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Jesus 340 Intervista Bassotto

Intervista con la vescova brasiliana Bassotto

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INTERVISTA A MARINEZ BASSOTTO, VESCOVA DELLA CHIESA EPISCOPALE

ANGLICANA DEL BRASILE (IEAB) IN AMAZZONIA


La Chiesa episcopale anglicana del Brasile (Ieab) è la provincia brasiliana della Comunione
anglicana, conta circa 120mila membri ed è composta da nove diocesi, la più grande delle quali è
quella dell’Amazzonia, che copre il 42 per cento del paese. A guidare questa enorme circoscrizione
ecclesiastica, “che se fosse uno Stato sarebbe il settimo più grande del mondo”, è dal 2018 Marinez
Rosa dos Santos Bassotto, prima anglicana ad assurgere all’episcopato nell’America del sud,
chiamata a svolgere la sua attività pastorale contando su una piccola struttura: “Io e altri sei membri
del clero attendiamo tre parrocchie, due missioni e cinque Punti missionari e in alcune di queste non
c'è nessun tempio, per cui le celebrazioni avvengono sotto gli alberi nelle comunità fluviali,
indigene e nere o nei cortili delle case dei fedeli”.
Riceviamo quotidianamente dall'Amazzonia notizie sulla devastazione ambientale e la
violenza contro i popoli indigeni. Come affronta questa situazione la Chiesa anglicana
brasiliana?
La regione amazzonica - circa 5 milioni di chilometri quadrati, pari al 53% del territorio nazionale -
vive un momento molto difficile. Investimenti statali e politiche pubbliche sono tradizionalmente
stati carenti perché i governi hanno sempre guardato all’Amazzonia con l’occhio avido di chi vuole
solo estrarne tutte le ricchezze, senza preoccuparsi di conservarne e valorizzarne la vita. La
situazione è però peggiorata con l’esecutivo di Jair Bolsonaro, che attua un vera “necropolitica”
(politica di morte) volta a uccidere simbolicamente e fisicamente le popolazioni vulnerabili.
Le conseguenze sono disastrose per tutto il Brasile, ma ancora di più in Amazzonia dove i servizi
igienici di base sono precari, il sistema sanitario è a pezzi, la maggior parte degli impoveriti
sopravvive con lavori informali, ci sono molte comunità indigene, quilombolas (formate da
discendenti degli schiavi afrobrasiliani fuggiti dalle piantagioni nel XVI-XVIII secolo – ndt) e
fluviali che vivono in zone di difficile accesso. Il governo ha tagliato i programmi sociali, facendo
aumentare la miseria, e smantellato gli organi dello Stato incaricati di tutelare l’ambiente, il che dal
2019 ha favorito un’enorme aumento degli incendi, in gran parte opera dell'agrobusiness, dei
grileiros (chi falsifica documenti per acquisire illegalmente terre libere o di terzi – ndt) e dei
garimpeiros (cercatori d’oro illegali – ndt), ma di cui Bolsonaro ha accusato gli ambientalisti.
L’esecutivo, inoltre, ha cercato di allentare le leggi affinché i garimpeiros possano entrare nelle aree
indigene, chiudendo un occhio sulla violenza derivante dalle invasioni e dalle attività illecite come
il land grabbing, lo sfruttamento minerario illegale e il disboscamento nelle terre finora protette.
La pandemia di Covid-19 ha inasprito le disuguaglianze sociali, aumentato la fame, acuito il
razzismo e l'odio, lo sterminio delle popolazioni nere, fluviali e indigene (per malattie e violenza),
smascherato l'avidità di coloro che non si preoccupano della nostra Casa comune. La negligenza del
governo ha causato centinaia di morti e la seconda ondata con la variante brasiliana è stata un vero
tsunami.
La Ieab denuncia la mancanza di rispetto socioambientale e tenta di testimoniare, con le parole e i
fatti, l'esperienza dell'amore e la ricerca di una vita piena per tutte le persone, secondo il
comandamento di Cristo. Perciò ha cercato di essere solidale con la sofferenza del popolo
dell'Amazzonia. Questo significa avere il coraggio di alzarsi come voce profetica in difesa della vita
e di unire le forze affinché i diritti delle popolazioni più vulnerabili siano rispettati, così come di
essere presenza amichevole e consolatrice per le famiglie indigene in lutto.
Nel 2019 la Chiesa cattolica ha dedicato il proprio Sinodo all'Amazzonia. Come lo giudica e
quali effetti sta avendo sulla regione?
Il Sinodo per l'Amazzonia è stato un'iniziativa estremamente importante perché ha dato visibilità a
questa regione e ha portato alla luce le disuguaglianze esistenti qui. È stata anche un'occasione per
rafforzare i legami ecumenici, perché sono stati invitati rappresentanti delle altre Chiese cristiane,
tra cui il rev. Claudio Correa de Miranda e il laico Daniel dos Santos Lima della nostra diocesi, che
hanno potuto esprimersi pubblicamente.
Le discussioni, i dibattiti, le riflessioni e le conclusioni del Sinodo sono fonte d’'ispirazione anche
per le altre Chiese cristiane della regione, poiché le difficoltà e le sfide sono in gran parte simili.
Credo che l'effetto immediato del Sinodo sia stato una maggiore apertura al cammino ecumenico,
all'aiuto reciproco e alla comprensione di ciò che chiamiamo Panamazzonia, cioè della regione al di
là dei confini degli Stati che la compongono.
In Amazzonia ci sono esperienze ecumeniche in difesa dell'ambiente e delle comunità
indigene?
L’Amazzonia brasiliana è composta da vari Stati, in ciascuno dei quali il cammino ecumenico è in
una fase diversa: per esempio, nel Pará dal 1996 esiste ed è molto attivo il Consiglio amazzonico
delle Chiese cristiane (Caic), di cui il rev. Correa de Miranda è vicecoordinatore, legato
ufficialmente al Consiglio nazionale delle Chiese cristiane (Conic); nello Stato di Amazonas da due
anni c’è la Rete ecumenica Amazzonizzare, che ha realizzato diverse iniziative.
Le aspirazioni all'unità della Chiesa di Cristo sono nate dal desiderio di costruire un mondo solidale
e fraterno di fronte a grandi momenti di crisi nella storia dell'umanità. Non è diverso oggi.
Quest’anno in Brasile si è svolta la V Campagna di Fraternità ecumenica con un tema molto
stimolante: "Fraternità e dialogo – Cristo è la nostra pace: di ciò che era diviso, ha fatto l'unità" (Ef.
2,14a), con un gran numero di eventi, seminari e conferenze (tutti online a causa della pandemia)
che hanno approfondito e rafforzato i nostri legami di unità.
La mia diocesi sta anche realizzando a Belém e Manaus azioni con le popolazioni indigene in
collaborazione con la Chiesa cattolica attraverso la Caritas e col sostegno e la partecipazione di
altre realtà ecumeniche. Il progetto si chiama Piantando vite.
Lei è stata la prima vescova della Ieab. Che cosa significa e quali conseguenze ha avuto questa
nomina nella Chiesa anglicana brasiliana? Quale contributo può dare questa presenza di
donne dell’America latina in ruoli istituzionali alla riflessione teologica femminista e alla vita
delle Chiese del cotinente?
Nella Chiesa anglicana non c'è una nomina episcopale, ma un'elezione, che avviene in un Consiglio
straordinario appositamente convocato, in cui il voto del clero e dei laici ha lo stesso peso. Per
essere eletta vescovo una persona deve avere più di 45 anni, essere prete da almeno 10 e ricevere i
voti della maggioranza assoluta della Camera del clero e della Camera dei laici. Sono stata
consacrata vescova della diocesi dell'Amazzonia, che ha sede a Belém, nello Stato del Pará, nel
2018, divenendo la prima donna a esercitare questo ministero nella Chiesa anglicana in Sudamerica.
A me è molto chiaro che l'episcopato è un'opportunità di servizio, una diaconia, non un onore o uno
status. So che ci sono grandi aspettative verso il mio operato, come sempre accade quando posizioni
e funzioni considerate "maschili" vengono assunte da una donna. Proprio per questo ho risposto di
sì a questa chiamata con coraggio, speranza e fede, accettando le conseguenze e i rischi di questa
scelta e rendendomi disponibile a realizzare, insieme al clero e al popolo della diocesi anglicana di
Amazzonia, il difficile compito di essere donna e leader cristiana.
Partecipando al processo di elezione nella diocesi dell'Amazzonia ero anche pienamente
consapevole che stavo mettendo a disposizione il mio nome a favore dell'ordinazione delle donne,
perché in maggio del 2021 si sono cpmpiuti 36 anni dalla prima ordinazione femminile in Brasile.
La Ieab è stato audace e innovativa nel rendere possibile alle donne, fin dall'inizio, l'accesso ai tre
ordini sacri. Ciònonostante, per quasi 33 anni non aveva avuto il coraggio profetico di eleggere
nessuna donna all'episcopato.
La mia elezione ha inaugurato una nuova era con una maggiore parità di genere e la brezza
profumata proveniente dall'Amazzonia ha fatto superare i dubbi e le paure che esistevano di fronte
alla novità di un episcopato femminile. Così nel 2019 un'altra donna, Meriglei Borges Silva Simin,
è stata eletta vescova, questa volta a Pelotas, nel sud del Brasile, e ho la speranza che quest’anno
toccherà a una terza nel sud-est, per cui nella Camera episcopale, composta da nove vescovi, tre
saranno donne.
Viviamo in una società che discrimina e violenta le donne, ne oggettivizza i corpi, non ne rispetta i
diritti e ne criminalizza le cause. Grazie al femminismo e alle sue lotte per l'uguaglianza, molte
barriere sono state superate, ma molte altre devono ancora essere abbattute. L'accesso all'istruzione
e al mercato del lavoro sono stati progressi molto importanti, ma dobbiamo ancora superare il triplo
turno di lavoro, la differenza di retribuzione o di accesso agli organi decisionali, ecc.
La piena responsabilizzazione delle donne è purtroppo ancora lontana in alcune Chiese cristiane, a
causa di interpretazioni bibliche sbagliate, di contesti culturali o di patriarcalismo strutturale. Perciò
penso che l'ordinazione di donne all'episcopato in un ramo storico, secolare e globalmente rispettato
del cristianesimo abbia un impatto sulla riflessione teologica e sulla vita ecclesiale sia della Chiesa
anglicana sia di altre denominazioni cristiane e incoraggii le donne a cercare di occupare più spazi
decisionali nelle Chiese, ad aprire spazi di discussione al loro interno e nei movimenti ecumenici, a
sostenere e incoraggiare i movimenti sociali di resistenza e lotta per i diritti.
Nel 2019 la parrocchia anglicana della Santissima Trinità a San Paolo ha ospitato il I
Congresso Chiese e Comunità Lgbti+. Come vede questo crescente protagonismo ecclesiale dei
cristiani appartenenti a minoranze sessuali?
In Brasile la Chiesa anglicana è teologicamente, socialmente ed eticamente progressista. Cerca di
accogliere tutte le persone nell'amore di Cristo e vive l'ecumenismo come parte del suo modo di
essere. L'accoglienza delle persone, senza discriminazione di etnia, colore della pelle, classe sociale,
genere o orientamento sessuale fa parte dell'ethos della Ieab ed è persino prevista nel suo Statuto.
La discussione sull'inclusione delle persone lgbtqia+ nella Chiesa è iniziata nel 1997 con la prima
Lettera pastorale dei vescovi della Ieab sulla sessualità umana e oltre 20 anni di dibattito teologico
e dialogo pastorale hanno portato la Chiesa a capire che la sessualità è un dono di Dio, che va
vissuta in pace, libertà, amore e rispetto, e a riconoscere l'angoscia e il dolore delle persone che la
società esclude.
Questo percorso non è stato semplice né privo di tensioni, ma ci ha aiutato a discernere che la
Chiesa deve rispettare le relazioni affettivo-sessuali dei suoi membri, sia del clero sia dei laici,
accogliendo le differenze, facendone un dono offerto da Dio e testimoniando il comandamento di
Cristo dell'amore incondizionato. Questo è culminato nell'abbandono – terza provincia della
Comunione anglicana, dopo gli Stati Initi e la Scozia - del divieto canonico del matrimonio
omosessuale nel giugno 2018.
Vedo con gioia il crescente protagonismo ecclesiale delle persone cristiane appartenenti alla
comunità lgbtqia+ e come anglicana sono orgogliosa di appartenere a questa parte della Chiesa di
Cristo che comprende come l'inclusività sia uno dei valori centrali, non solo della nostra
Comunione, ma del Regno di Dio. So che dobbiamo impegnarci molto di più per raggiungere il
consenso delle altre istituzioni ecclesiastiche e, come Chiesa di Cristo (e sull'esempio di Cristo),
essere più empatici, comprensivi e amorevoli. Prego perché restiamo saldi nel costruire una Chiesa
(non in senso confessionale, ma universale) accogliente, inclusiva e missionaria.

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