CAPITOLO XI
La proprietà e gli altri diritti reali di godimento. Caratteri e problemi
I diritti reali attribuiscono poteri di godimento su un bene (proprietà e diritti reali
minori di godimento). (Differenti sono i diritti reali di garanzia che, pur presentando i
tratti tipici dei diritti reali, attribuiscono al titolare non un diritto di godimento sul
bene, ma la possibilità di soddisfarsi su esso in caso di inadempimento). Il principale
è il diritto di proprietà, il titolare di tale diritto può godere e disporre del bene. Tutte
le facoltà sul bene sono consentite al soggetto in virtù del fatto che egli ha un titolo, il
diritto (di proprietà), che non solo lo legittima all'esercizio di tali attività, ma lo tutela
anche nei confronti degli altri. Lo stesso vale per i diritti reali su cosa altrui
(usufrutto, superficie ecc..), detti anche diritti reali “minori”. Essi presuppongono
l'esistenza di un altrui diritto di proprietà sul bene: il problema per l'ordinamento è
quello di disciplinare la coesistenza sulla stessa cosa di due diversi diritti, in capo a
due diversi soggetti (proprietà+diritto reale su cosa altrui). Ciò fa sì che al
proprietario sia precluso l'esercizio di talune sue normali prerogative (ad es. nel caso
di coesistenza con l'usufrutto, i frutti spetteranno all'usufruttario e non al
proprietario). Tuttavia, nel caso in cui il diritto minore si estingua, il diritto di
proprietà riacquisterà la sua originaria pienezza (c.d. elasticità del dominio).
Egualmente, nel caso in cui lo stesso soggetto acquisti sul medesimo bene la
proprietà e un diritto reale limitato, quest'ultimo si estinguerà (c.d. consolidazione.
Sono necessari due soggetti).
I diritti reali minori di godimento incidono sul godimento della cosa da parte del
proprietario, ma non sul potere di disposizione: il prorpietario potrà comunque
disporre del bene vendendolo, ipotecandolo ecc...
Il bene circolerà però gravato del peso costituito dal diritto minore opponibile erga
omnes e, quindi, anche al terzo acquirente (ma non per i vincoli di tipo obbligatorio,
che invece esauriscono la loro efficacia tra le parti del rapporto). Si tratta infatti di un
diritto che inerisce alla cosa e la segue nei suoi trasferimenti (diritto di seguito).
Alla materia dei diritti reali sono da ricollegarsi anche le obbligazioni reali (che si
differenziano dalle obbligazioni in senso stretto e dagli oneri reali); si pensi al caso
delle servitù prediali (ad es. Tizio, non titolare di alcun fondo, contratta con
Sempronio il diritto di lasciarlo passare attraverso il fondo di proprietà di
quest'ultimo: tale diritto ha un'efficacia puramente obbligatoria, non erga omnes, e,
così, in caso di alienazione del fondo ad un terzo, questi non potrà vederselo
opposto).
I diritti reali minori di godimento sono tutti soggetti ad un termine di prescrizione
ventennale, a differenza del diritto di proprietà che è invece imprescrittibile. Ciò in
quanto tali diritti minori limitano, eccezionalmente, il diritto di propietà, e tale
limitazione deve essere circoscritta a periodi di tempo limitati.
Tradizionalmente si ritiene che la classe dei diritti minori sia a numero chiuso (che
faccia quindi riferimento solo ai vincoli di carattere reale previsti dalla legge =
principio di tipicità dei diritti minori). Tuttavia, l'introduzione di figure innovative (ad
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es. il trust) nel nostro ordinamento, ha messo in dubbio tale principio di tipicità.
Proprietà ed autonomia privata
“Il prorpietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo,
entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico”
(art. 832). La proprietà (o diritto dominicale) è istituto fondamentale che garantisce al
titolare (proprietario o dominus) la possibilità di godere e disporre di un bene e di
tutte le utilità che da esso derivano.
Il diritto di proprietà rappresenta la relazione di appartenenza esclusiva tra una cosa e
un soggetto. Il diritto ha il compito di dirimere conflitti di tipo appropriativo che
nascono dalla scarsa disponibilità di beni materiali: il diritto stabilisce chi e come
possa appropriarsi di una cosa, escludendo tutti gli altri.
La previsione della situazione giuridica proprietaria garantisce in prima battuta
l'interesse del soggetto, individuato come titolare del rapporto con la cosa, a usare e
disporre del bene, impedendo a qualsiasi altro soggetto di interferire con l'esercizio di
tali facoltà; tutti coloro che non sono titolari del diritto hanno il dovere di astenersi da
qualunque pretesa sul bene.
Ma la tutela non si ferma a questo profilo, poiché l'ordinamento appresta anche
rimedi da far valere nelle sedi giudiziali. Così, nel codice, la relazione di
appartenenza è tutelata prima attraverso la disciplina del diritto di proprietà (profilo
sostanziale), poi attraverso la disciplina delle azioni a difesa della proprietà (profilo di
tutela giurisdizionale). Per mezzo del diritto di proprietà il titolare viene garantito da
qualsiasi interferenza esterna nel suo rapporto con la cosa e nel godimento delle
utilitates da esso traibili in via immediata (no intermediazione di altri soggetti).
I principali caratteri del diritto di proprietà sono: assolutezza, esclusività,
immediatezza, inerenza, perpetuità. L'idea della proprietà è sempre stata considerata
come il presupposto di tutta una serie di altre situazioni giuridiche, in particolare di
quella di libertà. Per questo, tra tutti i diritti, quello di proprietà era definito “sacro” e
“inviolabile”. Coerentemente con questa concezione, il Codice civile del 1865 poteva
essere denominato un “codice della proprietà”, ciò in quanto tutti gli istituti diversi
dalla proprietà, erano riconosciuti e disciplinati solo ed in quanto funzionali
all'acqisto, al godimento ecc..
Lo stesso contratto veniva disciplinato quale modo di acquisto della proprietà, ed i
limiti alla autonomia privata venivano strutturati in ragione delle esigenze del
fenomeno proprietario. Tale impostazione ha condizionato la relazione tra diritti reali
e principio di autonomia privata: l'esigenza liberale di affermare l'esclusività e la
pienezza della proprietà sul bene, stava alla base di una serie di previsioni normative
che limitavano lo stesso potere di autonomia del proprietario (un esempio di tali
limitazioni all'autonomia privata può essere trovato nello stesso “numero chiuso” dei
diritti reali minori).
Una serie di mutamenti sociali, economici e normativi, ha imposto, successivamente,
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un radicale stravolgimento delle ricostruzioni tradizionali. In primo luogo il
mutamento della realtà economica, con il passaggio da un'economia agricola a una
industriale: la terra perde così la centralità che aveva nel sistema economico
precedente, anche a causa del processo di smaterializzazione delle ricchezze. Tale
fenomeno ha condotto al superamento della concezione del godimento della proprietà
come sfruttamento delle ricchezze della terra, e all'affermazione del godimento della
res come produzione di ricchezza. Il Codice del 42, infatti, esalta la proprietà
produttiva, contrariamente alla concezione statica del diritto di proprietà espressa nel
codice del 1865. Con tale sviluppo, si affianca al classico modello di proprietà
terriera, anche la proprietà commerciale (avviamento dell'azienda esercitata dal
commerciante in locali non di sua prorpietà) e la proprietà industriale (ipotesi di
creazioni intellettuali suscettibili di sfruttamento imprenditoriale).
Nel Codice del 42 il diritto di proprietà ha conosciuto discipline di settore, a seconda
della cosa oggetto del diritto. Questo fenomeno ha portato a parlare di una
frantumazione dell'unitario modello di proprietà dei codici borghesi. Vi è inoltre un
superamento del concetto di diritto oggettivo, non più concepito (in termini
patrimoniali) in funzione della miglior allocazione di risorse scarse, ma come
strumento per garantire la soddisfazione di interessi umani di varia natura, anche di
carattere non patrimoniale. (proprietà di impianti vedi)
La proprietà nella codificazione. Dal Codice del 1865 al Codice del 1942
L'accento sulla figura del titolare e la scomparsa del riferimento all'assolutezza del
diritto nella nuova formulazione, traducono la diversa prospettiva del Codice del
1942 che tende a responsabilizzare il proprietario. Nel codice del 1865 la proprietà
rappresentava l'ambito in cui il titolare era libero di compiere tutto ciò che voleva,
con l'unico limite negativo di non violare leggi e regolamenti (egli poteva anche
abbandonare il fondo non sviluppandone il potere economico e sociale).
Nel 1942, accanto alle facoltà e all'esercizio del diritto, compaiono anche obblighi di
fare: il proprietario non deve solo evitare di violare la legge, ma anche osservare gli
obblighi che la legge gli impone. (Il codice del 65 consentiva al titolare anche il
disinteresse verso i beni oggetto di proprietà; il codice del 42, invece, scoraggia un
atteggiamento passivo del proprietario verso i beni, agevolando le diverse forme di
sfruttamento economico e produttivo dello stesso).
Questo nuovo approccio è rappresentato anche dalla c.d. proprietà produttiva:
l'ordinamento dello stato fascista ha iniziato a favorire l'effettiva utilizzazione di beni
rispetto alla semplice relazione di appartenenza di essi ad un soggetto, in ragione di
interessi ricollegabili alla produzione nazionale. Infatti, il proprietario che trascuri
l'esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, può essere espropriato del
diritto. La stessa idea è alla base del favor legislativo per chi si dimostra disposto
all'esercizio produttivo della proprietà.
Le esigenze della produzione sono in grado di sacrificare anche le esigenze di
garanzia di non interferenza altrui sull'utilizzo del bene da parte del proprietario: esso,
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ad es., non può impedire le immissioni intollerabili legate alla produzione (= forme di
disturbo al godimento che provengono dal fondo vicino; ad es. propagazioni di
fumo). Inoltre, fino al 1997 gli acquisti immobiliari degli enti senza scopo di lucro,
erano sottoposti a controlli governativi. Ciò in quanto si voleva evitare la
concentrazione di beni nelle mani di enti non finalizzati alla produzione e, quindi, la
creazione di forme di proprietà parassitarie e scarsamente produttive.
In sintesi: con il nuovo codice si è passati da una concezione della proprietà come
luogo della signoria assoluta del titolare, ad una concezione di essa quale strumento
di realizzazione di fini sociali e benessere generale.
La proprietà nella Costituzione
L'art. 42 Cost. distingue una proprietà pubblica e una privata. Quella privata è
“riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto e di
godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti”. L'articolo riconosce e garantisce il diritto di proprietà, ma,
contemporaneamente, prevede la possibilità di assoggettarlo a limiti, sia pure soltanto
attraverso la legge (riserva di legge) e al solo scopo di assicurarne la funzione sociale
e l'accesso. Ci si è interrogati sul significato da attribuire al riconoscimento
costituzionale del diritto di proprietà. Nonostante la decisione di garantire ogni tipo di
proprietà (e non solo quelle fondate sul lavoro) lo sfavore per forme di proprietà
parassitarie hanno fatto sì che anche nel testo costituzionale subentrasse la possibilità
di limitare il diritto in ragione della sua “funzione sociale”. Il collegamento tra le due
parti della previsione costituzionale (quella che garantisce la proprietà e quella che ne
consente limitazioni) è stato oggetto di dibattiti orientati a comprendere se la
Costituzione garantisce un contenuto minimo del diritto di proprietà oltre il quale non
è consentito opporre limiti. L'espropriazione (=privazione del diritto di proprietà a
vantaggio degli enti pubblici) può essere disposta entro stretti limiti imposti dalla
Costituzione, la quale prevede l'obbligo di indennizzo per il proprietario spogliato del
proprio diritto.
La normativa statale può essere a tal punto limitativa del diritto di proprietà, da
comprimerne quei caratteri minimi che la identificano quale diritto (la legge
comprime i caratteri minimi del diritto di proprietà, facendo sì che tale diritto non
possa più essere reputato come tale).
Anche la formula della funzione sociale ha creato, in dottrina, problemi interpretativi.
Essa si è, infatti, divisa tra coloro che hanno sostenuto che la funzione sociale
riguardasse il contenuto del diritto di proprietà; e coloro che hanno ritenuto che
riguardasse l'istituto della proprietà, cioè la disciplina normativa che lo concerne:
1. I primi ritenevano, dunque, che il diritto di proprietà comportasse un vero e
proprio dovere per il proprietario di perseguire l'utilità collettiva e, per il
giudice, l'obbligo, nel conflitto tra interesse del proprietario ed interesse
collettivo, di far prevalere quest'ultimo (idea di funzionalizzazione della
proprietà);
2. l'dea di una lettura normativa della formula ritiene che il perseguimento di fini
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sociali sia compito del legislatore che detta la disciplina dell'istituto e non del
titolare del diritto. (la costituzione infatti, mediante una riserva di legge,
permette al legislatore di far in modo che la proprietà sia non solo uno
strumento per soddisfare gli interessi del titolare, ma anche interessi collettivi)
Questa idea è la più condivisa.
Infine l'ordinamento ha lo scopo di rendere la proprietà accessibile a tutti. Le forme di
accesso alla proprietà sono classificabili in due tipologie:
1. quelle che non incidono su precedenti situazioni di proprietà (tutele relative);
2. quelle che realizzano un fenomeno di avvicendamento nella titolarità dei beni.
Esse costituiscono le varie discipline che tendono a favorire l'acquisto della
proprietà in capo a soggetti che hanno dimostrato particolari doti nel gestirne
l'aspetto produttivo.
La proprietà nel quadro normativo europeo
Il diritto di proprietà non è disciplinato nel TFUE. Infatti, nei settori che non sono di
sua esclusiva competenza (come quello del diritto di proprietà) la UE interviene,
secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se gli obiettivi in questione possono
essere realizzati meglio a livello comunitario. Parallelamente, la Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali dispone
che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può
essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le
disposizioni non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi
ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse
generale”. Il diritto di proprietà riceve, dunque, tutela anche a livello internazionale,
dal momento che la Corte europea dei diritti dell'uomo può intervenire al fine di
assicurare il rispetto della Convenzione. Tuttavia la Corte non può essere adita se non
dopo l'esaurimento delle vie di ricordo interne. Spetta infatti ai singoli Stati cosa
debba intendersi per “pubblica utilità” e “interesse generale”.
Diversa portata ha la previsione del diritto di proprietà della CDFUE. Essa riunisce
ed esprime i valori condivisi dagli Stati membri dell'Unione; all'art. 17 afferma che
“ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato
legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità (=in contraddizione con il
nostro ordinamento che invece limita tale libertà. Ciò in quanto il testatore può
liberamente lasciare in eredità solo una parte dei suoi beni, la disponibile, perché per
legge l'altra parte, indisponibile, al momento della sua morte verrà automaticamente
destinata ad alcuni suoi famigliari individuati dall'ordinamento. Ciò al fine di
rispondere all'interesse del gruppo famigliare a mantenere parte del patrimonio
nell'ambito della famiglia. E' quindi un interesse generale che, come detto, viene
determinato dal singolo Stato). Nessuno può essere privato della proprietà se non per
cause di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il
pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei
beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale. La
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proprietà intellettuale è protetta (=il fatto che la proprietà venga riconosciuta anche
come tale, risulta in dissonanza con il nostro ordinamento che, invece, distingue tra
proprietà in senso proprio, sui beni materiali, ed una in senso non proprio, quella
intellettuale)”.
Contenuto e caratteri del diritto di proprietà
L'art. 832 stabilisce che il proprietario ha diritto di godere e disporre (facoltà di
godimento e disposizione sono previste nel codice) delle cose in modo pieno ed
esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento
giuridico.
Quello del proprietario è un diritto pieno: il diritto di proprietà garantisce al titolare la
possibilità di esercitare tutti quei comportamenti che non siano vietati dalla legge (il
titolare può fare tutto ciò che non gli è vietato). La facoltà di godimento indica una
possibilità, riconosciuta giuridicamente, di fruire della cosa al fine di oerseguire un
determinato interesse. La facoltà di disporre, invece, indica la prerogativa del
proprietario di porre in essere negozi giuridici aventi ad oggetto il bene.
Si individuano vari caratteri del diritto di proprietà:
a) Realità → la proprietà è il diritto reale fondamentale in relazione al quale gli altri
possono essere pesati (ad es. perché si possa configurare un usufrutto su una
biblioteca, è necessario che esista un proprietario della stessa sullan quale un altro
sogetto ha il diritto reale di godimento dell'usufrutto). Il diritto reale si caratterizza
per il fatto che il tirolare è in grado di perseguire il proprio interesse senza l'intervento
di un altro soggetto (il rapporto tra soggetto e bene è immediato), e che esso possa
essere fatto valere nei confronti di chiunque (assolutezza). A quest'ultimo carattere si
aggiunge l'elemento della inerenza del diritto alla cosa, con il quale si vuole
sottolineare che esso è opponibile dal titolare a chiunque (sulla base del principio che
il diritto segue la cosa);
b) Pienezza → il diritto di proprietà attribuisce al proprietario tutte le prerogative sul
bene che non siano espressamente vietate;
c) Esclusività → possibilità del proprietario di escludere gli altri dal godimento del
bene (jus excludendi alios);
d) Elasticità → possibilità del diritto di proprietà di rimanere tale nonostante la
costituzione sullo stesso bene di altri diritti reali; una volta venuti meno questi, infatti,
la proprietà riacquista la sua originaria pienezza;
e) Perpetuità → alla proprietà non sono opponibili scadenze temporali. Ci si potrà
privare del diritto solo cedendolo ad altri o distruggendolo o abbandonando il bene o
nel caso altri ne acquistino la proprietà. Diversa è l'ipotesi nella quale la permanenza
del diritto nella titolarità di un soggetto è variamente condizionata (ad es. vendita con
patto di riscatto). Ma anche in questa ipotesi la proprietà non è effettivamente
temporanea, da momento che non nasce glià con la data di scadenza, ma al più è
indefinito il tempo del permanere della titolarità in capo al soggetto;
f)Non bisogna confondere il carattere della perpetuità con quello della
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imprescrittibilità. Quest'ultimo indica che il diritto di proprietà non si perde con il non
uso. L'azione di rivendicazione è, infatti, imprescrittibile, con la conseguenza che vi
sarà sempre la possibilità di agire in giudizio per la tutela del prorpio diritto di
proprietà, seppur non esercitato da molto tempo. Tutto ciò, però, a patto che nessun
altro abbia acquistato la proprietà del bene per effetto di un fenomeno acquisitivo,
l'usucapione (=è riconosciuto, al terzo in possesso del bene per un certo lasso di
tempo, il diritto di proprietà sul bene stesso nel caso di inerzia del vero titolare). Tale
disinteresse del prorpietario, infatti, porta l'ordinamento a favorire colui che, al
cntrario, utilizza il bene.
Siccome la proprietà è un diritto esclusivo, quando un terzo usucapisce la proprietà
del bene, il diritto del primo proprietario si estingue. (è vero che il mancato esercizio
della proprietà non comporta la prescrizione del diritto, tuttavia, tale inerzia espone il
proprietario al rischio che altri acquisiscano un diritto di proprietà sul bene).
g)Altri caratteri sono individuati per distinguere la proprietà da altri diritti reali. Ad.
es., il carattere dell'indipendenza (=la proprietà non necessita, per il suo esistere, di
altri diritti (a differenza dei diritti reali su cosa altrui).
L'esercizio del diritto. I limiti al diritto di proprietà
La proprietà è una situazione giuridica rappresentativa di un potere sulla cosa
limitabile in vista di una funzione sociale o dell'esigenza di garantire altri interessi
privati di pari rango e dignità.
Si è soliti distinguere i limiti del diritto di proprietà in due categorie: 1)limiti dovuti
all'esistenza di altri diritti privati; 2)limiti a tutela di interessi pubblici.
Il primo limite è previsto dall'art. 833 ai sensi del quale il proprietario non può
compiere atti che astrattamente rientrano tra le facoltà da lui esercitabili, ma che
concretamente non gli arrecano alcuna utilità, avendo il solo scopo di nuocere o
melestare altri. Questi atti sono chiamati emulativi, tale figura è ricondotta al
fenomeno dell'abuso del diritto.
Perchè si abbia un atto emulativo non è sufficiente che dall'atto discenda per i terzi un
danno, ma è necessario che esso venga compiuto al solo fine di recare danno, senza
che il suo autore ne tragga qualche beneficio (se invece danneggia il terzo ma il
titolare ne trae beneficio, viene escluso il carattere emulativo dell'atto).
Vi sono due teorie a riguardo a come ricostruire l'intenzionalità dannosa:
• In senso soggettivo → attraverso la ricostruzione della volontà dell'autore di
creare danno (animus nocendi). Egli deve essere consapevole del pregiudizio
che potrà arrecare, e volere il danno (atteggiamento doloso);
• In senso oggettivo → l'intenzionalità dannosa deve essere verificata attraverso
l'obiettiva direzione dell'atto verso il danno, indipendentemente dalla
consapevolezza o dalla volontà dell'autore.
Tuttavia, il fatto che determinati usi del bene non siano qualificabili come emulativi,
non determina la loro liceità, infatti, qualora la situazione concreta dovese rientrare in
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ipotesi normative che prevedono strumenti di tutela contro atti illeciti, il sogetto che
ha ricevuto il danno può comunque richiedere un risarcimento.
Limiti al diritto di proprietà sono anche quelli derivanti dalle norme che disciplinano i
c.d. rapporti di vicinato.
-Art. 873 → la distanza tra costruzioni deve essere di minimo tre metri;
-Art. 874 → il proprietario di un fondo contiguo può ottenere dal giudice la
comunione forzata del muro posto sul confine, a patto che paghi la metà del suo
valore e di quello del suolo su cui esso è costruito;
-Art. 877 → il vicino può costruire in aderenza, senza appoggiarsi sul muro costruito
sul confine. In questo caso è necessario che la nuova opera combaci con la
preesistente.
E' poi contemplata l'esigenza che ciascun proprietario ha di ricevere luce e aria nel
proprio fondo con quella del vicino di essere protetto da ingerenze esterne. A tal fine
l'art. 900 distingue tra luci (=danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono
di affacciarsi sul fondo del vicino) e vedute (=permettono di affacciarsi).
Le immissioni
In base all'art. 844 “il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di
fumo, calore ecc.. […] e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, senon
superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.
Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un
determinato uso”. Tale disposizione rende lecite le immissioni, ossia le propagazioni
materiali di fumo, calore ecc.. da un fondo al fondo vicino. E' sufficiente che un
fondo abbia ripercussioni negative indirette sull'altro fondo immesso, per qualificare
il rapporto tra due fondi in termini di vicinanza. Qui l'illiceità della condotta deriva
dalla circostanza che l'esercizio del diritto determina, a carico del fondo vicino, un
pregiudizio di entità tale da mettere a repentaglio la fruibilità del fondo stesso.
Tuttavia , parte della dottrina ritiene che la norma non disciplini un atto illecito, ma
un atto lecito dannoso (ciò perchè comunque il proprietario del fondo esercita delle
facoltà rientranti nel suo diritto di disporre del bene), con la conseguenza che in caso
di condatta al pagamento per il danno subito, il proprietario verrebbe condannato non
a titolo di risarcimento del danno, ma a titolo di indennizzo. Il diritto del proprietario
di invocare una tutela giurisdizionale contro le immissioni provenienti dal fondo
vicino, rappresenta un limite all'esercizio del diritto di proprietà del vicino; per questo
motivo, un esercizio del diritto di tutela oltre il limite di legge va qualificato come
non lecito (limite del diritto di proprietà del soggetto il cui fondo subisce le
propagazioni, esso infatti sarà limitato nel suo jus excludendi alios nel caso in cui la
legge consenta le immissioni: egli avrà allora il dovere di tollerare).
Il criterio per giudicare l'illiceità delle immissioni è quello della normale tollerabilità.
Con esso vanno contemplati i criteri della condizione dei luoghi e quello delle
esigenze della produzione, tenuto conto delle priorità di un determinato uso.
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1) Normale tollerabilità: fa riferimento alle immissioni che siano sopportabili alla
stregua della coscienza sociale. Al fine di qualificare tollerabile o meno
secondo la coscienza sociale una determinata propagazione materiale, il
giudice deve tener presente la condizione dei luoghi;
2) Condizione dei luoghi: l'intento del legislatore è quello di ancorare il giudizio
di tollerabilità ad una valutazione della situazione di fatto (una cosa è la
normale tollerabilità in un quartiere residenziale, altra in una zona industriale;
3) Esigenze della produzione: è complesso bilanciare le esigenze della produzione
con le ragioni della proprietà. Tale criterio è idoneo a considerare legittime
anche le immissioni che risultino non tollerabili. Le esigenze di produzione,
infatti, prevarranno tutte le volte in cui si tratti di un'attività produttiva di
rilievo economico-sociale tale che, la sua cessazione provocherebbe costi
insopportabili per la collettività (i limiti del diritto di proprietà vengono
ricondotti alla funzione sociale prevista all'art. 42 Cost.). Tuttavia le ragioni del
proprietario non devono essere del tutto sacrificate, per questo motivo, seppur
in assenza di previsione normativa, è riconosciuta al proprietario stesso un'equa
indennità (l'indennizzo, tuttavia, è previsto solo nel caso in cui le immissioni
superino la soglia della normale tollerabilità);
4) Priorità d'uso: va considerato un criterio di applicazione residuale che
introduce una misura di buon senso nella valutazione della prevalenza tra le
ragioni dell'industria e quelle della proprietà. Ad es. se acquisto un
appartamento sopra un ristorante, dovrò sopportare le possibili conseguenze,
come il rumore. Dunque, con riferimento a questo criterio, quello della
normale tollerabilità implica che lo standard cui fare riferimento sia quello
imposto da chi si trova da più tempo sul luogo.
La norma all'art. 844 si applica tutte le volte in cui sia possibile individuare i caratteri
del conflitto interproprietario. La disposizione può essere applicata anche come
strumento di tutela dei diritti della persona e del diritto alla salute (le immissioni
intollerabili lesive della salute non potrebbero mai essere legittimate da ragioni legate
alla produzione). Per quanto riguarda il ricorso all'art. 844 per finalità di tutela
dell'ambiente , la disciplina delle immissioni non rappresenta uno strumento efficace
al fine di reagire agli illeciti ambientali, ciò a causa delle ristrette maglie della
legittimazione attiva dell'azione.
Il proprietario che abbia subito immissioni intollerabili può chiedere il risarcimento
del danno e la cessazione delle immissioni (ordine inibitorio) o la loro riconduzione
entro i limiti della tollerabilità. L'azione per la cessazione delle immissioni ha
carattere reale ed è imprescrittibile.
L'espropriazione per pubblica utilità
L'art. 42 Cost. (e anche l'art. 834 cc) prevede che la prorpietà privata possa essere
espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge. Tramite il
provvedimento di espropriazione, la p.a. realizza un trasferimento del diritto di
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proprietà dal suo titolare ad un soggetto pubblico, in virtù del fatto che quel
determinato bene è utile a soddisfare un interesse pubblico. Tutto ciò dietro il
pagamento di un indennizzo al prorpietario. Oltre che nella Cost. e nel c.c., la materia
trova applicazione anche nel Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica
utilità (d.P.R. n. 327/2001). Questo testo elenca una serie di principi finalizzati ad
evitare illegittime compressioni del diritto del privato, e ribadisce che l'espropriazione
deve essere disposta nei soli casi previsti dalla legge (=principio di legalità).
L'espropriazione avviene attraverso un procedimento amministrativo al termine del
quale viene emanato un provvedimento amministrativo (atto emanato dalla p.a.),
frutto dell'esercizio di un potere di autorità (esso costituisce un potere unilaterale che
consente alla p.a. di modificare la sfera giuridica del privato senza il suo consenso). Il
procedimento ha inizio con l'emanazione della dichiarazione della pubblica utilità
(atto che esprime la ragione dell'espropriazione) e si conclude con l'emanazione del
decreto di esproprio. Esso dispone il passaggio del diritto di proprietà sotto la
condizione sospensiva che il medesimo decreto sia successivamente notificato ed
eseguito mediante l'immissione in possesso del beneficiario dell'esproprio, mediante
la redazione di un apposito verbale. Il decreto di esproprio deve essere trascritto
presso l'ufficio dei registri immobiliari; esso, talvolta, può essere sostituito da un
accordo tra p.a. e privato, in virtù del quale il privato presta il proprio consenso
negoziando con la p.a. le condizioni dell'esproprio (cessione volontaria. Con tale
possibilità si cerca di abbandonare il tradizionale impianto autoritativo dell'azione
della p.a.). L'espropriazione realizza un trasferimento del diritto dal proprietario ad un
ente pubblico, con conseguente sottrazione del diritto dalla sfera patrimoniale del
proprietario (c.d. ablazione).
La corte Costituzionale ha parlato di limitazioni a contenuto espropriativo anche
riguardo ad ipotesi che non realizzano una vera e propria ablazione del diritto: ciò
avviene quando un soggetto, pur rimanendo titolare del diritto, si vede comprimere
dal potere pubblico le facoltà di godimento del bene, al punto da versare in una
situazione in cui la sua qualità di proprietario risulta più formale che reale.
Problematico è l'ambito dell'ammontare dell'indennità spettante al proprietario. Il
problema è stato quello di individuare un criterio in grado di soddisfare le esigenze
del proprietario di essere ristorato adeguatamente della perdita subita; si fa
tendenzialmente riferimento al criterio del valore venale del bene (valore che esso
avrebbe in una contrattazione privata). Successivamente questo criterio fu sostituito
in una serie di leggi con altri criteri che si distaccavano da quello del valore venale.
Tra le varie leggi la n. 865/1971 la quale fa riferimento al criterio del valore agricolo
medio (valori dei terreni considerati liberi da vincoli di contratti agrari). La Corte
costituzionale dichiarò illegittima l'attribuzione di un valore medio agricolo anche
alle aree a vocazione non agricola; la prassi giurisprudenziale si è, per questo motivo,
orientata ad utilizzare criteri sempre più vicini al valore di mercato del bene.
Ad oggi è stabilito che “salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l'indennità di
espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento
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dell'accordo di cessione o alla data dell'emanazione del decreto di esproprio” (art. 32
d.P.R.); in particolare, in caso di area edificabile si fa riferimento al valore venale del
bene.
Diversa dall'espropriazione è la requisizione, effettuatta dalla p.a. nei soli casi di
emergenza o di grave necessità (ad es. in guerra). E' una misura di carattere
temporaneo per la quale è comunque prevista una “giusta indennità” al proprietario
(c.d. requisizione in uso). Si parla anche di requisizione in proprietà, in cui, la p.a.
realizza coattivamente il trasferimento del diritto. (La requisizione si differenzia
dall'espropriazione per il fatto che la prima è richiesta in situazioni di emergenza).
“Le proprietà”. La proprietà agraria
Non si parla più di un unico diritto di proprietà, ma di tanti tipi di diritti di proprietà a
seconda dei tipi di beni che ne costituiscono oggetto.
La proprietà fondiaria è disciplinata nel Libro III, nel quale ricevono disciplina sia la
proprietà agraria che edilizia (il codice detta discipline specifiche per l'una e l'altra e
disposizioni generali che però risultano applicabili alla sola proprietà agraria; per
questo si tente a ritenere che la sola proprietà fondiaria codicistica sia quella agraria).
La disciplina codicistica in tema di proprietà fondiaria prevede diverse tipologie di
limiti che possono essere ricondotti agli obiettivi costituzionali indicati all'art. 44
Cost. (sfruttamento razionale del suolo, equi rapporti sociali, produttività dei suoli).
I limiti spaziali possono essere ricondotti al principio di produttività e all'esigenza di
mantenere e garantire equi rapporti sociali. L'art. 840 stabilisce il principio generale
(che non opera in caso di miniere, acque, cave, opere di antichità ecc...) secondo il
quale la proprietà del suolo si estende al sottosuolo sul quale il proprietario può
effettuare qualsiasi opera che non rechi danno al vicino. Il sottosuolo, configurato
come possibile autonomo oggetto di diritto di proprietà, può essere ceduto a terzi
(c.d. diritto di superficie nel sottosuolo). Il proprietario del suolo non può opporsi ad
attività di terzi che si svolgano sullo spazio ad esso sovrastante o nel sottosuolo, che
egli non abbia interesse ad impedire (questa possibilità che ha il proprietario di
intervenire costituisce un limite allo sfruttamento, da parte di terzi, di ciò che si trova
sopra o sotto il suolo di cui è proprietario). Il codice prevede che il proprietario del
suolo diventi automaticamente anche proprietario del sottosuolo, tuttavia non viene
fatto riferimento al diritto vantabile da questi sullo spazio aereo sovrastante il suolo
(la colonna d'aria). Per colonna d'aria non si fa riferimento all'aria vera e propria (che
è un bene comune), ma allo spazio fisico sovrastante. Tuttavia, è stabilito che il
proprietario del suolo non possa trasferire la proprietà della colonna d'aria
separatamente alla proprietà del suolo. Ciò in quanto non è concepibile uno
sfruttamento del suolo che non comporti anche un minimo sfruttamento dello spazio
sovrastante (ad es. coltivazioni di piante). In questa situazione la proprietà del suolo
sarebbe compressa dalla presenza di un altro diritto reale (la proprietà della colonna
d'aria). Per questo motivo il proprietario del suolo potrà concedere a terzi solamente
diritti reali minori sulla colonna d'aria, e non la sua proprietà. La colonna d'aria
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quindi, può essere oggetto di un diritto reale limitato (diritto di superficie) in capo ad
un altro soggetto.
Per quanto concerne i limiti spaziali orizzontali, l'art. 841 stabilisce che il proprietario
può chiudere in qualunque tempo il fondo, ma non potrà impedirvi l'accesso a chi vi
entri per l'esercizio della caccia (salvo specifici casi). Per la pesca, invece, il consenso
del proprietario è sempre necessario. Inoltre il proprietario deve consentire l'accesso
al fondo in tutta una serie di ipotesi indicate all'art.843 (ad es. per recupero di una
cosa smarrita). Due limiti fondamentali posti al proprietario nell'uso del fondo sono:
(1) divieto di atti emulativi; (2) obbligo di sopportare le immissioni tollerabili
(=esempi di limiti all'esercizio del diritto di godimento). Per quanto concerne poi i
limiti funzionali, sebbene la funzionalizzazione della proprietà non incida sul
contenuto del diritto, essa lo assoggetta ad una serie di regole finalizzate al
conseguimento di scopi di pubblico interesse nei casi previsti dalla legge.
La riforma agraria a partire dagli anni 50 ha costituito degli enti aventi il compito di
espropriare i latifondi non coltivati per assegnarli ai contadini, realizzando così una
redistribuzione delle terre e, contemporaneamente, l'accesso dei contadini alla
proprietà. Questi due obiettivi sono stati perseguiti anche con la successiva disciplina
dei patti agrari.
Si parla anche di proprietà dei beni culturali e ambientali o di proprietà delle acque,
in tutti i casi in cui la normativa pubblica di diritto speciale è volta ad assicurare un
uso di tali beni conforme ai principi costituzionali e all'interesse pubblico.
La proprietà edilizia
Della proprietà edilizia il codice si occupa poco (solo artt. 869 e 872), per questo essa
è disciplinata soprattutto da leggi speciali. Carattere della proprietà edilizia è quello
di essere sottoposta a limiti di tipo pubblicistico riconducibili a politiche di governo
del territorio. Essa è dunque una proprietà conformata (=quando il diritto viene
limitato con obiettivi di perseguimento di interessi generali). Il punto di riferimento
principale è la l.u., insieme al d.P.R. n. 380/2001 (testo unico dell'edilizia). Gli
strumenti urbanistici attraverso i quali si regola l'attività edilizia e si attuano le
politiche di governo del territorio sono di carattere generale o speciale:
- I P.R.G. o piani regolatori generali (art. 869) → attraverso di essi i Comuni regolano
la facoltà di edificare, individuando varie aree del territorio. I proprietari degli
immobili hanno l'obbligo di osservare, nelle costruzioni e ricostruzioni, le linee e le
prescrizioni di zona indicate nel piano. Le indicazioni dei P.R.G. perdono efficacia
qualora non vengano approvati dalle Regioni entro 5 anni dalla data di approvazione.
La c.d. zonizzazione del il piano regolatore, permette di stabilire dove sia possibile
edificare, indicando gli usi che dovranno essere fatti di una data porzione di territorio
(c.d. zonizzazione d'uso) o i requisiti che edifici e abitazioni dovranno possedere;
-Piani regolatori particolareggianti → sono deputati all'attuazione dei piani generali
nelle singole aree del territorio comunale;
-Regolamento edilizio di ciascun Comune → attraverso di esso si individuano le aree
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edificabili nel rispetto dell'igiene, decoro e stabilità degli edifici.
Inoltre per i proprietari di aree determinate è possibile stipulare convenzioni
urbanistiche con i Comuni relativamente all'edificazione in determinate zone
(comparti) (come si può vedere anche in questa materia gli strumenti privatistici
affiancano quelli autoritativi).
Più in generale il potere di costruire (lo jus aedificandi) è subordinato al rilascio di
una concessione edilizia che è il provvedimento attraverso il quale l'autorità
comunale consente che si realizzino le trasformazioni edilizie richieste. E' da notare
che la l.n. 10/1977 pareva operare la separazione dello ius aedificandi dal contenuto
del diritto di proprietà, attribuendo la facoltà di edificare alla pubblica
amministrazione, tuttavia la Corte costituzionale ha negato il carattere costitutivo alla
concessione edilizia, affermando l'inerenza del diritto di edificare al diritto di
proprietà. Il d.p.r. 380/2001 ha poi provveduto all'eliminazione della figura della
concessione, sostituendola con qualla del “permesso di costruire” (esso ha natura
autorizzativa, dunque la facoltà di edificare non nasce in capo al proprietario per
effetto del rilascio del permesso, ma esiste già; il permesso ne consente soltanto il
legittimo esercizio). L'edificazione in assenza di permesso dà luogo a sanzioni penali
ed amministrative (ad es. demolizione dell'opera). La vicenda ha però anche rilevanza
civilistica: sono nulli tutti gli atti aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o
lo scioglimento di diritti reali, relativi ad edifici la cui costruzione (senza permesso) è
iniziata dopo il 1985. Per i casi precedenti è nullo, anche in questo caso, qualsiasi
atto: l'ipotesi sarà quella della nullità formale.
L'art. 41 quinquies l.u. prevede alcuni standard edilizi relativi alla volumetrica delle
costruzioni per una determinata zona (limiti per zona, seppur edificabile), in rapporto
alla sua estensione (si parla di capacità edificatoria). Ogni zona edificabile va, infatti,
suddivisa tra le singole aree di proprietà del soggetto. Il proprietario di una
determinata area può decidere di trasferire tutta o parte della propria volumetria non
utilizzata al vicino (cessione di cubatura). Il proprietario cedente perde la parte della
propria capacità edificatoria ceduta, in cambio di un corrispettivo (operazioni di
questo tipo sono consentite in quanto non comportano una modifica della previsione
normativa della cubatura complessiva della zona; in caso contrario si andrebbe contro
gli interessi pubblici generali). Vi sono diverse teorie per la qualificazione della
posizione del proprietario cedente in ordine all'impegno di non costruire:
• Alcuni orientamenti ritengono che mediante la cessione di cubatura si
realizzasse un negozio ad effetti reali con ogetto il trasferimento della facoltà
di edificare (c.d. diritto di cubatura). Tale teoria venne reputata insoddisfacente
in quanto implicava che il diritto di edificare venisse considerato autonomo da
quello di proprietà (e non è così perchè esso è contenuto nel diritto di
proprietà);
• La tesi più convincente ritiene che la cessione faccia nascere una servitù
negativa: il proprietario cedente dovrà rispettare il peso (di non costruire)
gravante sul proprio fondo per l'utilità del fondo vicino. Il contratto ha dunque
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effetti reali ed è trascrivibile. Rilevante è il fatto che con tale teoria si sottolinea
che l'insorgere del diritto reale esprime il rapporto tra fondi e non tra soggetti
(l'obbligo di non costruire, in quanto servitù, è inerente al fondo e con esso si
trasferisce). Da parte sua il cessionario potrà richiedere alla p.a. il rilascio del
permesso di costruire vantando una maggiore disponibilità di territorio rispetto
a quella che avrebbe avuto senza la cessione;
• Altri ritengono che il negozio abbia effetti obbligatori e che quindi il
proprietario cedente si obblighi a non richiedere il permesso di costruire e a
cedere l'utilizzo della sua cubatura ad un altro soggetto. Tuttavia il valore inter
partes dell'accordo non sarebbe in grado di spiegare l'adesione della p.a. ad una
tale operazione;
• Altri ritengono che mediante la cessione di cubatura si realizzi la riduzione
dell'ampiezza del diritto di proprietà, mediante una abdicazione del cedente
alla facoltà di costruire: il trasferimento di cubatura si realizzerebbe, invece,
solo con il rilascio dell'atto amministrativo che autorizza la costruzione. Infatti
il Consiglio di Stato concepisce la cessione di cubatura quale contratto atipico
ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al
trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento
amministrativo.
Titolarità del diritto di proprietà. La proprietà pubblica
La titolarità del diritto di proprietà viene talvolta presa in considerazione quale
autonoma realtà, in grado di determinare utilità o svantaggi per la collettività,
indipendentemente dall'esercizio del diritto corrispondente; si verifica così una
scissione tra titolarità ed esercizio del diritto, presupponendo, imponendo o
consentendo che il soggetto titolare del bene sia diverso da quello che lo gestisce.
-Un esempio può essere fornito dalla proprietà passiva → questa figura può fare
riferimento al tipo di proprietà che i soci vantano sui beni della società per azioni. In
esse, infatti, la titolarità del capitale sociale è espressa in azioni: ogni socio sarà
titolare di un numero più o meno alto di azioni che rappresentano una data
percentuale del capitale sociale. Tuttavia alla “titolarità” dei soci sulle azioni, non
corrisponde un loro potere di gestirle o goderne liberamente; il patrimonio della
società è infatti gestito dagli amministratori. Tuttavia in questo caso la scissione non è
del tutto presente, in quanto, finché la società non è posta in liquidazione, i soci non
sono realmente titolari dei beni sociali;
-Esempio più appropiato è quello della proprietà delle reti nei c.d. servizi a rete
(=servizi che richiedono la predisposizione di strutture ramificate per la loro
erogazione) → l'appartenenza del nostro paese all'Unione Europea ha fatto sì che ad
oggi il principio sia quello che più imprenditori debbano essere messi in condizione
di fornire lo stesso servizio, in maniera tale che gli utenti abbiano la possibilità di
scegliere a quale impresa rivolgersi (prima vi era una sola impresa). Il problema è
stato quello di garantire a tutti gli imprenditori il diritto ad utilizzare la rete necessaria
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per erogare il proprio servizio. Si è scelto di mantenere la rete nella proprietà del
vecchio titolare (ad es. per rete telefonica Telecom), così facendo, però, gli
imprenditori che erogano il servizio in concorrenza tra loro non vanteranno un diritto
di proprietà sulla rete. Si è voluto evitare che il proprietario della rete sacrificasse il
diritto degli imprenditori erogatori del servizio ad utilizzare la rete. Per evitare che
ciò accadesse è stata prevista la costituzione di apposite e nuove società pubbliche
alle quali è stata attribuita la gestione della rete. Questo modello, in cui il proprietario
della rete rimane tale ma viene spogliato dei poteri gestionali, si è rivelato
antieconomico, in quanto tende ad incentivare un disinteresse del proprietario per la
cura della rete medesima. E' così che, ad es., nel settore elettrico è stata disposta la
riunificazione della titolarità della rete con la gestione della stessa.
Il trust
Esso è l'istituto in base al quale taluni beni, di proprietà di un soggetto (settlor),
vengono trasferiti ad un altro soggetto (trustee), con l'intesa che questi disponga di
detti beni nell'interesse del primo o di altri soggetti (beneficiaries) o per un fine
specifico. La proprietà dei beni costituenti il trust non si confonde con il patrimonio
del trustee (c.d. effetto segregativo). Si distingue tra due tipi di trust:
• Express trusts → esso viene costituito in base ad una espressa manifestazione
di volontà del settlor, o con un atto inter vivos (living trust), o mortis causa
(testamentary trust);
• Implied trusts → nascono in dipendenza della valutazione legale di un dato
atto, pur non espressamente indirizzato alla costituzione del trust.
Al termine del rapporto la proprietà dei beni conferiti verrà ritrasferita al settlor. Per
questo motivo talvolta la dottrina si è riferita al trust parlando di scissione della
titolarità del diritto di proprietà, individuando una proprietà formale in capo al trustee
ed una sostanziale in capo al settlor.
Vi sono diversi problemi per l'identificazione del trust nell'ordinamento italiano:
1. si pone il dubbio che il diritto trasferito fosse un diritto di proprietà, in quanto
esso non può essere temporaneo;
2. le imitazioni funzionali del trust e dei poteri del proprietario non godono, nel
nostro ordinamento, di forme di pubblicità a beneficio dei terzi ( i terzi devono
infatti essere messi a corrente del fatto che i beni oggetto del trust, poiché
devono essere riconsegnati, non possono costituire garanzia patrimoniale per il
soggetto).
Per risolvere il problema venne emanata la l.n. 364/1989, con la quale il legislatore
italiano ha dato attuazione alla Convenzione dell'Aja sulla legge applicabile ai trust e
sul loro riconoscimento. La Convenzione definisce il trust e ne individua i punti
salienti:
• “i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del
patrimonio del trustee” (costituiscono un patrimonio separato);
• “i beni del trust sono intestati a nome del trustee” o di un altra persona per
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conto del trustee;
• il “trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo di amministrare, gestire
o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari imposte
dalla legge”.
La dottrina ha cercato di ricondurre la figura del trust a qualche istituto di diritto
interno (per colmare eventuali lacune), soffermandosi in particolare sull'aspetto della
fiducia e, specialmente, della fiducia cum amico, facendo così riferimento all'istituto
del negozio fiduciario: attraverso di esso un soggetto trasferisce ad un altro la
proprietà di un bene; il ricevente (fiduciario) si impegna a fare del bene un certo uso e
a ritrasferirlo al fiduciante o ad un terzo dopo un certo periodo. Nei negozi fiduciari
la consistenza della titolarità del diritto di proprietà viene corretta da un impegno di
natura obbligatoria (pactum fiduciae) assunto dalle parti. Anche in questo caso si è
parlato di una forma di scissione tra proprietà sostanziale e formale (l'utilità che si
trae dal bene, infatti, spetta solo al fiduciante). Tuttavia tale distinzione non
appartiene al nostro ordinamento che non ammette la possibilità che su un medesimo
bene insistano due diritti di proprietà differenti (sostanziale e formale).
La questione di ammissibilità del trust nel nostro ordinamento è ora risolta dal nuovo
art. 2645 ter che prevede la possibilità di trascrivere, e dunque rendere opponibile ai
terzi, i vincoli di destinazione (che non possono essere superiori ai 90 anni) impressi
sui beni. In dottrina, però, si discute se tale previsione normativa basti a fondare un
riconoscimento dell'istituto in esame.
La Convenzione, infatti, ha previsto una tipologia di trust (trust internazionale)
caratterizzato dalla presenza di un elemento di estraneità della vicenda da un dato
ordinamento (ad es. il caso in cui il settlor sia uno straniero o i suoi beni si trovino
all'estero mentre lui è italiano). Per quanto concerne invece le ipotesi di trust interno
(nelle quali tutta la vicenda si esaurisce in territorio italiano) alcune teorie ritengono
che esso non sia ammesso nel nostro ordinamento poiché:
1. la possibilità di costituire patrimoni separati non ricade nei poteri di autonomia
privata;
2. la norma di cui l'art. 2645 non disciplinerebbe il trust ma le diverse ipotesi di
atti di destinazione.
Modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo e a titolo originario
La proprietà si può acquistare:
-A titolo originario → la posizione dell'acquirente è indipendente dal diritto che altri
possono aver in precedenza vantato sul bene. Questo tipo di acquisto è disciplinato
nel libro dedicato alla proprietà, in esso vengono elencati, in modo non tassativo
all'artt. 922 s. tutti i tipi di acquisto a titolo originario (i più importanti sono
l'usucapione e il possesso in buona fede; esso si basa sul possesso prolungato della
cosa senza un titolo o una situazione giuridica che ne giustifichi l'esercizio);
-A titolo derivativo → la situazione soggettiva del proprietario dipende dall'esistenza
di un'altra situazione soggettiva che un altro soggetto (il proprietario precedente o
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dante causa) ha vantato sul bene. Acquisti di questo tipo si realizzano nei contratti e
nella successione.
Occupazione ed invenzione
Possono essere acquistate per occupazione (sulla base della volontà dell'animus
occupandi) le cose mobili che non appartengono a nessuno, o perché mai appartenuto
ad alcuno (res nullius) o perchè volutamente abbandonate (res derelictae). Questo
modo non opera per i beni immobili i quali, se non sono prorpietà di nessuno spettano
al patrimonio dello Stato. Possono essere acquistati per occupazione anche particolari
beni come ad es. la selvaggina che appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato,
ma che viene acquistata dal cacciatore.
La legge non prevede espressamente il requisito soggettivo dell'animus occupandi
che è, invece, generalmente richiesto dalla dottrina. Essa infatti sosteneva l'esigenza
della presenza dell'elemento volontaristico al fine di perfezionare la fattispecie
acquisitiva. La dottrina dunque configura tale acquisto come un negozio unilaterale,
assoggettandolo alla disciplina dei negozi giuridici. Più di recente si tende a negare
che la volontà di appropriarsi del bene si estenda agli effetti dell'atto, ritenendosi
sufficiente la sola volontarietà del comportamento materiale posto in essere.
L'occupazione deve quindi ritenersi un mero atto (la volontà del soggetto si esaurisce
nell'azione che esso pone in essere) e non un negozio giuridico. Perchè l'acquisto per
occupazione possa avvenire, è necessario che la cosa sia stata volontariamente
abbandonata, in caso contrario si applicherà la disciplina dell'invenzione (art. 927):
“chi trova una cosa mobile deve restituirla al proprietario”; qualora ciò non sia
possibile, la cosa deve essere consegnata al sindaco che darà avviso del ritrovamento
mediante pubblicazione nell'albo pretorio del comune (art. 928). Trascorso un anno
dalla pubblicazione, senza che il vero proprietario si sia presentato, la proprietà della
cosa passa a chi l'ha trovata. Si distingue tra:
• cose smarrite → quelle delle quali il prorpietario ignora l'ubicazione;
• cose dimenticate → cose delle quali il proprietario ricorda il luogo dove si
trovano.
Sono acquistabili per invenzione sia le cose smarrite che dimenticate. L'invenzione,
peraltro, pone anche un obbligo a generale garanzia della proprietà privata: quella di
restituire le cose mobili al loro proprietario.
Il tesoro (= “qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno
può affermare di essere proprietario” art. 932) appartiene al proprietario del fondo in
cui sia stato trovato nel caso sia lo stesso prorpietario ad averlo scoperto, in caso
contrario il tesoro spetterà per una metà al proprietario del fondo e per l'altra metà a
chi l'ha scoperto.
Accessione. Unione e commistione. Specificazione. Alluvione. Avulsione. Isole e
unioni di terra
Altro modo di acquisto della proprietà a titolo originario è l'accessione (=fenomeno in
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base al quale la proprietà su un bene attrae la proprietà di un altro bene a causa di un
legame fisico con esso). Si distingue tra:
a) Accessione da mobile a immobile (accessione ordinaria; art. 934) → in base ad
essa “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario di questo”;
b) Accessione da mobile a mobile (unione e commistione art. 939; specificazione art.
940) → quando due cose mobili appartenenti a diversi proprietari si uniscono
(unione) o si mescolano (commistione), così da formare una cosa sola, il codice
prevede che:
• se esse sono separabili ciascuno conserva la proprietà della cosa e ha diritto di
ottenerne la separazione;
• se non sono separabili senza un notevole deterioramento, la proprietà diventa
comune in proporzione al valore delle singole cose;
• se le cose non sono separabili ma è possibile individuare tra le due una cosa
principale o di valore superiore, il proprietario della cosa principale o di
maggiore valore acquista la proprietà del tutto. Egli ha però l'obbligo di pagare
all'altro il valore della cosa unita.
La specificazione fa invece riferimento al caso di chi utilizzi materiale altrui per
formare una cosa nuova diversa dalla materia prima originale. In questo caso la
proprietà passa all'artefice dell'opera che però dovrà pagare al prorpietario il prezzo
della materia. Quando però, il valore oltrepassa notevolmente quello della
manodopera, il prorpietario del materiale acquisterà la proprietà della cosa
trasformata e dovrà pagare all'autore il prezzo della manodopera (ad es. il caso dello
scultore).
c) Accessione da immobile ad immobile (artt. 941-944) → la prima è costituita
dall'alluvione, in forza della quale gli incrementi che si formano lungo la riva dei
fiumi, così da accrescere l'estensione del fondo, appartengono al proprietario del
fondo. Vi è poi l'avulsione che si verifica quando il fiume provoca il distacco di una
parte considerevole di un fondo e lo trasporta verso un altro fondo. Il proprietario del
fondo al quale si è unita la parte staccata diventa proprietario di quest'ultima, ma
dovrà pagare un'indennità pari all'aumento di valore del proprio fondo.
Infine, le isole e le unioni di terra che si nel letto dei fiumi appartengono al demanio
pubblico (art. 945).
Accessione ordinaria e accessione invertita
La regola dell'accessione (art. 934) si applica quando vi sia incorporazione (ossia una
stabile congiunzione) tra l'opera ed il suolo: è necessario che l'opera incorporata
perda ogni autonomia e non sia più separabile dal suolo. Il requisito della separabilità
non va inteso solo in senso fisico, ma anche giuridico: esso comprende anche l'ipotesi
del venir meno delle condizioni che legittimano la domanda di rivendicazione delle
opere separabili. Dunque, l'accessione, e il relativo acquisto della proprietà dei beni
incorporati al suolo, si producono (ex tunc) solo quando non sia possibile, in senso
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giuridico o fisico, chiedere la separazione dell'opera dal suolo. Una volta acquistato il
diritto di proprietà l'effetto è definitivo. L'acquisto si produce indipendentemente da
una manifestazione di volontà da parte del proprietario del suolo. Il codice disciplina
tre casi di accessione ordinaria:
1. opere fatte dal proprietario del suolo con materiali non suoi (art. 935) →
bisogna qui distinguere tra due ipotesi: (a) qualora la separazione non venga
chiesta entro il termine (sei mesi dal giorno della notizia dell'incorporazione) o
non sia attuabile, si realizzerà l'accessione ed il proprietario del suolo dovrà
pagare il valore dei materiali. (b) se il proprietario dei materiali ne chiede la
separazione, e la separazione è possibile, l'accessione non si verifica;
2. opere eseguite dal terzo con materiali propri (art. 936) → in questo caso il
proprietario del fondo ha il diritto di mantenerle (dovendo però pagare i
materiali e la manodopera), oppure può obbligare colui che le ha fatte a levarle.
Ciò purché il terzo sia in buona fede o il proprietario non si sia opposto alla
loro attuazione;
3. opere eseguite dal terzo con materiali altrui (art. 937) → il proprietario dei
materiali può rivendicarli e le spese di separazione sono a carico del terzo. Nel
caso in cui non possa essere attuata la separazione, il terzo che ne ha fatto uso e
il proprietario del suolo in mala fede sono tenuti al pagamento di una indennità
pari al valore dei materiali stessi.
Si parla di accessione invertita (art. 938) nel caso in cui taluno, nel costruire un
edificio sul proprio fondo, occupi in buona fede una porzione del fondo attiguo. In
questo caso, se entro tre mesi il proprietario del fondo attiguo non fa opposizione,
l'autorità giudiziaria attribuisce al costrutto la proprietà del suolo occupato. Tale
norma ha carattere eccezionale, in quanto deroga il principio dell'art. 934. In questo
caso, infatti, è la proprietà dell'opera ad attrarre quella del suolo (e non viceversa).
Tale fattispecie si verifica in presenza di alcuni elementi:
• Un soggetto che costruisce sul proprio fondo invade una porzione del fondo
attiguo (c.d. sconfinamento). La legge non specifica il tipo di sconfinamento,
tuttavia la dottrina ritiene far riferimento al solo sconfinamento orizzontale
(sullo stesso piano del suolo di proprietà; no tunnel sotterranei);
• Colui che costruisce deve essere in buona fede, ossia nutrire il convincimento
di costruire sul proprio fondo. Tuttavia, in tema di accessione, l'ignoranza non
basta, ma si richiede comunemente la convinzione ragionevole di avere un
diritto di costruire.
• Il proprietario del fondo deve essere rimasto inerte per tre mesi a partire dal
giorno in cui ha avuto inizio la costruzione. Una volta scaduti i tre mesi è
l'autorità giudiziaria ad attribuire il diritto di proprietà. Dunque, l'acquisto del
diritto non è automatico, ma richiede una pronuncia costitutiva del giudice.
Gli effetti della fattispecie sono: (1) l'acquisto della proprietà del suolo; (2) la nascita
in capo a chi lo ha acquistato dell'obbligazione di pagare un indennizzo (pari al
doppio del valore della superficie occupata, al momento in cui il giudice ha attribuito
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il diritto di proprietà al costruttore sconfinante) al proprietario di esso. Tale
obbligazione è un'obbligazione di valore in quanto la somma di denaro non è definita.
L'utilizzazione senza titolo del bene e la c.d. occupazione acquisitiva da parte
della p.a.
La giurisprudenza si è servita dell'istituto dell'accessione invertita per risolvere quei
casi nei quali la p.a. aveva illegittimamente occupato (occupazione acquisitiva)
terreni di proprietà di privati, provocandone un'irreversibile trasformazione.
L'illegittimità era data dal fatto che la p.a. utilizzava l'immobile occupato in assenza
di un valido provvedimento di esproprio. Così facendo essa espropriava di fatto, ma
non formalmente il privato. Tuttavia, la Costituzione prevede che l'esproprio avvenga
solo per motivi di interesse generale. Infatti, perché si potesse giustificare l'effetto
acquisitivo, era necessario che la p.a. agisse per la realizzazione di un interesse
pubblico, formalizzato nella dichiarazione di pubblica utilità. Qualora tale atto fosse
mancato, l'occupazione del fondo privato veniva detta usurpativa. In tal caso
l'interesse pubblico non giustificava la p.a. che, per questo, non acquistava la
proprietà del fondo occupato.
Per queste ipotesi è necessario effettuare un bilanciamento tra l'interesse pubblico a
mantenere l'opera ormai costruita, con quelle del privato al proprio diritto esclusivo
sul terreno.
Il d.l. 6 luglio 2011 n. 98 ha regolamentato tale materia tramite l'inserimento dell'art.
42 bis, d.P.R. n. 327/2001 (utilizzazione senza titolo di un bene per scopi pubblici) →
l'acquisizione del terreno occupato illegittimamente avviene sulla base di un apposito
provvedimento della p.a. L'autorità che utilizza un bene immobile (modificato in
assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della
pubblica utilità) per scopi di interesse pubblico, può disporre che esso vada acquisito
al suo patrimonio indisponibile (ma non retroattivamente), e che al proprietario spetti
un indennizzo (determinato in misura corrispondente al valore venale del bene) per il
pregiudizio subito. Il provvedimento di acquisizione può anche essere adottato se
l'atto di esproprio o di pubblica utilità sono stati annullati o siano impugnati innanzi
al giudice amministrativo.
Le azioni reali e le azioni petitorie. L'azione di rivendicazione
La tutela giurisdizionale dei diritti reali si articola in una pluralità di forme:
-Azione reale di rivendicazione (tipiche sono le azioni petitorie art. 948-951= quelle a
difesa della proprietà e nelle quali l'attore fa valere il proprio diritto) → le azioni reali
si caratterizzano per il fatto che possa essere convenuto davanti al giudice chiunque si
ritenga abbia causato un pregiudizio al diritto reale. L'azione di rivendicazione (art.
948) è finalizzata ad ottenere la restituzione della cosa da chi indebitamente la
possieda. Con questa tipica azione petitoria, il soggetto fa valere il proprio diritto di
proprietà e la qualità di proprietario. Egli dovrà dunque provare il suo titolo di
proprietà; tale prova è particolarmente gravosa in quanto l'attore dovrà o risalire ad un
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acquisto a titolo originario o provare di aver egli acquistato a titolo originario (ad es.
per usucapione). Solo così, infatti, è possibile avere la certezza che chi agisce sia
davvero il titolare del diritto (ciò poiché anche solo uno dei precedenti acquisti a
titolo derivativo potrebbe essere viziato, inficiando tutti i trasferimenti successivi).
L'azione di rivendicazione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell'usucapione. Se
l'attore riesce a provare il suo diritto, il giudice potrà dichiarare la sua titolarita del
diritto stesso e condannare il convenuto alla restituzione del bene (azione dichiarativa
e restitutoria). Nel caso in cui l'attore non riuscisse a provare il suo diritto, il giudice
non dichiara l'inesistenza del diritto, ma semplicemente che l'esistenza di esso non è
stata provata. Ciò in quanto il nostro sistema processuale non consente di proporre
due volte la stessa azione una volta che si sia formato il giudicato (il giudice decide in
modo definitivo). Dunque, il fatto che il giudice non si pronunci fa sì che colui che si
ritiene proprietario non perda l'azione di rivendica contro tutti coloro che siano
diversi dal convenuto del primo giudizio;
-Azione personale di restituzione → le azioni personali consentono di convenire
davanti al giudice solo determinati soggetti. L'azione di restituzione è offerta per
domandare l'esatto adempimento dell'obbligazione. Dunque, il presupposto per
esercitare tale azione è che tra i due soggetti ci sia un precedente rapporto
obbligatorio non attuato. L'attore potrà convenire in giudizio con l'azione di esatto
adempimento solo il proprio debitore (per questo il carattere personale). Essa non ha
natura petitoria in quanto l'attore non fa valere il proprio diritto reale e la propria
qualità di proprietario, ma il proprio diritto di credito e la propria qualità di debitore.
Il soggetto può scegliere quale azione esercitare; solitamente si predilige l'azione
personale perché più agevole sul piano probatorio.
Le altre azioni a tutela della proprietà: l'azione di mero accertamento. L'azione
negatoria
L'aggressione del diritto di proprietà non sempre causa la materiale sottrazione della
cosa, in quanto essa può consistere anche in una mera contestazione della titolarità
del diritto da parte di terzi. Per casi di questo genere il proprietario dispone di un
azione di mero accertamento. Essa è anche l'azione negatoria con la quale il
proprietario mira a “far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altrui sulla
cosa”.
Ove sussistano turbative o molestie, il proprietario può chiedere anche la loro
cessazione e il risarcimento del danno.
I diritti vantati dal terzo sul bene in proprietà dell'attore devono essere diritti reali.
Le azioni di regolamentato di confini e di apposizione di termini. Le azioni di
nunciazione
Anche quella di regolamento di confini è un'azione di mero accertamento, finalizzata
ad eliminare ogni incertezza in ordine al confine tra due fondi. Per essa non valgono
le regole sull'onere della prova, dunque, ogni mezzo di prova sarà ammesso.
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Si ricorre invece all'azione di apposizione di termini quando lo stato del confine sia
certo, ma sia necessario stabilirne i segni esteriori (ad es. siepi).
Vi sono infine le azioni di nunciazione (possono essere asercitate anche dal titolare di
un diritto reale minore o da un possessore), esse sono:
• denunzia di nuova opera → l'attore, che ha ragione di temere che da una nuova
opera intrapresa da altri derivi un danno, può chiedere che essa venga vietata;
• denunzia di danno temuto → l'attore chiede l'abbattimento o l'eliminazione
della cosa dalla quale possa derivare un danno alla cosa oggetto del diritto o
del possesso.
Il diritto di superficie
Il diritto di superficie (art. 952) rappresenta una deroga al principio dell'accessione
ordinaria (per il quale tutto ciò che si trova sopra o sotto il suolo appartiene al
proprietario di questo), in quanto consente al proprietario di cedere ad altri la
proprietà di costruzioni al di sopra e al di sotto del suo suolo. In questa figura il
proprietario scorpora dal suo diritto la facoltà di edificare e la cede ad un terzo
(superficiario) il quale diventerà proprietario della costruzione separatamente dal
suolo, acquisterà la c.d. proprietà superficiaria. Si è soliti ricondurre al superficiario
due diritti:
-Diritto di superficie (diritto reale limitato) → è il diritto di costruire. Si può costituire
per contratto o per usucapione. Può essere perpetuo o a termine (art. 953, al
sopravvenire del termine si riespande il principio dell'accessione). Esso si estingue:
• per perimento del suolo, ma non per estinzione della costruzione in quanto il
superficiario conserva il diritto di ricostruire l'opera;
• per consolidazione: quando il diritto di proprietà del suolo e quello di
superficie si riuniscono nella stessa persona;
• per prescrizione: a seguito del non uso protratto per 20 anni (costruita l'opera il
diritto fa riferimento al mantenimento dell'opera stessa);
• per scadenza del termine (art. 953).
Con esso si estingue anche la proprietà superficiaria e i diritti reali imposti dal
superficiario.
-Proprietà superficiaria (diritto sulla costruzione) → costituisce un vero e proprio
diritto di proprietà. Si acquista per esercizio del diritto di superficie (costruendo). Ù
Sia il diritto di superficie che la proprietà superficiaria possono essere alienati a terzi
oppure, essendo diritti distinti, possono anche appartenere a soggetti diversi.
Nel caso in cui il proprietario del fondo alieni ad altri la proprietà della costruzione
già esistente, separatamente alla proprietà del suolo, secondo la giurisprudenza si
dovrebbe parlare di proprietà separata. A parere della giurisprudenza il diritto di
ricostruire non esiste in capo a colui che ha acquistato la proprietà della costruzione
già esistente sul fondo altrui, perché tale acquisto non comporta necessariamente
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anche quello del diritto reale di superficie.
Problematiche nascono con riguardo all'ipotesi di vendita di un fondo con un edificio
sovrastante: ci si chiede se ciò implichi anche l'alienazione della costruzione. Poichè
la legge, all'art. 952 (scissione tra titolarità della costruzione e della proprietà del
fondo), prevede la sola possibilità di alienare la proprietà della costruzione e
mantenere quella del suolo, non viceversa. Si deduce da ciò che l'alienazione del solo
fondo è sufficiente ad alienare automaticamente anche il diritto sulla costruzione.
Il principio della libera circolazione dei beni verrebbe compromesso se si dovesse
impedire al proprietario che abbia già alienato l'edificio, di alienare in seguito il suolo
ad un terzo. Si deve ritenere, quindi, che il nostro ordinamento consenta la possibilità
di alienare il fondo e mantenere per sé la proprietà dell'edificio costruito sopra.
Tuttavia, per evitare che con la cessione del fondo si produca l'automatico passaggio
della proprietà sull'edificio, la giurisprudenza richiede che la volontà di scindere le
due proprietà risulti dal contratto di vendita, per evitare l'applicazione del principio
generale dell'accessione.
Proprietà superficiaria nel condominio (= edifici con più unità abitative) → ciascuno
dei condomini è contemporaneamente proprietario del proprio appartamento e
comproprietario delle aprti comuni dell'edificio. Al condomino dell'ultimo piano
spetta anche il diritto di costruire altri piani (sopraelevazione; gli altri condomini
possono opporvisi) e acquistarnela proprietà in virtù del principio di accessione. Ciò
poiché sul suolo del condominio con tante proprietà individuali sovrapposte su
diversi piani, insistono altrettante proprietà superficiarie (nel consentire la
costruzione sopra il suolo, i condomini hanno rinunciato a favore del condomino del
primo piano al loro jus aedificandi, e hanno così costituito sul suolo comune un
diritto di superficie a favore dell'abiante del primo piano). Il diritto di superficie sale
via via che si costruisce verso l'alto, comportando la perdita per i proprietari dei piani
inferiori del potere di costruire. Il diritto di costruire spetterà, quindi, solo al
proprietario dell'ultimo piano.
Il diritto di usufrutto. Uso e abitazione
L'usufrutto attribuisce al suo titolare il diritto di godere della cosa traendone ogni
utilità che essa può dare, tuttavia l'usufruttario deve rispettarne la destinazione
economica (art. 981). Il proprietario perde il potere di godere della cosa, ma conserva
il potere di disporne, per questo si dice che egli è titolare della nuda proprietà.
L'usufrutto può essere concesso in affitto a terzi. Il diritto del terzo sarà di carattere
relativo (diritto personale di godimento) e potrà essere vantato solo nei confronti del
concedente dell'usufrutto. Ciò sottolinea la differenza tra il diritto reale (=esso
garantisce al titolare di godere del bene verso chiunque) e il diritto personale di
godimento (= esso garantisce al titolare il potere di godere del bene solo verso il
titolare del diritto reale che gli ha concesso il godimento del diritto personale) di un
bene. Il titolare dell'usufrutto potrà opporre il proprio diritto anche al soggetto al
quale venga venduto il bene (diritto di seguito o sequela). La legge può attenuare
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soltanto l'efficacia relativa dei rapporti obbligatori: ad es. le locazioni concluse
dall'usufruttario in corso al tempo della cessazione dell'usufrutto continuano per la
durata stabilita, ma non oltre 5 anni dalla cessazione dell'usufrutto.
Chi acquisterà dal proprietario il terreno su cui insiste un altrui diritto di usufrutto
acquisterà solo la nuda proprietà e quindi, finché il diritto dell'usufruttario non si sarà
esaurito, non potrà godere del fondo acquistato. Così come può circolare la nuda
proprietà, anche il diritto di usufrutto può essere ceduto ad altri. Poiché l'usufrutto
limita la proprietà, l'ordinamento vieta che esso possa essere perpetuo. Se non è
previsto un termine il diritto si estingue alla morte dell'usufruttario. Per le stesse
motivazioni è vietato il c.d. usufrutto successivo (salvo nei negozi a titolo oneroso),
cioè l'attribuzione dell'usufrutto a più persone in successione tra loro, in virtù del
medesimo titolo. Infatti, la disposizione testamentaria che attua tale operazione, ha
valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore siano i primi chiamati a
goderne (legato di usufrutto successivo). E' permesso al donante di riservare per sé
l'usufrutto dei beni donati, e dopo di lui per una o più persone, purché non in via
successiva. Diverso è il caso dell'usufrutto congiuntivo che spetta
contemporaneamente a più persone che godono insieme del bene; in caso di morte di
uno di essi la sua quota accrescerà le altre.
L'usufrutto si estingue: per scadenza del termine, per prescrizione ventennale, per
consolidazione, per abuso del diritto (= quando l'usufruttario alieni il bene o lo lasci
deteriorare) o per totale perimento della cosa (se il perimento è dovuto a terzi, spetta
al proprietario un'indennità e l'usufrutto si trasferisce sull'indennità dovuta). Altre
ipotesi di trasferimento del diritto di usufrutto su altri beni è la surrogazione reale.
Il diritto di usufrutto si può acquistare per contratto, per testamento, per usucapione,
in virtù della regola del possesso vale titolo e talvolta può essere attribuito al
soggetto, su beni appartenenti ad altri, dalla legge (usufrutto legale; ad es. dei genitori
sui beni del figlio).
L'usufruttario ha diritto di conseguire il possesso della cosa (sia mobile che
immobile) di cui ha l'usufrutto, è deve restituire la stessa cosa al termine dello stesso.
Nel caso in cui la cosa sia consumabile, l'usufruttario ha diritto di servirsene e di
pagarne il valore alla scadenza del termine stabilito (=si parla per questo di quasi
usufrutto, venendo meno la possibilità di restituire la cosa). In questo caso
l'usufruttuario acquista la proprietà dei beni concessi. Diverso è il caso in cui oggetto
dell'usufrutto sia una cosa deteriorabile, in questo caso l'usufruttario sarà soltanto
tenuto a restituire la cosa nello stato in cui si trova. L'usufrutto si estende a tutte le
accessioni della cosa. I frutti naturali e civili spettano all'usufruttario per la duranta
del suo diritto. L'usufruttuario non acquista la proprietà del tesoro. Esso può inoltre
apportare miglioramenti ( in questo caso l'usufruttuario ha diritto ad un'indennità pari
alla minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore conseguito dalla
cosa per effetto dei miglioramenti) o addizioni (a patto che esse non alterino la
destinazione economica della cosa) alla cosa. La differenza tra le due figure sta nel
fatto che i miglioramenti consistono nella trasformazione del bene, mentre le
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addizioni sono entità distinte dal bene stesso (l'usufruttuario ha il diritto di torglierle
al termine del suo diritto, salvo che il proprietario preferisca mantenerle. In questo
caso deve essere corrisposta all'usufruttuario una indennità pari alla minor somma tra
l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna).
Sull'usufruttuario incombono diversi obblighi:
• di comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia e di non mutare la
destinazione economica della cosa, impressa dal proprietario prima
dell'usufrutto;
• di inventario (a sue soese) e di dare idonea garanzia (finché non attua questa
cose l'usufruttuario non può conseguire il possesso del bene);
• di farsi carico delle spese ordinarie e degli oneri relativi all'amministrazione e
alla manutenzione ordinaria, delle spese di custodia e dei carichi annuali
(imposte, canoni ecc).
Le riparazioni straordinarie sono invece a carico del proprietario; se esso si rifiuta di
eseguire le riparazioni l'usufruttuario può farle eseguire a proprie spese, alla fine
dell'usufrutto egli avrà il diritto del rimborso a tali spese, è finchè esso non gli sarà
corrisposto ha diritto trattenere l'immobile riparato. Se durante l'usufrutto un terzo
usurpa il fondo, l'usufruttuario ha l'onere di informare il proprietario, altrimenti sarà
tenuto a risarcire egli stesso i danni. Simile all'usufrutto sono:
• L'uso → potere di servirsi della cosa nei limiti dati dal soddisfacimento dei
bisogni propri e della propria famiglia;
• Il diritto di abitazione → attribuisce al titolare il diritto di abitare la casa, nei
limiti dei bisogni suoi e della sua famiglia.
Il loro carattere personale fa sì che essi non possano essere ceduti in locazione.
Il diritto di enfiteusi
L'enfiteusi (art. 975) attribuisce al suo titolare (enfiteuta) il diritto di godere del fondo
altrui e fare propri i frutti, il tesoro, le accessioni. Sull'enfiteuta, però, grava l'obbligo
di migliorare il fondo e di pagare al proprietario (concedente) un canone periodico.
L'enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento.
Cause di estinzione sono: prescrizione, consolidazione, scadenza del temine e
affrancazione (=diritto potestativo spettante all'enfiteuta di acquistare la proprietà del
fondo mediante il pagamento di una somma di denaro pari a quindici volte il canone
enfiteutico. La devoluzione (art. 972) è il diritto spettante al concedente di liberare il
fondo dall'enfiteusi qualora l'enfiteuta non adempia all'obbligo di migliorare il fondo.
Le servitù prediali
La servitù prediale consiste nel peso imposto ad un fondo (detto servente) per l'utilità
di un altro fondo (dominante) appartenente a diverso proprietario (art. 1027; tipica è
la servitù di passaggio). Perchè si possa costituire una servitù sono necessari alcuni
presupposti:
• esistenza di due fondi;
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• che i due immobili appartengano a proprietari diversi;
• che i due immobili siano collocati in maniera tale che il fondo servente possa
recare l'utilità desiderata al fondo dominante, anche se non necessariamente
l'uno vicino all'altro.
L'utilità (vantaggio che un fondo ricava grazie alla costruzione della servitù) può
consistere anche nella maggiore comodità del fondo dominante; o inerire alla sua
destinazione industriale; è anche ammessa la costituzione di una servitù per
assicurare ad un fondo un vantaggio futuro. Il vantaggio realizzato con la servitù deve
costituire un'oggettiva utilità per il fondo, sicché, il rapposto si instaura tra i due fondi
e non tra i due proprietari.
Quando l'utilità per i fondi è reciproca si parlerà di servitù reciproche: in questo caso
esistono due distinti diritti reali di servitù; l'uno a favore del primo fondo e a carico
del secondo, l'altro a favore del secondo e a carico del primo.
E' anche possibile ottenere utilità simili a quelle delle servitù tramite la costituzione
di obbligazioni a carico del proprietario del fondo da cui si possono trarre tali
vantaggi (servitù irregolari; ad es. Tizio concede a Caio il diritto di attraversare il
proprio terreno in virtù dell'esistenza di un credito di Caio nei confronti del debitore
Tizio). E' qui evidente la differenza con il diritto reale di servitù, il quale attribuisce
l'utilità (ad es. il passaggio) sul fondo altrui a chiunque abbia titolo ad utilizzare un
fondo che sia dominante; con l'obbligazione, invece, l'utilità non si trasferisce con il
fondo.
Il tipo di vantaggio che un fondo può dare ad un'altro è stabilito dall'autonomia
privata, con il solo limite che la servitù non può mai tradursi in un fare a carico del
proprietario del fondo servente. Infatti il proprietario del fondo servente non è tenuto
a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù, salvo che la legge
o il titolo disponga diversamente (si parlerà in tal caso di obbligazioni reali e non di
servitù). Tuttavia, nel caso in cui la legge o il titolo impongano a capo del proprietario
del fondo servente le spese necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù,
egli può liberarsene rinunziando alla proprietà del fondo servente a favore del
proprietario del fondo dominante (abbandono del fondo) (esso acquisterà il fondo
servente solo in virtù di una sua manifestazione di volontà, in caso contrario esso
andrà allo Stato). In base al loro contenuto le servitù si distinguono in:
• Servitù affermative → attribuiscono al proprietario del fondo dominante un
potere di fare. Ad es. servitù di passaggio;
• Servitù negative → attribuiscono al proprietario del fondo dominante un potere
di vietare. Ad es. servitù di non sopraelevazione. In questo caso, il termine di
prescrizione decorrerà dal momento in cui il titolare del fondo dominate, di
fronte alla violazione dell'obbligo di non fare, abbia omesso di reagire,
rinunciando ad opporsi.
Dal punto di vista delle modalità di esercizio si distingue tra:
• Servitù apparenti → per il loro esercizio sono necessarie opere permanenti e
visibili (ad es. servitù di acquedotto);
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• Servitù non apparenti → sono ad es. le servitù di non costruire.
Altra distinzione è quella tra:
• Servitù continue → il loro esercizio non richiede un fatto dell'uomo;
• Servitù discontinue → esse richiedono un'attività umana.
L'esercizio del diritto di servitù è disciplinato dal titolo (contratto, testamento ecc...).
Regole fondamentali sono che il proprietario del fondo dominante deve comportarsi
in maniera tale da non aggravare la condizione del fondo servente, e che il
proprietario del fondo servente non deve compiere atti che interferiscano con
l'esercizio della servitù. Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per
usarne (c.d. estenzione del diritto di servitù). Le servitù possono essere costituite:
• Per contratto o testamento →sono le servitù volontarie (normalmente onerose).
La costituzione della servitù è un atto di ordinaria amministrazione;
• Per atto amministrativo o per sentenza → per determinati casi previsti dalla
legge. Esse sono le servitù coattive (ad es. le servitù di acquedotto e scarico;
quelle di elettrodotto e passaggio di linee telefoniche; quella di passaggio);
Diritto di passaggio → quando (1) il fondo è circondato da fondi altrui; (2) esso non
ha uscita sulla via pubblica, il proprietario del fondo intercluso ha diritto di ottenere il
passaggio sul fondo vicino. La servitù coattiva di passaggio può anche essere
costituita se il fondo dominante non è intercluso, e anche se ha un accesso alla via
pubblica ma solo se il giudice ritiene che essa risponda alle esigenze dell'aglicoltura,
dell'industria o di accessibilità. Nel caso della servitù di passaggio l'indennità dovrà
essere proporzionale al danno cagionato dal passaggio.
E' possibile che in ipotesi di servitù coattive le parti raggiungano, comunque, un
accordo e che la servitù nasca sulla base di un contratto; in tal caso la servitù non
potrà dirsi coattiva. In caso in cui non venga costituita per contratto una servitù cui la
legge darebbe diritto, il proprietario del futuro fondo dominate potrà rivolgersi al
giudice e ottenere una sentenza costitutiva del diritto di servitù. Tale sentenza
provvederà anche a determinare l'indennità dovuta al proprietario del fondo servente
e le modalità della servitù.
• Per destinazione del padre di famiglia o per usucapione → solo per le servitù
apparenti in quanto la costituzione per usucapione presuppone l'esercizio
continuato del possesso per il tempo richiesto dalla legge. La destinazione del
padre di famiglia si verifica quando due fondi siano appartenuti allo stesso
proprietario il quale aveva destinato l'uno al servizio dell'altro; quando i fondi
cessano di appartenere alla stessa persona, quel rapporto di servizio si converte
automaticamente in servitù (acquisto ope legis).
Le servitù si estinguono per confusione, prescrizione o rinuncia.
Le azioni per la sua tutela sono:
1. Azione confessoria → il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio
l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio;
2. Azione inibitoria → egli può chiedere un ordine che faccia cessare eventuali
impedimenti e turbative;
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3. egli può chiedere la rimessione delle cose in pristino e il risarcimento dei
danni.
La comunione in generale. Natura e tipologia
La comunione (ordinaria) è un regime giuridico applicato nel caso in cui più soggetti
siano contitolari del diritto di proprietà, o di altro diritto reale, sul medesimo bene
(art. 1100 s.). Oltre a quella ordinaria vi sono altre ipotesi di comunioni qualificate
quali quella ereditaria, quella legale tra i coniugi e il condominio. Il codice, inotre,
parla anche di una disposizione relativa alla comunione a scopo di godimento = tale
comunione è costituita con il solo scopo del godimento di una o più cose. Essa è
regolata dalle norme sulla comunione ordinaria in quanto la sua costituzione non è
strumentale all'esercizio di un'attività economica (nonostante la disposizione si trovi
dopo la definizione del contratto di società), ma al mero godimento del bene.
La dottrina si è sforzata per chiarire in cosa consistesse il fenomeno della comunione
e in che modo esso possa dirsi compatibile con il fatto che il diritto moderno non
ammetta più diritti di proprietà sul medesimo bene:
-Una prima ipotesi ritiene che il titolare del diritto sarebbe il soggetto collettivo
composto da tutti i partecipanti alla comunione. A conferma di tale teoria vi è poi il
fatto che le decisioni relative al bene vengano adottate a maggioranza. Tuttavia con
tale teoria non sarebbe possibile individuare un soggetto autonomo, dotato di propria
autonomia patrimoniale;
-Una seconda teoria ritiene che la comunione comporti la presenza di una pluralità di
diritti di proprietà sul bene tra loro uguali ma limitati nel contenuto a causa della loro
coesistenza. Tuttavia, tale teoria, non è in grado di spiegare la quota spettante ad ogni
proprietario. Infatti i partecipanti alla comunione sono contitolari di un unico diritto
di proprietà sull'intero bene, mentre al singolo comproprietario spetta la titolarità
esclusiva della quota ideale della comunione (ossia una porzione ideale del bene;
quanta parte del diritto di proprietà spetta al singolo comunista). Ne deriva che il
comprorpietario possa esercitare il diritto di proprietà su tutto il bene, nei limiti in cui
ciò non comporti pregiudizio per gli altri.
Gli art. 1100 s., infatti, disciplinano la c.d. comunione pro indivisio (comunione di
tipo germanico) nella quale il diritto di ciascuno dei partecipanti si estende sull'intero
bene ed in cui gli stessi sono titolari esclusivi solo di una quota ideale dello stesso. La
quota è ideale poiché non indica una precisa parte del bene appartenente in via
esclusiva al partecipante, ma in una misura che si tradurrà in porzione concreta del
bene solo in sede di divisione.
Questa forma di comunione si distingue dalla comunione pro divisio nella quale
ciascuno dei comunisti e proprietario di una parte individuata della cosa (comunione
di tradizione romanistica).
Si verifica sia la comunione tra proprietari, sia tra titolari di diversi diritti reali sul
bene: è questo il caso in cui i proprietari del frutteto siano Tizio e Caio, e Sempronio
ne sia usufruttuario. Nell'ipotesi in cui i due proprietari abbiano concesso
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all'usufruttuario il diritto di godere del bene mantenendo per sé eguale prerogativa,
non si verserà nell'ipotesi di comunione ordinaria poiché essa presuppone la
contitolarità del medesimo diritto. Si tratta, invece, di una figura atipica di comunione
alla quale viene comunque applicata la disciplina agli artt. 1100 s.
La disciplina della comunione
La disciplina della comunione è derogabile tramite convenzioni (art. 1100). Tali
deroghe richiedono il consenso di tutte le parti (no maggioranza). In relazione alle
modalità di costituzione si distingue tra:
• Comunione volontaria → costituita con contratto dalle parti (ad es. dei soggetti
che mettono in comune beni di rispettiva appartenenza);
• Comunione forzosa → essa si verifica in virtù della legge o dell'avvenuto
esercizio di un diritto potestativo. Essa non può essere sciolta (ad es.
condominio e la comunione forzosa del muro);
• Comunione incidentale → essa, pur costituendosi indipendentemente dalla
volontà dei partecipanti, può essere sciolta (ad es. la comunione ereditaria che
si instaura tra i coeredi in assenza di un'indicazione testamentaria che indichi
specificatamente i beni spettanti ad ognuno di essi).
Per quanto riguarda l'uso del bene, l'art. 1102 stabilisce due soli limiti:
1. il comunista non deve alterarne la destinazione;
2. esso non deve ostacolarne l'utilizzazione da parte degli altri comunisti.
L'art. 1102 prevede dunque la possibilità di detenere la cosa, di goderne e di
percepirne i frutti. Tuttavia non tutte le cose sono suscettibili di tali usi simultanei.
Nel caso in cui ciò non sia possibile, deve ritenersi consentito un uso esclusivo che
temporaneamente escluda gli altri, a patto che ne sia garantita l'alternanza all'uso (ad
es. parcheggio auto).
Se la cosa è suscettibile di essere goduta in maniera frazionata, l'autonomia privata
(art. 1322) consente alle parti di prevedere tale godimento frazionato. In questo caso
l'atto avrà ad oggetto l'esercizio del godimento del bene, e non il diritto di proprietà
sullo stesso. La conseguenza è che i comunisti, pur godendo ognuno di una frazione
specifica del bene, si divideranno le spese in base alla misura della propria quota, le
quali si presuppongono uguali.
Le decisioni attinenti all'amministrazione della comunione sono assunte secondo
principio maggioritario. La maggioranza richiesta può essere semplice (=non si
ritiene “una testa un voto” ma il voto viene dato sulla base del valore delle quote) per
gli atti di ordinaria amministrazione; o qualificata (=è necessario che la deliberazione
si assunta da una maggioranza dei partecipanti che rappresenti almeno 2/3 del valore
della cosa) per le innovazioni sulla cosa e atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.
E' invece necessario il consenso di tutti i partecipanti (unanimità) per gli atti che
comportino una sottrazione ai comunisti della proprietà del bene o del pieno
godimento di esso (ad es, alienazione). Dunque l'amministrazione del bene è di
carattere congiuntivo.
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Ai comunisti dissenzienti è data la possibilità di rinunziare al proprio diritto o di
impugnare (entro 30 giorni dalla deliberazione) le deliberazioni illegittime (=quando
siano pregiudizievoli per la cosa o quando i comunisti non siano stati
sufficientemente informati sull'oggetto della deliberazione). Può inoltre essere
richiesto, da qualunque comunista, l'intervento dell'autorità giudiziaria.
L'atto di rinunzia è una dichiarazione unilaterale, non recettizia e con effetto
abdicativo e liberatorio. Essa produce l'accrescimento delle quote degli altri
partecipanti alla comunione. Tuttavia, il comunista che abbia contribuito a
determinare la spesa, non può liberarsi dall'obbligazione. Diversa dalla rinunzia è la
cessione della quota che realizza non un'abdicazione ma un trasferimento della
titolarità della quota.
La disciplina della comunione è contenuta in un regolamento e riguarda tutti e tre i
tipi di comunione. Tale disciplina riconosce a ciascun comunista il diritto di disporre
autonomamente della propria quota, alienandola o costituendo su di essa diritti di
godimento o di garanzia a favore di terzi (art. 1103).
Lo scioglimento
La comunione cessa con lo scioglimento: la legge attribuisce a ciascun comunista tale
diritto potestativo. Se gli altri partecipanti non acconsentono ad una divisione
negoziale, sarà possibile ricorrere ad una divisione giudiziaria (essa può stabilire un
rinvio dello scioglimento là dove esso possa pregiudicare gli altri comunisti se
avvenuto nell'immediato).
Non tutti i beni sono suscettibili di divisione (art. 1112). Una cosa non è divisibile se
la divisione ne compromette la destinazione. Pertanto quando non sia possibile
dividere in natura il bene, e quando l'unica forma di divisione possibile sia
l'assegnazione di tutta la cosa ad un solo comunista o la vendita ad un terzo (c.d.
divisione civile), il bene dovrà considerarsi non soggetto a divisione solo se, in virtù
di tale operazione, esso perderebbe il proprio valore d'uso (il quadro non è divisibile
in natura, tuttavia può essere venduto ad un terzo senza perdere la sua destinazione,
per questo si considera comunque divisibile). Esempio di bene non divisibile è l'atrio
d'ingresso che serve a due appartamenti.
Il codice guarda con disfavore alla comunione, ciò è evidenziato sia dalla possibilità
che esso attribuisce ad ogni comunista di sciogliere la stessa; sia dal fatto che la
validità di un eventuale patto con cui le parti si impegnano a rimanere in comunione è
contenuta entro il limite massimo di dieci anni. Inoltre, là dove le parti si siano
obbligate a mantenere in vita la comunione, l'autorità giudiziaria può ordinarne lo
scioglimento prima del termine convenuto.
La divisione ha efficacia retroattiva; alla divisione delle cose comuni si applicano le
norme sulla divisione ereditaria.
Ciascun partecipante può richiedere l'estinzione delle obbligazioni in solido contratte
per la cosa comune, che siano scadute o scadano entro l'anno dalla domanda
didivisione. La somma per estinguere le obbligazioni si preleva dal prezzo di vendita
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della cosa comune. Tutte le obbligazioni assunte dalla comunione sono da
considerarsi solidali.
Il condominio degli edifici
Negli edifici con più unità abitative ciascuno dei condomini, oltre ad essere
proprietario del proprio appartamento è comproprietario della parti comuni
dell'edificio stesso. La l. n. 220/2012 ha riformato l'istituto del condominio degli
edifici; infatti accanto alle parti comuni tradizionali (elencate all'art. 1117 c.c.) si
pongono oggi, ad es., i sistemi “per la ricezione televisiva e per l'accesso a qualunque
altro genere di flusso informativo, anche da satelli te o via cavo”. Il diritto di
condominio ed il relativo regime giuridico presuppone il c.d. regime dualista: cioè
che negli edifici siano individuabili alcune parti (ad es. le scale) strumentali al
godimento e all'uso di altre (ad es. l'appartamento).
Il condominio è una particolare ipotesi di comunione forzosa: le parti comuni
dell'edificio, infatti, non sono soggetet a divisione (“a meno che la divisione possa
farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino” e vi sia il
consenso di tutti i partecipanti al condominio). Il condomino non può rinunciare al
prorpio diritto sulle parti comuni; tuttavia prima della legge si ammetteva tale
rinuncia (anche ad utulizzare l'impianto centralizzato di riscaldamento e
condizionamento), senza tuttavia che ciò potesse consentire al condomino di esimersi
dal contribuire alle spese per la conservazione di tali parti comuni.
Il condominio è costituito per legge e, perché un edificio possa individuarsi come
tale, è sufficiente il riscontro con il regime dualista. Perciò la giurisprudenza ha
avuto modo di chiarire che l'applicabilità della disciplina del condominio non dipende
dalla destinazione d'uso o dalla conformazione delle cose in proprietà esclusiva,
stabilendo che tale disciplina possa essere applicata anche al caso in cui alcune parti
dell'immobile in proprietà esclusiva di un condominio abbiano una destinazione
alberghiera.
Quindi ci si trova innanzi ad un condominio quando visiano almeno due proprietà
individuali e una comproprietà su beni strumentali a tali proprietà individuali (c.d.
condominio minimo). La l.n. 220/2012 non disciplina questa particolare ipotesi di
condominio. Ci si è soffermati, in particolare, sulla differenza tra condominio minimo
e comunione ordinaria; differenza che influisce su vari aspetti della disciplina: ad
esempio in ambito di rimborso delle spese necessarie alla conservazione della cosa
comune sostenute dal singolo condomino:
• Nella comunione ordinaria il rimborso spetta al condomino ove egli abbia
agito in caso di “trascuranza degli altri partecipanti o dell'amministratore”;
• Nella disciplina del condominio non basta l'inerzia degli altri, ma è necessario
anche che la spesa fosse urgente.
Si è così deciso di applicare la disciplina dei condomini anche al caso di condominio
minimo. Tuttavia non sono applicabili ad esso le norme sull'assemblea condominale,
sicché le deliberazioni del condominio sono sottoposte alla regolamentazione prevista
31
per l'amministrazione della comunione in generale.
Quando i condomini siano più di otto, l'assemblea deve nominare un amministratore.
Esso è legato all'assemblea da un rapporto fiduciario, riconducibile al contratto di
mandato, e può essere revocato in qualsiasi momento. In virtù della natura fiduciaria
del rapporto si è discusso se potesse ammettersi anche una persona giuridica quale
amministratore: con la disciplina introdotta dalla l.n. 220/2012 il legislatore ha
previsto che ciò fosse possibile, in forma societaria.
La l.n. 220/2012 ha ampliato gli obblighi gravanti sull’amministratore, esso ha
l’obbligo di:
•Far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi e quelle
erogate per conto del condominio su uno specifico conto corrente intestato al
condominio stesso;
•Di agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi
dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso;
•Eseguire le deliberazioni dell’assemblea;
•Curare l’osservanza del regolamento di condominio;
•Disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi per il condominio;
•Riscuotere i contributi ed erogare le spese per la manutenzione delle parti comuni
dell’edificio;
•Compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio;
•Curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di
nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità;
•Conservare la documentazione della gestione;
•Fornire eventuali attestazioni relative allo stato dei pagamenti degli oneri
condominiali e delle eventuali liti in corso;
•Redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione;
Ai condomini e ai titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari si
riconosce il diritto di prendere visione dei documenti di spesa, mentre si attribuisce
all’assemblea condominiale il potere di nominare un revisore che verifichi la
contabilità del condominio; inoltre all’assemblea viene riconosciuto il potere di
nominare un consiglio di condominio con funzioni consultive e di controllo. Per lo
svolgimento delle sue attività l’amministratore ha la
rappresentanza dei partecipanti (perché il condominio non è un ente personificato).
L’amministratore può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro terzi. I poteri
di rappresentanza in giudizio sono conseguenza delle attribuzioni sussistenti in capo
all’amministratore ai sensi degli artt. 1129-1130. L’amministratore può
essere convenuto in giudizio per qualunque azione riguardante le parti comuni
dell’edificio. I provvedimenti presi dall’amministratore sono obbligatori per i
condomini. Quando il numero dei proprietari è superiore a dieci, deve essere
predisposto un regolamento (ciascun condomino può intervenire per la sua
formazione; esso deve essere approvato con la maggioranza stabilita dall’art. 1136
32
co.2) condominiale che disciplini l’amministrazione del condominio. Le norme del
regolamento non possono ridurre i diritti dei singoli proprietari. Inoltre tali norme non
possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Spetta all’assemblea dei
condomini assumere le decisioni relative alla manutenzione e gestione dell’edificio.
Le deliberazioni sono obbligatorie anche per la minoranza dissenziente, ma ove
contrarie alla legge essi (e i condomini assenti) possono impugnarle entro trenta
giorni dalla loro comunicazione (tali delibere possono essere annullate anche dal
condomino astenuto).
A seguito della l.n. 220/2012, per le modificazioni delle destinazioni d’uso delle parti
comuni è stato previsto un procedimento rafforzato che richiede analitiche garanzie
procedurali.
Anche il regime delle opere su parti di proprietà (o uso) individuale ha subito
modifiche; il legislatore del 2012 ha formalizzato il principio secondo il quale la
singola proprietà individuale, trovandosi all’interno di una più ampia struttura,
subisce necessariamente una limitazione, assoggettata al vivere collettivo. Questo
principio di collettività trova applicazione anche per i beni che seppure per la loro
funzione e destinazione potrebbero essere definiti condominiali, vi vengono sottratti
per effetto di atti di disposizione. Ciascuno dei proprietari è tenuto a partecipare
(proporzionalmente alla quota) alle spese necessarie per lamanutenzione e
il godimento delle parti comuni, e a quelle relative alle innovazioni. Le innovazioni
ricomprendono solo quelle modifiche che determinano un’alterazione della cosa
comune o il mutamento della destinazione originaria. Ove l’innovazione comporti
una spesa notevole (abbia carattere voluttuario), i condomini che non intendano
trarne vantaggio sono esonerati dal contribuirvi. Il diritto di sopraelevare spetta solo
al proprietario dell’ultimo piano.
Si parla di supercondominio per indicare quelle ipotesi in cui più edifici hanno parti
in comune (ad es. giardini di un complesso residenziale). Fino al legislatore del 2012
questa figuara non aveva disciplina nella legge: ci si domandava se ad esso andasse
applicato il regime del condomio, della comunione ordinaria o della servitù. Con la
l.n. 220/2012 viene estesta al supercondominio la normativa degli artt. 1117 ss. (in
ambito di condominio).
La multiproprietà
La multiproprietà realizza forme di godimento turnario dello stesso immobile
(solitamente in un complesso turistico alberghiero) da parte di più soggetti. Il
multiproprio acquista il diritto di godere del bene per un determinato periodo
dell'anno, e si alterna nell'uso dell'immobile con gli altri titolari secondo un sistema
turnario stabilito in sede di acquisto. La gestione delle parti comuni del complesso è
affidata ad una società alla quale i multiproprietari sono obbligati a versare periodici
oneri condominiali. La principale difficoltà è stata riscontrata nella sua qualificazione
dogmatica: esso non può costituire un diritto reale atipico in quanto andrebbe contro
il principio di tipicità dei diritti reali. Si è cercato di ricondurre la multiproprietà a
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figure tradizionali quali la comunione (perché i proprietari concordano un uso
turnario del bene) e la proprietà temporanea (qui l'oggetto del diritto è individuato
non solo nello spazio ma anche sul piano temporale).
La qualificazione risulta complessa a causa della ereogeneità delle figure
riconducibili all'uso turnario del bene. La multiproprietà immobiliare presenta, infatti,
sia caratteri tipici dei diritti reali che dei diritti personali di godimento. Per
quest'ultimo aspetto si fa riferimento al caso della multiproprietà azionaria: in queste
ipotesi la società vende azioni alle quali è collegato il diritto di utilizzare in
determinati periodi dell'anno una frazione spazio-temporale individuata nel
complesso immobiliare. Tale diritto, però, non sembra configurabile come diritto
assoluto opponibile erga omnes, ma come un diritto di credito del socio nei confronti
della società. Dunque, la situazione soggettiva del multiproprietario si inserisce in un
rapporto obbligatorio tra questi e la società (no diritto reale).
Per questi motivi il legislatore non ha definito la natura giuridica del fenomeno fino
al d.lgs. del 23 maggio 2011. Prima di esso veniva regolata in generale l'attività di
contrattazione posta in essere da quei soggetti professionali che costituiscono,
trasferiscono o promettono il trasferimento o la costituzione del diritto di
multiproprietà; oppure quei professionisti che promuovono la vendita in
multiproprietà di beni immobili con riguardo ai contratti relativi all'acquisizione di un
diritto di godimento ripartito di beni immobili (=contratti della durata di almeno tre
anni con i quali, verso pagamento, si costituisce un diritto reale o un altro diritto
avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo
determinato). A livello europeo viene invece fornita una definizione parzialmente
diversa del contratto che ne attenua il contenuto reale, ora espressamente chiamato
contratto di multiproprietà. In seguito alle modifiche apportate dal legislatore del
2011, il cdc fa oggi espresso riferimento al contratto di multiproprietà quale contratto
di durata superiore ad un anno tramite il quale un consumatore acquisisce e titolo
oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un
periodo di occupazione. Accanto ad esso sono stati previsti:
• Contratto di rivendita → un operatore assiste a titolo oneroso un consumatore
nella vendita o nell'acquisto di una multiproprietà;
• Contratto di scambio → un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema
di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri
servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso temporaneo ai vantaggi
risultanti dal suo contratto di multiproprietà;
• Contratto relativo ad un prodotto per le vacanze di lungo termine → con esso il
consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di nottenere sconti o vantaggi
relativi ad un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio;
Il soggetto titolare del diritto è oggi definito consumatore (non acquirente); per la sua
tutela è previsto l'obbligo del venditore di fornirgli dettagliate informazioni
precontrattuali delle quali il legislatore detta contenuto, modalità (chiare e
comprensibili), tempi e forma (su carta o altro supporto durevole). La forma scritta è
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richiesta anche per il contratto, a pena di nullità. Al consumatore è riconosciuto il
diritto di recedere entro quattordici giorni dalla conclusione del contratto di
multiproprietà. La legge dispone la nullità delle clausole contrattuali o dei patti
aggiunti di rinuncia dell'acquirente ai diritti previsti dalla legge o di limitazione delle
responsabilità del venditore. Tutto ciò al fine di tutelare il consumatore.
Diritti sulle cose, possesso e detenzione. La nozione di possesso
A volte è sufficiente l'esercizio del godimento sul bene per ricevere la tutela da parte
dell'ordinamento, a prescindere dal fatto che tale godimento trovi legittimazione in un
diritto (reale o personale). E' questo il caso del possesso, art. 1140 ai sensi del quale
“il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”. Il possesso rappresenta, dunque, il
contenuto del diritto di proprietà o di altro diritto reale, colto nel momento
dell'effettivo esercizio delle prerogative riconducibili a tale contenuto.
Si fa distinzione tra la situazione di diritto (=proprietà o altro diritto reale), e la
situazione di fatto (=il possesso); in base a tale distinzione viene sottolineato come il
possesso sia indipendente dalla titolarità di un diritto. Ne deriva che si debba
distinguere tra i casi in cui il possessore è anche il proprietario (posesso titolato), da
quelli in cui il possessore non è proprietario (possesso non titolato; ad es. ladri); idem
per diritti reali minori. Il possesso è una situazione di fatto giuridicamente rilevante in
quanto produttiva di effetti giuridici tutelati dall'ordinamento.
Si fa distinzione tra possesso e detenzione; entrambe le fattispecie presentano la
caratteristica della materiale disponibilità del bene, a prescindere dalla titolarità di un
diritto. Tuttavia, perchè ci si trovi dinnanzi ad un possesso sono necessari due
requisiti:
1. Oggettivo (corpus) → materiale disponibilità del bene;
2. Soggettivo (animus possidendi) → intenzione del possessore di usare la cosa
come se ne fosse proprietario, usufruttuario ecc..
E' proprio l'animus che distingue il possesso dalla detenzione: il detentore ha la
materiale disponibilità della cosa, ma nell'usarla, riconosce l'altrui diritto. In
particolare mentre i poteri esercitati dal detentore derivano da un titolo costitutivo (ad
es. il contratto di locazione) il quale ne determina in modo rigoroso la latitudine; i
poteri esercitati dal possessore trovano la propria legittimazione soltanto in se stessi.
Chi detiene una cosa è consapevole che la sua posizione è subordinata e derivata da
quella di un altro soggetto. Dunque, tale distinzione ha un fondamento oggettivo e
non rileva, in realtà, l'intimo convincimento del soggetto, ma il modo in cui egli si
comporta. Infatti, nel passare dalla detenzione al possesso di una cosa (mutamento
della detenzione in possesso), non è sufficiente la volontà ma è necessario che si
verifichi un fatto obliettivo: o il mutamento del titolo (ad es. il locatario che, in virtù
di una donazione, ne diviene proprietario), o l'adozione di un comportamento
incompatibile con il fatto di riconoscere un altrui diritto reale sul bene (c.d.
opposizione contro il possessore).
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Possesso e detenzione dello stesso bene possono coesistere in capo a diversi soggetti,
infatti, ai sensi dell'art. 1140 “si può possedere direttamente o per mezzo di un'altra
persona, che ha la detenzione della cosa”: il fatto che un soggetto possa non avere la
materiale disponibilità del bene, non esclude che lo possieda. E', piuttosto, necessario
che egli non perda il controllo sulla cosa, e che colui che ne ha materialmente la
disponibilità gli riconosca un diritto assoluto sul bene (possesso mediato o indiretto).
Mentre la detenzione deve essere provata (con il titolo), il possesso si presume. Tale
presunzione può essere vinta provando la detenzione, ossia che colui il quale ha la
materiale disponibilità del bene, abbia cominciato a esercitare tale potere
semplicemente come detenzione. Altre regole sono:
• Presunzione del possesso intermedio → il possessore attuale che ha posseduto
in tempo più remoto, si presume che abbia posseduto anche nel tempo
intermedio;
• Presunzione del possesso anteriore → il possesso attuale non fa presumere il
possesso anteriore, salvo la presenza di un titolo che ne confermi l'esistenza.
Si usa, inoltre, distinguere tra detenzione qualificata (=il detentore detiene la cosa a
titolo di diritto personale di godimento) e non qualificata (=il detentore detiene la
cosa per ragioni di ospitalità, colui ospitato a cas altrui, o servizio).
Esistono vari tipi di possesso ai quali ci si riferisce con l'espressione “possesso a
titolo di proprietà” o “possesso a titolo di usufrutto ecc..” a seconda che il possessore
eserciti un diritto di proprietà o un altro diritto reale.
Un medesimo soggetto può possedere lo stesso bene, nel tempo, a vario titolo (ad es.
può iniziare a possedere a titolo di usufrutto e poi arrivare a possedere a titolo di
proprietà). Perché ciò avvenga deve verificarsi la interversione del possesso. Il titolo
del possesso muta o per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui
fatta contro il prorpietario. In particolare, l'usucapione permette di acquistare il diritto
reale corrispondente alla tipologia di possesso esercitato per un certo periodo.
Costituzione e perdita del possesso
Il possesso si può acquistare a titolo originario, attraverso la materiale apprensione
della cosa (l'acquisto prescinde da ogni rapporto con il precedente possessore), o a
titolo derivativo, sulla base della consegna (traditio) effettiva o simbolica della cosa
dal precedente possessore ad un altro soggetto.
Il possesso può essere acquistato a titolo derivativo anche a prescindere dalla
consegna quando chi diviene possessore era già detentore della cosa (traditio brevi
manu), o quando chi cede il possesso della cosa ne conserva la detenzione (costituto
possessorio). In queste due ipotesi si parla di consegna virtuale, essi hanno alla base
l'esistenza di un titolo che muta la qualificazione del precedente.
Vi è poi l'ipotesi del contratto di compravendita che risulta di difficle inquadramento:
con tale contratto la materiale disponibilità del bene viene acquistata ricevendolo dal
venditore che adempie all'obbligazione contrattuale di consegnare. Dunque la
prorpietà del bene viene acquistata con il contratto, mentre la materiale disponibilità
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di esso attraverso la consegna. Si discute sulla qualificazione del venditore che non
abbia ancora proceduto alla consegna; il problema è che in tale ipotesi (costituto
possessorio implicito) il fatto che l'alienante mantenga la materiale disponibilità del
bene non consente di stabilire in termini oggettivi se egli riconosca o meno l'altrui
diritto sullo stesso. Si stabilisce, dunque, che tramite il contratto il venditore
riconosca l'altrui diritto sulla cosa (è detentore della stessa), tuttavia attraverso un suo
atto di opposizione l'iniziale detenzione del bene si trasforma in possesso.
E' stabilito che l'acquisto del possesso non possa avvenire attraverso atti compiuti con
l'altrui tolleranza (art. 1144). La giurisprudenza si riferisce alla tolleranza in termini
di accondiscendenza temporanea e occasionale del possessore del bene (ad es. se
Tizio permette ogni tanto a Caio di parcheggiare l'automobile nel suo posto auto,
Caio non acquisterà il possesso di quest'ultimo. Diverso sarebbe il caso in cui il
permesso scaturisse da un vero e proprio atto negoziale. Per capire se ci si trovi
dinnanzi ad un'ipotesi di tolleranza va in primis valutato se l'attività posta in essere da
chi usa il bene sia qualificabile come possesso. Sono l'occasionalità e la saltuarietà
dell'uso a qualificare l'attività come già di per sé inidonea ad acquistare il possesso (la
richiesta di un permesso occasionale e temporaneo non integra un possesso). Il
concetto di tolleranza cui fa riferimento la norma è da ricollegare ad atteggiamenti
obiettivi del possessore o del proprietario in difetto dei quali si avrebbe l'acquisto del
possesso da parte di chi usa il bene (se Caio continuasse a parcheggiare nel posto
auto, anche se Tizio non si opponesse, egli potrebbe comunque all'occorrenza
chiedere a caio di lasciarlo libero, poiché Caio non è considerato possessore. Se esso
poi vi si opponesse, Tizio potrebbe esercitargli contro l'azione possessoria). Il
possesso può produrre effetti in ragione della sua durata (ad es. usucapione).
E' consentito cumulare il possesso di più persone; in particolare si distingue tra
successione del possesso (=il successore a titolo universale continua il possesso del
defunto) e accessione del possesso (=il successore a titolo particolare può unire il
proprio possesso a quello del suo dante causa per goderne gli effetti).
Il possesso si perde quando viene meno uno degli elementi che lo costituiscono (ad
es. per rinunzia o abbandono della cosa).
Buona fede ed effetti del possesso
Gli effetti giuridici scaturenti dal possesso possono essere raggruppati in tre classi:
1. diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa (artt. 1148-1152);
2. acquisto della proprietà o di un altro diritto reale (possesso vale titolo,
usucapione);
3. tutela giurisdizionale
I primi due dipendono dal fatto che il possesso fosse in mala o in buona fede.(in
senso soggettivo; “è possessore in buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui
diritto” art. 1147). Dunque la buona fede indica lo stato di falsa percezione della
realtà in cui si trova il possessore che usi la cosa nel convincimento di averne pieno
titolo. E' invece in mala fede chi possieda la cosa sapendo di non avere titolo per
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farlo. La buona fede non ha efficacia se dipende da colpa grave, cioè se il contesto nel
quale è avvenuto l'acquisto del possesso era tale che, esercitando anche solo un
minimo di diligenza, ci si sarebbe potuti accorgere che il bene era di proprietà altrui.
La giurisprudenza ritiene che dinnanzi a situazioni di dubbio relativamente al fatto
che una cosa appartenga o meno ad un altro, il possessore deve considerarsi in mala
fede solo se le circostanze relative all'altruità del bene sono palesemente equivoche.
La buona fede è provata per presunzione, ed è sufficiente che sussistesse al momento
dell'acquisto.
Acquiso della proprietà. La regola “possesso vale titolo”
L'acquisto della proprietà sulla base di un possesso del bene prolungato nel tempo
può dipendere dal “possesso vale titolo” (per beni mobili + buona fede) o
dall'usucapione (per beni mobili e immobili + no necessità buona fede); essi sono tipi
di acquisto della proprietà a titolo originario. Per quanto riguarda i beni mobili,
l'applicabilità di una o dell'altra regola di acquisto si valuta in relazione al principio di
specialità: nel caso dei beni mobili, acquistati in buona fede, in virtù di un titolo
idoneo a produrre l'effetto traslativo, da un venditore che non è il proprietario del
bene, l'acquisto del diritto avverrà in applicazione del possesso vale titolo; per le altre
ipotesi si applica l'usucapione.
La regola del possesso vale titolo ha una duplice importanza:
• Importanza tecnica-giuridica → poiché in essa trova applicazione il principio
dell'apparenza (della titolarità del diritto in capo all'alienante), creata
dall'astratta idoneità del titolo e dalla consegna della cosa. Sono questi due i
parametri che consentono di affermare che chi riceve il bene lo riceve in buona
fede, poiché sono tipiche circostanze che normalmente fanno ritenere che chi
aliena è proprietario;
• Importanza generale → la regola sottolinea il primato delle ragioni del
commercio (una rapida e sicura circolazione dei beni) sulle ragioni della
proprietà. Infatti, perché un soggetto possa acquistare la proprietà di un bene è
necessario che l'alienante dia effettivamente proprietario dello stesso; tuttavia,
se ogni volta l'acquirente dovesse verificare che l'alienante sia effettivamente
proprietario, la circolazione delle merci verrebbe rallentata e ostacolata. Da qui
la regola in esame che consente comunque di acquistare il diritto di proprietà
(da un alienante non proprietario). In questo caso la proprietà si acquista a
titolo originario, poiché avendo l'acquirente acquistato la cosa da chi non ne
era proprietario, il negozio non ha prodotto gli effetti traslativi del diritto. Da
canto suo il vero proprietario dovrà limitarsi a chiedere il risarcimento a chi
abbia illegittimamente disposto del suo bene.
Perchè questa regola trovi applicazione debbono ricorrere contemporaneamente tutti i
seguenti presupposti:
a) l'atto di disposizione del bene deve essere stato posto in essere da chi non era
proprietario (acquisto a non domino) o illegittimato. La regola del possesso vale titolo
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non si applica nel caso in cui colui che aliena, pur dichiarando di non essere
proprietario, abbia comunque affermato di essere legittimato a disporre del bene (ad
es. falsus procurator);
b) l'atto di disposizione deve aver avuto luogo sulla base di un titolo astrattamente
idoneo al trasferimento della proprietà (a realizzare l'effetto traslativo). Dunque esso
deve essere per un verso immune da vizi (valido) e, per altro verso, contemplare tra i
suoi effetti il trasferimento della proprietà (ad es. il deposito non è un titolo idoneo in
quanto esso produce effetti obbligatori e non reali);
c) l'acquirente deve essere in buona fede (soggettiva), cioè convinto di acquistare il
bene da un vero proprietario. Non si ha acquisto del diritto, né buona fede, se
l'acquirente era a conoscenza dell'illegittima provenienza della cosa;
d) deve avvenire la consegna (fisica apprensione della cosa) della cosa. Ciò si
comprende se si consideri che la regola del possesso vale titolo nasce dall'esigenza di
agevolare i traffici e di garantirne la certezza grazie al riferimento ad un atto tangibile
come l'avvenuta consegna del bene (senza la consegna la titolarità del bene non
sarebbe di immediata verificabilità.
Ove ricorrano tutti questi presupposti, si perfezionerà immediatamente (no esercizio
continuato del possesso) un acquisto della cosa a titolo originario. Tale proprietà si
acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se essi non risultano dal titolo e vi è la
buona fede del'acquirente. Allo stesso modo si possono acquistare i diritti di uso,
usufrutto e pegno. Infine, ove lo stesso bene sia stato alienato a più persone prevarrà
colui che per primo ha acquistato in buona fede il possesso, anche se il suo titolo era
posteriore.
L'usucapione
L'usucapione è un modo di acquisto a titolo originario dei diritti reali di godimento
basato sul possesso (continuato per venti anni). L'usucapione sottolinea come il
legislatore preferisca, in tema di proprietà produttiva, colui che usa effettivamente il
bene al formale titolare del diritto. Tuttavia è necessario che il possesso presenti
determinati caratteri (possesso ad usucapionem):
• Deve essere continuato nel tempo → il possessore non deve cessare di
possedere;
• Deve essere ininterrotto → il possesso non deve cessare per fatto di terzo o del
proprietario (cause di interruzione sono lo spossessamento, opposizione ad una
interversione del possesso, domanda di rivendica). L'usucapione è interrotta
quando il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno. Tuttavia,
l'interruzione si considera come non avvenuta se il possesso viene recuperato
con la relativa azione;
• Deve essere stato acquistato in modo non violento (deve trattarsi di un
possesso pacifico) né clandestino (deve essere un possesso pubblico);
• Deve durare per il tempo stabilito dalla legge, per il calcolo del quale si
applicano le disposizioni sulla prescrizione.
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Normalmente il tempo richiesto dalla legge è di venti anni (usucapione ordinaria),
allo scadere dei quali il possessore diverrà proprietario del bene, acquistando il diritto
a titolo originario, in virtù di due separati fenomeni, il primo di costituzione del
diritto nella sfera di un soggetto e il secondo nella necessaria estinzione del diritto in
quella dell'altro. La legge non richiede la buona fede, tuttavia essa è in grado di
abbreviare i tempi d'acquisto riducendoli a dieci anni (usucapione abbreviata) in tre
casi:
a) per i beni immobili → nel caso il bene sia stato acquistato in buona fede, sulla base
di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà, e tale titolo sia stato
debitamente trascritto (la trascrizione ha qui efficacia costitutiva);
b) per le universalità di mobili → nel caso il possesso sia stato acquistato in buona
fede sulla base di un titolo idoneo;
c) per i beni mobili: nel caso in cui il possesso sia stato acquistato in buona fede, ma
non in presenza di un titolo idoneo, altrimenti si verificherebbe il possesso vale titolo.
Per l'usucapione dei beni mobili iscritti il codice prevede che chi riceve il bene in
buona fede dal non proprietario, in forza di un titolo idoneo e debitamente trascritto,
acquista il diritto sul bene per usucapione col decorso di tre anni dalla trascrizione.
Le sentenze con cui risulta acquistato per usucapione la proprietà o altro diritto reale
devono essere trascritte, tale ipotesi di trascrizione avrà valore di pubblicità notizia.
Devono inoltre essere trascritti (per essere resi pubblici) gli accordi di mediazione
(tale accordo non ha effetto costitutivo ma di accertamento di effetti prodottisi in
virtù della già avvenuta usucapione del diritto) che accertano l'usucapione con la
sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale.
L'usucapione è un modo di acquisto dei diritti reali di godimento in genere, non della
sola proprietà. Chi ha il possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su
cosa altrui non può usucapire la proprietà della cosa stessa, se il titolo del suo
possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da
lui fatt contro il diritto del proprietario.
Le restituzioni
I diritti e obblighi inerenti alla restituzione della cosa posseduta sono:
• il possessore in buona fede fa i suoi frutti naturali e civili maturati fino al
giorno della domanda giudiziale di restituzione. Egli risponde verso il
rivendicante dei frutti percepiti dopo la domanda giudiziale e di quelli che
avrebbe potuto percepire dopo tale data se avesse usato la diligenza del buon
padre di famiglia;
• sia al possessore in buona che in cattiva fede spetta il rimborso per le
riparazioni straordinarie e un'indennità per i miglioramenti;
• per le addizioni l'art. 1150.
Al possessore in buona fede chiamato a restituire la cosa al legittimo proprietario,
l'ordinamento riconosce il diritto di ritenzione: egli può rifiutarsi di riconsegnare la
cosa finché non gli siano corrisposte le indennità stabilite dal giudice.
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Le azioni a difesa del possesso
Tra gli effetti del possesso vi è anche la tutela giurisdizionale di cui esso gode
attraverso le azioni possessorie (da non confondere con le petitorie che tutelano la
proprietà). I motivi della tutela giurisdizionale del possesso sono da rinvenire nel
divieto di farsi giustizia da soli, nell'esigenza di accordare una tutela semplificata del
diritto di proprietà (poiché normalmente il possessore è anche proprietario) e
nell'esigenza di salvaguardare la destinazione economico-produttiva che alla cosa sia
stata impressa dal possessore. Le azioni sono:
1) di reintegrazione o spoglio (art. 1168) → il possessore ricorre a tale azione in caso
di perdita del possesso; esso viene privato del godimento del bene (spoglio) a causa
di un terzo. E' necessario che tale spoglio sia stato violento (contro la volontà del
possessore) o clandestino (all'insaputa del possessore). Tramite tale azione il
possessore o il detentore chiedono al giudice che venga ripristinata la situazione di
fatto esistente prima dello spoglio. E' legittimato ad esperire tale azione sia il
possessore che chi abbia la detenzione della cosa (eccezion fatta per il detentore
qualificato). L'onere probatorio è la semplice notorietà del possesso e dell'avvenuto
spoglio, non è necessario provare il titolo del possesso. Inoltre, anche se non
espressamente indicato, si richiede che lo spoglio sia stato, oltre che clandestino o
violento, compiuto con l'intenzione di sottrarre il bene al possessore o al detentore
(animus spoliandi). La giurisprudenza, tuttavia, non richiede all'attore di provare tale
elemento soggettivo, ritenendolo insito nel comportamento del terzo. La
reintegrazione si può domandare anche contro chi, pur non essendo l'autore dello
spoglio, è nel possesso del bene in virtù di un titolo particolare. L'azione è soggetta ad
un termine annuale di decadenza, deccorrente dall'avvenuto spoglio;
2) Se il possessore è stato turbato o molestato nel possesso, può esercitare l'azione di
manutenzione (art. 1170). Presupposto di tale azione è un'interferenza nel possesso
che pregiudichi in modo grave la fruizione del bene. Inoltre:
• il possesso deve avere ad oggetto beni immobili, diritti reali su immobili o
universalità di mobili;
• è necessario che esso duri da oltre un anno, che sia continuo e ininterrotto e che
sia stato acquistato in modo non violento né clandestino;
• tale azione non può essere esercitata dal detentore.
L'azione di manutenzione è soggetta ad un termine annuale di decadenza che decorre
dal momento in cui si è manifestata la turbativa.
3) il possessore, al pari del proprietario o del titolare di un altro diritto reale, può
esercitare anche le azioni di nunciazione.
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