BOLLETTINO DELLA SOCIETA' GEOGRAFICA ITALIANA
ROMA - Ser. XI, vol. I, 1984, pp. 341-348
SILVANA RAO
NAPOLI E PALERMO: DUE VECCHIE CAPITALI
TRA EUROPA E MEDITERRANEO
All'unità d'Italia, Napoli, la terza città europea dopo Parigi e
Londra, era la più popolosa città italiana, primato che deteneva da
molti secoli e che deterrà fino al 1931, mentre Palermo che aveva
oltre centomila abitanti fin dal lontano '600, era superata in Italia
soltanto da Napoli, Milano e Genova. Napoli e Palermo manifestano
una vistosa tendenza all'urbanizzazione soprattutto nel corso del XVIII
secolo, quando, nell'Italia del tempo, l'attrazione urbana era vivacis-
sima in due tipi di città: quelle con funzione prevalentemente ammi-
nistrativa, come Napoli (incremento del 97-98% tra l'inizio e la fine
del '700), Palermo e Torino (entrambe quasi del 4076) e quelle di
mare e di traffici come Genova (-t40:h), Ancona ( +120C/o), Livor-
+ +
no ( 160% ) , Catania ( -t 180% ) , Trieste ( 450% ) , con eccezione della
già senescente Venezia, che presentava invece stazionalità sui valori
iniziali (Caracciolo, 1973).
Subito dopo l'unificazione nazionale, Napoli, con quasi 500.000
abitanti, e Palermo, con quasi 200.000, rappresentavano un caso ecce-
zionale nel panorama complessivo delle strutture territoriali ed inse-
diative italiane: strutture caratterizzate da un lato dal << ritardo » nel
processo di urbanizzazione, rispetto ai paesi europei già economica-
mente piu avanzati ( l ) , e dall'altro dalla presenza di poche « città »
(1) Per f a r un confronto internazionale relativo a l u ritardo, d a u n lato, e a l l a
minore intensitg dali'altro, con cui il fenomeno della urbanizzazione si manifestava ri-
spetto ad altri paesi europei economicamente più avanzati, basti pensare che a l l a metià
del secolo 'passato, più di un terzo della popolazione inglese abitava in centri superiori
ai ventimila abitanti (1851), mentre meno di un quinto erano gli italiani residenti In
comuni di analoghe dimensioni dernografiche (1861). Inoltre, in Inghilterra si sviluppava
una concentrazione urbana con tassi considerevoli fin dall'inizio del secolo passato, se-
condo valori non confrontabili con quelli che in Italia si riscontreranno soltanto più di
un secolo dopo; Londra aveva nel 1861 una popolazione pari a quella delle undici cittià
italiane che a quella d a t a superavano i centomila abitanti, e Parigi ancora nel 1911
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con notevole concentrazione di abitanti e di funzioni, quali le capitali
degli stati preunitari, e da una capillare rete di insediamenti urbani
minori - nell'Italia settentrionale e centrale - legati al proprio ca-
rattere agricolo (2).
La dimensione demografica, che non è sufficiente ad individuare
il ruolo gera.rchico che la città odierna assume nel territorio, risulta
sicuramente un parametro di misurazione molto più significativo se
riferito a situazioni storiche di oltre un secolo fa, e non solo per
l'esiguo numero di città e di popolazione urbana allora esistente, ma
soprattutto perché nel frattempo le funzioni della città sono mutate
in modo talmente radicale che, come osserva Gambi, « sono le nostre
idee riguardo a ciò che si deve intendere per città ad avere ricevuto
da un secolo in qua una diversa articolazione e in una parola valori
nuovi » (Gambi, 1973).
Napoli e Palermo si affacciavano all'unità d'Italia come « città
europee »; città di un'Europa che non si identificava solamente con
gli ambienti borghesi e operai e con il paesaggio urbano già prodotto
dalla rivoluzione industriale, di un'Europa non ancora nettamente
distinta in « centro e periferia D (anche se questo spartiacque si
profilava già delineato), di un'Europa m d t o più grande e centrale
essa stessa, di quell'Europa storica, a cui l'Italia, protesa tra il
continente e il Mediterraneo, era stata ammessa con funzione di equi-
librio (rivelatasi in seguito più apparente che reale). Se si fa ecce-
zione di alcune regioni, quali l'Inghilterra, l'Alsazia, i distretti indu-
striali belgi, alcune aree dell'Impero Asburgico - che, rappresentando
la punta più avanzata dello sviluppo capitalista, possedevano un'orga-
nizzazione territoriale di tipo urbano-industriale -, nelle maggior
parte dell'Europa ottocentesca gli elementi che individuavano una
aveva una Popolazione (abitanti 2.880.000) poco meno numerosa delle cinque maggiori
città italiane di allo~ra (Napoli, Roma, Milano, Genova, Torino) (Carozzi e Mioni, 1980,
pp. 21-35).
( 2 ) Nel 1861 delle undici città italiane che superavano i 100.000 abitanti, sei erano
nellZItalia settentrionale (Milano, Genova, Torino, Venezia. Bologna e Trieste), due nel
centro (Firenze e Roma), una nel meridione (Napoli) e due in Sicilia (Palermo e Messi-
n a ) . Dopo cinquanta anni il numero delle grandi città sale a quattordici e la ripartizione
e la seguente: sette nel Settentrione (Verona in più rispetto alle precedenti), due nel
Centro, due nel Meridione (Napoli e Bari), tre in Sicilia (Palermo, Messina e Catania).
Si manifestano già alcune tenldenze che si accentueranno nel successivo mezzo Secolo.
Nel corso di questo periodo i cambiamenti non sono tanto considerevoli da mutare ~OStan-
lialmente la scala gerarchica secondo la quale si disponevano i camuni al di sopra di
100.000 abitanti all'unità d'Italia, anche se si assiste al fortissimo aumento percentuale
ed assoluto della popolazione di Roma e al progressivo consolidarsi al Nord di un'orga-
nizzazione urbana articolata intorno ai centri di Milano, Torino, Bologna e Genova. La
rottura dell'equilibrio precedente, caratterizzato dalla dis~posizionepuntiforme degli inse-
diamenti nel territorio, l a formazione di una continuita urbana, almeno lungo alcuni assi
dell'Italia Settentrionale, il traboccamento della popolazione su di un'area ben più vasta
di quella rappresentata dai confini amministrativi del comune, sono fenomeni relativa-
mente recenti (Carozzi e Mioni, 1980, pp. 39-47).
NAPOLI E PALERMO: DUE VECCHIE CAPITALI TRA EUROPA E MEDITERRANEO
città erano relativi più a funzioni gerarchiche di natutra amministra-
tiva e )burocratica, che a reali motivi di dinamica economica e fun-
zionale.
Le due città mediterranee, Napoli, capitale dello stato più vasto
d'Italia, e Palermo, capitale di fatto per la sua posizione di grande
città insulare e sede del parlamento siciliano (3), hanno partecipato
a lungo a quell'universo cittadino, con privilegi da difendere e pre-
dominio economico e sociale da esercitare sulla campagna e sugli altri
centri rurali. I n un Mezzogiorno « senza strade e senza città >> (almeno
nel Mezzogiorno continentale), le poche realtà urbane sono state spesso
più vicine tra loro e con il resto dell'Europa di quanto lo siano state
con la loro « campagna », accomunate da una secolare cultura urbana
e da quel principio unitario della storia italiana che fa dire a Catta-
neo: « la città è l'unico principio per cui possano i trenta secoli delle
istorie italiane ridursi a esposizione evidente e continua B.
Napoli e Palermo avevano già un secolo fa tutti gli aspetti nega-
tivi delle città parassitarie di oggi: sovrappopolazione rispetto alle
attività produttive, carenza di abitazioni e condizioni igieniche disa-
strose, crescita a macchia d'olio e speculazione edilizia, popolazione
miserabile ed esperta nell'arte di arrangiarsi, burocrazia eccessiva ...,
problemi che in parte anche i paesi del Nord-Europa hanno conosciuto
nelle prime fasi dello sviluppo industriale, a causa del processo di
urbanizzazione accelerato, ma che nel Mezzogiorno italiano sono sin-
tomatici della « congestione senza sviluppo ». E allora, se i mali delle
due città mediterranee hanno radici in un passato ben più lontano
di quello che si identifica con l'unificazione nazionale, in che cosa
consiste la perdita di centralità e di peso gerarchico che esse hanno
subito? Nonostante la perif icità rispetto ai mercati europei in espan-
sione, Napoli e Palermo possedevano delle funzioni specifiche, che
necessariamente erano concentrate nelle più forti realtà urbane del
tempo, e tutta una serie di « servizi », che spesso andavano oltre i
confini del regno: si ci riferisce in particolare a funzioni relative
al potere decisionale, a funzioni che oggi chiameremmo terziarie
superiori o quaternarie, a funzioni derivanti dalla capacità di attrarre
merci, reddito, persone e anche dal privilegio di poter sfruttare il
resto del Mezzogiorno. Con la perdita del loro ruolo nell'ambito del
Regno delle due Sicilie, esse hanno perso quel tipo di centralità,
senza acquistare ulteriori funzioni metropolitane, capaci di operare
( 3 ) I1 parlamento siciliano era un'instituzione che, non facendo altro, teneva viva l a
nostalgia per un passato idealizzato e in certa misura immaginario, rallentando cosl il
processo di trasformazione. Questo spiega in parte l'orgoglio dei Siciliani per il loro par-
lamento, che divenne il preteso campione delle libertà siciliane contro l a Spagna, l a
Savoia, l'Austria, Napoli (Mac Smith, 1970, p~p.332-342).
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una forza di attrazione ugualmente viva e diventare centri di orga-
nizzazione territoriale, se non nell'ambito regionale, nel generale
processo di involuzione del Mezzogiorno.
A Napoli le strutture che vivevano attorno alla corte, ai ministeri,
alle ambasciate, all'apparato burocratico che serviva a far funzionare
lo stato, avevano prodotto, a lungo andare e per alcuni settori, servizi
pubblici di grande prestigio culturale e a livello europeo, garanti di
una memoria storica elitaria, ma tuttavia legata alle vicende del
paese. P e r esempio, l'Archivio di Stato di Napoli, insieme ad alcuni
altri archivi delle antiche capitali degli stati preunitari (il confronto
con gli archivi dei paesi di più antica tradizione unitaria va, in questo
caso, a vantaggio della ricchezza varia e complessa di quelli italiani)
ha un interesse mondiale, per la massa enorme di documenti che rac-
coglie (4). I1 Reale Officio Topografico di Napoli aveva accumulato
un'esperienza scientifica così elevata da rimanere uno dei pochi istituti
borbonici non soppressi e continuare ad operare per oltre un decennio
dopo l'unità, prima di essere trasferito, con tutto il suo prezioso
patrimonio a Firenze (Manzi, 1975). L'Università di Federico II e
i numerosi studi privati esistenti, avevano convogliato a Napoli, per
molti secoli, giovani intellettuali da tutto il Mezzogiorno (tranne che
dalla Sicilia, autosufficiente in questo settore) e ancora nei primi
decenni postunitari questo ateneo, con l'avallo di una personalità come
quella di Francesco De Santis, era ritenuto campione ideale delle
università dell'Italia moderna; il prestigio culturale riconosciuto (o
accordato) dallo Stato italiano al Mezzogiorno per un certo periodo,
restituì a Napoli il ruolo di centro di attività culturali di primo
piano, quale aveva avuto nell'età dei lumi. Un prestigio tuttavia
che non impedì la perdita di altri valori metropolitani e I'indeboli-
mento delle strutture culturali e divulgative qualificanti, quali le pro-
duzioni teatrali, musicali, i giornali, le riviste specializzate, asservite
progressivamente all'egemonia dell'ltalia del Centro-Nord (5).
(4) Nel 1540 si era a v u t a a Napoli, in Castel Capluano, una concentrazione dei tribu-
nali con i rispettivi archivi, alcuni dei quali risalivano ad antica data. Prevaleva un'esi-
genza amministrativa m a t u r a t a precocemente e scaturita dall'organizzazione statale giA
complessa di un vaslo regno ( u n parallelo può farsi con l'Archivio di Stato di Barcello-
n a ) ; non può dirsi che fosse assente un'esigenza culturale. Nel 1808 Gioacchino Murat
istitui un Archivio Generale, dove affluirono le carte già conservate nel Castel Capuano
- ma i registri angioini, che iniziavano dal 1265, saranno poi distrutti dai nazisti nel
1943 - e quelle di molti uffici e dicasteri centrali, così da giungere a raccogliere una
massa imponente di documenti ( P . D'ANGIOLINI e C. PAVONE, Gli archivi, in Storia
d'Italia, Torino. Einaudi, 1973, vol. V, t. 11, pp. 1661-1668).
( 5 ) A partire dal '600 ma soprattutto nel '700 i teatri divennero luoghi frequenta-
tissimi di ritrovo e la loro fioritura fu incoraggiata da un'intensa e varia vita musicale,
che si sviluppò oltre che nel teatro, nella chie'sa e nella scuola. Già ne1 '500 esistevano
a Napoli numero'si Conservatori tenuti d a religiosi, che fecero la fortuna della musica
sacra. L'attività operistica ebbe invece un successo addirittura di massa. I grandi teatri,
NAPOLI E PALERMO: DUE VECCHIE CAPITALI TRA EUROPA E MEDITERRANEO
Alla marginalità culturale del Mezzogiorno fece eco la marginalità
economica, causa ed effetto della prima. Nei primi anni postunitari,
il Banco di Napoli era, insieme alla piemontese Banca Nazionale, il
più grosso istituto bancario italiano. I1 borbonico «Banco delle due
Sicilie » aveva esteso territorialmente il suo raggio di azione già nel
1843, quando furono aperte due succursali a Palermo e a Messina.
Queste si rivelarono molto attive, tanto che, non solo per ragioni
politiche, nel 1849-50 furono separata da quelle del continente, dando
vita al cosiddetto « Banco Regio dei Reali Domini di là del Faro ».
Nonostante il Banco nel periodo borbonico avesse funzionato più « per
servire il debito fluttuante dello stato che per riuscire utile all'indu-
stria e al commercio >> (De Marco. 19163) e nonostante il carattere
poco capillare fosse un ulteriore elemento di debolezza, la sua posi-
zione monopolistica (dato che tutti i capitali del Mezzogiorno erano
là depositati) dava a Napoli una forza finanziaria enorme e una po-
tenziale centralità economica. I1 Banco di Napoli e il Banco di Sicilia
continuarono l'attività di emissione fino al 1926. Altro e più lungo
discorso riguarda la concorrenza dei due colossi bancari, il Banco di
Napoli e la Banca Nazionale, risoltasi a livello politico.
Sulle vicende dell'industria meridionale si è molto scritto e di-
battuto. Napoli ne11'800 possedeva un apparato industriale, che non si
limitava a piccole imprese artigianali, ma riguardava stabilimenti di
notevole dimensione - sia per manodopera occupata, sia per produ-
zione diversificata -, sorti grazie alle iniziative di politica protezio-
nistica dei Borboni e all'afflusso di capitale straniero. La Palermo
degli Inglesi e dei Florio è un mito, ma è anche una realtà; il pater-
nalismo illuminato di questa nuova borghesia che guardava all'Europa
industrializzata come un modello da imitare - ma secondo le poten-
zialità storico-ambientali e le risorse dell'isola - aveva creato una
serie di industrie, dai cantieri navali, alle ceramiche, alla lavorazione
del tonno, ai vini, al turismo, che per un certo periodo si erano
imposte, e non solo a livello europeo. Ma le condizioni di sviluppo
industriale del Sud, basate da un lato su un disegno politico miope
e sull'interventismo statale a livello promozionale, e dall'altro sul-
l'iniziativa di una ristretta borghesia, quale quella dei Florio, isolata
però dal contesto sociale delle classi dominanti, dispotiche, ignoranti,
eredi dell'aristocrazia feudale, non hanno potuto reggere al passo
conce'piti con criteri moderni e funzionali, contribuirono a trasformare il tasso urbano
e culturale.
A Nalpoli, altri centri culturali, negli anni a cavallo t r a i due secoli, furono i gior-
nali, nonostante il loro carattere provinciale, conformista e tendente a canalizzare lo
scontento su posizioni reazionarie, come d'altronde la maggior parte della stampa quoti-
diana meridionale. I1 « Roma » e, più tardi, « I1 Mattino » e « T1 Giorno » ebbero una tira-
tura enorme per l'epoca e un'area di diffusione che andava ben oltre l'ambito locale.
SILVANA R A O
con le premesse storiche di alcune aree del Nord, dove il patriziato
urbano aveva realizzato progressi produttivi nell'agricoltura e costi-
tuito una borghesia capitalista.
Le contraddizioni interne alla borghesia meridionale, sulla quale
pesa la condanna di Antonio Gramsei, si espressero anche in una
serie di interventi urbanistici e edilizi che, trasformando radical-
mente il tessuto urbano originario, decretarono il trapasso degli anti-
chi equilibri (o squilibri) esistenti all'interno delle città (in cui si
realizzava una continuità fisica tra le diverse classi sociali) e la
nascita della città classista, con funzioni economiche e residenziali
separate.
Da un lato si ebbero le operazioni di grandi sventramenti, a
Napoli iniziate con la prima delle leggi speciali del 1885 (Risana-
mento), e a Palermo con il progetto Giarrusso dello stesso anno:
ispirandosi a modelli hausmaniani importati in realtà urbane e sociali
già esplosive, ebbero il risultato di creare grandi arterie rettilinee
di collegamento (il Rettifilo a Napoli, via Roma a Palermo), con
isolati residenziali e commerciali, dietro i quali rimanevano intatte
le miserie dei quartieri popolari. Insieme alla urbanizzazione di alcuni
quartieri periferici, questi interventi governativi contriburono a ren-
dere agevoli le operazioni di speculazione e a consolidare la rendita
urbana, quale componente principale della economia delle città meri-
dionali.
Dall'altro lato, in quegli stessi anni, a Palermo in particolare,
si rivalutava l'aspetto scenografico della città aristocratica e alto-
borghese secondo le esigenze relative a nuovi modelli di vita e a
un nuovo modo di abitare e fruire del tempo libero. Negli anni a
cavallo tra i due secoli, in un periodo certamente di non floride
finanze cittadine, si realizzava l'asse residenziale di via Libertà,
si costruivano prima due, poi anche un terzo teatro, si dava vita
all'Esposizione Nazionale; per non parlare del diffondersi del cinema,
dei caffé, delle manifestazioni sportive, di tutta una cultura che oggi
chiameremmo « dell'effimero ». Palermo diventava « la piccola capitale
dell'art nouveau e del liberty », di una cultura squisitamente europea,
dominata dalla figura dell'architetto Ernesto Basile. Egli fu l'espres-
sione più viva della borghesia siciliana di allora che, « almeno negli
strati superiori, aveva buona finezza di cultura ed una squisita signo-
rilità » (Caracciolo, 1956), ma che portava in sé i segni delle sue
contraddizioni: quella borghesia, erede in tutti i sensi della nobiltà
feudale che, a Palermo come a Napoli, nel XVIII secolo aveva co-
struito le auliche ville suburbane che non trovavano riscontro nel-
l'ambiente economico del tempo, rappresentava la dimensione inter-
nazionale della cultura e dei comportamenti, ma anche un'antica
NAPOLI E PALERMO: D U E VECCHIE C A P I T A L I T R A E U R O P A E M E D I T E R R A N E O
smania di grandezza, segno forse di provincialismo e di atavici com-
plessi di inferiorità (e di colpa?). Malgrado ciò, bisogna dar atto
a quella classe di aver avuto buon gusto! Non è senza significato che
la devastazione della città e del suo territorio abbia avuto inizio
proprio con la eliminazione di quanto di buono la borghesia della
« bella époque » aveva prodotto; se gli avvenimenti successivi della
storia urbanistica di Napoli e Palermo, dal ((piccone risanatore »,
ai bombardamenti, alla ricostruzione postbellica, alla mancanza di
strumenti urbanistici, alle operazioni di speculazione che rimandano
direttamente a consorterie politiche e al fenomeno della mafia, hanno
radici lontane, tuttavia acquistano nuovo significato con la liquida-
zione storica della vecchia « questione meridionale D.
Napoli e Palermo, sono oggi città sempre più marginali rispetto
alle realtà urbane del più avanzato capitalismo europeo e, per iper-
urbanizzazione, disgregazione sociale, contrasti interni, sempre più
simili alle città non « del ritardo », ma del sottosviluppo. Ma se il
concetto di « centralità » è legato alla storia, Napoli e Palermo, per
alcuni fenomeni ben noti, purtroppo hanno acquistato forse una
« nuova centralità D, e a livello internazionale.
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NAPLES E T PALERME: DEUX ANCIENNES VILLES CAPITALES EN-
TRE L'EUROPE E LA MÉDITERRANÉE. - En 1861 Naples, ex capitale de l'Etat
le plus vaste de 1'Italie préunitaire, et Palerme, grande ville insulaire, étaient « vil-
les européennes », pas seulement pour leur dimension démographique; dans une
Europe pas encore bien devisée en centre et périphérie », les deux villes médi-
terranéenines possédaient des fonctions administratives et bureaucratiques, et des
fonctions relatives a u pouvoir décisional e t derivantes de la capacité d'attirer et
consommer marchan~dises, reveau. P a r la parte de leur ròle en Royaume des
Deux Siciles, Naples et Palerme ont perdu ce type de centralite, sans acquérir
aouvelles fonctions métropolitaines, capables d'exercer une force d'attraction
égaleme~nt vive et devenir des centres d'organisation, si non dans I'espace ré-
gional, dans la générale involution du Midi.
NAPLES AND PALERMO: TWO OLD CAPITALS BETWEEN EUltOPE AND
MEDITERRANEAN SEA. - In 1861, Naples the ex-capital of the largest state
before the unification of Italy, and Palermo, large insular city, were important
European cities, not only from a demographical point of view; in a Europe, which
not yet clearly separated in c centres and outskirts », the two Mediterranean cities
had a hiera~chicaladministrative and bureaucratic function, a decision making
power, a capacity t o attract and consume goods, revenue, people. With the loss
of their roles in the Kingdom of two Sicilies, Naples and Palermo last their cen-
trality, without going new metropolitan functions, able to exercise a force of
attraction and become centres of crrganization, if not in the regional space, in
the genera1 process of involution of the South.
Palermo, Istitzito di Scisnze Geografiche delPUniversità.