ch'ubbidisti tosto E anca ti gran Pueta benedeto,
Alle vere parole che ti porse ! Che le parole sue li ga ascolta! 135
Tu m' hai con desiderio 11 cor disposto Un desiderio tal drento nel peto

103 Rachele = fu figlia di l.ab-no e moglie dri Patriarca Giacobbe. Ella è posta nel vecchio Testamento
quale figura della vita contemplativa.
104 fìii.f :— Beatrice clic Dante amò giovinetta, fu figlia di Folco Porlinari. E qui simbolo della scirnzu
delle cose divine.
125 ijra mui zo — poveraccio, voce di compassione verso alcuno, o verso su stessi.
127 a t/nnt iu .-: rugiada.
129 apunii .- sbocciati.
132 IH boia calda — maniera avverbiale equivalente a ferro caldo, cioè tostamente.
133 cuila _ colei.
CANTO III. 47

Si al venir con le parole tue, Me xe rinato dopo el to parlar,


Ch'io son tornalo nel primo proposto. Che son tornà nel primo mio progeto.
Or va', che un sol volere è d'ambedue : Vegno adesso con ti drio al to pensar,
Tu duca, tu signore, e tu maestro. Mia Guida, mio Dotor e Mestro mio. 140
Così gli dissi; e poichè mosso fue, Cossi ghe digo, e co '1 se mete andar,
Entrai per lo cammino alto e silvestre. Per quH viazo intrigà con lu m'invio.

CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
All'uscio che rinchiude eterna doglia, A la porta, che sera eterna dogia,
Giunge il Poeta, e teme sull'entrata ; Xonio el Poeta, el teme su l'intrada;
Ma il buon Virgilio dello andar 1° invoglia, Ma el bon Virgilio a drento andar l'invogla.
E vede gente su nel mondo stata . El vede zente sora al mondo stada
Senza lode, nè biasimo, e la barca Senza far gnente, e l'Acherontea barca,
Per Acheronte da Càron guidata ; Che da Caronte in pope xe vogada;
E come il peccator in essa varca. E el vede po i danai come i se imbarca.

PBR MB SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE : PER QUA SE VA NEL LOGO DBl DANAI :

PER MB si VA NELL'ETERNO DOLORE : PER QUA SE VA A PATIR ETERNAMENTE :

PER StE SI VA TRA LA PERDUTA GENTE. PER QUA IN MEZO SE VA DEI DESPERAI.

GIUSTIZIA MOSSE 'L MIO ALTO FATTORE : LA GIUSTIZIA DE DIO XE 'L MIO MOVENTE :

FECEMI LA DIVINA POTBSTATE, M'HA FATO EL SANTO AMOH, DEL DIVIN Fio
LA SOMMA SAPIENZA, E 'L PRIMO AMORE. L'ALTO SAVER, E 'L PARE ONIPOTBNTB.
DINANZI A ME NON Firn COSE CREATE, COSSE PRIMA DE MI NO HA CHEA DIO
SE NON ETERNB, ED IO ETERNO DURO : VIA DE L'ETERNE, E MI IN ETERNO DURO:
LASCIATE OGNI SPERANZA, voi CH'ENTRATE. Vu CH'ENTRÈ LA SPERANZA LASSE ninno.
Queste parole di colore oscuro Ste parole go visto scritte in scuro 10
Vid'io scritte al sommo d'una porta: Sora una porta, e al Mestro mio : Tremar,
Perch'io : Maestro, il senso lor m'è duro. Digo, me fa quel scrito, ve lo zuro.
Ed egli a me, come persona accorta : Bisogna adesso ogni timor scazzar,
Qui si convien lasciare ogni sospetto ; In ton d'omo scaltrio, e ogni viltà
Ogni viltà convien che qui sia morta. Bisogna, dise lu, qua abandonar. lò
Noi sem venuti al luogo ov'io t'ho detto Semo al logo che t' ho zà menzonà,
Che vederai le genti dolorose, Dove ti vederà la grama zente,
C' hanno perduto '1 ben dell'intelletto. Che '1 ben de veder Dio mai no la ga.
E poi che la sua mano alla mia pose E per man lu tegnindome ridente,
Con lieto volto, ond'io mi confortai, Nei loghi, sconti al oimo, entrar me fava :
Mi mise dentro alle segrete cose. Bandio'l timor go alora da la mente.
Quivi sospiri, pianti, ed alti guai Qua sospiri, qua pianti sussurava
Risonavan per l'aer senza stelle, Per quela tetra scurità de morte,
Per ch'io al cominciar ne lacrimai. Che solo in su l'entrar mi lagremava.
Diverse lingue, orribili favelle, Strambi parlari e gran parole storte 23
2
IS DELL INFEB\0
Parole di dolore, accenti d'ira, Do rabia, de furor, de guai, de stenti,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle, Vose alte e basse, e un bater de man forte
Facevano un tumulto, il qual s'aggira Fava un fracasso tal, che te lo senti
Sempre in quell'aria senza tempo tinta, Sempre per l'aria torbia andar là drente,
Come la rena quando il turbo spira. Come che fa '1 sabion co tira i venti. 30
Ed io, ch'avea d'error la testa cinta, Coss'è, digo tra'l mio zavariamento
Dissi : Maestro, che è quel ch' i' odo ? Al Mestro, sto sussuro, e chi è sta zente
E che gent'è, che par nel duol sì vinta ? Che vinta dal dolor manda el lamento ?
Ed egli a me: Questo misero modo E lu : I pianti e i cigori che se sente,
Tengon l'anime triste di coloro, Fa, '1 me responde, le aneme de queli, 35
Che visser senza infamia e senza lodo. Che al mondo ga vissi senza far gnente.
Mischiate sono a quel cattivo coro Coi anzoli eli xe, che a Dio rebeli •
Degli angeli, che non furono ribelli, Stai no i xe, ma, suisti sfegatai,
Nè fùr fedeli a Dio, ma per sè foro. A Lu stadi no i xe gnanca fedeli.
Cacciarli i Ciel per non esser men belli; Per restar puro, el ciel li ha descazzai ; 40
Nè lo profondo inferno gli riceve, E no li ha messi del'inferno in fondo
Che alcuna gloria i rei avrebber d'elll. Aciò no goda chi xe là danai.
Ed io : Maestro, che è tanto greve E mi : Diseme, Mestro, chiaro e tondo,
A lor, che lamentar gli fa sì forte ? Perchè sta zente tanto se dolora ?
Rispose: Dicerolti molto breve. In do parole, el dise, te respondo: 45
Questi non hanno speranza di morte; Questa no spera de morir ancora ;
E la lor cieca vita è tanto bassa, E tanto vii qua i ga la vita e bassa,
Che invidiosi son d'ogni altra sorte. Che i sente invidia de qualsia malora.
Fama di loro il mondo esser non lassa : Sta zente al mondo fama no la la lassa,
Misericordia e Giustizia gli sdegna ; L' ha Giustizia e Clemenza desprezzada : 50
Non ragioniam di lor, ma guarda e paasa. Ma d'eli no parlemo ; varda e passa.
Ed io, che riguardai, vidi una insegna, Ilo voltà i ochi intorno, e de scapada
Che, girando, correva tanto ratta, Ho visto che zirava una bandiera
Che d'ogni posa mi pareva indegna : Senza che mai la fazza una fermada.
E dietro le venia sì lunga tratta A drio de quela tanta zente gera, 55
Di gente, ch'io non avrei mai creduto, Che mi '1 pensier no gavaria mai fato
Che morte tanta n'avesse disfatta. Che morte tanta ne ficasse in lera.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, Dopo che su qualcun go l'ochio trato,
Guardai, e vidi l'ombra di colui. Tra lori l'ombra ho visto de coli,
Che fece per viltate il gran riliuto. Che per viltà ga refudà '1 Papato. 60
Incontanente intesi, e certo fui, So sia in bota avertio e go savi,
90 oo — quando
38 ifcrlatai = sviscerati.
40 descazzai = cacciati.
46 no tpera de morir ancora = cioè non ha speranza che muoja l'anima, come mori il corpo, e quindi
non ha speranza che cessino le pene eterne.
59-60 rie colà = di colui, cioè Pietro Morene cremila il quale eletto Pupa col nome di Celestino V.. fu con
inganni indotto a rinunziorc al papato, e tornando all'eremo, fu incarcerato per ordine di Bonifazio Vili, suo
snccesore, ed in carcere morì. Quando il poeta scriveva queste rose, forse Celestino non era on'M'alo di pubblico
culto. Sin ad Onni modo il gimli/.io di Dante sn la riiiuuziu di q'iest'i pontefice, e secondo le false idre del
mondo, C più ancora secondo la sua ira (perciocchè da qu'-lla rinunzia ne derivò l'esaliazione di Ronifazio ch'e^li
odiava); non già conforme al Vangelo e alia Cbiua, elic lu dichiarò un'azione magnanima (BUCCHI) = refudù
i'i li M i,t i 1 ..
61 So = sono. = in òola -— subilo.
CANTO lll.
Che quest'era la setta de'cattivl, Che la fragia dei vili quei xe stai,
A Dio spiacenti ed a' nemici sul. ln odio a Dio e in odio a Belzebù.
Questi sclaurati, che mai non fur vivi, Sti grami, che no ga vissudo mai,
Erano ignudi, e stimolati molto Afato nudi luti i se mostrava, 65
Da mosconi e da vespe, ch'eran ivi. Da mosconi e da vespe tormentai;
Elle rigavan lor di sangue il volto, E dai beconi el sangue ghe colava
Che, mischiato di lagrime, a' lor piedi Dal viso, che ai so pie, missià col pianto,
Da fastidiosi vermi era ricolto. l vermi fastidiosi zupegava.
E poi ch'a riguardare oltre mi diedi, Go visto po, i ochi stongando arquanto, 70
Vidi gente alla riva d'un gran fiume; Su la riva d'uh fiume tanta zente;
Per ch'io dissi : Maestro, or mi concedi, E al Mestro mio go dito : Scusè al tanto
Ch'io sappia quali sono, e qual costume Mio ardir ; chi xei, diseme, e qual movente
Le fa parer di trapassar sì pronte, Cussi in pressa li va de là passando,
Com'io discerno per lo fioco lume. Come mi vedo in sto lusor moricnte. 75
Ed egli a me: Le coss li fien conte E lu : Ti savarà ste cose quando
Quando noi fermerem li nostri passi Arivai nu saremo su la riva
Su la trista riviera d' Achei.onte. Più tetra d'Acheronte. Vergognando
Allor con gli occhi vergognosi e bassi, Coi ochi bassi alora più no ardiva
Temendo che '1 mio dir crii fusse grave, Secarlo, e la domanda go desmessa 80
ln fino al fiume di parlar mi trassi. lnsin che arente al fiume se vegniva.
Ed ecco verso noi venir per nave Ecote su una barca ariva in pressa
l'n veccliio, bianco per antico pelo, l'n vechio col barbon e col cavelo
Gridando : Guai a voi, anima prave : Tuto bianco, cigando : O zente tressa.
Non isperate mai vedl.r lo cielo: Mai no sperassi de veder el ciclo: 85
l' vegno per menarvi all'altra riva Vegno a monarve da quel'altra riva
.\elle tenebre eterne, in caldo e in giclo. Tra "1 scuro eterno, elerno fogo e gelo.
E tu. che se' costì, anima viva. E in sto sito ti sola, anema viva?
Partiti da cotesti che son morti. Cavite da sii morti via de qua.
Ma poi ch'e' vide ch'io non mi partiva, Ma in veder che da là mi no partiva, 90
Disse: Per altre vie, per altri porti Sto tragheto per ti, '1 dise, no fa,
Verrai a piaggia, non qui, per passare: Ma per un altro te convien passar :
Più lieve legno convien che ti porti. l'n hatel più lezier te porterà.
E'1 Duca a lui: Caron, non ti crucciare: Caronte, el Mestro a lu, no brontolar:
Vuoisi così colà dove si puote Cossi ha ordinà quel Tal che tuto poi 95
Ciò che si vuole, e più non dimandare. Quanto ch'el voi, e più no domandar.
%
Quinci fur quote le lanose gote S' ha quietà a ste parole el barcarol
Al nocchier della livida palude, Peloso dei negrissimo pallio,
Che intorno agli occhi avea dì fiamme ruote. Co un per ile ochiazzi orlai de fogo; e sol

62 la frania = li.nnine clic si appropria alle compagnie ili\crsc, o a classi di persone esercenti un'arU',
o una professione medesima, o preoccupate dagli stessi sentimenti.
67 colava — gocciolava.
li a znIicgnra = surrliiava.
7S Achei.onte = e parola greca composta che significa: fiume del dolore; e per fsso credevano i Gemili
che le fluime passassero all'inferno.
!?4 gcuie eressa — gentaccia, cattiva genie.
94 Caronts — personaggio uiitvlogicu incaricalo di tragittare nella sua barca le anime sul fiume Achcront'!
prr traduile all'inferno.
20 1XFEBNO
Ma quell'anime, ch'cran Iassc e nude, Ogni spirito ch'ora straco e nuo, 100
Cangiar colore, e dibattero i denti, A quel brusco parlar s'ha sbigotio,
Tosto che inteser le parole crude. I ha cambià ciera, e i denti ga sbatuo :
Bestemmiavano Iddio, e i lor parenti, E bestemiando i so parenti e Dio,
L'umana spezie, il luogo, il tempo, e '1 seme L'o'mo e la so semenza ; el logo e l'ora
Di lor semenza e di lor nascimenti. Che i xe al mondo vegnui i ha maledio; 105
Poi si ritrasser tutte quante insieme, Po a tuli a sechi el pianto dando fora,
Forte piangendo, alla riva malvagia, Su la riva del Munii' i s' ha tirai,
Ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Che aspeta chi no teme Quel de sora.
Caron dimonio con occhi di bragia, Caronte co un per d'ochi invelenai,
Loro accennando, tutte le raccoglie : In barca a un a un li va nichiando, 110
Batte col remo qualunque s'adagia. Alenando el remo su i intardivai,
Come d'autunno si levan le foglie Come, co vien l'Utuno via avanzando,
L'una appresso dell'altra, infln che '1 ramo Le fogie una drio l'altra svola via
Rende alla terra tutte le sue spoglie; Dal so ramo, a la tera retornando;
Similemente il mal seme d'Adamo : Xe istesso de la perfida genia, • 115
Gittansi di quel lilo ad una ad una, Che va a moti una a una zo dal lio,
Per cenni, come augel per suo richiamo. Come al rechiamo fa i osei de utia.
Così sen vanno su per l'onda bruna, I va cussi sul pallanoso rio ;
Ed avanti che sien di là discese, E no i xe gnanca ben sbarcai de là,
Anche di qua nuova schiera s'aduna. Che de qua un novo muchio se ga unio. 120
Flglluol mio, disse il Maestro cortese, Fiolo, dise el Dotor, sapi che qua
Quelli che muoion nell'ire di Dio, Xe propriamente ci logo de racolta
Tutti convengon qui d'ogni paese : De tuli quei che mor in tei pecà.
E pronti sono al trapassar del rio, E i passa pronti el rio a la so volta ;
Che la divina giustizia gli sprona Che spronai da divin giusto decreto, 125
Sì, che la tema si volge in disio. La so paura in desiderio i volta.
Quinci non passa mai anima buona; Solo i birbanti passa sto tragheto ;
E però se Caron di te si lagna, Ti sa adesso perche con quel furor
Ben puoi saper omai, che '1 suo dir suona. Caronte l' ha crià pien de despeto,
Finito questo, la buia campagna Finio el sermon, la lera ha dà un tremor 130
Tremò sì forte, che dello spavento Con tanta furia, che dal gran spavento
La mente di sudore ancor mi bagna. Solo in pensarghe su vago in suor.
La terra lagrimosa diede vento, Zeme la lera tuta e supia vento ;
Che balenò una luce vermiglia, L'n gran lampo teribile infogà
La qual mi vinse ciascun sentimento; M' ha tolto a l'improviso el sentimento ; 1 33
E caddi, come l'uom cui sonno piglia. E come uno che dorma son cascà.

102 / ha cambià ciera = alterniu lo fisonomia.


109 co nn per d'ochi invelenai = con un pajo d'occhi arrabbiali.
110 Hii-hiando = unniceliiando, assettando, acconciando.
111 ialardivai — quelli che giungono in ritardo.
116 lio = lido.
117 n/m — boschetto di piante selvatiche artificialmente disposte per uso di pigliare gli uccelli.
132 iii tuw = in sudore.
21

CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Xel primo cerchio, che l'abisso fascia Al primo cerchio de l'eterna fossa
Trova il Poeta quelle anime onusto. Trova el Poeta le anemo de nueli,
Che non ebber bntsesmo, e n'hanno ambascia. Che no ha avudo el batizo p i sente angossa.
L'ombre famose non lieto, o non meste No gai, no tristi, i spirti grandi e heli
D'Omero, e Grazio, d'Ovidio e Lucano D'Omero, e Grazio, d'Ovidio e Lucan
Vanno incontro a Virgilio, e vien fra questo Ohe va incontro a Virgilio, e esser tra eli
Accolto Dante, ne l'augurio è vano. Proclama, Dante ga l'onor sovran.

Rnppemi l'alto sonno nella testa Dal mio sono profondo m' ha un gran ton
L'n greve tuono, sì ch'i' mi riscossi, Desmissià d'improviso, ch'el m'ha scosso,
Come persona che per forza è desta : Come un svegià per forza trà un scorlon.
E l'occhio riposato intorno mossi, Me son levà in pie drito, e po go mosso,
Dritto levato, e fiso riguardai, Per vardar in qual logo mi vegnia, 5
Per conoscer lo loco dov'io fossi. L'ochio sin quel momento sta in reposso.
Vero è, che in su la proda mi trovai Fato è, che de la vale, ch'è là via,
Della valle d'abisso dolorosa, Sora la riva m'ho trovà presente,
Che tuono accoglie d'infiniti guai. Che malora no gh'è che là no sia.
Oscura, profondera e nebulosa Fonda, scura, nebiosa xe talmente 10
Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo, Sta vale, che per quanto i ochi in fondo
r non vi discernea veruna cosa. Spenzesse, no vedeva afato gnente.
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo, Adesso andemo zo nel negro mondo,
Incominciò '1 Poeta tutto smorto : Dise '1 Mestro, con viso malcontento,
Io sarò primo, e tu sarai secondo. Me calarò mi primo e ti secondo. 15
!-:i I io, che del color mi fui accorto, Ma in vederlo torbiarse : Che là dentro
Dissi: Come verrò, se tu paventi, Mi zo vegna, ghe digo, in qual maniera,
Che suoli al mio dubbiare esser conforto ? Se vu, che se mia Guida, ave spavento ?
Ed egli a me: L'angoscia delle genti, De quei l'angossa, che sto logo sera,
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne El dise, no '1 limor, come te par, 20
Quella pietà, che tu per tèma senti. • Ma la pietà me fa muar de ciera ;
A mi Mm, che la via lunga ne sospigne. Andemo, che s'ha un pezzo da viazar.
Cosi si mise, e così mi fe entrare De l'inferno cussi lu prima invià.
IX i-i primo cerchio che l'abisso cigne. Nel primo cerchio me ga fato entrar.
Qnivi, secondo ch'io pote' ascoltare, Pianti no gh'è, drio quanto go ascoltà, 25
Non avca pianto ma' che di sospiri, Ma tanti sospironi se sentiva,
Che l'aura eterna facovan tremare. Che insina l'aria eterna ga tremà.
E ciò avventa di duol senza martiri, Cossa mai gera ? de omeni una stiva
Ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi, Granda, imensa, de done e de putei,
E d'infanti e di femmine e di viri. Che i se struzeva el cuor. ma no i pativa. 3D

1 fon = tuono.
3 tenrloa — scotimento, scossa improvvisa della persona.
10 fori(Vit i. : .. intorbidarsi (e sottinteso m volto).
22 DELL INFERMO

Lo buon Maestro a me : Tu non dimandi Dise '1 Mestro : Chi xe che fa sii ni mei,
Che spiriti son questi che tu vedi? Percossa mo no li domandi adesso ?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi, Sapì, avanti avanzar, che qua xe quei
Ch'ei non peccaro : e s'egli hanno mercedi, Che se ben i ha operà, nè i ga comesso
Non basta, perch'e' non ebber battesmo, Pecai, ghe manca del batizo el don, 35
Ch'è porta della Fede che tu credi. Che xe a la fede, che li ha li, l'ingresso.
E se furon dinanzi al Cristianesmo, E se prima vissui de la passion
Non adorar debitamente Dio : De Cristo, Dio no i ga adorà abastanza :
E di questi cotai son io medesmo. E pur tropo anca mi de questi son.
Per tai difetti, e non per altro rio, Senza pecai, e sol per sta mancanza, 40
Scmo perduti, e sol di tanto offesi, Semo qua persi, e luti condanai
Che senza speme vivemo in disio. A bramar sempre Dio senza speranza.
Gran duol mi prese al cor quando lo intesi; Gran dogia ho avudo in ascollar sii guai,
Perocchè gente di molto valore Pensando che là sia, per so malora,
Conobbi che in quel Limbo eran sospesi. Omeni de gran merito mandai. 45
Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, Dime, lion Mestro, ghe domando alora,
Comincia' io, per voler esser certo Per farmi- forte ne la fede in Dio,
Di quella fede che vince ogni errore: Che a ogni dubio o question la va de sora ;
L'scinne mai alcuno, o per suo merlo, A dir che qualchedun s' ha mai sentio,
O per altrui, che poi fosse beato ? Per so merito o d'altri la virtù, 50
V. quei che intese '1 mio parlar coverto, Sia per goder el ciel da qua sortio ?
Rispose : Io era nuovo in questo stato. Scovrindo el mio pensier, responde lu :
Quando ci vidi venire un Possente, Da poco lempo gera mi arivà
Con segno di vittoria coronato. Qua zo co ho visto un Tal che xe vegnù
Trasseci l'ombra del primo Parente, Incoronà trionfante. El ga cavà 55
D'Abel suo figlio, e quella di Noè, De sbalzo fora Adamo e Abel so fio ;
Di Moisè legista, e l'ubbidiente I," ha liberà Noè e chi ha guidà
Abraàm patriarca, a David Re ; La zente Ebrea, e David ci re pio,
Israel con suo padre e co' suoi nati, El Patriarca Abramo, e fora ha trato
E con Rachele, per cui tanto fe; Giacobe, el pare e i fioi devoti a Dio, CO
Ed altri molti ; e fecegli beati : Rachele, per la qual Giac0he ha fato
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi, Da servo, e altri ha liberà quel Santo ;
Spiriti umani non eran salvati. Ma avanti a quei nessun xe sta beato.
Non lasciavam d'andar, perch'e' dicessi, Siben che '1 discoreva, tanto e tanto
Ma passavam la selva tuttavia, No avemo stralassà de andar zirando 65
La selva, dico, di spiriti spessi. D'aneme pien quel logo tuto quanto.
Non era lunga ancor la nostra via Fata un poca de strada, vegno ochiando
Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco, Serà da l'ombra un chiaro assae lusente;
Ch'emisperio di tenebre vincia. E da quelo lontani anca restando,
Di lungi v'eravamo ancora un poco, No ghe gerimo tanto che patente 70

:'i4 co... un Tal := quando vidi un tale, ciao Cristo Trionfatore, che andò a liberare Ir anime de' santi Padri.
56 Oc sbatzo = a dirittura, a vista.
57-58 e c/n ha guida La ztnte Ebrea = cioè Mose.
60-62 Giacobe, ti pare e i fioi te. = il padre di Giacobbe fu Isacco. Giacobbe per avere in isposa Rachele
servi Labano padre di lei per quattordici anin.
CANTO IV.
Ma non sì, ch'io non discevnessi in parte, Da parte no vedesse in quel splendor
Ch'orrevol gente possedea quel loco. Kacolta insieme de la brava zente.
O tu, ch'onori ogni scienza ed arte, Ti che li xe d'ogni arte e scienza el lìor,
Questi chi son, e' hanno cotanta orranza, Chi xe quei che dai altri separai
Che dal modo degli altri gli diparte? I ga qua più de luti quel'onor? 75
E quegli a me : L'onrata nominanza, El Mastro me responde: Quei ic stai
Che di lor suona su nella tua vita, I oineni, ch'el mondo tanto onora,
Grazia acquista nel ciel, che si gli avanza. E Dio li ha qua perciò privilegiai.
Intanto voce fu per me udita : Una vose in sto mentre ga dà fora,
Onorate l'altissimo poeta; Che disca: Femo onor al gran poeta, 80
L'ombra sua torna, ch'era dipartita. Che andà via, qua tra nu lu torna ancora.
Poichè la voce fu restata e queta, Quando la vose la xe stada quieta,
Vidi quattro grand'ombre a noi venire : Quatr'ombre ho ochià, che incontro ne vegnìa,
Sembianza avevan nò trista nò lieta. Con nè trista nè gagia ciera schieta ;
Lo buon Maestro cominciommi a dire : El mio Dolor disendome vien via ; 85
Mira colui con quella spada in mano, Varda là quelo co la spada in man,
Che vien dinanzi a' tre sì come sire. Clic par aver su i tre la signoria ;
Quegli è Oinero poeta sovrano, Queìo IB Omero poeta sovran,
L'altro è Grazio satiro che viene, Xe'l satirico Grazio st'altro là,
Ovidio è '1 terzo, e l'ultimo è Lucano. Xe Ovido ci terzo, ci quarto xe Lucan. 90
Perocchè ciascun meco si conviene Col nome de Poeta i m' ba chiamà,
Nel nome che sonò la voce sola, Com'eli i xe, e una sol vose gera
Fannomi onore, e di ciò fanno bene. Che, mi onorando, lori ga onorà.
Così vidi adunar la bella scuola Cussi de veder confortà me gera
Di quel signor dell'altissimo canto, I gran scolari del cantor, che svola 95
Che sovra gli altri, com'aquila, vola. Sora i altri, cofà l'aquila altiera.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, Dopo averse scambià qualche parola,
Volscrsì a me con salutevol cenno ; I .-' ha voltà da mi con un saludo :
E '1 mio Maestro sorrise di tanto. El mio Mestro a quel ato se consola
K più d'onore ancora assai mi fenno; E ride: ma mi onor più grando ho avudo, 100
Ch'essi mi fecer della loro schiera, Co de quela scientifica brigada
Sì ch'io fui sesto tra cotanto senno. Per el sesto campion i m' ha tegnudo.
Cosi n'andammo insino alla lumiera, Insieme tuli scmo andai de strada
Parlando cose che '1 tacere è bello, Incontro al chiaro da nu visto in prima,
Sì com'era '1 parlar colà dov'era. Disendo cosse longo via la strada,
Venimmo al pie d'un nobile castello, Che stava ben dir là, no adesso in rima. 105
Sette volte cerchiato d'alte mura, Semo arivai al pie d'un gran castelo,
Difeso intorno da un bel fiumicello. Serà da sete muri da j.o in cima,
Questo passammo come terra dura: E intorno via bagnà da un fiumeselo;

SS Omero = sommo poela greco, immortale autore dell' Iliade e dell'Odissea.


89 Grazio = poeta lutino, in gran fama principalmente per le sue opere satiriche.
00 Ovidio, Lucano -- famosi poeti latini.
101 Co = quando.
103 temo andai de strada = andammo senza remora.
L'i DELL lMMERNO

Per sette porte entrai con questi savi: Passà '1 fosso a pie suti, entradi semo 110
Giungemmo in prato di fresca verdura : Per sete porte in t'un pra verde e belo.
Genti v'cran con occhi tardi e gravi, Tanti omeni imponenti là trovemo
Di grand'autorità ne' lor sembianti: Con de le ciere degne de rispeto :
Parlavan rado, con voci soavi. Poco i parlava e in dolce ton. S'avemo,
Traemmoci cosi dall'un de' canti, Per poder vèder megio el nobil ceto 115
ln luogo aperto luminoso ed alto, ln tei viso, postai in logo arquanto
Sì che veder si pulcini tutti quanti. Largo, alto e chiaro ; e sora verde leto
Colà diritto, sopra '1 verde smalto, Go possà veder là per tuto quanto
Mi fur mostrati gli spiriti magni, l spiriti per meriti onorai ;
Che di vederli in me stesso m'esalto. E ancora che gli ho visti mi me vanto. i 20
1" vidi Elettra con molti compagni ; Ho visto Eletra, e tanti go osservai
Tra' quai conobbi ed Ettore ed Enea, Dei so compagni : Etore in quei, Enea,
Cesare armato con gli occhi grifagni. Giulio dai ochi d'aquila infiamai;
Vidi Camilla e la Pentesilea Camila ho visto, e po Pentesilea
Dall'altra parte, e vidi '1 Re Latino, Da st'altra banda, e insieme al re Latin 125
Che con Lavinla sua figlia sedea. So fia Lavinia là sentai vedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio, Bruto go visto, che ha scazzà Tarquin,
l.nrn'zi..i, Giulia, Marzia e Corniglia; Giulia, Marzia, Lugrezia e Cornelìa,
E solo in parte vidi '1 Saladino. E soleto in desparte el Saladin.
Poi che innalzai un poco più le ciglia, Quand'ho alzà i ochi un poco a meza via, 1 30
Vidi il Maestro di color che sanno, Aristotele ho visto, el precetor
Seder tra filosofica famiglia. De quei che insegna la filosofia;
Tutti l'ammiran, tutti onor gli fanno : Tuli i lo stima, e i ghe fa tuli onor :
Quivi vid'io e Socrate e Piatone, Socrate con Platon tra quela zente
Che innanzi agli altri più presso gli stanno. l stava più vicini al gran Dotor. 135
Democrito, che il mondo a caso pone, Democrito, che sol da l'acidente
D'iogenès, Anassagora, e Tale, El fa che nassa el mondo a prima vista :
Empedoclès, Eraclito e Zenone: E Diogene e Anassagora, e '1 sapiente

119 per meriti onorai = per meriti onorati.


121 lilcl,.1l = figlia di Atlante, la quale di Giove generò Dardano fondatore di.Troja.
122 Etore, Enea = due principali campioni trojani; del secondo fu parlato nel Canto l.
123 Giulio dai ochi ec. .- è fama che Giulio Cesare avesse gli ocehi assai neri e lucidi, indizio di un'anima
penetrante ed energica; fu imperatore romano.
124 Camila, Pantfsilea — la prima figlia di Hetaho re dei Volsci, e l'altra regina delle Amazoni nccisa du
Achille.
125-126 e insieme al re Latin So fiat Lavinia -.. Latino re degli Alborigeni padre di Lavinia promessa in
isposa a Turno, ma poi data ad Enea.
127 Bruto, Tarquin — • due rinomati personaggi nella storia antica romana.
128-129 Giulia - figlia di Cesare, moglie di Pompeo -. Mania -. moglie di Catone uticcnse = Lugre-
zia - romana moglie di Collalino stuprata da Sesto = Carnelia = figlia di Scipione Africano e madre dei
Gracchi = Saladino = di semplice soldato giunse col suo valore a farsi signore dell' Egitto e della Siria, e (u
quegli che ha riconquistata Gerusalemme contro Guido di Lusignano, ehe n'era re. A un fermo valore uni molta
unianità'e inni certa pulitezza di costumi insolita alla sua nazione; ond'è che non avendo compagnia de' suoi
da poter conversare, come fanno gli altri per diversi gruppi, vedesi tutto in disporte.
131 Arinotele . il più famoso tra gli antichi filosofi.
134 Sacrate, Piatone ... filosofi greci rinomatissimi. .
136 Democrito =: fu di Abdera, ed insegnò che il mondo fu fatto per fortuito accozzamento di atomi.
138 Diogene = il cinico, fu di Sinope -.. Anassagora ..-. fumoso filosofo dommatico, maestro di Pcricle; fu
di Cluzoracne.
CANTO V. 20
E vidi il buono accoglitor del quale, Eraelilo : Zenon, e el moralista
I li (isr 0i ii li' dico; e vidi Orfeo, Seneca, Empedoelè, Talete, Orfeo 140
E Tullio, e Livio, e Seneca morale : E Dioscoride gran naturalista :
Euelide geometra, e Tolomeo, Euelide, Tulio, Livio e Tolomeo,
Ippocrate, Avicenna, e Gal'ieno : Galeno, Ipocrate e Averoe vien via,
Averrois, che "1 gran comento feo. Che al comento ha impiegà la mente e '1 deo.
lv non posso rihai- di tutti appieno, Ma dir su ognun de quela pradaria 145
Perocchè si mi caccia il lungo tema, No voi el longo tema, e una strucada
Che molte volte al fatto il dir vien meno. Dago spesso perciò a la storia mia.
La sesta compagnia in duo si scema ; Lassù i quatro poeti, in altra strada
Per altra via mi mena il savio duca, Con elo el mio bon Mestro me conduse
l'mir della queta nell'aura che trema ; Via da la quieta a un'aria indemoniada, 150
E vengo in parte, ove non è che luca. E vado in dove no ghe loca luse.

139-143 Eroelilo -.-. di Efeso, scrisse un trattato sulla datura. :-.. Zenone — di Ciltio in Cipro, fu principe
degli Stoici. .-.-.: Seneca = di Cordova, scrisse di filosofia morale. = Empedoele -.. di Agrigrnto, scrisse un poema
salta natura delle cose. = Tutele, -.— di Mileto, uno dei sette sapienti della Grecia -: Or/co = divino poeta so
natore di Tracia. ---: Dioscoride, - • eccellente raccoglitore delle qualità e virtù delle erbe e delle piante, di cui
SITÌ-C' un famoso trattato -— Euelide, = celebre autore degli elementi geometrici. —- Tullio = Marco Tulio Cice
rone, grande oratore, e sommo filosofo romano. = l.ii-in — Tifo Livio padovano, esimio storico latino. —- Tolo-
'.'"" Claudio, è l'autore del sistema mondiale che da lui si appella = Galltno e Ipocralc - sono due medici, il
primo di Pergamo in Asia, il secondo greco. = Avcrroi = arabo, comentù Aristotile -— vien eia --.- viene di seguito.

CANTO QUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Oltre sen vanno i due Poeti, dove Via andando arriva i do poeti, dove
.Mi nos assegna il loco della pena Marca Minosse el logo de la pena,
All'alme ree, ch'ivi discendon nuove. E in quel cala le ree aneme nove.
Quivi un orribil turbo intorno mena Bissabova tremenda intorno mena
Miseri spirti, cui lussuria cinse I schiavi stai de la lusuria at mondo,
Quassù nel mondo in si forte catena, Streti da questa co una tal caena.
Che mala voglia in lor ragione estinse. Che d'eli la rason ga fica a fondo.

Così discesi dal cerchio primaio Dal primo cerchio semo calai zoso
Giù nel secondo, che men loco cinghia, Al secondo, de manco circuito,
E tanto più dolor, che pugne a guaio. Ma de dolor più grando e più rabioso.
Stavvi Minò:, orrìbilmente, e ringhia : Quel orco de Minòs ogni delito
Esamina le colpe nell'entrata : Stizzà a l'ingresso esamina e sentenza;
Giudica e manda, secondo ch'avvinghia. Storze la eoa, e ognun manda al so sito.
Dico, che quando l'anima mal nata Digo, che quando un birbo a la presenza
Gli vien dinanzi, tutta si confessa ; Ghe vien, fa dei pecai la confession;
E quel conoscitor delie peccata E lu, ch'el ga de questi conoscenza,
Vede qual luogo il' Inferno è da essa ; Decreta el logo de la punizion. 10

4 Quel orco. - - Orco, essere immaginario il più spaventevole, e suole essere appropriato a persone d'orri
do aspetto. . - Minot — giudice dell? inferno, secondo la Mitologia.
5 Stizza = arrabbiato.
DELL INFERIVO
Cignesi con la coda tante volte, La eoa drio ai fianchi tante volte el mena,
Quantunque gradi vuoi che giù sia messa. Quanti xe 5 cerchi in zo, elic per preson
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte ; Giic dà. Sempre davanti el ga una piena
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio : Per farse un a la volta giudicar;
Dicono ed odono, e poi son giù vòlte. I conta su, i ascolta la so pena, la
O tu, che vieni al doloroso ospizio, E in dove voi la eoa, ghe loca andar.
Gridò Mlnùs a me, quando mi vide, Co '1 m'ha ochià, li lassa, e' 1 ciga: Olà
Lasciando l'atto di cotanto ufizio, Ti che ti ga l'ardir de qua arivar,
Guarda com' entri, e di cui tu ti fide : Vanta dove ti vien, quel che ti fa;
Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare. No te fidar se larga xe l'intrada. 20
E '1 duca mio a lui : Perchè pur gride ? La mia Guida responde: Cossa è sta?
Non impedir lo suo fatale andare : Ti crii anca ti? no ghe serar la strada:
Vuoisi così colà dove si puote Cossi voi Chi poi luto, e ti oramai
Ciò che si vuole, e più non dimandare. No sta più a domandar, lassa ch'el vada.
Ora incomincian le dolenti note Adesso sì da bon scomenza i guai 25
A farmisi sentire : or son venuto A farse ben sentir; me trovo star
Là dove molto pianto mi percuote. Dove un ragio de Sol no ariva mai.
lo venni in luogo d'ogni luce muto, Là no se fa che pianzer e sustar;
Che mugghia come fa mar per tempesta, E un fracasso se sente che se crede
Se da contrarii venti e combattuto. Che sia el ruzor d'una borasca in mar. 30
La bufera infernal, che mai non resta, La ventera infernal che mai no cede.
Mena gli spirti con la sua rapina ; Quei spiriti strassina a so caprizio;
Voltando e percotendo gli molesta. Li volta in furia o pase mai concede.
Quando giungon davanti alla ruina, Quand'eli vien davanti al precipizio,
Quivi le strida, il compianto e '1 lamento ; Là i ciga, i zeme, i pianze, i fa lamento; 35
Bestemmian quivi la Virtù divina. Là i bestemia sin Dio e' 1 so giudizio.
Intesi ch'a così fatto tormento Condanai, m'è sta dito, a quel tormento,
Eran dannati i peccator carnali, Xe i lussuriosi, che a rason dà '1 bando,
Che la ragion somtnettono al talento. Perchè '1 vizio ha su quela ci soravento.
E come gli stornei ne portan l'ali, Come a schiapi i stornei va destirando, 40
Nel freddo tempo, a schiera larga e piena; Quando fa fredo, le ale a vela piena;
Così quel flato gli spiriti mali Cossi '1 vento d'inferno va butando
Di qua, di là, di giù, di su gli mena : Quei danai da ogni banda, e li remena
Nulla speranza gli conforta mai, De qua, de là, de su, de za, e speranza
Non che di posa, ma di minor pena. No i ga d'un fià de quiete o manco pena. 45
E come i gru van cantando lor lai, Com'el lemo le gruc va in ordenanza
Facendo in aer di sè lunga riga ; Fazzendo in aria prussissionalmente,
Così vid'io venir, traendo guai, Vegnir go visto a poca lontananza
Ombre portate dalla detta briga ; Portada in alto una fila dolente.
Perch'io dissi : Maestro, chi son quelle Come, domando al Mestro, xe chiamada 50
Genti, che l'aer nero sì gastiga ? Quela dal vento maltratada zente?

28 suitar — sospirare.
30 ruzor d'una boratca in mar c= mugghiamento del mare in tempesta
40 iehiapi = stormi.
46 ordenanza = voce applicata a moltitudine di gente posta in ordine, in filj, come appunto usano i gru.
CAiSTO V. 27
La prima di color, di cui novelle La prima, dise lu, sovrana è stada
Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta, De popoli diversi de natura,
Fu imperadrice di molte favelle. A la lussuria tanto trasportada,
A vizio di lussuria fu sì rotta, Ch'el dente per schivar de la censura, 55
Che libito fe lecito in sua legge, Co una lege ha permesso a ogni persona
Per tórre il biasimi in che era condotta. De maridarse a modo soo a dritura.
KH'i Semiramls, di cui si legge, Semiramide è stada quela dona,
Che succedette a Nino, e fu sua sposa ; Che de Nino, so fiolo sta e mario,
Tenne la terra che '1 Soldan corregge. EI setro la ga avudo e la corona 60
L'altra è colei che s'ancise amorosa, Che ga desso el Sultan. Didon adrio
E ruppe fede al cener di Sitimi ; De questa vien, che per amor de Enea
. Poi è Cleopatràs lussuriosa. La s" ha mazza e ga Sicheo tradio :
Elena vidi, per cui tanto reo Po vien Cleopatra de lussuria rea,
Tempo si volse; e vidi '1 grande Achille, Elena che ha mandà Trogia in malora : 65
•Che per amore al line combattco. E varda Achil, d'amor ch'el combatea
Vidi Parìa, Tristano E più di mille Sin lu : Paris, Tristan varda e più ancora
Ombre mostrommi, e nominolle, a dito, D'un miei col deo me n'ha mostrà e chiamà,
Ch'Amor di nostra vita dipartine. Che quel birbo d'amor l' ha fati fora.
Poscia ch'io ebbi il mio Dottore udito Dopo ch'el mio Dotor m' ha menzonà 70
Nomar le donne antiche e i cavalieri, Dei tempi andai le done e i cavalieri, i
Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito. M' ho t mmorilo, e se m' ha '1 cuor strazza.
Poi cominciai : Poeta, volentieri Poeta, ho dito, più che volentieri
Parlerei a que' duo, che insieme vanno, Parlarave a quei do che i va tacai,
E pii ion si al vento esser leggieri. E in sto ventazzo i par tanto lezieri. 715
Ed egli a ine : Vedrai quando saranno Co più a vicin, el dise, i sia arivai,
Più presso a noi ; e tu allor gli prega Pregali per l'amor che li fa andar
Per quell'amor, che i mena ; ed ei verranno. Insieme, e i vegnerà cussi chiamai.
Sì tosto come '1 vento a noi gli piega, Apena el vento ne li ha fati inviar,
Muovo la voce : O anime affannate, Alzo la vose : O aneme afanae, 80
Venite a noi parlar, s'altri noi niega. Vegnì qua, se podè, con nu a parlar.

56 Co una lege = con una legge.


56-59 Semiramide -. regina di Babilonia sull'Eufrste. Cosici per avidità di dominio lece uccidere IVino . ln-
le fu figlio o marito.
61-63 Diitimi- -- regina di Cartaginc moglie di Sicheo: invaghitasi perdutamente di Enea, da questo ab
bandonata, si diede la moi-te Alitandosi tra le Tininme della reggia, cui avea messo fuoco.
64 Cleoputra :-. regina d'Egitto, fu presa da tanto amore per Antonio, condottiero della licita romana, che
disperata per vedersi da questo abbandonata, mori avvelenata dal morso di un aspide che si pose in seno.
65 Etena = moglie del greco Menelao, uno dei primi capitani dell'armata greca: fu rapita da Paride Tro-
jano.c fu la causa prima della lunga guerra tra le due nazioni cantata da Omero, onde ne segui la distruzioin:
di Troja. .
66 Achil = Achille il grand'croe dell'armala greca. Per ingiuria avuta da Agamennone comandante in capo
de' greci, dal quale gli fu tolta Briscide, avea ricusato di più combattere nella guerra contro i Trojani, rima
nendosi perciò inerte nella sua tenda, sinchè dall'ostinato proponimene non lo riscosse l'amore dell'estinto Pa-
Iroelo di lui amico, e il desiderio di vendicarlo. Ma l'amore per cui fu vinto l'imitin Achille, e che gli costò
la vita, fu quello preso per Polissena. •
67 Pari*, Tristan = due antichi cavalieri erranti, famosi nel romanzo della Tavola Rotonda. Tristano aman
te della regina Isotta, moglie del re Marco di Cornovaglia, fu da lui trafitto con dardo avvelenato, ed ella muri
con lui. Paris fu amante di Viena e per lei mori.
69 l' ha fati fora _ li ha condotti a mal termine.
72 il cuor n(razza :- il cuore lacerato.
28 DELL lNFERNO

Quali colombe dal disio chiamate, Come co l'ale ferme e spnlancae


Con l'ali aperte e ferme, al dolce nido Do colombe le svola al caro nio,
Volati, per l'aer dal voler portate ; la dove vogia e amor le ga chiamae;
Totali uscir della schiera ov'è Dido, Lori do da la fìla xe sortio, 85
A noi venendo per l'aer maligno; Vegnindo a mi per l'aria tormentosa :
Sì forte fu Paffiuttuoso grido. Tanto ha podesto in eli ci prego mio.
O animai grazioso e benigno, O anema zentil e generosa,
Che visitando vai per l'aer perso Che a visitar ti vicn nu desgraziai;
Noi che tignemmo 'i mondo di sanguigno, Nu, che avemo la lera sanguenosa 90
Se fosse amico il Re dell' universo, Fata al mondo, se' 1 cicl ne amasse mai,
Noi pregheremmo lui per la tua pace, Per ti nu lo voressimo pregar,
Poi c' hai pietà del nostro mal perverso. Che ti senti pietà dei nostri guai.
Di quel ch'udire e che parlar vi piace De quel che dir ve piase o de ascoltar,
Noi udiremo e parleremo a vai, Nu ve diremo e ascolteremo, insina 95
mentre che '1 vento, come fa, si tace. Che sto ventazzo un fiù ne lassa star.
Siede la terra, dove nata fui, ln Ravena so nata al mar vicina,
Su la marina dove '1 Po discende Dov'el Po se descarga, e con lu mor
Per aver pace coi seguaci sui. l altri fiumi che in quelo se strassina.
Amor, ch'a cor pentii ratto s'apprende, Amor, che presto chiapa in zentil cuor, 100
Prese costui della bella persona, Questo del mio bel corpo ga ferio,
Che mi fu tolta, e il modo ancor m'olIcnde. Morto in modo che ancora me fa oror;
Amor, ch'a null'amato amar perdona, Amor pretende amor; perciò a sto mio
Mi prese del costui piacer sì forte, Paolo amor m' ha tanto incadenada,
Che, come vedi, ancor non m'abbandona. Che, vnnla, insina qua lu me vien drio. 10.">
Amor condusse noi ad una morte : Amor con elo, oh Dio ! m' ha strassinada
Caina attende chi in vita ci spense. A una morte; chi n'ha mazzà però
Queste parole da lor ci fur pòrte. Lo aspeta la Caina. Confidada
lla ch'io intesi quell'anime oflense, Sta storia sospirando, ci viso go
Chinai '1 viso; e tanto '1 tenni basso, Sbassà, e tanto lo telrniva in zoso, 110
Fin che '1 Pueta mi disse : Che pense ? Fin che me dise el mio Dotor: Via po,
Quando risposi, cominciai : Oh lasso ! Cossa ti pensi? Alora go resposo:
Quanti dolci pensier, quando disio O quante care idee, quanta passion
Menò costoro al doloroso passo ! Li ha tirai a quel passo doloroso!
Poi mi rivolsi a loro e parla'io, Po da lori voltà, parlo in sto ton: 115
E cominciai: Francesca, i tuoi martiri Francesca, sangiotar i patimenti
A lagrimar mi fanno tristo e pio. Toi me fa de dolor e compassion:
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri, Ma dime adesso: come e quai momenti
A che. e come concedette Amore Ha podesto trovar el vostro amor

ìKì un fià — un poco.


98 ao = sono.
108 Caina rrr luogo dell'inferno, ove sono i fratricidi.
11G francata bella liglia di Guido .da Polenta. La si voleva unire in matrimonio con Gianciotto Malatesta,
ma pensatosi che dessa difficilmente avrebbe consentito a torsi per marito un uomo della deformità di lui, fu
mandato a Ravenna a sposarla per Gianciotto, Paolo suo fratello giovane bellissimo e di modi gentili; e con
tanto artilizio si meno la frode, che Fraucesca credò clic quegli fosse veramente il suo marito, nè prima ella
usci il' in. :miu. i. che la manina seguente elle nozze si vide al fianco l'orrido Gianciotto: scoperta da costui la
tresca lra Franeesca e il fratello di lui Paolo, li accise entrambi di snu mano. = sangiotar rr singhiozzare.
CANTO V. 29
Un. conosceste i dubbiosi desiri ? Per coniili,u ve i teneri tormenti? 120
Ed ella a me : Nessun maggior dolore, E quela: Ah no, no ghe pezo dolor
Che ricordarsi del tempo felice Ai tempi fortunai de andar pensando
Nella miseria ; e ciò sa '1 tuo Dottore. Tra' 1 crucio e in mezo ai guai, e '1 to Dotor
Ma - a conoscer la prima radice Lo sa: ma se saver e come e quando
Del nostro amor tu bai cotanto affetto, N'alii.ì chiapà l'amor tanto t'invogia, 125
Farò come colui che piange e dice. Te contarò la storia lagremando.
Noi leggevamo un giorno per diletto Gera soleta un zorno co sta zogia,
Hi Lancilotto, come amar lo strinse : E de lezer per spasso su i amori
Soli eravamo e senza alcun sospetto. De Lanciloto n'è vegnù la vogia.
Per più fiate gli occhi ci sospinse De gnente dubitava i nostri 'cuori;
Quella lettura, e scolorocci'l viso: l ochi nostri ogni i iato se incontrava, 1 30
Ma solo un punto fu quel che ci vinse. E sul viso perdevimo i colori;
Quando leggemmo il disiato riso Ma l'amor in t'un sito ne becava:
Esser baciato da cotanto amante, Rivadi al ponto che l'inamorà
Questi, che mai da me non fia diviso, Sora la cara boca el baso dava, 135
La bocca mi baciò tutto tremante : Questo, che mai no lasso, m' ha basà
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse : Tremando in boca. Ga un Galioto fato
Quel giorno più non vi leggemmo avanti:. Quel libro Hbertin, e abandonà
Mentre che l'uno spirto questo disse, Lo avemo per quel zorno. Sin ch'el fato
L'altro piangeva sì, che di pletade Dise una, l'altro pianze; e mi za smorto HO
lo venni men, così com'io morisse; Per la passion, che m' ha in deliquio trato,
E caddi, come corpo morto cade. Son cascà come casca un corpo morto.

123 Datar = accenna a Bocsio. Questo autore era famigliarissimo a Dante, il quale disse nel suo Comili.,
d'aver cercato conforto ul suo dolore per la morie di Beatrice. (BURCHI).
127 co = con.
129 Lanciloto = autore del romanzo amoroso: La Tavola Rotonda.
133 ne bfeaaa . . ci pungeva.
138 Golfata . Galeotto era il nome di colui clic fu mezzano tra gli amori di Lancilotlo e Ginevra; galeot
to si chiamò poi ogni mezzano d'illeciti amori.

,-.
50 DELL I>F£R>0

CANTO SESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Grandine prosna. e neve, e acqua tinta Al terzo cerchio xe i Poeti, dove


Nel terzo cerchio si riversa noprii Neve, aqaa sporca, e cranda la tempesta
Gente, che qui dalla gola fu rima. Sora i golosi eternamente piove.
Nè basta, che tai noia vi ricopra Ma sola la so pena no xe questa;
L'anime ree ; ma Cerbero le offende Che con tre bocche Cerbero bugiando
Forte latrando, e le tre bocche adopra, LI stornisse da romperghe la testa;
E coll'onghie, e co' denti scuoia e fenle. Co le ongie e i denti li va po squartando.

Al tornar della mente, che si chiuse Co i sentimenti m'è tornai, che perso
Dinanzi alla pietà de' duo cognati, Avea in sentir le angosse dei cugnai,
Che di tristizia tutto mi confuse. Che m' ha in fondo del cuor fato un roverso;
Nuovi tormenti e nuovi tormentati Novi tormenti e novi tormentai
Mi veggio intorno, come ch'io mi muova, Vedo intorno ; e per tuto che me mova, 5
E come ch'io mi volga, e ch'io mi guati. O me volta, o me zira, vedo guai.
Io sono al terzo cerchio della piova Me trovo al terzo cerchio: e qua una piova
Eterna, maledetta, fredda e greve : Eterna, maledia, giazzada e greve
Regola e qualità mai non l'è nuova. Vien zoso sempre, e mai no se renova.
Grandine grossa, ed acqua tinta, e neve Tempera grossa, e aqua torbia e neve, 10
Per l'aer tenebroso si riversa: Per l'aria negra casca sempre zoso;
Pule la terra, che questo riceve. Spuzza ci teren che quel inissioto beve.
Cerbero, fiera crudele e diversa, Cerbero, el strambo can, fiero, stizzoso,
Con tre croie caninamente latra El bagia a forte con tre gole adosso
Sovra la gente che quivi è sommersa. A quei negai, che no ga mai reposo. 15
Gli occhi ha vermigli, e la barba unta ed atra, Negri el ga i musi, (ratizzi, e l'ochio rosso,
E '1 ventre largo, ed unghiate le mani; Con gran panza e gran ongie; quei danai
Graffia gli spirti, gli scuoia ed lsquatia. Lu scortela, lu squarta a più no posso.
Urlar gli fa la pioggia come cani: La piova li fa urlar da desperai;
Dell'un de" lati fanno all'altro schermo; Cerca scansar i grami quel malan, 20
Volgonsi spesso i miseri profani. Cambiando sempre fianco. Co '1 n' ha ochiai,
Quando ci scorse Cerbsro, il gran vermo, Ne ga i denti poinli mostrà quel can,
Le bocr.he aperse, e mostrocci le sanne: Tegnindo le tre boche spalancae,
Non avea membro chn ten-jssc fermo. E s' ha tulio missià. Verte le man,
E '1 Duca mio, distese le sue spanne, Tol su un grumo de lera, e po scrae, 25
Prese la terra, e con piene le pugna A pugni pieni el Mostro con vemen'vi

1 Cn = quando.
3 m'ha in fonda drl euor falo un raverso = mi ha Ilubato, sconvolto l'animo,
in lorliiu =-- torliida.
13 Cerbero = il cane dai poeti posto a guardia dell' inferno e per istrozio dei dannali = strau-ba — strano
Ax nuuva foggia.
16 untizzt - untuosi.
21 minia — dimenato, contorto.
CAYTO VI,
La gittò dentro alle bramose canne. La stanza in quele.trc gole sfamai!,
Quale quel cane, ch'abbaiando agugna, Come un can, che bagiando a tuta ardenza,
E si racqueta poi che '1 pasto morde, El se quieta co un osso ga imbocà,
Che solo a divorarlo intende e pugna ; Ch'el tende a rosegar con impazienza; 30
Cotai si fecer quelle facce lorde Cossi i luridi musi ha bonazzà
Dello demonio Cerbero, che introna Del can-demonio, che l'introna urlando
L'anime sì, ch'esser vorrchber sorde. L'aneme ch'esser sorde avria bramà.
>roi passavam su per l'ombre, ch'adona Intanto nu su l'ombre caminando
La greve pioggia, e ponevam le piante Sguazzae da l'infernal piova giazzada, 35
Sopra lor vanità, che par persona. Metemo el pie su quele che, inganando,
Elle giacean per terra tutte quante, Le par persone vive. Una levada
Fuor ch'una, ch'a seder si levò, ratto ' Suso in senton de sbalzo, proprio alora
Ch'ella ci vide passarsi davante. Che n'ha visto passarghe de fazzada:
O tu, che se' per questo Inferno tratto, Ti che ti vien in sta infernal malora, 40
Mi disse, riconoscimi, se sai: Conossime, la dise, se ti è bon,
Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto. TI, che ti è nato avanti che mi mora.
Ed io a lei: L'angoscia, che tu hai, E mi: Convien ch'el crucio e la passton
Forse ti tira fuor della mia mente Una fisonomia t'abia dà nova,
Sì, che non par ch'io ti vedessi mai. Se capace a conosscrte no son, 45
Ma dimmi chi tu se', che in sì dolente Ma dime chi ti xe, dani in sta piova,
Luogo se' messa, ed a sì fatta pena, Che se ghe fusse pezo pena mai,
Che s'aitra è maggio, nulla è sì spiacente. Certo più fastidiosa no se trova.
Ed egli a me: La tua città, ch'è piena Nel to paese, ci dise, pien de guai,
D'invidia sì, che già trabocca il sacco, Dove l'invidia passa ogni confin, 50
Seco mi tenne in la vita serena. I mii zorni là drente go passai.
Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco: Chiaco me ga chiamà quei citadin;
Per la dannosa colpa della gola, Per el vizio dunoso de la gola
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco: Peno, varda. in sta piova senza fin.
Ed io anima trista non son sola; Ma in sta piova no son anema sola, 55
Che tutte queste a simil pena stanno Che sii spiriti tuti xe qua /0
Per simil colpa: e più non fe parola. Per l'egual vizio: e più noi fa parola.
Io gli risposi : Ciacco, lo tuo affanno Chiaco. ghe digo, del to mal mi go
Mi pesa sì, eira lagrimar m'invita: Tanto dolor, ch'el cuor me fa ingropar;
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno Ma, se ti sa, come a Firenze mo, 60
Li cittadin della città parlila; Dime, andarà i partidi a terminar:
S'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione Se gh'è nissun de giusto, e la rason

28 a tutta ardenza = furiosamente.


29 co = quando.
31 tionnzzà=-. abbointeci ato.
38 in i-entoH — a sedere — de sbalzo — tosto.
52 Chiami = Ciucco fu rilladinn liorentiuo, pieno di urbanità e di moti faceti, elio, tirato dalla gola, s'era
nblwssalo all'urie vilissima del bntTune e del parafilo, d'onde forse gli era venuto il soprannome di porco, elio
luido siguilica Ciacco. Vero e elic questo nome fu anrlu: corruzione di Jacopo, e potrebbe essere stato questu,
iiiuUostocliè un snprnnnomc tli spregio, «I nome personale con elic ebiamavnsi volgarmente costui.
59 ch'el cuoc me fa ingropar = frase tbe drnota un senIimento di compasnionc, e vale sentirsi inten' rirQ
e commuovere senza poter parlare.
00 ni'i = parlicelia riempitiva.
32 DELL INFEBXO
Perchè l' ha tanta discordia assalita. Che tanto inferno xe andà là a portar.
Ed egli a me : Dopo lunga tenzone Mazzarse i vedo dopo gran question,
Verranno al sangue, e la parte selvaggia El dise, ma la Bianca scazzarà 65
Caccerà l'altra con molta offensione. Con sterminio crudei l'altra fazion.
Poi appresso convien che questa caggia, Dopo la Negra se vendicherà
Infra tre soli, e che l'altra sormonti, Nel ziro d'ani tre, però agiutada
Con la forza di tal, che testè piaggia. Da un gran campion d'ingani, e ben armà:
Alto terrà lungo tempo le fronti, Per un bon pezzo l'anderà cimada, 70
Tenendo l'altra sotto grafi pesi, Pestando ben la Bianca a la so volta,
Come che di ciò pianga, e che n'adonti. Sihi-ii questa se lagna, e xe irabiada.
Giusti son duo, ma non vi sono intesi: In do xe i giusti, ma nessun li ascolta:
Superbia, invidia ed avarizia sono Superbia, Invidia e Avarizia xe stae
Le tre faville, e' hanno i cuori accesi. La causa che Firenze ga stravolta. 75
Qui pose fine al lacrimabil suono. Qua le amare parole terminae,
Ed io a lui : Ancor vo" che m'insegni, Mi a lu digo: Qualcossa bramarla
E che di più parlar mi facci dono. Saver ancora: dime in dove andae
Farinata e '1 Tegghia', che fur sì degni, De Farinata e de Teghiaio sia
lacopo Rusticucci, Arrigo e '1 Mosca, Le aneme grande; e Rusticuci e Arigo SO
E gli altri, ch'a ben far poser gl'ingegni, E Mosca, e i altri de la compagnia,
Dimmi, ove sono, e fa' ch'io gli conosca, Che ga fato del ben; dov'ei, ghe digo,
Che gran disio mi stringe di sapere, Che de vederli ho vogia, e de saver
Se '1 ciel gli addolcia, o l' Inferno gli attosca. Se i gode el ciel, o i ga qua zo '1 castigo.
E quegli : Ei son tra l'anime più nere: De l'inferno tra i pezo i xe in poder; 85
Diversa colpa giù gli aggrava al fondo : Per altre colpe, el dise, i pena in fondo:
Se tanto scendi, gli potrai vedere. Se là ti arivi, te li poi veder.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo, Ma quando ti sarà tornà al to mondo,
Pregoti che alla mente altrui mi rechi : Itimi .l i m !•. te prego, a quela zente:
Più non ti dico, e più non ti rispondo. De più no digo, e gnanca le respondo. 90
Gli diritti occhi torse allora in biechi: El storze i ochi alora bruscamente;
(Inaniinii mi un poco, e poi chinò la testa: Me varda un fià, la testa po sbassando,
Cadde con essa a par degli altri ciechi. Tra i altri grami ci casca novamente.
E '1 Duca disse a me : Più non si desta Dise el Dotor : Lu starà là sin quando

64 Mazzarse tee. --. Ciocco qui parla ia forma profetica, poichè Dnnte ha immaginato che le anime vedano
le cose future: Vedi il C. X. v. 100-105.
65-67 la Bianca = di cui era capo la famiglia dei Cerchi: della Nera era capo la famiglia de' Donati.
69 Da un gran cara/mm tee = cioù Carlo di Valois fratello di Filippo il Bello re di Francia; fu da (jnc-
sto mandalo a Firenze per comporre que' cittadini divisi. Il francese per altro invece di prestarsi da buon pa
ciere, unì le sue forze a i|uelle dei Neri ed oppresse il partilo contrario: qumdi carico delle spoglie della ma
nomessa Firenze andossenc pe' fatti suoi.
70 l'anderà cimada = andrà orgogliosa.
73 In do .fi' i giusti = due giusti uomini fiorentini, che in quelle turbolenze non erano ascoltati; ma chi
questi .«inni, è difficile indovinare, l'ero dallo stesso silenzio dei nomi potrebbe argomentarsi che uno di questi
fnsIe il modesto Dante Alighieri, e l'altro il suo grande amico Guido Cavalcanti, che Benvenuto da lumia dice:
.Uu-i- oculux Florentìat tempore Dantis. (BUUCIII).
75 tiravolla = sconvolta, disordinata.
79-81 Farinata — Farinata degli Climi: vedi C. X. = Teghiaio Aljlobrandi degli Adimari e Jacopo lìnsii-
i-uci: vedi C. XVI. == Arigo de'Fifanti non vien più nominato nel Poema. = Del Moten vedi C. XXVIII. baule
da i costoro lode, non come peccatori, ma come valentuomini.
92 un fiò .-- un poco.
CANTO VI. 53
Di qua dal suon dell' angelica tromba, De l'anzolo la tromba, co vien l'ora, 95
Quando verrà lor nimica podesta : Lo svegerà. Là, '1 giusto Dio rivando,
Ciascun ritroverà la trista tomba, Tuti el sepolcro soo troverà fora,
Ripiglierà sua carne e sua figura, Vestirà la so carne e la figura,
Udirà quel che in eterno rimbomba. E i sentirà '1 giudizio eterno alora.
Sì trapassammo per sozza mistura Cussi andavimo a pian tra la mistura 100
Dell'ombre e della pioggia, a passi lenti, De l'ai lun sporca e i sporchi delinquenti;
Toccando un poco la vita futura : E discorendo un fià su la futura
Perch'io dissi : Maestro, esti tormenti Vita, domando al Mestro: Sti tormenti
Cresceranno ei dopo la gran sentenza, Cresseli dopo ci gran final giudizio?
O fien minori, o saran sì cocenti? Sarali i stessi, o manco forti? Senti 105
Ed egli a me : Ritorna a tua scienza, Del filosofo tuo qual xe '1 giudizio,
Che vuoi, quanto la cosa è più perfetta, Lu din: ; e '1 te dirà, che più se sente
Più senta '1 bene, e così la doglianza. Nel perfeto el piacer, com'el suplizio.
Tuttochè questa gente maledetta Siben che questa maledetta zente
In vera perfezion giammai non vada, De vera perfezion ata no sia, 110
Di là, più che di qua, essere aspetta. Dopo i la gavarà più che al presente.
Noi aggirammo a tondo quella strada, Cossi de quela strada atorno via
Parlando più assai ch'io non ridico; Zirà avemo parlando più che digo;
Venimmo al punto dove si digrada : Po zo calai se semo in compagnia:
Quivi trovammo Piuto il gran nemico. E Pluton là trovemo, el gran nemigo. 115

95 co -- qnando.
102 un /;.'t = un poco.
106 Del filosofo tuo = allude alla filosofia Aristotelica seguila da Dante.
115 Pluton — jiiutone Dio delle ricchezze, figlio tli Giasone e di Cerere, secondo la mitologin: qui i fallo
figurare per il gran nemico della pace del mondo; perchè dalla sete dell'oro e delle smisurate ricchezze deri
vano i più gravi disordini nell'umana famiglia.
34 DELL lNFERNO

CANTO SETTlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Taglia le voci nell'orrenda strozza Virgilio taser fa Plnton, e andai
Virgilio a Pluto, ondo i Pofti vanno l dn Pocti al quarto cerchio, i trova
Nel quarto cerchio, ch'altre anime ingozzi. Prodighi e AYari, che i xe condanai
Prodighi e avari quivi lor pene hanno A spenzer pesi grossi; nè ghe giova
Spingendo pesi e con percosse dure Le spente che i se di quei penitenti,
L'aspro gastigo più aspro si fanno. Che più i fa cresser la condana nova.
Poi d'lra, e Accidia veggon le lordure. D'lra e lnvidia i vede po i tornu.ntì.

Pape Salan, pape Satan aleppe.... Pape alepe Satan, pape Satan,
Cominciò Pluto con la voce chioccia : Pluton scomenza co la so vosazza;
E quel Savio gentil, che tutto seppe, Ma '1 Dotor, che quel zergo ga a la man ,
Disse, per confortarmi: Non ti miccia ' Dise, per farme cuor: Se'l te strapazza
La tua paura, che, poder ch'egli abbia, No ghe star a badar, che a ti sto ingresso
Non ti torrà lo scender questa roccia. Elo tor no te poi per quanto el fazza.
Poi si rivolse a quella enfiata labbia, Po contro a quel rabioso el se ga messo
E disse: Taci, maledetto lupo: A dirghe: Tasi, lovo maledeto,
Consuma dentro te, con la tua rabbia. Sfoga quel to velen contro ti stesso.
Non è senza cagion l'andare al cupo: D'andar là so gavemo ci nostro ogeto; 10
Vuoisi cosi nell'alto, ove Michele Voi cussi '1 ciel, dove la rebelion
Fè la vendetta del superbo strupo. Dei aiuoli, Michiel ga ben coreto.
Quali dal vento le gonfiate vele Come sgionfa dal vento in t'un baion,
Caggiono avvolte, poichè l'alber fiacca; Spacà l'alboro, vien la vela a basso;
Tal cadde a terra la fiera crudele. Tal qual fa '1 mostro in tera el stramazzon. 15
Così scendemmo nella quarta lacca, Cossi drezlando al quarto cerchio el passo,
Prendendo più della dolente ripa, Per là calcmo sempre più internando,
Che'l mal dell'universo tutto insacca. Dove s'insaca d'ogni mal l'amasso.
Ahi giustizia di Dio ! tante chi stipa O giustizia de Dio! chi va muchiando
Nuove travaglie e pene, quante io viddi ? Le tante pene che ho podestq ochiar?
E perchè nostra colpa sì ne scipa ? Perchè '1 vizio cussi ne vien strazzando?
Come fa l'onda là sovra Cariddi, Come a Caridi, in quei scogi de mar,
Che si frange con quella in cui s'intoppa; Le onde urtando se rompe; istessamente
Così convien che qui la gente riddi. l danai sempre qua ga da zirar.
1 Pape alepe ecc. =: Taluni pretendono essere pnrole ebraiche, clic avrebbero questo significato: •i Come, o
Salano, come, o Salano principe dell'lnfernol a lasciando sotliuiendere la esclamazione interrotta: un audace mor
tale osa penetrare qua entra? Molle altre interprclazioni furono date, ma questa sembrerebbe la più naturale
quando vogliasi rinvenire un senso. Perù il traduttore, e con esso qualche comentatore, inclinerebbe a credere
clic le parole stesse non appartengono a nessun linguaggio ili questo mondo, ma piuttosto al gergo diabolico
ehe alla capricciosa fantasia del pocta piacque mettere iii bocca a fiutone; il somigliante di cicche vedremo al
pozzo de' Giganti, C. XXXl. 67.
•1 per fanne cuor = per darmi coraggio.
12 •1/iV/nW = l'Arcangelo mandato da Dio per cacciare dal ciclo gli angeli ribelli e confinarli nell'lnferno.
15 strnmazzon . stramazzata, percossa in terra.
10 innrliiniiilH — ammucchiando.
21 strizzando ...:.. stracciando, lacerando.
i2 Come a Cariili = Sciita c Cariddi nel faro di Messina, ove le acque del Mar Jonio e ilei Tirreno s'in
contrano e s'infrangono.
COTO vii. 03
Qui vid'io gente, più ch'altrove, troppa, Qua più che In altri siti ho visto zente, 25
E d'una parte e d'altra, con giand'urll Che col peto gran pesi i spentonava,
Voltando pesi, per forza di poppa : Urlando luti co i se incontra arente.
Percotevansi incontro, e poscia pur lì In tei urtarse, in drio i se voltava:
Si rivolgea ciascun, voltando a retro, Perchè ti tien? Perchè ti spandi ti?
Gridando: Perchè tieni? e: Perchè burli? I se andava disendo; po i tornava 30
Cosi tornavan per lo cerchio tetro, Ancora per quel scuro cerchio lì,
Da ogni mano all'opposito punto, D'ogni banda da l'un a l'altro cao,
Gridando sempre loro ontoso metro ; Con quel insulto a ponzerse cussi.
Poi si volgea ciascun, quand'era giunto, Po ognun voltando ancora da là incao,
Per lo suo mezzo cerchio, all'altra giostra. A mezo del so cerchio zonti apena, 35
Ed io, ch'avea lo cuor quasi compunto, Quel molinelo i fava da recao.
Dissi: Maestro mio, or mi dimostra, Domando al Mestro, dopo ochià sta sena:
Ohe gente è questa, e se tutti fuor cherci Chi xeli mai costori propriamente,
Questi chercuti, alla sinistra nostra. Quei chieregai, che qua a la zanca i pena?
Ed egli a me : tutti quanti fur guerci Xei stai chiereghi luti? E lu: Sta zente 40
Si della mente, in la vita primaia, I ha avù de là'l cervel così stordito,
Che, con misura, nullo spendio ferci. Che ogni spesa i ha fato malamente.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia, La botonada lo sa dir pulito
Quando vengono a' duo punti del cerchio, Ai do ponti del cerchio; e destacai
Ove colpa contraria gli dispaia. Dai do oposti pecati i xe in quel sito. 46
Questi fur cherci, che non han coperchio Chiereghi i gera, papi e cardenai
Piloso al capo, e papi e cardinali, Questi, che in testa xe senza caveli,
In cui nso avarizia il suo soperchio. De prodigalità tuli iuzupai.
Ed io: Maestro, tra questi colali liini Mestro, digo, qualchedun Ira queli
Dovre'io ben riconoscere alcuni, Mi dovarave averne conossuo 50
Che furo immondi di colesti mali. Machiai dal vizio che ga lollo i peli.
Ed egli a me : Vano pensiero aduni : Gnanca per sogno, el me responde nuo;
La sconoscente vita, che i fe sozzi, Sapi ch'eli xe tuli sfigurai,
Ad ogni conoscenza or gli fa bruni. Perchè una vita bruta i ga tegnuo.
In eterno verranno agli duo cozzi : Ai eterni do scontri i xe danai; 55
Questi risurgeranno dal sepulcro Quei ressussiterà col pugno strelo,
Col pugno chiuso, e quelli co' crin mozzi. E i spendachioni coi cavei tagiai.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro Per el contrario vizio iualedeto
Ha tolto loro, e posto a questa zuffa : Perso i ga '1 Paradiso, e pena dura
Qual ella sia, parole non ci appulcro. 1 ga qua via, che de più dir desmeto: 60
Or puoi, fìgliuol. veder la corta buffa Varda, fio, varda quanto poco dura
De' ben, che son commessi alla Fortuna, I beni dispensai da la fortuna,
Per che l'umana gente si rabbuffa. Per i quali la zente se snatura:

32 rfa l'un al'altro cao = espressione elic ha varj significali: ijui è presa nel scuso: du una all'opposta parte.
33 ponzene = pungersi con delti mordaci.
3-1 da là in cao — da quell'estremo lalo.
36 da rccao — di nuovo.
43 In botnnada = il motteggio.
48 caie = spilorci, taccagni.
52 nuo . . nudo, nel senso figurato di schietto.
36 DBLLI lÌVFERNO
Che tutto l' oro, ch'i': sotto la luna, Se de far reposar solo che una
E che già fu, di quest'anime stanche De st'aneme spossae, no ga '1 poder 65
Non poterebbe farne posar una. L'oro ch'el mondo tuto quanto suna
Maestro, dissi lui, or mi di'anche : E ga sunà. E mi: Fame saver
Questa Fortuna, di che tu mi tocche, Cossa xe sta Fortuna, che del mondo
Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche ? l beni la despone a so piacer.
E quegli a me : O creature sciocche, O povari meloni, chiaro e tondo 70
Quanta ignoranza è quella che v'offende! Lu me responde, o che ignorante zente!
Or vo' che tu mia sentenza uè imbocche. Scolta, e del mio sermon ben varda el fondo.
Colui, lo cui saver tutto trascende, Ga fato Quel che sa sora ogni mente,
Fece li cieli, e diè lor chi conduce, l cieli, e ha dà '1 poder a chi li invia,
Sì, ch'ogni parte ad ogni parte splende, De farli luser tuli giustamente. 75
Distribuendo egualmente la luce: Cossi l' ha comandà da là su via,
Similemente agli splendor mondani Che quanti mai ghe xe beni mondani,
Ordinò generai ministra e duce, Da una ministra regoladi i sia;
Che permutasse a tempo li ben vani La qual a tempo e col zirar dei ani,
Di gente in gente, e d'uno in altro sangue, A chi li dà, a chi li porta via 80
Oltre la difension de' senni umani. Contro ogni sforzo dei inzegni umani.
Per ch'una gente impera ed altra langue, Per questo, drio '1 giudizio de custia,
Seguendo lo giudicio di costei, Che, come in erba el bisso, sconta stà,
Ched'è occulto, com' in erba l'angue. Chi xe schiavo, e chi vive in signoria.
Vostro saver non ha contrasto a lei: L'omo no poi stornar quel ch'eia fa: 85
Ella provvede, giudica, e persegue Eia provede drio '1 poder avuo,
Suo regno, come il loro gli altri Dei. E giudica, e comanda a volontà,
Le sue permutazion non hanno triegue : Come i anzoli fa nel regno suo.
Necessità la fa esser veloce; La cambia spesso, e presto la camina;
Sì spesso vien chi vicenda consegue. Chi geri gera un sior, pitoco è ancuo. 90
Quest'è colei, che tanto è posta in croce Questa la «e pur quela che in berlina
Pur da color che le dovrian dar lode, A torto la xe messa anca da quei
Dandole biasmo a torto e mala voce. Che i dovria benedir sera e matina.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode : Ma no ascolta culla sti pianzistei;
Con l'altre prime creature lieta La fa andar la so roda, e va passando 95
Volve sua spera, e beata si gode. Coi anzoli là in ciclo i zorni bei.
Or discendiamo omai a maggior pièta: Se calemo a veder dolor più grando:
Già ogni stella cade, che saliva Gera la meza note andada a spasso,
Quando mi mossi ; e il troppo star si vieta. E più là no se poi star curiosando.
Noi ricidemmo '1 cerchio all'alra riva Tagiando ci cerchio, avemo voltà '1 passo 100
Sovr'una fonte, clic bolle, e riversa Per l'altra riva, dove la cascada
Per un fossato, che da lei deriva. D'una fontana va in un fosso a basso.
L'acqua era buia molto più che persa; Scura assae gera l'aqua e impaltanada;
E noi in compagnia dell'onde bige E drio questa, calando da de là,
6O tulni . ammassa.
70 meloni = vale sciocchi, Ai grosso ingegno.
74 a chi li invia = cioè le lntulligcnzi! motrici. Ogni cMo ovvero ogni sfera celeste crederasi ai tempi di
Dotile elio fosse me.sso in giro ilu un angelo. Così una lntelligenza celeste credevano essere la Fortuna.
!}S d'era la mezzanotte andada a spasso . . Era trascorsa la mezzanotte.
CANTO VII. 37
Entrammo giù per una via diversa. Hivemo zo, ma per un altra strada. 105
Una palude fa, e' ha nome Stige, Co l'aqua sporca l'orlo ga locà
Questo tristo ruscel, quand'è disceso De la riva, dov'erimo passai,
Al pie delle maligne piagge grige. La fa un paluo, che Stige el vien chiamà.
Ed io, che a rimirar mi stava inteso, Tanti de lori ho visti impaltanai,
Vidi genti fangose in quel pantano, Mentre che l'ochio intorno là zirava,
Ignude tutte, e con sembiante offeso. Afato nui con visi da irabiai.
Queste si percotean, non pur con mano, No solo co le man i se pestava,
Ma con la testa e col petto e co' piedi, Ma anca coi peti, co le teste, e i pii,
Troncandosi co' denti a brano a brano. E insin coi denti a lochi i se sbranava.
Lo buon Maestro disse : Figlio, or vedi Dise ci Dotor: Xe qua i inviperii, 115
L'anime di color cui vinse l'ira: Che là al mondo i se ga d'ira passui:
Ed anche x o" che tu per certo credi E altri solo la melma ingritolii
Cbe sotto l'acqua ha gente che sospira, Anca ghe n'è, che coi sospiri sui,
E fanno pullular quest'acqua al smmun, L'aqua i fa brombolar stando là drente,
Come l'occhio ti dice u" che s'aggira. Come vede per luto i ochi lui. 120
Fitti nel limo dicon : Tristi fummo Piantai nel fango i grami dise-a stento:
Nell'aer dolce che dal sol s'allegra, Bruta vita, d'acidìa nu impastai,
Portando dentro accidioso fummo: Passà avemo là sora al sol, al vento;
Or ci attristiam nella belletta negra. E in fango adesso semo qua impiantai.
Quest'inno si gorgoglian nella strozza, Nel gosso ghe vien rota sta canzon, 125
Che dir noi posson con parola integra. Che clrio man tuta no i poi dirla mai.
Così girammo della lorda pozza De quel fangoso cerchio avemo un bon
Grand'arco tra la ripa secca e '1 mezzo, Tòco zirà tra' 1 paltan e la riva,
Con gli occhi volti a chi nel fango ingozza : N'ardami o chi nel fango fa glonglon:
Venimmo appie d'una torre al dassezzo. E d'una tore al pie in li" se ariva. 130

100 Co : -. quando.
103 sii;i,' .-- fiume dell'inferno, secondo i poeti.
113 i pii --. i piedi.
117 ingritolii -.-. rannicchiati.
110 brombolar :- gorgogliare.
127- 128 un Ima Tòco = riferito al cerchio, vale: un buon trailo.
129 glonglon = voce di nimi significato, esprimente solo il romore elic fa un liqaido nell' uscire dal collo
di un fiasco.
38 DELL

CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Con Flegiùs tra le fangoso senti Con Fl.'gias va i Poeti tra i pianzonti
Vanno i Poeti, i- affacciasi alla barca Nel fango, e al so batolo vien Ilavanti
I/ombra orgogliosa di Filippo Ardenti. I/ombra superba do Filipo Arconti.
Da Rt> lo scaccia il buon Virgilio, e varrà; I.o cazza via Virgilio, e tira avanti;
Ma giunto a Ditf-. trova sn lo porte Ma zonto a Dite, su la porta ci trova
Seliiora di spirti roi. che d'ira carca Un grumo de demoni, e tutti quanti
Negagli il passo a quell'eterna morte. Ghe nega ol passo a quella pena nova.

Io dico seguitando, ch'assai prima Digo, tirando avanti, che assae prima
Che noi dissimo al pie dell'alta torre, Fussimo al pie del gran torion rivai,
Gli occhi nostri n'andar suso alla cima, Avemo visto su quel'alta cima
Per duo fiammette, che i vedemmo porre, Che vegnia do lumini colocai ;
Ed un'altra da lungi render cenno E un altro el segno a quel ga da cussi
Tanto, ch'appena '1 potea l'occhio tórre. Lontan, che i ochi a stento i xe L'i andai.
Ed io, rivolto al mar di tutto '1 senno, Voltà dal Mestro : Coss'è, digo mi,
Dissi : Questo che dice ? e che risponde Sti do lumini? e cossa ghe responde
Quell'altro fuoco? e chi son que' che '1 fenno? St'altro ? e chi xe che li ga messi lì ?
Ed egli a me : Su per le suelili- onde E lu : Su queste impaltanae negre onde,
Giù scorgere puoi quello che s'aspetta, Un tal che vegnerà, ti poi scovrir,
Se "i fummo del pantan noi ti nasconde. Se '1 fumo de la melma no lo sconde.
Corda non pinse mai da sè saetta, Mai da l'arco la frezza nel partir,
Che sì corresse via per l'aer snella, Xe corsa via per l'aria tanto in pressa,
Com'io vidi una nave piccioletta Come go visto un sandolo vegnir 15
Venir per l'acqua verso noi in quella, Alora incontro a nu per l'aqua istessa,
Sotto il governo d'un sol galeotto, Co un solo barcarol, el qual cigava :
Che gridava : Or se' giunta, anima fella ! Ah sì, ti xe po qua, anemia tressa!
Flegiàs, Flegiàs. tu gridi a vuoto, Ma ste parole el Mestro ghe sonava :
Disse lo mio Signore, a questa volta : Flegiàs, ti perdi ci Ila: solo in passar -20
Più non ci avrai, se non passando il loto. St'aquazv.a, toi saremo. Lo ascoltava
Quale colui, che grande inganno ascolta El barcariol rabià, e a sto parlar
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca ; L'è restà propriamente come quelo
Tal si fe Flegiàs nell'ira accolta. Che s'intagia i lo vogia minchionar.
Lo Duca mio discese nella barca, Se cala in prima el Mestro in tei batelo,
E poi mi fece entrare appresso lui, E co '1 m' ha fato entrar a lu darente,
E sol, quand'l' fui dentro, parve carca. Se s' ha inacorto esserghe peso in elo.

15 sandalo = specie di battello assai leggicro.


17 Co = con.
1S ancaia iressa = anima malvagia.
20 Flegiat = costui per ira contro di Apollo, elic aveagli violata la figlia Coronisle, gli ara il (empia di
Delfo.
24 i' intagia — s'accorge.
CAM:O vin. 39
Tosto che '1 Duca ed io nel legno fui, Nichiai drento, la barca bravamente
Secando se ne va l'antica prora L'aqua più a fondo la tagiava fora,
Dell'acqua, più che non suoi con altrui. Che usà no la ga mai co l'altra zente. 30
Mentre noi correvam la morta gora, lnsin che andemo a quel pachiugo sora,
Dinanzi mi si fece un pien di fango, Me dise uno infangà per luto el muso :
E disse: Gii se' tu che vieni anzi ora? Chi estu, che qua ti vien avanti l'ora?
Ed io a lui : S' i' vegno, non rimango : Se vegno, qua no stago, ma dì suso.
Ma tu chi se', che si se' fatto brutto ? Chi xestu, digo, cussi ben conzà ? 35
Rispose : Vedi che son un che piango. E lu: Y:inla. son un qua a pianzer uso;
Ed io a lui : Con piangere e con lutto, E mi : Sta donca col to pianto là ;
Spirito maledetto, ti rimani ; Spirito maledeto, te conosso,
Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto. Siben che ti xe tuto impaltanà.
Allora stese al legnoiambe le mani ; Lu in ato de brincarse al schifo adosso, 40
Per che '1 Maestro, accorto, lo sospinse, Slonga la man, ma in spentonarlo indrio,
Dicendo : Via costà, con gli altri cani. Ciga ci mio Mestro : Marchia, bruto cosso.
Lo collo poi con le braccia mi cinse ; Dopo, brazzando streto el colo mio,
Baciommi '1 volto, e disse: Alma sdegnosa, Me basa in viso, e dise : El to gran cuor
Benedetta colei, che in te s'incinse. Sia benedeto, e chi f ha partono; 45
Quei fu al mondo persona orgogliosa; Quel xe sta ni mondo de superbia fìor,
Bontà non è, che sua memoria fregi : Che noi ga fato mai gnente de ben ;
Così è l'ombra sua qui furiosa. E l'ombra soa perciò qua va in fin.or.
Quanti si tengono or lassù gran regi, Quanti che al mondo per gran re se ticn,
Che qui staranno come porci in brago, Cofà porcili i sarà qua impaltanai, 50
Di sè lasciando orribili dispregi ! D'eli lassando là sprezzo e velen !
Ed io : Maestro, molto sarei vago Digo al Mestro : Avaria vogia che mai
Di vederlo attuffare in questa broda, De vederlo in sta lea sotto ficà,
Prima ctic noi uscissimo del lago. Prima che via dal lago siemo andai.
Ed egli a me: Avanti che la proda E lu : Avanti che t'abia traghetà 55
Ti si lasci veder, tu sarai sazio : La barca a ct'altra riva, fiolo mio,
Di tal disio converrà che tu goda. Sto desiderio too sarà apagà.
Dopo ciò poco, vidi quello strazio Da lì a poco go visto un tal desio
Far di costui alle fangose genti. Far de colù i compagni, che del gran
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. Piacer, chi. ho avù, ringrazio ancora Dio. .. 60
Tutti gridavano : A Filippo Argenti. Tuli cigava : Demo adosso al can
Lo fiorontino spirito bizzarro De Pipo Argenti ; e "i fiorentin rabioso
ln sè medesmo si volgea co' denti. Se morsegava indespetio le man.

30 co l'altra zente .. con l'altra gonio, ciao, colle anime olio, essendo ombre, non hanno peso.
31 pachiugo = mollume, broda, poltiglia, terra quasi resa liquida dall'acqua,
35 conzà . concio.
39 lea . limaccio, mota, melma.
40 schifo = piccola barchella.
42 COMO .... voce applicata in via di spregio a persona di cui s'ignora o non vuoisi pronunciare il nome.
51 velen . qui sta per ira. ,
5S desio — strazio.
62 Pipo Argenti = Filippo Argenti fu della nobile famiglia Cavicciuli Adimari, ricchissimo e potente uomo
t oltrcmoilo iracondo. Dicono che avesse il soprannome ili Argenti dall'uso che tenne di armare d'argento le
zampe de' suoi cavalli. Dante si vendica qui della opposizione che questo suo arrabbiato nemico fece tempre al
suo ritorno in patria (UHI. in).
40 DELL
Quivi '1 lasciammo, chè più non ne narro; Avemo lassà là quel paltanoso:
Ma negli orecchi mi percosse un duolo, E da la banda ho voltà l'ociiiu atento, (5
Perch'io avanti intento l'occhio sbarro. Dove sortiva un lagno doloroso.
E 1 buon Maestro disse : Omai, figliuolo, De Dite a la cità del gran tormento
S'appressa la città, e' ha nome Dite, Semo, dis'el Dotor, quasi arivai;
Co' gravi cittadin, col grande stuolo. Zente assae carga de pecai gh'è drento.
Ed io : Maestro, già le sue mesciute E mi: ln quel logo vedo là oramai 70
Là entro certo nella valle cerno l torioni, o Dotor, rossi in maniera,
Vermiglie, come se di fuoco uscite Che i par da un fogaron noma cavai.
Fossero : ed ei mi disse : ll fuoco eterno, Lu me dise : L'eterna gran foghera,
Ch'entro le affoca, le dimostra rosse, Che ghe xe drento, manda quel color
Come tu vedi, in questo basso lnferno. Rosso, che stando qua ti vedi. Gera 75
Noi pur giugnemmo dentro all'alte fosse, Za rivà ai fossi fondi col Dotot,
Che vntlan quella terra sconsolala : Che i brazza atorno la cità dei guai :
Le mura mi parea che ferro fosse. Per fero i muri se podeva tor.
Non senza prima far grande aggirala, Dopo tanto zirar, semo arivai
Venimmo in parte, dove '1 nocchier, forte, A un sito, in dove el barcarol ga urla : 80
Uscite, ci gridò, qui è l'entrata. Qua è l'intrad.i, smontò. Dal ciel cascai
lo vidi più di mille in su le porte Un mier d'anzoli e più go visto là,
Dal ciel piovuti, che stizzosamente Che ingrintai sul porton eli diseva :
Dicean : Chi è costui, che senza morte Chi è sto vivo che vien zirando qua,
Va per lo regno della morta gente ? Dove i morti sol zira ? Respondeva 85
E '1 savio mio Maestro fece segno El Mostro mio col farghe un moto suo,
Di voler lor parlar segretamente. Che parlarghe in secreto dir voleva.
Allnr chiusero un poco il gran disdegno, Alora i ga la stizza un li à tegnuo,
E disser : Vien tu solo, e quei sen vada, E i dise : Vien ti solo, e vaga via
Che sì ardito entrò per questo regno. St'altro, che ardir de vegnir qua l' ha avuo : 90
Sol si ritorni per la folle strada : Prova quel mato, se mai solo el sia
rrimvi, se sa; chè tu qui rimarrai, Bon da refar la strada così scura,
Che scorto l'hai per sì buia contrada. Senza che ti ghe fazzi compagnia.
Pensa, lettor, s'io mi disconfortai Pensa ti che ti lezi, qual pontura
Nel SUDIi delle parole maledette; M' ha dà al cuor quel discorso maledeto, 95
Ch'io non credetti ritornarci mai. Che no tornar più al mondo ho a vii paura.
O caro Duca mio, che più di sette O vn, mio caro Mestro benedeto,
Volte m' hai sicurtà renduta, e tratto Che salvà tante volte me gavè
D'alto periglio che incontra mi stette, Da tremendi pericoli, soleto,
Non mi lasciar, diss'io, così disfatto : Ghe digo, qua in sti imbroi no me lassè: 100
E se l'andar più oltre c'è negato, E se colori n" ha negà l'intrada,
Ritrovinm l'orme nostre insieme ratto. lndrio voltemo presto presto el piè.

67 Dite = e soprannome di l'lni. i. e da esso si appella qufsta • ill:i infernale.


70 in quel ioga . cioè nel sfsto cerchio.
72 uniali — appena.
76 rivà = giunto.
82 un niii•f = mille.
83 ingrintai .-• arrabbiati.
C.4P.TO Vili. 41
E quel Signor, che lì m'avea menato, l. ii. che sin là la Guida mia xe stada,
Mi disse : Non temer, che '1 nostro passo No temer, dise, che nissun ei vanto
Non ci può tòrre alcun : da Tal n*è dato ! Podaria aver de torno quela strada, lOù
Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso Che n'avre Dio. Ma qua m'aspeta, e intanto
Conforta e ciba di speranza buona, Tranquiliza el to orgasmo, spera ben,
Ch'io non ti lascerò nel mondo basso. E sta certo che qua mi no t'impianto.
Così sen va, e quivi m'abbandona Solo cossi co l'incertezza in sen,
Lo dolce padre, ed io rimango in forse, Là me lassa el mio Mostro, el pare mio, 110
Chè '1 no e "l sì nel capo mi tenzona. Travagià dal timor se più no '1 vien.
Udir non pote' quello ch'a lor porse ; Cossa ch'el gabia dito n'ho sentio;
Ma ei non stette là con essi guari, Ma un li,i solo con eli lu restava,
Chè ciascun dentro a pruova si ricorse. Chè tuti in furia i xe tornadi in drio,
Chiuser le porte que' nostri avversari E le porte sul viso i ghe serava : 115
Nel petto al mio Signor, che fuor rimase, Cussi de fora el Mestro mio restà,
E rivolsesi a me con passi rari. Pian da mi molo molo indrio tornava
Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase Coi ni: hi bassi, e tuto scoragià :
D'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri: Da chi mai, vien disendo e sospirando,
Chi m'ha negate le dolenti case? Da chi mai quel ingresso m'è negà? 120
Ed a me disse: Tu, perch'io m'adiri, Ma no te sgomentar, con mi parlando
Non sbigottir, ch'io vincerò la pruova, Lu dise, se so urtà, che la bulada
Qual, ch'alia difension dentro s'aggiri. Contro chi sia mi vincerò passando.
Questa lor tracotanza non è nuova; Sta prepotenza sola no xe stada,
Chè già l'usaro a men segreta porta, Che un'altra i ghe n'ha fata su la porta 125
La qual senza serrame ancor si trova. D' lnferno, che xe ancora spalancada,
Sovr'essa vedesta la scritta morta : Dove ti ha visto che iscrizion la porta :
E già di ii ILI da lei discende l'erta, Ma da de là za vien un tal sior forte,
Passando per li cerchi senza scorta, Che i cerchi traversando senza scorta,
Tal, che per lui ne lia la terra aperta. De sta cità ne verzirà le porte. • 130

108 no l' impianta = nan ti lascia, non ti abbandono.


113 ila vn lM tolo = ma un solo istante.
117 mo/o molo — sfiduciato, contristato.
122 te so urlà - . se sono sdegnato. = lntimiu = bravata, sopercliieria.
125 Che un'altra i ghe n'ha fata = allude alla scena trionfale di Cristo quando malgrado lutto l'inferno,
che invano gli si oppose, liberò i santi Padri dal Limbo dopo avere atterrate le porte d'abisso.
118 un lai sior forte - allude ad un inviato dal ciclo, ossia un angelo.
42 DELL

CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quando pensosi per entrar si stanno, Mentre i sta pensierosi in su l'intrada.
Veggon tre Furie, alla cui fera testa Tre Furie i vede, che ga per caveli
Per capelli serpenti cerchio fanno. De serpenti la fronte circondada.
E mnntre fuggon la vista molesta Insin che de Medusa i scansa queli
Del capo di Medusa, un Messo eterno, I/orida testa, vegnù un Messo eterno
Dal ciel.disceso, con ira e tempesta Dal ck'lo, invelenì contro i rebeli,
Apre lor la città del buio inferno. Ghe averze la cita del negro inferno.

Quel coler che viltà di fuor mi pinse, Vista el ga apena, nel tornar indrio,
Veggendo '1 Duca mio tornare in rolla, Sul mio viso depenta la paura,
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse. Che sconta ha la so bile el Mestro mio.
Attento si fermò com'uom che ascolta ; Po fermà, '1 tien la rechia in positura
Che l'occhio noi potea menare a lunga De ascoltar, no podendo in lontananza 5
Per l'aer nero e per la nebbia folta. Veder tra quel caligo a l'aria scura.
Pur a noi converrà vincer la punga, E pur nu vinceremo sta baldanza,
Cominciò ei: se non.... tal ne s'offerse. Dise, se no el so agiuto un tal n" ha oferto;
Oh quanto tarda a me ch'altri qui giunga ! Oh che pena me fa sta tardiganza !
Io vidi ben sì com'ei ricoperse Da questo so discorso go scoverto, 10
Lo cominciar con l'altro che poi venne, Che le parole ch'el ga in fin zontà.
Che fur parole alle prime diverse. No andava co le prime de concerto.
Ma nondimen paura il suo dir dienne, Per altro quel parlar m' ha spaventà,
Perch'io traeva la parola tronca Perchè ho dà un senso a la parola monca
Forse a peggior sentenzia, ch'ei non tenne. Forsi più bruto ch'elo noi ga dà. 15
In questo fondo della trista conca Domando al Mesi ro : In fondo a sta spelonca
Distende mai alcun del primo grado, Xe mai andà nissun dal Limbo zoso,
Che sol per pena ha la speranza cionca ? Che ga per pena la speranza tronca ?
Questa question fec'io. E quei : Di rado Raro M- '1 caso, lu me ga resposo,
Incontra, mi rispose, che di nui Che fazza qualchedun de nu la strada, 20
Faccia il cammino alcun per quale io vado. Che adesso fazzo : ma no xe dubioso
Ver è ch'altra fiata quaggiù fui Che l'ombra mia una volta ghe xe andada,
Congiurato da quella Eriton cruda, Co la fiera Eritòne, che chiamava
Che richiamava l'ombre a' corpi sui. Le aneme ai corpi soi, l' ha sconzurada.
Di poco era di me la carne nuda, Da lì a poco, mi m'orlo, la me fava 25
Ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro, Quela maga andar drento per quel muro,
Per trame un spirto del cerchio di Giuda. Per cavar fora un tal che se giazzava

9 tardigania —. tardanza.
20 de nu la strada = Virgilio, come si è rilevalo nel C. Il, per interposizione di Dcatrice era uscito dal
Limbo per essere guida a Dante.
23 Eritone = maga di Tessaglia, (Iella quale si valse Pompeo per intendere il fme della guerra tra suo
padre e Cesare. Sembra che a costei in una delle consuete sue operazioni venisse l'estro di costringere l'anima
del fumoso poeta Virgilio, appena morto, a portarsi all'inferno.
25-27 Finge il poeta elic Virgilio abbia tratto dal cerchio di Giuda un'anima, e ciò col fine di far crede
re che esso Virgilio era pratico dell'inferno. Altra spiegazione non può darsi da questo passo, dacchè Virgilio
non nC fa il menomo cenno nel suo poema.
CAATO lX.

Qucll'è il più basso loco e il più oscuro, ' De Giuda al cerchio, ch'è '1 più basso e scuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira: E più lontan dal cielo superior
Ben so il cani m in; però ti fa securo. Ai alili, so la strada, sta sicuro. 30
Questa palude, che il gran puzzo spira, El paluo che qua su manda el fetor,
i"in'..f dintorno la città dolente, Circonda tuta la cità dolente,
V non potemo entrare omai senz'ira. Dove entraremo in grazia d'un crior.
Ed altro disse, ma non 1' ho a mente; Quel che dopo el ga dito, no go in mente,
Perocchè l'occhio m'avea tutto tratto Per la sola rason che m' ha distrato 35
Vèr l'alia torre alla cima rovente, De quel alto torion la cima ardente ;
Ore in un punto furon dritte ratto E là vedo arivar luto in t'un trato
Tre furie infernal di sangue tinte. Tre furie de l' lnferno sangttenose,
Che membra femminili avieno ed atto ; Che de dona le ga la forma e'1 trato.
E con idre verdissime eran cinte: Per centura le ga idre furiose, 40
Serpentelli e ceraste avean per crine, Bisseti per cavei ghe strenze a eie
Onde le fiere tempie erano avvinte. La fronte intorno, che le fa rabiose.
E quei, che ben conobbe le meschine El mio Dnlni . che ha conossudo in quele
Della regina dell'eterno pianto. De Proserpina proprio le servete,
Guarda, mi disse, le feroci Erine. Varda, el dise, le fiere tre sorele 45
Questa è Megera dal sinistro canto : Erini : a zanca xe Megera : Alete
Quella, che piange dal destro, è Aletto : L'altra, che pùtnze a drita ; e Tisifóne
Tesifone e nel mezzo: e tacque a tanto. Sta in nnvii a lore; e più noi djse un ete.
Coli* unghie si fendea ciascuna il petto; Co le inan le se sbate; in sen le ongione
Batteansi a palme, e gridavan sì alto, Le s'impianta; e al Dotor, tanto le ha urlà, 50
Ch'i' mi strinsi al Pueta per sospetto. Me chiapo per tinnir de quele done.
Venga Medusa, sì il farem di smalto Se l'assalto a Tesèo lisso el gh'è andà,
(Gridavan tutte riguardando in giuso) : Vegna Medusa a far costù de piera,
Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. Tute, vardando in zoso, le ha cigà.
Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso ; Voltite indrio, me dise el Mestro, e sera 55
Che se il Gorgon si mostra, e tu '1 vedessi, l ochi, che se '1 Gorgon li vedi adesso,
Nulla sarebbe del tornar mai suso. Adio speranza de tornar più in tera.
Così disse il Maestro ; ed egli stessi Da st'altra banda el m' ha volta lu istesso ;
Mi volse, e non si tenne alle mie mani, Po. per esser più certo, a le mie zonto
Che con le sue ancor non mi chiudessi. Ga le so man su i ochi mii per tresso. 60

23 De Giuda al cerchio = dove sono puniti i traditori nella ghiaccia.


29 dal Ciclo tuperior ..- cioè il primo mohile che imprime il muto a lutti i rii.li sotlo di lni.
33 Dove extrarema in grazia d'un crior — Qualche commentatore spiega senza ira, come si legge nel te
sto, per: poichè i buoni modi non bastano, facendo cosi supporre, che Dante e Virgilio dovessero essere incol
leriti entrando nella Città di Dite. Altri riferirebbe l'ira ai demoni. ll traduttore ritiene che il verso sopraccitato
alluda allo sdegno spiegato dall'angelo (Vedi v. 88) contro i demoni, dopo di che i due pocti poterono entrare
liberamente nella detta Città; la quale interpretazione trova per appoggio il fatto, che avendo Virgilio presagi
ta l'arrivo dell'angelo (Vedi l'ultimu terzina del Canto precedente), il quale avrebbe aperte le porte, che i demo
ni gli avrebbero chiuse in faccia, poteva anche naturalmente prevedere la collera di lui. •• Crior = sgridala,
che si collega appunto colla sgridala data dall'Angelo ai demoni, come vedremo al v. 91 e seguenti:
44 Proserpina = moglie di Piutone.
46 Erini . parola derivata dui greco, ed equivale a Furie.
52 Se l' assalto a Teseo limo ei ghe andava . . Avra Teseo assalito le mure della citta di Dite per rapire
Proserpina, assalto che rimase invendicato secondo che immaginano i pocti. := lino = netlo, favorevole.
53 .Veduta ..- la testa di Medusa, secondo la favola mitologica, impietrava coloro che la fissavano.
56 Gorgon -.; il Gorgone, cioè la statua di Medusa.
59-60 zonto ga — vi aggiunse. . • lin. fretto — per traverso.
u DELL
O voi, ch'avete gl'intelletti sani, O letori, che ave l'inzegno pronto,
Mirate la dottrina che s'asconde Meditè la dotrina e 'i sentimento,
Sotto il velame degli versi strani. Che in questi arcani versi ghe xe sconto.
E già venia su per le torbid'ondc E un fracasso, cressudo dal spavento,
l'n fracasso d'un suon pien di spavento, T.ti /n vegniva su da l'aqua scura, 65
Per cui tremavano ambedue le sponde; Che ha tremà le do rive; come un vento
Non altrimenti fallo che d'un vento Scadenà, che infuriando in gran caldura,
Impetuoso per gli avversi ardori, Per impilo de l'aria scalmanada,
Che ìli",-" la selva, e senza alcun i attrai o Strapazza el bosco e stanza via a dritura
Li rami schianta, abbatte e porta fori, Schiantai rami, e la polvere levada, 70
Dinanzi polveroso va superbo, . Co eia avanzando altier, col furor stesso
E fa fuggir le fiere e li pastori. Mete fiere e pastori a la scapada.
Gli occhi mi sciolse, e disse : Or drizza il nerbo Me scovre i ochi e dise : Varda adesso
Del viso su per quella schiuma antica, De sora quela vechia spiuma fissa,
Per indi ove quel fummo è più acerbo. Proprio là in dove el fumo xe più spesso. 75
Come le rane innanzi alla nimica Come le rane, apena ochià la bissa,
Biscia per l'acqua si dileguan tutte, Drento in tei aqua tute scaturie
Fin che alla terra ciascuna s'abbica ; In fondo del paltan presto le sbrissa ;
Vid'io più di mille anime distrutte A mier go visto l'aneme sfinie
Fuggir così dinanzi ad un, che al passo Scampar davanti a uno che passava 80
Passava Stige colle piante asciutte. El Stige, senza ch'el se bagna i pie.
Dal volto rimovea quell'aer grasso, Co la sinistra man elo sbandava
Menando la sinistra innanzi spesso ; Dal so viso el caligo fastidioso,
E sol di quell'angoscia parea lasso. Che sol, come parea, lo desturbava.
Ben m'accorsi ch'egli era del ciel messo, Che un anzolo lu fusse calà zoso 85
E volsimi al Maestro : e quei fe segno, M'ho incorto, e vardo el Mestro, che co un segno
Ch'io stessi cheto, ed inchinassi ad esso. Me dise de star quieto e rispetoso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno ! Oh quanto elo m' ha parso pien de sdegno !
Giunse alla porta, e con una verghetta /unto ch'el xe a la porta, la ga averta
L'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno. Co un bachetin senza incontrar retegno. 90
O cacciati del ciel, gente dispetta, E a dir l' ha scomenzà su l'orid'erta :
Cominciò egli in su l'orribil soglia, Dal ciel bandia, o zente desprezzada ; •
Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta ? Cessa xe sta baldanza ? ave la certa
Perchè ricalcitrate a quella voglia, Volontà del Gran Dio desmentegada,

61-63 O letori ec.•. — Tale avvertimento vale per questo ed altri luoghi del poema. Qui non è a dubitare
che per le farle non sia significato il rimorso onde sono più speeialmcnte seguiti i delitti di pura malizia; ed
è questo II ministro più ,1111 crudele dell'ira di Dio nei peccatori cosi in questa vita come nell'altra. Il volto poi di
:he uvea potenza d'impietrare la gente, e contro cui Virgilio ticp chiusi gli occhi del suo alunno, rap
Medusa che
presenta ii piacere sensuale che indura il cuore dell' uomo, ne oscura l' intelletto e spegne in lui ogni gusto del
ie cose divine. E bene le maligne furie volean servirsi di questo mezzo per impedire a Dante la magnanima im
presa. Ma Virgilio gli ha insegnalo col fatto due grandi armi contro il terribile Gorgone, la custodia degli occhi,
figurata nel chiudergli da si stesso, e lo studio delle cose filosofiche, significato nell'aiuto di Virgilio.
68 tcalmanada - infocata.
71-72 Co -- con. - a la.tcapada = a fuga precipitosa.
77 «a/urte = impaurile.
78 tbrissa = sta nel senso di svigna, fugge.
79-80 A mier — a migtiaja. = nHO che pattava — accenna a un misterioso Messo del cielo, cioè un angelo.
S6 co - con.
89 ;onlv - -=- • giunto = la tjn averla .--- l'aperse.
CA> ro IX. .48
A cui non puote il fin mai esser mozzo, Che al so fln mai nissun intopo trota, U5
E che più volte v" ha cresciuta doglia T E pezo angossa spesso là v' ha dada ?
Che giova nelle fata dar di cozzo ? Andar contro ci destin cossa ve giova ?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda, Se ave memoria, ci vostro can ancora
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. Ga spelà '1 muso e '1 gosso. Po '1 renova
Poi si rivolse per la strada lorda, La strada stodra, e nissun moto alora 100
E non fe molto a noi ; ma IV sembiante Lu ha fato a nu, ma in viso el ga mostrà
D'uomo, cui altra cura stringa e morda, Come un altro pensier lo ponza e acuora,
Che quella di colui che gli è davante. E più de nu lo gabia interessà.
E noi movemmo i piedi in ver la terra, Ha le sante parole ben fidai,
Sicuri appresso le parole sante. Nu s'inviemo de Dite a la cità. 105
Dentro v'entrammo senza alcuna guerra : Drento senza contrasti semo entrai :
Ed io, ch'avea di riguardar disio E mi che de saver gera smanioso
La condizion, che tal fortezza serra, Quai M- i tormenti e chi xe là serai;
Com'io fui dentro, l'occhio intorno invio ; Apena drento, l'ochio mio curioso
E veggio ad ogni man grande campagna Vede per luto intorno gran campagna ito
Piena di duolo e di tormento rio. De tormento e dolor. Come là zoso
Sì come ad Arti, ove '1 Rodano stagna, A Arti, dov'el Rodano se stagna,
Sì come a Pola presso del Quarnaro, O a Pola, che al Quarnaro arente sta,
Che Italia chiude e i suoi termini bagna, Che sera Italia e i so confini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo ; Le arche tol al teren la parità; 115
Così facevan quivi d'ogni parte, T." istesso xe in sti loghi de lamenti,
Salvo che '1 modo v'era più amaro ; Però cussi che paragon no ga ;
Che tra gli avelli fiamme erano sparte, Che ghe xe tra quel'arche foghi ardenti,
Per le quali eran sì del tutto accesi, E le infiama cossi, che eguali mai
Che ferro più non chiede verun'arte. No poi vegnir i ferì più roventi. 120
Tutti gli lor coperchi eran sospesi, Tuli i coverchi gera in su levai ;
E fuor n'uscivan sì duri lamenti, Dei lagni fora se sentiva i cori,
Che ben parean di miseri e d'offesi. Che mandava i meschini là serai.
Ed io : Maestro, quai son quelle genti, Mestro, digo, chi xeli mai costori?
Che seppellite dentro da quell'arche Che zente xe là drento sepelia, 125
Si fan sentir con gli sospir dolenti ? Che fa sentir sin qua quei so dolori?
Ed egli a me : Qui son gli eresiarche E ln a mi: Qua xe i capi de resta
Co' lor seguaci d'ogni setta, e molto Con quei de la so razza; e, più che a ti
Più che non credi, son le tombe carche. Par, le arche xe impinie de sta genia.
Simile qui con simile e sep'olto, Fragia con fragia i xe saradi li, 130
E i UH HI i in i' ni i son più, e men caldi. Dove i tormenti xe più o manco duri.
E poi ch'alia man destra si fu volto, Co '1 s' ha zirà a la drila, lu e mi
Passammo tra i martiri e gli alti spaldi. Semo passai tra l'arche e i alti muri.

88 el vostro can ancora = Cerbero. Vedi nota 13 C. VI.


100 Lai strada
«ir uuu tlodra
aii/uru =»• la
iti strada
auuuu sudicia
auuicia.
une iun altro pentier lo ponza e aeuora = cioè il desiderio vivo di redirc in cielo.
102 Come
•li
112 Arti - citta di Provenza sul Rodano :- Pala città dell'lstria = Quarnaro, golfo che bagna l'Istria, ulti-
ma {iurte d'1talia, e la divide dalla Cromia.
129 inJtiniìi de sta senta ---- colmati di questo genia.
130 frogia con frogia - per setta, cioè gli Ariani con gli Ariani, i Pelagiaui co' Pelagialii cce.
DELL I.WERiNO

CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Dante nell'infernal cupa lacuna Per l'infernal spelonca andando via,


Desia parlar a qualche alma macchiata Dante, tra le arche, de parlar procura
Dell'Eresia, che fra l'arche le aduna. Con qualc'ancma sporca de Resia.
E poco sta, che vede Farinata Da là un lià vede alzarsi in pie a dritura
Rito levarsi, e seco lui l'avella, Farinata, e con lu el discore, el qual
Ohe gli predico sua vita cambiata, Ohe predise la sorte sua futura,
E dell'esilio suo jli da novella, E £he predise el bando suo tatal.

Ora sen va per uno stretto calle Desso s' inviemo per un trozo streto
Tra '1 muro della terra e li martiri Tra '1 muro e i grami che penar se sente ;
Lo mio Maestro, ed lo dopo le spalle. Va in prima el Mestro, e mi drio lu me melo.
O virtù somma, che per gli empi giri Ti, che ti me condusi, o gran sapiente,
Mi volvl, cominciai, com'a te piace, Per sii cerchi qua zo come ti voi,
Parlami, e soddisfammi a' miei desiri. Contenta el desiderio mio: La zente,
La gente, che per li sepolcri giace, Che xe in quel'arche là, veder se poi?
Potrebbesi veder ? già son levati I so coverchi i xe za tuli alzai,
Tutti i coperchi, e nessun guardia face. Nè gh' è nissun che fazza guardia. Sol,
Ed egli a me: Tutti saran serrati, Lu responde, i sarà luti serai, 10
Quando di Insana qui torneranno Quando coi corpi abandonai là sora,
Coi corpi che lassù hanno lasciati. Da Giosafate i sarà qua tornai.
Suo cimitero da questa parte hanno Da sta drita Epicuro, in so malora,
Con Eplcuro tutti i suoi seguaci. E compagnia xe sepelii là zo,
Che l'anima col corpo morta fanno. Che l'anema col corpo i fa che mora. 15
Però alla dimanda, che mi faci, La to domanda mi contentaro,
Quinc'entro soddisfatto sarai tosto, E de quel che ti tasi, e ho za capio,
E al disio ancor, che tu mi taci. Qua drento el desiderio apagarò.
Ed io : Buon Duca, non legno nascosto Per no dir massa, digo, legno indrio
A te mio cor, se non per dicer poco ; El pensicr, che go in peto, come dito
E tu m' hai non pur mo a ciò disposto. Ti me ga e consegià, bon Mestro mio.
O Tosco, che per la città del foco O toscan, che qua vivo, e con pulito
Vivo ten vai così parlando onesto, Parlar ti va tra i morti brustolai.
Piacciati di ristare in questo loco. Fa '1 piacer du fermarle un iìà in sto sito :
LA tua loquela ti fa manifesto El to linguRgio mostra a nu danai, 25
Di quella nobil patria natiu, Che là in quel bel paese ti xe nato,
Alla qual forse fui troppo molesto. Al qual forsi ho portà mi tropi guai.
Subitamente questo suono uscio D' improviso da un'arca se ga fato
D'una dell'arche : però m'accostai, Sentir sta vose, e mi da la paura

12 da Giusafule = vale a dire dopo il giudizio universale elic avverrà nella Valle di Giosaffalle.
13 t'lneuro «= filosofo Ateniese; Ira gli altri errori insegno che con la morie perisse tutto l'uomo, anima e
corpo.
19 inumi -- troppo.
;' I un fi a - un poco.
CANTO X. 47
Temendo, un poco più al Duca mio. Più da vidii al Mestro mio m' ho tralo, 30
Ed ei mi disse : Volgiti ; che fai ? Che : Voltile, el me dìse, la figura
Vedi là Farinata che s' è dritto : De Farinata è quela, e star là (lido
Dalla cintola in su tutto il vedrai. Vardilo da la testa a la centura.
Io avea già il mio viso nel suo fitto; Mi lo gò fissà in viso : fronte e peto
Ed ei s'ergea col petto e colla fronte, Quel pecator l'alzava altieramente, 35
Com'avesse lo Inferno in gran dispitto : Quasi a sprezzar l' Inferno con despeto.
£ le animose man del Duca e pronte Anemoso, da quelo prestamente
Mi pinser tra le sepolture a lui, Tra i sepolcri el Dotor m' ha spentonà,
Dicendo: Le parole tue sien conte. Disendo: Parla giudiziosamente.
Tosto ch'ai pie della sua tomba fui, Co al pie de l'arca soa mi so arivà, 40
Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso M' ha dà un'ochiada ; po quasi stizoso :
Mi dimandò : Chi fur 1i maggior tui ? Chi è sta i to vechi? lu m'ha domandà;
Io, ch'era d'obedir disideroso, De ubidirlo mi za desideroso,
Non gliel celai, ma tutto gliel'apersi : Lo go informà de luto. Elo levai
Ond'ei levò le ciglia un poco in soso ; Un poco i ochi in su, me ga resposo : 45
Poi disse : Fieramente furo avversi Nemici fieri ai vechi mii xe stai
A me e a' miei primi e a mia parte, I toi a mi e al mio partio ; per questo
Si che per duo fiate gli dispersi. Mi li go per do volte descazzai.
S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte, Se i mii gavò scazzà, rispondo lesto,
Risposi lui, e l'una e l'altra fiata ; I è tornai tute le do volte ancora, 50
Ma i vostri non appreser ben quell'arte. Ma i vostri st'arte no i ga ben savesto.
Allor surse alla vista scoperchiata A la boca de l'arca alzarse alora
Un'ombra lungo questa in fino al mento: Alti "ombra ho visto, credo, in zenochion,
Credo che s'era inginocchion levata. Perchè l'aveva sol la testa fora.
Dintorno mi guardò, come talento La m' ha ochià atorno, ha parso co intenzion 55
Avesse di veder s'altri era meco ; De scovrir se nissun gera con mi;
Ma poi che il sospicar fu tutto spento, Ma quando ga mancà la so ilusion,
Piangendo disse: Se per questo cieco Pianzendo dise : Se ti va cossi
Carcere vai per altezza d' ingegno, Per sta preson in grazia al to inteleto,
Mio figlio ov' è? e perchè non è teco ? Dov'è mio fiol? perchè noi xe con ti ? 60
Ed io a lui : Da me stesso non vegno : Ghe rispondo : No vegno qua soleto,

32 Farinata = fu questi della nobile fumiglia degli liberti, uomo di grand'animo, e capo dei Ghibellini di
Firenze. A Montaperli presso il 1lume Arbia, disfece in una sanguinosa ballaglia l'esercito Gucilo, e rientralo trion
fante in Firenze, ne cacciò tulli i Gucili, ira i quali 1n famiglia di Dante. Ma quando i Ghibellini nell'insolenzà delln
vittoria messere ad Empoli il parlilo di distruggere Firenze, quel generoso vi si oppose con una fermezza romana,
e solo per lui Firenze fu salva. Dante rende giustìzia ul magnanimo cittadino, ma non fa grazia al miscredale.
(BIANCHI).
88 m'ha spentomi = mi spinse.
40 Co - quando.
42 i to uce'n - : li tuoi antenati.
48 li go per do volte descazzai = li lio cacciati due volle: la prima volta quando Federico II. sostenendo i
Ghibellini, furono i Guelfi costretti ad uscir di Firenze, il cbe avvenne il 2 Febb. 1248; la seconda dopo la scon
fìtta di ilontuperli nel 1260 (BUSCHI).
50 / è tornai = dopo la cai-elata del 1248, i Guelfi tornarono a Firenze nel Gen. 1251, In seguilo delln rolln
data ai Ghibellini a Figline ai 20 Ottobre dell'anno precedente. Dopo la seconda cacciala, ritornarono a Firn!*n
nel 1266 per In sconfitta e la morte dui re Manfredi. ila a que.»lo nuovo ritorno Farinata non vi tornò, perchè mot
to nel 1261 (BUSCHI).
51 i i-astri il'arte no i ga ben savesto = nel 1300 Dante era Guelfo; perciò qui risponde con una certa iro
nia al Ghibellino Furinala.
48 DELL' ttmnato
Colui, chi attende là, per qui mt mena, Chi là me npeta, è quelo che me mena;
Forse cui Guido rostro ebbe a disdegno. Per lu Guido ha sentio forsi despeto.
Le sue parole e il modo della pena M'avea za '1 so parlar e la so pena
M'avevan di costui già letto il nome : Dito el so nome, e de petachio è andada 65
Però fu la risposta così piena. La resposta che mi go dada piena.
Di subito drizzato gridò : Come Ga cigà in bota l'ombra in pie levada :
Dicesti eyli ebbe? non viv'egli ancora? Per cessa ti m' ha dito : l' ha sentio ?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? Sarialo morto? più la luse amada
Quando s'accorse d'alcuna dimora l'inno.! noi vede ? Quando el ga capio 70
Oh' io faceva dinanzi alla risposta, Che mi a darghe resposta intardigava,
Supin ricadde, e più non parve fuora. L' è andà indrio copa, nè '1 xe più sortio.
Ma quell'altro magnanimo, a cui posta Farinata, col qual prima parlava,
Restato m'era, non mutò aspetto, Senza muar ciera, senza far un moto,
Nè mosse collo, nè piegò sua costa. El gera ancora là ch'el me aspetava. 75
E se, continuando al primo detto, Se i mii, tornando sul discorso roto,
Egli han quell'arte, disse, male appresa, Quel arte, el dise, i spela da imparar,
Ciò mi tormenta più che questo letto. De questo ho più dolor che star qua soto
Ma non cinquanta volte fia raccesa Ma avanti abia la Luna da zirar
La faccia della donna che qui regge, Cinquanta volte, sarà chiaro a ti 80
Che tu saprai quanto quell'arte pesa. Quanto quel'arte te farà suar.
E se tu mai nel dolce mondo regge, Cossi tornar te possa al mondo, dì
Dimmi, perchè quel popolo è sì empio Coss'è che in qualsesia lege de Stato
Incontro a' miei in ciascuna sua legge ? Fa i toi tanto irabiar contro dei mi ?
Ond' io a lui : Lo strazio e '1 grande scempio, La strage, digo, che ga l'Arbia fato 85
Che fece l'Arbia colorata in rosso, Insanguenar, quel sangue vendicando,
Tale orazion fa far nel nostro tempio. Fa zurar sta vendeta tà in Senato.
Poi ch'ebbe sospirando il capo scosso, Dopo scorià la testa sospirando :
A ciò non fu' io sol, disse, nè certo No so sta solo, el dise, in quela impresa,
Senza cagion sarei con gli altri mosso : Nè senza un che no so restà de bando. 90
Ma fu' io sol colà, dove sofferto Solo per altro go impedio l'ofesa;
Fu per ciascuno di tor via Fiorenza, Co se volea Firenze bater via,
Colui che la difese a viso aperto. Mi solo a viso franco l' ho difesa.
Deh, se riposi mai vostra semenza, Pase a la vostra dissendenza sia,
Prega' io lui, solvetemi quel nodo, Ma spieghe, cussi '1 prego, el dubio duro, 95

63 Guido = ebbe a d'spetto Virgilio perchè egli filosofo, riteneva la filosofia, coin' ella è, da mollo più elic
lu poesia; il pudre di lui Cavalcante Cavalcanti era Guelfo.
65. de pclachio ---= a capello, a puntino.
71 intardiriava -- ritardava.
72 L' è aiuta indrio cupa -- cadde supino.
74 muar -« cangiare.
70-81 Mti avanti ece. — con queste parole Farinata voleva annunciare a Haute, elie, avantielift ijnattro anni
fossero scorsi, esso sarebbe cacciato da Firenze: vedi nota 123 - suar = sudare: qui è preso nel senso di tra
vaglio e all'anno.
84 dei mi -- dei miei, cioè, discendenti.
85-86 ;iti l'Arbia falo iiau-ngnenar = allude alla grande disfatta dei Gucili sofferta per opera dei Ghibel
lini a Montaperli, per cui rimase insanguinato il fiume Arimi.
•90 de bando — qui vale: inoperoso.
$2 Co te volca = quando si voleva =- Firenze batti- via = distruggere Firenze.
CANTO X. 49
Che qui ha inviluppata mia sentenza. Che fa tanto torziar la mente mia :
E' par che voi veggiate, se ben odo, Vederessi mai vualtri nel futuro,
Dinanzi quel che '1 tempo seco adduce, Come me par, drio quel che ho qua sentio,
E nel presente tenete altro modo. E ve saria el presente afato ncuro ?
Noi veggiam, come quei e' ha mala luce, E lu : Vedemo quel ch'è ancora indrio, 100
Le cose, disse, che ne fon lontano : Come da lonzi i presbiti ghe vede ;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce : De tanto ancora ne fa grazia Dio ;
Quando s'appressano, o son, tutto è vano Co nasse un fato, o arente s'el prevede,
Nostro intelletto; e, s'altri noi ci apporta, No lo vedemo, e al mondo no savemo,
Nulla sapem di vostro stato umano. Se no ne vien contà, cossa sucede. 105
Però comprender puoi, che tutta morta • Quando al linai giudizio ariveremo,
Fia nostra conoscenza da quel punto, Ti capirà che l'avegnir fluido,
Che del futuro lìa chiusa la porta. Anca questo da veder finiremo.
AHur. come di mia colpa compunto, Come d'un falo fusse mi pentido,
Dissi : Or direte dunque a quel caduto, Donca, digo, diseghe a quel che adesso 110
Che '1 suo nato è co' vivi ancor congiunto. Xe cascà zo, ch'el vive ancora Guido;
E >' io fui dianzi alla risposta muto, E te resposta no go dà a lu istesso,
Fate i saper che '1 fei, perchè pensava Xe perchè de ^onosser me restava
Già nell'error che m'avete soluto. Quelo che m'ave dito dessadesso.
E già '1 Maestro mio mi richiamava : E perche'1 mio bon Mestro me chiamava, 115
Perch' io pregai lo spirito più avaccio, Gè pregà Farinata a dinne in pressa,
Che mi dicesse chi con lui si stava. Con quai danai là drento el se trovava.
Dissemi: Qui con più di mille giaccio: Xe qua, '1 dise, con mi gran zente messa :
Qua entro è lo secondo Federico, El secondo Ferigo, el Cardenal
E '1 Cardinale, e degli altri mi taccio. Otavian, e dei altri tiro tressa ; 120
Indi s'ascose : ed io in ver l'antico E po '1 se sconde : intanto al Principal
Poeta volsi i passi, ripensando Vago incontro, pensando e ripensando
A quel parlar che mi parea nimico. A quel parlar, forier per mi de mal.
Egli si mosse; e poi così andando, Lu se ga mosso, e insieme caminando,
Mi disse: Perchè sei tu sì smarrito? Perchè, '1 me dise, ti xe tanto aliilo? 125
E io li soddisfeci al suo dimando. E mi lo go informà del cossa e quando.
La mente tua conservi quel che udito Tien ben in mente quel che t'è sta dito
Hai contra te, mi comandò quel Saggio, A dano too, m' ha '1 Mestro comandà,
E ora attendi qui : e drizzò '1 dito. E adesso ascolta, e '1 ga levà '1 deo dri^o :

103 Co natte un fato, o arente s'el prevede -- quando accade un fatto, o se lo prevede prossimo.
119 El i-econdo Ferigo = Federico II, della Casa di Svevia, fu figlio di Arrigo VI. e- nipote di Barbarossa.
Era re di Napoli e di Sicilia, e per il favore dei Ghibellini e protezione del Papa Innocenze HI., era stalo
eletto imperatore. Fu principe magnanimo, proiettore muuillco dei letterati, e letterato egli stesso, ma di sfrenali
costumi, e poco curante in fatto di religione. Sono celebri le sue contese colla Corte di Roma, della quale fu
acerrimo nemico (BUSCHI).
120 Otaviaii = Ottaviano degli Ubaldini, detto il Cardinale per eccellenza, fu tanto animoso in parte Ghibel
lina, che disse: •• Se anima è, io l'ho perduta pei Ghibellini». Perciò costui vien posto cogli Epicurei. -. lira
trt*ia = frase che vale: metto line, degli altri non parlo.
121 ni Principal - questo vocabolo viene usato dai Veneziani in luogo di: Capo, Padrone, Superiore; ed
è perciò qui riferito a Virgilio, che Dante chiama ora Maestro, ora Guida, ora Duca, ora Dottore.
123 forier per mi de mal -. cioè di sventure, e la più grave quella dell'esilio che Farinata predicevagì i
colle misteriose parole, di cui ai v. 79, SO C SI.
129 el deo --- il dito.
50 DELL,
Quando sarai dinanzi al dolce raggio Quando davanti a quela ti sarà, . 130
Di quella, il cui bell'occhio tutto vede, Che tuto vede con quel ochio ardente,
Da Isi saprai di tua vita il viaggio. Ria la vita toa te predirà.
Appresso volse a man sinistra il piede: Po volta a zanca, a la cità pianzente,
Lasciammo il muro, e gimmo in ver lo mezzo Passà '1 muro, passemo in mezo, e fora
Per un sentier, che ad una valle fiede, S'introzemo a una vale spuzzolente, 135
Che 'nlin lassù facea spiace;' suo lezzo. Ch'el so felor mandava sin là sora.

130 davanu a quela = allude a Beatrice, la stessa di cui ai v. 70 C 104 del C. II., e XV. 90.
135 t'iatrozemu = c'incamminiamo.

CANTO UNDECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Per lo gran puzzo, che l'sldsso citta, Dal irran fetor che ria l'abisso sort?,
Traggonsi dk-tro ad una pietra dura, I va drio un sasso d'una sepoltura,
In cui l'eterna morto £ d'uno scritta. Dove se scrita de un l'eterna morte.
Narra Virgilio, .che nell'ombra oscura Virgilio informa, che ne l'omlira scura
De.' tre corriii di sotto hanno lor pena Dei tre ziri de soto el so tormento
La Violenza, la Fraudo o l'Usura: Ga la Violenza, el Baro, e ga 1' Usura:
Di questa a Dante t1A contezza piena. De questa a Dante tien ragionamento.

In su l'estremità d'un'alta ripa, Semo al orlo arivai d'un'alta riva


Che faccvan gran pietre rotte in cerchio, Da gran lochi de piera circondada,
Venimmo sopra più crudele stipa: E più in zo dei danai pena la stiva.
E quivi per l'orribile soperchio Ma (anta xe la spuzza in su mandada
Dnl puzzo, che il profondo ahisso gilta, Dal fondo, che al coverchio da drio via
Ci raccostammo dietro ad un coperchio Se tirano d'un arca spalancada,
T/un grande avello, ov'io vidi una scritta In dove sta iscrizion se ghe scovria :
C.lic diceva: AXASTASIO PAPA GUARDO, PAPA ANASTASvO TBGNO MI OUA DHBM'O,
LO OLML TO.'SSE FOTIN DBI.I.A VIA DRITTA. ClIB UÀ STRASSINÀ FOTiN A r.A BBStA.
Lo nostro scender convien esser tardo, Speteino avanti d'andar zo un momento, 10
Si che s'ausi prima un poco il senso Che a sto fetor se possa ci naso usar,
Al tristo fiato; e poi non fia riguardo. Po calarcmo senza sto tormento.
Cosi '1 Maestro ; ed io : Alcun compenso. Cossi '1 Mestro; e a lu digo: De inganar
Dissi lui, trova, che '1 tempo non passi Studia, sin che qua stemo, ci tempo ozioso.
Perduto : ed egii: Vedi che a ciò penso. Varda, che a questo stava mo a pensar. 15
Figìiuol mio, dentro da colesti sassi, Tre ccrchieli in sii sassi gh'è là zoso,
Cominciò poi a dir, son tre cerchietti Fiol mio, che, come quei che ti ha lassai,
Di grado in grado, come quni che lassi. De man in man se strenze, el m' ha resposo.

2 i/a ijrau lochi de pierà = da grandi perzi di pietre rottc cirenitn.


8 Papa Anastasio = AnastuMO II., del quale fu scritto e credulo un tempo elic comunicasse con FoIino
Diacono di Tessalonica, discepolo dell'eretico Aiacio, e che il Clero conosciuta la cosa, e sospettaiolo delia stessa
fede, lo abbandonasse rilintandonc la comunione. — II Venturi, il Tommasco ed altri, credono che Dante scam
biasse Anastasio I, Imperatore con Anastasio II. Papa.
CAivro xr. 51
Tulii son pien di spirti maledetti : Colmi i xe de sta razza de danai;
Ma perchè poi ti basti pur la vista, Ma aciò te basta sol darghe un'ochiada, 20
Intendi come e perchè son costretti. Senti come e perchè qua i xe scrai:
1 •' ogni malizia, ch'odio in cielo acquista, D'ogni malizia, che xe in cielo odiada,
Ingiuria e il fme, ed ogni fin cotale L'insulto è '1 fin, e con sto fin la zente
O con forza o con frode altrui contrista. Xe da violenza o ingano maltratada.
Ma perchè frode è dell'uom proprio male, Perchè inganar poi sol l'umana mente, 25
Più spiace a Dio ; e però stan di sullo Più Dio la ofende; e perciò in fondo el tien
Gli frodolenti, e più dolor gli assale. I ingarbugioni, e più dolor i sente.
Di violenti il primo cerchio è tutto; Xc '1 primo cerchio de violenti pien ;
Ma perchè si fa forza a tre persone, Ma in tre ziri el xe fato e in tre sparilo,
In tre gironi è distinto e. costrutto. Perchè a tre la violenza fata vien : 30
A Dio, a sè, al prossimo si puone Al prossimo, a se stesso, intendo, e a Dio;
Far forza ; dico in loro ed in lor cose, Digo a se stesso e al soo, come mostrar
Com'udirai con aperta ragione. Te farà la rason, che a dir m'invio.
Morte per forza e ferule dogliose Se fa al prossimo forza col mazzar
>'el prossimo si danno, e nel suo avere E col ferir; e i beni se colpisse 35
Ruine, incendj e toilette dannose; Co la rapina, incendi e col robar.
Onde omicide e ciascun, che mal fiere, Donca chi mazza, roba e chi ferisse,
Guastatori e predon, tutti tormenta Al primo ziro separai, tormento
Lo giron primo per diverse schiere. Diverso tuti quanti là patisse.
Puote uomo avere in sè man violenta Poi l'omo contro lu esser violento, 40
E ne' suoi beni: e però nel secondo Col mazzarse, e col far del soo dei sguazzi ;
Giron convien che senza pro si penta Ma chi se mazza, in st'altro ziro drento
Qualunque priva sè del vostro mondo, Se pente invanameute ; e chi ai zogazzi
Biscazza e fonde la sua facultade, Magna tuli i so beni, al mondo stando,
E piange là dov'esser dee giocondo. Invece de godèr pianze i strapazzi. 45
Puossi far forza nella Deitade, Se poi Dia violentar Lu bestemiando
Col cor negando e bestemmiando quella, Drento in cuor e negando ; e la bontà
E spregiando natura e sua boutade : De natura, i so beni desprezzando ;
E però lo minor giron suggella Perciò a penar nel terzo ziro sta
Del segno suo e Sodoma e Caorsa Quei de Caorsa e Sodoma, e la zente 50
E chi, spregiando Dio, col cor favella. Clic ga Dio con malizia bestcmià.
La frode, ond'ognLcoscienza è morsa, L'ingano, che in consien/a tuti sento,
Può l'uomo usare in colui che si fida, Se poi su chi se fida praticar,
E in quello che fidanza non imborsa. Come su quel che no se fida gnente.
Questo modo di retro par che uccida . Sta seconda maniera romper par 55
Pur lo vincol d'amor che fa natura : Del bel amor el naturai lignme;
Onde nel cerchio secondo s'annida E al secondo cerchielo in zoso a star

27 / ìugarbuyioni — i fraudolenti.
32 al ina -- al suo, cioè alle proprie sostanze.
41 e eoi far del soo da sguazzi = e col fare scialacqui de' suoi beni.
50-31 Quei da Caorsa e Sodoma = Caorsa capitale del Guerà nella Cnienn, elio al tempo di Dante era fa*
ni" -:i pel numero degli U-IIIMJ. I Caorsini adunque, i Sodomiti, e ehi bestcmia Dio, non con impelo Ili cicca iru,
ma per malizia, sono condannali al terzo girone.
PEI.L I>'FEH\0
Ipocrisia, lusinghe e chi affattura, Va '1 ladro, ci falso, l'impostor infame,
Falsità, ladroneccio e simonia, Quel che adula, el rufian, chi simonia
Ruffian, baratti, e simile lordura. Fa, el barador e simile leame. 60
Per l'altro modo quell'amor s'obblia Per st'altro modo el santo amor se svia
Che fa natura, e quel ch' è poi aggiunto, De la natura, e anca la union che vien
Di che la fede speziai si cria : Dal parentà o da qualch'altra via.
Onde nel cerchio minore, ov'è '1 punto De traditori el cerchiei terzo è pien,
Dell'Universo, in su che Dite siede, Dove xe '1 centro de la tera in lu: 65
Qualunque trade in eterno è consunto. Lucifero el so trono là zo '1 lien.
Ed io: Maestro, assai chiaro procede E mi: Mestro, assae chiaro parie vu; •
La tua ragione, e assai ben distingue Sparilo sto abisso vu assae ben gavè,
Questo baratro e il popol che possiede. E qual zente sia drento go sa vii.
Ma dimmi : quei della palude pingue, Ma quei nel fango, e quei bulai, disè, 70
Che mena il vento e che batte, la pioggia, Dal vento, e quei dal gran pioval sguazzai,
E che s'incontran con sì aspre lingue, E chi ai do scontri se ponze, perchè
Perchè non dentro della città roggia No i xe anca eli qua a basso condanai
Son ei puniti, se Dio gli ha in ira ? Se a Dio i xe in odio ? e se no li odia Dio,
E se non gli ha, perchè sono a tal foggia ? Perchè mo i xe là sora tormentai? 75
Ed egli a me: Perchè tanto delira, Responde lu : Cossa go mai sentio !
Disse, lo 'ngegno tuo da quel ch'ci suole? Perchè no xe più a segno el to cervelo,
Ovver la mente tua altrove mira? 0 de squara el to inzegno xe sortio?
Non ti rimembra di quelle parole, Da bravo, via, no ti ricordi quelo
Con le quai la tua Etica pertratta Ch'el filosofo too nei libri insegna? 80
Le tre disposizion, che il Ciel non vuole, Che no voi, no, l'incontinenza ci cielo ?
Incontinenza, malizia, e la matta Come con questa la malizia el sdegna
Bestialitade ? e come incontinenza E la bestialità ? E incontinenza
Men Dio offende e men biasimo accatta ? Manco ofendendo Dio xe manco indegna?
Se tu riguardi ben questa sentenza, Se ti rilleti ben a sta sentenza, 85
E rechiti alla mente chi son quelli, E ti chiami a la mente chi xe stai
Che su di fuor sostengon penitenza, Quei che sora de qua fa penitenza,
Tu vedrai ben perchè da questi felli Ti vedcrà perchè da sti danai
Sien dipartiti, e perchè men crucciata 1 xe queli divisi, e manco i sia
La divina giustizia gli martelli. Da la giustizia eterna maltratai. 00
O Sol, che sani ogni vista turbata, O luse, che descazza ogni ombra via,
Tu mi contenti sì quando tu solvi, El dubio mio, quando ti 1' ha levà,
Che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. Caro el me xe quanto la scienza mia.

60 ci larador e simile Icame = il frodatore e simile letame.


70-75 Ma quei nel fango, e r/uci bulai ccc. = vengono accennati i peccatori elic sono condannati alla pa
lude fangosa, al vento, alla pioggia e allo scontro di cui trattano i C. V. VI. VII. o Vili. = bulai — gettati.
= se ponza — si motteggiano = pioval = acquazzone.
76 mo = pariii i'Iia riempitiva.
78 O de siinani el to inzegno xe sor/io — o l'ingegno tuo è uscito dei termini della sana ragione.
79 Da bravo, ria, - espressione comunissima ai Veneziani per eccitare taluno a fare o a dire qualche co
sa: corrisponderebbe a: orsù, su via.l
SO Ui'rl filosofo too = allude all'Etica di Arisìotile tanto cara a Dante.
;'3 Caro el me xc - pereliti mi procura lu tue risposte.
XI. 50
Ancora un poco indietro ti rivolvi, Spiegbime quel del qual li m'ha parlà;
Diss'io, là dove di', che usura offende Desgropa el gropo, ho dito, e come ofe.nde 95
La divina bontade, e il groppo svolvi. Dime, l'usura Dio. E lu: Qua e là
Filosofia, mi disse, a chi la intende, Filosofia a quei che ben la intende
Nota non pure in una sola parte, Va vèder chiaro come la natura
Come natura lo suo corso prende A la sapienza del Creator la tende,
Dal divino intelletto e da su' arte : E anca a la lege soa: e la sicura 100
E se tu ben la tua Fisica note, Fisica de Aristotele, se ne la
Tu troverai, non dopo molte carte, Stente ti chiami, te dirà a dritura,
Che l'arte vostra quella, quanto puote, Che l'arte vostra tende sempre a quela,
Segue, come il maestro fa '1 discente, Com'al Mestro el scolaro drio ghe lien,
Sì che vostr'arte a Dio quasi è nipote. Cussi, che quasi nessa a Dio xe eia. 105
Da queste due, se tu ti rechi a mente Da ste do, s'el principio te sovien
Lo Genesi dal principio, conviene De la Genesi, impara mo la zente
Prender sua vita, ed avanzar la gente. Come viver al mondo, e i beni ben
E perchè l'usuriere altra via tiene, Se aquista. E l'usurer diversamente
Per sè natura, e per la sua seguace Fazzendo, la natura el sprezza e l'arte, 110
Dispregia, poichè in altro pon la spene. Perchè lidà su i bezzi puramente.
Me seguimi oramai, chè il gir mi piace; Ma vicnme a drio ; calcmo a st'altra parte,
Chè i Pesci guizzan su per l'orizzonta, Perchè a gran passi za l'aurora monta,
E il Carro tutto sovra '1 Coro giace ; E '1 caro de Boote adesso parte;
E il balzo via là oltre si dismonta. E lontan da sta riva se desmonta. 115

05 Dcstrighime sia groIia = scioglimi questa difficoltà


103-105 Che farle vostra ecc. = l'arte umanu, seguendo ln natura, può quasi a modo di simigliatixa chia
marsi nipote (nata) a Dio, perchè natura procede da Dio, e l'arte dalla natura.
lli bezzi . danari.
lH E 'l caro de Boote ailetto parte =* la scomparsa della costellazione di Boote dinota che incomincia a
comparire l'aurora.

.
54 DELL

CANTO DUODECIMO
ARfiOMKXTO ARGOMENTO
Del settimo Girono a guardia stanno Sta Nesso. Fole, e sta Chiron del /iro
Nesso, durone o Foto, aliu cui membra Seitimo a guardia. Omo e cavalo i xe
D'uom quelle di cavallo unite vanno. In un sol corpo. Pronti sempre al tiro
Costor nel sangue, ove a giacer s'assembra De l'arco sui violenti i sta, aciochè
I.a mala compagnia dei violenti, Da la fossa ùo sangue i condanai
l'Vriscon, s'uno duj.rli altri si smembra, Sortir no i possa più de quolo eh.i
Ed esce più, che tu, C'iel. non consenti. Ti voi ti, o Ciel, olio i segni ti ha marcai.

Era lo loco, ove a scender la riva De erode el lego xe, dove in calar
Venimmo, alpestro, e, per quel ch'ivi er'anco, Semo zonti, e con quel, che gcra là,
Tal, ch'ogni vista ne sarebbe schiva. Bruto cussi, da noi poder vardar.
Oual è quella ruina, che nel fianco Come del monte i rovinaz*i ha urtà
Di qua da Trento l'Adige percosse D'Adese el fianco che xe qua da Trento, 5
O per tremoto o per sostegno manco, Per taramoto, o sostegno manca ;
Che da cima del monte, onde si mosse, E croiai da là iu cima al bassamente,
Al piano, è si la roccia discoscesa, I ha fato l'erta tanto imbarazzada,
Ch'alcuna via darebbe a chi su fosse; C'ie chi in su fusse calarave a stento ;
Colai di quel burrato era la scesa: Tal qual de quel logazzo xe la strada. iO
E in su la punta della rotta lacca Sul principio del roto sta là via
L'infamia di Crcii era distesa, L'infamità de Creta destirada,
Che fu concetta nella falsa vacca : Drente in vaca de legno concepia :
E quando vide noi, sè stesso morse Co '1 n' lia visto, el s' ha i lavri morsegà,
Si come quei, cui l'ira dentro fiacca. Come un rabià se rode in sen. Mo via, 15
Lo Savio mio in ver lui gridò: Forse Contro cuiii '1 mio Mostro ga cigù:
Tu credi che qui sta '1 duca d'Atene, Credisto che qua sia d'Atene el re,
Che su nel mondo la morta li porse? Che là de sora al mondo t' ha mazzà?
Parlili, bestia, che questi non viene Va, bestia, che noi vien questo perchè
Ammaestrato dalla tua sorella, Da la sorela loa el sia istruio, 20
Ma vassi psr veder le vostre pene. Ma '1 vien veder le pene che gave.
Qual è quel toro che si staccia in quella Com'el toro che a morte sta ferio,
C' ha ricevuto già '1 colpo morlale, Rota la corda ch'el legniva lì,
('.h • gir non sa, ma qua e là saltella; Noi sa andar, ma '1 trà salti avanti e indrio;
Vid'io lo Minotauro far cotale. Cossi fa '1 Minotauro : Pronto a mi 25
E quegli accorto gridò : Corri al varco ; Po dise '1 Mestro : Cori presto al passo ;
Mentre ch'ò in furia, è buon che tu ti cale. Sin ch'el xe in furia calile zo li.
Così prendemmo via giù per lo scarco Su quele piere donca andemo a basso,

2 i-on rIuel, che rItra là = cioè il Minotauro accennato ai v. 12 e 23.


4 rorinaszi = moltitudine di rovine sfasciate.
12-13 l'infamila de Creta - alludesi ai Minotauro mostro mezz'uomo e mezzo bue, elic (a concepito d. il
commercio ch'ebbe l'asifae, moglie del re di Creta, con un toro; per unirsi al quale si collocò dentro una vacca
artificiali.', cioe di legno, fabbricata da Dedalo. Il Minolauro, secondo la favola, si pasceva dì carne umana; ilul
tliu ben si palesa come Dante lo metta sull'orlo del tripartito cerchio dove si puniscono i violenti e i brutali.
17 d'Alene el re = 'l'esco re di Alene.
20 Ita la sorela tua -- ciac da Ariana, la quale insegnò a Tesco il modo di uccidere il iMinotauro.
CANTO Xll. 53
Di quelle pietre, che spesso moviensi Che sparpagnade 1.. per ogni sito,
Sotto i mici piedi per lo nuovo carco. So movi.a soto ci peso del mio passo. 30
lo gia pensando: e quei disse: Tu pjnsi Mi andava via pensando, e lu m' ha dito :
Forse a questa rovina, ch'c guardala Pènsisiu a la rotula, cli'ol bestion
Da quell'ira bestiai ch'io ora spensi. Ga in guardia, e del veli a go stuà '1 proi ito ?
Or vO' che sappi, che l'altra fiata Sta eroda, sapi adesso, quando son
Ch'i' discesi quaggiù nel basso inferno, Vegnuo la prima volta tra sti pianti, 35
Questa roccia non era ancor cascata. No avea ancora fato el tombolon :
Ma certo, poco pria, se ben discerno, P.rò. se no m'ingano, poco avanti
Che venisse Colui , che la gran preda Che vegnisse quel Tal a liberar
Levò a Dite del cerchio superno, Dal primo cerchio dei spiriti tanti,
Da tutte parti l'alta valle feda Se ga scntio per luto tremolar 40
Tremò si, ch'io pensai che l'Universo La vale spuzzolente, che ho pensà
Sentisse amor, per lo quale è chi creda Che in amor possa i clementi andar;
Più volte il mondo in caos converso: Per el qual gh'ò chi crede, che tornà
E in quel punto questa vecchia roccia Sia el mondo spesso al caos: e in quel momento,
Qui ed altrove tal fece riverso. Com'anca in altri siti, s'ha spacà lir>
Ma Picca gli occhi a valle, che s'approccia Sta vecliia eroda. Ma la vale atento
La riviera del sangue, in la qual bolle Varda, e el fiume de sangue che vien drio :
Qual che per violenza in altrui noccia. Là boge chi contro altri a sta violento.
O cieca cupidigia, o ira folle, O orba avidità, furor stordio,
Che sì ci sproni nella vita corta, Che ne lentè in sta curta vita schiava, 50
E nell'eterna poi sì mal c'immolle ! E pagar ne fe al bagno eterno ci flo ! •
l' vidi un'ampia fossa in arco torta, (io visto là un gran fosso che zirava
Come quella che tutto il piano abbraccia, De la vale brazzando el pian in tondo,
Secondo ch'avea detto la mia scorta : Proprio come el mio Mestro m'informava.
E tra 'l piè della ripa ed essa, in traccia •i Tra '1 pie de la riviera el fosso fondo 55
Corrcan Centauri armali di saette, Centauri in cerca de gran frezze armai,
Come solean nel mondo andare a caccia. Corea, come a cozzar i andava ni mondo.
Vedendoci calar, ciascun ristette, Co i n' ha visto andar zoso, i s' ha fermai,
E della schiera tre si dipartiro E da la fila tre xe sortii fora,
Con archi ed asticciuólc prima elette: Dopo archi e frezze i megio aver cavai : 60
E l'un gridò da lungi: A qual martiro E un da lontan ne ciga : A qual malora
Venite voi, che scendete la costa? Vegnì vualtri a calarve in sto valon?
lii i -i costinci; se non, l'arco tiro. Da là diselo, o che ve tiro. Alora
Lo mio Maestro disse : La risposta Dà su '1 Dotor : Gh'el diremo a Chiron

20 sparpagnnde — sparpagliate, disperse.


33 vcleu = qui sia per rabbia. = gn slun 'l prorito = gli ho ammorzato il prurito.
34 eroda — roccia, balzo, rupe, luogo di monte dirupato.
35 Vegnuo la prima volta = vedi C. lX v. 22 e seguenti.
36 tomboloH = capitombolo.
38 quel Tal = due Gesù Cristo, clic scese al Limbo por liberare le anime dei giusti.
40-14 Se ga sentia per tntlo eremolar =* Empe'locle npinò che dalla discordia ilcgli clementi fosic generato
il mondo; ed ali' incontro per la concordia loro, ossia per l'unirsi delle particellc simili colle simili si ilissol.
trssc in caos; perciò Virgilio qui dice di aver pensato clic gli elementi nudassero in amore.
54 cunie ti mio Mestro m'infaruiava — al Canto Xl v. 30.
50 Centauri = mostri favolosi niczz'uomo e mczzo cavallo.
tiI Da su = s' intende colhi voce.
56 DELL' INFERNO
Faivni noi a Chiron costì di presso : Là viciu : tropo in furia li t" ha messo 65
Mal fu la voglia tua sempre sì tosta. Sempre a to dano drio le to passion.
Poi mi tentò, e disse : Quegli è Nesso, Po '1 me urta, e dise : Quelo là xe Nesso
Che morì per la bella Deianira, Morto per Degianira so morosa,
E fe di sè la vendetta egli stesso. Ma '1 s'ha per altro vendicà lu istesso.
E quel di mezzo, che al petto si mira, Quel co la testa bassa e penserosa, 70
È il gran Chirone, il qual nudrì Achille : Xe '1 gran Chiron, che Achile ga arlevà ;
Quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira. Folo è st'altro da l'anema rabiosa.
Dintorno al fosso vanno a mille a mille, A miera atorno al fosso armadi i va,
Saettando qual'anima si svelte Frezzando chi dal sangue vien più in su
Del sangue più, che sua colpa sortille. Del segno dal delito soo marcà. 75
Noi ci appressammo a quelle lìere snelle : Se vicinemo a quei Centauri nu ;
Chiron prese uno strale, e con la cocca Chiron cuiapa una frezza ; la bai-bazza
Fece la barba indietro alle mascelle. Col manego se sbanda, e ai soi po lu
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, Dise, co '1 s' ha scoverta la bocazza : .
Disse ai compagni : Siete voi accorti, No ave badà come quel là da drio 80
Che quel di retro move ciò ch'e' tocca ? El move i sassi in dove i pie lu cazza ?
Così non soglion fare i pie de' morti. Ma cossi no fa i morti, no per sbrio.
E '1 mio buon Duca, "che già gli era al petto, Et .Mostro, che col viso ghe xe al peto,
Ove le duo nature son consorti, Dove l'omo e '1 cavai s' ha insieme unio,
Rispose : Ben è vivo, e sì soletto Responde : Sì, '1 xe vivo, e go '1 progeto 85
Mostrargli mi convien la valle buia : De mostrare lui sta vale e quel ch'è drento :
Necessità '1 c'induce, e non diletto. Per gran rason qua '1 vien, no per dileto.
Tal si partì da cantare ALLELUIA, Una donna vegnua dal firmamento,
Che mi commise quest'ufficio nuovo ; M' ha dà sta comission afato nova ;
Non è ladron, nè io anima fuia. Lu noi xe un ladro, nè son mi un violento, 90
Ma per quella virtù, per cui io muovo Ma per quela virtù, che voi me mova
Li passi miei per sì selvaggia strada, Tra i tanti imbrogi de sta strada morta,
Danne un de' tuoi, a cui noi siamo a pruovo, Uno dei toi che con nu vegna, trova,
Che ne dimostri là ove si guada, Clvel sito da sguazzar ne mostra, e porta
E che porti costui in su la groppa, Sto mio compagno sora la so schiena, 95
Che non è spirto che per l'aer vada. Che spirito che in aria se trasporta
Chiron si volse in sulla destra poppa, Noi xe. Chiron a drita voltà apena,
E disse a Nesso : Torna, e sì li guida, Ghe dise a Nesso: Torna indrio, scansar
E fa cansar, s'altra schiera v'intoppa. Sti altri procura, e come i voi, li mena.
Noi ci movemmo colla scorta fida Con sta guida s'avemo messi andar 100
Lungo la proda del bollor vermiglio, Per longo el sanguenoso rio bogente.

67 JVenao -- 11 Centauro, che tentò rapire Deianira; ma Ercole, marito di lei, ferì colle frecce tiule nel
sangue dell'Idra il rapitore, che morendo diede per vendicarsi la propria vesta insanguinata a Deianira, dicen
dole che in quella era virtù di distorre il marito suo dall'amare altre donne. La credula diede la veste ad Er
cole, il quale come se l'ebbe messa' in dosso infurii e muri (munn).
71-72 Chiron, Folo = altri due Centauri: il primo fu precettore ed aio di Achilli-; il secondo uno dei
più iracondi e risoluti nelle audaci imprese, ni dire dei poeti.
Si per ibrio -.- modo d'affermazione , e vale Alii-.
87 rason -- motivo.
SS l'nn dona - cioè Beatrice.
94 i-guazzar = guadare.
CANTO XII.

Ove i bollili faccan alte strida. Dove i bogii fa noma che cigar.
I' vidi gente sotto in (inn al ciglio : Go visto insin soto le cegic zente :
E '1 gran Centauro disse : E' son tiranni, E '1 gran Centauro dise : I xc tirani,
Che dier nel sangue e nell'aver di piglio. Che ha mazzà e robà. Invanamente 105
Quivi si piangon li spieiati danni : I pianze adesso qua i feroci dani.
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero, Qua è Lissandro e Dionisio, quel crudel,
Che fe Cicilia aver dolorosi anni. Che ha fato penar tanto i Siciiani.
E quella fronte, e' lia 'l pel così nero, Xe Ezelin quel che negro ga '1 cavel,
È Azzolino ; e quell'altro, ch'è biondo, E st'altro là, che ga '1 cavelo biondo, 1 IO
È Obizzo da Esti, il qual per vero Ohi/.» d'Este el xe, che ha fato quel
Fu spento dal figliastro su nel mondo. Fin d'esser trucidà dal fiastro al mondo.
Aliivi mLvolsi al Poeta; e quei disse: Dise '1 Dotor, co m' ho voltà da lu :
Questi ti sia or primo, ed io secondo. Te sia adesso cio el primo, e mi '1 secondo.
Foco più oltre il Centauro s'affisse Ga ochià '1 Centauro, avanti un poco più, 115
Sona una gente, che "n lino alla gola Zente, che sin la gola vegnir fora
Parea che di quel bulicame uscisse. Pareva dal bogior, che salta in su.
Mostrocci un'ombra dall'un canto sola, El n'ha mostra in disparte un'ombra alora,
Dicendo : Colui fesse in grembo a Dio Disendo: In t'una Chiesa sto birbante
Lo cor, che 'n sul Tamigi ancor si cola. Ga spacà '1 cuor, che ancora Londra onora. 120
Poi vidi gente, che di fuor del rio Aneme ghe n' ho viste dopo tante,
Tenean la testa ed ancor tutt '1 casso : Che avea fora la testa e tuto el peto :
E di costoro assai riconobh'io. E de custie n' ho conossude arquante.
Così a più a più si facea basso De man in man andava el sangue schieto
Quel sangue sì, che copria pur li piedi : Più sbassando cossi, che i soli pie 125
E quivi fu del fosso il nostro passo. El coverziva : e femo qua '1 tragheto.
Siccome tu da questa parte vedi Dise '1 Centauro : Come che vedè
Lo bnlicame che sempre si scema, Sempre calar el sangue qua in sto fondo
Disse il Centauro, voglio che tu credi, Da sta parte, vogio anca che sapie,
Che da quest'altra a più a più giù prema Come '1 se fa da l'altra più profondo 130
Lo fondo suo, infin ch'ei si raggiunge Zirando atorno via, sin ch'el se unisse

102 fa noma — altro non fa.


105 fnvnnamente = invano.
107 Lissandro e Dionisio ----- È difficile determinare di quale Alessandro intenda il P. di parlare, se del Magno o
del Fi reo. Del primo sono note le rovine di Tebe, le stragi dei prigionieri persiani, l'assassinio di Meniimi™ e di

ranni (BURCHI).
109 Ezelin = Ezselino da Romano, Vicario imperiale della Marca Trivigiana e tiranno crncklùsimo di Pa
dova: fu ucciso nel 1259.
Ili Obizo d'Ette = marchese di Ferrara e della Marca di Ancona, uomo crudele che fu soffocato da un
suo figlio cioè Azio Vili. Fece la lega con Carlo di Angui e cooperò alla rovina di Manfredi e di Corradino,
ultimi sostegni del partito imperiale. Mori nel 1293.
114 Te tia adeno eia el primo e mi 'I secondo - cioè in quella parte di viaggio.
119 no birbante .- - Guido Conte di Monteforte, elie nel sacro tempio di Viterbo e nel momento in cui A
alzava l'ostia santa, uccise il nipote di Arrigo III. re d'Inghilterra, chiamato pur esso Arrigo, in vendetta di Si-
mone di Monteforte 900 padre, che per delitto era stato giustiziato in Londra. Il fallo avvenne nel 1270. Fa
Guido uomo di molto valore e grande amico e sostenitore di Carlo d'Angiù (BUNCHI).
120 Ga npacò 'I cuor = il cuore del morto rr. fu recato dentro una coppa a Londra e collocato sopra una
colonna a capo del ponte del Tamigi, ove ancora si onora (BUSCHI).
58 . I}ELL
Ove la tirannia convien che gema. Dove zeme chi è stai Urani al mondo.
La divina giustizia di qua punge La giustizia divina qua punisse
QueirAitila, che fu flagello in terra, Sesto, Alila, chiami FI.AGEI.UM Dsr,
E Pirro, e Sesto ; ed iu eterno munge E Piro; sto bogior ghe scaturisse 135
Le lacrime, che col bollor disserra Lagrcme eterne coi eterni oimei
A Rinier da Corneto, a Rinier Patto, A Rinier da Corneto e Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra. Assassini da strada e da cornici ;
Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo. Po voltà indrio, el ga refato ci sguazzo.

132 zeme = geme.


134-135 Sesto, Aliila, Piro = Sesto, figlio di Pompeo il grande, che dopo la morte del padre si die a ru
bare pei mari di Sicilia — Aitila re degli Unni, conquistatore famoso nel quinto secolo, a cui le devastazioni e
le rovine di molte province, meritarono la denominazione di Flagello di Dio — l'imi, quel re dell'Epiro elic
ebbe guerra coi Romani, che dicono essere stato di natura molto crudele e vessatore del suo popolo.
137-138 Rinier da Corneto = ladrone famoso nelle spiagge marittime di Roma = Rinier Puzzo, fiorentino,
della nobil Casa dei Pazzi, che correva le strade del V'al(lamo rubando chi men poteva di lui. = comici - pi
lastri piantati sulla via pubblica.

CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
GÌ C lano sangue gli squarciati rami D'un bosco i roti rami buta fora
D'un empio bosco, dove fan lor nido Sanano. Le brute Arpie fa là ci so nio,
Le Arpie, che pascou quello foglie infami. E le magna 1i? fogie in so malora.
Però Dante s'avvede al sangue, o al grido. Dal sangue e dal parlar Daoti;, stortiio,
Che in tronchi e sterpi gli uomini cambiati, Vien a conossrr nhi? omc.ni cambiai
Formano selva in quell' iniquo lido ; In sterpi, i forma ci bosco del tli?sìo.
Ei1 altri "rm da cagno lacerati. E da cagne dei altri xe sbranai.

Non era ancor di là Nesso arrivato, Noi gcra ancora Nesso a st'altra riva
Quando noi ci mettemmo per un bosco, Zonto, quando se semo a un bosco inviai,
Che da nessun sentiero era segnato. In dove gnanca un trozo se scovriva.
Non frondi verdi, ma di color fosco, Negro negrc le fogie; verde mai:
Non rami schietti, ma nodosi e involti, Rami a gropi intrigai ; gnanca un de dreto ;
Non pomi v'eran, ma stecchi con losco. Fruti no gire, ma spini tossegai.
Non han sì aspri sterpi nè sì folti No ha le liere tra Cecina e Cornelo,
Quelle fiere selvagge, che in odio hanno Che scampa dalle tere collivae,
Tra Cecina e Cornetti i luoghi colti. Sterpi più folti e nubili d'aspeto.
Quivi le brulle Arpie lor nido fanno, Fa qua '1 so nio le sporche arpie frustae, 10
Che cacciar delle Strofade i Troiani Che ha scazzà da le Strofade i Trogiani

I zumo = arrivato.
3 trozo = sentieruolo, viottolo.
6 toisegai = attossicati.
7 Cecina t Corneto = Tra il fiume Cecina e la città di Corneto si annidano lici i- elie amano di nasconderti
nei boschi, e fuggono i luoghi coltivati ed aperti.
10 Fa iluà 'I so aio le tporelic Arpie = le Arpie sono mostri hi cui forma e qui appresso descritta. Una di
esse detta (aleno nelle Strorade. isole del mar Ionio, predisse ai Troiani, t'Ite avrebbero per fame divorate le men-
ne. Cosi Virgilio al I. iii. Ili dell'Eneidc - frustac .- cialtrone.
CIMO xni. S9
Con tristo annunzio di futuro danno. Predisendoghe mali a danni assae.
Ale hanno late, e colli e visi umani, Le ga gran ale, e coli e visi umani,
Pie con artigli, e pennuto il gran ventre: Pene al panzon, e sgrinfe ai pie; le fa
Fanno lamenti in su gli alberi strani. Su i albori Culle lemi da cani. 15
E '1 buon Maestro : Prima che più entro, Prima d'andar più in su, li savarà,
Sappi che se' nel secondo girone, Me dis'el Mestro, elic ti xe al secondo
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre /.inni, e in questo ti caminerò
Che tu verrai nell'orribil sabbione. Sin ti arivi al ardente orido fondo
Però riguarda bene, e sì vedrai Sabioso. Osserva ben : vere le cosse 20
Cose che torrien fede al mio sermone. Ti vederà, che mi go scrite al mondo.
lo sentia d'ogni parte traggcr guai, Da ogni banda sentiva urli d'angosse,
E non vedea persona che '1 facesse ; Siben chi li mandava no vedesse :
Perch'io tutto smarrito m'arrestai. E penso, imatonio, cossa mai fosse.
l' credo ch'ei credette ch' io credesse, Oedo abia lu credù, che mi credesse, 25
Che tante voci uscisser tra qne' bronchi Che da quei sterpi tuto quel cigor
Da gente, che per noi si nascondesse. Mandasse zente là che se scondesse.
Però, disse il Maestro, se tu tronchi Prova mo a scavezzar, dise el Dotor,
Qualche fraschetta d'una d'este piante, L'n sol de sii rameti, e te farà
Li pensier e' hai si faran tutti monchi. Veder ci falo che ti xe in eror. 30
Allor porsi la mano un poco avante, Slongo alura una man ; e togo là
E colsi un ramoscel da un gran pruno : Da un gran spincr un ramo picinin.
E '.I tronco suo gridò : Perchè mi schianto ? Ciga el tronco: Perchè ti m'ha strapà?
Da che fatto fu poi di sanguo bruno, Vegnù po fora el sangue da quel spin:
Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi? Perchè sbregarme? el torna dir; sii guai 35
Non hai tu spirto di pietate alcuno ? •" No te fa compassion gnanca un tantin ?
l'omini fummo, ed or sen fatti sterpi; Da omeni in sterpi semo qua cambiai : \
Ben dovrebh'esser la tua man più pia, Più la to man pietosa la saria,
Se state fossim'anime di serpi. Se fussimo de bissi aneme stai.
Come d'un stizzo verde, ch'arso sia Come quando da un cao brusando via 40
Dall'un de' capi, che dall'altro geme, Va un stizzo verde, da quel altro ancora
E cigola per vento, che va via; L'interno umor frizzendo scapa via ;
Così di quella scheggia usciva insieme Da quel ramo cussi vegniva fora
Parole e sangue: ond'io lasciai la cima Sangue e parole in t'un : e mi la cima
Cadere, e stetti come l'unni che teme. Go molà zo da la paura aloni. 45
S'egli avesse potuto creder prima, Se cio al falo credeste avesse in prima,
Rispose il Savio mio, anima lesa, Cossi responde ci Mestro a chi parlava,
Ciò ch' ha veduto, pur colla mia rima, Che lelo el ga nel mio racconto in rima,

14 Pene al panzon = penne alla ginn pancia — sgrinfe ai pie - orligli ai piedi.
15 {CIMI — mugolii.
19 fundo = per terreno.
!1 che mi ga tcriìc al mointo = Nell'EneUle Lib. III. Virgilio racconta elic sul corpo del morto Poliporo e-
rano cresciute le verinciu., le quali divelta da Enea sanguino runo.
- 1 imatonìo - sbalordito.
40 da un cuo = da un capo.
45 Ga mala zu = lasciai cadere.
46-48 al falu re. = Virgilio accenna a (inaido narrò nell'Encide di Polidoro. Vedi noia al v. 21.
60 DELL INFERIVO
Non averebbe in te la man distesa ; Ancma ofesa, lu noi te locava :
Ma la cosa incredibile mi fece Ma quel che fiaba par, scovrir lu sol, 50
'(minilo ad ovra, ch'a me stesso pesa. A mi (laminmo pena, lo lassava.
Ma dilli chi tu fosti, si che, in vece' Ma dighe chi ti è sta, che sto mio fio I
D'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi La lo fama abia in scambio a rinfrescar
Nel mondo su, dove tornar gli lece. Là su al mondo, perchè tornarghe el'pol. •
E '1 tronco: Si col dolce dir m'adeschi, Dise el tronco : Sto dolce too parlar 55
Ch' io non posso tacere ; e voi non gravi M'invischia a dirve su la storia mia ;
Perch' io un poco a ragionar m' inveschi. No ve dispiasa donca de ascoltar.
P son colui, che tenni ambo le chiavi Son quel che ha avudo la cancelaria
Del cor di Federico, e che le volai De Ferigo ; e '1 so cuor voltar fazzeva
Serrando e disserando sì soavi, A mio piacer con tanta cortesia, 60
Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi : Che la so confidenza altri no aveva.
Fede portai al glorioso ufizio, Tanto fedel a l'onorato ofizio
Tanto ch' io ne perdei le vene e i polsi. Mi son sta, che la vita insin perdeva.
La meretrice, che mai dall'ospizio L'invidia sfrontadona, malefizio
Di Cesare non torse gli occhi putti, Che in regia Corte la va sempre in ziro, 65
Morte comune e delle corti vizio, Mal generai, e de le regie vizio,
Infiammò contra me gli animi tutti, Tuli m' ha inimigà per mio deliro.
E gi' infiammiii i infiammar sì Augusto, Fato z0 Augusto da la birba zente,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti. I onori mii se m' ha cambià in martiro.
L'animo mio, per disdegnoso gusto, Credendo col morir l'ira potente 70
Credendo col morir fuggir disdegno, Strozzar, che m'ha chiapà, mi stesso veglio
Ingiusto fece me contra me giusto. A lavine ingiusto contro mi inocente.
Per le nuove radici d'esto legno Vfr zuro per el spin, dove me legno,
' Vi giuro che giammai non ruppi fede Che mi de fede no go mai mancà
Al mio sigaor, che fu d'onor sì degno. Al mio paron, ch'è sta de stima degno. 75
E se di voi alcun nel mondo riede, E se al mondo un de vualtri tornerà,
Conforti la memoria mia, che giace Vogia difender l'onor mio là sora
Ancor del colpo, che invidia le diede. Ancora da l'invidia strapazzà.
Un poco attese, e poi : Da ch'ei si tace, Spela un poco el Dotor, po vista l'ora,
Disse il Poeta a me, non perder l'ora ; Dise : Tol, sin ch' ci tase, sto momento 80
Ma parla e chiedi a lui se più ti piace. Per farghe, se li voi, domande ancora.
Ond' io a lui : Dimandai tu ancora E mi a lu: Ti da novo a chi è la drento
Di quel che credi che a me soddisfaccia ; Faghene in cossa ch'abia mi piacer,
Ch' io non potrei : tanta pietà m'accora. Che in drio me tien la compassion che sento.
Però ricominciò: Se l'uom ti faccia E '1 Dotor : Cussi st'omo el to voler 85
Liberamente ciò che '1 tuo dir prega, Fazza volentiera, ombra impresonada,
Spirito incarcerato, ancor li piaccia Che adesso piasa a li farne saver,
Di dirne come l'anima si lega Come in sii gropi è l'anema serada;

-Vi M'invischia -... m'invesca.


58 Son liuti che ha avudo — questi è Pier dellc Vigne Capuano, cancelliere di Federigo II,, a eni venne
tonto in grazia, elic potò sull'animo di Ini ciò elic volle. Gli invidiosi cortigiani lo accusarono d'infedellA: onde
Federigo lo fece accecare, e Piero disperatamente si uccise (BUUCIII).
64 ifrontadona -- sfrontata.
63 Falo zo - raggirato, sedotto.
CA>TO XIII. 'M
In questi nocchi ; e dinne, se tu puoi, E dine, se ti poi, se dal troncon,
S'alcuna mai da i, ii membra si spiega. Che le sera, qualcun fora mai vada. 90
Allor soffiò lo tronco forte, e poi El Ironco manda in prima un sospiron,
Si converiì quel vento in cotai voce : Che '1 ga parso un gran vento, e po vien via
Brevemente sarà risposto a voi, Disendo : Sarà curto el mio sciunin.
Quando si parte l'anima feroce Quando l'anema bruta inferocia
Dal corpo, ond'ella stessa s" è disvelta, Dal so corpo ella istessa s' ha strappà, 95
Minos la manda alla settima foce. Minosse al cerchio settimo l'invia :
Cade in la selva, e non le è parte scelta; Cascada in bosco, un sito destinà
Ma là dove fortuna la balestra, No gh'è, ma dov 'el caso ghe n' ha vogia,
Quivi germoglia come gran di spelta ; La eresse come gran de spelta qua.
Surge in vermena ed in pianta silvestre, Fata pianta selvadega, la fogia 100
Le Arpie, pascendo poi delle sue foglie, Le ghe magna le arpie dopo cressuda,
Fanno dolore, ed al dolor finestra. E da la so feria sorte la dogia.
Come l'altre, verrem per nostre spoglie, Cercarà el corpo soo l'anema nuda,
Ma non però ch'alcuna sen rivesta ; Ma come l'altre no lo indosseremo,
Che non è giusto aver ciò ch'uom si toglie. Che l'omo no ha d'aver quel ch'el refuda. 105
Qui le strascineremo, e per la mesta Al bruto bosco lo strassineremo,
Seira saranno i nostri corpi appesi, E al spiner che tien l'anema danada,
Ciascuno al prun dell'ombra sua molesta. Ognuna el nostro qua nu tacaremo.
Noi eravamo ancora al tronco attesi, Spetevimo ch'el tronco a sta parlada
Credendo ch'altro ne volesse dire; Qualc'altra cossa avesse da zontar, 110
Quando noi fummo d'un rumor sorpresi, Quando che l'atenzion ne vien straviada
Similemente a colui, che venire Come de chi el sussuro sta in scollar,
Sente il porco e la caccia alla sua posta, Che in t'una cazza dei cengial faria
Ch'ode le bestie e le frasche stormire. De le bestie tra i rami el scorabiar.
Ed ecco duo dalla sinistra costa, Eco che a parte zanca do vegnia 115
Nudi e graffiati fuggendo si forte, Corendo in tanta furia, nui, sgrafai,
Che della selva rompieno ogni rosta. Che ogni ramo ingropà sbregava via.
Quel dinanzi : Ora accorri, accorri, morte. Diseva el primo: Morte, da sii guai
E l'altro, a cui pareva tardar troppo, Me salva. Ciga l'altro, a starghe drio
Gridava : Lano, sì non furo accorte Stentando: Le lo gambe le ga mai 120
Le gambe tue alle giostre del Toppo. Spessegà tanto al Topo, o Lano mio.
E poichè forse gli fallia la Iena, E perchè forsi ga mancà la lena,
Di sè e d'un cespuglio fece un groppo. Al machion s'ha ingropà e ingritolio.

96 Minani = giudice dell'inferno: vedi nota C. V. v. 4.


102 di-fiin = doglia.
104 Mi, come l'olire no lo indosseremo = ael di del giudizio universale,
105 refuda : - rifiuta.
113 eazza del eengial — caccia dei cinghiale.
114 acorabiar = scorazznre, correre in qua e in là interrolUimente.
110 nui, igrafai = nudi e graffiati.
117 tliregava = lacerava.
118 Diieva el primo eee. = questi, che chiama la morte in suo soccorso, o il Sanese Lano di parte Guelfa
nomo che consumò il suo con una brigata tripudiante. Essendosi trovato costui alla sconfitta, che gli Aretini nel
1280 dettero ai Sanesi presso la l'ieve del Toppo nel contado di Arezzo, mentre polca salvarsi fuggendo, si gettò
disperatamente tra i nemici, non volendo più vivere in povertà (BURCHI).
121 tpetteyà = raffrenalo il passo.
62 DELL INFERMO
Diretto a loro era la selva piena De cagne negre la boscagia i piena;
Di nere cagne bramose e correnti, E itrin ai scapai coreva quei demoni, 125
Come veltri ch'uscisser di catena. Come cani molai da la caena:
In quel che s'appiattò miser li denti, A l'iiubasà le taca morsegonl,
E quel dilaceraro a brano a brano, E le fa de quel altro un sancassan,
Poi sen portar quelle membra dolenti. La carne via strapandoghe a boconi.
Presemi allor la mia Scorta per mano, El Dotor mio me ga menà per man 130
E menommi al cespuglio che piangea Da quel machion che senza pro '1 pianzea
Per le rotture sanguinenti, invano. I.c roture, the dà sangue drio man.
O Jacopo, dicea, da Sant'Andrea, 0 Giacomo, ci disea, de Sant'Andrea,
Che l'è giovato di me fare schermo ? Qual pro ti ha avd d'esserle sconto in mi ?
Che colpa ho io della tua vita rea ? Che colpa ho i mi de la lo vila rea ? 1 So
Quando '1 Maestro fu sovresso fermo, Ariva '1 Mestro da quel gramo 11,
Disse: chi fusti, che per tante punte Disc : Chi cstn che dai spontoni tanti
Soffi col sangue doloroso sermo? Con le parole de dolor cussi
E quegli a noi : O anime, che giunte Sangue ti spandi? O aneme, che i pianti
Siete a veder lo strazio disonesto, Vegni a veder e rorido desio 140
C' ha le mie frondi sì da me disgiunte, D'i mii rami sbregai, qua luti spanti;
Raccoglietele al pie del tristo cesto : Metèli insieme ai pie del tronco mio.
I fui della città che nel Battista De la Cità mi son, che ga scambià
Cangiò'l primo padrone: ond'ei per questo Marte in Batista ; e Marte indespetio
Sempre con l'arte sua la farà trista. Sempre patir in guera lo farà. 145
E se non fosse che in sui passo d'Arno E se no fusse un loco là de sora
Rimane ancor di lui alcuna vista; AI ponte d'Arno de quel dio restà,
Quei i-iliadin, che poi la rifondarno 1 abitanti, che in pie l"ha messa ancora
Sovra '1 cener che d'Aitila rimase, Su le rovine, che Alila lassava,
Avrchber fato lavorare indarno. 1 avaria buià l'opera in malora. 150
Io fei gibetto a me delle mie case. Ai travi in casa mia mi me impicava.

124 De cagne ncgre = mosIri d.-li' lufi-nin.


428 naneantan = frase, parlau lo di persona o di cosa malmenai, midconch.
133 Giacomo de Sant'Andraa = lacopo da Padova, d'una famiglia nobile delta della Cappella di Sant'An
dren: fu di carattere buffonesco e scialacquatore. Si racconta di lui elic tra le altre stravaganze fece un giorno
bruciare una villa per avere lo spettacolo d'un bel fuoco. A questo lacopn, elic si era nascosto nel cespuglio
per evitare le cagne ehe lo inseguivano e dalle quali fu si malconcio, rivolge il discorso lo spirito incarcerato
nel cespuglio stesso.
137 *lHiin',ni = le punte del cospnglio o maceliia.
139 77 supi fnra — tu soffi fuori.
HO desia = strazio.
Ili dei mii = dei mici.
143 l)t In citò mi ton = Vi è chi dice che (|nesìi fu Boero de' Moni, che s'impiccò per la gola per isfng-
gire la povertà avendo dis-sipate le sue ricchezze. Altri vuole ehe sia un Lollo degli Agli. che s'impiccò sirail-
mentc in sua casa, dopo aver aggiunto alla povertà, in cui s'era per sua colpa ridoito, il rimorso di una ingiu
sta sentenza. La ciiià che cangiò Marte in Battista è Firenze che, l'alta Crislinna, prese a suo prod-tiorc S. Giuv.
Dattisla in luogo di Marte, il quale per veudeltu del ripudio farà trista, cosi diceva t|uell'auima dannala, la del
la città.
116- 149 E te no finse cce. = Correva allora voce nel popolo i-he la statua di Marte fosse per Firenze, co
me per Troia, il Palladio. Che Aliila poi fosse il disiruttore di Firenze, non è vero; poichè egli non passò
mai gli Appennini: quegli che la straziò, benchè allatto non la disiruggesse, fu T. liia nelle guerre che ebbe a
sostenere contro i generali di Giustiuiano; ma gli antichi nella penuria dei libri storici confusero spesso 'Cotila
con Aliila. La riedilicazionc infine, o meglio Ompliamento di Firenze, avvenne quando Carlo Magno scese in Italia.
= un loco _ un pezzo.
63

CANTO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di sotto a' piedi rena ardento cuoce. De solo ai pie brusa el sabion ardente :
E fiamma arcosa si versa di sopra. Vogo da l'alto cala zo : tortura
Che a' violenti in questo giron nuoce. Dopia i violenti in questo ziro i sente.
Chi contro Dio, n a natura s'adopra, Per chi fa contro Dio, e la natura,
E contro l'arte, ivi non ha difesa, K contro l'arte., scudo ai guai no giova.
Che sotto jl salvi, o dall'alto il ricopra: Che gnente poi scansar la pena dura ;
Si a vendetta di Dio non vai contesa. Contro l' ira del Ciel sfuma ogni prova.

Poichè la carità del natio loco Co de patria l'amor m'ha'l cuor ferio,
Mi strinse, raunai le fronde sparte, Go sunà i rami sparsi, e li ho tornai
E rende' le a colui ch' era già fioco. A quel che i gran lamenti lo ha ii ricino.
ladi venimmo al fine, ove si parte Po tra'l secondo e '1 terzo ziro andai
Lo secondo giron dal terzo, e dove Semo, dove Giustizia fa penar
Si vede di giustizia orribil' arte. Fra tormenti teribili che mai.
A ben manifestar le cose nuove, Digo, le cosse nove a ben contar,
Dico che arrivammo ad una landa, Che in un logo deserto nu rivemp,
Che dal suo letto ogni pianta rimuove. In dove gnanca un erba poi spontar.
La dolorosa selva le è ghirlanda Tornià tutto dal bosco lo vedemo, 10
Intorno, come il fosso tristo ad essa : Come ci bosco del pianto dal fosson:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa. Tra'l bosco e'1 pian fermadi se gavemo.
Lo spazzo era un' arena arida e spessa, Xc'l lego pien de fisso arsio sabion,
Non ii' altra foggia fatta che colei, Compagno a quel che dai sol dai un di
Che fu da' piedi di Caton soppressa. In Africa zapar fazzea Caton. 15
O vendetta di Dio, quanto tu dei O vendeta de Dio, come per ti
Esser temuta da ciascun che legge Ga da tremar quei, che lezendo sente
Ciò che fu manifesto agli occhi miei ! Coss' ha podesto veder i echi mi !
1)' anime nude vidi molte gregge, Afato nua go visto tanta zente
Che piangcan tutte assai miseramente; A muchi, che pianzendo i se struzeva,
E parea posta lor diversa legge. E i pareva penar diversamente.
Supin giaceva in terra alcuna gente; Tanti butai, el viso in su i gaveva,
Alcuna si sedea tutta raccolta, Tanti sentai, a cufolon i stava,
Ed altra andava continuamente. Senza fermarse mai, tanti coreva.
Quella che giva intorno era più molla, Assae più gera quei che atorno andava, 25
E quella men, che giaceva al tormento, E manco quei fermai solo ci tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta. Ma più de tuli questi se lagnava.

1-2 Co = quando. — sunà = raccolti, messi assieme.


3 iroc/iio : cioè divenuto rauco dal lungu lamentarsi.
10 Torma = circondalo.
13 arnia — arsiccio.
14 dai saldai = Catone attraversò la Libia colle reliquie dell'esercito di Ponvpeo.
15 zapar -- calcare.
18 mi = mici.
19 mia -. nuda.
22-23 liutai .-_ distesi. — a cufolon — coccolone, porsi a sedere sulle calcagna.

-
64 DELL' INFERIV0
Sovra tutto '1 sabbion d'un cader lento Scrii tutto el sabion fogo vlen spento
Piovean di fuoco dilatate falde, In zo a fioconi adasio adasio, al par
Come di neve in alpe senza vento. De la neve su i monti senza vento. 30
Quali Alessandro in quelle parti calde Come ha visto Lissandro zo a cascar
D'India vide sovra lo suo stuolo Nei siti caldi d' India su i soldal
Fiamme cadere inflno a terra salde; Foghi vivi sin lera, che pestar
Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo Lu fazzeva drio in. MI, noma cascai,
Con le nuè schiere, perciocchè '1 vapore El sabion, a ciò fusse da colori 35
Me' si stingueva mentre ch'era solo : Sul teren nudo megio destuai ;
Tale scendeva 1' eternale ardore, Cussi calava là i eterni ardori,
Onde l'arena s'accendea, com'esca Cussi, come la lesca a l'azzalin,
Sotto il focile, a doppiar lo dolore. Ardea el sabion a creseerghe i dolori.
Senza riposo mai era la tresca No fazzeva quei miseri che un fm 40
Delle misere mani, or quindi or quinci De sìontanarse co le man qua e là
Iscotendo da sè l'arsura fresca. I foghi che calava senza fin.
Io cominciai: Maestro, tu che vinci Mestro, ho dito, che tuto superà
Tutte le cose, fuor che i Dimmi duri, Ti ga, via dei demoni la hulada,
Che all'entrar della porta incontro usciaci, Co a la porta de Dite i n ha incontrà ; 45
Chi è quel grande che non par che curi Chi è quel grando, che al fogo par no bada,
).' incendio, e giace dispettoso e torto E altier là destirà co l'ochio storto,
Sì che la pioggia non par che '1 marturl ? Par che no l'avilissa sta piovada ?
E quel medesmo, che si fue accorto E quel tal ch' el se gera za inacorto
Ch' io dimandava il mio Duca di lui , Come de lu al Dotor mi domandasse : 50
Gridò: Qual i' fui vivo, tal son morto. Talqual vivo so sta, talqual son morto,
Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui Ciga; se'l fravo soo Giove stracasse,
Crucciato prese la folgore acuta, El fulmine dal qual, indespetio,
Onde l'ultimo dì percosso fui; L'ha avù, che m'ha dà morte, o ch'el cigasse,
O s" egli stanchi gli altri a muta a muta Quando tuti un drio l'altro el ga slmili 50
In Mongibello alla fucina negra, D' Etna i Cielopi a la fusina negra :
Gridando : buon Vulcano, aiuta aiuta : Agiutime, po via, Vulcano mio ;
Sì com' ei fece alla pugna di Flegra, Come a la guera coi ziganti in Flegra,
E me saetti di tutta sua forza, E infurià el me sbasisse da là su,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra. Noi podarave aver vendeta alegra. 60
Allora il Duca mio parlò di forza Con tanta forza aloni el Mestro a lu

2S spento -—. spinto.


31 Come ha vitto Lissandro = Dicesi che Alessandro vide ali'Indie cadere falde di fuoco, che cadute i
terra non si estinguevano,i, e che facesse premere coi piedi de' suoi solitali, perciocchè l' acceso vapore meglio si
sciulo dalle damme apprese al terreno; il elic s'impediva con quella operazione; onde
spegneva avanti fosse cresciuto
il suolo non avendo tempo d'infocarsi, le lìammelle, elie di nmno cadevano, si smorzavano con più facilita (BUSCHI).
34 noma -- appena
36 dentimi = smorzati.
40 i-lii- UH fin = continuamente.
43-4J thè luto superò ee, = vedi C. Vili v. 115.
45 Co .--- quanìto.
52 sc'I frani = d fabbro Vulcano, deità mitologica elic fabbricava i fulmini a Giove.
55 i-/inin - sfinito, spossato.
56 D'Etna i Cielopi --- lavoratori alla fucina di Vulcano sull'Etna in Sicilia.
58 coi zi:lti,iti — finsero i poeti una battaglia dei Giganti contro Giove in Flegra, valle della Tessagli!.
59 sbasisse -—. uccidesse,
ru-vro xiv. 68
Tanto, ch'io non l'avea sì forte udiloì Parla, che n'ho sentia mai la magior:
O Capaneo, in ciò che non «'ammorza O Capanèo, ben te castiga più
La tua superbia, se' tu più punito: Quela to boria, che te rode el cuor :
NuIlo martirio, fuor che la tua rabbia, Via de la rabia toa, no podaria
Sarebbe al tuo furor dolor compito. Megio star altra pena al to furor.
Poi si rivolse a me con miglior labbia, Po verso mi con vose radolcia
Dicendo: Quel fu l'un dc'sHte regi Me dise : Un quel xe sta dei sete re
Ch'assiser Tebe; ed ebbe, e par ch'egli abbia Che ha dà l'assedio a Tebe, c'1 pararla
Dio in disdegno, e poco par che 'l pregi: Sprezzar ancora Dio ; ma no, alafè, 70
Ma, com' io dissi lui, li suoi dispetti Che de la rabia soa, com' ho a lu dito.
Sono al suo petto assai debiti fregi. Altra pena pii'i degna no ghe xe.
Or mi vien dietro, e guarda che non metti Vienme a drio adesso, e i pie varda pulito
Ancor li piedi nell'arena arsiccia; Del sabion ch' arde no puzarghe sora,
Ma sempre al bosco li ritieni stretti. Ma tienli ben tacai del bosco al sito. 7S
Tacendo divenimmo là 've spiccia Muti vegnimo insina dove fora
Fuor della selva un picciol flumicello, Del bosco sgorga un rosso liumeselo,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia. E quel color me fa ribrezzo ancora.
Quale del Bulicame esce il ruscello, Come del Hulicam sorte ci rielo,
Che parlon poi tra lor l•? peccatrici. Che tra eie po le done de mal far
Tal per l'arena giù sen giva quello. L'acquH se sparte ; sul sabion vien quelo.
Lo fondo suo ed ambo le pendici Arzari, leto e sponde, gera al par
Fatt'cran pietra, e i margini da lato: Tuto de piera, e go pensà che certo
Perch'io m'accorsi che'l passo era lici. PeKde là se gavesse da passar.
Tra tutto l'altro, ch'io t' ho dimostrato, De luto quelo che te go scoverto 85
Posciache noi entrammo per la porta, Da quando nel' Inferno semo entrai,
Lo cui sogliare a nessuno è negato. Che tien el so porton per tuli averto,
Cosa non fu dagli tuoi ocehi scorta De quanto ti ga ochiii, degno più assai
\otabile, com'è'l presente rio, D'esser considerà xc qua sto rio,
Che sopra sè tutte fìammelle ammorta. Sora del qual i foghi vien stuai. 90
Queste parole fur del Duca mio: Sle parole el mio Diestro ha proferio;
Perchè '1 pregai, che mi largisse il pasto, Perciò ch'el m° cavasse, l'ho pregà.
Di cui largito m'aveva il disio. La vogia ch'el m'ha messo, (ih' è, liol mio,
In mezzo '1 mar siede un parse guaslo, In mezo a! mar un fogo rovinà
Diss'egli allora, che s'appella Creta, Do nome Creta, el dise. ch'el regnante 'J5
Sotto '1 cui rege fu già'l mondo casto. Ile Saturno gavea felicità:

03 Capauco = fu uno diri selle ir, elic assediarono Tibe, ciItà della Grecia, uomo superbo e sprezza late degli Dei.
74 no {iuzaryhe sarà — non poggiarvi sopra.
79 Come dei Ilalicam = Bulicami- chiamava:-i un laglnXto d'arnia bollente situato a due miglia di Viterbo.
i'>i.-iva du esso un ruscello, le acque diri quale le meretrici a una certa distanza della sorgente, quando era già
raffreddalo alquanto, si dividevano fra loro, in quanto che ciascuna di esse volgeva alla propria stanza quella
ln'niirnc d'acqua, die le abbisognava (limoin).
82 .inori = argini.
'.i't De nume l'rtia = Crciu è un isola del Mediterraneo, d'onde l'origine dei Troiani, dai quali poi Enea,
e da questi l' impero romano. *
Pn He Saturno — Saturno è la più antica iìcita mitologica. Ammogliatosi con Rea, eldainaio QnellG Bereni
ce, Cibel.., Opi cce, da quesia unione nacque lìiove, Nettimo e l'Intone. E poichù il marito si divorava i figliuoli
i'be di lei nascevano, fece nutrir (ìiove segretamente nel monte Ida, dove, aftìnelnr non si sentissero i 'vagiti
di-I bambino, faceva fare da quelle genti grande strepilo e mandare alte veci d'allegrezza C di festa misto al
tuono dei i.emb.di.
66 DELI/

Una montagna v'è, che già fu lieta Là'l monte Ida pien gera d'aque e piante,
D'acque e di fronde, che si chiama Ida; Po, invechio, più nissun se vede e sente.
Ora è diserta come cosa vieta. A forza de cercar, Rea a le tante
Rea la scelse già per cuna lida Qua l'ha sconto so fiol gelosamente, 100
Del suo figliuolo, e, per celarlo meglio, E la faseva, per covrirghe'l cigo,
Quando piangea, sì facea far le grida. I cimbani sonar da quela zente.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio In pie là drento sta un gran vechio antigo;
Che tien volte le spalle in ver Damiata, Voltà a Damiata el tien le spale, e, al moto,
E Roma guarda si come suo speglio. Par vardar Roma come un spechio amigo. 105
La sua testa è di (m'oro formata, La testa d' oro fin xe de capoto,
E puro argento son le braccia c'1 petto, El ga de puro arzento i brazzi e'1 peto,
Poi è di rame infino alla forcata : De rame el resto insin al cavaloto ;
Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Da de qua in zo xe luto fero schieto
Salvo che'l destro piede è terra cotta, Fora eh' el drito pie de tera cola ; 110
E sta in su quel, più che 'n su l'altro, eretto. E più su questo quel vechlon sta drelo.
Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta Xe ogn' altra parte, via che l'oro, rota
D' una fessura, che lagrime goccia, Da una sfesa, che lagreme dà fora,
Le quali accolte foran quella grotta. E tutte insieme sbusa ci monte, e in bota,
Lor corso in questa valle si diroccia : Vegnue de eroda in eroda da là sora, 115
Fanno Acheronte, Stige e Flegetonta ; Le fa Stige, Acheronte e Flegetonte ;
Poi sen van giù per questa stretta doccia Per sto streto canai po le va ancora,
1 M lin là ove più non si dismonta : Sin dove no se va più in zoso, sconte :
Fanno Cocito; e qual sia quello stagno, Le fa '1 Cocito ; ma qual sia Cocito
Tu'l vederai; però qui non si conta. Ti vederà ; e qua el lassemo a monte. 120
Ed io a lui: Se'l presente rigagno E mi : se questo rio, come ave dito,
Si deriva così dal nostro mondo, El ga derivazion dal nostro mondo,
Perchè ci appar pur a questo vivagno ? Perchè no se lo vede che in sto sito ?
Ed egli a me: Tu sai che il luogo è tondo, Lu responde: Ti sa ch'el logo è tondo;
E tutto che tu sii venuto molto E siben ti ga molto caminà 125
Pur a sinistra giù calando al fondo, A man zanca calando zozo in fondo.
Non se' ancor per tutto il cerchio volto ; Tulo quel cerchio no ti ga /.irà ;
Perchè, se cosa n' apparisce nuova, Se se scoverze novità perciò
Non dee addur maraviglia al tuo volto. No ti ga da restar maravegià.

09 a forza de cercar = dopo tante ricerche = a le lante = alla fine.


103 un gran vechio antigo = La statua qui descritta è lutin allegorica, cd è l' immagine Iiresa dal colosso
vrduto in sogno da Nabuccodonosor. Il profeta Daniele così spiegò a Nabuoco il suo sogno: La lesta d'oro, Jis-
s'egli a Nahucco, sei tu stesso, o buon re; dopo di te verrà un regno minore del tuo, e sarà come d'argento; |io-
-, i.i un terzo, e sarà come rame; e un quarto come ferro, e pur ultimo il rame sarà diviso; e di ciò duu se
gno il ferro e la terra di che i piedi della statua sono formati (BiiMcm).
104 Damiala .- città tra'l .Mezzogiorno e l'Oriente, dove la statua volge le spalle = al moto = all'ap
parenza.
105 Par vardar Roma = Roma città posta all'Occidente, dove la statua ha volta la faccia, per indicare elic
da quella doveva sorgere l'impero latino.
106 de capoto = all'intutto.
10S al cavatolo -.-. allo sparato dei calzoni.
113 ifaa = fessura — rfó fora = manda fuori.
115-120 Stige, Acheronte, Flegetoale e Cotlio „ tutti fiumi infernali immaginati dai poeti — Fin dove M
se va più in zoso - cioè insino al fondo dell'1nferno, ove più non si discende .---. e rIua'l lancmo a monte --
e di lui (Cocito) qui nuu ne parliamo.
CAISTO XV. 67
Ed lo ancor : Maestro, ove si trova Flegetonte, mi disio, e Lete mo, 130
Flegetonte e Lete, che dell'un taci, Del qual tasè, dov'eli; e disè nato
E faltro dì che si fa d'esta piova ? El primo da sta piova che vien zo ?
In tutte tue question certo mi piaci, E lu : Quel che ti cerchi me xe grato,
Rispose; ma il boiler dell'acqua rossa Ma doveva el bogior farle avisà,
DOVISI ben solver l' una che tu faci. Che Flegetonte st'acqua rossa o in fato. 135
Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, Lete da de qua via ti vederà,
Là ove vanno l'anime a lavarsi, Dove a lavarse el spirito va alora
Quando la colpa pentuta è limossa. Ohe pentio del so falo el s' ha purgà.
Poi disse : Omai è tempo da scostarsi Po'i dise : El bosco de lassar xe l'ora ;
Dal bosco : fa che diretro a me vegne : Stame a drio, che le sponde ne fa strada 140
Li margini fan via, che non son arsi, Liberade dal fogo, e a lore sora
E sopra loro ogni vapor si spegne. Ogni bampa vien anca destuada.

131-135 et bogior farle avisà =.-. la parola Flegetonte viene dal Greco, che vuoi dire: ardente; perciò dice
Virgilio a Dante che doveva accorgersi dal bollore che l'acqua sanguigna è appunto Flegetonte.
136 /,'-/t- da de iIna via ti vederà - . Lete fiumu dell'oblio, secondo i poeti, vien posto, come vedremo alla
fine del Purgatorio, nel Paradiso terrestre, ove le anime pentite e purgnte vanno a lavarsi, avendo la virtù
quelle acque di far loro dimenticare le colpe commesse.

CANTO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
In quell'eterne e disperate angosce Andando in raezo a quele eterne angosse,
Dante cammina, e fra molti l'aspetto Fra i tanti desgraziai Dante l'aspeto
DI Brunetto Latini riconosce. De Bruneto Latini el riconosse.
Coma a maestro nnO, laggiù rispetto Como so mestro al mondo, con rispeto
Ancor gli mostra; e molto parla u chiede. Lo trata ancora là, e quel parlando
Quegli rispondo e fa veder dispetto De varie cosse, fa veder despeto
Dell'esilio di Dante, ch'ei prevede. In preveder cho Dante andarà in bando.

Ora cen porta l'un de' duri margini, Per un dei arzari impetrii se andava,
E il fummo del ruscel di sopra aduggia E '1 fumo del rielo in su restando,
Si, che dal fuoco salva l'aqua e gli argini. Dal fogo l'aqua e i arzari salvava.
Quale i Fiamminghi tra Guzzante e Bruggia, Come tra Brugia e tra Quante, quando
Temendo '1 fiotto che in ver lor s'avventa, I Fiamenghi ha timor che se ghe mola
Fanno lo schermo, perchè '1 mar si fuggia ; Contro furioso el mar, se va parando ;
E quale i Padovan lungo la Brenta, E com'el Padoan, aciù no croia
Per difender lor ville e lor castelli, La casa longo ci Brenta, e alaga el pra,
Anzi che Chiarentana il caldo senta; Prima ch'el Chiarentan la neve scola,

4 Bragia - nobile città di Fiandra = Gazante ~ piccola terra pure di Fiandra.


5 mola — scarica-
fi parando = riparando.
9 Chiarentana — è una montagna da cui nasce il 1lume Brenta. La parte delle Alpi, dove nasce la Brenta, e
che i Padovani chiamano Chiarentana, sono i monti del Trentino. Sciogliendosi nella Primavera le molle nevi, di
cui la detta montagna è ricoperta, il detto fiume ingrossava fuor di misura e menava guasti pel territorio di Pa
dova elic egli traversa. Però le più recenti operazioni idrauliche hanno posto un argine alle temute innondazioni.
68 DELl, l.TFER!HO
A tale imagin eran fatti quelli, Fa i ripari; cossi sii arzari qua, 10
Tuttochè nò si alii nè sì grossi, Siben tanto alii e grossi fabricai
Qual che si fosse, lo maestro felli. Chi li gabia, de, certo no se sa.
Già cravam dalla selva rimossi Dal bosco ci ini. i tanto stontanai,
Tanto, ch'io non avrei visto dov'era, Che mi l'aveva insin perso de vista
l'erch'io indietro rivolto mi fossi ; Per quanto avesse i ochi indrio fìcai; 15
i .'r Mi.in incontrammo d'anime una schiera, Co drio l'arzare d'aneme una lista
Che venia lungo l'argine, e ciascuna lncontremo, la qual ne stava a ochiar,
Ci riguardava, come suoi da sera Come quei, che de sera tien la vista
Guardar l'un l'altro sotto nuova luna; Fissa a la Luna nova in tramontar :
E si ver noi aguzzavan le ciglia, E sora nu le cegie le tegnia, 20
Come vecchio sartor fa nella cruna. Come '1 vechio sartor l'ago a impirar.
Così adocchiato da colai famiglia, Vardà cossi da quela compagnia,
Fui conosciuto da un, che mi prese Un, che ni' ha conossù, me ga chiapà
Per lo lembo, e gridò : Qual maraviglia ? Per un pinzo cigando : o pofardia ! .
'..'.il io, quando '1 suo braccio a me distese, Su mi apena ci so brazzo ci ga stongà, 25
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto l ochi ho piantai sul viso soo rostio ;
Sì, che '1 viso abbruciato non difese Che siben da quel fogo brustolà,
La conoscenza sua al mio intellclto ; Tanto e tanto chi '1 gera go scovrio:
K chinando la mia alla sua faccia, E '1 viso mio sbassando al viso so,
Risposi: Siete voi qui, sor Brunetto? Ghe respondo: Vu qua, Oruneto mio? 30
E quegli: O fìgliuol mio, non ti dispiaccia, Fiolo, cio a mi, te piasa andando mo,
Se Brunetto Latini un poco teco ('.he con ti torna un fià Latin Bruneto
Ritorna indietro, e lascia andar la traccia. lndrio, sin che la trupa va là zo.
lo dissi lui: Quanto posso ven preco; Subito mi a lu digo : Anzi, cospeto,
E se volete che con voi m'asseggia, Ve sconzuro ; con vu me scntaria, 35
Farò1, se piace a costui, chè vo seco. Se chi è con mi, disesse : te permeto.
O figliuol, disse, qual di questa greggia O fìolo, el dise, uno de nu staria,
S'arresta punto, giace poi ccnt'anni Se '1 se fermasse solo clic un lantin,
Senza arrostarsi quando '1 fuoco il feggia. Cento ani fermo al fogo soto via.
Però va oltre : i' ti verri a' panni, Donca va avanti e te starò vicin, 10
E poi rigiugnerò la mia masnada, E po razonzerò la mia brigada,
Che va piangendo i suoi eterni danni. Cli'el so in limi la pianze senza fin.
lo non osava scender della strada No avendo cuor de andar zo da la strada
J'er andar par di lui: ma'l capo chino Per meterme al par soo, la testa mia
Tenca, com'uom che riverente vada. Tegnia com'un che ri?petoso vada. 45

16 Co = quando.
il l'ago imfiiraudo = intrndnccmlo il filo nella cruna dell'ago.
24 l'rr un pinzo = per un lembo, per una estremila della veste, perche lo spirilo era giù nella rena, e
Danle. rra su l'argine.
25-26 Arazzo = braccio. =: rotilo . arrostito.
2S Tanto e lanto = tuttavia.
21/ al viso so = ol viso suo. a
30 Urlnioto := Brunetto Latini fu gran filosofo e maestro ili Dante. Dopo la rotta ili Mnntaperli amifi esule
a Parigi, dove scrisse in francese il suo Tesoro. Era nato verso il 1220; mori in Firenze 12!>1, dov'era tornato
ciumnio i Guelfi riguadagnarono la Stato.
31-32 mo = p. irli, .i.ll.i riempitiva. — nn fin = un pocliino.
11 e po =. e poi ^. rasonfcrò = raggiungerò.
CAM'O XV. 69

Ei cominciò : Qual fortuna o destino Qual sorte mai te ga portà qua via
Anzi l'ultimo dì quaggiù ti mena ? Prima del tempo, lu me disc alora,
E chi è questi che mostra '1 cammino ? E chi xe che te guida? di' po via.
Lassù di sopra in la vita serena, Che rcspondo : Nel mondo là de sora
Rispos'io lui, mi smarri' in una valle, M' ho perso in t'una selva con gran pena, 50
Avanti che l'età mia fosse piena. Quando no avea l'età maura ancora.
Pur ier mattina le volsi le spalle : Sol ger matina go voltà la schena :
Questi m'apparve, tornandolo in quella ; Me xe comparso, co tornava in quela,
E riducemi a ca per questo calle. Questo, che per de qua a cao me mena.
Ed egli a me : Se tu segui tua stella, E lu: Se drio ti va de la to stela, 55
Non puoi fallire a glorioso porto, E se al mondo go ben pronosticà,
Se ben m'accorsi nella vita bella. Avarà el nome too fama assae bela.
E s'io non fossi si per tempo morto, E se de più fusse vissù de là,
Veggendo il cielo a te così benigno, Co go visto ch'el cielo te fa ciera,
Dato t'avrei all'opera conforto. Altre lezion mi t'avaria insegnà. fio
Ma quell'ingrato popolo maligno, Ma quel popolo ingrato da galera,
Che discese di Fiesole ab antico, Che procede da Fiesole in antigo,
E tiene ancor del monte e del macigno, E ga del monte ancora e de la piera,
Ti si farà, per tuo ben far, nimico. Per far ti '1 ben, ci le sarà nemigo.
Ed è ragion; chè tra li lazzi sorbi Ma tra sorbole garbe, è naturai, Ga
Si disconvien fruttare il dolce lieo. Mal eresse e no maura el dolce fìgo.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi: Orbi li chiama un vechio proverbiai :
Gente avara, invidiosa e superba : Popolo arpia, de boria impastrochiù
Da' lor costumi fa che tu ti forbì. E de invidia; te varda da quel mal.
La tua fortuna tanto onor ti serba, Tanta gloria la sorte te darà, 70
Che l'una parte e l'altra avranno fame Che te t lirà con cio ogni partio,
Di te : ma lungi lia dal becco l'erba. Ma '1 desiderio sol ghe resterà.
faccian le bestie Fiesolane strame Fè, bestie Fiesolane, imputridio
Di lor medesme, e non tocchin la pianta, Strame de vualtre, e no toche la pianta,
S'nlcuna surge ancor nel lor letame, Se la fa in quel lcame ancora el nio, 75

'•i Quando na acca l' età maura ancora = Dante si smarrì moralmente dopo la morte ili Beatrice nel 1390.
(Icdi Pur);. C. XXXl). Si trovò smarrito, cioè si avvide di essere in una falsa via, nell'equinozio di primavera
ilei 1300. Qui si parla dell'Epoca dello smarrimento ehe avvenne ai suoi 25 anni quando l'età non era per anco
nella sua pienezza, cioè alla sua perfezione clic si fissa ai 35 anni.
"'i a eoo me mena — mi condnce al termine. E sottoiuteso: ilei mio viaggio.
59 Co =: quando = le fa etera = ti fa buon viso.
0l .62 .l'u quel popolo ingrato - il popolo liorailino ebbe origine da Fiesole, antica dita posta sopra un
colle, cirea a tre miglia da Firenze.
65 sorbole gnrbe = sorbo, frntlo autunnale — rIarbe = aspre.
07 Orbi li chiama = due cagioni si adducono di questo soprannome dato ab antico ai Fiorentini. Vi bn chi
llice clic se lo acquistassero quando di due cose offerte loro dai Pisani, ehe volevano ricompensarli di aver guar
dato Pisa mentre essi erano alla conquista delle llalcari, o due porte bellissime di bronzo, o due colonne di por
fido guaste dal fuoco, e state perciò coperte ili scartato; e i Fiorentini scelsero quest'ultime. Altri dicono, e ron
PIÙ fondamento, clic il nome di Ciccia venisse loro dato quando si lasciarono prendere alle lusinghe di Totila,
clic ottenne per questo mezzo quello clic non avea potuto nè eoli' armi, nc* con un lungo assedio, di essere ri
cevuto in Firenze, che poi il traditore riempi ili stragi e di rovine (LIARCIII).
OS l'apulo arpia = popolo avaro = de boria inifiastrocliià = lordato di superbia. Si ricordi ciò che disse
Ciacco dei Fiorentini: vedi C. Vl v. 71, 75.
73-74 f e, btttif jlesnhinc oc. =: Si dice che Firenze fosse edificata da una colonia di Noma accresciuta poi
ilai Fiesolani. Dante ieneusi discendente da una famiglia Koniana, clic i suoi biografi dicono essere stata quella
ilei Frangipani = imputridio tftromt — strame imputridito,
70 DELL' INFERIVO
In cui riviva la sementa santa Ne la qual viva la semenza santa
Di quei Roman, che vi rimaser, quando De quei pochi Romani là restai
Fu fatto il nido di malizia tanta. In mezzo al marzo de malizia tanta.
Se fosse pieno tutto '1 mio dimando, Se fusse sta i mii voti secondai,
Risposi lui, voi non sareste ancora Digo, ancora del ciel quel'aria pura 80
Dell'umana natura posto in bando: Vederessi : che in mente go nichiai,
Che in la mente m'è fitta, ed or m'accora, E dolor me fa adesso, la figura
La cara e buona imagine paterna Vostra paterna e i trati bei, perchè
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora Come de l'omo la memoria dura
M'insegnavate come l'uom s'eterna: Là su al mondo insegnà vu me gave, 85
E quant'io l'abbo in grado, mentr'io vivo, E de vu sin che ho vita parlare
Convien che nella mia lingua si scerna. Con quel cuor grato che restà me xe.
Ciò che narrate di mio corso scrivo, El pronostico vostro legnerò
E serbolo a chiosar con altro testo Con qualc'altro, per farmelo spiegar
A donna che '1 saprà, s'a lei arrivo. Da una donna, se da eia ariverò : 90
Tanto vogl' io che vi sia manifesto, Solo vói che sapie, che mi al voltar
Pur che mia coscienza non mi garra, De la sorte, son sempre parechiù,
Ch'alia fortuna, come vuoi, son presto. Se la consienza no me voi falar.
Non è nuova agli orecchi miei tal'arra : Mi za a ste cosse so oramai usà;
Però giri fortuna la sua rota La so rua la fortuna pur rerolta, 95
Come le piace, e il villan la sua marra. E '1 vilan la so vanga a volontà.
Lo mio Maestro allora in sulla gota La testa indrio '1 Dotor alora el volta
Destra si volse indietro, e riguardommi; A (I rHa; el m'ha vardà, po'l dise: Quanto
Poi disse : Bene ascolta chi la nota. Quei, che lo marca, ben l'aviso ascolta.
Nè per tanto di men parlando vommi Con Uni n ri i i parlando, tanto e tanto 100
Con ser Brunetto, e dimando chi sono Vago via ; e chi xei, mi ghe domando,
Li suoi compagni più noti e più sommi. I so compagni che i xe in fama tanto.
Ed egli a me: Saper d'alcuno è buono; E lu : Ne vegnerò qualcun chiamando :
Degli altri fia laudabile il tacerci, De i altri megio laser xe oramai,
Che '1 tempo saria corto a tanto suono. Ch'el tempo ne andarave via mancando. 105
In somma sappi, che tutti fur cerchi, Sapi insomma, che tuli sti danai
E letterati grandi e di gran fama, Chiereghi stadi e leterati in fama,
D'un medesmo peccato al mondo lerci. Del pecà istesso al mondo i s" ha sporcai.
Priscian sen va con quella turba grama, D'Acorso va e Pressian tra quela grama
E Francesco d'Accorso anco ; e vedervi, Trupa, e veder qua star in penitenza, 1ÌO
S'avessi avuto di tal tigna brama, Se mai de sta sporchisia ti ga brama,
Colui potei che dal Servo de' Servi Ti poi colù che per papal sentenza,
Fu trasmutato d'Arno in fiacchiglione, Vói dir, Vescovo Andrea, descazzà fora

89 con tIualc' altro = cioè coll'altro pronostico fattogli da FaKnata al C. X v. 79 e seguenti.


90 Da una dona - aiiudisi a Beatrice.
91 vài = voglio.
95 hi io ma = la -un ruota.
109 D'Acorso va e Praiian = Francesco d'Accorso fu valenlc giureconsulto, e ingegnò leggi a Bologna Ilovn
mori nel 1294. Fu figlio del celebre Accorso o Accursio chiosatore e illuminatore Ili Kagion Civile. Prisciano, gram
matico del secolo VI.
113 Vacavo Andrei = Andrcn de Mozzi Vescovo di Firenze, elic dal Papa fu trasìocato da Firenze posta
sull'Arno, a Viccuza presso cui scorre il (lacchigliene : deìtcazzà • caccialo.
CANTO xvt. 71
Ove lasciò li mal protesi nervi. Da Firenze, l'è sta mandà a Vicenza,
Di più direi; ma il venire e il sermone Dove snervà '1 xe morto. De più ancora Ila
Più lungo esser non può, però ch'io veggio Diria e no posso, perchè vedo là
Là surger nuovo fummo dal sabbione. L'n uovo fumo a quel sabion de sora.
Gente vien con la quale esser non deggio : Vien zente, e star con eia m'è negà ;
Sieti raccomandato il mio Tesoro, EI mio Tesoro sol te racomando,
Nel quale io vivo ancora ; e più non cheggio. Nel qual vivo anca adesso. Ma mi za 120
Poi si rivolse, e parve di coloro Altro no vói: dopo dai soi tornando,
Che corrono a Verona il drappo verde L'è corso come quei che in su la tera
Per la campagna ; e parve di costoro Core a Verona el Drapo Verde, e andando,
Quegli che vince e non colui che perde. D'eli ha parso chi vince la bandiera.

119 i:l mio Ttsoro - un libro intitolato: 11 Tesoro. È questo una specie di Encielopedia, in cui l'autore ha
Yoluto raccogliere tulio lo scibile de' suoi tempi. È scritto in francese, ma nel suo originale non è stato mai edi
to; ne abbiamo la traduzione fatta da limiti Giamboni.
122-123 L'è corso come iIùci ce. = Solca in antico farsi in Verona il Palio del Drappo Verde la prima
Domenica di Quaresima. La corsa si facca a piedi.

CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Tre grandi alme al Poeta fan richiesta Tre gran aneme a Dante ghe domanda
Della sua patria : a quelle esso risponde De la so patria: in modo tal respondo
Cosi, che in esse meraviglia desta. Da farghe a lore maravegia granda.
Poi con Virgilio giunto, ovo dell'onde' Po, dove a strepitnr se sente l'onde
Si ode il romor. questi una fune cala Zonti eli do, Virgilio per segnai
Per cenno, e tosto al cenno corrisponde Cala una corda; al qual po corisponde
Gerione, e all'in su dispiega l'ala. Vegnindo in su Gerion, bruto anemal.

Già era in loco ove s'udia il rimbombo Gera in dove un rebombo se sentia
Dell'acqua che cadea nell'altro giro, D'aqua, che in st'altro ziro la cascava,
Simile a quel che l'arnie fanno rombo ; Come al bozzo el ruzor l'ave farla;
Quando tre ombre insieme si partiro, Co tre spirili in t'un se destacava
Correndo, d'una torma che passava Da la so trupa, che passava solo
Sotto la pioggia dell'aspro martiro. Al martirio del fogo : Ognun cigava :
Venian ver noi ; e ciascuna gridava : Fermile ti, corendo a nu de troto,
Sostati tu che all'abito ne sembri Che a la vesta per un te se poi tor
Essere alcun di nostra terra prava. De quel nostro paese assae galioto.
Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri Che piaghe vechie e fresche, o Dio, che oror, 10
Recenti e vecchie dalle fiamme incese ! In quei corpi la Rama ha mai stampae !
Ancor meno duol, pur ch'io me ne rimembri. Solo in pensarlo se me strenze el cuor.
Alle lor grida il mio Dottor s'attese, Se ga '1 Mestro, sentindo ste cigae,

1 ritomiio =. rimbombo.
3 bozzo = alveare, cassetta dentro cui le api fabbricano il mele e la cera — ruzor = ronzio = ave = api.
4 Co = quando = m /'nn = simultaneamente.

/
72 DELL

Volse il viso ver me, e: Ora aspetta, Fermà ; po : Aspeta, el dise, usar sta ben
Disse : a costor si vuole esser cortese : La cortesia con st'aneme dauae : 15
E se non fosse il fuoco che saetta E se no fusse el fogo che zo vien
La natura del luogo, i' dicerei, Per sto sito, dirave, quando mai,
Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta. Che più d'eli aver pressa a ti convien.
Ricominciar, come noi ristemmo, ci La vechia solfa, apena nu fermai,
L'antico verso; e quando a noi fur giunti, I renova, e co arente i n'è vegli ui, 20
Fenno una ruota di sè tutti e Irei. Una roda fa d'eli i tre danai.
Qual suolen i campion far nudi ed u"hti, Come i biavi da pugni usa onti e nui
Avvisando lor presa e lor vantaggio, Studiar i colpi che i voria molar
Prima che sien tra lor battuti e punti ; Con so pro, avanti d'esserse batui ;
Così, rotando, ciascuna il visaggio Tuli tt'gniva el viso nel zirar 25
Drizzava a me, si che in contrario il collo Su mi, in modo circi colo revoltù
Faceva a' pie continuo viaggio. Al roverso dei pie doveva andar.
Dch, se miseria d'esto loco sollo Se sto misero logo insahionà,
Rende in dispetto noi e nostri preghi, Sto muso brustolio, un d'eli ha dito,
Cominciò l'uno, e '1 tinto aspetto e brollo; Nu e '1 nostro prego desprezzar ne fa; 30
La fama nostra il tuo animo pieghi El nome nostro da la fama scrito,
A dirne chi tu se', che i vivi piedi Chi ti xe fazza dirne, che per questo
Così sicuro per lo Inferno freghi. Ti ziri, vivo e franco, orido sito.
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, Questo, del qual le poche qua mi pesto,
Tutto che nudo e dipelato vada, Siben nudo e spelà qua atorno ci vada, 35
Fu di grado maggior che tu non credi. L'è sta più che ti credi omo de sesto:
Ncpote fu della buona Gualdrada : N erodo el gera a la bona Gualdrada;
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita (iuidoguera. el ga nome, e gran campion
Fece col sonno assai e con la spada. El xe sta col saver e co la spada. "
L'altro ch'appresso me l'arena trita, St'altro, che a mi vicin zapa el sabion, 40
E Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce Xe Teghiaio Aldobrandi, e là de sora
Nel mondo su dovrebbe esser gradita. I dovria a la so vose dar rason.
E io, che posto son con loro in croce, E mi che d'eli go l'egual malora,
Jacopo Rusticucci fui: e cerio Giacomo Itusticuci son: e qua

19 La vechia unifa = il solito lamento.


20 co = quando.
22 i bravi da pugni — pugilato!'i.
23 molar = qui sta per vibrare.
3'1 poche — orme, impressioni del piede.
36 nmo de sesto :.- uomo di vaglia.
37-38 Gualdrada = fu figlia di llellincion Berti de'Ravignani nobile fiorentino. Si maritò a Guido il vec-
i-Ino, la cui origine era d'una famiglia gcrmamca passata in Italia con Gitone I. e da quel matrimunio di .,-r-'-
la stirpe dei Conti Guidi signori del Casentine e di molte castella in Val d'Arno. Tra gli altri figli di Gualdrada
fu Ruggieri, da cui poi Guidoguerra valoroso e prode soldato, ch'ebbe molla parte nella vittoria di Carlo d'An-
giò sopra ìi.mi'iT.ii a Benevunto nel 12(50 (nUSCIII).
•IO znjin = ciden: il pestare co' piedi.
41-12 Teyliiaio Aldobrandi— fu uno della famiglia Adimari. Fu prode capitano: consigliò Fimize e. non furo
l'impresa contro i Sanesi; mo non avendo i liorcntini eseguilo il suo consiglio, furono rotli ul fiume Arbia (nUircui).
•11 Giacomo Ritìtlfcuci — lacopo Rusticucci fu ricco ed onorato cavaliere fiorentilo elic dall'orgoglio e ritrosiu
della moglie fu spinto al brnlai vizio di che qui si ragiona, cioe della, sodomia. Pare elic molli a quel lenqio
per simil eausa abbandonassero le mogli, e si dessero a qucli'alihominazionc (nmnn).
CA?iTO XVI. 73
La fiera moglie più ch'altro mi nuoce. Per la mia mugier stramba, solo e sora 45
S'io fussi stato dal fuoco coverto, Me bruso. Se dal fogo fusse sta
dittato mi sarci tra lor disotto; Coverto, andà saria -io da la riva
E credo che '1 Dottor l'avria sofferto : Tra eli, e credo, el Dotor m'avria lassà :
Ma perch'io mi sarei brucialo e cotto, Ma '1 limor de brusarme in carne uva,
Vinse paura la mia buona voglia, M' ha consegià de sofegar la vogia 50
Che di loro abbracciar mi facca ghiotto. Ben granda d'abrazzarli che sentiva.
Poi cominciai : Non dispetto, ma doglia E digo : No desprezzo, no, ma dogia
La vostra condizion dentro mi ;•n -.r Me dà sia brula vostra condizion,
Tanto, che tardi tutta si dispoglia, Che per un pezzo me darà al cuor nogia ;
Tosto che questo mio Signor mi disse E dogia ho avua, quando sto mio paron 55
Parole, per le quali io mi pensai, Me n'ha parlà; e qual se, mi za pensava
Che, qual voi siete, tal gente venisse. Che fussi zente de repulazion.
Di vostra terra sono; e sempre mai Son del vostro paese ; mi imitava
L'ovra di voi e gli onorati nomi Sempre l'opere vostre, e con afeto
Con aflezion ritrassi ed ascoltai. . V ho onorà, e '1 nome vostro proelamava. 60
Lascio lo i'rli-, e vo pei dolci pomi Lasso l'amaro, e vago a quel diletò
Promessi a me per lo verace Duca; Dolce ben ch/el mio Mostro m'ha promesso;
Ma lìno al centro pria convien ch'io tomi. Ma calar prima al centro son costrelo.
Se lungamente l'anima conduca Ch'el viver longo vegna a ti concesso,
Le membra tue, rispose quegli allora, I. ' responde, e anca dopo la to morte 85
E se la fama tua dopo te luca, Se spanda el nome too ; ma di" se adesso
Covtesia e valor, di', se dimora A Firenze regnasse mai per sorte
Nella nostra città sì come suole, La zentilezza e la prodezza ancora,
O %e del tutto se n'è gito fuora 1 O i gabla a ste virtù serà le porte 1
Che Guglielmo Borsiere, il qual si duole Che Gulielmo Borsier, che se dolora 70
Con noi per poco, e va là coi compagni, Qua da poco, u '1 va là con quei danai,
Assai ne crucia colle sue parole. Cosse ci ne conta suso che ne acuora.
La gente nuova, e i subiti guadagni, La nova zentc e i bezzi mal chiapai,
Orgoglio e dismisura han generata, Prepotenza e superbia ha generà,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. Firenze, in li, e za li senti i guai. 75
Così gridai colla faccia levata : Cossi co la testa alta ho sentenzià :
E i tre, che ciò inteser per risposta, Quei che i l'ha avù per un responder netn,
Guatar l'un l'altro, com'al ver si guata. Come chi ascolta el vero, i s' ha vaidà.
Se l'altre volte sì poco li costa, l'o tuli : Se parlà li ha sempre schieto
Risposer tutti, il soddisfare altrui, Cossi, senza te vegna mali adrio, SO
Felice te, che sì parli a tua posta. Ben ti gabi col dir quel che ti ha in peto ;
Però se campi d'esti luoghi bui, Ma al mondo da sto logo maledio
E torni a riveder le belle stelle, Se ti torni, co te giovasse mai

45 mnyu: = moglie. = stramba = stravagaide


SO totcgar = soffocare: qui sta iu'l senso di rintuzzare, reprimere.
52 doyia ^z dolore.
63 al centro = della terra, cioè fino al profando dei l' Inferno.
(57 pi-r sarte — per avventuro.
70 (ìutielino Bonier — Guglielmo Horsici-e fu cavaliere valoroso, gculilu e piacevole in Corte.
74
Quando ti gioverà dicere : Io fui ; De dir : Son sta, gor visto e go seotio ;
Fa che di noi alla gente favelle : Parla a queli de là de nu danai. 85
Indi rupper la ruota, ed a fuggirsi Dopo rota la roda in sul fmir,
Ale sembiaron le lor gambe snelle. Quasi co l'ale ai pie, i xe scampai.
Un vii iu:\ non saria potuto dirsi E i xe stai tanto lesti a scomparir,
Tosto così, com'ei furo spariti : Che manco presto un AMEN se diria ;
Per che al Maestro parve di partirsi. Perciò '1 Mestro ha rissolto de partir 90
Io lo seguiva, e poco eravam iti. Con mi da drio. Un fià avanti andai là via,
Che '1 suon dell'acqua n'era sì vicino, N'è rivà :1 sofl d'un aqua cussi arente.
Che per parlar saremmo appena uditi. Che quasi el parlar forte ne covria.
Come quel fiume, e' ha proprio cammino Come verso Levante quel torente,
Prima da monte Veso in ver levante El qual dal monte Veso in prima ga 95
Dalla sinistra costa d'Apennino, Da zanca d'Apenin la so corente,
Che si chiama Acquacheta suso, avante Per Aquacheta là de su chiamà
Che si divalli giù nel basso letto, Avanti ch'el se scarga in vale bassa,
E a Furii di quel nome è vacante, E altro nome a Forlì ghe vien po dà ;
Rimbomba là sovra San Benedetto Strepitando precipita in gran massa 100
Dall'alpe, per cadere ad una scesa, Sora de San Beneto la Badia,
Ove dovria per mille esser ricetto; Dove starave un mier de frati e passa ;
Così, giù d'una ripa discoscesa, Da una riva de erode là zo via
Trovammo risonar quell'acqua' tinta, D'aqua rossa xe un tal precipitar,
Sì che in poc'ora avrla l'orecchia offesa. Che le rechie insordar presto faria. 105
Io avea una corda intorno cinta, Col pensicr qualche volta de chiapar
E con essa pensai alcuna volta La pantera che ga pele machiada;
Prender la lonza alla pelle dipinta. Gera una corda solito a portar
Poscia che l'ebbi tutta da me sciolta, Atorno ai fianchi, e apena destigada,
Sì come '1 Duca m'avea comandato, Come m'ha ordinà '1 Mestro, a lu la go 110
Persila a lui aggroppata e ravvolta. Sporzesta in t'un balon tuta ingrumada.
Ond'ei si volse in ver lo destro lato, El s' ha voltà sul fianco drito, e po
E alquanto di lungi dalla sponda Fatose al largo da la sponda un trato,
La pillò giuso in quell'alto burrato. La ga stanzada lu quel abisso zo.
K pur convien che novità risponda, Drio quel segnai, ch'el Mestro mio sta in ato 115
Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno De spiar, se ga presto da veder
Che '1 Maestro con l'occhio sì seconda. Dar fora, tra mi digo, un novo fato.

92 N' è rivà 'I nOH ±1 ei giunse il suono = urente = vicino.


94-102 Come verta Levante et: = Viene paragonata la rumorosa caduta di Flegetonte dal settimo all'ottavo
cerchio, alla cascata del Montone dell'Appennino sopra la Badia di S. Benedetto. Dal Monte Veso nasce anche il
l'o; l'acqua che da questo discende si chiama Aquacheta fmchè scorre in alto e prima che cada nella valle; e
presso Furii perde quel primo suo nome e diventa il Montone .-— San Btnelo = San Benedetto è un villaggio
uv'chbero signoria un tempo i nobili della Rocca San Casciano e i Conii Guidi: ivi era il Monastero o Badia
i cui Monaci è voce si godessero in pochi le rendite che avrebbero dovuto servire a molti e a più larga ospitalità
(BURCHI).
105 le rechie = gli orecchi.
107 La paniera — vedi C. 1. v. Si.
103-100 Gera uno corda solilo a parlar atomo ai fianchi - La corda cinta ai lombi simboleggia in ge
nerale il combattimento d'una qualche virtù contro il vizio a lei opposto; e nel caso concreto, ritenuto che la
pantera significhi l'Invidia (Vedi la Noia 32 al C. I) la corda sarebbe simbolo della magnanimità, della carità.
Tuie allegoria è tratta dalla Sacra Scrittura, dove trovasi più volte usata. ,
113 Fatatc al larga da la ijiondn un trato. = Preso alquanto di spalio da la sponda.
CAKTO 75
Ahi quanto cauti gli uomini esser denno Oh quanto star in guardia ha da saver
Presso a color, che non veggon pur l'opra, Quei che ha da far con chi no solo ariva
Ma per entro i pensier miran col senno ! A scoverzer le azion, ma anca ci pensier ! 120
Ei disse a me : Tosto verrà di sopra Chi aspeto, el dise, darà su in sta riva
Ciò ch'io attendo; e che il tuo pensier sogna Desso, e la cossa te sarà schiariu,
Tosto ciinurn ch'ai tuo viso si scopra. Che l' i mai: inani ( ii te sugeriva.
Sempre a quel ver e' ha faccia di menzogna La verità, che par una busia,
De' rimni chiuder le labbra quant'ei puote, L'omo no ga da dir, che la figura, 125
Però che senza colpa fa vergogna ; Senza so colpa, del fiabon faria ;
Ma qui tacer noi posso : e per le note Ma qua laser no posso : anzi a dritura
Di questa Commedia, lettor, ti giuro, Zuro, letor, per sta Comedia in rima,
S'elle non sien di lunga grazia vote, Che la possa trovar favor che dura,
Ch'io vidi per quell'aer grosso'e scuro Che go visto vegnir dal basso in cima 130
Venir notando una figura in suso, Per l'aria negra un tal mostro nuando,
Maravigliosa ad ogni cor sicuro ; Da spaventar chi pien de cuor se stima ;
Si come torna colui che va giuso Tal qual el mozzo, co de quando in quando
Talora a solver àncora, ch'aggrappa L'àncora in fondo al mar a molar va
O scoglio od altro che nel mare è chiuso, Chiapada drento un scogio o altro, tornando 135
Che "n su si stende, e da pie si rattrappa. Destira i frazzi in su, da drio ingropà.

126 fiabon = favolone: dicesi di chi racconta favole.


132 jiieu de cuor -- cuor, qui sta per coraggio.
134 molar ---. qui sta per sciogliere.
7G DELL IM-'ER.\0

CANTO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Poichè del cerchio settimo fu chiara Co ben i efeti de IVterna bampa
La condizion. che quello anime pone I ha visti sui danai, al qual tormento
!ii fiamma sempre sì nova eri amara: Tuli se storze, ma nissun lo scampa:
S'adattan su le spalle u Gerione Virgilio in prima, e dopo Dante a stento
I.i due Poeti : egli all'ottava varca, Monta in gropa a Gerìon, che tuti do
E giunte colaggio, le lor persone Dal setimo a l'ottavo cerchio drento
D'una stagliata rocca al pit> discarca. Li scarga in fondo al precipizio zo.
t
Ecco la ficra con la coda aguzza. Eco la fiera co la eoa pontia,
Che passa i monti, e rompe mura ed armi ; Che sbusa el monte e rompe l'arma e'1 muro,
Ecco colei che tutto '1 mondo appuzza. Che luto ci mondo impesta, eco culìa.
Sì cominciò lo mio Duca a parlarmi, Da la mia Guida sto parlar rancuro ;
Ed accennolle che venisse a proda, Po'l segno che la vegna cio ga da, 5
Vicino al lin de' passeggiati marmi: In orlo del batuo a.'zare duro :
E quella sozza imaginc di froda, Quel mostro inganator ci s' ha avanzà
Sen venne, ed arrivò la testa e'1 busto; Con tuto el peto a riva prontamente,
Ma in su la riva non trasse la coda. Ma là su la so eoa noi ga puzà.
La faccia sua era faccia d'uom giusto ; La fazza d'omo giusto el ga e ridente ; 10
Tanto benigna avea di fuor la pelle ; Bela assae xe la pele per de fora ;
E d'un serpente tutto l' altro fusto. E ci resto ga la forma del serpente.
Duo branche avea pilose in (in l'ascelle : Do gran branche pelose el sporze in fora;
Lo dosso e '1 petto ed ambedue le coste Schena, peto e le bande fa vedèr
Dipinte avea di nodi e di rotelle. Come de gropi e scudi i se incolora. 15
Con più color sommesse e soprapposte Tartara e Turca zente del mestier,
Non fer mai in drappo Tartari nè Turchi, A colori alti e bassi ha mai tessuo
Nè fur lai tele per Aragne imposte. Drapi eguali, nè Aragne sul teler.
Come tal volta stanno a riva i burchi, Nei burchi a riva mai ve seu imbatuo,
Che parte sono in acqua e parte in terra; Che parto in lera e parte in aqua i sguazza ; 20
E come là tra li Tedeschi turchi E nel Castor che al pesse vivo e cruo
Lo bevero s'assetta a far sua guerra ; Sta pronto drio'l Danubio a dar la cazza?
Così la fiera pessima si stava Cussi '1 bestion su l'orlo in piera stava,
Su l'orlo che, di pietra, il sabbion serra. Che zira atorno a la sabiosa piazza.

1 In questa 1lerà i simboleggiata In frode che si fa strada ovunque = eoa pontia — coda aguzza.
3 calia - - colei. .
4 rancuro — colgo.
6 del batuò arsure duro .-- cioè dell'argine pietroso sul quulc Dante e Virgilio aveano camminato (batIuto
l'argine).
9 noi ga puzà — non poggiò.
10 La fazza - la faccia.
18 Aragne = celebre tessitrice di l.idin, elic fu da Pulhide cangiata in ragno, giusta la storia mitologica -
Ieler = telujo.
19 Ve sco = vi siete = imbalun — incontrato a caso.
£1 Cattar — queslo animale ha la proprietà di ti. ir la caccia ai pesci stando colla nula nell'acqua. Diersi
che la coda di questo animale renda oli-osa l'acqua alla quale poi corrono mgordamente i pesci = per dar la
cazza = per dnr la caccia.
2Z drio'l Danubio = lungo il Danubio, fiume settentrionale.
CANTO xvii. 77
Nel vano tutta sua coda guizzava, Tuta quanta in tei vodo bulegava 25
Torcendo in su la venenosa forca La soa voltada in su eoa inforcada,
Che a guisa di scorpion la punta armava. Ch'el so velen, com'el scarpion, portava
Lo Duca disse : Or convien che si torca In ponta. Dise el Mestro : Da la strada
La nostra via un poco in li un a quella Convien desso che un lià nu se storzemo
Bestia malvagia che colà si corca. Sin là che sta la bestia colegada. • 30
Però scendemmo alla destra mammella, A la drita perciò tirai se semo,
E dieci passi femmo in sullo stremo E per podcr scansar fogo e sabion,
Per ben cessar la rena e la liammella: Diese passi su l'orlo fato avemo.
E quando noi a lei venuti semo, Zonti apena vicini al gran bestion,
Poco più oltre veggio in su la rena Go visto in su la sabia un lui più in là, 35
Gente seder propinqua al luogo scemo. Darente al vodo star zente in senton.
Quivi '1 Maestro: Acciocchè tutta piena Aciò ti gabi, dise el Mestro qua,
Esperienza d' esto giron porti , Piena l'idea de questo ziro In testa,
Mi disse, or va, e vedi la lor mena. A veder la so sorte adesso va.
Li tuoi ragionamenti sieh là corti, Con quei conversazion fa curta e lesta : 40
Mentre che torni parlerò con questa, Dirò, sin che ti torni, a sto anemal,
Che ne conceda i suoi omeri forti. Che'l forte so gropon a nu l'impresta.
Così ancor su per la strema testa Solo cussi al LUI 1 i li i i de l'infernal
Di quel settimo cerchio, tutto solo Setimo cerchio vago tra la gente
Andai, ove sedea la gente mesta. . Meschina, che in senton pianze el so mal. 45
Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo: Mostrava i ochi el gran dolor che i sente ;
Di qua, di là soccorrien con le mani, D'ogni banda dal fogo co le man
Quando a' vr.pori, e quando al caldo suolo. Pararse i studia o dal sabion ardente. '
9
Non altrimenti fan di state i cani, Cussi col muso e co le zate el can
Or col ceffo, or col pie, quando son morsi Se difende d' istà dai morsegoni 50
O da pulci o da mosche o da tafani. Del puisc, de la mosca, o del tavan.
Poi che nel viso a' certi gli occhi porsi, Gnanc'uno tra i scotai da quei lincimi
Ne' quali il doloroso fuoco casca, N'ho conossù per quanti ghe ne ochiasse;
Non ne conobbi alcun ; ma io m' accorsi Ma m' ho incorto che a ognun de quei briconi,
Che dal collo a ciascun pendca una tasca, Una borsa dal colo pendolava 55
Ch'avea certo colore e certo segno, Tute marcae col so color e insegna,
E quindi par che il loro occhio si pasca. E con granda passion se la vardava.
E com' io riguardando tra lor vegno, Diversi mi passandone in rassegna,
In una borsa gialla vidi azzurro, L'na borsa zalona co un limi

25 bulegava •-- guizzava.


20 un fià - un tantino.
30 colegada = coricala.
34 zonti = giunti, pervenuti.
35 tw /m ln» in là — un po' più Min'.
36 Barrate = dappresso = i'n smtun = a sedere.
42 gropon = groppa 'Irli",miinali-.
48 Parane — diri-tldcrsi.
4'J co le zate — colle zampe.
50 d' istà = d'estate = dai morscgoni =1 dui morsi.
51 Del pulsc : - della pulce = del lavan = del tafano.
55 pendolava = penzolava.
56 l1uà bona ece. - allude all'arma del propria colore dulia famiglia di ciascuna di quei dannati.
55 :alun:i = di cvlor giallo carico.
78 DELL' INFERNO
Che di l'ione avea faccia e contegno. Turchin go visto : l'ochio mio po segna 60
Poi procedendo di mio sguardo il curro, Un altra più del sangue rossa, con
Viiiim: un' altra più che sangue rossa Un oca cussi candida de pena,
Mostrare un' oca bianca più che burro. Ch'el late perderave al paragon.
Ed un, che d' una scrofa azzurra e grossa Un co una trogia celestina e piena,
Segnato avea lo suo sacchetto bianco, Stampada sora la so borsa bianca, 65
Mi disse : Che fai tu in questa fossa ? Me dise : Cossa mal qua zo te mena ?
Or te ne va : e perchè se' vivo anco, Va : ma za che la vita no te manca,
Sappi che '1 mio vicin Vitaliano Sapi, ch'el mio vlcin Vitallan
Sederà qui dal mio sinistro fianco. Se senior;'i, co '1 mor, qua a la mia zanca.
Con questi fiorentin son Padovano ; Son, tra sii Fiorentini, Padoan : 70
Spesse fiate m'intronan gli orecchi, Spesse volte i me insorda a tuto lià
Gridando : Vegna il cavalier sovrano, Cigando : Vegna el cavalier sovran,
Che recherà la tasca coi tre becchi: Che la borsa a tre bèchi ci porterà.
Quindi storse la bocca, e di fuor triisso I'n, drio un sberlefo, el trà la lengua fora,
La lingua, come bue che '1 naso lecchi. Come in llcarse el naso el manzo fa. 75
Ed lo, temendo noi più star crucciasse Ma tornar dal Dotor gera za l'ora,
Lui che di poco star m'avea ammonito, Che de star via poco elo avisà m'aveva,
Torna'mi indietro dal I" anime lasse. E aciò noi cria li go Impiantadi aloni,
Trovai lo Duca mio ch'era nalito Rivà apena da lu, montà '1 vedeva
Già sulla groppa del nero animale, Za belo in gropa de la fiera, e a mi : 80
E disse a me : Or ste forte ed ardito. Fa cuor, che per ste scale qua, '1 oUseta,
Omai si scende per sì fatte scale : Andemo oramai xoso ; monta ti
Monta dinanzi, ch'io voglio esser mezzo, Davanti, e mi restandote da drio,
Si che la coda non possa far male. Nissun mal te farà la eoa cussi.
Quale colui, ch' è sì presso al rlprezzo Come chi da la freve ingritolio, 85
Della quartana, e' ha già l' unghie smorte, Le ongie el ga smorte, e un fredo gran tremor
E triema tutto pur guardando 11 rezzo ; Solo l'ombra in t an lar el s' ha sentio ;
Tal dlvenn' lo alla parole porte ; Cussi giazzà m' ha ste parole el cuor :
Ma vergogna mi fer le sue minacce, Ma al rimprovero suo m' ho vergognà,
Che innanzi a buon signor fa servo forte. Che '1 bon paron fa bravo el servitor. 90
Io m'assettai in su quelle spallacce : Su la schena del mostro son montà :
Sì volli dir, ma la voce non venne Brazzime, volea dir, ma no ha possudo
(Inin' io credetti : Fa che tu m'abbracce. La mia vose vegnir che per melà.
Ma osso ch' altra volta mi sovvenne Lu però, ch' el m' ha ancora sostegnudo,
Ad allni. fmir, tosto ch'io montai, Conzà apena me son là sora via, 95
Con le braccia m'avvinse e mi sostenne: Tra i so brazzi ben strelo el m' ha tegnudo.

64 co = con = Ironia = scrofa. Questi elie parla è Rinalda Scrovigni di Padova, avente per nlemma la
Scrofa aziurra in fondo manco — piena - gravida.
68 Vitalian = Vilaliano del Dente, padovano, grande nsurajo, vicino di casa del dello Rinaldo Scrorigui.
09 Se xmierà = siedera.
71 a lutto fià = a tulin possa.
72-73 i-i eavalier tovran - detto ironicamenle: quesli è Giovanni Duiamontc cavaliere floreutino, il più ls-
dro usuraio di que' tempi. La sua arma si compone di Ire rostri di uccello.
74 drio un tberlefo = dopo un contorcimento di bocca.
78 noi (ria = non sgridi.
85-86 ingritulio = rannicchialo. — L'mrIit — L'unghie.
95 Couzà a|ima — acconciato appena.
CANTO XVII. 79
E disse : Gerlon, moviti omai : Po'l dise: Va Geriòn, e fa che sia
Le ruote larghe, e lo scender sia poco : Larghi i to ziri, movile adasieto,
Pentia la nuova soma che tu hai. E pensa al cargo che ti porti via.
Come la navicella esce di loco Com' ci batel se starga dal tragheto 100
In dietro in dietro ; sì quindi si tolse ; Reculando a pianin, s' ha inulà istesso
E poi ch'ai tutto si senti a giuoco, Gerion; e co'l s'ha visto al largo, el peto
Là 'v'era il petto, la coda rivolse, Dove gera la eoa proprio'l ga messo,
E quella tesa, come anguilla, mosse, Che destesa a bisata se moveva
E con le branche l'aere a sè raccolse. Cbiapando l'aria co le branche spesso. 105
Maggior paura non credo che fosse, Credo piv.o paura no gaveva
Quando Fetonte abbandonò li freni, Fetonte, che ha molà presto le brio,
Perchè '1 eiel, come pare ancor, si cosse : Co '1 ciel, come ne vede ancora, ardeva :
Xè quand' Icaro misero le reni Nè Icaro quando in aria s' ha sentie
Senti npennar per la scaldata cera, Scolar le pene, e'1 pare drio ghe urlava HO
Gridando il padre a lui : Mala via tieni ; Co angossa: Ti va mal, visiere mie;
Che fu la mia, quando vidi ch' i' era De quela che go avua, co me trovava
VII" aer d'ogni parte, e vidi spenta luto tornià da l'aria, e no vedeva
Ogni veduta, fuor che della fiera. Che la bestia che intorno la nuava
Ella sen va notandp lenta lenta; Adasio adasio in zozo; e no me aveva 115
Ruota e discende, ma non me n ' accorgo, Gnanca incorto de moverne, se no
Se non ch'ai viso, e di sotto mi venta. Dal vento che de solo me sbateva
l'sentia già dalla man destra il gorgo E in viso. D'aqua a la mia drita po
Far sotto noi un orribile stroscio, Un ni-idn fracasso go sentio
Perchè con gli occhi in giù la testa sporgo. Solo a nu ; perciò testa e ochi in zo 120
Ailui- fu' io più timido allo scoscio : Go sporto. M' è vegnudo un tremolio
Perocch' io vidi fuochi, e sentii pianti ; Co ho visto foghi e go sentio gran pianti;
Ond'io tremando tutto mi raccoselo. E chiapà dal tremor me so ingrotio.
E vidi poi, che noi vedea davanti, Po in calar, quel che no vedeva avanti, ^
Lo scendere e'1 girar, per li gran mali Tormenti in fondo a quel' aerea scala 125
Che s' appressavan da diversi canti, Per tutto vedo, e sento cighi tanti.
Come'l falcon ch' è stato assai sull'ali, Come un pezzon restà sempre su l'ala
Che, senza veder logoro o uccello, Senza richiamo e preda, indespetio
Fa dire al falconiere : Oimè tu cali : Straco morto el falcon zoso se cala,
Discende lasso, onde si muove snello Dove ci volo l' ha tolto su con brio, 130
97 Geriòn = Gci-ione re di Spagna, Impiun i Poeti aver avuto Ite corpi, ed essere stato astutissimo; il per
chè fatto simbolo della frode, t posto dal poeta a guardia dell'otiavo cerchio dei fraudolenti. Dante, tra i vio
lenti contro il prossimo pone i Centauri, tra i suicidi le Arpie; e quasi a passaggio tea l'alto inferno e Djla
Flegins; dagli eretici ai violenti il Minotauro: e qui dui violenti ai fraudolenti Gcrione.
101 Iteculando = riunii. nulo.
104 tiiata - anguilla.
107 Fetonte — personaggio mitologico: ebbe vaghezza di guidare il carro del Sole condotto da Apollo, ma
inesperto, avvicinatosi troppo al rii-In ue. arse una parte.
108 Co '/ del = quando il cielo.
109 lcaro -- altro personaggio mitologico: trovandosi chiuso in un Laberiuto, ni potendo trovarvi uscita, si
addotto le ali con dulia cera, e spiccato il volo si avvicinò tanto al Sole il cui calore liquefacendo la erra, stramazzò,
110 e/ pare -.- il padre del detto Icaro.
113 /ornià - circondato.
122 Co = quando = chiapà = preso.
123. me so iagroiio = mi sono accosciato, e ristretto le spalle sopra la lesta.,
125 aerea scala *= detto «'guittamente.
80 DKLL INFERNO
Per conio ruote, e da lungi si pone E'1 va dal falconicr da lon/i un fii,
Dal suo maestro disdegnoso e fello : Al qual fa dir: Ti »c calà, per sbrio:
Così ne pose al fondo Gerione Cussi Gerion al pie ne ga puzù
A piede a pie della stagliata rocca, Del precipizio, e co del Mestro mio
E, discarcate lo nostre persone, E de mi bravamente s'ba scarpà, 135
Si dileguò, come da corda cocca. Come frezza da l'arco el x? sparlo,
131 da lonzi un fìà - - - un po da lungi.
132 per ibrlo — mmio di affermazioin', e vale per Dio, affé.
134 co : quando.

CANTO DECIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Chi trapge allo sue voglie, od alle altrui, De la scurii i rulìani ga rl castigo,
Femmina con inganno, ha qui la pena E de le done i infami sedutori:'
Sotto la sferza, dei peccati sui. Ogni scuriada ghe fa trar un clpo.
Pirt oltre poi gli adulatori mena Piii avanti sta a penar i adulatori
I.or colpa al fondo d'una fossa lorda In fondo a un fosso d'escrementi umani:
D'alta immondezza, e tal feccia ripiena, A la materia e ai so fetonti odori
Che col parlar fallace b™ s'accorda. Ailatai xa i disoorsi de qivi cani.

Luogo è in inferno, detto Malebolge, Ghe xe a l'Inferno un logo luto in pipra,


Tulio di pietra di color ferrigno, Color del fero, Malabolge dito,
Come la cerchia che d'intorno il volge. Come anca ci cerchio che quel logo sera.
Nel dritto mezzo del campo maligno Proprio nel mezo de quel bruto sito,
Vaneggia un porto assai largo e profondo, S'avre un pozzo assae largo e assae profondo ; 5
Di cui suo loco dicerò l'ordigno. Com'el sia fato el xe a so logo scrito.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo Quel spazio che là rosta donca 6 tondo
Tra '1 po/7u e '1 pie dell'alta ripa dura, Tra '1 pozzo e '1 pie de l'alta dura riva,
Ed ha distinto in dieci valli il fondo. E '1 ga in diesa valae spartido el fondo.
Quale, dove per guardia delle mura Come ai castei per arte difensiva 10
Più e più fossi cingon li castelli. /ira atorno più fossi, e al teren fa
La parte dov'ei son rende figura ; Che una certa figura ghe deriva;
Tale imaginc quivi faccan quelli. Cossi i valoni figurava là.
E come a lai fortezze dai lor sogli E come i ponti dei castei xe moda
Alla ripa di fuor son ponticelli; Che dai portoni a l'altra riva i va; 15
Così da imo della roccia scogli Cossi scogi dal fondo de la eroda,
Movien, che recidean gli argini e i fossi I fossi scavalcai, va in quel pozzon
In Imo al pozzo, che • tronca e raccogli. Coma va a l'asso i ragi d'una roda.
In questo luogo, dalla schiena scossi Xe ga in sto logo descargà Gerion :
Di Gerion, trovammoci; e il Poeta Da parte zanca el mio Dotor se move, 20
Tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. E anca mi drio de lu invià me son.

2 MnltrmliIr =r parola composta; significa: triste bolge.


CANTO XVI ft.
Alla man destra vidi nuova pieta; A drita ho visto gran malore nove ;
Nuovi tormenti e nuovi frustatori, Novi tormenti e novi frustadori,
Di che la prima bolgia era repleta. Chejimpiniva la prima bolgia, dove
Nel fondo erano ignudi i peccatori : Là in fondo mi i ghe gera i pecatori: 25
Dal mezzo in qua ci venian verso '1 volto, Dal mezzo a nu vini tanti de fazzada,
Di là con noi, ma con passi maggiori : Tanti drio nu, ma più corea costori.
Come i Roman, per l'esercito molto, L'ano del Giubileo cussi formada
L'anno del Giubbileo, su per lo ponte Roma al ponte Sant'Anzolo gavera,
Hanno a passar la gente modo tolto; Per dar sfogo a la zente, dopia strada : 30
Cbe dall'un lato tutti hanno la fronte Una per chi a San Piero andar voleva,
Verso '1 castello, e vanno a Santo Pietro, L'altra per quei, che nel tornar indrio,
Dall'altra sponda vanno verso '1 monte. El monte là de lazza ochiar podeva.
Di qua, di tà, su per lo sasso tetro Qua e là vedo per quel logo impetrici
Vidi dimori cornuti con gran ferze, Cornui demoni de stafii armai, 35
Che 1i battean crudelmente di retro. Menarghe zo de scuria per da drio.
Ahi come facèn lor levar le berze Oh ! come che i saltava quei danai
Alle prime percosse ! e già nessuno A le prime batue! nissun spelando
Le seconde aspettava nè le terze. Le seconde e le terze stava mai.
Mentr'io andava, gli occhi miei in uno l'ini tra quei ghe n'ochio caminando, 40
Furo scontrati; ed io sì tosto dissi: E malapena ochià, tra de mi stesso
Già di veder costui non son digiuno. Che l' ho visto de qua vago pensando.
Perciò a figurarlo i piedi affissi : Perciò fermà a fissarlo me so messo;
E ì dolce Duca meco si ristette, E '1 Dotor, che con mi s' ha anca fermà,
E assentì ch'alquanto indietro gissi. De tornar un fià indrio m'ha dà '1 permesso. 45
E quel frustato celar si credette, De sconderse el pensava quel frustà
Bassando '1 viso, ma poco gli valse : Tegnindo el viso ih zo, ma invanamente,
Ch'io dissi: Tu che l'occhio a terra gette, Che bo dito : O ti col viso in zo butà,
Se le fazion, che porti, non son false, Se ben le to fatezze legno a mente,
Venedico se' tu Caccianimico ; Venedico ti xe Cacianemigo : 50
Ma che ti mena a sì pungenti salse? Ma qual pecà t'ha spento tra sta zente?
Ed egli a me : Mal volentier lo dico ; E lu: Malvolentiera te lo digo;
Ma sforzami la tua chiara favella, Ma me ghe sforza la lo lingua bela,
Che mi fa sovvenir del mondo antico. Che me fa recordar ci mondo antigo.
i fui colui, che la Gh'isola bella Quel mi son, che Ghisola mia sorcia 55
Condussi a far la voglia del Marchese, Go tirà a far le vogie del marchese,
Come che suoni la sconcia novella. Siben che i mua l'assae bruta storiela.
E non pur io qui piango Bolognese : Ma no pianzo qua solo Bolognese;

25 .mi = nudi.
28-33 l'ano del Giubileo -.- cioè nel 1300 Bouil'uzio Vili fece dividere per lo lungo il ponte Castel San-
l'Angelo con uno spurlimento e con quest'online: che dall'una parte del ponte passassero quelli elic andavano
verso San Pietro, e dall'altra quelli che tornavano, andando verso il monte Gianicolo, o come altri dicono, il
monte Giordano.
45 un /ni indrio - - un poco in dietro.
46 frutta = cialtrone, tristo.
50-56 \ (.Mdien li xe Caeianenu'go = Venedico Caccianimico bolognese, per avidità di danaro indusse sua so
rella chiamata la bella Ghisola ad appagare le voglie del marchese Obizo d'Este signore di Ferrara = t'ha sgculo
- ti spinse.
82 DELL' INFERNO
Anzi n'è questo luogo tanto pieno, Che de eli xe sto logo tanto pien
Che tante lingue non son ora apprese Che no ghe ne xc tanti in quel paese 60
A dicer SIPA tra Savena e '1 Reno : Che dise SIPA Ira Savena e '1 Ren :
E se di ciò vuoi fede o testimonio, E se mai una prova ti voi bona,
Recali a mente il nostro avaro seno. A la nostra avarizia pensa ben.
Così parlando il percosse un demonio Insin ch'el parla un diavolo ghe sona
Della sua scuriada, e disse : Via, l'na scuriada, e dopo a lu : Va via, 65
Ruffian, qui non son femmine da conio. Rulian, che qua da bezzi no gh'è dona.
10 mi raggiunsi con la scorta mia : A razonzer so andà la Guida mia:
Poscia con pochi passi divenimmo, E dopo pochi passi rivai semo,
Dove uno scoglio della ripa uscia. Dove un ponte da l'arzare sortia.
Assai leggieramente quel salimmo, Sora quelo adasieto nu montemo, 70
E volti a destra sopra la sua scheggia, E voltai sora la so eroda a dreta,
Da quelle cerchie eterne ci partimmo. Del muro el pozzo abandonà gavemo.
Quando noi fummo là, dov'èi vaneggia Quando i pie nostri in cima al colmo i pela,
Di sotto, per dar passo agli sferzati, Che avre de solo el passo ai stafilai,
Lo Duca disse : Attendi, e fa che feggia Dise el Dotor: Che i sia qua zonti aspela, 75
Lo viso in te di questi altri malnati, E dopo varda ben sii altri danai,
A' quali ancor non vedesti la faccia, Che no ti ga possù vederli in muso,
Perocchè son con noi insieme andati. Perchè da drio de nu i gera inviai.
Dal vecchio ponte guardavam la traccia, Dal vechio ponte ochiavimo dar suso
Che venia verso noi dall'altra banda, Incontro a nu una fila in st'altra banda, 80
E che la ferza Slmilmente scaccia. Dal stafii scorsizai secondo l'uso.
11 buon Maestro, senza mia dimanda, El Mestro mio senza aspetar domanda,
Mi disse: Guarda quel grande che viene, Varda, ci dise, vegnir quel omenon,
E per dolor non par lagrima spanda : "Che lagrema per dogia par noi spanda:
Quanto aspetto reale ancor ritiene^ Che aria reai l' ha ancora ! el xe Giason, 85
Quelli è Jason, che per cuore e per senno Che pien d'ardir ai Colchi ga robà,
Li C.uklii del monton privali fene. E con gran indriture, el so Molton.
Egli passò per l' isola di Lenno, Per l'isola de Leno el xe passa,
Poi che le ardite femmine spietale Dopo che quele femene bricone
Tutti li maschi loro a morte dienno. Tuli i nnirni soi le ga cupà. 90
Ivi con segni e con parole ornate Là con promesse e con parole bone,
Isifile ingannò, la giovinetta, Lu ga la tosa Isifile tradia,'
Che prima l'altre avea tulle ingannate. Che ha tradie prima tute le altre done :

61 si/iu = è la espressione affermativa dei dlaidio bolognese .- Savena e 'I lini — Savena e il Reno, so
no due fiumi tra i quali giace Bologna con Par(e del suo territorio.
64 ghe tona i gli vibra.
73 t pela — poggiano.
SI ieorzizai — l'ulti correre in furia.
84 per tiogia = per duglia.
85 (ìiason = Giasouc fu quello elic rapi il vrllo d'oro ai Culelii popoli dell'Asia minore, uccidendo il dra
go che vegliava a la sua custodia.
89 quele fcmenc bricone . le donne di Lenno istigate da Venere uccisero tulli gli uomini di quell'isola:
come si vede è questo un fatto favoloso della mitologia.
93 che ha tradir prima tute le altre done = Isi(ilc avea dapprima ingannate (ulte le altre donne, dando
loro a credere di avere ucciso il padre suo Tuante, mentre nascostolo nel Tempio di Bacco, l'aiu(ù poi a fuggire.
CAMO XVIII. 83
LucioUa quivi gravida e soletta : Po impiantada la ga gravia là via.
Tal colpa a tal martirio lui condanna ; Per sto dellto, e aver Medea inganada, 95
Ed anche di Medea si fa vendetta. . Sta pena el ga qua zo : con lu va via
Con lui sen va chi da tal parte inganna : La zente de quel falo impegolada :
E questo basti della prima valle Ma basta de sto logo maledeto
Sapere, e di color che in sè assanna. Saver, e de la zente in lu serada.
Già eravara là 've lo stretto calle Za in dove al secondo arzare el trozelo 100
Con l'argine secondo s'incrocicchia, S'incrosa, son rivà col Mestro mio,
E fa di quello ad un altr'arco spalle. Sul qual arzare altro arco fa tragheto.
Quindi sentimmo gente che si nicchia Zente che susta avemo po sentio
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa, Da st'altra bolgia, e che col muso sbrufa,
E sè medesma con le palme picchia. E co le man se pesta e fa desio. 1 05
Le ripe eran grommate d'una muffa Gera le rive incatramae de nmfa,
Per l'alito di giù che vi si appasta, Per la spuzza che vien dal basso in su,
Che con gli occhi e col naso facea zuffa. Ch'el naso impesta e anca i ochi stufa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci baita Scuro è '1 fondo cussi, che veder nu
L'occhio a veder senza montare al dosso No podeimo se no sora l'arcada 110
Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta. Del scogio, in dove el leva alto de più.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso Là montai, a quel fondo ho dà un ochiada,
Vidi gente attuffata in uno stereo, E ho visto zente in merda sepelia,
Che dagli uman privati parea mono. Che dai condoti da de qua portada
E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco, La pareva. Vardando là zo via, . 115
Vidi un col capo sì di merda lordo, Un ghe n' ho visto in modo tal smerdà,
Che non parea s'era laico o cherco. Che chierego, o no, '1 fusse no capia.
Quei mi sgridò : Perchè se' tu sì ingordo Perchè, '1 me ciga, ti xe più invogià
Di riguardar più me che gli altri brutti ? Mi che no i altri sporchi de fissar ?
E io a lui : Perchè, su ben ricordo, Perchè d'averte visto per de là, 120
Già t'ho veduto coi capelli asciutti, Digo, coi cavei neti a mi me par;
E sei Alessio Interminei da Lucca : Ti xe Alessio da Luca Interminei;
Però t'adocchio più che gli altri tutti. Più de tuti perciò te vói vardar.
Ed egli allor, battendosi la zucca : E lu alora, strapandose i cavei :
Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe, L'adulazion m'ha strassinà qua zoso, 125
Ond'io non ebbi mai la lingua stucca. Che sempre in boca ho avua per questi e tluei.
Appresso ciò lo Duca: Fa che pinghe, Po me dise ci Dotor : L'ochio bramoso
Mi disse, un poco il viso più avante, Spenzi un poco più avanti, e fa ch'el vada
Sì che la faccia ben con gli occhi attinghe A veder ben pulito el viso esoso
Di quella sozza scapigliala fante. De quela sporca dona sgrendenada, 130

34 Po impiantada la ga - poscia l'abbandonò.


95 Medea = figlia di Oda re dei Colehi, che Giasonc pure abbandonò.
101 i-on rimi = cono giunto.
103 i-in- tutta = elic si duole, nicchia, sospira sommessamente.
104 tbrufa = sbuffa.
105 rfcsin = strazio.
117 chiei-ego — chierico.
122 Alatia da Luca luterminri = fu nobile Lucchese, lusinghiero e adulatore sconcio.
130 tgrendenada .-.- scapigliata.
84 BELL' lNFERNO
Che là si graffia con l'unghie merdose, Che se sgrafa co le ongie f. i dei smerdai,
Ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante. Ora in pie, ora in zo stando cufada.
Taida è, la puttana, che rispose La è Taida pulana quanto mai,
Al drudo suo, quando disse : Ho io grazie Che quando domandà ga '1 drudo so:
Grandi appo te ? Anzi meravigliose. Ale xestu grata ? eia ha resposto : Assai. 130
E quinci sien le nostre viste sazie. Ma visto massa avemo nu qua zo.

131 se sgrafa :- si graffia.


132 cufada = rannicchiata.
133 Taida = costei fu meretrice famosa, frosone avea donato a Taiilc una schiava, perciò questi disse a
lei: liai tu a me grand' obbligo! Ella rispose: Anzi ti professo obbligo infmito.
134 ya'l drudo so = ebbe il suo drudo. Come si è avvertito altra volta, il sa viene adoperato in triplice
significato, cioè per: suo, sono (essere) e so papere).

CANTO DEClMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

O Simon mago, o miseri seguaci, O Simon mago, e vualtri de la frogia,


Che patteggiaste per vili tesori Che le cosse de Dio, che destinae
Di sagre cose , si foste rapaci ! Xe per i boni, vU, ladra canagia.
La terza Bolgia a voi serba que* fori Mercantilel Le vostre briconae
Dove ficcate giuso il capo, e il fuoco Paghe a la terza Bolgia co la testa
Succia le gambe, che appaion di fuori, ln co, e le gambe in su slanza iufogae
Nè per lungo guizzar tramutan loco. Qua e la fora dei busi, e la le resta.

O Simon mago, o miseri seguaci, O Simon mago, o vualtri de la fragia,


Che le cose di Dio, che di bontate Che le cosse de Dio, che solo ai boni
Deon essere spose, e voi rapaci Xe destinade, MI, ladra canagia,
Per oro o per argento adulterate; Le vendè, le comprè, veri briconi ;
Or convien che per voi suoni la tromba, Za che in la terza bolgia sè danai, 5
Perocchè nella terza bolgia state. Per vualtri averzo adesso i mii polmoni.
Già eravamo, alla seguente tomba Gerimo de sta bolgia za arivai
Montati, dello scoglio in quella parte, De sora al ponte, e là in quel sito giusto,
Ch'appunto sovra mezzo '1 fosso piomba. ChVi xe a piombo del fosso, anca montai.
O somma Sapienza, quanta è l'arte O sapienza de Dio potente, augusto, 10
Che mostri in ciclo, in terra e nel mal mondo, Che sa nel cielo, in lera e nell'inferno
E quanto giusto tua virtù comparte! Tanto el ben quanto el mal scompartir giusto !
lo vidi per le coste e per lo fondo Le bande e' 1 fondo de quel pozzo eterno
Piena la pietra livida di fori Xe tuli a busi ne la piera scura,
D'un largo tutti, e ciascuno era tondo, Larghi e tondi formai tuli su un perno. 15

1 Simon mago = offerse danari a S. Pietro per acquistare i doni dello Spirito Santo. Da ludi in poi il con
traltare le cose sacre fu detto Simonia = d,' la fragia .- de' suoi seguaci.
5 sè = siete.
6 averfo — apro =- i mii = i miei.
CA^TO XIX. 85
Non mi parèn meno ampi nè maggiori, Queli i pareva, quanto a la misura,
Che quei che son neI mio bel San Giovanni Che xe al mio San Zuane istessamente
Fatti per luogo de' battezzatori ; Per i hai izi. D'uno la rotura
L'un degli quali, ancor non è molt'anni, Pochi ani indrio mi ho fato, ancora ho in mente,
Rupp'io per un che dentro v'annegava : Per salvar un bambin che se negava : 20
E questo sia suggel ch'ogni uomo sganni. E tanto basta per smagiar la zente.
Fuor della bocca a ciascun soperchiava Pie e gambe insin la polpa in fora dava
D'un peccator li piedi, e delle gambe' Dal proprio buso ognun de quei danai :
lniino al grosso, e l'altro dentro stava. Tuto el resto del corpo in drento stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe ; Gera tuli i do pie così infogai, 25
Per che sì forte guizzavan le giunte, Che trando in furia le caichie zonte,
Che spezzate averian ritorte e strambe. Le corde e i venchi i avaria sbregai.
Qual suole il fiammeggiar delle cose unte Come la bampa sora le cosse onte
Muoversi pur su per l'estrema buccia ; Se move solo superficialmente;
Tal era lì da' calcagni alle punte. Dai calcagni anca là la va ale ponte. 30
Chi è colui, Maestro, che si cruccia, Chi è quel, digo al Dotor, che la più ardente
Guizzando più che gli altri suoi consorti, Fiama lo snehi.-i, e che stanzando va
Diss'io, e cui più rossa fiamma succia ? I so pie in pressa più del'altra zente?
Ed egli a me : Se tu vuoi ch'io li porti Te porterò drio l'arzare zo là,
Laggiù per quella ripa, che più giace, Se ti voi, che de st'altro xe più basso, 35
Da lui saprai di sè e de' suoi torti. Me dise, e i fati soi lu te dirà.
Ed io: Tanto m'è bel, quanto a te piace : Paron mio, el piacer too da far no lasso,
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto Digo, el cuor mio ti vedi, e ti sa ben
Dal tuo volere, e sai quel che si tace. Che senza el to voler no movo un passo.
Allor venimmo in sull'argine quarto ; Arh i-mo con lu, che me sostien, 40
Volgemmo, e discendemmo a mano stanca Al quarto arzare, e a zanca se calcimi
Laggiù nel fondo foracchiato e arto. Al fondo, streto assae de busi pien.
E '1 buon Maestro ancor dalla sua anca El Mestro, insin che al buso zonti semo
Non mi dipose, sin mi giunse al rotto De quel, che trà scalzae, el me ga sora
Di quei, che sì pingeva colla zanca. E1 so fianco tegnudo, e là rivemo. 45
O qual che se', che '1 di su tien.di sotto, O frustà, sii chi sia, scomenzo alora,
Anima trista, come pai commessa, Col teston piantà in zoso come un palo,
Comineia'io a dir, se puoi, fa motto. Se ti poi, la parola buta fora.
Io stava come 'l frate che confessa Mi stava com'el confessor, ch'el falo

17 Che xè al mio San Zuane — Nella Chiesa di San Giovanni In Firenze intorno la fonte battesimale
erano quattro pozzetti fatti perche i preti battezzatori stessero più presso all'acqua.
21 tmagiar —. ribattere, confutare.
26 caicni'e zonte = noci IIr i piedi unite.
27 i venchi -= i vinchi, vimini.
28 bampa ..- fiamma.
30 a le ponte = alle punte, alle cime (dei piedi).
43 zonti temo -- giunti siamo.
44 trn tcalzae = lancia calci.
46 tcomenzo = incomincio.
49 Mi sturn nmi' i-i confessar — Tra i crudeli supplizi dell'antichità mivi questo: Si faceva entrare il mal
fattore in una buca a capo in giù al modo che si usa nel propaginarc le viti: geltavasi poscia entro di quella
a poco a poco la terra per soffocarlo. Soleva spesso l'assassino, cosi Ulto, chiamare il confessore: allora i carne
fici restavano dal gettare la terra, e il frate abbassava il capo verso la buca por udire la confessione.

s
86 DELL INFERNO
I .o perfido assassin, che poi ch'è fitto, Scolta de l'assassin da lu chiamà 50
Richiama lui, per che la morte cessa. Per tardigar de la so morte el baio.
Ed ei gridò : Se' tu già costi ritto, Colù ha cigà: Xestu oramai ti qua,
Se' tu già costì ritto, Bonifazio ? Ti qua in pie, Bonifazio ? de più ani
Di parecchi anni mi mentì lo scritto. El pronostico donca m'ha inganà.
Se' tu sì tosto di quell'aver sazio, Oramai t' ha sazià quel che co ingani 55
Per lo qual non temesti tórre a inganno Ti ga ingrumà col trapolar la Chiesa
La bella Donna, e di poi farne strazio ? Per po impilarla tuta de malani?
Tal mi fec'io, quai son color che stanno, A sto discorso go tegnù sospesa
Per non intender ciò ch'è lor risposto, La mente, come chi no intende un cesto,
Quasi scornati, e risponder non sanno. E noi sa cossa dir ne la sorpresa. 60
Allor Virgilio disse : Dilli tosto, Me dise ci Mestro alora : Dighe presto :
.Nun son colui, non son colui che credi : No son quel che ti credi, no son quelo ;
Ed io risposi come a me fu imposto. E sta resposta in fati go rendesto ;
Per che lo spirto tutti storse i piedi : Drio la qual lu ga fato un molinelu
Poi sospirando, e con voce di pianto, Coi pie: po sospirando e inlin pianzendo, 65
Mi disse: Dunque che a me richiedi? Donca, el dise, da mi cossa de belo
Se di saper chi io sia ti cai cotanto, Ti cerchi ? se te va tanto premendo
Che tu abbi però la ripa scorsa, De saver chi son mi, che ti è perciò
Sappi ch'io fui vestito del gran manto : Da la riva calà in sto sito oreodo,
E veramente fui figliuol dell'orsa, Sapi che so sta Papa Nicolo 70
Cupido sì per avanzar gli orsattì, Orsin : da ingordo i bezzi go imborsai
Che su l'avere, e qui me misi in borsa. Per i mii, po imborsà mi qua me so.
Di soto al capo mio son gli altri tratti Qua soto a la mia testa \v ficai
Che precedetter me simoneggiando, I altri Papi impestai de simonia
Per la fessura della pietra piatti. Prima de mi, e in tei buso ben strucai. 75
Laggiù cascherò io altresì, quando Là cascare anca mi, quando che sia
Verrà colui ch'io credea che tu fossi, Vegnù quel per el qual t'ho tolto in falo,
Allor ch'io feci il subito dimando. Co te go fata la domanda mia.
Ma pi iì è '1 tempo già che i pie mi coesi, Ma in questo de tormento novo stalo,
E ch'io son stato così sottosopra, Quanto mi, Bonifazio noi starà 80
Ch'ei non starà piantato e coi pie rossi : A cusinarse i pie e a far da palo ;
Che dopo lui verrà di più laid'opra Che dopo d'elo, presto vegnerà
Di ver ponente un pastor senza legge, Da la Guascogna un Papa più brìcon,
Tal che convien che lui e me ricopra. Che Bonifazio e mi coverzirà.

51 Inrdigar =. ritardare.
52 \rsiu oramai li qua ee. = quegli elie dirige il discorso a Dante è Pupa Nicolo III, di casa Orsini, il
quale vedendo appunto Dante approssimarsi alla buca, lo credette Papa Bonifnzio Vili.
55 co . -- qui sta per con.
56 ingrumà — ammassato.
59 no intende un cesio = non -intende niente aflatto.
71 iirxin - Papa Nicolo fu, come si disse, di casa Orsini, la cui arma disegnava un'Orsa — bezzi =
danari.
7! Per i mii = cioè per li miei parenti = me no = mi Mmo.
78 Co = quando.
SI A cutinarsi- = a cuocersi.
82 un altro vignerà = alludesi a Papa Clemente V.
S4 'i-oro-ziro = coprirà.
CANTO XIX. 87
Nuovo lason sarà, di cui si legge Come dei Macabei nuovo Giason, 85
Ne' Maccabei : e com'a quel fu molle Nel re de Franza un altro Antioco presto
Suo re, così fia a lui chi Francia regge. L'averà cofà '1 primo massa bon.
lo non so s'i' mi fui qui troppo folle, Siben de pro speranza no abia avesto,
Ch' io pur risposi lui a questo metro : Darghe in resposta sto sermon m'invio :
Dch or mi di', quanto tesoro volle Dime de grazia, qual monea ha volesto 90
Nostro Signore in prima da San Pietro, Da l'Apostolo Piero el nostro Dio,
Che ponesse le chiavi in sua balia? Prima d'aver le chiave a lu fidà ?
Certo non chiese se non : Viemmi dietro. Solo ni ga dito : Piero, vienme di io.
Nè Pier nè gli altri chiesero a Mattia San Piero e i altri Apostoli no ga
Oro o argento, quando fu sortito Mai oro e arzento domandà a Malia, 95
Nel luogo che perdè l'anima ria. Co '1 xe al posto de Giuda in sorte entrà.
Però ti sta, che tu se' ben punito ; Sta condana qua donca ben te sia,
E guarda ben la mal tolta moneta, E strenzi i bezzi avudi, in to malora,
Ch'esser ti fece contra Carlo ardito. Per scazar Carlo da Sicilia via.
E se non fosse ch'ancor lo mi vieta E se no fusse che go adesso ancora 100
La reverenza delle somme chiavi, Rispeto grando per le chiave sante,
Che tu tenesti nella vita lieta, Che ti ha tegnue nel mondo là de sora,
l' userei parole ancor più gravi : Più te dirave aspre parole, e quante!
Che la vostra avarizia il mondo attrista, Che la vostra ingordisia el mondo impesta,
Calcando i buoni e sollevando i pravi. Pestando el bon e alzando su el birbante. 105
Di voi, Pastor, s'accorse il Vangelista, Per v uà 1 1 ri. papi, questo a dir me resta;
Quando colei, che siede sovra l'acque, Scoverlo ha '1 Vangelista in so rision
Puttaneggiar co' regi a lui fu vista : Prostituirse ai Re la Dona onesta,
Quella che con le sette teste nacque, Che lege soa la vanta e religion.
E dalle dieci corna ebbe argomento, Sin ch'el Pastor ga ai (i bon sentimento, ito
Fin che virtute al suo marito piacque. Anca la Chiesa ha avuo reputazion.
Fatto v'avete Dio d'oro e d'argento : Ve gavò fato un Dio d'oro e d'arzento :
E che altro è da voi all'idolatre, Qual tra rualtri e' 1 Pagan diversità
Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento ? Gh'è, via che uno elo adora e vualtri cento ?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, Quanto mal, Costantin, ga semenà, 115
Non la tua conversion, ma quella dote No la to conversion, ma propriamente
Che da te prese il primo ricco patre ! Quel don, che al primo Papa sior ti ha dà !
E mentre io gli cantava cotai note, Mentre che sta canzon Nicolo sente,
O ira o coscienza che '1 mordesse, O pentimento o rabia ch'el gavesse,
Forte spingeva con ambo le piote. Le gambe el trava maledetamente. 120

85-86 nova Giaton ece. = Viene paragonalo Papa Clemente a Giasone: Come a Giasonc fu pieghevole il
suo re Antioco, cosi sarà a Clemente Filippo il Bello re di Francia. Clemente infatti ottenne il Pontificato per
fivorc del re Filippo, ed egli ne lo ricambiò trasferendo la Sede Pontifìcia in Ariguene, e consentendo alla di
struzione dei Templari.
S7 co/o = come.
98 E iirenzi i bezzi - - e stringi i danari.
99 Per nazzar Carlo da Sicilia i-in — È corsa voce elic Giovanni da Precida desse danaro a Papa Nicolo
per avere aiuto nella congiura, che si ordiva contro i Francesi in Palermo e in tutta Sicilia, della quale era al
lora signore Carlo 1 d'Angiò. •
107 ha 'I Vangelista = qui è preso il concetto dall'Apocalisse di S. Giovanni Evangelista.
108 la Dona ouata - la Santa Chiesa.
115-117 Quanto mal Costumiu ece. — Alludesi al dono elic ai tempi del Poeta credeasi fa tto da Costan tino Ma
gno a Papa Silvestre quando si fece Cristiano; il qual Papa fu perciò il primo Pontefice ricco = tior = ricco.
DELL INFERM)
Io credo ben ch'ai mio Duca piacesse, Dal modo ch'el gavea le rechie messe
Con sì contenta labbia sempre attese Sempre in ascolto i-i Mestro, go credesto
Lo suon delle parole vere espresse. Che a lu le dite verità piasesse :
Però con ambo le braccia mi prese, Perciò brazzarne tutto el ga volesto,
F, poi die tutto su mi sYhhc al petto, E quando ben el me ga streto al peto, 125
Rimontò per la via onde discese; Per remontar la riva el s' ha moveste.
Nè si stancò d'avermi a sè ristretto, Nè '1 m' ha lassà, tegnindome ben streto,
Se mi portò sovra '1 colmo dell'arco, Se no quando su l'arco el m' ha portà,
Che dal quarto al quint'argine è tragetto. Che dal quarto xe al quinto arzar traghete.
Quivi soavemente spose il carco Qua el s'ha del caro peso descargà 130
Soave, per lo scoglio sconcio ed erto, Pianin sul ponte gropoloso e erto,
Che sarebbe alle capre duro varco. Che a montar su le cavre avria stentà.
Indi un altro vallon mi fu scoverto. Un'altra gran valada ho po scoverto.

CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Dove le reni son, volta ha la faccia Ga volta el viso dove xe la schena


ni il nell'inferno chi quassù nel mondo Quei che ga fato i indovini al mondo,
Cose avvenire di predir procaccia. E al Hegro inferno i ga percio la pena.
Cammina indietro in quell'oscuro fondo, Indrio i camina per quei scuro fondo,
Sendogli tolto di vedere il passo Veder costori no podendo el passo
In altro modo per lo vallon tondo, In altro modo per el valon tondo,
Che dietro al terzo subito è il più basso. Che drio al terzo xe subito el più basso.

Di nova pena mi convien far versi, Dedica la mia Musa a nova pena
E dar materia al ventesimo canto Sto canto qua de la Canzon che canta
Della prima Canzon, ch' è de' sommersi. Sora la zente cht1 a l'inferno pena.
Io era già disposto tutto quanto La mia atenzion gaveva tuta quanta
A risguardar nello scoverto fondo, Da là in cima impegnada al basso fondo
Che si bagnava d'angoscioso pianto : Bagnà dal pianto tra l'angossa tanta.
E vidi gente per lo vallon tondo E go visto in quel quarto valon tondo,
Venir, tacendo e lagrimando, al passo Zita zita pianzendo vegnir zente
Che fanno le letane in questo mondo. Col passo, come in prossission al mondo
Come '1 viso mi scese in lor più basso, I usa. Co soto i m' è vegnui più arente, Ili
Mirabilmente apparve esser travolto Go visto, oli maravegia! che i gai èva
Ciascun dal mento al principio del casso : Per pena, testa e colo propriamente
Che dalle reni era tornato il volto, Voltà al roverso ; i ochi soi vedeva
"E indietro venir gli convenia, La schena soa, e i caminava iudrio,
Perchè'l veder dinanzi era lor tolto. Che vederse davanti no i podeva. 15

5 da là in cimo = cioè dalla sommità dell'arco, ove giunto era Dante: vedi in line del Cauto precedente.
CANTO XX. 89
Forse per forza già di parlasia Chi sa che qualchedun cossi servio
Si travolse così alcun del tutto, El sia sta da paratesi fatal,
Ma io noi vidi, nè credo che sia. Ma no l'ho visto, nè'l credo. Se a Dio
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto Piasa, letor, lassarle d'una tal
Di tua lezione, or pensa per te stesso, Lezion cavar el pro, pensa a dritura 20
Gnu" io potea tener lo viso asciutto, Come podeva no sentirme mal,
Quando la nostra imagine da presso Co a \ itin roversada la figura
Vidi sì torta, che '1 pianto degli occhi De l'omo ho visto, e dei soi oclti el pianto
Le natiche bagnava per lo fesso. Bagnarghe del da drio la spartiura.
Certo io piangea, poggiato ad un de' rocchi A una ponta de eroda mi pertanto 25
Del duro scoglio, sì che la mia Scorta l'nzl'i. pianzea cussi, ch'el mio Paron,
Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Anca li, el dise, sioco ti xe tanto ?
Qui vive la pietà quando è ben morta. Qua xe pietà no averghe compassion.
Chi è più scelerato di colui, Chi xe de quel più birbo tra i birbanti,
Ch'ai giudicio divin passion porta ? Che al castigo de Dio sente passion ? 30
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui Alza la testa, e varda a chi davanti
S'aperse, agli occhi de'Teban, la terra, Ai Tebani se ga averta la tera ;
Per che gridavan tutti: Dave mi, Che : O A n liamo, cigava tulti quanti,
Anfiarao ? perchè lasci la guerra ? Dove ti caschi zo ? perchè la guera
E non rostò di rumare a valle Ti abandoni ? ma in zo el destin lo mena 35
Fino a Minòs, che ciascheduno afferra. Là de Minosse ne la gran stallera.
Mira, e' ha fatto petto delle spalle : Vardilo ch'el fa peto de la schemi:
Perchè volle veder troppo davante, Perchè davanti massa el ga varilà,
Dirietro guarda, e fa ritroso calle. Vardar e andar ghe toca indrio per pena.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante, Tiresia è là ch'el viso ga muà, 40
Quando di maschio femmina direnne, E in femena da maschio el xe vegnuo
Cangiandosi le membra tutte quante ; Co i do bissi intorchiai lu ga vischià,
E prima poi ribatter le convenne Cambiando tutto quanto el corpo suo ;
Li duo serpenti avvolti colla verga, Po baterli da novo per tornar
Che riavesse le maschili penne. Maschio, ga co la vischia convegnuo. 45
Arante è quei, ch' al ventre gli s'atterga, Quel che ti vedi a la so panza star
Che nei monti di Limi, dove ronca Voltà in schemi, xe Armile, al qual ga piasso

16 COMI servio ••.-. detto ironicamente, e vale far mali uHhi o mali tratti ad altri.
19-20 d'una tal Lezion cavar el pro . - il profitto da cavarsene, cioè persuaderai clic il voler predire il fu
turo è vanita.
22 rovertada . rovesciata.
24 ilei da drio la tparliura = la fessura delle natiche.
25-26 A una pania de eroda = ad una punta di roccia. — Puzà . appoggiato.
30 patrion - qui sta per pena, dolor di cuore.
32 averla = aperta.
33 Anfiarao = uno dei sette re, clic assediarono Tebe. Era indovino, e prevedendo di dover morire sotto le
mura di quella citta, si nascose in luogo noto soltanto alla moglie sua, la quale inni tenne il segreto: perchè
egli fa condotto all'esercito, e nell'ardor della pugna, apertaglisi la terra sotto, rn ino sino all'inorno.
3» de .Vmone ne la gran stallera = Minosse giudice dell'lnferno: vedi C. V. v. 4 = slaliera = stadera.
38 maxìa —. troppo.
40 Tirata = altro indovino nativo di Tcbc. Costui percosse con uua verga due serpi e divenne femmina.
Uopo sette anni ritrovati i medesimi serpi, li ripercosse e tornò maschio. ~ muà mutato.
42 intuirllini -.- attortigliati =: vitchià — vergheggiato.
45 i•i.nhiu .-. bacchetta sottile ed elastica, verga.
47 Arante = famoso indovino toscano.
90 DELL INFERNO
Lo Carrarese che di sotto alberga, Viver de Luni ai monti, in dovè ano-
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca Fa el Cararese la so tera a basso,
Per sua dimora; onde a guardar le sielle Ne la grota tra i marmi bianchi e bei: 50
E '1 mar non gli era la veduta tronca. Da veder cielo e mar là el ga avu spasso.
E quella, che ricopre le mammelle, E culia, che i so peti coi cavei
Che tu non vedi, con le trecce sciolte, Di-in molai covre, e no ti poi vedèr,
E ha di là ogni pilosa pelle, E la ga a quela banda tuli i pei,
Manto fu, che cercò per terre molte; Xe Manto, che assae loghi dopo aver 55
Poscia si pose là dove nacq' io : Cercai, dove son nato s'ha fermà:
Onde un poco mi piace che m' ascolte. Perciò che ti me ascolti go piacer.
Posciache il padre suo di vita uscio, Morto so pare, quando la cità
E venne serva la città di Baco, De Baco in schiavitù vegnuda gera,
Questa gran tempo per lo mondo gio. In pezzo per nI mondo eia ha zirà. '60
Suso in Italia bella giace un laco De l'Alpe al pie nel' Italiana tera
Appie dell'alpe, che serra tamagna Ghe xe'l lago Benaco, che in voltar
Sovra Tiralii, ed ha nome Benaco. Sera el Tirolo, l'Alemagna sera.
Per mille fonti, credo, e più, si bagna, Tra Garda e Val Camonica bagnando
Tra Garda e Val Camonica, Pennino Vi™ l'Apenin un numero infinito 65
Dell'acqua, che nel detto lago stagna. De rieli, che in quel lago i va calando.
Luogo è nel mezzo là dove"l Trentino Se i ghe andasse, là in me/o ghe xe un sito
Pastore, e quel di Brescia, e 'i Veronese Dove de Bressa, Trento in comunion
Segnar potria, se fesse quel cammino. E de Verona, ha i Vescovi dirito.
Siede Peschiera, bello e forte arnese Drio la riva, che a quel fa cornison, 70
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, Ma in calar , ghe xe '1 forte de Peschiera,
Ove la riva intorno più discese. Contro Bergamo e Bressa bon bastion.
Ivi convien che tutto quanto caschi Là, sormontando l'aqua la riviera
Ciò che in grembo a Benaco star non può, Del lago, la straboca e se sparpagna
K fassi fiume giù pei verdi paschi. Su i piai : e po, corendo, una numera 75
Tosto che l'acqua a correr mette co, La va fando via via per la campagna :
Non più Benaco, ma Mincio si chiama Benaco el gera, Minchio el xe qua via
Fino a Governo, dove cade in Po. Chiamà sin a Governo ; e là la magna
Non molto ha corso, che trova una lama, El Po. I .' incontra, un poco ch 'el s" invia,
Nella qual si distende e la 'mpaluda, Un fondo basso assae, ch' elo impalua 80

48 Liini - città distratta; era situata presso la foce della Magra.


49 Curare»- .---- quei di Carrara, paese posto al di sotto dei niunti Luni.
54 pei = peli.
55 Manto :- indovina tebana figlia di Tiresia, la quale, morta il padre, vagò per molli paesi per fuggire la
tirm m.i di Creonte; e dal fiume Tiberino compressa, partorì Orno, il quale fondù una citta, elic dal nome di sua
madre nominò Mantova.
58 la diò dc Baco . -. Tebe città della Grecia.
61-6! f Alpt al pie = quel tratto d'Alpi- pennine, elic è tra Gurda e Valenmonica =s Denaco == è un limin.
oggi conosciuto sotto il nome di Garda, che si forma in gran parte dalle molte scaturigini del Pennino, raccolte e
condotte ad esso lago principalmente dal fiume Sarai, il quale tiene il suo corso tra Valcamonica e Garda.
69 ha i Vescovi dirilo = II punto comune ove i tre Vescovi posson» benedire ed hanno la loro giurisdizione,
dicono alcuni, è là dove le acque dei fiume Tignala sboccano nel lago: La sinistra di questo fiume o Diocesi di
Trento, la destra di Brescia, e il lago è tutto nella Diocesi di Verona.
71 Ptiehiera — antica fortezza, elic ai tempi di Dante era destinata principalmente a far fronte ai Bresciani e
ai Bergamaschi.
78 lìorernu — oggi Governol», castello del Mantovano.
CAKTO XX. 91
E suoi di state talora esser grama. E infeta l'aria co l' istà vien via.
Quindi passando la vergine cruda La selvadega vergine vegnua
Vide terra nel mezzo del pantano, Qua, la ga visto in mezo del paltan
Senza coltura, e d'abitanti nuda. Tera vegra, e de zente afato nua.
Là, per fuggire ogni consorzio umano, Là per scampar da ogni consorzio uman, 85
Ristette coi suoi servi a far sue arti, Coi servi a far magie la s" ha fermà :
E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Là l'è vissuda e morta. A man in man
Gli uomini poi, che intorno erano sparti, La zente dei contorni s' ha tirà
S'accolsero a quel luogo, ch' era forte In quela tera più che sicurada
Per lo pantan, ch'avea da tutte parti: Dal paltan d'ugni banda, che xe là. DO
Fer la città sovra quell'ossa morte; Su i ossi soi i ha una cità piantada,
E per colei, che il luogo prima elesse, E da quela, che'l logo s'ha cernio,
Mantova l'appellar senz'aUra sorte. A la prima i l'ha Mantova chiamada.
Già fur le genti sue dentro pio spesse, Più zente là ghe gera, avanti ordin
Prima che la matila di Casalodi Pinamonte al minchion de Casalodi 95
Da Pinamonte inganno ricevesse. Abia el so ingano. Donca, fiolo mio,
Però t" assenno che, se tu mai odi Se ti senti contar che in altri modi
Originar la mia terra altrimenti, i Possa esser derivada la mia lera,
La verità nulla menzogna frodi. Dir che i te a torzio vói che ti te godi.
Ed io : Maestro, i tuoi ragionamenti E mi: La storia go per tanto vera 100
Mi son sì certi, e prendon sì mia fede, Che me gave contà, o gran sapiente,
Che gli altri mi sarian carboni spenti. Che avaria Missmi altra per sincera.
Ma dimmi della gente, che procede, Ma se qualcun, diseme, de la zente
Se tu ne vedi alcun degno di nota ; Che passa, ghe ne te degno de nota ;
Che solo a ciò la mia mente rifiede. Che a questo solo tende la mia mente. 105
Allor mi disse : Quel, che dalla gota Quel che ghe casca, el me ga dito in bota,
Porge la barba in sulle spalle brune, La barba drio le spale negre, è sta
Fu, quando Grecia fu di maschi vota Indovin co la guera in Grecia rota,
Sì, che appena rimaser per le cune, Solo i putei dei maschi xe restà ;
Augure, e diede il punto con Calcanta E per tagiaf la prima corda, el segno 1 1O
In Aulide a tagliar la prima fune. Lu con Calcante in Aulide ga dà.
Euripilo ebbe nome, e cosi '1 canta Euripilo el ga nome, e posto degno

81 co l'alii — quando l'estate - - vien via - - sopraggiunge.


84 i-eiira = - incolta (parlando di terra) nua ----- nuda, vuota.
SS t'ha lira _- si condusse, si è portata.
9! pernio -- scelto.
93 a la prima —. senza consulto.
94 oriiib = ordito.
95 Caialodi - è un castello nel Bresciano da cui aveva preso il cognome In famiglia che signoreggiava allo
ra in Mantova. Il fatto cui allude è questo, ('inamente dei Buonacossi di Mantova persuase maliziosamente al Con
te Alberto Casalodi, signore di quella citta, che dovesse rilegare nei castelli vicini alcuni gentiluomini, i quali al
l'ambizione di esso Finamente mettevano impedimento. La qual cosa mandata nù effetto, Pinamonte col favore del
popolo tolse la signoria al Conte Alberto, e parte dei nobili uccise, parte bandi; perlocchè molto venne a scemar*i
la popolazione della città.
-99 Dir che i xe a Htrzio = dire che s'ingannano.
101 conta =» narrata.
106 in In'im — tosto.
10S-112 Indovin te. = Enripilo, indovino, al tempo che la Grecia fu talmente spoglia di maschi, perocché
lodarono lutti alla guerra di Troia, che appena vi rimasero i bambini in culla, segnò il momento favorevole
a sciogliere la fune alla nave e far vela = co la guera — quando la guerra.
92 DELL' lNFERNO
L'alta mia Tragedia in alcun loco; Fato ho ch'el gabia nel'Eneide mia :
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta. Ti'l sa, che tuta ti la sa ritegno.
Quell'altro che ne' fianchi è così poco, L'altro che la figura el.ga scachia, 115
Michele Scotto fu, che veramente Scoto Michiel se chiama, veramente
Delle magione frode seppe il giuoco. Nè l'arte ialinà de la magia.
Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente, Varda Guido Bonati, varda Asdente
Che avere inteso al cuoio ed allo spago Che adesso manizar spago e curame
Ora vorrebbe, ma tardi si pente. El vorave, però tardi el se pente. 120
Vedi le triste, che lasciaron l'ago, Varda le done che lassava, grame,
La spola e'1 fuso, e fecersi indovine; Per strigarle la spola, l'ago e'1 fuso,
Fecer malie con erbe e con imago. Fando incanti co l' erbe e '1 figurame.
Ma Vienne omai, chè già tiene '1 confine Ma andemo, chè la Luna a farse un buso
D'ambedue gli emisperi, e tocca l'onda La xe drio, per mostrarse a l'altra tera, 125
Sotto Sibilla Caino e le spine. Soto el mar de Sivilia, e sconde el muso.
E già iernotte fu la luna tonda : Geri de note tonda eia la gera ;
Ben ten dce ricordar, chè non ti nocque Ti'l sa ben che nel folto là su via
Alcuna volta per la selva fonda. • Del bosco ti l' ha vista volentiera.
Sì mi parlava, ed andavamo introcque. Parlandome cussi se andava via. 130

115 scachia — mingherlina.


116 Scoto Hichitl =- Scozzese, fu un celebre astrologo e mago. Fu ai servigi dell'lmperatore Federigo ll.
cui intitolo un suo libro di Astrologhi.
118 Guido Banali •= Astrologo famoso. Fu fiorentino, ma bandito dalla citta, si fece chiamare da Farli, e
fu molto accetto a Guido di Montefeltro signore di quest'ultima citta. Scrisse un opera di Astrologia — Attinie
i= ciabattino ili Parma, sebbene senza lettere si diede a far l'indovino, ed acquistò una qualche celebrita: visse
ai tempi di Barbarosca.
121.123 le done te. -. le maghe nelle loro malie o incantesimi facevano uso fra le altre cose di estratti d'er
ba e di immagini di cera.
125 a l'altra lsra — cioè nell'altro emisfero al di sotto di noi.
12A SMlia — Città marittima di Spagna.
127 tonda eta la gera . Nel plenilunio o nel tempo dell'equinozio, la luna tramonta quando leva ll Sole,
Si era dunque fatto giorno nel monte del Purgatorio.
CANTO VENTESlMOPRlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Bolle di pece nella Bolgia quinta Drento a la quinta Bolgia xe ficai
Un ampio lago, in cui genio s'attuffu A bogir nella pegola i trufoni,
Dalli demoni ivi portata e spint.l. Nel gran lago dai Diavoli butai.
L'anime, che nel mondo fecer truffa. Se la testa ile fora un tra i briconl
Son quivi conce, e gli spiriti felli A Eilongar de la pegola se prova.
Fan con uncini e raffi orribil zuffa, l demoni co i ganzi e rampegoni
Perchè non sia chi foor tragga i capelli. l,o fonda, e de sortir la via noi trova.

Cosi di ponte in ponte, altro parlando Discorendo de cosse che trascura


Che la mia Commedia cantar non cura, Sta mia Comedia, semo nu passai
Venimmo, e tenevamo '1 colmo, quando Dal quarto al quinto ponte su l'altura:
Ristemmo per veder l'altra fessura E per vardar se semo là fermai
Di Malebolge, e gli altri pianti vani ; De l'altro fosso el pianto e i novi afani; 5
E \ iilila mirabilmente oscura. E lo go visto scuro scuro assai.
Quale nell'Arzanà de' Vinizinni Come ne l' Arsenal dei Veneziani
Bolle l'inverno la tenace pece Boge iì" inverno pegola, che taca,
A rimpalmar li legni lor non sani, Per governar dei bastimenti i danl,
Che navicar non ponno, e 'n quella vece Che no poi navegar, e chi se straca 10
Chi fa suo leg.no nuovo, e chi ristoppa ln farglicne de novi, e chi la stopa
Le coste a quel, che più viaggi fece; A quei che ha fato tanti viazi maca,
Chi ribatte da proda, e chi da poppa; Chi da prova i l' inchioda e ehi da pupa,
Altri fa remi, ed altri volge sarte ; Chi a intorzer corde o remi a far s' impianta,
Chi terzeruolo ed arlimon rintoppa. E chi a le vele rote i busi stropa; 15
Tal, non per fuoco, ma per il i uri" arte Cussi fissa bogir pegola tanta
Bollia laggiuso una pegola spessa, Qua, no fogo, ma Dio solo fazzeva,
Che invlscava la ripa d'ogni parte. Quela riva invischiando tutta quanta.
l'vedea lei, ma non vedeva in essa Ma le brombole sol mi là vedeva
Ma che le bolle che'l boilor levava, Che sgionfe dal bogior le se levava, 20
E gonfiar tutta, e riseder compressa. Tornando zoso co le se rompeva.
Mentr'io laggiù fisamente mirava, Mentre che mi là zo fisso vardava,
Lo Duca mio dicendo : Guarda, guarda, El Mestro in dirine: Varila, varda là,
Mi trasse a sè del loco dov' io stava. Rente a lti m' ha tirà da in dove stava.
Allor mi volsi come fiumi cui tarda Me volto alora, come chi ha ansietà 25
Di veder quel, che gli convicn fuggire, De veder quel ch' el doverla fugir,
E cui paura subita sgagliarda, Da timor improviso scoragià,
Che per veder non indugia '1 partire : Cli" el vardar no impedisse de partir.
E vidi dietro a noi un diavol nero E ho visto un negro diavolo sul ponte

& psgola = pece.


9 governar . . racconciare.
12 maca - pesta, preme.
14 intorzer =: torcigliare.
16 hmjir •_•- bollire.
19 tirimiIuils - bolle: rigonfiamento che fa il liquido bollendo.
24 rnte = dappresso.
DELL' IIVFELO
Correndo su per lo scoglio venire. A tuta corsa drio de nu vegnir. 30
Ahi quanto egli era nell'aspetto fiero! Oh quanto gera fiero quel so fronte !
E quanto mi parea nell' atto acerbo, E quanto aspro nel trato el me pareva,
Con l' ale aperte, e sovra i pie leggiero ! Co l'ale averte e co le gambe pronte I
L'omero suo, ch'era acuto e superbo, Sora le spale alte, pontie, l'aveva
Carcava un peccator con ambo l'anche, A cavaloto un pecator, e ai pie 35
Ed ei tenea de' pie ghermito il nerbo. Brincà per i gareti lo strenzeva.
Del nostro ponte disse : o Malebranche, Dal ponte el ciga : O Malebranche, el xe
Ecco uno degli anzian di Santa Zita : De Santa Zita un dei anziani; via,
Mettetei sotto, ch'io torno per anche Melilo solo insina tanto che
A quella terra, che n' è ben fornita : Torno a quela cità tuta impinia 40
Ogni uom v" è barattier, fuor che Bonturo : De bari ; e fora de Bonturo, el resto
Del no, per li denar, vi si fa ita. Per bezzi i fa ch' el falso vero sia.
Laggiù '1 tutto, e per lo scoglio duro Butà zo '1 cargo, per el ponte lesto
Si volte, e mai non fu mastino sciolto Dà de volta : mastin molà, mai più
Con tanta fretta a seguitar lo furo. Xe corso drio d' un ladro tanto presto. 45
Quei E'attuffò, e tornò su convolto; Quel ficà zo, l'è in schena tornà su;
Ma i demon, che del ponte avean coverchio, Ma i demoni, de solo al ponte, alora:
Gridar: Qui non ha luogo il santo volto; Qua no gh'è'l Santo Volto, i ciga a lu:
Qui ti nuota altrimenti che nel Serchio ; Qua no se nua come al Serchio la sora ;
Però, te tu non vuoi de' nostri graf0, Se i nostri ganzi no ti voi gustar, 50
Non far sovra la pegola soverchio. Da la pegola varda no dar fora :
Poi l'addentar con più di cento raffi, Qua, i dise, ti ha al coverto da baiar,
Disaer : Coverto convien che qui balli, Piantandole rampini più de cento,
Sì che, se puoi, nascosamente accaffì. E qua a le sconte, se ti poi, barar.
Non altrimenti i cuocht a' lor vassalli Cossi dal sotocogo el cogo atento, 55
Fanno attuffare in mezzo la caldaia Perche la carne staga zo, la fa
La carne cogli uncin, perchè non galli. Col gran piron fondar ne l'ola drento.
Lo buon Maestro : Acciocchè non si paia A ciò nissun te possa veder qua,
Che tu ci sii, mi disse, giù t'acquatta Scondite drio una eroda da ogni impazzo
Dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t' aia ; Lontan, me dise el Mestro, e resta là; 60
E per nulla offension ch' a me sia fatta, Nè temer che i me vegna a far strapazzo,
Non temer tu, ch' i' ho le cose conte, Che so ben mi come cavarme fora,
Perchè altra volta fui a tal baratta. Perchè m' ho trovà ancora in sto imbarazzo.

32 mi iniin -- nel contegno, nei modi.


35 A cavatoto - a cavalcione.
37 MntiIiniHihr -— col nome di Malebranche sono chiamali particolarmente i diavoli custodi di questa bolgia,
I"T i graffi di cui erano armati per uncinare i peccatori.
38 Ui Santa Zita -. La magistratura della città di Iucca ha per sua proteltrice Santa Zita.
41 li, Inni — di Iruffidori = Uontura = della famiglia de' Dati : qui Dante fa parlare il diavolo in srnso
ironico; perciocchè Rouluro fu il pessimo dui barattieri Lucchesi e tradi poi la sua parte nel 13H.
48 Siinti, Volta — È così chiamata dai Lucchesi la effigie del Redentore dinanzi alla quale essi sogliono in
curvarsi; i demoni m-i scherniscono il Lucchese in quel punto là caduto per l'atteggiamento nel quale egli era
i. .ni:,!, i H galla sulla pece capovolto, che è proprio di chi profondamente adora davanti una immagine.
40 Srreliio = fiume che passa poco lungi dalle mura di Lucca.
50 gnuzì - - uncini.
51 no dar pirn — non uscire.
57 i-nì gran piron .- col forchettone — o/a - vaso di terra colta ad uso di cuocere vivande.
i-'! canaria' fora = trinili d'impaccio.
CANTO xxr. 95
Poscia passò di là dal co del ponto, Da cao del ponte el xe passà ln alora,
E coni" ei giunse in sulla ripa sesta, E co' 1 xe zonto su la sesta riva, 65
Mestier gli fu d'aver sicura fronte. De far cuor l" ha capio vegnuda l'ora.
Con quel furore e con quella tempesta Con quela furia che, se a ochiarli intira,
Ch'escono i cani addosso al poverello, Bagiando 1 cani, core drio ai cercanti,
Che di subito chiede ove s' arresta, Che subito i la bate dove i riva;
Usciron quei di sotto il ponticello, Sbusa de soto al ponte quei birbanti 70
E volser contra lui tutti i roncigli; Tuti contro el Dotor voltando l'arme;
Ma ei gridò : Nessun di voi sia fello. Ma : No fe, lu ghe ciga, i petulanti ;
lnnanzi che l'uncin rostro mi pigli, Prima che i vostri ganzi abia a tocarme,
Traggasi aranti l'un di voi che m'oda, Un de vualtri qua vegna , ch 'el m' ascolta :
E poi di roncigliarmi si consigli. F. po ch' el se decida a rampinarme. 75
Tutti gridaron : Vada Malacoda ; Vaga, ciga quel tuti in Cuna volta,
Per che un si mosse, e gli altri stetter fermi ; Malacoa : sta là i altri, e vien coutil ;
E venne a lui dicendo : Che ti approda ? E al Dotor : Chi te manda qua a sta volta ?
Credi tu, Mala coda, qui vedermi Credistu, Malacoa, el Mestro a lu,
Esser venuto, disse '1 mio Maestro, Forsi che senza volontà de Dio 80
Si.curii già da tutti i vostri schermi, Sia qua, e noi gabia garantio là su
Senza voler divino e fato destro ? Da le vostre minazze el viagio mio ?
Lasciami andar, chè nel cielo è voluto Lassime andar, chè xe voler del cielo,
Ch'io mostri altrui questo cammin silvestra. Che mostra a un tal questo infernal desìo.
AUnr gli fu l'orgoglio sì caduto, lih' è passà la*baldoria alora a quelo, 85
Che si lasciò cascar l'uncino ai piedi, Che se lassa cascar el ganzo ai piè,
E disse agli altri : Omai non sia feruto. Disendo ai altri : No dè impazzo a elo.
E '1 Duca mio a me : O tu, che siedi E a mi '1 Dotor : O ti, che là ti xè
Tra gli scheggion del ponte quatto quatto, Quachio quachio del ponte a una flssura,
Sicuramente omai a me ti nudi. Torna da mi, che più timor no gli' e. 90
Per ch' io mi mossi, ed a lui venni ratto ; Da lu alora so andà con gran premura,
E i diavoli si fecer tutti avanti, Ma i diavoli che tuti se avanzava,
Sì ch'io temetti non tenesser patto. M'ha fato d'un ingano aver paura.
E così vid' io già temer gli fanti Cussi ho visto i Luchesi che i tremava,
Ch'uscivan patteggiati di Caprona, Co sin limili drio un pato da Capri ma, 95
Veggendo sè tra nemici cotanti. Tra le file nemtghe eli passava.
lo m'accostai con tutta la persona Me son tirà con tuta la persona

64 Da eoa - dal capo (del ponte).


66 lII. far cuor = di armarsi di coraggio.
67 inin•a = s'imbatte, s'incontra.
69 Un baie = modo di dire riferito a coloro che chiedono danaro od altro gratuitamente — a riva = arrivano.
84 a un lai = cioè a Dante nascosto di dietro alla roccia = infernal desio = infernale strazio, supplizio.
85 baldoria .-- millanteria.
87 No dè impazzo a elo - non lo molestate.
S9 qvachio quachio = quatto quatto.
95 Co = quando = drio ua pato = dietro, o in forza di un convegno = Caprona — fu gia castello dei Pi
sani in riva d'Arno: l Lucchesi coliceli cogli altri Guelfi di Toscana, lo avean loro tolto nella guerra, ch'essi fa
cevano contro Pisa come capo dei Ghibellini, ila essendo poi stato assediato con forte esercito dai Pisani guidali
dal Conte Guido da Montefeltro nel 1290, i Lucchesi, clic vi erano a guardia, astretti principalmente per la nimi-
canta d'acqua, si arrenderono salve le persone. Furono perciò fatti uscire e rimandati ai confini; ma mentre
passavano tra le file dei nemici, si cominciò da questi a gridare: appicca, appicca, perlocchè quei poveri Lnc
chesi ebbero la più gran paura del mondo.
96 DELL1 IHFBHNO
Lungo '1 mio Duca, e non torceva gli occhi In coste al mio Dotor, sempre vardando
Dalla sembianza lor, ch'era non buona. De quei Uochiada gnente afato bona.
Ei chinavan gli raffi, e, Vuoi ch'io'l tocchi I se diseva, i ganzi ognun sbassando: 100
(Diceva l'ini con l'altro) in sul groppone? Vustu che L'I ir lo pianta su la schena?
E rispondean : Sì, fa che gliele accocchi. Piantighelo, i risponde de rimando;
Ma quel demonio, che tenea sermone Ma quel demonio, ch 'ci discorso apena
Col Duca mio, si volse tutto presto I.' ha avù col Mestro, presto s: ha voltà,
E disse : Posa, posa, Scarmiglione. E: via po, '1 dise, Scarmignon, te frena. 105
Poi disse a noi: Più oltre andar per questo Dopo a nu: De sto scogio andar più in là
Scoglio non si potrà, perocchè giace Vu altri no podere, che in precipizio
Tutto spezzato al fondo l'arco sesto : El sesto ponte in fondo el xe cascà.
E se l'andare avanti pur vi piace, Che se d'andar più avanti ave'l capri/ io,
Andatevene su per questa grotta ; Ve toca andar de st'arzare qua sora, 110
Presso è un altro scoglio che via face. Dove altro ponte ve darà V indizio.
UT, più oltre cinqu'ore che quest'otta, Geri, passae cinque ore dopo st'ora,
Mille dugento con sessanta sei Mile dusento sessantasie ani
Anni compièr, che qui la via fu rotta. Xe sonai, che quel ponte è andà in malora.
Io mando verso là di questi miei Per veder se vien suso de sti cani, 115
A riguardar s'alcun se ne sciorina: Fazzo che là una ronda se incamina :
Gite con lor, ch' e' non saranno rei. Andò con eli, e no temè moliini.
Tratti avanti, Alichino e Calcabrina, Vegnì avanti, Mirimi e Calcabrina,
Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazto : A dir l'ha scomenzà, e ti, Cagnazzo;
E ttarbariccia guidi la decina. E Barbarizza guida la desina. 120
Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, Con Libicoco vaga Draghignazzo,
Urlatiti sannuto, e Graffiacene, Grafiacan con Ceriato, dal gran dente,
E Farfarello, e Rubicante pazzo. E Farfarelo e Rubicante ci pazzii.
Cercate intorno Io bollenti pane; Ochie intorno a la pegola bogente;
Costor sien salvi insino all'altro scheggio, Al ponte intrego, che a le bolge mena, 1 25
Che tutto intero va sopra le tane. Scortè salvi costori; abielo in mente.
Omè ! Maestro, che è quel che io veggio ? Ah ! Mestro, digo, cossa xe sta sena ?
Diss'io: dch! senza scorta andiamei soli, Se ti sa andarghe, andeiuo senza scorta,
Se tu sa' ir, ch'io per me non la cheggio. Che per mi no domando sta desena.
Se tu se' si accorto come suoli, Se la to mente de finezza è intorta, 130
Non vedi tu ch' ci digrignati li denti, No ti vedi com' eli strenze i denti,
E colle ciglia ne minaccian duoli ? E i mola ochiade, che disgrazia porta ?

98 In cotte = stretto al fianco.


102 i retponde de rimando .- rispondono di rimbalzo.
1 10 x e toca andar - vi conviene andare.
112 Geri — ieri.
113 Erano trascurai 1260 anni qunndo parlava il demonio, dalln morte del Divin Redentori-, in cui avvenne
il (rem noto, che mandò in rovina tulli i ponti intersecanti quella bolgia; e se ai delti 1206 anni si aggiungono
i 34 trascorsi dullu Incarnazione di lui alla morte, si ha il 1300, epoca nella quale i due Poeti si trovavano in
questa quinta bolgia.
111 Xe tonai = sono compiuti.
120 la iiriina -.- la decina; i dieci demoni chiomati dal Malacoda.
12$ Se li xa andurghc - Virgilio aveva già detto a Dante di conoscere la strada: vedi C. IX. v. 30.
130 intona = esprime di più elic se si dicesse, impastala.
132 e i midu or/uWc = e lanciano occhiale.
CANTO XXI f. 97
Ed egli a me : Non vo' che tu paventi : E lu : No vogio che ti te spaventi :
Lasciali digrignar pure a lor senno, Causa de quei che boge i fa quel tiro,
( ih" ei fanno ciò per li lessi dolenti. Lassa che i strenza a so piacer i denti. 135
Per l'argine sinistro volta dienno; I ha per l'arzare zanco fato ci ziro,
Ma prima avea ciascun la lingua stretta Dopo che co la lengua ai denti streta,
Co' denti verso lor duca per cenno ; Tuti ha dà '1 segno al Capo de ritiro,
Ed egli avea del cui fatto trombetta. Che servir fava el culo da trombeta.

}38 de ritiro — a dirittura, prontamente.

CANTO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Mentre di sè e altrui narra le colpe Mentre nn col ganzo tira su per forza,
Un tratto fuori della pece a forza, Conta i fali dei altri, e dise ch'elo
E dice, com'ei fu maligna volpe ; Un trufador l'è sta de prima forza ;
Ogni dimenio a mal fargli si sforza; Tuti i demoni ghe fa impazzo a quelo ;
Ma egli due ne inganna Analmente, Ma da lu ne minchiona finalmente,
Sicchè fra lor la rabbia si rinforza, I quali tra de lori i fa un duelo,
E va nel lago la coppia dolente. E i casca in te la pegola bogente.

I ridi già cavalier mover campo, A marchiar mi go visto cavalieri,


E cominciare stormo, e far lor mostra, A scomenzar battaglia e far la mostra,
E talvolta partir per loro scampo : E li ho visti scampar sbatendo i feri ;
Corridor vidi per la terra vostra, Visto ho, Aretini, per la tera vostra
O Aretini, e vidi gir gualdane, Sfilar via fanti e dar assalto ai muri, 5
Ferir torneamenti, e correr giostra, Combater ai tornei e far la giostra
Quando con trombe e quando con campane, Con trombe, con campane e con tamburi,
Con tamburi e con cenni di castella, Con fumi e foghi, e altri ordegni tanti
E con cose nostrali e con istrane : Che, nostrani o foresti, fa sussuri :
Nè già con sì diversa cennamella Ma ho visto mai con tal trombeta avanti 10
Cavalier vidi mover, nè pedoni, Marchiar i cavalieri, nè i pedoni,
Nè nave a segno di terra o di stella. Nè in veder stela o tera i naveganti.
Noi andavam con li dieci dimoni : Donca andemo con quei diese demoni:
Ahi fiera compagnia ! ma nella chiesa Che ladra compagnia ! ma star convien
Co' santi, ed in taverna co' ghiottoni. Coi santi in Chiesa, e a l'osto coi bevoni. 15
Pure alla pegola era la mia intesa, Pur nora ogni pensier quelo me vien
Per veder della bolgia ogni contegno, De la pegola negra de osservar
E della gente ch'entro v'era incesa. La bolgia, e i grami che eia drento tien'.
Come i delfini, quando fanno segno Come i dolfini la borasca in mar
Ai marinar con l'arco della schiena, I segna ai marineri co la schena, 20
Che s'argomentin di campar lor legno ; Aciò i pensa la nave soa a salvar ;
98 DELL INFERAO
Talor così ad alleggiar la pena Cussi qualcun per stezierir la pena,
Mostrava alcun dei peccatori il dosso, Vi. 'M fora co la guba, po i la sconde
E nascondeva in men che non balena. In t'un lampo, co i l' ha mostrada apena.
E come all'orlo dell'acqua d'un fosso E come d'un fossato drio le sponde 25
Stan li ranocchi pur col muso fuori, Le rane tien de fora i soli musi,
Sì che celano i piedi e l'altro grosso ; E luto quanto el resto le nasconde;
Sì.stavan d'ogni parte i peccatori: Star istesso i danai gera là usi :
Ma come s'appressava Barbariccia, Ma quando Barbarizza gh'è a redosso,
Così si ritraean sotto i bollori. I sbrissa soto in quel bogior confusi. 30
Io vidi, ed anche il cuor mi s'accapriccia, N'ochio un fermà, e '1 ribrezzo ho ancora adosso,
Uno aspettar così, com'egli incontra Come che fa le rane per el più,
Ch'una rana rimane, e l'altra spiccia. Che una la resta, salta l'altra in fosso.
E Graffiacan, che gli era più di contra, E Grafiacan, ch'el xe più arente a lu,
Gli arroncigliò le impegolate chiome, Lo rampina ai ca veli impegolai; 35
E trassel su, che mi parve una lontra. Cofà una lontra po lo tira su.
Io sapea già di tutti quanti il nome, De tuti i nomi avea mi za imparai,
Sì li notai, quando furon eletti, Co '1 capo li ha cernidi tra i demoni,
E poi che si chiamaro, attesi come. Che so sta atento co li ga chiamai.
O Ruhicante, fa che tu li metti Piantighe, Rubicante, quei to ongioni 40
Gli unghioni addosso sì che tu lo scuoi : Insin che te lo gabi scorlegà :
Gridavan tutti insieme i maladetti. Urla luti d'acordo quei briconi.
Ed io : Maestro mio, fa, se tu puoi, Mi digo al bon Dotor : Se ti poi, fa
Che tu sappi chi è lo sciagurato De saver chi xe '1 gramo pecator,
Venuto a man degli avversari suoi. Che in man de quei demoni xe cascà. 45
Lo Duca mio gli s'accostò allato, De fianco a quelo s' ha tirà '1 Dotor,
Domandollo ond'ei fosse, e quei rispose : E chi '1 sia ghe domanda. E lu : So nato
I' fui del Regno di Navarra nato. A Navara; al servizio d'un signor
Mia madre a servo d'un signor mi pose, Mia siora mare andar la me ga fato,
Che m'avea generato d'un ribaldo Che mio pare impastà gera in tei vizio, 50
Distruggitor di sè e di sue cose. Destrutor de lu stesso e del so stato.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo : Po del bon re Tebaldo sta al servizio,
Quivi mi misi a far baratteria, Là m'ho messo a barar a più no posso;
Di che rendo ragione in questo caldo. E per questo me scoto in sto suplizio.
E Ciriatto, a cui di bocca uscia El diavolo Ceriate un dente grosso, 55
D'ogni parte una sanna come a porco, Che in boca uno per banda ghe n' ha trato

22 ilezierir •- - alleviare, alleggerire.


'.'!)« redosso = addosso.
30 i ibrissa = scappano, svignano.
82 per el più = d'ordinario.
30 Co/a - come - lontra = è un animai quadrupede anfibio di color quasi nero.
38 cernidi = scelti.
39 s-f sm - sono stato.
47-48 So natn .. sono min: questi è Ciampolo nato da gentii donna nel regno di Navarra.
52 re Tebaldo ..- Ciampolo essendo caduto in povertà per gli scialacqui dui padrc suo, fu du sua madre po
sto a servire in corte di Tebaldo re di Navarrn. È questi Tebaldo VI conte di Sciampagna e secondo re di Na
varra. Fu ottimo principe, chiaro in guerra ed in pace, protettore degli ingegni, e cultor non ispregevole della
poesia e della musica. Uni-i in Trapani qel 1270, mentre tornava da Tunisi colle ossa del suocero Lodovico IX.
XXII. 09
Gli fe sentir come l'una sdrucia. A mo de porco, impianta al baro adosso.
Tra male gatte era venuto il sorco; Gera vegnudo el sorze in boca al gaio;
Ma ibi ii, n irciri il chiuse con le braccia, Ma Barbarizza -el desgrazià brazzando,
E disse: State 'n là, mentr'io lo 'nforco. Ste in là sin ch'el go mi, disc in quel ato'; 60
Ed al Maestro mio volse la faccia : Po : Se li ha vogia, dise, el Mestro ochiando,
Dimandai, disse, ancor, se più disii Avanti da costori in quarti messo
Saper da lui, prima ch'altri '1 disfaccia. I ii sia, vienghe altre cosse domandando.
Lo Duca : Dunque or dì degli altri rii : E elo: Dei altri rei parline adesso:
Conosci tu alcun che sia Latino Conossistu in sta pegola cogente fi.".
Sotto la pece ? E quegli : Io mi partii Qualche italian ? E quelo : Dessadesso
Poco è da un, che fu di là vicino : (•ii lassà un tal sta de V Italia arente :
Così foss'io ancor con lui coverto, Fussc restà con lu, che gavaria
Che io non temerei unghia, nè uncino. Ongia scampà là soto, anzin e dente.
E Libicocco : Troppo avem sofferto, Tropo aspetemo, Libicoco cria, 70
Disse; e presegli '1 braccio col runciglio, E col rampin sbregandoghe zo un brazzo,
Sì che, stracciando, ne portò un lacerto. De carne un bon bocon ghe porta via.
Draghignazzo anche i volle dar di piglio Anca un colpo a le gambe Draghignazzo
Giù dalle gambe ; onde il decurto loro Ga volsù dar, ma '1 capurlon chiapà
Si volse intorno intorno con mal piglio. Da la colera, zira ci so mustazzo. 75
Quand'elli un poco rappaciati foro, Co un poco in quei la stizza gh' è passà.
A lui che ancor mirava sua ferita, Al gramo che se varda la feria,
Dimandò '1 Duca mio senza dimoro : Subito el Mestro mio ga domandà:
Chi fu colui, da cui mala partita Chi è quel col qual ti gerì in compagnia,
Di' che facesti per venire a proda ? E che lassar, per vegnir qua de sora, 80
Ed ei rispose : Fu frate Gomita, Ti t' ha pentio ? Lu rien disendo via :
Quel di Gallura, vasel d' ogni froda, L'è sta frate Gomita de Galora,
Ch'ebbe i nimici di suo donno in mano, Cima de barador, che del paron
E fe lor sì, che ciascun se ne loda : Ga i nemici per bezzi mandà fora
lini, ir si tolse, e lascioiH di piano, Senza nissun processo da preson ; 85
Sì com'ei dice : e negli altri uffici anche Perciò i lo loda, el tende a dir lu stesso :
Barattter fu non picciol, ma sovrano, Del resto po in barar l'è sta un campion.
l'sa con esso donno Michel Zanche De la Sardegna el parla sempre o spesso
Di Logodoro; e a dir di Sardigna Con Don Zanche Michiel da Logodor,

Ì7-58 al baro = al truffatore. = sorze = sorcio.


G6 Dtsiadato .- poco fa.
70-71 cria — sgrida. — sbregandoghe =? lacerandogli.
72 un Aon boton - un grosso brano.
75 minlazzo = bruto cedo.
76 Co - quando.
82 Gomita de Galora - era un frate di nazione Sardo. Essendo costui favorito di Nino de' Visconti di Pisa ,
signore di Gallura in Sardegna, abusò della grazia di lui, Iral'ficamlo, nel far baratteria, di dignità cd uffici •-
facendo altre frodi. 1. i Sardegna era a quel tempo de' Pisani, ed era divisa in quattro giudicature, cioè Cagliari,
Logodoro, Gallura e Alborea.
83-34 del paron - - del padrone. Il frate ebbe in suo potere i nemici di Nino, e per poco denaro li lasciò in
libertà, si che di lui si lodarono. — per bezzi = per danaro.
80 Zanche Michiel =* fu Governatore del Giudicato di Logodoro. Raccontano le storie di Sardegna elic Adc-
lasia figlia di .Variano III signor di Logodoio, la quale in prime nozze avea sposato.Baldo II signore di Gallura
dopo qualche anno di vedovanza sposò Gnto figlio naturale dell'imperatore Federigo II, portandogli in dote il
Giudicalo di Logodoro, elic era la provincia più estesa della Sardegna. Morta costei nel 1243, non ostante t-li'el-
la avesse nel testamento istituito crede del suo Stato il Papa Gregario IX, Enzo già nominato dal padre re di
400 DELL' IIXFERM)

Le lingue lor non si sentono stanche. Tanto che '1 so discorso è mai desmesso. 90
Omè ! vedete l'altro che digrigna : O Dio! per carità, vardè'l furor
I' direi anche : ma io tenìo ch'elio De quel demonio ; ancora parlrria,
Non s'apparecchi a grattarmi la tigna. Ma che colù me sgrafa go timor.
E '1 gran proposto volto a Farfarello, El capo a Farfarei, che qua e là via
Che stralunava gli occhi per ferire, Rcballava i ochiazzi per sgrafar, 95
Disse : Fatti 'n costà, malvagio uccello. Ghe disi' : Bruto osel, cavile via.
Se voi volete vedere o udire, Se veder gave vogia o d'ascoltar,
Ricominciò lo spaurato appresso. ili scomenzà da novo el scaturio,
Toschi o Lombardi, io ne farò venire. 0 toscani o lombardi qua chiamar
Ma stien le male branche un poco in cesso, M'impegno: ma i rampini legni indrio, 100
Sì che non teman delle lor vendette ; Che no i gabia timor d'esser sgrafai:
Ed io, seggendo in questo loco stesso, E stando qua in senton a un subio mio,
Per un ch'io son ne farò venir sette, Come usi semo sempre nu oramai,
Quando' sufolcrò, com'è nostr'uso Co stando un fora, voi i altri chiamar ;
Di fare allor che fuori alcun si mette. Per un ne vegnerà tanti che mai. 105
Cagnazzo a colai motto levò '1 muso, Cagnazzo leva el muso a quel parlar,
Crollando '1 capo, e disse : Odi malizia Scoria la testa, e po : Senti el furbazzo
Ch'egli ha pensato per gittarsì giuso. Per sbignar zo che impianto el va a trovar.
Ond'ei ch'uvea lacciuoli a gran divizia, Ma lu che dei ingani ghe n' ha a sguazzo,
Rispose : Malizioso son io troppo, Dise: Son massa furbo, se burlando 110
Quando procuro a' miei maggior tristizia. 1 mii compagai più ghe dago impazzo !
Alichin non si tenne, e di rintoppo Dà su Alichina ; e i altri contrariando,
Agli altri, disse a lui : Se tu li cali, Dise al meschin : Se ti fa la scapada,
I' non ti verrò dietro di galoppo, Corendo no, te brincherò svolando
Ma batterò sovra la pece l'ali : Prima che in te la pegola te vada : 115
Lascisi '1 collo, e sia la ripa scudo, Zo andemo a veder drio la sponda a basso, >
A veder se tu sol più di noi vali. Se de mi vai de più la to bravada.
O tu, che leggi, udirai nuovo ludo. Senti, letor, sta sfida che dà spasso :
Ciascun dall'altra costa gli occhi rolse; Tuti va a l'altra riva, e primo va
Quel prima, ch'a ciò fare era più crudo. Zoso a calarse el più restier, Cagnasso. 120
Lo Navarrese ben suo tempo colse, Co '1 Navarese el bon momento ha ochià,
Fermò le piante a terra, e in un punto Fraca el pie in lera, e con un salto indrio,
Saltò, e dal proposto lor si sciolse. Dai ganzi de costori el s'ha salvà.

Sardegna, occupò i Giudicali di Logodoro e di CulIura, e li ritenne fino al 1249, epoca in cui passato a guer
reggiare in Italia, rimase prigioniero dei Bolognesi. Allora Michiel Zanche suo siniscalco, prese a governare in
nome di lui, finchè sposata Lanza Bianca madre di esso Enzo, della quale era stato drudo, colorili meglio i suoi
ambiziosi disegni, malmenò la provincia a suo talenio fino all'anno 1275 in cui fa ucciso a tradimento dal suo
nero Branca d'Uria genovese.
93 sgrafa = graffia.
95 Ribaltava - stralunava.
98 e! statario - - l'impaurilo.
102 m tenton - - siedulo = tulin - niffolo.
107 furbazzo - - qui vale per: furbo maligno.
103 che impianta — qual pretesto.
109 a sguazzo - - a profusione.
110 matit -- troppo.
112 Dà tu = sorge.
120 restia- = restio.
CANTO xxii. 404
Di che ciascun di colpo fu compunto, Resta ognun da quel tiro imatonìo,
Ma quei più, che cagion fu del difetto ; Ma più Alichina causa del mal : questo 125
Però si mosse, e gridò : Tu se' giunta. ( i lui svola iirili cigando: Ti xe mio;
Ma poco valse : che l'ale al sospetto Ma '1 fa fiasco, chi più de l'ale presto
Non potero avanzar: quegli andò sotto, Xe '1 spavento. El scampà s" ha ficà solo,
E quei drizzò, volando, suso il petto : L'altro xe svolà indi-io col smaco al cesto.
Non altrimenti l'anitra di botto, Cussi solo aqua l'anara de troto 130
Quando '1 falcon s'appressa, giù s'attuffa, Se lica, se '1 falcon se ghe avicina,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto. Che broà '1 torna in su straco dal moto.
Irato Calcabrina della buffa, Stizzà dal cogionelo, Calcabrina
Volando, dietro gli tenne, invaghito Gongolante ch'el furbo sia svignà,
Che quei campasse, per aver la zuffa. Svola per barufar contro Alichina: 135
E come '1 barattier fu disparito, Scomparso el barador, lu ga voltà
Così volse gli artigli al suo compagno, Le guzze ongiazze sora el compagnon, -
E fu con lui sovra '1 fosso ghermito. E sul fosso con elo el s'ha brincà;
Ma l'altro fu bene sparvier grifagno Però quel altro xe sta belo e bon
Ad artigliar ben lui, ed ambedue De ben sgrinfarlo, e luti do tacai, 140
Cadder nel mezzo del bollente stagno. In mezo al gran bogior fa un tombolon.
Lo caldo sghermitor subito fue : Quel scotor li ga in bota destacai ;
Ma però di levarsi era niente, Ma no i podea da là cavarse fora,
Si avieno inviscate l'ale sue. Perchè i gera ne le ale impegolai.
Barbariccia con gli altri suoi dolente Barbarizza e quei altri se dolora; 145
Quattro ne fe volar dall'altra costa Quatro da l'altra riva svolar fava
Con tutti i rulìi, ed assai prestamente Con tutti i ganzi, e presto presto alora,
Di qua di là discesero alla posta : In quel sito calai, qua, là i andava
Porser gli uncini verso gl'impaniati, ' Sporzendoghe in agiuto i rampegoni
Ch'eran già cotti dentro dalla crosta : Ai do invischiai, che intanto i se lessava: 150
E noi lasciammo lor cosi 'mpacciati. E là imbrogiai lassemo quei demoni.

124 dn iind tiro -- da quell'insidia — imatonio — sbalordito.


129 col maro al ceslo --' smuro, significa: vergogna; cesto, vocabolo qui preso per deretano.
130 l'aintra ....-. l'anitra.
132 trmi = deluso, scornato.
133 Stizzà dal cagionilo = arrabbiato per la burla.
137 ovaie - acute.
138 brincà = afferrato.
140 niIrinfuria = arruffarlo.
150 i tc lesi-ava -— si alessavano.
151 imbrogiai = imbrogliati.
1O2 DELL lNFERNO

CANTO VENTESlMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO

A passo a passo per la Bolgia sesta Va adasio adasio per la llolgia sesta
Degli lpocriti vaii l'anime vinte Dei lmporriti i spiriti dolenti,
Cui nuovo peso, ed eterno molesta. Che un peso novo li ha servii da festa.
Cappe di fuori a color d'oro tinte, Cape indorae de fora i ga lnsenti
Ma piombo dentro gravan loro il dosso, Ma drento via de piombo tute quante:
E il capo si ch'esser vorriano estinte, For de questo i voria tnti i tormenti;
Pria che si fatto incarco avere addosso. Tanto li afana l'abito pesante.

Taciti, soli, senza compagnia, Soli andavimo senza compagnia,


N'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo, Ziti ziti un davanti e l'altro in di io,
Come i frati minor vanno per via. Come i frati minovi va via via.
Volto era in su la favola d' lsopo Sta barufa chiamava al pensier mio
Lo mio pensier per la presente rissa, La favola d'Esopo, e com'el caso 5
Por Vi parlò della rana e del topo : De la rana e del sorze ga fìnio :
Chè più non si pareggia mo e issa, Che i i 111 'i cn do ben chi ghe dà '1 saso,
Che l'un coll'altro fa, se ben s'accoppia Com'el desso a l'adesso, ga da dir,
Principio e fme con la mente fissa. Sta i fati al paragon, se '1 ga bon naso.
E come l'ini pensier dell'altro scoppia, E come che un pensier sol scaturir 10
Così nacque di quello un altro poi, Da un altro, un novo me ne xe sortio,
Che la prima paura mi fe doppia. Che m' ha fato el timor dopio vegnir.
lo pensava cosi : Questi per noi Disea tra mi: Quei, causa nu, patio
Sono scherniti, e con danno e con beffa l ga el dano e una bona minchionada,
Sì fatta, ch'assai credo che lor nói. E tal, che i s' ha d'aver indespetio. 15
Se l'ira sovra '1 mal voler s'aggueffa, Se co la rabia va la briconada,
Ei ne verranno dietro più crudeli, Drio i ne vegnerà più invelenai
Che cane a quella levre ch'egli accetta. Del can che al lievro mola la dentada.
Già mi sentia tutto arricciar li peli Dal spavento i cavei se m'ha drizzai,
Della paura, e stava indietro intento, E tuto spaurio me vardo in schena 20
Quand'io dissi : Maestro, se non celi Disendo a la mia Guida : Quanto mai,
Te e me tostamente, i' ho pavento Mestro, temo i demoni, oh Dio che pena !
Di Malebranche: noi gli avem già dietro: Scondime insieme a ti, mo via fa presto,
lo gì' lmagino sì, che già gli sento. Che a le mie spale el pensier mio li mena.
E quel : S' io fossi d'impiombato vetro, E lu : Se fusse un spechio, mai podesto 25

5 Lo favola d'Esopo = Raccontasi che una rana avendo in animo di annegare un topo, se lo recò sul dorso
dicendogli di volerlo portare di h'i da un fosso; ma mentre andavano per l'acqua un nibbio calatosi ratto sopra
di loro li divorò.
7 rlii ghe dà 'l tato -.• quegli che ne fu la prova, o che ne fa l'assaggio.
10 tal = suole.
14 minchionada --- burla.
17 i,ireIfinii — arrabbiati.
18 flit al lievro mola la denfada — che al lepre appiccica la dentata.
CANTO xxtn. 403
L'imagine di fuor tua non trarrei Le to forme retrar mi avria cussi,
Più tosto a me, che quella d'entro impetro. Come ho '1 to cuor in mi scolpir savesto :
Pur mo venieno i tuoi pensier tra' miei I to pensieri ho avui desso anca mi,
Con Minii atto e con simile faccia, E la paura toa istessamente,
Sì che d'entrambi un sol consiglio fei. E l'idea de scampar, che ti ha avù ti. 30
S'egli è che sì la destra costa giaccia, Se a drita l'arzar pende dolcemente,
Che noi possiam nell'altre bolgia scendere, In st'altra bolgia da poder calar,
Noi fuggirem Immaginata caccia. No ne farà più mal la bruta zente.
Già non compio di tal consiglio rendere, Noi ga gnanca finido de parlar,
Ch' io gli vidi venir con l'ali tese, " Che avicinarse ho visto la genia, 35
Non molto lungi, per volerne prendere. Per brincarne su nu pronta a svolar.
Lo Duca mio di subito mi prese, M' ha subito brazzà la Guida mia,
Come la madre ch'ai romore è desta, Come una mare dai cigor svegiada,
E vede presso a sè le fiamme accese, Che visto el fogo, che a vicin s'invia,
Che prende il figlio e fugge, e non s'arresta, Tol su '1 fio, al qual più che a sè stessa bada, 40
Avendo più di lui che di sè cura, Nè se ferma, e in scampar l'è tanto lesta,
Tanto che solo una camicia vesta. Che solo una camisa s'ha impirada.
E giù dal collo della ripa dura E dopo in schena per la dura cresta
Supin si diede alla pendente roccia, L'è sbrissà zo drio '1 pender de la riva,
Che l'un dei lati all'altra bolgia tura. Che sera un fianco a l'altra bolgia sesta. 45
Non corse mai sì tosto acqua per doccia Stada l'aqua xe mai tanto coriva
A volger ruota di muli u terragno, In mover roda d'un molin da tera,
Quand'ella più verso le pale approccia ; Quando alle pale arente più l'ariva ;
Come '1 Maestro mio per quel vivagno, Come el caro Dotor per la riviera,
Portandosene me sovra '1 suo petto, Quasi fio, e no compagno, me portava 50
Come suo figlio, e non come compagno. Sora el so peto. Apena al fosso el gera
Appena furo i pie suoi giunti al letto Rivà in fondo, e sul pian i pie el ptrzava,
Del fondo giù, ch'ei giunsero sul colle Ch'eli xe in cima a l'arzare spontai
Sovresso noi : ma non gli era sospetto ; Proprio su nu, ma più timor no i fava;
Che l'alta providenzia che lor volle Perchè Dio, dai custodi destinai 55
Porre ministri della fossa quinta, Sora la quinta bolgia, no voi sia
Poder di partira' indi a tutti tolle. I confini, che Lu ha segnà, passai.
Laggiù trovammo una gente dipinta, Zente depenta ochiemo là zo via,
Che giva intorno assai con lenti passi Che atorno andava fando un passo a l'ora
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta. Pianzendo, e la parea straca e a villa. (M)
Egli avean cappe con cappucci basai Cape i ga coi capuzzi ai uchi sora,
Dinanzi agli occhi, fatte della taglia Sagomae come quele che i frati ma
Che per li monaci in Cotogna fassi. De Cotogna, e indorae tanto defora,

So retrar -r ritrarre o ritraggere; dipingere o scolpire al naturale.


31 Forzar = l'argine.
42 impirada = infilzata.
44 tbrisià zo = sdrucciolò giù.
46 Stiuln l' miun xi mai tanto norina = mai l'acqua ebbe tanto corso.
52 Itin'i = giunto.
62-63 Sagomat -- modellate = i frati tisa De Cotogna - Colonia città d'Alemagna sul Reno. I monaci di
quel luogo costumavano portar cappe molto ampie e rozze.
104 DELL' INFERIVO
Di fuor dorate son, sì ch'egli abbaglia; Che la vista al lusor resta confusa;
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, Ma fodrade de piombo e greve tanto, 65
Che Federico le mettea di paglia. Che quele de Ferigo pagia sbui-a
O in eterno faticoso manto ! Le saria in confronto. O eterno manto !
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca. D'eli a zanca el Dotor con mi camina,
Con loro insieme, intenti al tristo pianto : Stando a osservar de quei l'angossa e'1 pianto:
Ma per lo peso quella gente stanca Ma cossi a pian dal peso, che i strassina, 70
Venia sì pian, che noi eravam nuovi I andava, che a ogni gamba che vien mossa
Di compagnia ad ogni muover d'anca. Persona nova avemo a nu vicina.
Perch'io al Duca mio : Fa che tu trovi Varda, digo al Dotor, se mai se possa,
Alcun, ch'ai fatto o al nome si conosca, Caminando, tra quei qualche figura
E gli occhi sì andando intorno muovi. Trovar che a nome o a fati se conossa. 75
Ed un che intese la parola tosca, Un diio a nu, che ha sentio la lingua pura
Diretro a noi gridò: Tenete i piedi, Toscana, ciga in bota : Ferme lì
Voi, che correte sì per l'aura fosca : Vualtri, che core per st'aria scura :
Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi. Ti avarà forsi chi ti cerchi in mi.
Onde '1 duca si volse, e disse: Aspetta, Me dise el Mestro alora : Adesso aspeta, 80
E poi secondo il suo passo procedi. Po el tuo misura col so passo ti.
Ristetti, e vidi duo mostrar gran fretta Me fermo, e a do sul viso vedo schieta
Dell'animo, col viso, d'esser meco ; L'ansia d'esserme arente, ma li fava
Ma tardavagli '1 carco e la via stretta, Tardigar capa greve e strada strela.
Quando fur giunti, assai con l'ochio bieco Co i xe arivai, col pegio i me vardava 85
Mi rimiraron senza far parola ; Per un gran pezzo al longo senza arlìar ;
Poi si volsero in sè, e dicean seco : Po cussi tra de lori i se parlava :
Costui par vivo all'atto della gola : Costù in mover la gola vivo el par;
E s'ei son morti, per qual privilegio E se i xe morti, perchè mo no i ga
Vanno scoverti della grave stola? La nostra capa anca eli da portar ? 90
Poi dissenni : O Tosco, ch'ai collegio Po i me dise : O Toscan, che ti è sin qua
Degl'ipocriti tristi se' venuto, Tra la fragia de impocriti vegnuo,
Dir chi tu se' non avere in dispregio. Degnile dirne chi ti xe. Mi là
Ed io a loro : I" fui nato e cresciuto Son nato, digo a lori, e son cressuo
Sovra '1 bel fiume d'Arno alla gran villa, Sora el bel Arno a la cità del fior, 95
E son col corpo ch'io ho sempre avuto. E son col corpo che go sempre avuo.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, Ma Vualtri chi mai seo che de dolor
Quant'io veggio, dolor giù per le guance; Zo dal viso gran lagreme spandè ?
E che pena è in voi che si sfavilla ? E qual pena ve dà tanto lusor ?
E l'un rispose a me : Le cappe rance Un dise: SU labari zali i xe 100
Son di piombo sì grosse, che li pesi De piombo pesantissimo fodrai,

66 Ferigo = Ai rei di lesa maestà Federigo II. faceva porre addosso una gran veste di piombo, e cosi ve
stiti li faceva mettere in. un
__ gran vaso di fuoco --. pagia stima - - paglia vuota.
77 cupa in bota ---.- grida subito.
84 Tardigar = ritardare.
85 col pegio = con cipiglio, guardatura bieca.
86 nrfìnr =s fiatare.
92 fragia - compagnia.
97 «o = siete.
100 zali = gialli.
CANTO XXIIf. 105
Fan così cigolar le lor bilance. Che a chi li porta fa cigar oime.
Frati Godenti fummo, e Bolognesi, Frati Godenti bolognesi stai
Io Catalano, e costui Loderingo Smini ; mi Calalan chiamà, e questo
Nomati, e da tua terra insieme presi, Lodringo, al lo paese destinai, 1 05
Come suoi esser tolto un uom solingo Com'è l'uso, ai partii nu strani, in sesto
Per conservar sua pace ; e fummo tali, A mantegnir la pase; e dei segnali
Ch'ancor si pare intorno dal Gardingo. De nu al Gardingo ghe n'è ancora un resto.
Io cominciai: O frati, i vostri mali Mi scomenzava : Frati, i vostri mali
Ma più non dissi; che agli ochi mi corse Ma n'ho dito de più; che i ochi porto 110
Un crocelìsso in terra con tre pali. S'un omo in lera in erose con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse, Co quel m' ha visto, el s' ha luto contorto
Soffiando nella barba co' sospiri. Supiando in tei barbon tra '1 sospirar.
E '1 frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, El frate Catalon, che se ga incorto :
Mi disse: Quel confitto, che tu miri, Caifasso è quelo che ti sta a vardar, 115
Consigliò i Farisei, che convenia Dise, che i Farisei 1° ha consegià
Porre un uom per lo popolo a' martiri. Un omo per el ben sacrificar
Attraversato e nudo è per la via, Del popolo. Nuo in strada calpestà,
Come tu vedi, ed è mestier eh" e' senta Come ti vedi, el peso dei passanti
Qualunque passa com'ei pesa pria : Prima el ga da sentir là destirà. 120
E a tal modo il suocero si stenta Cossi pena in sta fossa in mezzo ai pianti
In questa fossa, e gli altri del concilio, So missier Ana, e i altri del compioto,
Che fu per li Giudei mala sementa. Che ga portà ai Giudei dei mali tanti.
Allor vid'io maravigliar Virgilio Virgilio de stupor l' ha fato un moto
Sopra colui ch'era disteso in croce Per quella crocifissa creatura, 125
Tanto vilmente nell'eterno esilio. Che in eterno avilia la sta là soto. .
Poscia drizzò al frate cotal voce : Dopo el ga al frate domandà a dritura :
Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci Se ve piase e podè, disene mo
S'alia man destra giace alcuna foce, Se a drita ghe xe qualche avertaura,
Onde noi ambedue possiamo uscirci Tanto che nu podemo tuti do 1 30
Senza costrìnger degli angeli neri, Da qua andar fora senza che obligar
Che vegnan d'esto'fondo a dipartirei. S'abia i demoni a compagnarne zo.
Rispose adunque: Più che tu non speri lì' he più a vicin che no ti poi sperar,

103 l'uni Godenti — frati di un ardine cavalieresco istituito per combattere contro gli infedeli e i violulori
della giustizia. Il loro nome era di frati di S. Maria, ma furono dal popolo soprannominati Godenti, perchè con-
ducevano vita molto agiata.
104-105 Calalan - < Catalano dei Malavolti di parte guelfa = Lodringo -- o Roderico degli Andalo di parte
Ghibellina, entrambe bolognesi, eletti podestà di Firenze nel 1266.
106-108 ai partii nu nfrani' = ai partiti noi estranei. Venivano eletti a podestà persone forestiere non vin
colate da nessun rapporto nella città per mettere l'ordine. Quando questi due frati ebbero in mano il governo
della città, si manifestò la loro ipocrisia, poichè corrotti dai Guelfi, turbarono la pace cacciando e perseguitan
do i Ghibellini e ardendo le loro case e segnatamente quelle degli liberti che erano nel Gardingo; del qual no
me si chiamava una contrada presso Palano Vecchio, dove è stata la Dogana lino al nostri giorni. :- in iato
— in buon ordine.
115 Caifatto = elie mascherò coll'umor del pubblico bene il suo odio contro Gesù Cristo: e u buon dritto
ba Ira gli ipocriti quello stesso supplizio di che fa cagione all'innocente oppresso.
122-123 Ho mister Ana - Anna sacerdote, suocero di Caifasso = compialo = combricola, compagnia o con-
venazione di gente che consulti insieme di far male. a» La morte di Cristo decisa in concilio portò lo tlcrminio
dei Giudei, e la distruzione di Gerusalemme per opera di Tilo.
128 mo = particella riempitiva.
129 ava-laura = apertura, fesso.
-106 DELL IIVFEKNO
S'appressa un sasso, che dalla gran cerchia Responde, un ponte che tutti i valoni
Si muove, e varca tutti i valimi feri, Va, partindo dal cerchio, a traversar, 135
Salvo ch'a questo e rotto, e noi coperchia : Via che a sta fossa el xe tuto a boconi :
Montar potrete su per la ruina, Perciò è scoverta ; podere andar su
Che giace in costa e nel fondo soperchia. Là zo per rovinazzi e per sassoni.
Lo Duca stette un poco a testa china ; Ga'l Mestro el viso basso un fià tegnù,
Poi disse : Mal contava la bisogna Po '1 disii : Donca chi i danai là via 140
Colui che i pecator di là uncina. Rampina, ri ha inganà. E'1 frate a lu :
E'1 frate: l'udi' già dire a Bologna A Bologna mi questa go sentia,
Del diavol vizi assai, tra' quali udi' Che pien de vizi è '1 diavolo, e tra tanti
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna. Lu falso, pare el xe de la busia.
Appresso, il Duca a gran passi sen gì, Dopo el Mestro a gran passi el xe andà avanti, 1 i.'i
Turbato un poco d'ira nel sembiante : Mostrando un poco el viso indespetio :
Ondlo dagl'incarcati mi parti' E lassai quei dai abiti pesanti
Dietro alle poste delle care piante. Ai passi ho tegnù drio del Mestro mio.

136 via --—- fuorché — a boconi — in pezzi.


138 rovinami = rottami, frantumi.

CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Gio per lo dosso scosceso e dirotto Calando da una eroda a passo a passo,
D'un aspro sasso, dalla Bolgia sesta Sola strada che a stento a iar ghe giova,
Scendon li duo Poeti più di sotto. De la setima Bolgia i zonze a basso.
Di Olanni l'ucci lo caso gli arresta, Giani Fuci in quel sito a caso i trova
Che ivi tra ladri fra le serpi giace ; Coi ladri tra i serpenti, e là sbasìo,
E cener fatto, di nuovo nx desta, Da cenere tornando a vita nova,
E conosciuto, nue. colpe non tace. Col dir su i so pecai el ga flnio.

In quella parte del giovinetto anno, Sul principio de l'ano o là là intorno,


Che '1 Sole i crin sotto l'Aquario tempra, Che più alegra fa'l Sol la so comparsa,
E già le notti al mezzo di sen vanno : E la note vien longa quanto el zorno;
Quando la brina in sulla terra assempra Quando la brosa su la tera sparsa,
1.' imagine di sua sorella bianca, Che l' idea de la neve la presenta,
Ma poco dura alla sua penna tempra ; Ma la xe da 11 un fi à anca scomparsa;
Lo villanelle, a cui la roba manca, Se leva el contadin senza polenta,
Si leva e guarda, e vede la campagna E 1' campo bianco ochià, tuto avilio,

1 o là là intorno — circa.
4 troia = brina.
C da là tot fià = da II a un momento.
CANTO xxiv. 407
Biancheggiar tutta, ond'ei si batte l'anca; Batendose in ti fianchi se lamenta :
Ritorna a casa, e qua e là si lagna, Tornà in casa, qua e là va indespetio, 10
Come'l lapin che non sa che si faccia; Com'uno che no sa quel ch' el se fa.
Poi rinlr, e la speranza ringavagna, Da là poco da novo po sortio,
Veggendo '1 mondo aver cangiata faccia La speranza, in vedèr tuto cambià
In poco d'ora, e prende suo vincastro, Ghe torna al cuor ; e tolta la bachela,
E fuor le pecorelle a pascer caccia : Para fora le piegore sul pra : 15
Così mi fece sbigottir lo Mastro, Cossi m' ho sbigotio, a dirla schieta,
Onand" io gli vidi sì turbar la fronte, Quando ho visto al Dotor scurirsi- el fronte ;
E così tosto al mal giunse lo 'mpiastro : Ma go trovà al mio mal pronta riceta :
Che come noi venimmo al guasto ponte, Che co scimi arivai al roto ponte,
Lo Duca a me si volse con quel piglio La mia Guida me varila dolcemente 20
Dolce, ch' io ridi in prima a pie del monte. Come la prima volta a pie del monte.
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio Dopo fermà '1 pensier ne la so mente,
Eletto seco, riguardando prima I rovinazzi prima ben vardando,
Ben la ruma, e diedemi di piglio. Me chiapa tra i so brazzi bravamente.
E come quei che adopera ed ìstima, E come chi un imbrogio sta osservando 25
Che sempre par che innanzi si provveggia ; Davanti a quel ch'el fa, e ghe provede;
Così, levando me su ver la cima D'una eroda cussi '1 me va levando
I)' un ronchione, avvisava un' altra scheggia, Su in cima, e el dise, insin che sporzer vede
Dicendo : Sopra quella poi t" aggrappa ; Un altra ponla: Brinchela, ma avanti
Ma tenta pria se è tal, ch' ella ti reggia. Varda ben se al to peso no la cede. 30
Non era via da vestito di cappa, Noi gcra un viai per abiti pesanti,
Che noi appena, ei lieve, ed io sospinto, Se lu leziero e mi a spentoni, a stento
Poteram su montar di chiappa in chiappa. S" andava su de eroda in eroda avanti.
E se non fosse, che da quel precinto. E se più curto l'arzare de drento
Più che dall'altro, era la costa corta, Noi fusse sta de l'altro, mi durà 35
Non io di lui, ma io sarei ben vinto. No avaria, no so lu, in quel cimento.
Ma perchè Malebolge in ver la porta Ma perchè Malebolge in pender va
Del bassissimo pozzo tutta pende, Tuta verso el gran pozzo molto basso ;
Lo sito di ciascuna valle porta, Fata è in modo ogni vale, che in su sta
Che l'ima costa surge e l'altra scende : Un arzare, e in zo l'altro. Tra sto amasse 40
Noi pur venimmo alfine in su la punta Tant' e tanto andar su se se inzegnava
Onde l'ultima pietra si scoscende. Proprio in dove sporzea l'ultimo sasso.
La Iena m' era del polmon sì munta Tanto el fià nei polmoni me mancava
Quando fui su, ch'io non potea più oltre, Co son sta in su, che no podeva arfiar ;
Anzi mi assisi nella prima giunta. E subito là zonto me sentava. 45
Omai convien che tu così ti spoltre, Via mo, no star qua fermo a poltronar,

23 rovinazzi = rotlami, quantità di frantumi.


17 eroda = roccia.
29 un ultra ponta - un' olirà punta (della roccia).
37 Matrtidye - cosi dello l'otiavo cerchio: vedi C. XVIII.
41 Tant' e tanto - ciò non di meno.
43 il fià ^* il fiato, il respiro.
44 Co --. quando _ arfiar — alitare.
46 mo — parlicella" riempitiva.
108 DELL IIVFER>0
Disse '1 Maestro, che, seggendo in piuma Dise el Dolor, che stando ai nizioi drento,
In fama non sì vien, nè sotto coltre : Nissuna fama no se poi sperar :
Senza la qual chi sua vita consuma, Senza eia, chi strazzar fusso contento
Cotal vestigio in terra di sè lascia, La vita, el segno in tera lassarla, 50
Qual fumo in aere od in acqua la schiuma. Come la spiuma in aqua, o '1 fumo al vento.
E però leva su, vinci l'ambascia Su donca ; vinci la poltronaria
Con l'animo che vince ogni battaglia, Con l'anemo che vince ogni malora,
Se col suo grave corpo non s'accascia. Se del corpo snervà schiavo noi sia.
Più lunga scala canvien che si scaglia : Scala più longa a far te resta ancora: 55
Non basta da costoro esser partito : No basta aver lassà i danai là zoso;
Se tu m' intendi, or fa sì che ti vaglia. Se t' intendi, el to pro cavighe fora.
Leva' mi allor, mostrandomi fornito Più che no in prima alora in pie anemoso
Meglio di lena ch' i' non mi sentia ; M' ho levà in bota, e digo : Va, che grando
E dissi : Va, ch' i' son forte ed ardito. ("•o el coragio, e vegnù son vigoroso. 60
Su per lo scoglio prendemmo la via, Su quel ponte nu andemo caminando
Ch'era ronchioso, stretto e malagevole, Streto, erto più del primo, a gropi fato
Ed erto più assai che quel di pria. E intrigoso che mai. Mi là parlando
Parlando andava per non parer fievole ; Andava per mostrar vigor rinato;
Onde una voce uscio dall'altro fosso, E un tal, che a l'altro fosso m'ha sentio, 65
A parole formar disconvenevole. L'osava a forte co un parlar da mato.
Non so che dissi-, ancor che sovra'l dosso Sibilli in cima al ponte, n'ho capio
Fossi dell' arco già che varca quivi ; Un bel gnente, ma quelo che parlava,
Ma chi parlava ad ira parea mosso. Pareva da la rabia inviperio.
l' era volto in giù ; ma gli occhi vivi Mi avea la testa in zo, ma no arivava 70
Non potean ire al fondo per l' oscuro : I ochi in fondo a destinguer dal gran scuro ;
Perch'io: Maestro, fa che tu arrivi E perciò cussi '1 Mestro mi pregava:
Hall' altro cinghio, e dismontiam lo muro ; Andemo in si' altro cerchio zo dal muro,
Che com' i' odo quinci, e non intendo, Perchè come qua sento, e gnente intendo,
Così giù veggio, e niente affiguro. Vedo là zo, ma gnente de sicuro. 75
Altra risposta, disse, non ti rendo, Lu dise : Altra resposta no te rendo,
Se non lo far : che la dimanda onesta Se no quel che ti disi nu faremo ;
Si dee seguir con l'opera tacendo. Chè'l bon voler s'el deve far tasendo.
Noi discendemmo il ponte dalla testa, Dal cao del ponte donca desmontemo,
Ove t'aggiunge coll'ottava ripa, Per dove va a locar rotava riva, 80
E poi mi fu la bolgia manifesta : E là alora la bolgia ben vedemo.
E vidivi entro terribile stipa Drento ho visto de bissi orida stiva,
DI serpenti, e di sì diversa mena, E tal d'ogni rason, che la memoria
Che la memoria il sangue ancor mi scipa. A giazzar l'arme el sangue insiu l'ariva.

47 nizioi — lenzuolo.
49-50 «razzar fune contento La vita sr fosse disposto dissipare la propria esistenza.
55 State pia longa = la salita del Purgatorio, per veder Beatrice.
59 m tòta = subito.
63 E intrigaxo che mai sz e quanto mai difficile.
66 L'osava a forte = vociava forte. — co =: con.
79 Dal cao del ponte = dalla estremità del ponte.
83 d'ogni raton = d'ogni specie.
84 giazxor = agghiacciare.
CAUTO XXTV.
Più non si vanti Libia con sua rena ; Lassa col to sabion, Libia, la boria: 85
Che, se chelidri, iaculi e farce Chè se ti dà chelidri, anfesiben,
Produce, e ceneri con anfesibena ; Farce, giaculi e ceneri; mai la gloria
Nè lante pestilenzie, nè si rce Ti ha avù de tante bestie col x clon,
Mostrò giammai con tutta l' Etiopia, Nè cussi liriT con l'Etiopia intiera,
Nè con ciò che di sopra il mar Bosso ce. Nè con quel che 1" Egito in elo tien. 90
Tra questa cruda e tristissima copia ln uiivii a ste bestiazze aneme gera
Correvan genti nude e spaventate, Nue tute, che coma spaventae;
Senza sperar pertugio o eutropia. E un buso, o eutropìa eie no spera.
Con serpi le man dietro avean legate ; Gavea le bisse a quei le man ligae
Quelle ficcavan per le ren la coda Co la so eoa in schiena e co la testa, 95
E'1 capo, ed' eran dinanzi aggroppate. E a le panze le gera intorcolae.
Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda, Eco su un che a la nostra banda resta,
S'avventò un serpente, ch'1 trafisse S' ha sianzà un bisso, e lo ferisse lì,
Là dove il collo alle spalle s'annoda. Dove le spale al colo se ghe inesta.
Né O A tosto mai, nè l si scrisse, L'O tanto presto t'ha mai cerito o l'l, 100
Gom' ei s'accese e arse, e cener tutto Come quel s' ha impizza, l' è arso ; e fato
Convenne che cascando divenisse : Cenere tuto, el xe cascà cussi.
E poi che fu a terra sì distrutto, Po quando in tera l' è restà desfato,
Le cener si raccolse per sè stessa, La cenere eia sola se ingrumava,
E in quel medesmo ritornò di butto : E in quel ch' el gera, a vista s' ha refato. 105
Così per li gran savi si confessa, l." istesso, come i Savi assicurava,
Che la Fenice muore e poi rinasce, Mor la Fenice, che revive ancora
Quando al cinquecentesimo anno appressa. Dopo ani cinquecento. Nè de biava,
Erba nè biada in sua vita non pasce, Nè d'erba qualsesia la se restora,
Ma sol d'incenso lagrime e d'amomo; Ma de giozze d'incenso e amo mo sol, 11O
E nardo e mirra son l'ultime fasce. E nardo e mira da morbido odora.
E qua1 è quei che cade, e non sa como, Come chi ha fato, e '1 modo dir noi poi,
Per forza di demon eiìa terra il tira, Col demonio in tei corpo un tombolon,
O d'altra oppilazion, che lega l'uomo, O i sentimenti se altro mal ghe tol,
Quando si leva, che intorno si mira, Levà da tera, i ochi in confusion 115
Tutto smarrito dalla grande angoscia Zirando, da l'angossa tramortio,
Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira ; Varda atorno, po '1 mola un sospiron ;
Tale era il peccator levato poscia. Cossi s'ha alzà quel pecator smario.

85 Libia ••. Libia chiamatasi dai Greci quella parte del monilo clic i Rumimi poscia chiamarono Africa.
i'li strssi Romani conservarono il nome di Libia n quel paese arenoso dell'Africa ehe giace al Ponente dell'l Vii.
'" e che oggi è detto: Deserto di Bcrilon. Di questa Libia ilei Romani ne parla il Pocta.
86 CAr/iVr/, Anfesiben ecc. — varie specie di serpenti.
80 Etiopia =: altra provincia dell'Africa.
93 eutropia •• dal volgo in antico credevasi che la pietra verde con macchie rosse chiamata Eutropia,
avesse virtù di rendere invisibile chi la portava indosso.
96 niforco/ne — attortigliale.
101 •' lui impizzà —MI': acceso.
104 te ingrvmara = si ammncchiava.
106 i Savi :-• della Fenice parlano Pomponio, Tacito, Plinto, Claudiano, Brunetto Latini ed altri, che. suno
forse i Savi, cui ebbe in mente il Pocta.
H2-113 Come chi Ha faia ec. = come l'ossesso indemoniato fece il capitombolo,
DELL' INFERNO
O giustizia di Dio quant' è severa, Oh quanto nei castighi xe severa
Che cotai colpi per vendetta croscia ! La giustizia teribile de Dio ! 120
Lo Duca il dimandò poi chi egli era : Ga domandà po' 1 Mestro chi ch' el gera ;
Perch'ei rispose: l' piovvi di Toscana, E lu responde : Da Toscana vegno,
Poco tempo è, in questa gola fera. E da poco danà so in sta galera.
Vita bestiai mi piacque, e non umana, Vita ho menà bestiai senza retegno ;
Si come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci Son Vani Fuci bestia; chiamà son 125
Bestia, e Pistola mi fu degna tana. Mulo, e Pistogia m'ha dà'l cuzzo degno.
E io al Duca : Dilli che non mucci, Mi al Mestro : Che noi scampa di' al bricon,
E dimanda qual colpa quaggid '1 pinse; E fate dir per cossa el xe in sto sito,
( '.li' io '1 vidi uom già di sangue e di corrucci. Se l'ho visto de stilo gran campion.
E il peccator, che intese, non s' infinse, Quel danà che ha sentio quanto mi ho dito , 139
Ma drizzò verso me l'animo e '1 volto, Vergognoso a dritura s'ha voltà
E di trista vergogna si dipinse; Da mi, ma col rabiezzo in fronte scrito.
Poi disse : Più mi duol che tu m' hai collo Po'l dise: Che ti m'abi qua trovà
Nella miseria, dove tu mi vedi, In sta miseria, più me fa penar
Che quand' i' fui dell' altra vita tolto. Che quando a l'altro mondo i m'ha impicà. 135
l' non posso negar quel che tu chiedi : Quel che ti voi, no posso a ti negar:
In giù son messo tanto, perch'io fui Qua son danà perchè a la sacrestia
Ladro alla sagrestia de' belli arredi; I paramenti bei so andà a robar,
E falsamente già fu apposto altrui. E a un altro è sta imputà la colpa mia.
Ma perchè di tal vista tu non godi, Ma a ciò no ti abi gusto del tormento 1*0
Se mai sarai di fuor de' luoghi bui, Qua visto, se ti torni là su via,
Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi. A quanto son per dir sta ben atento :
Pistola in pria di Neri si dimagra, I negri da Pistogia descazzai,
Poi Firenze rinnova genti e modi. Va a Firenze, che quel so regimento
Tragge Marte vapor di vai di Magra, Renova. Marte i fulmini stanzai ti."i
Ch' è di torbidi nuvoli involuto, De guera da Valmagra in quantità ;
E con tempesta impetuosa ed agra Minazzando teribili che mai,
123 to = sono.
125 Son Foni Fuci Vanni Facci fu bastarda di Messcr Faccio de' Lazzari nobile Pistojese; perciò è qui
nominato mulo.
126 el cuzzo - il covile, e sta in relazione al titolo di bestia attribuitosi da Vanni Fucci.
128-129 = m ito tilo -- cioè tra i ladri, e non tra i violenti, se Dante lo conobbe sanguinino.
132 rattezza = rabbiosa stizza.
137-139 Qua son danà ee. --. Vanni Facci della Dolce, Vanni della Monna, e Vanni Mironne Pistoiesi, si
unirono per rubare il tesoro di S. Jacopo; tentarono difatti il gran furto, ma non successe loro pienamente, fu
gati da qualche mmore che intesero. La giustizia fece arrestare diversi come sospetti del delitto, e tra gli altri
un Rampino di Ranuccio che fu preso a perderne il capo. Finamente preso Vanni della Monna, confessò la ve
rità del fatto e i suoi compiici. Ciò avvenne nel 1203. La sjcristia di S. Jacopo di Pistoja, dove si custodivano
i preziosi, era chiamata il Tesoro. — to anda — sono andato.
143 / Negri da Pistoia = La narrazione che fa FIUTI ha la forma profetica. La divisione di Pistoja in
Bianchi e in Neri avvenne nel 1300, e nel 1301 i Bianchi Pistojesi coll'ajnto dei Bianchi Fiorentini cacciarono
dalla cillà i Neri, i quali rifugiatisi in Firenze '-t' accostatisi alla parte Nera, fecero si che questa prevalesse alla
Rianca, e venuta al potere cambiò nella Repubblica modi di governo e governanti. Allora i IVeri Fiorentini de
liberarono di muover le armi contro Pistoja dominata du parte Bianca e per maggior sicurezza si collegarono
con Lucra, eletto capitano dell'impresa Maroello Malaspina, marchese di Giovagallo in Lunigiana; il quale mos-
sossi, venne a por l'assedio a Seravalle, castello importante dei Pistojesi. Questi veduto il pericolo che gli mi
nacciava, misero insieme quanta più gente poterono, e aiuIarmi» contro i nemici. Ma il llulaspina sentito l'av
vicinarsi dei Bianchi, usci loro addosso con grandissimo impeto e gli sconfisse inferamente nel piano che è tra
Seravalle e Monti-catini, che è campagna Pesciatina chiamata dal Poeta Campo Piceno. Alla battaglia, che, se
condo le storie Pistojesi. avvenne nel 1302, seguitò la resa di Scravalle, la dedizione di Pistoju, e la rovina in
generale di parte Bianca. Questo è l'avvenimento che sotto forma allegorica vaticina a Dante il ladro Fucci.
CANTO XXV. ili
Sopra Campo Picen fia combattuto : Sora Campo-Picen i piomberà ;
Ond'ei repente spezzerà la nebbia, E su i Bianchi sfogando el so furor,
Sì ch'ogni Bianco ne sarà feruto : Tuli in t'un lampo li sterminerà: 150
E delto l' ho, perchè doler len debbia. Questo a ti digo a ciò "i te brusa el cuor.

CANTO VENTESlMOQUlNTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Ecco di serpi cinto si martira Revoltolà dai bissi cha desio
Caco ladron con quelli della Retta. Fa de lu, el ladro Caco a compagnia.
Che costaggiù de' suoi furti sospira. Dei latrocini soi qua paga el ilo.
E pili ferisce divina vendetta ; Ma acio più ancora el ciel vendici sia,
Ch'or nuov'nomo, ed or fera divenuta, Mua'l bisso in omo, e l'omo in un serpente.
Costi sen va la gente maledetta, La maledetii va ladra genia:
E spesso l'un nell'altro sì tramuta. E un nel' nitro cambiar spesso ae sente.

Al fine delle sue parole il ladro Finindo el ladro da parlar cussi,


Le mani alzò con ambeduo le licia', Conzegnae le do man a un bruto sesto,
Gridando : Togli, Dio, chè a te le squadro. Le alza e ciga : Chiò, Dio, sii corni a ti.
Da indi in qua mi fùr le serpi amiche, Go amà i bissi, co ochiarne un go podesto
Perch'una gli s'avvolse allora al collo, Revoltarseghe al colo de cola,
Come dicesse: l' non MI" che più diche: Quasi ci diga : No voi sentir el resto :
Ed un'altra alle braccia, e rilegollo E un altrui intorcolandoseghe a lu
Ribadendo sè stessa sì dinanzi, Davanti, i brazzi el ga cossi ligai,
Che non potea con esse dare un crollo. Che un moto far con quei noi ga possù.
Ah Pistola, Pistola ! chè non stanzi Ah Pistogia, Pistogia ! perchè mai 10
D'incenerarti, sì che più non duri, No ti va in fumo, mentre xe sicuro
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi ? Che ti ha i to vechi in briconae passai ?
Per tulti i cerchi dell' lnferno oscuri Per tuti i cerchi de l'inferno, zuro,
Spirto non vidi in Dio tanto superbo, N'ho visto contro Dio tal superbazzo,
Non quel che cadde a Tebe giù de' muri. Nè quel che a Tebe xe cascà dal muro. 15
Ei ti fuggì, che non parlò più verbo : Senza a vi ir boca xe scampà '1 furbazzo:
Ed io vidi un Centauro pien di rabbia E go visto un centauro pien de stizza
Venir gridando : Ov'è, ov'è l'acerbo ? Vegnir cigando : Dove xc '1 bravazzo ?
Maremma non cred'io che tante n'abbia, Tanti bissi in Marema no ghe sguizza,

! Contrarn» = disposte = l/ruto testo .- bruto gesto.


3 Chiò = prendi. *
4 co = quando.
5 Kevotiarseglic - volgersi intorno.
7 intHrcotandoseghc .-. attorligliandoglisi.
12 i to cechi = i tuoi maggiori, i tuoi antenati.
15 iVt qnel che a Tebe xe roteò dal muro = Questi è Capanco che mentre nelle mura ili Tebe assediala
i e sfidava Giove, fu dalla folgore percosso e giù di quelle precipitato: vedi il Canto XlV v. 63.
16 furbazzo =: qui vale per furfantacelo, ribaldo.
17 centuuro • . mostro favoloso mm' uomo e mezzo cavallo.
19 liurema — Maremma è luogo palustre nella Toscana nel quale sono biscia in gran copia.
INPERNO
Quante bisce egli avea su per la groppa, Quanti credo, el n'avea su la so schena 20
Infio dove comincia nostra labbia. Instn là in dove el corpo uman se drizza.
Sopra le spalle, dietro dalla coppa, Co l'ale averte un drago se ghe impena
Con l'ale aperte gli giaceva un draco, Sura le spale del copin da drio,
E quello alloca qualunque s'intoppa. E quel che imbate brusa a boca piena.
Lo mio Maestro disse : Quegli è Caco, Quelo xe Caco, dise el Mestro mio, '-5
Che sotto il sasso di monte Aventino Che del monte Aventin là soto el sasso,
Di sangue fece spesse volte laco. El ga spesso de sangue fato un rio.
Non va co' suoi fratei per un cammino, Noi va qua lu coi so compagni a spasso,
Per lo furar frodolente ch'ei fece Che là arente co ingano el gà robà
Del grande armento, ch'egli ebbe a vicino : D' Ercole i bo tirandoli drio passo. 30
Onde cessar le sue opere biece Ma d' Ercole la elava el fin ga dà
Sotto la mazza d' Ercole, che forse Con cento colpi a sta rebaldaria,
Gliene die cento, e non* sentì le diece. Che forsi i primi diese ga bastà.
Mentre che sì parlava, ed ei trascorse : In quel ch'el parla, Caco passa via :
E tre spiriti venner sotto noi, Tre spiriti po vien soto de nu, 35
De' quai nè io nè '1 Duca mio s'accorse, Nè mi m' ho incorto nè la Guida mia,
Se non quando gridar: Chi siete voi? Se no co i ga cigà : Chi seu mai vu ?
Porche nostra novella si ristette, Cossi per tegnir drio ai novi atori,
E intendemmo pure ad essi poi. De Caco za no se ne parla più.
l' non gli conoscea, ma ei seguette, Nissun mi conosseva de costorl, M
Come suoi seguitar per alcun caso, Ma come qualche volta porta el caso,
Che l'un nomare all'altro convenette, Che un ne nomina un altro, uno de lori
Dicendo : Cianfa dove fia rimaso ? Dise : Dove xe Chianfa mai ? Mi taso,
Perch'io, acciocchè '1 Duca stesse attento, Ma aciò ch'el Mestro staga atento, in segno
Mi posi '1 dito su dal mento al naso. Me puzo el deo su dal barbnzzo al naso. 45
Se tu sei or, lettore, a creder lento No fa stupor se quel che a dir m'impegno
Ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia, Vu, mio letor, a crederlo stentè, .
Che io, che '1 vidi, appena il mi consento. Che mi, che ho visto, apena me rassegno.
Com' i' tenea levate in lor le ciglia, Mentre go i ochi fermi su quei tre,
E un serpente con sei piò si lancia D'improviso contro un se ga stanza, 50
Dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia. E s' ha tacà un serpente con sie pie.
Co' pie di mezzo gli avvinse la pancia, Coi de mezo la panza el ga ligà,

£3 del eopin da drio — la parte di dietro il capo verso il collo.


45 Caco -.- questo famoso e crudelissimo ladro è detto da Virgilio mezz'uomo e mezzo cavallo, per la
quale espressione Dante lo ha creduto della razza dei centauri.
29-30 Che là areate te. = Caco rubò le vacche che Ercole pasceva presso il monte Avenliao, e IraenJolc
per la coda le fece camminare all'indietro lino alla sua spelonca acciocchè Ercole non potesse ormarle e disnio-
(irire il furto, ma le vacche mugghiando resero vana la frode dell' astuto che sotto la elava di Ercole cade murii
= ardde = vicino = m — con.
aj Tre tpiriti = questi sono: Agnel Bruueselii, Buoso degli Abeti, e Puccio Sciancato de' Galigai, tre cit
tadini ragguardevoli di Firenze, i quali sono dannati Ira ladri, nun per Iin li privati e vili, ma perchè posti nei
primi carichi della Repubblica ne distrassero a loro pro le rendite e si arricchirono a danno del pubblico.
37 co = quando nz seu = stete.
43 Chianfa - vuoisi elic costui fosse della famiglia dei Donati di Firenze -- Dise: Dove xe Chianfa mai'
cosi chiede uno di quei dannati, perchè Cimila era sparito trasformandosi nel serpente dei sei piedi, come si
vedrà in seguito - .. Mi taso -- io taccio.
45 me puzo ci deo = mi appoggio il dito. = barbuzìo — mento.
50-51 D'improvito :-- il serpente qui descritto era il trasformato Cianfa, di cui il v. 43 = ite pie = sci
piedi,
CANTO XXV. 113

E con gli anterior le braccia prese; Quei davanti ai so brazzi intorno zira,
Poi gli addentò e l'ima e l'altra guancia : E coi denti i ga '1 viso morsegà.
Gli diretani alle cosce distese, Quei da drio pe* le cosse li destira, 55
E miseli la coda tr'ambedue, E tra de queste la so coa passada,
E dietro per le ren su la ritese. Drita su per la schena la ritira.
Ellera abbarbicata mai non fue Su un alboro s' ha mai cussi tacada
Ad alber sì, come l'orribil fiera L'elera, come quela orenda fiera
Per l'altrui membra avviticchiò le sue : ln tei corpo de l'omo s'ha incastrada. 60
Poi s'appiccar, come di calda cera Po s' ha i acni, come de calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore ; Fusse, i do corpi ,e s'ha missià "1 color
Vi' l'un nè l'altro già parca quel ch'era : Da no saver l'un l'altro qual ch'el gera;
Come procede innanzi dall'ardore Come la tenta scura tra '1 brusor
Per lo papiro suso un color bruno, De la carta va su, ma no la xe 65
Che non è nero ancora, e il bianco muore. v/L'i'.i ancora vegnua, ch'el bianco mor.
Gli altri duo riguardavano, e ciascuno l altri do varda, e i ciga insieme: Oimè!
Gridava: O me, Agnel, come ti muti! Aiizolo, se ti mui ! varda per dia,
Vedi che già non se' nè duo nè uno. Desso nè un, nè gnanca do ti xe.
Già eran li duo capi un divenuti, De do leste una sola comparia, 70
Quando n'apparver duo figure miste Quando, i corpi insembrai, magicamente
In una faccia, ov'eran duo perduti. Dai so do musi un muso sol sorlia.
Fersi le braccia duo di quattro liste ; Do tochi i brazzi umani, e del serpente
Le cosce colle gambe, il ventre e il casso l pie licii ; cosse, gambe, panza e tuto
Divenner membra che non fur mai viste. Ga tolto forme che vien gnanca in mente. 75
Ogni primaio aspetto ivi era casso : E1 primo aspeto in lori s' ha destruto :
Due e nessun l'imagine perversa Nissun dei do gavea figura schieta;
Parca, e tal sen gia con lento passo. Cussi adasio va via quel mostro bruto.
Come '1 ramarro, sotto la gran fersa Com'el langur, co el Sol d'istà più '1 peta,
De' dì canicular, cangiando siepe, Cambiando ciesa, s'el traversa mai 80
Folgore pare, se la via attraversa : E1 stradon, sbrissa via che par saela ;
Cosi parea, venendo verso l'epe Tal qual un serpentin negro che mai,
Degli altri due, un serpentello acceso, Cofà '1 pevere e smorto, e sgionfo d'ira
Livido e nero come gran di pepe. Contro le panze el va dei do restai.
E quella parte, donde prima è preso Sora un de lori in furia el colpo tira 85
Nostro alimento, all'un di lor trafisse; Al bonigolo, e là lo ga sbasto ;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso. Po cascà, a lu davanti el se destira.

55 owae = coscie.
58 tacada — attaccata.
6! mitriti — mescolalo.
64 la (mia = la tinta.
68 Anzolo - è questi Agnolo Brunelleschi uno dei tre di cui la nota 35.
'1 immurni = mescolati.
73 Do tochi .. due pezzi.
79 langur = è il lucertonc verde- chiaro conosciuto a Venezia e dintorni sotto il nome di leguro o languro
(umano) = co = quando = pela — percuote.
SO ciaa =: siepe.
81 tbrùta .- termine usato per esprimere la velocita del correre .. . tbrinar — sdrucciolare.
82.83 un terpentfn — qnesto è il trasformato Francesco Guercio Cavalcanti, come si dira all'ultimo verso
«l Canto. - Co/a = come.
86 ni bmigolo = all'ombelico = lo ga tbasìa = lo freddò.
8

.-
1 14 DELL' IM'ER.AO
Lo Ir:i li! i n il mirò, ma nulla disse: Senza parlar lo ga vardà el ferio :
Anzi co' pie fermati sbadigliava, Anzi restando in pie el sbadagiava,
Pur come sonno o febbre l'assalfsse. Come da sono o freve inseminio. 90
Egli il serpente, e quei lui riguardava : EI serpente e quel altro i se vardava:
L'un per la piaga, e l'altro per la bocca Un per la boea, e un da la feria
Fumavan forte, e il fumo s'incontrava. Gran fumo i manda, e i fumi s'incontrava.
Taccia Lucano omai, là dove tocca Che Lucania parlar noi vegna via
Del misero Sabello e di Nassidio, Del povero Sabelo e de Nassidio, U5
E attenda a udir quel ch'or si scocca. Ma qua '1 staga ascoltar la storia mia.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio : Tasa de Cadmo e de Arelusa Ovidio;
Che se quello in serpente, e quella in fonte Che se quexla in t'un rio, quelo in serpente
Converte poetando, io non l'invidio : Poetizando el cambia, no lo invidio :
Che duo nature mai a fronte a fronte Che do nature a fazza a fazza arente 100
Non trasmutò, sì ch'ambedue le forme Noi ga cossi urna, che la so forma
A cambiar lor materie fosser pronte. Scambiasse e la natura prontamente.
Insieme si risposero a tal norme, Le- ligure se cambia con sta norma:
Che il serpente la coda in forca fesse, La eoa del bisso in longo s' ha spacà,
E il feruto ristrinse insieme l'orin?. E i pie de l'omo in eoa i se trasforma : 105
Le gambe con le cosce seco stesse Gambe e cosse tra d'eie s' ha incastrà
S'appiccar si, che in poco la giuntura In modo, che sparia la spartiura,
Non facea segno alcun che si paresse. In t'un sol loco le se ga mostrà.
Togliea la coda fessa la figura, La eoa spartia ga tolta la figura
Che si perdeva là, e la sua pelle Dei pie, che l'omo avea: morbia oramai 1 IO
Si facea molle, e quella di là dura. Se fa la pele al bisso, e a l'omo dura.
I' vidi entrar le braccia per l'ascelle, I brazzi ne le assele s' ha internai,
E i duo pie della fiera ch'eran corti, E i do pie curii al bisso inviperio
Tanto allungar quanto accorciavan quelle. S' ha stongà quanto i brazzi s' ha scurtai.
Poscia li pie diretro insieme attorti, Po insieme intorcoladi i pie da drio, 115
Diventaron lo membro che riunii cela, Quelo che l'omo sconde va formando,
E il misero del suo n'avea duo porti. E quel de l'omo in do se ga spartio.
Mentre che '1 fumo l'uno e l'altro vela Sin ch'el fumo li involze, novo dando
Di color nuovo, e genera il pel suso I miin color al bisso e viceverso,
Per l'una parte, e dall'altra il dipela, E a quel dà el pelo, a questo el va cavando; 120
L'un si levò, e l'altro cadde giuso, Un s'alza, casca l'altro zo a roverso:
Non torcendo però le lucerne empie, Ma resta i ochi orendi per vardar
Sotto le quai ciascun cambiava imi -n. Dal primo a vegnir su muso diverso.

SS ibadayiava =•: sbadigliava.


flO frevc — febbre = tiisemeirio — divenuto M:emo.
'-'i Saliela, A'tissù/io = furono soldati di CaIone, i quali passando per la Libia furono punti da serpi vele
nose. A Sabello per la puntura si di-Ini.-. .e il corpo che in breve diventò CCIRTC. A Nassidio il corpo si gonfii
in modo ohe la corazza scoppiò.
97 Cadmo •_ tiglio del re di Tracia, Agenorv, e fondatore di Triie, fu cangialo in serpente. - Aretina =
figlia di IVerco e di Dori fu cangiata in fonte per opera di Diana, che volle salvarla dal fiume Alfeo, da cui era
inseguita. Cosi la mitologia. ,
101 vmo = mutato.
106 cosse = coscie.
109 eoa sparita =.. coda divisa.
110 moriia = murbida.

--
CANTO XXV. i 15
Quel ch'era dritto il trasse io ver le tempie, Quel levà in pie a le tempie lo fa andar,
E di troppa materia che in là venne, E la materia che da questo avanza, 1 25
Uscir gli orecchi delle gote scempie : Le recide in fora la ghe va a formar :
Ciò che non corse in dietro, e si ritenne, Con quanto de più ancora soravanza,
Di quel soverchio fe naso alla faccia, Se fa '1 naso che in mezo al viso staga,
E le labbra ingrossò quanto convenne. E i do lavri ingrossai ben abastanza.
Quel che giaceva, il muso innanzi caccia, Quel butà, fa ch'el muso avanti vaga, 130
E gli orecchi ritira per la testa, E '1 ritira le rechie come fa
Come face le corna la lumàccia : Nel ritirar i corni la lumaga;
E la lingua, ch'aveva unita e presta E la lengua che lesta ga parlà,
Prima a parlar, si fende, e la forcuta Se spaca in do ; del bisso la forcua
Nell'altro si richiude, e il fumo resta. Se zonta, e dopo el fumo s'ha sfantà. 135
L'anima, ch'era fiera divenuta, L'anema che in serpente xe vegnua,
Si fugge sufolando per la valle, Scampa per la valada via fischiando,
E l'altro dietro a lui parlando sputa. E l'altro civili de lu parlando spua.
Poscia gli volse le novelle spalle, Dopo le nove spale a quel voltando,
E disse all'altro : l' vo' che Buoso corra, Ghe dise al terro : Vói che Buoso mo, 140
Com'ho fatt'io, carpon per questo calle. Come mi ho fato, cor'a qua strissando.
Così vid'io la settima zavorra Cossi go visto a far la m ua là zo
Mutare e trasmutare ; e qui mi scusi De la setima bolgia la genia :
La novità, se fior la penna aborra. Me scusa el caso se stongà me so.
Ed avvegnachè gli occhi miei confusi Siben i ochi confusi e sbalordia 145
Fossero alquanto, e l'animo smagato. L'anema avesse, tanto go possù
>on poter quei fuggirsi tanto chiusi, Katìgurar Puchio Sciancato, o sia
Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato : Quelo solo dei tre ch'era vegnù
Ed era quei che sol de' tre compagni, Avanti in compagnia, e quelo sol,
Che venner prima, non era mutato : Che de patir el cambio noi ga avù. 150
L'altro era quel che tu, Gaville, piagni. L'altro è quel per el qual, Gavil, te dol.

130 quel bnlà . quello disteso, cioè l'uomo clic ilivenU serpente.
135 Se zonta = si congiunge = a' ha sfanta r= dileguossi.
138 '/"i" = spula
no òhe dise al terzo = cioè a quello ehe non erasi ancora trasformalo, rd e Puccio Sciancalo, uno dui
Us di cui la nota 35. .,,iii• particella riempiti».
144 ae slonga me so = se mi sono dilungalo (nel trallare tale subbietto).
151 L'altro è quel . colui clic sotlo forma di serpente feri Buoso nel bellico. Questi e messcr Francesco
Cavalcanti fiorentino ucciso in una terra di Val d'Arno detta Gaville, molti de' cui abitanti vennero poi nccisi per
veadetla della morie del Cavalcatili: vedi nota al v. 82.
116

CANTO VENTESlMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Chi fraudolento altrui porge consiglio Chi co ingano el ronsegio ai altri di,
La giù sen vola nella fossa ottava, Zo ne Potava Bolgia ghe convieu
A cui fiamma novella di di pìglio: ln un fogo restar revoltola.
E il fascia si, che d'essa non si cava Ogni n'ama un dana .eia se tien
Eternamente; ed ogni fiamma un prende; Eternamente, via che una sen veds
Salvo che insieme nella fiera cava Do tegnirsene streti in tei so sen;
Ulisse con Diomede un foco accende. E questi do 'xe Ulisse con Diomede.

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, Sta alegra, o gran Firenze, e te consola
Che per mare e per terra halti l'ali, Che xe pien del to nome el mar, la tera,
E per lo lnferno il tuo nome si spande. E per l'inferno la to fama svola.
Tra li ladron trovai cinque cotali Cinque tra i ladri, che l'inferno sera,
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna, Dei citadini toi me xe dà fora :
E tu in grande onranza non ne sali. Go mi vergogna, ma ti onor no spera.
Ma se presso al mattin del ver si sogna, Ma se '1 vero se sogna in su l'aurora,
Tu sentirai di qua da picciol tempo Presto el malan ti sentirà qual sia,
Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna. Che Prato e altre cità t'augura ogn'ora.
E se già fosse, non saria per tempo. E se sta '1 fusse, intardigà l'avria : 10
Cosi foss'ei, da che pure esser dce ! Za ch'el ga da vegnir, fusselo sta !
Che più mi graverà, com' più m'attempo. Chè mi invechià de più, più patirla.
Noi ci partimmo, e su per le scalee, Lassà avemo quel logo, e per de là
Che n'avean fatte i borni a scender pria, Dove i sassi a andar zo n' ha fato scala,
Rimontò il Duca mio, e trasse mce. Tornà in su '1 Mestro, el m' ha con lu tirà. 15
E proseguendo la solinga via E soli andando, a ciò ch'el pie no fala
Tra le schegge e tra' rocchi dello scoglio, Montando or un or l'altro sasso in fora,
Lo piè senza la man non si spedia. Per darghe agiuto a lu la man se cala.
Alidi mi dolsi, e ora mi ridoglio, El dolor ch' ho sentio lo sento ancora,
Quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi ; Co penso a quel che ho visto ; freno più
E più lo 'ngegno aflrcno ch'io non soglio, Del solito rinzegno aciò noi cora
Perchè non corra, che virtù noi guidi; Senza ch'el sia guidà da la virtù ;
Sì che se stella buona, o miglior cosa Che se la sorte, o Dio, me l' ha dà san,
M'ha dato il ben, ch'io stesso noi m'invidi. Vói far bon uso e no abusar de lu.
Quante il villan, ch'ai poggio si riposa, Quando d'istà su l'ora che a man man
Nel tempo che colui, che '1 mondo schiara, El mossato a la mosca dà '1 scambieto,
La faccia sua a noi tien meno ascosa, Quante zo per la vale el bon vilan

4 Cinque lra i ladri — i cinque nominati nel cauto precedente, cioè: Agnol Brunclltbllii, Buoso degli Abati,
Pnccio Sciancato, Cianfa, e Francesco Cavalcanti.
5 me xe dà fora = modo di dire e vale: mi sono comparsi.
10 tntardigà . . ritardato, cioè il male desiderato.
20 Co = quando.
24 Vói = voglio.
26 El manata = la zanzara.
CANTO XXVI.

Come la mosca cede alla zanzara, In colina sorando, tra '1 scureto
Vede lucciole giù per la vallea. Vede le lusariole andar a spasso
Forse colà dovè vendemmia ed ara : Su forsi la so vigna o '1 so campeto; 30
Di tante fiamme tutta risplendea De tante bampe gera piena a basso
L'ottava bolgia, si com'io m'accorsi, L'oLa va bolgia, e solo l' ho savudo,
Tosto che fui là 've il fondo parea. Co i ochi mii s'ha verto in fondo el passo.
E qual colui, che sì vengiò con gli orsi, Come Elisèo, che la venduta ha anulo
Vide il carro d'Elia al dipartire, Dai orsi, ga ochià '1 caro andar d'Elia, 35
Quando i cavalli al cielo erti levorsi ; Co el troto in aria ga i cavai batudo,
Che noi potea sì con gli occhi seguire, E coi ochi scovrir insili la via
Che vedesse altro che la fiamma sola, Solo el lusor del fogo elo podeva,
Sì come nuvoletta, in su salire : Come una nuvoleta andar su via ;
Tal si movea ciascuna per la gola Così ognuna in quel modo se moveva 40
Del fosso, che nessuna mostra il furto, Per la boca del fosso, senza far
E ogni fiamma un peccatore invola. Veder el pecator ch'eia scondeva.
Io stava sovra '1 ponte a veder surto, Stava drite sul ponte mi a vardar,
Sì che x'io non avessi un rochion preso, Ma se no avesse un so sponton brincà,
Caduto sarei giù senza esser urto. Senza un spenton podeva zo cascar. 45
E il Duca che mi vide tanto atteso, Dise '1 Mestro vedendome incantà :
Disse: Dentro da' fuochi son gli spirii : In ogni Maina un spirito gh'è drento,
Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso. Che se brusa in tei fogo revoltà.
Maestro mio, risposi, per udirti Mestro, ho resposto, el fato che a dir senio
Son io più certo : ma già m'era avviso Da ti, me fa più eerto ; e tal ch'el sia 50
Che cosi fusse, e già voleva dirti : M'ho incorto, e stava in dirle za un momento :
Chi è in quel fuoco, che vien sì diviso Chi xe in quel fogo, che per qua s'invia
Di sopra, che par surger della pira, Co do ponte, e dal fogo par vegnisse
Ov' Eteócie col fratel fu miso ? Dov'Etèoele è sia messo in compagnia
Risposemi : Là entro si martira De Polinice so fradelo ? Ulisse, 55
Disse e Diomede, e così insieme El dise, con Diomede se tortura ;
Alla vendetta corron cqniall'ira: Stai soci a l'ira, in società i patisse :
E dentro dalla lor fiamma si geme Del cavalo là i pianze la indrilura,
L'aguato del cavai, che fe la porta Che ga averto el porton, per dove in fato
Ond'uscì de' Romani il gentii seme. La romana è sortia gloria fulura ; 60

28 norando = qui vale ristorarsi delle fatiche.


~n.i lutariole = lucciole.
34 Coma Eliaco te. = II profeta Elisèo beffeggiato da una turba di fanciulli petulanti, li maledisse, e al suo
maledire uscirono da una vicina macchia due orsi, che quarantaduc di quei moselunelli sbranarono.
35 go ochià 'I caro ----- vide il Carro d'Elia quando il profeta portato in quello abbandonò la terra.
44 un to tponton brincà = una sua punta (dal ponte) afferrato.
48 remilò = avviluppato.
54 Dov'Eléoele = Racconta Stazio che essendo stati posti in un medesimo rogo i cadaveri dei due fratelli
nemici Eteóele e Polinice, la fiamma bipartendosi diede segno come l'odio loro durasse ancora dopo la morte.
55-56 Ulisse ee. .=• Ulisse e Diomede sono due famosi Greci: adirati contro i Troiani ordirono assieme molte
frodi a danno dei loro nemici.
58-60 Del cavalo là i pianze ee. = piangono i detti due Greci l'inganno pel quale i Troiani furono indotii
a ricevere entro le loro mura il gran cavallo di legno, dal cui ventre uscirono i guerrieri che Troja distrassero.
Per l'insidia del cavallo per cui Troia rimase aperta, vi entrarono i Greci, ed Enea coi compagni ne usci con
dotto dai destini in Italia per fondarvi un impero, ed esser seme di un popolo magnanimo e glorioso — indrì-
luru --- qui sta per astuzia.
418 BELL INFERX)
i entro l'arte, perchè morta E l'arte che smaniar Deidamia ha fato,
Deidamia ancor si duol d'Achille, Che d'Achìl, anca morta, se lamenta ;
E del Palladio pena vi si porta. E i sta a pair de Palade et retrato.
S'ei posson dentro da quelle faville Se tra la ti, nini là che lì tormenta
Parlar, diss'io, Maestro, assai ten priego, I podesse parlar, fa ch'eli parla, 65
E ripriego che '1 priego vaglia mille, Digo al Dntiii , sta vogia mia contenta;
Che non mi facci dell'attender niego, Te prego, fa sta grazia, no negarla,
Finchè la fiamma cornuta qua regna: Sin che ariva la bampa in do spacada :
Vedi che del disio ver lei mi piego. Varda, che sìongo ci colo per vardarla.
Ed egli a me : La tua preghiera è degna E lu : no vói che senza fruto vada 70
Di molta lode, ed io però l'accetto; El giusto prego de la grazia mia,
Ma fa che la tua lingua si sostegna. Ma la lengua tra i denti tien serada :
Lascia parlare a me, ch'i' ho concetto Lassa che parla mi, che ho za capia
Ciò che tu vUOi ; chV sarebbero schivi, La to idea ; che eli, greghi de nazion,
PcrchV fftr Greci, forse del tuo detto. El to linguagio in odio i gavaria. 75
Poichè la fiamma fu venuta quivi, Quando la fiama, che lien do in scondon,
Ove parve al mio Duca tempo e loco, Ga parso al Mestro sia vegnuda a tiro,
In questa forma lui parlare audivi: Ai do infogai el ga parlà in sto lon ;
O voi, che siete duo dentro da un fuoco, V un Iti i do che a un sol fogo ave '1 martiro,
S' i' meritai di voi mentre ch'io vissi, Se ho merità che me gabie in bon verso, 80
S" i' meritai di voi assai o poco, Quando là al mondo, dove ho avù '1 respiro,
Quando nel mondo gli alti versi scrissi, L'eroico libro mi go scrito in verso,
Non vi movete; ma l'un di voi dica No ve move : ma un de vualtri diga,
Dove per lui perduto a morir gissi. In dove elo morindo, se ga perso.
Lo maggior corno della fiamma antica La più gran ponta de la fiama antica 85
Cominciò a crollarsi mormorando, Ga scomenzà a scorlarse sussurando,
Pur come quella cui vento affatica. Come la bampa che tra '1 vento ciga.
Indi la cima qua e là menando, Po la cima de qua, de là menando,
Come fosse la lingua che parlasse, Quasi fusse la lengua che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse : Quando La vose ga sbroca cussi parlando : 90
Mi diparti' da Circe, che sottrasse Poco dopo che Circe me lassasse.
Me più d'un anno là presso a Gaeta, Che a Gaeta vicin m' ha fato star
61-62 E l'arie che smainar ee. • Era Deidamia figlia di Licomede re di Sciro. Di lei inamorossi Achille
mentrc vestito da donna stavasi occulto in quella corte, mandatovi dalla madre Teli per sottrarlo al fato elic
l'attendeva a Troja-, ma scoperto per le arti di Ulissc e Diomede. fu condotto alla guerra, e Deidamia cosi ab
bandonata si amareggiò.
63 pair = pagare il fio = de Palade el retrato - era fama elie Troia sarebbe stala sicura dai nemici sin-
tanto che l'efligie di Pallade (Minerva) fosse stata oustodila entro le sue mura. Ora essendo quel simulacro stato
rapito dai due greci anzidetti, piangono all'inferno il loro delitto.
76 in tconaon =. di nascosto.
77 vegnuda a Uro = si è avvicinala quanto basta per farci intendere.
SO i-lic me galtiè in bon verta = che mi abbiate in buona considerazione.
82 L'eroico libro mi go «riYo m verta = l'Eneide scritta in versi eroici e di stile allo e sublime.
85 La più gran pania — quella ove si nascondeva Olisse, come più fraudolento.
86 zeoriarse = tremolare.
ao oo sbracà — i sortita.
91 Circe = famosa maga, bellissima della persona, la quale mutava i suoi amanii in bestie. Alcuni Greci
amici di Ulissc furono cosi trasformali: per la qunl cosa egli venuto a lei, la costrinse con minacce a render la
forma primitiva ai suoi compagni: ma preso egli stesso da amore, con esso lei rimase un anno.
92 Gatta .- Gaeta ebbe il nome da Enea, che ivi diede sepoltura alla nutrice sua nominala Caieta. Lli>>c
fu tenuto per un anno presso Gaeta, cioè sul monte Gircelo o Circello.
CANTO XXVI. -M 9
Prima che sì Enea la nominasse ; Un anno avanti el nome Enea ghe dnsse ;
Nè dolcezza di figlio, nè la pieta Nè visscre de fio, nè '1 sospirar
Del vecchio padre, nè il debito amore, Del vechio pare, e gnanca el tanto amor UO
Lo qual dovea Penelope far lieta, Che la mugier doveva consolar,
Vincer potero dentro a me l'ardore Vincer no ga podesto in mi l'ardor
Ch'i" ebbi a divenir del mondo esperto, De conoscer el mondo, e de la zente
E degli vizi umani e del valore : I vizi luti e le virtù del cuor.
Ma misi me per l'alto mare aperto In alto mar m' ho messo bravamente 1 00
Sol con un legno e con quella compagna Drente una nave sola, e in compagnia
Picciola, dalla qual non fui deserto. De pochi che i m'è stai sempre darente.
I, 'un lilo e l'altro vidi insin la Spagna, Per un e l'alno Ilo go corso via
Fin nel Mai-rocco, e l'isola de' Sardi, Sin la Spagna e '1 Maroco, e de Sardegna
E le altre che quel mare intorno bagna. L'isola, e l'altre che in quel mar vegnia. 105
Io e' compagni eravam vecchi e tardi, La vechiaia in nu tuli el lempo segna.
Quando venimmo a quella foce stretta, Quando quel streto sboco s'ha incontrà,
(i••' Èrcole segnò li suoi riguardi, Dove d'Alcide le coione insegna,
Acciocchè l'uom più oltre non si metta : Che no ga 1'omo d'arivar più in là.
Dalla man destra mi lasciai Sibilla, Lassà gavea Sivilia da man il i ita, 110
Dall'altra già m'avea lasciata Setta. Che Seta a zanca aveva za lassà.
O frati, dissi, che per cento milia Fradei, digo, che ave rischià la vita
Perigli siete giunti all'occidente, Tra pericoli un mier sin al Ponente,
A questa tanto picciola vigilia Saria el più gran pecà, saria desdila,
De' vostri sensi, ch'i- del rimanente, Se de no veder ve saltasse in mente 115
Non vogliate negar l'esperienza, Nei pochi dì de vita, che gave,
nitriro al Sol, del mondo senza gente. Dove va '1 Sol, el mondo senza zente.
Considerate la vostra semenza : Che omeni se', mo via, considerò;
Fatti non foste a viver come bruti, No za a viver da bestie destinai,
Ma per seguir virtute e conoscenza. Ma per saver de più che no save. 120
Li miei compagni fec'io si acuti, Con sic quatro parole li ho scaldai
Con questa orazion picciola, al cammino, Cussi, che po tegnui dal viazo indrio
Ch'appena poscia gli avrei ritenuti. Mi avria stentà ; tanto eli s' ha invogiai.
K, volta nostra poppa nel mattino, K '1 Levante lassando a nu da di io.
Dei remi facemmo ale al folle volo, Si 'mo a sgalembro andai remando a sera 125
Sempre acquistando del lato mancino, Longo el viazo, che far avemo ardio.
Tutte le stelle già dell'altro polo Le stele de quel altra meza sfera
Vedea la notte, e il nostro tanto basso, De noie ho visto, e '1 nostro polo mai,
Che non surgeva fuor del maria suolo. Che del livei più in M del mar el gera.

95 del vechio pare - Laertè padre di lllisse.


96 la mugier = Penelope moglie di Ulisse.
103 ho = lido.
108 d'Alcide le colane -.. le coloune d'Ercole (Alcide) sono i segni marcati dui monte AbiIa in AIYico e dui
monte Calpe in Europa, oltre i quali non era concesso ai naviganti procedere, secondo i pregiudizi degli antichi.
Ili Seta = Setta oggidì detta Ceula, città dell'Africa sullo stretto di Gibillerrn.
114 dtsdita . - mala sorte.
117 Dove va 'I Sol = cioè seguendo d corso del Sole, da oriente in occidente --- r-i mondo senza tenie =
cioè l'emisfero terrestre vuoto di abitatori, come cmlevasi allora.
125 a igalembro = a sghimbescio, obliquamente.
120 DELL INFERNO

Cinque volte racceso, e tante casso, Cinque volte la Luna n'ha mostrai 130
Lo lume era di sotto dalla luna, E altretanti n" ha sconti i raggi sui,
Poi ch'entrati eravam nell'alto passo, A quel sboco fatai dopo arivai;
Quando n'apparve una montagna bruna Co un monte scuro da lontan vegnui
Per la distanza, e parvenu alta tanto, Se xe a scovrir, tanto alto, che tra tanti,
Quanto veduta non ne aveva alcuna. Compagni mai da veder ghe n' ho avui. 1 35
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto ; Ma presiu l'alegria s' ha voltà in pianti ;
Che dalla nuova terra un turbo nacque. Che dalla nova lera un satanasso
E percosse del legno il primo canto. Vento ha urtà '1 bastimento per davanti.
Tre volte il fe girar con tutte l'acque. Tre volte el zira d'aqua tra un sconquasso,
Alla quarta levar la poppa in suio, La quarta in su da pope el xe investiu, 140
E la prora ire in giù, com'altrui piacque, Po in zo da prova, come a Dio ga piasso,
lalin ch '1 mar fu sopra noi rinchiuso. Sin che, punfete, el mar ne ga ingiotio.

133-134 Co un mante scuro ce, - quando un monte oscuro. Sembra volersi qui accennare la montagna
del Purgatorio, che Dante immagina nell' emisfero a noi opposto, e di cui parla in flnc di questa Cantica.
142 punfete - espressione che denota una caduta con fracasso, e qui applicata alla precipitosa sommer
sione nel mare della nave di Uliise. A questa voce corrisponderebbe nel nostro idioma: tonfo

CANTO VENTESIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
D° un' altra fiamma coperto e vestito, Dal fogo in t'un balon l'anima involta
Guido di Monteforte fuor parole De Guido Monteforte, fora manda
Manda, che fisano ad ascoltare invito. Parole da incantar chi là le ascolta.
E narra quelle colpe onde si duole Conta el perchè de qnela pena granda,
Si trasformato; e come altrui non giova E dise come dnl perdon no giova
Chieder perdon di quel che far poi vuole. Del mal che se voi far, far la domanda :
Chi cosi i-n, perdon da Dio non trova. Chi fa cussi perdon da Dio no trova.

Già era dritta in su la fiamma e queta Iti ila za stava in su la fiama e quieta
Per non dir più, e già da noi sen già Tasendo, e za da nu l'andava via,
Con la licenza del dolce Poeta ; Che licenzià lo aveva el mio Poeta ;
Quando un' altra, che dietro a lei venia, Quando un' altra, che a quela drio vegnia,
Ne fece volger gli occhi alla sua cima, I ochi a la ponta soa ne ga chiamà
Per un confuso suon, che fuor n' uscia. Drio un confuso ruzor, che ghe sortia.
Come'l bue Cicilian, che mugghiò prima Com' el bo de Sicilia ga mugià
Col pianto di colui (e ciò fu dritto) Prima coi urli (e ben gh' è sta '1 tormento)
Che l'avea temperato con sua lima, De colù che lo aveva fabricà,
Mugghiava con la voce dell' afflitto, Co la vose el mugiava dada in drento 10

7 tin muoia = egli ha muggito.


a De' co/ù
i = Perillo, artefice Ateniese, costruì un loro in rame e ne fece dono a Kalaride tiranno di Sicilia,
dicendogli che se alcuno giudicato a morte vi fosse posto entro, e quindi fatto fuoco sotto, l'uomo racchiusa
avrebbe muggito a guisa di bue. Il tiranno fece l'esperienza sopra l'artefice, e il toro di "rame muggi colte
grida dello stesso Perillo.
CANTO XXVII. 424
Sì che, con lutto ch' ei fosse di rame, Da quel gramo; e siben de rame sbuso,
Pure el pareva dal dolor trafitto; Parea d'un vero bo fusse el lamento;
Così, per non aver via, nè forame Cossi in principio, per mancarghe un buso
Dal principio nel fuoco, in suo linguaggio Che al parlar del danà ghe dasse sfogo,
Si convertivan le parole grame. Nel ruzor de la fiama el s'ha confuso. 15
Ma poscia eli" ebber colto lor viaggio Ma co a la ponta el xe arivi del fogo,
Su per la punta, dandole quel RIIÌzzO Dandoghe le parole el moto istesso
Che dato avea la lingua in lor passaggio, Che a la lengua gbe dava in farse logo ;
Udimmo dire: O tu, a cui io drizzo Sentimo a dir : O ti, che dessadesso
La voce, e che parlavi mo lombardo, Ti parlavi lombardo e ti ga dito : 20
Dicendo: Issa ten va, più non t'aizzo: Va pur, che altro da ti no vogio adesso ;
Perch' io sia giunto forse alquanto tardo, Siben tardi arivà forsi in sto sito,
Non rincresca ristare a parlar meco: Fa che parlar con mi no te despiasa,
Vedi che non incresce a me, e ardo. Se no despiase a mi, che son qua frlto. ,
Se tu pur mo in questo mondo cieco Solo adesso in sta fossa malegnasa 25
Caduto se' di quella dolce terra Se ti è vegnù da l'italiana lera,
Latina, onde mia colpa tutta reco ; Da in dove el mio peci qua se travasa,
Dimmi se i Bomagnuoli han pace, o guerra ; Di' se xe i Romagnoi in pase o in guera,
Ch'i' fui de' monti là intra Ubino Che Montefeltro è sta la patria mia,
E'1 giogo di che Tever si disserra. E anca mi Romagnolo donca gera. 30
Io era inginso ancora attento e chino, Sbassà atento mi stava là zo via,
Quando'l mio Duca mi tentò di costa, Quando sul fianco el mio Dotor me loca,
Dicendo : Parla tu, questi è Latino. Disendo: Questo xe i taluni: su via,
Ed io ch' avea già pronta la risposta, Parlighe ti. Za pronta in ponto in broca
Senza indugio a parlare incominciai : Go la u'spusta, e subito 1' ho dada : 35
O anima, che se' laggiù nascosta, 0 ti, sconto nel fogo, ch' el te schioca,
Romagna tna non è, e non fu mai, Senza guera nel cuor no la xe stada
Senza guerra ne'cuor de' suoi tiranni; Romagna toa dei so tirani mai,
Ma palese nessuna or ven lasciai. Ma nissuna de averta if ho lassada.
Ravenna sta, com' è stata moli' anni : Come za per tanti ani gera stai 40
L'aquila da Polenta la si cova, Quei de Ravena e Cervia, i xe anca ancuo
Sì che Cervia ricopre co' suoi vanni. Dai siori da Polenta governai.
La terra che fe già la lunga prova, l-'urli, che tanto in longo sostegnuo
E di Franceschi sanguinoso mucchio, Ga l'assedio, e i Frauzesi i ga desfato,
Sotto le branche verdi si ritrova. 1 ga'l verde lion per paron suo. 45

19 (lessiu/esin — or ora.
il Va pur, te. = sta in relazione al v. 3, in quanto Virgilio aveva acconsenlito alla fiamma dov'era chiuso
disse d'andarsene.
25 melegnasa = malaugurata.
29 Moniefeltro = città posta sopra un monte tra Urbino e la sorgente del Tevere.
34 za pronta in ponto in broca = di già pronta per l'appunto.
36 rh' ci tt tchioea = che ti percuote.
39 averla = aperta, palese. %
42 Dai siori da Polenta — La famiglia dei Polentani, che signoreggiava Ravenna e Cervia. In quel tempo
n'era signore Guido amico di Dante —= <iort = signori.
43 Farli = città della Romagna. Quando il Conte Guido da Montefeltro ne era signore, Martino IV mandò
contro lui un esercito composto in gran parte di Francesi. Ciò avvenne nel 1282.
45 ti verde lion -- cioè sotto il dominio degli Ordelaffi che avevano per arma un leoncino verde, dal mezzo
in su d'oro, e dal mezzo in giù con tre liste verdi e tre d'oro; ne era allora signore Sinibaldo.
122 DELL' INFERIVO

E'1 Mastin vecchio, e '1 nuovo da Verrucchio, E quei do Malatesta, che i ga fato
Che fecer di Montagna il mal governo, El Montagna morir, altro no i pensa
Là. dove soglion, fan de' denti succhio. Che de castrar i popoli ogni trato.
Le città di Lamone e di Santerno li' lmola la cità e de Faensa
Conduce il lioncel dal nido hianco, Quel Mainardo Pagani ga '1 comando, 50
Che muta parte dalla state al verno : Ch 'el partio scambia da Nadal a Sensa :
E quella a cui il Savio bagna il fianco, E Cesena, ch 'el Savio va bagnando,
Così com'ella sie tra' I piano e'1 monte, Come l'è messa là tra'l monte e '1 pian,
Tra tirannia si vive e stato franco. Sta tra libera e schiava trachegiando.
Ora chi se' ti prego che ne conte : No esser desso, te prego, cortesan 55
Non esser duro più ch' altri sia stato, Manco dei altri, in dinne chi ti è ti,
Se'l nome tuo nel mondo legna fronte. Cussi possa el to nome andar lontan
Poscia che'l fuoco alquanto ebbe rugghiato Su al mondo. Co la fiama arquanto lì
Al modo suo, l'aguta punta mosse La ga ruzà a so modo, qua e là via
Di qua, di là, e poi die cotal l'iato : Fa andar la ponta, e parla po cossi : 60
S" io credessi che mia risposta fosse Se dar credesse la resposta mia
A persona, che mai tornasse al mondo, A una persona che tornasse al mondo,
Questa fiamma starla senza più scosse: Drento in sta bampa mi no parlarla.
Ma perciocchè giammai di questo fondo Ma za, se vero xe, che da sto fondo,
Non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero, Nissun vivo tornar ha avù '1 poder, 65
Senza tema d' infamia ti rispondo. Senza sentir vergogna te respondo :
l' fui uom d'arme, e poi fu' cordigliero, Frate son sta dopo esser sta guerier,
Credendomi, sì cinto, fare ammenda : Credendo de purgarme col cordon;
E certo il creder mio veniva intero ; E saria sta anca bon el mio pensier,
Se non fosse il gran Prete, a cui mal prenda, Se'l Papa, elio mal vegna a quel bricon, 70
Che mi rimise nelle prime colpe ; Tornà noi me gavesse nel pecato ;
E come, e quare voglio che m'intenda. E vogio che ti ascolti la rason.
Mentre ch'io forma fui d'ossa e di polpe, Sin da quando mia mare me ga fato,
Che la madre mi die, l'opere mie Mai franche e schiete stae xe le azion mie,
Non furon leonine, ma di volpe. Ma ai imbrogi, ai ingani me son trato : 75
Gli accorgimenti e le coperte vie Tute mi le fufigne e l'urbane
Io seppi tutte ; e sì menai lor arte, Go savesto, e le go tanto zirae,
Ch' al fine della terra il suono uscie. Insin che tuto el mondo le ha sentie.
Quando mi vidi giunto in quella parte Quando po gora zonto a quula etae,
Di mia età, dove ciascun dovrebbe Che chiama l'omo a far la ritirada, 80
Calar le vele e raccoglier le sarte ; Dopo d'aver lassà le briconae ;

46 E fitti do Malaitsiii = i due Malatesta padre e figlio signori di Rimini: si sono distinti per tiranni*.
47 El montagna = nobilissimo cavaliere Riminese fatto crudelmente morire dai Malatesta come cupo dei
Ghibellini in quella regione .--- (BURCHI).
48 castrar = qui vale angariare, aggravare i sudditi.
49 D' latola = altra citta della Romagna posta presso il fiume Lamone, e Faenza presso Santerno.
51 da Nadal a Stnia — dal di del Santo 'Natale a quello dell'Ascensione, frase che vale a denotare la lire-
vita dell' intervallo.
52-53 E Ciiena — altra citta della Romagna bagnala dal fiume Sin in posta tra il monte e il piano; sim
bolo di libertà il primo, e di servitù il secondo (Biincai).
59 ruzà ----- cigolato.
70 Se '/ Papa = allude a Papa Bonifazio Vili.
78 fufigne •-- intrighi, gherminelle.
CANTO XXVII. 423
Ciò che pria mi piacera, allor m' increbbe, La cossa che m' ha piasso ho aldi , i odiada :
E pentuto e confesso mi rendei, Pentio e purgà m' ho fato frate. Oimei,
Ahi miser lasso ! e giovato sarebbe. Che de Dio bona gera la chiamada !
Lo Principe de' nuovi Farisei El prencipe dei novi Farisei, 85
Avendo guerra presso a Laterano Stando in guera darente a Lateran,
(E non con Saracin, nè con Giudei; (No za coi Saraceni o coi Giudei,
Che ciascun ino nemico era Cristiano, Che ogni nemigo soo gera Cristian,
E nessuno era stato a vincer Acri, E nissun domar Acri ha avù l'ardir,
Nè mercatante in terra di Soldano), Nè mercantar in lera del Sultan) 90
Nè sommo ufficio, nè ordini sacri Del Papato a l'onor senza a venir
Guardò in sè, nè in me quel capestro, Nè ai soi ordeni sacri, nè a la corda
Cbe solea far li suoi cinti più macri: Mia, che fava per solilo smagrir;
Ma come Costantin chiese Silvestro Ma come Costantin che da la lorda
Dentro Siratti a guarir della lebbre; Lepra, a guarir dal Papa ricorea 95
Così mi chiese questi per maestro In Sorate ; cussi a sanar l' ingorda
A guarir della sua superba febbre : So passion, iU. chiamarme ha avù l'idea;
Domandommi consiglio, ed io tacetti, M'ha domandà un consegio, e go lasesto,
Perchè le sue parole parver ebbre. Che da mato o imbriago el discorea :
E poi mi disse : Tuo cor non sospetti ; Po '1 me dise: No aver timor per questo; 100
Finor t'assolvo, e tu m'insegna fare Te assolvo prima : di' come ho da far
Sì come Penestrino in terra getti. Paron de Penestrin per vegnir presto ;
Lo ciel poss' io serrare e disserrare, Posso el cielo inchiavar e deschiavar,
Come tu sai ; però son duo le chiavi, Come ti sa; perchè x e do le chiave,
Cbe il mio antecessor non ebbe care. Che ha pensà Celestin de refudar. 1 05
Allov mi pinser gli argomenti gravi Visto ho alora che puzo assae sarave
Là 've '1 tacer mi fu avviso il peggio, A discorso Papal no dar resposta,
E dissi : Padre, da che tu mi lavi E ho dito : Pare Santo, mi dirave,
Di quel peccato, ove mo cader deggio, Za che l'assoluzion m' ave proposta
Lunga promessa con l'attender corto Del pecà che ho da far, prometè assae, 110
Ti farà trionfar nell'alto seggio. Mantegnì poco, e vincere la posta.
Francesco venne poi, com' io fu' morto, Francesco, co i gareti ho destirai,
Per me; ma un de' neri Cherubini vicn per torme ; ma un diavolo per dia,
Gli disse: Noi portar; non mi far torto. Lassimelo, el xe mio ; tra i mii danai
Venir se ne dee giù tra' miei meschini, I ." ha da vegnir, ghe dise, in compagnia, 115

85 El preneipe dei novi Farisei = cioè Papa Bonifazio Vili.


94f95 Mn come Costumiu ee. = Costantino chiese S. Silvestrii Papa, il quale stavusi nascosto nella caverna
del monte Siratti o Soratte, per fuggire la persecuzione che facevasi ai Cristiani, affinchè il guarisse della lebbra
102 Penestrin = terra di Preneste, oggi chiamata Palestrina. Papa Bonifazio uvea lungamente assediala in
vano quella fortezza, per lo che si dispose ad averla per inganno.
105 ('.flutti,i = Papa Celestino, che rinunziò la sedia Pontificia: vedi C. III. v. 60 — refudar -- rifiutare.
106 pezo --- peggio.
Ili vincere la posta = Poichè il Conte Guido, giù fattosi dei frati minori, ebbe consigliato Iionihiyio di
promettere molto, e di mantenere poco o nulla, il Papa fìnse di essere mosso a pietà dei Colonnesi, e fece loro
sapere che se umiliati si fossero, avrebbe loro perdonato. Venuti a lui Jacopo e Pietro Cardinali, umilmente
chiamandosi peccatori e domandando perdono, furono confortati di ogni buona speranza; ma con questo rhe
dessero Preneste in mano del Papa, il quale poi che l'ebbe ottenuta, feccia d M'ari- e riedificare nel piano no
minandola città del Papa (Bii.icni).
112 co i garrii ho destimi — quando liii morto.
424 DELL INFERIVO
Perchè diede il consiglio frodolente, Perchè'1 ga dà'l consegio inganator,
Dal quale in qua stato gli sono a" eri ni: E sin d'alora l'ho tegnù in maii mia;
Ch" assolver non si può, chi non st pente ; Che no se assolve chi no ga dolor;
Nè pentere e volere insieme puossi, El pentirse e voler anca pecar,
Per la contraddizion che noi consente. I xe do oposti come l'odio e amor. 120
O me dolenti! come mi riscussi. O gramo mi ! come ho dovù restar •
Quando mi prese, dicendomi: Forse Co '1 m' ha levà col dir : Forsi pensà
Tu non pensavi ch'io loico fossi! No ti ga, che mi sapia ragionar !
A Minos mi portò : e quegli attorse Da Minosse el me porta, e quel zirà
Otto volte la coda al dosso duro ; La eoa oto volte ai fianchi el ga da di io, 125
E, poichè per gran rabbia la si morse, Che ingrintà se la morsega, e po: Là,
Disse : Questi è de' rei del fuoco furo : Disii, ch' el paga sconto in fogo el fio :
Perch' io là dove vedi son perduto, Per questo ti me vedi qua a penar
E sì vestito andando mi rancuro. Drento in sta bampa. Apena ga lìnio
Quand' egli ebbe il suo dir così compiuto. Guido cossi sta storia da contar, 130
La liamma dolorando si partio, Dolorando el so fogo xe andà via,
Torcendo e dibattendo il corno aguto. Fando a forte la punta tremolar.
Noi pasiamm' oltre ed io e il Duca mio Sul scogio andando co la Guida mia.
Su per lo scoglio infino in su l'altr" arco, L'altro arco go montà del fosso fondo,
Che copre '1 fosso, in che si paga il fio Dove patisse i metimal là via, 135
A quei che (commettendo acquistan carco. Che ha fato nascer le discordie al mondo.

126 iagriatù = arrabbiato.


130 do contar -- da narrare.
1J5 i mrliianl — i seminatori di discordie.

CANTO VENTESIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Rotti e forati da spada celeste In modo che fa oror abusai, squartai.


Vari per la nona Bolgia peccatori, Va per la nona Bolgia quei che ga
Che qui scandali han mossi, e seismo desU. Scandali e sismi al mondo semenai.
Bertram dal Bornio fra gli altri e«ce fuori, Tra quei Beltram dal Bornio s' ha mostra :
E il capo suo spiccato alza con mano, Co una man alta el leva la so testa,
E ai duo Poeti racconta gli errori ; Che ai Poeti sa dir per qual poca
Ond'è dal busto il suo capo lontano. Eia dal corpo separada resta.

Chi poria mai pur con parole sciolte Chi mai dir gnanca in prosa avria '1 talento
Dicer del sangue e delle piaghe appieno, Del sangue e piaghe, che go ochià là via,
Ch'i' ora vidi, per narrar pi (i volte? Lo disess'anca cento volte e cento ?
Ogni lingua per certo verria meno Certo un gran fiasco ogni parlar faria
Per lo nostro sermone e per la mente, Che '1 linguagio de nu, la nostra mente,
C' hanno a tanto comprender poco seno. Nè dirlo, nè pensarlo poderia.
CANTO xxvni. 128
Se s'adunasse aneor tutta la gente, Se s' ingrumasse su tuta la tenie
Che già in su la fortunata terra De la tera de Puglia insanguenada,
Di Puglia fu del suo sangue dolente Causa i Romani, misera e dolente ;
Per li Romani, e per la lunga guerra E per la guera tanto in longo andarla, 10
Che dell' anella fe sì alte spoglie, Che ha dà un monte de anei le morte man,
Come Livio scrive, che non erra ; Come ben giusta Livio 1' ha contada ;
Con quella, che sentio di colpi doglie, Con queli che ha chiapà bote da can
Per contrastare a Roberto Guiscardo ; Contro Guiscardo; e l'altra che là in tera
E l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie Ga ancora i ossi in vista de Oprati, 15
A Ceperan, là dove fu bugiardo Dove i Pugliesi traditori i gera ;
Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo E là che Alardo quasi senza armai
Ove senz" arme vinse il vecchio Alardo; Arcate a Tagliacozzo ha vinto in guera ;
E qual forato suo membro, e qual mozzo E chi fusse smozzai e chi sbusai,
Mostrasse, d'agguagliar sarebbe nulla In confronto di quei sarave un gnente, 20
11 modo della nona bolgia sozzo. Che xe a la nona bolgia condanai.
Gii veggia, per mezzul perdere o lulla, Ròta in IILCz,O sfondada o a l'orlo arente,
lÀnn' io vidi un, cosi non si pertugia, No ga'l buso, come un che ho visto là,
Rotto dal mento insin dove si trulla. Spacà dal mento al foro propriamente.
Tra le gambe pendevan le minugia; Tra le gambe i buei scortando va, 25
La corata pareva, e '1 tristo sacco La coraela se ghe vede e'1 saco,
Che merda fa di quel che si trangugia. Che fa merda de quel che s' ha magnà.
Mentre che tutto in lui veder m' attacco, Sin che de ochiarlo ben no me destaco,
(i IMI-I lummi, e con la man s' aperse il petto, Lu me fissa, e coi dei se avene el peto,
Dicendo : Or vedi come io mi dilacco : Disendo : Varda, mo, come me spaco ; 30
Vedi come storpiato è Maometto. Varda in qual modo xe conzà Maometo.
Dinanzi a me sen va piangendo Ali Davanti a mi xe Ali, che se dolora

7 *' ingranane = s'ammonticchiasse.


10-12 E per la guerra ce. = accenna la seconda guerra Cartaginese elic durò Ire lustri, nella quale fu
falla strage dei Romani tanto sanguinosa che levate le anella dalle dita dei cavalieri, Aunilmlc ne mandò a
Carlagine per segno di vittoria tre moggia e meno, siccome racconta Livio lo storico.
13 Con aueli ee. - cioè con gli eserciti Greci, che Alessio imperatore di Costantinopoli mandò per rincqui-
stare la Calabria e la Puglia, e elic dal Normanno Roberto Guiscardo, nuovo signore di quelle province, rima
sero sconfitti. Ciò avvenne nel 1071.
1 1-1 o t f'altra ee. = genterehe peri nella prima battaglia Ira Manfredi re di Puglia e Sicilia, e Cucio
d'Angiò di Francia — Ceprano -- luogo nei contini della Campagna di Roma verso Monte Cassino; le ossa della
qual gente ancor trovano gli agricoltori sparse pei campi, e secondo il costume loro, quando sanno che sono di
Cristiani, le raccolgono e le pongono in qualche sacro cimitero (Kisv IH).
17-18 i: lù che Alardo ee. = A Tagliacozzo, castello dell'Abruzzo ulteriore, combatteva Carlo d'Angiò dive-
nulo re di Sicilia e di Puglia, contro Corradino nipote del morto re Manfredi = Alardo di Valleri cavaliere
francese consigliò re Carlo, il quale con due terzi delle sue genti avea combattuto e perduto, di correre «d-
l'altro terzo addosso all'mimico che disordinalo ed incauto era inteso a far bottino. Carlo, secondo il consiglio
datogli, piombalo con sì poca gente sull'esercito di Corradmo, lo sconfisse. Ciò fu nel 1268 CBiincm).
10 nmozzai' = smozzati --. abusai = bucali, forati.
22 Bòia = Bólle.
25 > buti scortando va = le budella gli si agitano di qua e di là.
26 la coratla — la corata.
29 coi dti = colle dita.
30 mo - particella riempitiva.
31 xe eonzà — è conciato pel di de!le feste = Maometo — questo famoso impostore nacque alla Mecca
nel 560, mori a Medina nel 633. Rimane di lui un libro detto Korano, che contiene le sue leggi e la sua re
ligione: è questi il profeta adorato dai Turchi.
32 Ali = genero e discepolo di Maometto; portò dopo la costui morte molli cambiamenti nel Korano, ed
è oggi venerato come capo di una setta di Maometani.
-126 DELL' INFERNO
Fesso nel volto dal mento al ciufletto : Col barbuzzo spacà sin al znfeto.
E tutti gli altri, che tu vedi qui, E sti altri che li vedi in sta malora,
Seminator di scindalo e di scisma Xe squartai perchè scandalo e resia 35
Pur vivi, e però fon fessi così. I ga semenà al mondo là de sora.
Un diavolo è qua dietro, che n' accisma Un diavolo, el disea, ne sta qua via
Sì crudelmente, al taglio della spada Martorizando sempre, e a ognun de nu
Rimettendo elascun di questa risma, Co la spada el renova la feria
Quando avem volta la dolente strada ; Co, voltando, tornemo da col ù; 40
Perocchè le ferite son richiuse Perchè sti tagi i vien sempre sanai
Prima ch' altri dinanzi li rivada. Prima che sia qualcun tornà da lu.
Ma tu chi se' che in su lo scoglio muse, Ma chi estu, che ti tien su sti danai
Forse per indugiar d " ire alla pena, Zo '1 viso, forsi per intardigar
Ch'è giudicata in su le tue accuse ? La pena, che i t' ha dà il rio i to pecai ? -io
Nè morte il giunse ancor, nè colpa il mena, Morto ancora noi xe, nè '1 fa qua inviar,
Rispose il mio Maestro, a tormentarlo ; Dise el Mestro, el pecà per so castigo,
Ma, per dar lui esperienza piena, Ma sti loghi el vien sol per visitar.
A me, che morto son, convien menarlo Mi, che son morto, a farghe me sfadigo
Per lo Inferno quaggiù di giro in giro : Veder l' inferno, e vago qua zirando ; 50
E questo è ver così confiii ti parlo. Xe pura verità quel, che te digo.
Più fm di cento che, quando l'udiro, Più de cento fermai, lo sta ascoltando
S' arrestaron nel fosso a riguardarmi, Per maravegia, e i me vardava, insin
Per maraviglia obliando il martiro. 1 patimenti soi desmentegando.
Or di' a Fra Dolcin dunque che s'armi, Averli donca adesso fra Dolcin, 55
' Tu che forse vedrai il sole in breve, Ti che ochiar presto ti poi forsi el Sol,
S' egli non vuoi qui tosto seguitarmi, Se noi voi de qua un fià starme vicin,
Sì di vivanda, che stretta di neve Ch' el pensa a le cibarie, se noi voi
Non rechi la vittoria al Noarese, Che ghe daga al nemigo vinta guera
Ch'altrimenti acquistar non saria leve. La neve, per la qual vincer lu poi. 60
Poichè l'un pie, per girsene, sospese, Co un pie in aria d'andar in alo el gera
Maometto mi disse esta parola ; Disendome Maometti sta parola,
Indi a partirsi in terra lo distese. E nel partir lo ga puzà zo in lera.
Un altro, che forata avea la gola Un ailui, che sbusada avea la gola,
E tronco il naso infìn sotto le ciglia. El naso monco insin solo la cegia, 65
E non avea ma che un'orecchia sola, E noi gaveva che una rechia sola ;
Restato a riguardar per maraviglia Fermà anca lu a vardar per maravegia,

33 1,1 barbuzzo — il mento .- zufelu - ciuflello.


35 resia = eresia.
40 Co — quando.
41 sii tagi = questi lagli o lenii-.
44-45 intardigar = ritardare. — drio i tu peoni = in confurmiu dei luoi peccali.
55 fra Dolcin -- Rumilo eretico, il quale predicava essere conveniente Ira i Cristiani li comunanza di
lulte le cose e pcrsino delle mogli. Seguilo du più di tremila uomini andò inturno rubando per molto tempo,
finchè ridotto nei monti del Novarese, sprovvisto di viveri e impedito dalle nevi, fu dagli uomini di Novani
preso, e con Margherita sua compagna, secondo il barbaro costume di quc' tempi, l'alio abbruciare. Ciò avvenne
nel 1307 = cionco = dunque.
57 de qua un fià = da qui a poco.
61 Co - con.
65 ceyia = ciglio.
CANTO xxviii. 427
Con gli altri, innanzi agli altri apri la canna , Prima dei altri avrindo la so cana,
Ch' era di fu or d'ogni parte vermiglia ; Che de fora al scartato ghe somegia,
E disse : O tu, cui colpa non condanna, Dise : Ti ch VI pecato no te dana, 70
E cui già vidi su in terra latina, E I," ho visto là su in tera Latina,
Se troppa simiglianza non m' inganna, Se tropa somegianza no m' ingana,
Rimembriti di Pier da Medicina, Recordite de Pier da Medicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano, Se mai ti torni a la bela pianura
Che da Vercello a Mai catiò dichina. Che da Verceli a Marcabò scalina; 75
E fa saper a" duo miglior di Fano, E dighe a Guido, quel'anema pura,
A messer Guido ed anche ad Angioletto, E anca a Anzoleto, i do megio de Fano,
Che, se l'antiveder qui non è vano, Se se vede el futuro in sta tortura,
Gittati saniii fmir di lor vasello, Che i sarà drento in saco per ingano
E mazzerati presso alla Cattolica,, Da la nave butai vicin Catolica, SO
Per tradimento d'un tiranno fello. Per tradimento d'un crudei tirano.
Tra l'isola di Cipri e di Maiolica Tra l' isola de Cipro e de Maiolica
Non vide mai sì gran fallo Nettuno, ISetun delito eguai visto noi ga,
Vm da Pirati, non da gente Argolica. Nè dai pirati, nè da zente Argolica.
Quel traditor che vede pur con l'uno, Quel tradilor che xe d'un ochio orbà, • 85
E tien la terra, che tal è qui meco De la lera signor, che un tal qua drento
Vorrebbe di veder esser digiuno, Con mi, mai noi voria esserghe sfa ;
Farà venirli a parlamento seco; Li chiamarà con elo a parlamento :
Poi farà si, ch'ai vento di Focara Po'l farà che i soi preghi no ghe conta,
Non farà lor mestier/volé nè preco. Per andar salvi de Focara al vento. 90
Ed io a lui: Dimostrami e dichiara, E mi a lu: Se ti voi che là su conta
Se vuoi ch'io porti su di te novella, De ti, dime tra st'aneme chi è quela,
Chi è colui dalla veduta amara. Che d'esser sta là via qua ci fio la sconta ?
Allor pose la mano alla mascella Uno arente de lu per la, massela .
D'un suo compagno, e la bocca gli aperse Alora el chiapa, e avrindoghe la boca 95
Gridando : Questi è desso, e non favella : Dise: L'è questo, ma noi ga l'ochela.
Questi, scaccialo, il dubitar sommerse. Cazzà in bando, destruto in ponto in broca
68 la so cana - In canna delln gola.
71 m lerà Latina = in Italia.
73 l'ir,- da Medicina - Medicina, posta nel territorio di Bologna, il quale seminò discordie fra gli uomini
della sua terra, e tra Guido da Polentu e Malatestino da lumini (lliiM.m).
74-75 Se mai li (orni «e. = allude alla pianura di Lombardia, elic dal distretto di V. Tirili pel tratto di
ducente- e più miglia si abbassa a grado a grado sino a Marcano, castello oggi ((istrutto presso In marina, ove
il Po mette foce (UinM-.m). . -. scalina = va abbassandosi gradalamente.
76-81 K dighe a Guido tee, - Messer Guido del Cassero, ed Angioletto da degnano onorutissimi gentiluo
mini di Fano, i quali da Malatestino, scellerato tiranini di Rimini, lusingati a venire a parlamento con lui alla
Cattolica, terra dell'Adriatico tra Rimini e Pesaro, si posero in viaggio per mare; e quando furono giunti pres
so Cattolica, dai conduttori della nave, secondo viie il tiranno avea ordinalo, furono annegati in mare (BtiacHi).
= i do megio = i due migliori.
82 Tra t'isola de Cipro = Cipro isola del Mediterraneo = Maiolica = ossia Mniorica, la maggiore delle
isole Baleari, che sono le più occidentali del Mediterraneo.
85-86 (Imi Iradilor - cioè Maialatimi ricco d'un oceliio — De la lerà tignar = cioè signore di Rimini.
89 no ijìir eonta = loro non giova.
90 Pecora — monte della Cattolica, dal quale soffiano venti burrascosi.
93 ila: d'aier ita là via - cioè a Rimini cui accenna il v. 86.
94 arnie .-. vicino.
96-102 I." r quello ee. Curione essendo scacciato esule da Roma, estinse in Cesare la perplessità se dovesse o
no mover le armi contro la patria, affermando che chi ha tutto in pronto per compiere una impresa, risenIi sem
pre danno dall'aspettore (Fraticelli) -- . ochela = favella = m ponto in broca = modo avverbiale, vale recisamente.
428 DELL lNFERNO
ln Cesare, affermando che il fornito Ga lu '1 dubio de Cesare col dir
Sempre con danno l'attender sofferse. Che al pronto l'aspetar dano ghe loca.
O quanto mi pareva sbigottito, Come f '.imon m' ha parso shigotir, 100
Con la lingua tagliata nella strozza, Co la lengua troncada ne la gola,
Curio, ch' a dicer fu così ardito ! Che de dar quel consegio ha a vii l'ardir!
Ed un ch'avea l'una e l'altra man mozza, E un altro senza gnanca una man sola,
Levando i moncherin per l'aura fosca, Levadi i monchi al viso soo de sora,
Si che'l sangue facea la facc:a sozza, Tuto sporcà dal sangue che ghe cola, 105
Gridò : Ricorderai anche del Mosca, Ciga : Del Mosca tiente a mente ancora,
Che dissi, lasso ! Capo ha cosa fatta : Che ho dito : El fato ha cao ; oh desgrazià !
Che fu il mal seme della gente tosca. Che ai Toscani ha portà tanta malora.
Ed io v'aggiunsi: E morte di tua schiatta; E morte a la to razza, mi ho zontà;
Perch' egli accumulando duol con duolo, E dal dopio dolor colù andar via 110
Sen gio come persona trista e matta. Go visto, come un mato o desperà,
Ma io rimati a riguardar lo stuolo, Ma stando mi a vardar i altri là via,
E vidi cosa, ch'io avrei paura, M" ha tocà veder cossa, che paura
Sanza più prova, di contarla solo ; De contar senza prova gavaria :
Se non che conscienzia m'assicura, Ma la consienza, d'eia ben sicura, 115
La buona compagnia, che l'uoni francheggia, A l'oimo fa portar alta la fronte,
Sotto l'osbergo del sentirsi pura. Altiera e forte per sentirse pura. .
l' vidi certo, ed ancor par ch' io '1 veggia, Go visto, e drio le idce, che ho vive e pronte,
Un busto senza capo andar, si come Me par veder ancora andar tra quei
Andavan gli altri della trista greggia. Un senza testa, stando mi sul ponte. 1-0
E il capo tronco tenea per le chioma L'aveva a picolon per i cavei
l'osoi con mano a guisa di lanterna, La lesta mozza in man come lanterna,
E quei mirava noi, e dicea : O me ! Che la van!;i v,.i e la diseva: Oimei!
Di sè faceva a su, stesso lucerna, De lu stesso el fazzeva a lu lucerna :
Ed eran due ln uno, ed uno in due : Sola in do corpi l'anema la resta ; ' -'•"'
Com'esser può, Quei sa che sì governa. El come lo sa Chi tuto governa.
Quando diritto appiè del ponte fue, Arivà a pie del ponte, co la testa
Levò il braccio alto con tutta la testa L' ha levà in alto el hi azzo, aciò sonora
Per appressarne le parole sue, Vegna a nu la parola, e la xe questa:
Che furo : Or vedi la pena molesta Varda ti, che tra i morti vivo ancora 130
Tu che, spirando, vai veggendo i morti : Ti va, se de la mia ghe fusse mai
Vedi s'alcuna è grande come questa. Pezo pena. E perchè contar là sora
E perchè tu di me novella porti, Ti possi i fati mii, sapi oramai

100 t'ai ii, ii = Curione che diede il mal consiglio a Cesare.


106 .Mucca = inni della famiglia degli Uberti, o come altri vogliono, di quella dei Lamberti, che aiutato da
altri compagni nccUe Ruondelmonte; il quale avendo promesso di sposare una fanciulla di quella famiglia, mosso
dalle lusnighe ili una donna di famiglia de' Donati, sposò una figliuola di lei. Questo fatto accese la prima favilla
delle discordie di Firenze, la quale fu tosto divisa in Cucili e Ghibellini. Ciò avvenne nel 1215.
107 El fata ha cao — cosa fatta capo ha. Di questo proverbio si valse il Moica in un consiglio degli imi.
dei, proponendo che si nccidesse il Buondelmonie.
109 mi ho sonià .- io vi aggiunsi.
lli daperà — disperato.
121 a In filimi — a penzolone.
132 fontar = narrare.
CANTO XXIX. 429
Sappi ch'i'son BerLram dal Bornio, quelli Che son Bertram dal Bornio, che al re Erigo
Ch'ai Re Giovane diedi i mai conforti. El zovene, consegi bruti ho dai 135
lo feci'1 padre e'1 figlio in sè ribelli: Pare al fiol, questo a quel fato ho nemigo,
Achitofel non fe più d'Absalone Più che Achitofel Assalon sparilo
E di David co' malvagi pungolii. Noi ga dal pare soo col birbo intrigo.
Porch' io partii così giunte persone, Perchè dal pare destacà go '1 fio,
Partito porto il mio cerebro, lasso ! Dov'èl scomenza ho'l mio cervel troncà, 140
Dal suo principio, eh' è 'a questo troncone. Ch "ci principia in sto tronco. Oh ! destin mio,
Così s'osserva in me lo contrappasso. La lege del Tagion s' ha in mi sfogà.

134 fin-tram dal Bornio = fu Visconte del Castello d'Altaforle nella Diocesi di Piregueux in Guascogna,
irovai.!]' sublime, armigero famoso, e nell'amore e nell'odio del pari veemente. Incitò egli dapprima Enrico, d
maggior tiglio di Enrico II detto il re giovane, perchè coronato re d'Inghilterra ancor giovanetto, e per di
stinguerlo cosi dal padre, a muover guerra a suo fratello Riccardo conte di Guiena e di Poitù; e perchè vide
fdi accorgimenti di Riccardo non dar luogo alle armi di lui, lo stimolò e levarsi contro lo stesso padre. L'in
felice giovane fu colto dalla morte nel flore della vita (Bisneni).
137 Achiiàfd = colui che seminò discordia tra Davide e Assalone suo figlio, onde si mossero guerra
In loro.
142 La lege del Tagion = La legge del Taglione: legge romana antichissima che condannava il malfat
lore i subire dauco per danno nel caso della frattura di un membro.

CANTO VENTESIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Della decima Bolgia il grerab'abbraccia No la decima Bolgia sta ncrai


I falsatori ribaldi alchimisti, I archimisti briconi, che qua sora
Che fecero a metalli mutar faccia. L'oro e l'arzento i ga falsificai.
Quivi stan già gli sciagurati artisti Quei grami gran lamenti i manda fora
Dolenti, e gravi si, ch'ognun s'accascia Per certe malatie, che insin li cufa;
Per qualche infermità che li fa tristi ; I se storze, i se miasia, e par che i mora ;
E traggon guai con dolorosa ambascia. 1 pianze, i ciga da le dogìe, e i sljufa.

La molta gente e le diverse piaghe Sgionfai i ochi de lagreme m'aveva


Avean la luci mie sì inebriate, Le oride piaghe e i tanti desgraziai
Che dello stare a piangere eran vaghe. Cussi, che quasi in pianto le pioveva.
Ma Virgilio mi disse : Che pur guate ? Ma '1 Mestro a mi: Cessa ti vardi mai?
Perchè la vista tua pur si soffolge Per cossa mo sora i squartai là via,
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate ? I ochi ancora ti tien ? i altri danai
Tu non hai fatto sì all'altre bolge : >'o t' ha scossa cossi la fantasia :
Pensa, se tu annoverar le credi, Rifleti che, se te li voi contar,
Che miglia ventiduo la valle volge 5 La vale intorno va vintindo mia.
E già la luna è sotto i nostri piedi : Soto nu xe la Luna ; per zirar 10
Lo tempo è poco omai che n'è concesso, Poco tempo ne resta, e via de qua
Ed altro è da veder che tu .non vedi. De le altre cosse avemo da osservar.

5 mo = particeli! riempitiva.
130 DELL INFERIVO

Se tu avessi, rispos'io appresso, Forsi. se ti gavessi ti aspetà


Atteso alla cagion perch'io guardava, De sentir el perchè mi là vardava,
Forse m'avresti ancor lo star dimesso. Ti m'avaressi ancora lassà là. 15
Parte sen gia, ed lo retro gli andava, Sta mia resposta al bon Dotor ghe dava.
Lo Duca, già facendo la risposta, Lu andando ; e go zontà, standoghe drio :
E soggiugnendo : Dentro a quella cava, Nel fosso, in dove i ochi mi fissava,
Dov'io teneva gli occhi sì a posta, Che a pianzor quel pecà un parente mio
Credo che un spirto del mio sangue pianga Fusse là drento, credo certamente, 20
La colpa, che laggiù cotanto costa. Che xe de quela sgnesola punio.
A M i ir disse '1 Maestro : Non si franga Me iti.su el Mestro alora : Da la mente
Lo tuo pensier da qui 'ima n/.i sovr'ello : Scazza co I ù, nè sta a pensar più a elo;
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga ; Tendi ai to fati, e gabllo in a mente;
Ch'io vidi lui a pie del ponticello Che lo go visto al pie del ponteselo 25
Mostrarti, e minacciar forte col dito, Col dèo mostrarle ai altri e minazzarte,
E udi' '1 nominar Geri del Bello. E a chiamarlo ho sentio Geri del Belo.
Tu eri alloi- sì del tutto impedito Tanto alora ha podesto interessarle
Sovra colui che già tenne Altaforte, Quel Bertramo dal Bornio d'Altaforte,
Che non guardasti in là, sì fu partito. Che intanto el l'è scomparso in altra parte. 30
O Duca mio, la violenta morte, Mestro, digo, la so violenta morte
Che non gli è vendicata ancor, diss'io, Nissun dei sui ga ancora vendicà:
Per alcun che dell'onta sia consorte, Per questo, credo, el l'ha chiapada forte,
Fece lui disdegnoso ; onde sen gin' ,.; ; E con dispeto el xe andà via sdegnà
Senza parlarmi, sì com'io stimo ; Senza parlarme ; con sta idea sentia 35
Ed in ciò m'ha el fatto a sè più pio, Go per elo più granda la pietà.
Così parlammo insino al luogo primo. Cossi parlando al ponte se vegnia,
Che dello scoglio l'altra valle mostra, Da in dove in zo vardar s'avria possù
Se più lume vi fosse, tutto ad imo. L'altra vale, se stada più schiaria.
Quando noi fummo in su l'ultima chiostra Co se xe de Malbolge montai su 40
Di Malebolge, sì che i suoi conversi L'ultima fossa, e se podea la stiva
Potean parere alla veduta nostra, Dei grami condanai veder de più;
Lamenti saettaron me diversi Dei lamenti d'angossa me feriva,
Che di pietà ferrati avean gli strali : Come ch'el cuoi ponto da fri-zza zeme,
Ond'io gli orecchi colle man copersi. E co le man le rechie me covriva. 45
Quai dolor fora, se degli spedali El dolor che farave i mali insieme,

17 e gn zontà = ed aggiunsi.
21 sgnesnla - bagatella (detto per ironia).
24 e gaòito in a mente r. e non curarlo.
26 fd dea = cui dito. = minuzzar ..- minacciare.
27 Geri (M Belo — fu figlio di Bello nato d'Alighiero bisavolo di Dante. Ma Dante discendeva da uà alno
figlio di Alighiero chiamato Bellincione.
31 la so violenta morte - Geri del Bello uomo di mula vita, e seminatore di risse, fu ucciso a tradimento
da uno di-i Sacchetti; t• nessuno della famiglia Alighieri, ingiuriala per questo omicidio, ne prese vendetta; nis
xienc narralo che liTnt'unni dopo fu fnila questa vendetta da un suo nipote, cioè da un figlio di Ursser Cionr.
il quale uccise uno dei bacchetti sulla porta della sua casa (BisncHi).
32 dei sai = dui suoi Carenti). *
33 el l'hu chiapaia forte = ni è fieramente sdegnalo.
40-41 Co --. quando. — l'ultima fossa - - perelio dopo viene il pozzo dei giganti.
44 zcme — geme.
CANTO xxix. 131
Di Valdichiana tra '1 luglio e '1 settembre, Che tra '1 Lugio e '1 Setembre ai ospedai
E di Maremma e di Sardigna i mali Ghe xe de Valdechiana, de Mareme
Fossero in una fossa tulti insembre; E de Sardegna, in t'un tuli ingrumai;
Tal era quivi, e tal puzzo n'usciva, Cussi qua ; e su vegniva un fetor grando 50
Qual suole uscir delle marcite membre. Come quel dei cadaveri. Smontai
Noi discendemmo in su l'ultima riva Semo a l'ultima riva, zo calando
Del lungo scoglio, pur da man sinistra, Sempre a zanca del longo ponte drio;
E allor fu la mia vista più viva E '1 negro fondo vegno là vardando,
Giù ver lo fondo, dove la ministra Dove, qua d'eli tolta nota, el fio 55
Dell'alto Sire, infaliir.il giustizia, Fa pagar dei falsari a la genia,
Punisce i falsator che qui registra. E là ficadi li castiga Dio.
Non credo ch'a veder maggior tristizia Più la vista dolor fato no avria,
Fosse in Egina il popol tutto infermo, Co da la peste el popolo d' Egina
Quando fu l'aer si pien di malizia, Moriva tra le dogie d'angonia. 60
Che gli animali, ialino al picciol vernici, E con lu morta xe ogni bestia, insina
Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Che s' ha po rcnovà (se mai no ingana
Secondo che i pueti hanno per fermo, Dei pueti el cantar su sta rovina)
Si ristorar di seme di formiche ; Da formighe la vechia razza umana;
Ch'era a veder per quella oscura valle Come a veder dei grami el cuor strazzava, C5
Languir gli spirti per diverse biche. Fati su in tanti muchi, la condana.
Qual sovra '1 ventre, e qual sovra le spalle Chi ha in zo la panza e chi drio'schena stava
L'un dell'altro giacca, e qual carpone Un sora l'altro, e a gatognao chi va
Si trasmutava per lo tristo calle. Scambiandose de sito. Nu s'andava
Passo passo andavam senza sermone, Pian pianin, ziti ziti per de là 70
Guardando ed ascoltando gli ammalati, Ascoltando e vardando i amalai,
Che non potèn levar le lor persone. Che alzarse no i podeva gnanca un fià.
1' vidi duo sedere a sè poggiati, Stava un su l'altro do in senton puzai,
Come a scaldar s'appoggia tegghia a tegghia, Come antian contro antian sora el fogher,
Dal capo a' piè di schianze maculati : Da la testa a le piante incrostolai. ' 75
E non vidi giammai menare stregghia Menar la stregia ho visto mai stalier
Da ragazzo aspettato dal signorso, Aspetà dal paron, con tal furor,
Nè da colui che mal volentier vegghia ; Nè chi, lnsonà, al leto ga '1 pensier;
Come ciascun menava spesso il morso Come qua e là, rabiosi dal spizzor,

48 de Valdfchiana re. — campagna fra Arezzo e Cortona, Chiusi e Montepulciano, ave corre il fiume Chiana
ora divenuta una delle più fertili provincic di Toscana = Mareme — Maremma, paese tra Pisa e Siena lungo la
marina.
49 Sardegna =: isola presso l'1talia. ln quella localita, per ragione dell'aria malsana, gli spedali erano d'e
state pieni d'ammalnli.
53 •/• / longo ponte = lungo perchè traverss tutte le dieci bulgic.
59 Co = quando =- Egina = è un'isuletta vicina al Pcloponneso, ove al tempo di Eaco suo re, fu pesti
lenza si grande per l'infeziune dell'aria che distrussc tutti gli uomini e gli animali.
60 dogie =• doglie. •
64 Da formighe = E favola che Giove ai preghi di Eaco, trasformasse lo formiche ili Egina in uomini: da
ciò venne il nome di tlirmidoni ai popoli di quell'isola.
68 a gatognao = a carponi.
72 gnatica un fia . nemmeno un tantino.
73 do = dnc. = ni senton . . seduti -- puzai - appoggiati.
74 antian = tegame = fugher = focolare.
76 la stregia — la striglia.
79 spinar = pizzicore.
132 DELL'
Dell' unghie sovra sè per la gran rabbia I se sgrafava in furia e su ogni costa, 80
Del pizzicor, che non ha più soccorso. Che remedio no i ga de quel magior.
E si traevan giù l'unghie la scabbia, L'istesso del cortel lori se scrosta,
Come collel di scardova le scaglie, Che leva da la scàrdova la scagia,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia. O da altro pesse de più larga crosta.
O In che colle dila ti dismaglie, Ti, dise '1 Mestro a un de quela fragia, 85
Cominciò '1 Duca mio ad un di loro, Che ti te scrosti, e i dèi qualche momento
E che fai d'esse lalvolla tanaglie, Te li fa servir anca da tanagia ;
Dimmi s'alcun Lalino è tra costoro Di' se qualche Italian ghe xe qua drento
Che son quinc'entro, se l'unghia ti basti Tra questi, cussi possa a li qua zo
Eternalmente a cotesto lavoro. Bastar l'ongia a l'eterno scrosta mento. 90
Lalin sem noi, che tu vedi si guasti Senio Italiani conzi luti do
Qui a m boiUi.', rispose l'mi piangendo: Qual ti vedi, un pianzendo ga resposto,
Ma lu chi se' che di noi dimandasti? Ma ti, che ti domandi de nu, mo
E '1 Duca disse: l' son un che discendo Chi xestu ? E a lu el Dotor : De posto in posto
Con questo vivo giù di balzo in balzo, Con sto vivo qua zo vegno zirando, 95
E di niusIrar l'inferno a lui intendo. Che a musini rulir l'Inferno m'ho proposto.
Allor si ruppe lo comun rincalzo; Se va quei do in alora destacando,
E iremando ciascun a me si volse E con tremor i s' ha voltà da mi
Con alili, che l'udiron di rimbalzo. Con quei, che i l' ha sentido de rimando.
Lo buon Maestro a me tulto s'accolse, E da mi voltà '1 Mestro, dise : Di' 100
Dicendo : Di' a lor ciò che lu vuoli. Quel che te piase a lori francamente.
Ed io incominciai, poscia ch'ei volse : De za ch'elo lo voi, parlo cossi :
Se la vostra memoria non s'imboli Che la vostra memoria da la mente
Nel primo mondo dall'umane menti, Dei Diurni no l'abia da sortir,
Ma s'ella viva sollo molti soli, Ma se mantegna in quei perpetuamente : 1 05
Ditemi chi voi siete e di che genti : De qual razza e chi sie vogeme dir ;
La vostra sconcia e fastidiosa pena La vostra sporca fastidiosa pena ,
Di palesarvi a me non vi spaventi. No ve legna dal farve a mi scovrir.
I' fui d'Arezzo, ed Albero da Siena, Son sta d'Arezzo; e Alberto quel da Siena
Rispose l'un, mi fe mettere al fuoco; Brusar m' ha fato, un dise, ma a penar Ito
Ma quel perch'io mori' qui non mi mena. Qua, quel perchè son morto no me mena.
Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco: Xe vero che parlando per scherzar,
I' mi saprei levar per l'aere a volo : Disendo a lu che de volar so bon,
E quei, ch'avea vaghezza e senno poco, L' ha volesto, smanioso de imparar.
Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo Che st'arle ghe insegnasse, quel minchion : Ilo
Perch'i' noi feci Dedalo, mi fece E perchè noi xe un Dedalo sortio,
Ardere a tal che l'avea per figliuolo. Me ga fato arder per ordinazion
Ma ncirullima bolgia delle diece Del Vescovo, che l' ha dotà per fio.
83 scardava = specie di pesce = scagia =. squama.
85 rfe iInela fragia = di quella compagnia, cioè a uno dei due, di cui al v. 73.
86 i' da - le dita.
9I conii = acconciati = tuli do = entrambi.
93 mo = particella riempitiva.
99 de rimando = qui vale: indirettamente.
109-118 Son s'a d'Arezzo = Sono stato d'Aiezzo. Ditesi elic costui fosse un certo Griffolino alchimista, che
vantandosi di sapere l'arte di volare, promise d'insegnarla a I11I Senese chiamato Albero, n secondo altri Al-
CANTO XXIX. 433
Me per alchimia che nel mondo usai, Ma qua in st'ultima bolgia de le diese,
Dannò Minos, a cui fallir non lece. Minosse, che no fala, m'ha punio 120
Ed io dissi al Poeta: Or fu giammai Come Alchimista. K mi al Mestro: El Sienese
Gente sì vana come la Sanese ? Cussi poco giudizio el ga? per dia,
Certo non la Francesca sì d'assai. Che assae de più ghe n'ha de lu U Franzese.
Onde l'altro lebbroso che m'intese, L'altro leproso, che la vose mia
Rispose al detto mio : Tranne lo Stricca, L'avea ascoltà, responde: Via del Strica, 125
Che seppe far le temperate spese ; Che ha savesto far ben la emioin ia ;
E Niccolo, che la costuma ricca Via de Nicola, che l'usanza rica
Del garofano prima discoperse Del garofolo, primo el ga trovà
Nell'orto, dove tal seme s'appicca; Ne l'orto proprio dove ch' el se fica,
E tranne la brigata, in che disperse E de la fragia co la qual strazzà 130
Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda, tìavea Cacia d'Assian luto el so aver,
E l'Abbagliato il suo senno proferse. E Abalgiato el so inzegno avea sfogià.
Ma perchè sappi chi sì ti seconda Ma chi d'acordo, se ti voi saver,
Centra i Sanesi, aguzza ver me l'occhio Xe con ti contro Siena, spenzi l'ochio;
Sì che la faccia mia ben li risponda : Vardime fisso ben : e in mi vedèr, 13ó
Sì vedrai ch'i' son l'ombra di Capocchio, Sì in mi ti poderà quel tal Capochio,
Che falsai li metalli con alchimia ; Che ga falsa i melali co l'Archimi, i,
E ten dee ricordar, se ben t'adocchio, E te morderà, se ben mi t'ochio,
Com'i' fui di natura buona scimla. Cbe son sta per natura brava simia.

berlo, il quale dapprima gli credette, e poscia accortosi di essere ingannato lo accusò al Vescovo di Siena come
reo di negromanzia: e Griffolino come negromante per ordine di esso Vescovo fu brucialo vivo (Bisncm). = so bon
- sono buono, capace - - dotà = adottato.
120 Minone = giudice dell'Inferno: vedi C. V. v. 4.
124 /.' nitrn leproso --- Capocchio alchimista, e falsator di metalli.
125 Via del Srrina --: è detto ironicamente. Lo Stricca altro Sicoese, scialacquatore del suo avere.
126 «monna — economia.
127 Nicola -- Nicolo: dicono che costui fosse dei Salimbeni o de' Bonsignori di Sienu, e che si studiasse di
dare nuovi e delicati sapori alle vivande. Una specie di arrosto nella quote egli poneva garofani ed altre spc-
zierie, che molto costavano a quei tempi, fu nominata lu eotluma (l'usanza) ricca (Bisioin).
129 .Vi- l'orlo = e delta per antonomasia in luogo delln ritta di Siena dov'era quella usanza in voga.
130 E detta fragia = e (tranne) la compagnia: Si racconta che in Siena fu una compagnia di giovani ric
chi, i quali venduta ogni loro cosa e fatto un cumulo di duecentomila ducati, in pochi mesi li scialacquarono
io gozzoviglie, e divennero poveri (BiiNcm) = ttrazzà — consumò, scialacquo.
131 IJII-ÌH fAttian = fu uno dei giovani Sienesi che consumò quello che aveva di vigne e di boschi. Ascia
no castello in quel di Siena (Bisacm).
132 Abalgiato — Abbagliato, altro giovane Sienese -- sfogià ---- mise fuori tutto il suo ingegno, s'Intende
nel profondere il suo.
136 Capochio = Capocchio: vedi la noia 124; aggiungesi ch'egli fu di Siena, e studiò filosofia naturale con
Dante, e poscia datosi all'arie di falsare metalli, parve in questa meraviglioso (BiincHi).
139 ìii-ia-i'. ritma = cioè bravo imitatore e contraffattore.
434 DELL INFERNO

CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Correndo sempre per gli eterni piani Danai a corer sempre xe i briconi, .
Color, che finser sè altra persona, Che tol del altri el nome e soo lo ia
Mordonsi a guisa di bramosi cani, Molandose corendo morsegoni.
E chi falso monete vi ragiona, La sè patisse quei else ga falsa
Per sete ha pena: acuta febbre preme La moneda, e danadi a la frevona
Chi per falso parlar danno cagiona; Chi parlando, ga'l prossimo ingana.
Ed hanno zuffa di parole insieme. E i se insulto, e i se da pugni che sona.

Nel tempo che Giunone era crucciata Co Giunon per Semèle ingelosia
Per Semelè centra '1 sangue (ebano, Contro i Tebani tuli a trato a trato
Come mostrò già una ed altra fiata, La s" ha mostrà coi fati inviperia;
Aliunante divenne tanto insano, Xe deventà Atamante tanto mato,
Che reggendo la moglie co' duo figli Che solo in veder la mugier che ga
Andar carcata da ciascuna mano, Un per man i do tioi, ciga in t'un trato :
Gridò : Tendiam le reti, sì ch'io pigli Cestiremo la re, che chiapa qua
La lionessa e i lioncini al varco : Al passo la lionessa coi lionzin :
E poi distese i dispietati artigli, Slongae le sgrinfe Learco el ga brincà;
Prendendo l'un ch'avea nome Learco, A roda a roda el zira quel meschin, 10
E roteilo, e percosselo ad un sasso ; E po, infurià, lo stauza contro un sasso ;
E quella s'annegò con l'altro incarco. E la mare con st'altro fantolin
E quando la fortuna volse in basso Se nega. E co la sorte ha mandà a basso
L'altezza de' Troian che tutto ardiva, L'ardir de Trogia e la so boria a lera,
Sì che insieme col regno il re fu casso; Tanto ch'el Re col regno xe ami ù a spasso ; 15
Ecuba trista misera e cattiva, Ecnba desgraziada e presoniera,
Poscia che vide Polisena morta, Quando la vede morta Polissena,
E del suo Polidoro in su la riva E del so Polidor su la riviera
Del mar si fu la dolorosa accorta, Del mar la vede la dolente sena,
Forsennata latrò sì come cane; lmalia, come un can bagia che mai, 90
Tanto il dolor le fe la mente torta. Che '1 gran dolor la mente via ghe mena.

1 Co Giunon per Semole — Semèle fu una giovane Tebana amala da Giove, che di lei generò Bacco, e per
ciò avuta in odio dalla gelosa Giunone moglie di Giove, che insaziabile di vendetta tolse a perseguitare per di-
versi modi tutta la stirpe di Tebe. = co = quando.
3 inviperia = irritata.
4 iiHniautr - re di Tebe che Giunone fece diventare furioso di guisa che incontrandosi egli con Ino sua
moglie portante in collo Learco e Meliccrta suoi figliuoletti, la credi una lionrssa e follemente gridò: Tendiam
le reti si ch'io pigli la leonessa e i leoncini.
5 la mugier - la moglie.
7 Destiremo la re .-. tendiamo la rete.
9 igrinfe = unghie (per artigli).
13 co = quando.
H L'ardir de 'Frogia ce. - allude all'alterigia e all'ardire dei Troiani nel fare ogni cosa scellerata, come
fu quella di rapire Elena a Menelao suo marito e re di Sparta, causa della grande e lunga guerra tra i Greci
e i Troiani.
15 'l'unni = vale onde per la qual cosa = xe amia a apatsa -.— andarono consunti reggia e regno.
16-21 Emiia = moglie di l'riamo re dei 'I vomii, dopo l'eccidio di Troia fu fata prigioniera con una sua
figlia chiamata Polissena, che i Greci svenarono sulla tomba di Achille per placarne l'ombra. Ecuba incamminan
dosi prigioniera verso la Grecia, si scontrò sui lidi della Tracia nel cadavere di suo figlio Polidoro che era stato
CANTO xxx. 135
Ma nè di Tebe furie nè Troiane Ma le furie no sol de Tebe mai,
Si videi mai in alcun tanto crude, 0 de 'frogia s' ha visto incrudelir
Non punger bestie, non che membra umane, Su l'omo, ma su gnanca i anemai,
Quant'io vidi due ombre smorte e nude, Quanto do ho viiti (morti e imi vegnir, 25
Che mordendo correvan di quel modo, Che dando morsegae corca cofà
Che il porco quando del porcil si schiude. El porco co dal staolo sta in sortir.
L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo Uno andà su Capochio, ga ruoli
Del collo l'assaunò, sì che, lirando, Tra copa e colo un morsegon sì grando,
brattar gli fece '1 ventre al fondo sodo. Ch'el teren co la panza el ga gratà. 30
E l' Ardui, che rimase tremando, Me dise l' Ardin, restà tremando :
Mi disse : Quel folletto è Gianni Schicchi, Giani Scinchi xe quelo, e '1 va, rabioso
E va rabbioso altrui così conciando. Foleto, i altri cussi ben coniando.
Oh, diss'io lui, se l'altro non li ficchi E mi: Prima ch'el svigna, son vogioso
Li demi addosso, non li sia falica De saver chi xe st'altro, cossi indrio 35
A dir chi è, pria che di qui si spicchi. 1 so denti el te legna. Lu ha resposo :
Ed egli a me : Quell'è l'anima antica De l'empia Mira l'anema, ho sentio
Di Mirra scelerata, che divenne Esser quela del pare inamorada,
Al padre, funr del drillo amore, amica. Ma d'un amor da l'onestà bandio.
Questa a peccar con esso così venne, Con lu per via d'ingano s'ha cavada 40
Falsificando sè in altrui forma; La passion ; com'el Giani, che va via,
Come l'altro, che in là sen va, sostenne, Che la inegio cavala ha guadagnada
Per guadagnar la donna della torma, Imitando con fina furbaria
Falsificare in sè Buoso Donati, Buoso, e testando in modo che, inganai,
Testando, e dando al testamento norma. Tuli ha credesto ch'elo Buoso sia. 45
K poi che i duo rabbiosi lui- passati, Quando me xe scomparsi i do irabiai
Sona i quali io avea l'occhio tenuto, Sora dei quali i ochi mi gaveva,
Rivolsilo a guardar gli altri malnati. M' ho volti per vantar i altri danai.
l' vidi un fatto a guisa di liuto, Vedo un, che al liuto somegiar podeva,
Pur ch'egli avene avuta l'anguinaia Se le cosse ghe fusse a la persona 50
Tronca dal lato che l'uomo ha forculo. Tagiue solo el panzon che ghe sporzeva.
La grave idropisia, che sì dispaia La intropista, che i corpi sproporziona,
Le membra con l'umor che mal converte, Guasta i umori, e '1 viso zupegà

uctiso da Polinèstore, ond'ella per gran dolore mise altissime grida che somigliarono a latrati di tane = co —
quando
25 do = due. % ,
-Vi co/a = come.
27 Muoio = porcile. (
31 l' Arelin - lo stesso GriflblinO, di cui il canto precedente al v. 109.
32 Csan»' Schichi = dicesi essere stato de' Cavalcanti di Firenze, abilissimo nel conti-aftare le persone: l'a
nima di lui irrequieta e molesta gli meritò il titolo di folletto.
37 Mira = Mirra perdutamente innamoratasi di suo padre (.miri, venne al talamo paterno sotto altro nome
e con inganno.
40 per via — per mezo.
41 Con' «-/ Ciani ee. = lo stesso Giani Schicchi di cui la nota al v. 32. Dicono che costui rimosso dal letto
il cadavere di Buoso Donali, ed entrato in luogo di quello, e fintosi Buoso moribondo, dettò un testamento in
•inia regola a vantaggio di Simone Donati nipote del morto, pattuita prima con esso nipoti- in premio del buon
ufficio una famosa cavalla, l'onore della mandra di Buoso (Bisscai).
50 tonte = coscie.
"•-' intropiiia =- idropisia.
53 zu)injù s** succiato.
•136 DELL' INPERNO

Che '1 viso non risponde alla ventraia, Fa vegnir, e vegnir fa la panzona ; ' -
Faceva lui tener le labbra aperte, Far stava a boca averta quelo là, 55
Come l'etico fa, che per la sete Come l'etico quando ghe vien sè,
L'un verso '1 mento e l'altro in su riverì*. Che un lavro in zo e l'altro in su lo ga.
O voi, che senza alcuna pena siete 0 vualtri mo, che senza pena andè,
(E non so io perchè) nel mondo gramo, No so per cossa, per sto mondo gramo,
Diss'egli a noi, guardate e attendete Quel ne dise, vardè, consideri: 60
Alla miseria del maestro Adamo : Quala miseria sia del mestro Adamo:
Io ebbi vivo assai di quel ch'i' volli, Tulo quel che ho volesto ho avù vivendo,
E ora, lasso ! un goccioi d'acqua bramo. E adesso, o Dio ! un giozzo d'aqua bramo.
Li ruscelletti, che de' verdi colli 1 rieli, che dai coli zo vegnendo
Del Casentin discendon giuso in Arno, Del Casentin, in Arno i va in pendio K
Facendo i lor canali freddi e molli, Morbieti e freschi i so canai fazzendo,
Sempre mi stanno innanzi, e non indarno; Li ho sempre in mi stampai per dolor mio;
Che l'imagine lor via più m'asciuga, Che la memoria d'eli me smagrisse
Che '1 male ond'io nel volto mi discarno. Più del mal, che me smagra el viso. Dio;
La rigida giustizia, che mi fruga, Che con tuto el rigor qua me punisse, 70
Tragge cagion del luogo ov'io peccai, Tol motivo da là dove ho pecà,
A metter più gli miei sospiri in fuga. Aciù più forte el mio dolor sentisse.
Ivi è Romena, là dov'io falsai La monea del Batista go falsà
La lega suggellata del Batista, De Romèna al castri co l'arte mia,
Perch'io '1 corpo suso arso lasciai. E là sora perciò so sta brusà. 75
Ma s'io vedessi qui l'anima trista Ma d'ochiar Fonte-Branda lassarla,
Di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate, Pur che Lissandro mi podesse o Guido,
Per Fonte Branda non darei la vista. O l'altro so fradelo ochiar qua via.
Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiale Se a l'annue rabiose mi me lido
Ombre, che vanno intorno dicon vero : Che qua zira, uno d'eli xe qua drènto : 80
Ma che mi vai, e' ho le membra legate ? Ma cossa serve, se son mi impedido !
S'io fossi pur di tanto ancor leggiero, Se lezier fusse che podesse a stento
Ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia, Io cento ani avanzar solo un'onzeta,
Io sarei messo già per lo sentiero, Me saria de lu in cerca invii contento
Cercando lui tra questa gente sconcia, Tra la bruta zentagia maledela, 85
Con tulto ch'ella volge undici miglia, Se anca in sta vale in longo undese mia,
E men d'un mezzo di traverso non ci ha. E in largo almanco mezo se ghe mela.
Io son per lor tra sì fatta famiglia : Causa d'eli mi son tra sta genia ;
Ei m'indussero a battere i fiorini. Causa d'eli i fiorini go cugnai

56 ghe vien ti = ha sete.


61 aisstro Adamo = Bresciana, che per richiesta dei Conti di Romena, castello sui colli del Casentine, fnl-
sificò la moneta, e per questo delitto fu preso ed abbruciato nel I2SO (BitNcm).
66 canai = canali.
73 La monca del Baiala - cioè il fiorino di Firenxe, che uvea da una parte S. Gio. Bali, e dall'altra un
giglio, dal qual flore esso fiorino si nomino.
75 to *la bruta = sono 3tato abbruciato.
76 Foine Branda — questo fonte era dentro il castrilo di Romena, e sta sempre al pensiero di Adamo che
arde di sete. ,
77 Pur che Lissandro a. = i tre fratelli coati di Romena erano Alessandro, Guido e Aghinollb.
86 undese mia -. undici miglia,
CANTO XXX. 437
Cli'a vevan tre carati di mondiglia. Con tre carati in tara. Di', chi sia, 90
Ed io a lui : chi son li duo tapini, Domando a Adamo, quei do grami mai,
Che fuman come maii bagnata il verno, Che i fuma come i dèi mogi d'inverno,
Giacendo stretti a' tuoi destri confini ? E a la to drita i sta rente butai ?
Qui li trovai, e poi volta non dierno, Li go trovadi in sto canton d'inferno ;
Rispose, quando piovvi in questo greppo, D'alora, el dise, moto qua no i fa, 95
E non credo che dieno in sempiterno. E no i se movarà, credo, in eterno.
I. 'una è la falsa che accusò Giuseppo ; Una, Giusepe Ebreo ga calumà:
L'altro è il falso Sinon Greco da Troia : L'altro è '1 falso Sinon Grego da Trogia,
Per febbre acuta gittan tanto leppo. E i manda dal frevon fumo impestà :
E l'un di lor che si recò a noia Ma quel Sinon, che par ghe fazza dogia 100
Forse d'esser nomato si oscuro, In sentirse sprezzar, sul panzon duro
Col pugno gli percosse l'epa croia : Un pugno ga molà de bona vogia,
Quella sonò, come fosse un tamburo : E quel ga mandà '1 son come un tamburo.
E mastro Adamo gli percosse il volto Se refa Adamo, e col so brazzo, al muso
Col braccio suo, che non parve men duro, Ghe ne dà un altro com'el soo sicuro, 105
Dicendo a lui : Ancor che mi sia tolto Disendoghe : Siben abia el desuso
Lo muover per le membra che son gravi, De moverme per via de sta panzera,
Ilo io '1 braccio a tal mestier disciolto. Per altro el brazzo no ga perso l'uso.
Ond'ei rispose : Quando tu andavi E st'altro a lu : Pronto cussi noi gera
Al fuoco, non l'avei tu così presto ; Co i t'ha brusà, ma ti l'ha a vii più lesto 110
Ma sì e più l'avei quando coniavi. Co imparà de cugnar ti ha la maniera.
E l'idropico : Tu di' ver di questo ; E Adamo: El vero ti ga dito in questo,
Ma tu non fosti sì ver testimonio, Ma quando a Trogia i te gavea chiamà,
Là 've del ver fosti a Troia richiesto. Ti ha dito el falso, e '1 vero ti ha tasesto.
S'io dissi falso, e tu falsasti il conio, E Sinon : Se mi '1 vero, ti falsà 115
Disse Sinone, e son qui per un fallo, Ti lia '1 cugno ; qua un sol falo me tien drento,
E tu per più che alcun altro dimoido. Ti tanti, ch'el demonio no ghe n" ha.
Ricorditi, spergiuro, del cavallo, Pensa al cavalo, el sgionfo a lu, e tormento
Rispose quei ch'aveva enfiata l'epa ; Te sia ch'el mondo ha la to infamia intesa.
E sieti reo, che tutto '1 mondo sallo. E a ti, responde '1 Grego sul momento, 120
A te sia rea la sete onde ti crepa, Che le i',i/za la sè la lengua sfesa,
Disse '1 Greco, la lingua, e l'acqua marcia E '1 marzo umor smaniar, che te incocona
Che '1 ventre innanzi agli occhi si t'assiepa. Quel to panzon, che ai ochi toi fa ciesa.
90 Con tre earati in tara = il carato è la ventiquattresima parte di un oncia, e adoperasi propriamente
questa voce trattandosi di oro.
92 i iti-i — le dita --- mogi —: bagnati.
93 i sta rente butai = giacciono vicini.
97 l'uà te. = allude alla bugiarda moglie di Putifare.
98 Sinon =. Sinone Greco; colui che ingannò Priamo e lo indusse a ricevere dentro le mura di Troia il
cavallo di legno, nel quale stavano appiattali i principali guerrieri Greci.
99 frevon = febbre gagliarda.
100 ghe /azza 00gi0 - gli faccia doglia.
105 com'el too = come il suo.
107 per via = a cagione = de sta ponzerà = di questo pancione.
Ili Co imparò de cugnar ti Ha la maniera — quando imparasti il modo di coniare.
114 li ha dito el falso = Sinone affcrmò il falso quando da Priamo fu chiesto di manifestargli con verità
n quii fine i Greci avessero costrutto quel cavallo di legno e per opera di chi.
122 mcocona = qui sia per: gonfia.
123 cieia .-.. siepe.
438 DELL' INFERNO
Allora il monelier : Cosi ai squarcia Che la to boca, el cugnador ghe intona,
La bocca tua per dir mal come suole ; La te se squarta, avezza a stenguazzar : Ila
Che s' i' ho sete, ed umor mi rinfarcia, Che se ho sè, e me fa l'aqua la panzona,
Tu hai l'arsura, e il capo che ti duole; A ti la freve fa '1 zucon torziar ;
E per leccar lo specchio di Narcisso, E per licar el spechio de Narciso,
Non vorresti a invitar molte parole. No ti voressi, no, farle pregar.
Ad ascoltarli er'io del tutto fisso, Mentre li ascolto e li ochio fino in viso,
Quando '1 Maestro mi disse : Or pur mira, Me dise el Mestro: Fissa ancora mo,
Che per poco è che teco non mi risso. Se ti voi che te cria. Al garbo aviso
Quand'io 'I senti' a me parlar con ira, Vergognando da lu voltà me so,
Volsimi verso lui con tal vergogna, E tal xe stada la vergogna mia,
Ch'ancor per la memoria mi si gira. Che da la mente descazzar no so. 135
E quale è quei che suo dannaggio sogna, E come chi da un sogno portà via,
Che sognando desidera sognare, Sognando d'un so mal brama sognar,
Sì che quel ch'è, come non fosse, agogna; E quel che in fato xe, vorave el sia ;
Tal mi fec'io, non potendo parlare, Cussi anca mi per no poder parlar :
Che disiava scusarmi, e scusava Che voleva scusarme, e me scusava 14 ti
Me tuttavia, e noi mi credea fare. Tant'e tanto, nè me credea scusar.
Maggior difetto men vergogna lava, Basta, cossi el Dotor me confortava,
Disse '1 Maestro, che '1 tuo non è stato ; Pezo falo a purgar vergogna manco :
Però d'ogni tristizia ti disgrava : Perciò para pur via quel che t'agrava.
E fa ragion ch'i' ti sia sempre allato, E se per caso ancora con un branco li-1
Se più avvien che fortuna t'accoglia, Ti te trovi de zente barufante,
Dove sien genti in simigliali ti: piato; Pensa che mi son qua sempre al to fianco:
Che voler ciò udire è bassa voglia. Che xe a starli ascoltar disonorante.

125 avczza a sltnguazzar - - avvezza alla maldicenza.


126 ti = sete.
127 fa 'I zucon torziar = fa vaneggiare il testone.
128 ti spechio de Narciso =j Narciso fece a sè specchio dell'acqua, e innamoratosi dulia propria i
annegò.
131 ma -- particelin riempitiva.
132 che te cria ...• che ti sgridi -- al garbo aviso - all'aspro avvertimento.
133 me so = mi sono.
136 da «n sogno porta via = preso da un sogno.
-139

CANTO TRENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
L'empio gigante, per cui le favelle Nembrote, per el qnal xe sta el linguagio
Fnron divise, e Fialte che prove Confuso, e Fialte, che de guerizar
Fece contro agli Dei, fatto ribelh-, Contro i potenti Dii l'ha ava el coragio,
Ritrovan quivi, e Anteo, cui già di Giove Qua i vede el forte A ateo, ch'ha ardio maxzar
Lo figlio uccise, sì lo strinse allora. £1 fio de Giove co una streta nova.
Questi i Poeti giuso cala, dove Sto ziganton li cala dove star
Lucifero con Giuda fa dimora. Lucifero con Giuda in ijiazzo i trova.

Una medesma lingua pria mi morse, Quela iengua che m'ha prima crià,
Sì che mi tinse l'una e l'altra guancia, Tanto che da vergogna mi rossiva,
E poi la medicina mi riporse. La me ga dopo luto consola.
Così odo io, che solera la lancia Cussi la lanza, come a dir sentiva,
D'Achille e del suo padre esser cagione D'Achile e de so pare, la feria
Prima di trista e poi di buona mancia. La fava in prima, e po la la guariva.
Noi demmo '1 dosso al misero vallone, Da la decima bolgia andemo via
Su per la ripa che '1 cinge dintorno, Su per IH riva che ghe zira atorno,
Attraversando senza alcun sermone. Senza gnanca au ir boca, in compagnia.
Quivi era men che notte e men che giorno, No gera là ben note nè ben zorno, 10
Si che '1 viso m'andava innanzi poco : Perciò la vista poco .se sìongava :
Ma io senti' sonare un alto corno, Ma '1 forte son mi go sentio d'un corno,
Tanto ch'avrebbe ogni tuon fatto lineo, Ch'el ton, per grando el fusse, superava ;
Che, contra sè la sua via seguitando, E a quela parte l'orino mio drizzando
Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco. Da la qual el vegniva, lo incontrava. 15
Dopo la dolorosa rotta, quando No cussi forte andava via sonando
Carlo Magno perdè la santa gesta, Dopo el sterminio ae la santa guera,
Non sonò sì terrìbilmente Orlando. Che ha perso Carlo Magno, quel d'Orlando.
Poco portai in là volta la testa, Là co la testa un fià voltà me gera,
Che mi parve veder molte alte torri ; E m'ha parso scovrir tanti i orioni: ao
Ond'io : Maestro, di', che terra è questa ? Cossa xe digo al Mestro, quela tera?
Ed egli a me : Però che tu trascorri E lu : Da lonzj veder no xe boni
Per le tenebre troppo dalla lungi, I ochi toi tra sto scuro chiaramente ;
Avvien che poi nel maginare aborri. E per questo ti chiapi dei maroni.
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, Ma ti vederà quanto, andando arente, 25
Quanto il senso s'inganna di lontano : I. "ochio s'ingana a la lontana via :
Però alquanto più te stesso pungi. Sbrighile donca ; e dopo afabilmente

1 cria - - sgridato.
4-6 Cani la lanza tr. = fu detto dai poeti elic la lanciu di Achille, elie prima fu di Peleo suo padre,
avesse virtù di sanare le ferite elic prima faceva.
17 dopo el stermmio = la rotta di Roncisvaltr, dove per tradimenio di Ciano furono trucidati trentamila
uomini ivi lasciati da Carloraagno (l'.iix.'m).
18 gutl efOrlandn = narra Turpino che il suono del corno d'Orlando in quella occasione fu udito da Carlo-
magno alla distanza di otto miglia.
12 un pà = un pochino.
24 (i chiapi dei maroni -- lu prendi abbaglio.
440 DELL'IIVPEBIVO
Poi caramente mi prese per mano, Co la so man chiapandome la mia,
E disse: Pria che noi siam più avanti, Me dise: Prima che più andemo avanti,
Acciocchè '1 fatto men li paia strano, Ació manco a ti stranio el fato sia, 30
Sappi che non son torri, ma giganti, Sapi che, no torioni, ma ziganti
E son nel pozzo intorno dalla ripa Xe in lei pozzo internai, fora restando
Dali'umbilico in giuso tutti quanti. Dal bonigolo in suso tuti quanti.
Come, quando la nebbia si dissipa, Come quando el caligo va sfantando,
Lo sguardo a poco a poco rafligura A poco a poco l'ochio rafigura 35
Ciò che cela '1 vapor che l'aere stipa ; Quel che sconde el vapor; cussi sbusando
Cosi, forando l'unni grossa e scura, La mia vista quel'aria fissa e scura,
Più e più appressando in ver la sponda, Sempre più vicinandome a la sponda,
Fuggèmi errore, e giugnèmi paura. Spariva ingano e me vegnia paura.
Perocchè come in su la cerchia tonda Che, come a Montregion su la rotonda, W
Montereggion di torri si corona ; Fa tante tore a quel castel corona ;
Così la proda, che '1 pozzo circonda, Cussi del pozzo da la vera londa
Torreggiavan di mezza la persona Su dal inivo impenava la persona
fili orribili giganti, cui minaccia Dei feroci ziganti, minazzai
Giove dal cielo ancora, quando tuona. Ancora in ciel da Giove 'quando el tona. 45
Ed io scorgeva già d'alcun la faccia, Mi za d'uno de quei gaveva ochiai
Le spalle e il petto, e del ventre gran parte. E viso, e spale, e pelo, e panza in parte,
E per le coste giù ambo le braccia. E i brazzi per le coste zo calai.
Natura certo, quando lasciò l'arte Natura ha pensà ben de scordar l'arte
Di sì fatti animali, assai fe bene, Per far sii mostri sora tuli quanti 60
Per tor colali esecutori a Marte. Fieri ministri del gueriero Marte.
E s'ella d'elefanti e di balene E se de far balene e lìonfanti
Non si pente, chi guarda sottilmente, No la xe stufa, chi ghe vede drento,
Più giusta e più discrela la ne liene ; Giudiziosa la stima e ghe fa vanti;
Che dove l'argomento della mente Perchè se a l'anemal l'intendimento 55
S'aggiugne al mal volere ed alla possa, Sia co la forza, e l'orida intenzion,
Nessun riparo vi può far la gente. La difesa de l'omo è trata al vento.
La faccia sua mi parea lunga e grossa, Me parea longo e grosso el so teston,
Come la pina di San Pietro a Roma ; Come la pigna de San Piero a Roma,
E a sua proporzion eran l'altr'ossa.» E gera tuto el resto in proporzion. 6*
Sì che la ripa, ch'era perizoma L'orlo del pozzo lo covriva noma
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto Dal mezo in zo, e tanto lo scovila
Di sopra, che di giugnere alla chioma Dal in su, che un su l'altro la so chioma
Tre Frison s'averian dato mal vanto ; Tre Frisoni tocar no arivaria ;
33 bonigolo = ombelico.
34 sfamando - dileguando.
37 l'aria fiata ..- densa.
40 Montregion -.-. Monteroggione, castello de' Sanesi, è cinto Intorno di torri che gli fan corona.
42 da la vera --- dall'anello (del pozzo).
43 impenava la persona - - tenevano ritta la persona.
59 la pigna de San Piero = la gran pina di bromo che una volta era posta sopra la mole Adriann "
Roma, e che oggi è nella sala dell'Apside di Bramante.
01 noma = soltanto.
64 Tre Frisoni —. Frisoni, popoli della Germania Settentrionale, i quali sogliono essere di altissima sia'""
che l'uno all'altro sovrapposti non avrebbero potuto giungere alla chioma del gigante.
CANTO XXXI. '
Perocch'io ne vedea trenta gran palmi Che più de trenta pie n'ho visti mi 65
Dal luogo in giù, dov'uom s'affibbia il manto. Dal colo in zo, e che de più no i sia.
lì" fi/ mai amèch tabi almi, Rafel mai amèch sali almi,
Cominciò a gridar la fiera bocca, Quel zigantazzo ha scomenzà in sto ton,
Cui non si convenien più dolci salmi. Che parlar noi poi megio de cossi.
E '1 Duca mio ver lui: Anima sciocca, El mio Dolor a lu : Sioco bricon, 70
Tienti col corno, e con quel ti disfoga, Sona ei corno, e con quel la rabia fissa
Quand'ira o altra passion ti tocca. Sfoga co la te chiapa, o altra passion.
Cercati al collo e troverai la soga Cerca el cordon, che dal to colo sbrissa,
Che '1 tien legato, o anima confusa, Al qual el xe tacà, lesiona sbusa;
E vedi lui che '1 gran petto ti doga. Varda che sul gran stomego el te strissa. 75
Poi disse a me : Egli stesso s'accusa ; Po a mi: Quel xe Nembrote, ch'el se acusa
Questi è Nembrotto, per lo cui mal colo I. n istesso, e per aver mal calcolà,
Pur un linguaggio nel mundo non s'usa. . Un sol linguagio al mondo più no i usa.
Lasciamlo stare, e non parliamo a voto : Ma impiantemolo, e no butemo el fià,
Ohe cosi è a lui ciascun linguaggio, Che "I linguagio de lu mai capiremo, 80
Come il suo ad altrui, ch'a nullo e noto. Com'elo quel dei altri gnanca un fià.
Facemmo adunque più lungo viaggio Più longo viazo a zanca fato avemo ;
Volti a sinistra; ed al trar d'un balestro E al tiro d'una frezza a nu presente
Trovammo l'altro assai più fiero e maggio. Più grando e lino un ziganton vedeme.
A cinger lui, qual che fosse il maestro, Chi lo gabia ligà mi no so gnente : 85
Non so io dir, ma ei tenca succinto Ma ligà per davanti el zanco gera,
Dinanzi l'altro e dietro il braccio destro. E da drio el brazzo drilo istessamente
D'una catena che '1 teneva avvinto ilo una caena, che lo strenze e sera
Dal collo in giù, sì che 'n su lo scoperto Quanto el dà in fora dal gran colo in zo
Si ravvolgeva infino al giro quinto. Per cinque ziri la figura intiera. 90
Questo superbo voll'essere sperto Ha cimentà sto buio el brazzo so,
Di sua potenza contra '1 sommo Giove, El Mestro a mi, contro el potente Giove,
Disse il mio Duca, ond'egli ha cotai merlo. Per questo i brazzi el ga ligai qua zo ;
Fialte ha nome; e fece le gran prove, Fialte el ga nome, e contro i Dii le prove
Quando i giganti fer paura ai Dei : , L'ha fato ne la guera dei ziganti; 95
Le braccia ch'ei menò, giammai non muove. Perciò le man ch'el ga menà noi move.
Ed io a lui : S'esser PUMI e. i' vorrei El gran colosso Briareo Ira tanti,

67 Raphtl mai te. — Le parole messe in bocca a Ncmbrot pretendono taluni siano provenienti dall'idioma
Arabo, ed altri dal Siriaco, dando a queste quell'intcrprelazionc che meglio loro pince; ma è più probabile l'o-
ì iMnm:' di olii crede che questo verso sia un miscuglio di parole senza significato lolle da diversi dialetti orieniali,
e stia per rappresentare la confusione delle lingue avvenuta presso lu torre 'elevala da quel superbo (Bis.icio).
71 la rabia fissa = la rabbia veemente.
72 Co la le chiapa — quando la li piglia.
73-74 Cerca el curdon = Ncmbrol, secondo le Sacre corte, avendo voluto innalzare una torre fino al cielo,
m pena di sua follia ebbe confusa la mente, elic dimenticò il proprio lingaggio. Virgilio suppone che per sme
morataggine non sappia ove sia il curno, che pur testò egli sonava = el cordon =: la coreggia = lesiona niuta
h -i-i vuota, senza crilcrio.
75 ii, un ttomego = gran stomaco, gran petto.
76-77 r/i'.7 ne acuta lu inciso — si da a conoscere egli medesimo con quel suo strano e confuso linguaggio.
79 impiantemolu — lasciamolo, abbandoniamolo = no infemo el fià = nou getlmmo il flato.
81 i1nn.,,,, un fià = nemmeno una briccioln.
91 i-i brazzo so = il braccio suo.
94-87 Fialte, Briareo — due gig.iuli elic più degli altri si mostrarono audaci nella guerra contro Giove.
U2 DELL'
Che dello smisurato Brlareo Se se poi, a lu digo, propriamente
Esperienza avesser gli occhi miei. Vogia avaria de vederne davanti.
Ond'ei rispose: Tu vedrai Anteo Ti vederà, el responde, qua darente 100
Presso di qui, che parla, ed è disciolto, Anteo, ch'el parla e ga del moto l'uso;
Che ne porrà nel fondo d'ogni reo. Lu in fondo de l'Inferno bravamente
Quel che tu vuoi veder, più là è molto, Ne porterà, Briareo xe assae più in suso,
Ed e legato e fatto come questo, Ligà come costù e grando e grosso;
Salvo che più feroce par nel volto. Solo d'esser più nero el mostra al muso. 105
Non fu tremoto già tanto rubesto, Dal taramoto con tal forza smosso
Che ncotesse una torre così forte, Xe sta nissun torion, com'el fracasso
Come Jialte a scotersi fu presto. Che ha fato Fialle, ch'el s' ha in bota mosso
Allm temetti più che mai la morte; In sentir questo. Allora ho visto a un passo
E non v'era mestier più che la dotta, La morte, e saria morto da paura, 110
S'i' non avessi viste le ritorte. Se noi vedea ligà dall'alto al bano.
Noi procedemmo piò avanti allotta, Anteo più in su trovemo là a dritura,
E venimmo ad AH leu. che ben cinqu'alle, Che anca senza la testa fora el gera
Senza la testa, uscia fuor della grotta. Dal pozzo trenta pie co la figura.
O tu che nella fortunata valle, O ti, che ti ha chiapà l'ioni a miera 115
Che fece Scipion di gloria reda, Là in vale, zogo de la sorte stada,
Quando Annibal co' suoi diede le spalle, Dove batudo Anibale a la guera,
Recasti già mille lion per preda ; Sipion ga fato dar la reculada ;
E che se fossi stato all'alta guerra E se dei to fradci sta in compagnia
De' tuoi fratelli, ancor par chV si creda, Ti fussi contro la celeste armada, 120
Ch'avrebber vinto i figli della terra; Aver vinto i ziganti se dirla ;
Mettine giuso (e non ten venga schifo) Caline de Cocito a la giazzera;
Dove Coelto la freddura serra. Sii bon, e non voler che da nu sia
Non ci far ire a Tizio, nò a Tifo: A Tifeo fata o a Tizio sta preghiera.
Questi può dar di quel che qui si brama : Questo poi recordarte là de sora. 125
Però ti china, e non torcer lo grifo. Sbassile, via, no far la bruta ciera ;
Ancor ti può nel mondo render fama ; Lu poi metei te in fama al mondo ancora,
Ch'ei vive, e lunga vita ancora aspetta, Che '1 vive, e '1 viverà per longo andar,
Se innanzi tempo grazia a sè noi chiama. Se el cielo no lo chiama avanti l'ora.
Così disse il Maestro ; e quegli in fretta Cussi '1 Mestro ; e la man, che ben strucar 130
Le man distese, e prese il Duca mio, Ercole ga sentio, presto ha chiapà
Ond' Ercole sentì già grande stretta. La Guida mia, che nel sentirse alzar,
Virgilio, quando prender si senlio, Me vicn disendo: Tirite più in qua,
Disse a me: Fatti 'n qua, sì ch'io ti prenda: Che te possa tor su ; e un sol balon
Poi fece sì, che un fascio cr'egli ed io. Parevimo lu e mi co '1 m' ha brazzà. 135

104 rondi = cioè Fialle di cui i v. 84-04.


103 i» bùia - - subito. (UT gelosia di sentir altri più feroci di lui, e per musicare la sua forza benchè Ivgato.
116 Là sa vale - La valle per la quale scorre il fiume Bagraua, i', 1 ove Scipionc vinse Annibale, da cai
gliene venin. hi dennminazione di Africano. Lucano finge elio il luogo ove Scipiono vinse Annibalc sia siato un
tempo il regno di Anteo. E lo stesso Lucano dice ehe Anteo fu un bravo cacciatore di Leoni = .-".•;" ctt la sorti
studa - fa soggetia dirli, i valle) alle vicende della sorte.
124 Tifan, Tizio = nomi di altri due giganti.
130-131 In man the. ben struear ee. = quella mano dtUlu quale Ercole senti la stretta.
);'! e un ìol buton --. e insieme aggruppati in un sol fascio.
CANTO XXXII. 443
Qual pare a riguardar la Carisenda Come, se su ghe passa un nuvolon
Sotto il chinato, quando un nuvol vada Contro el so pender, Carisenda ochiada
Sovr'essa sì, ch'ella in contrario penda; De solo, par la fazza un lombolon ;
Tal parve Anteo a me che stava a bada Talqual Anteo m' ha l'impression lassada
Di vederlo chinare, e fu tal'ora In vederlo a curvarse, e xe sta quando 1 40
Ch'i' avrei voluto ir per altra strada. Avria voleste andar per altra strada.
Ma lievemente al fondo, che divora Ma adasio in fondo, dove sta penando
Lucifero con Giuda, ci posò ; Con Lucifero Giuda, el n' ha puzà ;
Nè sì chinato lì fece dimora, E là più cussi curvo no restando,
E com'albero in nave si lerò. Come albero de nave s'ha drizzà. 145

137 Caritenda = torre di Bologna, così chiamata dal nome di chi la fece innalzare e elic oggi è delta la
torre mozza. Essa è molto pendente, e lercio può sembrare a chi sta sotto di quella, guardando in allo quan
do passa alcuna nube in direzione contraria alla sua inelinazione, che, non la nnbe, ma la torre stessa si muova
e deelini. ,
138 par la fazza un lombolon = pare che precipiti.

CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Un lago tutto quivi natro s'agghiaccia. In un lago de giaxzo qua danai


Dove dal freddo i traditor trafitti Xe i traditori, duve fiti birbanti
Lividi e mesti in giù volgou la faccia. I tion dal fredo i visi in zo voltai
Il Bocca traditor fra quei confitti Sta zitto Bocca, un traditor tra tanti :
Nel gelo tace, onde a capelli il prenda Per i cavei, acciò eh' el parla, Danto
Dante, e lo scrolla, ed un degli altri afflitti Lo remona, e lo scovre un tra i penanti.
Lai manifesta, e Dante lo riprende. E 'I Poeta strapazza quel Birbante.

S'io avessi le rime e aspre e chiocce, Se rime avesse garbe e indemoniae.


Come si converrebbe al tristo buco, Come ben le starla al bruto fosso,
Sovra'l qual pontan tutte l'altre rocce, Dove tute le rive xe puzae ;
T premerei di mio concetto il suco Strucarle mi vorave a più no posso,
Più pienamente ; ma perch' io non l'abbo, Per dir quelo che xe; ma no le go;
Non senza tema a dicer mi conduco. Donca pien de timor averzo ci gosso.
Che non è impresa da pigliare a gabbo, Che a menadco no se depenze, no,
Descriver fondo a tutto l'universo E1 fondo, che fa centro a l'universo,
Nè da lingua che chiami mamma e babbo. Nè col linguagio del putin. Perciò
Ma quelle Donne aiutino il mio verso, Ourli! siore el so fià daga al mio verso, IO
Ch'aiutare Anflonc a chiuder Tebs, Che a murar Tcbe Anfiòn le ga agiutae,
I garbe = aspre.
i itnnarie = spremerle.
7 a menaiici] = facilmente, cosi di leggicii.
9 Nè col linguagio del putin = La lingua iloliana al tempo di Dante poleva dirsi ancora Kimliin.i, e fu lo
stesso Dante che lo crebbe a quella grandezza e nobiltà che vediamo nel suo poema.
10 Qutlc niore^ = allude alle Muse, dalle quali invoca l'ispirazione = el so fià =. il loro fiato.
II Anfion — L favola che Antione figlio di Giove e di Antiope al suono della lila facesse discendere i sassi
ual monte Citerone, e che quelli da loro stessi si unissero a fonnare le mura di Tebe.
144 DELL' lSFERiXO
Sì che dal fatto il dir non sia diverso. Cussi, che no sia al fato el dir diverso.
Oh sovra tutte mal creata plebe, 0 zente più de tute desgraziae,
Che stai nel loco, onde parlare è duro, Che ave '1 martirio che no gh'è'l più duro,
Me' foste state qui pecore o zebe! Almanco cavre fussi al mondo stae ! 15
Come noi fummo giù nel pozzo scuro Apena semo de quel pozzo scuro
Sotto i piè del gigante, assai più bassi, Assai: più in zo dei pie d'Anteo rivai,
Ed io mirava ancora .1 ir alto muro, E mi ancora vardava l'alto muro,
Dicere udi' mi : Guarda, come passi ; Oe, varda a basso, dove vastu mai !
Fa sì, che tu non calchi con le piante No sta a pestar, sento un che me diseta, 20
Le teste de'fratei miseri lassi. Le teste dei fradeli tormentai.
Perch'io mi volsi, e vidimi davante Mo son voltà, e avanti a mi vedeva
K sotto i piedi un lago, che per gielo E soto i pie, un gran lago, che dal giazvo,
Avea di vetro e non d'acqua sembiante. No d'aqua, de cristal proprio el pareva.
Non fece al corso suo si grosso velo l>" inverno in Austria el fredo tanto impazzo 25
Di verno la Danoia in Austericch, Al corso del Danubio mai ga dà,
Nè'l Tanni là sotto '1 freddo cielo, Nè al Tana ci crudo ciel tanto imbavavoi,
Com' era quivi : che se Tabernicch Quanto qua : e se ghe fusse su cascà
Vi fosse su caduto, o Pietrapana, El monte Tabernik o Pierapana,
Non avria pur dall'orlo fatto criceti. tinane.i i orli avarave sericolà. 30
E come a gracidar si sta la rana E come per criar mete la rana
Col muso fuor dell' acqua, quando sogna Fora el muso da l'aqua, co se insogna
Di spigolar sovente la villana; Spesso andar spigolando la vilana ;
Livide insin là dove appar vergogna Roani sin dove i mostra la vergogna
Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, Gera in giazzo i danai, e là i sbatea 35
Mettendo i denti in nota di cicogna. 1 denti, tumVl bèco la cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la faccia : Tuti quanti eli ci viso in zo i gavea:
Da bocca il freddo, e dagli occhi'1 cor tristo Mostrava i denti el fredo; e quanto mai
Tra lor testimonianza si procaccia. l ochi disea el dolor che li struzea.
Quand' io ebbi il" intorno alquanto visto, Dopo aver vardà atorno, go sbassai W
Volsimi a' piedi, e vidi due sì stretti, l ochi ai inii pie, e ho visto, proprio lì,
Che'l pel del capo avieno insieme misto. Do peto a peto coi cavei tacai.
Ditemi voi, che si stringete i petti, Chi seo, che cossi streti ve legni ?
Diss' io, chi sete. E quei piegaro i colli ; Digo. Colo e barbuzzo eli ha piegà,
E poi ch' ebber li visi a me erf.tli, E quando i visi i ga voltà da mi, *5
Gli occhi lor, ch' eran pria pur dentro molli, 1 ochi mogi sol drento, i ga sgiozzà
Gocciar su per le labbra, e '1 gelo strinse Lagreme ai ori, e queste po giazzando
Le lagrime tra essi, e riserrolli: Da novo li ha serai. Spranga mai va

15 .lImanco cafre (tasi al tannilo stae . almeno foste stnle capre al mondo.
17 rifai rr giunti.
27 Tnnn - il Tana o il Don, gran fiume clic negli amichi tempi divideva l'Europa dall'Asia.
29 Tubernik o /Vera/lana = il primo e un montu altissimo nella Schiuvonia. Pietrapana o Pietra Apuana.
altro monte ultissimo nella Carfugnana.
30 sericolà = scricchiolalo.
31 È came per criar = e come, per gracidare.
34 /(.l„„, — di colorito nero-rossigno, come diviene la pelle a cagione del massimo freddo.
•12 Do = due.
•16.47 moyi sol ilrcuto — soltanto bagnati internamente. — ai ori = alle orlature degli occhi, cioè palpebre.
CAUTO xxxii. 145
Legno con legno spranga mai non ciate Legno e legno cussi forte strucando,
Forte così; ond'ci, come duo becchi, Come quelc do aneme irabiae, 50
Cozzaro insieme : tant' ira li vinse. Cofà insieme do bèchi se va urtando.
Ed un, ch'avea perduti ambo gli orecchi E un altro, che le rechie ga magnae
Per la freddura, pur col viso in giue Dal giazzo. dise a mi col viso in zo :
Disse: Perchè cotanto in noi ti specchi? Perchè su nu ti moli quele ochiae?
Se vuoi saper chi son cotesti due, Se ti voi, te dirò chi xe sti do ; 55
La valle, onde Bisenzio si dichina, De lori e de so pare Alberto gera
Del padre loro Alberto e di lor fue. La vale per la qual Bisenzio zo
D'un corpo usciro : e tutta la Caina S'invia. l ha avù la mare istessa: intiera
Potrai cercare, e non troverai ombra La Caina pur zira, e nissun più
Degna più d'esser litta in gelatina : Degno ti troverà de la giazzera. 60
Vii quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra Nè quelo, al qual el colpo ha molà Artù,
Con• esso un colpo, per la man d'Arto. : Peto e ombra sbusaudoghe in t'un hà:
Non Focaccia: non questi che m'ingombra Nè Focacia; e po gnanca qua costù,
Col capo sì, ch'i' non veggio oltre più, Che col teston me tol d'ochiar più in là ;
E fu nomato Sassol Mascheroni: L' ha avudo nome Sassol Mascheroni ; 65
Se Tosco se', ben sa' omai chi fu. Se ti è toscan, eh' il xe ti savarà :
E perchè non mi metti in più sermoni, Ma aciò strussiar no m'abia più i polmoni,
Sappi ch' i' fui il Camicion de' Pazzi, Sapi, che Camicion son mi dei Pazzi:
Ed aspetto Carlin che mi scagioni. Speto Carlin, ch'el scusa i mii maroni :
Poscia vi,i ' io mille visi cagnazzi Po a miera ho visti là visi paonazzi 70
Fatti per freddo: onde mi vien ribrezzo, Dal fredo deventai, che intirizzir
E verrà sempre, de' gelati guazzi. Me fa sempre in pensarghe i stagni giazzi.
E mentre oh' andavamo in ver lo mezzo, E mentre al centro in zo, dove a unir
Al quale ogni gravezza si rauna, Tende i corpi s' inviemo, e mi sbasìo

51 Co/a = come.
54 ti moli guelt ochiae — hi getti quelle occhiale.
57 la vals ec. — questa valle e fonnata de' contrafforti clic nella direzione ila Settentrione ai1 Ostro scen
dono dall'Apennino ili ilontepiano e di Vcrnio, le quali branche prolungandosi a destra per Monte Giavello fino
a Monte Murlo, a sinistra per Monte Cuccioli e ln Calvana, prendono in mezzo la pianura e la citta di Prato;
' |>er questo tratto appunto corre Bisenzio.
58 / ha ami la mare intesfa : sono i due fratelli Alessandro e Napoleone, conti di Mangona, che morto
il padre loro Alberto degli Alberti nobile fiorentino, si diedero a tiranneggiare le terre intorno, e finalmente ve-
nnli tra loro in discordia per ragione dello eredita pnternu, l'uno ammazzò l'ultro a tradimento.
59 La Caina _ da Caino nccisore del fratello: son qui puniti i fratricidi e i traditori del proprio sangue.
61 Nè quelo ec. = Montrcc, il quale essendosi posto in augnato per nccidere il proprio padre Artù re
della gran Bretagna, fu da lui veduto, e poscia trapassato con una lancia a modo che, secondo che narrasi
nelle storie cavalieresche, per mezzo la ferita passò un raggio ili Sole così manifestamente, che Girlkt lo vide.
Perciò vien detto dal pocta: •• o cm" fu rotto il Iiclla e l'ombra»; cioè fu rotta dal raggio del Sole quell'ombra
dic il petto faceva sopra il suolo.
62 in t'un fia = in un attimo.
63 Focacia — Focaccia de' Cancellieri, nobile Pistojese, il qualt mozzò una mano ad un suo cubino, ed in..
tue un suo zio.
65 Sassol mascheroni fiorentino: questi essendo tutore di un suo nipote, per rimanere erede l'uccise; onde
a lui fa tagliata la testa in Firenze.
67 serustiar = affaticare.
68 Camicion son mi dei Pazzi = Messcr Alberto Camicionc de' Pazzi di Val d'Arno, il quale a tradimento
uccìse Stesser tibertino suo parente.
69 Carlin = Messer Carlino de' Pazzi, di parte Bianca, diede per danaro a tradimento il castello di Piano
ui Trevigne in mano dei Neri di Fircnze, ondo molti furono morti o presi dei migliori usciti di Firenze =
i ''i' senta i mii maroni = cioè, che co' suoi più gravi peccati faccia apparire pili leggicei i miei.
74 = sbatio .--- questa voce che in altro senso vale per morto, qui e presa per, languente , assiderato.
10
146 DELI/ INFERIVO
Ed io tremava nell' eterno rezzo ; Gera in quel giazzo eterno ; no io dir 75
Se voler fu, o destino, o fortuna, Se destili, caso, o pur voler de Dio :
Non so : ma passeggiando tra le teste, • Ma in mezo a quele teste andando via,
Forte percossi il pie nel viso ad una. Una ghe n'ho zapada col pie mio.
Piangendo mi sgridò: Perche mi peste? Perchè ti m'ha pestà, pianzendo el cria;
Se tu non vieni a crescer la vendetta De Montaperti a cresser la vendeta 80
Di Moni' Aperti, perchè mi moleste ? Se no ti vicn, perchè la testa mia
Ed io : Maestro mio, or qui m' aspetta, Ti maltrati? E mi al Mestro digo; Aspeta
Sì ch' i' esca d'un dubbio per costui : Che un mio dubio in costù vegna schiarando,
Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta. E po dame pur pressa, o mio Poeta.
Lo Duca stette ; ed io dissi a colui Co '1 s' ha fermà, mi digo a chi infuriando 85
Che bestemmiava duramente ancora: Nove bestemie gomitava fora :
Qual se' tu che così rampogni altrui ? Chi xestu, che a la zente va criando ?
Or tu chi se', che vai per l'Antenora Dise elo : E chi estu ti, che a l'Antenora
Percotendo, rispose, altrui le gote Ti vien cussi a pestarne, che saria
Si, che se foni vivo, troppo fora? Massa el peso se ti vivessi ancora ? 90
Vivo son io, e caro esser ti puote, Son vivo, ghe respondo, e poderia,
Fu mia risposta, se domandi fama, Per la to fama sta ocasion giovar,
Oh' io metta '1 nome tuo tra l'altre note. Perchè tra le mie note scriverla
Ed egli a me : Del contrario ho io brama : Anca el to nome. No, no me notar,
Levati quinci e non mi dar più lagna; Lu a mi, che per sedur qua sto to zelo 95
Che mal sai lusingar per questa lama. El fa fiasco ; va via, no me secar.
Aliiii- lo presi per la cuticagna, Per el copin mi chiapo alora quelo,
E dissi: E' converrà che tu ti nomi, E digo : E sì ti ga da dirme come
O che capei qui su non ti rimagna. Ti te chiami, o no resta a ti un cavelo.
Onii" egli a me : Perchè tu mi dischiomi, Strapime, el me responde, pur le chiome, 100
Nè ti dirò chi io sia, nè mostrerolti, E anca ti me pestassi un mier de volte,
Se mille liate in sul capo mi tomi. Nè'l viso mostro, nè te digo el nome.
Io avea già i capelli in mano avvolti, Za avea le chiome tra le man involte,
E tratti glien avea più d'una ciocca, E strapada gavea più d' una chioca,
Latrando lui con gli occhi in giù raccolti ; Lu urlando co le cegie in 20 revolte; 105
Quando un altro gridò: Che hai tu, Bocca? Quando un altro ha cigà : Coss'astu Uoca ?
Non ti basta sonar con le mascelle, No te basta sonar dal fredo el dente
Se tu non latri? qual diavol ti tocca? Senza bagiar ? qual diavolo te schioca ?
Omai, diss' io, non vo' che tu favelle, Tasi, ghe digo adesso al prepotente,
Malvagio traditor, ch' alla tua onta Birbante, traditor, che per to scorno HO
Io porterò di te vere novelle. Portarò le to nove a l'altra zente.

78 zupada = calcala.
79 Perchè ti m' ha pestà .- . costui che qui parla è Bocca degli Aboti, fiorentino, di parte Guelfa, per tra
dimento del quale fimmo trucidati presso Moulaperli quattromila Guelfi = ti cria = ci sgrida.
84 pressa = premura.
87 criando = sgridando.
88 Ammara = cosi è chiamato lo spartimento ove si puniscono i traditori della patria, la quale «IciK-
miuazione proviene dal Troiano Antenore, che secondo qualche antico storico vendè Troja ai Greci.
90 Massa = troppo.
101 nn Mia- de volle = mille volte.
105 co le cegie. - eoa le ciglia-
CAP(TO XXXII. i 47
Va via, risptw, e ciò che tu vuoi, conta; Va, di' pur su, che no m' importa un corno,
Ma non tacer, se tu di qua entr' eschi, Me responde, ma se da sto logazzo
Di quel ch'ebbe or cosi la lingua pronta. Ti sorti, di' de chi ha sonà mo'l corno;
Ki piange qui l'argento de' Franceschi: De Franza i bezzi, pianze qua el furbazzo. 115
l'vidi, potrai dir, quel da Duera Go visto, ti poi dir, quelo da Duera,
Là dove i peccatori stanno freschi. In dove pena i pecatori in giazzo.
Se fossi dimandato altri chi v' era, Se i te domanda chi altri qua ghe gera,
Tu hai da lato quel di Beccheria, Ti ga al to fianco quel de Becheria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera. Che ha sentia de Firenze la manera. 120
Gianni del Soldanier credo che sia Giani del Soldanier, credo che sia,
Più lì con Ganellone e Tribaldello, E Ganelòn con Tribaldel più in là,
Ch'aprì Faenza quando si dormia. Che de note Faenza l'averzia.
Noi eravam partiti già da elio, Apena avemo quel bricon lassà ,
Ch'i' vidi duo ghiacciati in una buca, Go visto in t'una busa do giazzai, 125
Si che l'un capo ali' altro era cappello : Col cragno un sora l'altro in zo fracà.
E come '1 pan per fame si manduca, E come el pan i magna i afamai,
Cosl'l sovran li denti all'altro pose Quel sora a l'altro i denti ghe ficava
Là Vi cervel s'aggiunge colla nuca. Tra'l zucoto e '1 cervel -drente che mai.
Non altrimenti Tideo ti rote Talqual de Menalipo rosegava 130
Le tempie a Menalippo per disdegno, Tideo el cragno co la rabia in cuor,
Che quei faceva '1 teschio e l'altre cose. Com 'el (lanà su quela testa fava.
O tu che mostri per sì bestiai segno Ti che al tanto bestiai ato de oror
Odio sovra colui che tu ti mangi, 'l'i mostri odiar chi ti xe drio magnar,
Dimmi '1 perchè, diss'io, per tal convegno. La causa, digo, di' del to fm-or, 135
Che se tu a ragion di lui ti piangi, E se giusta rason de lu lagnar
Sappimi Jo chi voi siete, e la sua pecca, Te fa, chi sie se ti dirà e '1 so torto,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi, Te savarò là su contracambiar,
Se quella con ch'io parlo non si secca. Se parlar posso avanti d'esser morto.

114 de ehi ha tona mo'l corno -= detto metaforicamente, e vale: di colui che mi ha or ora palesata n«
•o = qui sta per or ora.
115 De Franza i bezzi - quegli di cui parla Bocca, è Buoso da Duera Cremonese, il quale per danaro
offertogli dal conte Guido di Monteforte condottiero dell'esercito di Francia, non gli contese il passo nella Pu
glia, come era obbligato di fare, essendo stato posto dai Ghibellini e da Manfredi nei luoghi verso Parma, ap
punto per ostare a Carlo d'Angiò. — furbazzo = furfante.
119 ii uri de Becheria = questo fu di I'.i vi,i, conosciuto sotto il nome di Don Tesauro di Beccheria Abate
ai Vallombrosa, al quale fu tagliata la testa per essersi scoperto certo trattato ch'egli fece contro i iinelli in
favore dei Ghibellini in Firenze, ove fu mandato legato per Papa Alessandro IV.
121 Ciani de Soldanirr =- di parte Ghibellina: volendo i Ghibellini torre il governo di mano ai Guelfi, oi
li tradì; s'accostò ad essi Guelfi, e fecesi principe del nuovo governo.
122 Ganelòn - questi è quel Gono traditore di Carlo Magno, di cui tanto dice l'Ariosto, e pel cui tradi
mento furono tagliati a pezzi (lai Mori di Roncisvallc trentamila Cristiani — Tribaldel = Tribaldello de' Man
fredi era cittadino di Faenza, la qual citta tencasi per il conte Guido da Montefcltro. Costui per tradimento ne
aperse di notte una porta a Giovanni de Apia Francese, che da Papa Martino IV era stalo nominato conte di
nomagna.
130-131 Tideo figlio di Èneo re di Calidonia, e Menalippo tebano, combatterono insieme presso Tebe, e re
starono insieme mortalmente feriti. Tideo sopravvivendo al suo nemico fecesi recare la testa di lui, e per rabbia
U Ii rose.
148 DELL IM'ERXQ

CANTO TRENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ^ ARGOMENTO
Dell' inimico teschio empia pastura ,'-. ,' DIÌ Ruger, Arcivescovo, rodendo
Conte Ugolino giù fa nella ghiaccia ; { * ' Sta in tei giazzo Ugolin, el cragno odia,
E narra il modo tli sua morte dura. E la crudel so morte vien disendo.
Poi ver la Tolommna lo pie s'avaccia Verso la Tolomea po insieme va
De' due Poeti, e nella fredda costa I do Poeti, e da le giazze ondo
Frate Alberigo a favellar s'affaccia, Da su frate Alberigo; questo fa
Che Dante prega, e nulla n' ha risposta. Un prego a Dante, el qual no ghe responde.

La bocca sollevò dal fiero pasto Ga alza la boca quel danà in (riazzera,
Quel peccator, forbendola a' capelli Forbindola a la chioma de la testa,
Del capo ch' egli avea di retro guasto. Ch' el divora da drio comè una fiera.
Poi cominciò: Tu vuoi ch'io rinnovelli Po '1 scomenza : Ti voi che la tempesta
Disperato dolor che'l cor mi preme, Me svegia in sen, che prima de parlar
Giù pur pensando, pria ch' i' ne favelli. Solo el pensier me rode el cuor, lo impesta!
Ma se le mie parole esser, den seme, Ma al traditor cha stago a rosegar,
i Che frutti infamia al traditor ch' i' rodo, Se darà infamia quelo che dirò,
Parlare e lagrimar vedrai insieme. Vardime sin che parlo a lagremar.
l' non so chi tu sie, nè per che modo Chi ti è no so, nè come mai qua zo 10
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino Ti xe vegnù; ma, certo, Fiorentin
Mi sembri veramente quand' i' t' odo. Ti me pari al linguagio. Sapi mo
Tu dèi saper ch' i'fui'l Conte Ugolino, Che al mondo mi so sta el Conte L'eolio,
E questi l'Arcivescovo Ruggieri: E Ruger l'Arcivescovo costù :
Or ti dirò perch' io son tal vicino. E perchè rodo qua sto berechin 15
Che per l'effetto de' suo' mai pensieri, Te contarò. Che mi fidando in lu
Fidandomi di lui, io fossi preso Sia sta messo in preson, e morto là
E poscia morto, dir non è mestieri. Da elo tradio, no importa saver più.
Però, quel che non puoi avere inteso, Però nissun te poi aver contà
Cioè come la morte mia fu cruda, Quanto crudel la morte mia xe stada :
Udirai, e saprai se m' ha offeso. Scolta, e varda se' el m'abia sassinà.
Breve pertugio dentro dalla muda, Dal fenestrin de la tore chiamada
La qual per me ha'l litol della fame, De la fame per mi, morto là via,
E in che conviene ancor ch'altri si chiuda, Dove altra zente vegnerà serada,
M' avea mostrato per lo suo forame Che più lune za gera passae via 2o

1 in giazzera = nella ghiacciaia.


7 rosegar = rosichinre.
12 MIO = ora.
13-14 Conte Vgolin = Ugolino della Glieranlesca conte di Donorutico nobile Pisano e Guelfo, d' accordo eoi-
l'Arcivescovo Buggeri degli Ubaldini, cacciò da Pisa Nino di Gallura, nato da una sua figlia, che se n'era fallo
Signore, e si pose in luogo di lui. Ma in seguito lIArrivescovo per invidia C per odio di parie, e più ch'aliro f*r
vendicare un nipote statogli ucciso dal conie, con l'aiuto dei Gualaudi, dei Sismondi e ilei Lanfranelii, aliala '-
croce con molto popolo furibondo, al qualn avea fatIo credere, e secondo alcuni era vero, ch'egli avesse per d*
naro vendute alcune castella ai fioreniini e lucchesi, venne alle case del conte, e fallo prigioniero lui, due de' suoi
figli Gaddo e Ugoccione, e due nipoti Ugolino detto Brigala ed Aoselmuccio, li fece rinchiudere nella torre dei
Guiilomli alle sette vie, dove, dopo alcun tempo, soltratlo loro il cibo, furono lasciati crudelmente morire di fa"i<-
21 tossina — assassinato si dice in dialetto anche per rovinato.
CANTO XXXIII. 149
Più lune già, quand' i' feci '1 mal sonno, M'ho incorto, quando un bruto sogno (M-iO,
Che del futuro mi squarciò il velame. di' el fato, avanti el sbroca, me scovria.
Questi pareva a me maestro e donno, Me parea costù qua, vero bravazzo,
Cacciando il lupo e i lupicini al monte, Dar cazza al lovo o ai so Inveii al monte
Per che i Pisan veder Lucca non ponno. Che a veder Luca xe al Pisan d' impazzo. 30 .
Con cagne magre, studiose e conte, J^on de le cagne magre, furbe e pronte,
Gualandi con Sismondi o con Lanfranchi • v (jualandi coi Sismondi e coi Lanfranchi,
S'arca messi dinanzi dalla fronte. L'avea mandà davanti su de fronte.
In picciol corso mi pareano stancili Dopo aver corso un fià, m'ha parso stancili
Lo padre e i figli, e con l'agute scane El pare e i lini, e con i guzzi denti 35
Mi parea lor veder fender li fianchi. Le cagne me parca strazzarghe i fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane, Co' m' ho svegià che gera dì a momenti,
Pianger senti' fra'l sonno i miei figliuoli, I fioi, che xe con mi, sento insonà
Ch'eran con meco, e dimandar del pane. Domandarme del pan luti pianzenti.
Ben se' crudel, se tu già non ti duoli, Ti xe un crudel se no te fa pecà, 40
Pensando ciò che'l mio cor s'annumiava ; Pensando a quel ch'el cuor me tontonava;
E se non piangi, di che pianger suoli? Cossa, se questo no, pianzer te fa ?
Già eran desti, e l'ora trapassava Svegiadi i gera; e l'ora za passava
Che'1 cibo ne soleva essere addotto, Che '1 cibo i xe stai soliti a portar ;
E per suo sogno ciascun dubitava : Per l' eguai sogno luti sospetava : 45
Ed io sentii chiavar l'uscio di sotto La porta go sentio solo inchiodar
All'orribile torre; ond'io guardai De l'orido torion; e ho vardà mi
Nel viso a' miei figliuoi senza far motto. In ciera i mii putei senza parlar.
Io non piangeva : sì dentro impietrai : Ali no pianzea ; de piera resto lì :
Piangevan elli: ed Anselmuccio mio Pianzea ben eli, e dise Anselmin mio : 50
Disse : Tu guardi sì, padre : elic hai ? Pare, perchè li ne vardi cussi ?
Però non lagrimai, nè rispos' io Pur no ho pianto, nè go resposto al fio
Tutto quel giorno, nè la notte appresso, l'nin quel dì e la note che vien via ,
Infin che l'altro Sol nel mondo uscio. Insin ch' el novo Sol no xe sortio.
Come un poco di raggio si fu messo Co '1 lusor da un spiragio ga schiaria 55
Nel doloroso carcere, ed io scòrsi La preson dei dolori, e go osservà
Per quattro visi il mio aspetto stesso; Sui quatro visi quel'angossa mia,
Ambo le mani per dolor mi morsi. Le do man da passion m' ho morsegà.
E quei, pensando ch' io '1 fessi per voglia Credendo i fioi che per rabiosa vogia
Di manicar, di subito levorsi, Me le magnasse, in bota i s' ha levà, 60

27 skraca = scoppia.
29 Dar cazza al lovo e ai so loveli = dar la caccia al lupa e ai suoi lupicini: sono qui figurati il conte
Ugolino coi suoi figli.
30 Che a valer Luca xe al Piian d'impazzo = allude al monte S. Giuliano por il quale, essendo posto Ira
Pisa e Lucca, si toglie alle due citta vicine di potersi vedere — impazzo = imbarazzo, inciampo.
32 Gualandi cie. — vedi noia 13-14.
34 Dopo aver corso un fià = dopo brevissima corsa.
35 El pare e i poi = il padre e i ligli, cioè i lupi e i lupicini = guzzi denti = denti sgim.i, acuii.
37-33 Co = quando — insonà = assonnato, tra la veglia e il sonno.
40 te HO le fa pecà n: se non ti muove a compassiono.
41 me lontoaava = mi mormorava, mi bucinava.
58 iuisrion = si usa comunemente in dnletto per dolore dell'animo.
60 m bòia = tosto.
DELL lNFERNO
E disser : Padre, assai ci lui men doglia, E, pare, i dise, ne fa manco dogia
Se tu mangi di noi : tu ne vestisti 9e ti magni de nu ; ti ha ti vestio
Queste misere carni, e tu le spoglia. Questo misero corpo, e ti lo spogia.
Queta'mi allor per non farli più tristi: Per semarghe al dolor, el dolor mio
Quel dì e l'altro stemmo tutti muti : Trategno; in quel dì e l'altro stemo muti; 65
Ahi dura terra, perchè non t'apristi? Barbara lera, e no ti n' ha ingiotio 7
Posciache fummo al quarto di venuti, Uh adi al quarto zorno, tra i mii puti,
Gaddo mi si gettò disteso a' piedi, Gado ai pie'l se me buta destirà
Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti? Disendo : Pare mio, no ti me a làuti ?
Quivi mori: e come tu me vedi, Là'l mor: e come ti me vedi qua, 70
Vid'io cascar li tre ad uno ad uno l altri ho visti morir a un a un
Tra '1 quinto dì e '1 sesto : ond' io mi diedi Tra '1 quinto zorno e'1 sesto; e mi za orbà
Già cieco a brancolar sovra ciascuno, Cercandoli a taston li andava ognun.
E tre dì li chiamai poi ch' e' fur morti : Li ho chiamai per tre zorni dopo morti:
Poscia, più che '1 dolor, potè il digiuno. Po del dolor podesto ha più el dezun. 75
Oliami' ebbe detto ciò, con gli occhi torti Co '1 ga lin in, fascndo i ochi storti,
Riprese il teschio misero co' denti, Da novo ci gho piantava i denti fini
Che furo ali' osso, come d'un can, forti. Come d'un can, del cragno a l'osso, e forti.
Ahi Pisa, vituperio delle genti Ah Pisa ! desonor dei citadini
Del bel paese là dove il at suona ; Del bel paese in dove i dise *«; 80
Poichè 1 vicini a te punir son lenti, Se intardiga a punirte i to vicini,
Movasi la Capraia e la Gorgona, Che Capragia e Gorgona sol per ti •,
E faccian siepe ad Arno in su la foce, Se mova, e '1 sboco d'Arno de in stropar,
Sì ch' egli annieghi in te ogni persona. Tuti quanti negar ve fazza lì.
Che se il Conte Ugolino aveva voce Che se '1 conte i castei col mercantar 85
D'aver tradita te delle castella, D'averte lu tradio se mormorava,
Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. No ti dovevi i Boi martorizar.
lnnocenti facea l'età novella, Tebe nova ! inocentl Ugocion fava
Novella Tebe, Uguccione e il Brigata, La zoventù, Brigala e i altri do,
E gli altri duo che il canto suso appella. Che più in suso sto canto menzonava. 90
Noi passamm' oltre, la 've la gelata Col mio Dotor avanti invia me so,
Ruvidamente un' altra gente fascia, Dove in tei giazzo altri danai gh' è drento,
Non volta in giù, ma tutta riversata. Che in su voltà i ga el viso e no più in zo.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia, El pianto là. xe al pianto impedimento ;
E '1 duol, che truova in su gli occhi rintoppo, No trovando le lagrcme el passagio, 95

64 semarghe — scemar loro.


72 orbà = vale propriamente cieco.
73 aàlatton — a tentone.
75 dezun • . digiuno.
80 lli.l bei patte in dove i afte ti - cioè l'ltalia dove si parla la lingua detta del Sl.
81 Se intardiga - se tardano — i fo vicini = allude ai Lucchesi, i Fiorentini, e i Sanesi, popoli confinzmi
con Pisa.
82 Capraio e Gorgona - Capraia e Gorgona sono dnc isolette del Mar. Tirreno, situate non lungi dallu foce
d'Arno.
85 Clic te'l conte te. . Ricordisi ciò che fu detto alla nota 13-14.
88.89 Ugocion e Brigala = il primo era figlio del conte Ugolino, l'altro nipote = e i altri do = e gli
altri due, cioè Anselmuccio e Gaddo, il primo nominato al v. 50, il secondo al v. 68.
91 me io = mi sono.
CANTO XXXlll.
Si vulve in entro a far crescer l'ambascia : Le torna indrio per cresserghe el tormento.
Chè le lacrime prime fanno groppo, Chè '1 giazzo de le prime fa un stropagio,
E, sì come risiere di cristallo, Che ghe coverze, come ochiai de vero,
Riempion sotto '1 ciglio tutto il coppo. l ochi datorno a forma de seragio.
Ed avvegna che, si come d'un callo, Siben mi in viso dal gran fredo gero 100
Per la freddura ciascun sentimento Ridoto come un calo, e in lu calada
Cessato avesse dei mio riso stallo, l'asse ogni sensazion insin al zero,
Già mi parea sentire alquanto vento ; M' ha parso sentir certo una ventada :
Perch'io: Maestro mio, questo chi muove? Perciò mi al Mestro: Xelo vento questo?
Non è quaggiuso ogni vapore spento ? Qua zo averta i vapori ga la strada? 105
Ond'egli a me : Avaccio sarai dove Lu me responde : Ti sarà ben presto
Di ciò ti farà rocchio la risposta, ln logo, che de st'arla la rason
Veggendo la cagion che '1 flato piove. Conosser da per ti ti avrà podestp.
Ed un de' tristi detla fredda crosta Un dei grami, che pena in quel giazzon,
Gridò a noi: O anime crudeli Ne Ciga: O traditori, a sto logazzo 1to
Tanto, che data v'è l'ultima posta, Messi in fondo de l'ultima preson ;
Levatemi dal viso i duri veli, Leveme dai mii ochi el duro impazzo,
Sì ch' io sfoghi il dolor, che '1 cor m'impregna, Tanto che possa un flà el dolor calmar
Un poco, pria che '1 pianto si raggeli. Avanti ch' el mio pianto torna in giazzo.
Perch' io a lui : Se vuoi ch'io ti sovvegna, E mi a lu: Quando t'abia d'agiutar, 115
Dimmi chi se' ; e s' io non ti disbrigo, Di' chi ti xe, e se no te desbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi convegna. Che possa in fondo a sta giazzera andar.
Rispose adunque : l' son Frate Alberigo, Responde elo: Mi son frate Alberigo,
lo son quel dalle frutte del mal orto, Quel dai fruti, che nasse nel bruto orto,
Che qui riprendo dattero per figo. E '1 datolo qua scambio per el figo. i -O
Oh, dissi lui, or se' tu ancor morto ? Come ! ho dito, anca ti donca ti è morto ?
Ed egli a me : Come il mio corpo sita Cossa mai del mio corpo ghe ne sia
Nel mondo su, nulla scienzia porto. Là de su, mi no so ; ma me so incorto
Colai vantaggio ha questa Tolomea, Che ga questo de bon sta Xolomia ;
Che spesse volte l'anima ci cade Che casca spesso l'anema qua zo, 125
lnnanzi ch'Atropòs mossa le dea. Avanti che Atropòs la scazza via.
E perchè tu più volentier mi rade Dai ochi el pianto che ho giazzà, aciò
Le invetriate lagrime dal volto, Ti me levi, vói dirte che al momento
Sappi che tosto che l'anima trade, Che l'anema tradindo, e mi lo so,

97 stropagio = turacciolo.
lis de vero .-: di vetro.
99 teragio = serraglio.
112 impazzo = imbarazzo, riferito alle lacrime fatte ghiaccio negli occhi.
118-110 Mi son frale Alberigo ec. ;_• Alberigo dei Manfredi Signori di Faenza, fecesi dei frati Gaudenti.
Essendo in discordia con alcuni suoi consorti, e bramando levarli dal mondo, finse di volersi riconciliare con
loro, e li convitò magnificamente. Al recarsi delle frutta, che accenna provenienti dal cattivo orto, secondo ch'egli
area ordinato, uscirono alcuni sicarii che nccisero molti convitali.
120 El datolo t/nd teambia per el figo ..: moto proverbiale fiorentino, che significa; essere' ricambiato con
usura del mal fatto.
123 me so tuforlo . mi sono accorto.
124 IJH questo de bon = ha questo vantaggio — Tolomìa — Tolomea i denominato il luogo ove si puniscono
i traditori della amicizia.
126 Atropoa . • una delle tre Parche, quella che recide lo stame dello, vita degli uomini.
128 vói = voglio.
152 DELL, INFERMO

Come fec'io, il corpo suo l'è tolto Ga pecà, come mi, el demonio atento, 130
Da un dimonio, che poscia il governa l'iil suso el corpo soo, e se -lo tien
Mentre che '1 tempo suo tutto sia volto. Insin che ghe staria l'anema drento.
Ella ruina in sì fatta cisterna ; Quela a prccipiton qua zo la vien ;
E forse pare ancor lo corpo suso E Cui -.i sarà el corpo anca là sora
Dell'ombra, che di qua dietro mi verna. De oolù, che drio a mi nel giazro el svien. 135
Tu'l dèi saper, se tu vien pur mo giuso: Ti lo devi saver, che solo a st'ora
Egli è Ser branca d'Oria, e son più anni Ti vien qua zo. Xe quelo Branca d' Oria
Poscia passati ch' ci fu si racchiuso. Arivà da tanti ani in sta malora.
l' credo, diss'io lui, che tu m'inganni; Ti li xe a toma, digo, co la storia :
Che Branca d'Oria non morì unquanche, El Branca d'Oria vive; e certo son, 140
E mangia e bee e dorme e veste panni. Che '1 magna, el vesta, el dorma ho mi memoria.
Nel fosso su, djss'ei, di Malebranche, E lu : Zanche Michiel in quel fosson,
, Là dove bolle la tenace pece, Dove bogie de pegola el paltan,
Non era giunto ancora Michel Zanche, Fato ancora no aveva el tombolon,
Che questi lasciò un diavolo in sua vece Ch'el Branca ga a un demonio lassà in m. ni li".
Nel corpo suo, e d'un suo prossimano, Kl corpo soo e quel d'un so parente,
Che '1 tradimento insieme con lui fece. Che nel gran Iradimento ga dà man.
Ma distendi oramai in qua la mano. Ma vienme adesso col lo brazzo a rente;
Aprimi gli occhi : ed io non gliele apersi, Verzime i ochi : gnanca li ho locai,
E cortesia fu lui esser villano. E xe sta gentilezza averlo in mente. 150
Ahi Genovesi, uomini diversi Ah Genovesi carghi de pecai,
D' ogni costume, e pien d'ogni magagna, D' usi diversi de qualunque razza,
Perchè non siete voi del mondo spersi ? Perchè no i v'ha nel mondo sterminai?
Che col peggiore spirlo di Romagna Che con quel da Romagna, gran robazza,
Trovai un lai di voi, che per su' opra Un dei vostri ho trovà, che per mal far, 155
In anima in Cocilo già si bagna, A l' Inferno co l'anema el se giazza,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra. E in corpo vivo al mondo ancora el par.

133 a precipiton = precipitosamente.


137 Branca d'Oria — Genovese, che uccise a tradimento Michele Zanche suo suocero per torgli il Giudi
cato di Logodoro in Sardegna. Questo Michele Zanehe fu posto dal Poeta, come vedemmo, nella bolgia dei ba
rattieri: vedi C. XXII.
139 li xe a torzio = lu erri.
144 i-I tombolau = lo stramazzone, modo avverbiale.
147 ga da man ..--. gli tenne mano; è qui propriamente nel significato di chi aiuta uno a lai- il male.
150 averlo in mente •-.- non curarlo.
154 iii-mi robasza = robaccia, cosa trista, pessima.
453

CANTO TRENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

L'iraperador del doloroso regno L'impnrator del regno maledeto


Con l'ali sue fa il vento, onde si desta Co l'ale soe fa el vento, e la giaziera
II gel, che serve ivi a divino sdegno. Questo po fa, che dei danai xe'l lete.
Li due Poeti, che la gente mrsta I do Poeti, che la negra tera
Tolte han veduta, dell'Angiol ribelle Co i abitanti soi ga visto; quelo
Scala si {anno ripida e molesta, I fa servir da scala che là impera :
Ed escon quivi a riveder le stalle. E cussi i sorte a riveder el cielo.

Vetilla Reyis prodeunt Inferni Vexilla Regin prodcunt Inferni


Verso di noi: però dinanzi mira, Da nu: dise el Dotor, sta tionca atento
Disse '1 Maestro mio, se tu '1 discerni. Se tra sta scurità te li disserni.
Come, quando una grossa nebbia spira, Come quando un nebion vien dal stravento
O quando l'emisperio nostro annotta, Cazzà, o s'avanza de la note el caro, 5
Par da lungi un run lin che "I vento gira ; l'ai da lonzi un moliii zirà dal vento;
Veder mi parve un lai d'ilici» allotta : Veder credo un molin, e i ochi sbaro.
Poi per lo vento mi ristrinsi retro Causa un ventazzo, po al Dotor da drio
Al Duca mio ; che non v'era altra grotta. M'ho messo, che no gh'era altro riparo.
(ìià era (e con paura il metto in metro) Mi gera (e in verso el digo tra morii o) 10
La, dove l'ombre tutte eran coperte, Dove coverti quei danai se spiera,
E trasparèn come festuca in vetro. Come la pagia tra un editai forbio.
Altre sono a giacere; altre stanno erte, Chi stravacai, e chi piantadi gera
Quella col capo, e quella colle piante ; Co la testa, o su i pie tuli a penelo ;
Altra, com'arco, il volto a' piedi inverte. Chi, come un arco, el viso ai pie se sera. 15
Quando noi fummo fatti tanto avanti-, Co se scmo avanzai tanto in quel gelo,
Ch'ai mio Maestro piacque di mostrarmi Dove ha piasso al Dotor farme osservar
La creatura ch'ebbe il bel sembiante, Quel tal, ch'el più bel viso ha avudo in cieio;
Dinanzi mi si tolse, e fe ristarmi, Se tira in banda, e fermo me fa star :
Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco Dopo el dise: Eco Dite; el logo è questo 20
Ore convien che di fortezza t'armi. Dove de gran vigor ti t' ha d'armar.
Linifiti divenni allor gelato e fioco, Se come un pezzo in giazzo alora resto,
Noi dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo, Noi scrivo, e noi cercar, o lelor mio,

I Vexilla Itiiiis ee. =» I vessilli del re dell'Inferno avanzano verso noi. Questi vessilli sono le grandi ale
sventolaini di Lucifero: le tre prime parole sono il principio di un Imin con elic la Santa Chiesa esalta la Croce
trionfante insegua di G. C. Le usa Dante per richiamare ad un confronto tra i due duci Cristo e Lucifero.
5 Cazzò = respinto.
7 «Varo = spalanco.
II te nliieni -- si traspare.
12 la pagia - la paglia.
13 iiravacai . - sdrajati.
13 Quel lai ..- cioè Lucifero l'angelo decaduto.
20 flirt — nome mitologico del re dell'Inferno.
4 54 DELL INFERNO
Però ch'ogni parlar sarebbe poco. Che lengua al mondo noi sa dir con sesto.
Io non morii, e non rimasi vivo : Nè vivo ben, nè morto m'ho sentio: 25
Pensa oramai per te, s' hai fior d'ingegno, Pensa, se un 1là ti ga de bon criterio,
Qual io divenni, d'uno e d'altro privo. Quanto in quel stato go d'aver patio :
Lo imperador del doloroso regno El gran Sovran del doloroso imperio
Da mezzo '1 petto uscia fuor della ghiaccia ; A U1IVO peto fora vien dal giazzo ;
E più CIMI un gigante io mi convegno, Manco stranio a un zigante mi, sul serio, 30
Che i giganti non fan con le sue braccia : Son, che i ziganti arente d'un so brazzo:
Vedi oggimai quant'esser dee quel tutto Varda donca che imenso farabuto
('.ira così fatta parte si confaccia. Xe, drio sto paragon, quel diavolazzo.
S'ei fu sì bel com'egli è ora brutto, Se lu belo el xe sta quanto el xe bruto,
E contra '1 suo Fattor alzò le ciglia, E contro el so Crcator el se ga mosso, 35
Ben dee da lui procedere ogni lutto. Xe ben certo ch'el mal da lu '1 vien tuto.
O quanto parve a me gran meraviglia, Oh da qual maravegia son sta scosso,
Quando vidi Ire facce alla sua testa! Quando ho visto tre musi a la so testa !
L'una dinanzi, e quella era vermiglia ; Quelo de fazza xe de color rosso :
Dell'altre due, che s'aggiugnèno a questa Quei altri do, che da le bande resta, W
Sovr'esso '1 mezzo di ciascuna spalla, In mezo d'ogni spala ognun ga '1 sito,
E si giugnèmmo al luogo della cresta, E i va a incontrarse insieme su la cresta ;
La destra mi parea tra bianca e gialla ; Tra '1 zalo e '1 bianco me pareva el drito,
. La sinistra a veder era tal, quali Negro xe '1 zanco, come quei là dove
Vengon di là, onde '1 Nilo s'avvalla. Ga '1 leto el Nilo e te Etiopia dito. 45
Sotto ciascuna uscivan duo grand'ali, De soto a ognun sortia do alone nove
Quanto si conveniva a tanto uccello : Adatae a quel diavolo de oselo:
Vele di mar non vid'in mai cotali. Vele compagne in mar mai no se move.
Non avean penne, ma di vipistrello No le ga pene, ma del barbastelo
Era lor modo ; e quelle svolazzava, Le ga la forma, e tanto el le menava, 50
Sì che tre venti si movien da elio. Che fazzeva i tre venti mover elo.
Quindi Cocito tutto s'aggelava : Perciò Cocito tuto se giazzava.
Con sei occhi piangeva, e per tre menti Con sin ochi el pianzeva, e su i tre menti
docciava il pianto e sanguinosa bava. Sgiozzava el pianto e sanguenosa bava.
Da ogni bocca dirompea co' denti Per ogni boca un pecator coi denti, 55
Un peccatore a guisa di maciulla, Come gramola el canevo, el rompeva,
Sì che tre ne facea così dolenti. A tre in t'un colpo dandoghe tormenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla A quel davanti, el morsegon no aveva
Verso '1 graffiar, che talvolta la schiena Gnente che far co le sgrafae, che in schen»
Rimanca della pelle tutta brulla. Restar senza la pele lo fazzeva. M
Quell'anima lassù che ha maggior pena, Colù in cima, che ga la più gran pena,

? t «m ntstn — esaltamento.
30-31 Adunco stranio =•• meno strano, sfiguro meno — urente -* qui sta per in confronto.
32 f.iniimin - - voce appropriata ulto sgherro, al sicario, e Mmili scellerati.
45 Hit 'I telo ti Nilo e xe Etiopia dito — dai monti dellai ILuna cade il Nilo nella sottoposta valle di Kiio; i :
49 barbanelo n• pipistrello.
M Codio - limnc dell'Inferno.
53 Con tie oc/u ti pianzcva =• Con sei occhi egli piangeva, poichè erano tre le teste.
56 gramola = maciulla = canova = canape.
5$ mvrseyon — morso, morsicatura.
CANTO XXXIV. 155
Disse '1 Maestro, è Giuda Scanotto, Xe, me elìso el Dotor, Giuda Scariole;
Che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena. E1 tien la testa in dentro, e fora el mena
Degli altri duo e' hanno il capo di sotto, I pie. Dei do che ga la testa solo,
Quei che pende dal nero ceffo è Bruto : Bruto xe quel che pende dal mustazzo 65
Vedi come si storce, e non fa motto : Negro : noi parla e '1 tien le gambe in moto :
E l'altro è Cassio, che par sì membruto. Xe l'altro Cassio con quel so corpazzo.
Ma la notte risurge ; e oramai Ma dà suso la note, e za che qua
È da partir, che tutto avem veduto. Tulo s' ha visto, abandonemo el giazzo.
i '.uiifa lui piacque, il collo gli avvinghiai; Come el voi, al so colo m' ho brazzà ; 70
Ed ei prese di tempo e loco poste : E a lempo, con quel echio soo sicuro,
E, quando l'ale furo aperte assai, Quando el ga l'ale Belzebù stargà,
Appigliò sè alle vellute coste : E1 se brinca al peloso fianco scuro;
Di x elio in v i-Ilo giti discese poscia Po in zo de pelo in pelo el fa una mossa
Tra '1 folto pelo e le gelate croste. Tra '1 foltissimo pelo e '1 giazzo duro. 75
Quando noi fummo là dove la coscia Rivedi proprio al sito, che la cossa
Si volge appunto in sul grosso dell'anche, Al fianco del demonio se gh' impira,
Lo Duca con fatica e con angoscia E1 mio Dotor con gran fadiga e angossa,
Volse la lesta ov'egli avea le zanche, Dov'el gaveva i pie la testa el zira,
Ed aggrappossi al pel com'uom che sale, E al pelo rampegando in su, me par 80
Sì che in Inferno i' credea tornar anche. Che a l'Inferno da novo in zo '1 me tira.
Attienti ben, che per cotali scale, Dise el Mestro spossà, stentando arliar :
Disse '1 Maestro ansando com'uom lasso, Tiente ben streto, che a sia scala drio
Conviensi dipartir da tanto male. Convien desso l' Inferno abandonar.
Poi uscì fuor per lo foro d'un sasso, Po dal buso d'un sasso el xe sorlio ; 85
E pose me in su l'orlo a sedere: E co su l'orlo el m' ha puzà in senton
Appressso porse a me l'accorto passo. De quel sasso, el s' ha messo al fianco mio.
l' levai gli occhi, e credetti vedere Levo i ochi, credendo el diavolon
Lucifero com'io l'avea lasciato, De veder come l' ho lassà là via:
E vidili le gambe in su tenere. Se m'abia in mezo al cuor sentio un sinicon, 90
E s'io divenni allora travagliato, Co go visti i pie in su, lo pensarla
La gente grossa il pensi, che non vede I meloni, i alochi e i lurlulù,
Qual era '1 punto ch'io avea passato. Che per dove no i sa sbusà mi sia.
Levati su, disse '1 Maestro, in piede : Da bravo, dise el Mestro, leva su,
La via è lunga, e il cammino è malvagio, Che la strada xe longa e rebaltada, 95
E già il Sole a mezza terza riede. E el Sol se ga levà da un'ora e più.
Non era camminata di palagio No gera de palazzo spassizàda,

62 (iiudn Scariota ±= quegli che tradì Gesù Cristo suo benefattore e Maestro.
65-67 Bruto e Cassia uccisero proditoriamente il riformatore e rettore dal romano impero Giulio Cesare.
Cassio era nomo corpulento.
76 COMO - coscia.
77 ti ghe impira =• se gli incastra.
8! or/far = respirare.
86 IH .icniim -— u sedere.
80 Se me gatia in lei cuor tcntia un ttrueon — se mi sia sentilo darmi una stretta al cuore.
91 i pie in m = i piedi in sn.
95 rcbultada = dirupata.
87 tpaniiada = pasneggiata.
-156 PELL INFERNO
Là Veravam, ma naturai burella Dove stevimo nu, ma soto lera
Ch'avea mal suolo, e di lume disagio. A orbon s'andava per scossosa strada.
Prima ch'io dell'abisso mi divella, Mcstro, ho dito, co in pie messo me gera, 100
Maestro mio, diss'io quando fu' drillo, Avanti che mi vaga via da qua
A ti ,'irmi d'erro un poco mi favella. Cavime sii mii dubi : La giazzera
Ov'è la ghiaccia ? e questi com'è fitto Dove mai xela ? como xe piantà
Sì sottosopra ? e come in sì poc'ora Costà de solo in su? e come a si" uni
Da sera a mane ha fatto il Sol tragitto ? Da note a dì oramai ga el Sol zirà ? 105
Ed egli a me : Tu immagini ancora , E tu : Ti credi ti d'esser ancora
D'esser di là dal centro, ov'io m'appresi Al centro, in dovè m' ho tacà sul pelo
Al pel del Termo reo che '1 mondo fura. Del verme pecator ch'el mondo fora.
Di là fosti cotanto, quant'io scesi: Ti è sta là sin che so andà zoso, e in quelo
Quando mi rolsi, tu passasti il punto Che m' ho voltà, ti ga passà quel ponto, 110
Al qual si traggon d'ogni parte i pesi : Che i corpi greri tira tuli a elo :
E se'or sotto l'emisperio giunto E za al vólto celeste ti xe zonto,
Ch'i contrapposto a quel che la gran secca Contrario a quel che move quela tera,
Coverchia, e sotto '1 cui colmo consunto Dove ha avù soto el colmo ci grando afronto
Fu ITum che nacque e visse senza pecca : El Fiol de Dio fat'omo. Su la sfera 115
Tu hai i piedi in su picciola spera Picola i pie ti puzi adesso ti,
Che l'altra faccia fa della Giudecca. Che al so roverso la Giudeca sera.
Qui è da man, quando di là è sera : Quando de là xe note, qua xe dì:
E questi che ne fe scala col pelo, Costù che al pelo suo m' ho ramperà,
Fitto è ancora, sì come prim'era. Come prima el xe ancora piantà lì : 120
Da questa parte cadde giù dal cielo; Da sta banda dal ciel l'è zo piombà ;
E la terra che pria di qua si sporse, E la tera che avanti qua xe stada,
Per paura di lui fe del mar velo, De colù spauria, s" lui sprofondà
E venne all'emisperio nostro ; e forse Drento in mar; e per lu forsi scampada
Per fuggir lui lasciò qui il luogo voto Quela che s'ha in quel monte convertio,
Quella che appar di qua, e su ricorse. Dal vodo sta caverna xe restada.
Luogo è laggiù da Belzebù rimoto Logo è là zo da Belzebù spartio,
Tanto, quanto la tomba si distende, Quanto l' Inferno longo, largo e grando,

90 A orbon = a tentone = per scossosa strada — per una strada scheggiosa, scropolosa.
103 IM verme pecalor ----- cioè di Lucifero.
109 m qutlo = in quel mentir.
110 rIui-l ponto ----- cioè il centro ove tendono i corpi pesanti.
112-115 E za al vallo celeste li xe ionio -. e gii sei giunto alla volta celeste, eli'è opposta al nostro emi
sfero, elie sta sopra la terra, e sotto il più alto punto del quale, fu ucciso l'Uomo Dio. Immagina il Poeta che
Gerusalemme siu posta nel punto medio dell'emisfero boreale, il solo, secondo le idee di quc' tempi aiutato; e clic
l'emisfero opposto, l'australe, sia lutto mare, tranne il punto antipodo a Gerusalemme, in cui s'alza la montagna
del Purgatorio.
117 Giudeea -- cosi chiamata dal tristo Giuda; e l'ultimo luogo dell'Inforno ove sono puniti quelli clie
tradirono i loro benefattori e Signori.
119 rampegà — arrampicato.
121 lìn sia banda ee. = Con una portentosa fantasia flnge il Poeta, elic Lucifero cadesse colla testi riversa
da quell'emisfero al quale or si dirige, e con tal veemenza che sprofondò limi al centro della terra; che la terra
prima sporgentesi nell'emisfero australe, impaurila a questa vl-hi, rientrò e si sporse dall'emisfero opposto, Mi
che gran parte del mare che questo in prima totalmente copriva, corse ad invader quello; e elic il tratlo in
terno di terra per cui egli passò, preso pur esso di orrore, ricorse in su, e fece quella montagna che s' eleva so
pra le acque dell'emisfero australe (lìuscm).
127 Loyo è là zo = Avendo Virgilio terminato il suo discorso, comincia qui Dante a parlare al lettore.
CANTO XXXIV. \ 57
Che non per rista, ma per suono è noto Che no se vede, ma lo insegna un rio,
D'un ruscelletto che quivi discende Che un poco in pender sempre vien ruzando 130
Perla bocca d'un sasso ch'egli ha roso D'una masegna zo per la fissura,
Col corso ch'egli avvolge, e poco pende. Che va coi ziri a bissa rosegando.
Lo Duca ed io per quel cammino ascoso Col mio Dotor su quela strada scura
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo : Semo entrai per tornar al chiaro mondo :
E senza cura aver d'alcun riposo E senza de reposo torse cura, 135
Salimmo su ci primo ed io secondo, Montemo sii lu primo e mi secondo,
Tanto ch'io vidi delle cose belle, Tanto che ho visto arquanto de quel belo
Che porta il Ciel, per un pertugio tondo : Che Dio ga fato, per un buso tondo :
E quindi uscimmo a riveder le stelle. Da là sortindo rivedemo el cielo.

130 rn:nud,i :. mormorando.


131 matigna = macigno.
132 resegando = corrodendo.
135 lane = prendcrsi-
139 Da là toriindo rivrdemo el eiela. = Essendo mezza terza quando cominciarono i Poeti a salire, e di-
«ndosi al Purg. C. 1. v. 19 e seguenti, elic il Sole era per levarsi, ne viene ch'essi fecero la via da Lucifero
alla superficie della terra in meno di 24 ore (Bisticm).
PURGATORIO
161

DEL PURGATORIO

CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Dove si purga l'anima e risorge, S'invia i Poeti dove la purgada


Vanno i l'oeti, e lor di quel cammino Ha l'aneme, e Caton a eli ci da far
Consiglio l'ombra di Catone porge. Glie insrgna avanti inviarse a quela strada.
Con la rugiada del lido vicino Co la brosa del lio vicin al mar
Virgilio toglie il mal color. che tiuge Virgilio ogni sporchezze leva via
I.e guancie ali' altro, che sta cheto e chino, lìal viso a Dante, che no azarda arfiar;
E con un giunco schietto lo ricinge. F. po el ghe liga un venchio atorno via.

Per correr miglior acqua alza le vele La navesela de l'inzegno mio,


Omai la navicella del mio ingegno, In più bon'aqua vien la vela issando,
Che lascia diutro a sè mar sì crudele: El borascoso mar lassando in drio.
E canterò di quel secondo regno, E st'altro regno vegnerò cantando,
Ove l'umano spirito si purga, Dove el spirito uman per meritar 5
E di salire al ciel diventa degno. li. i ciel la gloria sia i pecai purgando.
Ma qui la morta poesia risurga, Ma '1 tetro verso mio fe vu anemar,
O sante Muse, poichè vostro sono, O sante Muse, za che vostro son ;
E qui Calliopea alquanto surga, E Caliope me vegna qua agiular,
Seguitando il mio canto con quel suono, Compagnando ci mio canto con quel son, 10
Di cui le Piche misere sentiro Col qual le Piche vinte nel duolo,
Lo colpo lai, che disperar perdono. Le ha avù el gran colpo senza remission.
Dolce color d'orientai zattiro, Del salir orientai istesso belo,
Che s'accoglieva nel sereno aspetto El grazioso color che se spandeva
IMI', in puro inlino al primo giro, Per l'aria pura insin al primo cielo, '-i
Agli occhi mici ricominciò diletto, Gagiosi i ochi mii tornar fazzeva,
Tosto ch'io usci' fuor dell'aura morta, Ourl.i apena d'Inferno abandonava,
Che nfavea contristato gli occhi v il petto. Che Ira vagiu la vista e '1 cuor m'aveva.
Lo bel pianeta che ad amar conforta, D'amor la stela luto ralegrava
Faccia tutto rider l'oriente, V Oriente, e avea col so splendor panà 20

1-3 La navciela ce. : ali ';;nri,i elic Mgnilic:i: trattando materia meno spaventevole che quella dell'Inferno
= iixanda — termine m&rinaresco : levando.
'.i (Mi-ipe = e quella delle nove Muse elic presiede allo stile eroico.
11 l'iche — furono nove sorelle, li^lic di l'icrio di l'ella città della Macedonia, elic avendo provocalo le
Muse a cantare a prova con loro, ed essciulo stute vinte, furono cangiate in gazze.
15 ut jirinio ciil'i =2 cioè il cielo della I. una.
10 CiagÌHiu — lieti, allegri.
19 D'amor la stella — la stella Venera.
20 panò = appannato, offuscalo.
11
•162 DEL Pl'H(HTORIO
Velando i pesci ch'erano in sua scorta. I Peni, che davanti i ghe trotava.
Io mi rotai a man destra, e posi mente Vedeva a l'altro polo, co voltà
All'ulivo polo, e vidi quattro stelle Me so a man drita, luser quatro stele,
Non viste mai fuor ch'alia prima gente. Che solo i nostri primi pari ha ochià.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle. Rideva el cielo : tanto le era belc ! 25
O settentrional vedovo sito, Misero Nord, che no ti poi qual sia
Poichè privato se' di mirar quelle ! La delizi. i sentir d'amirar quele!
Coniio dal loro sguardo fui partito, Quando da lore l'ochio ho tolto via,
L'n poco me volgendo all'altro polo, Voltandome un lantin da l'altro polo,
Là onde il Carro già era sparito; Dove l' Orsa Magior gera sparia ; 30
Vidi presso di me un veglio solo, Ho visto a mi vicin un vecido solo,
Degno di tanta riverenza in vista, Che a vardarlo ispirava tal rispelo,
Che più non dee a padre alcun figliuolo. Che de più per so pare no ga un fiolo.
Lunga la barba e di pel bianco mista Barba avea longa e grisa, e grisi al pelo
Portava, a' suoi capegli simigliente, In do chioche i cavei zo ghe vegniva. 35
De' quai cadeva al petto doppia lista. I ragi ardenti el venerando aspeto
Li raggi delle quattro luci sante De quele quatro stele ghe schiariva ;
Fregiavan si la sua faccia di lume, E tanto granda la so luse è stada,
Ch'io '1 vedea come '1 Sol fosse davante. Che come in fazza al Sol mi lo scovriva.
Chi siete voi, che contra '1 cieco fiume Chi sè, '1 dise, la barba venerada 40
Fuggito avete la prigione eterna ? Movendo, che d' Inferno ave zo là
Diss'el, movendo quell'oneste piume : Contro el rio scuro la preson scampada ?
Chi v' ha guidati ? o chi vi fu lucerna, Chi mai v' ha fato lume, o v' ha scortà,
Uscendo fuor della profonda notte Per vegnir da la orenda note fora,
Che. sempre nera fa la valle inferna ? Che negra l'infernal valona fa? W
Son le leggi d'abisso così rotte? Xc '1 decreto d'abisso andà in malora?
O è mutato in Ciel nuovo consiglio, O un novo ghe n'è in ciel d'un altro ton,
Che dannati venite alle mie grotte ? Che danai sto mio regno trovi fora?
Lo Duca mio allor mi die di piglio, Fatome alora star el mio panni
E con parole e con mani e con cenni Co le man, co la vose e i moti a drio, 50
Reverenti mi fe le gambe e il ciglio. Rispeitoso a oc. hi bassi e in zenochion,
Poscia rispose lui : Da me non venni : Respondc: No son qua per voler mio',
Donna scese dal Ciel, per li cui prieghi Del cielo m' ha prega una dona pia,
Della mia compagnia costui sovvenni. Che agiuta questo che me tiro drio.
Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi Ma de za che ti voi spiegà te sia, 55
Di nostra ci nuliz iini com'ella è vera, Come semo vegnudi per sto verso,

II / Ptmi = cioè le stelle elic furmano la costellazione dr'lYsri, e che d'alquanto precedevano la sii-"1
Venere su per lo vòlta Ilei cielo.
Z2-23 co = quando — Me no = mi sono. .
24 pari -- padri, Adamo ed Evu progenitori dell'ninan genere, dimorando nel paradiso ImrsIn.. siimi ,
«•coitdo la finzione del Poeta, in cima al mmile del Purgatorio, vedevano di colà le stelle del Polo Antartico.
30 l'Orsa Magior — la costellazione dell'Orai Maggiore, ossia il Carro di Boote.
40 eAi iiè = chi siete.
42 Cantra et rio ncuro = vale a dire: contro il corso del fiume, che resta nelle tenebre della gran caveròi
sottoposta al Purgatorio, che i poeti avevano risalilo.
50 e i muli a drio = e co' cenni accompagnando la mano e la voce.
54 me tiro drio ----- mi faccio venir dietro.
56 verInudi per ilo verso — venuti prr questa parte.
CANTO I. 463
Esser non puote il mio che a te si niegbi. Contento la to vogia co la mia,
Questi non vide mai l'ultima sera, La vita ancora st'omo noi ga perso,
Ma per la sua follia le fu sì presso, Ma per le mate vogie ch'el ga avii,
Che molto poco tempo a volger era. La morte gh'è passada de traverso. CO
Sì come i' dissi, fui mandato ad esso Come t' ho dito, a darghe agiulo a lu
Per lui campare, e non c'era altra via Son sta mandà, nè go trovà altra strada
Che questa per la quale io mi son messo. l'er salvarlo, che questa che ho batù.
Mostrata ho lui tutta la gente ria ; La zente de l'Inferno go mostrada,
E ora intendo mostrar quegli spirti E adesso farghe veder mi voria 65
Che purgan sè sotto la tua balia. Chi soto al to poder fa la purgada.
Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti: Dir come l'ho scortà, longo saria:
Dell'alto scende virtù che m'aiuta Vien dal ciel la virtù che m' ha agiutà
Conducerlo a vederti e a udirti. A condurlo da ti: con cortesia
Or ti piaccia gradir la sua venuta : Riceverlo te piasa. Libertà 70
Libertà va cercando, ch'è sì cara, Lu cerca, e diga quanto la xe cara
Come sa elù per lei vita rifiuta. Chi dà '1 sangue per eia. Ti tei sa
Tu '1 sai, che non li fu per lei amara Che no te xe la morte stada amara
In Utica la morte, ove lasciasti Là in Utica per eia, e al dì final
La veste ch'ai gran dì sarà sì chiara. Se farà la to vesta tanto chiara. 75
Non son gli editti eterni per noi guasti, No xe rota per nu lege imortal;
Che questi vive, e Minos HIT non lega; Che lu vive, e Minòs mi no me tien,
Ma son del cerchio ove son gli occhi casti Ma son co la to Marzia aHnfernal
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega, Cerchio, e par la te prega, omo daben,
O santo petto, che per tua la tegni : Aciò ancora per toa ti te la tegni: 80
Per lo suo an.ore adunque a noi ti piega. Fanè per amor soo donca sto ben ;
Lasciane andar per li tuoi sette regni: Lassine andar per i to sete regni;
Grazie riporterò di te a lei, Sta to finezza a Marzia conterò,
Se d'esser mentovato laggiù degni. Se d'esser menzonà là zo ti degni.
Marzia piacque tanto agli occhi miei, Disc alora Caton : Marzia mi go 85
Mentre ch'i' fui di là, diss'egli allora, Quando viveva al mondo tanto amada,
Che quante grazie volle da ms, fei. Che ho sempre fato el desiderio so.

57 cogiu = desiderio.
60 /.o morie gh'è jiamada de Iraverta = la morie gli passò rasento, cioè fu presso a morire. Allude al
"i.il passo, nel quale si (rovo Dunte nella selva selvaggia: vedi Canto I.
CG C'Ai sntn el lo poder fu In purgada = Catone viene |n:-.iu d. d Poeta a custode del Purgatorio.
73 i'.'.'ir la morie là in t'Uni — Catone si diede la morie in Ulìca, città dell'Africa, affine di sottraici alla
servitù della pttria.
74-75 al di fiinti ce. = al di del giudizio universale la tua veste corporea sarà luminosa - vesta - detto
metaforicamente per corpo.
77 Minòi = giudice dell'Inferno: vedi C. V. v. 4. Inferno.
78 ila ton con M:ir;in toa ce. • Marzia moglie di Catone trovavasi al Limbo con Virgilio: vedi Canto IV.
n. 128. dell' Inferno.
S2 per i lo tele regni = cioè per i sette gironi del Purgatorio del quale Catone è il eustode, Il Monte
del Purgatorio presenta, come fu immaginato dal Poeta, la figura di un cono troncato alla cima. Esso In dicci
simni, o cornici, o balzi, o ripiani come voglionsi chiamare; i primi tre dei quali costituiscono l'antipurgato
rio, uve giacciono i negligenti, e gli nitri suite formano il Purgatorio, e vi si purgano i sette peccati capitoli
eoa quest'ordine: 1 Superbia, 2 Invidia, 3 Ira, 4 Accidia, 5 Avarizia, 6 Gola, 7 Lussuria. I poeti salgono di
girone in girone per scale scavate nel sasso, le "quali divengono loro mon faticose, qaanto più s'avanzano verso
li cima.
83 ita lo finezza -* questa tua cortesia.
87 (o — suo.
DEL PURGATORIO
Or che di là dal mal fiume dimora, Se de là d'Acheronte a star l'è andada,
Più mover non mi può per quella legge Co son fora dal Limbo mi vegnù,
Che fatta fu quand'io me n'usci' fuora. Per lege ogni passion me xe passada. 90
Ma se donna del Ciel ti muove e regge, Ma se t'invia una santa de là su,
Come tu di', non c'è mestier lusinga : Come ti disi, sol per eia fa
Bastiti ben, che per lei mi richegge. La to domanda, che la vai de più.
Va dunque, e fa che tu costui ricinga Va donca, e al fianco ti ghe strenzerà
D'un giunco schietto, e che gli lavi '1 viso, Un venchio lisso, e '1 viso al tempo istesso 95
Sì che ogni sucidume quindi stinga : D'ogni sporchezze ti ghe lavarà ;
Che non si converria l'occhio sorpriso Che andar impotachiai no xe permesso
D'alcuna nebbia andar davanti al primo A l'anzolo davanti, che guardian
Ministro, ch'è di quei di Paradiso. El xe del Purgatorio su l'ingresso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, De sta isoleta in fin del basso pian, 100
Laggiù, colà dove la batte l'onda, Dove l'aqua la sbate atorno via,
Porta de' giunchi sovra '1 molle limo. Nasse i venchi sul tenero paltan.
N'ull'altra pianta che facesse fronda, Pianta con fogie de qual sorte sia,
O indurasse, vi puote aver vita, O che induria, no vogia in zo piegar
Però ch'alle percosse non seconda. De l'onda a l'urto, là no viverla. 105
Poscia non sia di qua vostra reddita; Dopo de qua no ste più indrio tornar:
Lo Sol vi mostrerà, che surge omai, El Sol che sponta mostrerà la strada
Prender il monte a più lieve salita. Manco erta, che sul monte ve fa andar.
Così sparì ; ed io su mi levai L'è scomparso ; e mi, dopo sta parlada,
Senza parlare, e tutto mi ritrassi Levà in pie, al Mostro, senza boca avrir, 110
Al Duca mio, e gli occhi a lui drizzai. M'ho tirà arente, e go impiantà un ochiada.
Ei cominciò : FigliuoI, segui i miei passi : Vien con mi, fiolo, elo scomenza a" dir,
Volgiamei indietro, che di qua dichina Voltemo adesso indrio per qua le piante,
Questa pianura a' suoi termini bassi. Che sto pian va belbelo in zo a fmir.
L'alba vinceva l'ora mattutina, L'alba fava in spontar lustro el Levante, 115
Che fuggia innanzi, sì che di lontano E ho visto da lontan, l'ochio fissando,
Conobbi il tremolar della marina. . De la marina l'onda tremolante.
Noi andavam per lo solingo piano Per solitario pian se andcmo inviando
Com'uom che torna alla smarrita strada, Come chi torna su la persa strada,
Che infino ad essa li par ire 'nyano. Che ghe par sin a quela andar de bando. 120
Quando noi fummo dove la rugiada Co arivai seino dove la rosada,
Pugna col Sole, e per essere in parte Resiste al Sol, e stando eia a l'ombria
Ove adorezza, poco si dirada, Se mola ci giazzo un fià che l'ha formada,
Ambo le mani in su l' erbetta sparte Averte le do man la Guida mia
Soavemente il mio Maestro pose; Su l'erba le ha puzade con bon sesto; 125

SS Acheronte = fiume infernale.


96 ì)a ogni sporchczzo --. da ogni macehi.i, brnttnra.
07 imjintachiai — imbrattati.
MS A t'anzotn ttavanii = accenna l'angelo elic vedremo all'ingresso del Purgatorio.
120 andnr de banda - - andare i'julilmente.
121 Co - quando - rosada = rugiada.
123 se mula = si scioglie .... un fià — un poco.
125 puzatfa con bon iato = poggiate con buon garbo.
CACTO II. 165
che fui accorto di su' arte, Mi che la so intenzion go za capia,
Porsi ver lui le guance lagrimose : El viso lagremoso go sporzesto :
Quivi mi fece tutto discoperto Co dal sporco infernal lu m' ha forbio,
Quel color che l' Inferno mi nascose. Del color che avea avanti alora resto.
Venimmo poi in sul lito diserto, Semo po zonti sul deserto lio 130
Che mai non vide navicar sue acque Del mar, che navegà nissun ga ancora,
l'uin, che di ritornar sia poscia esperto. Che sapia el modo de tornar indrio.
Quivi mi cinse, sì come altrui piacque : Come n" ha '1 vechio consegià là sora,
O maraviglia! che qual egli scelse Qua un venchio el me ga streto a la centura,
I. "umili! pianta, cotal si rinacque Che proprio in dove lo ha cavà lu fora, 135
Subitamente là onde la svelse. Taiqual rinato, oh caso ! el xe a dritura.

127 sporteslo =* sporto.


U'S Co = quando.
130 zonti — pervenuti.

CANTO SECONDO
ARGOMEiNTO ARGOMENTO

All'apparire del nocchier celeste, Sta el piloto del ciel per comparir,
Che a {arsi belle l'anime conduce, Che là a purgarse l'anenne conduse,
Nude di qua di lor terrena veste, E apena Dante el 1' ha possù scovrir,
Vinto il Poeta da cotanta luce, Se mete, per rispeto a quela Insù.
Cala con umiltade le ginocchia In zenochio e a man zome avanti a eia.
Davanti al messo dell'eterno Duce; Fra le tante sbarcae ombre coafuse,
Indi fra l'ombre il suo Casella adocchia. I .' ha conossa l'amigo soo Cascia.

Già era il Sole all'orizzonte giunto, In quel sito spuntava a l'orizonte


Lo cui meridian cerchio coverchia El Sol co i ragi d'oro, giusto quando
Jerusalem col suo più alto punto : Lo ha visto andar Gerusalemme a monte:
E la notte che opposita a lui cerchia, E al contrario del Sol la note andando,
Uscia di Gange fuor colle bilance, Coi balanzìni el Gange la lassava, 5
Che le caggion di man quando soverchia ; Che i ghe casca de man, co più stongando
Si che le bianche e le vermiglie guance, La va del dì ; perciò dove mi stava,
Là dovè io era, della bella Aurora, El bianco e '1 rosso de la bela aurora
Per troppa etate divenivan rance. In color do naranza se cambiava.
Noi eravam lunghesso '1 mare ancora, Su la riva del mar stavimo alora 10
Come gente che pensa suo cammino, Come al stradai chi pensa da tegnir,

1-3 in quel aito ece. = II Poeta pone il Purgatorio antipode a Gerusalemme. = giusto = per I appunto.
4-7 E al contrario del Sol In noie andando ce. = la notte, che diametralmente opposta al Sole gira, sor
geva fuori del fiume Gonne, accompagnata dal segno della Libra (coi baltmzini), il qual segno cessa d accompa
gnarla quando essa i falla più lunga del giorno.
466 DEL PURGATORIO
Che va col coro, e col corpo dimora : Chi va col cuor, e i pie sta fermi ancora.
Ed ecco qual, su '1 presso del mattino, E come quando el zorno \c in vegnir,
Ver li grossi vapor Marte rosseggia Per causa dei vapori, là a Ponente,
Giù nel ponente sopra '1 suoi marino; Se vede som el mar Marte a rossir; 15
Colai m'apparve, s'io ancor lo veggia, Scoverzo, oh la 'vedesse novamente!
Un lume per lo mar venir si ratto, Luse avanzar sul mar tanto infugada,
Che'l mover suo nessun volar pareggia; Che no gh'è osel che possa starghe arente;
Dal qual conf io un poco ebbi ritratto La qual, insin che al Mestro bo dà un ochiada
L'occhio per dimandar lo Duca mio, Per domandarghe cossa mai la sia, 20
Rividii più lucente e maggior fatto. L' era più granda e chiara deventada.
Poi d'ogni lato ad esso m'appario Dopo una roba bianca ghe scovria
Un non sapea che bianco, e di sotto Sporzerghe da le bande, e a questa solo
A poco a poco un altro a lui n' uscio. A poco a poco un altra ne sortia.
Lo mio Maestro ancor non fece motto El Dotor no ga fato nissun moto 25
Mentre che i primi bianchi apparser ali. Sin che nei bianchi el scovre dai do lai
Allor che ben conobbe il galeotto, Le ale; ma apena conossù'l piloto,
(iridò: Fa, fa che le ginocchia cali; 7.o -t.o in zenochio, el m' ha cigà che mai,
Ecco l'Angel di Dio : piega le mani : Eco 1" M n zoi de Dio: zonta le man:
Omai vedrai di si fatti u ficiali. Compagni a lu ti'n vederi oramai. 30
Vedi che sdegna gli argomenti umani, Varda, noi voi nissun conzegno uman :
Sì che remo non vuoi, nè altro velo Remo noi voi, nè'l ga altra vela a prua
Che l'ale sue, tra lili si lontani. Via de l'ale; e'1 x'mn tanto da lontan.
Vedi come l'ha dritte verso '1 cielo, Varda, che al ciel le tien drizzae, e '1 nua
Trattando l'aere con l' eterne penne, Con quele pene che no ga mai fm, 35
Che non si mutan come mortai pelo. E come le mortali, no se mna.
Poi come più e più verso noi venne Quando po el ie arivà più a nu vicin,
L'uccel divino, più chiaro appariva; Più la so luse la s' ha fata viva,
Perchè l'occhio da presso noi sostenne, E tanto, che sbassar go i ochi insin
Ma chinaii giuso ; e quei sen venne a riva Doveste; e s'una barca el vien a riva W
Con un vasello snelietto e leggiero Svelta svelta cussi, cussi leziera,
Tanto, che l'acqua nulla ne inghiottiva. Che a fior d'aqua l'andava via gualiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero, Del mariner divin che a pope gera,
Tal. che parca beato per iscripto ; Sul fronte santità parea scolpia :
E più di cento spirti entra sediero. Drento d' aneme stava un centenera. *i

15 Marle = la stella Marte = a roiiir - a rosseggiare, a motivo dei più densi vapori a Ponente.
17 tanto infagada = con tanta foga, celerilà.
18 urente = vicino.
22-23 Dopo una roba Inaura te. T= I due bianchi, che a destra e a sinistra della luce apparivano in lon
tananza, erano le indistinte ali di un angelo, dalla cui faccia raggiava la della luce.
24 un'ahto ne sartia = un'ultra roba bianca, ch'era il vestimento.
26 ((ni do Ini = dai due lali.
28 i-in' mai -- avv. 'usato per aggiungere forza ad una azione qualunque.
29 r.'iniii le mnn -.-- tieni le mani giunte.
31 I"III:I'fIHII ---- ordigno, arnese e simili.
34 mia = nuota.
36 tutto = cangia.
42 gualiva » senza ondeggiamento, egualmente piana.
45 mi centtnern . -.- un centinaio-
CANTO II. 467.
/« exilu Isràel de jEgijplo In exitu hrael de Eyypto, e via
Cantava» tutti insieme ad una voce, Col resto de quel Salmo luti canta,
Con quanto di quel salmo è poscia scripto. Mandando insieme sola un armonia.
Poi fece il segno lor di santa croce ; Po benedia la trupa tuta quanta,
Ond' ci si gittàr tutti in sulla piaggia, Lesto, come vegnù, l' o tornà indrio, SO
Ed ei sen gì, come venne, veloce. E quela ga sul lio puzà la pianta.
La turba che rimase li, selvaggia Come chi in veder novità inzochio
Parea del loco, rimirando intorno, Resta, d'aneme el grumo là arivà
Come colui che nuove cose assaggia. Api.jiu, el logo intorno incocalio
Da tutte parti saettava il giorno L'ochiava. Da do ore el Sol levà, 55
Lo Sol, ch" avrà colle saette conte I.' aveva co la frezza soa infogada
l>; mezzo '1 ciel cacciato il Capricorno ; Ha mezzo al ciel la Cavra descazzà,
Quando la nova gente alzò la fronte Co quela zente verso nu voltada,
Ver noi, dicendo a noi: Se voi sapete, Insegnane, la dise, se suvò,
Mostratene la via di gire al monte. D' andar sul monte quala sia la strada. 60
E Virgilio risposi- : Voi credete Responde et Mestro : Vualtri credere
Forse che siamo sperti d'esto loco; Forsi che nu sti loghi conossemo,
Ma noi sem peregrin, comè voi sete. Ma novi scmo come vualtri se.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, Un lìà prima de vii rivai qua semo
Per altra via, che fu sì aspra e forte, Per una strada indiavolada assae, 65
Che lo salire omai ne parrà gioco. Che andar a spasso l'andar su stimemo.
L'anime che si fùr di me accorte, Apena s' ha quel aneme intagiae
Per lo spirar, che io era ancor vivo, Dal mio respiro che so ancora vivo,
Maravigliando diventaro smorte; Stupindo le xe smorte deventae.
E come a messaggier, che porta olivo, Come drio un Messo coronà d'olivo, 70
Tragge la gente per udir novelle, Core zente a scollar qualche novela,
E di calcar nessun si mostra schivo ; E no ghe xe a far bozzolo un tardivo;
Così al viso mio s'affisar quelle Cussi coi ochì fissi, tuta quela
Anime fortunate tutte quante, • Sora mi stava fortunada zente,
Quasi obliando d' ire a farsi belle. D' andar quasi scordando a farse bela. 75
lo vidi una di lor trarresi avante Uno de quei go ochlà farmese arente
Per abbracciarmi con sì grande affctto, Per abrazzarme con un tal afeto,
Che mosse me a far lo somigliante. Che i brazzi ho sporti a lu l'istessamente.
O ombre vane, fuor che nell'aspetto ! O ombre vode for che ne l'aspeto !
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi, Le man drio lu tre volte me incrosava, 80

46 In exilu re. = Salmo di ringraziamento » Dio per l'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto.
51 Ho - - lito.
52 iazoehio = sbalordito.
53 grumo = mucchio, drappello.
54 incoealio = trasognalo.
57 la Cavra - il segno del Capricorno.
58 Co = quando.
61 come vualtri *c - -: come voi siete.
64 Un /là prima = un momento prima.
67 intagiae =. accorte.
68 (7ti- to - - elic io sono.
72 bozzolo = circolo di persone, capannello = un tnnlh'O - uno in ritardo.
75 a fanè bela = cioè a purgarsi e rendersi degna drlla gloria ceiosie.
.468 DEL PURGATOniO
E lante mi tornai con esse al petto. E le me xe tornae tre volle al pelo.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi; El mio viso stupor certo mostrava,
Perchè l'ombra sorrise e si ritrasse, Perchè lu reculava soridente,
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi. E incontro a elo i passi mi sìongava.
Soavemente disse, ch' io posasse : Che tralassa, ci me u^ise dolcemente : 85
Allor conobbi chi era, e pregai L'ho alora conossudo, e l'ho pregà
Che per parlarmi un poco s'arrestasse. di' el se ferma un pocheto solamente
Risposcmi : Così com' io t'amai Per parlarme. El respoiide: Come amà
Nel mortai corpo, così t'amo sciolta; Te go quando ho vissù, t'amo anca adesso;
Però m'arresto: ma tu perchè vai? Perciò me fermo: e ti perchè ti è qua ? 90
Casella mio, per tornare altra volta Casola, per rcfar sto viagio istesso
Laddove io son, fo io questo viaggio, Son qua vegnù, ghe digo, ma, fradelo,
Diss' io ; ma a te come tant' ora è tolta ? Chi t' ha fato aspetar tanto sto ingresso ?
Ed egli a me : Nessun m' è fatto oltraggio, Lu dise: Un torto no i m" li, i usà, se quelo
Se quei, che leva e quando e cui gli piace, Che tol in barca chi ghe piase più, 95
Più volte m' ha negato esto passaggio ; M' ha negà lante volte ci so batelo ;
Che di giusto voler lo suo si face. Perchè quel che Dio voi, voi anca lu.
Veramente da tre mesi egli ha tolto Per altro da tre mesi chi là drento
Chi ha voluto entrar con tutta pace. Voleva entrar, l' ha in pase tolto su :
Gnu? io che er'ora alla marina volto, Tanto xe vero, ch 'elo za un momento, 100
Dove l'aqua di Tevere s' insala, Dove se scarga el Tevere nel mar,
Benignamente fui da lui ricollo. De torme in tei batel l' è sta contento.
A quella foce ha egli or dritta r ala ; Desso a quel sboco el torna a navegar,
Perocchè sempre quivi si raccoglie, Che là xe sempre el logo de racolta
Qual verso d'Acheronte non si cala. De chi a l'Inferno no ghe loca andar. 105
Ed io : Se nuova legge non ti toglie E mi: Se lege nova no t'ha tolta
Memoria o uso all'amoroso canto, Memoria o usanza a l'amoroso canto,
Che mi solea quetar tutte mie voglie, Che calmae le passion me ga ogni volta,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto De la to vose fa sentir l' incanto,
L'anima mia, che, con la sua persona Che a sto spirito mio conforto dona, 110
Venendo qui, è affannata tanto. Che a vegnir qua col corpo ha patio tanto.
Amor che nella mente mi ragiona, Amor che nella mente mi rayiona,
Cominciò egli allor sì dolcemente, I . ha scomenzà el so canto dolcemente
Che la dolcezza ancor dentro mi suona. Cussi, che ancora el dolce in cuor me sona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente Stavimo ci Mestro, mi e quela zente i 15
C li' eran con lui, parevan sì contenti, Vegnua con lu, sì atenti là fermai,
Com' a nessun toccasse altro la mente.' di' altro no ne passava per la mente.

83 rcculava = indietreggiava.
85 Che troiana = che tralasci, che cessi; s'intende dall'inutile sforzo per abbracciarlo.
111 Caiela — fu un eccellente musico fiorentino, dal canto tlel quale traeva soumio diletto il Poeta amiro
di lui -. : per refar sto viagto = cioè quando sarò morto. ,
94 se quelo : cioè l'angelo nocchiero.
98 Per altro da tre mesi = cioè dall'incominciamento del Giubileo, vale a dire dal Natale del 1299.
101 Dove se teurgo ci Tevere nel mar = Era credenza popolare assai diffusa, elic l'anime dei defunti fos
sero tragittate in isole. Senonchè Dante elesse qui il luogo elic più importava alla Chiesa. Come i pellegrini vi
venti andavano a Roma per l'indulgenza del Giubileo, cosi vi mamlu le anime, elic devono andare al Purgatorio.
112 Amor ee. •. . cosi comincia una cantone delle più nobili di Dante ch'egli pose nel Convito.
CANTO ii. 469
Noi eravam tulli fissi ed attenti Tuli a quel canto gerimo incantai,
Alle sue note, ed ecco il veglio onesto, Quando eco vien Caton tra nu criando :
Gridando : Che è ciò, spiriti lenti ? Cossa feo fermi qua come cocai? 120
Qual negligenza, quale stare è questo ? Spiriti pegri, cossa steo qua oziando ?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio, Core al monte i pecai a descargar,
('.ir esser non lascia a voi Dio manifesto. Che ve fa velo a Dio. E come quando
Come quando, cogliendo biada o loglio, Un seluapo de colombi a becolar
Gli colombi adunati alla pastura, Sta ingrumadi tranquili la pastura, 125
Queti, senza mostrar l'usato orgoglio, E più no i va cimai come i sol far,
Se cosa appare orni" elli abbian paura, Se qualcossa i ga ochià d'aver paura,
Subitamente lasciano star l'esca, I lassa in bota el gran, e po i se sbanda,
Perchè assalili son da maggior cura; Che de scampar più i sente la premura;
Così x iil' in quella masnada fresca Cussi ho visto trotar, lassà da banda 130
Lasciar il canto, e fuggir ver la costa, El canto, quela trupa incontro al monte,
Com' unin che va, nè sa dove riesca : Come chi va, nè sa da quala banda.
Nè la nostra partita fu men tosta. Nè manco è stae le nostre gambe pronte.

119 m'ando = sgridando.


120 come cacai = cioè, imbalorditi.
123 Che ve fa velo a Dio — cioè che vi toglie la vista (li Dio.
124 Un iehiapo — uno stormo.
126 cimai' = pettoruti, orgogliosi = came i tal far = come sogliono fare.
128 in 6ó(o = subito.
130-131 tiasà da banda El canto - intralascialo il canto.
470 DEL PURGATORIO

CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Non san li due come si salga al monte. Per andar sora el monte xn intrigai
Pero pensosi del cammin si stanno I do Poeti, che no sa la strada,
Col core incerto, e con lor voglie pronto. E pensierosi e incerti i stn fermai.
Ma una schiera di spiriti, chn vanno Ma una trupa che a far va la purgada
A farsi belli poi regno felice, Per el cini, là arivada proprio alora,
Mostrau la via. Manfredi apra il suo afianno, (ìhe la mostra. Manfredi qual xe stada
Nipote di Costanza Imperatrice. D'elo la morte el conta, e se dolora.

Avvegnachè la subitana fuga Siben che a l'improviso nel scampar


Dispergesse color per la campagna, I s'abia sparpagnai per la campagna'
Rivolti al monte, ove ragion ne fruga ; Incontro al monte che ne fa purgar;
Io mi ristrinsi alla fida compagna : M' ho lirà in coste a quel che me acompagna.
E come sare' io senza lui corso ? Podea mi corer senza el mio Dotor? 5
Chi m'avria tratto su per la montagna ? Chi scortà m'avaria su la montagna ?
Ei mi parea da se stesso rimorso : M'ha parso ch'elo istesso abia rossor
O dignitosa coscienza e netta, De lu : Oh consienza dignitosa e pura,
Come t" è picciol fallo amaro morso ! Come te rode un picol l'alo ci cuor !
Quando li piedi suoi lasciar la fretta, Co '1 ga lassà del corer la premura, 10
Che l'onestadc ad ogni atto dismaga, Che a la persona lol la gravilà,
La mente mia, che prima era ristretta, La mente prima persa in altra cura,
Lo intento rallargò, si come vaga, Curiosa stava a ochiar le novità ;
E diedi il viso mio incontro al poggio, E al monte, che da l'aqua più se leva
Che inverso il elei più allo si distaga. D'ogn'altro incontro al ciel, me son volta. 15
Lo Sol, che dietro fiammeggiava roggio, El Sol rosso inuamà drio a mi l'ardeva,
Rotto m'era dinanzi, alla figura E puzà a la mia schena el ragio dreto,
r.h' aveva in me de' suoi raggi l'appoggio. A mi davanti l'ombra mia fazzeva.
Io mi volsi da lato con paura M' ho tirà in banda col tremazzo in peto,
D'essere abbandonato, quando i' vidi Co in tera ho vista sola l'ombra mia, 20
Solo dinanzi a me la terra oscura : Che d'esser sbandonà go avù sospeto.
E '1 mio Conforto : Perchè pur diffidi, Voltà '1 Mestro da mi, dise : Mo via,
A dir mi cominciò tutto rivolto ; No ti ha più fede in mi? No t' ho promesso
Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi ? Che sarò la to Guida anca qua via?
Vespero è già colà, dov'è sepolto Soto tera, dov'è za sera, messo 25
Lo corpo, dentro al quale io facev'ombra : Xe '1 mio corpo, nel qual mi go fato ombra;
Napoli V ha, e da Brandizio è tolto. L'era a Brindisi, e a Napoli el xe adesso.
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra, Se donca avanti a mi no ghe xe l'ombra,

4 m costt ---. accosto, a fianco.


10 Co = quando.
12 La mente in pi-ima pena in altra cura = la inente da prima preoccupala in ultra.
19 tremazzo - tremore, tremito.
25-27 dov'è za tera —- Se nel Purgatorio il Sole era levalo da più di due ore, d'ultreltanto doveva cssort
tramontato a Gerusalemme punto nntipodo, ma in Italia tanto occidentale riguardo a Gerusalemme mancava
un'ora al tramonto. Dà Brinditi, ove Virgilio mori, fu tolto il suo corpo e portalo a Napoli.
OA.YTO IH. 4 71
Non ti maravigliar più che de' cieli, No te far maravegia più de quelo, 9
Che l'm!n all'altro raggio non ingombra. Che un cielo no fa a l'altro nissun'ombra. 30
A sofferir tormenti e caldi e gieli I corpi, com'el mio, n Caldo, e gelo
Simili corpi la' Viriù dispone, Sente e i tormenti ; cossi Dio despone,
Che come fa non vUOl ch'a noi si sveli. Nr a nu voi far saver quel ch'el fa Elo.
Matto è chi spera che nostra ragione Mato xe chi l'infinità propone
Possa trascorrer la infinita via, De Dio co la so lesta scrutinar, 35
Che tiene una sostanzia in tre persone. Co una sostanza sola in tra persone.
State contenti, umana gente, al quia ; Omo, sta ai fati, e al resto no pensar :
Che se potuto aveste veder tutto, Se avesse visto luto la to mente,
Mestier non era partorir Maria ; Maria podeva ci parto tralassar.
E disiar vedeste senza frutto Bramar ti ha visto senza pro tal zente, 40
Tai, che sarebbe lor disio quetato, Ch'el desiderio i avaria apaga,
Ch'eternalmente è dato lor per lutto. Che i ga per pena al Limbo eternamente.
Io dico d'Aristotile e di Piato, De Platon, d'Aristotelc z0 là,
E di molti altri. E qui chinò la fronte ; E d'altri parlo. E in laser, qua la testa
E più non disse, e rimase turbato. Pien de malinconia el ga sbassà. 45
Noi divenimmo intanto appie del monte: Vegnimo intanto al pie de l'alia crosta;
Quivi trovammo la roccia si erta, E la eroda trovemo cussi erta,
Che indarno vi sarien le gambe pronte. Che a montarla no vai la gamba lesta.
Tra Lerici e Tm Ina, la più diserta, Tra Lerici e Turbia la più deserta,
La più rotta ruina è una scala, La più sbregada eroda, la saria 50
Verso di quella, agevole ed aperta. Scala in confronto suo comoda e averta.
Or chi sa da qual man la costa cala, Chi sa a qual man manco erto el monte sia,
Disse '1 Maestro mio fermando il passo, Disc el Mestro fermandose pensoso,
Sì che possa salir chi va senz'ala ? Da poder senza l'ale andar su via ?
E mentre che, tenendo il viso basso, Insin ch'elo, tegnindo el viso in zoso, 55
Esaminava del cammin la mente, El passo a scandagiar la mente el stanca,
Ed io mirava suso intorno al sasso, E atorno el monte mi vardo curioso,
Da man sinistra m'apparì una gente Eco d'aneme un grumo a parte zanca
D'anime, ciic movieno i pie ver noi, Vegnirme incontro tanto lìacamente,
E non pareva, sì venivan lente. Che insin parca le se movesse gnanca. GO
Leva, dissi al Maestro, gli occhi tuoi : Ochi. i, digo al Dotor, ochia sta zente,
Ecco di qua chi ne darà consiglio, Che ne dirà qual strada far podemo,
Se tu da te medesmo aver noi puoi. Se da per ti saver no ti poi gnente.

30 Cht un citlo no fa a l'altro nittun ombra — perche i cieli sono lutti perfettamente diafani.
36 Co una -.. con una.
38-39 » ni-istf vino tee. = che è quanto } dire: Se colle potenze naturali aveste potuto veder tulio, non
era duopo che Maria partorisse il Redentore, poiché Adamo non avrebbe peccato vedendo la ragione del divino
dmrto ben diversa dal diabolico: Erilia sicut Dii (Gen. III. 5.)
40-43 Bramar li ha vitto ir. . - vedi i v. 41, 42 del C. IV. dell'1ni Senio ./•tn pern/ e tulli coinìaaai A bra
mar Dio trina speranza
44-45 /.' in laser, i.Iuà ee. :.-. Virgilio a questo punto abbassò malinconica la testa, pensando che egli pure
Iroravasi nel Limbo privato della vista di Ilio.
47 inulu = roccia.
49 L'ini e Turbin ... due luoghi posti nella riviera di Genova, il primo a Levante, l'altro a Ponente, nel
quale tratto sonovi monti assai alti e scoscesi.
5S grumo -- mucchio.
472 DEL PURGATORlO
•Guardommi allora, e con libero piglio Me varda, e: Spera, fìol, da lori andemo
Rispose: Andiamo in là, ch'ei vengon piano; lncontro, franco el me responde alora, 65
E tu ferma la speme, dolce tìglio. Chè in qua i vien tropo a pian. Fati nu avemo
Ancora era quel popol di lontano, Un mier de passi, e le ne gera ancora
l' dico dopo i nostri mille passi, Quanto un sasso da un bon brazzo sianzà
Quanto un buon gittator trarrla con mano ; Quel'ancme lontane; quando sora
Quando si strinser tutti a' duri massi Ai masegni ingrumac le s' ha puzà "O
Dell'alta ripa, e sunter fermi e stretti, Del monte, e tute le xe là rcstae,
Come a guardar, chi va dubbiando, stassi. Come un tra '1 dubio varda, e fermo sta.
O ben lmiti, o già spiriti eletti, O morti in ben, o aneme graziae,
Virgilio incominciò, per quella pace Virgilio ha scomenzà, per quela pase
Ch'io credo che per voi tutti s'aspetti, Per la qual sè, mi credo, destinae, 75
Ditene dovè la montagna giace, Da che banda disene, se ve piase,
Sì che possi hi 1 sia l'andare in suso; Se poi per la montagna montar suso:
Cla': M perder tempo a chi più sa più spiace. Chè a chi più sa, più l'oziosar despiase.
Come le pecorelle escon del chiuso Coine fora dal eoo sortir ga l'uso
Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno A una, a do, a tre le piegorete, 80
Timidette atterrando l'occhio e '1 muso, E le altre intimidie le cala el muso,
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, E la prima imitar tute se mete,
Addossandosi a lei s'ella s'arresta, Se la se ferma, e no le sa '1 motivo,
Semplici e quete, e lo 'mperchc non sanno : Le ghe va adosso inocentine e quiete :
Sì vid'io mover, a venir, la testa Cossi vegnir mi da là via scovrivo, 85
Di quella mandria fortunata allotta, l primi de la trupa benedeta
Pudica in faccia, e nell'andare onesta. Modesti in viso e col andar tardivo.
Come color dinanzi vider rotta Co quei davanti ha ochià che a la mia dreta
La luce in terra dal mio destro canto, Rota gera del Sol la luse in tera,
Sì che l'ombra era da me alla grotta, Chè al monte l'ombra mia gera direta, '•"'
Ristaro, e trasscr sè indietro alquanto; Fandose indrio i resta là de piera;
E tutti gli altri, che venieno appresso, E tuti i altri che ghe vien darente
Non sappimdo il perchè, fero altrettanto. Fa istesso, no savendo cossa gera.
Senza vostra dimanda io vi confesso, Senza che fe domande, schisamente
Che questi è corpo uman che voi vedete, Ve digo, a eli el Dotor, che vivo è quelo 95
Per che il lume del sole in terra è fesso. Che rompe el ragio al Sol e v'è presente :
Non vi maravigliate ; ma credete, No ve maravegiè; chè xe, credelo,
Che, non senza virtù che dal ciel vegna, Per volontà de Chi ga in cielo el regno,
Cerca di soverchiar questa parete. Se montar l'erta eroda el cerca elo.
Così '1 Maestro. E quella gente degna, Tornè indrio donca, se gavè sto impegno, 100
Tornate, disse, mirale innanzi dunque, C.u nu, quei dise, e avanti a nu andè via,
Co' dossi delle man facendo insegna. E co le man roverse i ne fa '1 segno.

70 iiujruinne = ammncchiate.
75 sè = siete.
79 ilitl eoo = dal covo.
88 Co — quando.
92 Darente = dappresso.
101 Co nu -: con noi.
102 oo le man roecrse = con le mani rovescie.
CANTO IH. 4 73
Ed un di loro incominciò : Chiunque E un me dlse : Qualunque ti te sia,
Tu se', così andando volgi il viso, Voltile, e andando di' se mai de là
Pon mente, se di là mi vedesti unque. Ti m' ha visto ; ochìa ben sta fazza mia. 105
Io mi volsi ver lui, e guardaii fiso : Voltandome da lu l'ho ben fissà:
Biondo era e bello, e di gentile aspetto ; L'era un bel biondo e de zentil aspeto,
Ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. Ma un gran colpo de siabola spacà
Quand'i' mi fui umilmente disdetto Gavea una cegia. Quando con rispeto
D'averlo visto mai, ei disse : Or vedi : Go dito che no l'ho mai visto: Vedi, 110
E mostrommi una piaga a sommo il petto Mostrandone una piaga in cima al peto,
Poi disse sorridendo : l' son Manfredi, Me dise soridendo, son Manfredi •
Nipote di Gostanza imperadrlce : Nevodo de Costanza Imperatore ;
Ond'io ti prego che quando tu riedi, Tornando su, va, a sto mio prego cedi,
Vadi a mia bella figlia, genitrice Da mia fia bela, mare de chi onora 115
Dell'onor di Cicilia e d'Aragona, I troni de Sicilia e de Aragona ;
E dichi a lei il ver, x'altro si dice. Dighe sto fato se i lo descolora :
Poscia ch' i" ebbi rotta la persona Co per do gran ferie la mia persona
Di due punte mortali, io mi rendei Restada è moribonda, in mezo ai pianti
Piangendo a Quei che volentier perdona. Me son dà a Chi de tuto cuor perdona. 120
Orribil furon li peccati miei ; I inii pecai xe stadi orendi e tanti ;
Ma la bontà infmita ha si gran braccia, Ma cossi granda è la bontà de Dio,
Che prende ciò che si rivolve a lei. Che abrazza chi a Lu core tuli quanti.
Se'l pastor di Cosenza, ch'alia caccia Se '1 Pastor de Cosenza ben capio
Di me fu messo per Clemente, allora Questa gran verità l'avesse alora 125
Avesse in Dio ben letta questa faccia, Che Clemente lo ha invià per darme drio,
L'ossa del corpo mio sarieno ancora I mii ossi sarave là de sora
In co' del ponte presso a Benevento, A pie del ponte ataco a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora. De sassi soto una gran mota ancora.
Or le bagna la pioggia e move il vento Ma la piova li bagna e move el vento 1 30
Di fuor dal Regno, quasi lungo il Verde, Drio '1 Verde in altro regno portai là,
Ove le trasmutò a lume spento. Co gnanca un candeloto. In t'un momento

105 ila fazza mia = questo mia farcia.


109 ccgia — ciglio.
112 Manfredi — figlio naturale di Federigo II, morto alla battaglia di Benevento avvenuta nel 28 Febbraio
1266; ed essendo Daul» nato nella primavera del 1205, non poteva aver conosciuto Manfredi.
113 Costanza = figlia di Ruggicro re di Sicilia, e moglie di Arrigo VI padre di Federigo II.
1 1.5-1 10 da mia pa bela = questa ebbe nome Costanza come la nonna, r fu moglie di l'ietro re di Aragona,
quegli che occupò la Sicilia dopo il famoso Vespro Siciliano nel 1282.
117 « i lo descolora = se svisano il fallo.
118 Co = quando.
121 / mii /i' fui ce. = Manfredi fu fiero nemico della Cliiesa onde fu scomunicato.
124-126 Se'l Pastor de Costerna — L'Arcivescovo di Cosenza fu inviato da Papa Clemente IV al re Carlo
per moverlo contro Manfredi. L'Arcivescovo legato del Papa, dava la caccia a Manfredi incitandogli contro il po
polo = per darme drio = per inseguirmi.
127-131 / miV ossi tarane ee. - le mie ossa sarebbero cec- Si narra elic il re Carlo I. non volle elic il ca
davere di Manfredi, morto nella battaglia di Benevento, fosse seppellito in luogo sacro, ma a pie dei ponte di
Beuevento, ove sopra la sua fossa per ciascun dell'oste fu gettata una pietra; onde si feec una grande massa di
sassi. Da questo luogo furono poi disseppellite le dette ossa dall'Arcivescovo di Cosenza e trasportate lungo il fiume
Verde, che scorre fuori dei contini del regno di Puglia - atato . vicinissiino - - dc iani totto una gran mola
= sotto una grande massa 'di sassi = Drio'l Verde = lungo d Verde.
132 Co gnanca = Con nemmeno.
474 DEL PURGATORlO
Per 1or maladizion sì. non si perde, Solo no perde, no, el scomunicà,
Che non possa tornar l'eterno amore, Ma ancora el poi aver de Dio Pamor;
Mentre che la speranza ha fìor ilei verde. Chè gh'è speranza insin che ghe xe fià. 135
Ver è che quale ia contumacia muore Xe però vero che chi in dolo mor
Di Santa Chiesa, ancor che almi si penta. Co la Chiesa, ciben ch'el sia pentio,
Star li convicn da questa ripa in Cuore i IH a ghe toca star del Purgador
Per ogni tempo, ch'egli è stato, trenta, Per trenta volte el tempo che imlurio
ln sua presunzion, se tal decreto El xe restà in pecà, quando noi sia 140
Più corto per buon prieghi non diventa. Scurià da una preghiera acela a Dio.
•Vedi oramai se tu mi puoi far lieto, lamr adesso sto ben ; de là su via
Rivelando alla mia buona Gostanza D'averme visto qua varda informar,
Come m'hai visto, ed anco esto divieto; E de sta lege, la Costanza mia :
Chè qui per quei di là mólto s'avanza. Ch'el pregar là, qua assae fa guadagnar. 145

133 no perde no 'l scomunicà — vedi sopra la noia 121.


135 insin che ghe xe /m . nioilo proverbiale, e vale chi li.i tempo ha vita.
136 in dolo -... in disgrazia per colpe commesse.
Hl Scartà = accorciato.

CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Stanco per lo salir sul poggio, siede Dante per rcposar la gamba stanca
Dante, ed ammira li rai rilucenti D'andar su l'erto monte, la ferma
Del Sol, che quivi da sinistra il fiede. Varda ci Sol, clic ghe batn a parta zanca.
E cola trova che de' negligenti K la dei negligenti el ga trovà
Si purga il vizio, e Belacqua conosce. Che purga el vizio, e lìolaqua el conosse
Che la sen giace fra gli spirti lenti, Che de le so orazion per carita
E orazion desira alle sue angosce. Lo prega, clic ghe scurta le so angosse.

Quando per dilettanze ovver per doglie, Co una potenza sua l'anema stanza
Che alcuna urlù nostra comprenda, Su nu, per dogia o da un piacer chiamada,
L'anima bene ad essa si raccoglie, La tien drio qucla co una tal costanza,
Par ch' a nulla potenzia più intenda: Che insin par l'abia ogn'altra abandonada:
E questo è contra queir min, che orede Fato contrario al creder de la zmin
Che un'anima sovr' altra in noi s'accenda. Che in nu sia più d'un anema scrada.
E però quando s' ode cosa o vede, Se una cassa perciò se vede o sente,
Che tenga forte a sè l'anima volta, Che drio d'eia vien l'anema tirando,
Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede : Va" l tempo, e l'omo no s'incorze gnente:
Ch'altra potenzia è quella che l'ascolta, Chè la potenza, che la sta fissando, 10

1 Co = quando.
I per dogia :- per duolo.
3 co una = con un i.
5-6 Datone opinò clic fossero nell'uomo tre anime; la vegetativa nel fegato, la xeuriliva nel cuore, ls i*
telititir u nel cervello: lui.clic credevusi dalla gente d'allora.
CANTO iv. 475
E l'altra è quella che ha l'anima Intera: No xe de l'altra eguai che no laora :
Questa è quasi legata, e quella è sciolta. Libera è quela, e questa sta de bando.
Di ciò ebh'io esperienza vera, De tanto ho avudo ini la prova alora
Udendo quello spirto, ed ammirando; Che Manfredi in scollar gera incantà
Che ben cinquanta gradi salito era i In modo, che cressù de più d'un ora 15
Lo Sole, ed io non m'era accorto, quando El Sol, mi me ne son solo intagiù
Venimo dove quell'anime ad una Quando la zente che va a farse pura,
(iridaro a noi: Qui è vostro dimando. Rivada a un sito, in coro ga cigà :
Maggiore aperta molle volte imprima, Qua è'1 logo che cerche. L'avertaura
Con una forcatella di sue spine, Che spesso del vilan una forcada 20
i. 'unni della villa quando l'uva imbruna, De spini stropa co vlen l'un maura,
Che non era la calla, onde saline Xe più larga de quela, che montada
Lo Duca mio ed io appresso soli, Ga'l Dotor prima, e mi dopo de lu,
Come da noi la schiera si parlino. Quando la trupa se la ga svignada.
Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli : A Noli ia zo, se va a Sanleo in su ; 25
Montasi su Bismantova in cacume A pie sora Bismantova l'ariva ;
Con esso i pie; ma qui convien ch' uom voli : Ma svolar per de qua ne loca a nu:
Dico con l'ali snelle e con le piume Vói dir co l'ale d' una vogia viva,
Del gran disio, diretro a quel condolto, Andando drio de quelo che me dava
Che speranza mi dava, e facca lume. La speranza, e la strada m'averziva. 30
Noi salivam per entro il sasso rotlo, Per un trozo, che dentro s'incastrava
E d'ogni lato ne stringea lo stremo, Scavà in t'un sasso, a gatognao s'inviemo;
E piedi e man voleva il suoi di SDÌ i n. Streto el gera cussi, che'l ne russava
Quando noi fummo in su l'orlo supremo I fianchi. Co de l'alta riva seino
Dell' alta ripa, alla scoperta piaggia, Rivadi in cima al orlo a cielo averto: 35
Maestro mio, diss'io, che via faremo? Mestro, digo, qual strada legneremo?
Ed egli a me : Nessun tuo passo caggia ; I .ii me responde alora : Mi t'averto
Pur suso al monte dictro a me acquista, De no mai recular, ma vienme drio,
Fin che n'appaia alcuna scorta saggia. Sin che una guida troveremo certo.
Lo sommo er' alto che vincca la vista, No arivava a la cima l'ochio mio 40
E la costa superba più assai, Del monte erto cossi, ch' el va a finir
Che da mezzo quadrante a centro lista. Verso el pian quasi a piombo. Mi sbasto

11 i-lir no lanra = elic n0n agisce. i


12 de banda c= inoperosa, ossia che non riflette e non pensa sinchè l'altra potenza esercita liberamente
l'azione nel vedere e nel sentire.
16 inranià - accorto.
19 I.' avcrtaura - l'apertura.
20 furcada = forcata.
21 co = quando = un =. uva.
25-26 In so a Nuli e a finnico te. = Noli, cittì del Genovesalo posta in luogo basso. Sonico, fortezza sopra
un monte nella provincia di Urbmo = Uismantora = alta montagna nel Modenese.
28 Vói dir — voglio diro. = voyia = voglia, desiderio.
30 m'averziva = mi apriva.
31 iroso = viottolo.
32 a gatognao = a carpone.
33 rimava = stropicciava, strofinava.
34 Co - quando.
35 Rivadi - pervenuti, arrivati.
38 rteular — retrocedere.
42 o piombo — a perpendicolo — xbaìit - trafelato.
476 DEL Pl'RGATORIO
Io era lasso, quando cominciai: Da la gran straca, scomenzava a dir :
0 dolce padre, volgiti e rimira Voltile, pare, fermile, mo via,
1 AIIIL" io rimango sol, se non ristai. Varda che solo qua resto a patir. 45
O figliuci, disse, insta quivi ti tira, Vienme vicin, dise la Guida mia,
Additandomi un balzo poco in sue, Mostrandome un fià in suso un sporto in fora,
Che da quel lato il poggio tutto gira. Che a i ni» el iuonte zira alorno via.
Sì mi spronaron le parole sue, Ste so parole a un sforzo lai me incuora,
< J f i' mi sforzai, carpando appresso lui, Che a in. in e pie ghe vado tanto arente, SO
Tanto che il cinghio sotto il pie mi fue. Che de quel sporto son montà de sora.
A seder ci ponemmo ivi ambedui Là s'avemo sentai volladi a Oriente,
Volti a levante, ond' eravam saliti, La strada fata con piacer ochiando,
Che suole a riguardar giovare altrui. El passo superà vegnindo in mente.
Gli occhi prima drizzai a' bassi liti ; I loghi bassi stava contemplando, 55
Poscia gli alzai al Sole, ed ammirava Dopo le cegie verso el Sol levava,
Che da sinistra n' eravam feriti. Che a sinistra el ne sia maravegiando.
Ben s'avvide il Poeta, che io stava S' ha ben incorto el -Mestro, che me fava
Stupido tutto al carro della luce, Restar proprio de stuco quel lusor,
Ove tra noi ed Aquilone intrava. Che ira '1 borin e nualtri se mostrava : 60
Ond' egli a me : Se Castore e Polluce E '1 dise : Se Poluce con Castór
Fossero in compagnia di quello specchio, I andasse insieme al Sol, che tanto sora
Che su e giù del suo lume conduce, Quanto de soto manda el so splendor;
Tu vedresti il Zodiaco rubecchio Ti vederessi zirar rosso alora
Ancora all'Orse più stretto rotare, El Zodiaco più a l'Orse ancofa arente, 65
Se non uscisse fuor del cammin vecchio. Quando el Sol no pensasse de andar fora
Come ciò sia, se '1 vuoi poter pensare, Da la so vechia carezada : in mente
Dentro raccolto imagina Siùn Fate vegnir Siòn, che co sto monte
Con questo monte in su la terra stare Puza in tura cussi, che istessamente
Si, ch'ambedue hanno un solo orizzòn, Tuli do ga'l medesimo orizonte, 70
E diversi emisperi; onde la strada, Ma emisferi diversi; e quela strada
Che mal non seppe carreggiar Fetòn, Che con so dano ga falà Fetonte,
Vedrai com'a costui convien che vada De un de sii monti la xc a drila inviada,
Dall'un, quando a colui dall'altro fianco, E a l'atiro a zanca la ghe passa via,
Se l'intelletto tuo ben chiaro bada. Se la cossa l'intendi, che ho spiegada. 75
Certo, Maestro mio, diss'io, unquanco Ghe digo al bon Dotor: D'aver capia
Non vid'io chiaro si, com'io discerno, Chiaramentc la cossa adesso credo,
Là dove mio ingegno parea manco, Clic la mia mente prima no scovria.
Che '1 mezzo cerchio del moto superno, Adesso, com'el inezo cerchio vedo,

43 Da la gran straea = dalla graudc stanchezza.


47 uu fià = un pochino.
(in barin ... il velilo bora, aquilone.
61 Se Poluct con Castór - cioè il segno celeste dei Gemelli.
62-63 al Sol che tanto torà Quanto de solo manda el so splender — Secondo il sistema Tolemaico, Ire pii-
neti (Saturno, Giove e Marte) stanno di sopra dei Sole, e Ire (Mercurio, Venere o ',.: Terra) di sullo.
65 a l'Ont — cioè a tramontana.
67-6S Da la so vcefiia curczada = la consueta orbita = i'n mente l-'m-' vegnir Sión = sul qual monte
è posta Gerusalemme aotipodo al monte del Purgatorio = co ilo monte = con questo monte.
72 fetonte — che nel guidare il carro del Sole sbagliò la via che doveva tenere cioè l'eelittica.
CANTO IV. 177
Che si chiama Equatore in alcun' arte, Equator dai astronomi chiamà, 80
E che sempre riman tra' Sole e il verno, Che sempre el resta tra'1 calor e'1 fredo,
Per la ragion che di', quinci si parte Per la rason. che adesso ti m' ha dà,
Verso settentrion, quanto gli Ebrei Tanto lontan da qua al Setentrion
Vedevan lui verso la calda parte. Quanto dal Sion a Mezodì lu va.
Ma se a te piace, volentier saprei Ma quanto resta dime, mio paron, 85
Quanto avemo ad andar, che il poggio sale Andar lì in cima : sto favor me dona,
Più che salir non posson gli occhi miei. Che arivarghe co l'ochio no so bon.
Ed egli a me : Questa montagna e tale, Fata, el dise, è cossi sta montagnona,
Che sempre al cominciar di sotto è greve, Che in principio la xe sempre pesante,
E quanto uum più va su, e men fa male. Ma più in alto se va, se fa più bona. 00
Però quand' ella ti parrà soave Quando però andar su co le to piante
Tanto, che 'I suo andar ti sia leggiero, Dolce te pararà, come andar sora
Come a seconda giù l'andar per nave ; A seconda de qualche galegiante,
AUnt sarai al fin d'esto sentiero ; La strada ti avarà finida alora :
Quivi di riposar l'affanno aspetta : Là ti reposerà : vero xe questo 95
Più non rispondo, e questo so per vero. E no aspetar che te responda ancora .
E, com'egli ebbe sua parola detta, Aveva apena el Mestro mio tasesto,
Una voce di presso sonò : Forse Che una ose arente (lise : Chi sa mai
Che di sedere in prima avrai distretta. Se no te toca reposar più presto.
Al Mina di lei ciascun di noi si torse, Se semo a quela parte nu voltai, 100
E vedemmo a mancina un gran petrone, E a zanca un gran pioron se descovria,
Del qual nè io, ned ei prima s'accorse. Che no s' ha visto prima. Là arivai,
Là ci traemmo ; ed ivi eran persone De la zente vedemo, che a l'ombria
Che si stavano all'ombra dietro al sasso, In positura stava drio quel sasso
Come i'iunn per negghienza a star si pone. Al modo istesso che un poltron starla. 105
Ed un di lor che mi sembrava lasso. Sora un, che'l parea straco i ochi sbasso,
Sedeva ed abbracciava le ginocchia, Che i zenochi in senton s'avea brazzà,
Tenendo '1 viso giù tra esse basso. Tegnindose tra queli el viso basso.
O dolce Signor mio, diss' io, adocchia Varda, digo al Dotor, quelo cufà,
Colui che mostra sè più negligente, Vardilo se noi par proprio fradelo llu
Che se pigrizia fosse sua sirocchia. De la poltronaria nato e spuà.
Allor si volse a noi, e pose mente, Da nu alora el se volta, ma a bel belo,
Movendo il viso pur su per la coscia, E tra le cosse i echi in su levando :
E disse : Va su tu, che se' valente. , Va su ti, el dise, che ti è tanto snelo.
Conobbi allor chi era; e quell'angoscia, L'ho conossudo alora; e ancora ansando, 115
Che nTavacciava un poco ancor la Iena, Che no me gera ben passa la straca,
Non m' impedì d'andare a lui : e poscia Pur go podesto andar da lu ; e quando

84 dal Sion - cioè dal monte Sin».


87 no to bon .- non sono abile.
03 A seconda --• andare colla corrente dell'acqua.
98 una aie = una voce.
107 m tenton = sedato = s'acca brazzà =» s'era chiusi i ginocchi Ira le broccia.
i09 cn/i! - accovacciato (col capo tra le ginocchio'.
Ili noto e tpuà = frase equivalente a: puro e prrttJ.
113 totte = coscir.
4 78 DEL PUBGATORIO

Che a lui fui giunto, alzò la testa appena, Ohe so arente, un tantin l'alza con fiaca
Dicendo : Hai ben veduto come il Sole La testa, e dlse : Gastu visto mo
Dall'omero sinistro il carro mena? Come da la to zanca el Sol le maca ? 120
Gli atti suoi pigri, e 16 corte parole I moti pegri, e'1 curto parlar so
Mosson le labbra mie un poco a riso; Me ga fato da rider un pocheto;
Poi cominciai: Belacqua, a me non duole Po digo : Dolorà per ti no so,
Di te omai; ma dimmi, perchè assise Belaqua, adesso; ma perche, di'schieto,
Quirilta se'? attendi tu iscorta, Ti n qua sentà ? aspètistu una scorta, lì5
O pur lo modo usato t'hai ripriso ? O i," ha chiapà anca qua quel to difeto? •
Ed ei: Frate, l'andare in su che portin? E lu : Cossa andar su, fradel, m' importa ?
Che non mi lascerebbe ire a' martiri Se no me lassa in Purgatorio entrar
L'angel di Dio che siede in su la porta, L'anzolo che fa guardia su la porta !
Prima convien che tanto il ciel m'aggiri Qua de fora m'ha'l cielo da zirar 130
Di fuor da essa, quanto fece in vita, Quanto el m' ha zirà in vita, che pentio
Perch' io indugiai al fin li buon sospiri ; M' ho tardi, se però prima ci pregar
Se orazione in prima non m'aita, De vero cuor da chi ha la grazia in Dio,
Che surga su di cor che in grazia viva: No me dà agiuto; gala mo valor
L'altra che vai, che in ciel non è udita? L'altra preghiera, che no ascolta Idio? 135
E già '1 Poeta innanzi mi saliva, Montando primo l'erta el mio Dotor
E dicea : Vienne omai, redi ch' è tocco Dise : Vien, vanta el Sol che ha za locà
Meridian dal Sole, ed alla riva Mezodi, e su Maroco el covertor
Copre la notte già col pie Marrocco. La note a destirar ga scomenzà.

118 Che so urtntr -- gli sono dappresso.


119 mo = parliculln riempitiva.
120 te ronca = li batie.
121 to .-- suo.
123 no to - non sono.
124 Ili-I, niini - ia un eccellente fabbricatore di cetre e di altri strumenti musicali, ma nomo pigrissimo.
126 /' liu chiapà - ti prese = curi in difrlo — cioè la pigrizia.
137-139 Vien, varda 'I Sol te. = Se al monte del Purgatorio era meztogiorno, a Gerusalemme, antipode,
doveva essere mezzanotte; ma nel regno di Marocco posdo secondo il concetto del Poeta, al contino occidentale
del nostro emisfero, la mille dovea cominciare allora.
4 79

CANTO QUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO
*
Che dentro al terre.n corpo .alma sou vada Dei pnrgandi se va maravegianrto
Han maravigrlia spiriti novelli Come che un otno, che xu vivo ancora,
In quella di lor pena aspra contrada. In logo morto veyna caiumando.
Como usciron del mondo tro di quelli Trft de quei, che la drento se dolora,
Narrano ; e i modi di lor morte amari ; Conta come i xe morti, e infin de vita
Cassando sol d'esser a Dio ribelli I s'ha pentirti, a Dio voltai alora,
A la lor fine ; ond'egli pur gli ha cari. Che sempre abrazza l'anema contrita.

lo era già da queir ombre partilo, Da quel'ombre mi gera za partio,


E seguitava l'orme del mio Duca, E in schena andava de la Guida mia,
Quando diretro a me, drizzando il dito, Co una col deo segnandone da drio:
Una gridò : Ve', che non par che luca Varda, come da zanca a quel là via
Lo raggio da sinistra a quel di sotto, Più in z0 de l'altro, varda, ga cigà,
E come vivo par che si conduca. No luso el Sol, e vivo par che '1 sia !
fili occhi rivolsi al suon di questo motto, AI son de quela vose m'ho voltà.
E vidile guardar per meraviglia E le vedo vardar maravegiae
Pur me, pur me, e il lume ch' era rotto. Proprio mi solo, e l'ombra che ho segnà.
Perchè l'animo tuo tanto s'impiglia, Dise el Mestro : Perchè ti ga intrigae 10
Disse '1 Maestro, che l'andare allenti ? Le gambe 1 cossa gastu per la mente ?
Che ti fa ciò che quivi si pispiglia ? Cossa t'ha da importar sto chiachiarae ?
V irii dietro a me, e lascia dir le genti ; Vien drio de mi, e lassa dir la zente :
Sta, come torre, fermo, che non crolla Sta saldo come tore che tien alta
Giammai la cima per soffiar di venti. Contro el vento la cima bravamente. 15
Che sempre l'uomo, in cui pensier rampolla Mentre chi da un pensier a l'altro salta,
Sovra pensier, da so dilunga il segno, No fa che stontanarse dal so segno,
Perchè la foga l'un dell'altro insella. Perchè uno d'eli do, l'altro rebalta.
Che potev'io ridir, se non: l' vegno? Coss'avea da responder, se no : Vegno ?
Dissilo, alquanto del color consperso Gh'el digo, rosso in viso un tantineto, 20-
Che fa riiiiin di perdon talvolta degno. Che de perdon ve fa a le volte degno.
E intanto per la costa da traverso Zente. intanto vegnir da nu adasieto
Venivan genti innanzi a noi un poco, A traverso dei monte go scovrio,
Cantando Miserero a verso a verso. Cantando el Misererc per verselo.
Quando s'accorser ch'io non dava loco, Quando i s'ha incorto che dal corpo mio 25
Per lo mio corpo, al trapassar de' raggi, No ga passagio el Sol, petrificai,
Mutar lo canto in un O lungo e roco, Muà i ga '1 canto in t'un O longo irochio.
E due di loro in forma di messaggi Do de quei, che i parea comissionai,
Corsero incontr' a noi, e dimandarne : I ne xe corsi incontro, e po : Chi sie

3 Co = quando = deo = dito.


1S nMO d'eli do = ciuf, uno di lor due = rtlialla = stravolge: qui ha il significalo di ntlulirr, smorzare.
20 un tantinetn = un pochino.
*7 .Vmi = mulalo = iroeliio
4 80 DEL PURGATORIO
Di vostra condizion fatene saggi. Disene , i salta su co i n' ha arivai : 30
E '1 mio Maestro : Voi potete andarne, E '1 Mestro a lori : Indrio tornar podè
E ritrarre a color che vi mandaro, Da quei che v' ha mandà, per reportar
Che il corpo di costui è vera carne. Che proprio vivo è si' omo che vedè.
Se per veder la sua ombra ristaro, Val sta resposta assae, se per vardar
Com'io avviso, assai è lor risposto : L'ombra soa i s' ha fermà, come ho senior : 35
Faccianli onore, ed esser può lor caro. Che i l'onora, che i poi bon pro sperar.
Vapori accesi non vid'io si tosto Tagiar no ho visto mai foghi a vapor
Di prima notte mai fender sereno, Più in prestezza de note el ciel seren,
Ne, Sol calando, nuvole d'agosto, Ne d'Agosto el niolón, quando el Sol mor,
Che color non tornasser suso in meno, D'eli brusando, in tornar su, el teren. W
E giunti là, con gli altri a noi dier volta, Con sii altri, là arivai, da nu i se volta,
Come schiera che corre senza freno. Cimin trupa corendo senza fren.
Questa gente, che preme a noi, è molta, Tanta zente, el Dotor dise, a sta volta
E vengonti a pregar, disse '1 Poeta ; Tuta smaniosa vien per suplicarte,
Però pur va, e in andando ascolta. Però camina, e caminando ascolta. 45
O anima, che vai per esser lieta O inulma, i dise, che per confortarle
Con quelle membra, con le quai nascesti, Ti va col corpo avanti che '1 te mora,
Venian gridando, un poco il passo queta. Fanè el piacer un poco de fermarle.
Guarda, se alcun di noi unque vedesti, Di' se nissun ti ha visto al mondo sora
Sì che di lui di là novelle porti : De nu, che le so nove ti ghe porii : 50
Dch perchè vai? dch perchè non t'arresti? Mo via, percho no li te fermi ancora ?
Noi fummo già tutti per forza morti, Da una morte violenta tuli morii
E peccatori inlino ali' ultim'ora: Sumo, e in pecù sin l'ultimo momento:
Quivi lume del ciel ne fece accorti Aloin, grazia el ciel, dei nostri torli
Sì che, pentendo e perdonando, fuora Ravedui, perdonando e in pentimento 55
Di vita uscimmo a Dio pacificati, Morii pacificai seino con Dio,
Che del disio di sè veder n'accora. Che '1 ne dà per vedèrlo ansia e tormento.
Ed io : Perche ne' vostri visi guati, Per quanto l'ochio mi ve legna drio,
Non riconosco alcun : ma s'a voi piace Nissun conosso, digo, e, se ve piase,
Cosa ch'io possn, spiriti ben nati, Dise pur, desponè del voler mio ; 60
Voi dite, ed io farò per quella pace, Che, podendo, farò per quela pase,
Che, dietro a' piedi di sì fatta guida, Annuii- bone, che de mondo in mondo
Di mondo in mondo cercar mi si face. Farme trovar sta Guida se compiase.
Ed uno incominciò : Ciascun si fida Dise un de quei: Credemo, te respondo,
Del beneficio tuo senza giurarlo, Al ben che ti voi far senza zurarlo, *5
Pur che '1 voler non possa non ricida. Se l'impotenza no lo manda a fondo.
Ond'io, che solo, Innazi agli altri, parlo, E mi, che solo avanti ai altri parlo,
Ti prego, se mai vedi quel paese Te prego, se al paese ti va mai

30 i unitu st1 co i n' ha un'i-,ii cioè, insorgono a chiedere quando ci furono vicini.
40 brinando, in tornar tu, el lerai = (brnlar la (era o la simita) è frase usila per esprimere ls grami'
velocità dello corsa.
47 imi - . tuo.
CO li- to -- le sue.
66 no lo manda -a fondo =. non lo rende Inefficace.
c.s te al paeie = cioè la Marca di Ancona elic resta tra Ramagiia e la Puglia, signoreggiala da Carlo II J'Angw.
CANTO V. 484
Chefiede tra Romagna e quel di Carlo, Tra la Romagna a quel che tien re Carlo,
Che tu mi sic de' tuoi prieghi cortese De far che a Fano per mi, qua in sti guai, 70
In Fano sì, che ben per me s'adori, Vegia i boni pregar ci ciel cussi,
Perch'Io possa purgar le gravi offese. Che presto scontar possa i gran pecai.
Quindi fu'io, ma li frofondi fori, Mi son da là ; ma sapi adesso ti,
Ond'uscì '1 sangue, in sul qual io sedea, Che le ferie, per dove el sangue mio
Fatti mi furo in grembo agli Antenori, Go per,so, ho avue sul Brenta ; e quando lì 75
Là dov'iii più sicuro esser credea : Me credeva al sicuro, i m' ha sbasio.
Quel da Esti il fe far, che m'avea in ira No de tuta rason xc stada l'ira
Assai più là che dritto non volea. D'Azzo d'Este, che m'ha cussi sorvio.
Ma s'io fossi fuggito in ver la Mira, Che se fusse scampà verso la Mira,
Quandi' fui sovraggiunto ed Oriaco, Quando i nemici iiiii m' ha chiapà a Oriago, 80
Ancor sarci di là dove si spira. Sarave ancora in dove se respira.
Corsi al palude, e le cannucce e il braco Invece nel paluo corendo vago ;
M'impigliar si, ch'io caddi, e li vid'io Tra i canei casco e '1 fango ingambarà,
Delle mie vene farsi in terra laco. E a far là vedo del mio sangue un lago.
Poi disse un altro: Dch, se quel disio Po un altro dise : Che te sia pur dà 85
Si compia che ti traggo all'alto monte, La pase che ti cerchi in cima al monte ;
Con buona pietate aiuta il mio. Fala anca a mi trovar per carità.
Io fui di Montefeltro, i' son Bonconte : So sta de Montefeltro, e son Bonconte :
Giovanna, o altri non ha di me cura; Nana e nissun dei mii no i me ga in mente,
Perch'io vo tra costor con bassa fronte. Perciò tra questi vergognoso el fronte 90
Ed io a lui : Qual forza, o qual ventura Tegno. E mi : Qual mai forza ossia accidente
Ti traviò si fuor di Campaldino, Te ga fato desviar da Campaldin,
Che non si seppe mai tua sepoltura ? Che no s' ha del to corpo savù gnente ?
Oh, rispos'egli, appie del Casentino El me responde : A pie del Casentin
Traversa un'acqua c'ha nome l'Archiano, Un aqua passa per Archian chiamada, 95
Che sopra l'Ermo nasce in Apennino. Che nasse al Romitagio in Apenin.
Là 've '1 vocabol suo diventa vano Dove no l'è cossi più menzonada,
Arriva' io forato nella gola, So arivà con un buso ne la gola,
Fuggendo a piede, e sanguinando il piano. E a pie scampando ho insanguinà la strada.
Quivi perdei la vista, e la parola Là go perso la vista e la parola 100
Nel nome di Maria lini, e quivi Pronunziando el bel nome de Maria,
Caddi, e rimase la mia carne sola. E là restada è la mia carne sola.

75 Brenta = fiume elio scorre nel Padovano.


76 tbnsio = ucciso : . questi che pai-In è lacopo del Cassero.
78 D'Azza d'Elle — 'il marchese Azto IVIII, da Este, il quale fece assassinare il dello Jncopo del Cassero
mentre questi era podestà di Bologna, perchè fece opposizione a'snoi tentativi d" insignorirsi di quella città. . .- ter-
"n = servito, detto ironicamente, alludendo alla morte per mezzo di sicari.
79 Mira = è un piccolo paese posto sopra un canale, elic esce dal fiume Brenta.
SO Oriago -- paesello tra Venezia e Padova, che va abbassandosi verso lo paludi.
83 cunei — eaunuccc che nascono nei fondi palustri = iugnmbarà -... inviluppato nelle gambe.
SS Boneonn -.-. Bonconte era figlio di Guido da Monteieltro. Egli morì nella battaglia di Campaldino, e non
a seppe mai che avvenisse del suo corpo.
89 A'ana :- Giovanna, moglie di esso Bonconte = no i me ga m mente =•- non pensano a me.
:i.ì-lVi Ai-i-ilitin ee. .- Archiano o un torrente che nasce nell'Apeunino, che e sopra il sacro cremo di Camaldoli.
87 Dove no l'è cussi più mentouada = l'acqua del torrente Archiano prende altro nome nel silo ove imboc
ca nell'Arno.
4 82 DEL PURGATORIO
I' dirò '1 vero, e tu '1 ridi' tra i vivi : Scolta, e po ai vivi di' sta storia mia :
L'Angel di Dio mi prese, e quel d'Inferno M' ha levà un Santo, e un diavolo ha cicà :
Gridava: O tu dal ciel, perchè mi privi? • Percossa, o Santo, ti m'el porti via ? 105
Tu le ne porti di costui l'eterno L'anema con ti porta, che robà
Per una lagrimetta che '1 mi toglie ; Me ga una lagremeta; ma crudel
Ma io farò dell'altro altro governo. Sora el so corpo el sfogo mio sarà.
Ben sai come nell'aer si raccoglie Ti sa ben come se concentra quel
Queir umido vapor, che in acqua riede, Vapor umido in aria, che LO in piova 118
Tosto che sale dove '1 freddo il coglie. Torna tocà ch'el gabia el gelo in ciel.
Giunse quel mal voler, che pur mal chiede, Zontà '1 talento al mal, che sol ghe giova,
Con l' intelletto, e mosse il fumo e il vento El diavolo ha mandà col fumo el vento,
Per la virtù, che sua natura diede. La naturai virtù metendo a prova.
Indi la valle, come il di fu spento, Fata note, ci coverze in t'un momento 115
Da Pratomagno al gran giogo coperse Da Pramagno la vale de caligo
Hi nebbia, e il ciel di sopra fece intento A l'Apenin, e i-oia, el firmamento
Si, che '1 pregno aere in acqua si converse : L'aria imbombada, in manco che lo digo,
La pioggia cadde, ed a' fossati venne Casca in aqua, e in ti fossi da le sponde
Di lei ciò che la terra non sofferse : Mi. scola quanta ne n la tera intrigo. 120
E come a' rivi grandi si convenne, Bivada po dei gran torcnti a l'onde,
Ver lo fiume real tanto veloce A queste andando a precipizio drio
Si minò, che nulla la ritenne. Senza ritegno, in Arno se confonde.
Lo corpo mio gelato in su la foce Del sgionfo Archian al sboco el corpo mio
Trovò l'Archtali rubesto ; e quel sospinse Giazzi l' ariva, e spento in Arno drento, 125
Nell'Arno, e sciolse al mio petto la croce, La erose Hi me desfa che, pentio,
Ch'io fei di me quando il dolor mi vinse; M'aveva coi mii iirazvi fata al peto :
Voltommi per le ripe e per lo fondo ; Ilevollolà longo le sponde e in fondo,
Poi di sua preda mi coperse e cinse. De fango dopo el m' ha coverto e streto.
Dch, quando tu sarai tornato al mondo, Salta su el terzo spirilo al secondo: 130
E riposato della lunga via, ('.o del viazo, te prego in cortesia.
Seguitò il terzo spirito al secondo, Ti sarà reposà, tornando al mondo
Ricordili di me, che son la Pia : Uecordite de mi, che son In Pia:
Siena mi fe, disfecemi Maremma : La vita a Siena ho avudo, e morte ho avuo
Salsi colui che innanellata pria, Cruda a Marema : sa la storia mia 135
Disposato m'avea con la sua gemma. Chi m' ha vedoa sposà co l'anel suo.

112 Zoida 'I laìento al mal ee. = congiunto airintellipunza il mal fare.
114 L'i naturai virtù - cioè, la potenza elic l'angelica natura gli diede.
liti 1'ramagua — IVatomagno, elic Ilivide d Casteilino dal Vahiamo.
118 L'uria imbombada = l'aria pregna.
120 quanta j-c a la lerà intrigo . .- quanta non può essere assorbita dulia Idra.
123 Arne -- liume elic scorre lungo il territorio della Toscana.
125 spento . - spinto.
133-135 Pia — Gentildonna Saneae, si maritò ad un Tolomei, e rimasta vedova di Ini. fu sposata ntl un
Nello, o l'agnnello de' Pannoeliieschi signore dcl casiello della Pietra. Condottala in Maremma, il marito lo I"*'
da un famiglio prendere per lo gambe e gettare dalla finestra. Alcuno disse che Nello fosse spinto a i|UcH'utui
barbaro dal sospetto della infedeltà di lei; ma altri invece asserisce, cifri lo facesse per toria di mezzo, affine
di poter prender in moglie, il che non gli «enne poi l'atto, una contessa Margherita Aldobrandi-schi, bella ed ertde
di molte ricchezze. Il tragico fatto avvenne circa il 1395.
183

CANTO SESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Mentre il Poeta a quell'alme prometto Mentre Pante promete a questo e a quelo


Qualche sussidio nell'acerba pena, De pregar, ació a tutti la so pena
Acciocchè ognuna più al ciel s'aifrette ; Sia manco longa, e i vaga pri.-sto in cielo ;
Vede Sordtilo Muntovan, che, a pena Yedi- Sordelo Mantovan, che apena
Maotova udita, il Imon Virgilio accoglie, Virgilio ha la so patria menzonada
Di tanta gentilezza, indi lo mena Ghe fa una tal cierona. che lo mena
Contro l' Italia a disfogar sue doglie. Contro l'Italia a darse una slbcada.

Quando si parte il giuoco della zara, Quando va via chi ga zogà ai tre dai,
Colui che perde si riman dolente Sta a revoltarli imusonà '1 perdente,
Ripetendo le volte, e tristo impara: EI ponto per studiar vegnudo mai :
Con l'altro se ne va tutta la gente : Va intorno al vincitor tuta la zente;
Qual va dinanzi, e qual diretro il prende, < ,lii a lu da drio ghe va, e chi davanti,
E qual da Iato gli si reca a mente. Chi ai fianchi se ghe sfregola darente.
Ei non s'arvesta, e questo e quello intende : Tini, caminando, a bada tuli quanti;
A cui porge la man, più non fa pressa; Tase chi ga la mandola becada,
E così dalla calca si difende. E libero cussi, lu tira avanti.
Tal era io in quella turba spessa, Talqual mi m' ho trovà su quela strada : 10
Volgendo a loro e qua e là la faccia, Uno e l'altro vardando, e prometendo,
E promettendo mi sciogliea da essa. Da tanta fola me la son cavadn.
Quivi era I" A voi in. che dalle braccia Qua gera l'.Vretin, che dal tremendo
Fiere di Ghiu di Tacco ebbe la morte; Ghin de Taco xe sta in funzion sbasio :
E l'altro che annegò correndo in caccia. E chi, inseguio, se ga negà corendo. 15
Quivi pregava con le mani sporte Con le man zonte me vegniva drio
Federigo Novello, e quel da Pisa Con Kerigo el Pisan, del qual po ga
Che fe parer lo buon Marzucco forte. El bon Marzuce intrepido simtio
Tidi Coni' Orso, e l'anima divisa La morie. Po Coni" Orso ho visto là,

1 dai = dadi. Il gioco della zara, come dice il lesto, si faceva con (re dadi, e dicevnsi zara il far soli tre
o qnaltro punti.
2 imusonà - ingrugnato.
6 te ghe ifregola damde = gli si raccomanda dappresso.
* ga la mandola becada — ha buscala la mancia (x'iiucnik dal vincitore del giaco).
12 me la son cavada = mi sono liberai;i.
13-14 l'Artliu re — Messcr Benincasa Aretino dotio giureconsulto, essendo podestà di Siena, condannò a morie
Tacco e Turrino da Turrila, nipole di lui, perchè aveano ruhalo alla strada; non mollo dopo lasciain Siena, andò
giudice a Itomn. Quivi allora porlossi Ghino frali-Ilo di Tacco, e lui sedente in tribunale, per vendetta del fra
tello, uccise portandone seco la lesta recisa. Di questo Chino di Tacco, che fu un Im'ibilo ladrone ed era di
Asinalunga, parla Bocaccio nella novella 92 (l-'ralicelli). ^ sbasta — ucciso.
15 /." c/ii inseguia ..-. fu questi un Cione o Guccio Tarlali di l'iutramala, il quale dopo la rotla ch'ebbero
gli Aretini e Bibbiana, fuggendo dai nemici elic lo inseguivano, cutrù col cavallo nell'Arno credendo poterlo
guadare, ma quivi annegò (r'raticelli).
17-18 Ftrigo — Federico Novello fu figlio del conte Cuido di Battifolle, e fu ucciso da uno de'Bostoli detto
il Fornaiuolo = el Pitan = cioè Farinala degli Scornigiani, che fu ucciso da Beccio di Caprona, e a Marzucco
suo padre, che già era frate minore, diede occasione di mostrarsi forte; poichè rassegnato al volere di Dio, andò
cogli altri frati all'esequie del figlio ed esortò il parentado ad aver pace coll'omicida.
19 Coni' (trto = Credono alcuni che fosse degli Alberi! di Val di Bisenzio e fosse ucciso dai suoi consorti.
184 DEL PURGATORlO

Dal corpo suo per astio e per inveggia, E l'anema anca per invidia e ira 20
Come dicea, non per colpa commisa; Del da Brocia inocente giustizià.
Pier dalla Broccia dico : e qui provveggia, E mi digo, che insin che la respira,
Mentr'è di qua, la donna di Brabante, La ghe remedia Maria de Brabante,
Sì che però non sia di peggior greggia. Che '1 diavolo, se no, con lu la tira.
Come libero fui da tutte quante f .11 me son liberà da tute quante 25
Quelle ombre ehe pregar pur ch'altri preghi, Le aneme che ha pregà che i altri prega,
Sì che s'avacci il lor divenir sante, Aciò presto le possa farse sante ;
lo cominciai: E' par che tu mi nieghi, Me par, digo a Virgilio, che se nega
O luce mia, espresso in alcun testo, Nel to libro famoso, o luse mia,
Che decreto del Cielo orazion pieghi; Ch'el decreto del ciel l'orazion piega ; 30
E queste genti pregan pur di questo. St'aneme qua che prega per sia via,
Sarebbe dunque loro speme vana ? Pregaravele donca invanamente?
O non m'è il detto tuo ben manifesto ? O la sentenza toa no ho ben capia ?
Ed egli a me: La mia scrittura è piana, E lu: Scrito è '1 mio verso chiaramente:
E la speranza di costor non falla, La speranza de st'aneme è sicura, 35
Se ben si guarda con la mente sana ; Quando se ghe riflete giustamente ;
Chè cima di giudicio non s'avvalla, Chè '1 giudizio de Dio no mua nalura,
Perchè fuoco d'amor compia in un punto Se "l pregar fa che sia presto fìnio
Ciò che dee soddisfar chi qui s'astalla. Quelo che qua col tempo se maura.
E là dov'io fermai cotesto punto, E in dove go quel dito proferio, 40
Non si ammendava, per pregar, difetto, Disca de chi pregava senza efeto,
Perchè il prego da Dio era disgiunto. Perchè "1 prego no gera aceto a Dio.
Veramente a così alto sospetto Ma questo dubio no legnine in peto;
Non ti fermar, se quella noi ti dice, Ascolta quanto te vorà dir quela,
Che lume lia tra '1 vero e l'intelletto. Che al puro vero schiara l'inteleto. 45
Non so se intendi; io dico di Beatrice: Se no ti sa, la xe la Bice bela :
Tu la vedrai di sopra, in su la vetta Più chiara in cima ti ochiara culia
Di questo monte, ridente e felice. De sto monte, e più lustra d'una stela.
Ed io : Buon Duca, andiamo a maggior fretta ; E mi : Più in pressa, Mostro, andemo via,
Che già non m'affatico come dianzi ; Che de la straca m'è passà Tangossa; •"'''
E vedi omai che il poggio l'ombra getta. Varda ch'el monte dà oramai l'ombria.
Noi anderem con questo giorno innanzi, Avanti mora ci dì, più che se possa

30.23 E fonema anca te. .-. Pietro dalla Broccia era segretario del re ili Krancin Filippo lll, e molta po
teva appresso ili lui, il perchè non solo i cortigiani presero ad invidiarlo, ma altresi Alarla di Rrabante seconda
maglie di quel re. Unitisi costoro, lo accusarono di aver rivelato al re ili Bastiglia i secreti di Stato, e il trolipo
credulo Filippo lo fece condannare a morie: ciò avvenne ucl 1276.
25 Co = quando.
20-30 Nel lu libro fumato te. = al lib. Vl dell'Encide, Virgilio scrisse: u Detine fnta Dcum fteeti sperart
prteando •„ non giova sperare che si cangino colla preghiera i destini si.puiti dagli Dei.
31 per sm via = a questo line.
32 iuvanamente — indarno.
34 è'l mio vena chiaramente = il verso accennato qui sopra alla nota 29-30.
37 mi mua = non mula.
40-12 E in doue go quel dito proferìa = cioè nell'ln forno, dove la Sibilla parlava a Palinuro clic chiedeva
di passare lo Slige innanzi tempo.
47-48 ni cima... De sto monte — dove ticu col loculo dal Pocta il Paradiso terrestre.
49-50 E mi: Più in pretta te. =, si noti come Dante solo in sentirsi ricordare la sua Beatrice clic lo attende
m cima al monte del Purgatorio, più non sente la stanchezza, e sollecita anzi Virgilio a proseguire il viaggia.
CAUTO VI, -185
Risposi!, quanto più potremo omai; Sgambeterèmo ; ma come ti voi,
Ma il fatto è d'altra forma che non stami. Lu dise, che la sia, no sta la cona.
Prima che sii lassù, tornar vedrai Prima d'esser là in cima, ancora el Sol 55
Colui, che già si copre della costa, . Ti vederà drio al monte adesso sconto
Sì che i suoi raggi tu romper non fai. Cussi, che i ragi romper no ti poi.
Ma vedi là un'anima, che a posta Ma varda sola un'anema, che pronto
Sola soletta verso noi riguarda : Tien là Fochio su nu; ben savarà
Quella ne insegnerà la via più tosta. Eia ci sentier che a far ne torna conto. 60
Venimmo a lei: O anima lombarda, Là semo: O qual li avevi gravità, -
Come ti stavi altera e disdegnosa, Lombarda anema granda, onestamente
E nel mover degli occhi onesta e tarda ! I uchi movendo adasio e in serietà !
Ella non ci diceva alcuna cosa; ND la fa molo, nè la dise gnente ;
Ma lasciai ani- gir, solo guardando Ma ne lassava andar, solo vardaodo 65
A guisa di leon quando si posa. ComVl lion cufà varda la zente.
Par Virgilio si trasse a lei, pregando Tanto el Dotor ghe va vicin pregando
Che ne mostrasse la miglior salita ; Che la ne mostra la più bona strada :
E quella 'non rispose al suo dimando; Ma invece, de responderghe schivando,
Ut di nostro paese e della vita La patria, ne domanda, e quala 1'- stada 70
C'inchiese. E il dolce Duca incominciava : L'estrazion nostra. El Mestro cominciava:
Maniova.... E l'ombra, tutta in sè romita, Maniova.... E quela in prima concentrada,
Surse ver lui del luogo ove pria stava, Levada in pie, incontro a lu l'andava ;
Dicendo: O Mantovano, i' son Sordello O Mantovan, mi son Sordelo, e '1 mio
Della tua terra. E l'un l'altro abbracciava. Xe '1 to'paese, el dise; e i se abrazzava. 75
Ahi serva Italia, di dolore ostello, Ah schiava Italia de dolori nio,
Nave senza nocchiero in gran tempesta, Barca senza timon in mar furioso, . ,,
Non donna di provinole, ma bordello ! Regina no, ma dona de partio !
Quell'anima gentil fu cosi presta, Al patriojo soo quelo là zoso,
Sol per lo dolce suon della sua terra, Al nome sol de la so cara tera, 80
Di faro al cittadin suo quivi festa ; Ga fato in bota un bel cieron grazioso ;
Ed ora in te non stanno senza guerra E adesso qua i to vivi i se fa guera,
Li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode E un co l'altro se rode a l'infmito
Di quei che un muro ed una fossa serra. Quei che una fossa e una muragia sera.
Cerca, misera, intorno dalle prode Misera varda, varda ben pulito 85
Le tue marine, e poi ti guarda in seno Longo i to mari, e vardite po in sen,
S'alcuna parte in le di pace gode. Se la pase ti trovi in nissun sito.

58 tgombelcrcmo — affretteremo il passo.


66 i n/'« --- uccovaccinto.
67 Tanto = ciò non pertanto, tullavin.
71 l'atraiion - vale lignaggio, famiglia, stirpe.
74 Sardella — Sordello di Mautovn, fu eccellente Poeta e un dotto letterato del Secolo XIII.
76 Ah selsiava Italia — dalla ricordanza della festosa accoglieuta di Sordello al suo ciunpatriolta Virgilio,
rivolge il Poeta il pensiero alle divisioni, ond'cra la sua putria laccnita; il prreliè sentendosi da nobile «legno
compreso, prorompe in questa vecmcidissima apostrofe all'Italia ... . mo -- nido.
77 Barca tenza limon — perchè l'Italia abbandonata dall'imperatore, era da molti Signorotti tribolala, t
dalle civili discordie nconvolta.
78 dona de partio -- femmina perduta.
."I in tùta - subito :--; nn liti cieron = un'accoglienza cordialissima, una ccrona.
84 muragia = muraglia.
186 DEL FVHCATORIO
Che vai, perchè ti racconciasse il freno El morso Giusttnian i ' ha messo ben,
(riusi iniano. se la sella è rota ? Ma a qual pro sin che vodo el basto xe?
Senz'esso fora la vergogna meno. Manco saria el rossor senza quel fren. 90
Ahi gente, che dovresti esser divota, Se '1 preceto de Dio, Clero, intendè,
E lasciar seder Cesar nella sella, La Chiesa governè ch'el v' ha fidada,
Se bene intendi ciò che Rio ti noia ! E in scia mo '1 Sovran sentar lasse.
Guarda com'esta fiera è fatta fella, Vardè la bestia in furia malusada,
Per non esser corretta dagli sproni, Perchè no l'è domada dai spironi, 95
Poi che ponesti mano alla predella. Co per el barbuzzal l'ave chiapada !
O Alberto Tedesco, che abbandoni Tedesco Alberto, che ti l'abandoni
Costei ch'è fatta indomita e selvaggia, Adesso che la xe più inferocia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni, Invece d:inforcarla tra i bragoni,
Giusto giudicio dalle stelle caggia X'ovo castigo su la to genia 100
Snvi . i '1 tuo sangue, e sia nuovo ed aperto, Giusto e fiero dal ciel te sia mandà
Tal che il tuo successor temenza n'aggia : Tal, che al to sucessor spavento sia :
Che avete tu e il tuo padre sofferto, Che in sbandon ti e to pare ave lassà,
Per cupidigia di costà distretti, Per smania d'aquistar là quei logheti,
Che il giardin dell' imperio sia diserto. El giardin de l' Impero. L'amor qua 105
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, Vien veder tra Montechi e Capeteti,
Monaldi e Fllippeschi, uom senza cura, Monaldi e Filipeschi. omo indolente,
Color già tristi, e costor con sospetti. Ourli za in ruza, questi tra i sospeti.
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura Vien, 'iini crudei, e varda infìnamente
De' tuoi gentili, e cura lor magagne, Come xc opressi i toi; abili a cuor, HO
E vedrai Santafior com'è sicura. E varda a Santafior se ghe ocor gnente.
Vieni a veder la tua Roma che piagne, Vien la to Roma a ochiar che tra'l dolor
Vedova, sola, e dì e notte chiama: I.ngrcmando te disc sola e grama:
Cesare mio, perchè non m'accompagnc ? Perchè ti m'abandoni, mio Signor?
Vieni a veder la gente quanto s'ama ; Varda mo si' Italiani quanto i s'ama; "-'

88 /;'/ mono Giutlintan = allude al celebre Codiec dell' Imperatore Giustiniano.


89 vada ti batlo re = vuoto ù il basto. È assomigliata l'Italia al cavallo senza cavaliere.
91 Se'l jireccio de Dio = II precetto di Gesù Cristo: rendi a Cesare quel elic è di Cesare, a Dio quel chn
è di Dio: unni" che milita per Cristo, si mescola di altari secolareschi.
93 mo -- particella riempitiva.
96 barbuzzal - quella catenella elic va attaccata all'occhio dritto dei morso della briglia e si congiungt
col rampino che è Hll' occhio manco dieiro alla barbozza dei eavallo.
97 Alberto - tiglio dell' Imperatore llodulfu, fu il secondo della Casa d'Alisunrgo che avesse il titolo di re
dei Iliummi. Fu eletto nel 1298, e sebbene confermala la sua elezione nel 1303 da Papa Bonifuzio Vili non rolle
mai venire in Italia.
99 bragoni = calzoni.
100-101 jYoto castigo ee. — Par che accenni, u modo di |n-nlVzia, alla morte violenta elic ebbe Alberto dal sno
nipote Giovanni d'Austria nel 1308. Egli ricusò di assistere gli esuli Ghibellini, quindi forse lo sdegno del l'otla.
102 Tal, che al lo incenar — vuole indicaro Arrigo VII da cui per un tempo sperò rimedio alle cose d'Ilalii.
104-105 loyheli -: piccoli luoghi in confronto del giardin tìe l'Impero, cioè dell'Italia.
106-107 Mantechi e Capiteli = nobili e potenti famiglie ghibelline di Verona. = MaualiK e f'ilipenìù =_ al
tre nobili famiglie di Orvieto. Il Todcsehini dice i Cappelletti ghibellini di Cremona, e i Monaldi di Perugia.
108 m ruza - in discordia.
110 Come zc opressi i lai = e i m'- li tuoi gentiluomini Ghibellini oppressi dai Guelfi = n6i/i a cuor .- tbbi
tura di essi.
111 Santafior = Santafiore, altra volta Contea; feudo imperiale e suoi confini della provincia Sane» =
« ylir ocor y unite .—-- detto ironicamente perelio quel paese, per il mal governo de' suoi Conti, era tutto infestalo
di latrocini.
115 mo = particella riempitiva.
CANTO VI. 487
E se ii sili/i di noi pietà ti muove, E se un li 'i compassicn no i riva a farle,
A vergognar ti vien della tua fama. Qua a vergognarte vien de la to fama.
E se licito m'è, o sommo Giove, Perdona, o giusto Dio, ti òhe lassarle
Che fosti in terra per noi crocifisso, Ti ha voleste per nu meter in erose,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove ? Asìn i ochi voltai da un'altra parte? 120
0 è preparazioti, che nell'abisso O ti ne mandi i spini in tanta dose,
Del tuo consiglio fai per alcun bene, Ne la profonda, a nu sconta, to mente,
In tutto dall'accorger nostro scisso ? Per prepararne un leto pien de rose ?
Che le terre d' Italia tutte piene Che piena è Italia de tirana zente,
Son di tiranni, ed un Marcel diventa E qualsia scalzacan, ch'alii, i un partio, 125
Ogni villan che patteggiando viene. Novo Afarcelo deventar se sente.
1 mi m A, mia, ben puoi esser contenta Firenze mia, sto longo brontolio
Di questa digression che non ti tocca, No fa per ti, che i toi tanto velen
Mercè del popol tuo che sì argomenta. I se maniza per tegnir tndrio.
Molti han giustizia in cor. ma tardi scocca, Tanti ha in cuor la. giustizia, e sol per ben , 130
Per non venir senza consiglio all'arco : Pensarghe su, tardlga a dar maura
Ma il popol tuo l' ha in sommo della bocca La opinion; ma su i lavri i toi la tien.
Molti i i li ii i a i» lo comune incarco ; Tanti refuda la magistratura ;
Ma il popol tuo sollecito risponde Ma senza che i to fioi l'invido i senta,
Senza chiamare, e grida : 1' mi sobbarco. Pronti i responde: Nu a vammi cura. i 35
Or li fa lieta, che tu hai ben onde: Va là che ti ha rason d'esser contenta :
Tu ricca, tu con pace, tu con sennoi Ti i ira. in pase e giudiziosa. El fato
S'io dico ver, l'eiretto noi nasconde. Mostra se digo ci vero o me lo inventa.
Atene e I.acedcmona, che fenno Sparla e Atene, che in vechio le ga fato
L'antiche leggi, e furon sì civili, La lege, che ga dà quel bon governo, 1 40
Fecero al viver bene un picciol cenno In civiltà le ha corso poco trato
Verso di te, che fai larflo sottili In confronto de ti, che col lo eterno
Provvedimenti, ch'a mezzo novembre Far legi nove, no le xe corive
Non giugne quel che tu d'ottobre fili. Quele d'utuno al principiar d'inverno.
Quante volte del tempo che rimemhrr, Quante volto nei tempi che se'vive, 145
Legge, moneta, e uffici, e costume Ti ha cambià olìzi, metodo e progeto,
Hai tu mutato, e rinnovato membre! La un un'da, la lege e chi la scrive !
E se ben li ricorda, e vedi lume, Se ti ha memoria è chiaro l'inteleto,
Vedrai te somigliante a quella inferma, Varda che ti nomegi a quella inferma,
Che non può trovar posa in su le piume, Che per trovar rcposo sul so leto, 150
Ma con dar volta suo dolore scherma. Se storze da ogni banda e mai sta ferma.

116 riva - vale arrivare, e qui: se non giungono a commuoverti. ,,


125 scalzatau = in:., vulzi.nr.
l^0 Aiuvo Marcelo = .Marcella: furono a Iloma iti questo nome nomini segnalatissimi, fra i quali colui 'elic
«pugnò Siracusa, e l'altra rii,- -i oppose .iii. i liranuidc di Giulio Cesare. Qui vale eroe popolare.
127 Questo e gli altri Ire trrnari elic vengono up|iresso sono un'amara ironia contro Kirenze.
12S-129 i lui - i tuoi, e sottointeso tìgli, popolo. I :•<• munita ... si inanr{i|;inno, s'armeggiano.
131 mauro - matura, e qui equivale a saggio.
133 Tanti refuda = molti rifiutano.
134 invido -..- invito.
143 no le xe corive = non corrono, non hanno vigore.
149 xomegi . assomigli.
151 Se tlorzt da ogni banda = si contorce, si dimena per ogni lalo.
188 DEL PISCATORIO

CANTO SETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Di gir più oltre a' due Poeti toglie Tol Sordido ai Poeti la speranza
Sordel la speme, insin che novo piorno De andar più avanti insin eh' ci dì sfantat
La gotta non isgorabri, ch'ivi coglie. No ha l'ombre de la note, che s'avanzx
Intanto ranno con lor guida intorno, Sordelo intanto dove sta senbae
E trovan alme sedersi cantando: Li conduse tante anome cantando
Srdvereylnaj in luogo verde e adorno. Satrereyina, in verde pra insembrae,
Che di lor pace al ciel fanno dimando. Che ghe daga la pace el Ciel pregando.

Potciache l'accoglienze oneste e liete Dopo i abrazzi ripetui de cuor,


Furo iterate tre e quattro volte, Sordelo in prima s'ba tirà un uà indi-io;
Sonici si trasse, e disse : Voi chi siete ? E po': Ma vu chi seo ? dise al Dotor ;
Prima ch'a questo monte fosser volte Aranti che a sto monte benedio
L'anime degne di salire a Dio, Le aurmi- degne de volar in cielo 5
Fur l'ossa mie per Ottavian sepolte. Le vegnisse, Olavian m' ha sepelio.
l' son Virgilio ; e per null'altro rio Virgilio son : go perso el don più belo
Lo ciel perdei, che per non aver fè : Solo perchè me xe mancà la Fede;
Così rispose allora il Duca mio. Respondcva el Dotor cussi a Sordelo.
Qual è colui che cosa innanzi a sè Come xe quel, che d'improviso vede
Snbita vede, ond'ei si maraviglia, Cossa la qual, maravegià e dubioso:
Che crede e no, dicendo : ell'è, non è ; Nel dir: veia sì o no, crede e noi crede;
Tal parve quegli, è poi chinò le ciglia, Talqual Sordelo : e po coi ochi in z«su,
Ed umilmente ritornò ver lui, Umile incontro ancora el ghe vegnia ;
E abbracciollo ove '1 iniiior s'appiglia. E i zcimclii abrazzandoghe, ha resposo: 'J
O gloria de' Latin, disse, per cui 0 gran Latin, che ti ha mostrà qual sia
Mostrò ciò che potca la lingua nostra : Questo nostro linguagio e quanto ci posta,
O pregio eterno del loco ond'io fui, Onor eterno de la patria mia ;
Qual merito o qual grazia mi ti mostra ? Che grazia che te veda e te conossa !
S'io son d'udir le tue parole degno, Dime, se d'ascoltarle mi son degno,
Dimmi se vien d' Inferno, e di qual chiostra. Se ti x ini da l' Inferno e da qual fossa.
Per tutti i cerchi del dolente regno, 1 cerchi tuti de l'orendo regno
Rispose lui, son io di qua venuto: Per vegnir qua, el responde, go batù;
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. M' ha '1 ciel mandà, per voler soo qua regno.
Non per far, ma per non fare, ho perduto No per mal far, ma per no aver credù,
Di veder l'alto Sol che tu disiri, V Onipotente ha perso al qual ti aspiri,
E che fu tardi da me conosciuto. E che, pur tropo, tardi ho conossù.

4-5 Armili ce. = cioè aranti la Ilisurrczione di Cristo.


6 Olavian = Virgilio fu fallo seppellire dn Oltaviuuo Augusto.
7 go peno et dan juiu belo = cioè la vista di Dio.
14 ancora = è la seconda vulla elic Semielio va incaniro • Virgilio, dopo la prima accennata *l v. 73 ri.i
Caniii precedente.
21 e da ii uni fona - dello per metafora: per qual cerchio dell' Inferno.
27 lardi Aa canoisti -- cioè dopo morte.
CAKTO VII. 489
Luogo è laggiù non tristo da martiri, Un logo scuro scuro tra quei ziri
Ma di tenebre solo, ove i lamenti Ghe xe là zoso, in dove no ti senti
Non suonan come guai, ma son sospiri. Dni martirio el lamento, ma sospiri. 30
Quivi sto io co' parvoli innocenti, Là mi stago coi bamboli inocenti
Da' denti morsi della morte, avante Da la morte stai prima morsegai,
Che fu.v-.iT dall'umana colpa esenti. Che dal pecà de Adamo i sia redenti.
Quivi sto io con quei che le tre sante Là mi stago con chi no ha anulo mai
Virtù non sì vestiro, e senza vizio Le tre virtù teologiche; del resto 35
Conobber l'altre, e seguir tutte quante. Le altre i ga avudo ; e puri i xe restai.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio Ma se ti sa e ti poi, dine de questo
Dà noi, perchè venir possiam più tosto Purgatorio qual sia la vera intrada,
Là dove il Purgatorio ha dritto inizio. Che arivarghe podessimo più presto.
Rispose: Luogo certo non c'è posto: E lu : Nissuna parte n'è assegnada ; 40
Licito m'è andar suso ed intorno: Posso andar suso e intorno; e insin che sia
Per quanto ir posso, a guida mi t'accosto. Permesso a mi, t'insegnerò la strada.
Ma redi già come dichina il giorno, Ma varda, cala el zorno, e andar su via
E andar su di notte non si puote ; No podendo de note, voria farle
Poro è buon pensar di bel soggiorno. . Star, dove ghe xe bona compagnia. 45
Anime sono a destra qua remote: Anrmr a drila ghe xe qua in desparte,
Se '1 mi consenti, menerotti ad esse, Che ti avarà in vederle gran piacer :
E non senza diletto ti fien note. Da quele, se ti voi, posso menarle.
('.ami' ciò ? fu risposto : chi volesse Come ! a lu ci Mestro, chi avesse el pensier
Salir di notte, fora egli impedito Montar de note gh' è chi noi permeta? 50
D'altrui ? ovver saria che non potesse ? O su noi ghe andaria per no poder?
E il buon Sdidello in terra fregò '1 dito Col dco Sordelo in lera el frega dreta
v Dicendo: Vedi, sola questa riga Una strissa, disendo : Varda ben,
Non varcheresti dopo '1 Sol partito : Calà 'l Sol, no li passi sta tresseta :
Non però che altra cosa desse briga, El scuro de la note, co la vien, 55
Che la notturna tenebra, ad ir suso: E gnent'altro se opone a far su un pano :
Quella col non poter la voglia intriga. Eia sola la vogia indrio ve lien. : -.
Ben si poria con lei tornare in giuso, Ma ben se porteria tornar a basso,
E passeggiar la costa intorno errando, E a volontà zirar el monte quando
Mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso. Va per el ciel la negra note a spasso. 60
Allora il mio Signor, quasi ammirando : Alora ci mio Dotor maravegiando :
Menane, disse, dunque là 've dici Itonca, el dise, condustne zo lì,
Ch'aver si può diletto dimorando. In dove se va '1 tempo ben passando.-. ' -
Poco allungati c'eravam di lici, Slontanai da 'quel silo solo un lià,
Quand'io m'accorsi che '1 monte era scemo, dir. -I monte ga un incavo s'incorzemo, 85
A guisa che i valloni sceman quici. Come le nostre vale. Adesso qua,

23 l'n lago ee. - - cioè, il Limbo.


3ì montqai = morsi.
35 U ire virtù leologiche = le virih leolngielie, fede, speranza e carili.
52 Col dea = col dito.
57 la vogia — In voglia, il desiderio.
M un fià -- un pochino.
190 DEL PURGATORIO

Colà, disse quell'ombr^, n'anderemo Dise Sordelo a nu, se calaremo,


Dove la costa face di sè grembo, Dov'el monte fa cuna, e là, tra quela
E quivi '1 nuovo giorno attenderemo. Compagnia, ci dì novo aspelcremo.
Tra erto e piano era un sentiero sghembo, Tra l'erto e "1 pian per sbiego una stradela 711
Che ne condusse in fianco della lacca, N'ha menà a un fianco de la vale bassa,
Là dove più ch'a mezzo muore il lembo. Sin che olira el mezo mor la coronela.
Oro ed argento fino e cocco e biacca, Fin oro, e arzento, e coco, o biaca in massa,
Indico legno lucido e sereno, Smeraldi apena roti, e legni mori,
Fresco smeraldo in l'ora che si l'iacea. Che i più lustri e i più bei a l' Indie nassa, 75
Dall'erba e dalli fior dentro a quel seno No ga gnente che far con l'erbe e i fiori,
Posti, ciascun saria di color vinto, Che xe là messi in bela mostra; tanto
Come dal suo maggiore è vinto il meno. Va de sora de queli i so colori.
Non avea pur natura ivi dipinto, Ma i colori no aveva soli el vanto,
Ma di soavità di mille odori Che odori a mici a imbalsamar fazzeva 80
Vi faceva un incognito indistinto. L'aria cussi, che no se poi dir quanto.
Salve Regina in sul verde e in su' fiori Sul pra fiorio sentai tanti vedeva,
Quindi seder cantando anime vidi, Salve Regina andar cantando via,
Che per la valle non parean di fuori. Che, in quel sito vegnù, mi ochiar podeva.
Prima che '1 poco sole omai s'annidi, Co sto poco de Sol zo calà sia, 85
Cominciò '1 Mantovan, che ci avea volti, Dise Sordelo, el qual n'ha là m m ai.
Tra color non vogliate ch'io vi guidi. Da queli mi ve condurò là via.
Da questo balzo meglio gli atti e i volti Qua In cima intanto d'eli megio assai
Conoscerete voi di tutti quanti, I visi e i moti podere vardar,
Che nella lama giù tra essi accolli. Che no stando tra lori 7.0 insembrai. M
Colui che più sii-d'allo. ed ha sembianti Quel più in alto sentà che al viso par
D'aver negletto ciò che far ilo iva, Ch'el pensa a quelo che lu far doveva,
E che non muove bocca agli altrui canti, Nè avre boca coi altri per cantar ;
Ridolfo imperador fu, che pote» E1 xe Rodolfo che guarir podeva
Sanar le piaghe e' hanno Italia morta, El mahn, per el qual xe Italia morta, '5
Sì che tardi per altri si ricrea. Senza aspctar che i altri ghe lo leva.
L'altro, che nella vista lui conforta, Quel altro che coi ochi lo conforta,
Resse la terra dove l'acqua nasce, ' De la tera è sta '1 Re, dov'el Moldava
Che Molta in Albia, ed Albia in mar ne porta Dà l'aqua a l'Elba, e questo al mar la porta.
Ottachèro ebbe nome, e nelle fasce Otocaro el ga nome, e co '1 latava i":'1
Fu meglio assai che Vincistao suo figlio De so fio Vencestao l'è sta assae megio,
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce. Ch'el tien, za omo, ni vi/ io vita schiava.

70 per ibiego una Urodela -- per un sentiero storto.


72 In corone/a = il ciglione elie, deelininula, andava diminuendo oltre la meta la ,-ua larghezza.
73 in mtM*a — in quantità.
80 a miera - - a migliaia.
84 (.Vie, in quel silo vegnù, ochiar podeva = non potendoli vedere quando si trovava di dietro drll.i «"c-
85 Co —- quando.
HO iniembrai = ammalgamati.
94 Rodolfo --— d'Absurgo imperatore mori l'anno I2SO.
95 el bui/mi ce. = le discordie cittadine da cui era lacerala l' Ilalia.
98 De la tera è tla'l Re = il ro di Rocmia, ove ha la sorgente il fiume Moldava.
100 Otocaro = re di Bocmia; mori in battaglia contro Rodolfo nel 1277.
CANTO VII. 191
E quel Nasetto, che stretto a consiglio E quel Naselo, che impegnà a consegio
Par con colui e' ha sì benigno aspetto, Par ch'el staga con quel dal dolce aspeto,
Morì fuggendo e disfiorando il giglio : Et xe morto in scampar sporcando el zegk>: 105
Guardate là, come si batte il petto. Vardè, vardè com'el se baie el peto.
L'altro vedete e' ha fatto alla guancia St'altro ochie ch'el sospira, e in gran pensier
Della sua palma, sospirando, letto. Fa a la massela co la mnn da leto :
Padre e suocero son del mal di Francia : Del mal de Fratua i xe pare e missier.
Sanno la vita sua viziata e lorda, La vita rota i sa crielo ga fato, 110
E quindi viene il duoi che sì li lancia. E xe questo ch'el cuor ghe fa doler.
Quel che par sì membruto, e che s'accorda El colosso che canta el canto grato
Cantando con colui dal maschio naso, Con quel altro nason, d'ogni virtù
D'ogni valor portò cinta la corda. Più bela e rara el gera sta ci retrato :
E se re dopo lui fosse rimaso Se '1 zovene sentà da drio de lu, 115
Lo giovinetto che retro a lui siede, Fusse sucesso a quel nei regni soi,
Bene andava il valor di vaso in vaso ; Dal pare al fiolo la saria dà su;
Che non si puote dir dell'altre rede. Tanto dir no se poi dei altri lini.
Jacomo e Federigo hanno i reami : (ìa Giacomo e Ferigo i troni; ma
Del retaggio miglior nessun possiede. Come so pare no i ga '1 cuor da croi. 1-20
Bade volte risurge per li rami Ben de raro se vede l'onestà
L'umana probitate : e questo vuole Passar dal tronco al ramo ; el Signor voi
Quei che la dà, perche da lui si chiami. Che a Lu la se domanda, e Lu la dà :
Anco al Nasuto vanno mie parole Ste parole al colosso no va sol,
(Non men ch'all'altro, Pier, che con lui canta), Ma anca a quel dal nason, che con lu canta, 125
Onde Puglia e Proenza già si duole. Del qual Puglia e Provenza so ne dol.
Tant'è del seme suo minor la pianta, Tia '1 pare e i fioi gh'è dlferenza, quanta
Quanto, più che Beatrice e Margherita, Costanza adesso, più che Malgarita
Costanza di marito ancor si vanta. E Beatrice del mario se vanta.

103 E quti Nanlo -- E questi Filippo III l'Ardito, re di Francia: lo chiama Nasetto perchè aveva piccolo il naso.
104 quel dal dulct aspelo .-- è Arrigo III conte di Sciampagna, e re di Novaru detto il Grasso.
105 / ' xe morto in scampar — Filippo III sconfìtto in battaglia navale da Ruggicri Duri.i, ammiraglio dei
re Pietro III i1'Angona, si ritirò a Perpignano, ove mori di dolore — sporcando ti zegio = cioè macchiando
per quella sconfitta l'onore della Francia, che ha per arma il Giglio.
107 Sl'altro ochiè — cioè Arrigo III.
109 Uri mal de Franza - Filippo III era il padre, e Arrigo III il suocero di Filippo il Bello, qui chiamato
dal Poeta il mal di Francia, perchè caitivo principe.
112 l'I colosso - cioè lo stesso Pietro III d'Aragona, di cui la nota 105 il quale occupò la Sicilia dopo i
Tamosi Vespri, per diritto che credea venirgliene da sua moglie Costanza, figlia di Manfredi ultimo re di Casa Sveva.
113 Con guel'altro nason = Carlo 1 conto di l'rovenza e iv di Puglia: era fornito di un naso maiuscolo,
115 Se'l -m, a.- = Alfonso, Giacomo, Federigo e Pietro furono i ligli di Pietro III. Alfonso il primogenito,
snccesw al padre nel regno di Aragona, e dopo sei anni, cioè nel 1291 mori giovane e sema figli. Lgli è il gio
vinetto qui accennato.
117 taria da tu = sarebbe sorta ogni virtù di cui il verso 113.
119 Giacomo e Ferigo - figli di Pietro III giù accennali nella Nota 115: il primo ebbe il trono d'Aragona,
il secondo quello di Sicilia.
124-125 al colosso = cioe a Pietro 111. di cui il v. 112 - a quel dal nason = cioò a Carlo I, di cui il
>'. 113, che cantano uniti assieme la Salve Reniaa, di cui il v. 83.
128 dii nual = cioè del nasuto Carlo I su detto. Puglia e Provenza si dolgono pel malgoverno che ne fa
Cario II figlio di lui.
127-129 Tra'l pare e i poi ce. = tanto è men virtuoso Carlo II del padre suo Carlo I, quanto Costanza
(ancor viva nel 1300), si vanta di suo inarilo Pietro III, pii! di quello che Beatrice e Margherita si vantino del
mirilo loro. Beatrice figlia del conte Raimondo di Provenza, fu hi prima moglie di Carlo I; Margherita figlia
di Eudc duca di Borgogna fu la seconda; vuoi dire: v'ha tanto divario in bontà tra Carlo II e Carlo I, quanto
n'era tra quest'ultimo e Pietro d'.Vraguna.
4 92 DEL PtRGATORIO
Vedete il re della semplice vita L'inglese Arigo, che ha menà una vita 130
Seder là solo, Arrigo d'Inghilterra ; Modesta, solo là sentà vardè;
Questi ha ne' rami suoi migliore uscita. Elo no ga nei lini Ifuciii desdita.
Quel che più basso tra costor s'atterra, Quel che più in zo dei altri sentà xe
Guardando in suso è Guglielmo marchese, E varda in su, Gulielmo xe '1 marchese,
Per cui e Alessandria e la sua guerra Per el quai Alessandria ha dà un suda 135
Fa pianger Monferrato e il Canavese. A quei de Monteforte e al Canavese.

130-132 I.' iinjleit Arigo ee. =- Arigò III re d'Inghilterra fu uomo di buona fede e di semplici costumi: i
suoi Baroni aventi allu testa il conte di Leicester, gli si ribellarono. Ma il di lui figlio Edoardo, \iucendo i ri
belli, lo liberò e lo fece rimontare sul trono — qutla desdila -- quell'avversità, mala sorte.
134-135 Gntitlmo - . Guglielmo Marchese di Monferrato, preso a tradimento da quelli di Alessandria dclli
Puglia, fu chiuso in una gabbia di ferro, e dopo«17 mesi mori di dolore nel 1292. Per lo che tra quei di
Monferrato e Canavese, e quei di Alessandria fu lunga ed aspra guerra. = ha dà un ru/li .--: dal Francese souf
flè!; diede una dirotta di busse (in battaglia).

CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Scendono a guardia di quel basso loco Cala zo a guanlia de quel basso logo
Due vaghi spirti, che venti han le vesti, Do Anzoli, che verde i ga la vesta,
Verdi le penne, e spade hanno di fuoco ; Verde i ga le ale, e spade i ga de fogo.
Li .|nui si movon minacciosi e presti Pronti i se move, e i va co l'ala lesta
Contro la forza di quel mal serpente, Contro el maledeto orido serpente,
Ohe sempre a' danni alimi sempre tien ( Che aneme el tenta e de velen le imposte;
Ond' ei son fugge ratto, che gli sente. Quel se la stiigna apena che li sente.

Era già l'ora che volge il disio Gcra l'ora cb/el cuor tenero fa
Ai naviganti e intenerisce il core, Del navegante, per vegnirghe in mente
Lo dì e' han detto a' dolci amici addio ; I amici che in lassarli el ga basa;
E che lo novo peregrin d'amore E anca al novizio pelegrin, se '1 sente
Punge, te ode squilla di lontano, El son de la campana da lontan,
Che paia il giorno pianger che si muore : Che par la pianza el dì che io moriente:
Quand'io incominciai a render vano Quando flnindo el canto, vedo al pian
L'udire, ed a mirare una dell'alme lln'anema levarse, e el moto in -io
Surta, che l'ascoltar chiedea con mano. A Ui altre d'ascoltar far co una in, m :
Ella giunse e levò ambe le palme, Po zontae, la le alzava tute do, IO
Ficcando gli occhi verso l'oriente, Quasi, el Levante (isso fisso ochiando,
Come dicesse a Dio : D'altro non calme. Disesse a Dio : Altro pensier no go.

4 novizto -- dicesi di chi e nuovo in elic che sia.


7 /iniiuin el canto -.- lila fine della Salve Regina, di cui il Canto precedente v. 83.
9 m — qui vale con.
10 amine = giunte — late ito = entrambe.
CAUTO Vili. 493
Te lucis ante A dlvotamente Te ludi ante, eia vegnia pregando
Le tuei di bocca, e con sì dolce note, Con arzentina e cussi dolce vose,
Che fece mo a me uscir di mente. Che de mi m'ho scordà dal gusto grando. 15
E l'altre poi dolcemente e divote E le altre in ato de pregar pietose
Seguitar lei per tutto l'inno intero,- Quel Ino tuto quanto a dir le sento,
Avendo gli occhi alle superne ruote. I ochi fermadi al ciel tegnindo ansiose.
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero, Desso a quel che dirò, letor, sta atento,
(.li - il velo è ora ben tanto sottile, Che chiaro è '1 velo che lo involze, ma 20
Certo, che '1 trapassar dentro è leggiero. A spierarlo ghe voi molto talento.
T vidi quello esercito gentile Vardo el coro zentil, e l' ho osservà
Tacito poscia riguardar in sue, Po in silenzio aspetar fissando el cielo
Quasi aspettando pallido ed umile : Con timida speranza e co umiltà.
E vidi uscir dall'alto, e scender giue E da l'alto vegnir go visto in quelo 25
Due angeli con duo spade afrocale, Do Anzoli, che in innn. a ponta piata
Tronche e private delle punte sue. Spada infogada aveva e questo e quelo.
Verdi, come foglietto pur mo nate, Verde, come l'erbeta apena nata,
Erano in veste, che da verdi penne Drio de lori ghe sventola la vesta,
Percosse traèn dietro e ventilate. Che le ale verde par in aria sbata. 30
L'un poco sovr'a noi a star si venne, Un poco sora de la nostra testa
E l'altro scese nell'opposta sponda, El '.lon, l'altro zn cala in st'altra sponda
Si che la gente in mezzo si contenne. Cossi, che quela zente in mezo resta.
Ben discerncva in lor la testa bionda; Ghe scovriva ben mi la testa bionda;
Ma nelle facce l'occhio si smarria, Ma nei visi vardarli no podea, 35
Come virtù ch'a troppo si confonda. Che fa el so gran lusor da mi i se sconda.
Ambo vegnon del grembo di Maria, Da Maria i xe partii, Sordel disea,
Disse SÒrdcilo, a guardia della valle, Per far guardia a la vale qua de sora,
Per lo serpente che verrà via via. Causa el bisso che vien : Mi no savea
Ond'io, che non sapeva per qual calle, Da quala banda quel sbusasse fora, 40
Mi volsi intorno, e stretto m'accostai Perciò vardando atorno atorno, arente
Tutto gelato alle fldate spalle. Giazzà me tiro del mio Mestro. Alora
E Sordello anche : Ora avvalliamo omai Sordelo a nu : Tra quela brava zente
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse i Calcmoso a parlar; e quei grazioso
Grazioso fia lor vedervi assai. I ve farà l'aceto certamente. 45
Solo tre passi credo ch'io scendesse, Fati tre passi, m'ho trovà là zoso,

13 Te lncit ante = è l"1nno che dalla Cliirsa si canta nella Compieta.


i:--2ii Desto a quel ir. = Varie sono le interpretazioni date a questi due versi, ma la più ovvia ci sembra
1) tegnente. Dante volle forse simboleggiare in raodo figurato una ordinazione della provvidenza di Dio; cioè elic
coloro i quali nella vita presente indugiano la penitenza, per divino giudizio, e per mulo effetto di-gli aiiiti loro
addosso lasciati invecchiare, sono più durnmente tempestali dalle suggestioni diaboliche, il perche di più guar-
Ilia e di più orazioni fa loro bisogno ad impetrare il soccorso celeste. Le anime (jui preganti, sono poste fuori
del Purgatorio appunto perelio tardarono a p.-nlir-i = chiaro ^ rado.
il tpierarla = traspirarlo.
24 e co umiltà = e con umiltà.
25 m (lutlo — in quel punto.
26 o pania pinta — a puuta npianata, tronca.
42 me tiro — mi traggo.
45 accia » accoglienza.
13
4 94 DEL PURGATORIO
E fui di sotto, e vidi un che mirava E ho visto un che su mi l'ochio ci gaveva
Pur me, come conoscer mi volesse. In ato de conosserme vogioso.
Tempo era già che l'aer s'annerava, L'aria in quel'ora scura se fazzeva,
Ma non sì, che tra gli occhi suoi e' miei Ma no tanto, se questa m' ha permesso 50
Non dichiarasse ciò che pria serrava. De veder quel che prima no vedeva.
Ver me si fece, ed io ver lui mi fei: Tuti do s' i n con tremo a un ponto istesso :
Giudice Min gentil, quanto mi piacque, Giudice Nino, oh quanto m' ho godeste
Quando ti vidi non esser tra' rei ! In scovrir che a l'Inferno no ti è messo !
."Sullo bel salutar tra noi si tacque : Co '1 saludo più belo go rendesto, 55
Poi dimandò : Quant'è che tu venisti Me domanda : Dal Tevere a sto monte,
Appie del monte per le lontane acque ? Dime, quando vegnir ti ga podesto ?
Oh ! dissi lui, per entro i luoghi tristi Stamatina, mi vivo, per le sconte
Venni stamane, e tono in prima vita, Strade d'Inferno SDII vegnù sin qua,
Ancor che l'altra sì andando acquisti. E de la vita eterna cerco el fonte. M
E come fu la mia risposta udita, Sordelo e Nino, co cussi ho parlà,
Bordello ed egli indietro si raccolse, I va indrio copa, proprio come chi
Come gente di subito smarrita. De sbalzo dal stupor resta incantà.
L'uno a Virgilio, e l'altro ad un si volse Un se volta al Potor, e l'altro a un lì
Che sedea lì, gridando : Su, Currado, Sentà : Corado, su, varda che don 6"i
Vieni a veder che Dio per grazia volse. De Dio, ghe va cigando ; e '1 dise a mi :
Poi volto a me: Per quel singular grado, Se ti è grato del mondo al gran Paron,
Che tu dèi a colui che si nasconde Che tien scontc le grazie ch'el ga in mente,
Lo suo primo perchè, che non gli è guado, E nissun scovrc d'eie la rason,
Quando sarai di là dalle larghe onde, Dighe a la Nana mia, co tra la xente 70
Di'a Giovanna mia, che per me chiami Ti torni al mondo, che per mi pregar
Là dove agl'innocenti si risponde. La vogia ci ciel, che ascolta l' inocente.
Non credo che la sua madre più m'ami, La mare soa no me vorà più amar,
Poscia che trasmutò le bianche bende, Dopo che la ga tolto altro mario,
Le quai comimi che misera ancor brami. Siben, meschina, vedòa tornar 75
Per lei assai di lieve si comprende, La bramerà. Se poi aver capio
Quanto in femmina fuoco d'amor dura, Da eia, quanto che in dona l'amor dura,
Se l'occhio o il tatto spesso noi raccende. Se '1 tasto no ghe tien e l'ochio di in,
Non le farà sì bella sepoltura No ghe farà onorada sepoltura

53 Giudice Nino — Nino della caso Visconti ili fisa, gimlire nel giudicato di Galiura in Sardegna, capo di
parte Guelfa, nipote dei Conte L'golino della Glierardrsca. l'u egli nel 128$ cucciato da Pisa, e mori in seguiin
guerreggiando contro i Pisani. Dante lo avea conosciuto ii 1 1' assi-dio del castello di Caprona nel 1290 (Buncui).
55 Co .. quando.
57 iInuaitn vegnir li ga padellai = vedi canto M. v. 100.
61 ni --- quando.
62 / un iinlrio co/m = esprime il moto naturale di chi colto da una sorpresa, indietreggia alquanto colli
persona.
03 de iòalzo -.. a prima giunta.
07 del mondo al gran Paron = al gran Padrone del mondo.
(19 In rason = il perchè, il motivo.
70 a la Nana mia - - Giovanna figlia di Nino, questa fu moglie a Riccanlo da Camino, Trevigiano.
73 La mare tea = Beatrice Marchesana d'Este prima moglie di questo Nino, e poi di Galcano Visconti di
Milano.
79-81 fin ghe farà onorada tepollura = I Visconti di Milano avevano per istemma una vipera; un gallo era
lo stemma di Nino Giudice di Cattura.
CANTO Vìll. 495
La vipera, che il Melanese accampa, La vipera sul scudo del Visconte, 80
Com'avria fatto 11 gallo di Gallura. Come avria fato el gaio de Galura.
Così dicea, segnato della stampa Cossi Nino parlava ; e dal so fronte
Nel suo aspetto di quel dritto zelo, Dignitoso, ben giusto se scovriva
Che misuratamente in core avvampa. El lagno senza far sentir le ponte.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo, I ochi Fissi a le stele mi tegniva, 85
Pur là dove le stelle son più tarde, Che va più adasio, come roda più
Sì come ruota più presso allo stelo. Vicina a l' asso, manco va coriva.
E il Duca mio: Figliuol, che lassù guarde? E '1 Mestro : Cossa vardistu la su ?
Ed io a lui : A quelle tre facelle, Vardo, respondo, quele tre candele,
Di che il polo di qua tutto quanto arde. Che de qua tulo el polo schiara: E lu 90
Ed egli a me : Le quattro chiare stelle Da novo a mi : Le quatro bele stele,
Che vedevi staman, son di là bassu, Che s' ha ochià a l'albizar, là zo le tirn,
E queste son salite ov'eran quelle. E ga dà su ste tre dov'era quele.
Com'ei parlava, e Sordello a sè '1 traete Insin cifri parla arente a lu s'el tira
Dicendo : Vedi là '1 nostro avversaro ; Sordelo, e dise : Varda là '1 nemigo 95
E drizzò '1 dito, perchè in là guatasse. Nostro, e a ciò là '1 vardasse el deo el destira.
Da quella parte, onde non ha riparo Dal sito che la valesela intrigo
La picciola vallea, era una biscia, No ga o riparo, xe sortio un serpente,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro. rtnsi ristesso tentator antigo.
Tra l'erba e i liin venia la mala striscia, Tra i fiori e l'erba el vien pulitamente, 100
Volgendo ad or ad or la testa, e il dosso Ognitanto movendo la so testa,
Leccando come bestia che si liscia. - E licandose in schena bravamente.
Io noi vidi, e però dicer noi posso, No ho visto, nè so dir quel che a dir resta,
Come mosser gli astor celestiali, Come s' ha mosso i Anzoli de Dio,
Ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso. Ma li ho visti svolar co l'ala lesta. 105
Sentendo fender l'aere alle verdi ali, Co a sbater l'ale el bisso ga sentio,
Fuggio '1 serpente, e gli Angeli dier volta Se la ga fata, e i Anzoli svolando
Suso alle poste rivolando iguali. Xe al so posto tornai cubiadi in di in.
L'ombra che s'ura al giudice raccolta, Corado arente al giudice, da quando
Quando chiamò, per tutto quell'assalto Lo avea chiamà, sta che ha durà el duelo 110
Punto non fu da me guardare sciolta. Sempre e po sempre ci me vegniva oculando.
Se la lucerna, che ti mena in alto, Se quela grazia che te dona el cielo,
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera, Trova, el dise, in ti fede sufìciente,

84 ir ponte : le poulure, cioè racriinonia»dolla maldicenza.


89 Ire candele = cioe tre stelle. Letteralmente suno le Alfe dell'Eridano, delln Nave, e del Pesco d'oro;
illegoricamente sono le tre virtù teologali.
91-92 l.e iluatro belc fiele -. quelle precisamente accennale nel C. I. v. 23 simboleggianti le quattro virtù
cardinali.
98 df*iira = distende.
97 intrigo — ingombro, cioè dove la valletta non ha riparo che le faccia ingombro; vale a dire dalla parta
opposta al monte.
99 lentator antigo = li serpente che sedusse Eva a mangiare il frutto proibito.
106 Co = quando.
107 Se la g* fata — se la diede a gambe, fuggì.
108 cubiadi — appaiati.
109-110 Ctrado es. =* Vedi r. 65 e 118 = ci duelo = cioè l'assalto dato dai due Angeli al serpente.
496 DEL Pt'RGATOniO
Quant'è mestiere infino al sommo smalto, Per poder arlvar là tu da elo,
Cominciò ella, se novella vera Se mai ti ga novità vere in mente 115
Di Valdimagra, o di parte vicina De Valdemagra o tera a quel vicina,
Sai, dilla a me, che già grande là era. Dimelr, che mi gera là potente.
Chiamato fui Currado Malaspina: I m' ha chiama Corado Malaspina ;
Non son l'antico, ma di lui discesi : No'minga ol vechio, ma '1 xe sta '1 mio zoco:
A'miei portai l'amor che qui raffma. L'amor che ho avudo ai mii qua se rafiaa. 120
O ! dissi lui, per li vostri paesi Ghe respondo : In quei loghi tropo o poco
Giammai non fui; ma dove si dimora No son sta, ma in Europa chi i e mai,
Per tutta Europa, e ir iti non sien palesi ? Da no saverne i nomi tanto aloco ?
La fama che la vostra casa onora, De la famegia toa la ose oramai
Grida i signori, e grida la contrada, Ai Marchesi e à la tera ghe fa onor 125
Si che ne sa chi non vi fu ancora. Tanto, ch'el sa chi no ghe xe sta mai.
Ed io vi giuro, s'io di sopra vada, Te /m o, cussi possa dove ho el cuor
Che vostra gente onrata non si sfregia Arivar, che l'antiga splendidezza
Del pregio della borsa e della spada. No scorda la to razza nè '1 valor.
Uso e natura si la privilegia, Per vechia usanza e naturai grandezza, 130
Che, perchè il capo reo lo mondo torca, Se '1 demonio al mal far ga '1 mondo trato,
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia. Sola va drita, e '1 storto andar desprezza.
Ed egli : Or va, chè il Sol non si ricorca E lu: Prima ch'el Sol abia refato
Sette volte nel letto che il Montone Sete ziri nel loto, ch'el Molton
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca, Covre e l'inforca co le zate quato, 135
Che cotesta cortese opinione Drento in ti sta zentil grata opinioa
Ti fia chiavata in mezzo della testa Te sarà fìcà megio nel ccrvelo,
Con maggior ch in vi che d'altrui sermone; Che no in sentir dai altri el belo e '1 bon,
Se corso di giudicio non s'arresta. Se no se mua la volontà del cielo.

116 Vatdcmnrira -.- Distretto nella l.unigiana.


118-110 / m'Aa chiamà te. = da Corrado Marchese di Lunigiana, elic mori nel 1230, nacquero quattro fi
gli, uno dei quali chiamalo Federigo generò questo Corratin, che qui parla con limiu-, il quale fu Marchese di
x iii. .li. UHM, e mori nel 1294. =-. minga = mira = zoco = ceppo, origine di famiglia.
120 i/ mi te rafinn .-. qui si purifica, e di sensuale diviene spirituale, volgendosi toulmente a Dio.
124 la nte — la voce, qui è presa per fama.
130 naturai grandezza = naturale altezza, nobiltà d'animo.
131 Se 'I demonio al mal far te. = Alcuni comentntori per il capo reo intendono Bonifazio Vili, altri il De
monio, locchè ci sembra più consentaneo.
134 Scie ziri — cioè selle anni = Nailon — cioè la costellazione dei Munlc m-, ossia dell'Ariete.
136 In questo ternario vuoi Corrado significare a Dante che proverà egli stesso col fatto proprio In liberalilà
di Casa Mulaspina, e cosi gli predice che innanzi i-In- passino selle anni, sarà ospitalo dal suo cugino fnacc-
sehino di Mutano, e dal suo nipote .Martirlin di Yillafrimca.
133 te «un = si mula.
497

CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al corpo lasso del Poeta apporta Dante straco su l'erba se destira,
Quiete il sonno, ond' ei sognando veda E dormindo se insogna d'esser In
L'aquila, che per l'aria alto ne'l porta. Da un aquila brinci che in su lo tira.
E intende poi ch'egli ha mutata soi.-.; Sente che in dove el gera noi xe più.
E l'Angiol trova, che delle sue brame, Su una scalcia un Anzolo in senton,
E della nuova via ragion gli chiede. Cossa el voi ghe domanda da la su ;
Poi di grand' uscio srhiudcgli il serrame. E dopo el ghe deschiava el gran porton.

La concubina di Titone antico Za la bela moro*a do Titon,


Già s'imbiancava al balzo d'oriente, Bianco-restia da Oriente la spuntava
Fuor delle braccia tlrl suo dolce amico : Fora apena dai brazzi del vechion :
Di gemme la sua fronte era lucente, Le stele la so fronte inbrilantava,
Poste in figura del freddo animale, Messe cossi a dissegno, ch'el reti alo
Che con la coda percuote la gente : De do pessi tacai le figurava.
E la notte de' passi, con che sale, E dei so passi za i do primi fato
Fatti area duo nel loco ov'èravamo, Gavea le note, e gera anca là là
E il terzo già chinava in giuso l'ale; Per scomparir el terzo in t'un sol trato ;
Quand'io, che meco avea di quel d'Adamo, Quando la sonolenza m' ha chiapà, 10
Vinto dal sonno, in su l'erba inchinai E dove in cinque stavimo sentai,
l.-i Ve già tutti e cinque sedevamo. Me so in tura su l'erba destirà.
Nell'ora che comincia i tristi lai Ne l'ora, che i lamenti ha scomenzai
La rondinella presso alla mattina, Prima che sponta ci Sol la rondinela,
Forse a memoria de' suoi primi guai, Farsi a recordo dei so vechi guai ; 15
E che la mente nostra pellegrina E che al senso fazzendose rebela
Più della carne, e men da' pensier presa, La nostra mente, a ogni pensier dà '1 bando
Alle sue vlsion quasi è divina; Quasi indovina ai sogni sol xe eia ;
In sogno mi parea veder sospesa Vedeva in aria un aquila sognando
Un'aquila nel ciel con penne d'oro, Ferma su l'ale d'oro, e dessadesso
' Con l'ale aperte, ed a calare intesa : Pareva in ato de vegnir calando.
Ed esser mi parea là dove foro M' ha parso d'esser in quel monte istesso
Abbandonati i suoi da Ganimede, Co Ganimede, i soi lassai, portar
Quando fu ratto al sommo concistoni. Dei Dii s'ha visto avanti el gran consesso.
Fra mo pensava : forse questa fiedo Pensava fra de mi : Eia usa far
Pur qui per uso, e forse d'altro loco Qua la so preda, e solo da sto logo

I la bela morosa del Titon = e mitologicamente personificata l'aurora elic stava per sorpjere. La Dea Au
rora amante e sposa di Titone, non impetrò, inconsiderata, prima delle sue none da (ìiove coll'immorlalita anelie
l'eterna giovinciza per il suo sposo, o perciò questi divenne vecchio decrepito.
5-6 i; qui raffigurala la custellaiione dei l'esci =- (arai -- uniti, allacciti = do = due.
10 chiujiù = preso.
II in cinque -- cioè Dante, Virgilio, Sardella, Nino e Corrado.
12 Me to .i mi sono = riestirà = sdraialo.
15 d.-i vcr/u" unni = allude alla favuhi di Filomela elic fu mutata in rondine: redi C. XVII. v. 19, 20.
17 a ogni penticr dò 'I banda - bandito ogni pensiero.
"-'-'.'I I/'/iìi parta -. . allude alla favoln per la quale Ganimede fu sul monte lda rapito dn Giove trasformato
in aquila, e portato d'innanzi all'alto consesso dei numi Oi - : quando = i 10i taisui -- abbandonali i
tuoi parenti.
498 DEL PURGATORIO,
Disdegna di portarne suso in piade. Con questa ùi le sgrinfe in su svolar.
Poi mi parea che, più rotata un poco, Dopo fato coi voli a roda el zogo,
Terribil come folgor discendesse, M' ha parso come fulmine piombasse,
E me rapisse suso in lìmi al foco. E Icvamloinr in alto sin al fogo, 30
Ivi pareva ch'ella ed io ardesse, Parea là che con eia me brusasse:
E sì l'incendio immaginato cosse, Tanto, sognando, el fogo me scolava,
Che convenne che il sonno si rompesse. Che ha bisognà ch'el sono me lassasse.
Non altrimente Achille si riscosse, Come in svegiarsc Achil i ochi zirava
Gli occhi svegliati rivolgendo in giro, Atorno atorno mezo indormenzà, 35
E non sapendo là dove si fosse, No savendo in qual logo el se trovava,
Quando la madre da Chirone a Schiro Co da Chiron so mare l'ha portà
Trafugò lui dormendo In le sue braccia, A Sciro de scondon dormiente in brazzo,
Là onde poi gli Greci il dipartiro; E da là i Greghi a Trogia i l' ha menà ;
Che mi scoss'io, sì come dalla faccia Cossi co m' ho svegià pien de tremazzo 40
Mi fuggì '1 sonno, e diventai smorto, Senza un giozro de sangue, m' ho impetrio,
Come fa l'uom che spaventato agghiaccia. Come chi dal spavento vien de giazzo.
Da lato m'era solo il mio Conforto, Al fianco no gavea ch'el Mestro mio ;
E il Sole er'alto già più di due ore, Più d'un per d'ore el Sol corso el gaveva
E il viso m'era alla marina torto. In suso, e '1 mar mi ochiava imatonio. 45
Non aver tema, disse il mio Signore ; Sta ben sicuro, el mio Dotor diseva,
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto : Smmi a Ima porto, no sta aver paura :
Non stringer ma rallarga ogni vigore. Fa cuor, da bravo, lu me ripeteva,
Tu se'omai al Purgatorio giunto: Ti xe del Purgatorio drio la mura :
Vedi là '1 balzo, che il chiude d'intorno; Varda la cinta che lo sera intorno; 50
Vedi l'entrata là 've par disgiunto. Varda l'intrada in quela avertaura.
Dianzi, nell'alba che precede al giorno, Sul far de l'alba che fa strada al zorno,
Quando l'anima tua dentro dormia Quando l'anema toa in ti dormia
Sopra li fiori, onde laggiù è adorno, Là zo su i fiori sparsi atorno atorno,
Venne una donna, e disse : I' son Lucia ; Se ga a nu presenta una dona pia, • 55
Lasciatemi pigliar costui che dorme, E lassè, la disea, che a sto dormiente
Sì l'agevolerò per la sua via. Glie resparmia ci stradai, mi son Lucia.
Sordel rimase, e l'altre gentil forme : Xe restà là Sordelo e l' altra zente ;
Ella ti tolse, e come il dì fu chiaro, Qua su la t' ha portà co ha fato dì,
Sen venne suso, ed io per le sue orme. E mi drio d'eia ghe vegniva inente. CO
Qui ti posò : e pria mi dimostaro Qua t' ha puzà segnando in prima a mi

28 coi tali a rada ci zogo = coli' aver roteato a volo quasi giocando.
30 al fogo — cioè alla sfera del fuoco, che, secondo le dottrine cosmografiche d'allora, restava in mezzo
alla sfera dell'aria, e al cielo della Luna col quale fìnge il Poeta confini la cima del Purgatorio.
37 Chiron — durone aio di Achille figlio di T.-li, la quale sot Unendolo dalla custo.lia di lui, lo porti
dormiente sulle su* braccia uell' Isola di Sciro, d'onde i Greci Ulisse e Diomede lo trassero poi, per condorlo
alla guerra di Troia.
40 trcmazzo = tremore.
•l'. tftia/oni'o - sbalordito.
51 avermura .- apertura, fenditura.
57 mi .vini Lucia = è quella medesima nominata al C. II. dell'1nferno.
59 co liu. falo di - -- quando ba fatto giorno.
60 umiie ----- vicino.
61 Qua t'ha puzà - qui li poggiò.
CANTO IX. 199
Gli occhi suoi belli quell'entrata aperta ; Coi ochi bei l'intrada. Lucia- e '1 tuo
Poi ella e il sonno ad una se n'anda™. Sono, in t'un lampo xe sparii cossi.
A guisa d'uom che in dubbio si raccerta, Come quel che da un dubio combatuo,
E che muti in conforto sua paura,' Cambià in bota in conforto la paura, 65
Poi che la verità gli è discoverta, Quando la verità l' ha conossuo ,
Mi cambia'io : e come srnza cura M' ho cambià mi, ma quel che ha de mi cura,
Videmi il Duca mio, su per lo bal/.o Co '1 me vede tranquilo el se incamirsa,
Si mosse, ed io diretro in ver l'altura. E mi da drio de lu, per quel'altura.
Lettor, tu redi ben coin" io innalzo Letor, ti vedi quanto vien più fina 70
La mia materia, e però con più arte La mia materia, e no maravegiar
Non ti maravigliar s'io la rincalzo. Se perciò l'arte mia la se ratina.
Noi ci appressammo, ed eravamo la parte, Vegnui più arente, s'ha possù osservar,
Che là, dove pai-cami in prima un rotto, Che in dove ho credù veder a bonora
Pur com'un fesso che muro diparte, Una rotura el muro in do spacar, 75
Vidi una porta, e tre gradi di sotto, Gera una porta a tre scalini sora
Per gire ad essa, di color diversi, Dè color vario, e un portiner che un sesto,
IM un portici-, che ancor non facea motto. 0 un moto, noi n'aveva fato ancora.
E come l'occhio più e più v'apersi Sentà el scovro, co l'ochio ho ben spenzesto,
Vidil seder sopra '1 grado soprano, Su quel più alto, e in viso el resplendeva 80
Tal nella faccia, ch'io non lo soffersi: In modo, che fissarlo no ho podesto.
Ed una spada nuda aveva in mano, Nuda una spada in man elo strenzeva,
Che rifletteva i raggi sì ver noi, 1 ragi de la qual su nu stanzai,
Ch'io dirizzava spesso il viso invano. Come el so viso, orbar i me fazzeva.
Ditei costinci: che volete voi? Cossa, el scomenza a dir, voleo qua mai ? 85
Cominciò egli a dire : ov'ù la scorta ? Respondè stando là: dov' è la scorta?
Guardate che '1 venir su non vi nói. Vardè se a vegnir su ve vien dei guai!
Donna del Ciel, di queste cose accorta, Dona del ciel, che sa qual lege porta
Rispose il mio Maestro a lui, pur dianzi Sto logo, el Mestro sta resposta ha dada,
Ne disse : Andate là, quivi*è la porta. N'ha dito adesso : Andè, là i e la porta. 90
Ed ella i passi vostri in bene avanzi, E eia ve sia de guida ne l'intrada,
Ricominciò il cortese portinaio : Co altro ton el portier n' ha ripetudo,
Venite dunque a' nostri gradi innanzi. Vegni donca a la nostra scalinada.
Là ne venimmo ; e lo scaglion prunaio Col Mestro al scalin basso son vegnudo
Bianco marmo era si pulito e terso, De marmo bianco, cussi lisso e puro, 95
Ch'io mi specchiava in esso quale i' paio. Che in quel m'ho visto come spechio nudo,
Era il secondo, tinto più che perso, Gera el scalin secondo mezo scuro,
D'una petrina ruvida ed arsiccia, E '1 sasso, screpolà per ogni banda,
Crepata per lo lungo e per traverso. Tulo arso el gera, gropoloso e duro.
83 in t' mi lampo -- in un attimo.
65 m bàia -- subito.
77 un ttilo -- un atto, un gesto.
79 co l'ochio ho ben tpenzesio — quando spinsi innanzi l'occhio.
92 Co altro ton = con diverso tuono di voce.
95-98 De marmo bianco ere. -— simboleggia il riconoscimento delle proprie colpe, e il candore e la since
rili della confessione.
97-99. Gira el tcalin i-econdo mexo acuro ee. -= simboleggia il duro cuore del peccatore, e gli effetti che
opera in esso la contrizione.
200 DEL PIRGiTORIO
Lo terzo che di sopra s'ammassicia, Quel de sora de luti, el color manda 100
PoiTido mi parea sì fiammeggiante, D'un bel porfido fin rosso liamante,
Come sangue che fuor di rena spiccia. Come xr '1 sangue che una vena spanda.
Sopra questo teneva ambo le pianto Puzava in questo l'Anzolo le piante,
I/Angel di Dio, sedendo in su la soglia, Sora el lustro sogèr stando in senton,
Clic mi seminava pietra di diamante. Ch'el me pareva piera de diamante, lui
Per li Ire gradi su di buona voglia Su de quei tre scalini el mio Paron
Sii trasse il Duca mio, dicendo : Chiedi M'ba tira de bon annuo, disendo:
Umilemente che '1 serrame scioglie. Pregalo ch'el te sverza in zenochion.
Rivoto mi gittai a' santi piedi: E mi i zi'imelii ai santi pie metendo,
Misericordia chiesi, e ch'oi m'aprisse; Ch'el m'averza per grazia l'ho pregà, 110
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi. Tre volte in prima el peto mio batendo.
Sette 1' nella fronte mi descrisse Col sponton de la spada el m' ha segnà
Col punton della spada, e: Fa che lavi, Sete P in fronte, e 'i dise : Co ti o drento,
Quando se' dentro, queste piaghe, disse. Lavar ste piaghe pensier too «arà.
Onere o terra che secca si cavi, Color cenere, o lera arsia depento 115
D'un color fora del suo vestimento, Xe '1 so vestio, e soto via de quelo
E dì sotto da quel trasse duo chiavi. D'oro una chiave, e un'altra, ma d'anento,
I.'una era d'oro, e l'altra era d'argento : Ga cavà fora l'Aiisolo del cielo :
Pria con la bianca, e poscia con la gialla E co la bianca e dopo co la zala
Fece alla porta sì ch'io fui contento. (ìo visto con piacer avurzer elo 120
Quandunque l'una d'este chiavi falla, La porta, e po : Ogni volta, che una fala
Che non si volga dritta per la toppa, Da zirar, dise, ne la seradura,
Diss'egli a noi, non s'apre questa calla. No i'averze la porta su sta scala.
Più cara è l'una ; ma l'altra vuoi troppa Più preziosa è la d'oro, ma indritura
D'arte e d'ingegno avanti che disserri, Fina ghe voi quel'altra in manovrar, 125
Perch'eli'è quella che il nodo disgroppa. Perche eia la desgropa la fatura.
Da Pier le tengo; e dissemi, ch'io erri Piero in darmela, ch'abia da fatar,
Anzi ad aprir, ch'a tenerla (errata, M'ha dito, co la zerite s'ha umiliada
Pur che la gente a' piedi mi s'atterri. A mi, in avrir piulosto che in serar.
Pui pinso l'uscio alla porta sacrata, Dopo el spenze la porta consacrada, 130

100-102 Quel de sarà ilc tuli te. — simboleggia il terzo requisito per la buona confusione.
10-t sayièr = soglia = m senton = seduto.
108 ai.'ir;a = opra.
113 col spanto* _ colla punta.
113 Srle P in fronte = i sette P significano i sette peccati capitali dei quali il penili'ntc è stalo assollo,'
dei quali le reliquie o piaghe devono essere lavate.
115 lerà aniui = terra arsiccia, diseccata.
117 D'oro mia chiave --- la chiave d'oro significa l'autorità del confessare; quella d'argealo la sua scinn»-
119 e co = o con.
124-126 Wii preziosa i la d'oro = perchè è frutto della passione e morte del Redentore ^ mo ladril*™
: ma destrezza e mollo ingegno si richiede nel maneggiare l'ultra d'argento, perche la scienza non s'neqtisln
i-iie con fjiica; e di essa vuoisi far uso avanti di assolvere, perchè è quella = che desgroppa la falura =• che
scioglie il I. mìni interno della serratura, vale a dire elic insegna al penitente i modi opportuni a sciogliersi »"
lacci del peccato.
127 /'/ero = S. Pietro.
123 co (o zenit = quando la gente.
129 in avrir piutatio che in scrar = vale a dire, elio io sia piuiiosto misericordioso che severo,
130 spente = spinge.
CA1VTO X. 201

Dicendo: latrate; ma faccio vi accorti Disendo : Entrò ; ma tegoì ben in mente


Che di fuor torna chi indietro si guata. Che torna fora chi dà indrio un ochiada.
E quando fur se' cardini distorti I polesi zirando fortemente
Gli spigoli di quella regge sacra, Su i ochi fermi del metal sonante
Che di metallo son sonanti e forti, De quela sacra porta; più potente 135
Non ruggio sì, nè si mostrò più aera Sòn no ga dà Tarpegia e rebombante,
Tarpeia, come tolto le fu il buono Co, da là mandà via el bon Meleto,
Metello, per che poi rimase macra. Co la forza xe sta tolto el contante.
lo mi rivolsi attento al primo tuono, (la '1 porton noma sericolà, che in quelo
E, Te Deum laudami/*, mi parea Cantar sento ci Te Deum, e in compagnia 140
Udir in voce mista al dolce suono. Me pareva un son dolce al canto belo.
Tale imagine appunto mi rendea Drio l'impression che ha a vii la mente mia . . .
Ciò ch'i'udiva, qual prender si suole ll.i quel canto e quel son, sentir credeva
Quando a cantar con organi si sten: De l'organo col canto l'armonia,
Ch'or si or no s'intendon le parole. Che una parola mor, l'altra se leva. 145
132 CAr (orna fora riii dò inilfin un' oeliiada — secondo il Mgnifiralo morale elic (orna in disgrazia di
Dio chi pecca nuovamente
133 / finteii - i cardini.
136 Sòn - suono --. . Tarprgin — cioè la parte (lolla rupe Tarpein, ove stava l'erario di Roma. Quando
Giulio Cesare ritorno da Brindisi dopo aver fugato l'ompeo, le tolse il tuo buon Mrtello; il perchè rimase poi
•palpala de' suoi tesori, dei quali Cesare se uè servi per pagare i suoi soldaii.
137 Co — quando.
139 noma = appena -.--: iericulà — cigolò -- m rIndu -..- in t|nel punto.
115 tc luu = si rileva.

CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
DI xauta miniiti sturle scolpita Entraci apena in Purgatorio, Dante
Vede il Poeta, là dov'è l'entrata Scovro scohure de umiltà storiae
Del Purgatorio, diverso ed unite ; Con xvnti scolpie e vaiie e tanto,
Che specchio sono alla prima brigata die de Superbia a l'aneme machiae
DeL'ahna, eh' ivi lmrgan la lordura Xe d'esempio, purgando 1:1 ci peci
Della Superbia da' pesi oppi-ossatii, Coi pesi elio le tien in zo sbassae:
Sì clie ben paga la mal nata altura. Sto castigo ghe xe ben adaia.

Poi fummo dentro al soglio della. pori. i Apena entradi drento de la porta
Che il malo amor dell'anime disusa, Da l'aneme assae poco frequentada,
Perchè fa parer dritta la via torta, Che tien d'un falso amor la strada storta,
Sonando la senti' esser richiusa : Sento dal verso che la .•i" ha serada :
E s'io avessi gli occhi volti ad essa, Se per vardar me fusse voltà alora,
Qual fora stata al fallo degna scusa ? Qual scusa al falo mio avvia trovada ?
Noi salivam per una pietra fessa, Per l'averto d'un sasso andemo sora

4 rri-xn ---- quel suono che manda una porta nel chiudersi.
5-0 St prr vardar te. = allude all'avvertimento dato dall'Angelo. Vedi il v. 132 del cauta precedente.
7 Per l'averto = per i' apertura.
202 DEL PIRGATORIO
Che si moveva d'una e d'altra parte, Ch'entra e sporze a zigzag per ogni banda,
Sì come l'onda che fugge e s'appressa. Come l'onda va e vien a ora a ora.
Qui si conviene usare un poco d'arte, Qua un poca de indritura se domanda, 10
Cominciò '1 Duca mio, in accostarsi Dise la Guida mia, movendo el passo
Or quinci or quindi al lato che si parte. Qua e là, de man in man cifri muro sbanda.
E ciò fece li nostri passi scarsi Tanto a pian perciò andemo per quel sasso,
Tanto, che pria lo scemo della luna Che za lucà co la so parte scura
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi, La Luna aveva l'orizonte basso, 15
Che noi fossimo fuor di quella cruna. Prima che nu passada la fissura.
Ma quando fummo liberi ed aperti Ma co semo a l'averto su arivai,
Su dove '1 monte indietro si rauna, Dov'èl monte se strenze la figura,
Io stancato, ed ambedue incerti Mi straco, e '1 mio Dotor, come mi, incerto
Di nostra via, ristemmo su in un piano Del sentier, fermi stavimo s'un pian 20
Solingo più che strade per diserti. Più isolà de la strada in un deserto.
Dalla sua sponda, ove confina il vano, L'orlo, che varda in zo, gera lontan
Appie dell'alta ripa, che pur sale, Dal pie de l'alta riva, che se leva
Misurrchbe in tre volte un corpo umano: Quanti slarìa tre omeni drio man :
E quanto l'occhio mio potea trar d'ale E per quanto tirar l'ochio podeva 25
Or dal sinistro ed or dal destro fianco, A drila e a zanca, talequal mi alora
Questa cornice mi parea cotale. La cornise cussi larga vedeva.
Lassù non eran mossi i pie nostri anco, No se gaveva fato un passo ancora,
Quand'io conobbi quella ripa intorno, Co m' ho incorto ch'el ziro de la riva
Che dritto di salita aveva manco, Cussi in pie, che no lassa andar de sora, 30
Esser di marmo candido e adorno Gera luto de bianca piera viva
D'intagli sì, che non pur Polieleto, Fornio de intagi bei, che Polieleto
Ma la natura gli averebbe scorno. Darente e la natura scompariva.
L'angel che venne in terra col decreto L'Anzolo vegnù in tera col decreto
Della moit'anni lagrimata pace, Sospirà per tanti ani in mezo al pianto, 35
Ch'aperse il Ciel dal suo lungo divieto, Pegno de pase e amor, cussi perfeto
Dinanzi a noi pareva sì verace Là intaglà al naturai n'ha parso tanto,
Quivi intagliato in un atto soave, E con dolcezza tal, che se dirave
C he .non sein biava ir uà gin o che tace. Figura che la parla per incanto.
Giurato si saria ch'ei dicess'/lre; S'avria zurà ch'elo disesse Ave; M
Perchè quivi era immaginata Quella, Perchè intagiada là la Dona gera,
Ch'ad aprir l'alto amor volse la chiave. Che del santo perdon go avù la chiave;
Ed avea in atto impressa esta favella : E par che in ato ile chi prega e spera
Ecce Andila Dai, si propriamente, Diga : Ecce Andila Dei, come saria

10 indrilura sm accorgimento.
14-15 Che zu locà co la no parte scura te. == cioè quella parte della Luna elic rimane oscurata e ch'i la
prima a toccar l'orizzonte a ponente.
17 co — quando.
30 Cuoi in pie — a perpendicolo.
32-33 Polielelo = celebre sculIore = Dnrenlc = vicino, e qui vale in confronto.
34-36 L'Anzolo vegnù in lerà = l'Angelo Gabriele, che recando l'annunzio a Maria Vergine, venne in lem
col Decreio della pace da molti secoli sospirata, la qual pace o riconciliazione con Dio aprì agli uomini il cieto
dopo il peccato di Adamo.
41 la Dona — Maria Vergine.
CANTO X. 203
Come figura in cera si suggella. La figura marcada su la cera. 45
Non tener pure ad un luogo la mente, Tra tanti loghi no te perder via
Disse il dolce Maestro, che m'avea A un solo, el mio bon Mestro me ausava,
Da quella parte, onde il core ha la gente : Stando de fianco de la drita mia:
Per ch'io mi volsi col viso, e vedea Perciò, i ochi voltai, se me fazzava,
Diretro da Marin, per quella costa, Dopo de la Madona la figura, 50
Onde m'era colui che mi movisi, Da de là in dove el mio Dotor restava,
Un'altra istoria nella roccia imposta : Una nova belissima scultura :
Per ch'io varcai Virgilio, e fe' mi presso, E '1 Mestro scavalcà, go possù arente
Acciocchè fosse agli occhi miei disposta. Farme a quela per vederla a dritura.
Era intagliato lì nel marmo stesso Là intagià mi go visto chiaramente 55
Lo carro e i buoi traendo l'arca santa, El Caro e i bo, che tira l'Arca Santa,
Per che si teme ufficio non commesso. Che no loca senza ordine la zente.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta, Ghe xe a quela davanti zente tanta
Partita in sette cori, a duo miei sensi In sete cori, i quali ai ochi mi
Ficea dicer l'un No, l'altro Sì canta. Fa dir Sì, e a le rechie : No, no i canta. 60
Similemente al fumo degl'incensi, Coin" ci fumo d'incenso xe cussi
Che v'era immaginato, e gli occhi e il na.-o Con arte tanto lina là intagià,
Ed al sì ed al no discordi l'unsi. Che de No dise el naso e i ochi Sì.
Lì precedeva al benedetto vaso, Baiando avanti l'Arca Santa, là
Trescando alzato, rumile Salmista, Più che Re coi pie in aria el Re Salmista, 65
E più e men che re era in quel caso. E de Re manco la figura el fa.
Di centra effigiata, ad una vista D'un gran palazzo a la fenestra ho vista
D'un gran palazzo, Micol ammirava, De fazzada la Micol so mugier
Sì come donna dispettosa e trista. CITrl mario varda dispetosa e trista. 70
Io mossi i pie del loco dov'io stava, Da de là me son mosso per aver
Per avvisar da presso un'altra storia Più da vicin una diversa storia,
Che diretro a Micòl mi biancheggiava. Che dopo la Micòl resta a vedèr.
Quivi era storiata l'alta gloria Del prencipe roman scolpia è la gloria,
Del roman prince, lo cui gran valore Per le virtù del qual, e '1 so valor,
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria: San Gregorio ga avù la gran viteria: 75
Io dico di Traiano imperadore : Vogio dir de Tragian l'imperator.
Ed una vedovella gli era al freno, Sta là ferma una vedòa a la testa

49 *t me fazzava = mi si affacciava.
56 CI Caro e i bo ee. :-. questa scollura rappresenta il trasporto dell'Arca da Cariatarim a Gerusalemme
ordinato dal re Davide.
59 mi = miei.
65-66 Più che Re = per esser tulio assorto in Dia e da Lui mosso = E de Re manco = per istarc in atto
non dicevole alla maestà regale.
69-70 Nicol = liglia di Snul, adirata e dolente per l'avvilimento in cui eia credeva caduto suo marito dan-
xando io pubblico.
75 San Gregario ee. =« Alcuni antichi scrittori raccontano che S. Gregorio Magno considerando le insigni
virtù di Traiano, tanto pregò Dio a perdonargli l'eterna pena, che finalmente fu dalla divina elemenza esaudito,
ma è questa per favola ritenuta dai critici moderni.
77 una vedoa = una vedova alla quale era stato ucciso il figlio, si fece inconIro a Traiano, che movevi
alii testa del suo esercito, per domandargli giustizia. L'imperatore fermato |l'escrcito, nmndo per scoprire l'p-
"i'idu. e trovalo ch'era il suo proprio figlio, chiese alla vedovu te voleva la morte di lui, ovvero riceverlo in
luogo dell'ucciso. Ed ella accettò la seconda proposta.
204 DEL PURGATORlO
Di lagrime atteggiata e di dolore. Del cavalo pianzendo dal dolor.
Dintorno a lui parea calcato e pieno Cavalieri el ga atorno una tempesta,
Di cavalieri, e l'aquile dell'oro E par l'aquile d'oro a lu de soni, 80
Sovresso in rista al vento si movieno. Dal vento mosse a qucla parte e a questa.
La miserella infra tutti costoro La meschina tra quei par la se acuora
Parea dicer : Signor, fammi vendetta Disendo : l m' ha mazza mio fìol, vendeta
Del olio figlluol ch'è morto, ond'io m'accoro. Fame, o Signor, del Mo che me dolora.
Ed egli a lei rispondere : Ora aspetta Par lu responda: Sin che torno aspeta. 85
Tanto ch'io torni. Ed ella : SignorTmio, Ma quela da passion fata impaziente:
Come persona in cui dolor s'affretta, Se no ti torni? par che la ripeta;
Se tu non torni? Ed ci: Chi lia dov'io, E lu : El mio sucessor l'istessamente
La ti farà. Ed ella: L'altrui bene La farà. E pronta : Cossa serve a ti
A te che fìn, se '1 tuo metti in obblio ? D'un altro el ben, se al too no ti dà mente? 90
Ond'egli: Or ti conforta, chè conviene Elo alora : Sta quieta ; a vista mi
Ch'io solva il mio dovere, anzi ch'io muova : Qua '1 dover farò prima che me mova,
Giustizia vuole e pietà mi ritiene. Perchè pietà e giustizia voi cossi.
Colui, che mai non vide cosa nuova, Dio, per el qual no xe cossa mai nova,
Produsse esto visibile parlare Sto dialogo visibile intagiava, 95
Novello a noi perchè qui non si truova. Che in ste nostre sculture no se trova.
Mentr'io mi dilettava di guardare lnsin che a veder questi mi gustava
Le immagini di tante umiliimii, Fati d'umiliazion, ch'el grando Autor
E per lo Fabbro loro a veder care; Più ancora in eli inamorar me fava ;
Ecco di qua, ma fanno i passi radi, Tanta zente eco qua, dise el Dotor 100
Mormorava il Pueta, molte genti : Soto vose, che a pian camina; questa
Questi ne invieranno agli alti gradi. La n'inviarà sul ziro superior.
Gli occhi mici, ch'a mirar erano intenti, De curiosar la smania che me resta
Per veder novitadi, onde son vaghi, Per scovrir novità, da quela zente
Volgendosi ver lui non furon lenti. M' ha in t'un supio voltar fato la testa. 105
Non va' però, lettor, che tu ti smaghi Mi no vogio, letor, che da la mente
, l»i buon proponimento, per udire Te scampa el bon pensier in ascoltar
Come Dio vuoi che il debito si paghi. l castighi cUmidi al penitente.
Non attender la forma del martire : La sorte de la pena no vardar :
Pensa la succession ; pensa clic, a peggio, Pensa a quel che vien dopo, e che oltre ria 110
Oltre la gran sentenzia non può ire. Del gran giudizio no la poi durar.
1' cominciai : Maestro, quel ch'io veggio Mestro, digo, la roba che s'invia
Muovere a noi, non mi sembran persone, Qua da nu 110 par zente, e in verità
E non so che: sì nel veder vaneggio. No so gnanca capir cossa la sia.
Ed egli a me: La grave condizione A sta domanda sta resposta ci dà: 115
Di lor tormento a terra gli rannicchia Li tien curvi ci tormento sin a tera
Sì, che i miei occhi pria n'ebber tensione. Tanto, che mi a scovrivii go stentà.

79 un,i temprsla = un diluvio, una quantità sterminata.


90 no li sti men(e =-•• non curi.
105 in t'un snfiin = in un attimo.
110 />r nxn a i1 uri chi tifin dopo . cioè :il Paradiso,
111 iM gran giudizio = del giudisio universale.
CANTO X. 205
Ma guarda fiso là, e disritlcchU Varila ben fisso, e otterra in qual maniera
Col viso quel che vicn sotto a quei sassi : Va eli via ; ti poi vèder oramai
Già scorger puoi come ciascun si picchia. Come ognun sta cufà soto una piera. 120
O superbi Cristian miseri lassi, O Cristiani superbi malandai,
Che, della vista della mente informi, Ch'el lusor de la mente gavè semo,
Fidanza avete ne' ritrosi passi; E ai vostri passi falsi sè fidai;
Non v'accorgete voi, che nói siam vermi No capì no, che vermi luti semo
Nati a formar l'angelica farfalla, Nati a formar l'anzelica pavegia, 125
Che vola alla giustizia senza schermi ? Clic senza scudo al tribnn..il supremo
Di che l'animo vostro in alto galla ? Svola ? Cossa aver boria ve consegia ?
Voi siete quasi entomala in difetto, Sè inseti mal stampai: el verme ochiar
Sì come verme, in cui formazion falla. lìodè no ben fin m.'p. ch'el ve somegia.
Come, per sostentar solaio o tetto, Come un solèr o un querto in sostentar 130
Per mensola talvolta una figura La giozzola, che ha d'omo la figura,
Si vede giunger le ginocchia a! petto, Mostra i zenochi al peto soo zuntar,
La qual fa del non ver vera rancura E l'afano, che solo xe in scultura,
Nascere a chi la vede ; così fatti ln quei fa nasser che ghe manda ochiae;
Vid'io color, quando posi ben cura. Le aneme ho visto in quela positura. 135
Ver è che più e meno eran contratti, Ghe ne gera più o manco de strucae,
Secondo ciravean più e meno addosso; Conforme ci peso che le aveva su;
E qual più pazienza avea negli atti, E insin le più pazienti in zo piegae,
Piangendo parca diccr: Più non posso. Parea pianzendo dir: No posso più.

1!0 cufà = rannicchiato, acc0scinto.


122 temo = acema.
125 pateyiu. - farfalla. Negli antichi monumenti spessa s'incontra rappresentala l'anima dalla farfalla. Ls
limililudinc è presa dui verme, clic svolgendosi dalla trisalide, ..i fa farfallR, e &pirga libero il rolo nell'uria.
126-127 Che tenza tenda ni tributai suliremo Stola f = ciac che vola d'innanzi al tribunale di Dia, scni»
poter fare difesa alcuna alle sue colpe.
128 Sè — siete.
lR0 aolcr = solaio, palco • un qucrto = un coperto.
131 La giozsola = la mensola.
132 :nii/,ir ..= niuiT, cangiungere.
206 PEL PURGATORIO

CANTO DECIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Pregau pii spirti per lo ben dn'vivi; Per eie e per i vivi va pregando
Tra essi è Omberto, che di qua si altero, Quoll'aneme ; e Omberto, al mondo altiero,
Sopra dì sè ha gli occhi aperti quivi. Qua vede el vizio quanto el se sta grande.
Cosi conosce di sua fama il vero Anca Oderisi, che qua vede el vero,
Oderisi d'Agobbio, e cede altrui Cede ai altri i onori del penello,
Di sua bell'arte, con umil pensiero, Che lo ha fato superbo, e stima un nero
L'onor, che Dante dar vorrebbe a lui. L'onor che Dante dar vorave a elo.

O Padre nostro, che ne' cieli stai, O Pare nostro, che ti sta su in cielo,
Non circonscruto, ma per più amore No confinà, ma per più grando amor
di' a' primi errati di lassù tu bai, De quanto ti ha creà prima per elo;
Laudato sia il tuo nome e il tuo valore Lodà da ogni creatura con calor
Da ogni creatura, coin" è degno Sia el to nome e '1 poder, e in modo degno 5
Di render grazie al tuo dolce vapore. Ringrazià l'amor tuo de tuto cuor.
Vegna ver noi la pace del tuo regno, A nu vegna la pase del to regno,
Che noi ad essa non potem da noi, Perchè da nualtri soli insina là
S" ella non vien, con tutto nostro ingegno. No podemo arivar col nostro inzegno.
Come del suo voler gli angeli tuoi Se i dona a ti la propria volontà 10
Fan sacrificio a te, cantando Osanna, Cantando el Gloria i Aiuoli là su,
Così facciano gli uomini de' suoi. Dai omeni la soa te sia donà.
Dà oggi a noi la cotidiana manna, El pan de luti i dì dane ancuo a nu,
Senza la qual per questo aspro diserto Senza el qual in sta vale sin che stemo,
A retro va chi più di gir s' affanna. Indiiu più resta chi se strussia più. 15
E come noi lo mal ch'avem sofferto E come a tuli el mal nu perdonemo
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona Che i n'ha fato, anca ti a nu perdona,
Benigno, e non guardare al nostro merlo. Nè badar se '1 perdon nu meritemo.
Nostra virtù che di leggier s'adona, No cimentar la nostra poco bona
Non spermentar con l'antico avversaro, Virtù al vechio nemigo inviperio, 20
Ma libera da lui, che sì la sprona. Ma salvila da l' arte soa bricona.
Quest'ultima preghiera, Signor caro, No avendone bisogno, o caro Dio,

3 li ha creà prima ptr elo = cioè i cieli e gli angeli. '


13 annui - oggi.
15 « xi i u i-iin - •: si nflatien, si affanna. ^^
22 No avendone bisogno = con quello elic segue nel ternario, allude all'ultima parte del PaternosW.
H ne non mdurai in tentationem, ned libera noi a malo, inquautouhè alle anime purganti non abbisogni qoc'
il" ultima preghiera, perchè esse non possono più essere tentale nè peccare.
CANTO XI, . 207
Già non ti fa per noi, che non bisogna, Per nu no fomo st'ultima orazion,
Ma per color che dietro a noi restaro. Ma per quei che restai ne M- da drio.
Cosi a sè e a noi buona ramogna Cossi per eie, e per nualtri al bon 25
Quell'ombre orando, aadavan sotto il pondo, Viazo tute quele aneme pregando,
Simile a quel che talvolta si sogna, Le andava atorno al primo cornison
Disparmente angosciate tutte a tondo, De soto al peso con più o manco grando
£ lasse su per la prima cornice, Afano (come quel che s'ha provà
Purgando le caligini del mondo. In qualche sogno), i so pecai purgando. 30
Se di là sempre ben per noi si dice, Se se prega per nu sempre de là,
Di qua che dire e far per lor si puote Cossa de qua poi far, poi dir per queli
Da quei, c'hanno al voler buona radice ? Chi xe in grazia de Dio? Ah! qua se ga
Ben si dee loro aitar lavar le note, D' agiutar a lavar le macchie ch' eli
Che portar quinci, si che mondi e lievi S' ha portà da sto mondo, aciò che i possa 35
Possano uscire alle stellate rote. Puri svolar più presto in cima ai cieli.
Deh! se giustizia e pietà vi disgrevi Cossi un santo pregar la piera grossa
Tosto, sì che possiate mover l'ala, Ve leva presto via, che andar possie
Che secondo il disio vostro vi levi, Lesti in ciel, che brame sora ogni cossa ;
Mostrate da qual mano in ver la scala Da qual banda più presto a nu mostrè, 40
Si in più corto ; e se c'è più d'un varco, Se monta, e se ghe xe più d'una strada,
Quel ne insegnate che men erto cala ; Quela insegnène che xe manco in pie;
Che questi che vien meco, per l'incarco Che questo ch'è con mi bisogna el vada
Della carne d'Adamo, onde si veste, Su contro vogia a pian, perchè Impedio
Al montar su, contra sua voglia, è parco. Da la carne che Adamo ga indossada. 45
Le lor parole, che rendero a queste, Chi abia dà la resposta al Mestro mio,
Che dette avea colui cu'io seguiva, No savea, per star luti a viso basso ;
Non fur da cui venisser manifeste; Ma ste parole se ga ben sentio:
Ma fu detto : A man destra per la riva Vegnì con nu drio riva a drita, e '1 passo,
Con noi venite, e troverete il passo Che montarlo anca un vivo poderia, 50
Possibile a salir persona viva. Là trovare : e se no fusse el sasso,
K s' io non fossi impedito dal sasso, Che in pena adesso de la boria mia,
Che la cervice mia superba doma, La testa che tropo alta go portà,
Onde portar convienmi il viso basso, Me sforza de tegnirla a basso via;
Cotesti che ancor vive, e non si noma, Questo vivo da ti no nominà, 55
Guardere'io, per veder s'io'l conosco, Voria vardar se mai l' ho conossuo,
E per farlo pietoso a questa soma, Pur farghe del mio mal sentir pietà.
l'fui Latino, e nato d'un gran Tosco: Mi Italian da un Toscan la vita ho avuo :
Guglielmo Aldobrandeschi fu mio padre: Gulielmo Aldobrandeschi è sta mio pare:
Non so se '1 nome suo giammai fu vosco. No so se abiè sentido el nome suo. 60
L'antico sangue e l'opere leggiadre La razza antiga co le imprese rare

29-30 Come iInel dir t'ha provò In qualche sogno = simile a quella oppressione che si prova, quando si sogna
di avere un lai peso addosso.
42 «anca in pie = meno cria.
SS .l/i liuliiiu da un Toiean la vita ho nrun = Gustni fu Omberto figlio di Guglielmo Aldobrandeschi dei
Conti Santafìure. Dai Sanesi, che l'odiavano per la sua alterigia, fu fallo uccidere in Campagnatico, luogo delta
Sanciie.
203 DEL PTJHGATOntO
De' miei maggior mi fer sì arrogante, Dei rechi mil, m' ha tanto insuperbio,
Che non pensando alla comune madre, Ch'ogni persona con maniere amare
Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante, Go sprezzà, no pensando al comun nio,
Ch'io ne mori', come i Senesi sanno, Che alfin son morto, come sa ben Siena 65
E saliti in Campagnatico ogni fante. E ognun del Campagnatico el fin mio.
Io sono Omberto : e non pure a me danno • Son Omberto; e la boria d'aria piena,
Superbia fe, che tutti i miei consorti Mal no ha fato a mi solo, perchè ancora
Ha ella tratti seco nel malanno. Tuli i parenti mii ga avù la pena.
E qui convien che questo peso porti Per eia el peso qua, che me dolora, 70
Per lei, tanto ch'a Dio si soddisfaccia, Tra i morti ho da portar, a Dio scontando
Poi ch'io noi fei tra' vivi, qui tra' morti. Quel che tra i vivi no ho scontà là sora.
Ascoltando, chinai in giù la faccia; Basso el viso tegniva mi ascoltando,
Ed un di lor (non questi che parlava) E un de lori, no quelo che parlava,
Si torse sotto '1 peso che lo impaccia : Contorzendose solo el peso grando, 75
E videmi, e conobbemi, e chiamava, M'ha visto, conossudo, e me chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi Sporzendo a stento i ochi sora mi,
A me, che tutto chin con loro andava. Che gobo gobo e a pian con eli andava.
O, dissi lui, non se tu'Oderisi, Oderisi, go dito, xestù ti?
L'onor d'Agubbio, e l'onor di quell'arte Xestu l'onor de Agubio, e de quel arte 80
Che alluminare è chiamata in Parisi ? Chiamada in Franza enluminer cussi?
Frate, diss'egli, più ridon le carte Lu responde: più belle xe le carte,
Che pennelleggia Franco Bolognese : * Che dcpenze Francesco Bolognese;
L'onore è tutto or suo. e mio in parte. Tuto elo ancuo ha l'onor, e mi una parte.
Ben non sare'io stato" sì cortese No saria de sta lode sta cortese 85
Mentre ch'io vissi, per lo gran disio Quando viveva, per la smania forte
Dell'eccellenza, ove mio core intese. D'esser primo, in quel' arte, del paese.
Di tal superbia qui si paga il fio : Per la superbia se ga qua sta sorte :
Ed ancor non sarei qui, se non fosse E no l' avaria gnanca, se voltà
Che, possendo peccar, mi volsi a Dio. No me fusse al bon Dio avanti morte. 90
O vanagloria delle umane posse, O de l'opera umana vanità,
Com'poco verde in sulla cima dura, Quanto poco in fiorir eia la dura,
Se non è giunta dall'elafi grosse ! Se adrio no ghe rien zente che no sa !
Credette Cimabue nella pintura Credeste ha Cimabue ne la pitura
Tener lo campo, ed ora ha Gioito il grido, I)" aver el vanto ; ancuo Gioto ha una gloria 95
Sì che la fama di colui oscura. Tal, che de quelo fa la fama scura.
Così ha tolto l'uno all'altro Guido Cossi un Guido su l' altro la vitoria
La gloria della lingua ; e forse è nato Ga nel linguagio, e forsi uno xe nato,
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido. Che a tuli do ghe smorzerà la boria.
62 Dei vechi mii — de' mici antenati.
64 al comun uni — alla comune origine per cui gli uomini sono eguali Ira loro -.- mo = nido.
79 Odti-iii :—. Oderisi d'Agnbbio, città del Ducato di Urbino, fu della scuola di Cimabue, miniatore eccellente.
Pare essere poco prima del 1300: e forse Dante, ehe le arti del disegno amava, lo avra conosciuto nello studio
di Giotto di lui amico.
SI adnmincr — voce francese: alluminare, miniare.
83 Frnnci-tco Bolognese = fu questi scolaro di Oderisi, e divenne miniatore cosi eccellente, che saperi il
maestro.
84 ancuo -= oggidì.
CANTO XI. 209
Non è U mondan rumore altro che un fiato El chiasso che fa '1 mondo xe '1 retrato 100
Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi, Del vento, che va or qua or là supiando,
E muta nome, perchè muta lato. E in muar silo de nome fa barato.
Che fama avrai tu più, se vecchia scindi Sia che vechion ti mori, o mama quando
Da te la carne, che se fossi morto Ti chiami, cossa mai te resterà
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi, Da qua un mier d'ani del lo nome grando? 105
Pria che passin mill'anni ? ch'è pi iì corto Che sto tempo vicin l'eternità
Spazio all'eterno, che un mover di ciglia Più curto el xe che un bater de palpiera
Al cerchio che più tardi in cielo è torto. Rente al ciel che più a pian in ziro va.
Colui, che del cammin sì poco piglia Chi adasio a mi davanti va oro-tera,
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta, La Toscana ha impinio del nome suo, 110
E ora appena in Siena sen pispiglia, E oramai scorda Siena quel ch'el gera
Ond'era sire, quando fu distrutta Lu, ch' ci ga là regnà, co '1 pesto ha avuo
La rabbia fiorentina, che superba Firenze, che, stizzia tanto alto el muso
Fu a quel tempo, sì com'ora è putta. Tegniva alora, quanto vii l'è ancuo.
La rostra nominanza è color d'erba, La vostra fama ga del'erba l'uso, 115
Che viene e va, e quei la discolora, Che mua color e smorta al Sol vien spesso,
Per cui ell'esce della terra acerba. Per el qual fresca e verde la dà suso.
Ed io a lui : Lo tuo ver dir m'incuora E mi: Umiltà el to dir in cuor m'ha messo,
Buona umiltà, e gran tumor m'appiani : De la boria levandome el malan :
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora ? Ma chi xe quel, che li disevi adesso? 120
Quegli è, rispose, Provenzan Salvani ; Xe, '1 me dise, Salvani Provenzan,
Ed è qui, perchè fu presuntuoso E '1 xe in ste pene per aver ardio
A recar Siena tutta alle sue mani. De farla in luta Siena da sovran.
Ilo è cosi, e va senza riposo, L'ha avù sto fin, e apena morto, el fio
Poi che morì : cotai moneta rende L'è vegnù qua a scontar: de sta monea 125
A soddisfar, chi è di là tropp'oso. Vien qua pagà chi là s'ha insuperbio.
Ed io: Se quello spirilo ch'attende, Se un'anema in pentirse, perchè rea,
Pria che si penta, l'orlo della vita, Solo al ponto de morte, zo la sta,
Laggiù dimora, e quassù non ascende, El tempo stabilio, mi ghe disea,
Se buona orazion lui non aita, Ch'el ga vissudo, e se noi gh'è scurtà 130
Prima che passi tempo quanto visse, Da un bon prego, noi poi montar in su,
Come fu la venuta a lui largila ? Com'halo donca falo a vegnir qua?

106 BICI'n = qui tale per: in confronto.


107 patpiera = palpebra.
103 lìente — .immiiliu di vicin: esso pure qui vale: in confronto = al eiel che più a pian in ziro va =3
il cielo elic fa il giro più lento e quello delle stelle fisse che gli antichi lumini creduto compiesse il giro in 36
mila anni.
109 i. hi adasio a mi davanti - è questi Salvani Provenzano di cui la noia qui sotto l",'l = oro-tera =
Risente terra.
112 co '/ pesto ha avuo — quando fu battuta a distruzione.
113-114 tanto alto el muso Tegniva alora = tanto allora era superba (Firenze).
1-1 Salvani Provenzan -- Provenzano Salvani principii cittadino di Siena, valente in pace ed in guerra.
Sconfisse i Guelfi fiorentini a Mantapcrli, ma poscia nel 1269, rimase ucciso presso Colle di Valdesa, nella bat
taglia datagli da Giambertoldo, vicario di Carlo I, re di Puglia e Capitano di parte Guelfa.
127-132 Se un anema in jientirse ee. =i vedi C. III v. 133-H1 ove il Poeta fa dire a Manfredi elie l'anima
di chi, scomunicato dalla Chiesa, indugiò a pentirsi al termine della vita, rimane nell'antipnrgatorio Ircnta volle
bolo tempo quanto durò nella sua presunzione; e qui egli dice che l'anima di chi, avendo peccato, aspetta a
pentirsi alla morte, vi rimane tanto tempo quanto stette impenitente.
14
24O DEL PURGATORIO
t
Quando vivea più glorioso, disse, Co '1 governo de Siena in man l'ha avù,
Liberamente nel campo di Siena, E la gloria con quel de comandar,
Ogni vergogna deposta, s'adire : Ogni vergogna, el dise, l' ha smetù; 135
E lì, per trar l'amico suo di pena, E là l'amisti soo per liberar
Che sostenea nella prigion di Carlo, Da preson, dove l' ha mandà '1 re Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena. Franco el ga fato quel che fa tremar.
Più non dirò, e scuro so che parlo ; Più no te'digo, e so che scuro parlo;
Ma poco tempo andrà che i tuoi vicini Ma tanto, e presto, i to concitadini 140
Faranno sì, che tu potrai chiosarlo. Farà, che po ti poderà spiegarlo.
Quest'opera gli tolse quei conlini. St'azion lo ha liberà da quei confini.

133-138 l'»' I governo de Siena ne. — 11 fatto cui vien fatta allusione è questo: Un amico di Provenzanp. che
dicesi essere stato un tal Vigna, era prigioniero di gnerra di Carlo I. re di l'uglia il quale minacciava ucciderlo
se pel suo riscatto non gli venissero esborsati diecimila fiorini d'oro. Provenzano udunque, nel tempo della
sua maggiore gloria e potenza, vincendo la ripugnante che l'uomo prova nel venire ad atto simile, si piulò
francamente nella gran piazza del Campo; e li, per trarre l'amico suo dall'angoscia che soffriva in prigione, chicse
l'elemosina per liu.
140 ila tanto, e presto, ee. — qui è inelusa la predizione che Oderisi fa a Dante dell'esilio a cui sarà dan
nato dai suoi concittadini, provando allora quanta sia la pena di chi è costretto a domandare altrui la carità.
142 St'azion ee. = per questa buona azione Provenzano fu liberato dall'essere confinato per parecchi
anni laggiù nell'antipurgatorio.

CANTO DECIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Di sotto a' passi scolpiti gli esempi Esempi soto i pie scolpii xe qua
Son di superbia, e veggonsi scherniti De superbia, e se vede malmenai
Quei che di qua per tal vizio inr empj. Quei che al mondo in sto vizio s'ha sporca.
Ma tu intanto i due Poeti aiti, Ma ti intanto i Poeti imbarazzai
Angiol beato ; onde al secondo giro Ti apiuti, Anzolo santo, e cussi Dante
Un Dante i piedi più lievi e spediti, Più lesti e più leiieri i pie levai,
Perchè gli spiuge in su miglior desiro. Va sul secondo ziro gongolante.

Di pari, come buoi che vanno a giogo, Come va un per de bo tacai al zogo,
M'andava io con quell'anima carca, Con Oderisi mi tirava avanti
Fin che '1 sofferse il dolce pedagogo. Sin che ha permesso el mio bon Pedagogo.
Ma quando disse : Lascia lui, e varca, Ma co '1 m' ha dito : Lassilo e va avanti,
Che qui è buon con la vela e co' remi, Che va ben la so barca a spenzer qua
Quantunque può ciascun, pinger sua barca ; Più che i possa se inzegna tutti quanti;
Dritto sì, com'andar vuoisi, rife' mi Su drito in schena in bota m' ho levà,
Con la persona, avvegna che i pensieri Siben che avesse l'animo avilio,

1 sago - giogo, quell'istrumento di legno con cui si uniscono due buoi al lavoro.
I tirava avanti = tirava Innanzi, cioè seguitava a camminare.
7 m bota. = subito.
CANTO XII.
Mi rimanessero e chinati e scemi. Per le pene che ho visto, e '1 cuor strazzà.
Io m'era mosso, e segala volentieri De bona vogia ai passi andava drio 10
Del mio Maestro i passi, ed ambedue Del mio Dotor, e favimo vedèr
Già mostrai ain com'eravam leggieri; Com'el pie avemo tuti do spedio ;
Quando mi disse : Volgi gli occhi in giue : Co '1 dise a mi: Tien i ochi sul sentier;
Buon ti tarà, per alleggiar la via, Varda ben dove i pie ti puzi in tera
Veder lo letto delle piante tue. Se ti voi andar megio. Come per 15
Come, perchè di lor memoria sia, Chiamar a mente quei che vivi gera,
Sovr' a' sepolti le tombe terragne Un'arma, un scrito, un nome star se vedo
Portan segnato quel ch'elli eran pria ; Su le arche, ch'el teren in elo sera;
Onde lì molte volte si ripiagne E tantissime volte lì sucede,
Per la puntura della rimembranza, Che ochiando impietosio segni o scriture, 20
Che solo a' pii dà delle calcagne : Fa una preghiera el spassizier che ha fede;
Sì rid'io lì, ma di miglior sembianza, Cossi mi là go visto, ma in scolture,
Secondo l'artificio, figurato, Sul sentier che dal monte sporze in fora,
Quanto per via di fuor dal monte avanza. Segnae, ma quanto megio ! le figure.
V tdt. a colui che fu nubil creato Là vedea quel che a ogni creatura sora 25
Più d'altra creatura, giù dal ciclo Creà perfeto, da l'Eterno brazzo
Folgoreggiando scendere, da un Iato. Scazzà, vien zo tra i lampi soto e sora;
Vedeva Briareo, fitto dal telo Là go visto Briareo el zigantazzo,
(ilestial, giacer dall'altra parte, Da la frezza de Giove sta sbasto,
Grave alla terra per lo mortai gelo. Che xe a la tera fredo e greve impazzo. 30
Vedea Timbreo, vedisi Pallade e Marte, Vedea dintorno a Giove là scolpio
Armati ancora, intorno al padre loro, Minerva, Apolo e Marte armadi, star
Mirar le membra de' Giganti sparte. Vardando dei ziganti el gran desio.
Vedea Nembrotte appie del gran lavoro, Vedea Nembrot, fora de elo, vardar
Quasi smarrito, e riguardar le genti Al pie de la gran tore su la zente 35
Che in Sennaar con lui superbi foro. Stiula con lu superba in Sanaar.
O Niobe, con che occhi dolenti O Niobe, come l'ochiti tuo dolente
Vedeva io te segnata in su la strada Tra la tanta fiolanza a morte andada,
Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti ! Vedea là dissegnà divinamente!
O Saul, come in su la propria spada Come, o Sanl, su la to stessa spada 40
Quivi parevi morto in Gelboè, Ti par morto a Gelboè su la colina,

9 t'I cuor ((razzò = e il cuore lacerato.


10 Ile bona vogia = di^buona voglia.
13 Co => quando.
21 el tpairizitr — il viandante.
25 sora -..-. sopra: qui vale per più.
28 Urlami .- il gran gigante: vedi Can. XXXI dell'Inf. v. 87.
29 toasio = morto.
33 dei ziganti ti gran daio -- dei giganti la grande strage; perchè osarono muover guerra a Giove.
34-36 Sembrai te. -.- quegli e coloro che a lui uniti nella pianura di Senaar ebbero il superbo o stollo
disegno di erigere una torre sino al cielo = fora de elo —. addoloratissimo, perche non intendeva il parlare
di nessuno, e nessuno intendeva il suo.
37 Niobe — moglie di Aidìone re di Tche, insuperbita di sua fecondità, perchè madre di sette maschi e
di altrettante femmine, osò sfidare Lntonu perchè madre di un solo maschio e di una sola femmina. Il perchè
Apollo e Diana per vendicare la ingiuria falla alla madre loro, uccisero a Niobe colle freccie tutta quanta la prole.
41 a Gelboè = dopo la morte di Saul non cadde sul monte Gelboi più pioggia nè rugiada, e ciò per la
maledizione che gli mandò David per dolore della morte di lui.
212 DEL PURGATORlO
Che poi non sentì pioggia nè rugiada ! Che aguazzo o piova no l'ha più bagnada!
O folle Aragne, sì vedea io te, O mata Aragne, che per l'arte fina
Già mezza aragna, trista in su gli stracci Muada in ragno te vedo za a metà
Dell'opera che mal per te si fe ! Su le strazze, ch'è stae la to rovina! 45
O Uni"i, un. già non par che minacci O Roboam, no ti minazzi qua
Quivi il tuo segno ; ma pien di spavento Coi ochi toi, ma avanti che i te scazza,
Nel porta un carro prima ch'altri il cacci. Ti scampi via sul caro spaventà.
Mostrava ancor lo duro pavimento Fava anca vèder la storiada piazza,
Como Almeone a sua madre fe caro Come a so mare ga mostrà Almetm 50
Parer lo sventurato adornamento. Quanto quela tal zogia mal ghe fazza.
Mostrava come i figli si gittaro Dai fioi Senacherib, el superbon,
Sovra Sennacherib dentro dal tempio, Drento in Chiesa scanà veder fazzeva;
E come morto lui quivi lasciaro. E po lassà là morto in abandon.
Mostrava la ruina e il crudo scempio Da Tamiri el maccl fato vedeva, 55
Che fe Tamiri, quando disse a Ciro: Co: Ti ha avu sè de sangue, in sangue nua,
Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio. Al sanguenario Ciro la diseva.
Mostrava come in rotta si fuggiro Come in rota l'Assir se l'è batua
Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne, Go visto, co Oloferne è sta mazzà,
Ed anche le reliquie del martiro. E luto el resto de la strage avua. 60
Vedeva Troia in cenere e in caverne : De Trogia incenerida po osservà
O l limi, come te basso e vile Le case fiantumae: o co avilia,
Mostava il segno che lì si discerne! Superba lliòn, segnada ti xe qua !
Ou, il di pennel fu maestro e di stile, Chi è '1 pitor o '1 scultor che imitaria
Che ritraesse l'ombre e gli atti, ch'ivi Quei quadri ohe ga Dio là dissegnai, 65
Farien mirar ogni ingegno sottile ? Che oc*ni inzegno più fin restar faria?
Morti li morti, e i vivi parean vivi : Par morti i morti, e vivi i vivi : mai
Non vide me' di me chi vide il vero, Visti ha i fati nissun, ah no alafè,
Quant'io calcai fm che chinato givi. Più de mi, che incurvà li go pestai.

42 aguazzo *• rugiada.
43 Aragne ... celebre tessitrice ili l. i. li, i: osò sfidare Minerva a elii meglio tesseva. Vinta dulia Dea, fu con.
vertita in ragno in sul suo medesimo^drappo stracciatole in faccia.
45 strazze = stracci.
46 lloboam • Roboamo figlio di Salomonc fu re superbo e tiranno. M popolo lo pregò a voler diminuire
le gravezze imposte dal padre suo, ed egli rispose: 11 padre vi battò culle verghe, ma io vi batterò con bastoni
impiombati. ll popolo si mosse a rumore, e delle dodici tribù del suo regno gli se ne ribellarono dicci. Uu-
d'egli per porsi in salvo se ne fuggì sopra un carro a Gerusalemme.
50-51 Come a so mare ec. = Erifìle vinta da Polinice col regalo ili una preziosa collana, gli discopri ove
Ami, ir. i, i suo m• li.ilo s'era nascosto per non andare alla guerra di ÌVbe, ov'ei sapeva dover restar morto. Per aen.
dicare la morte del padre, Almeone nccise hi madre = zogia = giuifllo = ghe fazza =: le faccia.
52.54 Dai fini Scuacherib ec. =: due filili di Senacherib, re superbissimo degli Assiri, si gettarono sopra lui
mentre era dentro ad un tempio, e lasciatolo quivi morto, fuggirono Dell'Armenia.
55.57 Da Tamiri el macel fniu ec. == Allude alla scontiita data da Tamiri regina degli Sciti a Ciro superbo
tiranno dei llersi. Taniiri comandò che dal busto del morto re Ciro fosse recisa la testa, e fattosi recare un vaso
picno di sangue umano, in quello la immerse dicendo: Saziati del sangue di che uveiti sete cotanta = Co —
quando.
53 Come in rota te. = accenna allo sterminio fatto dagli Ebrei sull'esercito degli Assiri dopo morto Olo
ferne suo generale = te l'è batua — si diedero a precipitosa fuga.
62 Le cate frautumae = sgretolate, ridotte in rottami = o co avilia — o quanto avvilita.
63 lliòn — Troja.
66 restar = stupire.
69 petlai . . calcati.
CA?iTO Xll. 213
Or superbite, e via col viso altiero, Superbo adesso el viso in su levè, 70
Figliuoli d'Eva, e non chinate il volto, 0 nuli d'Eva, e no sbassè la lesta
Sì che veggiate il vostro mal sentiero. A ochiar la bruta strada che batè.
Più era già per noi del monte volto, Zirando una gran parte de la cresta
E del cammin del Sole assai più spesso, Se gavemo, straviai, lassà scampar
Che non stimava l'animo non sciolto : L'ora che xe passada tanto lesta. 75
Quando colui, che sempre innanzi atteso Quando el Mestro, che sempre sta a osservar,
Andava, cominciò : Drizza la testa ; Andando avanti el dise : Leva el viso ;
Non è più tempo da gir si sospeso. No convien più formarse a curiosar.
Vedi colà un Angel che s'appresta Varda un Anzolo là del Paradiso,
Per venir verso noi: vedi che torna 1 ih" rl xe za drio a vegnir incontro a nu: 80
Dal servigio del dì l'ancella sesta. Varda, ch'el Mezodì ne dà '1 so aviso.
Di riverenza gli atii e il viso adorna, Per invogiarlo de condurne in su,
Sì che i dilelti lo inviarci in suso : Melite presto in ato de rispeto,
Pensa che questo dì mai non raggiorna. E pensa che sto dì noi torna più.
lo era ben del suo ammonir uso Tante altre volte el me ga dà '1 preceto 85
Pur di non perder tempo, sì che in quella De no perder el tempo, che doveva
Materia non potea parlarmi chiuso. Capir quel ch'el voleva schieto e neto.
A noi venia la creatura bella L' Anzolo incontro a nualtri se moveva
Bianco vestita, e nella faccia quale ln vesta bianca ; e come su l'aurora
Par tremolando mattutina stella. Luse la stela, el viso suo luseva. 90
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale : L' ha averli i brazzi, e l'ale averte fora :
Disse : Venite ; qui son presso i gradi, Vivn'ì, '1 dise, la scala xe qua arente
Ed agevolemente omai si sale. Per la qual se va franchi là de sora.
A questo invito vengon molto radi : Quanto pochi a sto invido ghe dà mente !
O gente umana, per volar su naia, O anema per el cielo destinada, 95
Perchè a poco vento così cadi 1 Perchè le sbanda un refolo da gnente ?
Menocci ove la roccia era tagliata : Lu ne conduse in dove xe tagiada
Quivi mi batteo l'ale per la fronte ; La eroda : qua co l'ale sora el fronte
Poi mi promise sicura l'andata. Me sbate, e po m' ha garantio la strada.
Come, a man destra, per salire al monte, Come a man drita per montar el monte, 100
Dove siede la Chiesa che soggioga ln dove da là su varda la Chiesa
La ben guidala sopra Rubaconte, La governada ben sul Rubaconte,
Si rompe del montar l'ardita foga, Per le scale, stae fate per impresa
Per le scalce che si fero ad etade Da chi inganar ai tempi soi no usava,
Ch'era sicuro il quaderno e la doga ; Xe tolto l'erto che andar suso pesa; 105
Così s'allenta la ripa cha cade Cussi più dolce assae sta riva andava
Quivi ben ratta dall'altro girone : De la prima, ma streta in modo tal,

78 curiosar = si dice di chi è spinto da curiosita.


94 ghe dà mente = vi pongono mente, ci riflettono.
96 un vlfalo da gnente = un soffio da nulla.
98 La ci.oda = la roccia.
99 Me sbate ec. = come si vedra qui di seguito coll'ala battuta sulla fronte di Dante, l'angelo cancelli
iU quella il primo dei sette P di cui il C. lX v. 113.
101-102 ita là su varila la Chiesa ec. : - la Cliiesa di S. Miniato, clic domina La governada ben (cosi chia
mata per ironia la citta di Firenze) al di sopra del ponte Rubaconte, oggi alle Grazie, clic ebbe il nome da un
podesta di Firenze Rubaconte di Rondella milanese, il quale lo fece fabbricare nel 1237.
214 DEL PURGATORIO
Ma quinci e quindi l'alia pietra rade. Che le do sponde i fianchi ne fregava.
Noi rolgendo ivi le nostre persone, Mentre andavimo su per quel stradai :
Beati pauperes spirita, voci Beali pauperes spirita, se sente 110
Cantaron sì, che noi dirla sermone. Cantar cussi, ch'el dirlo no, no vai.
Ahi quanto son diverse quelle foci Ah come s'entra qua diversamente
Dalle infernali ! che quivi per canti Che no ai cerchi d'Inferno! qua tra i canti,
S'entra, e laggiù per lamenti feroci. Là tra i urli e i lamenti de la zente.
Già umiiiai ,-un su per li scagliini santi, Za montavimo su i scalini santi ; 115
Ed esser mi parea troppo più lieve, E me pareva andar più assae leziero,
Che per lo pian non mi parea davanti : Che sora el pian che avemo fato avanti.
Ond'io : Maestro, di', qual cosa greve Ghe domando al Dotor: Dime sincero,
Levata s'è da me, che nulla quasi Cessa m'è sta levà de peso mai,
Per me fatica andando si riceve ? Che lesto son, che gnanca me par vero ? 120
Rispose : Quando i P, che son rimasi Quando, el responde, i P, che t'è restai,
Ancor nel volto tuo presso che stinti, Siben squasi sparidi dal to muso,
Saranno, come l'un, del tutto rasi, I sarà com'el primo vìa rasai,
Fien li tuoi pie dal buon voler sì vinti, I to pie, che andar pian i aveva l'uso,
Che non pur non fatica sentiranno, Mossi da bon voler, senza fadiga 125
Ma fia diletto loro esser su pinti. No sol, ma i andarà de vogia suso.
Allor fec'io come color che vanno Come chi senza che nissun ghe '1 diga,
Con cosa in capo non da lor saputa, Dai moti de qualcun, insospetio
Se non che 1 cenni altrui suspicar fanno ; D'aver in testa cossa che ghe intriga ;
Perchè la mano ad accertar s'aiuta, E de e i-riarse ha la so man finio 130
E cerca e trova, e quell'ufficio adempie Col cercar ne le parte per lu sconte,
Che non si può fornir per la veduta : Quelo che ai ochi soi ghe xn impediti;
E con le dita della destra scempie Cossi coi dei stargai m' ho trovà pronte
Trovai pur sei le lettere, che incise Sole <ie de le letere, che ha inciso
Quel dalle chiavi a me sopra le tempie : L'Aiuolo da le chiare sul mio fronte: 135
A che guardando il mio Duca sorrise. M' ha perciò vardà '1 Mestro co un sorbo.

110 Beati pauptrct te. = Beati gli ornili: versetto con che quelle anime lodano 1" umilia, virtù contrarii
al peccato della superbia.
121-123 n P, ette t'è restai, Siben quati sparidi ee. = colla cancellazione del peccato della superbia contras
segnato dal primo P, dice quasi scomparsi gli altri sei per essere di questi radice ed alimento la superbia.
133 eoi' dii — colle dita.
135 L'Anzolo da It chiave = l'angelo portinaio del Purgatorio, che teneva le due chiari bianca e gialla;
vedi C IX. v. 117-118.
136 co un = con un.
215

CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Livida pietra questo giro cìnge, Atorno al ziro smorta xe una piera,
£ di lividi manti ricoperti E smorti manti covre i disgraziai,
Sono gli spirti cui l'Invidia tinge. Che per l'Invidia ha fato ai altri guera.
La divina Giustizia gli occhi aperti La Giustizia de Dio i ochi seral
Non lascia lor, perchè guardaron torto, che tien, perchè da sguerzi el ben vardà
Mentre viveano, gli altrui beni e i merti. I ha dei altri e i onori meritai.
Sapia fa Dante di suo stato accorto. Sapia a Dante nove noe ghe di.

Noi eravamo al sommo della scala, De la seconda scala su la cima


Ove secondamente si risega Rivai gerimo, dove anca là sora
Lo monte che, salendo, altrui dismala : Se strenze el monte che i pecati lima.
Iri così una cornice lega E anca qua, cofà '1 primo, un pian in fora
Dintorno il poggio, come la primaia, Sporze, che atorno va come una vera, 5
Se non che l'arco suo più tosto piega. Siben el cerchio più in ristreto cora.
Ombra non gli è, nè segno che si paia ; Nè figure, nè intagi là no gera ;
Par sì la ripa, e par sì la via schietta, La riva e '1 trozo, sora el qual nu semo,
Col livido color della petraia. El color i ga smorto de la piera.
Se qui per dimandar gente s'aspetta, Se, dise el Mostro, nu aspetar dovemo 10
Ragionava il Poeta, io temo forse Chi ne insegna el bon trozo, go paura
Che troppo avrà d'indugio nostra eletta. Che per trovarlo un pezzo speleremo.
Poi fisamente al Sole gli occhi porse; Dopo al Sol l' ha fissà i ochi a dritura,
Fece del destro lato al mover centro, E tegnindose fermo sul pie dreto,
E la sinistra parte di sè torse. S'ha voltà col sinistro la figura. 15
O dolce lume, a cui fidanza i'entro O cara luse, el dise, in ti mi meto
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci, La speranza nel novo mio passaglo;
Dicea, come condur si vuoi quinc'entro : Menime drento qua col mio proteto :
Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci : Schiudo e scaldà xe '1 mondo dal to ragio ;
S'aiti n cagione in contrario non pronta, Se gh'è gnente in contrario, el to splendor 20
Esser den sempre li tuoi raggi duci. Sempre ha da esser de scorta a chi fa viagio.
Quanto di qua per un migliaio si conta, Come de qua i se conta, col Dotor
Tanto di là eravam noi già iti, Za aldino un mier de passi fati là
Con poco tempo, per la voglia pronta. In pressa in pressa per la vogia in cuor;
E verso noi volar furon sentiti, Co spiriti invisibili se ga 25
Non però visti, spiriti, parlando Sentio svolarne incontro pronunciando

4 co/a — come.
5 una vera = un'anello.
8 La riva e 'I trozo — la ripa e il viottolo.
23 un mier = un migliaia.
24 in prata in pressa — frettolosamente.
25 Co = quando.
216 DEL PURGATORlO

Alla mensa d'amor cortesi inviti. Dolci invidi d'amor, de carità.


La prima voce che passò volando, La prima vose ch'è passà svolando :
Vimmi non habenl, altamente disse, Vinum non habent, forte la diseva,
E dietro a noi l'andò reiterando. Da drio a nu ste parole rinovando. 30
l•! prima che del tutto non s'udisse Apena da lontan la se perdeva,
Per allungarsi, un'altra: l' sono Oreste: Che un'altra ose, in passar : Mi son OresU,
Passò gridando, ed anche non s'affisse. • Dise, e passada, anca eia el ripeteva.
O, diss'io, Padre, che voci son queste ? Digo al Mestro: Che vose mai xe queste?
E com'io dimandai, ecco la terza La terza, apena ho finio de parlar, 35
Dicendo : Amate da cui male aveste. Dise : Chi mal v'ha fato, amè. La peste
Lo buon Maestro : Questo cinghio sferza De l'invidia ti vedi qua a purgar,
La colpa della invidia, e però sono Cussi '1 Dotor, e Dio per corezion
Tratte da amor le corde della ferz,a. l recordi d'amor ghe piase inviar.
Lo fren vuoi esser del contrario suono ; La bria voi esser d'un diverso ton 40
f'redo che l'udirai, per mio avviso, Che no l'amor, e ti l'avrà imparada
Prima che giungili al passo del perdono. Prima ti arivi al passo del perdon.
Ma flcca gli occhi per l'aer ben fiso, Ma i ochi toi spenzi de fazzada,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi, E de la zente là ti vederà
E ciascun è lungo la grotta assiso. Che longo via la riva xe sentada. 45
Allora più che prima gli occhi apersi, Più che in prima go l'ochio spalancà ;
Guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti E zente ho visto alora con dei manti
Al color della pietra non diversi. Del color de la piera : e co tirà
E poi clic fummo un poco più avanti, Me sòn col Mestro un poco più davanti,
lidi' gridar : Maria, òra per noi ; Sento cigar : Maria, prega per nu ; 50
Gridar Michele, e Pietro, e tutti i Santi. E dopo a dir le litanie dei santi.
Non credo che per terra vada ancoi Credo che nissun viva o sia vissù
Uomo sì duro, che non fosse punto Cussi crudel, che intenerido arquanto
Per compassion di quel ch'i vidi poi: Noi s'abia a quel che ho visto po là su:
Che quando fui si presso di lor giunto. Perchè quando ghe son da vicin tanto 55
Che gli atti loro a me venivan certi, Da scovrir d'eli i moti, più no tegno,
Per gli occhi fui di grave dolor munto. Dal gran pecà che i me ga fato, el pianto.
Di vii cilicio mi parean coperti, Che i ga un cilizio adosso a vèder vegno ;
E l'un sofferia l'altro con la spalia, Un de l'altro a le spale i sta puzai,
E tutti dalla ripa eran sofferti. E xe a tuti la riva de sostegno. 60
Cosi li ciechi, a cui la roba falla, Cussi i orbi pitochi malandai,

29 lYnum non habcnt . parole di Maria Santissima dette per cariu alle nozze di Cana affine d'impetrare
dal suo divino figliuolo la mutazione d'acqua in vino.
32 ase = voce = son Oreste •. queste parole sono di Pilade il quale, per salvare l'amico presentatosi ad
Egisto clic stava condannando o morte Oreste senza conoscerlo, gli gridò: Oreste son io.
36 Wii mal v'ka fato, amè = diligite Minims vestros, sono parole ili C. C. nel Vangelo ili S. Malteo.
Ili. 1.' La bria .-. li briglia: vedi Canto XlV dal v. 130 al 144, nei quali si spiega di clu.il tuono intende
il Pocta debiia essere il freno per raltencrc gli invidiosi dal correre in quel vizio, cioè bisogua sia di minaccia
e non di amore — al passo del pardon = cioè al terzo girone ove sta l'angelo clic perdono il peccalo dell'in
vidia.
48-49 e co tirà Me san = e quando ni i frossi.
50 Maria, prega per nu = le litanie di M. V.
57 Dal gran pecà = dalla gran compassione.
CA:\TO XIII. 217
Stanno a' perdoni a chieder lor bisogna, In coste de le Chiese istessamente
E l'uno il capo sopra l'altro avvalla, Un sora l'altro i visi tien calai
Perchè in altrui pietà tosto si pogna, Per mover compassion ; nè solamente
Non pur per lo sonar delle parole, (".-d I e ino de la vose, ma co l'ato 65
Ma per la vista che non meno agogna. Del viso i mostra quanta fame i sente.
E come agli orbi non approda il Sole, E com'el Sol per i orbi noi xe fato,
Così all'ombre, dov'io parlav'ora, Cossi ai puzai, che a mi vicini gera,
Luce del ciel di sè largir non vuole : La luse no serviva afato afato ;
Che a tutte un fil di ferro il ciglio fora, Che tuti i ochi co un MI de fero 70
E cuce sì, cimi', i sparvier selvaggio Cusii precisamente eli gaveva,
Si fa, però che queto non dimora. Come s'usa in domar el sparaviero.
A me pareva andando far oltraggio, Strada fazzendo, a lori me pareva,
Vedendo altrui, non essendo veduto : Che no i vede e mi sì, farghe despeto;
Perch'io mi volsi al mio Consiglio saggio. Perciò me volto dal Dotor. Saveva 75
Bnn sapev'ei, che volea dir lo muto ; Elo za quelo che mi aveva in peto,
E però non attese mia dimanda, Nè spelando che fazza la domanda,
Uà disse : Parla, e sii breve ed arguto. Me dise : Parla fin e circospeto.
Virgilio mi venia da quella banda Stava el mio bon Virgilio da la banda
Della cornice, onde cader si puote, Del pian dove ghe gera el precipizio, 80
Perchè da nulla sponda s'inghirlanda : Perchè sponda no gli'è picola o granda ;
Dall'altra parte m'eran le devote Da l'altra i orbi col so vii cilizio,
Ombre, che per l'orribile costura Che zo dal viso per la cusidura
Premevan sì, che bagnavan le gote. Ghe cola el piànto in prova del suplizio.
Vni -imi a loro, ed : O gente sicura, Voltà da lori, o vu, zente sicura 85
Incominciai, di veder l'alto lume De veder Dio, mi digo, e puramente
Che il disio vostro solo ha in sua cura, In Lu la vostra brama se rancura ;
Se tosto grazia risolva le schiume Cussi vegna su i «aliri prestamente
Di vostra coscienza, sì che chiaro , La grazia, che ve lava la consienza,
Per essa scenda della mente il fiume, E ve piova la luse ne la mente ; 90
Ditemi (che mi Ma grazioso e caro) Disè se anema, e avrò «conoscenza,
S'anima è qui tra voi, che sia latina ; Italiana tra vualtri gh'è dissima,
E forse a lei sarà buon, s'io l'apparo. Che ben ghe poi Vegnir, se ho conossenza
O frate mio, ciascuna è cittadina D'eia. Del ciel qua citadine ognuna
D'una vera città; ma tu vuoi dire, Semo, fradelo, ma ti vorà dir 95
Che vivesse in Italia peregrina. Ch'abia vissù in Italia qualcheduna.
Questo mi parve per risposta udire M' ha parso sta resposta a mi vegnir
Più innanzi alquanto, che là dov'io stava ; Da una vose più in su da in dove stava,
Ond'io mi feci ancor più là sentire. Perciò m'ho fato anca più in là sentir.
Tra l'altre vidi un'ombra che aspettava Tra l'altre una ne scovro che mostrava 100

85 temo : : lamento senza espressione di parale.


71 Curii' = cuciti.
84 Ghe cola .-. cala, gocciola loro.
87 te rancura - si accoglie, è rivolta.
100 ncorro = discopro.
218 DEL PURGATORIO
In vista ; e se volesse alcun dir come, D'aspetar; dal barbozzo m'ho intagli
Lo meato, a guisa d'orbo, in su levava. Che, come i usa i orbi, in su la alzava.
Spirto, diss'io, che per salir ti dome, Ti, che li purghi per el cielo, fa,
Se tu se' quegli che mi rispondesti, Digo, se la resposta li ha li dada,
l'anuiiili conto o per luogo o per nome. Che a nome o a patria sapia chi li è sia. 105
T fui Senese, rispose, e con questi Son da Siena, eia dise, e la purgada
Altri rimondo qui la vita ria, Fazzo con sii altri qua, pregando Dio
Lacrimando a Colui, che sè ne presti. Tra '1 pianto che a nu'l vegna. Siben stada
Savia non fui, avvegna che Sapia Mi sia Sapia, che questo è'1 nome mio,
Fossi chiamata, e fui degli altri danni No son sta savia, che dei altri el dano 110
Più lieta assai, che di ventura mia. Più ch'el mio ben assae m' ha divertio.
E perchè tu non credi ch'io t'inganni, E per farle vedèr che no t'ingano,
Odi se fui, com'io ti dico, folle. Senti se a torzio la mia mente andava :
Già discendendo l'arco de'miei anni, Tocà avea quasi el quarantesim'ano,
Erano i cittadin miei presso a Colle Co i mii Sienesi rente a Cole i stava 115
In campo giunti co' loro avversari, Per far contro i nemici una campagna,
Ed io pregava Dio di quel ch'ei volle. E ho pregà '1 del per quel ch'el deslinava.
Rotti fur quivi, e volti negli amari Là pestai per i campi i se sparpagna,
Passi di fuga, e veggendo la caccia, E co scampar li ho visti e darghe drio,
Letizia presi ad ogni altra dispari; No go avuda alegria mai la compagna. 120
Tanto ch'io levai in su l'ardila faccia, Tanto che ho levà '1 viso insuperbio,
Gridando a Dio : Omai più non ti temo : Come el merlo co '1 tempo ha fato bon,
Come fe il merlo per poca bonaccia. Cigando: Adesso no te lemo, o Dio.
Pace volli con Dio in su lo stremo Ma in sul ponto de morie, go '1 perdon
Della mia vita ; ed ancor non sarebbe Domandà; però el debito scontà 125
Lo mio dover per penitenza scemo, No pavana, se co le so oiazion
Se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe Devote, Piero Petinai pensà
Pier Pettignano in sue sante orazioni, Noi se gavesse, el" del per mi pregando,
A cui di me per cariiate increbbe. D'agiularme per fin de carità.
Ma tu chi so', che nostre condizioni Ma li chi sestu, che de nu cercando 130
Vai dimandando, e porli gli occhi sciolti, Ti va, credo, coi ochi descoverli,
Sì come io credo, e spirando ragioni ? E vivo ancora ti vien via parlando ?
Gli occhi, diss'io, mi fieno ancor qui tolli; Sarà anca i mii per poco qua coverti,
Ma picciol tempo, che poca è l'ofTesa Perchè, digo, d'invidia dir mi posso
Fatta per esser con invidia volti. Che go tegnù su pochi i ochi averti : 135

101 tiai barbuzzo m'ho intngià = dal mento mi accorsi.


109-110 Sapia ec — fu gentildona Sanese, la quale bandita da Siena visse a Colle, ove poi essendo i Sanai
sconfitti dai Fiorentini, ella, che fortemente odiava i cittadini suoi, ebbe di ciò grandissimo contento. Fu moglie
di Ghinibaldo Soracini nobile famiglia Sanese a cui appartiene Castiglioncello di Montereggioni. Viene qui fan '
un giucco di parole tra Sapfa e savia.
113 o larzio == fuori di senno.
114 Tocà uvea quasi el quarantaim'ano — raggiunto aveva quasi l'anno quarantesimo -(di età).
115 Co = quando —- i nrii — i miei.
122 Cam'el merlo = un antica novella popolare diceva che un merlo sentendo nel Gennaio mitigalo il freddo,
credè finito l'inverno e faggi dal padrone cantando: Domine, più non ti curo che uscito sono tiai verno; ma fre
tto se ne pentì, perchè il freddo ricominciò, e cosi conobbe che quel po' di bonaccia non era la primavera -
co — quando.
127 Pierà Peliitai = il beato Eremita Pier Pettinalo.
CAYTO Xlll. 219

Troppa è più la paura, ond'è sospesa Ma me spaventa più del sasso grosso
L'anima mia, del tormento di sotto, El tormento che ho visto qua de soto,
Che già lo incarco di laggiù mi pesa. Chè quel peso me par sentirlo adosso.
Ed ella a me : Chi t" ha dunque condotto Chi t'ha donca, eia llise, qua condoto
Quassù tra noi, se giù ritornar credi? Se là tornar ti credi ? E mi a eia : 1 40
Ed io: Costui ch'è meco, e non fa motto: Questo compagno mio, che noi fa moto.
E vivo sono; e però mi richiedi, Mi son vivo, e se mai, anema bela,
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova Ti voi che al mondo ancora mi me mova
Di là per te ancor li mortai piedi. Per ti, domandimelo pur. Oh bela!
Oh questa è a udir sì cosa nuova, La dise, questa sì che la xe nova: 145
Rispose, che gran segno è che Dio t'ami; Ch'el Signor te voi ben xe segno chiaro ;
Però col prego tuo talor mi giova. Donca fa ch'el to prego a mi '1 me giova.
E chieggoti per quel che tu più brami, Te sconzuro per quanto ti ha più caro,
Se mai calchi la terra di Toscana, Se mai ti va nei loghi de Toscana,
ChV miei propinqui tu ben mi i.infami. Che ai mii ti meti la mia fama in chiaro. 150
Tu gli vedrai tra quella gente vana Te li poi veder tra la sente vana
Che spera in Talamone, e perderagli Che spera in Talamon, e manco sorte
Più di speranza, ch'a trovar la Diana : l gavarà che no a trovar la Diana :
Ma più vi perderanno gli ammiragli. Ma avarà i Amirai dano più forte.

140 St là = cioè nel cerchio dei superbi.


150 m mii = ai miei congiunti.
151 ira. la zenit vana = cioè tra i Sanesi.
152 Chs saera in Talamon = il porto e castello di Talamone nel quale la gente Sanesc poneva speranza di
poterlo ripopolare e farne un emporio per cui esso diventasse potente uel mare.
153 la Diana te. — Talamone essendo posto nella Maremma ed in uno dei peggiori punti della malaria, era
impossibile ripopolarlo. L'acqua Diana poi era una polla sotterranea e profondissima che dal Comune di Siena
fa falla cercare per lunghi anni e con grande dispendio. Alla lini: fu trovala, ed il pozzo di essa che tuttora si
chiama Pozzo Diana, è cosi copioso d'acqua che reca meraviglia, come reca meraviglia la grandissima profondità.
Esso resta nel Convento del Curmine, Chiesa S. Nicolò, uno dei punti più elevati della città di Siena.
154 Ma avarà i Amirai dano più farle = perchè se i cittadini di Siena vi perderouo la moneta e la speran
ts, i capitani dell'armata navale (Ammiragli) e i direttori del porto ci perderanno, per causa della malaria, la
vita.
220 DEL PURGATORIO

CANTO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Guido del Duca il Poeta ritrova, Guido del Duna là el Poeta trova,
E Rinieri da Calboli, che stanno E Rinieri da Calboli, che i sta
Purgando Invidia in quella vita nova. Purgando Invidia in quela vita nova.
E mentre quelli a passo a passo vanno, E mentre queli insieme a passo i va,
I/un di que' due di lor paese il vizio Un d'eli do del so paese el vizio
Va ricordando con doglioso affanno, In menzonar el vien tutto afanà
Dando d'un mal, ch'avvenir deve, indizio. Dando d'un mal, che ha da vegnir, l' indizio.

Chi è costui che il nostro monte cerchia, Chi xe costù che zira rl nostro monte,
Prima che morte gli abbia dato il volo, No ancora morto, e a so piacer va via
F.il apre gli occhi a sua voglia e coperchia? Tegnindo le palpiere or verte or zonte ?
Non so chi sia; ma so ch'ei non è solo. So che solo noi xe ; nè so chi '1 sia :
Dimandai tu che più gli t'avvicini, A lu ti più vicin, con grazia ti
E dolcemente, sì -che parli, accolo. Domandilo, aciò '1 parla in cortesia.
Così due spirti, l'uno all'altro chini, Un su l'altro sbassai, de mi cussi
Ragionavan di me ivi a man dritta ; I discoreva a drita; po levà
Poi fèr li visi, per dirmi, supini; El viso per parlarme, un dise a mi :
E disse I" uno : O anima, che fitta O anema che incontro al ciel ti va,
Nel corpo ancora in ver lo ciel ten vai, Siben nel corpo ancora ti è serada,
Per carità ne consola, e ne ditta, Consoline, e di' su per carità
Onde vieni, e chi se' ; che tu ne fai Chi ti è, e da dove ti xe qua calada ;
Tanto maravigliar della tua grazia, Perchè sta grazia toa ne fa incantar
Quanto vuoi cosa, che non fu più mai. Tanto quanto una cossa mai più stada.
Ed io : Per mezza Toscana si spazia E mi : Da Falterona va a cascar
Un fiumicel che nasce in Falterona, Per la Toscana un fiumeselo a basso,
E cento miglia di corso noi sazia. Che a più de cento mia s'el vede andar.
Di sovr'esso rech'io questa persona; Sora una' là de le so rive nasso :
Dirvi chi sia, saria parlare indarno ; Dirve chi son sarave tempo perso,
Che '1 nome mio ancor molto non suona. Che ancora el nome mio no fa gran chiasso.
Se ben lo intendimento tuo accarno Se '1 pensier too mi vedo dal so verso,
Con lo intelletto, allora mi rispose Quelo da la domanda m'ha resposo,
Quei che prima dicea, tu parli d'Arno. Ti voi menzonar l'Arno de traverso.

I C/n xe costù - questo primo elic parla è Guido del Duca nobile uomo e prudente.
3 Tegnindo le palpiere or verte or zonte = aprendo e chiudendo le palpebre = sanie = unite, congiuo"
4 So ehe soln noi xe = questi che risponde è Rinieri di Foril, della nobile famiglia do' Calboli.
16 Fallcrona --. e rosi chiamata quella parte d'Appennino dove nasce l'Arno.
18 cento mia ..- cento miglia.
20 sarave — sarebbe.
22 Se '/ luniiiii- tuo mi vedo dal so verto = se vedo bene nel tuo pensiero. •
24 de Iravcrto — trasversalmente, cioè indirettamente.
CANTO XIV. 221
E l'altro disse a lui : Perchè nascose . E a lu st'altro : Percossa el ga nascoso 23
Questi il vocabol di quella rivera, Del limili: el nome, quasi se tratasse
Pur com'uom fa delle orribili cose? D'una cossa che avesse del'esoso ?
E l'ombra che di ciò dimandata era, Ga parso che cossi se la cavasse
Si sdebitò così : Non so, ma degno Chi ga resposto : Mi no so el perchè,
Ben è che '1 nome di tal valle pera ; Ma saria ben ch'el nome in fumo andasse. 30
Che dal principio suo (dov'è sì pregno Che dal sortir (dove tanta aqua xr
L'alpestro monte, ond'è tronco Pelero, Là al monte, che a Pelor noi se destende,
Che in pochi luoghi passa olira quel segno) Che in pochi siti poco più ghe n'è)
Infin là, 've si rende per ristoro In sin al mar, al qual i fiumi tende,
DI quel che il ciel della marina asciuga, E quant'aqua el vapor ga a lori dada, 35
Ond'hanno i fiumi ciò che va con loro, Al mar, ch'el Sol ga tolta, i ghe la rende ;
Virtù così per nimica si fuga Come nemiga è la virtù scampada
Da tutti, come biscia, o per sventura Da luti cofà un bisso, o per malora
Del loco, o per mal uso che li fruga ; Del logo, o per la zente assae viziada.
Ond'hanno sì mutata lor natura Fato è, che i abitanti a l'Arno sora, lo
Gli abitator della misera valle, De tanto i ga cambià la so natura,
Che par che Circe gli avesse in pastura. Che i par messi da Circe in magnaora.
Tra brutti porci, più degni di galle, Tra i porchi più de glande per pastura
Che d'altro cibo fatto in uman uso, Degni, che no de quel che l'omo ha in uso,
Dirizza prima il suo povero calle. Aqua scarsa in principio a quei procura ; 45
Botoli trova poi, venendo giuso, Dopo el trova, vegnindo da là suso,
Ringhiosi più che non chiedt: lor possa, Cagneti che la stizza mai no lassa,
Ed a lor disdegnosa torce il muso. E a lori storze con desprezzo el muso.
Vassi caggendo, e quanto ella più ingrossa, El va calando, e a man che più el s'ingrassa,
Tanto più trova di can farsi lupi Tanto più i cani farse lovi el trova 50
La maledetta e sventurata fossa. Quel canai maledio sfortunà massa :
Discesa poi per più pelaghi cupi, Po in vegnir zo l'incontra zente nova
Trova le volpi sì piene di froda, Volpona, tanto ne l'ingano iatorta,
Che non temono ingegno che le occupi. Che nissun furbo a farla zo se prova.
N'è lascerò di dir, perch'altri m'oda : Ne lassarò da dir, che no m'importa 55
E buon sarà costui s'ancor s'ammenta Se altri ascolta; anzi vói che costu senta
Di ciò che vero spirto mi disnoda. Sta mia vision, e in mente se la porta.

!S se In cavasse = si traesse d'impaccio.


30 m fuma andasse = si cancellasse, si distruggesse.
32 io al monte — Apenuino = Pelor = Peloro promontorio dulia Sicilia elio resta distaccato e quasi tronco
dall'Apennino per lo stretto di Messina.
38 i-o/o = come.
42 Circe = famosa maga ehe converliva gli uomini in bestie.
43 Tra i parchi ce. = cioè i Cnsnntinesi.
45 Aqua scarsa ce. = poichè l'Arno comincia dal Cosentino il suo corso.
47 Cagnai — cioè gli Aretini.
50 lovi = lupi, cioè i Fiorentini Guelfi.
51 massa =. troppo.
52-53 sente nova Volpona ee. — cioè i Pisani = intarla = attortigliata, oinalgamuta.
54 a farla zo = trappolarla, sedurla.
56 ansi vói = anzi voglio = costà = cioè Dante.
222 DEL PURGATORIO
Io veggio tuo nipote, che diventa Bl to nevodo cazzador deventa,
Cacciator di que' lupi in sulla riva E aguati ai lovi su la riva el tende
Del fiero fiume, e tutti gli sgomenta : De quel fiume feroce, e li spaventa : 80
Vende la carne loro, essendo viva, Ancora vivi la so carne el vende,
Poscia gli ancide come antica belva : Po scanai come manzi in becaria,
Molti di vita, e sè di pregio priva. Tanti el ne mazza, e la so fama ofende.
Sanguinoso esce della trista seiva ; Dal gramo bosco insanguenà '1 vien ria,
Lasciala tal, che di qui a mili' anni E in stato tal lo lassa, che un mier d'ani 6J
Nello stato primaio non si riuscira. Per rimeterse gnanca bastarla.
Come all'annunzio de' futuri danni Come a l'aviso dei futuri dani
Si turba il viso di colui che ascolta, In ciera se conturba chi li sente,
Da qual che parte il periglio lo assanni : Da qual sia banda vegna po i malani ;
Cosi vid'io raltr'anima, che volta L'altr'anema, che scolta, istessamente 70
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista, Conturbada la va in malinconia,
Poi ch'ebbe la parola a sè raccolta. Co ghe vi: entrà '1 discorso ne la mente.
Lo dir dell'una e dell'altra la vista De chi ha parlà e de l'anema avilia
Mi fe voglioso di saper lor nomi, Scovrir i nomi m'ho invogià cossi,
E dimanda ne fei con prieghi mista. Che a dirmeli li prego in cortesia. 75
Perchè lo spirto, che di pria parlami, Donca proprio ti voi che fazza a ti,
Ricominciò : Tu vuoi ch'io mi deduca Due quelo che primo ga parlà,
Nel fare a te ciò che tu far non MIO' mi ; Quanto no ti ha volesto far a mi ?
Ma dacchè Dio in te vuoi che traluca Ma de za ch'el Signor te ga donà
Tanta sua grazia, non ti sarò scarso: La grazia soa, scompiaserte no so : 80
Però sappi ch'io son Guido del Duca. Guido del Duca al mondo i m'ha chiamà.
Fu il sangue mio d'invidia sì riarso, Sgionfà de tanta invidia mi me go,
Che se veduto avessi urna farsi lieto Ch'el ben dei altri tuto me impinia
Visto m'avresti di livore sparso. De mata rabia da la testa in zo;
Di mia semenza cotai paglia mieto. E qua go '1 fruto de l'invidia mia. 85
O gente umana, perchè poni il core Omo, perchè ti meti là '1 to cuor
Là Ve mestier di consorto divieto? Dov'è proibio de star in compagnia ?
Questi è Rinier; questi è '1 pregio e l'onore Rinier de casa Calboli l'onor
Della casa da Calboli, ove nullo Xe sto qua, ma dei soi nissun per gnente
Fatto s'è reda poi del suo valore. La gloria ha redità che con lu mor. W
E non pur lo suo sangue è fatto brullo Nè za i soi in Romagna solamente •
Tra '1 Po e il monte, e la marina e il Reno, De la scienza e dell'arte ha perso el ben,
Del ben richiesto al vero ed al trastullo ; Che l'anemo soleva, el cuor, la mente ;
Che dentro a questi termini è ripieno Che tuto quanto el Romagnol te pien

58 Kl lo anodo -- cioè il nipote tli Rinieri al qunle Guido continua a rivolgere il discorso parlandogli io
tuono profetico. Questo nipote fu Tulcicri di Calboli, il quale nel 1303 fallo per due volte podestà di Firn»'-.
fu dai Neri per danaro indotto a perseguitare i Bianchi.
50 ai lavi = ai lupi: allude agli abitanti luogo l'Arno.
64 liut gramo botto - Firenze.
70 L'altr'anema ----- cioè Rinieri.
72 Co = quando.
79 dr za, = poiche.
88 Rinier = Hinim da Calboli di Forli.
.
.-I-.f.

CANTO xiv. 223


Di renenosi sterpi, sì che tardi De sterpi velenosi, e oramai tardi 95
Per coltivare omai verrebbe! meno. Per coltivar xe adesso quel teren.
Ov'è il buon Lizio ed Arrigo Manardi, Dov'è '1 buon Lizio e un Arigo Manardi
Pier Traversaro, e Guido di Carpigna ? Un Guido da Carpigna, un Traversar ?
O Romagnuoli tornati in bastardi ! O Romagnoi, che sè tornai bastardi!
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna ? Quando in Bologna mai un Fabro, al par 100
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco, Anca d' un Nardo Fisco faentin,
Verga gentil di picciola gramigna? Nati plebei, s'ha visto grandizar ?
Non ti maravigliar, s'io piango, Tosco, No le stupir, Toscan, se sto destin
Quando rimembro con Guido da Prata Pianzo, co penso a chi ha vissn cun nu;
Ugolin d'Azzo che vjvette nosco ; Voi dir Guido da Prata, Azzo Ugolin, . 105
Federigo Tignoso e sua brigata, , Tignoso, e i degni amici stai de lu,
La casa Traversara, e gli Anastagi, E le case Anastagi, e Traversara,
(E l'una gente e l'altra è diretata ) (I sci no ha redità la su virtù)
Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi, Le done e i cavalieri, che una cara
Che ne 'nvogliava amore e cortesia D'ogni virtù memoria i ga lassada, 110,
Là dovè i cuor son fatti sì malvagi. Dove ancuo briconae solo s" impara.
O Brettinoro, che non fuggi via, 0 Bretinoro, dolce patria amada,
Poichè gita se n'è la tua famiglia, No ti scampi, se i toi xe andai za via,
E molta gente per non esser ria ? E tanti boni se la ga svignada ?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia, Bagnacaval fa ben de sia genia 115
E mal fa Castrocaro, e peggio Conio, No fiolar. Castrocaro, e pezo Conio
Che di figliar tai conti più s'impiglia. Fa mal a dar sta razza maledia.
Ben faranno i Pagan, da che il demonio 1 lidi, morto Pagan dito ei Demonio
I. or sen girà ; ma non però che puro Farà azion bone, ma una scontraura
Giammai rimanga d'essi testimonio. Farà al so onor ci pare testimonio. 120
O Ugolin de'Fantoli, sicuro O Fantoli Ugolin, te resta pura
È il nome tuo, da che più non s'aspetta La fama toa perchè no gh'è chi possa,

97 l.fzin - Messer Lizio da Valbona, cavaliere da bene e virtuoso = Arigo Manardi = da Faenza uomo
prndeute, magnanimo e liberale.
93 Guido de Carpigna • fu da Montefeltro, nobilissimo uomo e libendissimo = Traversar = Trnversaro fu
Signor di Ravenna-, molto splendido ed amatore della virtù; il quale dicono elic maritasse una sua figlia al re
d'Ungheria.
100 Fabro : de Lambertazzi da basso stato si alzò tanto, che poco non mancò divenisse signore di Bologna
sua patria.
101 Nardo Fosco ••: Bernardino Fosco di umile schiatta divenne per lo sue virtuose opere tanto chiaro, che
Faenza sua patria ne ricevette splendore.
104 co = quando.
105 Vii,' dir = voglio dire. = Guido da Prata ----- fu valente e liberale signore del Castello detto Prala tra
Faenza e Foriì. .- - Azzo Ugolin .--- fu degli Ubaldini, famiglia Toscana.
106 Tignaio - Federigo Tignoso, gentiluomo di Rimini pieno di virtù.
107 Anaitayi t Travcrjiara = nobile famiglia di Ravenna.
108 i n0i . cioè i 'suoi discendenti.
111 Inii"' - oggidì.
112 lìn-iiiHiin = oggi Bcrtinoro, paese di Romagna.
IH se la ga ivignada - sono fuggiti altrove.
115-116 llniiiun'nrul, Caitrocaro e Conio = SOnO Castelli di Romagna = fiatar --. figliare.
11S Pagan = Manardo Pagani sopranominato il Demonio per le sue malvagità.
119 tcontraura - intoppo, controtempo, inciampo.
121 Fantoli Ugolin = virtuoso gentiluomo di Faenza che nou ebbe prole maschile,
224 DEL PURGATORIO
Chi far lo possa tralignando oscuro. Ti senza Boi, macularla o farla scura.
Ma va via, Tosco, omai, ch'or mi diletta Ma va, Toscan, ch' el mio parlar m'ingessa,
Troppo di pianger più che di parlare, E ho più vogia da pianzer riflettendo !-"i
Sì m'ha nostra region la mente stretta. A la patria là su, che mete angossa.
Noi sapevam che quell'anime care Che i ne sentia saveimo, e eli laseudo,
Ci sentivano andar : però tacendo Che xe bona, i vegniva a darne aviso,
Facevan noi del cammin confidare. La strada che nu andavino batendo.
Poi fummo fatti soli procedendo, Caminando soleti, incontro al viso 130
Folgore parve, quando l'aer fende, Come fulmine ha parso se ne taca
Voce che giunse di contra, dicendo : Sta vose ne le rechie d'improviso :
Aucid ria mini qualunque m'apprende; Chi me scovre me mazza: e se destaca
E fuggio, come tuon che si dilegua, Scampando come el ton che va con Dio,
Se subito la nuvola scoscende. Se subito la nuvola se spaca. 135
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua, Apena da sentirla s'ha linin.
Ed ecco l' altra con sì gran fracasso, Un'altra ne dà su con tal fracasso,
Che somigliò tonar che tosto segua : Che ha parso el ton che al primo vegna drio :
lo sono Aglauro, che divenni sasso. Mi son Aglauro convertida in sasso,
E allor per istringermi al Poeta, La disea, e per strenzerme al Poeta, 1W
Indietro feci o non innanzi il passo. Drìo de lu, no davanti, ho messo el passo.
Già era l'aura d'ogni parte quota, Za d'ogni banda gera l'aria quieta;
Ed ei mi disse: Quel fu il duro camo, E lu me disc : Bria quella mi chiamo
Che dovria l' uom tener dentro a sua meta. Ch'esser dovria del'omo la ricela.
Ma voi prendete l'esca, sì che l'amo Ma chiapè invece el dolce che su l'amo 1*5
Dell'antico avversario a sè vi tira ; Sporze a vualtri el demonio e a lu ve tira;
E però poco vai freno o richiamo. Poco cossi la bria serve e '1 rechiamo.
Chiàmavi il cielo, e intorno vi si gira, El ciel v'invida, e atorno via el ve zira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne, Col mostrarve le cosse soe stupende,
E l'occhio vostro pure a terra mira ; Ma in lera sol legni vualtri la mira; 150
Onde vi batte chi tutto discerne. E ve castiga Quel che tuto intende.

133 C/n me scovre me mazza =• par,olc delle da Caino dopo elic per invidia uccise il fratello Abete.
134 che va con Dio -- modo di dire che equivale: che parte.
137 ne da su = ne sorge fuori.
130 Aglauro = secondo la favola, figlia di Eretteo re di Atene, ebbe invidia d'Erse sua sorella, perchè
amata da Mercurio: oude il nume convertilla in sasso.
143 Bria quela chiamo re. •.-- Virgilio qui allude a quanto disse da prima: vedi C. precedente v. 40.
225

CANTO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Per salir suso al terzo balzo invito Al terzo ziro a montar su invidai
Hanno da un Angiol si bello e splendente. Un Anzolo li ga cussi splendente.
Che Dante n'ha lo suo viso smarrito. Che a Dante se ga i oehi imbarbagiai.
E olire andando si ferma la menta K avanzando de- strada i da de mente
In altri esempii, onde distrntta è l'Ira, Ai esempi che i vede contro l'ira:
Che quanto ijuivi a lui nen è presento. No M, che là noi veti,. .• là noi scnte.
In ristane estatiea rimira. Ma In in vision tra Testisi li amira.

Quanto tra l'ultimar dell'ora terza, Quanto d Sol in tre ore dal levar
E il principio del di par della spera. Ga corso via per la celeste sfera,
Che sempre a guisa di fanciullo scherza, Che come i fioi no se poi mai fermar,
Tanto pareva già in ver la sera Tanto ancora de viazo incontro a sera '
Essere al Sol del suo corso rimaso : Far ghe restava per andar a monte : 5
Veipero là, e qui mezza notte era. I à '1 fm del dì, qua mezanote gera.
E i raggi ne ferian per mezzo il naso, /ii .'i gavemo in modo atorno al monte,
Perchè per noi girato era sì il monte. Che andando driti nu verso Ponente,
Che già dritti andavamo in ver l'occaso ; I ragi ne bateva sora el fronte;
QuandMo senti' a me gravar la fronte Co i m IMI luui.'i m' ha un novo lume, arente 10
Allo splendore assai più che di prima, AI solito lusor che manda el Sol;
E stupor m'eran le cose non conte : E me stupiva, e no capiva gnente :
Ond'io levai le mani in ver la cima In forma mi perciò de parasol
Delle mie ciglia, e ferrmi il solecchio, lr man m' ho messo sora i urlii in tagio,
Che del soverchio visibile lima. i .ir. 'i tropo chiaro un Ilà smorzar ne poi. 15
Come quando dall'acqua o dallo specchio Come da l'aqua o speeldo in suso el ragio
Salta lo raggio all'opposila parte, Sbalza rinesso per l'oposta banda
Salendo su per lo modo parecchio Dè r. ili i n. che '1 ga in zoso fato el viagio,
A quel che scende, e tanto si diparte E da la perpendicolar se sbanda
Dal cader della pietra in igual tratta, E questo n quel per un istesso trato, 20
Si come mostra esperienza ed arte ; Come se vede e fisica comanda ;
Cosi mi parve da luce rifratta Un riflesso cussi m' ha tolto afato
Ivi dinanzi a me esser percosso ; I., i vista, e no podendolo afrontar
Perché a fuggir la mia vista fu ratta. Da un'altra parte i ochi presto bo trato.
Che è quel, dolce Padre, a che non posso Pare, digo, coss'è '1 lusor, che par
Schermar lo viso tanto che mi vaglia. Ne vegna incontro, e che scansar, per sbrlo, 25

3 t fiai = i figli, ma qui sia nel senso generico di fanciulli.


6 Là 'I fin del di, iI un meta note gera = cioè 1. t al Purgatorio crn vespro, tre ore dopo mezzodì, al Mon
te Smi. ad esso antipodo, era tre ore dopo me/./.. i imi ir; e qui in Italia era mezzanotte.
10 Co imbarbagià - ijuundo abbarbagliato — urente = qui vale: in aggiunIa.
SO per UH incno Iratu = per iino stesso spazio.
"" (Jn riflesto - Essendosi Dunte fatto schermo 'Irlir nmni, la luce dell'Angelo non gli veniva più diretta,
mn riflessa da terra.
Sì ho iralo = ho gettato.
15
226 BEL PISCATORIO
Diss'io, e pare in ver noi esser mosso ? Noi podendo, m' ha fato squasi orbar ?
Non ti maravigliar se ancor l'abbaglia Se la zente del ciel te fa, fiol mio,
La famiglia del cielo, a me rispose : Tegnir, lu djse, ancora l'ochio streto,
Messo è, che viene ad invitar ch'uom saglia. No stupir, perchè un Anzolo de Dio 30
To?lo sarà ch'a veder queste cose Vien per farne andar su. Da qua un pocheto
Non ti fia grave, ma fieli diletto, Ste cosse, pena no, ma te darà,
Quanto natura a sentir ti dispose. Quanto ti poi averghene, dileto.
Poi giunti fummo all'Angel benedetto. Da l'Anzolo arivai, sia scala qua,
Con lieta voce disse: Intrate quinci, Tuto alegro ne dise, a far meteve 35
Ad un scaleo vie men che gli altri eretto. Che dele prime manco in pie la va.
Noi montavamo, già partiti linci, Montando su la scala manco greve,
E, Beati misericordes, fue Beati misericordes drio de nu
Cantato retro, e : Godi tu che vinci. N' ha cantà : e po : Vu che vince, godevo.
Lo mio Maestro ed io soli ambedue Soli andavimo el Mestro e mi là su; W
Suso andavamo, ed io pensava, andando-. E de cavar pensava caminando
Prode acquistar nelle parole sue ; Kon pro dal so discorso: verso lu
E dirizza' mi a lui sì dimandando : Voltandome col viso, ghe domando :
Che volle dir lo spirto di Romagna, Coss' halo mai quel Guido dir voludo
E divieto e consorto menzionando ? De pi ni Iiizimi e compagnia parlando? 45
Perch'egli a me : Di sua maggior magagna Del so gran pecà, :1 dise, conossudo
Conosce il danno; e però non s'ammiri L'ha'l dano; e aciò no abie a cascarghe drenlo.
Se ne riprende, perchè men sen piagna. E pianzè manco, ave '1 rimarco avudo.
Perchè s'appuntano i vostri desiri, Perchè coi altri el ben in godimento
Dove per compagnia parte si scema, Voressi aver con torne in parte via, 50
Invidia muove il maniaco a' sospiri. De l'invidia sentì tuto el tormento.
Ma se l'amor della spera suprema Ma se la brama al ciel vottada sia,
Torcesse in suso il desiderio vostro. El ben lo gustaressi tuto quanto,
Non vi sarebbe al pelto quella lema : E l'invidia no ve tormentarsa ;
Perche quanto si dice più lì nostro. Che de più che i xe a goderlo, altretanto o5
Tanto possiede più di ben ciascuno, Ognuno de quel ben più i gusta là,
E più di cariiate arde in quel chiostro. E più i sente l'amor nel logo santo.
Io son d'esser contento più digiuno, Manco, ghe digo, ti me ga apagà,
Diss'ìo, clie se mi fosse pria taciuto. E più grando s'ha fato i.l dubio mio
E più di dubbio nella mente aduno. Desso che de schiarirlo ti ha cercà. 60
Contesser puote che un ben distributo tinini- in tanti diviso un ben da Dio
I più posseditor faccia più ricchi Donà, de questo a ognun più ghe ne luca.
iti sè, che se da pochi è posseduto? Che no s'el fusse in pochi elo sparito ?
Ed egli a me: Perocchè tu ri Meelii E lu : Perchè ti ha sempre in cuor e in boca

3n manco in pie = meno erto.


38 Beali an'ierieordei = parole di fi. C. in S. Malico, elic si proferiscono dall'angelo per lodare l'amore del
prossimo; virtù contraria all'invidia.
39 e po = e poi = \'u ehe vince, godevc = Godi tu che vinci: parole anche queste Scrillnrali con cki
s'invita ad esultare nella speranza dell'eterno godimento chi avrà vinte le proprie passioni e amato il prossimi-
come se stesso.
45 Dn proibitimi e i mi,lin,i uin = vedi v. 87 del C. preced.
48 Vtl sa gran ptcà = cioe il peccato dell' Invidia.
CA.tTO XV. 227
La mente pure alle cose terrene, Le cosse del to mondo, la to mente 65
Di vera luce tenebre dispicchi. No intende, nè la luse vera imbroca.
Quello infinito ed ineffabil bene L'eterno ,1111111 de Dio fImpotente,
Che lassù è, così corre ad amore, Là de sin a se stanza su i beati,
Come a lucido corpo raggio viene. Come el ragio sul lustro istessamente.
Tanto si dà, quanto trova d'ardore : Quanto i xe da l'amor più puri fati, 70
Sì che quantunque carità si stende, Tanto l'eterno amor se fa su lori
Cresce sovr'essa l'eterno valore. Sempre più grando, e più li fa beati.
E quanta gente più lassù s'intende, E più gh'è zente nei celesti cori,
Più v'è da bene amare, e più vi s'ama, Più un su l'altro l'amor se spande fora,
E come specchio l'uno all'altro rende. Come un su l'altro i spechi i so lusori. 75
E se la mia ragion non ti disfama, Ma se apacarte no amasse ancora
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente Sta mia region, la Bice quela sia
Ti lori ù questa e cinscun'altra brama. Che questo e altro te dirà là sora.
Procaccia pur, che tosto sieno spente, Fa presto dal to fronte a seazzar via
Come son già le due, le cinque piaghe, Le cinque machie, e come le altre do, 80
Che si richiudon per esser dolente. Te sia levae da l'anema pentia.
Com'io voleva dicer : Tu m'appaghe : t ; ei a per dirghe : Adesso intendo ; co
Vidimi giunto in su l'altro girone, Zonto al ter/.o zirmi, curiosamente
Sì che tacer mi fèr le luci vaghe. l ochi zirando la ose i me tien io.
lfi mi parve in una visione Da un'estasi me par subitamente 85
Estatica di subito esser tratto, D'esser chiapà, e senz'altro de ritiro
E vedere in un tempio più persone: ln una Chiesa vedo de la zente.
Ed una donna in su l'entrar, con atto :•; là una mare in su l'intrada miro,
Dolce di madre, dicer : Figliuol mio, Che in ato dolce ghe diseva al fio :
Perchè hai tu cosi verso noi fatto ? ivi• cossa ti n' ha fato mo sto tiro ? 90
Ecco, dolenti lo tuo padre ed io Tanto che mi e to pare, tiolo mio,
Ti cercavamo. K come qui si tacque. Se arni nini a cercarte ! E 'l bel incanto
Ciò che pareva prima dispario. Quando eia ga tasesto xe spario.
lndi m'apparve un'altra con quelle acque Me xe comparsa un'altra dona intanto
Giù per le gote, che '1 dolor distilla, flui lagremoni ai ochi, ma de quei 95
Quando per gran dispetto in altrui nacque; Che la gran bile fa grondar in pianto ;
E dir : Se tu se' sire della villa, E dir : Se ti de la cità che i Dei
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite, Gran lite in darghe el nome in ciel i ha avù,
E onde ogni scienzia disfavilla, Da la qual sorte fora i studi bei,

66 imbraca = afferra.
78 la tora = cioè in cima ilei Monte.
82 co = quando.
33 Zonto = giunta.
84 la ose = lo voce.
W nt ritiro = tosici, a dirittura.
87 /n ano Chiesa =: nel tempio ili Gerusalemme = dr la stnte = cioè Dottori e popolo.
S8.92 una mare . una madre: questa è Maria Vergine clic avendo smarrito il divin Figlio, e rilrovalolo
Jupo tre di nel tempio, gli dine con dolcezza: fili, rIuid feristi nobix tic! fc'ccc paler tuia et eyo uolaites iluarc-
Guanfi te. =: mo = particclla riempitiva = a(a /iro? = cioè questa scappata?
94 un'altra dona = la moglie di Pisistrato re d'Atene, clic domandò al marito vendetta contro il giovane
rhe, acceso d'umore verso la figlia loro, in publico baciolla.
97 Se ia cità te. =- Alene, ov'elibero incremento le scienze — che i Dei = cioè Nettano e Minerva.
228 DEL PVROATORlO
Vendica te di quelle braccia ardite Pisistrato ti è '1 Re; ti de colù, 100
Che abbracciar nostra figlia, o Pisistrato. Del sfrontadon, che nostra fia ha basà,
E il signor mi parea benigno e mite Fa vendeta. E parea con calma lu
Risponder lei con viso temperato : Ghe respondesse, e con serenità :
Che farem noi a chi mal ne disira, Cossa faremo a chi ne brama i guai,
Se quei che ci ama è per noi condannato ? Se chi ne ama per nu vien condanà ? 105
Poi vidi genti accese in fuoco d'ira, Po tanti e tanti ho visti, che imbuii
Con pietre un giovinetto ancider, forte Un zovene a sassae i massacrava
Gridando a sè pur : Martira, marlira : Sbragiando tra de lori : Dai, dai, dai.
E lui vedea chinarsi per la morte, ln tera lo vedeva ch'el cascava
Che l'aggravava già, in ver la terra, Da la morte, meschin, tuto sfinio, 11O
Ma degli occhi facea sempre al ciel porte ; Ma i ochi sempre al ciel elo voltava.
Orando all'alto Sire in tanta guerra, Pregando nel martirio el so bon Dio,
Che perdonasse a' suoi persecutori, De perdonar a chi ghe fa i maltrati
Con quell'aspetto che pietà disserra. Cussi, che avaria i sassi intenerio.
Quando l'anima mia tornò di fuori Sfantada la vision, son ionià ai fati 11o
Alle cose, che son fuor di lei vere. Fora de quela, nel considerar
lo riconobbi i mici non falsi errori. l casi stai, che in sogno me xe nati.
Lo Duca mio, che mi potea vedere ))ise el Mestro, che in mi stava a osservar
Far sì com'uom che dal sonno si siega. l moti de chi apena s' ha svegià :
Disse : Che hai, che non ti puoi tenere : Coss'astu mai che in pie no ti poi star, 140
Ma se' venuto più che mezza lega E più de mezo mio ti ha caminà
Velando gli occhi, e con le. gambe avvolte Coi ochi indormenzai, le gambe a zeta,
A guisa di cui vino o sonno piega ? Come un tolto dal vin o insonolà ?
O dolce Padre mio, se tu m'ascolte, Pare, respondo, vói contarle, aspeta,
l' ti dirò, diss'io, ciò che mi apparve Quelo che ho visto, se ti xe contento, " ••'
Quando le gambe mi furon sì tolte. Co gnanca una mia gamba andava dreta.
Ed ei : Se tu avessi cento larve Se, lu me dise, cento volti e cento
Sovra la faccia, non mi sarien chiuse Te coverzisse el viso, tanto e tanto
Le tue cogitazion quantunque parve. Scoverziria quelo che in ti sta drento :
Ciò che vedesti fu, perchè non scuse T'è sta mostrà quei fati aciò un impianto 130
D'aprir lo cuore all'acque della pace. No ti vadi a cercar per trarte al mal,
Che dall'eterno fonte son diffuse. Col desviarte dal santo amor, che è spanto
Non dimandai, Che lmi ? per quel che face Da Chi de pase e amor fonte è imortal.
Chi guarda pur con l'occhio che non vede, Co te go domandà: Coss'astu mai?
Quando disanimato il corpo giace : No t' ho vardà co l'ochio d'un mortai, 135
Ma dimandai per darli forza al piede: Ma per svegiarte i spiriti insonai

101 ilil sfrontadon = dello alncciato.


107 (7n zovene — cioè Santo Stefano protomartire.
lo8 Sbrai/idillio ...-. gridando a squarciagola.
115 tfantorta ....• sparita, dissipatasi.
121 ili mezo mio = d'un mezzo miglio.
122 le gambe a zeta . frase esprimente lo andare a sghembo.
124 vài = voglio.
127 volli = maschere.
130 un impianto = un falso trovalo, un pretelilo.
CANTO xvi. 229
Così frugar conviensi i pigri, Unti T" ho domandà ; se scossa i pegri, quando
Ad usar lor vigilia quando riede. I poltronisse, apena i xe svegiai.
Noi andavam per lo vespero attenti Mentre a Ponente andemo cambiando
Oltre, quanto potèn gli occhi allungarsi, Contro i ragi del Sol sul tramontar, 140
Centra i raggi serotini e lucenti: I ochi più che podevimo stongando;
Ed ecco a poco a poco un fumo farsi l'ian pian verso nu un fumo eco avanzar
Verso di noi, come la notte, oscuro, Negro come la note, e in luto ci ziro
Nè da quello era loco da cansarsi : Noi podendo nè qua ne là schifar,
Questo ne tolse gli occhi e. l'aer puro. I .i vista ne ga tolto col respiro.

137 » tcona i ptgri — -i scuotono, si stimolano i pigri.

CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

In Anealo loco la colpa si monrla In sto ziro el poca se sta purgando


IMI' Ira. e intorno denso fumo e tardo De l'Ira. Imenso fumo el covre tuto,
Tutto lo copre, e gli spirli circonda. E l'aneme là zo va in lu serando.
Tra gl'iracondi va Marco Lombardo. Marco Lombardo là con bon costruto
Lo qual libero arbitrio si difende. Porta el libero arbitrio e lo difende
Che ragionando fa parer bugiardo Cussi, da svergognar chi suto suto
Chi per celesti influssi oprar pretende. Ogni so azion spenta dal ciel pretende.

Buio d'inferno, e di notte privala Negro d'inferno e note senza luna,


D'ogni pianeta sotto pover cielo, Soto un poco de cielo nuvoloso,
Quant'eMer può di nuvol tenebrata, Che no lassa vedèr stela gnanc'una;
Non fece al viso mio sì grosso velo Mai no i m'ha fato ai ochi velo ombroso,
Come quel fumo, ch'ivi ci coperse, Quanto quel fumo che ne ga coverto, 5
Nè a sentir di così aspro pelo ; Nè tanto ponzimento fastidioso,
Che l'occhio stare aperto non sofferse : ('.he tegnir no ho podesto l'ochio averto :
Onde la Scorta mia saputa e lida Vedendo el Mestro l'imbarazzo mio,
Mi s'accostò, e l'omero m'offerse. M'è vegnù in coste, e m' ha la spala oferto.
Sì come cieco va dietro a sua guida Come chiapà a la scorta, ghe va drio 10
Per non smarrirsi, e per non dar di cozzo L'orbo se noi voi perderso de strada,
In cosa che '1 molesti, o forse ancida; O urtando mal restar anca sbasio ;
M'andava io per l'aere amaro e sozzo, Cussi andava per l'aria infumegada
Ascoltando il mio Duca che diceva Tacà al Botor, che solo me diseva :

I Solo un puco de cielo sotto un breve trullo di cielo (Inul si presenta a chi si trova in una valle chiusa
Irn monti.
9 .Ve vegnù in costc --- mi si mise di fianco.
10 ch'api a (a Scoria — attaccalo alla scorin: s'intende :\ braccio od u mano della scoria.
12 ventar anca lbaiio = rimanere forse marlo.
14 Taci = stretto.
230 I>EL

Pur : Guarda, che da me tu non sie mozzo. Sta a mi unir,, e a no stacarte bada. 15
Io sentia voci, e ciascuna pareva, (in sentio de le vose, e me pareva
Pregar per pace e per misericordia Le pregasse per pase e per pietà
L'Agnel di Dio, che le peccata leva. De Dio l'Agnelo, che i pecati leva.
Pure Ayints Dei eran le loroj esordia: Co fAyntts Dei le ha quele scomenzà,
Una parola in tutti era ed un modo, Disendo al modo istesso la preghiera, 20
Si che parea tra esse ogni concordia. Da parer un bel coro concertà.
Quei sono spirti, Maestro, ch'i" odo ? Xei spiriti che prega In sta maniera?
hi vs'in. Ed egli a me : Tu vero apprendi, Domando al Mestro : E lu : Ti tlisi ben,
E d'iracondia van solvendo il nodo. E i va l'ira purgando in sta fumera.
Or tu chi se' che '1 nostro fumo fendi, Chi xestu mai, che a stramezar ti vien 25
E di noi parli pur, come se tue El nostro fumo, e come te sia ancora
Partissi ancor lo tempo per calendi ? Tra i vivi, quel parlar su nu ti tien?
Così per una voce detto fue. Co sto dir un la vose ha mandà fora;
Onde il Maestro mio disse : Rispondi, E a mi el Dotor : Respondi in prima, e in fin
E dimandi se quinci si va fue. Domanda se per qua se va de sora. 30
Ed io : O creatura, che ti mondi, Anema, digo, che ti purghi insin
Per tornar bella a colui che ti fece, Che pura a Dio ti torni, te farò
Maraviglia udirai se mi secondi. Maravegiar, se ti me vien vicin.
Io ti seguiterò quanto mi lece, Sin che mi posso t'accompagnerò,
Rispose; e se veder fumo non lascia, La diite, e se dei ochi el fumo l'uso 35
L'udir ci terrà giunti in quella vece. Ne tol, serva la rcchia a tuli do.
Allora incominciai : Con quella fascia, Mi ho scomenzà : Co sta coverta suso,
Che la morte dissolve, nini vo suso, Che desfarà la morte, vegno fora
E venni'qui per la infernale ambascia ; Da l'oror de l'Inferno, e vago in suso ;
E se Dio m'ha in sua grazia richiuso Ma se '1 bon Dio del so favor me onora W
Tanto, cire' vuoi ch'io vegga la sua corte In tolerar che a quel so regno vada
Per modo tutto fuor del modcrn'uso, In modo, che nos'ha mai visto ancora;
Non mi celar chi fosti anzi la morte, Di' chi ti è sta, prima che qua mandada
Ma dilmi, e dimmi s'io vo bene al varco ; T'abia la morte, e se invia; ben mi son;
E tue parole lien le nostre scorte. La vose toa ne insegnerà la strada. K
Lombardo fui, e fui chiamato Marco : Marco son sta e Lombardo: cognizion
Del mondo seppi, e quel valore amai Ho avua del mondo, e la virtù go amà,
Al quale ha or ciascun disteso l'arco : Che tuli adesso lassa in abandon:
Per montar su dirittamente vai. Per andar su, la strada ti ha imbucà.
Così rispose; e soggiunse: Io ti prego Cossi '1 responde, e '1 dise po : fradelo, 50
Che per me preghi, quando su sarai. Prega per mi, co in cima ti sarà.
Ed io a lui: Per fede mi ti lego Te prometto de far, ghe digo, quelo
Di far ciò che mi chiedi ; ma io scoppio Che ti domandi; ma de vogia schiopo

19 Co l'Agnus lici le ha quelc ienmenzà — Con l'Agnus Dei, quelle anime cominciarono il loro canto.
2S itrnmczar . dividere, interporsi tra mezzo.
37 Co uà coverta = con t|uest.i coperlu, cioi\ col corpo.
40 Marco :..- questo M unni Lombardo dicono che fosse un nobile Veneziano, uomo di molta esperienza, p
lieo delle Corti e di grandi affari, ma facile all'ini. Il Bocaccio dice elic fu di Casa Lombardi di Vennia;
altri dicono che la voce Lombardo sia qui sinonimo di Italiano.
53 de vogia sehinpo = scoppio dal desiderio.
(UNTO XVI. 231
Dentro da un dubbio, l' i" non me ne spiego. Se no me cavo un dubio dal cervelo ;
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio El i|ual del dopio el M: cressudo, dopo 55
Nella sentenzia tua, che mi fa certo Quel elic ti ha dito, che con quanto indrio
Qui ed altrove, quello ov'io l'accoppio. I m' ha contà, me lo -conferma tropo.
Lo mondo è ben così luto diserto D'ogni viriu dal mondo xe sparlo
D'ogni virtule, come tu mi suone, El segno, come dito ti ha li stesso,
E di malizia gravido e coverto -, E solo de malizia el s'ha impinio: 60
Ma prego che m'additi la cagione, Ma '1 motivo, te prego, dime adesso,
Sì ch'io la vegga, e ch'io In mostri altrui ; Che co '1 so, possa al mondo dirlo su;
Che nel cielo uno, ed un quaggiù la fona. Mentre chi in cielo, e chi Ira nu l'ha messo,
Alto sospir, che duolo strinse in bui, l'riina el Irà un sospiron tinido in uh
Mise fuor prima, e poi cominciò : Frate, Fio del dolor, dopo la vose mossa, 65
Lo mondo è cieco, e tu vien' ben da lui. Dise : Orbo xe '1 mondo, e ti ti vien da lu.
Voi che vivete ogni cagion recate Vualtri zo in tera de qualunque cossa
Pur suso al cielo, sì come se tutto De causa al cielo, come da là via
Movesse seco di necessitate. Tuto ,ihi, i per necessità la scossa;
Se così fosse, in voi fora distruttu Sr cussi fusse, libertà, per dia, 70
Libero arbitrio, e non fora giustizia, No avaressi da far quel che volè,
Per ben, letizia, e per male, aver lutto. Nè premio el ben, ne' '1 mal pena avaria.
Lo cielo i vostri movimenti inizia ; La prima spenta a le a/imi vostre avo
Non dico tutti; ma, posto ch'io '1 dica, Dal ciel, no in tute, e se anca, la rason
Lume v'è dato a bene ed a malizia, Ve disc el ben e '1 mal in dov' el xe ; 75
E libero voler che, se fatica Libero ave l'arbitrio, e le passion
Nelle prime battaglie col ciel dura, Se domar in principio fe fadiga,
Poi vince tutto, se ben si notrica. Le vincere con bona educazion.
A maggior forza ed a miglior natura Liberi sè; e solo Dio ve liga
Liberi soggiacete, e quella cria A Lu, che la ragion ve ga concesso, 80
La mente in voi, che 'I ciel non ha in sua cura. Su la qual i pianeti no se intriga.
Però, se il mondo presente disvia, Perciò se '1 mondo xe in ancuo mal messo,
In voi è la cagione, in voi si chieggia, In vualtri xe la causa, com" el mio
Ed io te ne sarò or vera spia. Chiaro smmuì te farà veder desso.
Esce di mano a lui, che la vagheggia Pura vien fora da la inan de Dio, 85
Prima che sia, a guisa di fanciulla, Che '1 la varda co amor, come bambina,
Che piangendo e ridendo pargoleggia, Che pianzc e ride, e core avanti e indrio,
L'anima semplicetta, che sa nulla, L'anema che inocente a orbon camina,
Salvo che, mossa da lieto fattore, Senza la sapia quel che ghe convien,
Volentier torna a ciò che la trastulla. Verso il piacer che drio se la strassina. 90
Di picciol bene in pria sente sapore ; Là credendo trovar el vero ben,

56-57 = che con gnaulo indrio I m'ha conta -- allude al discorso tenutogli da Guido del Duca nel canto
precedente deplorando la maligniti! dell'umana specie.
68 De = date.
73 tptnia = spinta, impulso: si pretese che i pianeti esercitino una prima intlucuza sulle azioni dell'uomo.
79 sè n= siete.
SI - . i pianili no ne intriya -..- non esercitano veruno intluenza nntla ragione.
82 in ancuo _ oggidì.
86 co amor = con amore.
232 DEL PURGATORlO
Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, La se stanza tra i gusti dela tera,
Se guida o l'i m non torce il suo amore. Su una guida o la forza no la tien.
Onde convenne legge per fren porre ; Perciò una lege necessaria gera,
Convenne rege aver, che discernesse E un re che almanco sapia quala strada 95
Della vera cittade almen la torre. Che mena a la giustizia sia la vera.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse ? Ghe xe la lege, ma chi mai ghe bada?
Nullo ; però che '1 pastor, che precede, Sa '1 Pastor, ciìè de scorta, rumegar,
Ruminar può, ma non ha l'unghie fesse. Ma per altro noi ga l'ongia spacada.
Perchè la gente, che sua guida vede Perchè la zente che lo vede andar 100
Pure a quel ben ferire ond'ella è ghiotti*, Sol drio a quel ben che anca eia la ga a cuor,
Di quel si pasce e più oltre non chiede. No la voi altro, e '1 resto lassa andar.
Ben puoi veder che la mala condotta Donca ti capirà che s' ha da tor
E la cagion che il mondo ha fatto reo, La rason del malan, no za dal fondo
E non natura, che in voi sia corrotta. Del insilo naturai, ma dal Pastor. 105
Soleva Roma, che il buon mondo feo, Do Capi a Roma, e questo no te scornin,
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada Tirava un dì la zente al ben, mostrando
Facèn vedere, e del mondo e di Deo. l'n la strada del eiel, l'altro del mondo.
1 ."n n l'altro ha spento ; ed è giunta la spada Un il,' lori a quel altro ga dà '1 bando,
Col pasturale ; e l'uno e l'altro insieme Fasendose paron de spada e fede, 110
Per viva forza mal convien che vada ; Che no poi, no, confarse a un sol comando;
Perocchè, giunti, l'un l'altro non teme. Perchè, unie, nissuna a l'altra cede.
Se non mi credi , pon mente alla spiga, Se no ti credi, ochia la spiga, amigo,
Ch'ogni erba si conosce per lo seme. Che da la sema, erba qualsia se vede.
ln sul paese ch'Adige e Po riga Dov'el Po core e l'Adese, in antigo 115
Solea valore e cortesia trovarsi Costumi boni se podea trovar
Prima che Federigo avesse briga : Prima che avesse litigà Ferigo :
Or può sicuramente indi passarsi Poi ogni birbo ancuo per là passar,
Per qualunqne lasciasse, per vergogna Ch'el xe certo che un bon noi darà fora
Di ragionar co' buoni, o d'appressarsi. Per farlo col so aspeto svergognar. l-a
Ben v'en tre vecchi ancora, in cui rampogna Tre vechi in quei paesi ghe xe ancora,
L'antica età la nuova, e par lor tardo Che i pianze i tempi andai, e i prega Dio
Che Dio a miglior vita li ripogna : Che li fazza morir prima de l'ora :
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo i '.maiici, ci bon Girardo, e ghe vien drio
E Guido da Castel, che me' si noma Quel Guido che xe in Franza nominà 125

98-90 rumegar te. = ruminare: la metafora, compresa in questi due versi, ha questo significato:
il Pastore, cioè il Papa, che è di guida alle genti cristiane, può ben insegnare, ma non da altrui buon esempio
eoi bene operare. l.a carne degli animali, che non avevano la qualita di ruminare e dell'unghia fessa, era agli
Ebrei proibita; e gli interpreti del mistico significato dicono, clic per lo ruminare si vuole intendere il sapere,
per l'unghia fessa l'operare.
104 (a rason ..= la causa, il motivo.
106 Do capi .-- due supreme autorita, cioè l'lmperatore e il Papa.
114 sema = semente.
115 llov'rl Po care e l'Adae . nella Lombardia irrigala dal Po, e nella Marca Trivi)!ìuna dall'Adige.
117 Prima che avttse litigà Ferigo - cioè, prima ehe Federigo ll imperatore avesse briga col Pontefìrt,
e cominciassero le animose contestazioni fra il Sacerdozio e l' lmpero, le quali furono accompagnale da vilape.
revoli eccessi per ambo le parti, e per le quali si alimentarono le divisioni e gli odi tra i popoli italiani.
119 noi darà fora -... non si furn vedere.
124-126 Corado = Corrado da Palazzo gentiluomo Bresciano. = Girardo •.. Clicrardo da Trevigi Signor da
Camino, per le sue virtù chiamato il buono. = Guido = Guido da Castello, gentiluomo Reggiano.
IUM'0 XVI. 233
Franceacamente il semplice Lombardo. El semplico Lombardo. Amigo mio,
Di'oggimai che la chiesa di Roma, Se la Chiesa Romana ga missià
Per confondere in sè duo reggimenti, I do governi, eia con quei de lea
Culi. nel fango, e sè brutta e la soma. Se sporca. Giusto e ben ti ga parlà,
O Marco mio, diss'io, bene argomenti ; Marco mio, e oramai, mi ghe disea, 130
Kit or discerno, perchè dal retaggio Vegno a saver perchè a la spartizion
Li figli di Levi furono esenti. I Leviti teren no i riceve*.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio Ma chi \r, dime, quel Girardo bon,
Di'ch'è rimaso della gente spenta, Lfn dei vechi restai tra zente nova,
fa rimproverio del secol selvaggio? Per vergogna del secolo bricon ? 1 85
O tuo parlar m'inganna, o e' mi tenta, O ti me burli, o li me dà la prova,
Rispose a me ; chè, parlandomi Tosco, I. ii dise, che parlandome in toscan,
Par che del buon Gherardo nulla senta. Par no ti gabi de Girardo nova :
Per altro soprannome io noi conosco, Per altro nome no lo go a la man,
ST noi togliessi da sua figlia Gaia. Se noi togo da Gagia de lu Ca: 140
Dio sia con voi, che più non vegno vosco. Ma andè con Dio : no vegno più lontan
Vedi l'albòr che per lo fumo raia, Con vualtri. El Sol da novo com'el spia
ili.'i biancheggiare, e me convien patirmi, Varda tra '1 fumo ; l'Anzolo xe lu,
L'Angelo è ivi, prima ch'egli paia. E go, avanti ch'el vegna, d'andar via.
Così tornò, e più non volle udirmi. Cossi '1 me lassa : e più noi m'ha ascoltà. 145

127 minia - . mescolato.


128 Ita = iimo, melma.
131-132 Vegno a aaver jierelir te. - le terre furono date ai Leviti, dic.e il I.ii ano ad habitandum, non ad fot-
H, perchè dai terreni possedimenti non avessero distrazione nel divino ministero.
139 no lo go a la man -. non l'ho in pronto: 'qui la frase è presa per: no so durali altro nome.
140 Gagia - -. Gaia fu la figlia di fìheranlo: alcuni la dicono famosa per la sua belih e dissolute!». E ve
ramente a questo secondo concetto paru miri la lia-i' di Dante, che prubabilim'nte è ironica.
234 PEL PURGATORIO

CANTO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Volge il Poeta in se tutto ristretto Novi esempi el Poeta in fantasia


Esempi d' ira, e voce odn cortese, Vedo dell'ira. Un Anzoto lo chiama,
Cho su lo invita, e scuoto suo intelletto- Lo de scanta, e lo invida andar su via.
li* fin che di chiavof lo ciel s'accese, Ma sin tanto che l'aria so fa scura,
Ivi arrestato intende, che purgata LA forma, che a purgurse presto impara
Evvi l'Accidia, che di qua contese Xi: '1 poca do l'Acidia, el qual trascura
l.o bell'oprar, che a Dio l'alma fa grata. La bona azion che a Dio xe sempre cara.

Ricordili, lettor, se mai nell'alpe Pensa se al monte da un nebion chiapà,


Ti colse nebbia, per la qual vedessi Ti ghe vedessi come, o letor mio,
Non altrimenti che per pelle talpe ; La talpa per. la pele ch'eia ga
Come, quando i vapori umidi e spessi Nei ne li i; come quando ingrizzolio
A diradar cominciansi, la spera Se mostra ci Sol da lissa nebia sconto,
Del Sol debilemente entra per essi ; Che nel sfantarse la s' ha un fià schiario ;
E li;i la tua immagine leggiera E ancora a dar l'idea sto to confronto
In giugnere a veder, com'io rividi No ,1i hai in del come mi spierava
Lo Sole in pria, che già nel corcare era. Prima, tra '1 fumo el Sol in sul tramonto.
Sì, pareggiando i miei co' passi lidi Al so Insiii- col Mestro caminava,
Del mio Maestro, usci' l'uin- di tal nube, E da quel m' ho cavà negro nebion,
A' raggi morti già ne' bassi lidi. Co '1 Sol al pian i ragi più noi dava.
O immaginativa, che ne rube Gran cossa ti xe ti, imaginazion !
Tal volta sì di fuor, ch'uom non s'accorge, L'orno per ti l'ora de lu va spesso,
Perchè d'intorno suonin mille tube, Da no sentir d'un mier de trombe el son. 15
Chi muove te, se il senso non ti porge ? Se i sensi tase, chi in azion t' ha messo ?
Muoveti lume, che nel ciel s'informa, Luse e del ciel da per sè stessa inviada,
Per xè, o per voler che giù lo scorge. O che dal ciel fa zo vegnir Dio stesso.
Dell'empiema di lei, che mutò forma De culia la feroce birbantada,
Nell'uccel che a cantar più si diletta, Che in rossignol xe staila convertia,
Nell'immagine mia apparve l'orma : Ne l'imaginaziou se m' ha piantada :
E qui fu la mia mente sì ristretta E la mente me ga tanto impinia,

1 chiapà = cólto. ,
4 ingrizzoìio = tenuiuc liguratamenlc applicalo al Sole, che per folta nebbia se lo scorge intristito.
6 nei tfantarte la s'ha un fià schiariu — uri dileguarsi si è un poco diradala.
8 tpierava = traspirava.
12 Co = quando.
15 ci nan - il suono.
19 De calia la birtantaila = cioè di Prugne. Costei per vendicarsi di una ingiuria ricevala da Ti-reo suo
marito fece in pezzi il figlio Ili, e glielo diede n mangiare; il perelic fu dagli Dei trasformain in ussignuolo.
CANTO xvii. 235
Dentro da sè, che di fuor non venia Che in nissun'altra cossa star atenta
Cossa che fosse allor da lei recetta. Podesto alora no la gavaria.
Poi piovve dentro all'alta fantasia A la mia fantasia se me presenta 25
Un crocifisso dispettoso e fiero Po un omo in erose, che anca angonizando
Nella sua vista, e colai si moria. La fierezza sul viso ci ga depenta.
lntorno ad esso era il grande Assuero, L'era tornià dal re Assuero, el grando,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo, Da Ester so sposa, e Mardocheo, el bon,
Che fu al dire e al far così intero. Sta modelo in parlar e anca operando. 30
E come questa immagine rompeo Co rota da per eia sta vision,
Sè per sè stessa, a guisa d'una bulla Come schiozzada l'aqua che la porta,
Cui manca l'acqua sotto qual si feo; La llluminila se desfa de saon ;
Surse in mia visione una fanciulla, ' M'è vegnù st'altra : Una regazza smorta,
Pungendo forte, e diceva: O regina, ln t'un diroto, la disea cussi : .35
Perchè per ira hai voluto esser nulla ? Perchè, o regina, ti è per rabia morta?
Ancisa t'hai per non perder Lavina; Ti i ' ha mazzà per no me perder mi :
Or m'hai perduta: i' sono essa che lutto, Ma Lavinia ti ha perso, mare, e avanti
Madre, alla tua, pria ch'all'altrui ruina, Mi altri pianza. son mi che pianzo ti.
Come si frange il sonno, ove di butto Roto el sòno, se mai luse davanti 50
Nuova luce percuote il viso chiuso, Ai ochi chiusi d'improviso passa,
Che fratto guizza pria che muoia tutto; Prima ch'el mora tra' dei sguizzi tanti;
Cosi l'imniaginar mio cadde giuso, Qucll'imaginazion cossi me lassa,
Tosto che un lume il volto mi percosse, Quando un stranio lusor, che me vegnia
Maggiore assai, che quello ciìè in nostruso. Sm•. i dei mili, m' ha batudo massa. 45
F mi volgea per vedere ov'io fosse, M' ho volta per vardar dove mi sia, ~ .
Quand'una voce disse : Qui si monta : Quando se sente a dir: Se monta qua:
Che da ogni altro intento mi rimosse ; Sta vose ogn'altra idea m' ha portù via ;
f. fece la mia voglia tanto pronta E per veder chi xe cbe ga parlà,
Di riguardar chi era che parlava, Me vien un ansia tal, che gnente poi 00
Che mai non posa, se non si raffronta. Tegnirla indi iu, se no la s" ha apagà.
Ma come al Sol, che nostra vista grava, Ma come resta orbà chi fissa el Sol
F, per soverchio sua figura vela, Per i ragi infogai che ghe fa velo;
Cosi la mia virtù quivi mancava. l odii cussi quel gran lusor me tol.
Questi è divino spirito, che ne la Disc el Mestro: El xe un Anzolo del ciclo 55
Via d'andar su ne drizza senza prego, Che sul sentier ne invia senza pregarlo,
E col suo lume sè medesmo cela. E '1 se tien sconto nel so lume belo.
Sì fa con noi. come l'uom si fa sego ; Quel che fa per lu l'omo, elo voi farlo :

26 un omo IH crose = costui e Amano primo ministro ili Assuero re ili Persia, fallo da lni crocifiggere
perchè reo di crudelta contro la nazione cbren, e contro il buon Mnrdocheo zio della regina Ester.
28 tornià . circondato.
31 Co -- quando.
33 La bromliola te iletfa ile suon •_- . la bolla si dilegua ilei .sapone.
35 ln t'un iliroto =1 piangendo dirottamente.
36 Peretie, o regina = questa che parla, come si rileva o Lavinia. Avemlo creduto clic Turno, il .promesso
•|"'.Jn ili lei, fosse stato ncciso dal suo rivale Enea, Amaia, madre di essu Lavinia, che non voleva il vincitorr
Pcr genero, per disperala rabbia s'impiccò.
14 tlranio = estranio, fuori ili uso.
256 DEL PURGATORIO
Che quale aspetta prego, e l'uopo vede, Che chi in altri el bisogno ga scovrio
Malignamente già ai mette al nego. D'agiuto, e spela el prego, sta in negarlo. 60
Ora accordiamo a tanto mvito il piede : Za che ne invida l'Anzolo de Dio,
Procacciala di salir pria che s'abbui, Su andemo avanti note, che se no
Che poi non si poria, se il dì non riede. Spelar ne loca insin al zorno drio.
Così disse il mio Duca ; ed io con lui A una scala s'inviemo tuti do,
Volgemmo i nostri passi ad una scala : E in sul primo scalin messo el pie apena, 65
E tosto ch'io al primo grado fui, Sul viso un sventolar sentio me go
Senti'mi presso quasi un muover d'ala, Per el moto d'un'ala che aria mena.
E ventarmi nel volto, e dir : Beati E Beati pacifici, a dir sento,
Pacifici, che son senz'ira mala. Perchè l'ira no i ga degna de pena.
Già eran sopra noi tanto levati Dava suso la note, andà '1 Sol drento, 70
Gli ultimi raggi, che la notte segue, E insieme a questa in ciel za comparia
Che le stelle apparivan da più lali. Qua e là diverse stele ogni momento.
O virtù mia, perchè sì ti dilegue? Perchè ti me abandoni, o lena mia ?
Fra me stesso dicea, che mi sentiva Tra mi diseva, che de quando in quando
La possa delle gambe posta in tregue. A mancarme le gambe me sentia. 75
Noi crn va ii i dove più non saliva Zonto col Mestro, sempre in su montando,
La scala su, ed eravamo aftissi, Su l'ultimo scalin, là se fermemo,
Pur come nave ch'alia piaggia arriva. Come a riva una barca va siandu.
Ed io attesi un poco s'io udissi So sta un poco a scollar se un moto, un lemo
Alcuna cosa nel nuovo girone ; Dal novo ziro mai vegnisse fora, 80
Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi : Po digo al Mestro, in sin che fermi stemo:
Dolce mio Padre, di', quale oflensione Di', quai pecà se purga qua de sorn ?
Si purga qui nel giro, dove semo ? Se i pie sta fermi, che se mova almanco
Se i pie si stanno, non stea tuo sermone. La vose toa. Lu responde alora:
Ed egli a me : L'amor del bene, scemo L'amor de far el ben ch'el xe de manco 85
Di suo dover, quiritta si ristora, De quelo e li" o I dev'esser, qua se giusta,
Qui si ribatte il mal tardato remo. E "I remo pegro se fa qua più franco.
Ma perchè più aperto intendi ancora, Ma se ti voi che te la spiega giusta,
Volgi la mente a me, e prenderai Scollimi- insin che stemo qua fermai,
Alcun buon frutto di nostra dimora. E fa che la to mente el fruto gusta. '•"-
Nè Creator, nè creatura mai. Nè '1 Creator nè creatura mai
Cominciu ci, figliuol, fu senza amore, Senza amor, o de propria volontà,
O naturale o d'anime. ; e tu '1 sai. O d'amor naturai, dise, xe stai.
Lo naturai fu sempre senza errore ; El naturai l' ha mai po mai •-garà ;
Ma l'altro puote errar per malo obbietto, Ma l'altro, mal sciegliendo, poi falar '-'"'
O per troppo, o per poco di vigore. O per tropa, o per poca de ansietà.

62-63 Su andemo avanti note ee. = al C. VII. v. 53, 54 è dello = Varda bea; Colà 'I Sol, no li panitii
tremila.
68 Iteiiti pacifici ee, — limii pacifici iIuimiaiu filii Dei vocalnmlnr: parole di S. Malleo: Beati i paciGci, I'ì'i
i'Iii- saranno detti figliuoli di Dio.
69 degna de pena -—: poichè l'ira |icr«giusto zelo nun (• soggetta a pena.
78 n'ando — tenendo coi remi la barca indietro.
79 So ita — seno stalo. -- temo — lamento senza articolazione di parole.
87 E "1 remo pegro te fa qua più franco = dello metaforicamente, e vale: qui sì percuote e panitce colui,
che fu tardo nelle opere di carità.
CANTO xvii. 237
Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto, Se sto amor tende al ciel, o '1 va a puzar
E ne' secondi sè stesso misura, Sul ben teren con bona discrezion,
Esser non può cagion di mal diletto ; El piacer che ghe vien mal no poi far ;
Ma quando al mal si torce, o con più cura, Ma se al mal tende, o 'l va a precipiton 100
O con mei) che non dee, corre nel bene. Drlo al ben, o tropo a pian, alora, amigo,
Contri il Fattore adovra sua fattura. L'omo a Dio se rebela. In conelusion
Quinci comprender puoi, ch'esser conviene Ti poi desso capir da quel che digo,
Amor sementa in voi d'ogni virtute, Che a la un i'i l'amor xe '1 fondamento,
E d'ogni operazion che merta pene. Come a ogni azion che merita castigo. 105
Or perchè mai non può dalla salute Se stacarse l'amor perciò un momento
Amor del suo suggello volger viso, Da le cosse noi poi dov'el rissiede,
Dall'odio proprio son le cose tute : Iinulina in quele poi l'odio starghe drento.
E perchè intender non si può diviso, E se cossa qualsia star no se vede
Nè per sè stante, alcuno esser dal primo, Da sè, e da Dio divisa, donca amà 110
Da quello odiare ogni affetto è deciso. Da luti è Dio dal qual lulo procede.
Retta, se, dividendo, bene stimo, Se la mia spartizion go ben piantà,
Che il mal che s'ama è del prossimo, ed esso Resta sol l'odio al prossimo, e la guera
Amor nasce in tre modi in vostro limo. L'omo in tre modi a quel ga preparà :
È chi, per esser suo vicin soppresso. Gire chi iu la rovina de uno spera 115
Spera eccellenza, e sol per questo brama Grandizar, e perciò el sospira l'ora
Ch'el sia di sua grandezza in basso messo. De vederlo cascar da l'alto in lera.
È chi podere, grazia, onore, e fama Gh'c chi teme in vedèr levarse un sora,
Teme di perder perch'altri sormonti, De perder grazia, poder, fama e onor ;
Onde s'attrista sì, che il contraro ama; Lo vorave sbassà e se dolora. 120
Ed è chi per ingiuria par ch'adonti E gh'è chi, se insultà, monta in furor ;
Sì, che si fa della vendetta ghiotto ; E la vendela de cavar smanioso,
E tal convien, che il male altrui impronti. El modo per sfogarla el ga za in cuor.
Questo triforme amor quaggiù disotto Ste tre passion pXirga el so amor qua zoso.
Si piange ; or vo' che lu dell'altro intende, Vogio farle capir quel'altro adesso 125
Che corre al ben con ordine corrotto. Ch'el va via adasio, o '1 va precipitoso.
Ciascun confusamente un bene apprende, Tuli in confuso ga '1 pensier istesso
Nel quai si quieti l'animo, e desira : D'un ben che dà la pase, e i lo voria ;
Perchè di giugner lui ciascun contende. Perciò tuli se sforza al so possesso.
Se lento amore in lui veder vi lira, Se pegro pegro el vostro amor va via 130
O a lui acquistar, questa cornice, Cercandolo per strenzcrselo al sen,
Dopo giusto penter, ve ne marlira. Qua '1 purga, se s' ha l'anema pentia.
Altro ben è che non fa l'uom felice: Che felici no fa gh'è un altro ben ;
Non è felicità, non è la buona Perchè felicità vien da quel solo
Essenzia, d'ogni ben frutto e radice. Ben, dal qual i altri beni tuli vien; 135

100 a precipiton = precipitosamente.


112 'i" ben jiiantà, - ho ben fondata (la divJMone).
115-116 Gh'c ehi su la rovina de uno spera Grandizar — questo tale è il superbo.
118 Gh'c chi lime in veder levane un sora = cioè l'avaro.
!•! B ijli' i ehi, n insulto, monta i'i furor = questi o l'iracondo.
258 DEI/ PURGATORIO
L'amnr, ch'ad osso troppo s'abbandona, E chi drio quelo core a rompicolo,
Di sovr'a noi si piange per tre cerchi; Ga la purga ai tre ziri a nu qua sora;
Ma come tripartito si ragiona, Ma la rason dei tre scompartì, flolu,
Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi. Vói da to posta ti la trovi fora.

136 a rompicolo -- a precipizio.


137 ni Ire ziri a me (/itn nora : cioè ai Ire gironi superiori a quello nel quale si trovavano i due Poeti.
139 Vói da lo posta li la trovi fora - voglio elic da por te solo la trovi.

CANTO DECIMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Come ai formi in noi desio d'amorr. Come se t'orma in nu vogia d amor


Chiede il Poeta, e n'ha conoscimento Dante domanda, e giusta npiegazion
Dal favellar di suo chiaro Dottore. Gho da Virgilio, elassico Dotor.
Indi alme vede ratte come vento Dopo passando via in t'un supion,
Passare e stimolarsi a gir pia preste, Vede aneme vegnirse stuzzegando
Per compensar tardanza e l'oprar lento, A andar piu in pressa per compensazion
Che fu lor caro nell'umana veste. Pe quando al mondo le. ne andan piotando.

Posto avea fme al suo ragionamento Co '1 Dotor ga '1 discorso terminà,
L'alto Dottore, ed attento guardava Me impianta i ochi in viso per scovrir.
Nella mia vista s'io parea contento. Se de quelo mi fusse sta apagà.
Ed io, cui nuova sete ancor frugava, E mi, che aveva vogia de sentii
DI fuor taceva, e dentro dicea : torse Qualcossa ancora, tra de mi pensava :
Lo troppo dimandar, ch'io fo, gli grava. A furia de domande infastidir
Ma quel padre verace, che s'accorse No lo voria. Ma hi che s'intagiava
Del timido voler che non s'apriva, Del desiderio che tegniva indrio,
Parlando, di parlare ardir mi porse. Parlandome a dir suso el me anemava.
Ond'io : Maestro, il mio veder s'avviva E digo: Mestro, l'in d'Irto mio 10
Sì nel tuo lume, ch'io discerno chiaro Se va tanto schiarindo al to lusor,
Quanto la tua ragion porti o descriva : Che quel che ti m' ha dito ho ben capio.
Però ti prego, dolce Padre caro, Ma cossa sia dimostrimi sto amor,
Che mi dimostri amore, a cui riduci Che come ti m'avevi dito avanti,
Ogni buono operare e il suo contraro. Produse el ben e '1 mal. E '1 mio Dotor,
Drizza, disse, ver me l'acute luci Sta atento, el dise, e i granzi tuti quanti
Dello intelletto, e lici i manifesto Ti vegnerà a conòsser chiaro e neto
L'error de' ciechi che si fanno duci. De quei che fa da Mostri e xe ignoranti.
L'animo, ch'è crealo ad amar presto. L'anemo per natura dreto dreto
Ad ogni cosa è mobile che piace, Drio quelo che ghe piasc el tende andar
1 Co '/ Dotar = quando il Dottore.
V t'intagiava = s'accorgeva.
14 come <i m'avevi dito avanti = vedi il Cauto precedente, v. 104-105.
16 Grami = granchi, dello figuratamente per errori, abbagli e simili.
CANTO XV111. 239
Tosto che dal piacere in atto è desto. Subito che lo stuzzega el diletto.
Vostra apprensiva da esser verace L'inteleto che ave ve fa pensar
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, Sura la cossi che de vu xe fora,
Si che l'animo ad essa volger face. E con tuta atenzion la ste a vardar ;
E se, rivolto, in ver di lei si piega, E se in vardarla el cuor se ghe trà Mira, 25
Quel piegare è amor, quello è natura, Quel trarse è proprio amor, quel xr natura
Che per piacer di nuovo in voi si lega. Ch'el piacer in vu liga e ve inamora.
Poi come il fuoco movesi in altura, l'u come el fogo alsarse in su el procura,
Per la sua forma, ch'è nata a salire Per forza naturai tendendo andar
Là dove più in sua materia dura; Dove la so materia sempre dura ; 30
Coti l'animo preso entra in disire, Dal licheto, per l'ato del bramar,
Che è moto spiritale, e mai non posa Che no ha materia, l'anema se sente
Fin che la cosa amata il fa gioire. Insin ch'el ghe dà gusto strassinar.
Or li puote appare r quant'è nascosa Capissi adesso come certa zente,
La verìtade alla gente ch'avvera Che vorave ogni amor de lode degno, • 35
Ciascuno amore in sè laudabil cosa : De questa verità no la sa gnente.
Perocchè forse appar la sua matera Che in natura sia bon l'omo ritegno,
Sempr'esser buona ; ma non ciascun segno Ma siben che la cera bona sia,
È buono, ancor che buona sia la cera. ' Hon no vien sempre sora quela el segno.
Le tue parole e il mio seguace ingegno, Sto discorso a l'atenta mente mia, 40
Rispose lui, m' hanno amor discoverto ; Chi. digo, m'ba spiegà l'amor, ma più
Ma ciò ni" ha fatto di dubbiar più pregno: Questo il.' dubi me la ga impinia.
Ohe s'amore. è di fuori a noi offerto, Se da tiurlo che xe fora de nu
E l'anima non va con altro piede. Vien l'amor che s' ha l'anemo ligà
Se dritto o torto va, non è suo merlo. Sia in ben sia in mal, cossa ghen poi mo lu? 45
Ed egli a me : Quanto ragion qui vede E elo : Dir no te posso che sin là.
Dir ti poss'io ; da indi in là t'aspetta Dove ragion umana poi rivar ;
Pure Beatrice, ch'è opra di fede. Quel ch'è de fede, Bice te dirà.
Ogni forma sostanziai, che setta L'anema che confusa no poi star
K da materia, ed è con lei unita, Col corpo, a lu siben la sia tacada, 50
Specifica virtude ha in si- colletta, Una virtù la ga particolar,
La quai senza operar non è sentita, Che in azion sol se sente, e vien mostrada
Nè si dimostra ma che per efletto. Drio l'efeto ; cussi el verde saver
Come per verdi fronda in pianta vita. Fa che un pomer la vita ha conservada.
Perù, là onde vegna lo intelletto Perciò l'omo non sa '1 modo veder 55
Delle prime notizie, uomo non sape, Ciii' in elo nasse i primi arsioni, nè

21 itHzzega = stimola.
25 se ghe Ira som = n lui s'inelina, si piega, si abbandona.
26 Quel trarse — quell'inelinarsi, quel piegarsi.
30 Dove te. = cioè sotto il cielo dulia I. una. Colu gli antielii collocavano la sfera del fuoco; ma è inutile
il dire che quel loro sistema cosmico andava assai lontano dal vero.
31 li' lifm -, cosa che alletta od attrae.
43 che xt fora de nu = vedi sopra il v. 13.
45 cotta yhtn poi mo lu> — qual colpa o merito può averne lui?
47 ritar — armara, giungere.
SO tacada = unita.
240 DEL PURGATORIO
E de' primi appetibili l'affetto, L'amor de quel che prima dà piacer
Che sono in voi, sì come studio in ape Che xe in vualtri, come ne l'ave xe
Di far lo mele ; e questa prima voglia L'amor del miei ; lodar nè biasemar
Merlo di lode o di biasmo non cape. Sta prima vogia no se poi che ave ; 60
Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia. Ma se drio questa le altre vedè andar,
Innata v'è la virtù che consiglia, Con vualtri è nata la ragion che insegna
E dell'assenso de' tener la soglia. Quel che ave da tegnir o da lassar ;
Quest'è il principio là onde si piglia Da sto principio nasse che ve vegna
Cagion di meritare in voi, secondo Vero merito o biasemo, secondo 65
Che buoni e rei amori accoglie e viglia. Che al belo o al bruto amor eia se tegna.
Color che ragionando andaro al fondo, I dotori, che ha ben pescà nel fondo,
S'accorser d'esta innata liberiate ; Sta libertà in natura i ga scovrii',
Però moralità lasciaro al mondo. E la moral i ha semenà nel mondo.
Onde pognam che di necessitate Suponemo che in vualtri scaturio 70
Surga ogni amor che dentro a voi s'accende, Sia qual se vogia amor naturalmente ;
Di ritenerlo è in voi la potestate. Se' ben paroni de tegnirlo indrio.
La nobile virtù Beatrice intende A sto arbitrio ghe dise la sapiente
Per lo libero arbitrio, e però guarda Beatrice : nobile virtù, e bada,
Che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende. Se eia ten parla de tegnirlo a mente. 75
La luna, quasi a mezza notte tarda, In forma d'una sechi» infogonada
Facea le stelle a noi parer più rade, La Luna arquante stele desinar
Fatta coin' un secchione che tutt'arda; Faseva, quasi a meza note alzada ;
E correa contra '1 ciel, per quelle strade E sul stradai la gera drio a trotar
Che il Sole infiamma allor che quel da Roma Che schiara el Sol quando el romali là via 80
Tra' Sardi e' Corsi il vede quando cade ; Tra '1 Sardo e '1 Còrso vede in zo calar;
E quell'ombra gentil, per cui si noma E '1 Mestro per el qual s' ha nobilia
Pietola più che villa Mantovana, Pietola più che Mantova, l'aveva
Del mio carcar disposto avea la soma. Apagà in tutto la domanda mia :
Perch'io, che la ragione aperta e piana Quando dal so discorso al qual tendeva 85
Sovra le mie questioni avea ricolta, Go vista la rason che ghe cercava,
Stava com'uom che sonnolento vana. Star come un sonolezo me credeva :
Ma questa sonnolenza mi fu tolta Ma da sta sonolenza me cavava
Subitamente da gente, che dopo In bota de la zente che da drio
Le nostre spalle a noi era già volta. Vegnia de nu. Come de note andava 90
E quale Ismeno già vide ed Asopo I Tebani in gran furia e in fola drio
76 In fornai d'una secchia iufagonada ... la Luna calante di cinque notti, come trovava"i allora, è qmsi
una sfera troncata, tonda nel fondo, tronca alla cima a somiglianzà di un secchione.
77 (tatuar = spegnere.
S2 nobiltà .---- nobilitata.
83 l'ii-inta — o come altri la chiamano Bietola, i'. un villaggio presso Mantova, dagli antichi denomioalo
li-*, ove nacque Virgilio.
87 sonolezo = sonnolento.
89 in bòia = iosto.
78-91 E sul ttradal la gira drio a Iratar ee. —: La Luna era avviata contro il molo del cielo stellato, ciò*
da Ponente a Levante, per quella via del Zodiaco, verso il fine del segno dello Scorpione, nel quale si trota il Sole
allorchè l'abitante di Roma lo vede tramontare in quella parie di cielo che è tra la Corsica e la Sardegna.
91-93 drio Le riviere — lungo le riviere = Atopo e Itmea - - Asopo e Ismeno sono liinisi della Retaia, lnnf"
i quali i Tebani con faci accese, e chiamando il Dio Bacco con varii suoi nomi, s'affollavano di notte per averlo
propizio specialmente nelle pubbliche bisogna.
CAYTO xvui. 241
Lungo di sè di notte furia e ealca, 1. t- riviere d'Asopo e Ismen, pregando,
Pur che i Teban di Bacco avesser uopo : Dal bisogno tirai, Baco el so Dio;
Tale per quel giron suo passo falca, Ossi vegnirne incontro galopando
Per quel ch'io vidi, di color, venendo, Mi go visto la zente fortunada, 95
Cui buon volere e giusto amor cavalca. C.iiYI grando amor del ben va stuzzegando.
Tosto fur sovra noi, perchè correndo Presto la trupa xe da nu rivada;
Si min IM tutta quella turba magna ; E i do primi pianzendo i se diseva:
E duo dinanzi gridavan piangendo : Maria xe al monte in gran prestezza andada;
Maria corse con fretta alla montagna ; E Ilerda per far soa Giulio meteva 100
E Cesare, per sugiugare Ilerda, Marsilia in erose ; po subito via
Punse Marsilin, e poi corse in Ispagna. In Spagna de bon troto elo coreva.
Ratto, ratto, che il tempo non si perda Presto presto l'acidia buta via,
Per poco amor, gridavan gli altri appresso ; Disea po i altri tuli, e fando el ben
Che studio di ben far grazia rinverda. Rinfrescada su nu la grazia sia.' 105
O gente, in cui fervore acuto adesso O zente che la smania qua ve vien
Ricompie forse negligenza e indugio Per remediar al scarso santo amor,
Da voi per tepidezza in ben far messo, Del qual el vostro cuor xe adesso pien ;
Questi che vive (e certo io non vi bugio) Questo che vive, e '1 digo sul mio onor,
Vuole andar su, purchè il Sol ne riluca ; El voria, co fa zorno, andar de su; 110
Però ne dite ond'è presso il pertugio. Diseme quala strada se poi tor.
Parole furon queste del mio Duca : Cussi el mio Mestro ga parlà; e a lu
Ed un di quegli spirti disse : Vieni Un «le lori responde: Viene drio
Diretr'a noi, che troverai la buca. Ch'el sentier te faremo trovar nu.
Noi siam di voglia a moverci sì pieni, La gran vogia d'andar n'ha sgangolio, 115
Che ristar non potem ; però perdona, E se gnanca un tantin la ne tratien,
Se villania nostra giustizia tieni. No aver per sgarbo quel ch'è amor de Dio.
l' fai Abate in San Zeno a Verona, Son sta a Verona Abate de San Zen,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa, Soto de quel bon cao de Barbarossa,
Di cui dolente ancor Melan ragiona. Sul qual Milan ancora spua velen. 120
E tale ha già l'un pie dentro la fossa, E un tal, che ga za '1 pie zo in te la fossa,
Che tosto piangerà quel monistero, Sarà pentio d'aver su quel Convento
E tristo li.i d'avervi avuta possa; Messo la man per farne una de grossa ;
Perchè suo figlio, mal del corpo intero, Perchè in logo del vero Abate, drento

96 iluzzrgando'=. stimolamia.
99-102 Maria xe al manie ce. = due esempi di celerilà a stimolo degli accidiosi: uno di Maria Vergine elic
portandosi a visitare sua cognata Santa Ellsabetta: aititi IH montana cum fei-litiationt (si trasse al monte con pro
""-n: l'altro di Giulio Cesare, che partendo da Roma, andò con grandissima celerilà a Marsilia, e quella la-
- nn'lii assediata, corse in Spaimo a combattere i l'ompeiani a soggiogare Merda (oggi Lerida) città principale
1li quella provincia.
Ili te poi lar = si può prendere.
115 n'ha sgangolio = frase che vale: ci struggeva.
118 Abotì de Sun Zen = di costui null'altro si sa, se non elic fu un Don Gherardo
11U bon cao — frase ironica, vale: cattivo soggetto.
120 Milan ancora apua velai = Milano ancora irritala per essere stata distrulta dall'imperatore Barharossu
°el 116?, sputa veleno.
121 E un tal - intende parlare di Alimi in della Scala Signor di Verona, giù vecchio, il quale per forza
Ui-i 129! fece Abate di S. Zeno un suo tiglio naturale chiamato Giuseppe, storpio del corpo e dell'animo.
124 fa lago = in cambio, invece.
16
242 DEL PURGATORIO

E della mente peggio, e che mal nacque, L' ha ficà un so bastardo, che stancà i 25
Ila posto in luogo di suo pastor vero. E più strupio del corpo ga '1 talento.
Io non so se più disse, o s'ei si tacque, Tanto da nu el se gera stontanà,
Tant'era già di là da noi trascorso; Da no destinguer se '1 parlasse ancora;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque. Ma questo ho mi sentio e ho recordà.
E quei, che m'era ad ogni uopo soccorso, Dise chi me lien sempre i ochi sora: 130
Disse : Volgiti in qua, vedine due Voltile adesso, e ascolta che becada
All'accidia venir dando di morso. Dà a i .irilli, i sii do, ma ben sonora.
Diretro a tutti dicean: Prima die Di io a tuli i dise : In prima a morte è andada
Morta la gente, a cui il mar s'aperse, La zunte ch'a eia el mar verto s'avea,
Che vedesse Giordan le rede sue, Che i so fioi del Giordan l'aqua abia ochiadi;
E quella, che l'affanno non sofferse E quel'altra, che i stenti con Enea
Fino alla fine col fìgliuol d'Anchise, No la ga sin in ultimo patii,
Sè stessa a vita senza gloria offerse. De gloria no ha lassà nissuna idea.
Poi quando fur da noi tanto divise Co i spiriti purganti xe partii,
Quell'ombre, che veder più non potersi. E fora della vista i ne xe andai, 140
Nuovo pensier dentro da me si mise, M'è vegnù un pensier nuovo ; e po sortii
Del qual più altri nacquero e diversi : Da quel, tanti altri se me n'ha ingrumai :
E tanto d'uno in altro vaneggiai, E in mezzo a lori tanto go tomà,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi, Che baucando a la fin i ochi ho serai,
E il pensamento in sogno trasmutai. E i pensieri in t'un sogno i s'ha scambià. 145

125 tlancà = sciancato, dilombala.


130 Diie chi = cioè Virgilio.
131 ehi- becada ---- la puntura, il motleggio
133-135 In prima a marli te. = la gente Ebrea condona da Mosc a cui il mar Rosso s'aperse, fu tutta per
sua viltà disii ulta e mnrin (tranne Giosuè e Calob) prima che il Giordano, fiume di Palestina, vedesse intorno
le sue rive i suoi credi, cioè gli stessi Ebrei a cui la Palestina era stata destinala da Dio - verta -.-. aperlo.
136-138 E iIuel olirà te. - cioè la genie Troiana, elic non suffrciulo sino alla fine gli affanni del lungo
viaggio con Enea figlio di Anchise, si rimase in Sicilia con Aceste, offri a se stessa una vila senza gloria.
143 go torzià = ho vaneggialo.
144 baucando = vagando colla mente.
243

CANTO DEClMONONO

ARGOMENTO ARGOMENTO

COD falso canto una femmina lorda Con canto iuganator d'nna donazza
Sogna il Poeta; ma questa fi scacciata Dante s" insogna, e un altra dona pia
Tosto dall'altra, cho ila loi discorda. Co la colera in sen via la descazza.
Svegliasi, e sale ove la terra guata Svogi:l. el monta pia in suso, e andando via
Pur chino in t'iuso chi quassù dovizia Scovre vardar la terra in zo voltai
Volle d'averi con voglia assetata, Chi i bezzi qua ha varda con frenesia,
Sviandosi da Dio per avarizia. Da Dio per avarizia stontanai.

Nell'ora che non può il calor diurno Quando no poi del dì el calor, smorzà
lni. piJlir più il freddo della luna, Dal fredo de la tera e anca da quelo
Vinto da Terra o talor da Saturno; De Saturno, scaldar la note ; e sta
Quando i geomanti lor maggior fortuna El strolego a spiar col bastoncelo
Veggiono in oriente, innanzi all'alba, La sorte soa da oriente, a man in man
Suiger per via che poco le sta bruna ; Che xe per comparir l'aurora in cielo ;
Mi venne in sogno una femmina balba, D'una dona m'insogno co le man
Con gli occhi guerci, e sovra i piè distorta. Cbiompe, barbota, strupia, sguerza, storta,
Con le man monche, e di colore scialba. Co una ciera color del zafaran.
lo la mirava; e, come il Sol conforta Mi la fissava, e come el Sol conforta 10
Le fredde membra che la notte aggrava. L'omo dal fredo de la note pesto,
Cosi lo sguardo mio le facea scorta. A le mie ochiae la lengua, prima intorta,
La lingua, e poscia tutta la drizzava La se ghe mola ; la figura presto
ln poco d'ora, e lo smarrito volto, Se ghe drizza, e la fazza scolorada
Com'amor vuoi, così le colorava. El color che ama amor l' ha ricevesto. 15
Poi ch'ella avea il parlar così disciolto, Co. s' ha la lengua tuta desligada,
Cominciava a cantar sì, che con pena Cussi ben scomenzà la ga a cantar,
Da lei avrei mio intento rivolto. Che d'ascoltarla l'avria mai lassada.
l» .un, cantava, io son dolce sirena, Mi son Sirena cuccila, che in mar

i Dal fredo dt la lera = la terra di sua natura è fredda, sicchè di notte mette fuori totta la sua rigidezza.
3 De Saturno = era opinione degli antichi astrologhi che Saturno trovandosi di notte sull'emisfero appar
isse freddo.
!.8 El strolego = qui vale per indovino. Gli indovini nell'arte loro si valevano in qualche modo della terra,
e chiamavano la loro fortuna quella figura di punti che essi alla cieca facevano sull'arena con una verga, e che
fosse riescila somigliante alla disposizione delle stelle che compongono il fme del celeste segno dell'Aquario e il
principio dei Pesci.
8 Chiompt -. monche = barbala = balba, balbuziente.
9 Co = con.
11 i".siu = affi a n l'i.
12 la lengua prima intarla = la lingua che era intralciata, avviluppata.
13 H ghe mola = le si scioglie.
U fazza = faccia, volto.
15 ./ colar che ama amar = cioè quel colore delicato che pende al pallido, color sentimeutalc.
16 Co = quando,
19 corata = dolce, graziosa, vezzeggiatrice.
244 DEL PVliGATORlO

Che i marinari in mezzo al mar dismago ; Desvia, eia cantava, el mariner; 20


Tanto son di piacere a sentir piena. Tanto el mio canto in estasi fa andar :
lo volsi Ulisse del suo cammin vago Cantando ho trato Ulisse al mio voler
Al canto mio : e qual meco s'ausa Dal viaso incerto, e quasi mai nrimpianta
Rado sen parte, sì lutto l'appago. Chi xe con mi, per darghe gran piacer.
Ancor non era sua bocca richiusa. Cimivi la boca no l'avea che incanta, 25
Quando una donna apparve santa e presta Co al fianco mio, per svergognar culla
Lunghesso me per far colei confusa. Una gera comparsa dona santa.
O Virgilio, Virgilio, chi è questa ? O Virgilio, Virgilio, chi è custia ?
Fieramente dicea : ed ei veniva, Eia piena de colera cigava ;
Con gli occhi fìtti pure in quella onesta. Lu varda fìsso quela dona pia, 30
L'altra prendeva, e dinanzi l'apriva E po brincada st'altra, el ghe sbregava
Fendendo i drappi, e mostravami il ventre : La vesta, e co la panza el m' ha mostrà,
Quel mi svegliò col puzzo che n'usciva. Me ga svegià el fetor, che la mandava.
l' volsi gli occhi; e il buon Virgilio: Almen tra Mi ochiava atorno; e '1 Mestro: T'ho chiamà
Voci r ho messe, dicea : surgi e vieni, Tre volte, el dise, leva su, e cerchemo 35
Troviam la porta per qual tu entre. El buso, per el qual ti passerà.
Su mi levai, e tutti eran già pieni M'ho levà in pie: del monte nu vedemo
Dell'alto dì i giron del sacro monte, Tuli i ziri dal Sol inluminai,
E andavam col Sol nuovo alle reni. E col so ragio in schena caminemo.
Seguendo lui, portava la mia fronte Drio a lu mi andava, come chi strussiai M
Come colui che l' ha di pensier carca, Dai pensieri, i camina a testa bassa
Che fa di sè un mezzo arco di ponte : E a mo de mezo ponte in zo piegai.
Quand' io lidi' : Venite, qui si varca : Quando: Vegnì per qua, per qua se passa,
Parlare in modo soave e benigno, Dolce una vose go sentio chiamar,
Qual non si sente in questa mortai marca. Che sto mondo l'egual sentir no lassa. W
Con l'ale aperte, che parean di cigno, Co l'ale averte che del cigno par.
Volseci in su colui, che si parlonne, Chi n'ha cussi chiamà, n' ha s'una strada
Tra i duo pareti del duro macigno. Tra i do fianchi del sasso fati inviar.
Mosse le penne poi e ventilonne, Le ale sbatue, n' ha dà una sventolada,
Qui luge.nt affermando esser beati, El Beati qui lugani recitando, 5"
Ch'avran di consolar l'anime donne. Che la consolazion ghe sarà dada.
Che hai, che pure in ver la terra guati? Coss'astu, che ti sta sempre vardando
La Guida mia incominciò a dirmi, Zoso in lera, me dise ci Mestro mio,
Poco ambedue dall'Angel sormontati. Nu un fià più in su de l'Anzolo montando.
Ed io : Con tanta suspizion fa irmi Digo : Un altra vision me ga inzochio, 55
Novella vision ch'a sè°ml piega, E 1' ..mfilili cussi m'investe e liga,

ti Cantando ec. = costei sarebbe la maga Circe, che trasse a se Ulisse col canto affascinatore e lo Unnt
presso lei più di un anno: vedi l ut•. C. XXVl v. 91, e scg,
23 m'impianta — m'abbandona.
26-27 Co = quando. = culia = colei = dana santu = per questa ilonna alcuni intendono la Virtù, altri
la Verita, e altri Lncia, o la grazia illuminante.
32 e co = e quando.
40 strussiai = affaticati.
50 Btali qui lugent qtwniam ìpti confolabantur (S. Matteo) Beali coloro clic piangono le loro colpe poichè
avranno consolazione.
54 un fià — un pochino.
CAUTO XIX. 245
Sì ch'io non posso dal pensar partirmi. Che me dà da pensar. Gastu, bon fio,
Vedesti, disse, quell'antica strega, Lu a mi, mo visto quela vechia striga,
Che sola sovra noi omai si piagne ? Che sol per eia qua de su i sospira?
Vedesti come i un m da lei si stega? E come da eia l'omo se destiga ? 60
(tastiti, e batti a terra le calcagne, Te basta ; stonga el passo, e tol de mira
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira Del ciel le maravegie tante e tante,
Lo i ivi- eterno con le rote magne. Che Dio co le so rode eterne zira.
Quale il falcon che prima a' pie si mira, Come in prima el falcon se ochia le piante,
Indi si volge al grido, e si protende, Po '1 se buta al rechiamo del paron, 65
Per lo disio del pasto che là il tira ; Tirà dal pasto tuto gongolante ;
Tal mi fec'io, e tal, quanto si fende L'istesso fazzo mi, che invià me son
La roccia per dar via a chi va suso, De quela strada per el trozo averto,
IV'andai iniin dove il cerchiar si prende. Sin che scomenza el nino cornison.
Com'io nel quinto giro fui dischiuso, Co al quinto ziro so arivà al scoverto, 70
Vidi gente per esso che piangea, Vedo zente butada, che pianzea
Giacendo a terra tutta volta in giuso. Tegnindo el viso in tera zo coverto.
.'i1-i''it pavimento anima meo, Adàcesit pavimento anima mea,
Sentia dir lor con sì alti sospiri, Li sento con tal susto strepitar,
i. hi la parola appena s'intendea. De quasi no capir quel che i disea. 75
E eletti di Dio, gli cui soflriri O dileti del ciel, che dal penar
E giustizia e speranza fan men duri, E giustizia e speranza ve steziera,
Drizzate noi verso gli alti satiri. Vogiene el trozo d'andar su insegnar.
Se '.ni venite dal giacer sicuri, Su vegnì senza star voltai zo in tera.
E volete trovar la via più tosto, E più presto intendè trovar la strada, 80
Le vostre destre sien sempre di furi. Tegnì la drita in fora. In sta maniera
Così prego il Poeta, e sì risposto Prega el Dotor, e sta resposta dada
Poco dinanzi a noi ne fu ; per ch'io Vi- xe sta un fià davanti ; e mi pensava
Nel parlare avvisai l'altro nascosto ; A la vose che sconta xe restada .
E volsi gli occhi allora al Signor mio : Verso '1 Mestro perciò i ochi drizzava : 85
Ond'elli m'assentì con lieto cenno Lu ga i mio desiderio ben capio,
Ciò che chiedea la vista del disio. E un seguo de compiaserme el me fava.
Poi ch'io potei di me fare a mio senno, Quand'ho podesto far a modo mio,

58 quela vcchia striga r in questa simboleggiata la falsa felicità mondana.


59 ii mi de tu i sotpira -- nei gironi superiori a quello, ove trovavansi allora Dante .- Virgilio, purgano
gli avari, i golosi e i lussuriosi, tristi effetti della falsa felicito.
61 stonga et pano = affretta il passo.
64 se ochia le piante = il guardarsi ai piedi che fa il falcone, è mostrar li voglia di rompere le legacela
che lo tengono costretto sopra la stanga.
68 Irozo = viottolo.
70 Co *- quando.
71 butada = coricata.
73 AiUwesit ee. - L'anima mia fu attaccata alla tnrra, ossia alle cose terrene, dicevano quelle anime che i
purgavano il peccato dell'avarizia.
74 tutto = sospiro continuato.
77 sìeziera = alleggerisce.
"1 i.ijiu la drila in fora = tenetevi colla vostra destra dalla parte di fuori del monte.
83 un fià (favouti . un poco d'innanzi.
246 DEL PURGATORIO
Trassimi sopra quella creatura, De quel'anema là m' ho tirà arente
Le cui parole pria notar mi fenno, Da la qual el discorso xe partio: 90
Dicendo : Spirto, in cui pianger matura E po : Ti, che col pianto penitente.
, Quel, senza il quale a Dio tornar non puossi. Quel ti stagioni che te averzirà
Sosta un poco per me tua maggior cura. El eiel, un lià per mi dal pianzer tiente.
Chi fosti, e perchè vólti avete i dossi Di' chi li xe, perchè ave in su voltà
Al su, mi di', e se vuoi ch'io t'impetri La schena, e se ti voi per ti un favor 95
Cosa di là ond'io vivendo mossi. Che cerca in quela lera, che ho lassà
Ed egli a me : Perchè i nostri diretri Mi vivo. E lu : Dirò perchè '1 Signor
Rivolga il cielo a sè, saprai : ma prima, Le schene a Lu ne volta: sapi intanto
Scias quod eyo fui successor Vetri, Che mi son sta de Piero un sucessor.
Intra Siestri e Chiaveri s'adima Là tra Chiavari e Siestri belo tanto 100
Una fiumana bella, e del suo nome Core zo un fiume, e la famegia mia
Lo titol del mio sangue fa sua cima. Dal so nome del titolo ga '1 vanto.
Un mese e poco più prova'io come Provà go un mese e più qual peso sia
Pesa il gran manto a chi dal fango il guarda. Quel manto a chi infangà no voi ch'el vegna;
Che piuma sembran tutte l'altre some. Vicin quelo, un piumin i altri saria. 105
La mia conversione, oimè ! fu tarda : Ah ! lardi ho renunzià a la vita indegna ;
Ma, come fatto fui Roman Pastore, Ma entrà al papato, alora m'incorzeva
Così scopersi la vita bugiarda. Che gnanca là felicità no regna.
Vidi che lì non si quetava il core, Co in quela vita pase no vedeva,
Nè più salir poteasi in quella vita ; Nè andar podea più in su, farme contento HO
Perchè di questa in me s'accese amore. la questa vita eterna risolveva.
Fino a quel punto misera e partita Destacada da Dio, sin quel momento
Da Dio anima fui, del tutto avara : i .'.incin,-i mia xe stada sempre avara;
Or, come vedi, qui ne son punita. E sta pena la ga desso qua drento.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara Dal modo de purgarse Tomo impara Ito
In purgazion dell'anime converse, Quali efeti produse l'avarizia :
E nulla pena il monte ha più amara. No ha più de questa el monte pena amara.
Sì come l'occhio nostro non s'aderse L'ochio nostro, che in lera ogni delizia
In alto, fisso alle cose terrene, i.'- ha fissà, mai al eiel s' ha voltà su ;
Così giustizia qui a terra il merse. Perciò qua in zti lo fica la giustizia. 120
Come avarizia spense a ciascun bene Come ha in nu l'avarizia ogni virtù
Lo nostro amore, onde operar perdèsi, Mazza, e in fumo i nostri ati ga .mandai,
Così giustizia qui stretti ne tiene La giustizia cossi strenzendo a nu
Ne' piedi e nelle man legati e presi; Man e pie, ne ticii qua tuti ligai :
E quanto fla piacer del giusto Sire, E sinamente piasa al nostro Dio, 125

89 m'ha tirà urente = mi trassi viciao.


92 Quel = cioè il pentimento.
93 un fià — un poco — iini lo pianzer tientc = trattieni il pianto.
99 Che mi' son ita = egli è Ottobuono de Fitschi Genovese, Sommo Pontefice col nome di Adriano V. cbe
mori nel 1276 dopo quaranta giorni di regno.
100-102 Chiavari e Siestri = due terre del Genovesato nella riviera di Levante; tra le quali discende il
fiume di Lavagna. I Fieschi erano conti di Lavagna.
109 Co = quando.
122 Jla::à = ucciso. = i nostri ati — le nostre azioni.
CANTO XIX. 247

Tanto staremo immobili e distesi. Staremo sempre fermi e destirai.


lo m'era inginocchiato, e volea dire ; Me gera inzenochià e gera drio
Ma cum'io cominciai, ed ei s'accorse, Per parlarghe, ma solo rechizando
Solo ascoltando, del mio riverire: Lu se ga incorto de quel moto mio.
Qual cagion, disse, in giù cosi ti torse ? Per cossa, el dise, ti te vien sbassando ? 130
Ed io a lui : Per vostra dignitate Me move la consienza vera, digo,
Mia coscienza dritta mi rimorse. A venerar el grado vostro grando.
Drizza le gambe, e levati su, frate, Levile su, el responde, caro amigo
Rispose ; non errar, conservo sono Ti fali, che mi, ti, a un solo Dio
Teco e con gli altri ad una potestate. Servimo, e tuli. Caso mai l'antigo 135
Se mai quel santo evangelico suono, \I-t|HC nubent ti avessi ti sentio,
Che dice Xeque nubent, intendesti, Quel passo del Vangelio te dirà
Ben puoi veder perch'io così ragiono. Cossa che intendo dir. Ma va con Dio,
Vattene omai; non vo' che più t'arresti, Che più no vogio ti te fermi qua
Che la tua stanza mio pianger disagia, A interomperme el pianto che stagiona 140
Col quai maturo ciò che tu dicesti. Quelu che ti ga dito poco fa.
Nepote ho io di là, e' ha nome Alagia, De là ho una nessa de natura bona,
Buona da sè, purchè la nostra casa De nume Alagia, basta che no ariva
Non faccia lei per esempio malvagia; A l'arse, come i sol, una bricona:
E questa sola m V di là rimasa. Questa sola dei mii XB ancora viva. 145

126 destirai = distesi.


123 rtrhìziiiidii — dando d'orecchio.
136 NttIue nnlient — parole di G. C. ai Sadducei per Irarli dell'iugauao in cui erano che nella eterna vita
fossero matrimoni.
138 Cona che intendo dir = colle dette parole volle Adriano lar comprendere elio essendo egli morto, non
era più da considerarsi come capo della Chiesa. La morte adegnu tulle le umane disuguaglianze (Fraticelli).
141 Qutlo che ti ga dito poco fa ... vedi sopra i v. 91, 92.
143 Alagia - della famiglia dei Conti Fieschi di Genova, fu moglie di ilaroello Mntnspino, marchese di
Giovagallo.
145 di-i "ni - - dei miei parenti.
248 DEL PURGATORIO

CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Mentre quel balzo va dove si piange Mentre in quel Ziro va dove a purgar
Avara voglia, che tenne ristretta Sta l'Avarizia, che ligada streta
La mente al mondo, cho acquistando s'ange, La mente al mondo tien bezzi a ingrnmar ;
Trova il Ponta starvi Ugo Oiapetta Trova el Poeta 1A Ugo Chiapeta
Fra quegli afflitti, che de' suoi si lapnu, Tra quei purganti, che dei sui se lagna.
E sopra lor predice aspra vendetta; E su lori predise gran vendeta :
Poi tremar sente alfin l'alta montagna. Dopo ni simta tremar ijuela montagna.

Contra miglior voler, voler mal pugna ; De le do vogie la magior trionfa;


Onde contra il piacer mio, per piacerli, Perciò contro mia vogia ho cava via
Trassi dell'acqua non sazia la spugna. Per lu la sponza d'aqua no ben sgionfa.
Mossimi, e il Duca mio si mosse per li Sul Inizo andava co la Guida mia
Luoghi spediti pur lungo la roccia, Da l'aneme sbratà longo la eroda,
Come si va per muro stretto a' merli; Come se va d'un forte raso via
l'.ln- la gente, che fonde a goccia a goccia Sul muro a merli ; che chi sgiozza e svoda
Per gli occhi il mal che tutto il mondo occupa, Dai uchi el mal, che '1 mondo impesta, sta
Dall'altra parte in fuor troppo s'approccia. Tropo vicin a l'altra banda voda.
Maledetta sie tu, antica lupa, Maledeta Inuina, che li fa
Che più che tutte l'altre bestie hai preda, Strage più d'ogni bestia, in to malora.
Per la tua fame senza line cupa ! E sazia mai la fame toa ti ga !
O ciel, nel cui girar par che si creda Se coi to ziri, o Ciel, se crede ancora
Le condizion di quaggiù trasmutarsi, Possa cambiar le cosse de sta tera,
Quando verrà per cui questa disceda ? Quando sarà del so sterminio l'ora? 15
Noi andavam co' passi lenti e ncarsi, Andavimo adasielo, e atento gera
Ed io attento all'ombre, ch'i' sentia Mi in scollar i sospiri, e'1 pianzolio
Pietosamente pianger e lagnarsi: De l'aneme butae ch'el cuor me sera:
E per ventura udi' : Dolce Maria : E : Maria Santa ; a sorte go sentio
Dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto, Chiamar a nu davanti in mezo al pianto,
Come fa donna che in partorir sia; Come la dona in partorir un fio.
E seguitar: povera fosti tanto, E po de longo via : Povera tanto,
Quanto veder si può per quell'ospizio, Maria, ti è stada, e ben lo sa quel sito,
Ove sponesti il tuo portato santo. Dove ti ga puzà el to parto santo.

•2-3 ha «ititi fin te. .... similitudine elic significa la curiosità del l'uetu non appieno
5 sbratu = sgombra dalle anime elic stanno « giareri. bocconi = eroda = roccia.
6 raso via -—. raseule.
7 c/n' igiozza e nuda = allude a' penitenti elic piangendo boccone versano dagli ocehi il or male
del mondo, cioè l'avarizia.
10-12 Maledcla lovnna = imprecazione all'avarizia.
1S butae E= coricate.
24 /'.M- ii ya punì "1 lo parlo santo = la capanna di Bcttcmme, ove Maria depose il suo nato.
249
Seguentemente intesi : O buon Fabrizio, O Fabrizio, po sento che vien dito, 25
Con povertà volesti anzi virtute, Ti ha preferio restar in povertà
Che gran ricchezza posseder con vizio. Co la virtù, che sior con el delito.
Queste parole m'eran si piaciute, Ste parole le m'ha cussi incontrà,
i. ir i' mi trassi oltre per aver contezza Ohe m'ho tirà più arente per scovrir
Di quello spirto, onde parean venute. Chi gera che in sto modo ga parlà. 30
Esso parlava alieni della larghezza Lu seguitava de la dote a dir,
Che fece Niccolao alle pulcelle, Che Nicola ga fato a le tre tose,
Per condurre ad onor lor giovinezza. Perchè '1 so onor no avesse da patir.
O anima, che tanto ben favelle, Chi xestu, ho dito, che da la lo vose
Dimmi chi fosti, dissi, e perchè sola Sto bel parlar vien fora, e di', per cossa 35
Tu queste degne lode immurili- ? Ti è solo a recordar ste azion gloriose '"
vin lia senza mercè la tua parola, Hagarò ci to favor, co tornar possa
S'i' ritorno a compir lo cammin corto De sta mia vita a consumar el resto,
Di quella vita ch' al termine vola. Che in t' un lampo finir va in ('una fossa.
Ed egli: I ti dirò, non per conforto A contentarle, el dise, mi me presto; 40
Cb'io attenda di là, ma perchè tanU No per sperar de là un qualche agiuto,
Grazia in te luce prima che sii: morto. Ma per la grazia che ti ha vivo avesto.
f fui radice della mala pianta, El zoco son de quel albore bruto,
Che la terra cristiana tutta aduggia Che a la lera cristiana mal fa tanto,
SI, che buon frutto rado se ne schianta. E raro \r ch'ul vegna a dar bon fruto. 45
ila se Doaggio, Guanto, Lillà e Bruggia Ma se Doagio, Lila, Brugia e Guanto
Potesser, tosto ne saria vendetta ; Podesse, i faria subito vendeta ;
Ed io la cheggio a lui che tutto giuggia. E la domando mi dei Santi al Santo.
Chiamato fui di là L'ito Ciapetta : Al mondo i in'ha chiamà Ugo Chiapeta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi, I Pipi e i Gigi vien dal zoco mio, 50
Per cui uni rii, un. 'ni. è Francia retta. ('.he la lege a la Franza ancuo i ghe deta.
Figliuol fui d'un beccaio di l'arigi. 1)' un becher parigin mi son sta Ilo:
Quando li regi antichi venncr meno Andai i Carlovingi in destruzion,
Tutti, l'uoi ch'mi renduto in panni bigi, Via d'uno che la tonega ha vestio,

85 Fabrizio - virtuoso romauo, srblienc assai povero rifisdo le ricchezze elic per corromperlo gli otFriva
il re Pirro.
27 «or = signore.
28 It m'Ha cani inenntrù = tanto mi piacquero.
89 Che m'ho tira più arcidi- = che mi trassi più vicino
32 Che Nicola = S. Nicolo di Mira fu liberale verso tre fanciulle, elic per gran povertà erano in pericolo di
abbandonarsi a vita disonesta.
37 co = quando.
39 m t'ua lampo -- con celerila.
45 El zoco a. — il ceppo (di famiglia): questi è Ugo Magno Duca di Francia e Conte di Parigi padre di
lpi Captlo primo re dei Capelingi.
46 Doagio, Lila ee. = sono città di Fiandra. Ugo Magno dice, elic se avessero forze sufficienti, queste citta
farebbero vendetta d'essere stale occupate violeutemenlc dal re Filippo il bello nel 1299.
50 / Pipi e i Gigi = i Filippi e i Luigi. Dopo la morte di Enrico I, nel 1000, tulli i re di Francia furono
o Filippi o Luigi.
51 ancuo = oggidì.
54 Via d'uno = tranne uno: dicono alcuni elio quest'imo fosse Carlo il Semplice, il quale non già si fa
cesse monaco, ma per la sua umilia, fuggendo le umane grandezze, si ridusse a vivere e morir solitario nel Cn-
sullo di Peri-enne = tonega = tonaca.
250 DEL PURGATORIO
Trova'mi stretto nelle mani il freno De tuto el regno in man go avù 'i timon, 55
Del governo del regno, e tanta possa E quando el xe più grando deventà,
Di nuovo acquisto, e sì d'amici pieno, Con a fianco d'amici un nuvolon,
Ch'alia corona vedova promossa Mio fioi sul trono vodo s'ha sentà,
La testa di mio figlio fu, dal quale E da lu de costori la real
Cominciar di costor le sacrate ossa. Origene a dar su ga scomenzà. 60
Mentre che la gran dote Provenzale Insin che la gran dote Provenzai
Al sangue mio non tolse la vergogna, No ha svegià a la mia razza l'albasia,
Poco valea, ma pur non facea male. La podea poco, ma no fava mal.
Lì cominciò con forza e con menzogna Da là scomenza la rebaldaria
La sua rapina ; e poscia, per ammenda, Dei so usurpi; e per far po penitenza 65
Ponti e Normandia prese, e Guascogna. Pontiù ha robà, Guascogna e Normandia.
Carlo venne in Italia, e per ammenda, Carlo in Italia andà, per penitenza
Vittima fe di Curradino ; e poi L'ha mazzà Coradin, e dopo ancora
Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 'l'omaso ha in ciel mandà per penitenza.
Tempo vegg'io, non molto dopo ancoi, Ma vedo che l'infamia, e arente è l'ora. 70
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia, D'eia e dei sol per meter ben in mostra,
Per far conoscer meglio e sè e i suoi. Vien da la Franza un altro Carlo fora.
Senz'arme n'esce, e solo con la lancia Senza armada lu vien, e ne la giostra
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta Co la lanza de Giuda el ferirà,
Sì, ch' a Fiorenza fa scoppiar la pancia. Per far ben grama la Firenze vostra. 73
Quindi non terra, ma peccato ed onta Perciò, no tere, ma '1 guadagnarà
Guadagnerà, per se tanto più grave, Colpa e infamia che cresser le farave
Quanto più lieve simil danno conta. In rason che del mal conto noi fà.
L'altro, che già uscì preso di nave, Sl'altro, che presonier l'è sta de nave,
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne, Vedo a vender per pato in sin so fia, 80
Come fan li corsar dell'altre schiave. Come i pirati fa de l'altre schiave.
O avarizia, che puoi tu più farne, Cossa, o avarizia, a far te resteria

55 go avù 'I limon — ebbi le redini del governo essendo stato eletto reggente.
58 Mio fiol = mio figlio, cioè Ugo Capeto = sul trono vodo = ruoto, senza regnante, perchè morto Lodo-
vico V ultimo re dei GarTovingi.
80 a dar tu ga seomenzà - incominciò a sorgere.
61 la gran doli Provenzal ----- sono gli Stati dapprima del Conte di foiosa, che andarono alla Francia pel
matrimonio di sua figlia con Alfonso fratello dei re San Luigi U12S); poscia quelli di lUimondo Berlinghicri
Conte di Provenza, venuti alla Francia pel matrimonio di Carlo d'Angiò, altro fratello di S. Luigi, colla Con
tessa Beatrice, ultima figlia ed erede di Raimondo (IH5).
68-69 Coradin — nipote di Manfredi, rimasto prigioniero alla battaglia di Tagliacozzo, iu da Carlo d'Angiò
nel 1268 fatto decapitare. San Tommaso andando al Concilio di Lione, dicesi che dal detto Carlo d'Angiò l'osa
per opera di un suo medico fatto avvelenare per timore d'averlo contrario a' suoi desiderii in quel Concilio.
71 D'eia = cioè della sua raiza, di cui il v. 62.
72 un altro Carlo = questi è Carlo di Valois, uscito di Francia nel 1301.
74-75 colla lanza de Giuda — cioè col tradimento. Il detto Carlo fu dal Papa Bonifazio Vili mandalo in Fi
renze a rimettervi la pace; ed invece con tradimenti e frodi, estorsioni ed incendii, la scompiglio maggiorami»
e la lasciò mezzo spogliata e distrutta. L'esilio di Dante avvenne principalmente per la venula di Carlo di Va-
lois in Firenze.
76-77 Perciò no (erre ee. = costui infatti fu per dileggio chiamato Carlo Senzaterra, perchè non poti mai
impossessarsi d'alcun paese.
79-80 it'altro ee. — Sciami Colonna e Nogaretto Capitano di Francia con genti e bandiere di quella coroni
entrarono il di 7 Sett. 1303 per tradimento in Alagna (Anagni, città nelle campagne di Roma), e vi Fecero prigio
niero Bonifazio Vili.
CANTO XX. 251
Poi c'ivii il sangue mio a te si tratto, De più, dopo tiradi a mercantar
Che non xi cura della propria carne ? l mii sin sul so sangue, bruta arpia ?
Perchè men paia il mal futuro e il fatto, Per covrir el mal fato e quel da far,
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso, Col zegio a Alagna andar i vedo, e redo
E nel Vicario suo Cristo esser catto. Nel so Vicario Cristo impresonar.
Veggiolo un'altra volta esser deriso; Da novo a sbufonarlo là li vedo ;
Veggio rinovellar l'aceto e il fele, A lu da noro darghe aseo e lici.
E tra nuovi ladroni essere anciso. E in mezo ai ladri po morir lo vedo. 90
Veggio il nuovo Pilato sì crudele, Vedo el novo Pilato, quel crudel,
Che ciò noi sazia, ma, senza decreto, Che no ben sazio, i beni el roba ancora
Porta nel tempio le cupide vele. De quei che serve Chi su regna in ciel.
O Signor mio, quando sarò io lieto Quando, gran Dio, de la vendeta l'ora
V veder la vendetta, che nascosa Mi goderò, che l'ira sconta in Ti 95
Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto ! Fa dolce nel to arcano ! Quel che alni a
Ciò ch' i' dicea di quell'unica sposa De la Vergine Santa ho dito mi,
Dello Spirito Santo, e che ti fece E dopo domandà la spiegazion
Verso me volger per alcuna chiosa, Ti m'avevi, xe, insin che dura el dì,
Ianfè disposto a tutte nostre prece, De munii tuli quanti Porazlon; 100
Quanto il dì dura ; ma quando s'annotta, Ma co vicn note, alora nu disemo
Contrario suon prendemo in quella vece. Cosse afato contrarie. Pigmalion
Noi ripetiam Pigmalione allotta, Traditor, ladro, alora recordemo,
Cui traditore e ladro e patricida L'assassin de so barba, che ha sfogà
Fece la voglia sua dell'oro ghiotta; La passion per i bezzi ; e ripetemo 105
E la miseria dell'avaro Mida, De Mida l'avarizia, o desgrazià!
Che seguì alla sua dimanda ingorda, Che ingordo d'oro, in mezo a quel, la ve
Per la qual sempre convien che si rida. Anca da rider, morto el xe afamà.
Del folle Ai;. mi ciascun poi si ricorda, Recordemo Acam ladro, in modo che
Come furò le spoglie, sì che l'ira Del tesoro robà par sin che l'ira 110
Di Josuè qui par che ancor lo morda. Lo ponza ancora qua de Giosuè.
lndi accusiam col marito Sn lira : Po acusemo con so marlo Salira ;

84 i i:iii =: i miei discendenti .- ani sui so tanyue — sui propri figli.


86 zfijin = giglio: il giglio d'oro era l'arma dei reali di Francia.
90 E in nùzo ai ladri — allude ai detti Sciarra e Nogaretto, presso i quali il Pontefice accorato di quel
l'intuito, poco tempo dopo, cioè nell'Ottobre del 1303, fini di vivere.
91 ti nova Pitale . cosi il Pocta chiama Filippo il Bello che ordinò quella cattura.
92-93 i limi el roba te. . allude all'iniqua distrusione e spogliazione dei Cavalieri Templari fotta da quel
re nel 1307.
94-96. Lo aspettare che Dio fa, fa dolce la sua giustizia, poichè in questo appare la sua misericordia: cosi
il Butti.
102 Pigmalion — costui uccise a tradimento, per sete di ricchezza, Sicheo suo zio e msrito di Bidone sus
sortila.
104 de so barba = di suo zio.
106 Miiln :.. avendo domandalo agli Dei di convertire in oro tutto ciò che toccava, il cibo stesso gli si con-
ve rii va in oro.
109 .li.in,, — ebreo, si appropriò contro il comandamento di Dio parta delle spoglie dell'espugnata città di
Gerico: onde Giosuè lo fece lapidare.
112 Safira = Salini e Anania suo marito, ritennero, contro il voto fatto di poverta, parte del prezzo ili un
campo venduto; e vollero far credere a 8. Pietro, che quella che gli offrivano era la vera somma: ma caddero
morti alla riprensione dell'Apostolo.
252 PEL PURGATORlO

Lodiamo i calci ch'ebbe Eliodoro ; Lodemo i scalai dài a Eliodoro ;


Ed in infamia tutto il monte gira E infamà el nome per sto monte /in
Polinestor che ancise Polidoro. Del ladron assassin, de Polidoro. lili
Ultimamente ci si grida : Crasso. l oliti cighemo a Crasso in questo ton:
Dicci, che '1 sai, di che sapore è l'oro. Dine ti, che li '1 sa, qual gusto ha l'oro.
Talor parliam l'un alto, e l'altro basso, Chi alto parla e chi a pian, che l'impression,
Secondo l'aflezion ch' a dir ci sprona, Conforme la ne vien, ne fa cussi
Ora a maggiore, ed ora a minor passo. Dir quando a forte, e quando in basso son. 120
Però al ben che il dì ci si ragiona. E za un fià, al ben che qua se dise al dì,
Dianzi non or' io sol : ma qui da presso Solo no gera, ma solo parlando,
Non alzava la voce altra persona. Nissun ga alzà la vose for che mi.
Noi eravam partiti già da esso, Co l'avemo lassà, nu facendando
E brigavam di soverchiar la strada Se andavimo, per presto avanzar strada 125
Tanto, quanto al poder n'era permesso ; Quanto s'avesse più possudo ; quando,
Quanti" io senti', come cosa che cada, Come qualcossa sia precipitada,
Tremar lo monte ; onde mi prese un gielo, Ga tremà tuto el monte, e m' ho giazzar
Qual prender suoi colui ch' a morte vada. Sentio ci sangue, comè un che a morte vada.
Orto non si scotea si forte Delu Scosse eguali no ha avudo Delo in mar 130
Pria che Latona in lei facesse il nido Prima ch'abia Latona partono
A p.n lui ii li due occhi del cielo. ln quela el Sol, la Luna. Po un vosar
Poi cominciò da tulte parli un grido Cossi forte per tuto s'ha sentio,
Tal, che '1 Maestro in ver di me si feo, Che ha dito el Mestro fandomese arente:
Dicendo: Non dubbiar, mentrio li guido. Sin che te scorto no temer, fiol mio. 135
Gloria in excelsis, tulti, Dea Gloria in excelùs Deo, tuti se sente
Dicean, per quel ch'io da Ucin compresi A dir, per quanto mi scoltar podeva
Onde intender lo grido si poteo. Dai più vicini a nu tra quela zente.
Noi ci restammo immobili e sospesi, Stemo incantai, come restar doveva
Come i pastor che prima udir quel canto, l pastori in sentir primi quel canto, 140
Fin che '1 tremar cessò, ed ei compiisi, %Sin che '1 salmo e'1 tremor linio gaveva.
Poi ripigliammo nostro cammin santo, Po seguitemo el nostro viazo santo,
Guardando l'ombre che giacean per terra, L'aneme ochiando in tera destirae,
Tornate già in su l'usato pianto. Tornai1 da novo al solito so pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra Mai tante vogie, credo, m' ha chiapae Hi
Mi fe desideroso di sapere, Per conosser qualcossa, quante alorn

113 ( tcutìi =* i calci = Èliodarn . fu mandato ila Selcuco re ili Siria in Gerusalemme per torre i
•inei dal tempio; ma appena posto il piede aulta soglia, comparve un uomo armalo sopra un l.avallo, clic con
i calci lo ributtò indietro.
115 Del latiron —• cioè l'olincotorc re ili Tracia, clic nccise Polidoro suo nipote per rubargli il tesoro con
segnatogli dal re f'riaiuo padre di lui.
llo Crosto — Marco Grasso Senatore e generale Romano, famoso per ricchezza e avarizia: mori in una S|K.
dizione contro i Parli, i quali trovatone il corpo sul campo, ne spiccarono la testa a coi in bocca versarono
dell'oro liquefano, dicendo per ischerno: Bevi dell'oro, poichè dell'oro avesti sete.
121 za un ffù = gia un momento.
123 for che mi = fuori clic io.
130.132 I>(hi . isola dell'Arcipelago clic tremava e movevasi. l.atona vi cercò un rifugio, e in lei partorì
Apollo e Diana, cioè il Sole e la Luna: e dopo l'isola, per merito dell'ospizio, più non si mosse.
134 fandamese areale — venendomi dappresso
140 i pastori = cioè i pastori di Bcllemme.
CANTO XXI. 253
Se la memoria mia in ciò non erra. De saver la rason s'ha in mi svegiae
Quanta paremi allor pensando avere : Del i .ii iiiuni n, al qual pensava sora :
IVe per la fretta dimandare er' oso. Domandar per la pressa no azzardava.
Nè per me li potea cosa vedere. Nè podea da per mi trovarla fora ; 150
Così m'andava timido e pensoso. Cossi mi incerto e penseroso andava.

U7 la rasan = la cagione, il motiva.

CANTO VENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Ragion perchè lo monte ivi si scuota La rason perchè '1 monte ga trema
Ode il Poeta da Stazio, che ascen'U: Sente Dante da Stazio, che 1 favor
Quindi purgato alte superne ruote. L'ha avù alora d'invlarse al ciel, purga.
Lo qual gli narra quanto amor raccende Quanto el ga per Virgilio e qual amor
Pel buon Virgilio, e mentre si favella tihe conta; e mentre el parla, ch'el gh'è in fazsa
Ne '1 riconosce, tal che gli sorprende Savudo, tanto se ghe starga el cuor
Letizia in cor disusata e novella. Dal piacer, che noi sa quel ch'el «e fazza.

La sete naturai, che mai non sazia, De saver me struzea la sè, che sazia,
Se non con l'acqua onde la femminella Solo l'aqua, che un zorno domandà
Samaritana dimandò la grazia, Ga la Samaritana a Cristo in grazia ;
Mi travagliava, e pungèmi la fretta De star drio al Mestro pressa sento là
Per la impacciata via retro al mio Duca, Tra l'aneme ch'el Iroto imbarazzava, 5
E condolièmi alla giusta vendetta. E le so pene, pena le me fa.
Ed ecco, sì come ne scrive Luca, Quando, come San Luca recordava,
Che Cristo apparve a' duo ch'erano in via, Che Gesù dal sepolcro za Miriin.
Già surto fmir della sepulcral buca, S" ha mostrà ai do che in Emaus s' inviava ;
Ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia Un s'ha visto cussi vegnirne drio, 10
Dappie guardando la turba che giace; La zente ochiando In tera destirada;
Nè ci addemmo di lei, sì parlò pria, Né s'incorzemo se , Fradei, da Dio,
Dicendo: Frali miei, Dio vi dea pace. Noi disi-vn, la pase ve sia dada.
Noi ci volgemmo subilo, e Virgilio Nu se voltemo, e '1 Mestro con bel alo

1-3 De saver ec. •- - il desiderio di sapere e d'intendere mai non può saziarsi se non por quell'acqua sa-
lulare, che la Samaritana chiese a G. C. dopo che ebbe detto: Chi bevern dell'acqua, che io gli darò non avrà sete
in eterno; nella qual acqua era significata la sapienza duina procedente da Dio = cercà = chiesto.
5 iroso - viottolo, senticruolo.
6 le so — le sue.
S-9 Dal scjiolcro ir, - Gesù Cristo apparve dopo la sua rcéurrezione a due discepoli che andavano in
Emaus. -- za torlio .-• appena escito - ai' do ..-. ai due suddetti.
14 con bel alo = con bel cenno.
254 DEL PURGATORIO
Rendè lui '1 cenno ch' a ciò si conface. La so riconoscenza el ga mostrada.
Poi cominciò : Nel beato concilio Po '1 responde : La pase nel beato
Ti ponga in pace la verace corte, Logo te daga la celeste Corte,
Che me rilega nell'eterno esilio. Che a mi l'eterno bando m' ha dà '1 fato.
Come! diss'egli (e parte andavam forte), Come ! quel dise, mentre andemo a forte,
Se voi siete ombre che Dio su non degni, Se del cielo no ancora degni sè,
Chi v'ha per la sua scala tanto scorte? Chi a sta scala, che mena a le so porte,
E il Dottor mio : Se tu riguardi i segni V'ha scortà? E'1 Mestro: Se ti vardi i P
Che questi porta e che l'angel proffila, Che in fronte a questo un Anzolo ha segnà,
Ben vedrai che co' buon convien ch' è' regni Degno del ciel ti capirà ch'el xe.
Ma po' colei che di' e notte fila, Ma za che la Lachesi terminà
Non gli avea tratta ancora la conocchia, No ha '1 filo su la roca che per lu,
Che Cloto impone a ciascuno e compila ; Come per tuli, Cloto ha intortigià ;
L'anima sua, ch' è tua e mia sirocchia, Solete noi podea vegnir qua su,
Venendo su, non potea venir sola ; Elo ch'el ga de nu l'anema istessa,
Però ch' al nostro modo non adocchia : Siben la soa no vede come nu :
Ond' io fui tratto fuor dell'ampia gola So sta cavà dal Limbo in tuta pressa ,
D'inferno per mostrarli, e mostrerolli Per mostrarghe sti loghi, e mostrerò
Oltre, quanto '1 potrà menar mia scuola. I altri a lu su la strada a mi pemessa.
Ma dinne, se tu sai, perchè lai crolli Ma se ti sa, per cossa za un lili, mo
Die dianzi il monte, e perchè tutti ad una Ga tremà '1 monte, e luti in compagnia 35
Parver gridare in lino a' suoi pie molli? Parea i cigasse da la cima in zo ? .
Sì mi die dimandando per la cruna Sta domanda ha incontrà la vogia mia,
Del mio desio, che pur con la speranza Amansada un tantin, per la speranza
Si fece la mia, sete men digiuna. In mi vegnuda che apagada sia.
Quei cominciò: Cosa non è che sanza Quel responde : Nissuna qua cambianza
Ordine senta la religione Senz'ordene ga logo : al monte santo
Della montagna, o che sia fuor d' usanza. Cossa no ariva mai fora d'usanza.
Libero è qui da ogni alterazione: Gnente poi qua cambiar, via de quel tanto,
Di quel che '1 cielo in sè da sè ricere Che voi la naturai virtù del cielo,
Esserci puote, e, non d'altro, cagione : Nè altra causa poi mai far altrelanto.
Perchè non pioggia, non grando, non neve, Perciò piova più in suso dal livelo
Non rugiada, non brina, più su cade, No vien dei tre scalini, nè qua sora
Che la scaletta de' tre gradi breve, Vien tempesta, nè brosa, neve o gelo ;

IO té = siete.
22 i P = sono i segni dei peccati dei quali sulla fronte di Dimlcjnc restarono ancora tre dopo i quatIro
già cancellati.
25 la Lacheii = è la Parca che fila lo stame della vita.
27 dolo - - l'altra Parca che colloca sulla rocca di Lachesi quella porzione di stame, durante la fiUtun d"
quale vuoi che duri la vita di ciascuno = intortigià ...- attortigliato.
30 siben la soa no vede come nu -- essendo l'auima di Dante chiusa nel corpo, non intende ne vede come
intendono e vedono i puri spiriti.
31 Sa ila cava dal Limbo = fui tratto dal Limbo.
34 in un fià == di già un momento = mo = partieella riempitiva.
37 lui incontrà la vogia mia — — corrispose al mio desiderio.
48 trntn = brina.
CANTO XXI. 255
.Nuvole spesse non paion, nè rade, Nè niola grossa o scarsa visto ancora
Nè corruscar, nè figlia di Yaumante, Se ga, ne visto mai l'arcoceleste, 50
Che di lì cangia sovente contrade. Che in st'altro. mondo o qua o là dà far*.
Secco vapor non surge più avante No poi suto vapor alzar le creste
Oh' al sommo de' tre gradi ch'io parlai, Sora i scalini che t" ho menzonà,
Ov'ha'l vicario di Pietro le piante. Dove fa guardia el portiner celeste.
Trema forse più giù poco od assai; Più o manco a basso forsi tremerà, 55
Ma, per vento che in terra si nasconda, Ma per vento interà, questa montagna,
Non so come, quassù non tremò mai : Come la sia no so, ga mai tremà.
Tremaci quando alcuna anima monda La trema, co purgada la magagna,
Si sente sì, che surga, o che si muova Un leva in pie, o '1 se move e al ciel s'invia,
.Per salir su, e tal grido seconda. E i altri con quel cigo i l'acompagna. 60
Della mondizia '1 sol voler fa pruova, Ch'el se gabia purgà, prova ne sia •
Che, tutto libero a mutar convento, La vogia de andar su che gh' è vegnua.
L'alma sorprende, e di voler le giova. Anca prima sta vogia ghe saria,
Prima vuoi ben; ma non lascia il talento, Ma la xe da quel altra combatisa
Che divina giustizia contra voglia, De la purga, che Dio mete al tormento, 05
Come fu al peccar, pone al tormento. Come contro al far ben la vogia avua.
Ed io che son giaciuto a questa doglia E mi che go più d'ani cinquecento
Cinquecento anni e più, pur mo sentii Passà in ste pene, de portarme a Dio,
Libera volontà di miglior soglia. El libero voler sol Tiesso sento.
Però sentisti il tremoto, e li pii Perciò col taramolo ti ha sentio 70
Spirili per lo monte render lode Ste aneme qua lodar Chi prego presto
A quel Signor, che tosto su gl'invii. Vogia chiamarle al logo benedio.
Cosi gli disse; e però che si gode Cossi el parla, e se lanto s' ha godesto
Tanto del ber quant'è grande la sete, In bever, quanta più gera la sè,
Non saprei dir quant'ei mi fece prode. No posso dir luto el piacer che ho avesto. 75
E il savio Duca : Omai veggio la rete Dise el mio Mestro: Adesso so el perchè
Che qui vi piglia, e come si scalappia, Sè qua ligai, e come ghe andè fora;
Perchè ci tremo, e di che congaudete. Del tremar, e perchè ve ralegrè:
Ora chi fosti piacciati ch' io sappia, Ma dime, fame sta finezza ancora,
E, perche tanti secoli giaciuto Chi ti geri e perchè, come ti ha dito, 80
Qui in", nelle parole tue mi cappia. Ti è sta butà dei secoli qua sora.

49 nido. -- nuvola.
51 -la fora = si mostra, sorge fuori.
iuta m/m' - vapor secco, onde hanno origine i venti, diverso dal vapor umtdo da coi viene la piog
gia, la neve, la grandine, la rugiada, la brina — aliar le creile = erigersi prepotente.
54 Dove fa guardia el porliner telate = vedi C. IX. v. 78.
56 .Un per vento intera = gli antichi credevano che il vento sotterraneo fosse cagione di terremòti.
58 co purgada la magagna - quando purgato il mal fatto, cioè il peccato.
59 Un leva in pie = è riferito alle anime ivi giacwli = o 'I se movi = è riferito alle anime degli nUri
gironi.
62 la. vogia — il desiderio.
72 Vogia = voglia (verbo).
74 la tè — la sete.
77 Sè tIua 'i'»;» i • detto figuratamente per la cagione che tiene legate e prese le anime messe a purgare
io quel girone -- came giù andi fora = io quai maniera ve uè liberale = Sè = siele.
79 fame ila finezza •= fammi questo favore.
buiò = giaciuto, disteso.
"56 DEL HliBC.VrOlilO.
Nel tempo che il buon Tito con l'aiuto Elo responde: Al tempo ch'el bon Tito
Del sommo rege vendicò le fora, Da Dio agiutà, del Giuda maledeto,
Olid" uscì '1 sangue per Giuda venduto, Che ha vendù Cristo, ha vendicà "1 delito,
Col nome che più dura e più onora Gera al mondo vardà con gran rispeto 85
Er'io di là, rispose quello spirto, Per l'onorato nome de pueta ;
Famoso assai, ma non con fede ancora. Ma ancora no gdvea la fede in peto.
Tanto fu dolce mio vocale spirto, Ga merità rl mio canto, che dileta,
Che, Tolosano, a sè mi trasse Roma, Mi, Tolosan, de farme a Roma andar,
Dove mni.lai le tempie ornar di mirto. E che l'illuni in fronte là i me meta. 90
Stazio la gente ancor di là mi noma ; Stazio al mondo i me seguita a chiamar ;
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille, De Tebe, e '1 forte Achil mi go cantà,
Ma caddi in via con la secortda soma. Ma sto secondo canto terminar
Al mio ardor fur seme le faville, No m' ha lassà la morte. M' ha scaldà
Che mi scaldàr, della divina fiamma, L'estro mio la bampa imortalada, 95
Onde sono allumati più di mille; Che a più d'un mier el peto ga intiama;
Dell' Eneida dico, la qual mamma Vogio dir de l'Eneide, che stada
limimi, e fummi nutrice puetando : Xe mare e nena mia puetizando :
Senz'essa non fermai peso di dramma. Gnanca una idea senza eia go creada.
E, per esser vivuto di là quando E per esser vissudo al mondo quando 100
Visse Virgilio, assentirei un sole Vivea Virgilio, rassegnà de star
Più chTjnin deggio al mio uscir di bando. Sarave ancora un ano qua penando.
Volser Virgilio a me queste parole Virgilio m' ha molà, drio sto parlar,
Con viso che tacendo dicea : Taci : Tal un ochiada che disea : Sta zito,
Ma non può tutto la virtù che vuole : Ma sempre ci so voler no se poi far, 105
Chè riso e pianto son tanto seguaci Chè più de questo vien scoltà el prorito
Alla passion da che ciascun si spicca, Del rider o del pianzer ; e in scampon
Che meli seguon voler ne' più veraci. Fazzo anca mi un soriso, el qual ga dito
lo pur sorrisi, come l'uom che ammicca; Che aveva za capia la so in Uv.iun ;
Perchè l'ombra si tacque, e riguardommi Tase Stazio, e nei ochi el m'ha vardà, 110
Negli occhi, ove'l sembiante più si ficca. Dov'el pensier se spia e la passion.
E, se tanto lavoro in bene assommi, Po '1 dise : Se el progeto che ti ga,
Dissi., perchè la faccia tua testeso Felicemente possa andar compio.
Un lampeggiar di riso dimostrommi? Perchè un riseto t'è sbrissà za un fià?
Or son io d'una parte e d'altra preso: Chiapà cussi in tanaca, che un, per sbrio, 115
L'una mi fa tacer, l'altra scongiura Voi che lasa. a parlar l'altro me tira,
Ch' i' dica ; ond'io sospiro, e sono inteso. Sospiro nel contrasto : m' ha capio
Di', il mio Maestro, e non aver paura, El mio Mestro, che l'ordine el ritira

84 lm vendicà 'l delito = allude alla distruzione ili Gerusalemme.


83 .Vi, Tntosan — questi clic parla e il pocta Stazio.
95 la bampa imnrlalailu . 1. 1 li unni.i immortalo: allude nll'Enciilc ili Virgilio.
97-08 sladu xc mare e nafa mia ..• e stata m.nlrc: e balia mi. i.
107 ni scampon = ali. i sfuggita.
112 .S> ri progetto che li ga — cioè di viaggiare sino al ciclo.
114 tbri$sa = sfuggito — za nn fià . or ora.
115 Chiapà cutti ni tonaca = preso vosi nel bivio, tra Siila e Cariddi, tra l'incudine ed il martello.
CANTO XXI. 257
Mi d isso. di parlar ; ma parla, e digli Col dir : Respondi a lu senza esitar,
Quel ch' e' dimanda con cotanta cura. Che in ansia de saver par noi respira. 120
Ond'io : Forse che tu ti maravigli, Perciò mi : Forsi che maravegiar
Antico spirto, del rider ch'io fri; T'avrà fato el mio rider, ma contarle
Ma più d'ammirazion vo' che ti pigli. Vói quel che te farà de più restar.
Questi, che guida in alto gli occhi miei, Chi in cima me conduse per sta parie,
È quel Virgilio, dal qual tu togliesti Xe quel Virgilio che nel cuor l' ha messo 125
Forza a cantar degli uomini e de' Dei. Dei omeni e dei Dii de cantar l'arte.
Se cagione altra al mio rider credesti Quel che m' ha fato rider dessadesso,
Lasciala per non vera ; ed esser credi Nissun altro motivo no ga avesto,
Quelle parole che di lui dicesti. Via de quel che ti ha dito de lu istesso.
Già si chinava ad abbracciar li piedi Za Stazio se sbassava con bel sesto 130
Al mio Dottor ; ma e' gli disse : Frate, Per brazzarghe i zenochi, ma : No far
Non far, che tu se' ombra, e ombra redi. Fradel, dise el Dotor, che son e resto
Ed ei surgendo : Or puoi la quantitate Come li un ombra. E Stazio a lu in levar :
Comprender dell'amor ch'a te mi scalda, Varda, quanto per ti go l'amor grando,
Quando disrnento nostra vanitate, Se esser aneme nu me fa scordar, 135
Trattando l'ombre come cosa salda. Che l'ombre no xe corpi no pensando.

123 Vói = voglio = renar = stupire.


127 deaadesso = or ora, un momento fu.
130 con bel seno =. con bel garbo.

17
258 T>EL Pt'RKATORIO

CANTO VENTESIMOSECONDO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Quale in (piri balzo sua colpa purgasse Informa Stazio traal peci el purgava
Racconta Stazio, od a Credenza santa Proprio In quel Ziro, e in te 1% fedo santa
Da qual facella guidato n'andasse. Quala luse su al mondo lo guidava,
Oltre poi vanno, e trovano una pianta I va piiì avanti, -• i trova una gran pianta
Chi- tutti li suoi rami ali' ingiù piega, Che la ga tuti i rami voltai zoso
E d'odorosi e boi pomi s'ammanta. Con i pomi odorosi e bei, che incanta.
In questo giro Gola si disìega. Purga in sto Ziro ci so peci el goloso.

Già era l'Angel dietro a noi rimaso, Da (trio de nu quel Anzolo restando
L'Angel che n'area volti al sesto giro, Che invià '1 n'aveva sora al ziro sesto,
Avendomi dal viso un colpo raso : Un altro P dal fronte mio levando;
E quei c'hanno a giustizia lor disiro Esser beati, dirne ga pinsesto,
Detto n'avea Beati, e. le sue voci Quei che ama la giustizia, e '1 terminava
Con sitinnt, senz'altro, ciò forniro. Co la parola sitiunt senza el resto.
Ed io, più lieve che per l'altre foci, Più che in st'altri scalini caminava
M'andava sì, che senza alcun labore Lezier mi tanto, che tegniva drio
Seguiva in su gli spiriti veloci: Lesto ai do Savi che in prestezza andava;
Quando Virgilio cominciò : Amore, Co a Stazio cussi parla el mestro mio : IO
Acceso di virtù, sempre altro accese, Se un ama un altro per le so virtù,
Pur che la fiamma sua paresse fuore. Questo rende l'amor che ha in quel scovrio;
Onde, d'allora che tra noi discese Perciò sin dal momento che fra nu
Mei limbo dell'inferno Giuvenale, Giuvenal zo nel Limbo xe arivà,
Che la tua airezion mi fe palese, E l'amor too per mi m'ha contà In ;
Mia benvoglienza inverso te fu quale Quanto ami te go mi, nissun ga amà
Più strinse mai di non vista persona, Un visto mai cussi, che con ti in far
Sì ch'or mi parran corte queste scale. Ste scale, curte a mi le pararà.
Ma dimmi, e come amico mi perdona Ma di' ; e a mi, to amigo, perdonar
Se troppa sicurtà m'allarga il freno, Te piasa la mia tropa confidenza, 20
E come amico omai meco ragiona : E come amigo vogime parlar :
Come poteo trovar dentro al tuo seno Come mai l'avarizia far semenza
Luogo avarìzia, tra cotanto senno, In ti ha possudo ; in ti, omo de sesto,
Di quanto per tua cura fosti pieno ? Che ti ha savù ingrumarte tanta sienza ?

6 Co la parola sitiunt tenza el resta = l'Angelo disse: Ili-ati gai tininii iutn'tiam omettendo exurimd, ri-
serbato nel cerchio superiore dei golosi. Vedi l'ultima terzina del C. XXIV.
10 Co ..- quando.
14 Giavenal - Giuvenale poeta latino che fiori poco dopo Stazio.
23 omo de testa = uomo assennato, di garbo.
24 C/ie ti' ha savù ingrumarte = che hai saputo accumularti.

-
CANTO XXII. 259

Queste parole Stazio mover fermo Drio ste parole Stazio ga ridesto 25
Un poco a riso pria; poscia rispose: Prima un iau i in ; po '1 ghe responde: Grato
Ogni tuo dir d'amor m'è caro cenno. Ogni lo dito me va al cuor. Del resto
Veramente più volte appaion cose, Gh'è cosse che de quel che le xe in fato,
Che danno a dubitar falsa malera, Spesso diverse le se crederla,
Per le vere cagion che son nascose. No savendo el perche. Co ti m' ha fato 30
La tua dimanda tuo creder m'avvera La domanda se avaro sta mi sia,
Esser, ch'io fossi avaro in l'altra vita, Me gera incorto che ti l' ha credudo,
Forse per quella cerchia dov'io era : Perchè ai avari gera in compagnia :
Or sappi ch'avarizia fu partita Sapi anzi ch'el contrario vizio ho avudo
Troppo da me, e questa dismisura De l'avarizia, e questo falo mio 35
Migliaia di lunari hanno punita. Dei mesi a mier a mier m' ha là tegnudo.
E, se non fosse ch'io drizzai mia cura, E se no me gavesse convertio,
Quand'io intesi là dove tu chiame, Co a 'dir ti sto crior, quasi indii,'i
Crucciato quasi all'umana natura : Co la natura umana, t' ho sentio :
Perchè non reggi tu, o sacra fame D'oro empia fame, insin dove ti va 40
Dell'oro, l'appetito de' mortali ? Mai l'omo a strassinar? pur mia malora
Voltando sentirei le giostre grame. Saria tra i volta pesi condanà.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali Che sbuse avea le man m'ho incorto alora,
Potean le mani a spendere, e pentoliii E pentido me son de sto pecà,
Cosi di quel come degli altri mali. Come dei altri m' ho pentido ancora. 45
Quanti risurgeran co' crini scemi, Quanti ressussitando mancava
Per l'ignoranza, che di questa pecca Dei so cavei, che in vita, o in sul morir
Toglie il penttr vivendo, e negli estremi ! No i se pente, perchè '1 sia un mal no i sa !
E sappi che la colpa, che rimbecca E come zo a l'Inferno, t'ho da dir,
Per dritta opposizione alcun peccato, Che i do oposti pecati anca qua drento 50
Con esso insieme qui suo verde secca. I ga l'istessa pena da patir.
Però s'io son tra quella gente stato, Se qua donca dei ani cento e cento
Che piange l'avarizia, per purgarmi, Mi so sta tra i avari, come lori
Per lo contrario suo m'è incontrato. Per el vizio contrario ho avù el tormento.
Or, quando tu cantasti le crude armi Ma, salta su chi ga cantà i pastori : 55
Della doppia tristizia di Giocasta, Co dei fradei la morte ti ha cantà,
Disse 'l Cantor de' bucolici carmi, Ghe a Giocasta ga dà do gran dolori,
27 lo dito — tuo detto = Del resto = frase usala quando si ripiglia un argomento sospeso per interiezione,
30 Co = quando.
36 Itti meli a mier a mier =. a migliaia vedi v. 67 del C. precedente.
38 Co -_- quando ;- ilo crior i|unsi trainà = questa gridata quasi adirato.
40 D'oro nnliiu fame = è il passo del Lib. IH dell'Eneide. — Quid non mortalia pecioni cogli, ourt sin.ru
[noits 1
42 Saria ira i volta pai condanà — cioè, sarei dannato a volgere i gravi pesi tra gli avari e i prodighi
laggiù nell'inferno. Vedi Inferno C. VII. v. 25 e seguenti.
43 Che sbiisc avea le man -- frase che vale prodigalità.
46-47 mancarii Dei to cavei -.. vedi C. VII. v. 57 dell'lnf., uvV detto, che i prodighi risusciteranno nel di
del giudizio coi capelli tosati.
53 to -- sono.
55 Ma, tallo su = ma soggiunge = chi ga cantò i pastori = cioè Virgilio autore della Bucolica, ossia dei
versi pastorali.
58 Co = quando = dei fradei = Eteoele e Polinice ligli di Giocasta, la cui morte viene descritta da Sta
zio nella sua Tebaide.
57 do = due = Giocasta soffrì doppia amarezza per la pugna dei due suoi ligli Eteoele e Polinice.
260 DEL PURGATORIO
Per quel che Clio lì con teco tasta, Dai tasti che con Clio ti ga tocà,
Non par che ti facesse ancor fedele Par no ti avessi fede ancora in Dio,
La fe', senza la qual ben far non basta. ' Che senz'eia el far ben valor no ga. 60
Se così è, qual sole o quai candele Qual celeste o teren lume schiario
Ti stenebraron sì, che tu drizzasti T'ha donca 1'intetelo, e persuaso
Poscia diretro al Pescator le vele ? Del Pescaor starghe a le vele drio?
Ed egli a lui : Tu prima m'inviasti Lu ghe responde : A l'aqua del Parnaso,
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte, Ti m' ha invià prima ti, po m' ha moitrà fu
E poi appresso Dio m'alluminasti. Del ciel la strada la to scrita. El caso
Facesti come quei che va di notte, De chi porta el feral, ti ha renovà,
Che porta il lume dietro, e sè non giova, De note in schena, che noi serve a elo,
Ma dopo sè fa le persone dotte, Ma el ghe fa chiaro a chi da drio ghe va,
Quando dicesti : Secol si rinnova ; Quando ti ha dito: El secolo vien belo; 70
Torna giustizia e primo tempo umano; Torna giustizia, e '1 primo tempo uman,
E progenie discende dal ciel nuova. E un omo afato novo vien dal cielo.
Per te poeta fui, per te cristiano : Per ti so sta poeta e po cristian :
Ma perchè veggi me' ciò ch'io disegno, Ma a farle ben capir come l'è stada,
A colorar distenderò la mano. La storia mia te contarò drio man. 75
Già era il mondo tutto quanto pregno Gera per luto el mondo semenada
Della vera credenza, seminata La vera fede de Gesù incarnà,
Per li messaggi dell'eterno regno; Che i Apostoli soi ga proelamada ;
E la parola tua sopra toccata E con quanto li ha li profelizà,
Si consonava a' nuovi predicanti ; Le prediche de lori se acorda va; 80
Ond'io a visitarli presi usata. Per questo a praticarli m' ho invogià.
Vennermi poi parendo tanto santi, La so bontà cussi m'interessava,
Che, quando Domizian 1i perseguette, Che quando Domizian li ha maltratai,
Senza mio lacrimar non fm lor pianti. Con eli da passion mi lagremava.
E mentre che di là per me si stette, Sin che ho vissudo mi li go agiulai; 85
Io gli sovvenni, e lor dritti costumi Le virtù soe m' ha inàmorà talmente,
Fèr dispregiare a me tutt'altre sette ; Ohi1 i dogmi dei pagani ho desprezzai.
E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi No gavea la Tebaide ancora in mente
Di Tebe poetando, ebh'io battesmo; Co ho av ù el batizo, ma no go volesto
Ma per paura chiuso cristian fu' mi, Per paura scoverzerme; e la zente !i"
Lungamente mostrando paganesimi : Pagan per un gran pezzo m' ha credesto :

58 Clio - Musa invocata da Stazio in principio del poema.


63 Del ì'aeaor = cio* S. Pietro.
64-65 A /'nr/n« ./t-/ Paratilo Ti m'ha invià prima li = cioè per te divenni poeta.
66 In lo tcrita = la tua scrittura.
70-72 Et iecolo vien belo te. = ecco i versi di Virgilio, Gel. IV. Magma ab integro iirelorum natciutr ardo-
Jam redti et Virgo, redeunt Saturnia regna: Jam nova progenie* calo dunil/ilin- allo. Questa profezia traiti di i
libri sibillini, è applicala da Virgilio alla nascita del figlio di Pollioue, ma varii scrittori cristiani, e fra questi
Sant'Agostino, opinarono elic fosse un cenno al divin Redentore. E Dante imagina elic anche Stazio la intendesse
in questo senso.
73 so sta = sono stato.
83 Domizian - .. Domiziauo imperatore dei Romani, figlio di Vespasiano mosse la seconda persecuzione con-
.lio il Cristianesimo.
89 Co - - quando.
CA.VTO xxii. 261
E questa tiepidezza il quarto cerchio Quatrocent'ani e più per sta temanza,
Cerchiar mi fe più che '1 quarto centesmo. Penar al quarto cerchio go doveste.
Tu dunque, che levato bai '1 coperchio Ti che ti m' ha cavà da l'ignoranza,
Che m'ascondeva quanto bene io dico, Che me impediva de scovrir el Inin, 95
Munire che del salire avem soverchio, Insin che tempo d'andar su ne avanza,
Dimmi dov'è Terenzio, nostro antico, Se ti sa, dime, dove xe Varon,
Cecilie, Plauto e Varro, se lo sai : E Terenzio, e Cecilio e Plauto, e se
Dimmi se son dannati, ed in qual vico. I fusse zo a l'Inferno, e in qual preson.
Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai, Quel Varon, Persio, mi e i altri tre 100
Rispose il Duca mio, siam con quel Greco, E tanti, al Limbo, dise el Mestro mio,
Che le Muse lattar più ch'altro mai, Semo nu tuti con quel Grego, che
Nel primo cinghio del carcere cieco. Più ch'ogni altro le Muse ga nutrio.
Spesse fiate ragioniam del monte, Tante volte parlemo de quel monte,
C'ba le nutrici nostre sempre seco. Dove le nostre nene ga el so nio. 105
Eurìpide v'è nosco, e Anacreonte, Xe Euripide con nu e Anacreonte,
Simonide, Agatone, ed altri piue Simonide, Agaton e altri de lori
Greci, che già di lauro ornar la fronte. Greghi, d'aloro ghiandai la fronte.
Quivi si veggion delle genti tue Del to poema ghe xe là i a tori;
Aatigone, Deifile ed Argia, Gh'è Antigone, Deifile, la Argia 110
Ed Ismene sì trista come fue. E Ismene, che ha patio dei gran dolori :
Yedesi quella che mostrò Cangia ; Quela ghe xe che ga mostrà Langìa;
ETvÌ la figlia di Tiresia, e Teli, Ulu: xe la Mola de Tiresia e Teti,
E eoa le suore sue Deidamia. E gh'ì co le sorele Deidamia.
Tacevansi ambedue già li poeti, Zonti in cima a la scala, i do Poeti 115
Di nuovo attenti a riguardare intorno, Dava in silenzio atorno un altra ochiada,
Liberi dal salire e da' pareti; De la scala lassando i parapeti.
E già le quattro ancelle eran del giorno L'ora quarta del dì gera passada,
Rimase addietro, e la quinta era al temo, E la quinta movendosi-, eia za
Drizzando pur in su l'ardente corno, Gera dopo de quela ben inviada, 120
Quando '1 mio Duca : Io credo ch'alio stremo Quando : La spala rii Uà in fora qua
Le destre spalle volger ci convegna, Penso, dise el Dotor, tegnir dovemo,

9I lemanza = tema, timore.


93 al quarto cerehia — dove sono a purgare gli accidiosi: vedi C. XVIII.
97-98 dove xe Varon, Tertnzio ee. — questi e gli altri qui nominati sono antichi uomini illustri.
100 e i altri Ire . timi Terenzio, Cecilio e Plauto nominati di sopra.
102 con quel Grego — cioè, Omero primo poeta greco.
104 de iiuri munii- — cioè, del Parnaso.
105 le nostre nene .--. le nostre balie, cioè le Muse, .-- ga 'I so nio - hanno il loro nido, la loro dimora.
106-107 Earijiidi = celebre poeta tragico = Anacreonte = poeta lirico = Simonide, Agatone = altri poeti
greci.
108 iiirlnndiH — inghirlandati.
109 i atori = cioè i personaggi elic furono da Stazio introdotti nella Tchaide.
110-111 Aniiiinnr — figlia di Edipo re di Tebe - Deifile — figlia di Adrasto re degli Argivi e moglie di
l'ideo -. Anjiu altra figlia di Adrasto mogli': di Poi i iiice — Ismene • figlia anch'essa di Edipo, alla quale le
fu da Tidco ucciso Circo suo promesso sposo.
112 Que'a ghe xe che ga mostra l.angin — cioè Isifile figlia di 'l'umde re. di Lenno. Costei fu presa dui
piriti e venduta a Licurgo di IN'emeu del quale ebbe a muli-in' un figlio chiamato Ofelte. Isifile lo lasciò sull'erba
per mostrare a Adrasto e al suo esercito assetato la fonte o il fiume Langia; e una serpe lo uccise.
113 la fiala de Tiresto --- cioè Duine, donna di lettere e poetessa. -- Trii = madre di Achille.
114 co h i-arete Deidamia = tiglic di Licomede re di Sciro.
262 DEL PURGATORIO
Girando il monte come far solemo. Zirando el monte com'el s' ha /irà,
Così l'usanza fu lì nostra insegna, Cossi l'usanza che seguio gavemo,
E prendemmo la via con men sospetto Ne ga valso de scorta; e sul trozeto, 125
Per l'assentir di quell'anima degna. Contento Stazio, tuli tre se inviemo.
!'',) I i givan dinanzi, ed io soletto Da drio de lori andava mi solelo
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni I so discorsi de ascollar in ato,
Ch'a poetar mi davano intelletto. Che de far versi m' infiamava el peto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni Ma un alboro i discorsi ha roto a un trato, 130
Un alber, che trovammo in mezzo strada, Che a meza strada avemo visto mi
Con pomi ad odorar soavi e buoni. Cargo de pomi bei e de odor grato.
E come abete in alto si disgrada Come i rami d'albèo va sempre più
Di ramo in ramo, così quello in giuso; Strenzendo in cima, in quel streti i calava,
Cred'io perchè persona su non vada. Forsi a ciò nissun possa andarghe su. 135
Dal lato, onde il cammin nostro era chiuso. Per la sponda del trozo in ui cascava
Cadea dall'alta roccia un liquor chiaro, Da l'alta eroda un bianco licorin,
E si spandeva per le foglie suso. Che per le fogie po se sparpagnava.
Li duo poeti all'alber s'appressaro ; Co i do Poeti i xe al pomer vicin,
Ed una voce per entro le fronde Tra i rami sento dir : Nè del licor, UO
Gridò : Di questo cibo avrete caro. Nè de sti pomi gustare un tantin.
Poi disse : Più pensava Maria, onde E po : A le nozze più de farghe onor
Fosser le nozze orrevoli ed intere. Pensà Maria, che no a' la boca, aveva,
Ch'alia sua bocca, ch'or per voi risponde. Che s'avre adesso sol per vostro amor.
E le Romane antiche per lor bere Le Romane aqua sola le beveva, M»
Contente furon d'acqua, e Daniello Contente in vechio. e perchè refudava
Dispregiò cibo ed acquistò savere. Daniel el cibo, sienza el riceveva.
Lo secol primo quant'oro fu bello ; La fame ne l'età de l'oro dava
Fè savorose con fame le ghiande, A le giande bon gusto saorio,
E nettare con sete ogni ruscello. E la sè in t'un licor l'aqua cambiava. '-"'"
Mele e locuste furon le vivande, De miei e cavalete s' ha nutrio
Che nudriro il Batista nel diserto ; El Santo Giambattista nel deserto,
Perch'egli è glorioso, e tanto grande, E gloria adesso el ga vicin a Dio,
Quanto per l'Evangelio v'è aperto. Come '1 santo Vangelio ve fa certo.

125 Irozeto — piccolo e augusto semicrudo: vedi il C. XX. v. 4-9.


133 folata = di abete.
137 licorin = I ignorino.
142-143 A te nozze et. — Maria alle nozze di Cuna più elic a mangiare pensava a far si che lo sposo non
avesse vergogna per la mancanza di vino, e die il convito andasse bene. Questo e gli altri, clic seguono, sono
esempi portati contro il peccato della gola.
146 in vechio = anticamente. = rrfudava — riliutava.
147 limiid = il giovine profeta Daniele rifiutò il cibo della mensa reale di Nabucodonosor, e perciò elkf
da Dio la grazia di acquistare ogni scienza.
149 Aduno - saporito.
150 la nè — la sete.
151 mvalete = locuste.
265

CANTO VENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Desio dell'arbor, che spiega suoi rami La vogia de quei pomi a de la pura
Verso ali' ingiù, e sete di pura onda Aqua, .'h.' tien i rami soi shianzai.
"I "ni dimagra, e andar ne li fa grami. Li fa tanto smagrir da lar paura.
Narra Forese, che quivi si monda Conta a Dante Forese i so pecai;
Sue colpe; e loda della moglie il pianto Loda do so mugier el pianto caro.
Che il suo purgarsi avaccia ed asseconda, Che ga i ani de pena a In scurtai.
E all'altre donne di biasimo intanto. E a l'altre done el tagia 20 el labaro.

Mentre che gli occhi per la fronda verde Mentre tra i rami verdi l'ochio mio
Ficcava io così, come far suole Ficava, come el cazzador lo tien,
Chi dietro all'uccellin sua vita perde; Perdendo el tempo, a l'oseleto drio ;
Lo più che padre mi dicea : Figliuole, Quel che me fa più che da pare: Vien
Vienne oramai, che '1 tempo che c'è imposto Con nu, el me dise, che a far pro del resto
Più utilmente compartir si vuole. ' Del tempo che i ne dona, ne convien.
r voUi '1 viso e il passo non men tosto El viso e i pie voltai, m' ho tirà presto
Appresso a' savi, che parlavan sie, Rente ai Savi, dei quali me liiz/e,i
Che l'andar mi facèn di nullo costo. I bei discorsi andar lem-io e lesto.
Ed ecco pianger e cantar s'udie, Quando in coro pianzendo, Labia mea, 10
Labia meo, Domine, per modo Domine, s' ha sentio cantar cossi,
Tal, che diletto e doglia parturie. Che in cuor dogia e dileto ve mutivi.
O dolce Padre, che è quel ch'i' odo ? Coss'è, pare, sti canti ? ho dito mi ;
Comincia' io : ed egli : Ombre, che vanno E lu: Aneme xe, che, ghe scometo,
Forse di lor dover solvendo il nodo. El so pecà le sta purgando lì. 15
Sì come i peregrio pensosi fanno, Come i viandanti coi pensieri in peto,
Giugnendo per cammiu gente non nota, Incontrando no mai veduda zente,
Che si volgono ad essa e non ristanno ; I se volta a vardarla e i tira dreto ;
Così diretro a noi, più tosto mota, Cussi presto drlo a nu ne ariva arente
Venendo e trapassando, ci ammirava Vardandone una trupa, e passa via, 20
D'anime turba tacita e devota. D'aneme senza arfiar devotamente.
Negli occhi era ciascuna oscura e cava. I ochi a tute incavai se ghe scovriu :
Pallida nella faccia, e tanto scema, Smorte smorte e smagrie le gera a ségno,
Che dall'ossa la pelle s'informava. Che sola pele i ossi coverzia.
Non credo che così a buccia strema Erisitòn tanto smagrà ritegno 25
Erisilon si fusse fatto secco, Noi fusse dal dezun co, spaventà,
Per digiunar, quando più n'ebbe tema. Morir da la gran fame el xe sta degno.

7 m'ho lira = mi trassi.


8 llintr — appresso, accosto, a lalo.
10-11 Labia mea. Domine — Domine labia mea aperies, i il v. 17 del Salmo 50.
18 e i (ira drelo = e vanno difilato, senza Interrompere l'andata.
Il i-enza arfiar ---.. senza fiatare.
25 Erin'tón = Erisitone, dicono le favole, che, insiiitela Cerere, fu da questa dea acceso di tanta fame che,
consumata ogni sua sostanzn, vendette la figlia, e finalmente volse i denti in se stesso.
264 DEL PUHGATORIG
Io dicea, fra me stesso pensando : Ecco Cossi gera i Ebrei, tra mi ho pensà,
La gente che perdè Gerusalemme, Quando che i denti sul so (ini Maria
Quando Maria nel figlio die di becco. , Per la fame in furor la ga piantà. 30
Parean l'occhiaie anella senza gemme: Castoni voili par che i ochi sia ;
rbi nel viso degli uomini legge omo, Chi leze omo de l'omo in viso, scrito
Ben avria quivi conosciuto l'emme. Chiaro là l' M visto el gavaria.
Cbi crederebbe che l'odor d'un pomo Che tal sechezza chi l'avria mai dito,
Sì governasse, generando brama, D'un pomèr e d'un aqua el solo odor
E quel d'un'acqua, non sappiendo como ? Prndni- dovesse, no trovando el drito?
Già era in ammirar che sì gli affama, Maravegiando co la smania in cuor
Per la cagione ancor non manifesta Za stava, per saver qual causa mai
Di lor magrezza e di lor trista squama ; Fava quela magrezza e quel squalor ;
Ed ecco del profondo della testa Quando un, voltai su mi i ochi infossai,
Volse a me gli occhi un'ombra, e guardò fiso Vardandome ben flsso, in sta maniera
Poi gridò forte : Qual grazia m'è questa ? Ciga: Qual grazia me vien fata? Mai
Mai non l'avrei riconosciuto al viso; Lo gavarave conossudo in ciera ;
Ma nella voce sua mi fu palese Ma la so vose m' ha l'indizio averto,
Ciò che l'aspetto in sé avea conquiso. Che più sm ,i quel viso no ghe gera.
Questa favilla tutta mi raccese Xe stà sta vose che m' ha fato certo
Mia conoscenza alla cambiata labbia, De chi, mnii tuto, più no conosseva,
E ravvisai la faccia di Forese. E de Forese el viso ho descoverlo.
Dch non contendere all'asciutta scabbia, No sta far atenzion, lu me diseva,
Che mi scolora, pregava, la pelle, A la mia pele seca e infrapolia, 50
Nè a difetto di carne che io aljtfia ; Nè a la carne badar che prima aveva;
Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle Ma de ti dame nove, e di' chi sia
Due anime che là ti fanno scorta ; Le do aneme là che qua te mena;
Non rimaner che tu non mi favelle. No laser donca, pàrlimu mo via.
La faccia tua, ch'io lagrimai già morta, E a lu digo : El to viso me fa pena 55
Mi dà di pianger mo non minor doglia, Come quando lo go, li morto, pianto,
Risposi lui, veggendola sì torta. Desso che desformà conosso apena.
Però mi di', per Dio, che sì vi sfoglia ; Ma coss'è, dime, che ve smagra tanto;
Non mi far dir mentr'io mi maraviglio, No far che parla insin che so incanta,
Che mal può dir chi è pien d'altra voglia. Che no avria el mio discorso bon impianto. 60
Ed egli a me : Dell'eterno consiglio E lu : Ga piasso al giusto Dio, che qua
Cade virtù nell'acqua, e nella pianta Me gabia da smagrir per ci poder
Rimasa addietro, ond'io sì mi sottiglio. Ch'el ga dà a l'acqua e al albero restà

28-30 gara i Ebrei = gli Ebrei elic furouo costretti a cedere a Tilo Gerusalemme, assediata, uri qmk m-
contro Maria, gentildonna Girosolomitana, vinta da rabbiosissima fame, volsc i denti nel proprio fìgliuolino.
32-33 Chi leze mno tee. = nel volto umano pare ad alcuni elie si veggano i segni della lettera M, fra )<
gamlic della quale sìeno frapposti due O; onde leggonvì Omo: i due O sonagli occhi; l'Jf formasi dalle cigiii
e dal naso. Questi segni meglio appariscono nei volti scarni.
36 no Irovaudo el drila — nuli sapendo scuoprirnc il modo.
48 Farese = fu della famiglia fiorentina dei Donati fratello di Messer Corso e di Piccarda, ed amico e "a-
rente di Dante, di cui era moglie una Gemma di Donati.
50 infrapolia = raggrinzata.
54 mo = particella riempitiva.
59 to incanta --. sono preso da miraviglia.
60 Che no avria el mio d'inono 6an impianto •.. che il mio discorso sarebbe non bene fondato.
CANTO xxrti. 265
Tutta Mia gente che piangendo canta, Qua indrio. Tuta sta zente per aver
Per seguitar la gola oltre misura, La gola secondada, pianze e canta 65
In fame e in sete qui si rifà santa. Tra la fame e la se' per po godèr.
Di bere e di mangiar n'accende cura Da magnar e da bever de la pianta
L'odor ch'esce del pomo, e dello sprazzo Ne fa vogia l'odor, e l'aqua chiara
Che si distende su per la verdura. Ohe su tute le fogie la vien spanta.
E non pur una volta, questo spazzo No una sol volta questa pianta avara, 70
Girando, si rinfresca nostra pena ; , Qua zirando, la pena ne renova ;
Io dico pena, e dovre' dir sollazzo ; Digo pena, e dovea zontarghe cara :
Che quella voglia all'arbore ci mena, Che la brama de l'album se prova,
Che menò Cristo lieto a dire Eli Che ha menà Cristo a dir alegro Eli,
Quando ne Uberò con la sua vena. Quando el n" ha dì col sangue vita nova. 75
Ed io a lui : Forese, da quel dì Mi ghe digo : Forese, da quel di
Nel quai mutasti mondo a miglior vita, Che al mondo per el ciel ti ha dà l'adio,
Cinqu'anni non son volti insino a qui. (•Fianca cinque ani xe passai. Se ti
Se prima fu la possa in te finita La pase nel morir ti ha avù con Dio,
Di peccar più, che sorvenisse l'ora Quando pecar no ti podevi più, 80
Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita, Che alora solo ti t" ha ben pentio ;
Come se' tu quassù venuto ? Ancora Vegnir come astu fato sin qua su ?
Io ti credea trovar laggiù di sotto, Credea trovarle là da basso ancora,
Dove tempo per tempo si ristora. Dove sta chi se perno tardi. E lu :
Ed egli a me: Sì tosto m'ha condotto El dolce absinzio a ingioter qua de sora, 85
A ber lo dolce assenzio de' martiri Me ga tirà ben presto et lagremar
La Nel'.a mia col suo pianger dirotto. Che a goti la mia Nela ha butà fora.
Con suoi prieghi devoti e con sospiri Eia m' ha coi sospiri e col pregar
Tratto m' ha della costa ove s'aspetta, Cavà via da de là dove s'aspeta,
E liberato m' ha degli altri giri. E anca da sii altri ziri liberar 90
Tant'è a Dio più cara e più diletta La m' ha possù. Più ancora a Dio xe acela
La vedovella mia, che tanto amai, La vedoela mia, che ho tanto amada,
Quanto in bene operare è più soletta ; Mantegnindose in mezo al sporco nela;
Che la Barbagia di Sardigna assai Che Barbagia in Sardegna, più onorada
Nelle femmine sue è più pudica Per le sgualdrine soe se poi tegnir, 95
Che la Barbagia dov'io la lasciai. Che la Barbagia, in dove l'1to lassada.
O dolce frate, che vuoi tu ch'io dica ? Caro fradelo, cossa possio dir ?
Tempo futuro m'è già nel cospetto, Vegnerà '1 tempo, e za el me xe presente

70 avara - nel senso elic rifiuta i suoi fratti agli affamati che purgano il peccato della gola.
72 ;,,nini iilir --- aggiungerle.
74 III, = Eit lammo tabachtani, sono parole elic Cristo disse sulla croce poro avanti di spirare, e signifi
cano: Dio mio, perchè mi hai abbandonalo ?
76-84 = Vedi il C. MI. v. 136-140, e il C. IV. v. 130-135.
85 l'J dolce absinzio — chiama Koresc dolce assenzio le pene sebbene amare per se medesime, perchè sono
desiderale siccome quelle che lo fanno degno dell'eterna beatitudine.
87 a goti = frase che denota il Ingrimare a dirotto = AWo = moglie di Forese, elin benchè giovane ser
bi) usta vedovanza e fece molle buone opere in suffragio dell'anima del marito.
94 Rarbayia = e la parte più incolta e montuosa di Sardegna: cosi era chiamala per esser quasi barbara
E quando i Genovesi tolsero l'isola agli infedeli, non mui soggiogarono la Uurbngia, dov'erano donne mollo sco
stumate e disonestamente vestile.
06 (l„ la Barbogia .-.-.- di quello elic sia la Barbagia di Toscana, vale a dire di Firenze.
266 DEL PURGATORlO
Cui non sarà quest'ora molto antica, Nè '1 starà tanto, quando proibir
Nel qual sarà in pergamo interdetto Se sentirà dal pulpito aspramente 100
Alle sfacciate donne fiorentine A te sfrontade done fiorentine,
L'andar mostrando con le poppe il petto. De andar mostrando i nui peti a la zente.
Quai Barbare fur mai, quai Saracine, Quando Barbare mai, o Saracine
Cui bisognasse, per farle ir coverte, Bisogno ha avù, per farle andar coverte,
O spiritali o altre discipline ! De corezion umane o de divine ! 105
Ma se le svergognate fosser certe Ma se le vergognose fusse certe
Di quel che il ciel veloce loro ammanna. De quel che presto ghe parechia il cielo,
Già per urlare avrian le bocche aperte. Le sfaragiarave con le boche averte,
Che, se l'antiveder qui non m'inganna, Che se no profetizo mal, fradelo,
Prima flen triste, che le guance impeli Prima custie le gavarà el castigo 110
Colui che mo si consola con nanna. Che nassa al so bambin sul viso el pelo.
Deh, frate, or fa che più non mi ti celi; Ma di' com'estu qua vegnudo, amigo ?
Vedi che non pur io, ma questa gente Varda che no mi solo, ma sta zente
Tutta rimira là dove il Sol veli. Se incanta dove al Sol ti xe de intrigo.
Perch'io a lui : se ti riduci a mente E mi: se quel che insieme ti ga in mente 11o
Qual fosti meco e quale io teco fui, Semo stai nu quel tempo desgrazià,
Ancor fia grave il memorar presente. Mai ne farà in pensarlo solamente.
Di quella vita mi volse costui, Dai bruti vizi, l'altro dì passà '
Che mi va innanzi, l'altr'ler, quando tonda M' ha tolto questo che me va davanti,
Vi si mostrò la suora di colui Quando la Luna el tondo ga mostrà. 120
(E il Sol mostrai). Costui per la profonda Elo, mi vivo, el m' ha menà tra i pianti
Notte menato m' ha de' veri morti, Dei danai al'lnferno, e vegnui fora
Con questa vera carne che il seconda. Da là, coi so consegi e avisi tanti,
lndi m' han tratto su gli suoi conforti, El m' ha tirà zirando qua de sora
Salendo e rigirando la montagna, E rezirando per sto monte via, 125
Che drizza voi che il mondo fece torti. Che dai guasti del mondo ve restora.
Tanto dice di farmi sua compagna, S' ha impegnà lu de farme compagnia
Ch'io sarò là dove Ma Beatrice : Sin che troverò Bice in altro regno ;
Quivi convien che senza lui rimagna. Là eia sola sarà compagna mia.
Virgilio è questi che così mi dice Questo è Virgilio, e con un dèo gh'el segno, 130
(E addita' lo), e quest'altro è quell'ombra Ch'el m' ha dito cussi, l'altro «e quelo,
Per cui scosse dianzi ogni pendice Per el qual desso ha tremà el monte, e degno
Lo vostro regno che da sè la sgombra. Del ciel, lo lassa andar libero el cielo.

103 Sortifine = nel medio Evo si chiamavano Saracine indistintamente tutte le nazioni, tranne gli Ebrei,
clic non professavano il Cristianesimo.
108 /.e tòragiarave •••• esse striderrbbcro.
114 al Sol li xe de intrigo = cioè, fai col tuo corpo inciampo al passaggio del raggio solare.
116 anno stai nu = cioè, quali fummo insieme, vale a dire dati alla vanita ed ai piaceri del secolo.
119 quexto — cioè Virgilio.
130 dèo = dito.
131 l'altro re — cioè Stazio.
267

CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Un'altra pianta qui spiega sue frutte. Un altro arhoro mostra qua I so fruti.
Sotto cui striiion le bramose genti, Soto el qual sta cigando de la xente
Col desio acceso, e. colle labbra asciutte ; Co la vi-L'iii dei pomi, n i lavri snti;
Alian le mani, e a v6to usano i denti. I alza le man, e 1 denti invanamente
Poi si diparton li Poeti, e vanno I sbate. I do Poeti ariva avanti,
Dove un de Cherubini rilucenti Dove andar suno un Cherubin lusente
Pio su gl'invita, ov'altrc anime stanno. Li invida, e i trova altre aneme purganti.

Nè il dir l'andar, ne l'andar lui più lento Nè'l parlar fava adasio caminar,
Ftcea : ma ragionando andavam forte Nè l'andar parlar pian, ma là s'andava
Sì come nave pinta da buon vento. Parlando, come vela sgionfa in mar.
E l'ombre, che parean cose rimorte, L'aneme, che ai stramortì somegiava,
Per le fosse degli occhi ammirazione Per esser vivo mi, maravegiando,
Traean di me, di mio vivere accorte. Tute i ochi incavai le me piantava.
Ed io, continuando il mio sermone. E digo, el mio discorso seguitando,
Dissi: Ella sen va su forse piùtarda, Più che noi voria el passo lu retarda,
Che non farebbe, per l'altrui cagione. Forsi perchè con nu lu vien parlando.
Ma dimmi, se tu sai, ilo v è leccarda ; Ma dime, se ti sa, dov'è Picarda; 10
Dimmi s'io veggio da notar persona E se nissun ch'abia de fama el vanto
Tra questa gente che sì mi riguarda. Ghe sia tra questi che cussi me varda.
La mia sorella, che tra bella e buona La mia sorela, che no so dir quanto
Non so qual fosse più, trionfa lieta Se più bela o più bona la sia stada,
Viniliti Olimpo già di sua corona. Xe in ciel gloriosa, el dise, e dopo : Tanto Ì5
Si disse prima : n poi : Qui non si vieta La fame n' ha la ciera desformada,
Di nominai ciascun, da ch' è sì munta Che ognuna de quest'aneme qua su,
Nostra sembianza via per la dieta. Oramai la poi esser nominada.
Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta ; Xe Bongiunta de Luca questo, e lu
Buonaglunta da Lucca : e quella faccia Me l' ha mostrà col dèo, e quel de là
Di là da lui, più che l'altre trapunta, De tuti i altri zupegà de più,
Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia : L'è sta Papa dal Torso, c'1 purga qua

4 stramortì — più che morii.


7 el mio discorso seguitando — con Forese.
8 tu = lui, cioè Stazio.
9 con nu - con noi cioè Dante e Virgilio coi quali Stazio s' intratteneva a dialogare.
10 Picarda — Piccanla Donati sorella del detto Forese e di Corso, e figlia di Siolonc; bellissima della per
sona. Fatta monaca di Santa Chiara, fu da Corso, venuto da Bologna dov'era podesta, tratta a forza dal monastero
per menarla sposa a Rossellino della Tosa, A cui l'avea promessa: ma ella poco appresso infermò e mori.
19 Bongiunta = Bonagiunta degli Urbiciani da Lucca, fu rimatore mediocre, ma a quando a quando ele
gante. Visse ai tempi di Dante.
21 zupegà = estremamente magro.
22 l'igni dal Torso - - egli è Martino IV di Tours; buon uomo e molto amico della cosa di Francia. Fa
ccia morire nella vernaccia (vino bianco generoso e dolce, onde abbonda la riviera di Genova) le anguille del
lago di Bolsena; e poi con tutta squisitezza cucinate se le mangiava avidamente. Regnò dal 1280 al 1284.
268 DEL PURGATORIO
Dal Torso fu, e purga per digiuno Le anguile de Bolsena ch'el gaveva
L'anguile di Bolsena e la vernaccia. Gustade in tei vin bianco a sazietà.
Molti altri mi nomò ad uno ad uno ; EI nome de lanti altri el me diseva, 25
E del nomar parean tutti contenti, Che in patè nominar i se lassava,
Sì ch'io però non vidi un atto bruno. E nissun ciura torbia ne faseva.
Vidi per fame a vuoto usar li denti Quel Bonifazio ho ochià, che governava
Ibaldin dalla Pila, e Bonifazio Col pastorai gran popoli, e Ubaldin
Che pasturò col rocco molte genti. Che l'aria da la fame i mastegava ; 30
Vidi messcr Marchese, ch'ebbe spazio E st'altro che a Forlì, lior marchesin,
Già di bere a Forti con men secchezza, Con manco sè de qua, mai stralassà
E si fu tal che non si sentì sazio. L'ha dal trincar, nè s'ha sazià del vin.
Ma, come fa chi guarda, e poi fa prezza Ma come chi co l'ochio stima fa
Più d'un che d'altro, fe' io a quel da Lucca, De un più d'un altro, Bongiunta ho ceraio, 35
Che più parea di me voler contezza. Che più a parlar con mi par invogià.
Ei mormorava; e non so che Gentucca De la Gentuca el nome gh'è sortio,
Sentiva io là ov'el sentia la piaga Barbotando da là dove el castigo,
Della giustizia che sì gli pilucca. Che fa smagrir, proprio ga messo Dio.
O anima, diss'io, che par si vaga O anema che a discorer, a lu digo, W
Di parlar meco, fa si ch'io t'intenda, Ti te mostri con mi tanto vogiosa,
E te e me col tuo parlare appaga. Parlando a mi, ti e mi contenta. Amigo,
Femmina è nata, e non porta ancor benda, Nata è una dona ancora da far sposa,
Cominciò ci, che ti farà piacere Che piàser te farà la cità mia,
La mia città, come ch'uom la riprenda. Dise, siben un tal ghe ne fa glosa. *5
Tu te n'andrai con questo antivedere ; De là ti porterà sta profezia :
Se nel mio mormorar prendesti errore, Se scura in boca la me nasse e more,
Dichiareranti ancor le cose vere. La te sarà dai fati ben schiaria.
Ma di' s'io veggio qui colui che fuore Ma di' se vedo qua quel che discore
Trasse le nuove rime cominciando , Con quei cari so versi scomentando : 50
Donne, ch'avete intelletto d'amore. Donne, che avete intelletto d'amore.
Ed io a lui : 1' mi son un che, quando Ghe respondo : Mi son de quei che quando
Amore spira, noto, ed a quel modo Sento r.unor. ghe penso sora, e quanto

27 aera terbio = cera conturbata, aspra.


28 Bonifazio = Bonifuzio de' Fieschi conte di Lavagna , Arcivescovo di Ravenna , governò e resse mohe
popolazioni.
29 rimldin — Ubaldino degli Ubaldini, fu fratello del Cardinale Ottaviauo messo ueM'Inferno. C. X. v. MO.
30 mailegava - masticavo.
31 tt'or =IMI-C/IC.V(H = marchese de' Rigatino cavaliere di Forll gran bevitore. Narratogli dal suo cantinicre
che per la città si diceva ch'egli era sempre a bere; e lu rispondi, gli replicò, che io ho sempre sete.
:M co l'ochio =3 collo sguardo, u vista.
35 ho ceraio = ho scelto.
38 ineogià = invogliato, desideroso.
37 Genluca - (a una gentildonna Lucchese assai costumata, delln quale Dante s'invaghì quand'egli nel 1314
si portò a Lucca presso "amico suo Uguccionc della Faggiuola, il quale si era di quella città insignorito.
38 dove 'I castigo - cioè nella bocca, ove Dio lo pmii facendogli sentire il tormento della fame.
43 IVata e una dona = allude alla Gentuca di cui la Nota 37.
45 gioia - - censura, critica; qui lionagiunta sembra rimproverare lo stesso Dante che dicea male dell'
città di Lurca. Inferno, C. XXI. v. 40.
49 (/H(7 = cioè Dante Alighieri.
51 Donne che avete ee. --- cosi principia una nobilissima cantone di Dante io lode di Beatrice che si l'i"-.'
nella Vita Nuova.
CANTO XXIV. 269
Che detta dentro, vo significando. I. u me sa sugèrir vago delando.
O frate, issa vegg'io, diss'egli, il nodo Capisso adesso, dise l'altro, el tanto 55
Che il Notaio, e Giallone, e me ritenne Che a Guitòn, al Nodaro e a mi ha mancà
Di qua dal dolce stil nuovo ch' i' odo. Ptr darghe ai versi nostri el dolce incanto.
Io veggio ben come le vostre penne Capisso ben che i vostri versi ga
Diretto al dittator sen vanno strette, A i'amor che li deta tegnù drio,
Che delle nostre certo non avvenne. Mentre i nostri da quelo s' ha sbandii ; 60
E qual più a guardare oltre si melle, Chi voi piàser e amor no ga sentto,
Non vede più dall'uno all'altro stilo • Diferenza del scriver noi conosse;
E quasi contentato si tacette. E apagà quasi, el ga da dir finio.
Come gli augei che vernan lungo il Nilo, Come le grue del Nilo su le fosse
Alcuna volta di lor fanno schiera, Passa l'inverno in ordene ingrumae, 65
Poi rolan più in fretta e vanno in filo ; Po le svola più in pressa in lila mosse ;
Cosi tutta la gente che lì era, Cussi l'aneme tute là fermae,
Volgendo il viso, raffrettò suo passo, Per vogia e per sechezxa, a drita ochiando,
E per magrezza e per voler leggiera. Presto presto leziere le xe andae.
£ come l'uom che di trottare è lasso, Chi dal corcr stracà, pian camminando, 70
Lascia andar li compagni, e si passeggia Lassa andar i compagni insina tanto
Fui che si sfoghi l'affoIlar del casso; L'ansa ghe passa ; lalequal lassando
Si lasciò trapassar la santa greggia Forese passar via quel coro santo,
Forese, e dietro meco sen veniva, E drio de nu vegnindo: Quando sia,
Dicendo: Quando fia ch'i' ti riveggia? Me dise, che te veda ancora ? Quanto, 75
Non so, risposi lui, quant'io mi viva ; Respondo, viveru no savaria,
Ma già non lia '1 tornar mio tanto tosto, Ma tanto presto qua no tornerò,
Ch'io non sia col voler prima alla riva. Quanto bramo finir la vita mia.
Perocchè il luogo, u' fui a viver posto, Perchè ogni zorno più, da quel che so,
Di giorno "n giorno più di ben si spolpa, La mia patria la va de mal in pezo 80
E a trista ruina par disposto. Incontro al precipizio, cussi no !
Or ra, dlss'ei, che quei che più n' ha colpa Fa cuor, lu alora, che nel tempo lezo ;
Vegg'io a coda d'una bestia trailo R vedo da un cavalo a eoa tirà
Verso la valle, ove mai non si scolpa. Chi ga più colpa del'Inferno in mezo.
La bestia ad ogni passo va più ratto De gran corsa el cavalo indemonià, 85
Crescendo sempre, in fm ch'ella il percuote, Va via de fuga insin ch'el I' ha sbasio,
E lascia il corpo vilmente disfallo. Lassando el corpo tuto sconquassà.

56 a Gui/on = Guittonc fu d'Arezzo poeta più elegante di Bonagiunta: nacque nei 1250; di 34 inni si fece
dei frati Gaudenti, fu buon cittadino = Nodaro . il Notaro è il poeta Jacopo da tentino. Visse circa il 1270.
1* sue rime sono assai disadorne.
58 V muri vcrti = Dice vostri, perelio allude alle poesie non del solo Dante, ma di Guido Cavalcanti e di
Ciao da Pistola.
88 a drilu ockiandv -.—. volgendo gli ocelu a iit,iii dritta, come andavano prima.
SI cuoi no.' — cosi non fossel
83 Forese qui parla in tuono profetico.
84 C/ii ./» più colpa = cioè il Corsu Donati. Questi fu cavaliere di grande animo, ardito e franco, valen-
lissimu e bellissimo uomo. Fece farn in Firentc molti scandali per avere Stalo e Signoria; per il che nel 1308
fu citato dal popolo e condannato; le caso di lui assalite. Egli si difese co' suoi; abbandonato dai soccorsi pro-
iwssi da Uguceioue fuggì; ma inseguilo dai soldati Catalani, cadde o si gettò da cavallo e restato con un piede
utili staffa, ne fu tanto strascinato che i suoi nemici lo soprnggiunscro e lo finirono di uccidere presso u San
Silfi poco distante da Firenze, il di 6 di Ottobre.
86 tbatio = morto.
270 DEL, PtiRtiVrORlO.
Non hanno molto a volger quelle ruote No farà '1 Sol gran ziri avanti e indrio,
(E drizzò gli occhi al ciel), ch' a te lla chiaro (E '1 ga ochià '1 ciel) che quel che no me lassa
Ciò che '1 mio dir più dichiarar non puote. Più dir la boca, te sarà schiario. I
Tu ti rimani omai, chè '1 tempo è caro Fermite qua oramai: ch'el tempo passa
ln questo regno si, ch'io perdo troppo A nu tanto prezioso, e mi per starle
Venendo teco sì a paro a paro. A pari passo ghe ne perdo massa.
Qua1 esce alcuna volta di galoppo Come vien fora un cavalier de Marle
Lo cavalier di schiera che calvachi, Da la fila a galoppo, per i onori 95
E va per farsi onor del primo intoppo ; Del primo scontro, e core a l'altra parte;
Tal ti partì da noi con maggior valchi; Cussi lu andava a passi coridori
Ed io rimasi in via con esso 'i due, Coi altri do, lassandome impiantà,
Che fur del mondo sì gran maliscalchi. Che nel mondo i xe stai do gran dotori.
E quando innanzi a noi sì entrato fue, Co '1 s' ha da multi i tanto stontanà,
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci, Che in confuso sol vèderlo podeva,
Come la mente alle parole sue; Come el discorsp soo scuro el m' è sta ;
l'arvermi i rami gravidi e vivaci Un altro arboro verde mi vedeva
D'un altro pomo, e non molto lontani, Cargo de pomi, e no lontan da nu,
Per esser pur allora volto in laci. Chè solo alora l'ochio là spenseva. 105
Vidi gente sott'esso alzar le mani, Soto a quel zente co le man in su,
E gridar non so che verso le fronde Ghe diseva a le fogie no so cossa,
Quasi bramosi fantolini e vani, Cofà i palei, vogiosi che mai più,
Che pregano, e il pregato non risponde ; Prega chi no responde, el qual l'angossa
Ma per fare esser ben lor voglia acuta, Per cresserghe, el zogatolo veder
Tien alto lor disio, e noi nasconde. Fa in su cussi, che a quel rivar no i possa.
Poi si partì sì come ricreduta ; Tolti d'ingano i ga lassà el pomer ;
E noi venimmo al grande arbore adesso, E nu a l'alboro andemo al prego muto,
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta. E che de pianti no ne voi saver :
Trapassate oltre senza farvi presso ; Passe, no vegnì arente de sto fruto ; 115
Legno è più su che fu morso da Eva, El vien da l'altro che magnà ga Eva :
E questa pianta si levò da esso. Quel xe più in suso, e questo xe un so buto
Sì tra le frasche non so chi diceva ; Tra i rami, chi no so, cussi diseva ;
Perchè Virgilio e Stazio ed io ristretti Perciò Stazio, el Dotor e mi, lacai
Oltre andavam dal lato che si leva. Rivemo in dov' el muro alto se leva.
Ricordivi, dicea, de' maledetti Po la ose istessa ; Pensè a quei frustai,
Ne' nuvoli formati, che satolli Che da niola sortii, Teseo i sfidava,
Teseo combattèr co' doppi petti : Passui, coi peti umani e de oavai:

90 ll Pocta non nomina mai Corso perche suo parente.


98 lassandone impiantà — abbandonandomi.
110 zogatolo — giocatolo.
117 pili m auro = cioè nel Paradiso terrestre in cima del monte del purgatorio un sa butù = un suo
germoglio.
119 (acoi = insieme strettamente uniti, attaccati, stante l'angusta via e 1 alb ero nel meHO.
121-123 la ate alena te. = allude ai Centauri nati da lssione e dalla nuvo! a rappresentante la figura J
Giunone, i quali pieni di cibo e di vino volendo rapire a Piritoo la sposa lppodamia, combatterono contro If
neo ed Ercole, e quantunque avessero doppio petto d'uomo e di cavallo, rimasero vinti = la ose istetta - la
voce stessa = fnMm = birbanti = niola = nuvola = llasmi — satolli.
CANTO xxiv. 274
E degli Ebrei ch' al ber si mostrar molli, Pensè ai Ebrei che a bever se mostrava
Per che non gli ebbe, Gedeon compagni, Vogiosi tropo, e Gedeòn li ha ponti 125
Quando in ver Madian discese i colli. t'.o andà a Madiàn da lu li descazzava.
Si, accostati all'un de' duo vivagni, Rente a un orlo del trozo là nu zonti
Passammo, udendo colpe della gola, Gerimo, mentre andando via scoltemo
Seguite già da miseri guadagni. De la gola le pene e i pecai sconti.
Poi, rallargati per la strada sola, Per la strada sbratada dopo andemo, 130
Ben mille passi e più ci portammo oltre, E senza arliar ognuno meditando,
Contemplando ciascun senza parola. Più d'un miera de passi fati avemo.
Che andate pensando sì voi sol tre ? Cossa andeo soli vualtri tre pensando ?
Subita voce disse ; ond'io mi scossi, Sento dir d'improviso, e trago un scosso,
Come fan bestie spaventate e poltre. Come anulimi spaurio mentre sta oziando. 135
Drizzai la testa per veder chi fossi ; Go alzà la testa per vedèr se posso
E giammai non si videro in fornace Scovrir chi sia. S' ha mai visto in fornase
Vetri o metalli sì lucenti e rossi, O vero, o azzai cussi lusente e rosso,
Coarto vidi un che dicea : S'a voi piace Come quel che diseva : Se ve piase
Montare in su, qui si cumini dar volta ; Andar de sora, ga d'andar per qua 140
Quinci si va chi vuole andar per pace. Chi trovar dei beati voi la pase.
L' aspetto suo m'avea la vista tolta: El so aspeto m'aveva afato orbà,
Perch'io mi volsi indietro a' miei Dottori, E perciò driu ai sapienti andando, alora
Com'uom che va secondo ch'egli ascolta. Sol la rechia la strada m'ha insegnà.
E quale, annunziatrice degli alboti, Come l'aria de Magio in su l'aurora, 145
L'aura di maggio movesi ed olezza, Gravia da l'erba e dal teren liorio,
Tutta impregnata dall'erba e da' lievi ; Per luto un grato odor la spande fora ;
Tal mi senti' un vento dar per mezza Sento un vento sul fronte, e anca ho sentio
La fronte, e ben senti' mover la piuma, Moverse l' ala, che scassando un P,
Che fe sentir d'ambrosia l'orezza ; D'ambrosia el grato odor ghe ve sorti o. 150
E senti' dir : Beali cui alluma Po sento a dir: Beati quei che xe
Tanto di grazia, che l'amor del gusto Da la grazia nel cibo regolai,
Nel petto lor troppo llisir non fuma, Che tropo amor no i ga per quelo, nè
Esuriendo sempre quanto è giusto. l desidera più del giusto mai.

124-126 Pntè ai Mirti éc. = i soldati Ebrei, bevendo al fonte di Armi, si mostrarono troppo delicati ed
avidi, ponendosi giù in terra a bere culla bocca nella fonte; il perche Celicone, secondo il comandamento di
Dio, non li volle per compagni quanit'egli discese le colline per muovere contro i Madianili alleluiali alla pia
nura = punti = qui vale per puniti.
127 lientt a un orlo del trozo -.- vicino ad una estremità del viottolo: vedi qui sopra la nota 1 19 = NH
MIl'»' = noi giunti.
129 senati = nascosti, cioè ignorati prima di ascoltarli dai purganti.
130 sliraluila :- sgombra dagli alberi e dalle anime.
131 senza arfiar - senza fiatare.
132 d'un miera = d'un miglio.
134 trngn un SOMMI = dò un trabalzo: quello scotimento naturale dellu persona al sentire una voce im
provvisa.
149 scattando -... cassando, cancellaqdo.
151 ln quest'ultima terzina è parafrasato il lieali aui txuriunt iustitiam, parole omesse dall'Angelo, di cui
il v. 8 del C. XXll; vedi la nota ivi.
272 DEL PVRKATOnin

CANTO VENTESlMOQUlNTO
ARGOMENTO ^ ARGOMENTO
;J
Come sì puo far magro ove non aia \. , Come se poi vegnn. magri in un sito
Uopo di cibo, Dante chiede, e Stazio Dove el cibo no ocor : sto dubio andando
Gli selva il dubbio meniro sono in via. Fa Dante, e Stazio lo ha schiario pulito.
Poi trovan fiamma nell'ultimo spazio, Po ne l'ultimo ziro un fogo grando
Chfi quivi ardendo quel peccato monda, Eli trova, che brusa quel pec^,
Ond' hanno l'alme sulla terra strazio, Che in sto mondo va l'aneme strazsando,
Se mal volere Venore asseconda. Se l'abuso de Venere se fa.

Ora era che '1 salir non volea storpio, Passada gera de do ore l'ora
Chè '1 Sole avea lo cerchio di merigge De mezo zcinni, e tempo da butar
Lasciato al Tauro, e la Notte allo Scorpio. No ne avanzava per andar de sora.
Per che, come fa l'unni che non s'aflligge, Perciò come chi ha pressa d'un afar,
Ma vassi alla via sua, checchè gli appaia, Se '1 vede tirar drito la so strada,
Se di bisogno stimolo il trafigge; E qualsia incontro no lo fa fermar;
Cosi entrammo noi por la callaia, Cossi un drio l'altro avemo nu imbocada
Uno innanzi altro, prendendo la scala La stradela, chiapando la scaleta,
Che per artezza i salitor dispaia. Che a do a do no lassa che se vada.
E quale il cicognin che leva l'ala E come per svolar la cicogne!a le
Per voglia di volare, r non s'attenta Prova l'ala a stargar, nè avendo cuor
D'abbandonar lo nido, e giù la cala ; De lassar el so nido in zo la pela ;
Tal era io, con voglia accesa e spenta Tra la vogia anca mi e tra '1 tinnii
Di dimandar, venendo in lino all'atto Re domandar, fazzo de quelo el sesto
Che fa colui ch'a dicer s'argomenta. Che la parola, ch'el voi dir, ghe mor.
Non lasciò, per l'andar che fosse ratto, Dise, siben andassimo aseae presto
Lo dolce Padre mio, ma disse : Scocca El mio bon Pare : Via, quel buta fora
L'arco del dir, che insino al ferro hai tratto. Che ti geri per dir, nè ti ha podesto.
Allor sicuramente aprii la bocca, Scazzà '1 limni , la boca averzo alora,
•211
E cominciai : Come si può far magro E digo : Come poi smagrir la zente
Là dove l'uopo di nutrir non tocca ? ('.he no ghe ocor el cibo più qua sora ?
Se t'ammontassi come Meleagro Se come consumà ti avessi in mente,
Si consumò al consumar d'un tizzo, S' ha Melagro d'un stizzo al consumar ;

4 pretta — premura.
9. a do a da = n due a due uniti.
11 nè uneuitii cuor -•• nò avendo coraggio.
12 tu zo la psla . in giù la butta, la deppne.
14 fazzo de quelo el tetto — faccio l'atto di colui.
17 Pare = padre.
23 .S Vi a Melagro = nato Mcleagro, le fate dissero clic il viver suo avrebbe durato finclic fosse consumslo
un ramo d'albero ch'esse posero ad ardere. Sua madre Altra prese e spense il lizzo. Poi Meleagro nccise il cin
ghiale mandato per ira di Diana a ne dono ad Atalanta la testa. Gli zii di lui n'ebbero ira, presero quel teschio
ed egli gli nccise. Alluni Altea per vendetta dei due fratelli, venne in tanto furore che rimise nel fuoco T1
lizzo onde il giovane si mori.
CANTO XXV. 273
\on fora, di-v. questo a te si agro : Ti capiressi el fato chiaramente.
E se pensassi come al rostro guizzo E com'el spechio, se ti sta a pensar, 25
Guizza dentro allo specchio vostra image, Te rende a vista moto qualsesia,
tii che par duro ti parrebbe rizzo. Saria panada quel che osso te par.
Ma perchè dentro a tuo roler t'adage, Ma aciò de man in man te sia schiaria
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego, La cossa, eco qua Stazio, che lo prego
Che sia or sanator delle tue piage. Fartela ben capir per cortesia. 30
Se la veduta eterna gli dispiego, Disc Stazio : Se avanti a ti ghe spiego
Rispose Stazio, laddove tu sie, Le maravegie de sto eterno sito,
Discolpi me non potert'io far niego. Me scusa el prego too che no tei nego.
Poi cominciò: Se le parole mie, Po '1 scomenza: Fradelo, se pulito
Figlio, la mente tua guarda e riceve, Ti consideri e intendi el mio parlar, 35
Lume ti fieno al come che tu die. Te scomparirà '1 dubio che ti ha dito.
Sangue perfetto, che mai non si beve Al sangue puro che no poi suchiar
Dall'assetate vene, e si rimane Le vene che ga sè, e sempre el sta
Quasi alimento che di mensa leve, lndrio, come l'avanzo del disnar,
Prende nel cuore a tutte membra umane Per formar corpi umani el cuor ghe dà 40
Virtute informativa, come quello Virtù tal, che per farse in quei va lesto
Ch'a farsi quelle per le rene rane. Tra le vene. Più ancora ratinà
Ancor digesto scende ov'è più bello Zo '1 vien in dove laser xe modesto ;
Tacer che dire; e quindi poscia geme Po '1 cala su altro sangue in tei vaseto
Sovr'altrui sangue in naturai vasello. Da la natura destinà per questo. 45
lvi s'accoglie l'uno e l'altro insieme, Là insieme fa i do sangui un missianzeto,
l.'un disposto a patire e l'altro a fare, Un disposto per tor, l'altro per dar,
Per lo perfetto luogo onde si preme; Perchè zoso da un logo el vien perfeto.
E giunto lui, comincia ad operare, Sto sangue unito a l'altro a laorar
Coagulando prima, e poi avviva Scomenza ; in prima el se infississe, e quando 50
Ciò che per sua materia fe constare. S" ha formà l'embrion lo va anemar.
Anima fatta la viriate attiva, Annua, la virtù, che sta operando,
Qual d'una pianta, in tanto differente, Vien, solo da una pianta diferente,
Che quest'è in via, e quella è già a riva, Che questa è a cao, e quela se va inviando ;
Tanto ovra poi, che già si muove e sente, L'opera insin che la se move e sente, 55
Come fungo marino ; ed ivi imprende Come un fongo de mar; e la scomenza
Ad organar le posse ond'è semente. l organi a far del corpo bravamente.
Or si spiega, figlinolo, or si distende L'umor che vien dal cuor, al qua1 potenza
La virtù ch'è dal cuor del generante, Ga dà natura el corpo a generar,
Dove natura a tutte membra intende. El se siarga e se stonga a l'ocorenza. 60
Ma, come d'animai divegna fante, Ma come in questo la ragion entrar

46 i do sanguì = cioè |il sangue del maschio e quello ilclla femmina — un tnissianzeto ..- una mesco-
luz*.
48 iln nn lago el vien perfeto = discende dal cuore ili tintura perfetta.
50 e/ te infusine — si coagula.
51 l'embrion = cioè il feto.
54 è a cao = è compiuta.
18
274 DEL PURGATORIO
Non vedi tu ancor : quest'è tal punto Possa, no ti sa ancora. A tomo via
Che più savio di te già fece errante; Un più savio de ti ga fato andar
Sì che, per sua dottrina, fe disgiunto Sta question. L'inteleto in compagnia
Dall'anima il possibile intelletto, De l'anema no sta, perchè, dis'elo, G5
Perchè da lui non vide organo assunto. In quel noi scovre un organo qualsia.
Apri alla verità, che viene, il petto, Ma come po la xe, scolta : el cervelo
E sappi che, sì tosto com'al feto Sapi, chtl apena apena là nel felo
L'articolar del cerebro è perfetto, In luta perfezion s'ha fato, Quelo
Lo Motor primo a lui si volge lieto, Che tuto move, varda con dilclo 70
Sovra tant'arte di natura e spira Tant'arte de natura, e col so Ilà
Spirito nuovo di virtù repleto, Spirito ghe introduce de inteleto,
Che ciò che truova attivo quivi tira Che di in lu, quel che ha moto e xe aneroà
In sua sustanza, e fassi un'alma sola, Se tira ; e cussi un ancma elo sola
Che vive e sente, e sè in sè rigira. Che vive e sente, e che riflete el fa. 75
E perchè meno ammiri la parola, Ma per megio capir la mia parola,
Guarda il calor del Sol che si fa vino, Varda el calor del Sol che se fa un,
Giunto all'umor che dalla vite cola. l 'nìn a l'umor che da la vida còla.
E quando Lachesis non ha più lino, E co I. uchrsi ga lilà el so Un.
Solvesi dalla carne, ed in virtute L'anema lassa el corpo, e drio se porta 80
Seco ne porta e l'umano e il divino. Quanto Il'uni, in l'aveva e de ilivin.
L'altre potenzio tutte quante mute ; Del corpo ogni potenza resta morta ;
Memoria, intelligenzia, e volontarie, Ma el voler, la memoria e Hnteleto
In atto, molto più che prima, acute. Più ancora se rafina. Senza scorta
Senza ristarsi, per sè stessa cade La fa subitamente el so viazrio 85
Mirabilmente all'una delle rive; Sin Acheronte, o al mar; e po là zonta,
Quivi conosce prima le sue strade. Quai sia la vede in prima el so tragheto:
Tosto che luogo lì la circonscrive, E in dove la se ferma se fa pronta,
La virtù formativa raggia intorno. Solo per virtù soa, de l'aria un velo
Così e quanto nelle membra vive. Su la forma del corpo, in dove sconta 80
E comè l'aere, quand'è ben piorno, L'è stada. E come tra i vapori el cielo
Per l'altrui raggio che in sè riflette, Per riflesso del Sol el se pitura
1)1 diversi color si mostra adorno ; De diversi colori e se fa belo ;
Così l'aer viclu quivi si mette Cossi tol l'aria intorno la figura,
In quella forma, che in lui suggella Che in virtù soa ga l'aintma incalmada. 95

62'63 A larzìo via Un più savio de ti gn fato aiutai- = fece i-udore iu orrore, prenderir abbaglio UH;i di
te più sapiente. Averroe commentatore d'ArUtulelc disgiunse dall'anima lu facoltà d'Intendere così denominain da
gli scolastici, perchè non vide che l'intelletto per inU-ndrrc facesse uso d'alcun organo corporeo, a quel modi-
elic fu l'anima sensitiva, quando per vedere usa di-li 'occhio e per udire dell'orecchio.
fif-70 Quelo elic luta move = Dio.
71-75 col so fiù tee. = eoi suo (iato infondo un nuovo spinto d'intellcllo: questa e l'anima intelleitiva che
attrae e identifica nella propria sostanza tutto quello che nel feto trova di attivo, cioè l'anima sensitiva t la
vegetativa; u così, di tre anime ne fu una sola, elic xrgrti, sente ed intende.
78 còla — scola.
79 co = quando = Lachesi = e quella deìle Ire l'ardic elic lila lo stame della viia umana.
86 Sin Achci-onte, o ni mar — Acheronte, fiume dell'Infcrnv, al mare .Medilcrrauco sulla foce del Tevere
Vedi C. II. v. 101 = e po In Z'mtu = e poi eulii giunia.
S7 tr0yhtlo — trafitto per l'acqua.
95 iucalmaita = qui e presa nel significalo di impressa.
CAM'O XXV. 275
Virtualmente l'alma che ristette: E come al fogo, che per so natura
E simigliarne poi alla fiammella Tien ili in la llama da per luto el vada,
Che segue il fuoco là 'vunque si muta. Cossi sta l'aria, per l'avtia potenza,
Segue alio spirto sua furma novella. Forma nova al so spirito tacada.
Perocchè quindi ha poscia sua paruta, Ombra ha nome perciò la so aparenza ; 100
E chiamat'ombra ; e quindi organa poi E regolai po tuli i sentimenti,
Ciascun sentire insino alla veduta. lnsina de la vista no va senza.
Quindi parliamo, e quindi ridiam noi, Qua donca nu parlcmo tra i tormenti,
Quindi facciam le lagrime e i sospiri, Come anca rider, pianzer, sospirar
Che per lo monte aver sentiti puoi. Ti ga in sto monte za scntio e ti senti. 105
Secondo che ci affiggon li disiri Co le vogie ne vien a bisegar,
E gli altri affetli, l'ombra si figura; L'ombra la fa d'un vivo i sesti e i tiri,
E questa è la cagion di che tu miri. E xe quel che te fa maravegiar.
E già venuto all'ultima tortura Vegnù dove xe i ultimi sospiri, »
S'era per noi, e volto alla man destra, L'alenzion nostra a drita ne chiamava 110
Ed eravamo attenti ad altra cara. De quel ultimo ziro altri martiri.
Quivi la ripa fiamma in l'mir balestra, Qua una fiama la sponda gomitava
E la cornice spira fiato in suso, Kemandada con furia da un gran vento,
Che la reflette, e via da lei sequestra. Che l'orlo del trozeto in su supiava ;
Ond'ir ne convenia dal lato schiuso E a un a un sforzai d'andar a stento 115
Ad uno ad uno, ed io temeva il fuoco Hi ii) quel orlo, in azonU al gran suplizio
Quinci, e quindi temeva il cader giuso. Del fogo, de cascar gavea spavento.
Lo Duca mio dicea : per questo loco Me diseva el Dotor : Qua gran giudizio
Si vuoi tenere agii occhi stretto il freno, Bisogna aver, e i ochi in testa qua
Perocch'errar potrebbesi per poco. Per scapolar la iiama e '1 precipizio. 1.20
Summce Deus clementia>, nel seno El Smania; Deus clementine go ascoltà
Del grand'ardore allora udi' cantando, ln mezo al fogo vegnir via cantar,
Che di volger mi fe caler non meno. E là in quel sito l'ochio go butà.
E vidi spirti por la fiamma andando : Quando spiriti ho visti caminar
Perch'io guardava ai loro ed a' miei passi, • ln tui fogo, le ochiae mi spartindo, ora 125
Compartendo la vista a quando a quando. I so passi, ora i mii stava a spiar.
Appresso il fìne, ch'a quell'inno fasst, ln sul linir del Salmo, a forte alora . . ,
Gridavan alto: Virum non cagnosco; K• Virum non cognoaco, eli cantava y
lndi ricominciavan l'inno bassi. Po a voso bassa i lo cantava ancora.
Finitolo, anche gridavano : Al busco Terminà che i ga l'lno, anca i cigava : 130

99 tacada = congiunta.
106 histqar = frugare.
107 i sesti e i tiri -- gli atti r i modi.
113 ltemaniladu •••• respinta in dietro.
lH l'orto — la cima dellu rivu si.nza spumi:i — trn i.Io — vi.illdo — xnfiiucu =: sufliava.
116 in iizuHt'i " in aggiunta.
119 e i ufili in testa = i: stare accorti.
121 Suiuraie Dcux clementiiv i• il principio ilcll'imio ihc hi ivdla m'l matlntinu ilei 'Sattato, o che
nnnr purgatili la lussuria, cantano percliè in esso si ilonianila a Din il dunii ilrlla purita.
128 Vinoa non cugnoicu = parole iletto ila Maria Vergine ull'AiTìnigflu Uabricle.
276 DEL l'IiRGATORIO
Si tenne Diana, ed Elice caccionne, Diana coreva al bosco, e Elice via
Che di Venere avea sentito il tosco. Ga descazzada per lusuria in bando.
Indi al cantar tornavano; indi donne Dopo altri canti, eli a lodar se invia
Gridavano, e mariti che fur casti, liini r e mai i i stai casti, come za
Come virtute e matrimonio imponne. . La virtù e '1 matrimonio voi che sia. 135
E questo modo credo che lor basti E de sto i riitu penso i andarà
Per tutto il tempo che '1 fuoco gli abbrucia : Sin che li purga el fogo: el pentimento
Con tal cura conviene e con tai pasti E quel martirio ghe destruzerà
Che la piaga dassezzo si ricucia. L'ultimo vizio a l'ultimo tormento.

131-132 Diana coreva al botca ce. - Diana cacciatrice, che sempre si mantenne vergine, avendo inteso etic
una fanciulla del suo seguito chiamata Calisto, era gravida, corse al bosco ove aveala lasciata, e tosto ne la cac
ciò. = Questa poi divenne in cielo l'Orsa Maggiore, costellazione che in greco chiamasi Elice.
134 e i marti = e i mariti.
136 E de tlo trota -- e cosi di seguito.
139 L'ultimo vizio a l'ultimo tormento -- cioè il peccato elic si punisce nell'ultimo girone.

CANTO VENTESIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

In pianto o fuoco l'anima s'affina, El pianto ? el fogo l'anema ratina.


E ardendo purga quegli error perversi De la sporca lusuria el mal purgando.
Di cui Lussuria fa studio e dottrina. Che qua soso la fa tanta rovina.
Fra quei tapini spiriti diverzi Fra quei miseri Dante caminando,
Dante conosce Guido Guinicelli El riconosce Guido Gulniceli
Tesor sì dolce d'amorosi versi, Che bei versi d'amor 1'* anda poetando.
E Arnaldo Daniello anch'è con quelli. E anca Arnaldo Daniel trova tra queli.

Mentre che sì per l'orlo, uno innanzi altro, In orlo andando un dopo l'altro, Bada,
Ce n'andavamo, spesso il buon Maestro De trato in trato el Mestro me disevn,
Diceva : Guarda ; giovi ch'io ti scaltro. Dove ti puzi i pie longo la strada.
Feriami il Sole in su l'omero destro. La spala drita el Sol za me bateva,
Che già, raggiando, tutto l'occidente El qual coi ragi sol tuto el Ponente,
Mutava in bianco aspetto di cilestro ; Da celeste, perlin vegnir faseva.
Ed io facea con l'ombra più rovente Se mostrava, per l'ombra mia, più ardente
Parer la fiamma, e pur a tanto indizio La fiama, e questo solo ga bastà
Vidi molt'oimbre, andando, poner mente. A lante aneme in moto, a darme mente.
Questa fu la cagion che diede inizio Xe questo sta '1 motivo che ga dà
Loro a parlar di me ; e cominciarsi A loro de parlar de mi, col dir:
A dir: Colui non par corpo liti izin. Noi par un corpo fmto colù là.

1 In orlo andando = andando per l'orlo (dell'angusto sentiero) vedi il v. 114 e seg del Canto precedenIe
6 perlin = color della perla.
9 tante aneme in moto -. che andavano camminando — a dorme mente = ad osservarmi.
(UNTO XXVI. 277
Poi verso me, quanto poteVan farsi, Qualcune po, più che le poi vegnir,
Cerii -.i feron, sempre con riguardo Rente a mi s'ha tirà, sempre vardando
Di non uscir dove non fosser arsi. Da quele tiame da no mai sortir. 15
O tu, che val, non per esser più tardo, Ti che ti va drio i altri cumuiando,
Ma forse reverente, agli altri dopo, Per linea forsi no, ma per rispelo,
Rispondi a me, che in sete ed in fuoco ardo : Respondi a mi che me ardo qua bramando :
Né solo a me la tua risposta è uopo ; Nè za mi solo la resposta aspeto,
Cha tutti questi n' hanno maggior sete Che vogia d'eia, più che d'aqua freda 20
Che d'acqua fredda Indo o Etiopo. Etiopo o Indian, sentimo luti in peto.
Dinne com'è che fai di te parete Dine mo come mai al Sol suceda
Al Sol, come se tu non fossi ancora Che ti te oponi, quasi no te sia ,
Di morte entrato dentro dalla rete ? Da la morte chiapà fato so prjjda. /
Sì mi parlava un d'essi, ed io mi fora Cussi un de quei; e mi za gera in via 25
Gii manifesto, s'i non fossi atteso Per scovrirme, se un'altra novità
Ad altra novità ch'apparse allora ; No gavesse impegnà la mente mia;
Che per lo mezzo del cammino acceso Che de mezo al sentier tuto incendià
Venia gente col viso incontro a questa, Vegniva incontro a questa nova zente,
La qual mi fece a rimirar sospeso. E in v;u dai In ben fisso m' ho incantà. 30
Li veggio d'ogni parte farsi presta Quel'aneme s'incontra, e prestamente
Ciascun'ombra, e baciarsi una con una, Le se basa una a una de scampon,
Senza ristar, contente a breve festa. De farse ciera in passar via contente.
Così per entro loro schiera bruna Talqual in negra lila de sbrisson
S'ammusa l'unii con l'altra formica, Le formighe una a l'altra dà de muso, 35
Forse a spiar lor via e lor fortuna. Per spiar forsi el so viazo e '1 so bocon.
Tosto che parton l'accoglienza amica, In lassarse, lima la festa d'uso,
Prima che '1 primo passo 1i trascorra, Ognun de quei prima d'inviarsi- ancora,
Sopraggridar ciascuna s'affatica I uni ai altri in premura dise suso,
La nuova gente: Soddoma e Gomorra; Quei vegnui dopo : Sodoma e Gomora.; 40
E -l'altra; Nella vacca entra Pasife, In vaca entra Pasife, sii altri ciga,
Perchè il torello a sua lussuria corra. Aciò '1 toro a la soa lusuria el cora.
Poi come gru, ch'alle montagne Rife Dopo, come ai Rifèi monti una riga
Volasser parte, e parte in ver l'arene, Va de grue, e l'altra in Libia va svolando,
Queste del giel, quelle del Sole schife ; Del fredo questa, del calor nemiga 45
L'ima gente sen va, l'altra sen viene, Quela ; cossi vegnindo un grumo, e andando
E tornan lagrimando a' primi canti, L'altro, col nino pianto i torna ai canti,
E al gridar che più lor si conviene: I adatai casti esempi recordando.
H raccostarsi a me, come davanti, E queli istessi, che pregà m' ha avanti,

14 lì, ini. a mi x'hn tirà -.- dappresso a me si trasse.


20 cogia = desiderio.
21 Etiopo o Indian — popoli di regioni arse dal Sole.
32 de scampon _.- alla sfuggita.
33. De forte riera — dell'amorevole accoglienza.
34 dt ibrisson = passando frettolosamente.
40 Sodoma e Gomora = vedi Inf. C. XI. v. 50.
41-42 Pari/i --. qui è per simbolo delle disordinate libidini: vedi lui. C. XII v. 12-13.
43 Rifèi monti = le montagne Rifec trovansi nella Moscovia boreale, e parte verso le arene della Libia.
46 grumo = gruppo.
278 . PKl. l'l lìf.ATOKlO
Essi medesmi, che m/avean pregato, l se ga fato ancora a mi darente, 50
Attenti ad ascoltar ne' lur sembianti. Sporzendo in ascoltar el viso avanti.
lo, che due volte avea visto lor grato, Mi che ho visto do volte in quela zente
lncominciai : O anime sicure Tanta vogia, digo: Aneme, che sè
D'aver, quando che sia, di pace stato, Dcstinae per el ciclo certamente,
Non son rimase acerbe nè mature Nè zovene nè vechio restà xe 55
• Le membra mie di là, ma son qui meco El corpo mio de lù, ma qua presente
tlui sangue suo e con le sue giunture, bornio proprio de l'uncma el vedè.
Quinci su vo per non esser più cieco: Da qua in ciel vago per schiarir la mente;
Donna è di sopra clic n'acquista grazia, Dona là prega per la grazia mia ;
Perchè '1 mortai pel vostro mondo reco. Sto mio corpo perciò qua vive e sente. 60
Ma se la vostra maggior voglia sazia Ma la vostra gran vogia sazia sia
Tosto divogna, si che'l ciel v'alberghi Cussi, che presto possiè vèder Dio,
Ch'è pien d'amore e più ampio si spazia, E góder grazia intiera là su via;
Ditemi, acciocchè ancor carte ne vergili, Anca aciò ci muta zo sul libro mio,
Chi siete voi, e chi è quella turba Chi geri vualtri vogiè dirmo suso, 65
Che si ne va diretro a' vostri terghi? E sii altri che in passar v' hit dà i"acilo.
Non altrimenti stupido si turba Come el montaner stupido e confuso
Lo montanaro, e rimirando .immuta, La cità sta vardando senza aiTiar,
Quando roz/o e salvatico s'inurba, Apena là per drento el fica ci muso,
Che ciascun'onibra lece in sua panila: L'istesso luti quei resta in vardar ; "O
Ma poichè furon di stupore scarclic, Ma co le maravegie gh'è passade,
Lo qual negli alti cuor tosto s'attula, Che in ccrvel descantà no poi durar,
Beato te, che delle nostre marche, O ti beato, che per sic contrade,
Ricominciò colei che pria ne chiese, ni. • quclo de prima, ti avarà
l'er viver meglio esperienza imbarchci Spjricnze del bon viver imparade! 75
La gente, che non vien con noi, offese Quei che va indi.io, cascai xr in quel pecà,
Di ciò, per che già Osar, trionfando, Per ci qual i soldai, Giulio trionfando,
Kegina contra sè chiamar s'intese. Sul so viso Regina i l'ha chiamà.
lìero si parton Soddoma gridando, Per questo biascmandose, cigando
Uimprovera'ndo a sè, coni' hai udito, l va Sodoma, come ti ha sentio, 80
E aiutan l'arsura vergognando. E da vergogna i ga lmi m più grando.
Nostro peccato fu ermafrodito ; Bruto è sia el pecà nostro maledio,
Ma perche non servammo umana legge, Cilè de natura andai fora dal segno,
Seguendo come bestie l'appetito, De le bestie a le vogie stando drio,
ln obbrobrio di noi per noi si legge, ln vituperio a nu del far indegno 85

iio rogic =: vogliale.


71 Ma co = ma qnnnilo.
72 ilfscuntn — svegliato (inielli.llo).
70 iIaci prea = sottintenilrsi ili soilomia.
iUNTO XXVl. 279
Quando partiamoi, il nome di colei Cighemo, andando, el nome de culia
Che s'imbestiò nell'imbestiate schegge. Che s'ha imbestìà drento un bestion de legno.
Or sai nostri atti, e di che fummo rei : Le azion nostre e i pecai ti sa quai sia;
Se forse a nome vuoi saper chi semo, Chi semo, e i nomi se saver t'invogia.
Tempo non è da dire, e non saprei. No xe l'ora de dir, nè 'l savaria. 90
Farotti ben di me volere scemo ; Ma su mi sol te apagarò la vogia :
Son Guido Guinicelli, e già mi purgo Son Guincoli; e qua son, perchè de cuor
Per ben dolermi prima ch'alio stremo. Go avù avanti morir del vizio dogia.
Quali nella tristizia di Licurgo Come xe de Licurgo nel dolor
Si fèr duo Agli a riveder la madre, Restà i do fioi in rivedèr so mare, 95
Tal mi fec'io, ma non a tanto insurgo, Son restà (ma no ho avudo d'eli el cuor)
Quando i'udi' nomar sè stesso il padre Quando scoverto lu se ga mio pare,
Mio e degli altri miei miglior, che mai E dei megio mii amici, che creà
Rime d'amore usàr dolci e leggiadre : Nissan ga rime più graziose e care.
E senza udire e dir pensoso andai Concentrà in mi, con sto pensier vardà 100
Lunga fiata rimirando lui, L'ho per un pezzo, e arente no podeva
Nè per lo fuoco in là più m'appressai. Andarghe per quel fogo. Co sfogà
Poichè di riguardar pasciuto fui, Dè vardarlo ben fisso me gaveva,
Tutto m'offersi pronto al suo servigio, Al servizio de lu luto m'impegno,
Con raffermar che fa creder altrui. E col mio zuramento gh'el diseva. 105
Ed egli a me : Tu lasci tal vestigio, E lu : Da quel che sento un grato segno
Per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro, Ti me lassi d'amor, e cussi chiaro,
l.be Lete noi può tórre nè far bigio. Che no lo poi scurir d'obrio el regno.
Ma, se le tue parole or ver giuraro, Ma se ti /ni i el vero, dime, caro,
Dimmi che è cagion perchè dimostri Coss'è che col parlar ti mostri, quanto 110
Nel dire e nel guardar d'avermi caro? Coi ochi toi, d'averme tanto a caro ?
Ed io a lui : Li dolci detti vostri E mi : Xe stai quei versi toi d'incanto,
Che, c| nani M durerà l'uso moderno, Che insin la lingua nostra durerà,
Faranno cari ancora i loro inchiostri. De deliziar i avarà ancora el vanto.
O frate, disse, onesti ch'io ti scerno Quel là davanti, el dise, e '1 l' ha mostrà 115
Col dito (e additò un spirto innanzi) Segnandomelo a dèo, l'è dei più boni
Fu miglior fabbro del parlar materno. Ch'alii.i el so provenzal megio parlà.
Versi d'amore e prose di romanzi Per romanze e per versi cocoloni

S6-87 de culia - di colei cioè Pasife entrata nella vacca fabbricata in legno.
92 Guinccli ..- Guido Guinicelli celebre rimatore bolognese, uomo retta e ralente in iscienza, e dei primi
a pulire lo stile italiano. Fu Ghibellino ed esale nel 1268.
93 Go avù avanti morir del vizio dogia -- ebbi prima di morire dolore del mio peccato.
91 Licurgo — re di Nomea; aveva dato il fìgliuletta Ofclte in custodia ad I-i dle, ed essendogli stato morto
da un serpe, acciecalo dal dolore si disponeva ad uccidere lsiOle, quando nell'atto di essere sacrificata, venne
Coperta dai suoi due figli Toantc ed Euneo dopo essere andati in traccia di lei che era stata rapita dai Corsari.
95 ao mare = sua madve.
96 ma no ho avudo d'eli ci cuor - ma non ebbi di essi l'egual coraggio. l detti due ligli si gettarono nel
l'impeto dell'affetto al collo della madre loro appena lu videro e la conobbero. Dante non ebbe il coraggio di
fare altrettanto verso il Guinicelli porcile le fiamme ne lo impedivano. -- cuor -- sta qui per coraggio.
97 mio pare = mio padre.
108 Che no lo poi scurir d'obvio el regna =; che il regno dell'oblio, cioè Lete, non può oscurare.
lli tanto a caro = tanto affezionato.
116 a dèo -•• a dito.
118 cocoloni = cari, amorevoli: ò questi Anulilo Dunicllo celebre trovatore e pocta provenzale del secolo Xlll.
280 DEL PURGATORlO
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti L'è '1 primo, e quel de Lemosi pur lassa
Che quel di Lemosi credon ch'avanzi. Ch'el sia megio de )u dir ai zuconi. 120
A voce più ch'ai ver drizzan li volti, Più che ai fati, a la vose i bada massa,
E così ferman sua opinione E i dà fora cussi la so opinion
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti. Senza aspetar che altra rason ghe nassa.
Così fèr molti antichi di Guittone, Cossi i fava in antigo de Guiton
Di grido in grido pur lui dando pregio, Portà in ciel da le vose, insina tanto 125
Fin che l' ha vinto il ver con più persone. Che altri pueti i l' ha licà in canton.
Or se tu hai sì ampio privilegio, Ti che oramai la grazia ti ha tra '1 canto
Che licito ti sia l'andare al chiostro, Dei beati d'andar in ciel là su,
Nel quale è Cristo abate del collegio, Che i ga per el so capo Cristo Santo,
Fagli per me un dir di Paternostro, Per mi ti dighe un Paternostro a Lu, 130
Quanto bisogna a noi di questo mondo, Solo sin ch'el ne giova qua in sto mondo,
Ove poter peccar non è più nostro. ln dove no podemo pecar più.
Poi, forse per dar luogo altrui secondo, Po forsi per dar logo a quel secondo,
Che presso avea, disparve per lo fuoco, Che ghe vien drio, tra '1 fogo ci se sianzava,
Come per l'aqua il pesce andando al fondo. Com'el pesse in tei aqua sbrissa in fondo. 135
lo mi feci al mostrato innanzi un poco, Andà più arente a quel ch'el me segnava
E dissi ch'ai suo nome il mio disire Col dèo, mi lo sconzuro che sentir
Apparecchiava grazioso loco. Me fazza con qual nome el se chiamava.
E cominciò liberamente a dire: Elo scomenza zentilmente a dir:
Tam m'abelhis vostre cortes deman, Tan m'abelhis vostre cortes deman, 1W
Qu'ieu no m puesc ni m tolli a vos cobrire. Qu'ieu no-m paese nt-m voill a vos cobrir.
leu sui Annuii-, que piar, e vai chantan: le sui Arnaulz, que piar, e vai canlan;
Consiros vei la passatitx /o/or, Consiros vei la passada folor,
E vei jauzen lo joi qu'esper denan. E vei jauzen lo joi qu'esper, denan.
Arax us prec per aquella valor, Ara us prec per aquella valor, 145
Que us guia al som sens freich e sens calina, Que us guia al som sens freich e sens scolma
Sovcnha us atemprar ma dotar. Savenha us atemprar ma do/or.
Poi s'ascose nel fuoco che gli affina. Po '1 xe spario in tei fogo che i aliila.

110 i1nil de Lanosi = cioè Gerault de Bcrneil pocta di Limoges o Lemasi, clic il volgo preferi ai) Arnaldo
Danicllo.
120 zuconi . . stolti, ignoranti.
124 fluilmi .- Guittone pocta Aretino.
131 $0(0 si',) ch'el ne giova qua in slo mondo = sin dorè ci gioia a questo mondo (del Purgatorio), cioè sino
all'ultima parie del Pater noster; vedi il C. Xl.
133 a iInfl umniiti1 ~- cioè Arnaldo Daniello di cui la nota sopra 118.
135 tbritta = sdrucciola.
110 l'ini m'abelhis ec. = ceco la traduzione italiana levata ila1 Fraticelli, colla corrispondente veneziana.
Tanto m'c bel vostro gentil comando, Xe la domanda vostra zentil tanto,
Ch'io non mi posso o voglio a voi coprire: Che no posso nè vogio a vu star sconto:
Arnaldo io .mi, che piango e vo cantando; Anulilo son che qua pianzendo cauto;
Pensoso veggio il mio passato errore, Sempre me sia 'l miu falo drente io nior,
F. lo sperato ili veggio esultando. E alt.gro speto ci di che saro santo.
Or faccio prego a voi per quel valore Adesso prego vu per quel favor.
Che al sommo della scala v'incammina, Che in cima de lu scala ve fa andar,
Di temprar vi sovvenga il mio dolore. De siesicrir pregando el mio dolor.
148 infma — purgando l'anime dai peccati.
281

CANTO VENTESIMOSETTIMO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Entra nel foco per veder Beatrice Dante va in fogo per veder la Bice ;
Dante, e lo passa col dolce pensiero, Recala un fià, ma dopo col pensier
Che lo rinfranca pur d'esser felice. Dolce lo passa ch'el sarà felice.
lodi col sonno pio si fa leggiero ; Dopo un sono el se sente più lezier ;
Ma desto aiiiu Virgilio pii rammenta, Ma el bon Virgilio fa vegnirghe in mente,
Ch'ei non gli è guida nel nuovo sentiero, Che de guidarlo noi ga più el poder,
Io coi puo gir da so quando il consenta. E solo el poi andar liberamente.

Siccome quando i primi raggi vibra Nel ponto gera el Sol che a la montagna
Là dove il suo Fattore il sangue sparse. De Sion stanzando i primi ragi, favà
Cadendo Ibero sotto l'alta Libra, Mezodi in India e meza note in Spagna :
E 1'onde in Gange da nona riarse, Per conseguenza là dove se stava,
Si stara il Sole ; onde '1 giorno sen giva, Scampando alora ci di vegniva sera, 5
Quando l' Angel di Dio lieto ci apparse. Quando un Anzolo a nu se presentava
Fuor della fiamma stava in su la i iva, Fora dal fogo luto alegro in ciera, ,
E cantava Beati mundo corde, Beati mundo corde, elo cantando,
In voce assai più che la nostra viva. ('.o una vose, che più che umana gera.
Poscia: Più non si va, se pria non morde, Po: Più avanti no andè, se no passando, 10
Anime sante, il fuoco ; entrate in esso, Aneme sante, el fogo : entreghe d mito,
Ed al cantar di là non siate sorde. E ascoltò de là el canto. Cossi quando
Sì disse, come noi gli fummo presso ; Ghe semo stai vicini a dir lo sento :
Perch'io divenni tal, quando lo 'ntesi, E come quel che vivo i sepelissa,
Qual è colui che nella fossa è musso. Mi gera deventà dal gran spavento. 15
In su le nLin commesse mi protesi, , Vardando el fogo, in su le man me sbrissa
Guardando il fuoco, e immaginando forte Con tra de lori i dèi tuti incrosai :
Umani corpi già veduti accesi. E in mente m'è sbalzà come finissa
Volsersi verso me le buone scorie ; /cuti! vista a brusar. Da mi voltai
E Virgilio mi disse : Figliuol mio, S' ha i do Savi; e me tliso el Mestro mio : 20
Qui puote esser tormento, ma non morie. Ti qua ti poi patir, ma morir mai.

1-4 nel ponto gera el tot ee. --- Posto elie a Gerusalemme il Sole vibrava in quell'ora i suoi primi raggi,
. -i'^iii- che tramontava al Purgatorio; che era mezzanotte in (spagna confine occidentale; che era mezzogiorno
in India, confine orientale, quindi tra loro antipodi, come lo sono tra loro il Monte Sion (Gerusalemme) e il
Monte del Purgatorio, ciocchè fu altra volta accennato.
S Beati iumulu carde = Beali coloro che sono mondi nel cuore.
a Co = con.
16 in tu le man me torti»» = le mani mi si sollevano in tutta fretta.
17 (.'rni ira ne lori i dèi tuli incrotai — con tutte le dita incrocicchiate tra loro.
18 iu'è sòn'zà = mi balenò.
282 PEL Pl'HGATORIO
Ricordati, ricordati e, se io Recordele, recordete e, se indrio
Sovr'esso Gerion ti guidai salvo, Salvo sora Gerion te go portà,
Che farò or che son più presso a Dio ? Cossa adesso farò più arente a Dio ?
Credi per certo che, se dentro all'aivo Ma sta certo, che xe in quel fogo là
Di questa fiamma stessi ben mill'anni, Anca un mier d'ani ti ghe stassi ti,
Non ti potrebbe far d'un capei calvo. Noi t'arsiria gnanca un cavelo. Ma
E se tu credi forse ch'io t'inganni, Se mai ti credi che t'ingana mi
Fatti ver lei, e fatti far credenza Fa la prova co un pinzo de la vesta;
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni. Ogni tininr ti scazzerà cussi.
Fon giù omai, pon giù ogni temenza ; Ma via, da bravo mo ; volta la testa
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro. Da sta parte e vien franco ; e mi là duro,
Ed io pur fermo, e contra coscienza. E sì, che in cuor la convinzion me resta.
Quando mi vide star pur fermo e duro, Co '1 me vede star fermo al so sconzuro,
Turbato un poco, disse: Or vedi, figlio, Fando un fià '1 pègio : Fiolo, el sento dir,
Tra Beatrice e te è questo muro. Tra Beatrice e ti ghe xe sto muro.
Com'al nome di Tisbe aperse il ciglio Come al nome de Tisbe, in tei morir,
Piramo in su la morte, e riguardolla, Piramo avrindo i udii l' ha vardada,
Allor che il gelso diventò vermiglio; E s' ha visto el morer rosso vegnir ;
Così, la mia durezza fatta solla, Cussi la mia durezza s'ha molada:
Mi volsi al savio Duca, udendo il nome Da lu me volto al nome benedetto
Che nella mente sempre mi rampolla. De quela che in cuor sempre m'è restada.
Ond'ei crollò la testa, e disse: Come! Scortando elo la testa : Ma cospeto !
Volemei star di qua ? indi sorrise, Stemo qua tionca ? dise, e '1 ride un fià:
Com'al fanciul si fa ch'è vinto al pome. Vince un pomo cussi d'un puteleto
Poi dentro al fuoco innanzi mi si mise, L'ostinazion ; po in fogo primo entra,
Pregando Stazio che venisse retro, L'ha pregà Stazio de vegnirme in seliena,
Che pria per lunga strada ci divise. Che in mezo a nu I' ha un pezzo cammà.
Come fui dentro, in un bogliente vetro In fornasa de vero, drento apena,
Gittato mi sarei per rinfrescarmi : Me sarave butà per rinfrescarme ;
Tanto er'ivi lo incendio senza metro. Tanto quel fogo, o Dio, me dava pena.
Lo dolce Padre mio, per confortarmi, Volendo el mio bon pare consolarme,

tt Reeorttite, reeordilt = forse Virgilio con questa tronca espressione vUOl richiamare a eoccwo'i
Dante, che non era del tatto mando del vizio che quel fuoco puniva.
23 sora Cerio* = il mostro infernale descritto al Canto XVII dell'Inforno.
21 arente = vicini.
26 mi min- faiti = un migliaio d'anni.
ì.. artiria = arsiccerebbe.
tO co UH = con un = pinzo = lembo.
34 Co = quando.
35 Kn fia "1 pigio — un po' di cipiglio.
37-39 Piramo e Tisbe giovani amanti babilonesi, si erano un giorno dato un convegno presso un noto gi-l.«
fuori di città. Tisbe giunse la prima, ma impaurila alla vista di una leonessa, si die alla fuga, e nell'impelo :
cadde il velo. La belva avvenutasi in quello, e fiutandolo e voltolandolo, lo lasciò imbrattato del sangue di riic
per avventura avea lordo il ceno. Venne poco appresso Piramo, e veduto a pie del gelso il velo della sua amaaU-.
e credutala morta, pieno di disperato dolore con un pugnale si trafisse. In quella sopraggiunse Tisbe, alla
uu-e il giovine moribondo apri gli occhi, ma un momento dopo li rinchiuse per sempre. Tisbe allora si ucrist an
ch'essa. Il gelso bagnato dal sangue dei due Infelici, cambio, dice la favola, in rosso le sue more bianche.
44 un lià — un pochino.
49 de vero = di vetro
CANTO XXVII. 283
Pur di Beatrice ragionando andava, De la Bice cussi elo parlava :
Dicendo : Gli occhi suoi già veder parmi. Me par za veder i ochi soi. Per farme
Guidavaci una voce che cantava Scorta a mi e a quei do, de là cantava 55
Di là; e noi attenti pure a lei, Una ose, e drio tegnindo ai canti bel,
Venimmo tuoi là ove si montava, Fora nmlemu per dove se montava.
l'emie, beni-ateli patria mei. Venite, benedirti Patrii mei,
Sonò dentro da un lume, che lì era Sento che dise un tal vivo splendete,
Tal, che mi vinse, e guardar noi potei. Che insin me son stropà i ochi coi dèi. 00
Lo Sol sen va, soggiunse, e vie» la sera ; E po : Desso vien sera, e '1 Sol za mor ;
Non v'arrestate, ma studiate il passo, No ve fermè, spesseghe ben el passo
M.'iiuv che l'ucciderii,' non s'annera. Avanti che destira el eovertor
Dritta salia la via per entro il sasso, La note. L'erta scala drento al sasso
Verso tal parte, ch'io toglieva i raggi Montando suso, i ragi mi rompeva 55
Dinanzi a me del Sol ch'era già lasso. Del Sol che andava caminando a basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi, Dopo qualche scalin se s'incorzeva
Che il Sol corcar, per l'umbra che si spense, Ch'el Sol da drio de nu gera sparlo,
Sentimmo dietro ed io e gli miei Saggi. Perchè più l'ombra mia no se vedeva.
E pria che in tutte le sue parti immense lì avanti abia la note incoluno 70
Fussc orizzonte fatto d'un aspetto, L'orizonte, e per quanto imenso el xe,
E Notte avesse tutte sue dispense, Dè la so scurità tuto impinio;
Ciascun di noi d'un grado fece letto; Femo ognun d'un scalin un canapè,
Che la natura del monte ci alTVanse Perchè in montar, la qualità del monte
l.a possa del salir più che il diletto. Più che la vogia ne ga tolti i pie. 75
Quali si fanno ruminando manse Come le cavre che arditete e pronte
Le capre, state rapide e proterve Le ha corso avanti d'esser pasturae,
Sopra le cime, prima che sien pranse, Per le gobe dei monti o su le ponte ;
Tacite all'ombra, mentre che'l Sol furve, Passue le ruma a l'ombra stravacae,
Guardate dal pastor, che in su la verga Scotando el Sol, sin ch'el pastor el sùra, 80
Poggiato s' è, e lor di posa serve ; E al so baston puzà le tien vardae;
E quale il mandrian, che fuori alberga, E come ne de note chiapà fora
Lungo il peculio suo queto pernotta, Co la maiulia, el guardian la sta vegiando,
lìuardando perchè fiera non lo sperga ; Ació ch'el Invii no la fazza fora ;
Tali eravamo tutti e tre allotta, Nu al paragon vegnimo somegiando: 85
Io come capra, ed ei come pastori, Mi a la cavra, e ai pastori i altri do,

"./,-/.[ = dall'altra parte di-Ila (lumma


56 Una ote - una voce.
58 Venilt tee. = Venite benedetti al Padre mio: le voci degli angeli che stanno o pie dellu scala sono tulle
parole di G. C.; e con queste egli chiamerà nel gnu giudizio gli eletti al godimento della gloria. Il settimo e
--iimili P, o gli è rimasto cancellato nel passare il fuoco, o gli vini cancellato ora per queste parole dell'angelo.
GO coi dei . . colle diln.
62 tpesnght ben il patto -- aflYcltidr bene il passo.
65 rombata = troin-ava, vale n dire essendo Dante diretto verso Oriente, il Sole, elic tramontava, prodnce-
- l'ombra dinanzi a lui.
79 Panue le ruma --- pasciute ruminano = stravacac — sdraiate.
80 ii tùra — egli riposa.
81 le tii-a i-iinliii- — le tien d'occhio, le sorveglia.
84 no la faiza fora --. non la (livori.
284 DEL PURGATORlO
Fasciati quinci e quindi dalla grotta. D'ogni banda strucai, là reposando.
Poco potea parer li del di fuori; Poco elei se vedeva da là zo,
Ma per quel poco, veder' io le stelle Ma dal sforniro ho scoverto de le stele,
Di lor solere e più chiare e maggiori. Che de più lustre viste mai no go. 90
Sì ruminando, e sì mirando in quelle, Mentre che penso e vardo fisso in quele,
Mi prese '1 sonno : il sonno che sovente, M' ha chiapà '1 sòno che ogni tanto el manda,
Anzi che '1 fatto sia, sa le novelle. Avanti che le nassa, le storiele.
Nell'ora, credo, che dell'oriente Credo, co '1 primo ragio soo tramanda
Prima raggiò nel monte Citerea, Da Oriente al monte la più bela stela, 95
Che di fuoco d'amor par sempre ardente, Ch'el so fogo d'amor par sempre spanda;
Giovane e bella in sogno mi parea Dona in sogno vedèr zovene e bela
Donna veder andar per una landa Al' ha parso, tor su fiori in pradaria,
Cogliendo fiori ; e cantando dicea : E cantando, cossi diseva quela :
Sappia, qualunque il mio nome dimanda, Sapia qualunque voi saver chi sia, 100
Ch'io mi son Lia, e vn movendo intorno Me fazzo una girl.mda, qua zirando,
Le belle mani a farmi una ghirlanda. Co le mie bele man, e ho nome Lia.
Per piacermi allo specchio qui m' adorno ; Me stago, a Dio per piàser, infiorando ;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga Ma a Lu in fazza, lo sta, sempre sentada,
Dal suo miraglio, e siede lutto giorno. Rachele mia sorela contemplando. 105
E1l' è de' suoi begli occhi veder vaga, La xe dei so bei ochi entusiastada,
Com'io dell'adornarmi colle mani ; Come mi nel fornirme de sti fiori :
Lei lo vedere, e me l'ovrare appaga. Eia in Miniar, e in far son mi apagada.
E già, per gli splendori antelucani, Ma avea l'aurora coi so bei colori,
Che tanto ai peregrin surgon più grati, Più cari ai pelegrini quanto i ga,. 11O
Quanto tornando albergan men lontani, Tornando, più vicin l'alogici lori,
Le tenebre fuggian da tutti i lati, Scazzà el scuro per luto, e '1 sono andà
E il sonno mio con esse ; ond'io leva'mì, Gera anca hi con Dio; e mi osservando
Veggendo i gran Maestri già levati. l do gran Mestri in pie, me son levà.
Quel dolce pome, che per tanti rami Quel caro ben che i omeni cercando 115
Cercando va la cura de' mortali, l va con tanti afani e tanti, ancuo
Oggi porrà in pace le tue fami : Vegnerà-la to vogia desfamando.
Virgilio inverso me queste colali Cossi Virgilio m' ha parlà, nè ho avufi
Parole usò, e mai non furo strenne Mai regali compagni in vita mia,
Che fosser di piacere a queste iguali. Che m'abia de piacer tanto passuo. 120
Tanto voler sovra voler mi venne D'una tal vogia ci cuor pien me sentia
Dell'esser su, ch' ad ogni passo poi D'andar su, che a ogni passo me parea,
Al volo mi sentia crescer le penne. No i pie, ma l'ale me portasse via.

80 tfondro — sfondo.
94 co = quando.
95 la più beta stela — ls stella Venere.
102 ita = figlia di Labano e prima moglie del l'atriurca (jiacobbe. Ella e qui simbolo della vita uttiva che dee
seguire alla espiazione, e che è passo alla contemplativa simboleggiata dalla sua sorella Racliclc: vedi v. 105.
105-106 Rachele ••.• seconda moglie di Giacobbe, è figura della vita contemplativa come si ilissc qui sopra
— la xe dei so bei ochi entutiatlada = specchiandoli nella perfezione di Dio.
107 Come mi nel fornirme de sii fiori . cioè, com'io nell'operare le belle ed utili azioni.
115 Quel caro ben ece. — cioè la felicitò della quale ò figura il Paradiso terrestre posto alla cima ilei Pol*
gatorio.
CAUTO xxvri. 285
Come la scala tutta sotto noi . Co terminà la scala se gavea,
Fu corsa, e fummo in su 'I grado'superno, E l'ultimo scalin anca tocà, 125
ln me ficcò Virgilio gli occhi suoi, Vardandome Virgilio me disea :
E disse: ll temporai fuoco e l'eterno L'lnferno, fiolo mio, visto ti ga
Veduto hai, figlio, e se' venuto in iparte K el Purgatorio, e ti è arivà in t'un regno,
ni 'in per me più oltre non discerno. Dove la mente mia no va più in là.
Iratto t'ho qui con ingegno e con arte ; Qua t'ho menà co l'arte e co Hnzegno: 130
Lo tuo piacere omai prendi per duce ; El to voler adesso te conclusi' ;
Fuor se' dell'erte vie, fuor se' dell'arte. Qua de stretezze o d' erto no gh'è segno.
Vedi là il Sol, che in fronte ti riluce; Varda là '1 Sol, che sul to fronte luse ;
Vedi l'erbetta, i fiori e gli arboscelli, Varda l'erbeta, i alboreti e i fiori,
Che questa terra sol da sè produce. Che da so posta sto teren produse. 135
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli, Sin che ti aspeti i ochi, che ti adori,
Che lagrimando a te venir mi fenno, E da ti i me ga invià col lagremar,
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli. Ti poi sentarte e spassizar tra lori.
Non aspettar mio dir più, nè mio cenno : Da mi più un ete, o un moto no aspetar :
Libero, dritto, sano è tuo arbitrio. Libera ti ga e sana la ragion, 140
E fallo fora non fare a suo senno ; E gran falo saria no l'ascoltar :
Perch'io te sopra te corono e mitrio. Donca mi fazzo ti de ti paron.

124 Co - • quando.
136-137 Sin che li lupetti i ochi che li adori = allude a Beatrice che dolente pei frammenti di Dante
fece venire Virgilio in di lui soccorso: vedi C. ll. dell'lnf. v. 70.
138 spattizar = passeggiare.
286 DEL PURGATORlO

CANTO VENTESlMO OTTAVO

ARGOMENTO ARGOMENTO

La divina foresta spemi e vìv.i Dante amirando el bosco folto e i fiori


Mirava del tori.esfro paradiso, Che nasse nel terestre Paradiso,
E godea il suoi, che d'ogni parte oliva, De quei gustando i deliziosi odori,
Dante; quinl'el scoperse il santo viso De licta dona el scovre el santo viso,
D'una donna soletta, che sen gia Che soleta va la per drento via,
Cogliendo fiori con beato riso, Sunando lievi con grazioso riso:
E i dubbi «cioglie, che in suo cor sontia. A Dante i dubi la ghe leva via.

Vago già di cercar dentro e dintorno Le piante fresche e folte drento e intorno
La divina foresta spessa e viva, D'ochiar smanioso in quela selva viva,
Ch'agli occhi temperava il nuovo giorno, Che un fìà '1 lusor smorzava al novo zorno;
Senza più aspettar lasciai la riva, Senza gnanca aspetar lasso la riva,
Prendendo la campagna lento lento Là via per drento inviandomi. adasieto
Su per lo suoi che d'ogni parte oliva. Tra '1 grato odor per luto che sortiva.
Un'aura dolce, senza mutamento Sempre costante, eguai, un zeflreto
Avere in sè, mi feria per la fronte Me carezzava el viso dolcemente,
Non di più colpo che soave vento; E fazzeva le fogie sul rameto
Per cui le fronde, tremolando pronte, Tremolar presto presto e leziermente 10
Tutte, quante piegavano alla parte Pendendo tute dov'el monte santo
l,""' la priuf ombrn gitta il santo monte ; Destende in prima l'ombra soa a Ponente:
Non però dal lor esser dritto sparte No pendolava i rami però tanto,
Tanto, che gli augplletti per le cime Che i oseleti, stando in cima a lori,
Lasciasser d'operare ogni lor arto; Per el so pendolar lassasse el canto; 15
Ma con piena letizia l" óre primo, Che a l'incontrarlo alegri i so bei cori
Cantando, ricci ionn intra le foglie, Al zentil basso-ton i va acordando
Che tenevan bordone alle sue rime, Defalca a l'aria in tra le fogie e i fiori,
Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie Come che ru.za i pini a Chiassi, quando
Per la pineta, in sul lito di Chiassi, Tra i rami el vento da Siroco là •il)
Quand'Eolo Scirocco fuor discioglie. De l' Adria su la spiagia va supiando.
Già m'avean trasportato i lenii passi Pian caminando, tanto in drento za
Dentro all'amica selva tanto, ch'io Dà sta selva vecluona me trovava.

13 .Vo pcnilolava — 11011 penxolavano.


17 )/ : i ni il busso.lmi - quel sordo stormire delle foglie agitale da lcggioro venticello.
19 Come che n. :.a = come ronzano = Chiassi = luogo ora distrntto, sul mare Adriatico presso Ravenna
dov'è una v.istu pineta.
23 selva i"echi 'ua -. licirhè fatta il, i Dio al principio del mondo,
CANTO XXVIII. 287
Non potea rivedere ond' i' m'entrassi : Da no saver per dove gera entrà :
Ed ecco più andar mi tolse un rio, Co Incontro uu rio ch'el passo me serava 25
Che in ver sini5tra con sue piccini' onde A zanca, el qual fa storzer co le ondete
Piegava l'erba che in sua ripa uscio. L'erba che sora el margine spontava :
Tutte l'acque che son di qua più monde, Par le aque nostre le più chiare e nete,
Parrieno avere in se mistura alcuna, Torbie in confronto a quela cossi pura,
Verso di quella che nulla nasconde; Che scovrìrghe ci so fondo la permete, 30
Avregna che si muova bruna bruna Siben la cora sempre a l'ombra scura ;
Sotto l'ombra perpetua, che mai Perchè ragia de Sol no trova mai,
Raggiar non lascia sole ivi, nò luna. Nè (te Luna d'entrarghe una 1Usura.
Co' pie ristetti, e con gli occhi passai Tegnù ho i pie fermi, e i ochi go butai
Di là dal Imitacelin, per mirare De là del fiumesel per amirar 35
La gran variazion de' freschi mai : Le tante sorte d'albori liorai,
E là m'apparve, sì com'egli appare E d'improviso me fa là restar,
Subitamente cosa che disvia Come cossa che idea qualunque streta
Ptr maraviglia tuit'altrn pensare, Al pensier, per stupor la fa scordar,
l'uà donna soletta, che si già La vista d'una dona, che soleta 40
Cantando, ed iscegliendo lìor da fiore, Va cantando e scielgendo fior da liur
Ond'era pinta tutta la sua via. Sparsi per luto dov'èl pie la mela.
Deh, bella donna, ch' a' raggi d'amore Bela dona, che al fogo de l'amor
Ti scaldi, s' i' vo' credere a' sembianti, Ti te impizzi, se al viso dago mente,
Che soglion èsser testimon del cuore, Che sol esser, ghe digo, spia del cuor, 45
Vegnati voglia di trarreti avanti, Te piasa de sta riva farle arente
Uiss'io a lei, verso questa riviera, Tanto, the possa ben sentir qua via
Tanto ch'io possa intender che tu canti. Tuto quel che ti canti propriamente.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era TI me fa recordar quanto la sia
Proserpina nel tempo che perdette Stada bela, e in qual silo Proserpina 50
La madre lei, ed ella primavera. Ga perso i fiori, e Cerere so lin.
Come si volge, con le piante strette Come strenzendo i pie la balarina
A terra ed intra sè, donna che balli, Un la spenze drio l'altro raso-lera
E piede innanzi piede appena mette ; Cussi, che par che gnanca la cammina ;
Valsesi in su' vermigli ed in su' gialli Tra i fiori rossi e zali eia se gera 55
Fioretti verso me, non altrimenti Modesta inviada verso la mia riva,
Che vergine che gli occhi onesti avvalli ; Come vergine va coi ochi in lera;
E fece i prieghi miei esser contenti, E apagando el mio prego la vegniva
Sì appressando se, che '1 dolce suonu Tanto arente de mi, che la voseta
Veniva a me co' suoi intendimenti. Con quel che la diseva mi sentiva. 60

23 Co = quando.
2!l T'oriie = (orinde.
34 i otlii go butai — gettai lo sguardo.
37 MC fa là restar = mi fa rimnacrv estatico.
IO IM vista d'una dona — questa è Matelda simboleggiaule la grazia preveniente e cooperante .
44 Ti lo ìmpizzi = tu ti accandi.
45 sai entr = suoi essere.
49-31 Ti me ta rccordur ce. = avnulo Cerere perduta la ii-.:li-i Proscrpina nella liorila valle Elnea, colà
In rapiti da Plutoin:.
53 rtia-trrt — rascntc terra.
288 PEL PURGATORIO
Tosto che fu là dove l'erbe sono Rivada apena là, dove l'erbeta
Bagnate già dall'onde del bel fiume, Vien bagnada da l'aqua del rielo,
Di levar gli occhi suoi mi fece dono. De ochiarme m' ha grazià sta benedeta.
Non credo che splendesse tanto lume Forsi che i odii d'un lusor più belo
Sotto le ciglia a Venere trafitta De la mare d'amor no resplendeva, 6ó
Dal figlio, fuor di tutto suo costume. Co in falo l'ha ferida el so putelo.
Ella ridea dall'altra riva dritta, Iti Ha su la persona eia rideva
Trattando più color con le sue mani, Da l'altra sponda, e i fior la manizava
Che l'alta terra senza seme gitta. Che senza somenarli là nasseva.
Tre passi ci facea '1 fiume lontani ; Soli tre passi el rio ne separava : 70
Ma Ellesponto, là 've passò Serse, Per l'Elesponto che, pagando el fio,
Ancora freno a tutti orgogli umani, Serse, esempio ai superbi, un dì passava,
Più odio da Leandro non sofferse, Odio tanto no ga Leandro sentio,
Per mareggiare intra Sesto ed Abido, Co l'onde lo ha negà tra Sesto e Abido,
Che quel da me, perchè allor non s' aperse. Quanto al rio mi, ch'el passo m'ha impediii. 75
Voi siete nuovi, e forse perch'io rido, Foresti vualtri sè, e perchè rido
Cominciò ella, in questo luogo eletto In sto logo, che visto mai gavè,
All'umana natura per suo nido, La dise, a Pomo destinà per nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto; Forsi maravegiando in dubio ste ;
Ma luce rende il salmo Deteetasti Ma '1 Salmo Deleetasti ve farà 80
Che puote disnebbiar vostro intelletto. Entrar in testa quel che no save.
E tu che se' dinanzi, e mi pregasti, Ti là davanti, che ti m' ha pregà,
Di' s'altro vuoi udir, ch'io venni presta Se ti voi, fame altre domande ancora,
Ad ogni tua question, tanto che basti. Che per questo vegnua so in pressa qua.
L'acqua, diss'io, e il suon della foresta, L'aria e l'aqua, che trovo qua de sora, 85
Impugnan dentro a me novella fede Se opone, digo, a quel che ni" i- sta dito,
Di cosa, ch'io udi' contraria a questa. E m'è sta fato creder. Eia alora
Ond'ella : I' dicerò come procede Responde : Te dirò per el so drito
Per sua cagion, ciò ch'ammirar ti face ; De quel che te sorprende la rason,
E purgherò la nebbia che ti fiede. E la to mente schiarirò pulito. M

04-66 Foni che i ochi ce. = Cupido Dio dell'umore, volendo baciare sua madre, le punse inawrtitamenle
il cuore con uno dei suoi strali, ond ellu si senti accesa per Adone che in quel punto passava dinaizi i lei
68 maniznua = volgeva per le man i.
71-78 l'Elespoido ne. = L'EIIesponto è quello stretto di mare elic l'Asia divide dall'Europa. Sersn re dci
Persiani, vi fece sopra un ponte di navi, e per quello passò con un immenso esercito; ma sconfitto dt Temi
stoele, non trovando più quel ponte che i Greci avevano distrutto, lo ripassò fuggepdo in una povera barca di
pescatore.
73-74 Leandro — per recarsi a Sesto, ov'era la sua amante chiamata Ero, da Abido sua patria trapassando
l'Ellespunto a nuoto, si sommerse.
76 xe = siete.
80 .Va '( intimi Deleetaili = il versetto 5 del Salmo 91 dice: « M'hai dilettato, o Signore, nella Ini fattura,
e nelle opere delle tue mani esulterò. »
SI to in presiia = sono in fretta.
85-87 l.'ni-iu e l'aiIua ce. = Stazio disse a Dante (Canto XXI, v. iti t seg.) ulte dalla porta del Porgilo-
rio in su, non erano ni venti nè pioggie.
88 per el to drito — esattamente.
90 pulito = per bene .
CANTO XXVIII.
Lo sommo Bene, che solo a sè piace, Dio sol sè stesso intende, e fando bon
Fece l'uom buono; e il ben di questo loco I." omo, el ca dà sto logo benedeto
Diede per arra a lui d'eterna pace. Curiii- pegno d'eterna pase in don.
Per sua diffalta qui dimorò poco ; Per el so falo, el xe sta qua un pocheto ;
Per sua diffalta in pianto e in affanno Per el so falo in pianto e afano grando 95
Cambiò onesto riso e dolce giuoco. I.' ha scambià l'alegrezza e ogni dileto.
Perche il turbar, che sotto da sè fanno Aciò el vapor, che in zo del monte stando,
L'esalazion dell'acqua e della terra, La tera e l'aqua in su, quasi un ventazzo,
Che, quanto posson, dietro al calor vanno, Le spenze a forte verso el Sol supiando,
All'uomo non facesse alcuna guerra. No dovesse al primo omo darghe impazzo; 100
Questo monte salio ver lo ciel tanto, Sto monte tanto incontro al ciel l'è alzà,
E libero è da indi, ove si serra. Che qua su non vien vento, piova e giazzo.
Or, perchè in circuito tutto quanto Ma perchè atorno de la tera va
L'aer si volge con la prima volta, L'aria col primo ciel, quando dal vento
Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto; Nti ghe vien roto el ziro o qua o là; 105
In questa altezza, che tutta è disciolta A investir drito vien quel movimento
XelPaer vivo, tal moto percuote, Sto alto monte tornià da un aria pura,
E fa tonar la selva perch' è folta ; E '1 folto bosco fa ruzar qua drento;
E la percossa pianta tanto puote, E in moverse eie a l'aria ghe procura
Che della sua virtute l'aura impregna, Per virtù soa el poder de generar, 110
E quella poi girando intorno scuote: E l'aria po al teren fa eguai fatura.
E l'altra terra, secondo ch'è degna La tera vostra per particolar
Per sè o per suo ciel, concepe e figlia Soa qualità, o dal elima intjuenzada,
Di diverse virtù diverse legna. Da eia sola la poi piante frutar.
Non parrebbe di là poi maraviglia, Se sta cossa i gavesse indovinada, 115
Udito questo, quando alcuna pianta No i larla de là caso in veder pianta
Senza seme palese vi s'appiglia. Vegnir su senza averla semanada.
E saper dèi che la campagna santa, E sapi ancora che sta lera santa,
Ove tu se', d'ogni semenza è piena, D'ogni rason de piante e fruti è piena,
E frutto ha in sè che di là non si schianta. Che al mondo no i ga idea gnanca una schianta ;
L'acqua, che vedi, non surfce di vena, St'aqua qua no la vien da qualche vena
Che ristori vapor, che giel converta, Mantegnua dai vapori, che va in piova,
Come fiume ch'aquista o perde lena ; Come acqua o poco o molta i fiumi mena;
Ma esce di fontana salda e certa, Ma da una che no sgara e afato nova,
Che tanto dai voler di Dio riprende, Che l'aqua che la svoda da do bande, 125
Quant'ella versa da duo parti aperta. Per volontà de Dio la se rinova.
Da questa parte con virtù discende, Ga la virtù quel'aqua, che una spande,
Che toglie altrui memoria del peccato ; De levar la memoria del pecà ;

99 supiando .--. soffiando.


100 impazzo :.--. molestia, incomodo.
101 tarmà = circondato.
108 ruzar = susurrare, stormire.
119 D'ogni rinon = d'ogni sorla.
120 no i ga idea gnanca una schianta - non hanno nemmeno una minima idea.
290 DEL PURGATORIO

Dall'altra, d'ogni ben fatto la rende. L'altra la dà per le azion bele e grande.
Quinci Lete, così dall'altro Iato De quela el sboco, Lete i l'ha chiamà, 130
Eunoè si chiama; e non adopra, Eunoè questa, ma no fa l'efeto,
Se quinci e quindi pria non è gustalo. Se no le s'abia tute do gustà.
A tutt'altri sapori esto è di sopra . Xe '1 so saor su tuli el più perfeto ;
Ed avvegna ch'assai possa esser sazia E siben creda che ti t'abi messo
La sete tua, perchè- più non ti scopra, Lontan el dubio che ti avevi in peto, 139
Darotti un corollario ancor per grazia; Un'altra verità te dirò adesso;
Nè credo che il mio dir ti sia men caro, E penso sta atenzion uo la te agrava.
Se oltre promission teco si spazia. Se digo più de quel che t'ho promesso.
Quelli, ch'anticamente poetaro , porsi i poeti, che ani indrio cantava
L'età dell'oro e suo stato felice, L'età d'oro, sto sito dei contenti 140
Forse in Parnaso esto loco sognaro. Là in cima del Parnaso eli sognava.
Qui fu innocente l'umana radice; Qua Adamo e Eva stadi xe inocenti:
Qui primavera sempre ed ogni frutto ; Qua gh' è ogni fruto e dolce è la stagion :
Nettare è questo di che ciascun dice. Qua, tuli a dir, xe '1 netare ti senti.
Io mi rivolsi addietro allora tutto Voltà indrio dai Poeti mi me son 145
A' miei Poeti, e vidi che con riso Alora, e ho visto come in ascoltar
Udito avevan l'ultimo costrutto: I è stai ridendo quela conelusion.
Poi alla bella donna tornai '1 viso. La bela dona ho tornà po a vardar.

133 el to saor = il suo sapore.


143 xe 'I netare — allusivo all'acqua del fiume.
146-147 e ho visto come in umiliar ce. = Virgilio e Slazio avevano ascoltato sorridendo le ultime proie
di Matelda (era dessa elic parlata a Dante) perche s'aggiravano intorno a' sogni dei Poeti, e alla verità in quelle
nascosta.
294

CANTO VENTESIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Da lunge vede setto alberi d'oro Sete arbori ghe par de veder d'oro
Dante, che sono candelabri e luci. Da lontan Dante, e i xe candelieroni
Che adagio vanno e fan beato coro; E Inse, che va a pian, e i fa un bel coro:
Diretro ad essi, pur come a lor duci. El vede a drio de quei tanti omenoni
Vede genti venir ed animali E anemai avanzar in procession :
Misteriosi, in cui lisa le luci ; Danto maravegià el f& i ochioni.
Leuore, i' noi so dir, s'ivi non sali. Dirte de più, letor, mi no so bon.

Cantando come donna innamorata, Come una dona da l'amor desfata


0iminuò col fin di sue parole : Seguitando el discorso la cantava :
Stali, quorum teda sunt peccata. Beati, quorum teda sunt pecata.
E come ninfe che si givan sole Come le Ninfe solitarie andava
Per le selvatich'ombre, disiando Per le boscagie atorno via mirando, 5
Qual di fuggir, qual di veder lo Sole, E chi al Sol e chi a l'ombra spassizava ;
Allor si mosse contra '1 fiume, andando La va alora contr'aqua caminando
Su per la riva, ed io pari di lei, Su la riva; e come eia mi me movo
Picciol passo con picciol seguitando. I so picoli passi parizmulo.
.Non eran cento tra' suoi passi e i miei, Fatine insieme gnanca cento, trovo, 10
Quando le ripe egualmente- dier volta, Co le sponde a l'impar fava la svolta,
Per modo ch'a levante mi rendei. 1)t? fazzada el Levante a mi da novo.
Nè anche fu così nostra via molta, Tanto no senio andai per quela volta,
Quando la Donna tutta a me si torse, Che da mi la persona eia voltante
Dicendo : Frate mio, guarda ed ascolta. La me dise: Fradelo, varda e ascolta. 15
Ed ecco un lustro subito trascorse Eco che a l'improviso un lusor grando
Da tutte parli per la gran foresta, L'imenso bosco ha inluminà cussi,
Tal che di balenar mi mise in forse. Che un lampo sia mi stava dubitando;
Ma perchè '1 balenar, come vien, resta, Ma com'el vien va '1 lampo, e quelo lì
E quel durando più e più splendeva, Durando più, più ancora resplendeva ; 20
Nel mio pensar dicea : Che cosa è questa ? Coss'è sta cossa? ho dito tra de mi.
Ed una melodia dolce correva E un dolce son per l'aria, che Inseva,
Per l'aer luminoso ; onde buon zelo Vegnia, che con rason l'ira in cuor mio
Mi fe riprender l'ardimento d'Uva; M' ha sussità la petulanza d' Eva ;
Che, là dove ubbidia la terra e il cielo, Che là in dove ubidiva luto a Dio, 25

1 da l'amor dofata = dall'amore consuma.


I Seguitando ti discorso = M canto precedente di cui i v. 142-143.
3 Beali, sinomin ee. = parole del secondo salmo penitenziale, con le quoli Matelda intende congratularsi
con Dante, dalla cui fronte erano stati rasi i sette P, per la fatta purgazione dei peccati.
9 parizando -.- pareggiando.
II Co = quando. — a t'impar =- una parimente all'altra.
13 per yurta volta = per quella parte.
22 tou = suono.
292 DEL PURGATORIO
Femmina sola, e pur testè formata, Solo una dona apena sta creada,
Non sofferse di star sotto alcun velo; Per voler saver massa n' ha tradio ;
Sotto "1 qual, s« divota fosse stata, Che se la fusse ubidiente stada,
Avrei quelle ineffabili delizie Tanta delizia gavaria da quando
Sentite prima, e poi lunga fiata. Son nato, e per l'eternità gustada.
Mentr'io m'andava tra tante primizie Tra le primizie là, maravegiando,
Dell'eterno piacer, tutto sospeso, Dei gusti eterni andava, e vogia avea
E disioso ancora a più letizie. De piaceri più grandi ancora, quando
Dinanzi a noi, tal quale un fuoco acceso, Davanti a nu tra i rami ci ciel vedea
Ci si fe l'aer, sotto i verdi rami, Rosso cussi da crederlo infiammà,
E il dolce suon per canto era già inteso. E canto gera quel che son parea.
O sacrosante Vergini, se fami, Se fame, o sante Muse, go provà
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi, Per vualtre, e fredo e vegie go patio,
Cagion mi sprona ch'io mercè ne chiami. Ve domando l'agiuto merità;
Or convien ch'Elicona per me versi, Ch'Elicona per mi spanda el so rio,
E rr.mi.1 m'aiuti col suo coro, Me svegia Urania alti pensieri in inente,
Forti cose a pensar, mettere in versi. E agiuta col so coro ci canto mio.
Poco più oltre sette alberi d'oro Più in là un fià, quel c'ho visto, istessamente
Falsava nel parere il lungo tratto M' ha parso somegiasse in lontananza
Del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro ; A sette albori d'oro; ma co arente
Ma quando i' fui sì presso di lor fatto, Ghe so arivà, sparia la somegianza, *
Che l'obbietto comun, che '1 senso inganna, Che le cosse che ingana a la lontana,
Non perdea per distanza alcun suo atto ; Quel che le xe se mostra in vicinanza;
La virtù, ch'a ragion discorso ammanna, Quei che albori pareva a mi, per diana!
Siccom'egli eran candelabri apprese Ho visto che candelieroni i vien. 50
E nelle voci del cantare, Osanna. E le vose ho sentio cantar Ommi.
Di sopra fiammeggiava il bello arnese Un tal chiaro su queli se mantien,
Più chiaro assai, che luna per sereno Che a mezanote manco xe '1 splender
Di mezza notte nel suo mezzo mese. De Luna co l'è tonda a ciel seren.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno Tuto maravegià, dal mio Dotor
Al buon Virgilio, ed esso mi rispose Me volto, e i ochi soi quasi parlando.
Con vista carca di ^tupor non meno. Me dise che noi ga manco stupor.
Indi rendei l'aspetto all'alte cose, Da novo i candelieri stava ochiando,
Che si movieno incontro a noi sì tardi, E i vegnia cussi a pian, che più spedio
(".he foran vinte da novelle spose. Le novizze ga '1 passo. Ma, criaudo.
La Donna mi sgridò : Perchè pur ardi La donna a mi, che gera imatonio :
Sì nell'affetto delle vive luci, Per cossa i lumi solo te inamora,

27 matta = troppo.
32 vogia — desiderio.
IIS vryit — veglie.
-lo Klictma — -- ii giogo dei Parnaso, ove sorge il fonte l'egasco.
41 I/Tanta = che voi dire celeste; e quella delle Muse che canta delle cose celesti.
43 un /io = un poco.
45 co areale — quando da vicino.
46 Ghc so arivù = sono giunto ad essi.
54 co - quando.
PO Le notizzt == le spose novelle.
61 imalonio = sbalordito per meraviglia.
CANTO XXIX. 293
E ciò che vien diretro a lur non guardi? E no ti vardi quel che ghe vien drio ?
(ìenti vid'io allor, com'a lor duci, Come so scorta fusse ho visto alora
Venire appresso vestite di bianco ; /ente vegnirghe drio bianco-vestia, 65
E tal candor giammai di qua non luci. Ma d'un tal bianco che no gh'è qua sora.
L'acqua splendeva dal sinistro fianco, Corendo el fiume dalla zanca mia
E rendea a me la mia sinistra costa, In quel'aqua lusente me spechiava
S'io riguardava in lei, come specchio anco. El sinistro mio fianco. E co là via
Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta, Della riva in t'un sito me trovava, 70
Che solo il fiume mi facea distante, Ch'el rielo solo la distanza mete,
Per veder meglio a' passi diedi sosta ; Per poder veder megio me fermava.
E vidi le fiammello andare avante E ho visto andar avanti le fiamete,
Lasciando dietro a sè l'aer dipinto, lmlrin lassando una strisseta ognuna,
E di tratti pennelli avean sembiante ; Che somegiava a tante bandierete ; 75
Sì che di sopra rimanea distinto In modo, che sora eie una per una
Di sette liste, tutte in quei colori, Sete striche a colori s'ha m usti ar
Onde fa l'arco il Sole, e Delia il cinto. D'arco celeste, o de inebiada Luna.
Questi stendali dietro eran maggior! Tanto lore a l'indi in le s' ha stongae,
Che la mia vista ; e, quanto a mio avviso, Da no rivar co l'ochio; e le do ai lai 80
Dieci passi distavan quei di fuori. Tien forsi diese passi separae.
Sotto cosi bel ciel, com'io diviso, Solo un ciel ch'el più bel s'ha visto mai,
Ventiquattro seniori a due a due, Vintiquatro vechioni in compagnia,
Coronati venian di fiordaliso. luti a do a do de zegi coronai,
Tulli cantavan : Benedetta tue Benedeta, cantando eli vegnia, 85
Nelle figlie d'Adamo, e benedette Ti tra tute le done, e benedele
Sieno in eterno le bellezze tue. Le to belezze eternamente sia.
Poscia che i (ìori e l'altre fresche erbette, Quando ai fiori missiai le fresche erbete
A ritnpetto di me dall'altra sponda, De fazzada de mi da l'altra riva,
Libere fur di quelle genti elette ; Passà i vechioni, se vedeva schietti ; 90
Sì come luce luce in ciel seconda, Come stela drio stela in cielo ariva,
Vennero appresso lor quattro animali, De fogie verde tuti ghirlandai,
Coronato ciascun di verde fronda. Quatro anemai arente a quei vegniva.
Ognuno era pennuto di sei ali, (lera ognun d'eli de sie ale armai,
Le penne piene d'occhi ; e gli occhi d'Argo, Con de le pene carghe d'ochi al par (15
Se fosser vivi, sarebber cotali. De quei d'Argo, se vivi i fusse stai.
A descriver Ipr forma più non spargo Vorave, o mio letor, de longo andar
64 so = sua.
60 E co là via — e quando giunsi in lui punto dellu riva.
73 pamele -- le fiaccole accese sui candelabri.
80-81 e le do ai lai e li- due ai lati, cioè alle due estremili'! opposte, distanti una dall'altra dieci passi
circa. I candelabri figurano, secondo gli interpreti, i sette doni dello Spirito Santo; e i dieci passi, i dicci co
mandamenti.
83 Vmh'f nafro vechioni — simboleggiano questi i 24 libri del vecchio testamento.
S4 de xeni = di gigli.
85 Benedeta ee. = questa lode appartiene a Maria Vergine; ma forse è qui da riferirsi a Beatrice, che ve
dremo apparire nel Canto seguente.
93 Qnatrn anemai : i quattro animali simboleggiano i quattro Evangelisti, i quali lummi per loro emble
ma un animale.
% Argo -.-. era munito di cento occhi.
294 DEL PliBGATORIO
Rime, leltor; ch'altra spesa mi strigne Per depenzerli ben, ma altri argomenti
Tanto, che in questa non posso esser largo. Me streme e no me posso qua fermar.
Ma leggi Ezechiel, che li dipigne Però lezi Ezechiel che li ha depenti, 100
Come li vide dalla fredda parte Come visti vegnir dal fredo Bora
Venir con vento, con nube e con igne; Li ga tra '1 fogo, i nuvoloni, i venti ;
E quai li troverai nelle sue carte, E via che in quanto a l'ale el vaga fora
Tali eran quivi, salvo ch'alle penne De quel ch'abia San Zuane e mi pensà,
Giovanni è meco, e da lui si diparte. Dirà come che i gera là de sora. 105
Lo spazio dentro a lor quattro contenne Un gran Caro a do rue trionfai serà
Un carro, in su duo rote, trionfale, Nel trato in mezo ai anemai restava,
Che al collo d'un grifon tirato venne. Tira da un Grifo al colo soo ligi ;
Ed esso tendea su l'una e l'altr'ale Una per banda Io ale sventolava
Tra la mezzana e le tre e tre liste, Tra la strissa de mezo e quele in lin, 110
Si ch'a nulla, fendendo, facea male. E, nissuna tocando, in su le andava
Tanto salivan, che non eran viste; Tanto, da no poder vederghe el fm :
Le membra d'oro avea quanto era uccello, Tut'oro gcra quanto gora usi-lo,
E bianche l'altre di vermiglio miste. Bianco el reato mbsià col cremesin.
Non che Roma di carro così bello No solo a Roma el caro cussi belo 115
Rallegrasse Africano, ovvero Augusto ; Sarave sia de Augusto, o de Sipion,
Ma quel del Sol saria pover con elio ; Ma gnanca quel del Sol arente a'elo;
Quel del Sol che sviando fu combusto, Quel del Sol, che andà fora de stradon,
Per l'in uzioa della Terra devota, Giove dal mondo la preghiera avua,
Quando fu Giove arcanamente giusto. Ga dà al cucino la giusta punizion. 120
Tre donne in giro dalla destra ruota, Tre done in ziro da la drita rua
Veniaii danzando; l'una tanto rossa, Vien baiando : una tanto rossa gera,
Ch'a pena fora dentro al fuoco nota : Che saria a stento in fogo conossua;
L'altr'era, come se le carni e l'ossa L'altra fata pareva tuta in piera
Fossero state di smeraldo fatte; De smeraldo; la terza tuta bianca tJa
La terza parea neve testè mossa : Come neve cascada alora in lera.
Ed or parevan dalla bianca tratte, Parea el baio guidar ora la bianca,
Or dalla rossa, e dal canto di questa Ora la rossa, e col so canto questa
L'altre toglien l'andare e tarde e ratte. Fava andar l'altre in pressa o a pian. Da zanca
Dalla sinistra quattro facean festa, Altre quatro ghe gera a quela festa 130

107 Un gran Caro -.... questo Carro figura la Cattedra pontificia, elic posa su due testamenti: a destra sul
Nuovo, e di là le virtù Teologiche; sul Vecchio a sinistra, e di qua le Virlù Cardinali. La Chiesa è cosi In Ir
Virtù della ragione e le rivelate.
107 Nel Irato = nello spazio.
108 Grifo - - è un animale biforme immaginato dai poeti o dai pittori. La parte anteriore di esso è dV
quila, la posteriore di Icone. Simboleggia Gesù Cristo in cui sono due nature.
114 misuiii :: mescolato.
115-116 Accenna ai Carri trionfali montati da Cesare Augusto e da Scipionc Africano, quando coperti rii gln-
ria per le vinte battaglie rientravano ili Roma.
117 urente = qui vale: in confronto.
118-120 Qnel del Sol ee. -. il carro del sole guidato da Fetonte andando fuori di via, fu arso dal fuUninr
di Giove in seguito alle preghiere fattegli dalla terra. = coc/no = cocchiere.
121 Tre clone = sono esse le Virtù Teologali. La rossa £ la Carità; la verde, la Speranza; e la bianca, la
Fede.
1 SO in prena = prestamente.
130 altre iIuatro = le altre quattro sono le Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortali'
CANTO XMX. 295
ln porpora vestite dietro al mudo Vcstie de rosso, in baio secondando
D'una di lor, ch'avea tre occhi in lesta. Una d'eie, che avea tre ochi in tosta.
Appresso tutto '1 petrattato nodo, Dopo i sogeti, che so andà mostrando,
Vidi duo vecchi in abito dispari, Do rechi ho visto in abiti dispari,
Ma pari in atto ed onestato e sodo. Ma compagno l'aspeto venerando. 1 35
L'un si mostrava alcun de' famigliari De lpocrate un pareva tra i scolari,
Di quel sommo lpocràte, che natura . Ai omeni donà da la natura,
Agli animali fe ch'ell'lia più cari. Che sora i anemai la ga più cari.
Mostrava l'altro la contraria cura L'altro mostrava la contraria cura,
Om una spada lucida ed acuta, Con spada lustra in man cussi pontia, 1.10
Tal che di qua dal rio mi fe paura. Che anca de qua dal rio ho avù paura.
Poi ridi quattro in umile paruta, Dopo altri quatro ho visto vegnir vìa
E diretro da tutti un veglio solo Umili in ato, e a eli un vechio a drio
Venir, dormendo, con la faccia arguta. Co una ciera da svelto, e sì '1 dormia.
E questi sette col primato xtnolo Eguai sti sete aveva el so vestio 145
Grano abituali; ma di gigli (Solo che i zegi in testa no i gnveva)
D'intorno al capo non facevan brolo; Dei vintiquatro menzonai più indrio:
trui di rose e d'altri fìor vermigli : Ma rose e lini i rossi ghe strcnzeva
Giurato avria poco lontano aspetto, ! ... tempie ; e un fià da lonzi ochiai, zurà
Che tutti ardesser di sopra da' cigli: Se avaria che la fronte in tuli ardeva. 150
E quando il carro a me fu a rimpetto, Quando a mi in fazza el Caro s' ha mostrà,
Un tuon s'udì; e quelle genti degne S'hn scntio un ton, drio el qual la tuti quanti
Parvero aver 1 andar più interdetto, floi candelieri in testa i s'ha ferma,
; i MI. in il 1 1 .'hi con le prime insegne. E ha parso no i podesse andar più avanti.

132 (ma d'eie che uvea lre oclii in lesta = questo i• la Prudenza.
133 clic so amià mostrandn = che andai mostrando.
134 Do aechi • i due vecchi sono S. Luca, scrittore uYpjli Atti apostolici, e S. Paolo, scrittore dell'Epistole.
136 San Luca era medico, e perciò è detto discepolo d'lpocrute, clic la natura produsse per vantaggio do.
.'i nomini.
139-140 L'aliro = cioè S. Paolo clic, tenendo nella mano una spada, mostrava amichè di conservare la vita
dell' Domo, di torglieln.
142 Dopo altri fiuatro = sono essi gli Apostoli Giacomo, Pietro, Giovanni, e Giuda Taddeo, scrittori dell'F.pi-
slule canoniche. Altri intende qui accennarsi dal Pocta i Dottori.
143-144 aa vechio = questi è S. Giovanni Evangelista, clie, quando compose l'Apocalisse, aveva qnasi 90
.inni = svelto = qui vale, accorto, lino.
147 menzonai più in drio = vedi sopra v. 83.
152 UH (on = un tuono.
153 in testa = a capo del convoglio.
296 DEL PURGATORIO

CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Tra' fior discesa in angelica festa Bine tra i fiori vien che atorno via
Viene Beatrice, e della fiamma antica I Anzoli spande: del so antigo amor
Forza nel sen di Dante anco si desta. Dante in cuor sente avrirse la feria.
Volgesi a lui la bella donna amica. Da In Bice se volta e con dolor
E gli rinfaccia che il viaggio torse D'elo, la ghe rinfazza l'abaudon
Via da virlù che l'anima nutrica, De la virtù de l'anema vigor,
Poco pregiando aita che gli porse. Butando i so conscirl in t'un canton.

Quando il settentrion del primo cielo, Quando i lumi dal primo ciel calai,
Che nè occaso mai seppe nè orto, Che al contrario de l'Orsa indrio e avanti
Nè d'altra nebbia, che di colpa velo, Mai no i va, dal pecà solo apanai,
E che faceva lì ciascuno accorto El viazo là mostrando a quei viandanti,
Di suo dover, come il più basso face Come el porto al piloto segna el faro,
Qual timon gira per venire a porto, I s' ha a la prussission fermai davanti ;
Fermo si affisse, la gente verace, I vintiquatro vechi tra quel chiaro
Venuta prima tra il grifone ed esso, Splendor de lumi e '1 Grifo, al Caro belo
Al carro volse sè, come a sua pace : S' ha voltà, come al ben che i ga più caro.
E un di loro, quasi dal elei messo, E un d'eli quasi ambassador del cielo, 10
Veni, sponsa, de Libano, cantando, Veni sponsa de Libano, ha cantà
i. rido tre volte, e tutti gli altri appresso. Tre volte, e i altri in coro el ritornelo.
Quale i beati al novissimo bando Come i beati fora vegnerà
Surgeran presti ognun di sua caverna, Dal so sepolcro a l'ultima chiamada,
La rivestita voce alleluiando ; E avarà el corpo novo alelugià: 15
Colali, in su la divina basterna, Cussi in pie de quel ('aro la levada
Si levar cento, ad vocem tanti senis, Fa cento Anzoli ad vocem tanti senis,
Ministri e messaggier di vita eterna. De la vita imortal guida a la strada.
Tutti dicean : Benedietus, qui venis ; Benedietits, disea tuli, qui venis.
E, fior giltando di sopra e d' intorno, Fiori qua e là spandendo anca i discva: ÌO
Manìbits o date lilia plenis. Manibus o date litia plenis.
Io vidi già nel cominciar del giorno Come a le volte a l'alba mi vedeva

1 Quando i lumi dal primo ciel calai - cioè i lumi dei sette candelabri simboleggiatdi i doni dello Spirilo
Santo, discesi dal primo cielo, ossia dall'Empireo.
10-11 E UH d'eli _ questi è Salomonc scrittore della Sacra Cantica nella quale sono quelle parole lalinr.
17 mi fui-,-ni tanti senti = alla voce di tanto vecchio, cioè di Salomone.
19-21 Bcni-dielint qui vi-nis = benedetto tu che vieni; parole proferite dagli angeli e rivolte, chi pifienilf
a Dante, chi al Grifone simbolo di G. C., e riii, con maggiore probabilità, a Beatrice = Manibai o dati UH'
pienia . - spargete i gigli a piene mani.
23 dal caligo = dalla nebbia.
CANTO XXX. 297
La parte orientai tutta rosata, Dal caligo el Levante sconto afato,
E l'altro ciel di bel sereno adorno, E in tuto el resto el ciel seren luseva,
E la faccia del Sol nascere ombrata, E '1 Sol farse nebioso apena nato 25
Si che per temperanza di vapori In modo, che tra l'ombra dei vapori
L'occhio lo sostenea lunga liata : S'el podeva fissar per un bon trato ;
Così dentro una nuvola di fiori, Cossi tra una gran nuvola de fiori
Che dalle mani angeliche salira, Hai Anzoli stanzai, del Caro Santo
E ricadeva giù dentro e di fuori, Drente e fora cascando a bei colori, 30
Sovra candido rei cinta d'oliva Vedo una dona tra '1 celeste incanto,
Donna m'apparve, sotto verde manto, Con bianco velo coronà d'oliva,
Vestita di color di fiamma viva. E in vesta rossa solo verde manto :
F, lo spirilo mio, che già cotanto E za Fini emo mio, che no sentiva
Tempo era stato, ch'alia sua presenza Da un gran pezzo el tremazzo, che no digo, 35
Non era di stupor tremando affranto, Co grando vicin d'eia me vegniva,
Senza degli occhi aver più conoscenza, Sihci vanIarla in viso per l'intrigo
Per occulta virtù che da lei mosse, Del velo no podesse, el ga sentio
D'antico amor sentì la gran potenza. Per arcana virtù l'amor antigo.
Tosto che nella vista mi percosse Apena apena s' ha svegià in cuor mio, 40
L'alta virtù, che già m'avea trafitto In veder quela dona, el tanto amor
Prima ch'io fuor di puerizia fosse, Che insina da putelo m' ha ferio ,
Volsitni alla sinistra col rispitto A zanca m' ho voltà col balicuor,
Col quale il fantolin corre alla mamma, Col qual corc a la mama el bamboleto,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto, S'el ga paura, o afano el ga de cuor, 45
Per dicere a Virgilio : Men che dramma Per dir : Virgilio mio, no m'è un giozzeto
Di sangue m'è rimasa, che non tremi ; * De sangue senza spasemo restà ;
Conosco i segni dell'antica fiamma. Vedo i segni del vechio amor che ho in peto.
Ma Virgilio n'avea lasciati scemi Ma in abandon Virgilio m' ha lassà ;
Di sè, Virgilio dolcissimo padre, Virgilio, el caro Pare, al qual m'aveia 50
Virgilio, a cui per mia salute die'mi: Mi, per meterme in salvo, confidà.
Nè quantunque perdeo l'antica madre, Tuli i tesori che ga perso Eva,
Valse alle guance nette di rugiada, Tegnirme indrio no ga podesto el pianto,
Che lagrimando non tornassero adre. Che dai ochi za suti me pioveva.
Dante, perchè Virgilio se ne vada, Dante, no pianzer no, no pianzer tanto 55
Non pianger anco, non pianger ancora ; Perchè è parlio Virgilio; che più grando
Che pianger ti convien per altra spada. Motivo a pianzer te farà, ma e quanto !
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora Come Amiragio, che da pope ochiando
Viene a veder la gente che ministra vii-u e da prua la zente soa de mar
Per gli altri legni, ed a ben far la incuora, Su le altre nave, quela incoragiando ; 60
Io su la sponda del carro sinistra, Del Caro al zanco fianco, co a vardar
Quando mi rolsi al suon del nome mio, Me son voltà sentindo el nome mio,

35 il tremazzo = qui vale batticuore.


36 Co grando - qui il en vale per quanto, quanto grande.
49 m' liu lanà :..- ci lasciò: dice ci lasciò, perche con Dante era tuttavia Stazio.
61 co a vardar - quando n .guardare.
298 DEL HIROATORIO
Che di necessità qui si registra, Che per forza me loca qua notar ;
Vidi la Donna, che pria m'appurio Vedo la dona istessa che ho scovrio
Velata sotto l'angelica festa, Tra i gran fiori che i Anzoli butava, 65
Drizzar gli occhi ver me di qua dal rio. Zirar i ochi su mi de qua dal rio.
Tuttochè il vel che le scendea di testa, Siben dal fronte el velo ghe cascava,
Cerchiato dalla fronde di Minerva, ('.he a quel fogie d'oliva fa corona,
Non la lasciasse parer manifesta ; E ben ben descovrirla noi lassava ;
Regalmente, nell'atto ancor proterva, A dir de longo ha seguità la dona "O
Continuò, come colui che dice, Con altiera maestà, come chi vien
E il più caldo parlar dietro riserva: Dolce in principio e '1 garbo infìn ve sona:
Guardami ben : ben son, ben son Beatrice : Rice mi son, mi son : vardime ben.
Come degnasti d'accedere al monte ? De far sto monte, ah sì, ti t' ha degnà ?
Non sapei tu, che qui è l'uom felice? No ti ha savù che qua xe '1 vero ben ? 75
Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; Su l'aqua lustra i ochi go sbassà,
Ma veggendomi in esso io trassi all'erba : Dopo su l'erba li ho voltadi in bota,
Tanta vergogna mi gravò la fronte. Che a spechiarme in quel rio m' ho vergognà.
Cosi la madre al figlio par superba, Come la mare al fiol, dopo una rota
Convella parve a me; perchè d'amaro Par brusca, istesso a mi la m' ha savesto, SO
Sente il sapor della pietate acerba. Che anca vegnua d'amor sempre la scota.
Rlla si tacque, e gli angeli cantaro Ga quei Anzoli, apena eia ha tasesto,
Di subito : In te, Domine, speravi ; Cantà: Domine, in te speravi; ma
Ma oltre pedes meos non passaro. El pedes meos passar no i ga voleste.
Si come neve tra le vive travi Come co i venti schiavi ga supià S5
Per lo dosso d'Italia si congela Su i monti d'Apenin, la neve bela
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi, Tra le piante vien giazzo, po molà
Poi liquefatta in sè stessa trapela, Ch'abia la lera d'Africa su quela
Pur che la terra, che perde ombra, spiri, El caldo ventaselo, la se sfanta
Sì che par fuoco fonder la candela ; Che par bampa che scola la candela; 95
Così fui senza lagrime e sospiri Cussi anca mi per maravegia tanta,
Anzi il cantar di que' che notan sempre Impetrio son restà prima del canto
Dietro alle note degli eterni giri. Dei Anzoli, che in ciel co i parla i canta.
Ma poichè intesi nelle dolci tempre Ma in sentir compatirme el coro santo
l.oi compatire a me, più che se detto Più che dito l'avesse elo cussi: 9*
Avesser : Donna, perchè sì lo stempre ? Dona, per cossa ti ghe crii mo tanto ?
Lo giel, che m'era intorno al cuor ristretto, El gropo che gavea drento de mi.
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia Per i ochi e per la boca se desfava

72 el garbo infin ve sona - l'asprezza intine vi punge.


77 m bòia = subitamente.
79 dopo una rota = dopo una ramanzina.
SO la m'ha xavello =. la mi seppe.
73-84 In It Domine «. = In te, o Signore, sperai, non sai-n mai confuso. = Così uci Sahno 30. Gli anffli
cantarono quel Salmo tino dov'è detto: n Mettesti in ampio luogo i mici piedi; » e non passarono col cauto ol
ire quelle parole per non parlare d' ira in luogo di etonia pace; poiché le altre che seguono dicono: con/»'-
batus est in ira ociJus tneux.
85 co • venti schiavi ee. — quando i venti elic traggono di tramontana e passano per la Scbiavonia.
96 li ghe crii = lo sgridi = mo = particella riempitiva.
93 te deifava — si stemprava.
t:A>TO xxx. 299
Per la bocca e per gli occhi usci del petto. In pianto e afano in quel momento lì.
Ella, pur ferma in su la detta coscia Sul fianco zanco ferma eia restava 109
Del carro stando, alle sustanzie pie Del Caro ancora; po i ochi voltai
Volse le sue parole così poscia : Su i Vnznli, in sto imi la ghe parlava :
Voi vigilate nell'eterno die, Vualtri a la luse eterna ste svegiai
Si che notte nè sonno a voi non fura Cussi, che note o sono, quel che va
Passo, che faccia il secol per sue rie ; Via coi secoli se ve sconde mai; 10.r>
Onde la mia risposta è con più cura, Perciò la mia resposta servirà
Che m'intenda colui che di là piagne, Per chi pianzer vedè de là dal rio,
Perchè sia colpa e duol d'una misura. Perchè al falo ci dolor sia misurà.
Non pur per ovra delle rote magne, No per sola virtù che ai cieli Dio
Che drizzan ciascun seme ad alcun line, Ga dà, col drizzar l'omo a un dato fin, 110
Secondo che le stelle son compagne; Conforme la so stela ghe lien drio ;
Ma per larghezza di grazie divine, Ma anca per forza del favor divin,
Che sì alti vapori hanno a lor piova, (Che in qual maniera elo l'aviva a nu
Che nostre. viste là non van vicine; No arivemo a capir gnanca un tantin),
Questi fu tal nella sua vita nuova Questo l'anemo aveva in zoventù 115
Virtualmente, ch'ogni abito destro Parechià a far ei ben in modo tal,
Fatto avercbbe in lui mirabil pruova. Ch'el parca fato sol per la virtù.
Ma Unto più maligno e più silvestro Ma con bruta semenza el teren mal
Si fa il terren col mal seme, e non colto, Ruterà tanto più, no coltivà,
Quant'egli ha più di buon vigor terrestro. Quanto più bon el xe de naturai. 1-ìil
Alcun tempo il sostenni col mio volto ; Sin che ho vissudo, al ben lo go anemà
Mostrando gli occhi giovinetti a lui, Col viso mio, e per la strada bona
Meco il menava in dritta parte volto. Coi ochi zoveneli l' ho guidà.
Sì tosto come in su la soglia fui Co finia l'età prima de la dona,
Di mia seconda etadc e mutai vita, Sul locar la seconda so andà in cielo, 125
Questi si tolse a me, e diessi altrui. I. n per altri pensieri me abandona.
Quando di carne a spirto era salita, Quando, el corpo* lassà, spirilo belo
K bellezza e virtù cresciuta m'era, Me so alzada più bela e virtuosa,
Fu' io a lui men cara e men gradita; Manco a lu cara, ho manco piasso a elo.
K volse i passi suoi per via non vera, La strada el ga batua pericolosa, 130
Immagini di ben seguendo false, Corendo drio a false idee del bon,
Che nulla promission rendono intera. Che fa el negro parer color de rosa.
Nè l'impetrare spirazion mi valse, Nè a frenarlo ha giovà le ispirazion,
Con le quali ed in sogno ed altrimenti Che in sogno o altro go olegnue da Dio,
Lo rivocai; sì poco a lui ne calse. Per lu : l' ha butà luto in t'un canton. 135
Tanto giù cadde, che tutti argomenti Gnente ha valso ; ci xe sta tanto inzochio

101 jio = poi, dopo. >


110 a un iato fin - mi un determinalo fine.
111 Conforme la no stela - a nonna di-Ila sua «Iella. Pone elic le cOSlullazioni influiscano sull'uomo al
l'alio della nascila.
124 Co = quando.
125 to = sono.
128 Mi- >o --- mi sono.
136 inzochio = affascinalo.
300 DEL PURGATORlO
Alla salute sua eran già corti, Dei piaceri del mondo, che a desviarlo
Fuor che mostrargli le perdute genti. La vista dei danai solo ha servio.
Per questo visitai l'uscio de' morti, Al Limbo andada son sol per salvarlo,
E a colui, che l'ha quassù condotto, E quel che sin qua su lo ga scortà, 140
Li prieghi miei, piangendo, l'unni porti. Per lu, pianzendo, andada so a pregarlo.
L'alto fato di Dio sarebbe rotto, Dio no voi che sto Lete sia passà,
Se Lete si passasse, e tal vivanda ,'w che se possa l'aqua soa gustar,
Fosse gustata senz'alcuno scotto Quando no vegna el debito pagà
Di pentimento che lagrime spanda. Dal pentimento bon col lagrimar. 145

140 E quel = cioè Virgilio.


141 to = sono.
142 l.eif . l'acqua ilei fiume Lete ha la virtù di far dimenticare in chi la beve le suo colpe.

CANTO TRENTESlMOPRlMO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Chiede Beatrice che palesi il vero La Bice ghe fa dir la veritl\ :


Ei di sua bocca; od ci teme e favella, Elo pianze, el so perde, ci se confonde,
Pianto sgorgando per aspro pensiero. E balbetando in fin el ga parla;
Mentre olla parla, ed ei si rinnovella Sin che nice discore. e la se scondc.
Per pentimento, coglielo improvviso Pentio, el viso, Matelda un caorio
Matelda, e il tuffa nell'onde, e l'abballa. Ghe fa far in canai a hever Tonde ;
Poi vicin vede di Beatrice il viso. fo purga, de la Bice el scovre el viso.

O tu, che se' di là dal fiume sacro Dopo drizzando el so discorso a mi,
(Volgendo suo parlare a me per punta, Che anca per sbiego el tossego m' ha spanto,
Che pur per taglio m'era parut'acro), La ga de longo seguità cussi :
Ricominciò, seguendo senza cunta, Ti, che ti stà de là dal fiume santo,
Di', di', se quest' è vero : a tanta accusa Di' ti se digo el vero; via di' suso:
Tua confession conviene esser congiunta. l to fali confessa drio sto tanto.
Era la mia virtù tanto confusa, Gera cussi smario, cussi confuso,
i. ln' la voce si mosse, e pria si spense Che provando la vose a butar fora,
Che dagli organi suoi fosse dischiusa. Del gargato la s' ha fermà in tei buso.
Poco sofferse; poi disse: Che pense? Cossa ti pensi? po la dise ancora

2 per shiego = obliquamente: qui vale: iniliretlnnicntr.


6 ilrin sto tanto - cioè, dopo quanto ti ho rinfacciato.
9 gargato = gorgozzuolo.
CANTO XXXI. 304
Rispondi a me ; che le memorie triste Da lì un fià, che abia el Lete scancelai
In te non sono ancor dall'acqua offense. I to bruti recordi no xe ora.
Confusione e paura insieme miste La vergogna e '1 timor in mi restai,
Mi pinsero un tal ti fuor della bocca, M' ha cavà da la boca un si, mostrà
Al quale intender fur mestier le viste. Sol dal moto dei lavri destacai. 15
Come balestro frange, quando scocca Come l'arco se '1 ie tropo tirà,
Da troppa tesa la sua corda e l'arco, Rompe spesso la corda co la scossa,
E con meli foga l'asta il segno tocca ; E la frezza più mola al segno va;
?i scoppia' io sott'esso grave carco, Cussi schiopada del mio cuor l'angossa,
Fuori sgorgando lagnme e sospiri, . Me casca a sechi coi sospiri el pianto, 20
E la voce allentò per lo suo varco. E la vose me mor apena mossa.
Ond'ella a me : Per entro i miei disiri, Eia dise Ila novo : A far mo quanto
Che ti menavano ad amar lo bene Mi r ho dito perchè ti amassi Dio,
Di là dal qual non è a che s'aspiri, Sora el qual gnente gh'è che gabia vanlo,
Quai fosse attraversate, o quai catene Quali intopi, o spaurachi ti ha patio, 25
Trovasti, perchè del passare innanzi Per farle dal sentier de la virtù
Dovessiti così spogliar la spene? Tuto desancmà tornar indrio ?
E quali agevolezze, o quali avanzi De più belo e più bon coss'astu avù
Xella fronte degli altri si mostraro, Dai piaceri che i" ha sporzesto el mondo,
Perchè dovessi lor passeggiare anzi ? Che, perso in quei ti ghe morissi su? 30
Dopo la tratta d'un sospiro amaro, Mandà dal peto un sospiron profondo,
A pena ebbi la voce che rispose, Co un iìl de vose e '1 lavaro barboto,
E le labbra a fatica la formaro. A stento sangiotando ghe respondo:
Piangendo dissi : Le presenti cose Del mondo i falsi gusti m' ha sedoto,
Col falso lor piacer volscr miei passi, Perchè apena la lera ti ha lassà, 35
Tosto che '1 vostro viso si nascose. Per desviarme i se m' ha fato solo.
Ed ella : Se tacessi, o se negassi Che ti tasi o ti neghi, el to pecà
l'io che confessi, non fora men nota Noi se sconde, la dise, a Dio Signor,
La colpa tua: da tal giudice sassi. A I. n che luto vede e luto sa.
Ma quando scoppia dalla propria gota Quando però el ghe sbroca al pecator 40
L'accusa del peccato, in nostra corte, Da l'istessa so boca in confession,
Rivolge se contra il taglio la rota. El ciel de l'ira soa smorza el rigor.
Tuttavia, perchè me' vergogna porte Ma aciò manco ti senti ci morsegon
Del tuo errore, e perchè altra volta De la vergona, e li ahi vigoria
Udendo le sirene sie più forte, ' Contro el licheto de la ieniazion, 45
Pon giù il seme del piangere, ed ascolta; Quel che pianzer te fa descazza via;

11 Da lì un fià = da li un poco -- scancelai = cancellati: vedi nota 142 del C. precedente.


14 M'ha cava = mi trasse.
18 più mnla - più fiacca.
20 a sechi = a dirotto.
32 Co un pi dc vnsc --- con un filo di voce. --<•'/ /avaro barbalo o il labbro balbettante.
33 sangiotnndo — singhiozzando.
36 i K m'ha fato solo = mi s'insinuarono per sedunni.
40 ghe sbroca - gli esce ad un tratto.
43 el morsegon = = il morso.
45 el licheto = l'allettamento.
16 descazza = - discaccia.
302 DEL PURGATORlO
Sì udirai come in contraria parte Sta a sentir come al ben che viea dal cielo,
Muover doveati mia carne sepolta. Tirarle te dovea la morte mia.
Mai non t'apprescntò natura ed arte L'arte e natura mai nissun modelo
Piacer, quanto le belle membra in ch'io Che te piasa de più le t' ha mostrà 50
Rinchiusa fui, e che son terra sparte : Dei, desso scpelio, mio corpo belo;
E se il sommo piacer sì ti fallio E co mi morta, el gusto t' ha mancà
Per la mia morte, qual cosa mortale Più grando, cossa mai el mondo aveva
Dovea poi trarre te nel suo disio ? Per farte el desiderio più apagà?
Ben ti dovevi, per lo primo strale Ben mostrar la mia morte te doveva
Delle cose fallaci, levar suso l piaceri busiari, e al ciel là sora
Diretr' a me che non era più tale. Levar le cegie in dove mi viveva.
Non ti dovea gravar le penne in giuso, No dovea strassinarte a la malora
Ad aspettar più colpi, o pargoletta, Qualche regazza incontro a novi guai,
O altra vanità con sì brev'uso. 0 pur drio gusti che no dura un ora. 60
Nuovo augelletto due o tre aspetta ; l osei novei dal nio noma molai,
Ma dinanzi dagli occhi de' pennuti ln rede ancuo o doma a i vien cascando,
Rete si spiega indarno, o si saetta. Ma i vechi no, se i ga i aguati ochiai.
Quale i fanciulli vergognando muti, Come i putei quando i ghe cria, scoltando
Con gli occhi a terra, stannosi ascoltando, 1 sta coi ochi bassi e senza arfiar 65
E te riconoscendo, e ripentuti; Pentii la romanzina e vergognando;
Tal mi stav'io. Ed ella disse : Quando Cossi resto. E eia dise: Se ascoltar
Per udir se' dolente, alza la barba, Te dol, alza la barba, che tormento
E prenderai più doglia riguardando. Ti sentirà più grando nel vardar.
Con men di resistenza si dibarba lH rovare gagiardo manco a stento 70
Robusto ccrro, ovvero a nostral vento, A l'infuriar de bora volta indrio,
Ovvero a quel della terra di larba, O quando supia l'african stravento,
Ch'io non levai al suo comando il mento : Che no mi in levar suso el mento mio :
E quando per la barba il viso chiese, E quando barba la ga dito al viso,
Ben conobbi il velen dell'argomento. Tuto el sconto velen go ben capio.
E come la mia faccia si distese, Apena alzar la testa m' ho deciso,
Posàrsi quelle prime creature Vedo i Anzoli sempre là fermai,
Da loro aspersion l'occhio comprese : Che i fiori più no i spande in Paradiso.
E le mie luci, ancor poco sicure, E i ochi ancora de vergogna infiai,
Videi Beatrice volta in su la liera, Scovre la Bice sul Grifon voltada, 80
Ch' è sola una persona in duo nature. Che ga in t'un solo corpo do anemai.
Sotto suo velo, ed oltre la riviera Fin là dal rio m' ha parso anca velada,
Verde, pereami più sè stessa antica Più in belezza sè stessa superasse,

52 E co = e quando.
56 / piaceri busiari = i piaceri bugiardi, cioè falsi.
58-59 No dovea cc — Dopo morta Beatrice, Dante fu pure suggetlo ad innamorarsi; per esempio s'innamo
rò della (Idillica, di cui il C. XXlV. v. 37 e seg. o dietro quanto narra qualche storiografo, sarebbe stato preso
da passione amorosa per madonna Pietra degli Scrovigni padovana .
61 noma = appena . mo/ai = ^ortiti.
64 i putei . i l'uncinili.
65 tenza arfiar = sema fiatare.
79 in/ini = gonfl.
CA-YTO xxxi. 303
Vincer, che l'altre qui quand'ella c'era. Che l'altre done co de qua l'è stada.
Di penter sì mi punse ivi l'ortica, Dir qual rimorso là me tormentasse, 85
Che di i ni i". ili i i, cose, qual mi torse No so, ma '1 xe sta tal, ch'ogn'altra cossa
Più nel suo amor, più mi si fe nimica. Che più go amà l' ha fato che mi odiasse.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse, Cossi granda in pentirme ho avua l'angossa,
Ch'io caddi vinto, e quale allora femmi, Che me son perso, e come sia restà,
Salsi colei che la cagion mi porse. Quela lo sa che me ga dà la scossa. 90
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, Po, co la conossenza m'è tornà,
li Donna ch'io avea trovata sola, Vedo la dona che ho trovada sola,
Sopra me vidi, e dicea : Tiemmi, tieinmi. Rente a mi, e me disea : Sta a mi tacà.
Tratto m'avea nel fiume i n lino a gola, La me fonda in canai fin a'ia gola,
E, tirandosi me dietro, sen giva E a remurchio tirandome, eia andava 95
Sovrt-sso l'acqua, lieve come spola. Snr, i l'aqua leziera a mo de spola.
Quando fui presso alla beata riva, La santa riva quasi mi locava,
àtperyei me sì dolcemente udissi, Co un tanto dolce asperges me sentiva,
Ch'io noi so rimembrar, non ch'io lo scriva. Che dir nè scriver so come i cantava.
lì bella donna nelle braccia aprissi, La bela dona i brazzi l'averziva, 100
ibbracciommi la testa, e mi sommerse, La m' ha brazzà la testa, e un caorio
Ove convenne ch'io l'acqua inghiottissi. Fatome far, l'aqua cossi ingiotiva :
Indi mi tolse, e bagnato m'offerse Po cavà mogio mogio da quel rio,
Dentro alla danza delle quattro belle, La me conduse da le quatro bele,
E ciascuna col braccio mi coperse. Che baiando coi brazzi m' ha covrio. 105
.Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle ; Ninfe semo in sta selva, e in cielo stele;
Pria che Beatrice discendesse al mondo, Prima che Bice fusse nata al mondo,
Fummo ordinate a lei per sue ancelle. Sumo stac destinae soe damigele.
Mi uivini ; agli occhi suoi : ma nel giocondo Da eia te conduremo, ma nel fondo
Lume ch' è dentro, aguzzeran li tuoi Dei soi bei ochi i toi entrar farà 110
Le tre di là, che miran più profondo. Le tre là in cao, che ga un saver profondo.
Così cantando cominciaro : e poi Cossi cantando, le me ga menà
Al petto del grifon seco menarmi, Dal Grifo de fazzada, e al sito istesso
Ove Beatrice volta stava a noi. Bice da nu voltada ochicmo là.
Disser: Fa che le viste non risparmi; Po le me dise: Varda ben adesso ; 115
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi, Ti xe davanti ai ochi brilantai
Ond'Amor già ti trasse le sue armi. Coi quali amor el fogo in cuor i.' ha messo.
Mille disiri più che fiamma caldi Un mici- de desideri i più infiamai
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti, De quei ochi el splendor me fa fissar,

84 Co = quando.
92 Vedo la dona — cioè Matelda.
93 Reate a mi = vicina a me = Sia a mi lacà = stringili a me dappresso.
94 La me fonda in canai = cioè nel fiume Lete.
98 Co = quando = asperges me = parole del Salmo 50, elic il Sacerdote proferisce quando con l'acqua
la asperge il popolo.
100 Ln beta dona = cioè la stessa Maleldu
101 caorio = capitombolo sotto acfjua.
103 mogio mogio = grondante.
104 da le iIuatro bele - le quattro Virih Cardinali.
Ili Le Ire = Virtù Teologiche = là in cao = di là, cioe dall'altra parte del Carro.
118 Un mia- = mille.
304 DEL PURGATORlO
Che pur sovra il grifone stavan saldi. Che sempre sul Grifon i sta fermai. 120
Come in lo specchio il Sol, non altrimenti Come in tei spechio el Sol, drento cambiar
La doppia liera dentro vi raggiava, De la bestia la forma se vedeva
Or con uni, or con altri reggimenti. Ora umana or divina. E qua pensar
Pensa, lettor, s' io mi maravigliava, Ti poi, letor, come restar doveva
Quando vedea la cosa in sè star queta, Mi, quando ci Grifo fermo, a trato a tratu 125
E nell'idolo suo si trasmutava. ln quei ochi muarse visto aveva.
Mentre che, piena di stupore e lieta, Sin che amirava imatonido afato
L'anima mia gustava di quel cibo, Quel incanto, che più lo sto vardando,
Che, saziando di sè, di sè asseta ; A gustarlo de più me sento trato;
Sè dimostrando del più alto tribo Co un far che mostra aver rango più grande, 130
Negli atti, l'altre tre si fero avanti, Le altre tre bele fatese davanti
Danzando al loro angelico caribo. Tra '1 so anzelico canto vien baiando.
Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi, Zira Beatrice, zira i ocbi santi
Era la sua canzone, al tuo fedele, Sul to amigo fedel, eie cantava,
Che, per vederti, ha mossi passi tanti. Ch'el ga fato per ti sti viazi tanti. [Ì35
Per grazia fa noi grazia che disvele Fane a nu sta finezza, via da brava,
A lui la bocca tua, sì che discerna Scovrighe el novo tuo celeste viso,
La seconda bellezza che tu cele. Che per vederlo tanto el spasemava.
O isplendor di viva luce eterna, O Bice mia, splendor del Paradiso,
Chi pallido si fece sotto l'ombra Chi è quelo che in Parnaso ha strussià tanto,
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, O sa fato le Muse el più bon viso,
Che non paresse aver la mente ingombra, Che intrigà noi sarave col so canto
Tentando a render te qual tu paresti A dir come ti geri tra '1 concerto
Là dove armonizzando il ciul t'adombra, Dei anzelici cori, e soto el manto
Quando nell'aere aperto ti solvesti? D'un ciclo puro co ti t'ha scoverto? 1*5

127 imatonido afato — allibilo del tutto, attonito (per lu sorpresa).


130 Co mi far = con un alleggi unento.
136 sta finezza — questa grazia.
138 el tpasemava = desiderava, si struggeva.
505

CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Quando il Poeta dal sonno si desta. Svegià Dante dal sono, vede star
Trado sotto alla pianta il Carro vede; Soto la pianta ni Caro, malmena
Cui prima forte un'Aquila molesta. Da l'Aquila un flà prima. 'Quelo sliusar
Ed indi un Drago salendo lo fiede: Va un Drago, o ghe ne strapa un loco. Ma
ljoi d'esso mftravlgfie i-scon maiririori. Dt'. uni'? maravegie, eho faria
Allo cui ulto senso si richiede Trassucolar, che sorte da de lu,
D' allegorico velo tra rii fuori. Cavegha el senso da l'alegoria.

Tanto i-rau gli occhi miei fissi ed attenti Dopo dies'ani de desun, tegniva
A disbramarsi la decenne sete, Su Bice i ochi uiii tanto incantai,
Che gli altri sensi m'eran tutti spenti; Ch'altro mi no vedeva nè sentiva.
Ed essi quinci e quindi avèn parete Nissuna cossa al mondo li ha straviai
Di non caler, così lo santo riso Quanto quel riso, che fissar ardisso, 5
A sè traèli con l'antica rete; E li a vr,i, come sempre, incadenai ;
Quando per forza mi fa volto il viso Quando senza voler col'ochio sbrisso
Ver la sinistra mia da quelle Dee, Su Ir tre done a zanca, perchè sento
Perch'io udia da loro un : Troppo fiso. Che le dise : Ti vardi massa fisso.
E la disposizion, che a veder ec Come quel che vardando el Sol atento, 10
Negli occhi pur teste dal Sol percossi, Dal lusor tropo forte resta orbà,
Sanza la vista alquanto esser mi fee ; Me ga mancà la vista in quel momento.
Ma poichè al poco il viso riformossi Ma su altre luse co la s'ha infrancà
(lo dico al poco per rispetto al molto (Arquanto manco vive in paragon
Sensibile, onde a forza mi rimossi), De quela, che per forza go lassà) 15
Vidi in sul braccio destro esser rivolto Vedo zirar la santa prussision
Lo glorioso esercito, tornarsi A drita incontro al Sol e ai candelieri,
Col Sole e con le sette liamme al volto. Che inlumina l'anzelica funzion :
Come sotto gli scudi per salvarsi Come, parai dai scudi, fa i gucricri
Volgesi schiera, e sè gira col segno, Co la bandiera in ziro la voltada, 20
Prima che possa tutta in sè mutarsi ; Prima che se rad rizza i ranghi intieri;
Quella milizia del celeste regno, Tuta del ciel la trupa xe passada
Che precedeva, tutta trapassonne Avanti abia el timon del Caro pio
Pria che piegasse il carro il primo legn0. Fata dopo de quela la zinula.
Indi alle rote si tornar le donne, Tornae le done a le so rode indrio, 25

1 Dopn diei'ani de desmi - dopo dicci nuni di digiuno. Erano scorsi dicci anni dalla morte di Beatrice :
'lai 1290 al 1300: vedi C. XXX. v. 34-36
^ co l'nrlii» sbrisso == mi cudc l'occhio.
3 Su le Ire dtmt = cioè le tre virtù Teologali eho stavano a desini del Carro (la ('.hìr-ii, e alla sinistra
di Dante.
9 massa = troppo.
13 m st'altre luse = cioè nelle luci delle altre cose celesti.
19 pumi =-_ riparali, difesi dai colpi del nemico.
2! (a inilm = cioè gli scrittori della legge antica e i profeti.
20
306 DEL PURGATORIO
E il grifon mosse il benedetto carco, Senza vederghe pena Iremolar,
Sì che però nulla penna crollonne. S' ha lirà '1 Grifo et sanlo peso drio.
La bella donna che mi trasse al varco, Quela che m' ha '1 canai fato passar,
E Stazio ed io seguitavam la rota Si. i/io e mi, compagnavimo la rua,
Che fe l'orbita sua con minor arco. Che fa '1 ziro più strelo in tei vollar.
Sì passeggiando l'alta selva vota, Per la selva se va de zente nua,
Colpa di quella ch'ai serpente crese, (Colpa de quela che ha scollà el serpente)
Temprava i passi un'angelica nota. Dei anzelici canti a la balua.
Forse in tre voli tanto spazio prese Slongai Ire tiri d'arco, o là là arente,
Disfrenata saetta, quanto eràmo Se gera, co culia che sempre bramo
Rimossi quando Beatrice scese. Xe smonimia dal Caro. la imi dolente
Io senti' mormorare a tutti : Adamo ! Tuli Ira i denti e in fià i ha dilo : Adamo !
Poi cerchiaro una pianta dispogliata Dopo una pianta i ga lornià, che fruti
Di fiori e d'altra fronda in ciascun ramo. No l'aveva nè fogie in nissun ramo.
La chioma sua, che tanto si dilata Più in su va i rami, e più se starga i fouli
Più, quanto più è su, fora dagl'Indi Tanto alii, che compagni in mezo a lauti
Ne' boschi lui per altezza ammirata. No vanta el bosco Indian che amira tuli.
Beato se', grifon, che non discindi Ti beato, Grifon, che no ti pianti
Col becco d'esto legno dolce al gusto, El to bèco in sto legno dolce al gusto.
Posciache mal si torse il ventre quindi. Causa de tanti mali, afani e pianti.
Cosi d'intorno all'arbore robusto Cussi i altri diseva in i orno al fusto ;
Gridaron gli altri ; e l'animai binato : E '1 Grifo sia sentenza ha pronunzià :
Sì si conserva il seme d'ogni giusto. La semenza cossi resta del giusto.
E volto al temo, ch'egli avea tirato, E voltà al Caro, ch'el gavea tirà,
Trasselo a pie della vedova frasca ; Ai pie lo mena della spogia pianta,
E quel di lei a lei lasciò legato. Che ghe aparlien, e a quela el 1' ha ligà.
Come le nostre piante, quando casca Quando la luse el Sol d'avril ga spanta.
Giù la gran luce mischiata con quella Dando n le nostre piante el so calor,
Che raggia dietro alla celeste lasca, PronIamente anemae le se descanta,
Turgide fansi, e poi si rinnovella Le se sgionfa, n le buta novo fior,
Di suo color ciascuna, pria che '1 Sole Prima ch'el cora a un altro segno drio.
Giunga li suoi corsier sott'altra stella; Mostrando ognuna el proprio so color ;

28 Quela = cioè Malelda, quella elic fece passar il fiume l,cln (Vdi C. XXXI v. 94 e seguenti) e che gii
tenne compagnia nell'incontro del Paradiso terrestre.
29 rn n - ruota.
31 de sente nua • spoglia di genie.
33 a la balua = a tempo di musica.
31 Stangai — dilungati =: o là là areate — o lò a un dipresso
35 co culi" — quando colei, cioè Beatrice.
37 i/i fìà = in fiato, a voce sommessa = Adamol — eselamazione di rimprovero verso Adamo porciii pfr
sua inobbediciua tale luogo era perduto dalla umana generazione.
38 una pianta = è I albero della scienza del bene e del male: qui i- simbolo della monarchia universale <
del Romano impero = f ga /orma — hanno circondalo.
40 i 6o/i' = i gcrmi: vedi il C. seg. v. 65-60.
50 tpayin = spoglia di fronde.
51 die ykc apparticu — Cristo fondò la sua Chiesa nell'impero e per l'impero; e BUpicntcmcute d I'.
nel suo discorso sull'allegoria del Sacro poema osserva che in questo fatto del grifone di lasciare il rarru Ji !<•
gno legato al legno della pianta, è un documento che il Papa colla sua cattedra, figurata nei curro, è
mandato qual cittadino temporale e membro della società, alla vigilanza e cura dell' imperatore. Vedi C. 11 t
l'inferno.
CANTO XXXtf. 307
Men che di rose, e più che di viole, Cossi l'alboro nuo, se ga vestio
Colore aprendo, s'innovò la pianta, Color viola, e de rosa solo un fià.
Che prima avea le ramora sì sole. Qua 7.0 no i canta, nè l'ho mai sentio, 60
Io non lo intesi, ni quaggiù si canta Quel Ino dolce che i cantava là ;
L'inno che quella gente allor cantaro, E el me ga fato tanto deliziar,
>'è la nota soffersi tuttaquanta. Che avanti el sia finio m'ho indormenzà.
S'io potessi rii m r come assonnato Se dir savesse come indormenzar
Gli occhi spieiati, udendo di Siringa, De Siringa la fiaba ha podesto Argo, 65
Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro; Che caro ga costà lanto vegiar ;
Come pintor che con esempio pinga, Drio quel modelo me torave el cargo
Disegnerei com'io m'addormentai; De spifarar come insonà me sia,
Ma qual vuoi sia che l'assonnar ben finga. Ma a dirlo ben ghe lasso ai altri el largo.
Però trascorro a quando mi svegliai, E digo, per finir la storia mia, 70
E dico ch'un splendor mi squarciò il velo Che m'ha svegià una luse e sto parlar:
Del sonno, ed un chiamar : Surgi, che fai ? Cossa i'astu qua ti? leva su via.
Quale a veder de' fioretti del melo, Come i fiori del Melo andai a ochiar
Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti, Xe Piero, Zuane e Giacomo, cifri l'i uhi
E perpetue nozze fa nel cielo, I Anzoli gioii in ciel fa consolar, 75
Pictro e Giovanni e lacopo condotti, E in cielo quel so pomo i gusta luto ;
E vinti ritornaro alla parola, E là cascai, la vose che ha svegià
Dalla qual furon maggior sonni rolli. - Soni più duri, el soo anca ha destruto ;
E videro scemata loro scuola, Tornai po in eli, partir via da là
Così di Moisè come d' Elia, I ha visto Elia e Mosò, e i xe restai 80
E al maestro suo cangiata stola ; Ch'el so Mestro de vesta s' ha cambià ;
Tal torna' io, e vidi quella Pia Cussi go tegnù i uchi spalancai
Sovra me starsi, che conducitrice Su la dona, che longo el rio la strada
Fu de' miei passi lungo il fiume pria; Mostrandone, ha i mii passi acompagnai.
E tulio in dubbio dissi: Ov'è Beatrice? Con ansia digo: Dov'è Bice andada? 85
Ed ella: Vedi lei sotto la fronda E eia : Solo le fogie là in senton

58-59 unn -- nudo • - ae ga veslio -.-. si vesti (di nuove foglie). Allegoricamente: Tosto ehe la scde aposto
lica ebbe il suo luogo, Roma, che prima era disadorna d'ogni virtù, se n'abbellì tutta quanta, a somiglianzà delle
punte, che in primavera si vestono di fronde e di fiori, mostrando un colore misto di roseo e di violaceo, quale
-i è il sangue: n qui si allude forse al sangue di G. C., e a quello dei martiri, ond'ebbe incremento la Chiesa.
(Fraticelli;. = un fià — un poco.
64-66 Se dir zaveste = secondo le favole Giove in. nulo in terni Mercurio per SvITU in poter suo la giovi
netta lo, guardata, per ordine di Giunone gelosa, da Argo ehe con cento occhi la vegliava senza sentire alcuna
Mfi. i di lei. Il divino messaggero venne ad Argo, e si pose a raccontargli con si dolce cauto la favola di Si
ringa amala da Pane, che gli infuse negli occhi il sonno e poi l'uccise .--: vegiar — vegliare.
67 i-/ cargo -.-. il peso. Qui è preso per impegno, incarico assunto.
68 de tpifarar = di spiattellare.
69 ti larga = il campo.
73-81 del Mi-In ee. - nel Melo (pomo) è simboleggiato Gesù Cristo: cosi la Donna dei Sacri Cantici: Situt
metia mfer tigna silvarum, sic dileelus menu. I tre discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo, furono condoni a vedere
' fioriidei melo, cioè un saggio della gloria della divinità di Gesù Cristo nella sua trasfigurazione; e dopo essere
cadali a terra percossi e stupefatti dal divino fulgore, si riebbero alle parole: Surgile ci notile limare, 'di-tic
dal Redentore, alla cui voce fu rotto pure il sonno di Lazzaro quando disse: l,azare, vani furuz, e videro par
tire Uose ed Elia, elic erano apparsi con Gesù Cristo, e sparire il niveo splendore delle veslimenla divine. -
renai = rimasti attoniti.
83 Su la dona — Matelda.
86 m scidon = siedala.
308 DEL PURGATORIO
Nuova sedersi in su la sua radice. La xe al pie de la pianta revivada
Vedi la compagnia che la circonda; In mezo a le compagne, e drio al Grifon
Gli altri dopo il grifon sen vanno suso, Tuli quei altri in cielo i xe tornai
Con più dolce canzone e più profonda. Cantando una più tenera canzon. 90
E se fu più lo suo parlar diffuso Se più la gabia dito, chi '1 sa mai!
Non so, perocchè già negli occhi m'era Che altro, co ho visto quela che m'incanta,
Quella, ch'ad altro intender m'avea chiuso. N' ho sentio, e in eia i ochi go fermai.
Sola sedeasi in su la terra vera, L'era sentada su la lera santa
Come guardia lasciata lì del plaustro, Quasi in guardia del Caro, che mi aveva "
Che legar vidi alla biforme fiera. Visto ligar dal Grifo a quela pianta.
In cerchio le facevan di sè elaustro Le sete done cerchio ghe fazzeva
Le sette ninfe, con que' lumi in mano Tegnindo ognuna uno dei lumi in man,
Che son sicuri d'Aquilone e d'Austro. Che stuar Siroco o Bora no podeva.
Qui sarai tu poco tempo silvano, Via da sto bosco, e'1 lempo no è lontan, 100
E sarai meco senza fine cive Ti sarà citadin con mi e con Cristo
Ili quella Roma, onde Cristo è Romano ; De la Cità dove xe Lu el Sovran.
Però, in pro del mondo che mal vive, Ma perchè se reveda l'omo tristo,
Al carro tieni or gli occhi, e, quel che vedi, Varda sto Caro, e co ti torni al mondo,
Ritornato di là, fa che tu scrive. Pensa de scriver quelo che li ha visto. 105
Cosi Beatrice; ed io che tutto a' piedi Cossi Bice me parla, e sin al fondo
De' suoi comandamenti era devoto, Del cuor locà per quela ordinazion,
La mente e gli occhi, ov'ella volle, diedi. Con ochi e mente el so voler secondo.
Non scese mai con sì veloce moto Mai da l'allo cussi a precipiton
Fuoco di spessa nube, quando piove Xe '1 fulmine piombà quando che piove, HO
Da quel confine che più è remoto, Come in calarse zoso de ficon
Com'io vidi calar l'uccel di Giove Veder me ga locà Posel de Giove
Per l'arbor giù, rompendo della scorza, Su la pianta, sbregandoghe la scorza,
Non che de' fiori e delle foglie nuove; Stradando i fiori e le so fogie nove.
E ferio '1 carro di tutta sua forza, E el Oro trionfai con tuta forza !l•i
Ond'ei piegò, come nave in fortuna, Scosso, come in borasca un bastimento
Vinta dall'onde, or da poggia or da orza. Ora a di-ita ora a zanca andar lo sfora.
Poscia vidi avventarsi nella cuna Dopo sìanzarse ne la cassa drento
Del trionfai veiculo una volpe, Vedo una volpe, che pareva mai
Che d'ogni pasto buon parca digiuna. No l'avesse gustà bon nutrimento. '20
Ma riprendendo lei di laide colpe, Ma co Vice i so imbrogi ha strapazzai,
La Donna mia la volse in tanta futa. Jn tanta pressa se la ga batua.

SS campagne = cioè le selle donno simboleggiatdi le Ire Virtù teologali, come fu dello sopra alla noia S., (
le quatlro virtù cardinali.
92 co ha visto — quand'ho vedulo,
103 se receda — si emendi.
109 a precipilon = prceipilosamente.
111 ite ficmi = di li lalo.
112 l'osci rf" Giove = l'aquila simbolo dell'Impero nimanu.
1 13 tbvcgundoght la scorza — lacerandole la corteccia.
115-117 E 'i caro trionfai = alludesi alla persecuzione fathi alla Chiesa dagli imperatori romani.
Ilil una txi!]}c — eioò l'eresia elic astutamente e fraudolenteinente cerca iidroJursi nella Chiesn-
121 Ma co = ma quando.
122 In tanta pressa .- con tanta prestezza = se la ga batua — si mise a fuggire.
CANTO xxxn. 309
Quanto sofferson l'ossa senza polpe. Quanta ghe permetea i ossi spolpai.
Poscia, per indi ond'era pria venuta, Po da dove la xe prima vegnua,
L'aquila vidi scender giù nell'arca L'aquila drente al Caro xe svolada, 125
Del carro, e lasciar lei di sè pennuta. Lassandoghe de pene una gran mua.
E, qual esce di cuor che si rammarca, Come dogia de cuor dal cuor mandada,
Tal voce uscì del cielo, e cotal disse : Una vose dal ciel £ussi ha parlà :
O navicella mia, com' mal se' earca ! Barcheta mia, co mal che i i ha cargada !
Poi parve a me che la terra s'aprisse M' ha parso po el teren s'abia spacà 1 30
Tr'ambo le rote, e vidi uscirne un drago, Tra le rue, e visto ho un drago che sortio
Che per lo carro su la coda fisse : Uà quel, la eoa in tei Caro el ga piantà :
E, come vespa che ritragge l'ago, Come el sponton la vespa tira indrio,
A sè traendo la coda maligna, La eoa el ritira, e un loco in quela el tien
Trasse del fondo, e gissen vago vago. Del fondo, e a zighezag po '1 xe sparlo. 135
Quel che rimase, come di gramigna Del Caro el resto, come el bon teren
Vivace terra, della piuma, offerta De gramegna se covre, de la pena
Forse con intenzion casta e benigna, (Che gh'è sta dada forsi a fin de ben)
si ricoperse, e funne ricoperta Se ga coverto ; e de l'istessa pena
E i'ima e l'altra rota e il temo in tanto, S'ha coverte le rode e anca el timon, 140
Che più tiene un sospir la bocca aperta. Sintanto che un sospiro se dà apena.
Trasformato cosi il dificio santo Vegnù in sto modo el Caro un mascaron,
Mise fuor teste per Je parti sue, 1 .' ha cazzà fora teste d'ogni banda :
Tre sovra il temo, ed una in ciascun cauto. Tre sul timon e un'altra per canton;
Le prime eran cornute come bue ; Le prime i corni come i bo le manda; 143
Ma le quattro un sol corno avean per fronte : E le altre quatro un solo su la fronte :
Simile mostro visto mai non fue. Mai s' ha visto una cossa più nefanda.
Sicura, quasi rocca in alto monte, Ferma come una torc in cima a un monte,
Seder sovr'esso una puttana sciolta Sentada in Caro una putana stava,
M'apparve con le ciglia intorno pronte. Zirando i ochi e la sfazzada fronte. 150
f; come perchè non gli fosse tolta, Al so fianco un zigante in pie la ochiava,
Vidi di costa a lei dritto un gigante, Aciò che da nissun la sia tocada,

126 una gran mua = una gran quantità, cioè le ricchezze donale dagli Imperatori alla Ciucca.
127 elogia ._ doglia.
128 una vote =: una voce nell' Apocalisse (XVIII. lì psce dal cielo; voce di rammarico nella visione della
femmina fornicante coi re.
129 co inni = quanto male — i-In i l'ha cargada = elic ti hanno caricata.
131 rue .- ruote --.: un drago = cioe lo Scisma che tenta introdnrsi esso pure nella Chiesa.
133 'I tponlon = il pungiglione.
134 e un loco = e un pezzo.
135 a zightzag — voce elic significa, tortuosità, serpeggiamento.
13S '.Vir iila sia dada farsi a fin de ben = Sono qui simboleggiati i mali effetti prodotti dalle ricchezze
offerte alla Chiesa con buona intenzione, in quanto miravano al maggior lustro della sede e al sovvenimento dei
poveri; le quali in breve spazio di tempo diventarono strabocchevoli (Fraticelli).
H2 un matcaron - qui vale per figura lu più deforme; cioè la Sede Pontificia divenuta un mostro por
che le ricchezze corrompono il cuore dci Pontefici.
143 L'ha cazza . spinse fuori — d'ogni banda .-.- per tulli i luti. Nelle selle teste sono simboleggiati li
'die peccati capitali.
145 una putana = simbolo dei l'astori che si sono lasciati corrompere dalle ricchezze.
151 UH zigaide ... è qui simboleggiato Filippo il Bello re di Francia, che patteggiò con Bonifazio Vili e
cogli altri Pontefici, e li voleva tenere schiavi alle sue voglie.
310 DEL PURGATORIO
E baciavansi insieme alcuna volta : E a quando a quando insieme i se basava:
Ma perchè l'occhio cupido e vagante Ma perchè la me ga molà un ochiada
A me rivolse, quel feroce drudo Bricona, el so berton inzrlosio 155
La flagellò dal capo insin le piante. La ga da testa a pie ben pelufada.
Poi, di sospetto pieno e d'ira crudo, Tra "1 sospeto e '1 velen po incrudelio,
Disciolse il mostro, e trassei per la selva Destigà el Caro, un mostro deventà,
Tanto, che sol di lei mi fece scudo Per el bosco lontan s'el tira drio :
Alla puttana ed alla nuova belva. Cussi putana e mostro s'ha sfantà. 1611

153 e i se basava = allude alla intrinsichezza tra i Pontefici e il re di Francia.


154-159 Ma perchè ee. :--. Papa Benedetto XI fu amico dei Ghibellini alla cui fazione erasi dato Dante. Con
ciò viene a spiegarsi come avendo la donna sfacciata riguardato lui cogli ocehi cupidi, fu dal gigante sospetloso
battuta dalla lesta sino ai piedi; poi trasportata col Carro lungi dalla valle, cioè fu trasportata da Filippo il
Urliii in Avignone la Sede Pontifìcia = la me ga mola nn'ochiadu = essa mi lancio un'occhiata. = pettftit
= percossa.
160 s'iiu ifantù --- si dileguò. ,

CANTO TRENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Volta Beatrice parla in dolce aspetto, Beatrice parla con Ingnignita
E quel che Pante avea con occhio scorto, A Dante, al qual su quanto el ga possii
Brevemente dichiara al suo intelletto. Là descovrir, la spiegazion ghe da.
Indi perch'abbia nel suo sen conforto Po per aver più forza in la virtù,
Vera virtù, che l'anime fa belle. Che piase a Dio, e l'anemo fa belo,
Dee d'Eunoe, d'onde si fa più accorto, Beve ne l'Eunoè. Puvo vegna,
Turo, e disposto a salire alle stelle. El se despone d'andar suso in cielo.

Deus, vtnemnt yentes, alternando, Ora le tre, ora le quatro bete


Or tre or quattro, dolce salmodia fleus, venerimi yentes, ra cantando
Le donne incominciaro, lagrimando : Tra '1 pianto une drio l'altre e queste e quele ;
E Beatrice sospirosa e pia E Fanzclica Bice sospirando,
Quelle ascoltava sì fotta, che poco Quasi come Maria vicina al Fio 5
Pio alla croce si cambiò Maria. Su la erose vegnuda, sta ascoltando.
Ma poichè l'altre vergini dier loco Ma co le done el Salmo le ha linio,
A lei di dir, levata dritta in piè, Sta resposta, levada drita in piè,
Rispose, colorata come fuoco : Piena de fogo a darghe go sentio :
Modicum, el non videbitis me, Modicum, et non videbitis me: 10
Et iterimi, sorelle mie dilette, Et iterum, sorele benedete,
Modicitm, el vos videbitis me. ffodicum, et vos videbitis me.

1 Ora le tre ora le yuatro tele = le donne accennate al v. 88 del Canto precedente.
2 Deus veneraut genici ee. -= Sahno nel quale Davide piange le abominazioni del Tempio di Gerosolima,
ed invoca il braccio di Dio contro gli operatori di quelle.
7 .!/n co = ma quando.
10-12 Modicum ». .-. ancora un poco e non mi vedrete; e uovamente: ancora un poco e voi mi vedrete.
Parole di Gesù Cristo colle quali predice a' suoi discepoli che fra poco gli avrebbe lasciati e sarebbe salito
i'Ititi.
CAIVTO xxxni. 314
Poi le si mise innanzi tutte e sette, Po mandando davanti tute sete,
E dopo sè, solo accennando, mosse La Matelda con Stazio e mi, invida i
Me e la Donna, e il Savio che ristette. Con un moto, drio d'eia la ne mete. 15
Così sen giva, e non credo che fosse Cussi la va, e no Cavea puzai
Lo decimo suo passo in terra posto, Diese passeti sul teren antigo,
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ; Quando i soi coi mii ochi -" ha incontrai.
E con tranquillo aspetto: Vien più tosto, Calma in ciera eia a mi: Camina, amigo,
•Mi disse, tanto che s'io parlo teco, Più presto tanto, che con ti parlando, 20
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto. Ti possi ben sentir quelo che digo.
Si com'i' fui, com'io doveva, seco, Fatome arente apena avù el comando,
Di-vmi: Frate, perchè non t'attenti Perchè, la dise, no ti fa domanda
A dimandare omai venendo meco? Desso, che insieme andemo caminando ?
Come a color, che troppo reverenti, Come davanti a una persona granda, 25
Dioanzi a suoi maggior parlando sono, Impedia per la tropa sugizion,
Che non traggon la voce viva a' denti, La vose piena fora no se manda ;
Arrenne a me, che senza intero suono Cussi è de mi, che digo in semiton :
Incominciai : Madonna, mia bisogna O santa dona, quel che me bisogna
Voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono. Vu ben save, perchè save chi son. 30
Ed ella a me : Da tema e da vergogna E eia a mi: La temanza e la vergogna
Voglio che tu omai ti disviluppe, Scazza via, che de ti no saria degno
Sì che non parli più com'uom che sogna. De parlar come quelo che s'insogna.
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe, Sapi; ci Caro sfondà dal drago indegno,
Fu, e non è ; ma chi n' ha colpa creda No xe più lu, ma i birbi sentirà 35
Che vendetta di Dio non teme suppe. Come l'ira de Dio no ga ritegno.
Non sarà tutto tempo senza reda L'aquila, che le pene ga lassà
L'aquila che lasciò le penne al carro, Al Caro vegnù mostro e po botin,
Perchè divenne mostro e poscia preda ; Un erede più bon la trovarà :
Ch'io veggio certamente, e però '1 narro, E tanto certa son, che vedo insin 40
A darne tempo già stelle propinque, (Perciò lo digo) el ciel ch'el tempo belo
Sicuro d'ogni intoppo e d'ogni sbarro; El segna, senza intopi a nu vicin ;
Nel quale un cinquecento dieci e cinque, Nel qual un capitan mandà dal cielo,
Messo di Dio, anciderà la fuia, Del gran zigante e de la so sìondrona,
E quel gigante che con lei delinque. Tra le soe briconaè farà un macelo. 'ia
E forse che la mia narrazion buia, Forsi ste cosse scure le te sona,
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade, Come de Sfinge e Temi xe l'arcan,

16 puzai = posti.
17 ,..\iHl., — mitico, riferito alla terra del Paradiso terrestre abitata dai primi uomini.
31 I. n (manzo = la tema.
34-36 Sa/n' ee. — viene fatta allusione alla sede Pontificia, che non e più tale quale fu da Dio stabilita dopo
perdute le sue virtù fondamentali, la povertà e l'umili:! ; e dopo essere stata trasportata in Avignoue, e ciò per
colpa del Papa Clemente V, e Filippo il Bello re di Francia: vedi v. 158, 159 del Canto precedente.
37.45 l'aquila che le pene ce. — fuori di metafora significa, elic l'imperatore che fece donazioni alla Santa
Sede, il perchè ella divenne mostruosa e poscia preda dei francesi, troverà migliore successore, e il tempo è
vicino nel quale un Capitano inviato dal cielo abbatterà la rapace Curia Romana e il re di Francia, quella raf
figurata sotto le forme della meretrice, questi sotto quelle del gran gigante. Nel Capitano sarebbe inteso da alcuni
chiosatori Can Grande della Scala duce della lega Ghibellina. V. quanto s'ù detto del Veltro, Inf. C. I. v. 93.
= 'londrona = donna di mal fare, meretrice.
47 Sfingi- e Temi = due deità, la prima pronunciava enigmi; la seconda oracoli.
512 PUR fUXORlO
l'ercii" a lur modo lo intelletto attuia; E come quelo Hnteleto introna ;
Ma tosto lini li falti le Naiàde, Ma presto tei farà tocar con man,
Che solveranno questo enigma forte, Credi, i fati ch'el velo avarà roto 50
Senza danno di pecore e di biade. Senza perder le piegorc ne '1 gran.
Tu nota; e, sì come da me son porle Tien nota ; e porta al stesso velo soto,
Queste parole, si le insegna a' vivi Come tei digo, sto discorso mio
Del viver ch'è un correre alla morie; A chi, vivendo, a morte va de troto.
Ed aggi a mente, quando tu le scrivi, E co tei scrivi, avanti aver finio, 55
Di non celar qua1 hai vista la pianta, No sconder come vista li ha la pianta
Ch'è or due volte dirubata quivi. Qua robada do volte. Contro Dìo
Qualunque ruba quella o quella schianta, Bestemia chi la roba o chi la spianta,
Con bestemmia di fatto offende Dio, E a Lu coi fati gran insulto fa,
Che solo all'uso suo la creò santa. Che per Lu solo el la ga fala santa. 60
Per morder quella, in pena ed in disio Morsegandola, Adamo ha '1 lio pagà
Cinqucmil'anni e più, l'anima prima CinquemU'ani sospirando e più,
JJramò colui che il morso in sè punio. Chi per quel morscgon tanto ha penà.
Dorme lo ingegno tuo, se non istima Dorme ci to inzegno, o pur noi xe più lu,
Per singular cagione essere eccelsa So de l'altezza la rason noi s.inte 65
Lei tanto, e sì travolta nella cima. De l'alboro e del so siargarse in su.
E, se stati non fossero acqua d' Elsa E se le idee del mondo in la to mente
Li pensicr vani intorno alla tua mente, !)' Elsa l'aqua l'efeto no fasesse,
E il piacer loro un Piramo alla gelsa ; Come Piramo al gelso istessamente;
Per tante circostanze solamente Queste strasordenaric cosse istesse, TU
La giustizia di Dio nello interdetto La proibizion e l'alboro l'aria
Conosceresti all'aliici. moralmente. Che de Dio la giustìzia in li lusessc.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto Ma perchè vedo clic ti ga impetria,
Fatto di pietra ed in petrato tinto, Scura scura la mente e in confusion,
Sì che t'abbaglia il lume del mio detto, f.la' no t'intendi la parola mia, 75
Voglio anche, e se non scrino, almen dipinto, Vói ti la porti almanco in embrion
Che '1 le ne porli dentro a le per quello Drcnto in ti. come el pelegrin sul legno
Che si reca il bordon di palma cinto. Ga la palma co '1 torna dal perdon.
Ed io : Sì come cera da suggello, Mi digo: Come del sigilo el segno

4!! ni(rona . . stordisce.


51 Sema perder le piegare ne 'l gran = allude al danno clic soffersero i Tchuni, ai quali la Dra Temi
mandò una fiera clic divorò le loro gregge, e devastò le loro campagne, in vendetta ili essersi le Najadi falle
ardile a spiegare gli oracoli.
55 E co — e quando.
56 la pianta = l'albero dell'oblicdienza.
63 Chi — cioè G. C. == morscgon = morso
05-0G Se de l'altezza cc -.• Vedi il Canto precedente, v. 40. L'altezza dell'albera fursc significa l'origine di
vina della romana monarcliia; e il suo dilatarsi in cima, il destinatole ingrandimento per fulta la i. TI. i fBian
chi) •- la rason : - la cagione, il perchè.
68 D'Elsa Caifua — l'acqua 'dell'Elsa, fiume di Toscana, hu la proprietà d'impietrire, cioè ricoprire di
un tartaro petrigno ciò che in c>-a s'immerge.
ti9 Come rifui,,1, — Piramo macchiò i frulli del gelso clic di bianchi si fecero vermigli; vedi la nota ai ».
37-30 del C. XXVll.
71 l.a proibifimi e l'alboro = il divieto che fu fallo ai pi.imi progenitori, cioè clic mangiassero di ogni
frnlto, fuorchè dell'albero della scienza del bene e del male.
70 Vii = voglio.
CANTO xxxni. 343
Che la figura impressa non trasmuta, Tien la cera, cussi l'imprimidura 80
Segnato è or da voi lo mio cervello. Che ave dà al mio cervelo adesso tegno;
Ma perchè tanto sovra mia veduta Ma perchè al mio inteleto tanto scura
Vostra parola disiata vola, Xe la vostra parola, e tanto intende
Che più la perde quanto più s'aiuta ? Manco, quanto più ci melo a la tortura?
Perchè conoscili, disse, quella scuola E eia : Varda da questo quei che vende 85
Ch'hai seguitata, e veggi sua dottrina La sienza, quanto che i xe a torzio al mondo,
Come può seguitar la mia parola ; Se capir quel che digo eli pretende;
E veggi vostra via dalla divina Perchè questa (e po di' ch'el mondo è tondo)
Dittar cotanto, quanto si discorda Tanta da la divina xe lontana,
Da terra il ciel che più alto festina. Quanto da tera el più alto ciel. Respondo : 90
Ond'io risposi lei: Non mi ricorda Se la consienza mia no la me ingana,
Ch'io straniassi me giammai da voi, Che v'abia abandonà no ho mai savesto ;
Nè Inumi; coscienzia che rimorda. Nè se recorda la mia mente sana.
E, -,- tu ricordar non te ne puoi, Se ti te ga desmentegà de questo,
Sorridendo rispose, or ti rammenta Responde eia ridendo, pensa al Lete 95
Si come di Letè beesti ancoi; E a l'aqua soa che ancuo ti ga bevesto :
E, se dal fumo fuoco s'argomenta, E se dal fumo in dubio nissun mete
Coleste oblivion chiaro conchiude El fogo, sto scordarle assae dismostra
Colpa nella tua voglia altrove attenta. Che li ha batue le strade manco drete.
Veramente ovamai saranno nude Ma vogio che più chiaro se te mostra 100
Le mie parole, quanto converrassi Quel che digo, che '1 torbio to ccrvelo
Quelle scovrire alla tua vista rude. No te lassa capir. Za fava mostra
E più corrusco, e con più lenti passi, D'andar più adasio con lusor più belo
Teneva il Sole il cerchio di merigge, El Sol del mezodì, ch'el xe varda
Che qua e là, come gli aspetti, fassi, Da la zente da questo sito o quelo; 105
Quando s'affisser, sì come s'affigge Quando le sete done s' ha fermà,
Chi va dinanzi a schiera per iscorta, (Come a cao d'una trupa la sicura
Se truova novitate in sue vt:stigge, Scorta, se incontra in viazo novità)
Le sette donne al fm d'un'ombra smorta, Dove ha fin l'ombra eguai a quela scura,
Qual sotto foglie verdi e rami nigri ('.he soto fogie in negri rami nate, 110
Sovra suoi freddi rivi l'Alpe porta. El monte ai fredi rieli soi procura.
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri Davanti a lore me parea l' Eufrate

86 i xe a torzio — vaneggiano.
9} ' la v'abia abandond ee. = cioè elic abbia abbandonato lo studio delln scienia Teologico (figurata in
Beatrice).
95 penia al Ltle - l'acqua del fiume Lele, come fu dello altrove, ha la proprietà di far dimenticare, io
dii nè beve, le male opere che ha commesse; come le acque dell'altro liumc Eunoe hanno invece la proprietà' di
richiamare alla memoria le opere virtuose e buone. Ora Dante che bevelte l'acqua del Lete, come fu dello al
Unto XXXI v. 102, non ricordava più di avere lasciala la buonn strada tracciatagli da Beatrice sulla terni.
101-102 che 'I (or6i'o lo cerne/o = perchè il Ino cervello oscuro, confuso, = No le lana capir = Dante
ha perduta la memoria del male bevendo l'acqua del Loie, ma In sua mente è tuttavia offuscata finche non la
rinnovi bevendo quella di-H'Eunoè.
103-104 D'andar più adazio er. - quando il Sole è a mezzogiorno, apparisce più splendente perchè manda
i suoi raggi meno obliqui e sembra muoversi più lento, perchè poca variazione fanno le ombre dei eorpi.
107 a cao = a capo, alla testa M'uiis truppa/
111 rieli = canalini, ruscelli, rivi, rigagnoli.
344 PEL PURGATORIO
Veder mi parve uscir d'una fontana, Vegnir col Tigri a pian da una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri. E d'acordo sparir le aque beate.
O luce, o gloria della gente umana, O luse e gnor de la famegia umana, Ilo
Che acqua è questa, che qui si dispiega Digo, st'aqua coss'ela, che vien fora
Da un principio, e sè da sè lontana ? Dal sboco istesso, e in do le se stontana ?
Per colai prego detto mi fu : Prega Prega Matelda, a mi la Bice alora,
Matelda che il ti dica. E qui rispose, ' Che la te daga informazion de ste onde.
Come fa chi da colpa si distega, Come chi da una colpa che l'acuora 120
La bella Donna : Questo, ed altre cose Voi scargarse, Matelda ghe responde :
Dette li son per me; e son sicura Questo e altro go dito, e certa son
Che l'acqua di Letè non gliel nascose. Che a lu l'aqua Letèa no ghe lo sconde.
E Beatrice : Forse maggior cura, E Bice : Forsi una più gran rason,
Che spesse volte la memoria priva, Che spesso la memoria porta via , 125
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura. (i a messo la so mente in confusion.
Ma vedi Eunoè che là deriva : Ma x ,n ila l' Eunoè, ch'el core via :
Menalo ad esso, e, come tu se' usa, Là condusilo drio l'usanza tua,

La tramortita sua virtù ravviva. E fa che in luto revivà lu sia.
Come anima gentil che non fa scusa, Come dona zentil nata e cressua, 130
Ma fa- sua voglia della voglia altrui, La vogia in altri vogia soa la fa,
Tosto com'è per segno fuor dischiusa ; Sol che da un moto la abia conossua ;
Così, poi che da essa preso fui, Cossi eia co per man la m'ha chiapà
La bella Donna mossesi, ed a Stazio Se move mentre a Stazio, vien con lu,
Donnescamente disse : Vien con lui. Dise co un far da zentildona. E qua 135
S'io avessi, lettor, più lungo spazio Se mi avesse, letor, carta de più,
Da scrivere, io pur cantere' in parte Diria parte del gusto che ho sentio
l.o dolce ber che mai non m'avria sazio. Co l'aqua, che no stufa, go bevù ;
Ma perchè piene son tutte le carte Ma perchè anca sto fogio xe impinio,
Ordite a questa Cantica seconda, A sta seconda cantica, la pena MO
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte. In meter zo, ghe dago un bel adio :
Io ritornai dalla santissim'onda Tornà dal'aqua santa pien de lena,
Rifatto sì, come piante novelle • Refato come un alboro novelo,
Rinnovellate di novella fronda, Che ha butà novi rami apena apena,
Puro e disposto a salire alle stelle. ' Parificà son pronto a andar in cielo. 149

112-114 me paria l'Eu/rate ee. --- l'Kuliak e il Tigri sono due fiumi che la Bibbia pone che escano oi-l
Paradiso terrestre da un medesimo fonte, ai quali il Poeta qui paragona i liinni Lete e Eunoè già descritti nei
canti precedenti. ,
121 scanjarsc = sollevarsi.
122 Questa e oliro go dito = vedi C. XXVIII. v. 130 e seguenti.
124 una più gran raton = una maggior causa ^quella di vedere Beatrice/
188 drio -.. secondo, conforme.
131 In vogia = il desiderio.
133 co per man la m'Ita chiopà == quando mi prese per mano.
135 co = con.
137 Dina parie del gutlo = perchè non sarebbe possibile a mente umana di esprimerlo per intiero.
133 Co = quando.
139 ilo fogio — questo foglio.
PARADISO
317

DEL PARADISO

CANTO PRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al primo Cìel dove gioia s° inizia, Del primo Clelo dove l'alegrezza
Che più non manca, il cantor nostro sale, Comincia in Paradiso, toca Dante
E con Beatrice trae maggior letizia.' Co la so Bice guida soa, l'altezza.
A cai chied'ei come in suo corpo vale Domanda come poi cussi pesante.
A salir colassuso: ella risponde, Per i corpi lezieri passar elo :
Che per ascender quivi mette l'ale Bice dise ch'el bon voler costante
Buon voler, che al voler di Dio risponde. Da a l'omo l'ale per svolar in cielo.

La gloria di Colui, che tutto move, El splendor vivo de l'Eterna Mente,


Per l' universo penetra, e risplende Che move tuto, in luto lu s'interna,
In una parte più, o meno altrove. Ma noi luse per luto istessamente.
Nel ciel che più della sua luce prende Son sta al ciel che ghe toca più lucerna,
Fu'io, e vidi cose che ridire E ho visto cosse che no poi, nè sa
IVe sa, nè può quai di lassù discende ; Contar chi vien da quela gloria eterna ;
Perchè, appressando sè al suo disire, Perchè vichi al Ben che s' ha bramà,
Nostro intelletto si profonda tanto, La mente nostra se sprofonda tanto,
Che retro la memoria non può ire. Che la memoria no la va sin là.
Veramente quant'io del regno santo Però quel poco che del logo santo 10
Nella mia mente potei far tesoro, Sempre nel mio pensier vivo me dura,
Sarà ora materia del mio canto. Farò ch'el serva per vestir sto canto.
O buono Apollo, all'ultimo lavoro O bon Apolo, in st'ultima fatura
Fammi del tuo valor sì fatto vaso, De la vostra donème tal virtù,
Come dimandi a dar l'amato alloro. Che possa ancora far bona figura. 15
: -iiiii a qui l'un giogo di Parnaso Sin qua le Muse m' ha tegnudo su,
Assai mi fu, ma or con ambedue Ma per fmir sto resto, arente a eie
.Ve uopo entrar nell'arringo rimaso. Sento che go bisogno anca de vn.

1-2 II divino raggio risplende più o meno sul creato secondo che l'essere si trova in maggiore o minore
grado eminente collocalo.
4 SOM nla al tlel ee. — il cielo Empireo, che più d'ogn'altro cielo è illustrato dalla luce di Dio. In esso è
il trionfo maggiore delln sua magnificenza, ed ivi le anime sono pienamente beate. Dieci sono i cieli secondo le
'loltrine degli scolastici al cui sistema cosmico si attiene il Poeta, cioè 1, il eielo della Luna — 2, il cielo di
Mercurio = 3. il cielo di Venere = \, il ciulo del Sole = 5, il cielo di Marte = 6. il oielo di Giove = 7, il
ritlo di Saturno = 8, il cielo stellalo, n delle stelle lissc = 9, il cielo cristallino o primo mobile = 10, il cielo
Kmpireo.
7 al Ben = cioè a Dio.
16 m'ha teginulo m . mi sostennero, mi diedero il loro appoggio.
17 arente =n vicino.
318 PEL l'.UUIMSO
Entra nel petto mio, e spira tue Vegnime in sen, e insieme a le sorele
Sì come quando Marsia traesti Quel son donème che gave sonà, 20
Della vagina delle membra sue. Quando che al Marsia ave cavà la pele.
O divina virtù, se mi ti presti Biondo Dio, se me dè tanto de fià,
Tanto, che l'ombra del beato regno Che possa cantar ben quanto al pensier
Segnata nel mio capo io manifesti, Del Paradiso in ombra m'è restà;
Venir vedra'mi al tuo diletto legno, Vegnerò al vostro caro lavraner, 25
E coronarmi allor di quelle foglie, Per far ingirlandar la fronte mia
Che la materia e tu mi farai degno. Del verde ramo, premio del saver.
Sì rade volte, Padre, se ne coglie, Tanto de raro se ne leva via,
Per trionfare o Cesare o poeta O Apolo, a coronar poeti e re,
(Colpa e vergogna dell'umane voglie), (Ai omeni rossor, vergogna sia) 30
Che partorir letizia in su la lieta Che vu, gran Dio de Delfo, sentire
Delfica Deità dovria la fronda V i-i ;i consolazion quando bramar
Peneia, quando alcun di sè asseta. Qualcun el vostro lavrano vedè.
Poca favilla gran fiamma seconda : Da faliva vien bampa: per chiamar
Forse diretro a me con miglior voci D'Apolo dopo mi la protezion lò
Si pregherà perchè Cirra risponda. Forsi altri savarà megio cantar.
Surge a' mortali per diverso foci Con più segni del mondo el gran lampion
La lucerna del mondo; ma da quella, Nasser se vede, ma co '1 sorte fora
Che quattro cerchi giugne con tre croci, Con quelo de l'Ariete, la stagion
Con miglior corso e con migliore stella Ridente vien cussi, che la inamora; W
Esce congiunta, e la mondana cera Anema e vita lu ghe dà a la tera
Più a suo modo tempera e suggella. Col calor e la luse che la indora.
Fatto avea di là mane e di qua sera De qua el Sol con quel segno fava sera,
Tal foce, e quasi tutto era là bianco E là matina, e '1 cielo quasi bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera, Dà una parte, da l'altro scuro el gera, W
Quando Beatrice in sul sinistro fianco Quando el Sol Bice dal sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole : Ga ochià : l'aquila mai ga avù coragio
Aquila si non gli s'affisse unquanco. De piantarghe in quel modo Vochìo franco.
E si come secondo raggio suole E come zo vegnudo el primo ragio
Uscir del primo e risalire insuso, Riflesso dal secondo torna indrio, 50
Pur come peregrin che tornar vuole; Comè fa el pelegrin refando el viagio;
Così dall'atto suo, per gli occhi infuso Massendo per quel'ato, in pensier mio
Nell'immagine mia, il mio si fece, L'istesso so pensier, i ochi ho fissai
E fissi gli occhi al Sole oltre a nostr'uso. Incontro al Sol, nè i ga perciò palio.
Molto è licito là, che qui non lece Se poi far tante cosse là arivai, ài

19 intime
2I Quando ache
le al
sorele = unitamente
Mania — il Satiroallo Muse.osò sfidare Apollo a chi meglio sonasse. Rimasto Marsii i»'r"'
Marsin
Apollo in punizione della sua temerità lo scorticò.
22 tanto de fià ..- tanta vigoria.
25 hin-iinir --. pianta d'alloro.
37 Con più iegni - cioè i segni del Zodiaco = el gran lampion -.-. dot il Sole.
40 Quando il Sole e giunto in Ariete incomincia a portar giorni sempre più belli e lieti.
42-43 Hi- qua el Sol con iinrl segno ec, =. È noto che quando a un Iato della terra spunta il mattioo, -"
lato antipodo deve sorgere In sera; perciò mentre qui (in Italia) era sera, là nel Purgatorio spuntava il
44-45 e 'I cielo yuan bianco ee. = perchè l'emisfero s'illumina e si ottenebra a gradi.
CAIVTO I. 319
Alle nostre virtù, mercè del loco Che qua far no podemo certamente,
Fatto per proprio dell'umana spece. In grazia ai loghi a l'omo destinai.
Io noi soffersi molto nè si poco, Su quel i ochi ho tegnui discrètamente,
i '.'i"i" noi vedessi sfavillar d'intorno E sfiamegar l' ho visto atorno via,
Qual ferro che bollente esce del fuoco. Come cavà dal fogo azzai rovente. 60
E di subito parve giorno a giorno E m' ha parso in t'un fià cressudo sia
Essere aggiunto, come Quei che puote Del dì ci lusor, Dio quasi avesse di
Avesse il ciel d'un altro Sole adorno. Un novo Sol al Sol per compagnia.
Beatrice tutta nell'eterin' rote Bice fissava i cieli, e mi piantà
Fissa con gli occhi stava ; ed io, in lei Avendo in quel so viso l'ochio mio, 65
Le luci fisse di lassù rimote, Dopo dal Sol averlo via levà,
.Nel suo aspetto tal dentro mi fei, A forza de amirarla m' ho sentio
(Jual si fe Glauco nel gustar dell'erba, Una natura nova in mi vegnir,
Che il fe consorto in mar degli altri Dei. Come xe, in magnar l'erba, Glauco un dio
Trasumanar significar per verba Vegnù. No vai parola a far capir 70
Non si pmi.', ; però l'esempio basti Questo strasumanarse in t'un momento,
A cui esperienza grazia serba. Ma sto esempio ai graziai possa servir.
fio cia sol di me quel che creasti Se co l'anema sola al cambiamento
Novellamente, Amor, che il ciel governi, Sia mi restà, ti '1 sa ben ti, Dio bon,
Tu '1 sai, che col tuo lume mi levasti. Che tirarme là su ti è sta contento. 75
(luando la rota, che tu sempiterni Co i cieli per lo amor sempre in azinn.
Desiderato, a sè mi fece atteso, Tuta ha chiamà, con quel so acordo belo
Con l'armonia che temperi e discerni. Da Ti ben regolà, la mia alenzion :
Parveroi tanto allor del cielo acceso Arder m' ha parso alora tanto cielo
Dalla fiamma del Sol, che pioggia o iìume Per la bampa del Sol, che tanto logo 80
Lago non fece mai tanto disteso. Piova o fiume ha chiapà mai quanto quelo.
La novità del suono e il grande lume Per saver de quei cieli e del gran fogo,
Di lor cagion m'accesero un disio Novi a mi, la rason, vogia ho sentio
Mai non sentilo di cotanto acume. Tal, che compagna in mi no ha avù mai logo.
Ond'ella, che vedea me, sì com'io, La Bice che ga leto nel cuor mio, 85
Ad acquetarmi l'animo commosso, A smorzarme la smania, avanti sporlo
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio, Ghe avesse el mio pensier: Quanto inzochio,
E cominciò: Tu stesso ti fai grosso La dise, ti te fa pensando storto !
Col falso immaginar, sì che non vedi Mentre se veder no ti ga savù
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso. Quel che xe tanto chiaro, tuo xe '1 torto. 90
Tu non se'in terra, sì come tu credi; Come ti credi, in lera no ti è più,
Ma folgore, fuggendo il proprio sito, Ma 'I fulmine dal cielo in zo scampando,
>'on corse come tu ch'ad esso riedi. Quanto ti noi ga corso in vegnir su.

57 In grazia ai loyhi = mercè dei luoghi.


61 in t'un fià = in un istante.
69 Glauca = questi fu pescatore: o un giorno vedendo che alcuni pesci da lui presi, in toccare l'erba
l'i del
Imo si ravvivavano e saltavano in mare, mangiò di quell'erba, e divenne un Dio marino.
76 Co -. quando.
77 quel so - quel suo.
81 ha chiapà, =.. ha occupato.
S7 inzochio = istupidito.
520 DEL PARADlSO
S'i' fui del primo dubbio disvestito Se eia, ridendo, la me vien levando
Per le sorrise parolette brevi, El primo dubio, un altro dubio ancora 95
Dentro ad un nuovo più fui irretito ; M'ha imbrogià, e digo: Dal stupor più grando
E dissi: Già contento requievi Son sortio, e aciò da st'altro vaga fora,
Di grande ammirazion; ma ora ammiro Di' come, za che intender no so bon,
Com'io trascenda questi corpi lievi. St'aria leiiera me sostegna sora.
Ond'ella, appresso d'un pio sospiro, Drio un sospiro molà da compassion, 100
Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante, Eia me varda, come mare amante
Che madre fa sopra figliuol deliro ; Varda ci lio che la testa ga a torzion;
E cominciò : Le cose tutte quante Po la dise : Le cosse tute quante
Hann'ordioe tra loro : e questo è forma, Per la forma le ga ordene belo,
Che l'universo a Dio fa somigliante. Ch'el creà tuto a Dio fa somegiante. 105
Qui veggion l'alte creature l'orma Qua vede el segno l'omo de cervelo
Dell'eterno valore, il quale è fine, De la potenza de l'Eterna mente,
Al quale è fatta la toccata norma. Che st'ordeno ga fato in tera e in cielo.
Nell'ordine, ch'io dico, sono accline Tute le cosse a un fin precisamente
Tutte nature per diverse sorti Tende, drio la so essenza a star chiamae 110
Via al principio loro, e men vicine: Al so Fabricator più o manco arente; •
Onde si muovono a diversi porti Perciò ai diversi fini destinae,
Per lo gran mar dell'essere ; e ciascuna Per i spazi infiniti le ve ognuna
Con istinto a lei dato che la porti. Dal proprio istinto, al nido soo tirae.
Questi ne porta il fuoco invèr la Luna : Questo fa andar la bampa fin la Luna, 115
Questi ne' cuor mortali è permotore: Questo dà '1 moto al cuor de l'anetnal,
Questi la terra in sè stringe ed aduna. Questo fa che la tera in sè se suna.
Nè pur le creature, che son fuore Nè salo ha avua sta forza naturai
D'intelligenzia, quest'arco saetta, La bestia, che ragion no ha ricevesto,
Ma quelle ch'anno intelletto ed amore. Ma l'omo che ama e intende el ben e '1 mal. 120
La provvidenza che cotanto assetta, Dio che far sto bel ordene ha savesto,
Del suo lume fa '1 ciel sempre quieto, Fermo el ciel col so lume sempre tien,
Nel qual si volge quel, e' ha maggior fretta. Soto el qual altro ciel zira più presto
Ed ora lì, come a sito decreto, De tuti. Là, ch'è :l centro d'ogni ben,
Cen porta la virtù di quella corda, Sto istinto na strassina con premura, 125
Che ciò che scocca, drizza in segno lieto. Come la meta a nu che ne convien.
Ver è che, come forma non s'accorda Pur tropo, come spesso la fatura
' Molte fiate all'intenzion dell'arte, Esser se vede de l'artista indegna

98 M' ha imbrogià • mi ha imbarazzato.


97 vaga fora . : sorta filall'altro dubbio.).
100 molà — lanciato.
101 rome mare rr: come madre.
102 n forzimi — clic vaneggia.
110 dnn = i|ut vale per: in conformita — iio — sua,
113 Per i spazi infiniti = ove trovasi ogni ente creato.
111 al nido snn = ni suo nido, cioè al luogo assegnatole dal proprio istinto.
116 in tè se sana — in se stessa si raccoglie, si restringe.
122.123 Fermo et ciel ec. — cioè il ciclo Empireo sotto ili.l qiuih gira quell'altro ciclo ossia il primo mo
bile, che ha maggior velocita degli altri.
124 Ad = cioè nello stosso ciclo Empireo.
CANTO i. 321
Perchè a risponder la materia è sorda ; Per la materia ingrata de natura;
Così da questo corso si diparte De quando in quando de tegnirse sdegna 130
Talor la creatura, e' ha podere L'omo, che ga '1 poder de la ragion,
Di piegar, cosi pinta, in altra parte Al sentier che l'istinto a lu ghe segna.
(E si come veder si può cadere Come da niola in compagnia del tón
Fuoco di nube), se l'impeto primo Vien zo '1 fogo, del mondo el falso gusto
A terra è tòrto da falso piacere. Se tira il rio l'istinto de lici m. 135
Non dèi più ammirar, se bene stimo, No stupir del to alzarle, se mi giusto
Del tuo salir, se non come d'un rivo, Penso, più che da un monte alto zo va
Che d'alto monte scende giuso ad imo. De l'erba el rio a bagnar l'ultimo fusto.
Maraviglia sarebbe in te, se, privo Maravegia faria, se ti purgà,
D'impedimento, giù ti fossi assiso, Ti fussi restà a basso, come in tera HO
Com'a terra quieto fuoco viro. Fogo viro restasse impresonà.
Quinci rivolse invèr lo cielo il viso. Po l'alza el viso a la celeste sfera.

129 ingrata = riferito a materia non buona.


133 da niola — da nuvola = del tòn = del tuono.
135 de fieon = con tutta celerità.
322 DEL PARADISO

CANTO SECONDO

ARGOMENTO ARGOMENTO

La prima stella., che lo Ciel alluma, In te la lana xe andi Dante drento,


Accoglie Dante, cui qual alma sgombra E nuvola ga parso al primo entrar
Dello suo frale buon desiro impiuma. Lustra, come tocà dal Sol diamante.
Chiede Beatrice che cagioni l'ombra Domanda a Bice cossa mai poi far
In quella Face, sì che sembri a nui Comparir quele machie nella Luna.
Cosi quaggiù di varii segni ingombra; Che fa zo al mondo tanto zavariar;
Ed essa le ragion ne rende a lui. Eia ghe da de le rason più d'una.

O voi che siete in piccioletta barca, O vualtri che a la nave mia da drio
Desiderosi di ascoltar, seguiti Sora d'un sandoleto vegnul sè,
Dietro al mio legno che cantando varca, Per vogia d'ascoltar sto canto mio,
Tornate a riveder li vostri lili : Torne a le case che lassae gave;
Non vi mettete in pelago; che forse, No viazè in st'aque ; perchè a torzio andar
Perdendo me, rimarreste smarriti. Podaressi, se d'ochio me perdè.
L'acqua, ch'io prendo, giammai non si corse. Mi '1 còro, e mai nissun còrso ha sto mar :
Minerva spira, e conducemi Apollo, Go in sen Minerva, Apolo me dà man ;
E nuove Muse mi dimostrati l' Orse. Muse nove me vien le Orse a mostrar. .
Voi altri pochi, che drizzaste '1 collo Vualtri pochi che ave bonora el pan
Per tempo al pan degli angeli, del quale De verità gustà, del qual qua vive,
Vivesi qui, ma non si vien satollo, Ma no se sazia l'inteletto uman ,
Metter potete ben per l'alto sale Podè le vostre barche da le rive
Vostro naviglio, servando mio solco Spenzer drio de la mia seguindo el solco,
Dinanzi all'acqua, che ritorna eguale. Che se gualiva sora le onde vive.
Que' gloriosi, che passare a Coleo, No ga avù tanta maravegia a Coleo
.Non s'ammiraron, come voi farete, I Greghi, quanta se farà la vostra,
Quando vider Giason fatto bifolco. Co i ga visto Giason fato bifolco.
La concreata e perpetua sete La con nu nata viva smania nostra
Del deiforme regno cen portava Ne portava de fuga al divin regno,

2 xandotelo = battello assai piccolo e leggero.


3 per vogia = per desiderio.
5 a lorzio andar = smarrire.
9 le One = o il Polo, sono le costel'azioni regolatrici della navigazione nei mari di qua dell'Equatore.
10-12 Vualtri pochi] ce. — allude a quei pochi i quali per tempo aiutali dalla scienza levano l'intelletto
alla contemplazione del sommo vero.
16-18 iVo ga avù ce, = quando gli Argonauti passarono a Coleo per la conquista del vello d'oro, vidi-ia
con gran maraviglia il loro compagno Giasouc convertito in bifolco con tori spiranti fiamme dalle narici, in"
il terreno, e seminando i denti del serpente ucciso da Cadme, far nascere uomini armati.
20 de fuga — velocemente.
CANTO II. 323
Veloci quasi come '1 ciel vedete. Quasi come i so ziri el ciel ve mostra.
Beatrice in suso, ed io in lei guardava : Bice in su varda ; d'ochio mi la legno ;
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa E per quel tanto che la frezza scossa
E rota e dalla noce si dischiava, Sta in fermarse, svolar, sbrissar dal legno,
Giunto mi ridi, ove mirabil cosa M' ho trovà in dove i ochi va su cossa 25
Mi torse '1 viso a se. E però quella, Che sbalordio drio copa m' ha butà :
Cui non potea mia cura enere ascosa, Vistome Bice sgangolir d'angossa,
Volta vèr me sì lieta/ come bella, Me dise gagia come bela : Qua
Drizza la mente in Dio grata, mi disse, Ringrazia Dio de cuor, no co la boca,
Che n'ha congiunti con la prima stella. Che drento in te la Luna el n'ha menà. 30
Pareva a me che nube ne coprisse Nuvola star m'ha parso in ponto in broca
Incida, spessa, solida e pulita, Fissa, lissa, su nu, lustra che mai,
Quasi adamante che lo Sol ferisse. Come un diamante quando el Sol lo toca.
Per entro sè l'eterna margherita In quela perla eterna semo entrai,
Ne ricevette com'acqua recepe Come del Sol in aqua ferma el ragio : 35
Raggio di luce, permanendo unita. Se gera in corpo (e qua se intende mai
S'io era corpo (e qui non si concepe, Come un corpo in un altro abia el passagio;
Com'una dimensione altra patio, Ma l' è cossi ; se donca un corpo ga
Ch'esser convien se corpo in corpo repe), De entrar drento in t'un altro l'avantagio),
Accender ne dovria più il disio Dovaria l'omo esser de più invogià 40
Di veder quella Essenzia, in che si vede Quel' Esser de ammirar, nel qual se vede
Come nostra natura e Dio s'unio. Come con l'omo Dio s'abia incarnà.
Li si vedrà ciò che tenem per fede, Là quel che vede i ochi de la fede,
Va dimostrato; ma fia per sè noto, Vederemo no per dismostrazion,
A guisa del ver primo, che l'uom crede. Ma come al do e do quatro ognun ghe crede.
Io risposi: Madonna, sì devoto, Respondo : Bice, Dio con devozion
Com'esser posso più, ringrazio Lui, Ringrazio, che tirà per mia furtuna
Lo qual dal mortai mondo m'ha rimoto. M'ha dal mondo, e '1 ringrazio in zenochion.
Ma ditemi, che son li segni bui Ma cossa xe quei segni ne la Luna,
Di questo corpo, che laggiuso in terra Come gran machie, e de Cain al mondo 50
Fandi Cain favoleggiar altrui? Fa dir de le falope più de una ?
Ella sorrise alquanto, e poi : S'egli erra Eia prima la ride, e po : Se tondo
L'opinìon, mi disse, de' mortali, Xe'l giudizio de l'omo, e a quel ch'el pensa
Dove chiave di senso non disserra ; Veder noi ghe permete sin al fondo ;
Certo non ti dovrien punger li strali No te far maravegia se melensa 55

II come i to ziri et ciel ve moitra = secondo la falsa opinione di quei tempi, il cielo compie l'immenso
mo giro io 24 ore intorno la terra.
24 tbrittar = qui sta per sprigionarsi, lanciarsi.
26 drio copa m'ha buta _.. esprìme il moto naturale di chi collo da improvvisa meraviglia da un po' in
dictro la testa, come preso da sbalordimento.
27 igangolir d'angona --. consumarsi, struggersi per voglia di che che sia, e qui di sapere intorno la cosa
cadutagli sot t'occhio.
31 m ponto in broca -- precisamente.
50-51 de Cain ee. .- si pensava dal volgo che nella luna fessevi Caino con un fascio di spine -- de '- falope
= delle fole.
55 melensa = fiacca, debole.
324 BEL PARADISO

D'ammirazione omai, poi dentro a' sensi Drio solo i sensi xe la so rason,
Vedi che la ragione ha corte l'ali. La qual spesso perciò la va a la Sensa ;
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi. Ma quala saria, di', la to opinion.
Ed io : Ciò che n'appar quassù diverso, De ste machie, mi digo, el fisso e '1 chiaro
Credo che '1 fanno i corpi rari e densi. Che sia la causa go persuasion. 60
Ed ella : Certo assai vedrai sommerso Te farò, la responde, amigo caro,
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti Tocar con man che un granzo ti ha chiapà :
L'argomentar, ch'io gli farò avverso. E ascolta la rason che te preparo.
La spera ottava vi dimostra molti Tanti lumini mostra el ciel stela
Lumi, li quali e nel quale e nel quanto Diversi per la luse e per grandezza : 65
Notar si posson di diversi volti. Se mai da tute ste diversità,
Se raro e denso ciò facesser tanto, Vegnir dovesse el chiaro e la fissezza,
Una sola virtù sarebbe in tutti Una sola virtù ogni pianeto
Più e men distributa ed altrettanto. Più o manco el gavaria drio la grossezza.
Virtù diverse esser convengon frutti Ma virtù varia ha luti, e vien l'efeto 70
Di principii formali : e quei, fuor ch'uno, Da diversi principi, che sfumai,
Seguiterieno a tua ragion distrutti. Via d'un, saria drio el to pensar. Gbe melo
Ancor, se '1 raro fosse di quel bruno Anca questo : Se '1 chiaro fusse mai
Cagion, che tu dimandi ; od oltre in parte, La causa de ste machie, o che sbusada
Fora di sua materia sì digiuno La sarave la Luna da più lai, 75
Esto pianeta ; o si come comparte O che da strati la saria stivada
Lo grasso e '1 magro un corpo, così questo Fissi e chiari, del grasso e magro al par
Nel suo volume cangerebbe carte. De la carne in un corpo destirada.
Se '1 primo fosse, fora manifesto Del Sol la ecrisse veder te poi far,
Nell'ecelisse del Sol, per trasparere Ch'el primo star no poi, per la rason 80
Lo lume, comè in altro raro ingesto. Che per là i ragi dovaria passar,
Questo non e. Però è da vedere Come per i altri busi ; e se mi son
Dell'altro: e s'egli avvien ch'io l'altro cassi, Bona de bater zo l'altro suposto,
Falsificato fia lo tuo parere. Destruta restarà la to upinion.
S'egli è che questo raro non trapassi, Se de passar el Sol noi trova un posto 85
Esser conviene un termine, da onde In te la Luna, convien dir che un ponto
Lo suo contrario più passar non lassi; Ohe sia, che al so passagio s'abia oposto;
Ed indi l'altrui raggio si rifonde Perciò recularave el ragio pronto,
Così, come color torna per vetro, Come che a recular s' el vederà
Lo qual diretro a sè piombo nasconde. Dal vero, che da drio ga el piombo sconto. 90

57 la va a la Sema = andar alla Scusa significa rimbambire, trasognare.


59 chiaro = qui vale per rado.
62 un grauzo li ha chiapù = prendesti un granchio, sci caduto in errore.
09 (/rio la yrossczzu = in ragione della densità.
72 Via rf'mt = tranne quello della rarità, e densità.
75 da più lai = in più parti.
79 ecrisse = eelissi ,
83 dc bater 20 = di distruggere, annientare.
88 recularave = darebbe indietro.
90 Dal vero = dal vetro.
CANTO II. 325
Or dirai tu, ch'ei si dimostra tetro Ma che più scura adesso ti dirà,
Quivi lo raggio, più che in altre parti, Sia de qua che de là la Luna sol
Per esser lì rifratto più a retro. Perchè '1 fisso il i in al chiaro xe internà.
Da questa istanzia può diliberarti Ma a torle anca sto dubio, bastar poi
Esperienza, se giammai la pruovi, La pratica, che a regola vien dada 95
Ch'esser suoi fonte a' rivi di vostre arti. Per solito de l'arte umana. Tol
Tre specchi prenderai : e due rimuovi Tre spechi che lontani istesso vada
Da te d'un modo; e l'altro, più rimosso, Do da ti, e più Iini un po da de li
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritruovi. Tra i do, metile el terzo de fazzada ;
Mulin ad essi fa che dopo '1 dosso Metile in schena un lume allo cussi, 100
Ti stea un lume, che i tre specchi accenda, Ch'el bata su i tre spechi, e remandà
E torni a te da tutti ripercosso. Da lori, l'abia da tornar su ti.
Benchè nel quanto tanto non si stenda Manco grando siben te pararà
La vista più lontana, lì vedrai Sia el lume andà sul spechio più lontan,
Come convien ch' egualmente risplenda. Istessamente luii i lusera. 105
Or come a' colpi degli caldi rai Conii- al calor del Sol de man in man
Della neve riman nudo '1 suggetto Perde la neve el bianco e '1 fredo, e gnente
£ dal colore e dal freddo primai ; La resta, consumandose drio man ;
Così rimaso te nell'intelletto Cossi svaporà el dubio in la to mente,
Voglio informar di luce sì vivace, De meterghe el lusor vogia me sento 110
Che ti tremolerà nel suo aspetto. Che ai ochi toi po '1 sia ben risplendente.
Dentro dal ciel della divina pace De soto al cielo del magior contento,
Si gira un corpo, nella cui virlute Se move un cielo, e la virtù ch'el ga,
L'esser di tutto suo contento giace. De quel tulto ch'è in lu sta '1 fondamento.
Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, El terzo ciel de stele semenà, 115
Quell'esser pàrie per diverse essenze Da lu tule distinte, in tute el sparte
Da lui distinte, e da lui contenute. La virtù, ch'el secondo ciel ghe dà.
Gli altri giron per varie differenze I altri sete dispone con bel arte
Le distinzion, che dentro da sè hanno, Le virtù soe diverse a ogni altro fin.
Dispongono a lor fine, e lui semenze. Tuli sti cieli tra de lori parte 120
Questi organi del mondo così vanno, I fa, come ti vedi per scalin
Come tu vedi omai, di grado in grado, De la virtù che i tol da quel de sora
Che di su prendono, e di sotto fanno. Per passarla de soto al ciel vicin.
Riguarda bene a me sì come io vado Sta atento a la rason, che melo fora,
Per questo loco al ver, che tu disiri, Che la bramada verità l'insegna, 125
Sì che poi sappi sol tener lo guado. Senza bisogno de lezion ancora.
lo moto e la virtù de' santi giri, Cium- el martei del fravo i colpi segna,
Come dal fabbro l'arte del martello, Convien che la virtù dei cieli e '1 moto

110 vogia = voglia, desiderio.


112 Dt soto al cielo del mayior contento — cioè «otto il cielo Empireo, sede di Dio.
113 Se movc un cielo = cioè il primo mobile, quello che riceve il moto dall'Empireo, e lo comunica a tulli
gli altri cieli che gli stanno di splto.
115 El terzo del = cioe il cielo stellato o delle stelle fisse, che viene ad essere appunto il terzo partendo
dall'Empireo.
117 eh'el tccondn ciel = cioè il primo mobile, di cui la Nota 113.
326 BEL PARADlSO
1 1. 1 ' beati motor convien che spiri. Da quei celesti che li move, i regna;
E '1 ciel, cui tanti lumi fanno bello, Da i" Aiuolo, che andar la fa de troto 130
Dalla mente profonda, che lui vulve, ln ziro, el ciel stelà virtù tpl suso,
Prende l'image, e fassene suggello. E ai cieli lo dispensa che gh'è soto.
E come l'alma dentro a vostra polve, Come el spirito in corpo che avè chiuso,
Per differenti membra, e conformate Se mostra per la rechia, l'ochio e '1 naso,
A diverse potenzie, si risolve; Conformai per servir a diverso uso ; 135
Così l'intelligenzia sua bontate L'Anzolo el qual de sta virtù ga '1 vaso,
Multiplicala per le stelle spiega, Su le stele cussi con varia forma,
Girando sè sovra sua unitale. Conservandola intata fa '1 travaso.
Virtù diversa fa diversa lega Virtù varia ai pianeti varia norma
Col prezioso corpo ch'ell'avviva, Dà, se ghe inesta, e vita dà culla, 140
Nel qual, sì come vita in voi si lega. Come l'anoma in vualtri la s'informa.
Per la natura lieta onde deriva, Sta virtù penetrada che la sia
La virtù mista per lo corpo luce, De le stele in tei corpo, eie resplende
Come letizia per pupilla viva. Come i ochi che lusc d'alegria.
Da essa vien ciò che da luce a luce Come adesso no fazza ben s'intende 145
Par differente, non da denso e raro : Una luse diversa el fisso e '1 chiaro :
Essa è formai principio, che produce, Sta virtù donca è quela che a far tende,
Conforme a sua bontà, lo turbo e '1 chiaro. Conforme la se sparte, el scuro e '1 chiaro.

129 Da quei alesa = cioè dalle celesti intelligenze clic sono gli angeli clic girano i cieli.
131 ci ciel stelà = il ciclo stellato, il medesimo terzo ciclo ili cui il v. 115. /
136 L'Anzolo ci rIual de ala virtù ga 'l vaso :- cioè. lo stesso ciclo stellato che riceve direttamente il movi.
dall'Essere intelligente, ossia dall'angelo clic vi presiede.
140 calia = colei.
146 e 'l chiaro = qui vale per rado.
14S e 'l chiaro = qui vale per chiarore opposto della scurità.
327

CANTO TERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Quelle che d'esser verginei^ e pure Quele, che d'esser pure o vergìnele
Avcan promesso con lor voto n Dio, Le avea promesso a Dio, ma ghe xe sta
Ma poi ila forza altrui non fur sicuro. Da la violenza strozzà el voto a eie,
Benchè serbassel cuor pudico e pio, Sihen tuto nel peto et ghe resta,
Mostran quassil la loro eterna pace, Gode in sto Ciclo le alegrezze santo
K merco giusta di santo desio ; Come ben giusto premio merita:
Tal condlsion Piccarda nota faco. Cussi risponde la l'ir;a ila a Dante.

Quel Sol, che pria d'amor mi scaldò '1 petto, Bice, el mio primo amor, m'aveva fato,
Di bella verità m'avca scoverto, Dopo la bela verità mostrada
Provando e riprovando, il dolce aspetto. Con prove, e contro prove sodisfato ;
Ed io, per confessar corretto e certo E per larghe saver che in mente entrada
Me stesso tanto, quanto si convenne, La me gera el mio granzo a descazzar, 5
Levai lo capo a profferer più erto. Quanto ha ocorso la testa go invada.
Ma visione apparve, che ritenne Ma una nova comparsa rechiamar
A sè me tanto stretto, per vedersi, Ha podesto cussi l'atenzion mia,
Che di mia confession non mi sovvenne. Che ho stralassà, distrato, da parlar.
Quali per vetri trasparenti e tersi, Come tra i veri che se spiera, ossia 10
O ver per acque nitide e tranquille, De drento le aque chiare nete e quiete,
Non sì profonde che i fondi sien persi, Ma ch'el fondo però sconto noi sia,
I nrnmi de' nostri visi le postille Tanto languidi i visi se reflete
Debili sì, che perla in bianca fronte Che la perla a scovrir su bianca fronte
Non vien men forte alle nostre pupille; Manco fadiga i ochi nostri mete; 15
Tali vid'io più facce a parlar pronte: Cussi mi ho visto .zente a parlar pronte :
Per ch'io dentro all'error contrario corsi Contrario ingano a quelo de Narciso
A quel, ch'accese amor tra l'uomo e '1 fonte. Go avù, co '1 se spechiava ne. la fonte.
Subito, sì com'io di lor m'accorsi, Che i possa esser, apena visti in viso,
Quelle stimando specchiati sembianti, Visi mandai da spechi, ho avudo in mente, 20
Per veder di cui fosser, gli occhi torsi : E per veder de chi, me son deciso
E nulla vidi; e ritorsili avanti Volturimi indrio : ma no vedendo gnente,
Dritti nel lume della dolce Guida, La cara Guida m'ho voltà a guardar,
Che sorridendo ardea negli occhi santi. Che gera nei bei ochi soridente.
lVon ti maravigliar perch'io sorrida, Eia dise : No te maravegiar 25
Mi disse, appresso '1 tuo pueril coto, Se rido al to pensici da puteleto,
Poi sopra '1 vero ancor lo piè non fida, Che verità noi trova, ma cascar
Ma te rivolve, come suole, a vóto. Te fa al solito in falo dreto areto.

5 gramo = granchio, errore.


10 te spiera = si traspare.
17-18 fioreito ae. . . • vodendo costui nella fonte la propria imagine, credè che fosse mia persona e se ne in
namorò. Dante all'opposto vedendo quelle persone le credette iraagini — cu - quando.
528 DEL PARADISO
Vere sustanzie son ciò che tu vedi, Visi veri xe quei, messi in sto sito,
Qui relegate per manco di voto. Perchè '1 so voto i ga lassà imperfeto. 30
Però parla con esse, ed odi e credi ; Parlighe, e credi a quel che i avrà dito,
Che la verace luce che le appaga, Perchè la gloria, ch'el lusor ghe dà,
Da sè non lascia lor torcer li piedi. Le cosse ghe fa dir per el so drito.
Ed io all'ombra, che parea più vaga A un'ombra che più vogia ga mostrà
Di ragionar, drizzaimi, e cominciai, De parlar, mi ghe parlo come quelo 35
Quasi coin'uom cui troppa voglia smaga: Che tropa smania bacilar lo fa.
O ben creato spirito, che a' rai O spirito beato, che in sto cielo
Di vita eterna la dolcezza senti, De vita eterna el gran piacer ti senti,
Che, non gustata, non s'intende mai, Che sol chi '1 gusta sa quanto el xe belo,
Grazioso mi fia, se mi contenti Avaro caro se ti me contenti 44
Del nome tuo e della vostra sorte. In dirme el nome tuo e anca la vostra
Ond'ella pronta e con occhi ridenti : Condizion. I ochi bei fati ridenti,
La nostra carità non serra porte Dise pronta : No nega mai la nostra
A giusta voglia, se non come quella, Carità vogia onesta, che voi Dio
Che vuoi simile a sè tutta sua corte. La corte soa compagna a Lu se mosti a. 45
Io fui nel mondo vergine sorella : De la munega l'abito ho vestio
E se la mente tua ben mi riguarda, De là. Vardime ben, che la belezza
Non mi ti celerà l'esser più bella ; Cressua, no sconderà sto viso mio.
Ma riconoscerai, che io son Piccarda, Conossi in mi Picarda ; in st'alegrezza,
Che, posta qui con questi altri beati, Beata coi beati son nel cielo 50
Beata son nella spera più tarda. Che zira intorno con minor prestezza.
Li nostri afletti, che solo infiammati Bramando nu e volendo solo quelo
Son del piacer dello Spirito santo, Che piase al Santo Spirito, nu qua
I. fi i/i. n: dal suo ordine formati. Godemo del piacer com'el voi Elo.
E questa sorte, che par giù cotanto, Sto Ciel basso ne xe sta destinà 55
Però n'è data, perchè fur negletti In causa che gavemo i voti nostri
Li vostri voti, e vóti in alcun canto. Dasmentegai, o a mezo stralassà.
Ond'io a lei : Ne' mirabili aspetti E mi go dito : I portentosi vostri
Vostri risplende non so che divino, Visi i ga de divin un no so che,
Che vi trasmuta da' primi concetti. Che qual ti gerì, qua no ti le mostri. 66
Però non fui a rimembrar festino; Se no r ho conossua questo è '1 perchè,
Ma or m'aiuta ciò che tu mi dici; Ma te posso drio quel che ti m' ha dito,
Sì che '1 raffigurar m'è più latino. Rafigurar. Ma dime, no brame
Ma dimmi : Voi che siete qui felici. Vualtre mai, che felici se'in sto sito,
Desiderate voi più alto loco, D'andar più in alto per aver dileto *-'
Per più vedere, o per più farvi amici ? De goder megio, e veder Dio pulito ?

• 33 le cosse = le cose = jiar ci so drito = rellamente.


36 bacilar lo fa = lo fa vacillare.
44 voyi" = desiderio.
49 Picarda = Piccarda della nobile famiglia Fiorentina de' Donati, sorella di Corso e di Forese. Vedi li
nota 106 di questo Canto, e anche il v. 10 del Canto XXIV.
50-51 nel cielo Cht zira mforno con mmor prestezza - r il cielo delal Luna, che ha un moto più il!iV
degli altri cieli perchè più vicino alla terra e quindi di giro minore.
CANTO lll. 329
Con quell'altr'ombre pria sorrise un poco ; Scambià prima co l'altre un soriseto,
Da indi mi rispose tanto lieta, Me responde cossi gagia, che par
Ch'arder parea d'amor nel primo fuoco : Del primo amor la bampa arderghe in peto:
Frate, la nostra volontà quieta La santa carità sa contentar 70
Virtù di carità, che fa volerne Tanto la nostra volontà, fradelo,
Sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta. Che gnent'altro eia poi desiderar.
Se disiassimo esser più superne, Se bramassimo andar a un ciel più belo,
Foran discordi gli nostri disiri l desideri nostri no i saria
Dal voler di Colui, che qui ne cerne ; Come voi Chi ne ga mandà in sto cielo. 75
Che vedrai non capere in questi giri, Perchè con Dio d'acordo no andarla
S'essere in cantate è qui necesse. L'annue a Lu ligade in carità,
E se la sua natura ben rimiri; Chè a la natura sua torto farla.
Anzi è formale ad esto beato esse Anzi xe necessario che tacà
Tenersi dentro alla divina voglia, Staga el beato a quel che Dio comanda 80
Perch'una funsi nostre voglie stesse. Perchè istessa in nu sia la volontà.
Sì che, come noi siam di soglia in soglia De cielo in ciel perciò se Lu ne manda,
Per questo regno, a tutto il regno piace, Contenti semo in sta celeste corte,
Com'allo re, che in suo voler ne invoglia. E '1 so voler ne fa vogia pin granda.
ln la sua volontade è nostra pace : Sto voler, che fa el nostro amor più forte, 85
Ella è quel mare, al qual tutto si muove Xe '1 gran mar dove va come torente
Ciò, ch'ella cria, o che natura face. Quel che Lu crea, o da natura sorte.
Chiaro mi fu allor com'ogni dove Aldi a come luto m'è entrà in mente
ln cielo è paradiso, e sì la grazia Sia Paradiso in ciel, siben la grazia
Del sommo Ben d'un modo non vi piove. Prima no sia spartida istessamente. 90
Ma sì com'egli avvien, s'un cibo sazia, Ma come el caso dà, se un piato sazia,
E d'un altro rimane ancor la gola, Se cerca l'altro che fa ancora vogia,
Che quel si chiede, e di quel si ringrazia; E chi ga donà el primo se ringrazia ;
Così fec'io con atto e con parola, Cussi mi, e ghe domando a quela zogia,
Per apprender da lei qual fu la tela, Perchè la ga 'l Convento sul più belo 95
Onde non trasse insino al co' la spola. Lassà, senza più vederghe la sogia.
Perfetta vita ed alto merto inciela Sta, me dise, una dona in più alto cielo,
Donna più su, mi disse, alla cui norma Che la regola al mondo ga impiantà
Nel vostro mondo giù si veste e vela, (L'abito drio la qual se veste e '1 velo)
Perchè "n fino al morir si vegghi e dorma Aciò dì e note Dio, che s'ha sposà, 100
Con quello Sposo, ch'ogni voto accetta, Se gabia in cuor che qualsia voto aceta,
Che cantate a suo piacer conforma. Co però el vegna da la carità.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta Son dal mondo scampada zoveneta,
l'uggimmi, e nel suo abito mi chiusi, El so abito ho vestio, e go promesso
E promisi la via della sua setta. De tegnirme a la regola ben streta. 105

"9 farà = attaccato.


91 Ma come el caso dà - ma come avviene.
95 sul più belo •— nel mentre stava adempiendo ni voto.
SO togia = soglia.
97 una dona = cioè Santa Chiara.
101 Co .= quando.
330 DEL PARADISO
Uomini poi a mal, più ch' a ben, usi, Ma zente de mal far, scalà l'ingresso,
Fuor mi rapiron della dolce chiostra : M' ha strapà a forza dal Convento. Dio
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi. Sa in qual afano el fato m'abia messo !
E quest'altro splendor, che ti si mostra Anca a quela ha locà sto caso mio,
Dalla mia destra parte, e che s'accende Che luse a la mia drita inluminada HO
Di tutto '1 lume della spera nostra, Dal splendor de sto cielo benedio.
Ciò ch'io dico di me, di sè intende : Sorela come mi eia xe stada,
Sorella fu : e così le fu tolta Come mi el velo i ga strapà da testa,
Di capo l'ombra delle sacre bende. E fora dal Convento strassinada.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta Tornada ancora al mondo la modesta H"i
Contra suo grado, e contra buona usanza, Contro so vogia, e contro anca l'usanza,
Non fu dal vel del cuor giammai disciolta. El so voto in tei cuor fermo ghe resta.
Quest'è la luce della gran tiostanza, La luse è questa de la gran Costanza,
Che del secondo vento di Soave Che de la Casa Sveva ha generà
Generò '1 terzo, e l'ultima possanza. L'ultimo che in Italia ha avù possanza. 120
Così parlottimi; e poi cominciò: Ari- Dito questo, a cantar l'ha scomenzà
Mafia, cantando: e cantando vanin L'Ave Maria, e cantando, presto presto
Come per acqua cupa cosa grave. Qual piombo in aqua fonda s'ha sfantà.
La vista mia, che tanto la seguio La vista go stongà sin che ho podesto,
Quanto possibil fu, poi che la perse, E co no l' ho possuda più arivar, 125
Volsesi al segno di maggior disio ; A l'amor mio go voltà l'uchi» lesto.
Ed a Beatrice tutta sì converse : Ma de primo intro de la Bice orbar
Ma quella folgorò nello mio sguardo Quasi m'ha fato la so luse granda,
Sì, che da prima il viso noi sofferse. E l'ochin go dovudli in zo sbassar :
E ciò mi fece a dimandar più tardo. Perciò ho spelà per farghe altra domanda. 130

106 Sia stale de mal far ee. — Corso Donati preso seco un Farinata, sienrio famoso, e Miri dodici musai-
dieri, e scalate le mura, entrò nei chiostri, e presa la sorella di forza, la trasse alla sua casa; poi strappatole
l'abito religioso, l'ebbe fonata alle nozze.
118 distanza = era figha del re di Puglia e Sicilia Ruggieri; la quale dissero gli antichi storici, essere
stata monaca nel Monastero di S. Salvatore in Palermo, ed esserne tratta a forza dal re Guglielmo suo nipote p"
darla in isposa all'imperatore Arrigo nel 1186 quando contava 31 anni di .eta.
1 19-l2u CAe de la Casa Sveva Ha genera L'ultimo ee. = cioè Federico II ultimo principe potente di quella casa.
123 s'Im sfuma -— ti dileguò.
125 e co = e quando.
127 ifr primo miro = a prima giunta.
331

CANTO QUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Perchè a senso mortai meglio : esprima Do dubi so ga a Dante presenta :


II maggior grado di gloria, o minore. Per cossa che dei altri la violenza
Che han l'alme dell'empireo Bulla cima; El merito scemar fa al violenta;
Di cerchio in cerchio all'occhio dell'Autore E de Platon se vera è la sentenza,
Divise, mentre ei va, veder si fanno, Che torna a la so stela, quando parta
A cui scioglie la mente d' altro errore L'anema. Bice co la so sapienza
La bella guida, che toglia ogni inganno. St' ultimo dnbio schiara, e l'altro in parte.

Intra duo cibi, distanti e moventi L'omo libero ch'abia istessamente


D'un modo, prima si morria di fame, Vicin do piati al par boni e conzai,
Che liber'uom l'un si recasse a' denti. Piutosto el mor che meter su uno el dente.
Si li starebbe un agno intra duo brame Tra do lovi cussi, fieri e afamai,
Di fieri lupi, igualmente temendo : Starla l'agnel, se quei ga eguai temanza ;
Sì si starebbe un cane intra duo dame. E cussi un can tra do daini fermai.
Per che s'io mi Iacea, me non riprendo, Talequal me tegniva in titubanza
(Dalli miei dubbii d'un modo sospinto) I dubi mii, e se ho dovù star zito,
Poich'era necessario, nè commendo. No me lodo nè biasemo. In sostanza
Io mi tacea; ma '1 mio disir dipinto Taseva, ma nel viso gera sento IO
M'era nel viso e '1 dimandar con elio El desiderio, e megio del parlar
Più chiaro assai, che per parlar distinto. Stava stampà su questo el mio quesito.
Fè' si Beatrice, qual fe' Daniello Come ha sa vn Daniel l'ira stuar
Nabacodonosor levando d'ira, De Nabuco, da mato inviperio ;
Che l'area fatto ingiustamente fello ; Cussi la Bice ga savesto far. 15
E disse: Io veggio ben come ti tira Do desideri toi mi go scovrio,
Uno ed altro disio, sì che tua cura La dise, in modo tal, che l'ansia in ti,
Sè stessa lega si, che fuor non spira. Da eia sola ingropandose sta indrio.
Tu argomenti : Se '1 buon voler dura, Cussi ti pensi : Se '1 voler sta in mi,
La violenza altrui per qual ragione Per cossa poi dei altri la violenza
Di meritar mi scema la misura ? Far calar i mii meriti cussi ?
Ar.cur, di dubitar ti dà cagione E de più li ga in dubio la credenza
Parer tornarsi l'anime alle stelle, Che a le stele par le aneme tornar,
Secondo la sentenza di Piatone. Conforme ha dà Platon la so sentenza.

1-3 L'orno libero te. -- la nostra volontà per risolvci?i tra più cose alla scelta di una, ha bisogno di un
motivo preponderante qnal che siasi; diversamente ella rimane inerte = ronzai = conditi.
4-6 Tra do lovi ee. = nella prima similitudine dei lupi, è io essi eguale il timore; nella seconda del cane,
la voglia = (manzo = timore = do = due.
7 TnleiIual = per appunto.
8 mtY -— miei.
13-14 Come ha tatù Daniel ee. = vedi la nota al v. 103 del C. XIV dell' Ini-. = sfinir — spegnere.
23-24 thè a le itele ee. — era opinione di Piatone, filosofo greco, che le anime fossero create prima dei
corpi e abitanti le stelle, e che di 11 scendessero in terra, e dopo morte risalissero in cielo per dimorarvi più o
mno lungamente recondo i propri meriti.
332 DEL PARADISO
Queste son le quistion, che nel tuo velie Istessamente le te fa torziar 25
Pontano igualemente. E però pria Ste do question che ti ga adesso in vista :
Tratterò quella che più ha di felle. Ma la più falsa prima vói schiarar.
De' Serafin colui che più s'india, Quelo dei Serafmi su la lista
Moisè, Samuello, e quel Giovanni, Che più xe arente a Dio, Samuel, Mosè,
Qual prender vuogli, io dico, non Maria, San Zuane Evangelista o sia el Batista, 30
Non hanno in altro cielo i loro scanni, E gnanca la Madona, a un cielo i xe
Che quegli spirti che mo t'appariro, Gnente diverso de sto basso cielo :
Nè hanno all'esser lor più o men anni : Nè i ghe sta più o manco ani; mentre che
Ma tutti fanno bello il primo giro ; In eterno i ralegra el ciel più belo,
E differentemente han dolce vita, E i se gode in rason che Dio grazià 35
Per sentir più e men l'eterno spiro. Più o manco ga de gloria questo e quelo.
Qui si mostraro, non perchè sortita Qua quele do no le te s' ha mostrà
Sia questa spera lor, ma per far segno Per esser qua mandae, ma per notar
Della celestini, c'ha men salita. Ch'el ciel più basso manco gloria ga.
Così parlar conviensi al vostro ingegno ; Se ga a vualtri in sto modo da parlar, 40
Perocchè solo da sensato apprende Che solo per i sensi ve stampe
Ciò, che fa poscia d'intelletto degno. Quel che po a Hnteleto ha da passar.
Per questo la Scrittura condiscende La Scritura a l'intender che gave
A vostra facultate, e piedi e mano Se sbassa, siben altro el pensier sia,
Attribuisce a Dio, ed altro intende. Depenzendove Dio con man e pie. &
E santa Chiesa con aspetto umano E trove in Chiesa la usonomia
Gabriele e Michel vi rappresenta, De Michiel e Gabriel d'omo depenta,
E l'altro, che Tobia rifece sano. E di chi i ochi ga guario a Tobia.
Quel, che Timeo dell'anime argomenta, Quanto nel so Timèo Platon s'inventa,
Non è simile a ciò che'qui si vede, Come se vede qua, no xe in figura, 50
Perocchè, come dice, par che senta. Ma par che quel cifri dise proprio el senta.
Dice, che l'alma alla sua stella riede, Torna a la stela l'anema sicura,
Credendo quella quindi esser decisa, Dise lu, da là in crederla pai li, i.
Quando natura per forma la diede. Co al corpo l' ha lacada la natura.
E forse sua sentenzia è d'altra guisa, Forsi che la opiniini diversa sia 55
Che la voce non suona : ed esser puote Da le parole, e forsi l'intenziou
Con intenzion da non esser derisa. Tanto no la saria da liutai via.
S'egli intende tornare a queste ruote Se elo intende dover al mal e al hon
L'onof dell'influenza e '1 biasmo, forse Influir qua sti cieli, de qualcossa
In alcun vero suo arco percuote. Gavarave intivà la so opinion. 00
Questo principio, mal inteso, torse El mondo, che ha st'idea capio a la grossa,

25 le le fa torziar .-- li fanno farneticare.


29 più xe drente = più è vicino.
34 ci del più belo = cioè il cielo più alto o l'empireo.
35 m rasau — in conformità.
37 guele do — cioè Piccarda e Costanza, di cui il Canto precedente.
48 E de chi ee. ---- cioè l'Arcangelo Raffaele, che rese la vista a Tobia.
49 Timèo - uno dei dialoghi di Piatone.
50 m figura = figuratamente.
54 Co al corpo -.- quando al corpo. = tacada — unita dalla natura cioè da Dio autore della natura.
57 da Iniuir via — da disprezzarsi.
60 intivà = colto nel segno.
CANTO IV. 333
Già tutto il mondo quasi, si che Giove, Ga pensà, ch'esser regolà el pianeto
Mercurio e Marte a nominar trascorse. Da un Giove, un Marte e da un Mercurio possa.
L'altra dubilazion, che ti commove, Quest'altro dubio, che ti ga nel peto,
Ila men vele.n ; però che sua malizia Fa manco mal, perchè a la santa fede 65
Vni li potria menar da me altrove. No te farave perder el rispeto.
Parere ingiusta la nostra giustizia L'omo che ingiusta la giustizia crede
Negli occhi de' mortali, è argomento De Dio, xe afar de fede, e no resia,
Di fede, e non d'eretica nequizia. Per la rason che verità noi vede.
Ma perchè puote vostro accorgimento Ma za che questo fato arivaria 70
Ben penetrare a questa ventate ; Capir la vostra mente, sodisfà
Come disiri, ti farò contento. Nel desiderio tuo vogio ch'el sia.
Se violenza è quando quel che pate Se xe violenza quando el violentà
Neente conferisce a quel che sforza, No mola un ponto a quel che lo calpesta,
Non fur quest'alme per essa scusate. In questo le do done ga mancà, 75
Che volontà, se non vuoi, non s'ammorza ; Che vera volontà ferma la resta,
Ma fa come natura face in foco, Come la bampa cento volte e cento
Se mille volte violenza il torza : Obligada a star zo, leva la cresta.
Per che, s'ella si piega assai o poco, Se mai la volontà cede un momento,
Segue la forza. E cosi queste fèro, La va a la forza drio : cussi eie ha fato, 80
Potendo ritornare al santo loco. Che tornar le podeva al so convento.
Se fosse stato il lor volere intero, Se le tegniva duro a qual sia palo,
Come tenne Lorenzo in su la grada, Come Lorenzo sora la graela,
E fece Muzio alla sua man severo ; E Muzio, che la man sul fogo ha trato ;
Così l'avria ripinte per la strada^ Le sarave tornade e questa e quela, 85
Ond'eran tratte, come furo sciolte : Dove per forza ga locà stogiar :
Ma cosi salda voglia è troppo rada. Ma rara è sta virtù, perchè assae bela.
E per queste parole, se ricotte Per quel che ho dito, se savù stampar
L'hai come dèi, è l'argomento casso, Ti l'ha in mente, sparida è la question,
Che t'avria fatto noia ancor più volte. Che t'avria fato ancora zavariar. 90
Ma or ti s'attraversa un altro passo Ma te resta del dubio un embrion
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso Davanti ai ochi, e tal, che andarghe fora
Non n'usciresti, pria saresti lasso. Ti solo con gran strussie no ti è bon.
Io t'ho per certo nella mente messo, Mi za t' ho dito, de sicuro, ancora,
Ch'alma beata non può mai mentire, Che mai poi un beato aver mculih, 95
Però ch'è sempre al primo vero appresso : Perchè '1 xe sempre a Dio tacà qua sora:

64 Quell'altro dubio -- ciok il primo dei due, di cui i vv. 19, 20. ZI.
72 cogia K voglio.
73 quando el violentà .- quando chi soffre la violenza.
74 iVo mola un ponto = non cede punto.
82 Se le tegniva duro = se fossero stale salde (nel loro volere).
83 Come Lorenzo .-_ San Lorenzo tenne fermo il suo volere sulla graticola.
84 E iluzio — Muzio romano, elic fallitogli il colpo coatro Porsenna, pose la sua destra sui carboni ardenti
q'usi a punizione; onde dal moncherino fu detto N vola.
95 Le sarave = sarebbero.
90 zavariar - farneticare.
03 con gran striasii - con molta fatica.
94 ìli za t'ho dito, per sicuro ce. = vedi C. Ili, v. 5l C seguenti.
96 .'.i->- = attaccalo.
334 DEL PARADISO
E poi potesti da Piccarda udire, E po da la Picarda ti ha sentio,
Che l'aOezion del vel Gostanza tenne ; Che sempre in cuor ga avù Costanza el velo;
Sì ch'ella par qui meco contraddire. E qua par che la m'alda contradio.
Molte fiate già, frate, addivenne, Tante volte se dà, caro fradelo, 100
Che, per fuggir periglio, contro a grato Che se fa cosse contro volontà,
Si fe' di quel che far non si convenne : Per scampar da un inalaii o da un bordelo;
Come Almeone, che di ciò pregato Come dal pare in angonia pregà,
Dal padre suo, la propria madre spense, Crudel per amor soo fato Almeòn,
Per non perder pietà, si fe' spieiato. Insin la propria mare el ga mazzà. 100
A questo punto voglio che tu pense, E qua vogio che t'entra in opinion,
Che la forza al voler si mischia ; e fanno Che forza e volontà missiae, fa che
Si, che scusar non si jjosson l'offense. No se possa scusar le brute azion.
Voglia assoluta non consente al danno : Tra '1 mal e volontà lega no gh'è;
Ma consentevi in tanto, in quanto teme, Ma volontà se taca al mal, per po ito
Se si ritrae, cadere in pi (i a (Tanno. No cascar in un pezo. Perciò xe,
Però quando Piccarda quello spreme, Che del vero voler ha parlà mo
Della voglia assoluta intende : ed io Picarda, e mi de l'altro, ma, a le tante,
Dell'altra : si che ver diciamo insieme. Ragion avemo avudo tute do.
Cotai fu l'ondeggiar del santo rio, Dal fonte d'ogni verità ste sante 115
Ch'usci del fonte ond'ogni ver deriva : Parole go sentide vegnir fora,
Tal pose in pace uno ed altro disio. Che ba sazià le mie vogie tute quante.
O amanza del primo Amante, o diva, O morosa de Dio, mi ho dito alora,
Diss'io appresso, il cui parlar m'innonda Dona divina, che la vostra vose
E scalda sì che più e più m'avviva; Me svegia, me fa vivo, me inamora ; 120
Non è l'affezion mia tanto profonda, Mi no so ringraziarve co la dose
Che basti a render voi grazia per grazia: Compagna del piacer che m'ave dà,
Ma Quei, che vede e puote, a ciò risponda. Ma el diga Chi per nualtri è morto in erose.
Io veggio ben, che giammai non si sazia Mai l'intetelo nostro xe apagà,
Nostro intelletto, se '1 ver non lo illustra, Se de la luse sua noi fa contento 125
Di fuor dal qual nessun vero si spazia. Quel che solo ga in Lu la verità.
Posasi in esso come fera in lustra, Co '1 r ha arivada, el se ghe nichia drento,
Tosto che giunto l'ha: e giunger puollo; Come in tana el lion ; la poi rivar

98 Che tempre in cuor yù ava. Costanza el velo = Vedi C. III. v. 117.


100 se dò -- avviene.
103-105 Come tini pare ee. => Almeone pregato dal moribondo Aulìarao suo padre, e vinto dalle preghicre
ucciso la propria madre Eriflle; vedi C. XII, v- 50 del l'uri;.
106 vmjiu = voglio.
107 mutme = mescolate.
110 te taca = si attacca.
112 mo = qui vale or ora.
113 ma a le tante — ma in conelusione.
115 Dal fonte d'ogni verità ee. = Si ricorda elic Beatrice simboleggia la Teologia, la quale è come fiume
che da Dio. fonte di verità, a noi discende.
117 vogie = voglie.
120 ile svegia -.- mi risveglia.
121 eo la dote = colla misura.
126 Quel = cioè, Dio.
127 Co 'I l' ha arivada = quando l'ebbe raggiunta.
128 /n poi rivar = può raggiungerla.
CANTO iv. 335
Se non, ciascun disio sarebbe frustra. Col desiderio, el qual fa al so momento
Mascè per quello, a guisa di rampollo, Nasser, come d' un alboro al butar, 130
Appiè del vero il dubbio : ed è natura, A pie de quela el dubio, e la natura
Ch'ai sommo pinge noi di collo in collo. Su a scalin per scalin la fa locar.
Questo m'invita, questo m'assicura Sto dubio a interogarve me sconzura
Con riverenza, donna, a dimandarvi Con tuta somission, o Bice mia,
D'un'altra verità, che m'è oscura. Su un'altra verità che me xe scura: 135
lo vO' saper se l'uom più satisfarvi Se co altre bone azion, saver voria,
A' voti manchi sì con altri beni, l voti roti limar l'omo podesse,
Ch'alia vostra stadera non sien parvi. Che in balanza pesae, giuste le sia.
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni Coi ochi che pareva che i spandesse
Di faville d'amor, con sì divini, Bampe d'amor, la Bice m' ha varilà ; 140
Che, vinta mia virtù, diedi le reni, Come el lusor divin ferio m'avewe,
E quasi mi perdei con gli occhi chini. Smario coi ochi in zo me son voltà.

130 al butar = a pullulare, germogliare.


131-132 A pie de quela - cioè dulia Verità. E un provvedimento di natura quello che di grado in grado,
vale a dire da un vero noto a un altro ignoto, ci spinge a conoscere il sommo Vero.
136 Se co = se con.
138 balanza -.. bilancia; s'iulende per bilancili la giustizia,
l i-' Smario = confuso (dal bagliore).
336 DEL PARADISO

CANTO QUINTO

ARGOMENTO ARGOMENTO

L'alto legame, onde lo voto stringe, Dante come se liga el voto santo
I.ini si palesa: indi al secondo Cielo Intende : dopo su al secondo Cielo
Ignota fona il buon vate sospinge. EI se vede porta come d'incanto.
Dove d'un puro e luminoso velo Ancme el trova la in quel logo belo,
Vede molt'alme vestite e contente; Che spande luse, e co alegrezza pronte
Onde una, piena d'amichevol zelo, A le so vogie le se mostra a elo:
Di quel che brama chiarir lui consente. No le tien Dante, a una de quele, sconte.

S'io ti flammeggio nel caldo d'amore Se col fogo te sfiamego d'amor,


Di là dal modo che in terra si vede, Ch'el so compagno no ti ha visto al mondo,
Sì che degli occhi tuoi vinco '1 valore ; In modo che frontar tanto lusor
Non ti maravigliar : che ciò procede No ti poi, no stupir ; perchè più in fondo
Da perfetto veder, che, come apprende, Qua vedo el ben in Dio e più l'intendo,
Così nel bene appreso muove il piede. E più sento per lu l'amor profondo.
Io veggio ben si come già risplende Mi za m'incorzo come, discorendo,
Nello intelletto tuo l'eterna luce, Te xe entrada in cervel l'eterna luse,
Che vista sola sempre amore accende : Che vista sol se ghe tien drìo corendo.
E s'altra cosa vostro amor seduce, E se altra cossa el vostro amor seduse,
Non è se non di quella alcun vestigio De quela no la xe che un lil del ragio
Mal conosciuto; che quivi traluce. « Mal conossudo, che da qua traluse.
Tu vuoi saper se con altro servigio, Ti voi saver se fato al voto un tagio,
Per manco voto, si può render tanto, Se podesse con altre bone azion
Che l'anima sicuri di litigio. Aver- del saldaconto l'avantagio. 15
Sì cominciò Beatrice quanto canto : Cossi la Bice ha scomenzà in sto fon ;
E sì com'uom, che suo parlar non spezza, La qual de longo via sempre tirando,
Continuò così '1 processo santo : Con quel che vien ga seguità'l sermon:
Lo maggior don, che Dio per sua larghezza El regalo più belo, che creando
Fèsse creando, ed alla sua bontade Ga fato Dio ne la so gran bontà,
Più conformato, e quel ch'ei più apprezza, E ch'el stima de più perchè più grande,
È della volontà la liberiate, Xe proprio del voler la libertà,
Di che le creature intelligenti. Che Dio a le so creature de rason

1-6 Se eoi fogo te sfiamego ee, = Giova qui pure ricordare che Beatrice figura la scienza divina, la foie io
ciclo comprende più perfettamente il bene che posa in Dio =» d'nnuu- = cioè dell' amor divino.
13 un lagio — un taglio; qui i preso nel senso di rottura, d' interrompimento.
CAKTO V. 337
E tutte e sole, furo e son dotate. Dolae, solo che a lore el ga dona.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti, Ti capirà, metendoghe atenzion, 25
L'alto valor del voto, s'è sì fatto, De qual peso sia el volo qua in sto regno,
Che Dio consenta quando tu consenti: Se ti tei dà, e Dio lo tol in don.
Che nel fermar tra Dio e l'uomo il patto, Perchè l'omo in serar con Dio el convegno,
Vittima fassi di questo tesoro Sto bel tesoro el ga sacrificà,
Tal, qual io dico; e fassi col suo atto. Volendo verso Lu torse st'impegno. 30
Dunque, che render puossi per ristoro ? Cossa donca in so cambio se darà ?
Se credi bene usar quel e' hai offerto; Se col tor indrio el don ti credi mai
Di mal toilette vuoi far buon lavoro. Far el ben, ti '1 farà col don robà.
Tu se'omai del maggior punto certo. Ti ha '1 ponto principal capio oramai ;
Ma perchè santa Chiesa in ciò dispensa, Ma la Chiesa dal voto dispensando, 35
Che par contra allo ver ch'io t'ho scoverlo; Par contradissa ai lumi che t" ho dai.
Convienti ancor sedere un poco a mensa, Bisogna ti te vegni preparando
Perocchè '1 cibo rigido, e' hai preso, Anca a sentir sto resto, ació la mente
Richiede ancora aiuto a tua dispensa. Ti possi al duro tema andar schiarando.
\prì la mente a quel ch'io ti paleso, Sta donca atento, e quel che dìgo tiente 40
£ fermalvi entro : che non fa scienza, Stampà ne la memoria ; che quel tal
Senza lo ritenere, avere inteso. Che no sa recordar, no sa un bel gnente.
Duo cose si convengono all'essenza Do cosse ocor perchè no*vaga a mal
Di questo sacrificio : l' una è quella, Sto sacrilìzio : una è la cossa dada,
Diche si fa; l'altra è la convenenza. E l'altra xe la convenzion formai. 45
Quest'ultima giammai non si cancella, Mai no la vien quest'ultima scassada,
Se non servata': ed intorno di lei Se no la s' ha esauria, e questa qua
Si preciso di sopra si favella : De sora discorendo, ho precisada.
Però necessitato fu agli Ebrei Perciò i Ebrei i ha avù necessità,
Pur l'offerere, ancor che alcuna offerta Siben ch'eli cambiar l'oferta i possa, 50
Si permutasse, come saper dèi. De far l'oferta, come za ti sa.
L'altra, che per materia l'è aperta, Quela che sta, t' ho dito, ne la cossa,
Puote bene esser tal, che non si falla, Tal la ga d'esser, che no mai se fala
Se con altra materia si converta. Se dal cambio co un altra la vien smossa.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla Ma a capricio nissun se starga l'ala
Per suo arbitrio alcun, senza la volta In cambiarsela, senza far istanza
E della chiave bianca e della gialla. A chi volta le chiave bianca e zala.
Ed ogni permutanza credi stolta, Credi, che xe da mato ogni cambianza,
Se la cosa dimessa in la sorpresa, Quando la cossa nova no la cressa
Come '1 quattro nel sei, non è raccolta : D'un terzo de la prima e soravanza. 60
Però qualunque cosa tanto pesa Se l'è d'un peso che in balanza messa.

46 tcanada = cancellata.
48 De torà diacurendo ho precisaii^ — vedi i vv. 31-33.
55 tlarga l'ala = prendersi licenza.
57 A chi volta le chiave bianca e zala = vedi C. IX r. 117 e seg. del Purg., vale a dire senza la permis
sione immediata o moliata del Sommo l'outelicc,
22
338 DEL PARADISO
Per suo valor, che tragga ogni bilancia, No la possa a la prima starghe solo,
Satisfar non si può con altra spesa. La cambianza no xe, certo, permessa.
Non prendano i mortali il voto a ciancia. No fazza l'omo bagolo del voto:
Siale fedeli, ed a ciò far non bieci, Ste in parola : schivò de lefte el fato, 65
Come fu Jepte alla sua prima mancia : Che per una sorada el xe andà zoto.
Cui più si convenia dicer : Mal feci, Se '1 ghe pensava, megio l'avria fato,
Che, servando, far peggio. E così stolto Che no far pezo, el voto a stralassar ;
Ritrovar puoi lo gran duca de' Greci, Varda in Agamenòn un altro mato,
Onde pianse Iligènia il suo bel volto, Che dUligènia el viso belo andar
E fe pianger di sè i folli e i savi, Fato ha in pianto, e '1 crudel rito in veder
Ch'udir parlar di così fatto colto. Doti e zuconi ha fato sangiotar.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi : Cristiani, no opere sorapensier;
Non siate come penna ad ogni vento ; No ste a svolar come le piume al vento,
E non crediate ch'ogni acqua vi lavi. Che no purga ogni oferta. Podè aver
Avete '1 vecchio e '1 nuovo Testamento, Tanto el vechio che '1 novo testamento;
E '1 Pastor della Chiesa, che vi guida : Ve insegna el gran Pastor la strada bona;
Questo vi basti al vostro salvamento. Più no ocor per condurve a salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida, Se in altro la passion la ve tontona,
Uomini siate, e non pecore matte, Omeni sie, no pampani, e no fe
Sì che '1 Giudeo tra voi di voi non rida. Che l'Ebreo in mezo a vu, vu ve sbufona.
Non fate come agnel, che lascia il latte L'agnel zogatolon no simiotè,
Della sua madre, e semplice e lascivo Ch'el late de la mare abandonando,
Seco medesmo a suo piacer combatte. Trà salti imbizario, ne '1 sa perche.
Così Beatrice a me com'io lo scrivo; Cussi la Dice m'è vegnù parlando,
Poi si rivolse tutta disiante E ansiosa po se volta da la sfera
A quella parte ove '1 mondo è più vivo. Là donde ci Sol va '1 mondo più schiarando.
Lo suo tacere e '1 tramutar sembiante El so silenzio, el so cambiar de ciera,
Poser silenzio al mio cupido ingegno, Contro mia vogia fa che indrio me legno
Che già nuove quistioni avea davante. Le altre question, che parechiae me gera.
E sì amie, saetta, che nel segno Come a piantarse va la frezza al segno,
Percuote pria che sia la corda queta, Che da Iremar la corda ben fìnio
Così corremmo nel secondo regno. No ga, svolemo de Mercurio al regno.
Quivi la Donna mia vid'io sì lieta, Alegro tanto ho visto l'amor mio.
Come nel lume di quel ciel si mise, Quando in quel uovo cielo el xe arivà,

64 bagolo = beffa, burla.


65-60 lefte ne. — capitano del popolo Ebreo: avendo fallo voto a Dio eho se ci tornasse vincilorc Jcgli
Ammoniti, per prima rctribnzionc gli avrebbe sugrilicato hi prima persona ehc di sua casa gli fosse vomita in
contro, fu per la sua inconsideratezza condotto a sacri Itcaro l'unica sua figlia, che primiera venne ad incoutrario.
= saràila — inconsideratezza = et xe anda zvlo — j;li venne sciagura.
09 Agamenòu = supremo capitano dell'annata greca: avca votuto a Diana quello che di più bello avtia;
sagrilii-ollc perciò Ifigenia sua figlia.
72 zuconi = ignoranti = sanyiolar = singhiozzare.
73 siH'apensìcr -- sbadatamente.
79 lontana - . stuzzica.
SO pampani = litolo elic viene dato u uomini balordi, semplicioni.
81 ve sbufona = vi deride.
CAYTO V. 539
Che più lucente se ne fe il pianeta. Ch'el ciel s'ha più de luse ingalbanio.
E se la stella ti cambiò e rise, So '1 ciel, che mai se cambia ci s' ha cambià,
Qual mi fec'io, che pur di mia natura Mi che cambiar me posso per natura,
Trasmutabile son per tutte guise ! Se poi pensar come che son restà.
Come in peschiera, ch'è tranquilla e pura, Cofà i pessi in peschiera quieta e pura, 100
Traggono i pesci a ciò che vien di fuori Oualsia cossa che i vede star de fora,
Per modo, che lo stimin lor pastura ; 1 vien in su credendola pastura;
Sì rid'io ben più di mille splendori De luse un mier vedo vegnir là sora
Trarsi vèr noi ; ed in ciascun s'udìa : Kesplcndenti da nu: tute diseva:
Ecco chi crescerà li nostri amori. Eco quela clic in Dio più ne inamora. 105
E sì come ciascuno a noi venia, A ognuna, zonta apena, se vedeva
Vedeasi l'ombra piena di letizia Sbrocarghe dal so fronte l'alegria
.Nel fulgor chiaro che di lei uscia. Col splendor che per tuto la spandeva.
Pensa, lettor, se quel, che qui s'inizia, Figurite, letor, quanto saria
Non procedesse, come tu avresti Per saver quel che vien el to tormento, 110
Di più savere angosciosa carizia; Se sta storia la fusse qua fìnia;
E per te vedersi, come da questi E '1 crucio mio ti vederà in mi drento,
M'era in disio d'udir lor condizioni, Per la gran vogia de saver de eie,
Sì come agli occhi mi fur manifesti. Apena de vardarle ho avù '1 contento.
O bene nato, a cui veder li troni Ti fortunà che vèder tra le stele 115
Del trionfo eternai concede grazia, De la Chiesa el trionfo ti ha la grazia,
Prima che la milizia s'abbandoni: Prima che t'abi lassà zo la pele;
Del lume, che per tutto '1 ciel si spazia, De Dio l'amor che tuto el cielo abrazia,
Noi semo accesi : e però se disii >"a ..mirimi qua; e ti dei nostri fati
Di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia. Sin che te piase la to vogia sazia. 120
Così da un di quelli spirti pii Cossi un de quei spiriti beati
Detto mi fu; e da Beatrice: Di' di' M ha dito ; e Bice a mi : Di' franco, e credi
Sicuramente, e credi come a dii. Come a cossa divina ; e mi defati :
lo veggio ben sì come tu t'annidi Ti, ch'el mio desiderio in mi ti vedi,
Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi, Nei to ochi scovro quanta luse i spanda, 125
Perch'ei corruscan sì come tu ridi : Che vien da Quel dal qual ti ti procedi;
Ma non so chi tu se', nè perchè aggi, Ma no so chi ti xe, anema granda,
Anima degna, il grado della spera, Nè perchè ti te trovi in un pianeto
Che si vela a' mortai con gli altrui raggi. Che xe velà dai ragi ch'el Sol manda.
Questo diss'io diritto alla lumiera, Al beato cossi a parlar me meto, 130
Che pria m'avea parlato: ond'ella fèssi Ch'ul m'avea parlà in prima, e lu s'ba fato

96 innalbanio = acceso. \Y.'; • . ' .V


97 Se 'l etei — rioc il cielo di Mrrcurio. ^i'^".j^
100 Cofà = in eguai nmilo.
103 un mier . un migliaio.
106 znala aIicna — appena giunla.
107 Skrocarffhe = sbncare, uscire rapidamente.
120 la to vogia = il luo desiderio.
120 Che xe velà dai ragi ch'el Sol manda = essendo la sfera o il ciclo di Mercurio più delle altre viciua
' Sole, più va velata dai raggi di esso che alcun'altra sfera.
340 DEL PARADISO
Lucente più assai di quel ch'ell'era. Ancora più lusente ne l'aspeto.
Sì come '1 Sol, che si cela egli stessi Com'el caligo dal calor desfalo
Per troppa luce, quando il caldo ha rose Del mezogiorno, el Sol a nu se sconde
Le temperanze de' vapori spessi ; Tra i ragi tropo vivi ch'el ga trato; 135
Per più letizia sì mi si nascose Cussi ne la so luse se confonde
Dentro al suo raggio la figura santa ; Per la tanta alegrezza, e drento sconta
E così chiusa chiusa mi rispose La santa creatura me responde
Nel modo che '1 seguente canto canta. Quelo ch'el canto che vien drio ve conta.

CANTO SESTO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Giustiniano imperador favella, A Dante Giustiirian imperator


E qual ei fosse già nel mortai suolo, Conta de lu quando el viveva in terra,
E storia di sue leggi rinnovella. E de le legi che ga fato onor,
Poi dell' imperiale Aquila il volo Le glorie el dise, che ga avudo in guera
Vittorioso seguendo, descrivo E in pase l'imperiai Aquila; e in fondo
E che in sua stelli risplende lo stuolo De quel i el parla, che quel cielo sera,
Dell'anime, che fur nel mondo attivo. E del ben chi- i ga fato stando al mondo.

Posciache Gostantin l'aquila volse Dopo che Costimi in gavea voltà


Contra '1 corso del eiel, ch'ella seguio L'aquila verso Oriente, in prima andada
Dietro all'antico che Lavinia tolse, Drio a quelo che Lavinia ga sposà ;
Cento e cent'anni e più l'uccel di Dio Per dusent'nni e più la s' ha fermada
Nello stremo d'Europa si ritenne Sul ronii ii de l'Europa ai monti arente,
Vicino a' monti, de' quai prima uscio : Da in dove avanti Enea l'avea guidada.
E, sotto l'ombra delle sacre penne, Là del mondo eia ha governa la zente
Governò '1 mondo, lì, di mano in mano ; Soto le alone, e da una in altra man
E sì cangiando, in su la mia pervenne. Su la mia l'è vegnuda lìnalmente.
Cesare fui e son Giustin'iano; Son sta Cesare, e son quel Giustinian, IO
Che per voler del primo Amor ch'io sento, Che per voler del Santo Amor che legno,
D'entro alle leggi trassi il troppo e '1 vano . A regolar le legi ho messo man.

1 Costantin = fu imperatore dei Domani.


2 t'imperiai Aquila = era l'insegna dell'impero romano.
3 Drio a iIuelo = dietro a quello, cioè a Enea elic sposò Lavinia.
5 Sul confin de l'Europa - cioè a Costantinonoli - amde = vicino ai monti di Troia e sul Bosforo chr
divide l'Europa dall'Asia, ili dove essa aquila da primn Buca l'aveva recata in Italia.
CANTO VI. 341
E prima ch'io all'opra fossi attento Prima de cominciar el grando impegno,
Una natura in Cristo esser, non pitie Sol che omo fusse Cristo mi credeva
Credeva e di tal fede era contento : De bona fede, ma dal falo indegno 15
Ma il benedetto Agapito, che fue Sani' Agapito Papa me toleva,
Sommo pastore, alla fede sincera E co le sante so parole in Dio
Mi dirizzò con le parole sue. Fato omo, ne la fede el me meteva.
lo gli credetti : e ciò che suo dir era, Go a lu credeste, e adesso m'è schiario
Veggio ora chiaro, si come tu vedi Quel ch'el disea, come ti poi vedèr 20
Ch'ogni contraddizione è falsa e vera. Tra oposti el vero e' 1 falso, fiolo mio.
Tosto che con la c'hiesa mossi i piedi, Voltà apena a la Chiesa ho '1 mio pensier,
A Dio per grazia parve d'inspirarmi Per grazia soa me ga ispirà '1 Signor,
L'alto lavoro ; e tutto in lui mi diedi. E con passion m' ho messo al gran laorier.
Ed al mio Bellisar commendai l'armi, De l'arme a Belisario go l'onor 25
Coi la destra del ciel fu sì congiunta, Fidà, e aciò mi avesse da studiar,
Che segno fu, ch'io dovessi posarmi. Dio al so brazzo ga dà forza e valor.
Or gui alla quistion prima s'appunta A la prima domanda poi bastar
.' mia risposta : ma sua condizione Sta resposta, ma za che ho locà via
Mi stringe a seguitare alcuna giunta. De l'impero, qualcosa vói zontar. 30
Perche tu veggi con quanta ragione Perchè con qual rason noto te sia
Si muove contra il sacrosanto segno, Malmena la sant'aquila imperiai,
E chi '1 s'appropria, a chi a lui s'oppone, Chi farla soa e chi scazzar voria,
Vedi quanta virtù l' ha fatto degno Varda la so virtù de quanto e qual
Di riverenza : e cominciò dall'ora Onor la s' ha fonilo : per darghe un regno, 3i
Che Fallante morì per dargli regno. Palante el primo ha avù colpo mortai.
Tu sai ch'ei fece in Alba sua dimora Per tresent'ani e più, ti sa, ritegno,
Per trecent'anni ed oltre, inlino al line L'è stada in Alba, sin che con furor
Che i tre a' tre pugnar per lui ancora. S' ha i sie baludo per sto santo segno.
Sai quel che fe' dal mal delle Sabine Ti sa contro i nemici el so valor 40
Al dolor di Lucrezia, in sette regi, Coi sete re, da le Sabine al fato
Vincendo intorno le genti vicine. De la Lugrezia morta dal dolor.
Sai quel che fe', portato dagli egregi Contro Breno ti sa quel ch'eia ha fato,
Romani contro a Brenno e contro a Pirro, Contro el re Piro, e contro anca de quei
E contro agli altri principi e collegi . Gran prencipi ligai tra lori in pato. 45

18 Sani'Agapito = fu Sommo Pontefice; egli tenne a Costuntinopoli, disputò con Giustiniano sulla di lui
credenza che avesse Gesù Cristo la natura umana e i uni più.
24 al gran laorier — al gran lavoro (del Codice,1.
25 Belisario = nipote di Giustiniano e celebre tra i Capitani u quel tempo per le sue imprese in Italia
contro i Goti, e per le sue vittorie sui Persiani e sui Mori.
28 a la prima lo domanda - vedi Canto precedente v. 127, 128.
30 coi zontar = voglio aggiungere.
33 CAi farla soa = i Ghibelliin, che dicendosi sostenitori dell'impero facevano in effetto per sè, erano usur-
palori eguali dei Guelfi che si opponevano dichiaratamente all'impero — tcazzada — cacciata.
36 Palante = Fallante, venuto in soccorso di Enea, mori iu battaglia contro Turno, afflneliè si fondasse il
regno di cui l'aquila doveva essere l'insegna.
39 S'ha i 3ie batudo = cioè i tre falcili Orazii contro i Ire fratelli Curiazii.
41 da le Sabine al fato = dal fatto delle Sabine rapite sotto fede dell'ospitalità, a quello del violato tala
mo di Lagrezia.
43 Areno =. limmo capitano dei Galli Senoni, era presso ad impadronirsi del Campidoglio, ma ne fu re
spiato dalla virtù di Furio Camillo.
44 Piro -- re degli Epiroti, venne in Italia e dapprima vinse i Romani, ma poscia fu vinto da essi.
54C2 l'ABADlSO
Onde Torquato e Quiiuio, che dal cirro Perciò a Torquato, a Quinzio dai cavei
Negletto fu nomato, e Deci e ".'ahi Rebufai, ben de cuor i elogi sui,
Ebber la fama che volentier mirro. E ai Deci e ai Fabi fazzo meritai.
Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi, Eia i Cartaginesi ili.io vegnui
Clic diretro ad Annibalu passaro De Anibale, quel monte scavalcà 50
L'alpestre rocce, Po, di che tu labi. Dal qual, ti, o Po, ti vira, l'ha ben batui.
Sott'esso giovanotti trionfaro Per eia zoveneti ga trionfà
Scipione e Pompeo : ed a quel colle, Pompeo e Sipion ; e insin s'Jia '1 monteselo,
Sotto '1 qual tu nascesti, parve amaro. Al pie del qual ti è nato, spaventà.
Poi presso al tempo che tutto '1 ciel volle Po arente al tempo che ga piasso al cielo 55
Ridur lo mondo, a suo modo, sereno, Che, come in ciel, la pase al mondo nassa,
Cesare per voler di Roma il tolle : Ga portà Giulio Cesare sto oselo :
E quel che fe' dal Varo insino al Reno, E quanto l'abia fato, el sa anca massa
lsara vide ed Era, vide Senna, El Varo, el Reno, lsara, e l'Era, e Sena,
Ed ogni valle onde '1 Rodano è pieno. E le vaiai' ch'el Rodano le ingrassa. 60
Quel che fe' poi ch'egli uscì di Ravenna, Traversando in gran furia da Ravena
E saltò '1 Rubicon, fu di tal volo, El Rubicon, l'ha fato un tal schiamazzo,
Che noi seguiteria lingua, nè penna. Che dir no poi la vose nè la pena.
lnvèr la Spagna rivolse.lo stuolo, Co le armae l'è andà in Spagna ; po a Durazzo ;
Poi vèr Durazzo; e Farsaglia percosse E'1 ga a Farsalia consegnà un tal pesto, 05
Sì, ch'ai IS'il caldo si sentì del duolo. Che sin l'Egito ga scntio ci tremazzo.
Antandro e Simuenta, onde si mosso, L' ha Antandro e '1 Simuenta rieedesto,
. Rivide, e là dov'Ettore si cuba : Donde el s'ha mosso, e d'Etore la tomba;
E mal per Tolomeo poscia si scosse : E a pestar Tolomeo l'è corso presto :

46 Torqunti = Tito Mantio Tcrquiito capitano romano. Foce divieto .1! figlio suo d'attaccare la battaglia roi
Latini; esso non l'obbedì ma vinse. Eppuro Torquato per tener saldi gli ordini dflla militare disciplina, lo con
dannò a moria ..-_. (luiuzio = che dai capelli inrulli ebbe il soprannome di Cincinnato, era un virtuoso romano
che di propria mano coltivava il suo campo, f'reato Dittaluiv, trionfò dei nemifi, e dopo sedici giorni riounzìo
uila dittatura tornando alle sue cure eumpfstri.
48 ni lìcci = padre, figlio e nipote, i quali l'uno contro i Galli, Puliro contro gli Etruschi, e l'ultimo con
tro l'imi, si sacrificarono agli Dei infernali IaT ottenere vittoria alle armi romane — ui Fabi . ... molti Inn '
di questa famiglia gloriosi in Roma, lino dei più ciliari fu Quinto Knbiu Massimo, il quale culla prudenza mi
litare rimise in piedi la Republica gia cadente per le vittorie di Annibale.
50 quel monte = le Alpi.
53 t'ha 'I mnnteìclo = accenna al culle viciniasinio a Firenze, cioè Fiesole. Per aver ricoverato Catilina fu
Fiesole in gran parte dai Romani distrulto.
55-57 /'o artntc al tempo te. = poi vicino al tempo in clic nacque il Redentore, s'inviò Giulio Cesare con
quest'aquila contro la Gallia.
53 unni massa .- anche troppo.
59 Varo = fiume clic divide la Provenza dalla Liguria. = Reno = fiumc della Germania presso i cullimi
della Francia . . ttara e l'Era = fiumi di Francia che mrll.ui.i nel Rodano fiume di lVoven/a .. . Sena = fiume
di Francia clic traversa Parigi. Qui si accennano le imprese di Giulio Cesare .nelle (ìallie e nella Germania.
62 Rubicou = ll Rubicone è un fiume presso Ravenna.
G1 l'è andà in Spagna • - Giulio Cesare portò l'aquila nella Spagna, dov'erano i legali Pompesmi Petrrjo,
Aframo, Vari une: indi si volse a Durazzo citta della Macedonia, m'era parte dell'esercito di Pompeo.
05 Farsalia — luogo della Tessaglia ove Cesare sconfisse Pompeo = un i. il pesto =. una siffatta dirotta ili
busse. Dopo la sconfitta di Pompeo, riparando questi nelP E pitto presso il re Tolomeo fu da lui ncciso a tra
dimento. F. più tardi Cesare insidialo pur da quel re infido, parlò la (.Micrra contro di lui.
60 lrtuiuzzo =; tremore.
67-63 Calandro = citta della Frigia = Sim.ienta = fiumi* vicino a Troia, da dove l'aquila si parti con
Enea.
69 A palar Tnlomfo . Cesare sconfisse in battaglia il delto Tolomeo, e gli tolse il regno per ilonzrlo i
Cleopatra.
CAATO VI. 343
Donde discese folgorando a Giuba : Po, fulminando, contro Giuba el piomba : 70
Poi si rivolse nel rostro occidente, Dopo al Ponente vostro el se ga trato,
Dorè sentia la pompeiana tuba. Dove ha sentio la Pompegiana tromba.
Di quel che fi.-' col baiulo seguente, (.'-urhi che co Otavian st'aquila ha fato,
Bruto con Cassio nell'inferno latra ; ili din e Cassio a l'Inferno i va sbragiando
E Modona e Perugia fu dolente. E Modena e Perugia ha pianto el falo. 75
Piangene ancor la trista Geopatra, Pianze Cleopatra ancora, che scampando
Che, fuggendogli innanzi, dal colùbro La so vista, meschina, la s'ha dada
La morte prese subitana ed atra. Pronta morte col bisso. Sia, svolando,
Con costui corse insino al lito Rubro ; Con lu sin al mar Rosso xe arivada ;
Con costui pose '1 mondo in tanta pace, Con lu l'ha '1 mondo in tanta pase messo, 80
Che fu serrato a Giano il suo delubro. Che de- Giano la porta è sta serada.
Ma cin, che il segno, chc parlar mi face, Ma l'oselo, del qual parlà ho fin desso,
Fitto avea prima, e poi era fatturo Fasendo sto parechio per amor
ter lo regno mortai, cb/a lui soggiace, Del regno che xe a elo sotomesso,
Diventa in apparenza poco e scuro, Ancora noi mandava quel splendor
Se io mano al terzo Cesare si mira Che '1 gavea, ben vardando, co a portarlo
Con occhio chiaro e con affetto puro : El terzo re Tiberio ha avù l'onor:
Che la viva giustizia, che mi spira, Che nel so sdegno Dio (per Lu te parlo)
Gli concedette, in mano a quel ch'io dico, Aciò le imprese soe sia più famose,
Gloria di far vendetta alla sua ira. Gloria granda ga dà per vendicarlo. 90
Or qui l'ammira in ciò ch'io li replico: Adesso resta al son de la mia vose:
Poscia con Tito a far vendetta corse Po corendo con Tito ba vendicà
Della vendetta del peccato antico. Chi per el primo falo è morto in erose.
E quando '1 dente longobardo morse Co i Lombardi ha la Chiesa maltratà,
La santa Chiesa, sotto le sue ali Solo l'ala de l'aquila romana, tJ5
Carlo Magno, vincendo, la soccorse. Carlo Magno l'agiuto soo ga dà.
Ornai puoi giudicar di que' cotali Giudica li oramai che bona lana
Ch'io accusai di sopra, e de' lor falli, Xe quei che ho za acusà coi so maroni.

70 Giuba -- re della Mauritania, presso il quale dopo la battaglia di Farsalia, cui resti dell'esercito di Po-m
iro, s'eraR raccolti Catone, Scipione, ed altri avversarj di Cesare.
73 eo = con = Olavian = Ottaviano Augusto che portò l'aquila dopo Cesare, disfatti Bruto e Cassio, cosi
(he per disperazione si uccisero, diede l'ultimo colpo alla republica e forino stabilmente l'impero.
74 Bruto e Caisio = si divincolano rabbiosamente nelle bocciie di Lucifero vedi Inferno C. XXXIV. v. C5, 66.
75 ilodena e Perugia = furouo dolenti per le stragi fnile da Augusto combattendo contro Marc'Anlonio in
sicme ai coasoli Irzio e Pansa presso la primi, e contro Lucio Antonio fratelli del detto Marco assediato e fatto
prigioniero nella seconda città.
76-78 Cleopaira = regina dell'Egitto, (lattasi alla fuga nella battaglia d'Azio, per scansare In vista dell'a
quila romana recata da Ottnviano Augusto e per non venire viva in mano di lui, si fece da un aspide dar
morte subitanea.
79 Con lu = cioè con Ottaviano Augusto cui il v. 73.
81 de Giano la porta = chiudevasi il Tempio di Giano quando Roma era in pace.
84 Del regno = cioè del regno della terra sottoposta all'aquila romana.
86 eo a parlarlo - - quando a porlarlo.
50 per vendicarlo .-.- ronzio Piiate che condiscese ai Giudei di uccidere Gesù Cristo, era governatore della
Giudea per Tiberio: ed infatti i soldati romani assistettero alla crocifissione. Cosi l'aquila imperiale, in mano a
Tibtrio, soddisfece allo sdegno di Dio nel sangue del suo Figlio innocente.
9I resta = stupisci.
94 Co — quando.
98 Che ho za ocinù = vedi v. 33 e la nota relativa = coi to maroni = coi loro errori.
344 DEL PARADISO
Che son camion di tutti i vostri mali. Causa del mal al qual i ve condana :
L'uno al pubblico segno i gigli gialli Chi l'aquila no voi, ma i zei zaloni 100
Oppone, e l'altro appropria quello a parte ; Voria; e altri la voi per i so fmi,
Sì ch'è forte a veder qual più si falli. E xe un pensier trovar i più briconi.
Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte Fazza pur i so brogi i Ghibelini
Sott'altro segno : che mal segue quello Con altro segno, che no va drio quelo,
Sempre chi la giustizia e lui diparte. Basa a l'ingiusto, i giusti citadini. i 05
E non l'abbatta esto Carlo novello De pestarlo coi (inciti el re novelo
Co' Guelfi suoi; ma tèma degli artigli, Noi tenta, e da le sgrinfe ch'el se varda,
Ch'a più alto leon trasser lo vello. Che a più forte lion ga cavà '1 pelo.
Molte Tiate già pianser i figli Tante volte a pair el fiol no tarda
Per la colpa del padre ; e non si creda, Del pare i fali, che no voi, no, Dio, HO
Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli. Che l'aquila coi zi-pi se bastarda.
Questa piccola stella si correda Questo picolo cielo xe l'orti io
De' buoni spirti, che son stati attivi, D'aneme che ga fato assae del ben,
Perchè onore e fama gli succeda: Aciò onor ghe ne vegna e fama drio:
E quando li desiri poggian quivi Ma via dal bon sentier, se amor teren 115
Si disviando, pur convien che i raggi Se gusta, manco in cima el ragio belo
Del vero amore in su poggin men vivi. D'amor divin stanzarse ghe convien.
Ma nel commensurar de' nostri gaggi Stimar el nostro merito col cielo
Col merlo, è parte di nostra letizia, Anulo in premio, in parte xe '1 dileto
Perchè non li vedem minor nè maggi. De nu, perchè adatà se questo a quelo. 120
Quinci addolcisce la viva giustizia Perciò ne fa sentir Dio benedeto,
In noi l'affetto sì, che non si puote L'amor più puro, e tal, che portà via
Torcer giammai ad alcuna nequizia. L'è mai da una passion che sia in difeto.
Diverse voci fanno dolci note : Come manda una dolce melodia
Così diversi scanni in nostra vita Note diverse, fa cussi assae bela !£i
Rendon dolce armonia tra queste ruote. Varie glorie in sti cieli l'armonia.
E dentro alla presente margherita La luse de Romeo brila in sta stela,
Luce la luce di Romeo, di cui Che far la granda azion lu ga savudo,
Fu l'opra grande e bella mal gradita. E ingratamente i l'ha tralà per quela.
Ma i Provenzali, che fèr contra lui, Per altro i Provenzai no ga ridudo 130
Non hanno riso. E però mal cammina Che i l' ha acusà ; perchè i la fala in fondo,

100 zet ailuni = i gigli d'oro di Francia.


102 E xe un pensier = ed è un impegno, ed è assai difficile.
103 brogi i- brogli.
106 el re novelo = cioè Carlo II re di Puglia, della real Casa di Francia collegato coi Guelfi.
10S (i /liii forte lion =-. cioè a principi più forti di esso Carlo II.
109 a pair — a scontare.
127-128 La' luse de Romeo ce. = Questo Romeo elic alcuni credono sia stato di bassa origine, e che altri
dicono Barone di Vence, altri Conte di Barcellona, fu Siniscalco di Raimomlo Beri ingh ieri Conte di Provenia, dd
quale amministrò si diligentemente i beni, che aumentatili d'assai, fu cagione elic le quattro figlio del Conte si
maritassero a quattro re. Ma il Conte lasciatosi vincere dalle maligne insinuazioin de' suoi baroni, che iniidit-
vano Romeo, domandandogli bruscamente conto dell'amministrazione, egli fattogli vedere l'entrate raddoppiata
non volle più stare alla sua corte e partissene vecchio e povero.
131 i la fala in fondo — alla fin fine sbagliano il conto-
CA\TO vi. 345
Qual si f.i danno del ben fare altrui. Chi per invidia se fa dano. Ha avudo
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, Quatro fie el Conte Berlinghier Rimondo,
It i mondo Berlinghieri : e ciò gli fece E tute quatro ai re lu le sposava
Romeo, persona umile e peregrina. Grazie a Romeo desmentegà dal mondo. 135
E poi il mosser. le parole biece Drio le calunie el Conte se pensava
A dimandar ragione a questo giusto, De domandarghe i conti a sto inocente,
Che gli assegnò sette e cinque per diece. Che quatro per do avui ghe consegnava.
Indi partissi povero e vetusto: Po vechio ulo partiva e senza gnente :
E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe, E se là zo i savesse con qual cuor HO
Mendicando sua vita a frusto a frusto, De la cerca ha vissù miseramente,
Assai lo loda, e più lo loderebbe. Più che no i fazza i ghe farave onor.

139 Drio = dietro, in conseguenza.


141 ile la cerea --- della questua.
346 DEL l'AIUniSO

CANTO SETTIMO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Di nostra rodenzion Reatrico spiega Su la Orocifission al so proteto


Cose che sono nella mente in forse La sapiente Beatrice spiega quanto
Di lui cui freno di carne ancor lega. L'omo noi sa capir col so inti?leto
Poiché il mal seme d'Atlamo si torse Indcholio per el peci, che tanto
Dalla via vera per l'ingiusto dente, Oa fato sospirar la prima zente
Che fe suo danno quando il melo morse, La persa grazia del bon Dio. e ha pianto
E perchè il corpo un di fla eternamente. La vita che godeva eternamonte.

Osanna, sanetus Deus Sabaoth, Osanna, sanetus Deus Sabaoth


Superilluittrans elaritate tua Supcrillustranii ciaritale tua
Felices ignes horum malahólh ' Felices iynes horum malaliotk'
Così, volgendosi alla ruota sua, Zirando intorno de la luse sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza, Quela zogia cussi vegnia cantando,
Sopra la qual doppio lume s'addua. Che tra i splendori de do glorie nua.
Ed ella e l'altre mossero a sua danza : Po co l'altra de fuga in ziro andando
E, quasi velocissime faville, I, ontau, l'ochio in l'un lampo le perdeva,
Mi si velar di subila distanza. Omii; falivi! che va ria svolando.
Io dubitava e dieta : Dille, dille, Tra la vogia e '1 timor mi me diseva:
Fra me, dille, diceva, alla mia Donna, Parla via, parla a quela dona là,
Che mi disseta con le dolci stille : Che la gran smania de saver me leva.
Ma quella reverenza, che s'indonna Ma'1 rispeto la testa m' ha sbassà
Di tutto me, pur per BE e per ICE Solo del nome che finisse in ICE,
Mi richinava, come l'uom ch'assonna. Come un dal sono casca indormenzà.
Poco sofferse me colai Beatrice, M' ha lassà poco in sto contrasto Bice
E cominciò, raggiandomi d'un riso Che la dise, co un riso che l'aria
Tal, che nel fuoco l'ai i, i l'uom felice: Sin in ii'l fogo l'omo star felice:
Secondo mio infallibile avviso, Sto dubio vede in li la mente mia :
Come giusta vendetta giustamente Come so e giusta la crocifission,
Punita fosse, t' hai in pensier miso : Giusta per quela la vendeta sia:

Kt (fonIma fi-. = Sia gloria a te. o Dio degli eserciti, elic spargi il lume della chiarezza Ina sopra i Mui
fuochi, cioè sopra le anime beate di questi regni,
4 Zirando — aggirandosi intorno.
5-8 Queta zogia te. --- cioè l'anima di Giustiniuno gloriosa di doppio splendore, vale a dire, lo splendore
delle leggi e quello delle armi. — nua :.- nuota.
7 co = con = de fuga = velocemente.
8 tu l' un lampo = in un baleno.
O fativi = faville.
17 co = con.
20-21 Come te è giuxla la erocifittion te. = parla della vendetta della prima colpa di Adamo, di che in"
il C. pree. v. 99. 93.
CA:\TO vii. 347
Ma io ti solverò tosto la mente. Ma '1 dubio levarò co la ragion.
E tu ascolta: che le mie parole Sta '1 mio discorso co atenzion scollando,
Di gran sentenzia ti faran presente. Che te farà de gran dotrina el don.
Per non sodi-ire alla virtù che vuole Perchè Adamo ubidir de Dio al comando 25
Freno, a suo prode, quell'uom che non nacque, Noi ga volesto con so imenso dano,
Dannando tè, dannò tutta sua prole : Tuli i so fioi l'ha condanà pecando;
Onde l'umana specie inferma giacque Perciò nel mondo i omeni in ingano
Giù per secoli molti in grande errore; Xe stai per tanti secoli, sin tanto
Fm ch'ai Verbo di Dio discender piacque Ch'el Divin Verbo per tor via el malano 30
I" la natura, che dal suo Fattore Ch'avea l'omo da Dio sìontanà tanto,
S'era allungata, unio a sè in persona, La natura de st'omo ha tolto in lera
Con l'atto sol del suo eterno amore. Per la sola virtù de l'Amor Santo.
Or drizza '1 viso a quel che si ragiona. Sta ben atento a st'altra tossa vera :
Questa natura al suo Fattore unita, Come l' ha fata Dio a I.H tacada, 35
Qual fu creata, fu sincera e buona : Bona de l'omo la natura gera;
Ma per sè stessa pur fu isbandita Ma la s' ha da sè stessa descazzada
Di Paradiso, perocchè si torse Dal Paradiso, quando lu lassava
Da via di veritate, e da sua vita. De Vila e Verità la vera strada.
La pena dunque, che la croce porse, Donca per l'omo pena no se davà 40
S'alia natura assunta si misura, Che fusse de la erose giusta più,
Nulla giammai si giustamente morso : Ne la i'onit.i ih'l qual Cristo l'entrava:
E cosi nulla fu di tanta ingiura, E de più ingiusta mai s'ha conossù,
Guardando alla persona che sofferse, Per aver quela ci Fioi de Dio soferto
In che era contratta tal natura. Co la natura umana unida in Lu. 45
Però d'un atto uscir cose diverse ; Da un fato oposti efeti s' ha scoverlo ;
Ch'a Dio ed a' Giudei piacque una morte: Che Dio e i Giudei sta morie ga apagi:
Per lei tremò la terra, e '1 ciel s'aperse. La lera ga Ircmà, s' ha " 1 cielo averto.
.Non ti dee oramai parer più forte Facilmente capir ti podetà
Quando si dice, che giusta vendetta Adesso, come un giusto tribunai 50
Poscia vengiata fu da giusta corte. Ga una giusta vendela vendicà :
Ma io veggi'or la tua mente ristretta Ma tra un pensier e l'atiro vedo qual
Di pensiero in pensier dentro ad un nodo, Imbrogio va ingropando la to mente,
Del qual con gran disio solver s'appella. Che se no la desgropo la sia mal.
Tu dici: Ben discerno ciò ch'i'odo: Ti disi: Sin qua intendo chiaramente, &5
Ha perchè Dio volesse, m'è occulto, Ma no so come al nostro salvamento
A nostra redenzion pur questo modo. Bisognasse sta pena propriamente.
Questo decreto, frate, sta sepullo Frndelo, in sto secrelo ha visto drento
Agli occhi de' mortali, il cui ingegno Solo chi se nel santo amor nutrio.
Nella fiamma d'amor non è adulto. Ma perchè lanto sora st'argomento 60

M co = con
35 tacada = unita.
47 l'.lu- Dio t i Giudei ila marle f;n apagà — La marle di Cristo piacque a Dio per soddisfazione drll'of-
'«n ricevuta da Adamo; piacque ai Giudei perchè sfogarono la loro rabbia.
43 La lerà te. = tremò la terra per la soddisfazione rendutane a Dio, il cielo fu aperto ai peccatori redenti.
348 DEL PARADISO
Veramente, però ch'a questo seguo Là zo se studia e poco s' ha capio.
Molto si mira e poco si discerne, Dirò perchè de l'omo a la salvezza
Dirò perchè tal mbdo fu più degno. I. "i ihia el Signor quel modo preferio.
La divina bontà, che da su sperne El bon Dio che da Lu qualunque asprerza
Ogni livore, ardendo in sè sfavilla Sdegnoso scazza, l'arde in cussi pura 65
Si, che dispiega le bellezze eterne. Carità, che in Lu mostra ogni belezza.
Ciò che da lei senza mezzo distilla, Quel che da le so man vien a datura,
Non ha poi line ; perchè non si muove No ga mai fin, perchè no xe scassada
La sua impronta, quand'ella sigilla. De l'opera compia la imprimitura.
Ciò che da essa senza mezzo piove, La cossa che senz'altro Elo ha creada, 70
Libero è tutto, perchè non soggiace Sempre libera xè, perchè al poder
Alla virtute delle cose nuove. De qualunque altra no la xe ligada.
Più l'è conforme, e però più le piace; Più ghe somegia, e più ghe dà piacer;
Che l'ardor santo, ch'ogni cosa raggia, Che '1 so amor luto schiara, e quel che più
Nella più somigliante è più vivace. Somegia a Dio, più luse fa veder. 75
Di tutte queste doti s'avvantaggia Tuli sii beni l'omo ha ricevù,
L'umana creatura : e s'una manca, E se uno manca, da l'avua da Dio
Di sua nobilità convien che caggia. So grandezza el va zo colpa de lù.
Solo il peccato è quel che la disfranca, El pecà solo poi farlo avilio,
E falla dissimile al sommo Bene, Farlo scompagno de l'Eterno Ben, 80
Per che del lume suo poco s'imbianca; Perchè dal so lusor poco schiario;
Ed in sua dignità mai non riviene, E a la prima grandezza elo no vien,
Se non riempie dove colpa vota, Se co la penitenza in proporzion
Con ir a mal dilettar, con giuste pene. Del so gran falo, no ghe torna el ben.
Vostra natura, quando peccò tota Quando in Adamo i omeni el maron 85
Nel seme suo, da qoeste dignitadi, I ha fato, da sto ben i \i- cascai,
Come di Paradiso, fu remota : Come dal Paradiso, a tombolon.
Nè ricovrar poteasi (se tu badi Nè più rimessi i se sarave mai,
Ben sottilmente) per alcuna via, Quando ti vardi ben sta verità,
Senza passar per un di questi guadi : Se no per una de ste strade andai : *i
O che Dio solo, per sua cortesia, O che Dio per la sola so bontà
Dimesso avesse; o che l'uoin per sè isso Abia donà ci perdon, o da lu stesso
Avesse satisfatto a sua follia. L'omo al mal fato no abia remedià.
Ficca mo l'occliio per entro l'abisso La mente tua più che ti poi adesso
Dell'eterno consiglio, quanto puoi Al gran pensier de Dio racolgi e leva, 95
Al mio parlar direttamente iìsso. Del qual mi son per meterte al possesso.
Non potea l'uomo nei termini suoi L'omo imperfeto, dopo noi podeva

55 ncazza -•-- discaccia.


67 a driturii = immediatamente, senza il concorso di cause seconde.
68 scassiniu = cancellata.
69 imprimidara — impressione, impronta.
70 tetiz'altro _ cioè senza il concorso1 di altre cose giù create.
85 el maron — cioè il peccato.
87 a luHiboloH = a capitombolo.
CACTO VII. 340
Mai satisfar, per non poter ir giuso Farse con ubidir tanto avillo,
Con umiltade, obedlendo poi, Quanto desubidindo, el pretendeva
Quanto disubbidendo intese ir suso. Grandizar prima, e farse eguai a Dio; tOO
E questa è la ragion, perchè l'uom fue E l'omo da lu solo remediar,
Da poter satisfar per sè dischiuso. Per sta rason, al mal l'è sta impedio.
Dunque a Dio convenia con le vie sue Co una via o l'altra Dio donca pensar,
Riparar l'uomo a sua intera vita : 0 pur con tute do, doveva ben
Dico con l'una,ovver con ambedue. L'omo da schiavitù de liberar. 105
Ma perchè l'opra tanto è più gradita Ma perchè xe '1 regalo a chi l'otien
Dell'operante, quanto più appresenta Tanto grato de più quanto più '1 mostra
Della bontà del cuore ond'è uscita ; Cuor generoso in quel dal quale el vien;
La divina bontà, che '1 mondo imprenta, La divina bontà, che se dismostra
Di proceder per tutte le sue vie Al mondo, l'ha per le do rie pensà 110
A rilevarvi suso fu contenta. De alzar da novo la natura vostra.

Nè tra l'ultima notte e '1 primo die Dal momento ch'el mondo è sta creà
Si alto e sì magnifico processo, Al so fm, da giustizia o grazia el vegna,
O per l'una o per l'altro fue, o fie. Fato eguai xe sta mai nè '1 vegnerà.
Che più largo fu Dio a dar sè stesso Che generosa azion xe stada e degna 115
In far l'uom sufficiente a rilevarsi, De Dio farse omo, più che no lavar
Che s'egli avesse sol da sè dimesso. Col solo so perdon la machia indegna.
E tutti gli altri modi erano scarsi S" ha '1 Fio fato omo, in tuto per saldar
Alla giustizia, se '1 Figliuol di Dio L'alta Giustizia, e 'l s" ha sbassà cussi,
Non fosse umiliato ad incarnarsi. Che ogn'altro modo no podea bastar. f 20
Or, per empierti bene ogni disio, Ma per saziar qualunque brama in ti,
Ritorno a dichiarare in alcun loco, Torno su quel che ben schiario no gera,
Perchè tu veggi lì così, com'io. Aciò ti '1 vedi com'el vedo mi.
Tu dici : Io veggio l'aere, io veggio '1 foco, L'aria e l'acqua, ti disi, e fogo e lera
L'acqua e la terra, e tutte lor misture Vedo coi so composti che ben presto 125
Venir a corruzione, e durar poco : 1 se destruze, e se la cossa è vera
E queste cose pur fùr creature: Che mi fartela intender go podesto,
Per che, se ciò e' ho detto è stato vero, Anca ste cosse stae creae da Dio,
Esser dovrian da corruzion sicure. Andar in destruzion no avria doveste.
Gli Angeli, frate, e '1 paese sincero I Anzoli e qua sto ciel, fato da Dio, 130
Nel qual tu se', dir si posson creati, Dove ti xe, de sbalzo è stai creai
Sì come sono, in loro essere intero: In quela perfezion che ga dà Dio ;
Ma gli elementi che tu hai nomati, Ma i elementi che ti ha menzonai,
E quelle cose, che di Iin si fanno, E le cosse che vien fate da lori,

102 raion — motivo.


103
ivo Co = iiui
<<u qui valn
vii* per con
i ":r culi.
104 O pur con tulle dti = cioè colli giMzia e la giustizia.
125 i-ui so compiuti -- n-M.i i corpi co nposti dai quattro elementi, terra, acqua, aria e fuoco.
131 de sbalzo — immediatamente.
350 DEL PARADISO
Da creata virtù sono informati. Da altra virtù creada i xe formai. I35
Creata fu la materia ch'egli hanno ; Creada è la materia che xe iu lori.
Creata fu la virtute informante E xe creada la virtù operante
In queste stelle, che intorno a lor vanno. In sii cieli, che zira intorno a lori.
L'anima d'ogni bruto e delle pianin . Dei cioli ci ragio e '1 moto suo costante,
Di complession potenziata tira Crea con quel, eho ha da generar virtù, 140
Lo raggio e '1 moto delle luci santu. L'aneina de le bastie e do le piante.
Ma vostra vita senza inezzo spira Ma Dio far tlc primo intro ga volsù
La somma b::ninanza, e la innainora L'anemx in vualtri, e da Elo inamorada,
Di sè, sì che poi sempre la disira. Pase no ga se no la torna a Lu.
E quinci puoi argomentare ancora L'idea perciò ti poi aver formada 145
Vostra resurrezion, se tu ripensi De la Resurrezion, se ti ga a mente
Come l'umana carne fèssi allora, Come l'umana carne è sta creada,
Che li primi parenti entrarono fènsi. Quando creada è sta la prima zente.

135 Da altra virtù creada i xe formai = cioè gli accennati elementi ricevono la forma non da Dio imme
diatamente, ma da altra virtù da Dio gii creala.
138 Crearfa è li materia che xe in lori = cioè creata immediatamente la materia di che sono composti i
detti elementi.
140 erra con quel . • cioè, colla materia elementare atta e disposta per sua essenza a generare l'animi dei
dei bruti e delle piante, la quale non essendo creazione immediata, è mortale.
142 de prima intra - di primo sìancia, immediatamente.
35i

CANTO OTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Tn ricevi ambo due, Venere stalla. Ne la to stela, Vrnere, ti ga
Lo cui nome nel mondo * si profano, Quel do scordai dal mondo, e nel to Cielo
E costà l'alme con sua gloria abbella. Sempre gloriosi i nomi Boi sari.
Carlo Martello in quel luogo sovrano In quela stela hi Carlo Martelo
Parla, e dichiara in Un come por puote Parla, e in fin el dismostra palmarmente
Germoglio peggiorar di ceppo umano Come poi sviar dal tronco questo e quelo
PT colpa nostra, e non di quelle ruote. No per colpa del ciel, ma de la zente.

Solca creder lo mondo in suo perielo, Credeva el mondo, con so dano grando,
Che la bella Ciprigna il folle amore Che la spandesse in tera el mato amor
Raggiasse, vòlta nel terzo epicielo : Venere bela al terzo ciel zirando ;
Per che non pure a lei faceano onore Perciò no solo i ghe fazzeva onor
Di sacrinei e di votivo grido Coi tanti sacrifizi e co orazion,
Le genti antiche nell'antico errore; Che ai tempi indrio i ghe disea de cuor;
.Uà Dium' onoravano e Cupido, Ma i pregava Cupido e la itimi.
Quella per madre sua, questo per figlio : Per mare questa, e quelo per so fio,
E dicean ch'ei sedette in grembo a Dido. Sta, i disea, su i zenochi de Didon.
E da costei, ond'io principio piglio, Da custia, da la qual sto canto mio ÌO
Pigliavano il vocabol della stella, Mi scomenzo, la stela el nome tien
Che '1 sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. Che ora al Sol va davanti ora da drio.
Io non m'accorsi del salire in ella : Come ghe fusse entrà dir no so ben,
Ma d'esservi entro mi fece assai fede Ma d'esserghe m' ho incorto solo quando
La Donna mia, ch'io vidi far più bella. Go visto Bice che più bela vien. 15
E come in fiamma favilla si vede, Come faliva in bampa va sguizzando,
E come in voce voce si discerne, E come de do vose, se una mai
Quando una è ferma, e l'altra va e riede ; Sta ferma, va via l'altra modulando;
Vid'io in essa luce altre lucerna In quela stela novi lumi ho ochiai
Muoversi in giro, e più e men correnti Più o manco presto atorno via zirar
Al modo, credo, di lor viste eterne. Conforme che da Dio i è stai graziai.
Di fredda nube non disceser venti, No mai giazzada nuvola mandar,

5 co orazion - con orazioni.


7 0i0ii -.• ninne figlia dell'Oceano e di Trii, e madre di Venere.
S-9 per tu (w Sia, i dixea te. = nel primo libro dvll'Encidc fmge Virgilio elic Cupido presa la sembianza
Ilei fanciulla Ascanio figlio di Enea, sedesse a istigazione di Venero in grembo alla regina Iiidouc per accenderla
'lei fuoco di amore. •
12 (tu' ora al Sol la va avanti ce. -..- la stella Venere quando va dietro al Sole chiamasi Espero, e quando
la precede chiamasi Lucifero.
13 Ceme ghe fiate entrà = cioù uel terzo cielo: Venere,
16 bampa --. vampa, fiamma.
17 de do vote -- di due voci.
352 HEL PABAPISO
O visibili o no, tanto festini, De qual sorte se sia, s' ha visto venti,
Che non paressero impediti e lenti Che no i paresse pegri, in confrontar
A chi avesse quei lumi divini La corsa incontro a nu dei lumi ardenti, 25
Veduto a noi venir , lasciando '1 giro Lassando ci ziro che ga invià là sora
Pria cominciato in gli alti Serafini. I Serafini al nono ciel contenti.
E dentro a quei, che più innanzi appariro, E in quei primi vegnui cantar alora
Sonava Osanna, sì che unque poi Cussi pulito Osanna se sentia,
Di i indir non fui sanza disiro. Che me fa vogia de sentirli ancora. 30
Indi si fece l'uo più presso a noi, Po un d'eli a dirne arente me vegnia:
E solo incominciò: Tutti sem presti Tuli al to desiderio semo lesti
AI tuo piacer, perchè di noi ti gioi. Vegnui per farte alegra compagnia.
Noi ci volgiam co' principi celesti Ziremo insieme ai prencipi celesti
D'un giro, d'un girare, e d'una sete; L'istesso ciel, che istesso amor ne mete ; 35
A' t|uali tu nel mondo già dicesti : Ti in tera ti ga avù da dir de questi :
("o/, r/n' intendendo il terso del movete: Voi, ette intendendo il terso ciel movete :
E sem sì pien d'amor, che per piacerti E tanto amor sentimo in Paradiso,
Non lia ineri dolce un poco di quiete. Che per ti se fermemo un fià in sta quiete.
Poscia che gli ochi miei si furo offerti Prima per tor permesso umile el viso W
Alla mia Donna riverenti, ed essa Sporzo a la Bice, che me lo ga dà
Fatti gli avea di sè contenti e certi, Graziosamente con un dolce rìso ;
Rivolsersi alla luce, che promessa Po vardando da novo chi impegnà
Tanto s'avea, e : Dch chi siete ? fue S'avea con mi : Chi seo ? domando a elo
La voce mia di grande affetto impressa. Con vose, che a far dolce 30 studià. 45
O quanta e quale vid'io lei far piue O come e quanto el so lusor più belo
Per allegrezza nuova, che s'accrebbe, S' ha fato dal piacer, quando la mia
Quand'io parlai, all'allegrezze sue ! Parola ho a lu direta ! Dise quelo :
Così fatta, mi disse : II mondo m'ebbe Poca al mondo ho avù vita, e-se là via
Giù poco tempo : e se più fosse stato, Fusse de più restà, tanto avria fato, M
Molto sarti di mal, che non sarebbe. Ch'el mal che se farà no se faria.

27 / Serafini ee. = questo cielo di Venere, come tutti gli altri, ha il suo impulso dal nono cielo dello il
primo mobile, al quale presiedono i Seralìni.
34 /.ir, uni insieme ai prencipi celesti = secondo lu opinione di Tolomeo i cieli sono i cori celestiali che si
cirli presiedono nell'ordine seguente. Al primo mobile presiedono i Serafini: al cielo delle stelle fisse i Cheru
bini: a Saturno i Troni: a Giove le Dominazioni: a Marte le Virtù: ni Sole le Potestà: a Venere i Principali:
a Mercurio gli Arcangeli: nlla Luna gli Angeli.
37 Voi' che intendendo ee. - è lu prima canzone del Convito. Gli scolastici assegnano a ciascuno dei deli
una intelligenza che ne governa le rivoluzioni.
49 Poca al mondo ho avù vita = questi che parla è Carlo Martello, il maggiore dei figli di Girlo II deno
lo Zoppo, e di Maria di Ungheria. Morto Ladisìao nel 1290, Carlo Martello per diritto materno si trovò legittimo
erede della corona d'Ungheria, sebbene quegli che veramente regnò fu il suo emulo Audrea III, che morì nd
1301. Carlo Martello mori nel 1205 d'anni 23 vivente tuttora il padre di lui; ma nel 1291 avea sposata de
menta figlia di Rodolfo di Ilabsburgo imperatore d'AIcmagna da cui cube un figlio chiamato Coroberlo che h
riconosciuto ed eletto re d'Ungheria nel 1308. Carlo II di Napoli morì nel 1309, ed avendo credulo Coroberto
figlio del suo primogenito abbastanza provisto, fece crede de' suoi Slali il suo terzogenito Duca di Calabria, poi
chè il secondogenito di lui, Luigi, che. poi fu santo, era Vescovo di Tolosa. Coroberto non s'acquetò di queslo
arbitrio del nonno suo e pretese la successione negli Slati di Napoli e Provenza, come figlio del primogniili
di Carlo II. Ma rimessa la cosa al giudizio del Papa Clemente V, questi sentenziò in favore di Roberto. Dmlc
aveva conosciuto di persona Carlo Martello, ed avealo avuto per le sue tgualità mollo caro. (Bianchi).
50 tanto avria fato = Unto mi sarei adoperato. Dante fa qui profrtizzarc i mali della guerra cagioni» :
Roberto prr opporsi all'ingrandimenIo di Arrigo VII. (Bianchi;.
CANTO Vili. 353
La mia letizia mi ti lien celato, Tra l'alegrezza, che me fa beato,
Che mi raggia d'intorno, e mi nasconde, Me covre e a ti me sconde el mio lusor,
Quasi animai di sua seta fascialo. Come galeta sconde el so bigato.
Assai m'amasti, ed avesti bene onde : Ti m'ha in tera ti amà, e mi de cuor 55
Che, s'io foisi giù stato, io ti mostrava T" ho amà, che se vissù fusse più là
Di mio amor più oltre che le fronde. T'avriatcoi fati dismostrà '1 mio amor.
Quella sinistra riva, che si lava Del fianco Prorenzal, che xe bagnà
Di Rodano, poich'è misto con Sorga, Dal Rodano col Sorga, a tempo andar
Per suo signore a tempo m'aspettava ; El sovran mi sarave deventà : 60
E quel corno d'Ausonia, che s'mborga E doveva in Italia mi regnar
Di Bari, di Gaeta e di Crotona, Là tra Bari, Gaeta e tra Crotona,
Da ore Tronto e Verde in mare sgorga. Per dove el Tronto e '1 Verde casca in mar.
Fulgeami già in fronte la corona Portava de quel logo la corona,
Di quella terra, che '1 Danubio riga, Dov 'el Danubio fa corendo el sguazzo 65
Poi che le ripe tedesche abbandona ; Dopo che la Germania elo abandona :
Eia bella Trinacria, che caliga E la bela Sicilia, che sul brazzo
Tra Pachino e Peloro, sopra '1 golfo Del mar fumarea spande, al qual ghe dà
Che riceve da Euro maggior briga, Tra Peloro e Pachin l'Euro più impazzo,
.Non per Tifeo, ma per nascente solfo, (No per Tifeo, per zolfare internà) 70
Attesi avrebbe li suoi regi ancora, Per re i mii lini, che da Ridolfo i vien
Nati per me di Carlo e di Ridolfo ; E dal re Carlo, eia avaria chiamà,
Se mala signoria, che sempre accora Se '1 governo tiran, vero velen
Li popoli noggetti, non avesse Dei suditi, Palermo no l'avesse
Mosso Palermo a gridar : Mora, mora ; Tirà a urlar : Mora, mora. E quando ben 75
E se mio frate questo antivedesse, Sto tanto mio fradelo prevedesse,
L'avara povertà di Catalogna I ui «rom spiantai de Catalogna
Gii fuggirla perchè non gli offendesse : El schivarla col mal che aver podesse ;
Che veramente provveder bisogna Che propriamente i altri, o lu, bisogna
Per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca Che i ghe rcmedia avanti che cargar 80
Carica più di carco non si pogna. De più la barca carga no i se insogna.
La sua natura, che di larga parca Splendido de famegia, a sparagnar

54 galela = bozzolo, = higato = verme, crixalide.


59 Rodano eoi Sorga = due fiumi elic misti insieme bagnano il fianco sinistro della Proventi. = a
lem/M andar - cioè alla morie del padre di esso Carlo Martello.
6! Bari = nella Puglia = Gatta = nella Terra di Lavoro = Crolona = nella Calabria.
63 Troinn = e un fiume nel Napoletano che sbocca nell'Adriatico — Verde -= altro fiame detto anche tiri,
il quale sbocca nel Mediterraneo.
64-66 Portava de qutl Ioga la eorma ee. = Carlo Martello, virente suo padre, fu coronato re d'Ungheria
per dove passa il Danubio sceso dalla Germania.
67-70 E la trla Sicilia ee. = la Sicilia tra i promontorii di Pachino e Peloro sai golfo di Catania, elic
PIÙ elic da altro vento è molestalo dall'Euro, vento di Leruntc = A'o per Tifeo ee. == non perchè ivi sia sepolto,
tome dice |a favolo, il gigante Tifeo, elic spiri fiamme e fumo, ma in forza delle miniere di zolfo che alimen
tano il fuoco (-Bianchil.
75-78 A/ora, moro = cosi fu gridato nel 12S2, 30 Marzo per tutta Sicilia in quella uccisione dei Francesi
die fu chiamata il Vespro Siciliano = E tiuantlo ben Sto tanto ee. = e quando beue a tutte quesle conscguen-
"- Quando Roberto fratello di. Coroberto fu in Catalogna ostaggio pel re suo padre, si feeo famigliari molti di
(l"« Signorotti, pieni di fasto e di fame, elic poi condotti seco in Italia, inalzò ai primi offici; ed essi impin
guarono dell'avere dei popoli = ipiantai = spiantali, rovinali, essere nell'ultima povertà.
80-81 i ghe remedia, ee. = fuori di metafora, vi pongano rimedio innanzi che il già cattivo governo del
Kgno non peggiori.
23
554 DEL PARAPISO
Discese, avvia mestier di tal milìzia, El tende adesso, e sì saria ben ora
Che non curasse di mettere in arca. Che i so agenti finissa de ingrumar.
Perocch'io credo, che l'alta letizia, Come credo che qua, dove vien fora 85
Che '1 tuo parlar m'infonde, signor mio, Ogni ben, cofà mi ti vedi ti
Ov'ogni ben si termina e s'inizia, Quanto mai me dà gusto e me inamora
Per te si veglia, come la vegg'io, El to discorso, o mio signor; cussi
Grata m' è più : ed anche questo no caro. Megio el sento; e perchè ti vedi in Dio
Perchè il discerni rimirando in Dio. El mio piacer, de più lo godo mi. 90i
Fatto m'hai lieto ; e cosi mi fa chiaro Se ti m'ha rategrà, sto dubio mio
(Poichè parlando a dubitar m'hai mosso), Schiara, che, ti parlando, me xe nato:
Come uscir può, di dolce seme, amaro. Come de pare bon, bon no xe '1 fio.
Questo io a lui : ed egli a me : S'io posso Cossi ghe parlo ; e lu : Quando sto fato
Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi Mi te posso mostrar, lampante quelo 95
Terrai lo viso come tieni '1 dosso. Che te xe scuro el te sarà in t'un trato.
Lo Ben, che tutto '1 regno che tu scandi Dio che sto regno, al qual ti monti, belo
Volge e contenta, fa esser virtute Fa in moverlo e beato, ha dà '1 poder
Sua provedenza in questi corpi grandi : D'influir ai pianeti a voler d'Elo.
E non pur le nature provvedute Nè a le creature sol, nel so saver, 100
Son nella mente, ch'è da sè perfetta, Ordene ha dà, ma ognuna el ga formada
Ma esse insieme con la lor salute. Cussi, che '1 nichio suo l'abia d'aver.
Per che quantunque quest'arco saetta, Che la cossa che vien dal ciel mandada,
Disposto cade a provveduto line, Tende al fin che ghe xe sta destinà,
Sì come cocca in suo segno diretta. Come la frezza al segno la xe inviada. 105
Se ciò non fosse, il ciel, che tu cammine, Se cussi no la fusse, fabricà
Producerebbe sì li suoi effelti, In modo tal sarave luto el cielo,
Che non sarebber arti, ma ruine : Ch'el mondo vegneria scombussolà.
E ciò esser non può, se gl'intelletti, E in sto caso saria scarso el cervelo
Che mnovon queste stelle, non son manchi, De chi move le stele, e anca imperfeto 110
E manco '1 primo, che non gli ha perfetti. Chi xe de vera perfezion modelo.
Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi? Vustu più ancora che te parla schieto ?
Ed io : Non già ; perchè impossibil veggio, No, respondo, perchè no poderia
Che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi. Sgarar natura al necessario efeto.
Ond'egli ancora : Or di' : sarebbe il peggio E lu da novo: Dime, mal stana 115
Per l'uomo in terra, se non fosse cive ? L'omo al mondo no stando in società?
Sì, rispos'io : e qui ragion non chieggio. Sì, di'go, e dar no ocor rason qualsia.
E puot'egli esser, se giù non si vive E i poi ben viver se no i stasse là
Diversamente per diversi uffici? In facende diverse laorando ?
No; se '1 maestro vostro ben vi scrive. ND, se ben v' ha Aristotele parlà. 130
Sì venne deducendo insino a quici ; Dopo el fa, questo tema terminando,

84 de ingrumar = di ammassare.
86 co/a mi - come me.
95 lampante ---- evidente, chiaro.
102 i-h'rl nichio suo --- cioè il posto assegnato alta naturale sua inelinazione.
108 scombussola = scompigliato.
110 De chi move le stele = cioè delle celesti intelligenze, ossia degli angeli che danno molo alle stelle,
111 C/u xe de vera perfezion modelo = cioè Dio.
CANTO Vilr. 555
Potcia conchiuse : Dunque esser diverse' Sta conclusion : Donca che sia convien
Convien de' vostri effetti le radici : Diverse in vualtri le nature, quando
Per ch'uà nasce Solone, ed altro Serse, Chi per far el legista al mondo vien.
Altro Melchisedech, ed altro quello, Chi '1 prete, chi '1 sovran, chi l'artesan. 125
Che, volando per l'aere, il figlio perse. L'influenza dei cieli ha fato ben,
La circular natura ch'è suggello Quando zirando atorno la so man
Alla cera mortai, fa ben su' arte ; Una marca diversa l'ha batù
Ma non distingue l'un dall'altro ostello. Sul fiol d'un re, d'un doto, o d'un vilan.
Quinci addivien, ch'Esaù si diparte Dè Giacobe perciò no ga Esaù 130
Per seme da Giacob; e vien Quirino La natura, e i fa a Marte che sia fio
Da si vii padre, che si rende a Marte. Romolo, che ha avù un pare turlulù.
Natura generata il suo cammino l fioli ai pari tegnerave drio,
Simii farebbe sempre a' generanti, Ma altro despone quela stela e questa,
Se non vincesse il provveder divino. Per l'influenza che ghe vien da Dio. 1 35
Or quel che t'era dietro t'è davanti. Questo te xe entrà adesso ne la testa :
Ma, perchè sappi che di te mi giova, Ma aciò più ancora intenderlo te possa,
Cn corollario voglio che t'ammanti. Darle ho piacer la zonta che me resta.
Sempre natura, su Fortuna truova Se natura s'imbate in t'una cossa
Discorde a sè, come ogni altra semente Che confarse no poi, fa istessamente 140
Fuor di sua regì'on, fa mala pi nova. D'una pianta zentil in tera grossa.
E se '1 mondo laggiù ponesse mente Se a la inclinazion l'omo dasse mente
Al fondamento che natura pone, Che al so nasser dal cicl segnà ghe xe,
Seguendo lui, avria buona la gente. Megio l'aravi: el so mestier la zente.
Ma voi torcete alla religione Ma vualtri a farse prete strassinè 145
Tal, che fu nato a cingersi la spada, Quel che xe nato per portar la spada,
E fate ro di tal ch'è da sermone : E chi xe nato a predicar fe re:
Onde la traccia vostra è fuor di strada. Per questo vualtri andè fora de strada.

132 lurlulù = alocco, balordo.


133 oi pari legnarms drio = avrebbero le tendenze dei padri.
138 la zonta •— la giunta.
356 DEL PARADISO

CANTO NONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Cunizza suora d'Ezzelino i danni La C'uuizza sortla d'Ezelin


Di varie terre annunzia, e gli coulVrina. De diversi paesi i guai là in ciclo
Che su nel cielo vede i loro affanni. La vede, e a Dante dise el bruto [in'
Ed intanto la luce hi si ferma Do Folco Marsiliese el zplendor belo
Di Folco di Marsiglia, che de' mali Contro Firenze l'ira soa scaena,
Firenze accusa di sue colpe inferma, Questa incolpando se la xe in sfazzelo,
Poi d'ira altrove drizza i giusti strali. Su altra zente el statil elo po mena.

Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, -Dopo ch'el Carlo tuo me ga cavà,
^l'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni, Bela Clemenza, el dubio, el me diseva
Che ricever dovea la sua semenza. Quali ingani i so fioi riceverà :
Ma disse : Taci, e lascia volger gli anni : Ma che laser dovesse el me imponeva ;
Sì ch'io non posso dir, se non che pianto Perciò sol digo: Giuste pene e guai
Giusto verrà diretro a vostri danni. Vegnerà a chi ve ofende. E za gaveva
E già la vista di quel lume santo L'anema santa i ochi sol voltai
Rivolta s'era al Sol che la riempie, Al primo Ben, a Dio Onipotente,
Come a quel ben ch'ad ogni cosa è tanto. Che ha cielo e tera del so amor graziai.
Ahi, anime ingannate, fatue ed empie, O balorda, canagia, o mata zente, 10
Che da sì fatto ben torcete i 'cori, Che andar lasse per ochio un tanto ben,
Drizzando in vanità le vostre tempie ! Per tegnir drio a budele da gnente!
Ed ecco un altro di quegli splendori Ma eco che un altro de quei lumi vien
Vèr me si fece, e '1 suo voler piacermi Da mi, mostrando col chiaror de fora
Significava nel chiarir di fuori. La vogia che a compìaserme '1 ga in sen. 15
Gli occhi di Beatrice, ch'eran fermi Dice coi ochi su mi fermi alora
Sovra me, come pria, di caro assenso Come prima, licenza de parlar
Al mio disio certificato fèrmi. Graziosamente la me dava ancora.
Dch metti al mio voler tosto compenso, Vogime, digo, anema santa, far
Beato spirto, dissi, e fammi pruova. La finezza de dirme in qual maniera
Ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso. Mai possa el mio pensier in ti passar.

1 Dopo ch'el Carlo tuo ee. = Dante volgo il discorso a Clemenza ch'era ancora viva quando egli scriver!
questi versi. Questa Clemenza non è pia la figlia di Carlo Martello, come hanno credulo varii coinmeutalori, poi
chè nel 1300 non contava ella elic sci o sette anni di eta, ma bensì la sua sposa chiamata pur essa Clc'inrini
(Fraticelli).
2 rl iini, i, i = cioè come dai padri differiscono i figli.
3 iI uali ingani ee. = alla occupazione del regno di Puglia fatta da Roberto nel 1309, in pregiudizio di Car
lo Umberto o Carohorto figlio del detto Carlo Martello e della detta Clemenza rl-Y,iiirrlli).
11 che andar lasse jier ochio = che trasandate.
12 aiidele = baie.
17 Come prima = Dante chiese permissione a Beatrice di parlare a Carlo Martello. Vedi C. Vili, v. 10.
10 Vogime - mi voglia.
20 finezza = cortesia.
i
CANTO ix. 357
Onde la luce, che m'era ancor nuova, El bel lusor, che ancora no me gera
Dal suo profondo, ond'ella pria cantava, Sia nominà, e ga fato la cantada
Scguette, come a cui di ben far giova : Co i altri, cussi parla volentiera:
In quella parie della terra prava .Vi sito de l'Italia malandada, 25
Italica, che siede intra Rialto, Tra '1 Brenta, el Piave e '1 Venezian, xe là
E le fontane di Brenta e di Piava, Una colina picola piantada,
si leva un colle, e non surge molt'alto, Da in dove s' ha una fiamola calà
Là onde scese già una facella, Per portar desterminio ai Padovani.
Che fece alla contrada grande assalto. El medesimo pare generà 30
D'una radice nacqui ed io ed ella : Ga quela bampa e mi : là tra i mondani
Cunizza fui chiamata : e qui refulgo, Cunizza ho nome, e luso al terzo cielo,
Perchè mi vinse il lume d'esta stèìla. Perchè ho sentido de sta stela i dani.
Ma lietamente a me medesma indulgo Uà volentiera me perdono quelo
La cagion di mia sorte, e non mi noia : Causa del quai son qua, nè me dolora; 35
Che forse parria forte al vostro vulgo. „ Scuro xe questo ai curii de cervelo.
Di questa Inculcata e cara gioia Ga sta zogia lusente, che inamora
Del nostro cielo, che più m'è propinqua, El nostro cielo, e che me xe più arente,
Grande fama rimase; e, pria che muoia, Lassà gran nome in tera, e avanti el mora,
Questo centesim'anno ancor s'incinqua. Dei secoli andarà. Vanta la zente 40
Vedi se far si dee l'uomo eccellente, Se no ga dopo morte de lassar
Si ch'altra x ita la prima relinqua ! Un altra vita da vegnir in mente!
E ciò non pensa la turba presente, Ma la zente no xe de sto pensar
Chi Tagliamento ed Adice richiude ; Tra '1 Tagiamento e l'Adese serada,
V, per esser battuta, andor si pente. Nè le disgrazie no la fa cambiar. 45
Ma tosto fia, che Padova al palude E Padoa farà presto insanguenada
Cangerà l'acqua che Vicenza bagna, L'aqua che core per Vicenza, che
Per essere al dover le genti crude. Zente ingiusta la xe, zente ostinada.
E dove Sile e Cagnan s'accompagna, Dov'el Sii e '1 Cagnan missiadi i xe,
Tal signoreggia, e va con la testa alta, Se fa la rede per chiapar col M 50
Che già per lui carpir si fa la ragna. Ch'el va cimà fazzendola da re.

23 la i-in, nubi - . rii»., che cantò in coro Osauna: vedi i v. 23, Ì9 del Conio precedente.
25 .\,l niio de l' Italia - . si descrive il territorio elic è tra i confini del Padovano, ove scorre la Brenta; la
ilarca Trevigiana, ove scorre la l'invii: e del Ducato di Venezia = malandada = condotta a mal termine.
17 Una a.ti, m jiicaia = il colle ove sorge il Castello di Romano .
28 Da in dove t'ha una fiamola calà — cioè il tiranno Eziellino III della famiglia di Onara, conte di Bas
ano — fiamola - facella, liammetta.
30 El medesimo pare, ce. = questa elic parla è Cunizza sorella del dello Ezzelino = pare = padre.
33 ho tcntido de ila itela i dani --. Cunizza fu dedila ai piaceri di Venere.
37 sia zogia = chi fosse quesla gioia lo dice il v. 94.
38 arenle : vicino.
41 Tra 'I Tagiammto e l'Adese = il ragliamento e l'Adige sono fiumi che nel 1300 erano i termini della
Marca Trivigiana.
46-47 E i Padoani tv. = tre volte furono i Padovani sconfini a Vicenza dai Ghibellini. La prima nel 1311,
ia seconda nel 1314, in cui fu fallo prigione Jaeopo da Carrara, e la lerza con più sangue nel 1318 quando era
Capitano della lega Ghibellina Can Grande.
49 Dov'el Sii — cioè Trevigi ove si congiungono insieme i due liumi Silc e Caghano.
50-51 cotù -- cioè Riccardo da Camino --: cima r_ pettorulo, in atteggiamento orgoglioso. Riccardo fu ucciso
da alcuni sicari, mentre che nulla sospettando, -i sìava a giocare agli scacchi, e chi dice ad istigazione d'Altinicro
de' Calzoni trivigiano.
558 DEL PARADlSO
Piangerà Feltro ancora la diffalta Pianzarà Feltre el tradimento avù
Dell'empio suo pastor, che sarà sconcia Dal Vescovo bricon, che eguai genia
Sì, che per Mmii non s'entrò in Malta. Mai la tore de Malta ha ricevo.
Troppo sarebbe larga la bigoncia, ln un tinazzo el sangue no starla 55
Che ricevesse '1 sangue ferrarese, Dei Feraresi, e ingranfiria la man
E stanco chi '1 pesasse ad oncia ad oncia, Chi per onza pesarlo lo voria,
Che donerà questo prete cortese, Che donerà sto prete cortesan
Per mostrarsi di parte. E colai doni Al so partio ; e sti doni po sarà
Conformi ficno al viver del paese. Al viver adatai de Feltre. l gran 60
Su sono specchi, voi dicete troni, Anzoli chiamai Troni da de là,
Onde rifulge a noi Dio giudicante ; Come spechi el giudizio i ne renette
Sì che questi parlar ne paion buoni. De Dio, e xe certo quel che i due. Qua
Qui si tacette, e fecemi sembiante, La tase, e come prima la se mete
Che fosse ad altro vòlta, per la ruota A zirar in quel ciel da altro chiamad.i, 65
ln che si mise, com'era davante. Che a restar più con mi no ghe permete.
L'altra letizia, che m'era già nota, La zogia da Cunizza menzonada,
Preclara cosa mi si fece in vista, Come dal Sol batù rubin lusente,
Qual fm baiaselo in che lo Sol percuota. La gera dai so ragi ralegrada.
Per letiziar lassù fulgor s'acquista, Fa in cielo l'alegria l'anema ardente; 70
Sì come riso qui: ma giù s'abbuia Rider fa l'omo in tera, ma a l'lnferno
L'ombra di fuor, come la mente a trista. Negra xe l'ombra sua come la mente. i
Dio vede tutto; e tuo veder s'inluia, Dio vede luto, digo, e nel so interno
Diss'io, beato spirto : sì che nulla Cussi ti vedi ti, spirito belo,
Voglia di sè a te puote esser fuia. Che in ti se stampa el so pensier eterno. 75
Dunque la voce tua, che '1 ciel trastulla E la to vose, che ralegra el cielo,
Sempre col canto di que' fochi pii, Dei Serafini al dolce canto unia,
Che di sei ale fannosi cuculia, Che i se fa de sìe ale un largo velo,
Perchè non satisfacc a' miei desii? Perchè apagar no voi la brama mia ?
Già non attendere'io tua dimanda, La to resposta no starla aspetando, 80
S'io m'intuassi, come tu rimimi. Se, come che ti in mi, mi in ti scovi i, i
La maggior valle in che l'acqua si spanda, . La vogia toa gavesse. El mar più grando
lncominciaro allor le sue parole, Dopo quelo, scomenza lu a parlar,

52-53 Pianzara Fclli.c ec. = essendo rifuggiti in Feltro molli Ferraresi, lra gli altri cerii gentiluomini della
Fontana, per salvarsi dallo sdegno del Pupa, col quale erano in guerra, furono dal Vescovo Gena ili Lussia, al'
lora tcmporal signore della detta città, con false cortesie ricevuti, indi folti prigioni e consegnati al Governatore
di Ferrara Pino della Tosa, clic li fece crudelmente morire.
54 la lare de Malia •--. la Torre di Malta o Marla, era l'ergastolo in riva al lago ili Bolsena, e vi xi rinar
ravano i chierici rei di capitali delitti.
55 tinozza = tino.
56 ingranfirin = aggranchirebbe.
SS corlesan . nel senso di bravaccio, prepotente, e simili.
50 al so parilo .- cioè al partito dei Guelfi, che era il parlito del detto Vescovo Gorca. = xli Ani ~ delto
figuratamente.
61 Troni • • cosi chiamali gli angeli dell'empireo. = dt là -. cioè in terra.
67 La zngia = cioè l'altr'nnimu beala accennata da Cunizsa (v. 37, 38, 39), e colla quale Dantf .ipiv il ili'
scorso, e Folco da Marsiglia, come si vedra.
7S ilr sic ale ec. = come li descrive il profeta lsaia, i Serafini si fanno ampia veste di Sri nli.
8? El mar più grando = cioè il Mediterraneo, creduto anticamente il maggiore dei mari dopo l'O
CANTO IX. 3S9

Fuor di quel mar che la lerra inghirlanda, Che tien la lera in sen, sempre riazando
Tra discordanti liti contra '1 Sole Da Ponente a Levante, va a trovar 85
Tanto sen va, che fa meridiano Diversa zente de diverso rito.
Là, dove l'orizzonte pria far suole. El lio mi go abità de quel gran mar
Di quella valle fu'io littorano Tra l'Ebro e '1 Magra, che viazando drilo
Tra Ebro e Macra, che per cammin corto E in curto, el Genovese dal Toscan
Lo Genovese parte dal Toscano. A divider per mezo va pulito. 90
Ad un occaso quasi e ad un orto Xe quasi solo al stesso meridian
Buggea siede, e la terra ond'io fui, Bugia e Marsilia, che la m' ha cunà,
Che fe del sangue suo già caldo il porto. E '1 Porto ga machià de sangue uman.
Folco mi disse quella gente, a cui Folco la zente al mondo m'ha chiamà;
Fa noto il nome mio: e questo cielo Schiaro col mio lusor sto ciel qua su, 95
Di me -'impnmU, com'io fe' di lui : Come i amori soi m'avea scaldà.
Che più non arse la figlia di Belo, Didon no ga sentio l'amor de più,
(X'oiando ed a Sicheo ed a Creusa) Che Creusa e Sicheo gelosi fava,
Di me, in liu che si convenne al pelo ; De quelo che ho sentio mi in zoventù ; .
Né quella Rodopea, che delusa Nè Rodopea, ch'el perfido inganava 100
Fu da Demofoonte ; nè Alcide, Demofonte ; nò quando el forte Alcide
Quando Jole nel cuore ebbe richiusa. Arente a Iole per amor filava.
Non però qui si pente, ma si ride, Qua po no se se pente, ma se ride,
Non della colpa, ch'a mente non torna, IS'o za del falo, che noi vien in mente,
Ma del valore ch'ordinò e provvide. Ma de quel ben che Dio con nu divide. 105
Qui si rimira nell'arte che adorna Nel creà tuto la divina mente
Cotanto effetto, e discernesi '1 bene, Qua se amira, e se sa come e per cossa
Per che il mondo di su quel di giù torna. El cielo su la tera xe influente.
Ma perchè le tue voglie tutte piene Ma i desideri luti aciò te possa
Ten porti, che son nate in questa spera, Mi apagar, che vegnui te xe in sta stela, 110
Procedere ancor oltre mi conviene. Bisogna che te diga un'altra cossa :
Tu vuoi saper chi è "n questa lumiera, Ti voressi saver chi mai xe in quela
Che qui appresso me cosi scintilla, Luse, che la resplende a mi darente,

88-90 Tra l'Ebro e 'I Magra — e circoscritta Marsiglia, città elic resti quasi In mezzo tra l'Ebro fiume della
Spagna, che si scarica nel Mediterraneo sotto Tortosa, e la Magra, piccolo fìumc in Italia che per breve tratto o
quasi rettilineo, divide il Genovesato dalla Toscana.
92 Bugia - o Buggea nello Stato di Algeri, è quasi sotto il meridiano di Marsiglia, onde viene necessaria
mente ad avere quasi lo stesso Occidente = '.l«- la m'ha cunò - che mi diede culla.
83 E 'I Porto ga machià es. = accenna la strage dei Marsigliesi fatta da Bruto quando per ordine di Ce
sare assediò ed espugnò quella citta.
94-96 Folco la :rni• ".' mondo m'ha chiamà t-e. = narrasi che Folco molle rime d'amore scrivesse in lode
i Adalagia moglie di Barale di Marsiglia, alla cui corte si stava, la qual dama era da lui grandemente amata,
e che, lei morta, si facesse monaco; che poscia fosse fatto Vescovo di Marsiglia e finalmente Arcivescovo di Tolosa.
97-98 Didon no ga tcntia ee. = Didone innamorata di Enea, destava col suo amore gelosia a Sicheo di lei
marito, ed a Creusa già moglie di Eneo.
100 Rodopea -— cioè Filli abitatricc di un luogo presso il monte Rodope nella Tracia. Costei, secondo le fa
vole, abbandonata da Demofoonte, si uccise, e fu dagli Dei convergila in mandorlo.
101-102 Altidc ..-. ovvero Ercole figlio di Alfco, s'innamorò di Iole figlia di Eurilo re di Etolia, fino al punto
di mettersi a filare tra le ancelle di lei.
104 No :a del falo, chi noi vien in mente = le anime prima di salire al Paradiso bevono l'acqua del finme
Lete che ha la proprietà di far dimenticare le male azioni in cui fossero incorse in vita: vedi l'nrg. C. XXVIII.
v. 121-130.
113 a mi (tartine x a me dappresso.
560 DEL PARADISO
Come raggio di Sole in acqua mèra. Come ragio de Sol in aqua bela.
Or sappi, che là entro si tranquilla Sapi, che drento là la pase sente 115
Raab : ed a nostr'ordine congiunta, Raab, che insieme a nu fa che sta sfera
Di lei nel sommo grado si sigilla. Più bela la deventa e più lusente.
Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta Prima che Cristo vinta abia la guera
Che '1 vostro mondo face, pria ch'altr'alma Contro Inferno, l'è stada qua logada,
Del trionfo di Cristo, fu assunta. In dove buta l'ombra sua la tera : 1 -i)
Ben si convenne lei lasciar per palma E xe sta ben che in qualche ciel lassada
In alcun cielo dell'alta vittoria, Per segno questa sia de la vitoria
Circi s'acquistò con l'una e l'altra palma ; Che "1 ga Lu su la erose guadagnada ;
Perch'ella lavorò la prima gloria Perchè eia ha favoriti la prima gloria
Di Giosuè in su la Terra Santa, Che in Tera Santa Giosuè onora, 125
Che poco tocca al papa la memoria. De la qual poca el Papa tien memoria.
La tua città, che di colui è pianta, La to cità, sortia da colù fora
Che pria volse le spalle al suo Fattore, Che s' ha fato rebele al so Creator,
E di cui è la invidia tanto pianta, Per l' invidia del qual se pianze ancora,
Produce e spande il maledetto flore, Produse e spande el maledeto fior, 139
C' ha disviate le pecore e gli agni, Che ga fato sbandar piegora e agnelo,
Però e' ha fatto lupo del pastore. Perchè un Lovo el ga fato del Pastor.
Per questo l'Evangelio e i Dottor magni Santi Padri scordai, per lu, e Vangelo,
Son derelitti; e solo ai Decretali Se studia tanto i soli Decretai,
Si studia sì, che appare a' lor vivagni. Da lassar dei dèi l'onto in questo e in quelo.
A questo intende '1 papa e i cardinali : Tende a far bezzi el Papa e i Cardenai :
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette, Nè i pensa a Nazaret, dove ha portà,
Là, dove Gabrielo aperse l'ali. Gabriel la gran nova. Ma oramai
Ma Vaticano e l'altre parti elette El Vatican con quanto Roma ga
Di Roma, che son state cimiterio De sacro, che ha sur viti da cimiterio i iii
Alla milizia, che Pietro seguette, A quei che drio de Piero ha caminà,
Tosto libere fìen dall'adulterio. Presto el fm vedcrà del vituperio.

116 limili = la meretrice di Geriro, la quale avendo salvali in sua casa alcuni esploratori di Giosuc, la <•
questo Capitano preservata nel sacco di detta città, ond'essa poi adorò il vero Dio.
118-120 Prima che Critto te. = prima della Redenzione = 7u0 logada — qui collocata, dove al dire Ji
Tolomeo, termina l'ombra piramidale della terra.
124 In prima gloria = Gcrico fu la prima città che Giosuò vinse combattendo.
126 puta ti Papa tien memoria = lini posa cura.
127-129 La la cità te. — cioè Firenze patria di Dante, la quale fu edificata sotto gli auspicii di colui clu
si ribellò a Dio, cioè il demonio, l' invidia del quale fu cagione del peccato di Adamo, per cui tanto >i piange
nel mondo. Al v. 153 e seguenti del C. XIII dell' Inferno è detto elie Kirenic nel suo cominciamenlo ebbe |HT
suo nome tutelare il Dio Marte (Bianchi).
130-132 tl mainino fior — cioè il liorino d'oro che fa traviare non solo pecore e agnelli, cioè laici (d "'
elesiastici, ma diventar lupo il Pontefice, che figura il pastore del gregge.
134 Decretai — Dante dice elic i preti studiavano più le Decretah che il Vangelo e i Santi Padri, perelic
solo per la profonda cognizione di quelle giungevano agli onori e alle ricchezze, che unicamente curaiami.
135 Da Innar dei dei l'auto = da lasciar l'untume delle dita nei margini.
137-138 Nè i pensa a tia;arèt = allude alla povera casa di ISazaret abitala da G. C. e dove l'Angelo C*
briele si rivo ad annunziarc la Santa Vergine.
138-141 Mn oramai El Valiean ee. — il Vaticano ov'è il sepolcro Ji S. Pielro e le tombe dei gloriosi nnf
tiri e dei Pastori che seguirono l'esempio di San Pietro.
561

CANTO DECIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Al quarto Cielo, ove lo roggio sorgo. Al quarto Ciel, da in dove zo vien viva
Onde s'aggiorna qui l'ajuola nostra. La lusn a intuminar sta nostra torà,
Lievo il Poeta va ciio non s'accorge. Dante senza inacorzerse l'ariva.
Fra molti lumi al suo viso si mostra San Tomaso d'Aquin, che santa tu era,
Tommas d'Aquino, cho d'altri fulgori Ga fata al mondo, itrento la so luso
Gli da contezza che in sì chiara chiostra (Ihi? da nove de quei de quella sfera,
A Ini fè cerchia irraggiando di fuori. Ohe ghi- fa cerchio, e fui.- quanto luse.

Guardando nel suo Figlio con l'amore, El Pare con so Fiolo e l'Amtn Santo,
Che l'uno e l'altro eternalmente spira, Che dal Pare i procede eternamente,
Lo primo ed ineffabile valore, Con ordene l' ha fato tal e tanto
Quanto per mente o per occhio si gira Quel che al pensier e a l'ochio xe presente,
Che tanto ordine fe, ch'esser non puote Che chi lo varda ben ga da gustar
Senza gustar di lui chi ciò rimira. Tuto che ha fato la divina mente.
Leva dunque, lettore, all'alte ruote I ochi con mi, o letor, vien a levar
Meco la vista, dritto a quella parte, A le sfere del ciel da quela banda
DOve l'un moto all'aliro si percuote: Che co l'Ariete le se va a incrosar.
Eli comincia a vagheggiar nell'arie E lì a varda r scomenza l'arte granda
Di quel Maestro, che dentro a sè l'ama De Dio, che, come la so amante ria,
Tanto, che mai da lei l'occhio non parte. Da quela l'ochio eterno mai no sbanda.
Vedi come da indi si dirama Varda come el Zodiaco va via,
L'obliquo cerchio, che i pianeti porta, E a benefizio de la tera el porta
Per satisfare al mondo che gli chiama. I pianeti per sbiego in compagnia.
E se la strada lor non fosse torta, E se la strada no la fusse storta
Molta virtù nel ciel sarebbe invano, Ch'eli fa, saria poca la virtù
E quasi ogni potenzia quaggiù morta: De sii cieli, e la tera quasi morta.
E se dal dritto più o men lontano Che se più in zo '1 Zodiaco, o più in su
Fosse 1 partire, assai sarebbe manco Camioasse, imperfeto assae saria ao
E su e giù dell'ordine mondano. L'ordene in tera e l'ordene là su.
Or ti riman, lettor, sovra '1 tuo banco, Ma perche '1 tropo dir te stufarla,
Dietro pensando a ciò che si preliba, Pensa, Ietor, sul lo taolin puzà, :i
S'ssser vuoi lieto assai prima che stanco. AI gusto che sio luto te dada.

9 i... i l'Aritte = cnn l'Ariete, dove sono punii noi quali l'Equatore s'incrocia col Zodiaco.
10 l'arie --- cioè l'arlilizio, il magistero.
12 CocAi'o eterno ™ l'occhio di Dio o simbolo della provvidenza conscrvatrice.
15 per ibiego •-- obliquamente, perchè il piano dello Zodiaco taglia traversalmèntc il piano dell'Equatore.
16 £ te la strada no la finte slorlu = Se il giro dei pianeti non fosse obliquo, non si avvicinerebbe or
all'una ora all'altra parte della terra: ed iu tal guisa invece d'influire al tempo stabilito direttamente sopra
ciascuna di esse parti, influirebbe sopra una sola, e perciò molta virtù del cielo sarebbe superflua. È dottrina di Ari-
uotele (Bianchi) = noria = cioè obliqua.
13 {a i,-,-,, funsi morta — per la privazione dogli iuflnssi celesti.
23 puzà == appoggiato-
362 PEL PARADISO
Messo t'ho innanzi : omai per te ti ciba; Quel godi intanto che i ' ho parechiù : 25
Cile a sè ritorce tutta la mia cura Ch'el gran sogcio de sta mia scritura,
Quella materia ond'io son fatto scriba. Voi che là torna, in dove l'ho lassà.
Lo ministro maggior della natura, El pianeto magior de la natura,
Che dal valur del cielo il mondo impronta, Che anuhia el mondo, e '1 so lusor da fora
E col suo lume il tempo ne misura, Col qual el tempo sparte e lo misura, 30
Con quella parte che su si rammenta Insieme a quel che ho menzonà qua sora,
Congiunto, si girava per le spire, Intendo dir l'Ariete, per de là
In che più tosto ognora s'appresenta : L'andava che dà '1 dì più a bonora.
Ed io era con lui ; ma del salire D'esser iu sto pianeto mi za entrà
Non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, M' ho incorto, come chi '1 primo pensier 35
Anzi '1 primo ptmsier, del suo venire. Sol descovre co in mente el gh'è arivi.
Oh Beatrice, quella che si scorge Qual luse mai doveva Bice aver,
Di bene in meglio sì subitamente, Guidandone de ben in megio a Dio
Che l'atto suo per tempo non si sporge, Co un stanzo tal, ch'el tempo in so poder
Quant'esser convenia da sè lucente ! Noi ga ! Giusta una idea l'inzegno mio 40
E quel ch'er'entro al Sol, dov'io entra' mi, Nè l'arte no ve poi nè l'uso dar,
Non per color, ma per lume, parvente, De quel che drento al Sol mi go scovi iu
Perch'io l'ingegno e l'arte e l'uso chiami, Luser più del lusor che poi mandar
Si noi direi, che mai s'immaginasse: Lu istesso : ma credèlo fermamente,
Ma creder puossi, e di veder si brami. E de vederlo in ciel dove sperar. 45
E se le fantasie nostre son basse Se tanto alto no va la nostra mente.
A tanta altezza, non è maraviglia ; Che s'abia da maravegiar no intendo :
Che sovra '1 Sol non fu occhio ch'andasse, Che del Sol più gran luse mai la zente
Tal'era quivi la quarta famiglia No ha visto. Cossi là de Dio lusendo
Dell'alto Padre, che sempre la sazia, Sta la quarta famegia ch'Elo sazia 50
Mostrando come spira, e come figlia. Sempre, sè stesso in uno e tre scorrendo.
E Beatrice cominciò : Ringrazia, E la Bice me dise : Via ringrazia
Ringrazia il Sol degli angeli, ch'a questo El bon Dio, e ringrazialo de cuor,
Sensibil t'ha levato per sua grazia. Che de levarle al Sol l' ha fato grazia.
Cuor di mortai non fu mai sì digesto Mai nissun omo ha ringrazià '1 Signor 53
A divozione, ed a rendersi a Dio, Pien de riconossenza e devozion,
Con tutto '1 suo gradir cotanto presto, Come mi presto, nè con tal calor ;
Com'a quelle parole mi fec'io : Tanto a quel dir intenerio me son,
E sì tutto '1 mio amore in lui si mise, E tanto è sta l'anuir che a Dio ho rendeste,
Che Beatrice ecelissò nell'oblio. Che insin la Bice go lassà in canton. 6°

81 Insieme a quel che ho menzonà qua sora — cioè colla costellazione dell'Ariete accennata al v- 0.
32-33 per de là L'andava ce, = cioè passando dall'Equatore al Tropico.
36 co = quando.
38 de ben in megio = di bene in meglio.
39 Co aa con.
42 De quel che drento al Sol = sono le anime dei beati elie risiedono entro il cielo del Sole = tedi qui
sotto i v. 64, 65 e seg.
50 la quarta famegia = vien detto la quarta famiglia, perchè in questo quarto cielo appariscono qe.dle Mi
me beate di dottori in teologia e filosofia.
51 tè tinto in uno e tre «. = come ii scorge la Sonin Trinità.
57 nè con tal calor — nè collo stesso calore, fervore.
60 oo lassò in canton — hsciai da canto, trascurai.
CANTO x. 363
Non le dispiacque ; ma si se ne rise, Nè ga despiasso ; ma anzi soridesto
Che lo splendor degli occhi suoi ridenti La m' ha cossi, che i mii pensieri atenti
Mia mente unita in più cose divise. Solo in Dio, s'ha in più cosse dividesto.
Io ridi più fuigor vivi e vincenti Go visto luse più del Sol lusenti
Far di noi centro, e di sè far corona, Far d'eie un cerchio intorno a nu più d'una (5
Più dolci in voce, che in vista lucenti. Più dolce in vose, che eie resplendenti.
Così cinger la figlia di Latona Una fassa così Inazzar la Luna
Vedem tal volta, quando l'aere è pregno Se vede, quando l'aria de vapori
Si, che ritegna il fiI che fa la zona. Sgionfa, i colori atorno se ghe suna.
Nella corte del eiel, d'ond" io rivegno. Tanto bele ghe xe zogie dei cuori 70
Si trovau molte gioie care e belle In quel cielo da in dove so tornà,
Tanto, che non si posson trar del regno ; Che a depenzerle qua manca i colori ;
E'1 canto di quei lumi era di quelle: E tra quele el so canto. Quei che là
Chi non s'impenna sì che lassù voli, Con un per d'ale no va su svolando,
Dal muto aspetti quindi le novelle. Poi da un muto aspelar le novità. 75
Poi, sì cantando, quegli ardenti Soli Quei lumi ardenti po ne ga cantando
Sifur girati intorno a noi tre volte, Zirà atorno tre volte, come stele
Come stelle vicine a' fermi poli ; Che atorno ai poli fissi va zirando.
Donne mi parver non da ballo sciolte, Veder m' ha parso in baio done bele,
Ma che s'arrestin tacite, ascoltando Che sta ferme ascoltando senza arfiar 80
Fin che le nuove note hanno ricolle. Sin che le ga sentio note novele.
E dentro all'un sentii cominciar : Quando Drento un de quei cussi senio parlar :
Lo raggio della grazia, onde s'accende Za che la bela grazia ti ga avudo
Verace amore, e che poi cresce amando, Vegnua dal vero amor, che co l'amar
Mulliplicato in te tanto risplende, Va cressendo, e in ti tanto el xe cressudo, 85
Che ti conduce su per quella scala, Che insin là in cima el t'avre quella strada,
i'' senza risalir nessun discende ; Dove su torna chi xe zo vegnudo ;
Qual ti negaste '1 vin della sua fiala Chi negasse de nu far apagada
Per la tua sete, in libertà non fora, La vogia tua, libero noi saria,
Se non com'acqua, ch'ai mar non si cala. Come al mar no va l'aqua impresonada. 90
Tu vuoi saper di quai piante s'infiora Ti voi saver chi in sti lusori sia
Questa ghirlanda, che intorno vagheggia Che festiza la dona per virtù
La bella Donna che al ciel t'avvalora. De la qual ti va '1 ciel zirando via.
Io fui degli agni della santa greggia, La scuola de Domenego ho batù
Che Domenico mena per cammino, Che fa i scolari virtuosi insin 95
L" ben s'impiguti, se non si vaneggia. Che a le mondane frascarie vend ù

61 Nè ga despiatso = nè le merebbe.
67 fassa — fascia, cioè l'alone che circonda la luna quando l'aria è pregna dei vapori.
69 atorno te ghe sana = le si raccolgono intorno.
71 to tornii = sono ritornato.
73 E tra rIuele el so canto — e tra le lante belle gioie di cui il v. 70, si annovera il conio delle luci, ossia dei
Mnti, di cui il v. 64.
74 Con un per d'ale = con un pajo d'ale.
80 senza arfiar = sema fiatare.
89 la vogia tua — il tuo desiderio.
92 la duna = cioè Beatrice.
96 franane 3= inezie, leggerezze, futilila.
564 TiEL PARADISO
Questi, che niè a destra più vicino, No i s'abia. Questo a driia a mi vieni,
Frate e maestro fummi : ed esso Alberto Xc Alberto de Colonia, mio fradelo
È di Cotogna, ed io Thomas d'Aquino. Sta e Mestro : e mi Tomaso son d'Aquin.
Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo, Se po ti voi saver de questo e quelo, 100
Diretro al mio parlar tea vien col viso, A quanto digo tienme ben adrio,
Girando su per lo beato serto. Zirando per sto cerchio cussi belo.
Quell'altro fiammeggiare esce del riso Se gode in st'altra luse che vien drio
Di Graziati, che l'uno e l'altro foro Grazian, che '1 ga savù, da gran dotor,
Aiutò sì, che piacque in Paradiso. Le do legi abinar che ha piasso a Dio. 10J
L'altro, ch'appresso adorna il nostro coro, Quel che fa dopo al nostro cerchio onor,
Quel Pietro fu, che con la poverella Xe '1 Piero, che cofà la povareta,
Offerse a santa Chiesa il suo tesoro. • Quel ch'el gavea a la Chiesa ha dà de cuor.
La quinta luce, ch'è tra noi più bella, Tra nu la quinta luse più perfeta,
Spira di tal amor, che tutto il mondo La vien da tal inamorà, ch'el mondo 110
Laggiù n'ha gola di saper novella. D'aver nova de lu smanioso aspeta.
Entro r'è l'alta mente, u' sì profondo Gh'è drente l'inteleto più profondo;
Saver fu mosso, che, se '1 vero è vero, Che, se xe vero quel che xe sta scrito,
A veder tanto non surse '1 secondo. No ga dà suso mai ci so secondo.
Appresso vedi '1 lume di quel cero, Là vicin el lusor varda pulito 115
Che, giuso in carne, più addentro vide De quelo che sui aiuoli scrivendo
L'angelica natura e '1 ministero. El libro, più dei altri ha visto drito.
Nell'altra piccioletta luce rido Nel lusor picinin se sta godendo
Quell'avvocato de' tempi cristiani, Quel Avocato dei cristiani dì
Del cui latino Agostin si provvide. Che i so scriti Agostin xe andà lezendo. 120
Or se tu l'occhio della mente trani Se a le luse lodae drio man da mi
Di luce in luce, dietro alle mie lode, Ti ha tegnù d'ochio, volontà restada
Già dell'ottava con sete rimani. De rotava saver mi scovro in ti.
Per vedere ogni ben dentro vi gode De Dio la vista gode là nichiada
L'anima santa, che '1 mondo fallace L'anemia santa, che la ga mostrà 125

88 Alberto = Alberto Magno di Colonia famoso maestro di S. Tommuso d'Aquino. il quale qui parla. Al
berto Magno nacque in Lawingen, ma visse lungamente in Colonia e vi morì nel 12S2 — fradelo — frattilo
d'Ordine perchè anch'esso domenicano.
104-105 Grcaian ee, = Graziano nacque in Chiusi, città della Toscana: fu Monaco Benedettino e compii"
una collezione di canoni ecelesiastici che intitolò Decreto, ed aiutò il foro civile e il foro ecelesiastico concitimtlo
le leggi dell'uno con quelh: dell'altro.
107-108 Ae '/ Pierà te. = Pietro Lombardo, il maestro delle sentenze, chiaro pei suoi libri di teologìa;
desso come la poverella dell'evangelio, otrt-i in dono ulla Chiesa l'opera sua, unica cosa elic possedesse. Fa dcilo
I,otni',mio perchè era di Novaru in Laiubardia; fu Vescovo di Parigi e mori nel 1 164. — cotà = come.
109-114 Tra nu la quinta luse ee. = questi è Salomone l'autore della Cantica e della Sapienza == /Vo 53
dò sino mai ci so secondo = non sorse mai il suo secondo.

ralezze del mondo, dalla qual opera molti fatti rilevò S. Agostino per d suo gran lavoro: De civitalc Dei
124-129 De Dio la vista gode là ce. = questa è l'anima di Severino Boezio,, che scrisse il famoso libro P'
eansolatione pluìosophiae — Boezio fu in grande stima per la sna dottrina, e pih volte ebbe l'onore dei cons0"
lalo. Venuto in sospetto di tener pratiche coi Greci per liberar Roma dai Goti, fu dn Teodorico fatto arri-slart
insieme al di lui SHOccro Simmaco; e condotto in Pavia, dopo sci mesi di prigionia nel qual tempo scrisse il
libro De consolatione, fu fatto strangolare il 23 Ottobre del 524 (Bianchi,l = Cieldor = o la Chiesa detta Cido
d'oro in Pavia ove Doezio fu sepolto,
CANTO X. 385
Fa manifesto a chi di lei ben ode. Del mondo i f.iiì a chi l' ha ben scollada.
Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace Lassà '1 corpo a Cieldor martorizà,
Giuso in Cieldauro ; ed essa da martir E ! ..•• ni/ le pene de la tera,
E da esigilo venne a questa pactf. jL'è vrgnuda a l'eterna pase qua.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro Più in là resplender varda la lumiera 130
D'lsidoro, di Beda e di Ricardo, Dc lsidoro, de Beda e de quel gran
Che a considerar fu più che viro. Ricardo, che pia ch'omo al mondo el geva.
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, D'un ,r 'l lusor qua in ultimo de man
E il lume d'uno spirto, che, in pensieri Che a la vita morial quando el pensava,
tiravi, a morir gli parve d'esser tardo. Ga parso el tempo per morir lontan. 135
Essa è la luce eterna di Sigieri, L'anema de Sigevi, che insegnava
Che leggendo nel vico degli strami, Del strame sul stradai logica fina
Sillogizzò invidiosi veri. La xe, e per questa invidia el se tirava.
lndi, come orologio, che ne chiami Dopo, come el relogio de matina,
Nell'ora, che la sposa di Dio surge Quando la Sposa voi la m.tina^a 140
A mattinar lo sposo perche l'ami, Far al so Sposo con canzon divina,
Che Puna parte l'altra tira ed urge, Che una roda da l'altra strassinada,
fin tin sonando con sì dolce nota, El tintina sonando con tal sesto,
Che '1 ben disposto spirto d'amor turge: Che fa l'anema bona inamorada;
Cosi vid'io la gloriosa ruota Cossi '1 coro beato s' ha movesto, 145
Muoversi, e render voce a voce in tempra Acordando le vose dolcemente
Ed in dolcezza, ch'esser non può nota, A un canto cha ha nissun sentir podesto,
Se non colà, dove il gioir s'insempra. Via de chi gode in ciclo eternamente.

131 ltidoro = fu Vescovo ili Sivilia: scrisse un libro De SUHUHO bona e I'Eliinulugie, e meri nel 636 = Betta
= onorato del titolo ili Venerabile, sacerdote inglese, scrisse una Storia ecclesiastica dell'lugUilterra e dei pre
giali commenti su vari libri della Scrittura. Mori nel 735.
132 Ricardo =i Riccanlo ila San Vittore era Scozzese; visse nel Xll secolo o scrisse molte opere teplogiclic.
130 Sigari = fu maestro ili lu-I.M, o come altri dicono ili teologia in l'arigi nella via detta degli Strami
o ilclla Paglia ov'erano le scuole. Dicono clic quella via preso il nome idi fonare clic significa paglia, perche.
non usandosi in quei tempi ne sedie nè panehi nelle scuole, se gradiva sedere, si portava ogni giovane uu fa-'
stelletto di paglia. (Bianchi,).
llo la Sposa = cioè la Chiesa sposa ili Gesù Cristo = malinuda = è il suonare e il cantare agli anionii
in sul mattino davanti alla casa dell'innamorata; idea qui applicata al canto delle l. nuli fatte ul Signore sul
l'ora mattntina.
M3 con tal msto =: con fal garbo, piacevolmente.
DEL PARADlSO

CANTO DECIMOPRlMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Nel puro cerchio dell'alme scintili-! San Tomasj vegnudo più lussate
Segue Tommaso in tua lieta favella, Dopo che col Pocta el ga parlà,
Poiohè rifulsa di nuore favillo. l 'lni. i el ghe sa dir cho questo ha in menti).
La vita di Francesco poverella Po la gloriosa vita e santita
A Dante narra, e iju.il d'ogn 'altra sposa Ghe conta de Francesco e i|a.il ln forte
Pur povertade a lui parve pia bella, Campion gera de quela Poverta,
Cbe sembra ad ooohio uman orribil cosa. Che l'unio scansa qua come la morte.

O insensata cura de' mortali, Quanto magre e lnflapie, o mata zente,


Quanto son difettivi sillogismi Quele pensate xe che ve strassina
Quei, che ti fanno la basso batter l'ali ! Drlo le cosse del mondo el cuor, la mente!
Chi dietro a tura, e chi ad aforismi Chi a la lege tendeva, o a medesina;
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio, Chi a farse prete, chi volea regnar 5
E chi regnar per forza o per sofismi : Co la violenza, o con malizia lina;
E chi 'n rubare, e chi "n civil negozio, Chi gera drio ai afari, chi a robar,
Chi, nel diletto della carne involto, Chi atorno la lusuria se sfogava,
S'affaticava, e chi si dava all'ozio : E chi fando 1 poltroni, i stava a oziar.
Quand'io, da tutte queste cose sciolto, Mentre via de ste cosse me trovava 10
Con Beatrice m'era suso ln clelo Con la mia Bice in ciel tuto contento
Cotanto gloriosamente accolto. Tra quei beati che me festegiava.
Poichè ciascuno fu tornato ne lo Quando tuli quei lumi in t'un momento
Punto del cerchio, in che avanti s'era, Tornai xe al primo sito, i s' ha fermà
Fermassi, come a candelier candela. Come candela al candelier sta drento. li
Ed lo tenti' dentro a quella lumiera, E quela istessa luse, che parlà
Che pria m'avea parlato, sorridendo M'aveva in prima, tuta soridente
lncominciar, facendosi più mera : Fasendose più lustra ha scomenzà:
Cosi com'lo del suo raggio m'accendo, Ardo in Dio d'un amor cossi potente,
.sì, riguardando nella luce eterna, Che ne la luse sua vantando drito, 20
Li tuoi pensieri onde cagioni, apprendo. So el pensier che te zira per la mente.
Tu dubbii, ed hai voler, che si ricerna Ti ha vogia tra i to dubi che pulito
ln sì aperta e sì distesa lingua Co un discorso che staga in proponion
Lo (licer mio, ch'ai tuo sentir si sterna, Del to intender, te spiega dove ho dito:
Ove dinanzi dissi : IT ben s'impingua ; Fa virtuosi, e là dove me son 23
E là, ove dissi : Non surse il secondo : Espresso : No ga dà suso el so secondo;

1 infialsle = languide, snervate.


2 Qurlc panate = quelle cose immaginate, quei pensieri.
16 ilncla istesta liut = cioè San Toniraaso.
23 Co — con - . che staga = che Min.
25 fa virtuaxi = vedi v. 95 del canto preced.
26 Ao ha da auro — vedi v. lli del C. sud.
cAMO xr, 307
E qui è uopo che ben si distingua. E qua bisogna far la distinzioni
La' provvidenza, che governa '1 mondo L'eterna Mente che governa el mondo
Con quel consiglio, nel quale ogni aspetto Con quel saver nel qual saria smario
Creato è vinto, pria che vada al fondo, Ogni nrhiii prima de arivarghe al fondo, 30
Però ch'andasse ver lo suo Diletto Aciò la Sposa del gran Fiol de Dio,
La sposa di Colui ch'ad alte grida Ohe a vose forte e in erose l' ha sposada.
Disposò lei col sangue benedetto, La se tacasse al suo celeste Fio
In sè sicura ed anche a lui più fida, In fedeltà più salda e assicurada,
Duo principi ordinò in suo favore, In tera do campioni el ga mandà 35
Che quinci e quindi le fosser per guida. Aciò i la guida per la bona strada.
l.'.iri fu tutto sera fieo in ardore, Uno del Serafin la carità
L'altro per tapienza in terra fue I." ha aviui, l'altro fornio de saver grando,
Di cherubica luce uno splendore. Splendor del Cherubin el ga mostrà.
Ddl'nn dirò, perocchè d'ambodue Del primo te dirò, perchè parlando 40
Si dice Fun pregiando, qual ch'uom prende, De un d'eli, avendo a vù ristesso fin
Perchè ad un fine fur l'opere sue. Le azion soe, tuti do se vlen lodando.
Intra lupino e l'acqua che discende El fianco d'un gran monte tra Tupin
Del colle eletto dal Beato Ubaldo, Se sporze e '1 montesel de Sant'Ubaldo,
Fertile costa d'alto monte pende, Da in dove cala un fiume picinin; 45
Onde Perugia sente freddo e caldo Da là Perugia sente el fredo e '1 caldo
Da Porta Sole; e diretro le piange Per la Porta del Sol, e a drio de lù
Per greve giogo Nocera con Gualdo. Zeme per opression Xocèra e Gualdo.
Di quella costa là, dov'ella frange Dove quel fianco va da basso in su
Più sua rattezza, nacque al mondo un Sole, Più in dolce, è nato al mondo un Sol lusente,
Come fa questo talvolta di Gange. Quanto questo d'istà splende de più.
Però chi d'esso loco fa parole, Chi voi darghe a sto logo veramente
Non dica Ascesi, che direbbe corto, El so nome, no Assisi, che pocheto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole. El ghe diria, ma ch'el lo chiama Oriente.
Non era ancor molto lontan dall'orto, El gcra ancora molto zoveneto 55
Ch'ei cominciò a far sentir la terra Che scomenzà '1 gaveva là zo in tera
Della sua gran virtude alcun conforto. Far de la so virtù sentir l'efeto.
Che per tal donna giovinetto in guerra Che insin col pare soo l' ha avudo guera

27 Vedi il Canto XIII nel quale è chiarito il secondo dubbio.


30 d'arioarght al fonda = di addentrarsi bene, di penetrare (nella divina scienza;.
31 la Spota -. -. cioè la Chiesa.
37 Uno = cioè San Francesco.
38 faltro - cioè San Domenico.
43-45 El fianco d'un yran monte ce. - - è descritta per circonlocuzione la positura della Città d'Assisi, ove
Mcque S. Francesco - Tupin - r ini fiumicello vicino ad Assisi - un fiume picinin - r il liumirello Chiassi
io quel di Gubbio confmante col In nini-io d'Assisi, la cui acqua discende dal colle ove dimorava il bealo Ubaldo.
47-48 Per la Porta del Sol - la Porta del Sole, è il nome di una delle Porte della Citta di Perugia — e
trio d, iu _ ,.;„.. dietro il fianco del monte. . Nocera e Gualdo, = terre della Marca; erano oppresse dall'a
varo governo di re Roberto.
50 -Più in dolce = cioè meno ripido = un Sol = cioè San Francesco.
51 Quanto guaio = quanto il Sole nel quale si trovava Dante tra' beati.
52-54 C'Ai voi darghe a ilo logo ee. = S. Bonaventura applica a S. Tommaso queste parole dell'Apocalisse:
•"mi un secondo angelo che scendeva dall'Oriente del Sole, ed aveva il segno dell'Iddio vivo.»
58 col pare = col padre. = tuo = suo.
568 DEL PARADISO
Del padre corse, a cui, com'alla morie, Per quela dona, che cofà a la morte
La porta del piacer nessun disserra : La porta sul so viso ognun ghe sera ; 00
E dinanzi alla sua spiriUI corte, E avanti al pare e in Vescovado a Corte,
Et corain patre le si fece unito : A quela ci s' ha tacà cussi, che amada
Poscia di dì in dì l'amò più forte. La ga ogni zorno d'un amor più forte.
Questa, privata del primo marito, Da quando el mario primo l' ha lassada,
Mille e cent'anni e più dispetta e scura Per un mier e cent'ani e più sprezzar 65
l'ino a costui si stette senza invito. La s' ha visto, co lu l' ha rancurada.
Nè valse udir che la trovò sicura Guente ha valso el trovarla chi tremar
Con Amiciate, al suon della sua voce, Ga fato el mondo, come è corsa vose,
Colui ch'a tutto '1 mondo fe paura : Contenta con Amielate a pescar.
Nè valso esser costante nò feroce, Nè ha valso che fedel più tra le spose 70
Sì che dove Maria rimase giuso. Se mostrasse, co, stando zo Maria,
Ella con Cristo salse in su la croce. La montava con Cristo su la erose.
Ma perch'io non proceda troppo chiuso, Ma aciò sta cossa scura no te sia,
Francesco e povertà per questi amanti Xe i morosi Francesco e Povertà,
Prendi oramai nel mio parlar diffuso. Dei quali trata la parola mia. 75
La lor concordta, e i lor lieti sembianti, El so acordo, in quei visi la bontà,
L'amore a maraviglia, e '1 dolce sguardo Le so tenere ochiae, nassor faseva
Faceano esser caglon de'' pensier santi ; In luti ci santo amor de carità.
Tanto chi: "I venerabile Bernardo El gran Bernardo primo se meteva
Si scalzò primo, e dietro e tanta pace A pie scalzi, e corendoghe a lu drio, SO
Corse, e correndo gli parv'esser tardo. De corer Iropo adasio ghe pareva.
Oh ignota ricchezza, oh .ben verace ! Oh piacer sconto, oh vero ben de Dio !
Scalzasi Egidio, e scalzasi Silvestro Silvestro e Egidio ghe tien drio scalzai;
Dietro allo sposo ; sì la sposa piace. Tanto amor per la sposa i ga sentio.
Indi sen va quel padre e quel maestro Quando po a Roma i sposi xe arivai 85
Con la sua donna n con quella famiglia. Con quei che ai fianchi s' ha ligà el cordon,
Che già legava l'umile capestro. A la santa famegia i s' ha ingagiai.
Nè gli gravò viltà di cuor le ciglia, Per esser fio de Piero Bernardon
Per esser fi' di Pietro Bernardone, Noi s' ha da la vergogna lassà lor,
Nè per parer dispetto a maraviglia : >"è par viso aver lu da mascalzon; 80

59 Per iluela dona — cioè la Povertà = co/Vi = come.


61 avanti = qui sta per d'innanzi, in presenza.
64-66 el maria primo = il primo marito, cioè G. Cristo elic vinse congiunta alla povertà derelitta; dacché
rimase priva del suo primo mnrito, fu raccolti da S. Francesco il quale nacque nel 1182, e mori al 4 Otlobre
dei 1226 = co = quando = l'ha rancurada = la raccolsi-.
67-C9 lìmiti? ha valso ee. = fu mlito dire elic fiiulio Cesare, colui elic fece paura a tutto il mondi-, ITO-
vIISSB la povertà starsi sicura, cioè lieta, col pescatore Amielalc, quando egli di notte piccino alla sua porU, e
eliiamollo ad alta voce, afu'neliè nella sua barca lo traghettasse da Durano in Italia.
71 co — quando.
72 La montava con Criito su la erose = perelii- Cristo fu posto sulla croce nudo.
79 Ilernardo = di Quinavalle fu il primo seguace tli S. Francesco.
83 Silvestro e Egidio = altri seguaci di S. Francesco.
S7 -I la tanta (amcrIia = cioè ai primi seguaci della regola di S. Francesco.
.88 Piero Bernardon = Pietro Bernardonc padre di S. Francesco fu d'ignobile origine, e di nspello ns*
spregevole.
89 latta lor = lasciò prendere.
CANTO XT. 569
Mi regalmente tua dura int.-risione Ma con maestà a Inocenzo averto el cuor
Ad Innocenziu aperse, e da lui ebbe E la dura intenzion, da elo ga ava
Primo sigillo a sua religione. La so regola el primissimo favor.
Poi che la gente poverella crebbe Dei povareti el numero cressù
Dietro a costui, la cui mirabil vita Drio quel del qual la vita megio el canto 95
Meglio in gloria del ciel si canterebbe, Lodarave dei anzoli qua su,
Di seconda corona redimita Papa Onorio invasà da l'Amur Santo,
Fu per Onorio dall'eterno Spiro Anca elo la so regola aprovando,
La santa voglia d'esto archimandrita. Ga cresemà la vogia de sto santo.
E poi che, per la sete del marliro, E Cristo dopo aver, frontar bramando 100
Nella presenza del Soldan superba Sempre el martirio, predicà in presenza
Predicò Cristo, e gli altri che '1 seguiro, Del superbo Sultan, e no trovando
Ei, per trovare a conversione acerba Quela zente disposta a penitenza,
Troppo la gente, e per non stare indarno, In Italia coi soi l'è tornà indrìo,
Redissi al frutto dell'italica erba. Per no star là de bando a far semenza. 105
Nel crudo sauo intra Tevere ed Arno Nel monte de l'Alvernia el Fiol de Dio
Da Cristo prese l'ultimo sigillo, Le Stimate ga dà, e le portava
Che le sue membra du'anni portarno. Do ani sul so corpo el santo mio.
Quando a Colui, ch'a tanto ben sortillo, Quando Chi a far sto ben lo destinava,
Piacque di trarlo suso alla mercede, Ga pensà de premiarlo eternamente, 110
Ch'ei meritò nel suo farsi pusillo ; Come l'umiltà soa la meritava;
Ai frati suoi, sì com'a giuste erede, Lassar in redità l' ha avudo in mente
Raccomandò la donna sua più cara, Ai frati soi la dona del so afeto,
E comandò che l'amassero a fede : Con ordine de amarla fedelmente ;
E del suo grembo l'anima preelara E al ciel tornada l'anema dal peto 115
Muover si volle, tornando al suo regno ; Sortida, el ga volesto che a la tera
Ed al suo corpo non volle altra bara. Tornasse el corpo suo senza caileto.
Penta oramai qual fu colui, che degno Pensa ti adesso quala virtù vera
Collega fu a mantener la barca Ga avù quel, che a tegnir la barca dreta
Di Pietro in alto mar per dritto segno. De San Piero, compagno a lu ghe gera. 120
E questi fu il nostro patriarca : Questo è sta '1 nostro capo; e chi perfeta
Per che qual segue lui, com'ei comanda, Vita conduse, come lu comanda,
Discerner puoi che buona mercè carca. Ti capirà qual premio ch'el se aspeta.

'.il Inncenzo = Innocenze III Papi = averto ti cuor = manifestata la sua intenzione.
99 la vogia = il desiderio ardente.
100 frumar = affrontare.
10! Del supcrbo Sidlau = il Soldino d'Egitto.
104 co i 10i = cioè con gli apostoli.
105 Per no star là de bando = per non rimanere là inuiilmente = a far temenza — a propagare la fede.
106 Mei manie de l'Alvernia — posto tra il Tevere e l'Arno vicino a Bibiena nel Casentine.
107 Le Slimate = i segni della passione di G. Cristo.
113 la dona del *n afelo = cioè la poveri.i.
115 dal pelo .- dal grembo della donna del suo affetto.
117 *enza cai/rio = seniu il cataletto, feretro.
119 la barca = cioè la Chiesa.
120-121 compagno m In ghe gera — il compagno di San Francesco in sostegno della Chiesa, era San Do-
cupo dell Ordine al quale appartenne San Tommiso che pirla.
2i
370 DEL PARADISO
Ma il suo peculio di nuova vivanda Ma xe per altro pasto cussi granda
È fatto ghiotto sì, ch'esser non puote, La gola de le piegore, da far 125
Che per diversi salti non si spanda : Che in pradaria diversa le se sbanda.
E quanto le sue pecore rimote, E quanto più dal capo stontanar
E vagabonde più da esso vanno, Le se vede a lorzion, e più de late
Più tornano all'ovil di latte vote. Le se vede al so eoo vode tornar.
Ben son di quelle che temono '1 danno, Tacae ghe ne al Pastor, nè fa da mate ; 130
E stringonsi al pastor ; ma son sì poche, Ma tanto poche, che ocor lana poca
Che le cappe fornisce poco panno. De tonega a vestir ogni bon frate.
Or, se le mie parole non son fioche, Se ga parlà ben schietti la mia boca,
Se la tua audienza è stata attenta, Se ti è sta atento ai miì discorsi chiari,
Se ciò e' ho detto alla mente rlvoche, Se quel che ho dito la to mente imbroca, 133
In parte iìa la tua voglia contenta : Schiario ho un to dubio, e adesso ben t'impari
Perchè vedrai la pianta, onde si scheggia, Come perda la scuola la virtù,
E veder;! i il corregger ch'argomenta : Come vegnir virtuosi fa i scolari,
V ben s'impinyna, se non si vaneyyia. Quando no i s'abia a l'ambizion vendi.

124-126 tln xe per altro patio ee. .—. fuori di metafora; ma il suo gregge, cioè i frali Domenicani, uno
divenuti si ghiotti dei beni e delle vaniti del mondo, che non può non accadere, che deviino dalla regola dt!
Sauto loro fondatore.
129 -al to eoo rodc tornar =-. al loro ovile ritornar vuote.
132 tonega — tonaca, cocolla; la veste di sopra che portano i monaci.
135 imbroca = afferra.
136-138 Schiario ho un to dubio ee. = vedi ciò che fu dello in proposito nel Canto precedente al r. 95,
ed in questo al v. 25.
571

CANTO DECIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Volgnsi intorno alla ruota primiera In un senso contrario atorno zira


Nota ghirlanda che per grata cura Al primo cerchio un novo con premura,
Viva sfavilla entro sì bella sfera. E bela luee in tutti do se amira.
Quivi la vita di Bonaventura Qua la vita el Dotor Bonaventura
Narra di San Domenico qual fosse, De Domenego conta, e quanta guarà
E quella guerra onde con fede pura L'ha fato a la resia con fede pura
Entro agli sterpi eretici percosse. Per t'ito el tempo ch'el xe sta za in tera.

Situilo come l'ultima parola L'ultima so parola aveva apena


La benedetta fiamma per dir tolte, La benedica bampa pronunciada,
A rotar cominciò la santa mola. Ch'el santo cerchio ha scemenzà con lena
Enel suo giro tutta non si volse, Far i ziri ; nè tuta una voltada,
Prima ch'un" altra d'un cerchio la chiuse, L' ha fato, che lo ha un altro circondà, 5
E moto a moto, e canto a canto colse : Col baio istesso e co la eguai cantada :
Canto, che tanto vince nostre Muse, Dal vero amor de Dio canto anemà,
Nostre sirene in quelle dolci tube, Che tanto ai nostri canti va de sora,
Quanto primo splendor quel chV rifuse. Quanto al renesso el primo ragio va.
Come si volgon per tenera nube Come un per d'archi un drento e l'altro fora, 10
Uu'archi paralleli e concolori, Parateli e compagni de color,
Quando Giunone a sua ancella iube Tra nuvola leziera, che svapora,
(.Nascendo di quel d'entro quel di fuori Produsendo el più picolo el magior,
A guisa del parlar di quella vaga, Cofà la ose de quela inamorada
Ch'amor consunse, come Sol vapori), D'amor destruta, come al Sol vapor; 15
E fumo qui la gente esser presaga E al mondo i fa, per convenzion segnada
Per lo patto, che Dio con Noè pose, Tra '1 bon Dio e Noè, certa la zente,
Del mondo, che giammai più non s'allaga; Che la tera mai più sarà negada;
Coti di quelle sempiterne rose Cussi in do cerchi l'aneme contente
Vulgeansi circa noi le duo ghirlande; Le se vedeva intorno a nu a zirar 20

1 io = sua.
I bampa =- rampi, nella quale sta chiusa l'anima di San Tommaso.
3 Ch'tl tanto cerchio = cioè il circolo formato dai dodici beati nominati nel Canto X.
$ va de torà ~- va di sopra, supera.
10 un per d'archi = un paio d'archi, cioè il doppio arcobaleno.
14-15 Cofà la ose ee. = come per riflessione formasi il parlare dell'Eco, raga ninfa, che per amore di IVar-
(no si consunse come i vapori ai raggi del sole — la ote = la voce.
16-18 E al mondo ce. — gli arcobaleni fanno la gente presaga che non sarà più allagato il mondo dal di-
Inno, e_ ciò dietro la promessa che Dio fece a Noè quando gli disse: Farò apparire il mio arco a ricordare il
Pitto di non più mandare il diluvio.
372 DEL PARADISO '
E sì l'estrema all'intima rispose. A mo de do girlande istessamente.
Poichè '1 tripudio e l'altra festa grande Dopo che dal beato festegiar,
Sì del cantare e sì del fiammeggiarsi Sfiamegando de Iuse tra '1 godèr
Luce con luce, gaudiose e blande, Dolcemente col canto e col baiar,
Insieme, a punto ed a voler, quetàrsi, D'acordo i s' ha fermà, come in vedèr 25
Pur come gli occhi, ch'ai piacer che i muove I ochi, che insieme vien verti e serai,
Conviene insieme chiudere e levarsi ; Conforme che i se move a so piacer ;
Del cuor dell'una delle luci nuove Drento un lusor tra quei dopo arivai,
Si mosse voce, che l'ago alla stella Una vose vien fora, e per de là,
Parer mi fece in volgermi al suo dove. Come ago al polo, i ochi go voltai. 30
E cominciò : L'amor, che mi fa bella E la dise: L'amor che m'ha in lumi a,
Mi tragge a ragionar dell'altro duca, Me fa dir de quel altro gran campion
Per cui del mio sì ben ci si favella. Che in lodar lu s'ha '1 mio tanto lodà.
Degno è, che dov'è l'un, l'altro s'induca; Va ben che istessa sia la conelusion,
Sì che, com'elli ad una militar». Perchè sicome insieme i guerizava, So
Così la gloria loro insieme luca. X o giusto sia la gloria in comunion.
L'esercito di Cristo, che sì caro Quel'armada de Cristo, che costava
Costò a riarmar, dietro all'insegna Tanto a armarla da novo, a la so insegna
Si movila tardo, sospeceloso e raro : Incerta,' pegra e scarsa drio ghe andava:
Quando lo imperador, che sempre regna, Quando el Sovran, che in cielo sempre regna, 40
Provvide alla milizia, ch'era in forse, La ga dal gran pericolo salvada
Per sola grazia, e non per esser degna ; Solo per grazia, e no per esser degna ;
E, com'è detto, a sua sposa soccorse Coi do capi la Sposa el ga agiutada,
Con duo campioni, al cui fare, al cui dire Com'è sta dito, e ai fati e al dir de quel,
Lo popol disviato si raccorse. La zente po coreta s' ha mostrada. 45
In quella parte, ove surge ad aprire Là dove in primavera i ventesci,
Zefflro dolce le novelle fronde, I fruti, l'erba e i fiori fa spontar.
Di che si vede Europa rivestire, Che se vede in Europa cossi bei;
Non molto lungi al percuoter dell'onde, Vicin al lio, che l'onde va a bagnar,
Dietro alle quali, per la lunga foga, E' I Sol d'istà drio quele par ch'el mora, 50
Lo Sol talvolta ad ogni inan si nasconde, Scondendose al tramonto soto el mar.
Siede la fortunata Callaroga, Ghe xe la fortunada Calahora,
Sotto la protezion del grande scudo, Proteta dal gran re che ga un lion
In che soggiace il leone e soggioga. Nel scudo segnà soto, e un altro sora.
Dentro vi nacque l'amoroso drudo Nato là de la Fede è '1 gran campion S5

21 A mo =.. a modo: in forma = do = due.


23 tfiamegando = sfolgorando.
26 reni e ierai — aperti e chiosi.
32 de quel altro gran campion = cioè di S. Domenico.
33 l'Im 'I mio tanto loda --- cioè S. Francesco allo cui regola appartenne Bonaventura che qui parla.
37-3S Quel'armada de Crino ee. - nlinde al sangue sparso da G. Cristo per riarmare la Cristianii! conto
il demonio.
43 la Sposa — cioè la Chiesa.
43 i ventesci = i venticelli.
49-51 Vicin al Un = al lido = le onde ee. =• cioè le onde dell'oceano attantico, che è dirimpetto alle regioni oc-
'-Uniiali della Spagna, dietro il quale facendo il Sole nell'equinozio cstiro la sua corsa più lunga va a tramonurt
(•Bianchi).
52 la fortunada Calahora = Calahora città di Spagna sotto la protezione del gran re di Castiglia. Dicei
fortunata perchè in essa nacque S. Domenico.
CANTO XII. 373
Della l'ede cristiana, il santo atleta, Sta ai nemici de questa de spavento,
Benigno a' suoi, ed a' nemici crudo. Ma per i amici sol un bon paston.
E come fu creata, fu replela El gera santo insina nel sen drento
L'anima sua di a viva viriate, De so mare, la qual in grazia d'elo
Che nella madre lei fece profeta. De far la profetessa ha avù '1 talento. 60
Poichè le tponzalizie fur compiute Co '1 batizo i ga dà, ch'el palo belo
Al sacro fonte intra lui e la fede, Fa tra l'omo e la Fede, e i se obligava
I" si dotar di mutua salute, Lu a difenderla, e eia a darghe el cielo ;
La donna, che per lui l'assenso diede, La santola, che in elo la /univa,
Vide nel sonno il mirabile frutto, Da lu e dai altri dopo lu un gran fato 65
Ch'uscir dovea di lui e delle rede. Che doveva sortir la se insognava.
E perchè fosse, quale era, in costrutto, Aciò sonasse quel ch'el gera in fato,
Quinci si mosse spirito a nomarlo Xe un anzolo vegnù per nominarlo
Dal possessivo, di cui era tutto. Col nome del Signor drio al qual s' ha trato.
Domenico fu detto. Ed io ne parlo Domenego i e '1 nome; e de lu parlo 70
Sì come dell'agricola, che Cristo Come de l'ortolan chiamà da Cristo,
Elesse all'orto suo, per aiutarlo. Perchè nel'orto suo vogia agiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo ; L' ha parso el vero ambassador de Cristo,
Che '1 primo amor, che in lui fu manifesto, Che '1 primo trato del so amor voltà
Fu al primo consiglio che die Cristo. L'è sta al primo consegio che ha dà Cristo. 75
Spesse fiate fu tacito e desto La nena spesso Io vedea butà
Trovato in terra dalla sua nutrice, Vegiar tranquilo in tera, come a dir :
Come dicesse : Io >on venuto a questo. Son vegnù al mondo per la povertà.
O padre suo veramente Felice ! Ben Felice so pare è da tegnir,
O madre sua veramente Giovanna, Quanto so mare xe da bon Giovana, 80
Se interpretata vai come si dice ! Se vai sto nome com'el fa capir !
Non per lo mondo, per cui mo s'affanna No per el lucro, per el qual se afana
Diretro ad Ostiense ed a Taddeo, L'omo, ma '1 ga la lege per amor
Ma per amor della verace manna, Del Vangelo studià divina e umana ;
In picciol tempo gran dottor si feo ; E deventà assae presto un gran dotor, 85
Tal che si mise a circuir la vigna, La vigna a laorar el se ga messo,

57 un ion ìmsimi = buono, arrendevole.


60 De far la profilata « — la madre di S. Domenico sognò di partorire un cane bianco e nero con una
fiaccola accesa in bocca, simbolo dell'abito dell'ordine e dell'ardente zelo del Santo.
61 Co = quando.
64-66 La tantola = la matrìna sognò che S. Domenico avesse una stella nella fronte e una nella nucn,
onde rimaneva illuminato l'Oriente e Accidente = e dai altri dopo lu = cioè dai frati Domenicani suoi suc
cessori.
67 Ai-in «matte — acciocchè suonasse nel suo appellativo il nome di santo.
70 Hi imearii a = Domenico da Dominai, che è nome possessivo che si deriva da questo nome; Dominion,
uomo del Signore.
72 riujin = voglia.
74-75 Che 'I primo Iralo ee. — il primo effetto che in S. Domenico si fece manifesto, fu volto al primo
consiglio, che Cristo diede, quando disse: Se vuoi esser perfetto, va, vendi quanto hai e dòllo ai poveri. K S.
Domenico nei suoi primi anin, che era u studio, vendè in una carestia i libri, e quanto «èva diede ai poverelli.
79 llm felice = Felice era il nome del padre di S. Domenico.
80 da bon Giovana .- Giovanna era il nome della madre; e poichè Giovanna in ebraico vale graziosa o
npportatrice di grazie, perciò vien detta: veramente Giovanna = da bon = veramente.
86 La vigna -- cioè lu Chiesa.
374 DEL PÀRiD.ISO
Che tosto imbianca, se '1 vignaio è reo. Che presto arsisse s'el vilan no ha cuor.
Ed alla sedia, che fu già benigna E a quel Trono, l'amor del qual reflesso
Più a' poveri giusti, non per lei, Xe sta su i boni poveri fradei,
Ma per colui che siede e che traligna, Nè i xe da lu abandonadi adesso, 90
Non dispensare o due o tre per sei, Ma dal mal sentà là ; no i doni bei,
Non la fortuna di primo vacante, No '1 primo posto vodo ha domandà,
Non decimai, qua sunt pauperum Dei, Non decimai, qua sunt pauperum Dei;
Addimandò; ma contra'l mondo errante Ma la licenza contro el mondo orbà,
Licenzia di combatter per lo seme, Quela semenza per difender ben, > 95
Del qual ti fasciali ventiquattro piante. Che ga fruii sti vintiquatro qua.
Poi, con dottrina e con volere insieme, Po de sapienza e bona vogia pien,
Con l'ufficio apostolico si mosse, Col breveto papal el se ga mosso
Quasi torrente ch'alia vena preme : Come torente che da l'alto vien ;
E negli sterpi eretici percosse E la resia batendo a più no posso 100
L'impeto suo più vivamente quivi, In dove el duro el ga trovà de più,
Dove le resistenze eran più grosse. Più co l'impito suo ghe dava adosso.
Di lui si ft'cer poi diversi rivi, Rieli diversi s' ha formà drio lu,
Onde l'orto cattolico s'irriga, Che l'orto dei Cristiani inumidio,
Si che i suoi arbuscelli stan più vivi. Fato ha '1 vivèr più vivo vegnir su. 10"
Se tal fu l'una ruota della biga, Se xe sta tal un sol campion de Dio,
In che la santa Chiesa si difese, Che in difender la Chiesa ha fato andar
E vinse in campo la sua civil briga ; In civil guera i so nemici indrio;
Ben ti dovrebbe assai esser palese Quanto fusse el valor, ti poi pensar,
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma De quel che, avanti sia mi qua arivà, HO
Dinanzi al mio venir fu sì cortese. 'l'omaso ga savù Unto lodar.
Ma l'orbita, che fe la parte somma Ma de Francesco adesso più no va
Di sua circonferenza, è derelitta; La famegia in quel modo ch'el l' ha inviada,
Sì ch'è la multa dov'era la gromma. Che in dove gera el ben, s' ha '1 mal piantà.
La sua famiglia, che si mosse dritta Eia in principio drila gera andada 11."
Co' piedi alle su' orme, è tanto vòlta, Drio lu, e la va storta adesso tanto,
Che quel dinanzi a quel diretro gitta: Che al roverso la tien i pie voltai.
Ma tosto s'avvedrà dalla ricolta Ma dal racolto vederi ben quanto
Della mala cultura, quando'l loglio La ga mal laòrà, e solo alora
Si lagnerà che l'arca gli sia tolta. La sospirerà el perso logo santo. 1-'-'
lii-n dico, chi cercasse a foglio a foglio Xe vero che tra i frati dada fora,
Nostro volume, ancor troveria carta, Dopo aver tanto furegà, qualcun

87 no ha cuor = non ha amore, non ba a cuore.


88 £ o iiuri irono =- cioè In sedia Pontificia.
89 fradei = fratelli in Cristo.
01 Ma dal mal tentà là = cioè dal Papa non degno di sedervi.
93 Non decimai ee. = non le decime che sono dei poverelli.
96 tli vintiiIuatro qua = cioè i ventiquattro spiriti beali delle due corone.
97 Po — poi, poscia.
105 viver = scmenzajo: luogo ore si seminano e nascono le pianticelle che voglionsi trapuntare. È qui «
connato per metafora.
108 In civil guera = U guerra mossa alla Chiesa dai suoi figli perversi.
122 funyò => frugato.
CANTO xii. 375
U' leggerebbe: 1' mi son quel ch'io soglio ; Che a la regola sua tacà xe ancora;
Ma non fin da Casai, nè d'Acquasparta, Ma da Aquasparta e da Casai nissun;
Là onde vegnon lali alla scrittura, Che d'eli, chi la strenze a strangolon, 125
Ch'uno la fogge, ed altro la coarta. E chi la mola massa più de un.
Io sun la vita di Bonaventura Bonaventura in anema mi son
Da Bagnoreggio, che ne' grandi ufici Da Bagnorea, e a posponer go pensà
Sempre posposi la sinistra cura. I interessi del mondo a religion.
Illuminato ed Agostin son quici, Ruminato co Agostin xe qua, 130
Che fur de' primi scalzi poverelli, Povari ncalzi, che de Dio l'imior
Che nel capestro a Dio si fèro amici. Tra i primi col oordon s' ha guadagnà.
Ugo da Sanvitture è qui con elli, Con questi Ugo xe qua da Sanvitor,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano, E Piero Mangiador, e Piero Ispan,
Lo qual giù luce in dodici libelli: Che coi dodesi libri al mondo onor 135
.Natan Profeta, e '1 metropolitano S' ha fato ; Anselmo, el profeta Natan,
Crisostomo ed Anselmo, e quel Donato, Grisostomo, Donato, che laorar
Ch'alia prim'arte degnò por la mano. Sul Linien s' ha degnà. Ghe xe Raban ;
R&baoo i quivi : e lucemi dallato Gioachin abate Calabrese star
il calavrese abate Giovacchino Ti vedi arente a mi, ch'el ga avù '1 don 140
Di spirito profetico dotato. De poder, ispirà, profetizar.
Ad inneggiar cotanto paladino A lodar anda mi tanto campion,
Mi mosse la infiammata cortesia
i
D'amor la bampa al ponto me ga messo
Di fra Tommaso, e '1 discreto latino; De fra Tomaso e quel so bel sermon,
E mosse meco questa compagnia. Coi undese che go menzonà adesso. 145

123 (oca — attaccalo.


124-126 Aquatparia e Coiai = sono due località. Malico Acquasparta fu eletto duodecimo Generale dell'Or-
dioe Francescano nel 1287, e nel seguente anno fu da Nicolo IV fatto Cardinale. Costui per troppa condiscen
denza si diportò assai rilassatamene nella regola. Frate Urbino di Casale nel Capitolo del suo ordine tenuto a
Genova nel 1310, si fece capo dei rigoristi, che si dissero spirituali, e die luogo ad una specie di scisma.
= la itrenze a strangolon — la stringe tanto (la regola; da strozzarla.
127 Bonaventura — da Bognorca nel territorio di Orvieto, teologo e filosofo insigne; fu Cardinale e Dot
tore di Santa Chiesa e Ministro Generale dell'ordine minoritico per anni 18.
130 lluminato co Agostin = Illuminato, Agostino, due dei primi seguaci di S. Francesco ==«,.= con.
133 Ugo = da Sanvittore, fu illustre teologo e canonico regolare dell'Ordine di Sant'Agostino. Visse nel
secolo XII. .
134 Piero Mangiador — Pietro Mangiadore detto Comestore, perchè era un pappone di libri: fu autore di
una storia ecelesiastica = Piero Itpan .— Pietro Ispano filosofo rinomato per dodici libri di logica che scrisse.
136 Antelmo — fu Arcivescovo di Cantorberi in Inghilterra; nacque in Aosta, e fu gran teologo. Mori nel
1109 = Natan = il profeta che magnanimamente rimproverò il re Davide del suo fallo.
137-138 Gritoilomo = San Giovanni Grisostomo, fu Arcivescovo di Costantinopoli, nato in Antioeliia circa
l'anno 347, e famoso per la sua aurea eloquenza, ond'ebbe il cognome di Grisostomo. Donato = si abbassò a dar
opera alla prima parte della grammatica, scrivendo un trattato elementare, ossia Limen per i fanciulli. -- Ru-
6m = Rubano Mauro, rinomato scrittore del secolo IX. Fece tra l'altre cose, molti commenti alla Sacra Scrit
tura.
139 Gioachin — Gioachino Calabrese, Abate dell'Ordine Cisterciense; fu di molto sapere ed ebbe fama di
profeta. Visse nel Secolo XII.
142 tanto campion = San Domenico.
143 D'amor (a bampa — la fiamma d'amore — n/ ponto ine ga muso = mi mise all'impegno, mi diede
I impulso.
370 DEL P&IUDISO

CANTO DECIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Spiega Tommaso che B'OÌ disse prima, Spiega Tomato, che disondo sora
Che il quinto spirto non ebbe secondo, Che no ga Salomon el so seconda,
Altrui colai sentenza non ndima. Cristo e Adamo se ga da lassar fora.
Indi ammaestra, che nel cupo fondo Dopo T insegna che nel scuro fondo
D'incerti dubhj a giudicar sia lento D'incerti dubi, adasto In giudicar
Uom, fin che vive giù nel cieco mondo, O» d'andar l'omo Insin ch'el vivo al mondo,
In cui s'inganna umano accorgimento. Se dei grauzi noi voi elo chiapar.

Immagini, chi bene intender cupe Chi quel, che ho visto, Intender voi pulito,
Quel, ch'io or vidi (e ritegna l'image, De ben stamparsi- in mente elo procura
Mentre ch'io dico, come ferma rupe), Sto paragon che qua ghe lasso scrito:
Quindici stelle, che in diverse plage Le quindese gran stole el se figura,
l.o cielo avvivan di tanto sereno, Che in più bande de luse el elei fa belo
Che soverchia dell'aere ogni compage : . Tanto, da vincer el vapor che impura
Immagini quel Carro, a cui lo seno Fa l'aria ; el pensa al Caro, che del cielo
Basta del nostro cielo e notte e giorno, Nostro fa el ziro tra la note e M zorno,
Sì ch'ai volger del tèmo non vien meno : E'1 voltar del liinon se vede in quelo;
Immngini la bocca di quel corno, Se figura la buca de quel corno,
Che si comincia in punta dello stelo, Che ha la ponta su l'asso de sto mondo,
A cui la prima ruota va d'intorno, Al qual el primo cielo zira intorno;
Aver fatto di sè duo segni in cielo ; E de eie fa/va in ciel do segni in tondo,
On.d fece la figliuola di Minói Come quelo d'Ariana co la è morta;
Allora che sentì di morte il gielo ; E anca el se meta del cervulo in fondo, 15
E i'un nell'altro aver li raggi suoi Che un d'eli a l'altro la so luse porta,
Ed ambudno girarsi per maniera, E luti do i se zira in tal maniera,
Chc l'uno andasse al prima e l'altro ai poi: Che uno a zanca e uno a drita se trasporta;
Ed avrà quasi l'ombra della vera E solo squasi in ombra lu la vera

1 pulito = bene.
4 Le quindese gran stele te. ••-- quindici delle stelle più risplendenti e di prima grandezza.
7-0 .!/ Caro te. = al curro di Boote, cioè le sette stelle dell'Orsa maggiore, al qual carro basta fioriio <
nnite per fare il suo giro, lo spazio del nostro cielo, tanto che al voltar del timone non si nasconde ai noslri
occhi. Questa costellazione è sempre visibile. (Bianchi).
10-12 la baca de quel corno — cioè le due ultime stelle dell'Orsa minore, che ha la forma di un como, il
cui cominciamento sia presso la punta dell'asse della terra intorno al quale ni aggira il primo mobile, cioè il
nono cielo.
13-14 E de eie pizza in ciel do tcgni et. = di tutte le accennate ventiquattro stelle, cioè le quindici mì(-
pìari, le sette dell'Orsa maggiore, e le due dell'Orsa minore, si formmo nella immaginazione due segai celefji
o costellazioni, ciascuna di dodici stelle disposte a cerchio, simili a quelle che fece Arianna quando mori, cioè si
mili a la ghirlanda, di che Arianna, figlia di Miuus, ormi vasi il capo, quando fu da Bacco convertiti! in una c*lri-
luzione.
16 Chc un d'eli a l'altro la to lase porta = cioi che i detti duo segni fatti a guisa di ghirlanda, si (*
munichino a vicenda i loro splendidi raggi.
18 i hr uno a zanca e uno a (trita te trasporta ---- cioe girino in senso inverso.
CANTO xiii. 377
Costellazione, e della doppia danza, Costelazion e i bali el gavarà 20
Che circulava il punto dov'io era: Dove mi centro al dopio cerchio gera:
Poi ch'è tanto di là da nostra usanza, Digo in ombra, perchè de sora va
Quanto di là dal muover della Chiana, Tanto ai nostri usi, quanto de la Chiana
Si muove '1 ciel, che tutti gli altri avanza. Più core el ciel, che sora i altri sta.
Lì ti cantò non Bacco, non Peana, No s' ha cantà là Baco, ni Peana, 25
Ma tre persone in divina natura, Ma Dio in tre persone se cantava,
Ed in una persona essa e l'umana. E in una sola la Divina e umana.
Compie '1 cantare e '1 volger ma misura, Co a tempo el baio e '1 canto terminava,
Ed attesersi a noi quei santi lumi, Passando a un altra cossa, quei beati
Felicitando sè di cura in cura. Da nu sempre gagiosi i se voltava. 30
Ruppe '1 silenzio ne' concordi numi Dei lusori, che fa d'acordo i ati,
Poscia la luce, in che mirabil vita Roto ha '1 silenzio quel che m' ha schiaria
Del poverel di Dio narrata fumi ; Del povareto i portentosi fati;
E dì,-,' : Quando l'una paglia è trita, E '1 dise : Za che ti ga ben capio
Quando la sua semenza è già riposta,' Quanto sul primo dubio ho dismostrà, 35
A. batter l'altra dolce amor m'invita. L'altro te schiaro per l'amor in Dio.
Tu credi che nel petto, onde la costa Ti credi che nel peto, dov'el ga
Si trasse per formar la bella guancia, Tolta la costa Dio per formar Eva,
II cui palato a tutto '1 mondo costa; La gola de la qual tanto ha costà ;
Ed in quel che, forato dalla lancia, E in Quel elic in erose, su la qual zemeva -40
E poscia e prima tanto satisfece, Morindo, a la giustizia del Signor
Che d'ogni colpa vinse la bilancia ; Novi e vochi pecai pagà '1 gaveva,
Quantunque alla natura umana lece El saver luto quanto che poi tur
Aver di lume, tutto fosse infuso La natura de l'omo, sia sta messo
Da quel valor, che l'uno e l'altro fece : Da Chi xe sta del mondo el creator. 45
E però ammiri ciò ch'io dissi suso, Te go visto perciò restar de cesso
Quando narrai, che non ebbe secondo Quando t'ho dito: no ha da su el secondo
Lo ben, che nella quinta luce è chiuso. A chi nel lusor quinto splende adesso.
Ora apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo; Sta atento, e varda in quel che te respondo
E vedrai lo tuo credere e '1 mio dire Vegnir dal creder tuo e dal mio dir 50
Nel vero farsi, come centro in tondo. Do verità, come sta'l centro al tondo.

20-21 Coilelazion i i bali te. — cioè la costellazione dei 24 beati e il doppio ballo formato dai due cerchi.
22-23 de tara va Tanto ai noitri uti --. è tanto superiore a quello che siamo usi di vedere sulla terra
•= 'a Chiana = fiume in quel d'Arezzo in Toscana, che per avere poca pendenza muovesi lento.
24 rl del, che torà de tuli ila = il cielo più alto degli altri e di tutti il più celcre nel luo moto, cioè il
primo mobile.
-'-"i No t'ha cantà là Baco nè Peana — soleva*i cantare dagli antichi l'inno di Bacco: lo Bacche, e l'inno di
Apolline: lo rcan.
30 gagiori — lieti.
32 'IMI che m'ha tchiario = cioè S. Tommaso.
33 Del povareto = cioè di S. Francesco.
35-36 II primo dubbio dimostrato è il detto Fa i scolari virtuosi; e l'altro da dimostrarsi è: HO ga da iuta
«io inondo.
37 nel pelo --- di Adamo.
40 E in Quel = cioè nel petto di C. Cristo.
43 Po/ /or = pu5 ricevere.
48 Te go vitto perciò renar de xeno = modo di dire riferito a chi rimane come di gesso o petrifìcalo per lo
"Opore.
47-48 no I,,, rhì m el «conrfo = vedi C. X. v. 114. = Mi nel lutar quinto = cioè il sapiente Salomone.
378 DEL PARADISO

Ciò che non muore, e ciò che può morire, Quel che no mm, e quel che poi morir,
Non è se non splendor di quella idea, Altro noi ic ch'el ragio de la luse
Che partorisce, amando, il nostro Sire : Che Dio fa per so amor da Lu sortir :
Chi quella viva luce, che sì mea Perchè '1 Splendor eterno, che produse 55
Dal suo lucente, che non si disuna Quelo del Verbo e quel del Santo Amor,
Da lui, nè dall'amor che in lor s'intrea, E in uno solo tuli tre traluse,
Per sua bontate il suo raggiare aduna, ' El ragio suo in grazia del so amor
Quasi specchiato, in nove sussistenze, Ai nove cieli, come spechio invia,
Eternalmente rimanendosi una. Restando sempre un sol nel so splendor. 60
Quindi discende all'ultime potenze Po dai esseri el cala sote via,
Giù d'atto in atto, tanto divenendo, E lassandoghe in queli i so colori,
Che più non fa che brevi contingenze : De forza el scema scannando via.
E queste contingenze essere intendo Xe tuli quanti sti esseri minori
Le cose generate, che produce, Con o senza semenza generai 65
Coin seme e senza seme, il ciel movendo. Conforme i cieli sa influir su lori.
La cera di costoro, e chi la duce, I stessi efeti sempre no ga dai
Non sta d'un modo: e però sotto '1 segno La pasta e chi la fa : perciò i se mostra
Ideale poi più o men traluce: Più o manco da quel ragio inluminai :
Ond'egli avvien ch'un medesimo legno, Cossi una pianta d'egual specie mostra 70
Secondo spezie, meglio e peggio frutta \ Come megio de l'altra i fruti meta ;
E voi nascete con diverso ingegno. E ha vario inzegno la natura vostra.
Se fosse appunto la cera dedutta, Se sta pasta la fusse schieta schieta,
E fosse il cielo in sua virtù suprema, E del ciel l'influenza a tuta lena,
La luce del suggel parrebbe tutta : Ogni creatura la saria perfeta. 75
Ma la natura la dà sempre scema, Ma no poi la natura virtù piena
Similemente operando all'artista, Darghe a la pasta, come che al senior
Cha l'abito dell'arte e man che trema. Ghe trema* de le volte in man la pena.
Però se '1 caldo amor la chiara vista Se Dio per altro, nel so caldo amor,
Della prima virtù dispone e segna, De la prima so luse l' ha segnada, 80
Tutta la perfezion quivi s'acquista. D'esser quela perfeta ga '1 favor,
Così fu fatta già la terra degna Cussi creando Adamo, Dio ga dada
Di tutta l'animai perfezione : A quelo la vital sua perfezion,
Cosi fu fatta la Vergine pregna. E incinta Maria Vergine xe stada.
Sì ch'io commendo tua opinione ; Quando ti meli fora la opinion "
Che l'umana natura mai non fue, Che ha avù nissuno la natura istessa
Nè fia qual fu in quelle duo persone. De Cristo e Adamo, el lo pensier xe bon ;
Or (s'io non procedessi avanti piue), Se adesso al mio sennon tirasse tressa,
Dunque come costui fu senza pare ? Donca, te sento dir, come no aveva

5! Quel elie no mar = ogni creatura incorruttibile = e 1Iuel che poi morir = = ogni creatura corruttibile
55-56 el Splender eterno — di Dio, da cui procede il Divin Verbo e il Santo Spirito.
68 La pana e ehi la fa = cioè la materia onde si compongono le cose generate, e la roano che In
ma, ossia la rirtù effettrice.
73 schietti tehiela = depurata da materie eterogenee.
80 De la prima Iute -- cioè per opera diretta di Dio.
84 C incmto Maria Vergine xe stada = per opera immediata di Dio.
88 tirane Iresia — dessi compimento.
CANTO XIH. 379
Comineierebber le parole tue. Questo el so eguai ? Ma aciò te resta impressa
Ma, perchè paia ben quel che non pare , Ben la rason ch'entrar no te podera,
Pensa chi era, e la cagion che '1 mosse, Pensa chi '1 gera e a quelo ch'el ga dito
Quando fu dello : Chiedi, a dimandare. Quando: Domanda, a lu Dio ghe diseva.
Non bo parlalo a che tu non posse Da sti argomenti ti poi veder di ito
Ben veder ch'ei fu re, che chiese senno, Che la sapienza ha domandà, lu Re, 95
Acciocchè re sufficiente fosse: Per governar i popoli pulito;
Non per saper lo numero, in che enno No per mover sti cieli in quanti i xe,
Li motor di quassù ; o se necesse Nè se dal dubio e verità podesse
Con contingente mai necesse fenno ; St' ultima saltar fora che cerche.
Non si est dare primum motum esse ; No si est dare primum motum esse; 100
O se del meno cerchio far si puote O in mezo cerchio un triangolo senza
Triangol, sì ch'un retto non avesse. L'angolo reto nissun far savesse.
Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, Zonta questo a la prima mia sentenza,
Regal prudenza è quel veder impari, E che d'un Re el saver no gh'è l'egual,
In che lo strai di mia "ntcnzion percuote : Ti capirà anca ti, de la prudenza. 105
8 te al Surse drizzi gli occhi chiari, Se ti vardi al da su col canochial,
Vedrai aver solamente rispetto Ti scovri che ai Re solo el gh'è adatà
Ai regi, che son molti, e i buon son rari. Che i xe tanti, ma i più governa mal.
Con questa distinzion prendi "1 mio detto: Capia sta distinzion, ti vederà
E così puote star con quel che credi Che la poi acordarse al to pensar 110
Del primo padre e del Nostro Diletto. Su Adamo e Cristo nostra zogia qua.
E questo ti fia sempre piombo a piedi, Da questo impara ti con tìaca andar,
Per farti muover lento, com'uom lasso, Che in quel che no ti sa, no ti par bon
Ed al sì ed al no, che tu non vedi: Dir sì e no senza avanti ben vardar;
Che quegli è tra gli stolti bene abbasso, Perchè chi senza far la distinzion 115
Che senza distinzione afferma o niega, Conferma o nega, in questo e in st'altro caso
Così nell'un come nell'un altro passo. Se mostra tra i zuconi el più zucon.
Perch'egli incontra, che più volte piega L'orba passion per quel che persuaso
L'opinìon corrente in falsa parte ; Lo ga in gran furia, zavariar lo fa,
E poi l'affetto l'intelletto lega. Perciò spesso nel falso el peta el naso. 120
Vie più che indarno da riva si parte, Chi cerca el vero e in dov'el sia noi sa,

IO riuexl'i — i-ini- Salomone.


M-93 Penso chi 'I ycra te. -— era Salandone il quale alla domanda fattagli da Dio: Chiedi ciò chc vuoi: ri
spose: Amore a regnare con giustizia.
97 JVo per mover ili cieli in guanti i xe = alludesi agli angeli motori delle sfere celesti.
100 JVo ni tst dare te. — Non se conviene ammettere che esista un moto primo, che non sia l'effetto di un
'Uro molo.
101-102 O IH mezo cerchio te. » Tatti i triangoli inscritti nel semicerchio aventi per base il diametro, hanno
necessariamente relto l'angolo opposto ad esso diametro.
103 /nma » aggiungi — a la prima mia tenttnza = Vedi la Nota al Canto X v. 114 circa al JVo ga dò
mio noi ti to secondo, la quale espressione è riferita solo ai Re, non agli uomini.
111 zogia — gioiello.
112 con fiuea andar = procedere a rilento fuei giudizii).
113 no ti par bon — non fai bella mostra.
117 zncuui = stolti.
119 zavariar — vacillare colla mente.
1*0 et pela ti naso = da di naso.
380 DEL PARADISO
Perchè non torna tal qual ei si muove, El so viayo farà più che per gnente,
('.hi pesca per lo vero, e non ha l'arte : Perchè indrio co un maron lu tornerà:
E di ciò sono al mondo aperte pruove De questo ne fa prova tra la zente
Parmenide, Melisse, e Brisso e molli, Parmenide, Melisse, Brisso.e quanti 125
I quali andavan, nè saperan dovè. Come eli andava a torzio co la mente.
SI fe Sabellio ed Avi-io e quegli stolti, Cossi ha fato Sabelio, Ario e altri tanti
Che furon come spade alle Scritture Retici, che strupiando la Scritura,
In render tòrti li diritti rolti. I ga falsificà quei libri santi.
Non sien le genti ancor troppo sicure Che la zente no sia tropo sicura 130
A giudicar, sì come quei che stima In giudicar, come faria chi stima
Le biade in campo pria che sien mature. La biara in campo avanti sia maura:
Ch'io ho reduto tulio 'l rerno prima Che a luto inverno mi go risto in prima
II prun mostrarsi rigido e feroce, Dal rustego spiner cressudo a stento,
Poscia portar la rosa in su la cima: Spontar dopo la rosa su la cima: 13"i
E legno ridi giù dritto e veloce E veder go podesto el bastimento
Corner lo mar per tutto suo cammino Far iti ito e lesto la so corsa in mar,
Perire alfme all'entrar della foce. Po fondarse a l'entrar nel porto drento.
Non creda monna Berta e ser Martino, No creda i gonzi in rèder un robar,
Per vederi! un furare, altro offerère, L'altro donar, che sia per quei l'eterno 140
Vedergli dentro al consiglio divino : Giudizio in relazion ; che quel salvar
Che quel può surgere, e quel può cadere. Se poi, e poi piombar questo a l'inferno.

123 co un nmnai = con un marrone, cioè coll'errore.


125 Parmenide = filosofo d'Elea, scolare a Senofane e maestro a Zenone. — Mettilo = filosofo di San»;
egli dicea: Tutte le cose venire da una, e In una redire = firmo = un altro filosofo greco: cercava la qua
dratura del circolo: i loro errori furono confutati da Aristotele.
196 e/i andava a torzio co la mente = essi vaneggiavano.
127 Saòello - -- eresiarca del III secolo, che negava in Dio la Trinità delle persone; fu condannalo in nn
Concilio d'Alessainiriu nel .idi. = Ario - altro eresiarca; negava la consustanzialità del VerbOj e fu condannalo
dal Concilio di Nicca nel 325.
128 ttrnpiando = storpiando, adoperato nel senso di svisando, alterando, castrando la Sacri Scrittura per
renderla favorevole ai loro errori-
581

CANTO DECIMOQUARTO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Olle il Pocta che la chiara luce, Da s. il,. ni" 1 1 ga Dante ben capio.
rh'm circonda gli spirti beati, Ch'el lusor dei Beati sempre belo
Tal sara sempre avanti al sommo Duce. Come adesso el sara davanti a Dio.
Poi Beatrice e Dante son trastati Po con Bice va Dante al quinto Cielo,
Al quinto Ciclo, in cui divino segno Dove lumi tra lori forma el segno
Forman di Croce raggi costellati, De la CroGe e su e zo i va per quelo,
E Cristo ingemma il prezioso legno. E Cristo sfiameg.tr fa ci santo legno.

Dal eentro al cerchio, e si dal cerchio al centro Conforme l'aqua in vaso tondo sia
Muovesi l'acqua in un ritondo vaso, Smossa de fora, o pur scossa de drento,
Secondo ch'è percossa fuori, o dentro. La va al centro o se starga atorno via.
-Nella mia mente fe subito caso E m'è saltà al pensier sto movimento
Questo ch'io dico, sì come si tacque Apena San Tomaso ga finio
La gloriosa vita di Tommaso, Quel so discorso, al qual mi so sta atento,
Per la similitudine, che nacque Per el confronto che me xe sortio
Del suo parlare e di quel di Beatrice, Dal so chiaro parlar, come da quelo
A cui sì cominciar, dopo lui, piacque: De la Bice, che a lu cussi tien drio :
A costui fa mestieri (e noi vi dice, St'omo ha bisogno (a vualtri noi dis'elo
Ne colla voce, nè pensando ancora) Co la so boca e gnanca co là mente)
D'un altro 'vero andare alla radice. D'un'altra verità vederghe el pelo.
Ditegli se la luce, onde s'infiora Disèghe se sta luse propriamente,
Vostra sustanzia, rimarrà con voi Che ve fa cussi bei v'abia da star
Eternalmente, sì com'ella è ora : lntorno, come adesso eternamente : 15
E, se rimane, dite come, poi E se la resta, come mai poi dar,
Che sarete visibili rifatti, Quando luti sarò ressussitai,
Esser potrà ch'ai veder non vi nói. Che no la v'abia i ochi a desturbar.
Come da più letizia pinti e tratti Come queli che tuti ingaluzzal,
Alcuna fiala quei, che vanno a ruota, Tra '1 cantar e '1 baiar sempre zirando, 20
Levan la voce, e rallegrano gli atti; E moti e sesti alegri i fa che mai;
Così all'orazion pronta e devota L'istesso i santi cerchi i va mostrando,
Li santi cerchii mostràr nuova gioia A la domanda franca e rispetosa,
Nel torneare e nella mira noia. ln baiar e cantar piacer più grando.

• so = suo = to = sono.
19 iagaluaai = dicesi di chi fa sorcrclii cenni di allegrezza con atti e con movimenti.
382 DEL PARADISO
Qual il lamenta perchè qui si muoia, Chi per viver lì su fa dolorosa 23
Per viver colassù, non vide quive La morte e se lamenta, ah ! no, no i ga
Lo rifrigerio dell'eterna ploia. Visto del ciel la pase deliziosa.
Quell'uno e due e tre che sempre vive, Chi in Uno in Do in Tre per sempre sta,
E regna sempre in tre e due ed uno, E regna sempre in Tre in Do in Un,
Non circoscritto e tutto circoscrive, Che no ha cemfin, e luto ha confinì ; 30
Tre volte era cantato da ciascuno Tre volte ga cantà de lori ognun
Di quelli spirti, con tal melodia, Con tal dolcezza, che no poderia
Ch'ad ogni merto saria giusto muno. Lodarse megio merito nissun.
Ed io udii nella luce più dia Da la luse più viva ose è sortia
Del minor cerchio una voce modesta, Del cerchieto minor, modesta quanto 35
Forse qual fu dell'angelo a Maria, Forsi quela de l'Anzolo a Maria,
Risponder : Quanto fla lunga la festa Per responder cossi : Dio, sina tanto
Di Paradiso, tanto il nostro amore Dura del Paradiso l'alegrezza,
Si raggierà d'intorno colai vesta. Spanderà sora nu sto lusor santo.
La sua chiarezza seguita l'ardore, Camina drio a l'amor la so chiarezza, 40
L'ardor la visione; e quella è tanta, Va l'amor drio a la vista; e più xe questa,
Quant' ba di grazia sovra suo valore. Quanta è più de la grazia la grandezza:
Come la carne gloriosa e santa Co dal sepolcro i alzerà la testa
Fla rivestita, la nostra persona Gloriosa i nostri corpi, più sarà
Più grata fia, per esser tutta quanta. Cara Pancma a Dio co la so vesta; 45
Perchè s'accrescerà ciò, che ne dona Perchè '1 bon Dio cresser su nu farà,
Di gratìiilo lume il sommo Bene, Aciò megio se possa veder Lu,
Lume, ch'a lui veder ne condiziona : La luse che Elo solo a nu ne dà.
Onde la vision crescer conviene, Ne cresserà perciò la vista a nu,
Crescer l'ardor, che di quella s'accende, In questa ardendo cresserà l'amor, 50
Crescer lo raggio, che da esso viene. La luse fia d'amor, cresserà più.
Ma sì come carbon che fiamma rende, Come vince el carbon col so lusor
E per vivo candor quella soverchia L'istessa dama sua, e in mezo a quela
Sì, che la sua parvenza si difende; Se lo vede mandar vivo splendor ;
Così questo fulgor, che già ne cerchia, Cussi sta luse, che gavemo bela, 55
Pia vinto in apparenza dalla carne, La sarà superada da la carne,
Che tutto dì la terra ricoperchia: Che la tera tien desso drento in eia.
Nè potrà tanta luce affaticarne, No poderà sta luse desturbarne
Chà gli organi del corpo saran forti . La vista, che de più resisterà
A tutto ciò che potrà dilettarne. A quel che poderà più gusto darne. M
.Tanto mi parver subiti ed accorti Tanto è stai pronti quei do cerchi là
E l'uno e l'altro coro a dicere : Anime, D'acordo tuti insieme in tei dir Amc,
Che ben mostrar disio de' corpi morti : Che gran vogia dei corpi i ga mostrà ;

Z8 Chi in Uno te. = Dio: una essenza, due nature e tre persone.
34 ott i norda = è la voce di Saldinone che risponde.
36 de l'Anzolo — dell'Angelo Gabriele quando si presentò a Maria.
41 la villa = è sottintesa la vista di Dio.
45 co la to vesia --- cioè coll'anima racchiusa nel corpo.
61 quei do cerchi = due cerchi luminosi formati dagli spiriti beati.
61 Ante — amen, cosi sia.
CANTO xiv. 383
Fora non pur per lor, ma per le mamme, E per eli no sol, ma per le marne,
Per li padri, e per gli altri che f'iìr cari, I pari e amici, prima de vegnir 05
Anzi che fosser sempiterne fiamme. Qua su a indossar d'amor l'eterne fiame.
Ed ecco intorno, di chiarezza pari, Quando eco un lusor novo comparir
Nascere un lustro sopra quel che v'era, Sora dei primi, istesio lustro e belo,
A guisa d'orizzonte che rischiari. Com'el chiaro orizonte. A l'imbrunir
E -i come al salir di prima sera Co i lumini a spontar scomenza in cielo, 70
Cominciari per lo ciel nuove parvenze, Tanto smorti i par eli in su quel ora,
Sì che la cosa pare e non par vera ; Che tra '1 sì e '1 no se scovre questo e qurlo ;
Parvemi li novelle sussistenze Cussi m' ha parso novi lumi alora
Cominciare a vedere, e fare un giro Veder formar un terzo cerchio drio
Di fuor dall'altre due circonferenze. Ai primi do, zirandoghe de fora, 75
O vero sfavillar del santo Spiro, O luse vera spanta dal bon Dio,
Come si fece subito e candente Come in t'un lampo la se ga imputà
Àgli occhi miei, che vinti noi soffriro ! Da no poder frontarla i'ochio mio !
Ma Beatrice ti bella e ridente Ma cossi bela Bice s' ha mostrà,
Mi si mostrò, che tra l'altre vedute Che taso insieme a quanto in ciel de novo 80
Si vuoi lasciar, che non seguir la mente. Go visto, e da la mente m'è scampà.
Quindi ripreser gli occhi miei virtute Pib gagiardi perciò i ochi in su movo,
A rilevarti ; e vidimi transtato E za de sbalzo in un più alto cielo
Sol con mia donna a più alta salute. Solo con Bice trasportà me trovo.
Ben m'accors'io, ch'i'era più levalo, M' ha fato incorzer d'esser levà in quelo 85
Per l'affocato riso della stella, La gran luse infogada, e quel lusor
Che mi parea più roggio che l'usato. M'ha parso rosso più che noi sol elo.
Con tutto '1 cuore, e con quella favella Ho ringrazià '1 Signor, ma ben de cuor
Ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto, Col l'mguauio che tuli quanti sa,
Qual conveniasi alla grazia novella. Ch'el s' ha degnà de farme quel favor. M
E non er'anco del mio petto esausto No gavea ancora el prego terminà,
L'ardor del sacrificio, ch'io conobbi Che ho conossudo ch'el bon Dio, ah ! xì,
Esso litare stato accetto e fausto ; El mio ringraziamento ga acetà ;
Che con tanto lucore e tanto robbi Perchè do tressi xe comparsi a mi
M'apparvero splendor dentro a duo raggi, Tanto rossi e infiahmi, che ho dito in bota: 95
Ch'io dissi: O Eliòs, che si gli addobbi! Gran Dio, che cussi bei te li fa Ti !
Come, distinta da minori e maggi Come la Latea via da longa mola

66 l'eiernt fiame — cioè le luci eterne.


67 Quando tto = quand'ecco.
69 A rimbrunir - cioè sol fine del giorno.
70 Co — quando - (nmmi = cioè le stelle.
73 novi lami — nuovi spirili beati.
76 nponto =- qui sta per diffusa.
7S Da no poder frontarla — da non la potere affrontare.
83 in un più allo cielo — il quinto cielo di Marte.
87 che noi tal elo = ch'egli non suole.
91 do treni = per tresso comunemente s'intende un legno dritto messo a traverso per impedire che alcun*
cosa si sposti, o per fortificarla; ma qui viene adoperalo prr significare le due liste luminose intersecate ad an
golo retto a guisa di due legni in croce = do = due.
95 in bòia = subito.
97 Innijn mota — lunga moltitudine.
384 DKL PARADlSO
Lumi, biancheggia, tra' poli del mondo, De lumi grandi e inculi schiaria
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi ; Tra i poli, fa torziar la zente dola ;
Sì costellati faccan nel profondo Nel centro al ciel de Marte mi scovria 100
Marte quei raggi il venerabil segno, Far i do tressi el venerando segno,
Che fan giunture di quadranti in tondo. Come i quadranti al cerchio se faria.
Qui vince la memoria mia lo ingegno : A dir quel che go in mente no go inzegno,
Chè in quella croce lampeggiava Cristo Chè in quela Crose sfìamegava Cristo
Sì, ch'io non so trovare esemplo degno. Cussi, che no so far confronto degno. 105
Ma chi prende sua croce, e segue Cristo, Ma chi tol la so erose e va drio Cristo,
Ancor mi scuserà di quel ch'io lasso, Se adesso taso, me voi a scusar,
Vedendo in quell'albòr balenar Cristo. Co in cielo el vederà sfiamegar Cristo.
Di corno in corno, e tra la cima e '1 basso, Da un ponto a l'altro dei do tressi, andar
Si movean lumi, scintillando forte Lumi ho visto, lusendo più de l'uso 110
Nel congiungersi insieme e nel trapasso. NeU'incontrarse insieme, e nel passar.
Così si veggion qui diritte e torte, Driti e in sbiego cussi qua zo dà suso,
Veloci e tarde, rinnovando vista, Tardivi e lesti, e bulega scambiando
Le minuzie de' corpi lunghe e corte l atomi longhi e curti, e per un buso
Muoversi per lo raggio, onde si lista Entrà '1 ragio del Sol, là i vien formando 115
Tal volta l'ombra, che, per sua difesa, Una strissa tra l'ombra, che la zente
La gente con ingegno ed arie acquista. De farse, in causa el caldo, va studiando.
E come giga ed arpa, in tempra tesa E come in tante corde dolcemente
Di molte corde, fan dolce tintinno Fa l'arpa e la chitara el sòn sentir
A tal, da cui la nota non è intesa ; A chi no sa de musica un bel gnente; 120
Così da' lumi, che lì m'apparinno, Cussi dai lumi, come no so dir,
S'accogliea per la croce una melode, Per quela Crosc un canto go sentio,
Che mi rapiva senza intender l'inno. Che m' ha inzucà senza poder capir.
Ben m'accors'io ch'ell'era d'alte lode, M' ho incorto ben che se lodava Dio,
Perocchè a me venia: Ristirgi e vinci, Quando el Risurgi e vinci go ascoltà, 125
Com'a colui che non intende ed ode. Come chi ascolta senza aver capio.
Ed io m'innamorava tanto quinci, E tanto m' ha '1 so canto delizià,
Che ialino a lì non fu alcuna cosa, Che no ghe xc sta gnente sin alora,
Che mi legasse con sì dolci vinci. Che m'abia più de quclo imbalsamà.
Forse la mia parola par tropp'osa, Forsi ch'el mio parlar tropo de sora HO
Posponendo '1 piacer degli occhi belli, Se porta, indrio lassando i ochi beli
Ne' quai mirando mio disio ha posa. Che più d'ogn'altra cossa me lnamora;

99 fa torziar = fa vaneggiare.
101 al venerando ttgnn - della Croce.
108 Co in ciclo = quando in cielo.
112 f/i tbiego . . obliquamente . . dà mso .•. sorgono.
113 Tardivi = lenti —•• bulega • • brulicano.
Ufi l'ini «ritta : : una striscia.
117 ni rnuta = a motivo.
119 e/ ton = il sudiio.
123 induca • • sbalordito.
125 Risunjt e vinci — sono parole ili un lnno in lode di G. Cristo trionfatore della morte, il quale
peggiava in quella Croce.
129 imbolsamò = detto figuratamente, che m'abbia deliziato.
131 lassando i otiti beli = di Beatrice.
CA.MO XV. 585
Ma cbi s'avvede, che i vivi suggelli Ma chi sa qual belezza manda 1 cieli
D'ogni bellezza più fanno più suso, Su luto, e più alti i xe, i luse più,
E rlfiii non m'era li rivolto a quelli. Se no me gora ancora voltà a queli, 135
Escusar puommi di quel ch'in m'accuso Scusar me poderà per certo lu
Per iscusarmi, e vedermi dir vero : De quel che per scusarme mi me acuso,
Che '1 piacer santo non i-, qui dischiuso, Sentindo da mi ci fato ; che là su
Perchè si fa, montando, più sincero. luto lusc de più, più andando in suso.

CANTO DECIMOQUINTO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Cn beato astro della Croce santa Un Inmin da la Crose in t'ini momento


Si muove, dentro al cui vivo fulgore Sbrissa zoso, nel qaal lustro splender
Di Cacelaguida l'anima s'ammanta, De Caciaguida l'anema sta drento.
E ardendo in dolce favilla d'Amore, E con parole, che fa dir l'Amor,
Ch'ei fu tritavo suo a Dante dice, Che nono de so nono proprio xo elo,
E che pugnando pien di santo ardore Informa Dante, e per la Fede in cuor
Per la Fede, ivi salse e fu felice. 'la combatnndo, el xe arivà in quel Cielo.

Benigna volontade, in che si liqua La bona volontà che la deriva


Sempre l'amor che drittamente spira Sempre da amor de carità più schieta,
(Come cupidità fa nell'iniqua), Come da falso amor vien la cativa,
Silenzio pose a quella dolce lira, Ga fermà quela musica dileta,
E fece quietar le sante corde, Fasendo tascr le stupende vose, 5
Che la destra del cielo allenta e tira. Che acorda Dio con armonia perfeta.
Come saranno a' giusti prieghi sorde Come al mio prego no sarà pietose
Quelle sustanzie, che, per darmi voglia Quel'aneme beate, se lassà
Ch'io le pregassi, a tacer fù r concorde ? Le ha insieme perciò '1 canto in quela erose ?
Ben è che senza termine si doglia L'afano senza fin in quei ben sta, 10
Cbi, per amor di cosa che non duri Che per amo.r de quel, che pbco dura,
Eternalmente, quell'amor sì spoglia. Desmentega l'amor de carità.
Quale per li seren tranquilli e puri Come in note serena quieta e pura
Discorre ad ora ad or subito fuoco, Passa ogniUnto d'improviso un fogo,
Movendo gli occhi, che stavan sicuri, I ochi fasendo sbater a dritura, 15
E pare stella che tramuti loco ; E par sia stela che se mua de logo,
Se non che dalla parte, onde s'accende, Siben nissuna in ciel scomparsa sia,
Nulla sen perde, ed esso dura poco ; E in prestezza el se stua, fato el so sfogo ;
Tale dal corno, che in destro si stende, Dal brazzo drito al pie xe corso via
25
386 DEL PAHAmSO
Al pie di quella croce corse un astro De la Crosc un lusor tra la lumiera, 20
Della costellazion, che li risplende: Dove luti resplsnde in compagnia.
!S'è si partì la somma dal suo nastro, Nè dal so tresso destacà '1 se gera,
ìWa per la lista radiai trascorse, Ma '1 xe sbrissà per drento, ch'el parerà
(;he parve fuoco dietro ad alabastro. Lume drio l'alabastro che se spiera.
Si pia l'ombra d'Ancbisc si porse, De istesso amor Anchise se struzeva, 25
Se fede merta nostra maggior Musa, Come canta la prima nostra Musa,
Quando in Elisio del figliuol s'accorse. Quando al Eliso el Molii suo vedeva.
O niinynix mensl o super infusa O sanyuis mensf o super infusa
Grada Deil sicnt libi, cui Grada Deil sicut libi, cui ,
iiix ititrjuam cisti tamia reclusal Bis unquam cceli iantia reciusa ? 30
Cos'i quel lume. Ond'io m'attesi a lui : Cussi '1 lusor; e i ochi ho in lu tegnui
Poscia rivolsi alla mia Donna il viso, Tuto incantà, po a Bice ho voltà '1 viso,
E quinci e quindi stupefatto fui: E anca eia m'ha incantà coi ochi sui;
Che dentro agli occhi suoi ardeva un riso Perchè luseva in quei un tal soriso,
Tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo Che veder la mia parte go pensà 35
Della mia grazia e del mio paradiso. De la grazia divina in Paradiso.
Indi, ad udire ed a veder giocondo, Dopo quel caro spirito ha zontà
Giunse lo spirto al suo principio cose, Altre cose che intender no ho possù;
Ch'io non intesi; sì parlò profondo. Tanto profondamente el ga parlà.
Nè per elezion mi si nascose, Nè a posta un parlar scuro el m'ha tegnù, 40
Ma per necessità; che '1 suo concetto Ma per necessità ; che l'omo mai
AI segno de' mortai si soprappose. Riva a idee del so inzegno alte assae più.
E quando l'arco dell'ardente affetto Quando i celesti afeli el ga sfogai
Fu sì sfogato, che '1 parlar discese De l'ardente so amor, e a l'inteleto
Inver lo segno del nostro intelletto, Nostro li ga sbassandoli adatai, ^
, La prima cosa, che per me s'intese, Ti in Uno e in Tre pur siestu benedeto,
Benedetto sie Tu, fu, Trino ed Uno, Prima ci m'ha dito, fandome gran festa,
Che nel mio seme se' tanto cortese. Che al sangue mio ti mostri tanto afeto.
E seguitò: Grato e lontan digiuno, E dopo : In grazia de la dona onesta
Tratto leggendo nel magno volume, Che t' ha dà l'ale per svolar sin qua, 50
V non si muta mai bianco nè bruno, • El desiderio in mi, che drento in questa
Soluto hai, figlio, dentro a questo lume, Luse te parlo, ti me ga cavà,
In ch'io li parlo, merco di colei, Fio, che lezendo el libro mi go avuo,
Ch'all'alto volo ti vestì le piume. Del qual el scrito no vien mai cambià.
Tu credi, che a me tuo pensier mei Ti credi che in mi vegna el pensier tuo 5a

24 che se >pia-a = che si traspare.


25-27 De iniema amar re. — narra Virgilio nel lib. VI dcfi'Encidi-, elic Enea discese all'1nforno per visiIa*
suo padre Anchine.
28 O tangnis mrus ee. = cccunc 1n traduzione: nG mio discendentel o divina grazia in te sovrabbomiu*'
a chi(fu mai. rame a te. dischiusa due volte (ora ir dopo morie; la porta del cielo? •• Forsi- il poeta fa qui Par'
lare l:itino n Cafrciuguidn per dinotare la tavella nubile dei tempi di questo suo trisavolo.
37 Ini zimlà = ha aggiunto.
•12 llivd = giunge.
46 Ti in Uno n in Tre pur situiu benedetto = n sii tu benedetto, o Dio trino ed uno.
49 In grazia iic la i-hina onesta — due Heutrice.
53 ci lihru = il lihro della divina presi-ifnza. cioè lu menIe di Dio.
CANTO XV. 587
Diri quel ch'i filmo, cosi come tifa Da Chi xe '1 1'timo, come qualsesia
Dall'ua, M si conosce, il cinque e '1 sei. Numero ga da l'un Hmpian-o suo.
E però ch'io mi sia, e perch'io paia Perciò no li domandi chi mi sia,
Più gaudioso a te., non mi dimandi, NB percho par a ti de tuli più
Che alcun altro in questa turba gaia. Me goda tra sta bela compagnia. CO
Tu credi '1 vero; che i minori e i grandi . Quel che ti credi è vero : che qua su
Di questa vita miran nello speglio, Grandi e picoli i vede tuli in Dio,
In che, prima che pensi, il pensier pandi. Che, avanti el nassa, el to pensier sa Lu.
Mi perchè '1 sacro amore, in che io veglio Ma aciò del vivo santo amor nutrio
Con perpetua vista, e che m'asseta Sempre in Quel che m' ha l'anema inliamada, 65
Di dolce disiar, s'adempia meglio, El desiderio sia megio compio;
La voce tua sicura, balda e lieta Franca la vose tua gagia e fidada
Suoni la volontà, suoni '1 desio, Diga la vogia in ti quala saria,
A che la mia risposta è già decreta. Che la resposta ho bela e preparada.
1'mi volsi a Beatrice: e quella udio Mi v.mio Bice, e quela, che ha capi, i, 70
Pria ch'io parlassi, ed arrisemi un cenno, Prima che parla, la mia brama, fa
Che fece crescer l'ale al voler mio : Ridendo un moto, che sta vogia mia
Poi cominciai così : L'affetto e il senno, (ìa cressua. Co '1 bon Dio, go scomenzà,
Come la prima Egualità v'apparse, Ve in ciel comparso, Lu, onipotente,
D'un peso per ciascun di voi si fenno : V'ha dà '1 saver eguai a carità; 75
Perocchè al Sol, che v'allumò ed arse Che in fazza al Sol, che v' ha scaldà darente,
Col caldo e con la luce, en sì iguall, Saver e Amor xe tanto eguali, che
Che tutte simigliane sono scarse. Un giusto paragon no viea in mente.
Ha voglia ed argomento ne' mortali, Ma nei mortali sto divario gh'è,
Per la cagion, ch'a voi si manifesta, Che poco xe '1 poder, mollo el voler, 80
Diversamente son pennuti in ali. Per la rason che vualtri za vedè.
Ond'io, che son mortai, mi sento in questa E, mi mortai, diverso ho del poder
Disagguaglianza : e però non ringrazio, La vogia ; e te ringrazio ben de cuor,
Se non col cuore, alla paterna festa. Che farme ciera li ga avù '1 pensier.
Ben supplico io a te, vivo topazio, Ma te prego, belissimo lusor, 85
Che questa gioia preziosa ingemmi, Che ti resplendi su sto segno santo,
Perchè mi facci del tuo nome sazio. Dime el to nome fame sto favor.
O fronda mia, in che io compiacemmi O fiolo mio, che m' ho compiasso lanto
Pure aspettando, io fui la tua radice. Anca in spelarle, son sta '1 tronco tuo;
Cotal principio, rispondendo, femmi. Cossi '1 responde, e el dise po sto tanto : 5)0
Poscia mi disse: Quel, da cui si dice Quelo, ch'el nome suo ai toi ga dà,
Tua cognazione, e che cent'anni e piue E el iminii: al primo cerchio avanti e indrio

56 Da ehi xe 'I Primo = cioè da Dio.


M vogia —. qui sta per desidcrio.
73 Co = Loreliè.
'fi al Sol = cioè a Dio = darnle = da vicino.
81 per la raton = per il motivo.
83 vogia = vedi noia 68.
84 farnu ciera = farmi bella accoglienza.
30 ilo tanto - questo tanto-, modo di dire per significare elic taluno si accinge ad un lungo discorso.
92 E d monte al primo cerchio = al primo cerchio del Purgatorio, cioè al cerchio dei superbi.
588 PEL PARADISO
(ìirato ha '1 monte in la prima cornice, Pio de cent'ani va zirando là,
Mio 111; I io fu, e tuo bisavo fue : El xe sta to bisnono e fiolo mio:
Ben si convien che la lunga fatica De scurtarghe la pena ti procura, 95
Tu gli raccorci con l'opere tue. Fando el ben, del gran peso ch'el ga drio.
Fiorenza dentro dalla cerchia antica, Firenze dentro de le vechie mura,
Ond'ella toglie ancora e terza e nona, Dove se sona ancora terza e nona,
Si stava in pace sobria e pudica. Vivea modesta, in pase, savia e pura.
Non avea catenella, non corona, No la usava caenela, nè corona; ÌOO
Non donne contigiate, non cintura, Nè done in lusso, nè centura bela
Che fosse a veder più che la persona. Che chiama a vardar più che la persona.
Non faceva nascendo ancor paura El pare, co nasseva una putela,
La figlia al padre; che'l tempo e la dote Noi smaniava, che a tempo el maridar
Non fuggian quinci e quindi la misura. Gera, e in giusta rason la dotarela. 105
Non avea case di famiglie vote : Case ancora no se vedea svodar,
Non v'era giunto ancor Sardanapàlo ' E tra i piaceri no s'avea mostrà
A mostrar ciò, che in camera si puote. Qualche Sardanapàlo a grandizar.
Non era vinto ancora Montemalo De Roma el lusso ancora superà
Dal vostro Uccellato', che, come è vinto No avea Firenze, e come superada HO
Nel montar su, cosi sarà nel calo. La ha po, in dar su, questa in dar zo l'avrà
Bellincion Berti vidi andarne cinto El primo. Ho visto Berti, che ha portada
Di cuoio e d'osso, e venir dallo specchio Centura de curame, e so mugier,
La donna sua sanza '1 viso dipinto. Mai vegnir via dal spechio sbeletada.
E vidi quel de' Nerii e quel del Vecchio E i Nerli e i Vechio ho avudo da vedèr 115
Esser contenti alla pelle scoverta, Andar vestidi d'una pele pura,
E le sue donne al fuso ed al pennecchio. E far le done al fuso el laorier.
O fortunate ! e ciascuna era certa O fortunae ! che ognuna era sicura

04 /;'/ xe sta lo bimano e fiala mio = quel figlio di Cacciaguida si chiamò Aldighicro I. il quale generò
Bellincione, e di questo nacque Aldigbiero II, che fu padre di Dante. Da quell'Aldighiero I, la famiglia di Daolt.
che dn prima chiamavasi Elisei, nominossi Aldighieri, e poi per dolcezza Alighieri.
95 scartaryhe = accorciargli.
96 del gran pao cìt'et ga drio - i superbi nel Purgatorio sono condannati a portar gravato il dorso di
un peso che li fa andar curvi. Vedi la detta Cantica al C. X.
97 drente de le veehic mura - - cioè dentro il primo recinto delle mura fatto dopo elie fu venuto Carlo Un...
98 Dove te sona ee. — le ore dicono alcuni elie fossero suonate nella Badia, altri nel Palazzo pubblico, edi
lizi ambedue che restano dentro alle antiche mura.
100 No la usava ee. = non v'era l'uso di collane e di manìgli e di corone di materia preziosa.
104 noi smainavo - non si agitava.
105 e in giusta rason = e in giusta proporzione.
106 Case ancoro no se vedea svodar = farsi vuoti di abitatori per gli osigli e le morti prodotte dIl pa
leggiare.
108 Sardanajialo = ultimo re degli Assiri celebre per le sue crapule e incontinenze.
109 De Roma el lusso ee. = Firenze non era ai tempi di Cacciaguida giunto a superare la raagnificmu
degli edilizi di Homu (Fraticelli). Che poi Firenze ai tempi di Dante avesse fabbriche superiori in grandezza a
quelle di Roma, è credibile, poichè i palagi e gli edilìzi, per cui oggi Roma va tanto avanti a Firenze, non con
tano più di tre secoli. (Bianchi).
1 10-1 12 e come ìuparada ec = e come Firenze superò poi Roma nel suo ingrandire, (in dar tu) così la so-
pererà nel decadimento fin dar zo) per cagione delle civili discordie. = El primo = qui ha il valore tli sol*-
riorita ossia di primato = Berli = Belincion Berli illustre cavaliere liorentinu, della nobile famiglia K "---"'
ni, padre della buona Gualdrada: Inferno C. XVI, v. 37.
115-116 i iVer/i e i Vcelun — due nobili famiglie di Firenze. = pura = cioè senza adornamento.
11S-1ZO ognuna era sicura cc = ogni donna era <icura di morire in patriu, perchè non erano per a"[0

"\
CANTO XV. 389
Della MI/I sepoltura : ed ancor nulla Morir in patria, e star indrio nissuna
Era per Francia nel letto deserta. Da sposar per la Franza avea paura. 120
L'una vegghiava a studio della culla, Stava una in guardia del bambin in cuna,
E consolando usava l'idioma, Fando, aciò el tasa, el so parlar, che invogia,
Che pria li padri e le madri trastulla : E fa a mama e papà passai la luna.
L'altra, traendo alla rocca la chioma, L'altra filando, per scazzar la nogia,
Favoleggiava con la sua famiglia Le fiabe ai soi contava su de spesso 125
De' Troiani e di Fiesole e di Roma. E de Roma, e de Fiesole e de Trogia.
Saria tenuta allor tal maraviglia Maravegia avarave alora messo
Una Cianghella, un Lapo Salterello, Una Cianghela, un Lapo Saltarelo,
Qual or saria Cincinnato e Corniglia. Come Cornelia e Cincinato adesso.
A così riposato, a così bello Tra tanta pase e viver cussi belo, 130
Viver di cittadini, a così fida Tra tanta citadina carità,
Cittadinanza, a così dolce ostello, De Dio la Mare, in sta cità modelo,
Marla mi die chiamata in alte grida ; Chiamada tra le dogie m'ha puzà;
E nell'antico vostro Battisteo E al vostro vechio batister tegnuo,
Insieme fui cristiano e Cacciaguida. Caciaguida e cristian son sta chiamà. 135
Moronto fu mio frate ed Eliseo : Per fradei Eliseo e Moronto ho avuo;
Mia donna renne a me di Val di Pado; Da Val de Po xe mia mugier vegnuda,
E quindi '1 soprannome tuo si feo. E xe vcgnù da quela el nome tuo.
Poi seguitai lo imperador Currado ; Po di in Corado imperator, batuda
Ed ei mi cinse della sua milizia: La marchia, cavalier elo in crearme 140
Tanto per bene oprar gli venni a grado. El ga l'opera mia riconossuda.
Dietro gli andai incontro alla nequizia Drio de lu contro i Turchi ho brandio l'arme,
Di quella legge, il cui popolo usurpa, Che i se tien, colpa el Papa, ingiustamente
Per colpa del Pastor, vostra giustizia. La lera santa; e gloria per cercarme,
Quivi i'u'in da quella gente turpa Fasendo guera a quela bruta zente 145
Disviluppato dal mondo fallace, Son morto, e '1 falso mondo abandonà
II cui amor molte anime deturpa; (L'amor del qual a tanti tol la mente)
E venni dal martirio a questa pace. Dal martirio in sto cielo son passa.

insorte le fazioin a cacciare in esilio i vinti; e nessuna era abbandonata dui marito, elie andasse in Francia, poi
chè non per anco l'avidità del guadagno stimolava i cittadini a andar fuori a mercatare.
122 i'ln- invogia — elic dò piacere.
125 ai sui - alle persone di sua famiglia.
12S Cianghela = della nobile famiglia Tosinoii, rimasta vedova di I, ito degli Alidesi da Imola tornò in
Firenze ove menò vita assai disonesta _- /."/'' Saltarella = Lapo di Saltarelli giureconsulto fiorentino e uomo
maledico.
129 Cornetta = figlia di Scipionc il maggiore e madre dei Gracchi: donna eloquente e magnanima, che alla
matrona Capuana, che le additava il proprio ornamento, rispose: I miei vezzi sono i mici figli .--. Ciucinoto -
virtuoso romano, che dopo avere condotto l'esercito a combattere il nemico e vintolo, ritornò al lavoro del uno
campo.
133 Chiamada Ira le dogie -- chiamata tra le doglie del parto- V. Purg. XX. 19.
137 Da Val de Po = Dalla Valle del Po, cioè il Ferrarese; e dall'essere la moglie di Cacciaguida stata
AUighieri, fu fatto il cognome della famiglia di Dante.
139 Corado -.- Corrado III imperatore della Casa di liohenstanfen, o di Svevia.
112 contro i Turchi co. = la Crociata che qui si accenna, e quella predicata da S. Bernardo nel 11C7 al
tempo di Eugenio III e di Luigi IX di Francia, che vi 'si recò in persona, e la quale ebbe un triste esito.
14S Dal martirio = cioè morto combattendo per la fede di Cristo.
390 DEI. P Ali AD ISO

CANTO DECIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Quando pria giunse nell'umana vita Fa savi'r Caccia;?uida al so prircnte


Racconta Cacciaguida., e di chi' cronti Quando ol xe nato, e '1 vi«n po nominando
Fu la famiglia sua prima fornita. Di' la fimv:gia soa la prima zi-ino.
E le più chiare schiatte do' valenti i» i oini.ni la razza va locando
Loda, e rammenta l'antica virtute. Ohi« pi-r le antighe soe virto. e valor
Onde a Firenze i cittadin possenti I Fiorentini ch'ha avil un nome grando
Si-rhavano il riposo e la saluti. tìa mantegnn el casato in alto onor.

O poca nostra nobiltà di sangue, O magra nostra nobiltà de razza !


Se gloriar di te la gente fai ' Se i se tien tanto in bon de qua per ti,
Quaggiù, dove l'affetto nostro Lingue, Dove l'amor al ben nel cuor so giazza,
MirabiI cosa non mi sarà mai : Più maravegia no avaro: che lì,
Che là, dove appetito non si torce, Dove i'amnr al ben mai noi se sbandi,
Dico nel cielo, io me ne gloriai. Vói dir in ciel, me son vantà anca mi.
Ren se' tu manto che tosto raccorce, Tal ti xe ti, come una vesta granda,
Sì che, se non s'appon di die in die, Che un lacon se ogni'lanto no va suso,
l.o tempo va d'intorno con le foree. El tempo presto in destruzion la manda :
Dal noi, che prima Roma sofferie, Dal rn, che Roma in prima ha avudo in uso,
In che la sua famiglia men persevra, E anca la prima che sta usanza ha tolta,
Ricominciaron le parole mie : Mi go da novo principià a dir suso;
Onde Beatrice, ch'era un poco scevra, F Bice, che in disparte un poco ascolta,
Ridendo, parve quella, che tossio Ridendo, ha parso quela che ha tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra. Co Ginevra ha falà la prima volta.
Io cominciai: Voi siete '1 padre mio; Vu, cussi ho scomenzà, sè 'l pare mio,
Voi mi date a parlar tutta baldezza ; Vu me anumè a parlarve schietamente,
Voi mi levate si, ch'io son più ch'io. Vu me fe tal onor, che m' ha ingrandio.
Per tanti rivi s'empie d'allegrezza Per tante bande go i m pi aia la mente
La mente mia, che di su fa letizia, De gusti, che in tegnirli rancurai iii
Perchè può sostener che non si spezia. Senza perderse, gagia la se sente.

3 se giazza = si raiiVnld.i.
6 Viii rfi'r = voglia dire.
S Se "ijui Ionio un Iacun no ght vn suso = se una toppa o un rallacconamento di quando in quanilo W.i-
vi si mette.
11 In Roma nsavosi al Icmpo di C. Cesaru-darc alla persona, cui rivolgevasi il discorso, del voi, iinrtt Al
Tu come fu nsitn di poi.
13-15 E Ilice, the. in deiparle ee. = leprosi nel romanzo della Tavola Rotonda: l,a fante di Ginevra Ieri
gendosi dal primo passo pericoloso fulio dalla sua padrona nell'amore di l.ancillolto, tossi per farla canla- E p""
Irice sìmilmente uri sentiie in Dante quel modo cerimonioso, i-oine burlandolo dell'usare quelle forme ia wl*
sogghignò per avvertirlo a lasciar tali fonnole. Si noti ehn Dante aveva aperto il suo dialogo con CacciJgoiJJ
dandogli del Tu; e qui lo riprendeva col Voi per rispetto dopo che gli fu noto l'esser suo (Fraticelli)' = 6i =
quando.
20 munirai' = raccolti.
21 yayia = heta.
CAM'O XVl. 391
Ditemi dunque, cara mia primizia, Diseme donca, pare, chi xe stai
Quai fur li vostri antichi, e quai fùr gli anni, l vostri vechi, e quando vu su nato
Che si segnaro in vostra puerizia ? Quanti ani da la lncarnazion xe andai.
Ditemi deirovil di san Giovanni, Diseme in quanti gera quei che ha fato 25
Quant'ara allora ? e quali eran le genti So protetor San Zuane, e tra la zente,
Tra esso degne di più alti scanni? Quai più degni de onor s' ha in alto tratc.
Come s'avviva allo spirar de' venti Come al supiar del vento, più lusente
Carbone in fiamma, così vidi quella Rampa manda el carbon, ristesso qucla
Luce risplendere a' miei blandimenti : Luse, grata al mio dir, se ln più ardente. 30
E come agli occhi miei si fe più bella, E deventada ai ochi mii più bela,
Cosi con voce più dolce e soave, Cossi con dolce vose, e col più bel
Ma non con questa moderna favella, Linguagio, megio de sta nostra ochela,
Dissemi : Da quel di, che fu detto Ave, La me dise : Dal di che Gabriel
Al parto in che mia madre, ch'è or santa, • Ga visità la Vergine Maria, 35
S'alleviò di me, ond'era grave, A quelo che mia mare, adesso in ciel,
Al suo Leon cinquecento cinquanta La s' ha sgravà de la persona mia ;
E tre fiate venne questo fuoco Mile cento e sei ani passai gera.
A rinfiammarsi sotto la sua pianta. Sfinii mi e i vechi mii nati là via,
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco, Dove ogni ano co vien la vostra fiera, '(O
Dove si truova pria l'ultimo sesto lncontra el Sestier ultimo più presto
Da quel che corre il vostro annual giuoco. El cavai che va al palio de cariera.
Basti de' miei maggiori udirne questo : Te basta dei mii vechi sentir questo :
Chi ei si furo, ed onde venner quivi, Chi i fusse e quala vose d'eli cora,
Più è tacer, che ragionare, onesto. Megio xe taser che parlar sul resto. 45
Tutti color, ch'a quel tempo eran ivi Quei che tra Marte e Zuan Batista alora
Da poter arme, tra Marte e i Batista, Avria podesto strenzer l'arma in man,
Erano '1 quinto di quei che son vivi: Gera un quinto de quei che vive a st'ora.
Ma la cittadinanza ch'è or mista Ma i citadini, adesso col vilan
Di Campi <• di Certaldo e di Kigghine, De Certaldo missiai (lampi e Fighin, 50
Pura vedeasi nell'ultimo artista. Puri i gera sin l'ultimo artesan.

23 / vostri vechi = i vostri antenati.


24 re andai = sono decorsi.
25 quei = coloro, cioè i fiorentini.
26 e tra ln zcute = s'intende di Firenze.
27 s' ha in alto trato -..-- s'innalzarono agli onori.
32-33 e col più bel Lingnagio — più dignitoso e appropriato, cioè con linguaggio lalino = de sin noffra
M/itla = di questa nostra loquela.
34-35 Dal di che Cabriti ec. = cioè dal giorno licli' lncarnazione ili fi. Cristo.
39 i' vechi miY = gli antichi mici parenti.
40-42 Dove ogni ano ec. = Firenze si stende da Levante n Ponente lun^o l'Arno. F,ra aulicamente divisa in
parti che si chiamavano Sesti o Sestieri, i quali si nnnK'ravnno ia ordine opposito alla correnli. ilol liuce, flon
tra la corrente di quello correvano i cavalli al palio il di della festa di S. Cio: Ballista fFraticelli) = rn = quando.
44-45 67u i fusse ec. = pare da queste parole che gli antenati di Cacciagnida fossero Dicnte osonruì ovvero
tali clic per qual si voglia ragione non potessero far troppo onore n Cacciapnida e a Danti..
40 Quei rhc tra Star le ec. = al tempo di Cacciaguida il piccolo cerchio della mura dello città si estendeva
'lai Mezzogiorno a Settentrione dal ponte vecchio, Ov'ITII hi statua di Marli. lino alla Chiesa di San Ciiovanni, e
da Levante a Ponenti., da San Pietro a San l'ancrazio.
48 ehe virc a st'ora = ora vivente.
Su t'.crtalita, Campi e Figliin = sono paesi del contado di Firenze = missini = mescolati.
51 arletan = artigiano.
392 PEL PARADISO
Oh quanto fora meglio esser vicine Ah ! ve fusseli solo da vicin
Quelle genti, ch'io dico, ed al Galluzzo Restai, ma fora de cità, col far
Ed a Trespiano aver vostro coniine, A Galuzzo e a Trespian vostro el coniih,
Che averle dentro, e sostener lo puzzo E no drento, el spuzzor per no odorar 55
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa, Del vilan d'Agulgion, de quel de Signa,
Che già per barattare ha l'occhio aguzzo ! (ìran mestri patentadi nel barar!
Se la gente, ch'ai mondo più traligna, Se la Corte papal fata maligna,
Non fosse stata a Cesare noverca, L'avesse da maregna no tratà
Ma, come madre a suo figliuol, benigna, L'imperator, ma qual so fio, begnigna, 60
Tal fatto è fiorentino, e cambia e merca, Saria un tal, fato fiorentin, tornà,
Che si sarebbe volto a Semifonti Lassando el mercantar, a Simifonti,
Là, dove andava l'avolo alla cerca. Dove andava so nono a carità.
Sariesi Montemurlo ancor de' Conti ; Sarave Montemurlo in man dei Conti ;
Sariensi i Cerchi nel pivier d'Acone, Sarave i Cerchi a l'Abazia d'Acon, 65
E forse in Valdigrieve i Buondelmonti. E in Val de Greve forsi i Bondelmonti.
Sempre la confusion delle persone Del popolo el missioto, sì da bon,
Principio fu del mal della cittade, Xe sta '1 primo malan de la Cità,
Come del corpo il cibo che s'appone. Come più cibi in corpo d'un magnon.
E cicco toro più avaccio cade, Casca più presto d'un agnel orbà 70
Che cieco agnello; e molte volte taglia Un toro orbo ; e una spada spesso tagia
Più e meglio una, che le cinque spade. Megio de cinque e più. Se come ga
Se tu riguardi I. uni ed Urbisaglia Finio, ti vedi, Luni co Urbìsagia,
Come son ite, e come se ne vanno E mirili de queste come va a finir
Diretro ad esse Chiusi e Sinigaglia, Miseramente Chiusi e Senigagia, 75
Udir come le schiatte si disfanno, No i " ha da parer stranio anca in sentir
Non ti parrà nuova cosa, nè forte Destruzerse le razze che xe stae,
Poscia che le cittadi termine hanno. Se insin se vede le cità a perir.
Le vostre cose tutte hanno lor morte, Xe a morir con vualtri destinae
Sì come voi ; ma celasi in alcuna, Le cosse vostre; e se no par qualcuna, 80

52-53 solo da vicin —. soltanto dappresso.


54 Co/uzzo e a Trespian = Galluzzo e Trespiano, luoghi a tre o quattro miglia da Firenze.
55 i/ tpuzzor - il fasto nauseante, detto in senso metaforico.
56 Agidyian - Aguglione, o Aquilone, era un castello, oggi distrulto, in Val di IV-,i ; e per villano intemlr
MT Baldo d'Aguglione, elic tenne di mano a Messcr Nicola Acciaiolo ad atterrare il quaderno del Comane. TVr
villano (la Signa, castello a sette miglia da Firenze, intende Messcr Bouifazio da Signa giudice, che appartenne
alla famiglia di Morubaldini.
50 do maregni = da matrigna.
fil un tal, falo fiorentia = non si sa elii fosse queir innominato, fattosi cittadino fiorentino.
02 Simifonti = è un castello di Val d'Elsa dislndlo dai fiorentini nel 1802.
64 Montemurlo — castello dei conti Guidi, i quali lo venderono al Comune di Firenze por non poterlo di
fendere dai Pistoiesi.
65 i l'u-elii = una famiglia della Pieve di Acone in Val di Sieve. Le discordie tra essa e i Donati ragioin-
rono iniiniii mali a Firenze.
60 Val de Grtrt = è luogo nel Fiorentino, donde i Romlelmonti vennero a Firenze. È cosi dello dal fiume
Greve.
67 el missiotn = il miscuglio = ìì Ja boa = si per cerio.
73 Luni = città della Luuigiana ed oggi distrulta = Urbisagia = cillà già grande nel territorio di M>«-
rata, ora piccolo castello -- m -.- con.
75 Chiusi = antica e potente città F.trusca ridotta nel 1300, come oggi, a piccola cosa = finigajie = Si-
nigaglia, città anticamente celebre, a tempi di Dante mollo in deelinazione, ma oggi ulcun poco risorta.
CANTO XVl. 393
Che dura molto, e le vite son corte. Xe perchè avè la vita curia assae.
E come'l volger del ciel della Luna E come sempre al moto de la luna
Cuopre e discuopre i liti sanza posa, Se covre e se descovre el lio del mar,
Così fa di Fiorenza la fortuna : Cussi xe de Firenze la fortuna :
Per che non dce parer mirabil cosa Maravegia perciò no ga da far 85
Ciò, ch'io dirò degli alti Fiorentini, Quel che dirò su i vechi fiorentini,
!>••' quai la fama nel tempo è nascosa. Ch'el tempo longo fa desmentegar.
lo ridi gli Ughi, e vidi i Catellini, llo visto i Ughi e ho visti i Catelini,
Filippi, Greci, Ormanni ed Albericlii, Filipi, Greci, Ormani, e i Alberiglii,
Già nel calare, illustri cittadini: Za in decadenza, lini de citadini ; 90
E vidi, coti grandi come antichi, E ho visto tanto grandi quanto antighi,
Con quel della Sannella quel dell'Arca, Con quel de la Sanela quel de l'Arca,
E Soldanieri ed Ardinghi e Bosticlii. E Soldanieri e Ardinghi col Bostighi.
Sovra la porta, ch'ai presente è carca Sm a la porta dove adesso è l'arca
Di nuova fellonia di tanto peso, De nove briconade da galia, • 95
Che tosto fia iattura della barca, Che presto a fondo mandalà la barca,
Erano i Rayignani, ond'è disceso Ghe gera i Ravignani; po vegnia
ll conte Guido, e qualunque del nome Da questi el conte Guido, e chi ha portà
Dell'alto Bellincione ha poscia preso. De Belincion el nome là zo via.
Quel della Pressa sapeva già come Df la Pressa savea come se ga 100
Regger si vuole ; ed avea Galigaio Da governar,^ i Galigai la spada
Dorata in casa sua già l'elsa e '1 pome. l ha avù in casa col manego indorà.
Grande era già la colonna del Vaio : Granda del Vagio la cotona è stada,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barrucci, Sacheti, Giochi, Fifanti, Baraci,
E Galli, e quei ch'arrossan per lo staio. fiali, e quei che ha rossio per chi ha falsada 105
Lo ceppo, di che naquero i dall'ucci, l. a misura del ster. Ga avù i Calfuci
Era già grande; e già erano tratti El zoco ilustre, e gera a magistrati

88.89 i l'ylii = fondatori della Chiesa di S. Maria a Ughi • • • i Caletini •• al presunte non ò ricordo ili loro
•- i filila = abitarono in Mercato Nuovo = i Greci = fu di loro tutto il borgo dei Greci; ora sono spenti =
i Ormani = abitarono dov'è adesso il palagio del popolo, ed ora si chiamano Foraboschi - i Alberighi — furo
no di loro le case di S. Maria Alberighi di Casa Donali; oggi nessuno esiste di loro.
90 Za in decadenza .- di fortuna.
9ì de l'Arca = nei quartieri di S. Pancrazio.
93 = Sotdanieri = d' uno di questi vedi C. XXX11 v. 121 dell' lnferno - Ardingi e Botlighi -•. abitavano
in Orto S. Michele
94 b porta - di San Pietro. = arca = qui vale per sentina, cioè ricettacolo il' immondezze fisiche e morali.
95 da galia .-... da galera.
96 la barca •• cioè lo Stato.
97-9'J i Ravignani :_. era anticamente illustre famiglia dalla quale è disceso il conte Guido, stipile della
famiglia dei Conii Guidi di Modiglinna ... Belincion = Bellincion Berti personaggio illustre pure dei comi Guidi.
100-102 De la fretsa .•- il primogenito della famiglia Della Pressa sapeva le arti di beo governare, e in
rasa de'Galigai erano gia i distintivi della nobilta, i quali consistevano in aver dorata l'elsa ed il pomo della
spada —s manego = manico, qui applicato all'elsa della spada.
103 Granala del Vagio la cotona ec. ..-. allude alla potente famiglia Pilli, che nell'arma aveva una colonna,
ossia una larga lista dipinta a pelle di vaio, animaletto di colore bigio scuro.
104 Sacluli, Giochi cc. -- sono nomi di famiglie fiorentine.
105 e quei che ga rosslo te. = quelli ch'ebbero vergogna per causa dello staio (tler) falsato da un loro
toiuangnineo con levarne una doga (l'urg. C. Xll) sono i Cliiaramontesi, i quali caddero quando i Cerchi furo
no cacciati (Fraticelli).
106 i Calfaei — abitarono nel sesto di porta Sanpiero.
107 zoco = ceppo.
394 DEL PA1UDISO
Alle cui idc Si/ i ed Arrigucci. In alto rango alzai Sizi e Ariguci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti Oh come ho visti quei andar desfati
Per lor superbia ! e le palle dell'oro Per boria! e dir che le so baie d'oro 110
Fiorian Fiorenza in tutti i suoi gran fatti. Fornia Firenze in tuli i so gran fali!
Così facean li padri di coloro. Cussi faseva i pari de coloro,
Che, sempre che la vostra chiesa vaca, Che, quando el vescovado xe vacante
Si fanno grassi, stando a consistero. I ghe magna l'entrada in concistoro.
L'oltracotata schiatta, che s'indraca E za la razza altiera, che rogante 115
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra '1 dente, Xe con chi scampa, e a cui ghe mostra el dente
Ovver la borsa, com'agnel si placa, O l'oro, la s'incurva sin le piante,
Già venia su, ma di piccola gente ; Vegniva suso, ma da bassa zente ;
Sì che non piacque ad Ubertin Donato E ga despiasso a l'TJbertin Donato
Che '1 suocero il facesse lor parente. Che lo fazza el missier de quei parente. 120
Già era '1 Caponsacco nel Mercato Caponsaco, abitante del Mercato,
Disceso giù da Fiesole, e già era Vegnù zoso da Fiesole za '1 gera :
Buon cittadino (ìnula ed Infangato. Gera bon citadin Guida e Infangato.
Io dirò cosa incredibile e vera: Dirò cossa a no crederse ma vera :
Nel picciol cerchio s'entrava per porta, La picola cità gavea l' intrada 125
Che si nomava da quei della Pera. Per la porta ch'el nome ha avù dai Pera.
Ciascun, che della bella insegna porta Chi l'arma soa co l'arma ga incrosada
Del gran barone, il cui nome e '1 cui pregio Del gran baron, che da Tomaso ancora
La festa di Tommaso riconforta, La memoria del nome è festegiada,
Da esso ebbe milizia e privilegio ; L'ha avudo tante distinzion che onora; 130
. Avvegna che col popol si rauni $ibeu trarse al parlio se veda ancuo
Oggi colui, che la fascia col fregio. Del popolo quel tal che l' arma indora.
Già eran Gualte'rotti ed Importuni, Za i Gualteroti e i Importuni e el suo

108 Sizi e Ariguci .-- abitarono nel sesto di porta di Duomo.


112-114 Custi fateva i pari dt cataro ee. = i padri, cioè gli antenati dei Visioinmi, dei Tosinghi e Jri
Cortigiani, famiglie venute dalla stessa origine, che sono gli economi del Vescovato di Firenze, e quando oc r
vacanto la sede, vanno a stare insieme nel palazzo vescovile, ed ivi a mangiare e bere. — entrada = radila-
119 L'òerlin Donali = arendo questi sposata una figlia di Bellincione Berli, mostrò molto sdegno che il
suocero maritasse poi un'ultra figlia ad uno degli Adimari siccome di vile origme.
120 mitticr = suocero.
121 Caiiomaca = la famiglia dei Caponsacelii, discusa da Fiesole, abitava nella contrada del Mercato Vec
chio. Una Caponsacco fu maglie di Folco Portinari, e madre di Beatrice.
123 Guitta te. = cioè Guida Guidi e la famigiia degli Infangati (Bianchi:.
126 ck'et nome ha avù dai Pera = cioè da una famiglia privala prendeva nome una porta della citIà e «
chiamava Porta Pcruzza.
187-123 C/n /'orma soa ee, = le famiglie Pulci, Nerli, Gangalandi, Giandonali e quei della Bella, nell'arnia
loro inquartarono quella del barone Ugo, che, morto in Firenze nel 1106, aveva in addietro tutti gli anni onori
e lodi il di di S. Tommaso nella Chiesa della Badia ov'è sepolto. Oggi queste lodi non si sentono più, e sola
mente in quel giorno i monaci si contentano di esporre l'armatura del busto di lui, e lo stemma (Bianchi). FI
Vicario di Toscana per Ottone III.
130 laine distinzian = cioè titolo di cavaliere C privilegi di nobilIà.
132 luti lai che l'arma indora = cioè quegli che cinge intorno d'un fregio d'oro l'arma, ossia lo sitami
di l'go. Viene in questo modo accennato Giano della Bella, il quale sdegnato delle inscienze dei grandi, fu nrl
1293 promotore degli ordinamenti di giustizia, per cui. furono eselusi i nobili dal poter essere dei Signori e moh'
cose si provvidero perchè i loro delitti non andassero impuniti. Ma poi pci-jegnilato dall'invidia e dall'odio Jn
grandi da lui offesi, e poco fidando del favore di un popolo incostante, pre.-i- un volontario rnilio il » .Ma"0
129 5, e si mori in Fraueia.
CANTO XVI. 395
Ed ancor saria Borgo più quieto, Murivi, i sarare in pase e senza (lano,
Se di nuovi vicin fosser digiuni. Se no i gavesse quei ricini avuo. 135
La caia, di che nacque il rostro fleto, La casa che re ga portà '1 malano,
Per lo giusto disdegno che \" ha morti, E ha chiapà con vason quel imbilada,
E posto fine al rostro rirer lieto, Causa de tanto mal e tanto aliino,
Era onorata ed essa e suoi consorti. Come i amici soi gera onorada.
O Buondelmonte, quanto mal fuggisti O Bondelmonte gramo, che schivà 140
Le nozze sue per gli altrui conforti ! Ti ha le so nozze drio una chiachiarada !
Molti sarebber lieti che son tristi, Tanti el ben i avarla che più no i ga,
Se Dio t'avesse conceduto ad Ema Se ne l'Ema negà te avesse Dio
La prima rolla ch'a città venisti. El primo di che ti è regnù in cità.
Ma conreniasi a quella pietra scema Ma Firenze za aveva stabilio 145
Che guarda '1 ponte, che Fiorenza fesse Sul fin del so splendor, feria nel cuoi,
Vittima nella sua pace postrema. Sacrificarlo al pie del falso dio.
Con queste genti, e con altre con esse, Con queste e altre famegie, in tanto fior
VM'iu Fiorenza in sì fatto riposo, Visto ho Firenze, che de eh il guera
Che non avea cagione onde piangesse. Nissun motivo avea d'aver tinnir. 150
Con queste genti vid'io glorioso, Con eie quanto giusto e forte gera
E giusto '1 popol suo tanto, che '1 giglio Visto ho 'l popolo suo, che in zo voltada
\»n era ad asta mai posto ritroso Xc stada mai su l'asta la bandiera,
Nè per divisTon fatto vermiglio. Nè gnanca dai partidi insanguenada.

13(5 La aita the. vi ga parla el malano = la famiglia degli Amidi-i, ondYldie erigine la divisione di Firenze
in Guelfi e Ghibellini.
Ili rfn'ri nau eliinchiarada = in scrailo ad una elliaelliernU; cioe per l'impulso elic a mancare di parola
alle nozze stabilite rolli fanciulla Amidi-i esso Buondelmonte ebbe dalla madre della fanriulin de' Donati. (Bianchi).
143 l'Inni .-- fiumii-rllo elic si deve passare da Montchuoni, castello dri Bnondelinonti per venire a Firenze.
147 ni pie siti falso dio = cioè .IMI, i statua di Marte mutilata da quando il ponte vecchio cadde nell'anno
1173, a 25 Novembre, e che guarda esso ponte. Quivi fu ucciso noi 1215 Buoudelmonte dagli Amidi-i e loro
consoni.
396 DEL PARADlSO

CANTO DEClMOSETTlMO
Lo buon congiunta a Dante dà contezza A Dante Cacciaguida vien a dir
Do lo suo esilio, e quanto gli dichiara De lu l'esìlio, e quanti a questo drio
Dee sofferirne strazio ed amarezza; Dolori e afani ol dovara patir.
lndi lo sprona che quant'ivi impara E dopo, quanto ch'el ga lu sentio,
E quanto vide negli altri due regni, E nei altri Ho regni el ga osservà,
Senza temer, con penna ardita e chiara Senza paura de pagar el fio,
Liberamente in carte verghi e segni. A scriver ghe da cuor con verita.

venne a Climonè, per accertarsi Come per saver quel che contradio
Di ciò ch'aveva incontro a sè udito Gh'è sta, xe andà da Climen chi tegnir
Quei ch'ancor fa li padri a' figli scarsi ; Da le vogie dei fioi fa i pari indrio ;
Tale era 'io, e tale era sentito Cossi mi gera, e m' ha savù capir
Da Beatrice e dalla santa lampa, Bice e la luse santa, che de sito 5
Che pria per me avea mutato sito. S'ha cambià per più arente a mi vegnir.
Per che mia Donna : Manda fuor la vampa Tanto è vero che Bice la m' ha dito :
Del tuo disio, mi disse, si ch'ell'esca El desiderio tuo meti pur fora
Segnata bene dell'interna stampa ; Cussi, che el sorta dal to cuor pulito ;
Non perchè nostra conoscenza cresca No per megio saver quel che qua sora 10
Per tuo parlare, ma perchè t'ausi Savemo, ma sì a dirlo aciò ti te usi,
A dir la sete, sì che l'uom ti mesca. Onde l'omo te apaga co te ocora.
O cara pianta mia (che si t'insusi, O cara mia raise, che ti lusi
Che, come veggion le terrene menti Qua, e come poi vèder l'umana mente
Non capere in triangolo du' ottusi, 1 Che no sta in un triangolo do otusi, I"'
Cosi vedi le cose contingenti Le cosse ti poi vèder chiaramente
Anzi che sieno in sè, mirando '1 punto, Che le ga da vegnir vardando in Dio,
A cui tutti li tempi son presenti) Al qual qualunque tempo xe presente,
Mentre ch' i' era a Virgilio congiunto Mentre a l'lnferno col Virgilio mio
Su per lo monte, che l'anime cura, /ii .iva intorno, e al Monte, dove bela 20
E discendendo nel mondo defunto, Vien l'anema, l'augurio go sentio

1.3 Fetonte il cai triste line nel guidare il carro del Sole, clic il padre vinto dalle sue molle preghiere
aveagli concesso, altra volta fu accennato (vedi Purg. C. XXlX, v. 113-120), venne affannoso a dimeno sua ma
dre per farsi certo se egli fosse veramente figlio di Apollo, perchè da Epofo, tiglio di Giove, cragli stata con
traddetta quella origine = Iegnir Da le vogie dei fioi fa i pari indrio = cioè l'esempio di Fetonte fa essere i
padri meno condiscendenti ai desideri dei ligli.
5 i. ln lme tanta = cioè la luce di Cacciaguida.
6 S'ha cambià = si cangiò, essendo dal braccio destro della Croce disceso al piede di essa. Vedi C. XV.
v. 19 e seguenti.
8 meli pur fora = apri francamente.
12 co = quando.
13 mia raisc = mia radice; qui sta per origine di famiglia, ceppo.
15 ila otiati — è sottinteso due angoli ottusi.
20 ni Monte = del Purgatorio.
21-23 l'augurio ga «enda ec. = allude ai tristi annunzi a lui falli du Fni.inata, Brunelle Uitini. Corrado
Molospiua e C-derisi d'Agobbio (vedi C. X. v. 79-81, e C. XV. v. til e seg. dell'1nf. e C. Vili. v. 133.13H * C.
XXlV. v. 43 e seg. del Purgatorio).
CANTO XVII. 397
Dette mi fùr di mia vita futura Che m' ha dà la brutissima nuvola
Parole gravi ; avvegna ch'io mi senta Sul resto de mia vita, siben sia
Ben tetragono ai colpi di ventura. Mi pronto ai colpi de nemiga stela.
Per che la voglia mia saria contenta Gran vogia de saver perciò avaria 25
D'intender qual fortuna mi s'appressa; El mio destin, chè, quando se lo sa,
Che saetta previsa vien più lenta. Manco dolor sentir fa la feria.
Cosi diss'io a quella luce stessa, Cussi a Caciaguida go parlà ;
Che pria m'avea parlato ; e, come volle E come Bice la voleva, a lu
Beatrice, fu la mia voglia confessa. Quelo che aveva in cuor go spiferà. 30
Non per ambage, in che la gente folle No in modo scuro, che inzucava su
Già s'invescava, pria che fosse anciso La sioca zente che adorava i dii
L'Agnel di Dio che le peccata lolle, Avanti de la morte de Gesù ;
Ma per chiare parole, e con preciso, Ma sii chiari discorsi xe sortii
Latin rispose quell'amor paterno, Da la lucerna del parente mio, 35
Chiuso e parvente del suo proprio riso : Mostrandose più lustra ai ochi mii :
La contingenza, che fuor del quaderno I fati in mezo al dubio ancora indrio,
Della vostra materia non si stende, Che l'omo no li vede ni indovina,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno. Tuli presenti sta davanti a Dio.
Necessità però quindi non prende, Perciò necessità no li strassina, 40
Se non come dal viso, in che si specchia, Come l'ochio no fa che barca inviada
Nave, che per corrente giù discende. Da la corente, in grazia soa camina.
Da indi, sì come viene ad orecchia Da Dio '1 tempo me vien, come sonada
Dolce armonia da organo, mi viene De l'organo a la rechia, e te so dir
A vista '1 tempo, che ti s'apparecchia. Quala sorte per ti xe parechiada. 45
Qnal si parti Ippolito d'Atene Come da Atene Ipolito partir
Per la spieiata e perfida noverca, L' ha dovù per la birba so maregna,
Tal di Fiorenza partir ti conviene. Ti da Firenze te convien sortir:
Questo si vuole, e questo già si cerca, Questo se voi, se cerca aciò ch VI regna,
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa E lo farà chi pensa a questo, là 50
Là, dove Cristo tutto dì si merca. Dove Cristo se vende e se lo impegna.
La colpa seguirà la parte offensa Come sempre, la colpa la sarà
In grido, come suoi : ma la vendetta De chi ha la pezo, ma la pena in chiaro
Fia testimonio al ver che la dispensa Melerà ben la pura verità.
Tu lascerai ogni cosa diletta Tuto ti lasserà che ti ha più caro; 55
Più caramente: e questo è quello strale, Che l'esser da la patria mandà in bando,
Che l'arco dell'esilio pria saetta. Per el bandio xe '1 primo passo amaro.
Tu proverai sì come sa di sale Come dei altri el pan ti andrà provando
Lo pane altrui, e com'è duro calle Sia tossego, e dei altri sia pesante
Lo scendere e '1 salir per l'altrui scale. Far le scale su e zo de quando in quando. 60

30 go tpitcrà = ho spiattellato.
31 mzucava = sbalordiva.
•16 Ipolito = Ippolito partissi calunniato da Ateae per non volere aderire alle inique voglie di Fedra sua
iMlngna.
E lo farci chi pana a yursfo, là Dove Mito a. = cioè quelli della Curia Romana.
398 DEL PARADISO
E quel che più ti graverà le spalle, Ma de le toe malore tante e tante,
Sarà la compagnia malvagia e scempia, IVzn sarà trovarle co la mota
Con la qual tu cadrai in questa vallo; De zente tressa assae, zente ignorante;
Chc tutta ingrata, tutta matta ed empia Che ingrata, mata, e in baronada rota,
Si farà contra te: ma poco appresso Contro de li se voltarà; ma presto
Ella, non tu, n'avrà rotta la lempia. Eli avarà, no ti, la testa rota.
Di sua bestialitate il suo processo Farà i maroni soi veder, del resto,
Farà la pruova, sì ch'a te fia bello 1 fati in fin cossi, che onor sarà,
Averti fatta parte per le stesso. De li ch'el so pai tio ti ha avudo in cesto.
Lo primo tuo rifugio e '1 primo ostello El to primo refugio ti avarà
Sarà la cortesia del gran Lombardo, A Verona ai coverti del Gran Can,
Che in su la scala porta il santo uccello: Che su la scala ha l'aquila segnà;
Ch'avrà in te sì benigno riguardo, El qual se mostrerà tal cortesan,
Che del fare e del chieder tra voi due Che avanti ti ghe sporzi la domanda,
Fia primo quel, che tra gli altri è più tardo. Lu primo a ti te sporzerà la man. 75
Con lui vedrai colui che impresso fue, Con lu ti vederà chi virtù granda
Nascendo, sì da questa stella forte, Ga dà in nasser sta stela, e darà '1 cigo
Che mirabili fien l'opere sue. Del so valur la fama da ogni banda.
Non se ne sono ancor le genti accorte Sol nove ani ga quel del qual mi digo;
Per la novella età, che pur novi- anni . Perciò ancora nissun no sa de lu ; 80
Son queste ruote intorno di lui torte. Ma avanti che 1'ingano el grando Arigo
Ma pria che 'I Guasco l'alto Arrigo inganni, El gabia da Clemente ricevù,
Parran faville della sua viriaIe, In no curar i bezzi e in laòrar,
In non curar d'argento, nè d'afTanni. El darà segni chiari de virtù.
Le sue magnificenze conosciute La splendidezza soa elo in sfogiar, 85
Saranno ancora sì, che i suoi nlmici Sin i nimici soi, ch'el ga un cuor belo
Non ne potran tener le lingue mute. I dovarà per forza confessar.
A lui t'aspetta ed a' suoi benefici: Lu te farà del ben : in grazia d'elo
Per lui Ila trasmutata molta gente, Cambiarà la so sorte tanta zente,
Cambiando condizion ricchi e mendici. Fando povàro questo e rico quelo.
E porteraine scritto nella mente Quanto digo de lu tientelo in inente,
Ili lui, ma noi dirai... E disse cose Ma noi dir a nissun e cosse el dise
Incredibili a quei che fia presente. Da no creder da chi sarà presente.
Poi giunse : Figlio, queste son le chiose E po : Le cosse queste xe precise

62 mota =. ciurma, moltitudine.


63 ; i' n h- tressa = gentaccia triste, cattiva.
66 In Iella rota - il malanno, la peggio.
67 m/ir,ini = strafalcioni, farfalloni, ossia errori madornali.
69 ni
m coverti
celta ==haisotto
avuto in tasca, a carte quarantotto.
71 il tetto, cioè nel palazzo = del Gran Can = si accenna uno degli Scaligeri_ di xerau
la cui insegna era una scala sormontata da un aquila chiamata santo uccello, perelio segno dell Impero ila in
voluto (Bianelii).
73 lai cortesan = cosi generoso, liberale.
76 ehi = il giovinetto Cane della Scala.
77
81 sia
Arigo itela
== da questa
Arrigo stella di Marte,
di Lussemburgo eletto dio della guerra.
imperatore nel 1308, mosse verso Italia nel_ 1310, quando «"•
aveva 19 anni, e fu mollo commiato da Papa Clemente V, elic da prima ve lo aveva inviiate.
(UNTO XVII. 599
Di quel che ti fu detto. Ecco le insidie, Che i t'ha dito velae, e ti sii guai M
Che dietro a pochi giri son nascose. Ti avarà tra pochi ani, o mia raise ;
Non vo' però, ch'a tuoi vicini invidie, I citadini toi no invidiar mai
Poscia che s'infutura la tua vita, Però, che vivo ancora ti sarà
Vie più là che '1 punir di lor perfidie. Dopo visti i briconi condanai.
Poi che tacendo si mostrò spedila Co '1 spirito beato ha terminà 100
L'anima santa di metter la trama Da dir su quanto ne la vogia mia
In quella tela ch'io le porsi ordita, D'informarme l'aveva interessà,
Io cominciai, come colui che brama, Come chi in dubio, consegiar voria
Dubitando, consiglio da persona, Co un omo giusto, svelto, e che ga cuor,
Che vede, e vuoi dirittamente, ed ama : Digo a chi m'ha parlà con cortesia: 105
Ben veggio, padre mio, si come sprona Vedo ben, pare, e za oramai l'odor
Lo tempo inverso me, per colpo darmi Mi sento del malan, che me vien drio,
Tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona: Che a chi più teme più ghe dà dolor:
Per che di provedenza è buon ch'io m'armi, Perciò de usar prudenza ho za capio,
Sì che, se '1 luogo m'è tolto più caro, Per no perder col logo che amo più, 110
lo non perdessi gli altri per miei carmi. Anca quei altri per el verso mio.
Giù per lo mondo senza fine amaro, Là zoso dove regna Belzebù
E per lo monte, dal cui bel cacume E al Monte dove da la cima bela
Gli occhi della mia Donna mi levaro, La Bice insin al elei m' ha levà su ;
E poscia per lo ciel di lume in lume, E po passando via de stela in stela, 115
lio io appreso quel, che, s'io '1 ridico, Go imparà quel che tanti sentirà
A molti fia savor di forte agrume. Con despiaser, se parlo, la novela ;
E s'io al vero son timido amico, E se mai taso mi la verità
Temo di perder vita tra coloro, Per limnr, temo scapitar in fama
Che questo tempo chiameranno antico. Tra quei che al mondo dopo regnerà. 120
La luce, in che rìdea lo miu tesoro Fata in prima più viva quela fiama,
Ch'io trovai lì, si fe prima corrusca, Dove se deliziava el mio parente,
Quale a raggio di Sole specchio d'oro : Come al ragio del Sol lucida lama,
Indi rispose : Coscienza fusca Respunde: Sarà garbo puramente
O della propria, o dell'altrui vergogna, El to discorso a quei che la pontura 125
Pur sentirà la tua parola brusca. Per le nuou sue, o dei soi, nel cuor i sente.
Ma nondimen, rimossa ogni menzogna, Ma per questo da dir no aver paura
Tutta tua vision fa manifesta; Tuto quel che ti ha visto, e po gratar
E lascia pur grattar dov'è la rogna. La rogna a chi la ga lassa la cura.
Che, se la voce tua sarà molesta Perchè se in sul principio desgustar 130
Nel primo gusto, vitai nutrimento Poi la ose toa, no importa, za che questa,
Lascerà poi, quando sarà digesta. Credi, dovarà in ultimo frutar.

, mia rnitr = è qui adoperata la frase per esprimere un senso affettuoso, e vale: mia gioia, vita min, e
simili.
104 Co = quando = e che rla cuor = e di buon cuore.
HO col /or/o che amo più = cioe la cara patria.
124 yarhii = aspro, necrbo.
1!6 o dei toi = o dei loro parenti.
l'I Iu ose Ina = la tua voce.
400 DEL PARADISO
Questo tuo grido farà come 11 vento, La farà com'el vento, che più pesta
Che le più alle cime più percuote : Le alte cime, e alte più, più le bastona;
E ciò non ila d'onor poco argomento. E farà questo che più onor te resta. 135
Però ti son mostrale in queste ruote, Però in dove là zo no se perdona,
Nel monte, e nella valle dolorosa, Al Monte, e in questi cieli, de la zente
Pur l'anime, che son di fama note : Ti ga visto, dei quali fama sona ;
Che l'animo di quel ch'ode non posa, Che no se quieta quel che ascolta, e gnente
Nè ferma fede, per esempio c'haia Crede, quando provien da zente bassa 140
La sua radice incognita e nascosa, L'jesempio avù, nè questo gh'entra in mente,
Nè per altro argomento che non paia. Se da razza più nobile noi nassa.

136 m IÌHI-C là zo no ne perdona = cioè nell'Inferno.


137 Al Monte = vedi qui sopra la nota 20.
401

CANTO DECIMOTTAVO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Sale il Poeta al sesto Cielo ; scorge Ariva al sesto dei celesti regni,
Schiera che luminosa roteando Lumini vede Danto che zirando
Varie rigare di parole porge; De letere diverze i forma i segni;
la cui legge, cho qui vissero amando E da quele sto senso el vien cavando:
Santa Giustizia, ed or beali sono Che la santa Giustizia ava a moilelo
Nel cielo, e questo vaii significando Qua zoso in tera i ga vissudo amando,
Nel figurato lor tacito suono. E i xe adesso perciò beati in cielo.

Gii li godeva solo del mo verbo Quel spirito beato se godeva


Quello spirto beato : ed lo gustava Del pensier suo lu solo, e mi del mio
Lo mio, temprando '1 dolce con l'acerbo : Tra '1 dolce e '1 garbo, gusto anca gaveva;
E quella Donna, ch'a Dio mi menava, Co dise quela che me mena a Dio :
Disse : Muta pensier : pensa ch'io sono Cambia pensier: pensa che arente son
Presso a Colui, ch'ogni torto disgrava. A Quel dal qual xe '1 torto stezierio.
Io mi rivolsi all'amoroso suono De quela vose a l'amoroso son
Del mio Conforto : e quale io allor vidi Me volto ; e a dir l'amor, che xe spoutà
Negli occhi santi amor, qui l'abbandono : Dai ochi santi, lasso in abandon ;
Non perch'io pur del mio parlar diffidi; Che parole adatae trovar no sa, 10
Uà per la mente, che non può redire Nè tanto recordar poi la mia mente,
Sovra sè tanto, s'altri non la guidi. Se la Grazia el so agiuto no ghe dà.
Tanto poss'io di quel punto ridire, Ma questo dir mi posso certamente,
Che, rimirando lei lo mio affetto Che, ben fisso vardandola, el cuor mio
Libero fu da ogni altro disire. Nol sentiva altre vogie propriamente. 15
Fin che '1 piacere eterno, che diretto Insina tanto ch'el splendor de Dio
Raggiava in Beatrice, dal bel viso Su la Bice mandà, dal so bel viso
Mi contentava col secondo aspetto, Rivà in mi, de piacer me ga impinio ;
Vincendo me col lume d'un sorriso, Da l'estasi tolendome un soriso,
Ella mi disse: Volgiti ed ascolta: Eia me dise : Voltile, e po ascolta, ao
Che non pur ne' miei occhi è paradiso. Che sol nei ochi iiiìi no è '1 Paradiso:
Come si vede qui alcuna volta Come qua zo se vede qualche volta

3 Tra 'I dola e "1 garbo = cioè tra il piacere delle cose buone rivelategh da Cacciagiuaa, e d disgustoso
nell'udire da lui stesso il tremendo colpo elic la foriumi gli preparava, cioè Periglio.
4 Co = quando.
5 areate — dappresso.
6 A Quel — cioè a Dio -*- tlciierio = alleggerito ogni torto, esaliando l'ingiustomente perseguitato, e ca-
stigando e umiliando il maligno persecutore con giustiiia (Bianchi).
7 ton = suono.
15 altri vogit = altri desiderii-
26
402 DEL PARADISO
L'affetto nella vista, s'ello è tanto In nu l'ansia dai ochi sbrucar fora,
Che da lui sia tutta l'anima tolta ; Se in quei sia tuta l'anema racolta;
Così nel fiammeggiar del fulgor santo, Cossi '1 lusor, che m'ha parlà là sora, 35
A cui mi volsi, conobbi la voglia Dal quai me son voltà, lusendo più,
In lui di ragionarmi ancora alquanto. L' ha mostri vogia de parlarne ancora.
E cominciò: In questa quinta soglia E '1 scomenza : In sto quinto ciel qua su
Dell'albero che vive della cima, Che sempre de beati xe fiorio,
E frutta sempre, e mai non perde foglia, E ga dal più alto cielo la virtù, 30
Spiriti son beati, che giù, prima Ghe n'è de quei che avanti goder Dio,
Che venissero al ciel, fflr di gran voce I ha avudo in tera fauna tal e tanta,
Sì, ch'ogni musa ne sarebbe opima. Che materia a ogni Musa avria fornio.
Però mira ne' corni della croce : Varda su i tressi de la Crose santa :
E quel ch'io nomerò, lì farà l'alto Chi adesso chiamarò, comparirà 30
Che fa in nube il suo fuoco veloce. Com'ei lampo dal nuvolo se schianta.
Io vidi per la croce un lume tratto Apena Giosuè lu ga chiamà,
Dal nomar Giosuè, com'ei si feo; Per la Crose un lusor se ga movesti) ;
Nè mi fu noto il dir prima che il fatto. Nè l' ho sentio chiamar prima che ochià.
Ed al nome dell'alto Maccabeo E del gran Macabeo al nome, presto 40
Vidi muoversi un altro roteando; Un altro vedo andar gagio zirando
E letizia era ferza nel paleov Come a la stringa el tintolo va lesto.
Cosi per Carlo Magno, e per Orlando, De Carlo Magno al nome e a quel d'Orlando,
Duo ne seguì lo mio attento sguardo, Do cussi atento, conni varda, vardo,
Com'occhio segue suo falcon volando. El caziador el so falcon svolando. 45
Poscia trasse Guglielmo e Rinoardo Dopo ho visto Gulielmo e Rinoardo,
E '1 duca Gottifredi la mia vista, E "I gran duca Gofredo in quela Crose,
Per quella croce, e Roberto Guiscardo. E go visto Roberto e anca Guiscardo.
Indi, tra l'altre luci mota e mista, Po andando tra le altre aneme gloriose,
Mostrommi l'alma, che m'avea parlato, ,. La luse che ha parlà, sentir me fava 50
Qual era tra i cantor del cielo artista. Tra quei cantori una stupenda vose.
lo mi rivolsi dal mio destro lato, Dopo, da novo a drita me voltava,
Per vedere in Beatrice il mio dovere, Per poder ne la Bice duscovrir
O per parole, o per atto, segnato; Quel che a moti o a parole me ordinava;
E vidi le sue luci tanto mere, E alegri tanto i ochi soi vegnir 55
Tanto gioconde, che la sua sembianza Go visto, e cussi puri, che eli torlo

23 sbracar ..-- mandar fuori lutto ad ini trailo.


25 el lusor — cioè l'anima splendente di Cacciarmda.
30 dal più alla cielo = cioè dall'Empireo, ove risiede Dio.
33 a ogni Musa = ad ogni poetn.
34 (rei» - . le due liste che formano la santa Croce.
37 Giosuè = successe a Mose nella condotta del popolo Ebreo, e conquistò lu terra promessa.
40 Macabro = Giuda Maccabeo elic liberò il popolo Ebreo dalla tirannidc di Antioco.
41 gayio =-. lieto.
42 stringa = sferza - troiaio ----- palèo, stornello.
43 Carlo Magno e Orlando = molto operarono a difesa della Chiesa e contro i Mori e contro i Longotwnl'
46 Gulielmo = fu conte di Oringa in Provento, e figlio del conte di Narboua = Hinoardo = fa uomo 't*•
tissimo, e col dello Guglielmo molto combatte per la fede cristiana contro i Mori.
CANTO xvai. 403
Vincerà gli altri e l'ultimo solere. Fava a l'altre so ochiae. Come in sentir
E come, per sentir più dilettanza Più'l piacer fando el ben, l'omo ha '1 conforto
Bene operando, l'uom di giorno in giorno De veder de dì in dì che più la sua
S'accorge che la sua vtrtute avanza ; Virtù crossando va ; cussi m' ho incorto, 60
Si m'accors'io, che il mio girar intorno In veder la delizia mia vegnua
Col cielo insieme avca cresciuto l'arco, Più bela ancora, che la mia zinula
Veggendo quel miracolo più adorno. Col ciel, gera in larghezza più- cressua.
E quale è U trasmutare, in picciol varco E come in dona bianca svergognada
Di tempo, in bianca donna, quando '1 rollo Mua color presto el viso, segno in eia 65
Suo si discarchi di vergogna il carco ; Che la vergogna la ghe xe passada;
111 fu negli occhi miei quando fui vólto, L'ochio in zirar da questa parte a quela,
Per lo candor della temprata stella Vedo in bianco cossi '1 rosso cambiar;
Se-la , che dentro a tè m'avea ricotto. Entrava alora in te la sesta stela.
Io vidi in quella gloviai facella Là go visti beati sfiamegar, 70
Lo sfavillar dell'amor che lì era, E li ho visti coi lumi sci là via
Segnare agli occhi miei nostra favella. Dei bei scriii latini figurar.
I come augelli surti di riviera, E come i oseleti in alegria
Quasi congratulando a lor pasture, Ben ben passui da l'arzare levando,
Fanno di sè or tonda or lunga schiera ; ' In fila o a roda i svola atorno via; 75
Si dentro a' lumi sante creature Talequal quei lusori a pian svolando,
Volitando cantavano, e facienst In sè stessi i vegnia, mentre i cantava,
Or D, or I, or L in sue figure. Un D, un I, un L dissegnando.
Prima cantando a sua nota moviensi ; Prima a tempo de canto eli svolava,
Poi, diventando l'un di questi segni, E co i gavea formà un de quei segni, 80
Un poco s'arrestavano e taciensi. Un pocheto tasendo i se fermava.
O diva Pegasèa, che gl'ingegni O Caliope divina, che i inzegni
Fai gloriosi, e rendigli longevi, Per ti i ga gloria, e in fama i poi durar
Ed essi teco le cittadi e i regni, Co l'agiuto de ti cità e regni,
Illustrami di te sì, ch'io rilevi De quela tua virtù fame invasar 85
Le lor figure com'io l'ho concette : Tanto, che quel che ho leto dir lampante
Paia tua possa in questi versi brevi. Sapia, e in sti versi el poder tuo mostrar.
Mostrarsi dunque cinque volte sette Là donca tra vocali e consonante
Vocali e consonanti ; ed io notai Letere trentacinque figurava,
Le parti sì, come mi parver dette. E '1 senso go levà da tute quante. 90
Dilìyile justitiam, primai Diligile justitiam, scomenzava
Far verbo e nome di tutto 'l dipinto : Verbo e nome el dissegno, e a queste drio

57 io oc/use = sui' occhiate.


63 Come si vedrà qui in appresso Dante si elevò ad un cielo più alto, e conscguentemente di più larga
nrconferenia.
65 Una — cangia.
(8 Vtdo in bianco tutti 'I rana cambiar = dinoia il passaggio dal cielo di Marle di rosso colore (vedi il
c- XIV. v. 86, 87) a quelhi di Giove lutto bianco,
69 la sesta itela = cioè il cielo di Giove.
. 78 nn D te. = sono le tre prime lettere della parola Diligile, del detto Scritturale: Diligile juttitiam qui
7MMÙ Itrrain.
** O Caliope = quella tra le Muse che presiede alla poesia eroica.
W lampante = evidentemente.
404 DEL PARADISO
Qui indicati^ tervarn, fur sezzai. Qai judicatis ter rum lo ultimava :
Poscia nell'M del Vocabol quinto Po, co nel M i s' ha, come in so nio
Rimasero ordinate; sì che Giove De l'ultima parola conzai, Giove 95
Pareva argento lì d'oro distinto. Ga parso arzente in oro fm fornio.
E vidi scender altre luci dove E calar z0 altre luse ho visto, dove
Era '1 colmo dell'M, e lì quotarsi Xe la cima de 1' M, e là restar
Cantando, credo, il ben ch'a sè le muove. Cantando, credo, el Ben che a Lu li move.
Poi, come nel percuoter de' ciocchi arsi Dopo, come vien fora col pestar . 100
Surgono innumerabili faville, Si.i/.zi impizzadi de l'ulne un ster,
Onde gli stolli sogliono augurarsi; Da le quali l'augurio voi cavar
Risurger parver quindi più di mille I alochi; de lusori andai xe un mier
Luci, e salir qual assai e qual poco, Più o manco in su, conforme Dio ga dà
Sì come '1 Sol, che l'accende, sortine. A lori posto e luse da godèr. 105
E, quietata ciascuna in suo loco, E co tute al so nio le s' ha nichià,
La testa e '1 collo d'un'aquila vidi M' ha quei novi lumini la figura
Rappresentare a quel distinto foco. Da testa a colo d'aquila mostrà.
Quei, che dipinge lì, non ha chi '1 guidi; Nissun a Quel che là fa la pitura
Ma esso guida : e da lui si rammenta Gho insegna; Dio fa luto, e vien da Dio HO
Quella virtù ch'è forma per li nidi. Quel'arte che ga i esseri in natura.
L'altra beatitudo, che contenta De far d'eli corona ga sentio
Pareva in prima d'ingigliarsi all'emme, Vogia i altri beati al M, e quela
Con poco moto seguitò la imprenta. Con pochi movimenti i ga compio.
O dolce stella, quali e quante gemme Quanti e quali beati, o cara stela, 115
Mi dimostraron, che nostra giustizia Me ga mostrà vegnir giustizia umana
Effetto sia del cielo che tu ingemme ! Dal ciel, che luse a la to luse bela !
Per ch'io prego la mente, in che s'inizia Perciò mi prego Dio del ben fontana,
Tuo moto e tua vii tuie, che rimiri Che influir te fa e mover, che un oeliiada
Ond'esce '1 fumo, che '1 tuo raggio vizia; El daga dov'è '1 fumo che te apana ; 120
Sì che un'altra fiata omai s'adiri E in colera da novo, drento el vada
Del comperare e vender dentro al tempio, In quela Chiesa a veder roercantar,

84 Po — poi, poscia — t•(i-- quando.


95 conzai — acconciali.
98 Si viene qui designando l'aquila imperiale, conservatricc di giustizia sulla terra. Io tatto Ire le C»i-
che si vede o apertamente o sotto il velo dell'allegoria esaltato con tanto amore il principiu politico doH'hn|»r
da far credere anche a chi non vuoi credere, che se il line prossimo del goveruo è la rigenerazione morale, i!
remoto è il ristabilimento dell'Impero latino (Bianchi).
99 ci Bea che a Lu li move — cioè Dio.
101 Slizzi — tizzoni - un iter = uno stajo, per significare inuumerevuli scintille (fatine).
102 Da le quali l'augurio = allude a quel volgare augurio che alcuni, allorchè vedono sorgere dai lini
ardenti le faville, fanno a sè ntessi dicciulo: oh avessi io tunii fiorini d'oro I
103 / alochi = gli stolti = un mier = un migliaio.
106 nio = nido.
Ili che ga i entri in tmtura -- cioè gli uomini e animali.
113 Vagiti =; desiderio = i altri beati — cioè l'altra schiera degli spirili beali, che si era fermati in cm"
della M. Vedi i v. 97-98.
115 ittla = cioè il cielo di Giove.
118-117 vegnir giustizia umana ee. = fu opinione degli antichi che il pianeta di Giove influisca «iih giu
stizia in terra.
I2O el fumo che te apana — per questo fumo è intesa l'avariila che appanna, elic offusca ogni
specialmente la giustizia.
122 l'i quela Chiesa a veder mercantar = come quando G. Cristo vide i venditori nel tempio.
CANTO XVIII. 405
Che si murò di segai e di martiri. Che i martiri e i miracoli ha impiantaci
O milizia del ciel, cu'io contemplo, 0 beati, che venero, pregar
Adora per color, che sono in terra Per quei ve piasa, che desviai qua in tera 125
Tatti sviati dietro al malo esemplo. , . Xc tuli dal brutissimo esemplar.
Già si sulea con le spade far guerra ; 1 fava al tempo indi-io co l'arma guera ;
Ma or si fa togliendo or quindi or quivi Adesso in tor el pan, più i xe calivi,
Lo pan, che '1 pio padre a nessun serra. Che Dio dispensa a ognun malina e sera.
Ma la, che sol per cancellare scrivi, Ma pensa ti che per scassar ti scrivi, 130
Pensa che Pietro e Paolo, che moriro Che morti Piero e Polo pel santo Orto,
Per la vigna che guasti, ancor son vivi. Che ti mandi in rovina, i xe in ciel vivi.
Ben puoi tu dire: Io ho fermo '1 disiro Ti poderà ben dir per to conforto
Si a colai, che volle viver solo, Quel solo adoro, che ha vissudo solo,
E che per salti fu tratto al martiro. E per i bali martire el xe morto. 135
Ch'io non conosco il Pescator, nè Polo. Nè '1 Pescaor conosso, nè San Polo.

126 dal bruliirimo eiemplar = i riferito al trista esempio dei Romani pastori.
128 m lar ti jian = nel togliere il pane, cioè li Sacramenti della Chiesa che sono il pane spirituale dei
tiltolici.
130 Ma penta li che per scansar te. = (l'invettiva è rivolta a Papa Bonifazio) cioè, che scrivi le ccnsurc non
fa correggere e gastigare, ma per venderne poi la rivocazione e la riconciliazione, cassandole.
131 fui ionio Orlo — detto metaforicamente per la Chiesa di G. C.
131 i j-e in citi vivi .-- volendo significare: per punirti.
133-134 Ti tmi/erà btn dir et. = il santo di ciu si protesta devoto questo buon papa, è il Battista, non
quello però che vive in ritin, ma quello che vedesi improntato sni fiorini d'oro della Repubblica di Firenze.
Gio. Battista fu tratto ni martirio per salti e balli della figlia del re Erode; la quale arendo saltato nel con
iilo, domando al padre, per conforto della madre il capo di S. Giovanni Battista, e da quello le fa dato per il
'allo giuramento.
138 Ni 'I Pesmor = cioè San Pietro = Polo = S. Paolo.
406 DEL PARADISO

CANTO DECIMONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Molte bell'alme insieme collegate Tra nle tacae, tante aneme el dissegno
Forman l'aguglia, onde il Poeta apprende D'un aquila le forma, e Dante quanto
Quel che indarno volca molte fiate, Da qnela intende, che col proprio Inzegno
II benedetto rostro poi riprende Mai l'ha capio. Po parla el beco santo
Li re malvagi, entro al cui sen Oiuetizia Contro i re infami, che no ha svii Oiustiiis;
I ..'i sua pura facella non accende ; Nei popoli perciò s'ha mosso el pianto
Sicchè il mondo patio di lor nequizia. Su i bruti efeti de la so malizia.

Parea dinanzi a me coll'ali aperte De fazza a mi co l'ale destirae


La bella image, che nel dolce fruì Gera el bel segno, e col pensier in Dio
Liete faceva l'anime conserte. Le aneme se godeva là niehine,
Parea ciascuna rubinetto, in cui Pareva ognuna un bel rubin forfoio,
Raggio di Sole ardesse sì acceso, Che dal Sol inflamà, el Sol istesso
Che ne' miei occhi rifrangesse lui. Refletesse da lu su l'ochio mio.
E quel, che mi convien ritrar testeso, E la cossa, che son per dir adesso,
Non portò voce mai., nè scrisse inchiostro, lìoca ha mai dita, nè i' ha in scritti leta
Nè fu per fantasia giammai compreso : Né in fantasia l' ha mai avudo inpresso ;
Ch'io vidi, ed anche udii parlar lo rostro, Perchè ho visto e sentio con vose schieta It
E sonar nella voce ed Io e Mio Dir su el bèco un discorso in singolar,
Quand'era nel concetto e Noi e Nostro. Siben tute el so sugo in quel ghe meta;
E cominciò : Per esser giusto e pio E el dise: Per el mio giusto operar,
Son io qui esaltato a quella gloria, Tanta la gloria le che mi go qua,
Che non si lascia vincere a desio. Che no posso de più desiderar;
Ed in terra lasciai la mia memoria E al mondo tal memoria go lassà,
Sì fatta, che le genti lì malvage Che i e in lodar la bruta /ente brava,
Commendan lei, ma non seguon la storia. Ma drio a quel che go fato no la va.
Così un sol calor di molte brage Come da tante bronzc se ghe cava.
Si fa sentir, come di molti amori Un calor solo, l'aquila cussi
Usciva solo un suon di quella image. Da tante luse una sol luse dava :
Ond'io appresso : O perpetui fiori O lumi, che alegrezza qua sentì
Dell'eterna letizia, che pur uno Per sempre, digo, e i canti quasi i sorta
Sentir mi fate tutti i vostri odori, Da una sol vose fe sentir a mi;

1 De fazza -- dirimpetto - co l'ale = eoo le ali.


2 el bel tcgno — l'immagine dell'aquila imperiale formala dalla disposizioni dei santi lumi.
12 sugo —• succo, qui sta per sostanza di un discorso.
16 mi memoria = cioè tal bella fama.
17 bruta zenit — qui sta per gente malvagia.
19 bronzi ---- brage, carboni accesi.
CANTO XlX.. , 407
Solretemi, spirando, il gran digiuno, Disè parole mo che chiaro porta 25
Che lungamente m' ha tenuto in fame, Al dubio che ho da un pezzo, mentre in tera
Non trovando lì in terra cibo alcuno. Per torghe el scuro ogni rason xe morta.
Ben so io che, se in ciclo altro reame Che la giustizia de Chi in cielo impera,
La divina giustizia fa tuo specchio, Sora vualtri reflete come là
ll vostro non l'apprende con velame. ^ Su i alti Troni, a conoscenza gera. 30
Sapete come attento io m'apparecchio Vualtri xavè che ateutamente qua
Ad ascoltar; sapete quale è quello Ve ascolto ; e qual savè dubio mi aspeto
Dubbio, che m'è digiun cotanto vecchio. Da tanto tempo ch'el me sia levà.
Quasi falcon, che, uscendo del cappello, Come la testa soa move el falcheto,
Muove la testa, e con l'ai» s'applaude, Ala contro ala in gringola sbatendo, 35
Voglia mostrando, e facendosi bello; Apena liberà dal capeleto ;
Vid'io farsi quel segno, che. di laude .' Nei so lumi cossi l'aquila ardendo
Della divina grazia era contesto, Con quei canti fazzea, che in lode a Dio
Con canti, quai si sa ehi lassù gaude. l canta in ciel. Dopo la vien disendo :
Poi cominciò : Colui, che volse il sesto Chi del mondo el confili ga stabilio 40
Allo stremo del mondo, e dentro ad esso E de quel che gli' è drento el fa che a nu
Distinse tanto occulto e manifesto, Parte sconto ne sia, parte schiarili ;
Non poteo suo valor sì fare impresso ln tutto el mondo de la soa virtù
ln tutto l'universo, che '1 suo verbo El segno l'ha lassà solo un pochino,
Non rimanesse in infinito eccesso. E imenso è '1 reato ch'el tien sconto in Lu. 45
E ciò fa certo, che '1 primo Superbo, E l'aiuolo che gera el più perfeto,
Che fu la somma d'ogni creatura, '. • i Mostra el fato, che, altier, precipità
l't.r non aspettar lume, cadde acerbo. u i. • • El xe per sforzar tropo el so inteleto :
E quinci appar, ch'ogni minor natura. Perciò xe chiaro, che no poderà
E corto ricettacolo a quel Bene, • • ' Una umana natura Dio capir, 50
Ch'è senza fine, e sè con sè misura. • •i• • Ch'Elo sol se capisse, e un noi ga.
Dunque nostra veduta, che conviene ! Donca la mente nostra, siben dir
Essere alcun de' raggi della mente, Se possa un ragio de l'Eterna mente,
Di che tutte le cose son ripiene, Che ogni cossa nel mondo sa impinir,
Non può di sua natura esser possente ; '• No poi per so natura certamente 55
Tanto, che 'l suo principio non discerna Veder Dio in tuta quanta la possanza,
Molto di là, da quel ch'egli è, parvente. ' Ma ne la so aparenza solamente,
Può nella giustizia sempiterna i ••' La vista, che avè avua da Dio, se Mun /a
La vista, che riceve il vostro mondo, ••• • Ne la giustizia Eterna, come aponto
Com'occhio per lo mare, entro s'interna : • Ne l'interno del mar l'ochio s'avanza ; 60
Che, benchè dalla proda veggia il fondo, El qual, siben scovrir lu possa al ponto

!5 mo — particella riempitiva.
27 Per torght ti scuro -- per togliere la scurità (del dubbio;.
19 Troni — uno dei più elevati ordini aagelici del Paradiso: vedi C. lX v. 61.
35 i'n gringola = in allegrezza.
36 capeteto = quella coperta di cuoio che il cacciatore pone in testa al falcone perche lume non vegga e
Don si dibatta.
46-47 1'anzolo te. = Lncifero la più perfetta d'ogni craatura, clic per min aspettare il lume della grazia
divma, cadde dal ciclo, prima di essere confermato in grazia ^Bianchi). ' • • .
408 DEL PARADISO
In pelago non vede ; e nondimeno Del lido el fondo, no l'ariva el sen
Egli r : 11i,i "i cela lui l'esser profondo. Scovrir del mar, che '1 fondo ghe xe sconto.
Lume non è, se non vien dal sereno, No se dà lume se dal ciel noi vien,
Che non si turba mai ; anzi è tenèbra, Che no se apana mai; xe ogni altro scuro, 65
Od ombra della carne, o suo reneno. O del'omo ignoranza el xe o velen.
Assai t'è mo aperta la làtèbra, La rason ti sa adesso per sicuro
Che t'ascondeva la giustizia viva, Che l'eterna Giusti/.ia te covriva
Di che facei quistion contanto crebra : E te faceva dar la testa al muro:
Che tu dicevi : Un uom nasce alla riva Che ti disevi: Un tal che nassa e viva 70
Dell'Indo; e quivi non è chi ragioni A l'Indie, in dove che de Cristo mai
Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva : No gh'è chi parla, o leza, nè chi scriva,
E tutti suoi voleri ed atti buoni L'abia in opere bone i dì passai
Sono, quanto ragione umana vede, E in bon voler, e, come l'omo vede,
Senza peccato in vita od in sermoni: Sì nel far che in parlar, senza pecai; T5
Muore non battezzato e senza fede; Se '1 mor no batizà e senza fede,
Ov'è questa giustizia che '1 condanna ? Perchè mo sta giustizia lo condana ?
Ov'è la colpa sua, sed ei non crede ? Che colpa gaio se in Gesù noi crede ?
Or tu chi se', che vuoi sedere a scranna, Ma chi estu ti, che in caregon se afana
Per giudicar da lungi mille miglia Giudicar da lontan un mier de mia, 80
Con la veduta corta d'una spanna ? Co la vista più curia d'una spana ?
Certo a colui, che meco s'assottiglia, Certo, che chi con mi trovar vorla
Se la Scrittura sovra voi non fosse, El pelo al vovo Senza la Scritura,
Da dubitar sarebbe a maraviglia. Farse gran maravegia el dovaria. . .
O terreni animali, o menti grosse ! O animai de la lera, o zente dura ! 8S
La prima volontà, ch'è per sè buona, Bona è sempre de Dio la volontà,
Da sè, ciré sommo ben, mai non si mosse. Che no se cambia mai, sempre la dura.
Cotanto è giusto, quanto a lei consuona : Giusto >e quanto in eia se confi;
Nullo creato bene a sè la tira ; Eia ogni ben creà se tira drio,
Ma essa, radiando, lui cagiona. Nè la ga per nissun parzialità. CO
Quale sovr'esso '1 nido si rigira, Come cicogna /ira sora al nio,
Poi e' ha pasciuto la cicogna i figli, Dopo dà ai so putini da magnar,
E come quei, ch'è pasto, la rimira ; E come ochia, sazià, la mare un fio ;
Cotai si fece, e sì levai li cigli, L'aquila utesso a mi, che ho alzà, in vardar
La benedetta immagine, che l'ali Quel santo oseio, i ochi ; e ghe vedeva i*'.
Movea sospinte da tanti consigli. Le ale per tante vogie tremolar.
Roteando cantava, e dicea : Quali Zirando la cantava e la diseva :
Son le mie note a te che non le intendi, Come el mio dir va sora al to intelelo,
Tal è il giudicio eterno a voi mortali. Sora l'omo el pensier de Dio se leva.

67 La raton = la causa, cioè l'insufficienza dell'umano intelletto.


60 te fazzeva dar la lesta al muro = ti faceva farneticare.
77 mo = particella riempitiva.
SO un micr de mia - mille miglia.
83 vovo — ovo.
96 per tante vogie — per lante volontà, quante erano le anime che la componevano.
98 va torà al lo intelelo — supera la tua intelligeniu.
CA^TO XlX. 409
Poi si quetaron quei lucenti incendi Po quei foghi nel segno benedeto 100
Dello Spirito santo, ancor nel segno, Da novo i s'1ia fermà, che ha fatto degno
Che fe i Romani al mondo reverendi, El popolo ruman de gran rispeto.
Esso ricominciò : A questo regno E dopo ancora : A sto celeste regno
Non salì mai chi non credette in Cristo Mai xe arivà chi no credeva in Cristo
Nè pria nè poi ch'el si chiovane al legno. Prima o dopo el martirio avù sul legno. 105
Ma redi, molti gridan: Cristo, Cristo, Ma tanti a dir ti senti: Cristo, Cristo . , ì

Che saranno in giudicio assai men prope Che del giudizio al dì, più a Lu lontani
A lui, che tal che non conobbe Cristo. Sarà, de chi no ga conossù Cristo.
E lai Cristian dannerà l'Etiópe, Svergognar l'African farà i Cristiani,
Quando si partiranno i due collegi, Quando parte i sarà glorificai, 110
L'UDO in eterno ricco, e l'altro inópe. E parte maledii. l re Persiani
Chi potran dir li Persi ai vostri regi, Ai vostri re cossa diraii mai,
ComV vedranno quel volume aperto, Quando che i vederà sul libro averto
Nel qual si scrivoa tutt'i suoi dispregi ? Le infamità e i vizi soi notai ?
Lisi vedrà tra l'opere d'Alberto Là tra le azion se vederà de Alberto 115
Quella, che tosto moverà la penna, Quela (e la scriverà presto el Signor),
Per che '1 regno di Praga lla deserto. Che de Buemia la farà un deserto :
Lisi velini lo duol, che sopra Senna Là de Parigi se ochiarà '1 dolor,
lnduce, falseggiando la moneta, Colpa de chi ga la monta falsà,
Quel che morrà di colpo di cotenna. E d'un porco a l'ut ioti vedo ch'cl mor. 120
Lì si vedrà la superbia ch'asseta, La boria del Scozzese e lnglese là
Che fa lo Scotto e l'lnghilese folle Se vederà, che per gran sè i va in furia,
Sì, che non può soffrir dentro a sua meta. Perchè star drentro al so confin no i sa.
Vedrassi la lussuria e '1 viver molle Se ochiarà el viver morbio e la lusuria
Di quel di Spagna e di quel di Buemme, Del re de Spagna e de Buemia insieme, 125
Chè mai valor non conobbe, nè volle. Che del far ben ga mai sentia la scuria ;
Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme Segnade al zoto de Gerusaleme
Segnata con un l la sua bontade, Le bone azion co un l se vederà, ,
Quando '1 contrario segnerà un emme. E le so briconae segnae co un eme.
Vedrassi l'avarizia e la viltade Se ochiarà l'avarizia e la viltà 130
Di quel che guarda l'isola del fuoco, De quel che de Sicilia ga la cura,
Dove Anchise fini la lunga etade: Dove Anchise la vita ga lassà ;

100 Po = poscia = uri segno cr s'intende l'aquila insegna del romano impero. = Vedi nota 2.
115 Alberiu = Alberto d'Austria, figlio di Rodolfo d'liusburgo, invase e devastò la Bocmia nel 1303.
118-120 Là ile Parigi te. = Filippo il Bello re di Francia fece battere moneta falsa colla quale pagò l'eser
cito assoldalo contro i Fuuiinglii, dopo la rotta di Contrai. Mori nel 1314 alla caccia per ragione di un porco
selvatico.
121-123 del Scozzete e lnglesc te. — sembra alludere ad Edoardo l. re d'lnghilterra, e a Roberto di Sco-
tia, allora in guerra tra loro = per gran te = per gran sete (di superbia;.
124 ci viver morbio --= il vivere tra la morbidezza.
123 Del re de Spagna = Alfonso X re di Castiglia e di Leone, per la cui mollezza fu lu Spagna infestata
''jì Saraceni — e de Bocmia = Vencesiao re di Bocmia, figlio di Ollocuro, di cui fu parlato al C. Vll. v. 98 del
fiirg.
128 lui mai xentia la acuna •• non sentì mai l'impulso, lo stimolo.
127-120 Segnade al zoto = è costui Carlo ll detlo lo Zoppo, re di l'uglia e di Gerusalemme = co un / =
con un l, cioè uno = eme = M, cioè mille.
131-132 De quel — cioè di Federigo figlio di Pietro di Arugona clic reggeva la Sicilia ove è morto Anchise
padre di Enea.
410 DKL PARADlSO
E, a dare ad intender quanta è poco, E le so vili azum su la seritura,
La sua scrittura Ben lettere mozze, Aciò in ristreto tute sia mareae,
Che noteranno molto in parvo loco. Le note sarà fate in breviatura. 135
E parranno a ciascun l'opere sozze Là tuti vederà la galiotae
Del barba e del fratel, che tanto egregia Del barba e del fradel, che una real
Nazione, e due corone han fatte bozze. Famegia e do corone i ga sporcae.
E quei di Portogallo e di Norvegia E del re de Norvegia e Portogal •
Lì si conosceranno ; e quel di Rascia, Se vederà ben là col Raguseo, 140
Che male aggiusta '1 conio di Vinegia. Che ha '1 cugno venezian làora mal,
O beata Ungheria, se non si lascia • O felice Ongaria, che più un sol deo
Più malmenare! e beata Navarra, No i ghe toca ! E N'avarn fortunada
Se s'armasse del monte, che la fascia ! Se in difesa metesse el Pirineo
E creder dce ciascun, che già per arra Che la sera ! E credè che malmenada 143
Di questo, Nicosìa e Famagosta La sarà ; e coi lamenti za dà '1 segno
Per la lor bestia si lamenti e garra, Cipro, e col so crior, per la sbrenada
Che dal fianco dell'altre non si scosta. Bestiona, come le altre, che ha quel regno.

137 ilei barba = del zio. Lo zio di Federigo fu Jacopo re di Maiorica e Minoriea, e il fratelliI del della Fi.
derigo fu Jacopo re di Aragona.
139 re de Kmuegia e l'ortogal — chi fosse il re di Norvegia, non lo dice ali.uno dei commentatori. Re del
Portogallo era allora Dionisio l'Agricola. Fu avaro e mercante: regnò dal 1279 al 1325.
140 eoi ttaguseo = re della Scliiavonia pretcndesi fosse Orosio di Ragnsi, citta della Sehiavonia posta sul
l'Adriatico. Egli falsava nel 1300 i ducati veneziani.
142-143 O felice Ongaria ec. — re d'Ungheria a quel tempo Andrca lll, sebbene il regno spettasse ni Aglio
di Carlo Martello: vedi Purgai. Vili v. 04 = più uà sni deo No i ghe toca = non è più malmenata = iro =
dito.
143-144 E Navafa fortunada ec. al re Carlo di Navarrt, ultimo di quella Casa, successe sua figlia Giovsnaa
maritatasi nel 1284 a Filippo il Dello, la quale mori nel 1304. l re francesi agognavano aggiunsero ls Navsrra
ai loro domimi; ed infatti Luigi Utino, morto suo padre, prese il titolo di Rr di Francia e di Navarra. .
145 148 E credè che malmenada ec. = nel 1300 regnava nell'lsola di Cipro Arrigo ll dei Lusignzni, K
malvagio = col io crior = con le sue grida di biasimo = per la tbrnailu = par la sfrenata = Efnia*a —
epiteto affibbiato al re di Cipro suddetto = come le olire = come gli altri re bestie sopraccennati.
CANTO VENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Di sommi regi, che Giustizia amaro, Fa tanta lode l'aquila celeste


Molti commenda l'aquila calcato, Ai re, che la Giustizia ha avudo in peto,
Perchè pia appaja il mal dal suo centrare. Adii el confronto comparir la pesta
Poi d'uu velame d'alto dubbio sveste Fatta dei re cattivi. A Tintetelo
Lo buon Poeta, con divini detti, De Dante po la schiara bravamente
II divo nocello : e COSA manifeste Un dnbio, e cosse dlse el benedrto
Fa, che son cupe a' mortali intelletti. Oselo, scure per l'umana mente.

Quando colui, che tutto '1 mondo alluma, Co '1 lanternon che schiara el mondo luto,
Dell'emisperio nostro sì discende, Solo el nostro emisfero è belo andà,
Che '1 giorno d'ogni parte si consuma ; E da ogni banda el chiaro s'ha desinilo;
Lo citi, che sol di lui prima s'accende, El ciel che da quel gera inlumina,
Subitamente si rifà parvente Torna per tante stele a luser presto, 5
Per molte luci, in che una risplende. De quel lusor che a ognuna el Sol ghe dà,
E quest'atto del ciel mi renne a mente, E sto moto del ciel go in mente avesto,
Come '1 segno del mondo e de' suoi duci Quando del mondo e dei imperatori
Nel benedetto rostro fu tacente : El segno, serà '1 bèco, ga tasesto ;
Però che tutte quelle rive luci, E più luse spandendo quei splendori 10
Vie più lucendo, coiminciaron canti Ga intoni tali canti, che in la mente
Da mia memoria labili e caduci. Solo un fiaetin me xe restà de lori.
O dolce amnr, che di riso l'ammanti, O caro amor divin sempre ridente,
Quanto parevi ardente in que' flavilli, Quanto in qual canto là tuto impildo,
Che aveano spirto sol di pensier santi ! De idee celesti ti parevi ardente ! 15
Poscia che i cari e lucidi lapilli, Co i lumi, che ga parso a l'ochio mio
Ood'lo vidi ingemmato il sesto lume, Rubini brilantai nel ciel de Giove,
Poser silenzio agli angelici squilli, I so anzelici cori ga fìnio,
Udir mi parve un mormorar di limni' Sentir credeva un fiume che se move,
Che scenda chiaro giù di pietra in pietra, Ruzando in tei cascar tra sasso e sasso, 20
Mostrando l'uberià del suo cacume. Con quela piena che da l'alto piove.
E come suono al collo della cetra E come la chitara or alto or basso
Prende sua forma, e sì come al pertugio Dal colo varia el son, e '1 lià da un buso
Della sampogna vento che penetra ; A l'altro del elarin fa vario passo;
Coti, rimosso d'aspettar indugio, . De l'aquila cussi montando in suso 95

1 Cn = quando.
7 mitilo =i avuto.
9 El tcgno = cioè l'aquila imperiale.
10 quei tplendori = cioè i beili che di sè formano la figura dell'aquila.
18 vii fiaelin = un pochino.
16 Co = quando.
2O Ruzando — mormorando.
23 ti ton = il suono = et fià = il fiato.
t*i fa vario pano = s'intende musicale.
412 DEL PARADISO
Quel mormorar dell'aquila salissi El ruzor per el colo, a questo in bota
Su per lo collo, come fusse bugio. L'è rivà in cima com'el fusse sbuso.
Fecesi voce quivi ; e quindi uscissi Là, fato in vose, la parola dota
Per lo suo becco, in forma di parole, Dal béco in l'un sermon xe vegnù fora
Quali aspettava '1 cuore, ov'io le scrissi. Qual me spetava, e in cuor go tolto nota. 30
La parte la me, che vede e pate il Sole Quela parte ochia ben, me dlse alora,
Nell'aquile mortali, incominciommi, Del corpo mio, che l'aquila in natura,
Or lisamente riguardar si vuole : Fronta el ragio del Sol, che ghe la indora:
Perchè de' fuochi, ond'io figura Ainimi, Che tra 1 lumi che fa sta mia figura,
Quelli, onde rocchio in testa mi scintilla, Quei che I» ila ne l'ochio, luse i ga 35
Di tutti i loro gradi son li sommi. De tuti i altri più resplendente e pura.
Colui, che luce in mezzo per pupilla, Chi fa da baia lustra ga cantà
Fu 11 cantor dello Spirito santo, I bei salmi ispirà da l'Amor Santo,
Che l'arca trastalò di villa in villa. E ha guidà l'Arca de cità in cità.
Ora conosce 'I merlo del suo canto, Desso el merito el vede del so canto, 40
In quanto effetto fu del suo consiglio, In quanto è stada soa la partesela,
Per lo remunerar, che è altrettanto. Dal premio avudo ch'el xe sta altretanto.
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio, Dei cinque che me fa la cegia bela,
Colui che più al becco mi s'accosta, Quel che ti vedi, areale al bèco star,
La vedovella consolò del figlio. Ga consolà del fiol la vedoela. ''•"'
Ora conosce quanto caro costa Desso elo vede quanto da ha costar
Non seguir Cristo, per l'esperienza No andar drio Cristo, dopo aver provà
Di questa dolce vita e dell'opposta. Queste delizie, e tra i danai penar.
E quel, che segue in la circonferenza, Chi arante al primo sora l'arco sta,
Di che ragiono, per l'arco superno, Per far più penitenza el ga possuo 50
Morte indugiò per vera penitenza. Slongar la vita soa. La volontà
Ora conosce che 'l giudicio eterno Desso el vede de Dio nel regno suo,
Non si trasmuta, perchè degno preeo Che no se mua, per far un bon pregar

ii) in bòia = subito.


27 L'i rivà =• È arrivato.
30 l'n cuor go tolto nota = nel cuore me lo impressi.
31-33 Quela parte te. = vale a dire gli occhi, È noto che l'aquila ha la prerogativa di fissare il Sole sen"
avere abbarbagliali gli occhi = m natura .-= poichè l'aquila che parla è artificiale — Franta = affronta.
37-39 Chi fa da baia lustra te. = qui viene significato il re Daride = baia =- globo, pupilla dell'occhio.
Parla il poeta di un occhio solo dell'aquila, forse perchè suppone ch'essa si mostri di profilo, come nell'armi
imperiali si vede, e non di prospetto (Bianchi).
40-42 del >o canto te. = i salmi erano cosa dello Spirito Santo perchè da lui dettati, nè Davide avevi in cai
per questo lato merito alcuno, ma vi aveva merito inquantochè ricevè liberamente la divini ispirazione e tulio
Multante dette opera secondo quella ai suoi canti sublimi = parteatla = piccola parte.
43 la ugia = il ciglio.
44 Quel = è l'imperatore Trainno che consoli la vedovella cui fn ucciso il figlio : vedi Purgai. C. X. ».
52 e seg.
46 Deisti = adesso, ora.
48 e tra i danai penar = era in quei tempi una credenza popolare che Troiano fosse stato liberato dall'In
ferno per l'intercessioin; di S. Gregorio.
49 Chi ee. = È questi Ezechia re di Giuda, il quale per li predizione del profeta 1saia, sapendosi ricioo
a morie, si dolse amaramente dei propri peccati, ed ottenne da Dio altri quindici anni di vita. (Bianchi.l,
51-54 La volontà Desto el vede ee. = Avendo Dio preveduto ab eterno quella preghiera aveva Sa il -H;
lora ordinato siccome avvenne: ed in vero i miracoli non mutano il volere di Dio, perchè eglino sono eectti"u
ordinate ab eterno insieme con la legge universale e comune. Con che si risolve l'obbiezione contro il doamH
della immutabilità dei divini decreti =. Sant'Agostmo: Dio può ad operazione nuova indirizzare consiglio °°°
nuovo ma sempiterno (Fraticelh) =-- no te mua = non si cajigia = ancuo = oggi.
CANTO xx. 413
Fi "Tastino laggiù dell'odierno. Vegnir dommi quel che doveva ancuo.
L'altro che segue, con le leggi e meco, Quel dopo, Roma al Papa in renonciar, 55
Sotto buona intenzion che fe mal frutto, Frutando el mal con bona la intenzion,
Per cedere al Pastor si fece Greco. L' è a Bisanzio l'impero andà a ingregar.
Ora conosce come '1 mal dciintto Desso el vede che per sta bona azion,
Dal suo bene operar non gli è nocivo, El mal che xc sortio mal no ghe fa,
Avvegna che sia '1 mondo indi distraito. Siben andà l'impero in destruzion. 60
E quel, che vedi nell'arco deelivo, Gulielmo nel voltar de l'arco sta,
Guglielmo fu, cui quella terra plora, Che Pulgia pianze morto, e se dolora
Che piange Carlo e Federigo vivo. Per Carlo e Federigo vivi. Qua
Ora conosce come s'innamora Desso elo vede come s'inamora
Lo ciel del giuxlo rege ; ed al sembiante El cielo del Re giusto, e che la sia 65
Del suo fulgore il fa vedere ancora. Cossi lo mostra el su splendor ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante, Chi mai là zo nel mondo crederla
Che Rileo Troiano in questo tondo Fusse Rifeo Trogian del ziro tondo
Fosse la quinta delle luci sante ? La quinta luse de sta cegia mia?
Ora conosce assai di quel che '1 mondo Desso elo vede che i omeni zo al mondo 70
Veder non può della divina erazin, De Dio la grazia in scrutinar znvaria,
Benchè sua vista non discerna il fondo. Siben noi possa descovrirghe el fondo.
Qual lodoletta, che in aere si spazia Come tornando lodolain in aria
Prima cantando, e poi tace e contenta La canta sempre alegra insinamente
Dell'ultima dolcezza che la sazia ; Che saziada la tase a l'ullim'aria; 75
Tal mi sembiò l'imago della impronta Me ga parso l'insegna istessamente
Dell'eterno piacere, al cui disio Piena del ben de Dio, ch'el voi compio
Ciascuna cosa, quale eli'*, diventa. Tuto, come ghe piase a la so mente.
Ed avvegna ch'io fossi al dubbiar mio Siben savesse mi ch'el dubio mio,
Li, quaxi vetro allo color che 'l veste, Com'el color drio un vero eli vedeva, 85
Tempo aspettar tacendo non patio ; D'aspetar, mi tasendo, impazientio,
Ma della bocca : Che cose son queste ? Ansioso de resposta ghe diseva :
Mi pinse con la forza del suo peso : Coss'è ste cosse ? e i lumi in sfiamegar
IVr ch'io di corruscar vidi gran feste. Ga dismostrà '1 piacer che ghe faseva
Poi appresso con l'ochio più acceso Sta mia domanda. Per no farme star 85
Lo benedetto segno mi rispose, L'aquila in ansia, fato più lusente

55-57 (J'ir I dopo ee. -• quegli che segue. E questi Costantino: cedette Roma io dopo i Papa Siliestro con
buona intenzione ma di questo dono ne segui cattivo frutto, avvegnachè a cagione di rsso l'Italia si divise in
"ne fazioni che portarono disordine e anarchia: il trasferimento però di Costantino a Bisanzio colla sede dell'lm-
Kro, non segui per aver ceduto Roma al Papa, come eredevasi da alcuni, ma per lutt'altro motivo: vedi C.
*!X d. 'Il' Ini v. 115 (Bianchi) = ingregar = per aver trasportato l'impero in Greca regione.
61-63 Gulietmo — Gughelmo II detto il Buono, re di l'ujjlia e di Sicilia, cui piange morto quella Sicilia,
thè si duole di veder vivi Carlo lu Zoppo angioino, e Federigo d'Aragona. L'uno le faceva la guerra per ricon-
"urli a rasa di Francia; l'altro con sua brutta avarizia la travagliava. (Bianchi).
08 Iti fi. i - Rifeo troiano hi, serondo eho. scrive Virgilio, uomo di gran giustizia e mori per la sui patria.
71 zavrtriu - farnetica.
Tì tarsiando — vagando.
74 iniinamenle = fino a tanto.
83 ifiamegar — fiammeggiare, scintillare.
414 DEL PARADISO
Per Son tenermi in ammirar sospeso : L'ochio, l'ha scomenzà cussi a parlar :
Io veggio che tu credi queste cose, Ti te credi in ste cosse solamente,
Perch'io le dico : ma non redi come ; Perchè le digo; ma sconte restando,
Sì che, se son credute, sono ascose. Com'ele nassa no ti sa po gnente. 90
Fai come quel che la cosa per nome 1,'ìstesso ti ti fa de chi imparando
Apprende ben ; ma la sua qulditate Va '1 nome de la cossa, e no i ghe vede
Veder non puote, s'altri non la prome. Drento se i altri no i la vien spiegando.
Reynum ccelorum violenza pate Reynum ccelorum a la forza cede
Da caldo amore, e da viva speranza, Del grando amor, che sin la volontà 95
Che vince la divina volontate, Vince de Dio co la speranza e fede ;
Non a guisa che fauin all'uom sovranza, No come un omo l'altro ha superà,
Ma vince lei, perchè vuoi esser vinta, Ma perchè eia la voi vinta restar,
E vinta vince con sua beninanza. E vinta, vince per la soa bontà.
La prima vita del ciglio e la quinta L'anema de Rifeo maravegiar 100
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi E quela de Tragian te fa, perché
La regi'on degli angeli dipinta. Ti le vedi qua in ciel; ma no pensar,
De' corpi suoi non uscir, come credi, Che Pagani quei do morti no i xe;
Gentili, ma cristiani in ferma fede, Ma da cristiani i ga credeste in Cristo;
Quel de' passuri, e quel de' passi piedi. Quel ch'el dovrà patir, e questo che 105
Che l'una dall'Inferno, u' non si riede L'ha za patio : una l'Inferno ha visto,
Giammai a buon voler, tornò all'ossa : Dove al ben no se torna, e da là l'era
E ciò di viva speme fu mercede ; Tornada al corpo ; e questo è sta un aquisto
Di viva speme, che mise sua possa Fato da la speranza con preghiera
Ne' prieghl fatti a Dio per suscitarla, A Dio pietoso per retsussitarla, HO
Sì che potesse sua voglia esser mossa. Aciò la fazza el ben de vogia in tera.
L'anima gloriosa, onde si parla, L'anema bela de la quai se parla,
Tornata nella carne, in che fu poco, Tornada al corpo suo per un pocheto,
Credette in Lui che poteva aiutarla : Ga creda in Quelo che podea salvarla:
E credendo s'accese in tanto fuoco E con fede sentio l'ha tanto afeto 1 15
Di vero amor, ch'alia morte seconda In Dio, che a l'altra morte, degna è stada
Fu degna di venire a questo giuoco. De vegnir in sto logo benedeto.
L'altra, per grazia, che da sì profonda Queraltra, da la Grazia è sta tocada,
Fontana stilla, che mai creatura El fondo de la qual nissun misura,
Non pinse l'occhio insino alla prim'onda, Nè ha savù mai nissun come sia dada. I-'1
Tutto suo amor laggiù pose a drittura; L' ha amà de cuor là zo giustizia pura;
Per che, di grazia in grazia, Dio gli aperte Che tra altre grazie, la vision ga Dio

89 sconto = nascoste.
84 Rnjnvm cirìnrum = il regno dei cieli.
102 ma no pensar = ma non stare a darli alcun pensiero.
105 Quel = cioè Rifco elic visse prima di C. Cristo credette che doveva esser crocifisso = e queiln = fi"
Traiino, che visse dopo la morte di G. Cristo, che aveva patita la crocifissione credette.
KiB-lll una -.-. cioè l'anima di Troiano dall'Inferno tornò ad abitare il suo corpo per intercessione di Su
Gregorio: vedi nota 43 qui sopra -— de vogia — di buon animo.
114 m ffurla =3 cioè in Cristo.
116 a l'ohrà morie = la seconda morte di 'Imiimo dopo essere stato risuscitato.
118 Qud'altra = cioè l'anima di Rifeo.
CANTO XX. 415
L'occhio alla nostra redenzion futura. Dà de la nostra redenzion futura.
Onde credette in quella ; e non sofferse E in quecta elo credendo, l' ha un adio
Da indi '1 puzzo più del paganesmo, Dà al Paganesmo, anzi el ga dà su 125
E riprendeane le genti perverse. La vose ai infedeli. Ga servio
Quelle tre donne gli far per battesmo, Da batisterio le tre done a lu,
Che tu vedesti dalla destra ruota, , Che ti ga viste da la roda dreta,
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo. Mile ani avanti sia el batizo e più.
O predestinazion, quanto rimota O predestinazion, quanto è imperfeta 130
E la radice tua da quegli aspetti, Per veder drento in ti l'umana mente,
Che la prima cagion non reggion tota ! Che no scovre l'origine ben schieta !
E voi, mortali, tenetevi stretti E l'omo in giudicar el sia prudente,
A giudicar : che noi, che Dio vedemo, Perchè tuli i graziai no conosceme
Non conosciamo ancor tutti gli eletti. Nu, che Dio qua vedemo a nu presente. 135
Ed ènne dolce così fatto scemo ; E che la sia cussi contenti semo ;
Perchè '1 ben austro in questo ben s'affina, Perchè'l nostro piacer più se r a lina,
Che quel, che vuole Dio e noi volemo. Mentre quel, che Dio voi, nualtri volemo.
Coti da quella immagine divina, Cossi da la sant'aquila divina
Per farmi chiara la mia corta vista, Aeiò che vegna la mia mente chiara, 140
Data mi fu soave medicina. He xe sta dà la dolce medesina.
E come a buon cantor buon citarista Com'el bravo cantor su la chitara
Fa segisitar lo guizzo della corda, El io canto col son fa un bel acordo;
In che pia di piacer lo canto acquista ; Drio del qual la canzon la xe più cara;
Si, mentre che parlò, mi si ricorda Cussi mentre eia parla, me recordo 145
Ch'io vidi le duo luci benedette, Che ho viste le do luse benedete,
Pur come batter d'occhi si concorda, Come el bater dei occhi va d'acordo,
Con le parole muover le fiammette. Co le parole mover le fiamete.

125-126 et ga da su La vose — diede su la voce, sgridò. , :


127-123 le Ire done -- allude alle tre donne del Carro trionfale apparso Al poeti nella cima del Purga
torio, cioè le tre viri» teologali, che tennero ad esso Rifeo luogo di battesimo e qnestr lo giustificarono più di
mille anni prima elie Cristo lo istituisse: vedi i versi 121 e 129 C. XXIX del Purgatorio = un ini'rru = un
migliaio.
143 nd mn = col suono.
146 le do Ime - le due luci cioè le anime di Rifeo e di Traiano.
148 Co le parole = con le parole (che pronunciava l'aquila;.
416 DEI PARADISO

CANTO VENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Spiriti contemplanti nel pianeta Beati nel pianeto trova Dante,


Che feo con sua virtù l'età dell'oro, Che l'eia d'oro co le so virtd
Dante ritrova nella vita lieta. Ga fato. Zoso vien l'aneme sante
Scendo per una scala il santo coro, Da una scala la qual va tanto in su,
i 'ho dalla Stella fino al Cielo sorge, Che no se vede et fin. Piero Damilo
E Pier Damiano parlando fra loro. De Dante a le domande, l'ha '-ava
Risposta al chieder del Poeta porge. Dar le resposte ch'el gavevn a raan.

Già eran gli occhi miei riflssi al volto Da novo i ochi mi za avea fissai,
Della mia Doma, e l'animo con essi : Dov'el cuor gera, su la Bice mia,
E da ogni altro intento s'era tolto : I altri pensieri avendo descazzai.
Ed ella non ridea; ma: S'io rideni, No la ride, ma dise: Vegneria,
Mi cominciò, tu ti faresti quale Se ridesse, su ti et destin che ha avi
Fu Semelè, quando di cener fèssi. Semele, co l' è stada inceneria :
Che la bellezza mia, che per le scale Che la belezza mia, che granda più,
Dell'eterno palazzo pi {i s'accende Vien come ti ha in sta regia riscontrà
(Com'hai veduto) quanto più si sale, De man in in;iu che se lo monta su,
Se non si temperasse, tanto splende, Se tuta la se avesse a ti mostrà, ÌO
Che'l tuo mortai potere al suo fulgore El to vigor mortai al so splendor
Sarebbe fronda, che tuono scoscende. Ramo saria dal fulmine schiantà.
Noi sein levati al settimo splendore, Semo levadi al setimo lusor,
Che sotto il petto del Lione ardente Che insembrà al segno del Lion ardente,
Raggia mo misto giù del suo valore. Dei ragi soi sentir fa zo el vigor.
Ficca diretro agli occhi tuoi la mente, Vicin ai ochi loi ferma la mente,
E fa di quegli specchio alla figura, E fissarli a la cossa ben procura,
Che in questo specchio ti sarà parvente. Che te comparirà in sto ciel lusente.
Qual sapesse qual'era la pastura Chi de capir avesse la bravura
Del viso mio nell'aspetto beato, Qual gusto aveva in amirar quel viso,
Quand'io mi trasmutai ad altra cura, Conosserave quanta ho avù premura
Conoscerebbe quanto m'era a grato Co lor via da cio l'ochio m' ho deciso,
Ubbidire alla mia celeste Scorta, Tra de lori i do gusti confrontando,

6 Semelé = amata da Giove, istigata dalla gelosa (ìiunone, chiese u Giove elic a lei si mostrasse in in"1
la sua maestà. Ottenne la grazia e rimase dulie folgori di lui fulminata = co = quando.
9 De man in man che te lo monta tu - di niano in mano elic si sale a un cielo più alto.
11 lo = tuo ---- so ..- suo.
13 al si-iimo lutar — cioè al cielo di Saturno.
14 Che intontirà = assembrato, mischiato.
15 zo = giù in terra.
ti Co = quando.
23 Tra de lori i do ynii = cioè il gusto uell'obbedirla e quello di rimirarla
CANTO xxr. 417
Contrappesando l'un con l'altro lato. De ubidir la mia Scorta iti Paradiso.
Dentro al cristallo, che '1 vocabol porta, limitii questo bel ciel, che va zirando 25
Cerchiando'1 mondo, del suo caro duce, Atorno al mondo, e'1 caro nome tot
Sotto cui giacque ogni malizia morta, Del so Re, ch' a ogni vizio ga dà '1 bando,
Di color d'oro, in che raggio traluce, Color de l'oro inluminà dal Sol
Vili" io uno scalèo eretto in suso Vedo una scala alzarse tanto sora,
Tanto, che noi seguiva la mia luce. Che l'ochio mio sin là rivar no poi. 30
Vidi anche per li gradi scender giuso Vegnir ni dai scalini vedo ancora
Tanti splendor, ch'io pensai ch'ogni lume Tanti splendori, che del ciel le stele
Che par nel ciel, quindi fosse diffuso. Tute lusesse in quela ho pensà alora.
E come per lo naturai costume E come l'uso ga le cornachiele,
Le pole insieme, al cominciar del giorno, Che al principiar del zorno, in compagnia 35
Sì muovono a scaldar le fredde piume; Se move per scaldarse e queste e quele;
Poi altre vanno via senza ritorno. E po senza tornar lante va via,
Altre rivolgon sè, onde son mosse, l'ante se vede avanti e incido tornar,
Ed altre roteando fan soggiorno ; E tante star svolando atorno via;
Tal modo parve a me che quivi fosse Talequal mi vedeva bulegar 40
ln quello sfavillar , che insieme venne, Quei lusori, e da l'alto s'un scalin
Si come in certo grado si percosse. Tuti insieme con impito piombar.
E quel, che presso più ci si ritenne, Tanto quel che a nu gera più vicin
Si fe sì chiaro, di' io dicea pensando : Lusea, che tra mi digo: Scovro el grando
lo veggio ben l'amor, che tu m'accenne. Amor che ti ha per mi dal to lumia. 45
Ma Quella, ond'io aspetto il come e'1 quando Ma ilici., da la qual speto el comando,
Del dire e del tacer, si sta ; ond' io, Che tasa o parla no me dà sentor,
Contra'l disio fo ben s'io non dimando. E contro vogia gnente mi domando.
Per ch'ella, che vedeva il tacer mio Eia che vede ne l' Eterno amor,
Vl veder di Colui che tutto vede, Che tuto vede, quanto so bramar, 50
Mi disse: Solvi il tuo caldo disio. Dise : Di' su, quel che ti ga nel cuor.
Ed io incominciai: La mia mercede E mi: Ai meriti m i i no sta a badar,
Non mi fa degno della tua risposta ; Dè la resposta indegno son, ma li
Ma per colei, che il chieder mi concede, Per quela che me lassa domandar,
Vita beata, che ti stai nascosta Anema santa, che ti sta cussi 55
Dentro alla tua letizia, fammi nota Drento ser'ada ne la to alegria,
La cagion, che sì presso mi t'accosta : Dime perchè vicin ti vlen a mi ;
E di' perchè si lace in questa ruola E per cossa la cara sinfonia
La dolce sinfonia di Paradiso, No se fa qua sentir del Paradiso,
Che giù per l'altre suona sì devota. Che zoso in sti altri cieli se sentia. 60
Tu hai l'udir mortai, sì come '1 viso, Rechia a la vista eguai ti ha de preciso

26 tal =: prende.
27 Dal so Re . cioè del re Saturno = che a agni vizio ga ila 'l lamlo • - allude all'eta dell'oro, nella
l'i ile'le regnò
recnù Saturno.
40 bulegar = brulicare.
48 contro vogia .. contro voglia.
49 ne l'Eterno amor = cioè in Dio.
27
448 DEL PARADISO
Rispose a me : però qui non si canta Curia, me dise ; qua se no se canta .
Per quel che Beatrice non ha riso. Xe '1 perchè istesso, che no t'ha soriso
Giù per li gradi della scala santa Bice. Da l'alto de le scala santa .
Discesi tanto, sol per farti festa Me son calà per farle deliziar 65
Col dire, e con la luce che m'ammanta. Co la mia vose e la mia luse tanta.
Nè più amor mi fece esser più presta : No m' ha fato più amor più spessegar,
Che più e tanto amor quinci su ferve, Che qua su de compagno e più del mio
Sì come il fiammeggiar ti manifesta. Ghe n'è, come ti vedi al sfiamegar.
Ma l'alta carità, che ci fa serve Ne fa operar cossi l'amor in Dio: 70
Pronte al consiglio che il mondo governa, ì .uin 'Elo voi, e al fin che Lu ga in inente
Sorteggia qui, sì come tu osserve. Cerne chi ?1 crede, e el m' ha per ti ceraio.
' Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna, Vedo ben, digo, o anema lusente,
Come libero amore in questa corte Come de Dio la volontà qua via
Basta a seguir la provvidonza eterna. Tute fe con amor liberamente ; 75
Ma quest' è quel ch' a cerner mi par forte, Ma stento intender la rason qual sia
Perchè predestinata fosti sola Che ti sola li è sta predestinada
A questo ufficio tra le tue consorte. Tra le compagne a farme compagnia.
Non venni prima all'ultima parola, No ho l'ultima parola pronunziada,
Che del suo mezzo fece il lume centro, Che quela luse ha scomenzà a /irai 80
Girando sè come veloce mola. Come roda va atorno de scapada.
Poi rispose l'amor che v'era dentro : Po l'anema s' ha invià cussi a parlar :
Luce divina sovra me s'appunta, Ragio divin sta luse mia passando.
Penetrando per questa, in ch' io m' inventro ; Dove serada son me vien locar ;
La cui virtù col mio veder congiunta La so virlù col mio inleleto, alzando 85
Mi leva sovra me tanto, ch'io veggio Tanto me va su mi, che vedo ben
La somma Essenzia, della quale è munta. I /mi 'el vegna dal Esser el più grando.
Quinci vien l'allegrezza, ond' io fiammeggio ; Po l'alegria che brila in mi me vien,
Perchè alla vista mia, quant'ella è chiara, Perchè quanta de Dio xe la chiarezza,
La chiarità della fiamma pareggio. Tanta in vardarla el lusor mio ne otien. 90
Ma quell'alma nel ciel che più si schiara, Ma'l Serafin che ha in ciel più lucidezza
Quel serafin che in Dio più l'occhio ha fisso, No poi, siben ch' el sia a Dio più arente,
Alla dimanda tua non satisfara : De quel ti cerchi scrutinar l'altezza ;
Perocchè sì s' inoltra nell'abisso Per la rason che tanto ne la mente
Dell'eterno statuto quet che chiedi. Eterna el se sprofonda, che arivar 95
Che da ogni creata vista è scisso. Nissun certo ghe pol nè intender gnente.
Ed al mondo mortai, quando tu riedi, Co ti sarà al to mondo per tornar,

63-64 Veggasi il v. 4. e seg.


65 miu --- disceso.
67 spestegar — affrettare.
72 Cerne = scieglic = cermo = scelto.
81 de ieapada = colla massima celerilà.
87 com'el vigna — com'egli venga, cioè il raggio divino = dal Esser ci più grando = cioè da Dio.
91 Ma 'I Serafin = il primo ordine gerarchico è quello dei Serafini, il più prossimo a Dio = anuh —
dappresso.
93 De '/'ut li cerchi — Vedi ai v. 76-78 la dimanda di Dante.
87 Co ss quando.
CANTO XXl. 449
Onesto rapporta, sì che non presuma Reporta sta lezion, aciò che là
A Unto segno più muover li piedi. No i pretenda in sto arcan de penetrar.
La mente, che qui luce, in terra fuma : Torbia in tera è la mente e lustra qua; 100
Onde riguarda come può laggiue E varda se capir là i poi, bon fio,
Quel che non puote, perchè '1 ciel l'assuma. Quel che nu no capimo. Sodisfà
Sì mi prescrisser le parole sue, Con ste parole el desiderio mio,
Ch'io lasciai la qulstione, e mi ritrassi Chi eia gera, lassando la question,
A dimandarla umilmente chi fue. Co umiltà a domandarghe go linio. 105
Tra duo liti d'ltalia surgon sassi, Tra do mari d' ltalia in un canton
E non molto distanti alla tua patria, Gh' è monti arente a la to patria aliita,
Tanto che i tuoni assai suonan più bassi; Tanto alti che più in zo se forma el ton;
E fanno un gibbo, che si chiama Catria, E i fa una goba che xe Catria dita,
Disotto al quale è consecrato un ermo, A basso de la qual ghe xe un convento, 110
Che suole esser disposto a sola latrici. Dove se dona a Dio anema e vita.
Obi ricominciommi '1 terzo sermo ; Cussi '1 terzo discorso a farme sento ;
E poi, continuando, disse : Quivi Po de longo : E col cuor e co la mente
Al servigio di Dio mi fei sì fermo, Tanto m' ho messo in servir Dio là drento,
Che pur con cibi di liquor d'ulivi, Che cibandome de ogio puramente, 115
Lievemente passava e caldi e gieli, Felice in dar a Dio el mio pensier,
Contento ne' pensier contemplativi. La vita go passà tranquilamente.
Render solea quel chiostro a questi cieli Tante aneme quel logo fava aver
Fertilemente : ed ora è fatto vano, ln ciel ; ma quanto adesso cambià el sia,
Sì che tosto convien che si riveli. Al mondo presto lo farà saver. , 120
ln quel loco fu' io Pier Damìano : Là Pier Damian mi gera : (e de Maria
(E Pietro Peccator fu nella casa ln Chiesa, arente de Ravena, stava
Di nostra Donna in sul lito adriano). Pier Pecator). Co contro vogia mia
Poca vita mortai m'era rimasa, A portar el capelo i me obligava,
Quand'io fu' chiesto e tratto a quel cappello, De mal in pezo adesso strapazzà, 125
Che pur di male in peggio si travasa. Poco ancora da viver me restava.
Venne Cephas, e venne il gran vasello San Piero e anca San Polo ha caminà
Dello Spirito Santo, magri e scalzi, Magri e scalzi portandose a cibar
Prendendo '1 cibo di qualunque ostello. Da qualsia locandier per carità.

100 Torbia = fosca.


105 Co = con.
106 Tra do mari = tra '1 mare Tirreno e il mare Adriatico.
107 Gh'è monti = cioè gli Apennini — arente a la to patria = vicino alla tua patria (di Dante), cioè Fi
renze.
108 più in za se forma el ton => secondo Aristotcle i tuoni si formano nella seconda regione dell'aria, che i
monti Apennini sorpassano in altezza.
109 C.ntrin -. e posta nel Ducato di Urbino tra Gubbio e la Pergola.
110 ghe xe un convento --=. il convento di Santa Croce di Fonte Avellana dell'ordine Camaldolese.
115 cibandome de ogio — i Veneziani col magnar o cifrar de ogio intendono il ciba condito col solo olio.
121-123 l'in• Damian te. = era nato in Ravenna, e fatti i suoi studii, erasi ritirato nel monastero di Santa
Croce di Fonte Avellana. ll papa Stefano lX, conosciuta la virtù e dottrina di lui, lo nominò Cardinale e Ves
covo di Ostia nel 1057. Nei suoi scritti sono molte querele contro la vita dissoluta dei chierici e la immodestia
e ambizione dei prelati. Mori in Faenza nel 1073. Piaccvagli chiamarsi Pietro Peccatore, non confondibile con
Pietro degli Onesti soprannominato esso pure Peccatore, fondatore del Monastero di Santa Maria del Porto a due
Biglia d* Ravenna. = arente — iu vicinanza = Co = quando.
124 et capelo — il cappello cardinalizio .
420 DEL PARADISO
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi Desso i prelati el brazzo i se fa dar; 130
Gli moderni pastori, e chi gli meni Chi voi farse condur in portantina
(Tanto son gravi), e chi dirietro gli ahi. (Tanto i \c sgionu), e chi la eoa portar.
Cuopron de' manti lor gli palafreni, Col labaro le mule i covre insina,
Sì che duo bestie van soli' una pelle: Che do bestie le par soto una pele :
O pazienza, che tanto sostieni ! Tal xe, o Dio, la pazienza tua divina! 135
A questa voce vid'io più liammelle Zirando a sto parlar tante de quele
Di grado in grado scendere e girarsi; l.u-v. zo dai scalini xe calae,
Ed ogni giro le facea più belle. E in ogni ziro le vegnia più bele.
Dintorno a questa vennero n fermàrsi, Intorno a questa po le s" ha fermae
E fèro un grido di sì alto suono, Con una osada che me ga stornio: 140
Che non potrebbe qui assomigliarsi : Compagne al mondo no ghe u" è mai stae ;
Nè io lo intesi; sì mi vinse il tuono. fi da quela intronà, gnente ho capio.

130 Desto = adesso.


131 portantina = lettiga, sedia portatile chiusa da ogni banda.
132 Tanto i xc SJI'OH/I = tanto sono gonfi, nel doppio senso di grasswia e di vanità = eoa — coda, rifc-
rita allo strascico della veste episcopale e cardinalizia.
133 Coi tamaro le mule = era uso dei cardinali al tempo di Dante di cavalcare le mule.
136 a sto parlar -... cioè al discorso dell'anima lucente di San l'ietro Dnmiano.
140 osada = grido = iloraio — stordito, imbalordito, assordato.
421

CANTO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO
i
Di Benedetto la celeste vita Drento nel so Insor conta el gran Santo
Chiuso in sua luce narra come al pio Benedeto, che qua pagana zente
Culto già trasse assai gente smarrita. De tirar a la Fede l'ha avil el vanto.
A lui palesa Dante il suo desio De domnndarghe grazia a Dante in mente
Di lui veder fuor de' suoi raggi belli : Vien, ch'el ghe scovra a lu i so ragi bei;
Ei gliel promette pia dappresso a Dio; Co '1 sari ghel promete a Dio presente.
Intanto sale agli eterni Gemelli. EI se alza intanto al Cielo dei Zemei.

Oppresso di stupore alla mia Guida Sbalordio m' ho voltà da la mia Guida,
Mi volsi, come parvol, che ricorre Com' el putin, se dogia lo tormenta,
Sempre oolà, dove più si confida. Core sempre da chi lu più se fida.
E quella, come madre, che noccorre E eia, come una mare che ochia atenta
Subito al figlio pallido ed anelo L'ansante smorlo smorto so putelo,
Con la sua voce, che'l suoi ben disporre, Lo quieta co la vose e lo contenta,
Mi disse: Non sai tu che tu se' in cielo ? Me dise : No ti sa d'esser in cielo ?
E non sai tu, che '1 cielo è tutto santo, No li sa che xe in cielo tulo santo,
E ciò che ci si fa vien da buon zelo ? E quanto qua vien fato è tuto belo ?
Come t'avrebbe trasmutato il canto, Desso li poi pensar cossa drio al canto 10
Ed io ridendo, mo pensar lo puoi, Ti saressi e al mio riso deventà,
Poscia che '1 grido t" ha mosso cotanto ; Se quel cigor el le ga scosso tanto;
Nel qual, se inteso avessi i prieghi suoi, Nel qual se'l prego ti avessi scoltà,
Già ti sarebbe nota la vendetta, La vendeta ti avressi anca sentia,
La qual vedrai innanzi che tu mimi. Che prima de morir li vederà. 15
La spada di quassù non taglia in fretta, La giustizia de Dio presto vien via,
Nè tardi, ma' che al parer di colui, O lardi vien, se no per chi bramada
Che, desiando o temendo, l'aspetta. O per chi con leror vista la sia.
Ma rivolgiti omai inverso altrui, Ma varda st'altra trupa qua logada ;
Ch' assai illustri spiriti vedrai, Ti ne vederà tanti in fama stai, 20
Se, co m' io dico, l'aspettQ ridui. Se, come digo, ti ghe dà un ochiada.
Com' a lei piacque, gli occhi dirizzai, Come ga piasso, i ochi go voltai,
E vidi cento sperule, che insieme E («lunedi i ho visto a centener

2 dnyiu = doglia.
4 mare = madre.
10-11 Desso li poi pensar co. — si allude al sorriso di Beatrice e al cantare nel Paradiso di cui i v. 4,
62, 63 del Canto precedente.
12 cigor = grido: vedi il canto precedente, v. 140.
14 la vendila = la vendetta cioè che Dio prenderà sui pastori a lui ribelli, i qnali antepongono il fasto
mondano alla umiltà insegnata da G. Cristo.
19 logada — collocata.
13 Woncjiii = palloncini.
422 DEL PARADISO

Più s'abbellivan con mutiii rai. Scambiarse insieme ragi bei che mai.
Io stava come quei che in su ripreme Mi gera come chi contro voler ì'a
La punta del disto, e non s'attenta La smania tien indrio che ghe fa dogia,
Di domandar ; sì del troppo si teme. E'1 tropo domandar lo fa temer:
E la maggiore e la più luculenta E la più granda e più lusente zogia
Di quelle margherite innanzi fèssi, A mi davanti la se ga tirà
Per far di sè la mia voglia contenta. Per poder far contenta la mia vogia. 30
Poi dentro a lei mi i" : Se tu vedessi, Po dise : Se vedèr la carità
Com'io, la carità che tra noi arde, Che xe tra nu, podesse l'ochio to,
Li tuoi concetti sarebbero espressi : Com' el mio, ti avaressi za parlà ;
Ma perchè tu, aspettando, non tarde Ma l'alto scopo del to viazo ació
All'alto fine, io ti farò risposta No te intardighi, a quel che ti ga in mente, 35
Pure al pensier, di che si ti riguarde. E che ti tien dal dir, responderò.
Quel monte, a cui Gassino è nella costa, Quel monte, che redosso aver se sente
Fu frequentato già in su la cima Cassino, el gera sta frequentà in cima
Dalla gente ingannata e mal disposta. De zente orbada, da idolatra zente.
Ed io son quel, che su vi portai prima E mi son quelo che ha portà là in cima M
Lo nome di Colui, che in terra addusse El nome santo de Chi dava al mondo
La verità, che tanto ci sublima. El Vangelio, che tanto ne sublima.
E tanta grazia sovra me rilusse, E tanta grazia ho ricevudo al mondo,
Ch' io ritrassi le ville circostanti Che i paesi atorno go possù via tur
Dall'empio culto, che 'i mondo sedusse. Dai falsi dii che inzinganava el mondo. K
Questi altri fuochi tutti contemplanti Ste altr' aneme che manda sto splender,
Uomini furo, accesi di quel caldo, Stai xe in far e in pensar omeni santi,
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. Perchè infiamadi dal divin amor.
Qui è Maccario, qui è Romualdo; Qua Macai io e Romualdo gh'è tra i tanti;
Qui son li frati miei, che dentro a' chiostri Qua xe i mii frati, stai nei so conventi 60
Fermaro i piedi, e tennero '1 cuor saldo. Sempre fermi, e a la Regola costanti.
Ed io a' lui: L'affetto, che dimostri E mi : L'amor che ti dismostri e senti
Meco parlando, e la buona sembianza, Con mi parlando, e sto più bel lusor
Ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri, Che in vualtri vedo, o Santi resplendenti,
Così m' ha dilatata mia fidanza, Me ga dà tanta fede e stargà '1 cuor, 55
Come '1 Sol fa la rosa, quando aperta Com' el Sol tuta quanta fa spanir

26 dogia = duolo.
28 zogia = gioiello.
29 se ga lirà = si trasse.
30 vogia .-. desiderio.
31 Po = poi, poscia.
32 l'ochio lo = l'occhio tuo.
38 Cattino — castello in Terra di Lavoro.
39 da idolatra zente --- di idolatri che frequentavano il tempio di Apolline eretto molto vicino al moni''
41 El nome santo de Chi = il nome di G. Cristo. Questi che parla e San Benedetto principale instilutOK
della vita monustica in Occidente. Era nato in Norcia nel 480; morì verso il 540.
45 inzinganava _- ammaliava.
49 Macario = San Maccario: due furono i Maccarii: qui pare si debba intendere l'Alessandrino detto il ji»
unii-, che fra il IV e V secolo dirigeva da 5000 monaci = Romualdo . San Romualdo fondatore dell'ordine Ci-
maldolese, fu nativo di Ravenna, e visse nel secolo X. (Bianchi;.
56 tpanir = sbocciare.
CAIVTO'XXII. 423

Tanto divien quant'ell'ha di possanza. La rosa co l'azion del so color.


Però ti prego, e tu, padre, m'accerta, Perciò te prego, mio bon pare, a dir
S' io posso prender tanta grazia, ch' io Se veder el to viso poderia
Ti reggia con'immagine scoverta. Volendotelo in grazia descovrir. 60
Ond'egli : Frate, il tuo alto disio E lu: Sta vogia toa sarà servia
S'adempierà in su l'ultima spera, Nel più allo ciel: nissuna là s'en nega,
Ore li adempion tutti gli altri e 'i mio. Ma tute ga '1 so sfogo e anca la mia.
Ivi è perfetta, matura ed intera Là xe perfeta, xe maura e intrega
Ciascuna disianza : in quella sola Ogni vogia, fradelo : el sta lu solo (5
È ogni parte là, dove sempr'era ; Su i altri sempre fermo e mai se piega ;
Perchè non è in luogo, e non s' impola : Perchè logo noi ga, lu noi ga polo,
E nostra scala in tino ad essa varca ; E va sta nostra scala insin a lu,
Onde cosi dal viso ti s' invola. Nè ti vedi perciò l'alto so volo.
la fin lassù la vide il patriarca La cima ochiar Giacobe ga possù 70
Giacob isporger la superna parte, Quando comparsa la ghe xe in Vision
Quando gli apparve d'angeli sì carca. D'anzoli carga : ma de andarghe su
Ma per salirla mo nessun diparte Nissun desso tra quei ghe n' è de bon ;
Da terra i piedi : e la regola mia E la Regola mia restada è in tera,
Rimata è giù per danno delle carte. Per far de le so carte un sanfasson. 75
Le mura, che solcano esser badia, Coo da ladri i Conventi, dove gera
Fatte sono spelonche ; e le cocolle Zente santa i xe fati, e xe nichiada
Sacca son piene di farina ria. Drento i capimi una marmagia vera.
Ha greve usura tanto non si lolle No ghe urta a Dio l'usura la più granda.
Contro '1 piacer di Dio, quanto quel frutto, Quanto i frati, che i beni al mondo i tien, 80
Che fa il cuor de' monaci sì folle. Che dal ben far, dal vero ben li sbanda.
Che quantunque la Chiesa guarda, tutto Perchè quel tanto che a la Chiesa vien,
fi della gente, che per Dio dimanda, Xe de chi cerca in Dio la carità,
Non di parente, nè d'altro più brutto. No dei sui, o de chi dir no sta ben.
La carne de' mortali è tanto blanda, Tanto debole xe l'umanità, 85
Che giù non basta buon cominciamento Che un bon principio per far Dio contento
Dal nascer della quercia al far la ghianda. Noi basta, se'l so fruto in fin noi dà.
Pier cominciò sanz'oro e sant'argento, San Piero ha comincià senz'oro e arzento,
Ed io con orazione e con digiuno, Mi zunando e disendo le orazioni,
E Francesco umilmente il suo convento. E co umiltà Francesco el so Convento. 90
E se guardi al principio di ciascuno, Tuti ga principià co l'esser boni,
Poscia riguardi là dov' è trascorso, E se ti osservi come i s'ha butà,
Tu vederai del bianco fatto bruno. Ti vederà che i ga finio briconi.

62 Nel più alto ciel — cioè nell'Empireo.


64 intrcrja = iutiera.
67 noi ga paio = il cielp Empireo non ha poli sui quali si regga o s'aggiri, come gli hanno e si aggirano
gli altri cieli o sfere inferiori.
75 un ìanfaston = voce francese usata comunemente per denotare uno sconvolgimento qualunque.
76 Coo = covo.
79 JVo ghe urla = non gli disgusta.
84 dei sai -- i sottinteso de' suoi parenti = o ehi dir HO sta ben - come sarebbe la druda, il bastardo ee.
90 E co umiltà - e con umiltà.
92 come i l'ha buia - some si diedero, è sottinteso al malfare, alle bricconate. -•
424 DEL PARADISO
Veramente '1 Giordan volger retrorso Più stupir fa'l Giordan indrio voltà
Più fu, e '1 mar fuggir, quando Dio volse, E ci mar averto, ciini" ha piasso a Dio, 95
Mirabile a veder, che qui il soccorso. 'Che no favà el remedio al mal: me gè
Così mi disse : ed indi si ricolse Cussi lu dito : e dopo ch 'el s' ha unio
Al suo collegio; e '1 collegio si strinse : A la so compagnia, su su volada
Poi, come turbo? in su tutto s'avvolse. A mo de bissabova, el \r sparlo.
La dolce Donna dietro a lor mi pinse Bice, drio quei, su per la scalinada 100
Con un sol cenno su per quella scala : La m' ha alora levà con un sol moto,
Sì sua virtù la mia natura vinse. Che la grevezza mia ga superada.
Nè mai quaggiù, dove si monta e cala Mai le scale qua zozo vien col moto
Naturalmente, fu sì ratto moto, Naturai fate prestamente tanto,
Ch'agguagliar si potesse alla min ala Che staga al paragon con quel mio troto. 105
S'io torni mai, lettore, a quel devoto Cossi, letor, mi torna al regno santo,
Trionfo, per lo quale io piango spesso Che bater me fa in culpa ben pentio
Le mie peccata e '1 petto mi percuoto, Dei mii pecai, e vado spesso in pianto,
Tu non avresti in tanto tratto e messo Come, certo, un deo messo e tirà indrio
Nel fuoco il dito, in quanto io vidi'l segno, Non ti avressi dal fogo insin ch'el segno 110
Che segue '1 Tauro, e fui dentro da esso. Vedo e gh' entro, che al Toro ghe tien drio.
O gloriose stelle, o lume pregno Gloriose stele, o virtuoso regno !
Di gran virtù, dal quale io riconosco Conosso che da vu ie derivà
Tutto, quai che si sia, lo mio ingegno, l'aio, qual che se sia, in mi l'inzegno; .
Con voi nasceva, e s'ascondeva vosco Con vu nato xe quelo e tramontà, Uà
Quegli, ch' è padre d'ogni mortai vita, Che schiara e scalda, quando a respirar
Quand' io senti' da prima l'aer tosco : L'aria del ciel Toscan go comincià.
E poi, quando mi fu grazia largita E co la grazia m' è sta dà da entrar
D'entrar nell'alta ruota, che vi gira, Nel ciel, che atorno atorno con vu zira,
La vostra regìon mi fu sortita. Dove stè go avù sorte de passar. '-"
A voi divotamente ora sospira Adesso a vu l'anema mia sospira
L'anima mia, per acquistar vu tini- Devota, a ciò vogie darghe virtù
Ai passo forte, che a sè la tira. Al gran passo che a drio de lu la tira.
Tu se' sì presso all'ultima salute, Ti è tanto arente al più bel ciel là su,

94-95 Più stupir fa'l Giordan ce. — allude ai duc miracoli operati da Dio che a le preghiere di to,
fece andare indietro il corso del fiume Giordano, ed aprire le acque del Mar dosso per dar tempo agli Ebrei in
seguiti dall'armata di Faraone = indrio voltò -... facendo il corso a ritroso .-=(-n-». quando.
99 bissabova — girone, vortice turbinoso di renio.
102 iji-ivi-z-n -..-. gravita, peso.
105 con iiuni mio trota -- con quella mia celerilà.
107 culpa — voce Ialina usata comunemente.
109 dni -- dito.
110 eh'ti segno = il segno celeste elic segue il Toro sono i Gemelli, o sfera delle stelle fisse.
112-114 Gloriose siete ee. —- Dante era nato nel Maggio del 1265, nel qual mese il Sole o in Gemini , "-
stellazionc che gli astrologhi dicevano influire l'ingegno e la scienza delle cose.
115 xe quelo — cioè il Sole. .
118 E co = e quando.
122 vogiè = vogliate.
123 Al gran pano --. cioè alla difficile impresa di descrivero il cielo empireo, e di favellare della Triaiià
e delle due nature in Cristo; vale a dire, alla conelusione del poema, dove si serbano le cose più alte e -'
124 armlt = dappresso.
CATTO xxii. 425
Cominciò Beatrice, che tu dèi Bice a mi, credi pur ai diti imi, • 125
Aver le luci tue chiare ed acute. Che ga da veder i ochi toi de più.
E però, prima che tu più t'inlei, Perciò avanti più arente ti ghe sii,
Rimira in giuso, e vedi guanto mondo Varda in zo el mondo e ogni sfera bela,
Sotto li piedi già esser ti fèi; Che i' ho fato restar soto i lo pii,
Si che'l tuo e ui a, quantunque può, giocondo Aciò, più gagio che ti poi, in quela 130
S'appresenti alla turba trionfante, Santa trupa te imbati, che trionfando
Che lieta vien per questo etereo tondo. La vien alegra alegra qua in sta stela.
Col riso ritornai per tutte quante Col viso in zo mi i sete cieli ochiando
Le sette spere: e vidi questo globo Stava da novo, e in veder el meschin
Tal, ch' io sorrisi del suo vii sembiante. Globeto nostro, andava soghignando; 135
E quel consiglio per miglior approbo, Calcolo l'omo d'un inzegno fin,
Che I " ha per meno : e chi ad altro pensa, Che lo desprezza, e d'una virtù rara
Chiamar si punte veramente probo. Chi pensa a Dio che xe principio e fin.
Vidi la figlia di Latona incensa Visto ho la Luna senza machie e chiara,
Senza quell'ombra, che mi fu cagione, Che la mia testa tacila r me fava, 140
Per che già la credetti rara e densa. Col creder che la fusse fissa e chiara.
L'aspetto del tuo nato, Iperìone, El Sol in fazza là' franco fissava ;
Quivi sostenni; e ridi coin' si muove, E'come intorno e arente a quel se move
Urea e vicino a lui Maia e D'ione. Con Venere Mercurio anca vardava.
Quindi m'apparve il temperar di Giove In tra Saturno e Marte ho visto Giove, 145
Tra "I padre e '1 figlio; e quindi mi fu chiaro Che calma el fredo e '1 caldo ; e ho capio là
D variar, che fanno di lor dove De cambiar sito qual rason li move.
E tutti e sette mi si dimostraro E tuli sete i se me ga mostrà
Quanto son grandi, e quanto son veloci, Quanto i xe grandi e coridori al pari,
E come sono in distante riparo. E come giusta la distanza i ga. 1 50
L'aiuola, che ci fa tanto feroci, L'areta, che ne fa superbi e avari,
Volgendoli!' io con gli eterni Gemelli, Mentre zirava atorno coi Zemei,
Tutta m'apparve da' colli alle foci : Tuta vista la go dai monti ai mari :
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli. Po i ochi go voltà su i ochi bei.

125 ai itili mii = ai detti miei.


1*1 pii = piedi.
131 te imbati = tu incontri.
139 rhiurn -- netta, limpida.
140 bacilar -- vacillare colla inente.
141 Cui creder - della cagione delle macchie lunari tratta il C. II. di questa Cantica dal v. 59 e seguenti
= ' chiara = e rada.
142 m fazza = in faccia.
145-146 In Ira Saturno ee. _ il pianeta di Giove tra Saturno suo padre e Marte suo figlio, partecipajido
di questo e quello, tempera (calma) il freddo dell'uno e il caldo dell'altro: vedi C. XVIII v. 68.
147 dt eambiar silo qual rason li move -- cioè la cagione dei vari movimenti di luogo dei delti pianeti
--''-min ora dinanzi ora dietro il Sole, ora meno ora più da lui distanti.
151 L'areta — l'aiuola, cioe la nostra terra.
154 Po = poi, poscia.
426 DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOTERZO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Vette la sapienza e la possanza, La potenza e '1 saver ghe xe in sto cielo,


Ch'apre le strade fra '1 cielo e la terra Che tra 'I cielo e la lera avre la strada
In un fulgor, che tutti gli altri avanza ; In nn lusor su tuli assae più belo ;
E quella Rosa mistica che guerra E la mistica Rosa, che purgada
Fa col suo parto ai più empio nemico, Col so parto ha la tara dal nemigo,
Sicchè l'uscio del ciel ne si disserra, E la porta del ciel n'ha spalancala.
Poichè pagato fu il peccato antico. Dopo ci saldo del gran debito antigo.

Come l'augello, intra l'amate fronde, Come oseleto, dopo reposa


Posato al nido de' suoi dolci nati Là tra le frasche al nio dei so putini,
La notte che le cose ci nasconde, Dove la scura note el ga passà,
Che, per veder gli aspetti desiati, Che per veder in ciera i picinini,
E per trovar lo cibo onde gli pasca, E darghe da magnar sente tal brama, 5
In che i gravi labor gli sono grati, Che l'andarave in cerca anca tra i spini,
Previene '1 tempo in su l'aperta frasca, Previen el zorno in cima de la rama,
E con ardente affetto il Sole aspetta, E là che spiiiila el Sol fisso vardando,
Fiso guardando, pur che l'alba nasca ; Co angossa sta a spelar la prima fiama ;
Coti la Donna mia si stava eretta Cussi Bice in pie drita stava ochiando 10
Ed attenta, rivolta invèr la plaga, Con atenzion, voltada a quela banda
Sotto la quale il Sol mostra moti fretta : Che più a pian par el Sol vaga passando.
Sì che veggendola io sospesa e vaga, Mi in vederla aspetar con vogia granda,
Fecimi quale è quei, che disiando Resto com' un ch'altro sperando ancora
Altro vorria, e sperando s'appaga. Ghe par d'aver quelo ch'el cuor domanda. l-r>
Ma poco fu tra uno ed altro quando, Ma prestamente xe passada l'ora,
Del mio attender dico, e del vedere Digo in spelar e in veder tuto el cielo
Lo ciel venir più e più rischiarando. Mandar de man in man più chiaro fora.
E Beatrice disse: Ecco le schiere Bice dise : La trupa eco, fradelo,
Del trionfo di Cristo; e tutto '1 frutto Del trionfo de Cristo, e tuto el fruto *>
Ricolto del girar di queste spere. De l' influenza de sto cielo belo.
Pareami che 'I suo viso ardesse tutto: M' ha parso ch'el so viso ardesse tuto ;
E gli occhi avea di letizia sì pieni, E in quei ochi l'avea tanta alegria,
Che passar mi convien senza costrutto. Che dir quanta, saria senza costruto.

12 Chc più a pian = quando il Sole sorge dall'Orizzonte terrestre, l'ombra dei corpi è lunghissimi; n»
quella lunghezza si diminuisce da principio con molta rapidità: indi a poco a poco la rapidità vini meno, uà-
tanto che, accostandosi il Sole al mezzo del cielo, pare che l'ombra punto non iscemi. All'incontro rapidamenie
va allungandosi allora elic il Sole piega verso l'Occidente. Da questo fenomeno il volgo arguisce che il Sole
nel mezzodì abbia men fretta (Bianchi A
24 costruì» = profitto.
CANTO xxirr. 427
Quale ne' plenilun'i! sereni Come ride al seren Diana restia 25
Trivia ride tra le ninfe eterne, ln piena gala tra le sue sorele,
Che dipingono '1 ciel per tutti i seni, Che brila in ciel per tuto dov'el sia;
vi. l'in sopra migliaia di lucerne Go visto sora un mier de luse bele
Un Sol, che tutte quante l'accendea, Un Sol che tute quante inluminava,
Come fa'l nostro le viste superne : Com'el Sol nostro inlumina le stele. 30
E per la riva luce trasparea K. tanta luse quel gran Sol mandava
La lucente sustanzia tanto chiara, De carità divina e cussi chiara,
Che lo mio viso non la sostenea. Che l'ochio mio in vardar se imbarbagiava.
O Beatrice, dolce guida e cara! O Bice, ho dito mi, mia Guida cara !
Ella mi disse : Quel che ti sobransa Quel che te orba, la dise prontamente, 35
E virtù, da cui nulla si ripara. Xe cossa da la qual nissun se para.
Quiri è la sapienza e la possanza, El Sapiente xe qua, qua xo '1 Potente,
Ch'apri la strada tra'l cielo e la terra, Che da la lera al ciel verta ha la strada,
Onde fu già sì lunga disianza. Che tanto tempo ha sospirà la zente.
Come fuoco di nube si disserra, Come bampa nel nuvolo stargada, 40
Per dilatarsi sì che non vi cape, Da quel che più no la contien, sortia,
E fuor di sua natura in giù s'atterra ; Contro el so istinto in tera s'ha sianzada ;
Così la mente mia, tra quelle dape Cossi tra quele zogie più ingrandia
Fatta più grande, di sè stessa uscio ; La mia mente, da mi la s'ha diviso,
E che si fèsse rimembrar non sape. E no recorda i fati de là via. 45
Apri gli occhi, e riguarda qua1 son io : Bice a mi : Leva i ochì, e dopo in viso
Tu hai vedute cose, che possente Vardime, che drio quel che ti ga ochià,
Su' fatto a sostener lo riso mio. Ti podarà frontar anca el mio riso.
lo era come quei che si risente Come chi un sogno s'ha desmentegà
Di visione oblita, e che s'ingegna Mi gera, che se strussia a recordarse, 50
lndarno di rifi urlasi alla mente ; Ma a la memoria far vegnir no sa,
Quando io udi' questa profferta, degna Co ho sentio sto tantin, che de stampar.se
Di tanto grado, che mai non si stingue El grato cuor in mente dovaria,
Del libro che'l preterito rassegna. Aciò ch'el possa in questa conservarse.
Se mo sonasser tutte quelle lingue, Se i cantori che tuli Polinia 55
Che Polinnia con le suore fèro lnsieme a le sorele del Parnaso

K Dima = dob la Lana.


26 le tue torele = cioè le stelle.
55 un mier — un migliaja.
29 Un Sol = per questo Sole è inteso G. Cristo.
33 te imbarbagiava — si abbarbagliava.
35 (e orba — qui è preso per ti abbaglia.
36 ss para — si difende, si schermisce.
37 lìl Sapiente xe gua, qua xe 'l Potente = (Gesù Cristo/ (
18 verta = aperta.
40 bampa = fiamma.
42 Contro i:l to istinto = giacilè la fiamma tende per suu natura a saliro.
43 ira quele zogìe = tra quei gioielli, cioè delizie celesti.
47 drio = qui vale per dopo.
48 frontar — affrontare; qui vale sostenere.
50 te struttia = si affatica.
52 Co = quando —. uo tantin -= detto per ammirazione; vale per cosa grande.
56 le torele = le Muse che sono dette nutrici dei pocti.
428 DEL PARADISO
Del latte lor dolcissimo più pingue, De quel so dolce late le nutria,
Per aiutarmi; al millesmo del vero Me vegnisse agiutar, son persuaso
Non si verria cantando'l santo riso, Che a ben cantar quanto quel santo riso
E quanto '1 santo aspetto facea mero. Dava a eia splendor, no saria in caso. 60
E così, figurando 'l Paradiso, E perciò depenzendo el Paradiso,
Convien saltar lo sagrato poema, Saltar sto passo el sacro mio poema, *
Come uom che trova suo camin reciso. Come saltar un fosso m' ho deciso.
Ma chi pensasse il ponderoso tèma Ma chi pensasse suso al forte tema,
E l'omero mortai che se ne carca, E a l'omo che quel peso ha da portar, 65
Noi biasmerebbe, se sott'esso trema. Compatirlo dovria se solo el trema.
Non è pareggio da piccola barca Per barcheta noi xe trato de mar,
Quel, che fendendo va l'ardita prora, E nè gnanca el saria per el piloto.
Nè da nocchicr. ch' a sè medesimi parca. Che ghe insurissa el tropo sfadigar.
Perche la faccia mia si t' innamora, Perchè nel viso mio li è perso coto, 70
Che tu non ti rivolgi al 'bel giardino, Che no ti vardi sto giardin fiorio
Che sotto i raggi di Cristo s' infiora ? Dai ragi, che Gesù ghe spande soto ?
Quivi è la rosa, in che '1 Verbo divino Qua xe la Rosa in dovei Fini de Dio
Carne si fece : e quivi son li gigli, S' ha incarnà, e i Apostoli xe qua,
Al cui odor si prese '1 buon cammino. Drio ai quali tanti è zonti a bon partio. 75
Cosi Beatrice. Ed io, che a' suoi consigli Cossi Bice. E oramai mi parechià
Tutto era pronto, ancora mi rendei Ai so consegi, i ochi fiachi, ancora
Alla battaglia de' debili cigli. I lusori noveli ga ironia.
Come a raggio di Sol, che puro mei Come al ragio del Sol, che sbusa fora
Per fratta nube, già prato di fiori Da niola rota, ho visto el pra fiorio 80
Vider, coperti d'ombra, gli occhi miei ; Senza veder el Sol ; cossi là sora
VirT io così più turbe di splendori Gran trupe de beati go scovrio
Fulgorati di su da raggi ardenti, Da l'alto sfiamegae da un raglo ardente,
Senza veder principio di fulgori. Senza veder da in dove el xe partio.
O benigna virtù, che sì gì' imprenti, O gran lusor stanzà su quela zente, 85
Su t'esaltasti per largirmi loco Ti t'ha alzà tanto che, se no, a vardar
Agli occhi lì, che non eran possenti. Là drento l'ochio mio gera impotente.
Il nome del bel fior, ch' io sempre invoco El nome del bel Fior, che de pregar
E mane e sera, tutto mi ristrinse Mai stralasso, ga fato ch'el splendor
L'animo ad avvisar lo maggior foco. Tra quei più grando avesse d'amirar. 90

04 pensasse imo = riflelesse sopra.


69 i'asttrissu = ripugni.
70 penn coto = perdutamente innamoralo.
73 Qua xe la Rota -- cioè Maria Vergine chiamata dalla Chiesa Rosa mistica.
75 è santi = sono giunti.
77 couscgi = consigli.
78 / tutori noveli — cioè le luci dei nuovi beati che formano il corteggio di Cristo e di Maria. — /"•"a'I
— vedi Nota 48.
79 mo/a = nuvola.
85 O gran Lutar = cioè Gesù Cristo.
88 dei bel Fior = della Rosa soprannominata al v. 73.
39 Mai straluno = mai tralascio = el splendor Tra quei più granda = cioè quello di Maria Vergine In»c
maggiore degli altri ivi rimasti, poichè quello di Gesù Cristo si fa allontanalo.

A
CANTO XXIII. 429
E com'ambo le luci mi dipinse E apena qual go ochià gera el lusor
I : quale e '1 quanto della viva stella, E quanto, che in virtù elo xe là,
Che lassù vince, come quaggiù vinse, Come qua '1 xe sta in gloria superior ;
Per entro '1 cielo scese una facella, Da l'Empireo una fiama s'ha calà,
Formata in cerchio a guisa di corona, Che fata a cerchio in forma de corona, 95
E cinsela e girossi intorno ad ella. Zirando intorno la lo ga serà.
Qualunque melodia più dolce suona El più bel canto che qua io s' intona
Quaggiù, e più a sè l'anima tira, E più l'anema incanta, pararla
Parrebbe nube che squarciata tuona, El sbregarse del nuvolo che tona, »
Comparata al suonar di quella lira, Messo in confronto de la melodia 100
Onde si coronava il bel zaffiro, Dè lu che incoronava quel brilante,
Del quale il ciel più chiaro s'inzaffira. Per el qual chiaro el ciel più comparia.
Io sono amore angelico, che giro Son l'aiuolo che esalta giubilante
L'alta letizia, che spira del ventre, L'alegria che ha dà el sen dov'è sta Quelo,
Che fu albergo del nostro desiro : Che nu avemo aspetà con ansie tante; 105
E girerommi, Donna dei ciel, mentre E andaró atorno a Ti, Dona del cielo,
Che seguirai tuo Figlio, e farai dia Sin che ti sta col Fio, e li farà
Più la spera suprema, perchè gli entro. Luser più el più bel ciel Ti drento in elo.-
Cosi la circuiate melodia Cussi i in/oli: el canto ha terminà;
Si sigillava, e tutti gli altri lumi E le altre luse tute in dolce ton 110
Facean sonar lo nome di Maria. El nome de Maria le ga cantà.
Lo real manto di tutti i volumi Del ciel che i altri involze in t'un balou,
Del mondo che più ferve e più s'avviva Fasendoli zirar, n otien de più,
Nell'alito di Dio e ne' costumi, Più a rente a Dio, lusor e perfezion;
v , , sopra di noi l' interna riva El colmo soto via lanto da nu 115
Tanto distante che la sua parvenza Lontan se alzava in su, che l'ochio mio
Lì, dov' i' era, ancor non m'appariva. Da là zo no l'andava sin a lu.
Però non ebber gli occhi miei potenza Perciò no go podesto tegnir drio
Di seguitar la coronata fiamma, A la Dona divina, che vicin
Che ti levò appresso a sua semenza. Se ga alzà coronada al divin Fio. 120
E come fantolin, che inver la mamma E come a la so mama el fantolin,
Tende le braccia, poi che '1 latte prese, Dopo el late succhià, sporze i brazzeli
Per l'animo che indn di fuor -" infiamma ; Per l'amor che ghe scalda el coresin;
Ciascun di quei candori in su si stese Tuli quanti quei cari lumineti
Con la sua cima, sì che l'alto affetto, Ga stongà la so ponta, e quanto alora 125

91 guai go ocMà gera ti lusor — cioè la luce di M. V.


94-96 una /lama t'ha colà ee. = per questo splendore che viene a far da corona a M. V. è significato l'Ar
cangelo Gabriello che le venne ad annunciare il gran mistero.
99 il stregane = lo squarciamento.
101 de lu = dot dell'Arcangelo suddetIo = ./'t-' tritante _- la Vergine Diaria.
104 dov'è ila Qtisto — cioe il Redentore.
107 Sin che li sia col Fio = cioe sempre.
110 m dolce ton = dolcemente.
112 Del ciel che i altri involze in l' un balon = il nono cielo otsia il primo mobile che avvolge in sè tutti
gli altri ed è il più vicino all'Empireo, e quindi il più prossimo alla sede di Dio.
115 r.l colmo solo via = la colmata interna del detto primo mobile.
430 DEL PARADISO
Ch'egli aveano a Maria, mi fu palese. Per Maria go capio fusse i so afeti.
Indi rimaser lì nel mio cospetto, Reyina Cceli, po, restai là sora
Reyina cceli cantando sì dolce, De fazza a mi, i cantava cussi ben,
Che mai da me non si partì '1 diletto. Ch'el gusto che go avuo lo sento ancora.
Oh quanta è l'uberià, che si soffide.' Quanta felicità mai se contien 130
In quell'arche ricchissime, che fòro In quei beati, che in sti loghi bassi
A seminar quaggiù buone bobolce! I xe stai semenando tanto ben !
Quivi si vive e gode del tesoro, Là, là se gode tuti quanti i spassi,
Che s'acquistò piangendo nell'esilio Che se s'ba guadagnà pianzendo in ter»,
Di Babilonia, ove si lasciò l'oro. Là zo lassando le ricchezze e i chiassi; 135
Quivi trionfa, sotto l'alto Filio Là trionfa chi soto Cristo in guera
Di Dio e di Maria, di sua vittoria, Coi giusti la so gloria ga diviso
E con l'antico e col nuovo concilio, Del vechio e novo testamento, e sera
Colui, che tien le chiavi di tal gloria. Le chiave in le so man del Paradiso.

127 Regina Cali = k un'antifona che la Chiesa recita a Compieta nel tempo Pasquale; e nel tempo di Pa
squa appunto si trova il poeta in Paradiso = po = poscia.
128 De fazza a mi = di faccia a me, dirimpetto.
135 t chiatti =. nel senso di bagordi mondani.
138 c/n tato Crino = cioè S. Pietro.
431

CANTO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Lo bnoo Pastor, al qual Cristo fidava Qael buon Pastor, al qual Cristo fidava
Cristo il governo già da prima diede, Dei Cristiani el governo, e a lu le sante
E l'alta chiavi, e la divina legge; Chiave del Paradiso consegnava;
Fattosi innanzi, allo Poeta chiede, Fatose avanti, ghe domanda a Danto
Per farne con esame sperienza, In cossa che se basa la so Fede.
Qnaj sieno i fondamenti di sua fede; La Bice lo incoraci.! e po a le tanta
Ei gli risponde, e vera e sua credenza. Lu responde, e xe vero quanto el crede.

O sodali/io eletto alla gran cena O compagnia cernida al gran disnar


Del benedetto Agnello, il qual vi ciba Del santo Agnel, che tanto ve restora,
Sì, che la vostra voglia è sempre piena ; Che gnente altro podè desiderar;
Se per grazia di Dio questi preliba Se per grazia de Quel che xe là sora,
Di quel che cade della voitra mensa, De la tola le fregole, che ai pie 5
Anzi che morte tempo gli prescriba, Ve casca, elo tol su prima ch'el mora,
Ponete mente alla sua voglia immensa, A la gran vogia che '1 ga lu pensè:
E roratelo alquanto : voi bevete De quel licor divin spruzzelo un di
Sempre dol fonte, onde rien quel ch'ei pensa. Al qual el pensa, e vualtri ve beve.
Coti Beatrice. E quelle anime liete Cussi Bice ; e quei lumi ga zira 10
Si fóro spere sopra fissi poli, Come cerchi su Sperni, e dal contento,
Kammando forte, a guisa di comete. Fiame come comete i ga butà.
E come cerchi in tempra d'oriuoli E cofà i cerchi che al relogio drento
Si giran si, che '1 primo a chi pon mente /ira, par fermo a chi li sta osservando
Quieto pare, e l'ultimi che voli ; El primo, e portà l'ultimo dal vento. 15
Coti quelle carole differente Dei santi cerchi el moto vario ochiandu,
mente danzando, dalla sua ricchezza Più questi e manco quei corer vedeva,
Hi si facean stimar veloci e lente. Conforme i ga '1 lusor più o manco grando.
Di quella, ch'io notai di più bellezza, Da quelo ch'el più belo a mi pareva,
Vid'io uscire un fuoco sì felice, Un spirito è sortio cussi lusente, 20
Che nullo vi lasciò di più chiarezza ; Che là nissun de lu più luse aveva.
E tre Tiate intorno di Beatrice Tre ziri atorno a Bice bravamente
Si volse, con un canto tanto divo, Fa, cantando con tal santa armonia,

1 cerultai = scelta.
2 Del caro Agnel = cioè G. Cristo.
5 loia = tavola da pranzo = '• fregole = le briceiole, cioè i frammenti della sovrabbondante gloria divini.
6 tal tu = raccoglie.
7 A la gran vogia ch'el i/a IH — all'ardente desiderio di lui.
8 De quel licor divin = cioè della divina sapienza = licor — liquore = un /io = un pochino.
13 cofà i i-ertiii = a guisa dei cerchi = relogio .= orinolo.
15 e porta l'ultima dal vmto = e l'ultimo va con tutta velociti.
432 DEL PARADlSO

Che la mia fantasia noi mi ridice : Che no me sa ripeter la mia mente ;


Però salta le penna, e non lo scrivo : Perciò la lassa indi io la pena mia : 25
Chè l'immaginar nostro a culai pieghe, Ch'el color del pensier, o del parlar
Non che '1 parlare, è troppo color vivo. Mai quei canti depenzer podaria.
O santa suora mia, che sì ne preghe, O beata sorela, che in pregar
Devota per lo tuo ardente affetto, Ti nu, per l'omo al qual amor ti ga,
Da quella bella spera mi disieghe. Ti me fa dal mio cerchio destacar. 30
Poscia fermato, il fuoco benedetto ln sto mudo a la Bice ga parlà
Alla mia Donna dirizzo lo spiro, La bela luse, che de andar mirando
Che favellò così, com'io ho detto. Oramai la gaveva stralassà.
Ed ella : O luce eterna del gran viro, O santa luse de quel omo grando,
A cui nostro Signor lasciò le chiavi, Al qual Cristo ha le chiave, eia responde, 35
Ch Vi portò giù di questo gaudio miro, Fidà del cielo, vien esaminando
Tenta costui de' punti lievi o gravi, St'omo sora le facili e profonde,
Come ti piace, intorno della fede, Come a ti par, question de santa fede,
Per la qual tu su per lo mare andavi. Per la qual franco ti xe andà su l'onde.
S'egli ama bene e bene spera e crede, Se l'ama ben, se '1 spera ben, se '1 crede • 40
Non t'è occulto, perchè '1 viso hai quivi, Ti 'l sa, ch'el so pensier qua conossù
Ov'ogni cosa dipinta si vede. Ti ha in Dio vardando, che ogni cosa vede.
Ma perchè questo regno ha fatto chi Ma za che va la fede sempre più
Per la verace fede, a gloriarla Sto regno de beati popolando,
Di lei parlare è buon ch'a lui arrivi. Va ben che a gloria soa s'en parla a lu. 45
Sì come il baccellier s'arma, e non parla Com'el scolaro tase in guardia stando,
Fin che '1 maestro la quistion propone, Sin ch'el mestro propone la question.
Per aiutarla, non per terminarla ; E de ben sostegnirla sta pensando ;
Così m'armava io d'ogni ragione, Cussi me parechiava la lezion
Mentre ch'ella dicea, per esser presto Sin ch'eia parla, per responder presto 50
A tal querente ed a tal professione. A tanto Mestro e a tema cussi bon.
Di', buon cristiano ; fatti manifesto : Da bravo via, Cristian, respondi a questo :
Fede che è? Ond'io levai la fronte Cossa è Fede ? La luse che famva
ln quella luce, onde spirava questo. Sta domanda ho vaiilà e go tasesto;
Poi mi volsi a Beatrice : ed ella pronte Po vardo Bice, ch'eia pur taseva, 55
Sembianze femmi, perchè io spandessi Ma co un moto del viso nr ha anemà
L'acqua di fuor del mio interno fonte. A dir su quel che drento in peto aveva.
La grazia, che mi dà ch'io mi confessi, l.a grazia in Dio che confessar me fa,
Comincia'io, dall'alto primipilo, Digo, davanti al Capo de la Chiesa,
Faccia li miei concetti essere espressi. Fazza ch'el mio pensier sia ben spiegà. 60
E seguitai : Come il verace stilo E po : Come, o bon pare, ga destesa
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate, Con verità San Paolo la Scritura,
Che teco mise Roma nel buon filo, Che con ti in drizzar Roma ha avù l'impresa,

28-30 O beaia sorela cc. = questi che parla è San Pittro.


39 franco li xe anda su l'onde — è noto clic S. Pictro camminò sul mare di Tibcriade rome sulla terra
56 co = con.
60 Pazza — faccia.
63 ia drizzar Roma -= nel ilare a Roma un indirizzo lici buoni costumi e nella vera fede.
CANTO XXIV. 433
Fede è sostanzia di cose sperate, La Fede xe a sperar virtù più pura :
Ed argomento delle non parventi; Ragion per creder xe quel che capir 65
E questa pare a me sua quiditate No su poi: tal me par la so natura.
Allora udi' : Dirittamente senti, Ti pensi ben, lu alora me vini dir,
Se bene intendi perchè la ripose Se C intendi el perchè da la virtù
Tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti. K ragion la fa Paolo vegnir.
Ed io appresso : Le profonde cose. Le cosse assae profonde, che qua su 70
Che mi largiscon qui la lor parvenza, Fate veder me vien, là zo no i vede.
Agli occhi di laggiù son sì nascose. Ma le xe tanto sconte, digo a lu,
Che l'esser loro v'è in sola credenza, Che in fato le ghe sia solo eli crede;
Sovra la qual si fonda l'alta spene : In sto creder sta tuta la speranza ;
E però di sustanzia prende intenza. E '1 nome de virtù perciò ha la Fede. 75
E da questa credenza ci conviene E sora sta credenza i ga l'usanza
Sillogizzar, senza aver altra vista. De ragionar senza un pensier diverso,
Però ch'intenza d'argomento tiene. Perciò dita ragion la xe in sostanza.
Allora urli': Se quantunque s'acquista E lu da novo: Quando in stoibon verso
Giù per dottrina fosse così inteso, Se intendesse là zo quel ch'è insegnà, SO
Non x'avi iii luogo ingegno di sofista. No ghe saria el cavii che va a roverso.
Così spirò da quell'amore acceso : M'ha cossi el Santo pien d'amor parlà:
Indi soggiunse : Assai bene è trascorsa Dopo el seguita a dirme : La natura
D'esta moneta già la lega e '1 peso: De la fede s' ha ben esaminà,
Ma dimmi se tu l' hai nella tua borsa. Ma se in cuor, dime, ti la ga maura. 85
Ed io: Sì, l'ho sì lucida e sì tonda, Sì, digo, e tanto chiara in mi scolpia,
Che nel suo conio nulla mi s'inforsa. Che nissun dubio fa vegnirla scura.
Appresso uscì della luce profonda, Da là un' Ilà a domandarmi! anca el vien via
Che lì splendeva : Questa cara gioia, Ne la so luse : Di', da quala banda
Sovra la quale ogni virtù si fonda. Te xe vegnua la Fede che qualsia 90
Onde ti venne? Ed io: La larga ploia Virtù ga in eia ? E mi : La grazia granda,
Dello Spirito santo, ch'è diflusa Ch'rl Spirito Divin la gran lezion
In su le vecchie e in su le nuove cuoia. Per via dei Testamenti a l'omo manda,
È sillogismo, che la mi ha conchiusa \e la più certa prova e la rason
Acutamente, sì che in verso d'ella Che m' ha la mente e '1 cuor cussi impinio. 05
Ogni dimostrazlon mi pare ottusa. Che no ocor qualsesia dimostrazion.
lo udi' poi : L'antica e la novella Per cossa, da elo po dirme ho sentio.
Proposizion, che così ti conchiude, Ti tien el novo e vechio Testamento.
Perchè l'hai tu per divina favella ? Che t' ha convinto, per vose de Dio ?
Ed io: la prova, che 'l ver mi dischiude. La prova che me fa veder ben drento, 100
Son l'opere seguite, a che natura Xe i miracoli, digo, e in quei natura

64 virtù più /',,i-n —- perchè in questa si fonda ogu'.dtra virtù, com'è dichiarato al v. 90-91.
79 Quando in ilo hon verso = quando .la questo buon lato, cio£ rottamente.
81 che va a rovcrto = cioè elic intende u rovescio.
85 n la ga mauro — tu l'Ini maturu, ridi' stabilitu.
88 Da là un fìà = da lì u poco.
93 Per via = per mezzo.
94 raton = cagione, motivo.
97 Per cotta — per qual motivo. '
28
434 DEL PARADISO
Non scaldò ferro mai, nè batta ancude. No la ga avudo parte un sol momento.
Risposto fammi: Di', chi t'assicura E lu: Dime, chi xe che te assicura
Che quell'opere fosser? quel medesmo Dei miracoli : xeli forsi stai
Che vuoi provarsi non altri il ti giura . I Testamenti? o qualchedun tei zura? 105
Se '1 mondo si rivolse al cristianesmo. Se i M; al mondo cristiani deventai,
Diss'io, senza miracoli, quest'uno Digo, senza miracoli, sto solo
È tal, che gli altri non sono '1 centesmo : Ga cento volte i altri superai,
Che tu entrasti povero e digiuno Che povareto e senza gnanca un colo
In campo a seminar la buona pianta. De fama ti ha la fedo predicà, 110
Che fu già vite, ed ora è fatta pruno. Che adesso la va al mondo a rompicelo.
Finito questo, l'alta corte santa A sto sito i beati ga mandà
Risonò per le spere un : Dio lodiamo, Dai cerchi un : Dio lodemo, con quel canto
Nella melode che lassù si canta. Armonioso che solo in ciel se fa.
E quel Baron, che sì di ramo in ramo, E cossi tamisandome quel Santo Ilo
Esaminando, già tratto m'avea, Ponto per ponto circa la vertenza,
Che all'ultime froade appressavamo, Che a terminarla no mancava tanto,
Ricominciò : la grazia, che donnea L'ha comincià da novo: La potenza
Con la tua mente, la bocca t'aperse De la grazia ch'el to cervei tien drito,
Insino a qui, com'aprir si dovea ; T'ha fato dir sin qua bona sentenza; 120
Sì ch'io approvo ciò che fuori emerse : E mi convegno in quel che ti ga dito:
Ma or conviene esprimer quel che credi, Ma in cossa che ti credi, e cossa è sta
Ed onde alla credenza tua s'offerse. Che te fa creder dime su pulito.
O santo padre, o spirito, che vedi O Santo, digo, che ti vedi qua
Ciò che credesti, si che tu vincesti Quel che credeste ti ga ti cossi, 125
Vèr lo sepolcro più giovani piedi, Che d'un zovene prima ti è arivà
Comincia'io, tu vuoi che io manifesti Al sepolcro, ti voi che spiega mi
La forma qui del pronto creder mio ; In cossa credo, e diga anca del mio
Ed anche la cagion di lui chiedesti. Civdiii franco el motivo. Eco che a ti
Ed io rispondo : Credo in uno Dio Respondo: lu un sol credo Eterno Dio, 130
Solo ed eterno, che tutto '1 ciel muove Che mosso da nissun, luto Lu move
Non moto, con amore e con disio. El ciel, e con amor el ghe tien drio;
Ed a tal creder non ho io pur pruove E in creder questo, go no sol le prove
Fisiche e metafisiche; ma il almi Fisiche e metafisiche, ma i schieti
Anche la verità, che quinci piove Oracoli » f i'l dise, che zo piove 135
Per Moisè, per profeti e per salmi. Da Mosè, dal Salmista, dai Profeti,

10! No la •i" umiln parte --- non ci entrò punto = UH sol momento - uè punto ne poco.
107 ito solo = questo solo.
109-110 senza gnanca un colo De fama = senza uno goccia, un bricciolo di fama.
Ili a rompicelo = a soqquadro.
113 Dai cerchi = dai circoli luminosi, di cui sopra si è dello al v. 11 = nn: Dio lodemo = un Te Dcom
laodamus.
115 tamisandome = esaminandomi con rigore.
123 pulito = bene.
126 Che d'un zovene prima li è arivà ce. = correndo S. Pietro con Giovanni al Sepolcro di G. C. gli fu dal
la divina grazia concesso di entrarvi il primo, e vincere cosi il condiscepolo ch'era più giovane e più agile di lui.
132 tl ghe lien drio =t Io sorveglia, lo governa.
135 Oracoli = cioè detti di verità .- Oracolo nel dialetto veneziano Ira i vari significati ha quello partdi
verità assoluta. •
CANTO xxiv. 435
Per l'evangelio, e per voi che scriveste, Dal Vangelio e da vualtri, che l'avè
Poi che l'ardente Spirto vi fece almi. Scrita, co Dìo v'ha dà grandi inteleti.
E credo in tre Persone eterne ; e queste Credo Dio in tre persone, e credo che
Credo una esscnzia si una e sì trina, Queste un Esser le sia, che in singolar 140
Che solfera congiunto sani et fste. Comporta ci xe, come in plural i xe.
Della profonda congiunzion divina. St'arcana, de la qual son drio parlar,
Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla Santa union, el Vangelio ferma e viva
Più volte l'evangelica dottrina. La fa in più siti in mente mia stampar.
Quest'è'l principio, quest'è la favilla, Xe questo el fondamento e la faliva, l i."i
Che ti dilata in fiamma poi vivace, Che in bampa po se starga su le brase,
E, come stella in cielo, in me scintilla. E come stela lustra in mi l'ariva.
Come il signor, ch'ascolta quel che i piace, Come che in ascoltar quel che ghe piase,
Da indi abbraccia '1 servo, gratulando Se va via via el paron ingaluzzando,
Per la novella, tosto ch'ei si tace; E abrazza el servitor apena el tase; 150
Cosi, benedicendomi cantando, Cossi benedisendome e cantando,
Tre volte cinse me, sì com'io tacqui, Tre volte, co ho tasù, m' ha tornià '1 Santo,
L'apostolico lume, al cui comando Al qual gavea parlà per so comando;
lo aveva detto ; sì nel dir gli piacqui. Quel che go dito, ah sì, ga piasso tanto.

138 co .-. quando.


141 Comporta = richiede.
146 faliva - favilla.
146 /••n . - poscia . brase = bragie.
149 » va via via ti panni ingaluzznnda — vu gr.ldnlanicnte il padrone facendo moti e segni di allegrezza.
152 m'ha torniò = mi circondò.
436 DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOQUINTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Quegli, per cui Galizia ancor s'onora. (Jmd Santo, per el tjual tanto se onora
Ed or e i'iin'- nella pura stanza l,a Galizia, n in quela sfera là
Kra quei che un solo oggetto si innamora, l.use tra quei che un Sol tuti inamura.
Chiede tre cose intorno alla Speranza; Su la Speranza tre domande el fa.
Una Beatrice, due ne scioglie DanU'. A una Bice renponde, e a l'altre Dante.
Giovanni Evangelista indi n'avanza San Zuane, co l'esame e termina,
Kra l'altre due facelle eterne e sante. /onze tra le do prime luse sante.

Se mai continga che '1 poema sacro, Se Dio voi che sto sacro canto mio,
Al quale ha posto mano e cielo e terra, Che in farlo tera e ciel ga di le spente,
Sì che m'ha fatto per più anni macro, Tanto che per dei anni el m' ha smagrio,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra Amansa la fierezza, che inocente
Del bello ovile, ov'io dormii agnello M' ha IM//ÌI fora da la patria mia, 5
Nimico a' lupi, che gli danno guerra ; Tolto a odiar da la soa nemlga zente;
Con altra voce omai, con altro vello Coi cavei bianchi e vose indebolia
Ritornerò poeta, ed in sul fonte Tornarò là poeta, e incoronà,
Del mio battesmo prenderò '1 cappello : Dov'el balizo ho avuo farò che tia ;
Perocchè nella fede, che fa conte Perchè mi son in quela fede entrà, 10
L'anime a Dio, quivi entra'io; e poi Che dà le aneme a Dio, e Piero gera
Pietro per lei sì mi girò la fronte. Per eia atorno al fronte mio /irà.
Indi si mosse un lume verso noi Po un lusor destacà da la lumiera
Di quella schiera, ond'uscì la primizia, (Dal primo un poco avanti abandonada
( '.ho lasciò Cristo de' vicarii suoi. Dei Vicari che Cristo ha lassà in tera) 15
E la mia Donna piena di letizia, Ne vien incontro. E tuta ralegrada
Mi disse : Mira, mira : ecco '1 Barone, Bice a mi : Varda, varda : eco quel Grando.
Per cui laggiù si visita Galizia. Per el qual xe Galizia visitada.
Sì come quando '1 colombo si pone Come fa do colombi, che tirando
Presso al compagno, l'uno all'altro pande, Un drio l'altro dismostra tra de lori 20
Girando e mormorando, l'affezione ; El so amor, e i se cocola tugando ;

t lerà t ciel --- la scienza umana, cioè la filosofìa, e la scienza divina, cioè la teologia = ga da le tpe*»
= gli die le spinte, cioè gli diede uiuto.
5 cazza -- cacciato.
6 Tolto in odio - • preso a odiar.
13 da la lumiera —- formata dai beati spiriti: vedi i v. 11 e 12 del canto prcced. ove fu dello: Comt i
cerchi tu i perni dal contento zirando ce.
14 Dal primo = cioè S. Pietro.
17-18 eco iini-l Grando ee. — cioè San fiiacoino, per divozione al quale i pellegrini tritano Compostelii di
Galizia ov'è il suo sepolcro.
21 e i te cocola = e si accarezzano -- lugando = lugar è il vero termine usalo per esprimere il cupo
mormorio proprio dei colombi.
CANTO XXV. 437
Coii vid'io l'uri dall'altro grande Cussi quei do campioni i santi amori *
Principe glorioso essere accolto, Mostrarse ho visto co la istessa ardenza,
Laudando il cibo, che lassù si prande. Mandando lode a Dio, pasto ai so cuori.
Ma poi che '1 gratular si fu assolto, Ma ziti in fazza a mi, drio st'acolgenza 25
Tacito coram me ciascun s'affisse Tuli se ga fermà cossi lusendo,
Ignito sì, che vinceva '1 mio volto. Che no ho possù frontar la so presenza.
Ridendo allora Beatrice disse : Bice al novo vegnù dise ridendo :
Inelita vita, per cui la larghezza O glorioso campion, che l'abondanza
Della nostra basilica si scrisse, Ufi doni, che fa Dio, ti è andà scrivendo, 30
Fa risonar la Speme in quest'altezza : Parla da sto alto ciel su la Speranza
Tu sai che tante volte la figuri, Che ha in li tre volte figurà Gesù,
Quante Gesù a' tre fe più chiarezza. Quando el ga ai tre schiaria la so possanza.
Lerà la testa, e fa che t'assicuri ; Leva la testa, via, no temer più;
Che ciò che vien quassù dal mortai mondo, Che ha d'esser rafinà da sto lusor 35
Convien ch'a' nostri raggi si maturi. Tuto quel che dal mondo vien qua su.
Questo conforto dal fuoco secondo (ÀJSSÌ la nova luse m' ha dà cuor ;
Mi venne; ond'io levai gli occhi a'monti, E l'ochio su i do santi ho alzà mi aloni,
Che gl'incurvaron pria col troppo pondo. Che in prima avea sbassi dal gran splendor.
Poichè per grazia vuoi che tu t'affronti Za che la grazia, avanti che te mora, 40
Lo nostro Imperadore, anzi la morte, De parlar ai so Santi Dio t' ha dà,
Nell'aula più segreta co' suoi Conti, Che questo ciel privilegià i onora,
Sì che, veduto "1 ver di questa Corte, Aciò, vista qua ti la verità,
La Speme, che laggiù bene innamora, La speranza, conforto de la tera,
In te ed in altrui di ciò conforte; Saldar ti gabi in ti e in quei de là ; 45
Di' quel ch'ell'è, e come se ne infiora Cossa xela mo, dime, in qual maniera
La mente tua ; e di' onde a le venne. Ti speri, e donde la te i e vegnuda:
Così seguio '1 secondo lume ancora. Cussi el discorso el lusor novo sera.
E quella Pia, che guidò le penne E Bice, che bontà per mi l' ha avuda
Delle mie ali a così alto volo, De trarme tanto in alto d'eia a drio, 50
Alla risposta così mi prevenne: Cossi la mia resposta ha prevegnuda :
La Chiesa militante alcun figliuolo La Chiesa guerizante no ga un fio
Non ha con più speranza, com'è scritto Che supera in sperar l'anema sua,
Nel Sol, che raggia tutto nostro stuolo. CDIIU', schiarii da Dio, vedemo in Dio.
Però gli è conceduto che d'Egitto Perciò la grazia de vegnir l' ha avua 55

ti iiun do campioni - cioè S. Pietro e il sopraggiunto San Giacomo.


-''i co l' inesta ardenza — con eguai calore.
25 di-in — qui sta per dopo
27 /ronfar — qui \alc sostenere.
29 O gloriato campion = il discorso di Beatrice è rivolto a S. Giacomo.
30 li i andà scrivendo = allude alla noia Epistola di S. Giacomo.
32-33 ( In' ha in li Ire volle figura Gesù re. = I opinione di alcuni interpreti elic Gesù eleggendo sempre
S. Pietro. S. Giovanni e S. Giacomo, u testimoni de' suui miracoli, volle come figurare in loro le tre virtù IV
di-, Carità e Speranza. E queste infatti nelle Epistole di ciascheduno più notabilmente si predicano.
37 la nova Iute = cioè S. Giacomo — m'ha dò cuor — mi diede animo.
40 che te mora = che tu muoia.
46 mo — pnrticella riempitiva.
52 guerizante = guerreggiante
438 PEL PAIUPISO
Migna in Gerusalemme per vedere, IMI mondo al Paradiso, avanti aver
Anzi che '1 militar gli sia prescritto. Sin in fin la so gucra sostegnua.
Gli altri duo punti, che non per sapere I altri do ponti che, no per saver
Son dimandati, ma perch'ei rapporti Ti ghe cerchi se '1 sa, ma aciò là 1,0
Quanto questa virtù l'è in piacere, Sta virtù el diga qual te dà piacer, 60
A lui lasc'io; che non gli saran forti, Dir lasso a lu, che no i ghe sarà, no,
Nè di iattanzia : ed egli a ciò risponda, Tanto intrigai, nè i ghe darà baldanza,
E la grazia di Dio ciò gli comporti. Ma che lo agiuta Dio fede mi go.
Come discente, ch'a dottor seconda Com'el scolaro, el qual senza esitanza,
Pronto e libente in quello ch'egli è sperto, Sicuro in quel ch'el sa, co gran franchezza, 65
Perchè la sua bontà si disasconda ; Responde al Mestro; digo: La Speranza
Speme, diss'io, è uno attender certo Xe un aspelar la gloria con cerlezza,
Della gloria futura, il quai produce El qual merito anticipa, e ne dà
Grazia divina e precedente merto. De la grazia divina C alegrezza.
Da molte stelle mi vien questa luce: Tanti sacri scritori l' ha insegnà, 70
Ma quei la distillò nel mio cor pria, Ma anca prima m' ha l'anema impinia
Che fu sommo cantor del sommo Duce. Quel gran cantor che ga '1 gran Dio lodà.
Sperino in te, nell'alta Teodia Spera in Ti, el dise ne la Salmodia,
Dice, color che sanno '1 nome tuo : L'omo che del lo amor xe persuaso:
E chi noi sa, s'egli ha la fede mia ? E chi noi xe, se 'I ga la fede mia ? 75
Tu mi stillasti con lo stillar suo Po ti me l'ha fìltrada dal lo vaso
Nella pistola poi: sì ch'io son pieno. Ne l'Epistola tua con cio, e adesso
Ed in altrui vostra pioggia repluo. Sora i altri, mi pien, fazzo el Iravaso.
Mentr'io diceva, dentro al vivo seno Insin che parlo, quel lusor istesso
Di quello incendio tremolava un lampo Nel so fogo el fazzeva un tremolio, 80
Subito e spesso a guisa di baleno : Come in l'un supio sguizza el lampo e spesso:
Indi spirò : L'amore, ond'io avvampo Po '1 dise: La Speranza che a mi drio
Ancor ver la virtù, che mi seguette L'è vegnua sempre, e amo anca in sta quiete,
Fin alla palma ed all'uscir del campo, Sin che da morir martire ho finio,
Vuoi ch'io respiri a le, che ti dilette Me fa ancora a li dir do parolele; 85
Di lei: ed emmi a grato che tu diche Se li ami sia Speranza, go piacer
Quello che la Speranza ti promette. < ih.' ti dighi, e cossa eia te promele.
Ed io : Le nuove e le Scritture antiche Kuspondo: 1 Testamenti fa saver
Pongono '1 segno, ed esso lo m'addila. De la Speranza qual la meta sia.
Dell'anime, che Dio s'ha fatte amiche, Ogni anema che Dio chiama a goder, 90

56-57 armili aver Sia in fin la to guera = cioè prima che abbia posto termine, colla di lui morie, al suo
combattere nella vita mortale in favore dellu religione.
59 Ti ghe carchi - - tu gli domandi.
62 Tanto intrigai = tanto intralciati, avviluppati.
72 Unti gran cantor — cioè David che cantò le lodi di Dio.
73-74 Spera IH Ti ec. ^ nei suoi canti sublimi in lodo di Dio egli dice: Sperino in te coloro che cono
scono il nome tuo, e sunno che In sei misericordioso.
76 dal lo voto = dello sotto metafora, per vaso dellu scienza.
77 Kc l' l'inzndri tua = cioè, col mezzo della tua Epistola = con eln = uioè, colh' cose delti- da
7S mi pien a. - cioò, io abbondantemente fornito di lauta grazia, lu riverso sopra gli altri.
81 Coine in t'nn nnpio — come in un attimo, in un baiter di ciglia.
39 la mela tia - cioò il Paradiso.
CANTO XXV. 439

Dice Isaia, che ciascuna vestita Con do veste sarà, dise Isaia, •
Nella sua terra fià di doppia vesta : Vestia ne la so patria, e se capisse
E la sua terra è questa dolce vita. Che sta patria xe '1 ciel. E lo diria
E "1 tuo fratello assai vie più digesta, Megio ancora San Zuane, el qual schiarisse,
Là dove tratta delle bianche stole, Dove de stole bianche el ga tratà, 95
Questa rivelazion ci manifesta. Questo revelo ne l'Apocalisse.
E prima, appresso 'I fin d'este parole, De parlar prima ch'abia terminà,
Sperent in te, di sopra noi s'udì : Sperent in te, su nu s" ha sentio lì,
Al che risposar tutte le carole. E tuli i lumi la resposta ha dà.
Poscia tra esse un lume si schiarì Po un lusor vien tra quei chiaro cussi, 100
Sì, che, se '1 Cancro avesse un tal cristallo, Che se '1 Cancro l'ardesse in tal maniera,
II verno avrebbe un mese d'un sol dì. Per un mese d'inverno saria dì.
E come surge, e va, ed entra in ballo Come vergine gagia entra leziera
Vergine lieta, sol per fare onore In baio, no per ambizion, ma oimi
Alla novizia, non per alcun fallo ; Per farghe a la novizza e bona ciera; 105
Cosi vid'io lo schiarito splendore Cossi vegnir go visto quel lusor
Venire a' due, che si volgeano a ruota, Incontro ai primi do, che presto presto
Onai conveniasi al loro ardente amore. I andava in ziro spenti dal so amor.
Misesi lì nel canto e nella nota : Po '1 ga cantà quel canto e con quel sesto:
E la mia Donna in lui lenea l'aspetto, E come sposa zita e queta sta, 110
Pur come sposa tacita ed immota. Bice tegniva in quei l'ochio modesto.
Questi è colui, che giacque sopra '1 petto Questo è quel che sul peto ha repossà
Del nostro Pellicano ; e questi fue Dè Cristo, che per fiolo el ga a Maria
Di su la croce al grande ufficio eletto. Stando sora la Crose destinà.
La Donna mia così : nè però piue Cussi Bice, che mai no leva via 115
Mosser la vista sua da stare attenta I ochi sintanto la xe drio a parlar,
Poscia, che prima, le parole sue. Da quei lusori. Come chi voria,
Quale è colui, ch'adocchia, e s'argomenta Quando l'ecrisse ita per scomenzar,
Di vedere ecelissar lo Sole un poco. Fissar i ochi in tei Sol, ma no ghe giova,
Che, per veder, non vedente diventa ; Che ancora el tropo chiaro lo fa orbar; 120
Tal mi fec'io a quell'ultimo fuoco, Cossi resto in fissar la luse nova,
Mentreche detto fu : Perchè t'abbagli Mentre eia dise : Perchè qua ti sta
Per veder cosa, che qui non ha loco? A orbarle in scovrir quel che no se trova ?

91 Con do veste = cioè la beatitudine dell'anima e la glorificazione del corpo. = dine liaia == ecco le pa
role d'Isxia, In terra sua dupliciu poisidebunt, lalilia tempilerna erit tia. Is. LXI, 7.
9! ne la so patria -... cioè la patria dei Beati.
96 revelo = rivelazione.
98 Spermi in le -• parole del Salmo IX.
101 Cancro - una delle dodici costellazioni del Zodiaco.
103 gagia = lieta, allegra.
105 la novizza -- la sposa novella.
108 tpenti = spinti, eccitali.
109 Po'/ ga canta ce. — S. Giovanni, entrato ter-io fra i due, cantò le medesime pai-ole di cui al v- 98. —
• con 'iiu-i ttilo — e colla stessa cantilena.
112 Quello i iinel = cioè S. Giovanni riposò sul pelle di G Cristo.
120 orbar - abbagliare.
123 in tcotirir -/•"-' che no ie trova = Dante si affissava nello splendore di S. Giovanni per vedere se era
lassù anche col corpo. Questo dubbio era nato dalle parole di G. C. intorno a lui: Sic emo volo manere donee
reniam (Bianchi/
440 DEL PARADISO
In terra è terra il mio corpo ; e saragli 'Lo in in « xe '1 mio corpo, e el starà là
Tanto cogli altri, che '1 numero nostro Con luti i altri come Dio ha deciso, 125
Con l'eterno proposito s'agguagli. Sin ch'el dì del giudizio vegnerà.
Con le duo stole nel beato chiostro Co l'anema e col corpo in Paradiso
Son le duo luci sole che saliro : Xe solo i do Inso) i in su levai ;
E questo apporterai nel mondo vostro. Reporta al mondo questo de preciso.
A questa voce lo infiammato giro A st'ultima parola s' ha fermai 130
Si quietò con esso '1 dolce mischio, Quei tre chiari splendori da zirar,
Che si facea nel suon del trino spiro ; E i ga i canti in terzeto stralassai,
Sì come, per cessar fatica o rischio, Come rischio e fadiga per scansar
Gli remi, pria nell'acqua ripercossi, I barcaroi fa insieme una siada,
Tutti si posan, al sonar d'un flschio. Quando el popier i ga sentio a subiar. 135
Ahi quanto nella mente mi commossi, * Oh ! quanto ho avù la mente conturbada,
Quando mi volsi per veder Beatrice, Per no poder vardar la Bice in ciera,
Per non poter vederla, ben ch'io fossi Co m' ho voltà co la mia vista orbada,
Presso di lei, e nel mondo felice ! Siben in ciel, e arente la me gera !

127 Co l'minii,t e col carpn = sono le due stole, cui alludono i versi 92-95.
128 Xi- solo i do lusori ee. — cioè O. Cristo e Maria Vergine (vedi C. XXII.), che alla visin di Dante salirono
all'Empireo.
134 una siada - - azione del remo per eui la barca si arresta dal cammino, o d. i indietro.
135 el popier - il barcnjuolo elic remiga a poppa e dirige la barca — nubiar -.. fischiare.
139 e areale -.-. e dappresso.
44Ì

CANTO VEMTESIMOSESTO
ARGOMENTO ARGOMENTO

' '.'i 'vii ama Dio Dante a Giovanni spiega, Dante che l'ama Dio Zuane el sicura
E che a cio il trasse intelligenza e fede, Per el criterio o fede ch'el ga In,
Onde conobbe il ben, che l'alme Ioga. Vedendo el ben, che l'anema fa pura
Poi vestito di luce Adamo vede, Po de Adamo el lusor vede dar su,
Lo quale brevemente soddisfece Ch'el desiderio interno in In scoverto.
A quanto ei col desìro in suo cor chiede. Ohe contenta, perchè i scovre lì su
Poichè si legge ld quanto altri tace. Quel che qua zo scovrir no se poi certo.

Mentr'io dubbiava per lo viso spento, Mentre mi imbarbagtà sul dubio stava,
Della fulgida fiamma, che lo spense, M' ha descantà la vose a mi mandada
Uscì uno spiro, che mi fece attento, Dal splendor cussi vivo che me orbara,
Dicendo : Intanto che tu ti risense Disendo: Intanto che la imbarbagiada
Della vista che hai in me consunta, Ti pari via, che t'è vegnua da mi,
Ben è che ragionando la compense. Refete discorendo. Dove vada
Comincia dunque ; e di' ove s'appunta A basarse el lo amor adesso di',
L'anima tua : e fa ragion che sia E no sta a dubitar, che ìndebolia,
La vista in le smarrita e non defunta : No destruta ti ga la vista ti:
Perchè la Donna, che per questa dia Che quela dona, che te mena via 10
Region ti conduce, ha nello sguardo Per sii bei cieli, ga nel so vardar
La virtù, ch'ebbe la man d'Anania. La virtù che in la man ga avù Anania.
lo dissi: Al suo piacere e tosto e tardo Presto o tardi, respondo, remediar
Vegna rimedio agli occhi, che fdr porte, Vogia eia a sti ochi, dove xe entrà dreto,
Quand'ella entrò col fuoco ond'io sempr'ardo. Come da porte el fogo, che impizzar 15
Lo Ben, che fa contenta questa Corte, Me fa. Principio e fin d'ogni mio afeto
Alfa ed Omega è di quanta scrittura Xe Dio, che in cielo ogni anema inamora,
Mi legge amore o lievemente u forte. Picolo o grando che me vegna in peto.
Quella medesma voce, che paura La vose, ch'el timor m' ha apena alora
Tolto m'avea del subito abbarbaglio, Tolto de rimproveri imbarbaglada,
Di ragionare ancor mi mise in cura; M'ha messo in vogia de parlar ancora,

-- abbarbagliato.
I datatdà = distolto (dal dubbio) o più propriamente, mi ha chiarito.
3 Dal tpltndor catti vivo - - cioè la luce, ehe nascondeva S. Giovanni.
-1 imbarbagìada , abbagliamento.
5 Ti pari via = discacci = chiapada — pre.<a.
6 Refett — risarcisciti.
7 A botane — a fondarsi, avrr per base.
10 ii itelu dona = cioè Beatrice.
12 ga avù Annuiu - ebbe Ananiit; la cui mano ebbe la virtù di remlciv'la vista a S. Paolo acciecato
Hallo luce celeste che lo colpi.
14 Vngiii eia = voglia essu (Beatrice).
15-16 ihc impizzur Mi fa = che mi abbrucia.
19 I. a vote = la voce Mi S. Giovanni).
il in riniin in desiderio.
442 DEL PARADISO
E disse: Certo a più angusto vaglio Con dir : Megio bisogna che spiegada
Ti conviene schiarar ; dicer convienii Sia sta lo idea, disendo a bramar Dio
Chi drizzò l'arco tuo a tal bersaglio. La bona anema tua chi ga drizzada.
Ed io: Per filosofici argomenti, Per ragion natural, digo, e po drio 25
E per autorità, che quinci scende, Revelazion, che da de qua zo vien,
Cotale fuiioì convien che in me s'imprenti: Se ga svegià sto amor in tei cuor mio :
Che '1 bene, In quanto ben, come s'intende, Che '1 ben, visto ch'el sia per vero ben,
Così accende amore; e tanto maggio, De lu inamora, e tanto più inamora,
Quanto più di bontate in sè comprende. Quanta più de bontà in lu contien. 30
Dunque all'Essenzia, ov'è tanto avvantaggio, Donca a Dio, che su luto va de sora,
Che ciascun ben, che fuor di lei si truova, E qualunque altro ben senza de Lu,
Altro non è che di suo lume un raggio, Xe solo un ragio, che da Lu vien fora,
Più ch'in altra conviene che si muova Chi ga sta verità ben conossù,
La mente, amando, di ciascun che scerne D'ogn'altra cossa che ghe staga a cuor, 35
Lo vero, in che si fonda questa pruova. L'ha da fermar la mente soa de più.
Tal vero allo intelletto mio sterne De questa verità me dà sentor,
Colui, che mi dimostra il primo amore • '.hi dei anzoli e i omeni vedèr
Di tutte le -mstanzir sempiterne. Me ga fato quai fusse el primo amor.
Sternei la voce del verace Autore, La stampa el vero Dio nel mio pensier, 40
Che dice a Moisè, di sè parlando: Quando el dise a Mosè : La perfezion
Io ti farò vedere ogni valore. Che xe in mi, farò tuta a ti saver.
Sternilmi tu ancora, incominciando E ti te me la mostri, o pare bon,
L'alto preconio, che grida l'arcano Più de luti in principio del Vangelo,
Di qui laggiù, sovra ad ogni altro bando. Proelamando là zo la Incarnazion. 45
Ed io udii : Per intelletto umano, Za che ragion umana, me dise elo,
E per autoritade a lui concorde, Con divina ragion xe in armonia,
De' tuoi amori a Dio guarda '1 sovrano. Sporzi a Dio dei to amori quel più belo :
Ma di' ancor se tu senti altre cordo Ma anca di', se altre cause mai ghe sia,
Tirarti verso lui ; sì che tu suone, Che a Lu te spenze, e in quanti modi di' 50
Con quanti denti questo amor ti morda. Sto amor te vien a stuzzegarle via.
Non fu latente la santa intenzione La so intenzion, co '1 m' ha parlà cussi,
Dell'aquila di Cristo, anzi m'accorsi No m'è sta sconta, anzi ho capio qual tor
Ove menar vohla mia professione. Elo voleva spiegazion da mi.
Però ricominciai : Tutti quei morsi, Quante, digo, ghe xe, che poi el cuor 55
Che posson far lo cuor volgere a Dio, C inan tirar a Dio, bone rason,
Alla mia cariiate son concorsi: Tute in mi ga svegià per Lu l'amor ;

22 Megio = meglio.
25 e po drio = e poi in seguito.
38-39 Chi te. = cioè Piatone il quale nel suo Convito disse: » L'amore deali Dei essere di tntti antichis
simo e augusto*; altri vogliono che l'innominato sia Ai-inuiile, che nel libro De causts dice: nla catena degli
effetti e delle cause è infinita; per la qual cosa è di necessità pervenire ad una cagione elic sia cagione di tutte
le altre cioè a Dio. -•
46-47 Za che ragion umana ee. - cioè argomento lilosofico e teologico.
51 a iluszrgarle • • a stimolarli.
53 il uni lar ..- qual prendere; qui sia per scegliere.
56 tane raton = boni molivi.
CANTO XXVI.
Che l'essere del mondo, e l'esser mio, rh:- del mondo e de mi la creazion,
La morte che ci sostenne perchè io viva, I.a morte per salvarme che ha patio,
E quel che spera ogni fedei com'io, E ognun che spera in l.u con devozion, 60
Con la predetta conoscenza viva, Come mi, co le cosse dite indrio ;
Tratto m'hanno del mar dell'amor tòrto, Me ga cavà da l'amor falso, e invia
E del diritto m'han posto alla riva. Su la strada del vero amor de Dio.
Le fronde, onde s'infronda tutto l'orlo In tuto quel, che al mondo è sta creà,
Dell'Ortolano eterno, am'io cotanto, De Dio l'opera adoro, e amo tanto 65
Quanto da lui a lor di bene è pòrto. Per quela perfezion ch'Elo ga dà.
Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto Apena go tasesto, un dolce canto
Risonò per lo cielo ; e la mia Donna S' ha sentio in cielo, e con la Bice mia
Uicea con gli altri : Santo, santo, santo. I altri diseva: Santo, Santo, Santo.
E come al lume acuto si dissonna Come dal sono un gran lusor desvia, 70
Per lo spirto visivo, che ricorre Per l'istinto che ha Tochio de voltarse
Allo splendor, che va di gonna in gonna, Al chiaro, che ghe baie drento via,
E lo svegliato ciò che vede abborre E svegià de vardarlo voi scansarse,
(Sì nescia è la sua subita vigilia) Tanto fastidio quel lusor ghe fa,
Fin che la stimativa nel soccorre: Sin che noi vegna a poco a poco a usarse : 75
Così degli occhi miei ogni quisquilia ('.ossi dai urlii mii Bice ha scazzà
Fugò Beatrice col raggio de' suoi, (ini bel ragio dei soi qualunque intopo,
Che rifulgeva più di mille inillia : Lusendo quei un miri de mia più in là;
Onde, me' che dinanzi, vidi poi ; Perciò mogio do avanti ho visto dopo;
E quasi stupefatto dimandai _ E in scovrir tra nu un quarto bel lusor, 80
D'un quarto lume, ch'io vidi con noi. De la curiosità desfando el gropo,
!. la mia Donna : Dentro da que' rai Chi '1 sia domando: e Bice: In quel splendor
Vagheggia il suo fattor l'anima prima, Xe l'anema da Dio prima creada,
Che la prima virtù creasse mai. Che inamorada adora el so Creator.
i '.min' la fronda, che (lette la cima Com'el ramo de vento a una sbrufada 85
Nel transito del vento, e poi si leva Storze la cima, e dopo la se leva
Per la propria virtù che la sublima ; Per forza naturai che l' ha drizzada ;
Fec'io in tanto, in quanto ella diceva, Muto mi resto, insin che eia diseva,
Stupendo : e poi mi rifece sicuro E imbacucà; me ga svegià po fora
Un disio di parlare ond'io ardeva. La vogia de parlar che me struzeva. 90
E cominciai: O pomo, che maturo O fruto sol creà mauro, alora
Solo prodotto fosti ; o padre antico, A quel go dito, o antigo pare mio,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro; Che ogni sposa to lia xe e to niora;

78 un mìer dt mia = un migliaio di miglia.


83 -Vr l'anima « = l'anima di Adamo, la prima creata du Dio.
85 dt vento a una xbrufnda - u un buffo di vento.
88 Slarzt = torce.
89 imbacucù -- imbalordito, stordita.
90 La nnjin ---- la volontà, il desiderio.
91 mauro = maturo. Adamo in crealo in lutti lu sua virih' m iinni.'i. a differenza di lutti gli altri uomini
'-he maturano a gradi.
93 Che ogni spasa lo fin xe e In ninra — Ugni donna m nii.u.i è liglia di Adamo e moglie di un figlio di
Adamo; dunque è a lui figlia e nuora.
444 - DEL PARADISO
Devoto, quanto pono, a le supplico Partime, te sconzuro : za scovrio
Perchè mi parli. Tu redi mia voglia ; Ti ha la mia vogia, e per no via butar 85
E, per udirti tosto, non la dico. El tempo, drento in mi la tegno indrio.
Talvolta un animai coverto broglia Come mostra un bestiol in bulegar,
Sì, che l'affetto convien che si paia Quando el sia da una coltra chiapà soto,
Per lo seguir che face in lui la invoglia ; Ch'el xe smanioso da de là sbusar;
E stmilmente l'anima primaia Cussi d'Adamo el spirito, col moto 100
Mi facea trasparer per la coverta, Drento a la (use soa me ga scoverto
Quant'ella a compiacermi venia gaia. Quanto el fusse in compiaserme lu gioto.
Indi spirò : Sanz'essermi profferta E po : Senza ch'el cnor ti m'abi averto,
Da te, la voglia tua discerno meglio, Conossua la to vogia ho megio ancora
Che tu qualunque cosa l'è più certa; Che no ti in cossa che te fa più certo. 105
Perch'io la veggio nel verace speglio, Perchè la vedo in quel Speciilo là sora,
Che fa di sè pareglio all'altre cose, Che tuto Lu figura, e figurar
E nulla face lui di sè pareglio. Gnente lo poi. Ti no ti vedi l'ora
Tu voi udir quant'è che Dio mi pose Che mi stesso te gabia da informar
Nell'eccelso giardino, ove costei Quanto xe che in Giardin Dio n'ha creà, 110
A così lunga scala ti dispose; Da in dove Bice t'ha savù guidar
E quanto fu'l diletto agli occhi miei, Qua su; quanto in quel m'abia delizià;
E la propria cagion del gran disdegno, Per qual motivo s" ha sdegnà '1 bon Dio,
E l'idioma, ch'usai e ch'io fei. E '1 linguagio che mi me go inventà.
Or, figliuol mio, non il gustar del legno Causa, che dal Giardin so sta bimditi, 115
Fu per sè la cagion di tanto esilio, No xe sta '1 pomo^che magnà mi go,
Ma solamente il trapassar dei segno. Ma l'aver mi al Signor desubidio.
Quindi, onde mosse tua Donna Virgilio, Dal logo, dal qual Bice ga là zo
Quattro mila trecento e duo volumi Chiamà Virgilio, go bramà sta sfera
Di Sol desiderai questo concilio : Per quah-umile tresent'ani e do. 120
E vidi lui tornare a tutti i lumi E in tuto el tempo, ch' ho vissudo in tera,
Della sua strada novecento trenta Su i segni del Zodiaco el Sol comparso
Fiate, mentre ch'io in terra l'u'mi. Per novecento e trenta volte el gera.
La lingua, ch'io parlai, fu tutta spenta Xe '1 linguagio, che ho mi parlà, scomparso
Innanzi che all'ovra inconsumabile Prima ch'el traga el gran lavoro al vento 125
Foise la gente di Nembrotte attenta : Nembrote altier, e de cervelo scarso :
Ohe nullo effetto mai razionabile, Che quanto l'omo fa col so talento,

98 chiapà — colto, preso.


102 gioia = ghiotto, avido.
110 m Giardin = nel Giardino (Paradiso terrestre;.
114 me go inventa = la Scrittura dice che Adamo diede il vero nome M$ cose.
115 to ita bandio = sono stalo discacciato.
118-119 Dal logo te. = cioè dal Limbo: vedi C. Il dell'Inferno.
120 Ver iiuntramilc ». - - Ila seguilo Dante il calcolo d'Euschio, che dalla creazione del mondo alla morte
di G. Cristo pone 5232 anni, dai quiii sottraendo i 930 che Adamo visse rimangono appunto 4302.
122 123 Su i iegni del Zodiaco = elic è quanto dire che Adamo visse il corso di anni 930.
125 Prima ch'el traiIa el gran lavoro al vento — cioè prima che l'opera della torre di Babele fosse gettala
al vento, per non poter essere compiuta = laorier = opera, lavoro.
128 Mft'fr = altero, superbo.
CANTO xxvi. 445
Per lo piacere uman, «he rinnovella Per capriolo, o del eiei drio l'influenza,
Segisendo '1 rido, sempre fu durabile. Sempre elo cambia, e noi xe mai contento.
Opera naturale è ch'uom favella: Fa parlar l'omo naturai potenza; 130
Ma così o così natura lascia Ma '1 mudo de parlar, lassa po far
Poi fare a voi, secondo che v'abbella. La natura a la vostra compiacenza.
Pria ch'io scendessi alla infernale ambascia Prima mi fusse al Limbo per cascar,
/ s'appellava in terra il sommo Bene, Là -i0 al mondo 1 chiamar Dio se sentia,
Onde vien la letizia che mi fascia: Del qual me fa la luse ralegrar: 135
Eli si chiamò poi. E ciò conviene; Dopo Eli; e convien cussi la sia;
Che l'nso de' mortali è come fronda Che l'omo ha l'uso che la fogia ga
In ramo, che sen va, ed altra viene. Sul ramo, che una vien, l'altra va via.
Nel monte, che si leva più dall'onda, In cima de quel monte m' ho fermà,
Fu'io, con vita pura e disonesta, Che più in alto se leva sora ci mar, 140
Dalla prim'ora a quella ch'è seconda, Dal momento che Dio me ga creà,
Come '1 Sol muta quadra all'ora sesta. Sete ore Ira inocenza e Ira '1 mal far.

128 o del del drin l'influenza n . - -. fu già detto altra volta che, secondo gli antichi, gli astri esercitino
una influenza sulle azioni degli uomini - - drio . -. qui vale per: seguendo.
139 In cima de tIuel manie - cioè in cima del monte del l'urgulorio.
44C DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOSETTIMO

ARGOMENTO ARGOMENTO

Contro i Pastor non buoni arde dì sdeuno Chiapa da santa i'ili- mena zo
Degli Apostoli il primo, e si rammarca, San Piero stafilade d'ogio santo
Che mal s'occupi il suo loco si degno Contro i pastori pervertii qua zo.
Ed ecco che il Poeta intanto varca El Poeta al Ciel nono ariva intanto
Al nono Cielo lucido e felice. Più dtìi primi lusente e più felice;
Qunl natura .- viriù fra gli altri il marra. Do le virtù e no hetezze el vanto
Li pienamente a lui spiega limatrice. In longo e in largo a lu ghe fa la Bice.

Al Padre, al Figlio, allo Spirilo Santo El Gloria l'atri cussi ben cantar
Cominciò gloria tutto '1 Paradiso; El Paradiso luto cominciava,
Sì che m'inebriava il dolce canto. Che l'ancma m'ha fata ralegrar.
Ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso Pareva in tuto quelo che vardava
Dell'universo ; però che mia ebbrezza Ridesse la natura, e sta dolcezza 5
Entrava per l'udire e per lo viso. Per le i i-chic e per i ochi la m'entrava.
O gioia ! o ineffabile allegrezza ! O delizia! o purissima alegrezza!
O vita intera d'amore e di pace ! O vita sol' de pase e de amor tanto!
O senza brama sicura ricchezza ! 0 sempre a sazietà vera richezza !
Dinanzi agli occhi miei le quattro face Davanti a mi quei quatro lumi tanto IO
Stavano accese : e quella che pria venne, 1 luseva, ma '1 primo là arivà,
Incominciò a farsi più vivace ; Cominciava a vegnir più vivo alquanto;
E tal nella sembianza sua divenne, E vegnù '1 gera come deventà
Quid diverrebbe Giove, s'egli e Marte Sarave Giove, se tra elo e Marte
Fossero augelli, e cambiasse»i penne. I se avesse i colori baratà. 15
La provvidenza, che quivi comparte Oui'l Dio proveditor, che ben el sparte
Vice ed uflcio, nel beato coro A ognun le tasche nei beati Còri,
Silenzio posto avea da ogni parte : L'ha falo far silenzio da ogni parte;
Quand'io udi' : Se io mi trascoloro, {'.o sento a dir: Se cambio de colori
Non ti maravigliar ; chè, dicend'io, No far caso, perchè veder ti poi, 20
Vedrai trascolorar tutti costoro. Sin che parlo, cambiarli anca qua lori.

10 9 MI quatra lumi = cioè S. Pietro, S. Gincomo, S. Ciiovanni e Adamo.


1 1 ma 'l primo là arivà = cioè S. Pietro.
14-15 Sarave Giove ee. = cioè se il pianeta di Marlo cedesse a Giove il suo rosso, e si prendesse invece il
bianco lume dell'altro: ciò vuoi dire che lo splendore candido di S. l'ietro si tinse di vermiglio. Il cieto Ai
Marte è tinto in rosso infocato: vedi i v. 85-R7 del C. XIV; quello di Giove è candido: vedi i v. 67-69 del C-
XVIII.
17 le lasche = compito, opera, lavoro assegnato ad altri delcrminatamente
19 Co = quando.
20 iVo far caso = non far meraviglia.
ti anca qna lori n= gli altri santi là presenti.
CANTO xxvii. 447
Quegli, ch'usurpa in terra il luogo mio, Colti clic in tera el posto mio me tot,
ll luogo mio, il luogo mio, che vaca El posto mio, el posto mio, restà
Nella presenza del figlluol di Dio, Vodo adesso davanti al Divin Fiol,
Fatto ha del cimitero mio cloaca De la mia sepoltura el ga formà 25
Del sangue e della puzza; onde '1 perverso, Cloaca spuzzolente in tal maniera,
Che cadde di quassù, laggiù si placa. Ch'el demonio a l'lnferno festa el fa.
Di quel color, che, per lo Sole avverso, De quel color, che de matina e sera
Nube dipinge da sera r da mane, La niola incontro al Sol par la se vesta,
Vid'ìo allora tutto '1 ciel cosperso. Tuti quei santi là infìamadi i gera. 30
E come donna onesta, che permane E come in ascoltar la dona onesta
Di sè sicura, e per l'altrui fallanza, El falo de qualcun, siben che in cuor
Pure ascoltando, timida si fane : Sa d'esser pura, vergognosa resta ;
Così Beatrice trasmutò sembianza : Cossi la Bice ga cambià color,
E tale eclissi credo che in ciel fui:, E el Sol cossi, mi credo, se ecrissava 35
Quando patì la suprema Possanza. Quando Cristo ha patio per nostro amor.
Poi procedetter le parole sue, Po tirando de longo, el se sfogava
Con voce tanto da sè trasmutata, Co un ton de vose che l'avea cambiada,
Che la sembianza non si mutò piue: Com'el color, e via cussi el parlava :
.Non fu la Sposa di Cristo allevata De Dio la Sposa no xe sta arlevada 40
Del sangue mio, di l, in, di quel di Cleto, Del mio sangue, de Cleto e quel de Lin,
Per essere ad acquisto d'oro usata : Perchè a mercantizar la fusse usaila;
Ma per acquisto d'esto viver lieto Ma ben per gòder sto bel ciel divin,
E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano 1 Papi Sisto, Pio, Calisto e l'rban
Sparser lo sangue, dopo molto lieto. l ha spanto el sangue a un cossi alto liu. 45
Non fu nostra intenzion, ch'a destra mano Nostra intenzion no gera ch'el cristian
De' nostri successor parte sedesse, Popolo, a chi sucede a nu, dovesse
Parte dall'altra, del popol cristiano ; Star parte a drita, e parte a l'altra man ;
Nè che le chiavi, che mi lV. r concesse, Nè che le chiave, che m'è stae remesse,
Divenisser segnacolo in vessillo, Depente sora la bandiera mia, 50
Che contra i battezzati combattesse; Segno de gueia ai batizai paresse.
Nè ch'io fossi figura di sigillo Nè despense vundue co la busia
A privilegi venduti e mendaci : Fusse col mio retrato mandae fora,
Ond'io sovente arrosso e disfavillo. Che go bile e rossor spesso per dia.
ln veste di pastor lupi rapaci Là zo zirar se vede da qua sora 55
Si veggion di quassù per tutti i paschi. Da Pastori vestii lovi afamai :
O difesa di Dio, perchè pur giaci ! Perchè, o Dio difensor, ti dormi ancora ?

22 CM = cioè Papa Bonifazio Vili.


24 Vodo adesso davanti te. — vuoto agli occhi ili Gesù Cristo, come fosse vacante.
25 De la min sepoltura = ossia Roma, ov'4 si.pollo il corpo di S. Pietro.
29 la niola .. ; la nuvola.
35 se fermava =: si eclissava.
40 la Sfiata - cioè la Chiesa.
41 Clcin e Un . Cleto e Lino pupi e martiri.
48 Star parie a iIrila te. - noè allu destra iln P.ipi i Guelfi privilegiali, e alla sinistra i Ghibellini quasi
scomunicali.
54 per dia = modo avvero., e vale a fè, per mia fè, e simili
448 PEL PARADISO
Del sangue nostro Caoraini e Guaschi Preti Caorsini e Guaschi i sta oramai
S'apparecchian di bere. O buou principio, Per far del sangue nostro un bevaron.
A che vii fme convien che tu caschi ! Dove l'impianto mio xe arivà mai ! (O
Ma l'alta providenza, che son Scipio Ma quel Dio, che ha col brazzo de Sipion
Difese a noma la gloria del mondo, La gloria, in salvar Roma, el ga salvà
Soccorrà tosto, sì com'io concipio. Del mondo, darà presto, go opinion,
E tu, flgliuol, che per lo mortai pondo El so agiuto. E co zo ti tornerà
Ancor giù tornerai, apri la bocca, Per el mortai to corpo, avri la boca ; 65
E non asconder quel ch'io non ascondo. E a la zente di" pur sta verità.
Sì come di vapor gelati fiocca Come qua zo da nu la neve fioca
In gluso l'ari nostro, quando '1 corno Tra '1 Decembre e '1 Genaro, proprio quando
Della Capra del ciel col Sol .-i tocca; El gran pianeto ci Capricorno loca;
In su vidi io così l'etere adorno El cielo andava in alto sfiamegando, 70
Farsi, e fioccar di vapor trionfanti, E i lumi che con nu gera restai,
Che fatto avean con noi quivi soggiorno. Tuli ho visti svolar in su trionfando.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti ; Sin che bo'podesto mi li go vardai,
E seguì lin che '1 mezzo, per lo molto, Ma i ochi, quando più no li vedea,
Gli tolse '1 trapassar del più avanti. Per la gran lontananza, go sbassai. 75
Onde la Donna, che mi vide sciolto Perciò Bice, che .-.a la s'incorzea
Dell'attendere in su, mi disse : Adima Che no vardo più in su: Ochia in zo quanto,
II viso, e guarda come tu se' vólto. Me dise, ti ha zirà. Da quando avea
Dall'ora ch'io avea guardato prima, In prima visto el mondo basso tanto,
I' vidi mosso me per tutto l'arco, Da l'andar coi Zemei, ch'area viagià 80
Che fa dal mezzo al line il primo elima: Sie ore m'ho incorto. Da là su mi intanto
Sì ch'io vedea di là da Gade il varco D'UHsse el strambo passo gn osserva
Folle d'Uliue, e di qua presso il lito, De là da Cadice, e '1 Ho de qua via,
Nel qual si fece Europa dolce carco. In dove Giove Europa el ga robà.
E più mi fora discoverto il sito E ochià st'areta nostra anca avaria. 85
Di questa aiuola ; ma '1 Sol procedea Ma solo a mi d'un segno e più coreva
Sotto i miei piedi, un segno e più partilo. Lontan el Sol, ch'ochiarla me impedia.
La mente innamorata, che donnea La Bice tanto in cuor fissa gaveva.
Con la mia Donna sempre, di ridure Che ai loghi bassi senza più badar.

58-59 ì'rrli Cnonini te. = i preti di Culmi-.- nella Guienna col Pontefice Giovanni XXII Caorsino, e quelli di
Guascogaa col Pontefice Clemente V Guascone: questi fu Papa ut-I 1305, quegli nel 1316 --= bevarm = cosi è
chiamala quella bevanda d'acqua e farina, che si da d'ordinario a' cavalli, ma qui è adoperalo in aenso figuralo
per denotare l'impinguarsi dci detti preti del patrimonio iionato dai fedeli alla Chiesa in devozione del sangue
sparso dai primi Pontefici martiri.
61-62 che col brazzo d? Sijiiou — Scipionc Romano difese a Roma l'impero del mondo contro la nemici
Cartagine.
64 E co = e quando.
88-69 quando Et gran pianetu el Capricorno loca — quando il Sole è in congiunzione col segno del Capri
corno, cioè da mezzo Dicembre a mezzo Gennaio.
79 In mima visto ee. =. vidi la prima volta ---- vedi C. XXII v. 12S e seg.
80 eoi Zemei — col segno dei Gemelli
82-84 It' Vliìsc ci strambo pino — Olisse (culo di navigare il mare Atlantic» e vi fece naufragio. Vedi il
Canto XXVI dell'Infcniu .— strambo = qui vale inconsiderato, avventato = ci Ho = il lido Fenicio, dove GÌOvC
trasmutato in toro rapi Europa figlia del re Agenore.
85 il'arela noitra = la parte terrestre del Globo.
86 d'un tcgno — del Zodiaco.
xxvn. 449
Ad essa gli occhi più che mai ardea. L'amor i ochi su d'eia me spenzeva. 90
E se natura, od arte fe pasture Quanto in pitura o in carne umana far
Da pigliare occhi, per aver la mente, Sa l'arte e la natura, che la mente
In carne umana, o nelle sue pinture . E l'ochio ne fa tanto deliziar,
Tutte adunate parrebber niente Sarave tuto insieme sempre un gnente
Vèr lo piacer divin, che mi rifulse, In confronto del gusto che go avù, 05
Quando mi volsi al suo viso ridente. ('o me son voltà al viso suo ridente.
E la virtù, che lo sguardo m'indulse, R una so ochiada ha avudo la virtù
Dal bel nido di Leda mi divelse, De straparme dal cielo dei /onci,
B nel eiel velocissimo m'impulse. E trasportarne in quel che core più.
Le parti sue vivissime ed eccelse Tuli i loghi xe là ristesso bei, 100
Sì uniformi son, ch'io non so dire Che mi dir no so proprio qual cenno
Qual Beatrici- per luogo mi scelse. M'ubiii la Bice mia tra questi e quei.
Ma ella, che vedeva 11 mio desire, Ma eia che ha visto el desiderio mio,
Incominciò, ridendo tanto lieta, Dise ridendo alegra e con tal moto,
Che Dio parca nel suo volto gioire : Ch'ha parso rida in quel bel viso Dio: 105
Li natura del moto, che quieta Comincia da sto ciel dei cieli el moto,
II mezzo, e lutto l'altro Intorno move, Che per natura sua, movendo el resto,
Quinci comincia, come da sua meta. Tien fermo el centro e i ciell va de troto.
E questo cielo non ha altro dove Altro no gh'è che daga moto a questo
Che la mente divina, in che s'accende Se no che Dio, l'amor del qual lo zira, 110
L'amor che '1 volge, e la virtù ch'ei piove. E lu zirar fa luti i altri presto.
Luce ed amor d'un cerchio lui comprende, Luse e amor lo circonda e in lu sospira,
Sì come questo gli altri : e quel precinto Come lu i altri abrazza; e da Dio po
Colui che '1 cinge solamente intende. Elo brazzà, Dio sol lo tien de mira.
Non è suo moto per altro distinto ; Nissun moto misura el moto so, 115
Ma gli altri son misurati da questo, Ma si '1 soo quel dei altri, come aponto
Sì come (lici-c da mezzo e da quinto. Xe '1 diesc misurà dal cinque e '1 do.
E come'l tempo tenga in cotai testo Desso ti poi capir come al confronto
Le sue radici, e negli altri le fronde, Dei altri cieli, che i se vede andar,
Omai a te puot'esscr manifesto. L'origine del tempo in lu tien sconto. 120

94 Saravc =» sarebbe.
96 Co ne ton — quando mi sono.
97 to . sua.
99 e Iratportnrme in iIutl che core pia .. cioè al nono cielo detto il primo mobile, che 1 r.i il mato più veloce.
100-102 Tuli i lntilii xe lu l'isteno bei :-. La uniformiti! nella natura e nella luce in quel cielo è tale, elic
da luogo a luogo non si distingue come negli nitri cieli. Questa unifoi-mità procede dall'cizcr il dello cielo al-
'--'inni e quasi loccantesi colla prima Virtù, Iddio, e perù sente lauto di questa semplii-ilà ed unita di essere, ehe
non da luogo ri parli, ne n divisione (CrsJ = errmo = scelto.
106-111 vedi il C. Il v. 112-113.
112 I.Hse e amar i.-. : l'Empireo, sede di Dio. che e lutto luce e muore.
114 lo ticn de mira = lo sorveglia.
115 i-I moto to = il muto suo.
116 soo — suo.
117 A'e '/ ditte ee. — il dirci mi: m.do dui suo ijuinto, cioè dal due (du).
118-120 Desto li poi capir ee. — gli Scolastici, attribuendo al primo mobile l'origine del moto, a lui attri
buivano parimente la prima misura del tempo, e non al Sule - in In lien iennto — m lui, cioè il primo mo
bile, linnc occulto, come di cosa elic si vede solo duM'cffelto.
29
450 DEL PARADISO
O cupidigia, che i mortali affonde O Ingordlsia, che l'omo sofegar
Sì sotto te, che nessuno ha podere Nel to pozzo ti voi cussi, che lu
Di ritrar gli occhi fuor delle tue onde ! Mai da ti no poi i oChl destacar !
Ben fiorisce negli uomini '1 volere ; Ben qualche fior dai omeni dà su,
Ma la pioggia continua converte Ma anca piovendo al longo ci bon susin 125
In bozzacchloni le susine vere. Intisichindo perde la virtù.
E fede ed innocenza son reperte Fede e inocenza solo nel putin
Solo ne' pargoletti; poi ciascuna Se trova, e '1 perde questa e quela in t' un,
Pria fugge, che le guance sien coperte. Prima ghe sponta in viso el pelo fin.
Tale, balbuzìendo ancor, digiuna, Sin ch'el balbela, zuna qualchedun: 130
Che poi divora, con la bocca sciolta, Dopo co '1 parla franco, ogni piatanza
Qualunque cibo per qualunque luna: El smagnazza anca in tempo de dezun.
E tal, balbuzìendo, ama ed ascolta Sin ch'el baiiiela, con amor se stanza
La madre sua, che, con loquela intera. Da la mare, e la ascolta con premura,
Disia poi di vederla sepolta. E dopo che la mora el ga speranza. 135
Cos'i si fa la pelle bianca nera, Cussi la pele umana, che natura
Nel primo aspetto, della bella figlia Nel bambiin-lo la fa bela e bianca,
Di quel ch'apporta mane e laicia sera. Col tempo la se vede vegnir scura.
Tu, perchè non ti faccia maraviglia, Per no stupir a sto pensier pensa anca
Sappi che in terra non è chi governi: Che là zo in tera no ghe xe governo; 140
Onde si svia l'umana famiglia. Perciò a far ben la zente bada gnatica.
Ma prima che gennaio tutto si sverni, Ma avanti che Genaro lassa inverno,
Per la centesma, ch'è laggiii negletta, Per la frazion in tera trascurada,
Ruggeran sì questi cerchi superni, Ruzerà in modo tal el cielo eterno,
Che la fortuna, che tanto s'aspetta, Che la rivoluzion tanto aspetada, 145
Le poppe volgerà u" son le prore, Del bastimento volterà '1 timon,
Sì che la elasse correrà diretta ; Fasendoghe tor drita la brivada ;
E vero frutto verrà dopo '1 flore. E drio po al fìor el fruto sarà bon.

124 gualche fim- — figuratamente per quak'he virtuoso proposito.


125 nunu — susine, prugna.
129 ti pdo fin = la prima lanugine.
130 zuna —- digiuna.
132 smagntzza = esprime il mangiare smoderatamente - dezun = digiuno.
134 mare - - madre.
142-144 .1/n atlanti che Genara lana inverno ee. - Giulio Cesare attribuì all'unno 305 giorni e sci ore;
e queste non essendo intere, avrebbe dopo molti secoli portato Gennaio in Primavera; ma tale inesattezza, cagio
nala dalla minima frazione, fu avvertita e correità da Papa Gregario XIII nel 1582. Questa maniera è qui u»>-
ta da Beatrice figuratamente per significare elic non passerò gran tempo che i cieli ruggiranno.
145 la rivoluzion = la rivoluzione politica, elic è quella che il poeta annunzia iimi dal principia del
nella venula del Veltro: C. 1, dell'Inferno v. 101.
147 la brivada = la prima mossa con furia nel correre.
451

CANTO VENTESlMOTTAVO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Quale ad occhio mortai divina essenza Per quanto l'ochio uman ga de potenza.
Mostrar si puote, in un punto di luce ln un ponto de luse la su io cielo
Appare a Dante, ond'ei n'ha conoscenza. Amira Dante la divina essenza,
lntorno intorno Amor sempre conduce D'Anzoli ardenti de l'Amor più belo
Nove lucidi corchi innamorati Nove cori va sempre via zirando
Al primo punto, che di tutto è Cuoi, Atorno al ponto cha tien tuto in elo:
E cori sono d'Angeli e beati. Dante resta incanta dal gusto grando.

Poscia che contro alla vita presente Co la misera vita de la /ente


De' miseri mortali aperse il vero Grama del basso mondo m' ha mostrà
Quella, che imparadisa la mia mente ; Quela che leva al cielo la mia mente;
Come in ispecchio fiamma di doppiero Come in t'un spechio chi ha un lusor vardà,
Vede colui, che se n'alluma dietro, Che ghe arde in schemi, avanti ch'el lo veda, 5
Prima che l'abbia in vista od in pensiero, O prima che de quel s'abia pensà,
E sè rivolve, per veder se '1 vetro ludno se volta aciò che al spechio el creda,
Gli dice '1 vero, e vede ch'el s'accorda E lo scovre tfacordo, com'cl canto
Con esso, come nota con suo metro ; Co la batua del tempo va de seda;
Così la mia memoria si ricorda D'aver fato, recordo, tanto e quanto, 10
Ch'io feci, riguardando ne' begli occhi, Vardando quei bei ochi, che in cuor drento
Onde a pigliarmi fece Amor la corda. El balsamo d'amor i me ga spanto :
E com'io mi rivolsi, e furon tocchi E co ho visto in voltarme el gran portento
Gli miei da ciò che pare in quel volume, De le cossazze che ghe ve là su,
Quandunque nel suo giro ben s'adocchi, Quando al so moto l'ochio staga atento, 15
Un punto vidi, che raggiava lume l"n ponto scovro viro che mai più
Acuto sì, che '1 viso, ch'egli affoca, Splender cossi, che la luse infogada
Chiuder convicnsi per lo forte acume. M' ha fato serar i ochi in fazza a lu.
E quale stella par quinci più poca, La più picola stela qua vardada
Parrebbe Luna, locata con esso, Da nu, rente a quel ponto, l'avaria 20
Come stella con stella si collóca. Propriamente la Luna figurada.
Forse cotanto, quanto pare appresso, Quanto a nu par vicin quel cerchio sia

1 Co — quando.
3 Quela -~ cioè Beatrice.
9 Co la batua del tempo = colla battuta a tempo ili musica = va de teda s: frase ch'esprime Ululare di
perfetto accordo.
12 i" me ;/n sfumi, i -. mi sparsero.
14 lII. le costazze .-. ilcllc cose granili, muravigliosc.
16 Un ponto - in questo punto e figurata lu Divinità, clic lutto comprende in un punto il passato, il pre
sente e il futuro.
1S in fazza = in faccia, di fronte.
20 rente a quel ponto = qui sta per appresso, ossia confrontata la più piccola stella con quel punto.
DEL PARADISO
cinger la luce, che '1 dipigne, Atorno al Sol, dal .Sol inluminè,
Quando '1 vapor che '1 porta più è spesso, Che la nebiazza spenze sin là via;
Distante intorno al punto un cerchio d'igne Tanto al ponto vicin zira infogà 25
Si girava sì ratto, ch'avria vinto Con tal vemenza un cerchio, che più presto
Quel moto, che più tosto il mondo cigne. No core el ciel che con più fuga va.
E questo era da un altro circuncinto, E circondà da un altro el gera questo,
E quel dal terzo; e '1 terzo poi dal quarto, Quel da un turzo, dal quarto serà via,
Dal quinto '1 quarto, e poi dal sesto il quinto. Dal quinto el quarto, e el quinto po dal sesto;
Sovra seguiva '1 sattimo, sì sparto E tanto in largo el sellmo vegnia.
Già di larghezza, che '1 messo di Giuno Che gnanca co la soa zinula intiero,
Intero a contenerlo sarebbe arto. Mai l'Iride abrazzarlo poderia.
Così l'otta vo e '1 nono : e ciascheduno Cussi l'otavo e el nono : e quanti i gera
Più tardo si movea, secondo ch'era Più dal centro lontani, ognun coreva 35
In numero distante più dall'uno. Tanto più adasto atorno la so sfera:
E quello avea la fiamma più sincera, E più lusente la so fiama aveva
Cui men distava la favilla pura : Quel più vicin a. la fiameta pura;
Credo però che più di lei s'invera. Credo perchè più amor la riceveva.
La Donna mia, che mi vedeva in cura In veder la curiosa mia premura 40
Forte sospeso, disse : Da quel punto Dice me disc : Da quel ponto el cielo
Dcpende il cielo e tutta la natura. Dipende e tuta quanta la natura.
Mira quel cerchio, che più gli è congiunto, Guarda ci cerchio, che xe più arente a elo,
E sappi che '1 suo muovere è sì tosto, E sapi, che lo fa corer cussi
Per l'affocato amore, ond'egli è punto. n'aiiii.i! ci fogo, c tanto lo fa belo. 45
Ed io a lei : Se '1 mondo fosse posto Se regoladi fusse, digo mi,
Con l'ordine ch'io veggio in quelle ruote, I cieli de sii cerchi istessamente,
Sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto : De tuto quel che ti me disi ti
Ma nel mondo sensibile si puote Mi saria persuaso pienamente:
Veder lo vòlte tanto più festine, Ma quanto lonzi più dal centro i cora 50
Quant'elle son dal centro più remote. De più, là zo se vede chiaramente.
Onde, se '1 mio desio deve aver fine Aciò ch'el desiderio mio qua sora
In questo miro ed angelico tempio, In sto bel ciel, cho altro coniih noi ga
Che solo amora e luce ha per coniine, Che luse e amor, desmentegà noi mora,
Udir convieinmi ancor, come l'esemplo Che sapia anca convien, come no va 55
E l'esemplare non vanno d'un modo; L'esempio e l'esemplar al modo istesso ;
Che io per me indarno a ciò contemplo. Che a intender da pi-r mi tempo è butà.

24 nebiasza .- nebbione, nebbia folla, alti e sollevala da' terra.


27 ti eiel —. cioè il primo mobile.
38 a la fiaiuela pura = elie era il punto centrico di quei nove cerchi.
43 più arente = più vicino. -
50 lonzi più dal centro = cioè lungi pin d,di, i U'rra elic secomlo il falso di "Poloinco, è il centro di
tulli gli aggiranti corpi celesti.
51 là zo -- laggiù nel mondo.
56 L'esempio e t'esemplar a. - l'esempio è la terra cu'suoi oieli intorno; l'esemplare i. il punto lumiuoso
coi nove .'civiii sfavillanti di cui sopra -si è detto.
57 iimlin /- imiu = è tempo (cellulo, perduto.
CiHTO xxviii. 453
Se li tuoi diti non sono a tal nodo Maravegia no xe se desfar desso
Sufficienti, non è maraviglia; Questo gropo intrigà no ti xe bon,
Tanto, per non tentare, è fatto sodo. Perchè a desfarlo mai nissun s' ha messo. 60
Cosi la Donna mia; poi disse: Piglia Cossi la Bice, e po : Quelo che son
Quel ch'io ti dicerò, se vuoi saziarti; Per dirle, se ti voi ben apagarte,
Ed intorno da esso t'assottiglia. Bisogna che ti ascolti co atenzion.
Li cerchi corporai sono ampii ed arti, Larghi in parte xe i cieli e streti in parte:
Secondo '1 più e '1 men della virtute, Conforme manco o più virtù ghe vien 65
Che si distendo per tutte le parti : Da chi su quei la spande in ogni parte.
Maggior bontà vuoi far maggior salute : Più una cossa xe bona, e più fa ben ;
Maggior salute maggior corpo cape, Più la fa ben, e estesa più la ga,
S'egli ha le parti ugualmente compiute. Se tuta perfezion eia contien.
Dunque costui, che tutto quanto rape Donca sto nono ciel, che ga abrazzà 70
L'alto universo seco, corrisponde Quei altri, del cerchieto istessamente
Al cerchio, che più ama e che più sape. ' /.'n .i. che ga più amor, e de più '1 sa.
Per che, se tu alla virtù circondo E perciò a la virtù se ti dà mente
La tua misura, non alla parvenza Dei Seralini in sto cerchieto belo,
Delle sustanzie che l'pppaion tonde, A l'aparenza no badando gnente, 75
Tu vederai miracil convenenza L'acordo pien ti vederà, fradelo,
Di maggio a più, e di minore a meno, Tra '1 ciel più grando e la virtù magior,
In ciascun cielo, a sua intelligenza. E la miaor col più picolo cielo.
Come rimane splendido e sereno Come fa pompa el cielo d'un color
L'emisperio dell'aere, quando soflia Più lustro, quando bora va sgionfando 80
Borea da quella guancia, ond'è più leno, La so ganassa, e supia con furor
Per che si purga e risolve la roffia, r nuvoloni tuli descazzando
Che pria turbava, sì che '1 eiei ne ride Che i lo scuriva, in modo che par vada
Con le bellezze d'ogni sua paroflia ; E Sol, e Luna, e stele gongolando;
Cosi fec'io poi che mi provvide Talqual mi resto, «o per sta parlada 85
La Donna mia del suo risponder chiaro; Chiara la verità me se mostrava,
E, come stella in cielo, il ver si vide. Come una stela in note serenada.
E poi che le parole sue ristaro, De parlar Bice apena terminava,
.Vmi altrimenti ferro disfavilla Che falivete, come mandaria
Che bolle, come i cerchii sfavillero. I -Vi «i rovente, i cerchi là stanzava ; '.)()

59 iiili iiiii — inviluppalo.


63 co atenzinn = con intenzione.
66 Da c/n = cioè degli angeli motori.
68 ezlesa = estensione.
71 dei ccrchieto = del più piccolo cerchio che contiene i Serafmi, i quali hanno più di amore e di sapien
za come i pin prossimi al punto nel quale i- figurala la Divinità.
73 te li dò mentr = se tu rifletta.
76-80 d'tm colar Più lustro = cioè del color celeste = torà =. borea, ossia il vento aquilone.
81 La in gannna = la sua guancia. I dodici venti si riducono a quattro; ognuno di questi con faccia uma
na, secondo gli immaginavano gli antichi; ed ognuna dpqHeste tacce manda tre venti, uno dalla bocca, uno
ddla guancia sinistra e uno dalla guancia destra. Borea soflia dalia bocca il tramontano, dalla guancia sinistra
il tramontano-grecale, dalla destra soflia il tramnntnno-macstrale.
85 co .-- quando.
89 falirrie — piccole faville.
454 DEL PARADISO
L'incendio lor seguiva ogni scintilla; E ognuna ai cerchi soi zirando via,
Ed CIMI] tante, che '1 numero loro, A miera a miera, più che no in dopiar
l'iù che '1 doppiar degli scacchi, s'immilla. I schachi, tra de lori ne sortia.
Io sentiva osannar di coro in coro De coro in coro go sentio lodar
Al punto fisso, che gli tiene all'ubi, EI ponto fermo, che li fa, farà, 95
E terrà sempre, nel qual sempre fòro : E sempre li ha al so logo fati star ;
E quella, che vedea i pensier dubi E Bice che i mii dubi ha indovinà
Nella mia mente, disse: I cerchi primi Dise : I primi do cerchi, i Serafmi
T hanno mostrato i Serali e i Cherubi. E i Cherubini in eli t' ha mostrà :
Così veloci seguono i suoi x uni, Drio '1 so amor cossi core quei lumini 100
Per simigliarsi al punto, quanto ponno; Per somegiar quanto più i poi a Dio,
E posson quanto a veder son sublimi. E i lo poi quanto pin a Dio vicini.
Quegli altri amor, che dintorno gli vonno, I altri anzoli che atorno i ghe vien di io,
Si chiaman Troni del divino aspetto ; Se chiama Troni del divin poder,
Per che '1 primo ternani terminonno. Perchè i tre primi cori i ga compio. 105
E dèi saver, che tutti hanno diletto, Sapi che tuli sente più '1 piacer,
Quanto la sua veduta si profonda Quanto più lori vede Dio darente,
Nel Vero, in che si queta ogn'lntelletto. Che in Elo sol se poi la pase aver.
Quinci si può veder, come si fonda Perciò el beato el piacer primo sente
L'esser beato nell'atto che vede, In veder Dio, no ne l'amor, ch'el vien 110
Non in quel ch'ama, che poscia seconda; Dopo averlo vardà subitamente ;
E del vedere misura è mercede, E '1 veder sta in rason del fato ben,
Che grazia partorisce e buona voglia : Che tira grazia e bona volontà :
Così di grado in grado si procede. E a passo a passo andar cussi convien.
L'altro ternaro, che così germoglia I altri tre cerchi, che fiorisse qua 115
In questa primavera sempiterna, In primavera eterna, che despogia
Che notturno Ariete non dispoglia, Mai el Molton co in ciel de note el va,
Perpetualemente osanna sverna I canta el Gloria sempre de gran vogia,
Con tre melode, che suonano in tree Fando sentir ognun la melodia
Ordini di letizia, onde s'interna. Dei tre cori ligadi in t'una zogia. 120
In essa gerarchla son le tre dee : Prime in questa seconda gerarchla
Prima Dominazioni, e poi Virtuti ; Xc le Dominaziou e le Virtù ;
L'ordine terzo di Podestadi èe. Dopo le Podestà de sora via.

92-83 A miera a mitra — a migliaia a migliaia =.-. cìit no in dopiar I tcachi tra de lori — Se nella primi
casella dello scacchiere si segna 1, nella seconda 2, nella terza 4, nella quarta 8, nella quinta 16, e via sino alii
sessantaquattresima, raddoppiando, si verrà a formare un numero di venti cifre che contiene una quantità di mil-
lioni sorprendente. Inventore dello scacchiere fu un Indiano, che, come raccontasi, presentandolo a un re di
Persia, n quegli offertosi a ricompensarlo come volesse, non altro chiese colui che un granello di grano du
plicato successivamente per ogni casella del suo scacchiere sino alla fine ; del che dapprimail monarca si rise
ma venuto al calcolo, trovò che non aveva in tutto il sno regno (grano abbastanza per soddisfarlo. Questi sto
riella doveva essere volgare ul tempo di Dante.
95 El ponto fermo = cioè Dio che forma il loro centro.
105 i tre primi cori i ga tempio = cioè compirono la prima gerarchla composta di tre cori.
107 darente = dappresso.
112 m rason = in proporzione. * •
116 In primavera eterna = cioè in Paradiso = dcxpogia = spoglia.
117 ci Molton = l'Ariete opposto al Sole che è nella Libra, gira rii notte sopra il nostro emisfero nel tempo
di Autunno — co =3 quando.
120 m una augia — in un gioiello.
CANTO xxviii. 455
Poscia ne' duo penultimi tripudi I Prencipati e Arcanzoli dà su
Principati ed Arcangeli si girano : Ai penultimi cerchi, e tuto pien 125
L'ultimo è tutto d'angelici ludi. D'anzoli alegri è l'ultimo più in su.
Questi ordini di su tutti rimirano, Sti ranghi i varda in alto al primo Ben,
E di giù vincon si, che verso Dio Che a Lu II tira, e i fa che a Dio tirai
Tutti tirati sono, e tutti tirano. Xe luti quanti quei de soto : e ben
E Dionisio con tanto disio Dionisio come mi li ha separai, 130
A contemplar questi ordini si mise, E come mi chiamai, quando là zo
Che gli nomò e distinse com'io. Con tanta devozion li ha contemplai.
Ma Gregorio da lui poi si divise: Ga altro ordene Gregorio dà; perciò
Onde, sì tosto come gli occhi aperse Quando in sto cielo lu ga l'ocido averto,
In questo eiel, di sè medesimo rise. S' ha messo a rider del maron : se po 135
E se tanto segreto ver p rollerse Dionisio in tera ga sto arcan scoverto,
Mortale in terra, non voglio ch'ammiri: No te maravegiar tanto per quelo:
Che chi '1 vide quassù gliel discoverse, Che chi vivo è sta qua, lo ha fato certo
Con altro assai del ver di questi giri. De questo e altro, che '1 ga visto in cielo.

124 da tu = sorgono.
130 Dimiiio • S. Dionisio Areopagila nel libro De tali hierarchia.
133 Ha altro ontene Gregario rfù —• ceco l'ordine degli angeli secondo San Gregorio Magno; Serafmi, Cheru
bini, Potestà, in luogo dei Troni, Principati, in luogo dulie Dominazioni, Virtù, Dominazioni in luogo delle Po
treia, Troni, in luogo dei Principati, Arcangeli e Angeli.
135 maron = fallo, errore.
13S chi — allmlesi a San Paolo, elic era vivente asceso in cielo, e a cui Dionisio era stalo discepolo.
450 DEL PARADlSO

CANTO VENTES1MONONO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Della divina Maestate intende Su la Maesta ùivina fa el Poeta


1 dubbi del Pocta la sua guida, Dei dubi a Bice, che ghe li descazza;
E gliene spiega sì che gli comprende. E dopo quela dona benedeta
Poi contro i falsi Teologi grilla, l Teologhi falsi la strapazza,
E contro gli Orator sacri, che cianci. E i Oratori sacri, che sompiao
E motti dicon sol perché ai rida ; No fa che dir, e bufonan da piazza,
Tal che non suona il ver nelle lor guance. Per cavar da chi ascolta le risae.

Quando ambedue li figli di Latomi Quanto tempo ci zenit tien in balanza


Coperti del Montone e della Libra, La Luna e el Sol su l'orizonte istesso,
Fanno dell'orizzonte insieme zona, Questo al Molton, e quela a la llalanza
Quant'è dal punto, che '1 zenit i libra, lnsieme, e l'equilibrio po desmesso,
liifìn che l'uno e l'altro da quel cinto, El Sol va soto, e vieti la Luna sora ;
Cambiando l'emisperio, si dilibra ; Tanto ha tasesto Bice insin che messo
Tanto, col volto di riso dipinto, La ga, con un soriso che inamora,
Si tacque Beatrice, riguardando , L'ochio sul vivo ponto resplendente
Fiso nel punto che m'aveva vinto. Che orba m'avea : po la me dise ancora :
Poi cominciò: lo dico e non dimando Quel che ti voi saver precisamente, 10
Quel, che tu vuoi udir; perch'io l'ho visto Te digo e no domando, perchè in Dio
Ove s'appunta ogni ubi ed ogni quando. Lo go visto, al qual tuto xe presente.
Xon per avere a sè di bene acquisto, No per aver un ben de più, che in Dio
Ch'esser non può, ma perchè suo splendore Esser no poi, ma aciò podesse dir
Potesse, risplendendo, dir : Sussisto ; Splendendo la so lusc: ghe xe Dio; 15
ln sua eternita, di tempo fuore, Come ha a Lu piasso, e no se sa capir,
Fuor d'ogni altro comprender, come i piacque, • Prima del tempo nel so eterno amando,
S'aperse in nuovi amor l'eterno Amore. Dal so numi fava i anzoli sortir.
Nè prima, quasi torpente, si giacque; Nè in prima Dio noi xe sta mai de bando ;
Chè nè prima, nè poscia procedette Ch'cl prima e el dopo avanti del creà 20
Lo discorrer di Dio sovra quest'acque. No gera. Spontae pure al so comando
Forma e materia congiunte e purette Forma, materia, essenza xe in t'un lui ,

1-3 el zcnit = la zenit è il punto vrrtir ilc di un corpo, ma i|ui riferito a due corpi, i' il punto fra essi
verticale = licn in balanza •-- tiene in bilancia, in equilibrio -• Molton — l'Ariete =: Butan:a = la Libra, clic
sono i segni opposti nel zodiaco.
6 Tiniit> ka tasttto Dice cc. = il punto che il Sole e la Luna sino nel medesimo orixzontr quasi bilanciati
dallo zenit, e un istante; è un istante appunto Beatrice tacque, guardò, poi si vol-r
S ponto rixlilcnileiìte = il punto di cui il v. 16 del Cauto precedente.
9 po la me il/ne ancora - . Beatrice riprende il disborso tenuto in fino del Canto prccnlcnte. e soppeso per
quell'istante clic l' -ù l'occhio sul punto luminoso.
19 de bando = inoperoso.
ti tutina - cioè gli angeli simalUinesnMDte creati allu forma e mnteria .- in l'nii /tu ... in un Ulule.
O\:\TO XM\.
Usciro ad esser ciic non uvea fallo, Come tre frezze, che in t'un supio fora
Come d'arco tricorde tre sa elte: Scampa da l'arco con tre corde armù :
E come in vetro, in ambra, od in cristallo E come che dal Sol, che luto indora, 25
Raggio risplende sì, clic dal venir» Sia el vero o l'ambra, o sia el cristal balui,
All'esser tutto non è intervallo : Dei so ragi in l'un lampo i se incolora ;
Così '1 triforme effetto dal suo Sire Talqual insieme sii tre efeti sui,
Nell'esser suo raggiò insieme tutto, Da Dio, ne l'Esser suo perfeto, qucli
Senza distinz'ion nell'esordire. Senza impiego de tempo xe vegnui. 30
Concreato fu ordine e costrutto L'ordenc belo è sta creà con eli ;
Alle sustanzie : e quelle furon cima Dio, aciò i gabia ci mondo a regolar,
Nel mondo, in che puro atto fu produtto. El ga i Anzoli messo in cima ai cieli;
Pura potenzia tenne la parte ima : E in fondo al mondo, quanto ha d'aspetar
Nel mezzo strinse potenzia con atto D'eli ì'azion ; po in mezo el ga un ligazzo 35
Tal x ime, che giammai non ai disviimi. Fato, che no se poi mai desiigar.
Jeronimo vi scrisse lungo traito De Girolamo dise el scartafazzo,
Di secoli, degli angeli, creati Che i anzoli creai del mondo avanti
Anzi che l'altro mondo fosse falto: Dei gran secoli i gera ; ma le fazzo
Ma questo vero 6 scrino in molti lali Saver, che quel che mi I' ho dito, in Unti 40
Degli scrittor dello Spirito Santo: Siti lo dise la Scritura schieto;
E tu lo vederai, se ben vi guati. E ti'l poi \ elici su quei libri santi:
Ed anche la ragion lo vede alquanto, E anca le lo assicura l'inteleto,
Chè non concederebbe, che i motori El qual, saria el motor, le va osservando,
Senza sua perfezion fosscr cotanto. Senza cossa da mover imperfeto. 45
Or sai tu dove e quando questi amori Adesso ti conossi el come, ci quando
Furon creati, e come ; sì che spenti E come xe sta i Anzoli creai;
Nel tuo disio già son li tre ardori. E ve quel che li andavi ti cercando.
Nè giugneriesi, numerando, al venti Dn l'un al vinti no se conta mai
Sì tosto, come degli angeli parte Presto cossi, come precipità 50
Turbò '1 suggelto de' vostri elementi. Ga '1 mondo vostro i anzoli sbrcnai.
L'altra rimase, e cominciò quest'arte Restai quei altri in ci. 'l. i ha scomenzà
Che tu clicermi, con tanto dilelto, Zirar, e sempre i zira, come adesso

23 IH t'ua su)ao - in un soflio, in un attimo.


20 UM vero ~ un vetro.
28 mi lrt tfeli mi = cioè forma, materia ed essenza, di cui al v. 22.
31 L'ordene = cioè l'armonia e conveniente proporzione nelle cose creale.
32 el mondo • cioè i ricli.
33 i Autiili — sono le celesti intelligenze che, come si è veduto altrove, sono poste a presi edere ni movi
mento dei ricli.
34 guauto — cioè le sostanze corporte disposte a ricevere l'azione dagli enti incorporei ossia dagli angeli.
35 in mrzn = cioè lra la cima, e la parte più bassa del mondo — lignzzo — legame, ossia i nove ridi
clic sono disposi! a ricevere a fare. Vedi C. ll v 120.123.
37.39 ti scunafazzo ef. = fascio di scritture unite insieme. San Girolamo scrisse intorno agli Angeli errali
lungo tratto di secoli prima che fosse crealo il nioniln.
40 quel che mi t'ha ilito — cioè che gli Angeli lumini creali nello stesso tempo clic fu crealo il mondo
corporeo. Vedi ver. 20-23.
44.45 tarla el motar = cr,i ritenuto cbc gli angcli fossero destinali ni movimento dei cicli.
51 i anzoli slircnai = gli angeli sfrenali, tcmerari, gli angeli ribelli. Una parie defili angeli, ribellandosi
e precipitando dal ciclo, venni' a sconvolgere il nostro globo, clic secondo gli Aristotelici consta dell' aggregato
dei quattro noti elementi, terra, acqua, aria e fuoco.
458 DEL PARADISO
Che mai dal circuir non si diparte. Ti te godi a vardarli. Ma xe sta
Principio del cader fu il maledetto Causa esenzial del precipizio istesso, 55
Superbir di colui, che tu vedesti La boria maledia de quelo, che
Da tutti i pesi del mondo costretto. Ti ga za ochià da tuli i pesi opresso.
Quelli, che vedi qui, furon modesti Questi, che qua ti vedi, del so Re
A riconoscer sè della bontate, La infmita bontà grati adorava,
Che gli avea fatti a tanto intender presti : Che inteleto ga dà, che eguai no gh'e. 60
Per che le viste lor furo esaltate Perciò la prima grazia i meritava
Con grazia illuminante, e con lor merlo ; Che inlumina, del veder e capir ;
Sì e' hanno piena e ferma volontate. Po l'altra del voler Dio ghe donava.
E non voglio che dubbi, ma sic certo, Sta certo, e no aver dubio sul mio dir,
Che ricever la grazia è meritorio, Che la grazia se ga sempre in rason 65
Secondo che l'affetto l'è aperto. Che per eia l'armor se fa sentir.
Omai d'intorno a questo consistorio Se ben ti ga capio sto mio sermon,
Puoi contemplare assai, se le parole Su la sorte pensar ti poderà
Mie son ricolte, senz'altro aiutorio. De sii anzoli senz'altra spiegazion.
Ma, perchè in terra per le vostre scuole Ma perchè al mondo vostro i v" ha insegnà 70
Si legge, che l'angelica natura Che anca i anzoli ga in natura sua
È tal che intende e si ricorda e vuole, Inteleto, memoria e volontà ;
Ancor dirò, perchè tu veggi pura Te dirò quala sia la pura e nua
La verità, che laggiù si confonde, Verità, che là zo no i sa vedèr,
Equivocando in sì fatta lettura. Perchè con alIro i omeni i la mua. 75
Queste sustanzie, poichè fur gioconde Dopo de veder Dio avù '1 piacer,
Della faccia di Dio, non volser viso Mai i anzoli da Lu s' ha stontanai,
Da essa, da cui nulla si nasconde : Che vede luto. Gnente ga '1 poder
Però non hanno vedere interciso De l'argho sviar da Dio la vista, e mai
Da nuovo obbietto : e però non bisogna De rechiamar a lori ghe bisogna 80
Rimemorar per concetto diviso: A la mente i pensieri smentegai :
Sì che laggiù non dormendo si sogna, Là zo senza dormir donca se insogna
Credendo e non credendo dicci vero : Chi a questo crede, o no, ma colpa gh'è
Ma nell'uno è più colpa e più vergogna. Più granda in chi no crede e più vergogna.
Voi non andate giù per un sentiero Sul vero trozo vualtri là no andè 85
Filosofando : tanto vi trasporta Filosofando : tanto ve desvia
L'amen dell'apparenza, e '1 suo pensiero. L'ambizion per far mostra che save.
Ed ancor questo quassù si comporta E gnanca questo in cielo no faria
Con men disdegno, che quando è posposta Sentir tanto despeto, come quando
La divina Scrittura, o quando è tórta. La Scritura posposta o intorta sia. 90

56-57 de quelo es. — cioè Lucifero elic sta nel centro della terra oppresso da tutti i pesi che gravitano rerso
esso centro.
5S Quexli = cioè gli Angeli rimasti fedeli.
65 m raton = qui vale per in conformità.
73 nua = mula.
75 i la mua = la cangiano.
83 i-hi a quttlo crede, o no = allude a coloro che credono la dottrina elic insegna gli angeli ricontarsi
alla maniera degli uomini, e gli altri elic non credono essa dottriin! e negano essere memoria alcuna negli angeli.
85 Sul vero trozo — sulla vera via.
90 intarla ...-. storpiata, stiracchiala, intesa falsamente.
CANTO XXIX. 459
Non vi si pensa quanto sangue costa Chi al sangue che ha costà va mai pensando,
Seminarla nel mondo, e quanto piace Per darla al mondo, e quanto a Dio ghe piase
Chi umilemente con essa s'accosta. Chi con tuta umiltà la vien scollando
Per apparer ciascun s'ingegna, e face De quelo ch'el s'inventa se compiase
Sue invenzioni; e quelle son trascorse Ognun per parer doto, e insuperbio 95
Da' predicanti, e '1 Vangelio si tace. Lo predica, e 'l Vangelio po se tase.
Un dice, che la Luna si ritorse Chi la Luna sostien tornada indii"
Nella passion di Cristo, e s'interpose, Ne la passion de Cristo, e chi tra '1 Sol
Per che '1 lume del Sol giù non si porse : Messa e la tera, questa s' ha scurio ;
Ed altri, che la luce si nascose E mal ; che '1 Sol s' ha sconto da lu sol ; 100
Da sé ; però agl'Ispani ed agl'Indi, Perciò sta ecrisse tanto s' ha mostrà
Com'a' Guidei, tale eelissi rispose. A l'Indian, al Giudeo, quanto al Spagnol.
Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, Lapi e Bindi Firenze no, no ga
Quante sì fatte favole per anno Tanti, quante ste fiabe in luti i ani
In pergamo si gridfn quinci e quindi : Se predica dal pulpito qua e là : 105
Sì che le pecorelle, che non sanno, E cossi senza pro torna i Cristiani
Tornan dal pasco pasciute di vento ; Pieni de vento da la Chiesa imi rie: :
E non le scusa non veder lor danno. Nè li scusa el no veder i so dani.
Non disse Cristo al suo primo convento: Mai Cristo ai so scolari s'ha sentio
Andate, e predicate al mondo ciance; Dirghe: Andè, e prediche chiachiarc al mondo;
Ma diede lor verace fondamento. Ma ben la Verità, che vien da Dio.
E quel tanto sonò nelle sue guance , De questa solo con saver profondo
Sì ch'a pugnar, per accender la fede, I ha parlà, e per alzar la fede pura,
Dell'Evangelio fèro scudi e lance. Del Vangelo i s' ha armai da capo a fondo.
Ora si va con molti e con iscede Adesso da bufoni l'impostura 115
A predicare; e pur che ben si rida, Se predica; e dà al publico dilelo,
Gonfia '1 cappuccio, e più non si richiude. Sgionfa '1 capuzzo, el resto se trascura.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida, Ma un certo osei sta sconto nel becheto,
Che, se'l vulgo il vedesse, non torrebbe Che se squagià, la zente no voria
La perdonanza, di che si confida: Le indulgenze che tien con fede in peto. 120
Per cui tanta stoltezza in terra crebbe, Per queste tal xe al mondo siocaria,
Che, sanza prova d'alcun testimonio, Che senza el Papa le abia de so pugno
Ad ogni promession si converrebbe. Scrile, ih io le promesse i cereria.
Di questo ingrassa il porco santo Antonio, De queste Antonio l'anemal dal sgrugno
Ed altri assai, che son peggio che porci, Ingrassa, e altri, dei porchi pezo, ingrassa 125

101 cerine --= ecelisse.


103 Lapi e Bindi te. --- non da Firenze tante persone col nome ili Lupo, accorciamento di Jacopo; Binde,
lo stesso che Albino.
116 e dà = e dato al pubblico diletto, e dilettato il pubblico.
117 Sgionfa'l capuzzo = gonfiato il capucelo (per la boria soddisfatta).
118 .'/ fi un eri- m oie/ - - cioè il demonio - beehtto = è la striscia doppia del medesimo panmi eho il ca-
puccio, che va fino a terra, e elie si ripiega in stilla spalla destra e bene spesso si avvolge al collo e intorno
idlu testa.
119 se srIuagià = se viene scoperto.
124-125 l'anemal dal egrugno = che è il porco. Santo Antonio si dipinge con un porco a piedi in segno
della sua vittoria sul diavolo tentatore. Ma qui per il porco, che si figura insieme a quel Santo, il poeta in
tende i suoi frali elic ingrassano questuando in nome di Ini.
460 TH:Ì, PARADISO
Pagando di moneta santa conio. Pagando con moneda senza cugno.
Ma perche sem digressi assai, ritorci Ma percho dal sogelo stargai massa
Gli occhi oramai Verso la dritta strada, Se semo, e strada ancora far dovendo,
Sì che la ria col tempo si raccorci. Mena le gambe perchè '1 tempo passa.
Questa natura sì oltre s'ingrada Sii anzoli per scalin i ra cressendo 130
In numero, che mai non fu loquela, Tanto, che mai el numero è sta dito,
Nè concetto mortai, che tanto vada. Mai mente umana imaginar podendo.
E se tu guardi quel che si rivela E se ti pensi a quelo che ga scrilo
Per DanìeI, vedrai che in sue migliaia Daniel, ti vederà che i miara e miara
Determinato numero si cela. No li ga precisarti in nissun scrito. 135
La prima luce, che tutta la raia, De Dio la luse, che luti li schiara,
Per tanti modi in essa si recepe, In tanti modi lori se la tira,
Quanti son gli splendori a che s'appaia. La soa contando a quela luse cura.
Ondu, perocchè all'atto che concepe E in rason che i lo vede e che i lo amira, •
Segue l'affetto, d'amor la dolcezza Con manco o più de amor i ga '1 soriso, 140
Diversamente in essa ferve e lepe. Diversnmente i l'ama e i lo sospira.
Vedi l'eccelso omai e la larghezza Varda adesso del Re del Paradiso
Dell'eterno Valor, poscia che tanti La grandezza e el poder, che ha savù farli
Speculi fatti s'ha, in che si spezza, Tanti spechi, nei quali el •i' ha diviso
Uno manendo in sè, come davanti. Restando Un, come avanti de crearli. 145

126 Pagando con moneda tenza eugno = pagando con monda senza eonio, pagando cioè con false indul
genze e cnn vani perdoni.
127 stargai matta = allargali troppo.
129 Mi-im It gambe = sgambetta, t'uffretla.
131 ll:u, icl -.- D.mirtr il profeta = i un'in-, t c miara = Ir mi -ii M i e migliai,!.
l'i!,' m raton . .-. redi sopra la noia 65.
145 Renando In ... Uno e inditisiuile.
401

CANTO TRENTESIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO
Nell'Empireo C lei si volo lumi- Ne l'Empireo del so vede lume
Tra due rive fiorito: altre favilh- Tra do rive florae. e va zo e sora
Vnngono, « vanno a ai mirubil fiume. Kalive d'oro a quel stupendo fiume.
l'oscia il Poeta aguzza sue pupille, Dopo Dante, spendendo i ochi in fora,
E allor ved'esscr gli Angeli « i turati Hi- 1 Anzoii e beati luse vive,
Quei che pareano veloci scintille, Tuto maravegia, el scovre alora
K fidgor puri agli occhi appresi-ntati. Comparir quei che ghe parea falive.

Forse scimila miglia di lontano Quando che al nostro mondo un ora manca
Ci ferve l'ora sesta, e questo mondo A spontar fora el Sol, o là virin,
China già l'ombra, quasi al letto piano, A poco a poco in mezo el ciel s'imbianca;
Quando '1 mezzo del cielo, a noi prorondo, E tra le stelc scarse de lumin
Comincia a farsi tal, che alcuna stella Comincia qualcheduna a destuarse, , 5
Perde 'l parere inlino a questo fondo: Come vedemo qua da sto coniili ;
E come vien la chiarissima ancella E come co l'aurora xe per farse,
Del Sol più oltre, così '1 ciul si chiude Le altre stele finisse tute quante
Di vista in vista in lino alla più bella. I (l'in man sin la più bela de mostrarse ;
Non altrimenti '1 trionfo, che lude Cussi d'anzoli ci coro, gongolante 10
Sempre dintorno al punto, che mi vinse Sempre atomo a quel ponto che me orbava,
Parendo inchiuso da quel ch'egli inchiude, Che luto .ibi,i/zR e par dal trionfante
A poco a poco al mio veder si stinse : Coro a I ir a zza, a bel belo se ne andava:
Per che tornar con gli occhi a Beatrice E sparlo afato dai mii ochi, alora
Nulla vedere ed amor mi costrinse. L'amor a veder Bice me chiamava. 15
Se quanto inlino a qui di lei si dice Se mi in lodarla el sin qua dito ancora
Fossa conchiuso tutto in una loda. Tuto dovesse dir, noi bastarave
Poco sarebbe a fornir questa vice. L'elogio a farghe merità là sora.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda La so belczza mai se poderavu
Non pur di là da noi, ma certo io credo. Da nu capir, ma tuto ci so Creator, 20
Che solo il suo Fattor tutta la goda. Credo certo, Lu solo capirave.
Da questo passo vinto mi concedo, A sto passo me manca afato el cuor,
Più che giammai da punto di suo tèma Più che dal duro tema vinto sia
Suprato fusse o comico, o tragcdo. Sta mai comico o tragico scritor :
Che, come Sole il viso che più trema. Che, come al Sol la vista indebolia 25

2 o /d ririn — o presso poco; riferiin all'ora.


7 co = quando.
13 a heiItela = i'iii. ininih
14 dai mii — ii.i i mici.
20 to = suo.
23 duro tema = mimi, difficih: luna.
DEL PARADlSO
Cosi lo rimembrar del dolce riso La resta, in recordar quel dolce riso,
La mente mia da sè medesma scema. Se me strenze cossi la mente mia.
Del primo giorno, ch'io vidi '1 suo viso Dal primo dì che qua l' ho vista in viso,
ln questa vita, insino a questa vista, Mai s'ha roto per eia el canto mio
Non è '1 seguire al mio cantar preciso : Sinamente in sto sito, in Paradiso. 30
Ma or convien, che '1 mio seguir desista Ma bisogna che adesso staga indrio
Più dietro a sua bellezza, puetando, Dal proclamar la so belezza ancora.
Come all'ultimo suo ciascuno artista. Come l'artista che ha '1 laorier linio.
Colai, qual'io la lascio a maggior bando, Cussi bela la lasso a più sonora
Che quel della mia tuba, che deduce Tromba che no la mia, la qual m'invida 35
L'ardua sua materia terminando, Dal il ideilf tema a sortir fora:
Con atto e voce di spedito duce Eia con vose e un far de bona Guida,
Ricominciò : Noi semo usciti fuore Semo za zonti al ciel, dise serena,
Del maggior corpo al ciel ch'è pura luce; Che tuto par de pura luse el rida;
Luce intellettual piena d'amore, Luse xe de la mente d'amor piena, • 40
Amor di vero ben pien di letizia, Amor del ben, che xe felicità,
Letizia, che trascende ogni dolzore. Felicità, che tute drio se mena.
Qui vederai l'una e l'altra milizia Qua tute do le armae ti vederà,
Di Paradiso: e l'una in quegli aspetti, E una de queste col so istesso viso,
Che tu vedrai all'ultima giustizia. Come al dì del giudizio sortirà. 45
Come subito lampo, che discetti Come ve fa restar lampo improviso,
Gli spiriti visivi, sì che priva Che la vista in l' un ilà a torve ariva,
Dell'atto l'occhio de' più forti obbietti; E ve lassa se '1 v'abia orbà indeciso;
Così mi circonfulse luce viva, Me ga investio una gran luse viva,
E lasciommi fasciato di tal velo E m' ha lassà in tal scuro in un momento, 50
Del suo fulgor, che nulla m'appariva. Che gnente afato l'ochio mio scovriva.
Sempre l'Amor, che queta questo cielo, Cossi l'Amor, che fa sto ciel contento,
Accoglie in sè con sì fatta salute, Sempre riceve quei che vien da Lu
Per far disposto a sua finumia il candelo. Per prepararli a vederlo più in drento.
Non fi'ir più tosto dentro a me venute Questo apena da Bice go savù, 55
Queste parole brevi, ch'io compresi Più de mi stesso, per virtù che ho avua,
Me sormontar di sopra a mia virtute: Me so incorto che gera za vegnù;
E di novella vista mi raccesi E la vista me xe tanto cressua,
Tale, che nulla luce è tanto mera, Che luse indn dei più infogai splendori
Che gli occhi miei non si fosser difesi. L'avaria facilmente sostegnua. 60
E vidi lume in forma di riviera E a mo d'un fiumesel visto ho lusori

28 q ua . quaggiù nel mondo.


33 et laorier r i1 lavoro.
38-39 zonti = giunti, pervenuti = Clic luto liar ile Jmra luse et rida = è il ciclo Empireo.
43-45 lute do le arnme te. =: tutti due gli eserciti gli angull che militarono contro gli Spiriti ribelli, e gli
uomini -.uiti clic militarono uontro il vizio; e questa seconda milizia apparisce col corpo come il di del giudi
zio = so = suo.
47 m l'uri fià - in un baleno.
50 in un momento •• • iu un punto, subito.
52 l'Amar ~ cioè Dio.
61 o mo — a modo, in forma.
CANTO XXX. 463
Fulvido di fulgori, intra duo rive Vegnir da un chiaro lume e corer via,
Dipinte di mirabil primavera. Tra do rive formae dai più bei fiori.
Di tal fiumana uselan faville vive, Da sto fiume falive ghe sortia,
E d'ogni parte si mescean ne' liini, Che da ogni banda ai fiori se incastrava, 65
Quasi rubini, ch'oro circoscrive. Come rubin che ligà in oro sia:
Poi, come inebriate dagli odori, E odorai, a fondarse le tornava
Riprofondavan sè nel miro gurge ; Drento al fiume curioso, e a quando a quando
E s'una entrava,.un'altra usciane fuori. Una vegniva su co l'altra entrava.
L'alto disio, che mo t'inii, nmna ed urge El desiderio che li vien mostrando 70
D'aver notizia di ciò che tu vei, Per saver quelo, che ti vedi qua,
Tanto mi piace pih quanto più turge: De più '1 me piase quanto el xe più grando.
Ma di quest'acqua convien che tu bei Ma convien prima che ti gabi usà
Prima che tanta sete in te si sazi: La to vista a sta lusc : cussi alora
Cosi mi disse il Sol degli occhi miei. Bice m' ha dito, e po la ga zontà: 75
Anche soggiunse: II fiume e li topazi El fiume e i foghi che va drento e fora,
Ch'entrano ed escono, e '1 rider dell'erbe No \f, come anca i fiori, che l'ombria
Son di lor vero ombriferi prcfazi: De quelo che xe in fato qua de sora. i
Non che da sè sien queste cose acerbe ; Ste cosse a intender dure no saria
Ma è il difetto dalla parte tua, Ma in ti sta el mal, che ancora vista grama 80
Che non hai viste ancor tanto superbe. Ti ga, perciò a ben vederle impedla.
Non è l'ani in, che sì subito rua Mai più presto el bambin sporze con brama, •'
Col volto verso il latte, se si svegli Se più tardi del solito svegiè,
Molto tardato dall'usanza sua ; El so lineliin al peto de la mama ;
Come fec'io, per far migliori spegli Quanto mi presto i ochi go sbassà, 85
Ancor degli occhi, chinandomi all'onda, Aciò che i vegna ben perfezionai,
Che si deriva, perchè vi s'immegli. In quel fiume che Dio fa corer là.
E sì come di lei bevve la gronda E sora l'onda sua noma zirai,
Delle palpebre mie, cosi mi parve Se in longo da principio lo vedeva,
Di sua lunghezza divenuta tonda. L' ho visto deventà tondo che mai. 90
Poi come gente stata sotto larve, Po, come quei ch'el vólto co i se leva,
Che pare altro che prima, se si aveste I visi tuli i fa veder, che avanti
La sembianza non sua, in che disparve ; De smascherane veder no i faseva ;
Cosi mi si cambiaro in maggior feste Le falive, cussi, e i fiori tanti
Li fioci e le faville sì ch'io vidi La mua i ha fata, perchè invece ho visto 95
Ambo le corti del ciel manifeste. Anzoli coi beati festizanti.
O isplendor di Dio, per cu' io vidi O gran splendor de Dio, che per ti ho visto

69 co — quando.
75 la ga zontà = ella vi aggiunse.
79 dure = difficili.
SS noma = appena.
91 ri'ih:i -- maschera. = co = quando
93 no i fateva = inni facevano.
94-95 Ae /olive — le scintille = Lamua = lo scambio. Gli Angeli in luogo delle scintille, e l'anime umane
Ossia i beati, in luogo dei fiori.
07 splender de Dio -.. lu grazia illuminante, o la seconda persona della Trinitù.
464 DEL PARADlSO i
L'alto trionfo del regno veraci!. El gran trionfo del celeste regno,
Dammi virtude a dir com'io lo vidi. Dame virtù de dir come l'ho visto.
Lume è lassù, che visibili: face Lume è là su, che ha de mostrar l'impegno 100
Lo Creatore a quella creatura, El Creator a quela creatura,
Che solo in lui vedere ha la sua pace: Che vede solo in Lu de pase el pegno :
E si distende in circolar figura E a cerchio po el se siarga in tal misura,
ln tanto, che la sua circonferenza Ch'el Sol balarghe poi la contradanza.
Sarebbe al Sol troppo larga cintura. Quanto granda xe mai la so fìgura, 105
l'assi di raggio tutta sua parvenza, Tuta la vien dal ragio, che se sianza
ReOesso al sommo del mobile primo, ln cima al nono ciel, che per divina
Che prende quindi vivere e potenza. Virtù, da quclo ga vita e possanza.
E come clivo in acqua di suo imo Come in tei rio se specilla la colina ,
Si specchia, quasi per vedersi adorno, Che al pie el ghe core, e par se tegna in bon
Quando è nel verde e ne' fioretti opimo ; Dei so Muri e de l'erba verdolina ;
Sì, soprastando al lume intorno intorno, Cossi atorno a la luse s'un milion
Vidi specchiarsi in più di mille soglie, De scalini go visto quei spechiarse,
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno. Che ga lassà la lera in abandon ;
E se l'infimo grado in sè raccoglie Se l'infimo scalin tanto stargarse 115
Sì grande lume, quant'è la larghezza lìol, quanto de sta rosa no saria
Di questa rosa nell'estreme foglie ? Larghe le ultime fogie ! Nè in sianzarse
La vista mia nell'ampio e nell'altezza Tanto in largo che in alto se smaria
Non si smarrira, ma lutto prendeva La vista mia, ma scoverziva schiete
ll quanto e '1 quale di quell'allegrezza. Le cosse che fa là tute alegria. 120
Presso e lontano lì nè pon, nè leva : Là '1 vii.in e '1 lontan no cava, o mete,
Chè dove Dio sanza mezzo governa, Chè in dove Dio governa pien d'amor,
La legge naturai nulla rileva. La lege naturai no gh'entra un ete.
Nel giallo della rosa sempiterna, Nel bel cuor de la rosa, del gran lini ,
Che si dilala, rigradn e redole Che in su se siarga, nè a mandar se stanca 125
Odor di lode al Sol, che sempre verna, DB lode al Sol sempre d'avril l'odor;
Qual o colui, che tace e dicer vuole, Come chi voi parlar nè l'arfia gnanca,
Ali trasse Beatrice, e disse : Mira Dise Bice tirandome a eia arcnte :
Quanto è il convento delle bianche stole! Varda che trupa da la vesta bianca !
Vedi nostra città, quanto ella gira. Varda sto nostro palazzon lusente, 130

103. È'a cerchio po el ne slurga = s'intende il fiume sopradescritto.


104 Ch'el Sol balnnjlic pai la contradanzn. = modo usato per significare l'ampiezza di uu ambiente esube
rante per contenervi mia cosn qualunque.
106 dal ragia •-. vegnente da Dio.
108 poxtanza - potenza d'operare uri cicli superiori.
110 te legna in boa = si vanti, s'invanisca, s' insuperbisca.
115-U7 Se l'infima sentin n: -.. l grailini ove siedono i beali sono disposti in forma circolare a guisa di an
fiteatro. E n lmi,ilr clic il circolo più piwsimu al centro descrive una rircontYreuza più ristretta di quella trac
ciata dai circoli ail esso superiori, i quali vanno di mano in mano l'uno su l'altro gradaUmentc dilatandosi, e
l'ultimo poi è di tntli il più ampio = ilc sin rosa ••• viene in appresso accennala la struttura ili questa celeste
gradinata immaginata dal l'oeta in forma di una rosa.
126 al Sol sempre d'Avril = cioè a Dio clic opera ivi perpetua primavera.
127 nè l'arfia yuanca •-• ncinincno fiala.
128 arcale . vicino.
129 che Irulni da la ucsta bianca = nell'Apocalisse Vll, 9. u Vidi una moltitudine grande, che numerare nes
sun potea, di lulte le genti e tribù e popoli e lingue che stavan dinanzi al soglio vestiti di stole bianche. *
CANTO XXX. 465
Vedi li nostri scanni sì ripieni, Varda mo i scagni de sto logo santo,
Che poca gente omai ci si disira. Che a impinirli, ghe manca poca zente.
In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni Sul scagno grando, che ti amiri tanto,
Per la corona, che già v'è su posta, Per via de la corona che gh'è sora,
Primache tu a queste nozze ceni, Prima de far qua el nio ti gabi el vanto, 135
Sederà l'alma, che fla giù agosta, D'Arigo monterà Pancma, aloni
Dell'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia Che l'Italia de meter a dover
Verrà, in prima ch'ella sia disposta. El tenterà, no parechiada ancora.
La cieca cupidigia, che v'ammalia, L'orba ambizion, col farve straveder, ,
Simili fatti v" ha al fantolino, Ve fa eguali al bambin, che'afamà '1 mor, 140
Che muor di fame e caccia via la balia : E de la nena no ne voi saver ;
E fia Prefetto nel foro divino La Chiesa avarà alora per Pastor
Allora tal, che palese e coverto Un tal, che al descoverto e anca in secreto
Non anderà con lui per un cammino. El sarà contro Arigo opositor.
Ma poco poi sarà da Dio sofferto Ma ben presto vegnudo a Dio in despeto, 145
Nel santo ufficio; ch'el sarà detruso El dovarà fmirla nel profondo
Là, dove Simon mago è, per suo merto, De Simun Mago logo maledeto :
E farà quel d'Alagna andar più giuso. E quel d' Alagna farà andar più in fondo.

132 Che a impiiarli ghe manca poca zenit = ne manca poca perchè è vicino, secondo la credenza di quei
tempi, il giudizio universale.
13•1 Per via de la corona -- a motivo della corona imperiale posta sopra esso scanno.
135 ni, i :—. nido.
136 D'Arigo monterà ee. = Arrigo VII di Luxentburgo. del quale Dante finge di predire nel 1300 la co
ronazione elic segui nel 1308.
130 nirnfniii- .- allucinare, abbagliare.
141 ui-uà — balia.
143 L'n tal = cioè Clemente V Papa.
U7-148 De Simun Mago Ioga mali-itelo = ciot nella Bo'gia dei Simoniaci. Vedi C. XIX Inf. v. 76 e se
guenti. = I! quel U'.ilayun = cioè Bonifazio Vili.

30

.
466 DEL PARADISO

CANTO TRENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO ARGOMENTO

La forma generai del Paradisa La forma generai del Paradiso


Danto comprende con inteso sguardo. Dante vede incanta. La Bice intanto
Sale Beatrice al seggio a lei preciso. De montar sul so trono s'ha deciso.
Intanto verso lui viene non tardo, Incontro a lu Bernardo, quel gran santo,
Della Regina Vergine beata Vi. .», e l'ecelsa gloria da Dotor
A dimostrargli il gaudio San Bernardo, Che mostra de Maria, per la qual tanto
Anima di lei sempre innamorata. L' ha sentio sempre e sente imenso amor.

In forma dunque di candida rosa In forma donca d' una bianca rosa
Mi si mostrava la milizia santa, Ma se mostrava quel' ai mati u santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa. Che Cristo in erose fata ga so Sposa.
Ma l'altra, che volando vede e canta Ma st' altra, che svolando vede e canta
La gloria di Colui che la innamora, La gloria de Chi tanto la inamora,
E la bontà che la fece cotanta , E la bontà che alzada 1' ha de pianta ,
Sì come schiera d'api, che s'infiora Come le ave che a schinpi ai fiori sora
Una fiata, ed altra si ritorna Va per suchiarli, e po le torna indrio
Là, dove 11 suo lavoro s'insapora , El sugo a render dove le lavora ,
Nel gran flor discendeva, che s'adorna Vegniva zoso nel gran lìor fornio 10
Di tante foglie; e quindi risaliva De tante fogie, e dopo la tornava
Là, dove lo suo amor sempre soggiorna. AI so ben, al so amor, insoma a Dio.
Le facce tutte avean di fiamma viva, Tuli i visi infogai ghe sfiamegava;
E l'ale d'oro; e l'altro tanto bianco, I gavea le ale d' oro, e tuto el resto
Che nulla neve a quel termine arriva. Più de candida neve bianchizava.
Quando scendcan nel lìor, di banco in banco Calai sul fior, sora quel scagno e questo
Porgevan della pace e dell'ardore, Pase i spartiva e amor, che i riceveva
Ch'egli acquistavan, ventilando il fianco. Da Dio svolando sin a Lu. E resto
Nè l'interporsi, tra '1 disopra e '1 fiore, Come sta trupa, che svolar vedeva
Di tanta moltitudine volante, Tra '1 divin Trono e '1 fior, ombra qual sia 20
Impediva la vista e lo splendore ; . Me ai ochi mii, nè a quel splendor fazz m.
Che la luce divina è penetrante Che la so luse drita Dio la invia
Per l'universo, secondo ch'è degno, Su ogni essenza, e la dà più qua che là,
Sì che nulla le puote essere ostante. Conforme el 1' ha più o manco nobilia.

t quel' animda tanta —. cioè le anime umane elie Gesù Cristo col mezzo del suo sangue fece sue spose.
4 Ma il'altra — ma quest'altra, si sottintende armata, cioè gli angeli. Vedi noia 43 a 45, del Cantu prece
dente.
6 de pianta = modo avverb. elic significa da nuovo.
7 che a tchiapi —- che a gomitoli.
li i/e innii- fugie •-- cioè di tante anime beate disposte in forma delln rosa accennala al primo vr-o
16 tara iIutl (cagno e questo = sui quali siedono i beati.
18 E rato — e stupisco.
2I mi i a miei.
22-24 Che la to Iute te, =» .Vedi i primi versi del Canto I. di questa Caotica = nobiltà — nobilitala.
CANTO XXXI. 467
Questo sicuro e gaudioso regno, luto sto regno alegro, semenà 25
Frequente in gente antica ed in novella, De santi antighi e novi, altro che Dio
Viso ed amore avea tutto ad un segno. No vede e brama. O Santa Trinità,
O trina luce, che in unica stella Che un unico lusor da Ti partin,
Scintillando a lor rista si gli appaga, Spandendo in eli te li fa contenti ;
Guarda quaggiuso alla nostra procella. Varda el mal che in sto mondo fa desio. 30
Se i barbari, venendo da tal plaga, Se a boca averta i barbari dai venti
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra, Vegnudi del Setentrion restava
Rotante col suo figlio, ond'ella è vaga, De le romane fabriche i portenti
Veggendo Roma e l'ardua sua opra Vardando, quando tanta zente andava
Stupefaceansi, quando Laterano Per el perdon a Lateran, che insin 35
Alle cose mortali andò di sopra ; Ogn'altra arentc a quele sfigura va;
lo, ched era al divino dall'umano, Mi dal consorzio uman vegnù al divin,
Ed all'eterno dal tempo venuto, Veghu dal tempo a quela eternità,
E di Fiorenza in popol giusto e sano, E in paese d' amor dal fiorentin,
Di che stupor doveva esser compiuto ! Quanto dovea stupir ! ma '1 fato sta 40
Certo, tra esso e il gaudio mi facea Che tra questo e '1 piacer, gusto più grando
Libito non udire e starmi muto. El silenzio dei altri e '1 mio m' ba dà.
E quasi peregrin, che si ricrea Come se gode el pelegrin Vardando
Nel tempio del suo voto, riguardando, La Chiesa del so voto, e vede l' ora
E spera già ridir com'egli stea ; Da dir come l'è fata ai soi tornando;
Si, per la vìva luce passeggiando, Cossi tra Unta luse, or soto or sora
Menava 'io gli occhi per li gradi De quei scalini i ochi go butai,
Mo su, mo giù e mo ricirculando. E or li zirava atorno a lori ancora.
E redea risi a carità siiadi E ho scoverti d' amor visi infìamai,
D'altrui lume fregiati e del suo riso, Schiarii dal suo e dal lusor de Dio, 50
Ed atti ornati di tutte onestadi. E sesti che i più bei s' ha visti mai.
La forma generai di Paradiso Tanto in longo che in largo l'ochio mio
Già tutta lo mio sguardo avea compresa, El Paradiso luto scorabiava,
In nulla parte ancor fermato fiso; Ma a nissun ponto el ga tegnù ben drio;
E volgeaml con voglia riaccesa E vogioso de Bice me voltava, 55
Per dimandar la mia Donna di cose, Perchè la me schiarisse de preciso

£6 De unni antighi e novi - ciuè dei santi del vecchio e nuovo Tostamente-.
27-23 O uniin Trinila = la Trinità delle persone divine in una sola Essenza.
31-33 rIuando tanta zente andava a cercar paté a Lateran - accennasi al tempo dei Giubbilco nel 1300,
qnando da tulle le parti del mondo e dall'ultimo settentrionale, posposto ogn'altro temporale interesse, corse la
gente a Laterano a ricevere,l:! gran perdonauxa (Bianchi).
30 urente — qui vi,lr in confronto.
30 desio -—• strazio.
39 pacte d'amar — allusivo al Paradiso confrontalo col vizioso paese fiorentino.
45 ai .sni = a' suoi parenti di casa.
50 iini tuo ---. (lusor) cioè del proprio bagliore.
51 E sesli =• e gesti, e atteggiamenti.
53 scorabiava — scorrazzava.
54 Ma. a nissun ftmlo et ga legnò ben drio = ma non si affisse, non si soffermo in alcun punto partico
lare (del Paradiso).
55 t;oo.iV»i' = desideroso.
56 me stHiariite = mi chiarisca, mi dilucidi.

y
468 DEL PARADISO
Di che la mente mia era sospesa. Certi dubi che ancora me restava.
Uno intendeva ed altro mi rispose : Cercando una, in t'un altro go dà 1 viso :
Credea veder Beatrice, e vidi un Sene Un vechio ho visto, e no la Bice mia,
Vestito einù" le genti gloriose. Vestio come i beati in Paradiso. 60
Diffuso era per gli occhi e per le gene In quei ochi e in quel viso se scovria
Di benigna letizia, in atto pio, L'alegrezza benigna e la bontà,
Quale a tenero padre si conviene. Come un pare amoroso mostraria.
Ed: Ella ov'è? di subito diss'io. Dove xela ? go in bota domandà ;
Ond'egli : A terminar lo tuo disiro E lu : Aciò le to vogie d'apagar 65
Mosse Beatrice me del luogo mio. Mi fìnissa, m' ha Bice qua mandà.
E, se riguardi su nel terzo giro Se al terzo ziro ti te fa a vardar,
Dal sommo grado, tu la rivedrai Sul trono ti poi vederla là sora,
Nel trono, che i suoi merli le sortiro. Ch'eia se ga savesto meritar.
Senza risponder gli occhi su levai ; Senza responder levo i ochi alora, "O
E vidi lei, che si facea corona, E la scovro dai ragi coronada
Riflettendo da sè gli eterni rai. De Dio renessi in eia, che i la indora.
Da quella regìon, che più su tuona, Chi dal più alto ciel dasse un ochiada
Occhio mortale alcun tanto non dista, In fondo al mar, lontan manco saria
Qualunque in mare più giù s'abbandona, Quel trato a l'ochio suo, che no la strada 75
Quanto lì da Beatrice la mia vista : Che insin a Bice l'ochio mio no sia ;
Ma nulla mi facea ; che la sua effige E pur mi bela la vedea lampante,
Non discendeva a me per mezzo mista. Perchè gnente de mezo me impedia.
O Donna, in cui la mia speranza vige, O dona de le mie speranze tante,
E che soffristi per la mia salute, Che per mio ben la Irazza ti lassavi 80
In Inferno lasciar le tue vestige ; Zo ne l'Inferno de le sante piante;
DI tante cose, quante io ho vedute, Ti la virtù de veder ti me davi
Dal tuo podere e dalla tua bontate Per to grazia e poder, per tua bontà
Riconosco la grazia e la virtute. Ste belezze. Ti ancora ti me favi
Tu m' hai di servo tratto a libertate Da l'esser schiavo ci don de libertà 85
Per tutte quelle vie, per tutt'i modi, In tante forme e tante vie cussi,
Che di ciò fare avean la potestate. Che io far quel che sta in ti no ti ha lassà.
La tua magnificenza in me custodi, In modo i doni toi maulien in mi,
Sì che l'anima mia, che fati' hai sana, Che l'anema talqual ti ha fata bona,
Piacente a te dal corpo si disnodi. Sorla dal corpo, come piase a ti. 90
Coti orai ; e quella sì lontana, Cossi lontan, come parca, la dona
Come parea, sorrise e riguardommi; Prego, che soridendo me vardava ;
Poi si tornò all'eterna fontana. Po voltà la s' ha a Dio co la persona.
lì '1 santo Sene : Acciocchè tu assommi E cossi el santo vechio me parlava :
Perfettamente, disse, il tuo cammino, Da li el prego de Bice, aciò a bon fin 95
A che priego ed amor santo mandommi. Vaga el to viazo, e el santo amor me inviava.

64 ilo m !i.itii domanda = (osto gli domandai.


78 Perchè gnenle de mezo me impedia = tra la grande distanza non cravi .ih un corpo estraneo, cerne sa
rebbe l'acqua, l'aria, vapori od altro elic vi s'interponesse; perciò Dante vedeva Beatrice comè le fosse viciin-
SO la trozza -— la traccia, la orma.
86 t' I santo amor = e la carità di S. Bernavdo.
CA>TO xxxi. 469
Vola con gli occhi per questo giardino : Xii. i ben ochi intoino a sto giardin,
Che veder lui t'acuirà lo sguardo Che la vista più fina ti farà
Più a montar per lo raggio divino. Per megio veder el lusor divin.
E la Regina del cielo, ond'iardo Uè sto ciel la Regina ne darà, 100
Tutto d'amor, ne farà ogni grafia, Per la qual sento tanto amor, sta grazia,
Perocch/io sono il suo fedel Bcrnardo. Che "1 so fido Bernardo so e son sta.
Quale è colui, che forse di Croazia Come quelo, che forsi da Croazia
Viene a veder la Veronica nostra, Va a Roma a veder el Sudario Santo,
Che per l'antica fama non si sazia, Che per l'antiga fama noi se sazia 105
Ma dice nel pensinr, fin che si mostra : Dè ochiarlo, ma in so cuor dise ogni tanto :
Signor mio Gesù Cristo, Iddio verace, Gesù Cristo, gran Dio de Verità,
Or fu sì fatta la sembianza vostra ? Xe proprio questo ci to Retrato Santo ?
Tale era io mirando la vivace L'istesso mi de quel la carità
Carità di colui, che in questo mondo, Stava amirando che del cielo el ben 110
Contemplando, gustò di quella pace. Qua zo in contemplazion l'avea gustà.
Figliuol di grazia, questo esser giocondo, Fioi de la grazia, nI Santo a dir me vien,
Cominciò egli, non ti sarà nolo No ti poi de sto logo cognizion
Tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo. Aver, se solo i ochi in zo li tien ;
Ma guarda i cerchi lino al più remoto, Ma varda in su sin l'ultimo cerchion, 115
Tanto che veggi seder la Regina, Tanto che ti ochi in trono la Regina,
Cui questo regno è suddito e devoto. Per la qual ga sto regno devozion.
Io levai gli occhi : e come da mattina Go levà i ochi, e come de matimi
La parte orientai dell'orizzonte Se mostra a oriente l'orizonte chiaro
Soverchia quella, dove '1 Sol deelina , Più de quel altro dov'el Sol scalina; 120
Così, quasi di valle andando a monte, Nel più alto cerchio de quel Fior sì caro
Con gli occhi vidi parte nello stremo Visto ho al colmo brilar lusor più grando.
Vincer di lume tutta l'altra fronte. E come là dove che sponta ci caro
E come quivi, ove s'aspetta il tèmo, Mal guidà da Fetonte, a quando a quando
Che mal guidò Fetonte, più s'infiamma, La luse fresca va cressendo via 125
E quinci e quindi il lume si fa scemo ; E a le bande la vien drio man calando ;
Così quella pacifica orifiamma Cossi la bela Vergine Maria
Nel mezzo s'avvivava, • d'ogni parte Là in mezo sfiamegante resplendeva,
Per igual modo allentava la liamma. E a le bande el lusor manco vegnia.
Ed in quel mezzo, con le penne sparte E in quel mezo un mier d'anzoli faseva 130
Vidi più di mille Angeli festanti, Feste co l'ale spalancae, coi canti
Ciascun distinto e di fulgore e d'arte. Diversi, e co le luse varie. Aveva

100 la Regina = cioè la Vergine Maria.


102 Che 'I so fido Bernardo • S. Bcmanlo nacque nel villaggio di Fontainc In Borgogna nel 1091. Fu
il primo Abate tli Chiaravalle, esercitò per la sua dottrina e santità un gran potere sugli animi; e gli affari pih
importanti del suo secolo per la maggior parte governavansi per consiglio di lui. È noverato tra i Dottori della Chie
sa, ed è celebre la SUA divozione verso la Madre di Dio. Mori nel 1153. = so = sono.
120 scolina - discende.
121 df i,iu-i Fiar = della Rosa descritta.
122 al colmo = al puuto più elevato del cerchio ore siede Maria.
123-124 E come là dove te. vedi Purg. C. IV v. 72.
125 la luse fresca = la luce elic sorge nell'ora fresca del mattino.
130 UN mier — un migliaio d'angeli.
470 DEL PARADlSO
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor canti Là visto tra i so zoghi e tra i so canti
Ridere una bellezza, che letizia Splender una belezza, che alegria
Era negli occhi a tutti gli altri santi. Gera nei ochi a tuti i altri santi. 135
E s'io avessi in dir tanta dovizia, Se dir savesse quanto fantasia
Quanta in immaginar, non ardirei Sa dar, un sol tantin de quela stela
Lo minimo tentar di sua delizia. Con parole lodar no azarderia.
Bernardo, come vide gli occhi miei Quando Bernardo ha ochià che su la bela
Nel caldo suo calor fìssi ed attenti, Vergine i ochi aveva mi impiantai, 140
Gli suoi con tanto affetto volse a lei, Ga i soi con tanto amor voltai su quela,
Che i miei di rimirar fe più ardenti. Che de vardarla i mii s'ha più invogiai.

134 una brlezza = quella ili .Maria Vergine.


471

CANTO TRENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO ARGOMENTO

Qui vedi il Fior, che il sommo frutto diede, In veder qua quel tìor se se consola,
Onde s'aperse il Cielo a noi mortali, Chi-, n'ha da el Fruì" che n'ha verto n1 cielo,
Ove l'alma di qua sciolta sen riede. Dove l'anema fibera la svola.
Vicino al vago Sor dispiega l'ali Alegro sbaie l'ale Gabrielo
L'Angiol, che nunzio fu di tanta pace; Là arante, che de pase ha da l'aviso ;
E lodan mille spiriti immortali E un mier de vose loda in coro belo
L'alta Reina del regno verace. La Regina imortal del Paradiso.

Affetto al suo piacer, quel contemplante Bernardo sempre l'amor suo vardando,
Libero ufficio di dottore assunse, De farme el ciceron se ga impegnà
E cominciò queste parole sante: Con ste sante parole scomenzando :
La piaga, che Maria rinchiuse ed unse, Là da pie de Maria la dona sta
Quella, che tanto bella è da'suoi piedi, Bela che mai, che ha averta e incrudelin 5
È colei che l'aperse e che la punse. La piaga che Maria ga risanà.
Nell'ordine, che fanno i terzi sedi, Al terzo ziro solo de custia
Siede Rachel, disotto da costei, Rachele co la Bice insieme xe,
Con Beatrice, sì come tu vedi. Come ti vedi, Sara, po vien via
Sara, Rebecca, Judit e colei, Rebeca, la Guidila, e quela che 10
Che Tu bisava al cantor, che per doglia Bisnona gera a chi del mal pentio
Del fallo disse: Misti-ere (nei, Ga cantà el Misercre, e ha dito oime,
Puoi tu veder così di soglia in soglia Tal qual le chiamo per scali», fiol mio,
Giù digradar, com'io, che a proprio nome Da su in zo, ti le poi subitamente,
Vo per la rofa giù di foglia in foglia. Come mi, veder in sto fìor de Dio. 15
E dal settimo grado in giù, lì come Come dal primo al setimo, egualmente
In lino ad esso, succedono Ebree, Da questo, a scala zo per tuto el lior
Dirimendo del li or tutte le chiome; Vien altre Ebree, e par che propriamente,
Perchè, secondo lo sguardo che fee Le forma insieme un muro divisor
La fede in Cristo, queste sono il muro, Dei beati, che in Cristo beoedeto 20
A che si parton le sacre scalee. Diversamente i ga avù fede in cuor.

1 l'amor tuo -- cioè la Vergine Mari*. «


ì ti ciceron = è qui applicata la frasi usata per denotar* colui che guida i forestieri e mostra e spiega
loro le amichiti e le pitture, ed altre cose rare e particolari del paesr.
4-6 la dona re. --- questa è Eva, che aperse e inasprì colla sua disubbidienza la piaga del genere umano,
e che poi Maria Versine guari partorendo il divin Redentore.
8 Rechile = la bella figliuola di Labano moglie di Giacobbe; è dessa accanto a Beatrice, come fu detto nel
Canto II dell'Inferno v. 103.
9-12 Sara = moglie di Àbramo = Acceca = moglie d' 1sacco = <Uiulila = la liberatrlee di Bettulia _-
Bitiiona = cioè Iddh Moabita moglie di Booz, bisava i Ir I re David, il qnale per dolore de' suoi peccati si rivolte
a Dio col Salmo Nii-crere mei.
15 fim- =» cioè la rosa già descritta.
472 PEL PARADlSO
Da questa parte, onde '1 fiore è maturo Qua da sta banda, che no ga un scagnato
Hi tutte le sue foglie, sono assisi Vodo, xe chi, avanti vegnù '1 sia,
Quei, che credettero in Cristo venturo. Ga avù per Cristo fede ferma in peto.
Dall'altra parte, onde sono intercisi Da st'altra, in dove scavalcai xe via 25
Di róto i sumicircoli, si stanno Dai posti vodi i mezi cerchi, sta
Quei, ch'a Cristo venuto ebber li visi. Quei che, vegnudo, ga credù al Messia.
E come quinci il glorioso scanno Come fa '1 scagno de Maria de qua,
Della Donna del ciclo, e gli altri scanni E i altri che gh'è aoto el spartimento ;
Di sotto lui cotanta cerna fanno; De là quel de San Zuane, che hit penà, 30
Così di tnutrii quel del gran Giovanni, Sempre santo, al deserto, e '1 patimento
Clie, sempre santo, il deserto e '1 martiro l. ha sfidà del martirio angonizando,
Sofferse, e poi l'lnferno da due anni. Po zo al Limbo un per de ani ci xe sta drento;
E sotto lui cosi cerner sortiro Fa un altra spartizion, soto a lu stando
Francesco, Benedetto ed Agostino, Francesco, Ucnedeto co Agostin, 3j
E gli altri lin quaggiù di giro in giro. E i altri che drio man va scalciando.
Or mira l'alto provveder divino : Amira adesso el gran pensier divin ;
Che l'uno e l'altro aspetto della fede Chè l'una e l'altra fila dei boati
lgualmente empierà questo giardino. lmpinnà a l'impar sto bel Giardin.
E sappi, che dal grado in giù che fìede E sapi, che i putei da poco nati, 40
. A mezzo '1 tratto le duo discrezioni, Che a mezo in zo divide i ziri, e Cristo,
Per niìllo proprio merito si siede, Con certe condizion, salvi li ha fati
Ma per altrui, con certe condizioni : Pci meriti do Lu, i ha fato aquisto
Chè tutti questi sono spirti assolti De sto regno, per esser morti avanti
Prima ch'avesser vere elezioni. Ch'el lume de ragion eli abia visto. 45
Ben te ne puoi accorger per li volti, Te li poi ben conosser tuti quanti,
Ed anche per le voci puerili, Se ti vardi i viseti atentamente,
Se tu gli guardi bene e se gli ascolti. E le o.sL'tr ti ascolti nei so canti.
Or dubbi tu, e dubitando sili: Desso, siben ti tasi, in la to mente
Ma io ti solverò '1 forte legame, Vedo el dubio : ma tor vói l'imbarfizzo 50
ln che ti stringon li pensier sottili. Dei to fini pensieri. A caso gncnte
Dentro all'ampiezza di questo reame Poi star mai drento de sto gran palazzo,

•J!.ìl Qua da sla banda ec. . vengono qui denotali gli clcili dell'Antico Testamento.
25.27 Un st'altra in dove te. = e qui sono accennati gli eletti del Testamento Nuovo.
29 E i altri che glf'è tota -..• e gli altri scanni delle donne Ebrte.
31 Sempre santo — Giovanni fu santificato nel ventre ili sua mailre Santa Elisabclla.
33 Za al Limbo un per de ani .- due anni corsero dalla morte di S. Gio: Battista a quella di Cristo.
35 co Agostin » con Agostino.
36 tcalinandn »• discendendo per gradini.
38 l'unfi e l'altra fila dei beati = cioè quella che credette in Cristo venturo, e l'altra ohe credette io Cri-
stOfvenuto,
39 a l'impar -.. del pari, egualmente. Clic gli eletti del Nuovo Testamento eguagleranno in numero quelli
dell'Antico, è detto secondo certe opinioni clic a quel tempo si avevano riguardo al numero degli cletti, ed alU
mirata della leggc di grazia, all'epoca della fine ilei mondo iv ; cose tutte che non hanno alcun fondamento ili
speciale rivelazione divina, e rimangono questioni di mera curiosità, e in parte vane e ridicole. ^Bianchi)
42 Con terte condizion = cioè clic i bambini fossero circoncisi prima della istituzione del battesimo, e lsli-
tuito questo, fossero battezzati: Vedi il v. 76 e seguenti.
43 e le ostie = e le vocine.
50 tur vài l'imbarazzo = voglio togliere l'imbarazzo in cui si avvolge il dubbio di Danto, ed e qnesio:
Come i bambini, essendo in l'amdiso per i meriti di Gesù Cristo, si trovino collocati in varii gradi di gloria,
e non lutti nel grado medesimo.
CATTO XXXll. 473
Casual punto non puote avor sito, Come gnanca no gh'è, perciò no dù
Se non come tristizia, o sete, o (ume : Paturnia, fame, o sè nissun impazzo:
Chè per eterna legge è stabilito Perchè quel che ti vedi, xe ordenà 55
Quantunque vedi, sì che giustamente l)a Dio cossi, che luto è in proporzion,
Ci si risponde dall'anello al dito. Com'è adatà l'anelo al deo. E qua
E però questa festinata gente Perciò a sta vita eterna de licon
A vera vita, non è ame causa, Vegnù sti fi ni. de l'altro uno no gh'è
lntra sè, qui più e meno eccellente. Che sia megio logà senza rason. CO
Lo rege, per cui questo regno pausa Come pase a sto regno ha da '1 so Re
ln tanto amore ed in tanto diletto, 'Tra l'alegrezza e in mezo a tanto amor,
Cbe nulla volontade è di più ausa, Che de più bramizar mai no podè,
Le menti tutte, in suo lieto cospetto La grazia el ga dà a Pomo con magior
Creando, a suo piacer di grazia dota 0 m'unr dosa quando el l' ha creà ; 65
Diversamente. E qui basti l'effetto. E qua, fiol mio, de più saver no ocor.
E ciò espresso e chiaro vi si nota Da la Scritura santa questo è sta
Nella Scrittura santa in que' gemelli. Messo in chiaro nel caso dei zemei,
Che nella madre ebber l'ira commota. Che i ga in sen de la mare barufà ;
Però, secondo il colui de' capelli Perciò la grazia i ga drio i so cavei, 70
Di cotal grazia, l'altissimo lume E convien degnamente i sia logai.
Degnamente convien che s'incappelli. Per questo, senza merità i pulsi»
Dunque, senza mercè di lor costume. Se l'abia, i xe in sto sito destinai ;
Locati son por gradi differenti, E solo manco, o più vicini a Dio,
Sol differendo nel primiero acume. Su diversi scalini i xe sentai. 75
Bastava sì ne' secoli recenti ltastava al fantolin ni tempi indrio
Con l'innocenza, per aver salute, Per salvarse, ch'el pare sol credesse
Solamente la fede de' parenti. Che doveva vegnir el lini de Dio :
Poichè le prime etadi fùr compiute, Dopo, aciò i maschi apena nati avesse
Convenne a' maschi alle innocenti penne, La grazia, ha bisognà che i pari sui, 80
Per circoncidere, acquistar virtute. Rassegnai, circoncider li facesse.
Ma poichè '1 tempo della grazia venne, Ma de la grazia i dì co xe vegnui,
Senza battesmo perfetto di Cristo, 1 bambinei senza el batizo in Cristo
Tale innocenza laggiù si ritenne. Morti, al Limbo la zo gera tegnui.

54 .ii = sete = impazzo — molestia.


57 al ilra ... al dito.
58 de /irmi =... di filalo.
59 sli fioi = questi figli; ma qui è preso nel significato di bimbi.
60 mtiii'i logà = meglio collocato — rason = qui rulc per motivo, cagione.
63 iramizar •= brameggiurc.
65 ilnKit = dose.
68-69 ilei zemei = cioè dei due gemelli Giacobbc cil Esaù che nel venire materno ebbero contrasto ed ira
sforzandosi ognuno di nascere il primo e ili avere maggioranza il primo sopra l'altro = de la mare -. della
madre.
70 Pertin la grazia i ga drin i sn meri ec. — questo confronto il' iilcn b stato suggerito al pocta dal fatto
di Esaù e di Ciacubhe, nei quali la diversita iK'lln gratia fu significala dal diverso pelo = drio = qui vale con
forme, secondo.
77 ch'el pare = clic il padre.
474 DEL HARADISO
Riguarda omai nella faccia, ch'a Cristo Adesso varda el viso, che più a Cristo 85
Più s'assomiglia : che la sua chiarezza Somegia in luse, che la so chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo. Sola, poi parechiarte a veder Cristo.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza Su Quela ho visto far tanta alegrezza
Piover, portata nelle menti sante, I anzoli, sempre tra i beati e Dio
Create a trasvolar per quella altezza, Destinadi a svolar per quel'altezza, 90
Che quantunque io avea visto davante, Ch'el visto avanti, in grazia del bon Dio,
Di tanta ammirazion non mi sospese, No m' ha tanto incantà, nè m' ha mostrà
Nè mi mostrò di Dio tanto sembiante. Gnente, che tanto somegiasse a Dio.
E quell'amor, che primo lì discese, E l'anzolo, che prima è vegnù là,
Cantando: Ave, Maria, yratta piena, Cantando Ave, Maria, yrafia piena, 95
Dinanzi a lei le sue ale distese. Ga l'ale in faz.za d'Eia destiri.
Rispose alla divina cantilena Respondeva a la santa cantilena
Da tutte parti la beata corte, Quei beati cussi, che più in alora
Sì ch'ogni vista sen fe più serena. La so alegrezza xe vegnuda piena.
O santo Padre, che per me comporte O Pare, che per mi da là de sora 100
L'esser quaggiù, lasciando '1 dolce loco, Ti è qua calà lassando el caro logo,
Nel qual tu siedi, per eterna sorte, Dove in eterno Dio se gode e adora,
Quai è quell'angel, che con tanto gioco Chi è l'anzolo, che fa co l'ale el zogo,
Guarda negli occhi la nostra Regina, Vardando in viso la nostra Regina,
Innamorato si, che par di foco ? Inamorà cossi, ch'i:! par de fogo ? 103
Così ricorsi ancora alla dottrina Domando ancora a chi più belo insina
Di colui che abbelliva di Maria, Se fa de la belezza de Maria,
Come del Sol la stella mattutina. Come del Sol la stela de matina.
Ed egli a me : Baldezza e leggiadria, E lu a mi : Tuta quanta l'alegria,
Quanta esser puote in angelo ed in alma, Che un'anzolo poi goder, la xe in elo, 110
Tutta è in lui; e sì volem che sia: E cussi alegro nu volemo el sia :
Perch'egli è quegli, che portò la palma Perchè lu in tera el ga portà dal cielo
Giuso a Maria, quando '1 Figliuol di Dio La gran nova a Maria, ch'el Fiol de Dio
Carcar si volle della nostra salma. L'ha pensà de farse omo. Adesso a quelo
Ma Vienne omai con gli occhi, sì confili Che te dirò co l'ochio tienme drio, 115
Andrò parlando; e nota i gran patrici E i senatori nota co la mente
Di questo imperio giustissimo e pio. De sto gran regno cussi ben spartio.
Quei duo, che seggon lassù più felici, Quei do là in alto che piacer più i sente
Per esser propinqnissimi ad Augusta, Perche, quasi raise de sto fior,
Son d'esta rosa quasi duo radici. I xe a la so Regina tanto arente. 120
Colui, che da sinistra le s'aggiusta, Quel che a la zanca sua manda splendor,

85-86 vaniu ti risa che più a Cristo Somegia in luti — r il volto di Maria Vcrgiue.
98 in fazta = di faccia, dirimpetto = destirà = spiegò, distese.
103 fa co l'ale el zogo -- cioè il morimento delle ali in segno di letizia.
106 a ehi - cioè a S. Bernardo -- muma --- perfino.
108 la itela de manna = è la stella Venere.
Ili i' cimi alegro nu volemo el sia — perchè vogliamo quello che Dio vuole. Vedi C. III. v. SI.
118-120 Quci da -= sono Adamo capo del vecchio Testamento, e S. Pietro cupo del nuovo, come viene chia
rito qui di seguilo. — rat» -.-. radici. = tanto arente = vicinissimi.
CANTO XXXII. 473
È '1 padre, per lo cui ardito gusto Xe chi '1 fruto gustar se ga azardà,
L'umana specie tanto amaro gusta. Dando perciò ai so fioi pena e dolor.
A destra vedi quel padre vetusto A la so drita quelo varda là,
Di santa Chiesa, a cui Cristo le chiavi Al qual le sante chiave Gesù Cristo i 25
Raccomandò di questo lini venusto. De sto bel Paradiso el ga fidà.
E quei, che vide tutt'i tempi gravi, E quel che avanti de morir ga visto
Pria che morisse, della bella sposa, 1 dani de la Chiesa, che la xe
Che s'acquistò con la lancia e co' chiavi, De la passion de Cristo degno aquisto,
Siede lungh'esso : e lungo l'altro posa Gh'è arente; e arante a Adamo sta Mosè, 130
Quel duca, sotto cui visse di manna Soto del qual vissudo ga de mana
La gente ingrata, mobile e ritrosa. La /culi! ingrata e intestardia. Ghe xe
Di contro a Pietro vedi seder Anna, De fazza a Piero là in senton Sant'Ana,
Tanto contenta di mirar sua figlia, Tanto contenta in amirar so fia,
Che non muove occhio per cantare osanna Che ne li -.i i no bate per cantar Osava. 135
E contro al maggior Padre di famiglia E de fazza de Adamo sta Lucia,
Siedi Lucia, che mosse la tua Donna, Che ha stuzzegà la Bice tua per farle
Quando chinavi a minai le ciglia. Salvar dal precipizio là zo via.
Ma perchè '1 tempo fugge che t'assonna, Ma '( tempo de la to vision za parte ;
Qui farem punto, come buon sartore, i- IMO o ponto perciò, com'el sartor, 140
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna : Che conforme xe '1 pano, l'usa l'arte.
E drizzeremo gli occhi al primo Amore, E volteremo i ochi al primo Amor
Sì che, guardando verso lui, penetri, Cussi, che nel vardarlo, quanto più
Quant'è possibil, per lo suo fulgore. Ti poi, ti abi da entrar nel so splendor.
Veramente, nè forse tu t'arretri, Ma aciò tentando de avanzar in su 145
Movendo l'ale tue, credendo olii ,n Ii, No ti torni po in zo, convien, fioi mio,
Orando, grazia convien che s'impetri; La grazia col pregar ti abi da Lu,
Grazia da quella, che puote aiutarti: Per via de Quela che più arente a Dio
E tu mi seguirai con l'affezione Te poi giovar: perciò con devozion
Sì, che dal dicer mio lo cuor non parti. E col cuor, sin che prego, vienine drio. 150
E cominciò questa santa orazione. Po el scomenza a dir suso sta ora/ion.
122 Xt ehi -= Adamo
124 furio varda là = S. Pietro.
127-129 E iiiiel che avanti ee. = accenna a S. Giovanni Evangelista, elic vide nella sua estasi le calamiIà fa
tare della Chiesa.
130 arnie — dappresso = Mosi - condotiiero dei popolo Ebreo.
132 I. n zenit = cioè il popolo Ebreo.
133 De fazza = vedi Noia 98 = Sant'Ana -. Sant'Anna madre di M, ni, t Vergine.
136 Lucia — Santa Lucia, vergine martire, in cui nell'1nferno C. Il, v. 97 viene figurala la grazii illumi
nante.
137-133 che ha tluzzeyà la Dice e:. — elic Iia eccitata Beatrice: vedi Canto suddetto, v. 94-108.
139 Ma 'I tempo de la lo vision - cioè il tempo che Dio aisegnò a Dante per questa visione -— de la lo =
della tua.
142 al primo Amor - cioè a Dio.
148 Per via de Quela = l'or meno, cioè, di M. V. =. più arenti- = più vicino.
47G PEL PARADlSO

CANTO TRENTESlMÒTERZO

. ARGOMENTO ARGOMENTO

La vista del Pocta è omai sincera La vista a Dante tal vepnuda gera.
Sì. che più oltre fa sempre viaggio Che sempre in su de ciclo in cielo andando,
Nell'alta lUCH, che da sé è vera. L'ha possudo fissar la Luso Vera.
Ma ben s'avvede che intelletto saggio Ma come strussieria sempre de bando
Veste non trova d'umane favelle, l.'inteleto più fin capio el ga elo,
Onde ridir di qual risplend.i raggio Pc.r dir da quala luse el ragio granilo
L'Amor, che move il sole, e l'altre stelle. Unsplende dull'Amor, che move el cielo.

Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, Vergine mare, linia del to Fio,
Umile ed alta più che creatura, Umile e granda più d'ogni creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio ; Pensier eterno del eterno Dio:
Tu se' colei, che l'umana natura Ti è quela che del omo la natura
Nobilitasti sì, che '1 suo Fattore Ti ha nobilìa cossi, ch'el so Creator
Non disdegnò di farsi sua fattura. S'ha fm degnà de farse so fatura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore, Ne le vissere tue possù ha l'amor
Per lo cui caldo, nell'eterna pace, De più scaldarse, per el qual formà
Così è germinato questo fiore. S'ha sto santo consorzio in sto bel fior.
Qui se' a noi meridiana face Nostro Sol ti è qua drento in carità; 10
Di caritade; e giuso, intra i mortali, E l'omo che no fa che sospirar,
Se' di speranza fontana vivace. Per Ti, in Ti ogni speranza el ga.
Donna, se' tanto grande e tanto vali, Tanto ti è granda, e tanto ti poi far,
Che qual vuoi grazia, ed a te non ricorre Che chi voi grazia e po da ti no vicn,
Sua disianza vuoi volar senz'ali. La vogia soa senz'ale voi svolar. 15
La tua benignità non pur soccorre Ti begnigna, no solo ti sovien
A chi dimanda, ma molte fiate A chi domanda, ma spesso a chi aspira
Liberamente al dimandar precorre. Senza domanda, e questa ti previen.
ln te misericordia, in te pietate, Misericordia e amor in li respira,
ln te magnificenza, in te s'aduna ln ti xe splendidezza, in li se suna 20
Quantunque in creatura è di bontate. Quanta in creatura de bontà se amira.
Or questi, che dall'infima lacuna Questo, che ha avù de vèder la fortuna

1 mars = madre.
5 Mobilia --:. nobilitala.
9 santo consorzio = cioù il Consesso ilei beati IH uo ld fior = cioiì la rosa celeste già descritta nei
canti precedenti.
20 se suna - . si aduna.
22 Questo = cioè Dantc,
CANTO xxxni. 477
Dell'universo insin qui ha vedute Dal basso lnferno lina qua de su
Le vite spiritali ad una ad una, Le aneme dei tre regni a una a una,
Supplica a te, per grazia, di virtute Te prega aciò, per grazia toa, virtù 25
Tanto, che possa con gli occhi levarsi Tanta ti vogi darghe, che levar
Piti alto, verso l'ultima salute. Possa cio i ochi a veder Dio la tu.
Ed io, che mai per mio veder non arsi E mi, che tanta vogia de vardar
Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei prieghi Per mi no ho avua quanta per elo, i mi
Ti porgo (e prego che non sieno scarsi), Preghi ai toi zonto, e fa che da bastar 30
Perchè tu ogni nube gli disieghi l gabia, perché Dio, pregà cussi,
Di sua mortalità, co' prieghi tuoi, Quanto è in lu de mortai ghe scazza via,
Sì che '1 sommo piacer gli si dispieghi. E el veda schieto el primo Amor per ti.
Ancor ti prego, Regina, che puoi Regina, che ogni cossa qualsesia
Ciò che tu vuoli, che conservi sani, Ti voi, ti poi, che ti ghe legni san 35
Dopo tanto veder, gli affetti suoi. El cuor da le passion te pregarla
Vinca tua guardia i movimenti umani : Dopo el za visto, e da ogni mal lontan.
Vedi Beatrice con quanti beali Varda Bice e i Beati, tuti drio
Per li miei prieghi ti chiudon le mani. A la preghiera mia zontar le man.
Gli occhi da Dio diletti e venerati, l ochi de Quela tanto cara a Dio, 40
Fissi nell'orator, mi dimostraro Fissi in chi ga pregà, veder me fava
Quanto i devoti prieghi le son grati. Qual piacer per quel prego eia ha sentio.
lndi all'eterno lume si drizzaro, Dopo al Lusor eterno i se drizzava,
Nel qual non si può creder che s'invii Al qual altro ochili, certo, no ghe ariva
Per creatura l'occhio tanto chiaro. Chiaro cussi. E mi, che arente andava 45
Ed io, ch'ai fine di tutti i desii Al vero Ben, la brama che sentiva,
M'appropinquava, si com'io doveva, Oramai tuta abandonada aveva,
L'ardor del desiderio in me finii. Perchè tuta saziada me vegniva.
Bernardo m'accennava, e sorrideva, Bernardo a sta mia grazia sorideva,
Perch'io guardassi in suso : ma io era Fandome el moto aciò vardasse in su ; 50
Già per me stesso tal qual ei voleva : Ma alzadi i ochi a modo soo za aveva :
Chè la mia vista, venendo sincera, Chè vegnindo la vista mia più fina,
E più e più entrava per lo raggio Xe a poco a poco in quela Luse entrada,
Dell'alta luce, che da sè è vera. Che xe de Verità Luse Divina,
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio La cossa, che se m' ha po presentada, 55
Che '1 parlar nostro, eh' a tal vista cede; A dir linguagio d'omo xe impotente,
E cede la memoria a tanto oltraggio. E la memoria insin resta copada.
Quale è colui che sonn'iando vede, Come un fato in sognar vede el dormiente,

29 i mi = i mici.
30 zonto - . aggiungo.
32 n ke scazza via .- gli discaccia.
33 E el veda sciatto = ed egli veda aperUmente -. rl primo Amor cioè Dio,
39 zontar ls man = giugncre le mani.
40 ile Quela .•- cioè di Maria Vergine.
43 ni lMSOv eiernu = cioè a Dio.
46 Al vero Ben = a Dio.
51 aoo = suo
57 copada = morta.
478 DEL PARADlSO
E dopo '1 sogno la passione impressa E drlo el sogno ghe resta l'impression,
Rimane, e l'altro alla mente non riede; Ma '1 sogno noi ghe poi tornar in mente : 60
Culai son io : chè quasi tutta cessa Cossi mi : che sfantada la visìon
Mia visione, ed ancor mi distilla Da la memoria quasi tuta, ancora
Nel cuor lo dolce che nacque da essa. Me resta drento in cuor el saor bon.
Cosi la neve al Sol si disigilla; Cussi la neve al Sol la se svapora,
Così al vento nelle foglie lievi Cussi '1 vento i oracoli ha mandà 65
Si perdea la sentenzia di Sibilla. De Sibila, e le fogie sotosora.
O somma luce, che tanto ti lievi O gran Luse, che tanto in alto va
Da concetti mortali, alla mia mente Sm a el pensier dei omeni, me dona
Ripresta un poco di quel che parevi; La memoria de quando i" ho amirà ;
E fa la lingua mia tanto possente, E la parola mia fa tanto bona, 70
Ch'una favilla sol della tua gloria Che una faliva sol de la belezza
Possa lasciare alla futura gente : Tua più gloriosa, ai nostri floi ghe intona;
Chè, per tornare alquanto a mia memoria, Che tornandome in mente la dolcezza,
E per sonare un poco in questi versi, E in sti mii versi un tantinin sonando,
Più si conceperà di tua vittoria. De più se capirà la to grandezza. 75
lo credo, per l'acume ch'io soffersi ln sostegnir quel ragio cossi grando,
Del vivo raggio, ch'io sarei smarrito, Penso che me saria tuto smario,
Se gli occhi miei da lui fossero aversi. Da quel lusor divin i ochi levando.
E mi ricorda, ch'io fu' più ardito E più forte perciò l'anemo mio,
Per questo a sostener tanto, ch'io giunsi Recordo, in afrontarlo el deventava 80
L'aspetto mio col Valore infmito. Cossi, che univa l'ochio mio con Dio.
O abbondante grazia, ond'io presunsi O imensa grazia che me incoragiava
Ficcar lo viso per la luce eterna A spenzer i ochi sul Lusor più belo,
Tanto, che la veduta vi consunsi! Tanto che la mia vista consumava !
Nel suo profondo vidi che s'interna ln tei so fondo mi go visto quelo, 85
Legato con amore in un volume Che ligà co l'amor, in compagnia
Ciò che per l'universo si squaderna : Se spande qua zo in tera e sora el cielo ;
Sustanzie ed accidenti e lor costume, Quanto sta da sè solo, o vegnù sia
Tutti conflati insieme per tal modo, Da altra cossa, atacà tuto è cussi,
Che ciò ch'io dico è un semplice lume. Che quel che digo solo xe in ombria. 90
La forma universal di questo nodo Sto nodo credo d'aver visto lì ;
Credo ch'io vidi; perchè più di largo, Perchè nel recordar sta verità,
Dicendo questo, mi sento ch'io godo. Sento che più se starga el cuor in mi.
Un punto solo m'è maggior letargo, Più presto in t'un sol ponto m'ho scordà,

61 tfnninitii = dileguata.
63 et saor bon = il buon sapore.
65-68 Catti 'l vento = narra Virgilio clic la Sibilla Cuniana scriveva i suoi oracoli nelle foglie, che disten
deva in terra dinanzi al suo antro; ma il vento stesso, clic si faceva all'aprir dullu grotta, metteva io disordine
quello foglie e nessuno raccappezzava più nulla.
71 /o/iva = scintilla.
74 un inniinin — un fantolino, un minimo.
85-86 go vitto gutlo te. = cioè quanto per la creazione si manifesta diffuso.
S8 Quanto sta da sè solo — Tutto ciò clic sussiste da se.
94 in C'ni sol ponto = s'iutende dopo la beata visione.
CANTO xxui. 479
Che venticinque soculi all'impresa, Che in venticinque secoli sonai, 95
Che fe Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. S'alda d'Argo Netun desmentegà.
Cosi la mente mia tutta sospesa, Fra '1 stupor e l'amor, cussi fermai
Mirava fissa, immobile ed attenta; I mii pensieri in quel Lusor tegniva,
E sempre di mirar faceasi accesa. Che i a' ha in fissarlo sempre più invogiai.
A quella luce colai si diventa, Tali vegnimo a quela I, use viva, 100
Che volgersi da lei, per altro aspetto, Che mai lassarla no podemo nu,
È impossibil che mal si consenta: Mentre gnent'altro contentarne ariva:
Perocchè '1 ben, ch'i: del volere obbietlo, Perchè '1 ben, al qual l'omo tende più,
Tutto s'accoglie in lei: e fuor di quella In quel Lusor se nichia ; e via de quelo
È difettivo «io, ch'è lì perfetto. Tuto è imperfeto, e sol perfeto è Lu. 105
Omai sarà più corta mia favella Da desso per quel poco che ho in cervelo
Pure a quel ch'io ricordo, che d'un fante, El mio discorso più sarà imperfeto,
Che bagni ancor la lingua alla mammella. De quel che fa da late un bambinelo.
Non perchè più ch'un semplice sembiante No perchè più ghe fusse d'un aspeto
Fosse nel vivo lume, ch'io mirava, In quel vivo Lusor, che mi vardava, 110
Chà tale è sempre qual s'era davante, Che mai cambia el divin lume perfeto,
Ma, per la vista che s'avvalorava Ma perchè la mia vista s'infrancava
In me, guardando, una sola parvenza, Amirando in Lu sola una belezza,
Mutandom'io, a me si travagliava. Lu no, ma mi in fissarlo me cambiava.
Nella profonda e chiara sussistenza Drento in quel Esser tra la gran chiarezza, 115
Dell'alto lume parvermi tre giri Tre cerchi grazia ho avua che se mostrasse
Di tre colori, e d'una contenenza : De tre colori e d'una eguai grandezza :
E l'un dall'altro, come Iri da Iri, Un parea che da l'altro derivasse,
Parea riflesso : e '1 terzo parea fuoco, Come i arcocelesti, e propriamente
Che quinci e quindi igualmente si spiri. Pareva el te;zo al fogo se infiamasse 120
Oh quanto è corto '1 dire e come fioco Dei do primi. O co scarso a quel che ho in mente
Al mio concetto! e questo a quel ch'io vidi, Xe '1 dir ! e '1 dir a quel che ho visto è tanto
È tanto che non basta a dicer poco. Poco, che quasi el poco dir xe gnente.
O luce eterna, che sola in te sidi, O Luse, che in ti sola a star ti ha '1 vanto,
Sola t'intendi, e, da te intelletta Ti sola ti te intendi, e za capia 125
Ed intendente, te ami ed arridi ! Da ti, te t'ami e ti te piasi tanto !
Quella circulazion, che sì concetta Nel cerchio, che vegnù par da ti '1 sia,

65-96 Che in viuticinrIut tceoli te. — allude alla meraviglia prorata da Nettana, Dio del mare, quando ven
ticinque secoli addietro vide per la prima volta U nave d'Argo scorrere sul suo elemento = tonai' = passati,
compili.
99 invogiai = invogliati di fissare.
HO ouel vivo Lutar - cioè Dio.
116 Tre cerchi = questi Ire cerchi figurano le persone dulia Trinila, distinte ma eguali.
11S-U'1 l'n = cioè il Figlio - - pareva da l'altro derivaste *= cioè dal Padre . Parea el lerto che al fo
go te infiamane Dei do primi i': in questo luogo simboleggiato lo Spirilo Santo, cioè l'amore che procede dui
Padre e dal Figlio - vedi C. X v. 1-2 Un, scarso - O quanto scarso.
125-126 'l'i tola li te intendi = cioè la luce intelligente elic è il Padre = e xa enjiia = cioè la luce in
tendente che è il Figlio - le l'ami e li te piati tanto = cioè l'umore e la compiacenza del Padre e del Figlio;
con elic viene espressa teologicamente la Trinità.
127 Nel cerchio ee. = cioè il secondo dei tre già descritti (redi v. lift) quello vale a dire del Figliuolo de
rivante dal Padre.
480 DEL PARADISO
Pareva in Le, come lume reflesso, Come el ragio da un altro refletuo,
Dagli occhi miei alquanto circonspetta, Che mi vardava atorno atorno via,
Dentro da sè, del suo colore istesso, M' ha parso d'aver proprio conossuo 130
Mi parve pinta della nostra effige : Col color stesso drento in lu depento
Per che il mio viso in lei tutto era messo. Dè nu '1 retrato, e là l'ochio ho tegnuo.
Qual è '1 geometra, che tutto s'affige, Coin 'el serio geometro sta atento
Per misurar lo cerchio, e non ritruova, Del circolo a studiar la quadratura,
Pensando, quel principio ond'egli indige; E buta el tempo e la fadiga al vehlo. 135
Tale era io a quella vista nuova: Cossi resto davanti a la figura:
Veder voleva come si convenne Volea mo intender coine mai podeva :
L'imago al cerchio, e come vi s'indova; Star col Verbo de l'omo la natura;
Ma non eran da ciò le proprie penne: Ma la mente in pensarghe se perdeva
Se non che la mia mente fu percossa Che non è, una luse me mostrava 140
Da un fulgore, in che sua voglia venne. El gran mistero che capir voleva.
All'alta fantasia qui mancò possa. La memoria a sta vista me scampava:
Ma già volgeva il mio desiro e '1 velie, Sia, come roda che va via a penelo,
Sì come ruota che igualmente è mossa, El voler mio al so voler piegava
l.'Vmor che muove il Sole e l'altre stelle. L' Imperator che move lera e cielo. 145

131 Col color stesto = del medesimo colore divino.


137 mo = particelh! riempitiva.
138 col Verbo . cioù colla seconda persona della "un'i- i.n i Trinità.
140 Chc non e — Quarul'ecco.
1 13 n jimelo = per cccrltrnzn, ix nraraviglia.

CORREZIONE
Tag. 398 Canto XVII v. 71 del Paradiso — In luogo dui Gran Can deve leggersi del Sovran,
e così pure nella Nota corrispondente.
ERRATA CORRIGE
Pag. 13 Vers. 5 Del largo Del longo
n 18 » 49 no la la lassa no la lassa
ii 20 » 111 su i in tani iva i, su i intardivai.
» 41 » 112 n'ho sentio no ho sentio
» 48 n 78 qua soto qua soto.
» 55 » 57 a cozzar a cazzar
» 60 » 82 la drento là drento
» 79 » 115 zozo zoso
» 97 » 2 la battaglia la guera
» 111 » 14 N'ho visto No ho visto
» 117 » 50 più eerto più certo
» 129 » 135 ho dai un dai.
» ibid. » 9 vintindo mia umido mia
w 171 » 59 Vegnirme Vegnirne
» 202 » 42 go ga
» 239 » 28 alsarse alzarse
n 244 n 23 viaso viazo
n 266 » 116 nu quel nu in quel
» 270 » 1 Bada bada
-> 288 » 69 somenarli semenarli
» 289 » 109 ele elo
» 291 » 14 voltante voltando
» 391 » 38 sei ani sie ani
» 396 » 16 veder vedèr
» ibid. » 19 cava. cava
» 412 » 36 resplendente splendente
» 414 » 120 dada. dada,
n 416 » 9 lo monta la monta
» 454 n 102 più più
» 459 » 93 scollando scollando.
» 463 » 92 veder vedèr
» 469 » 97 zira ben ochi intorno zira ben i ochi intorno
» 474 » 118 che piacer più i sente più piacer i sente
» 476 n 12 in Ti ogni speranza el ga ogni speranza in Ti lu ga
» 477 » 27 la su là su
» 480 » 137 podeva: podeva
» ibid. » 13l) perdeva perdeva :

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