ITALIANO
L'anno Mille fa da spartiacque anche per la questione linguistica: durante l'Alto Medioevo il
latino è l'unica lingua scritta; nel Basso Medioevo si affermano progressivamente le letterature
nazionali. nell’Alto Medioevo la lingua parlata derivante dal latino si era progressivamente
trasformata fondendosi con le varie lingue provenienti dai popoli germanici. Così la distanza tra
latino parlato quello scritto era diventato sempre più grande. da questo nacquero delle lingue
volgari, dette anche romanze. dunque per un periodo la cultura scritta è legata al latino mentre
quella orale al volgare. Dunque possiamo dire che il latino veniva usato solo dagli scrittori e nei
documenti, mentre il volgare dal resto della popolazione. Solo nel Basso Medioevo anche il
volgare viene utilizzato nello scritto. dallo stesso secolo in Italia, Francia e Spagna la conoscenza
del latino è molto ridotta e ciò nello scritto porta la confusione tra latino e lingue parlate. Fu solo
con Carlo Magno che si ritorno allo studio del latino, cercando di ricondurlo alla sua purezza
originale. Ciò comportò però la consapevolezza della netta distanza tra il latino pure quello
derivato. Una testimonianza importante il concilio di Tours (813), voluto proprio da Carlo Magno,
nel quale si prende atto di un bilinguismo: il latino puro veniva usato per redigere gli atti ufficiali
della chiesa; il latino volgare, tedesco e francese, veniva usato per le predicazioni religiose. La
più antica testimonianza scritta in volgare romanzo è il giuramento di Strasburgo (842),
giuramento di fedeltà reciproca tra Carlo il calvo e Ludovico il germanico. Questo viene
pronunciato sia in lingua tedesca che francese alla presenza dei due diversi eserciti. I due
sovrani si scambiarono i giuramenti nella lingua parlata dalle truppe dell’altro, l’esercito, poi,
giurò nella rispettiva lingua. dopo il 1000 nascono le lingue neolatine: italiano (sardo), francese,
spagnolo, catalano, portoghese, rumeno e romanzo. In Germania e nelle isole britanniche,
invece, si parlano lingue germaniche ossia di ceppo linguistico germanico, rispettivamente il
tedesco e l’anglosassone → sono sempre indoeuropee ma non leolatine/romanze.
Il volgare in Italia si afferma in ritardo sia come lingua parlata che scritta per due ragioni:
- Il prestigio conferito al latino dalla chiesa e Roma.
- La mancanza di un potere centrale che favorisse alla diffusione del volgare.
I primi documenti in volgare italiano furono usati inizialmente nella comunicazione scritta per fini
pratici. Tra questi troviamo:
- l’indovinello veronese, composto tra l’VIII e l’XI secolo da un anonimo scrivano e ritrovato nel
1924 in un codice della biblioteca capitolare di Verona (da cui prende appunto il nome)
-Il Placito Capuano, una testimonianza giudiziaria ridata a Capua nel 960 a.C. e relativa una
questione di conflitti. Questo è il primo vero esempio di uso consapevole del volgare in un testo
scritto.
L’indovinello veronese (fine VIII / inizio IX sec.)
L’indovinello veronese è un breve testo scritto tra fine VIII e inizio IX sec. a.c. da un amanuense
su un codice, un libro manoscritto in pergamena, della biblioteca capitolare di Verona. La lingua
di questo testo è molto simile al latino, ma molte parole sono scritte in modo diverso, per
esempio i verbi non presentano la terminazione -t della desinenza della terza persona singolare.
È un indovinello scolastico che allude alla scrittura e la risposta all’indovinello è lo scrivano/
l’amanuense: i buoi sono le dita della mano dello scrittore, i prati sono il foglio bianco di
pergamena, l’aratro la penna d’oca, il nero seme l’inchiostro.
L’interpretazione dell’indovinello si basa sul parallelismo tra l’atto di arare e seminare e quello di
scrivere, tra il contadino e lo scrivano/l’amanuense. Nel testo si riscontrano livelli linguistici e
tematici diversi (alti/bassi, dotti/popolari)
Pur presentando ancora dei latinismi [pareba da parabat (con la b intervocalica dell’imperfetto);
boves, albo, semen], il testo è intenzionalmente scritto in volgare per:
- la mancanza di desinenze nei verbi (caduta della t finale);
- se al posto di sibi;
- o al posto di um negli accusativi (albo versorio; negro al posto di nigrum);
- e al posto di i (negro al posto di nigrum).
Si tratta di una lingua di transizione tra un latino evoluto e una forma primitiva di lingua romanza.
Il placito capuano [placitum “ciò che è piaciuto” (scil. al giudice) = “sentenza”]
è il testo di una sentenza, scritta in latino nel 960 a conclusione di un processo, in cui il giudice
di Capua, Arechisi, inserisce, trascrivendolo testualmente, il giuramento in volgare pronunciato
da 3 testimoni nell’ambito di una lite giudiziaria avvenuta, in merito alla proprietà di alcune terre,
tra il monastero di Montecassino e un proprietario terriero laico, un tal Rodelgrimo d’Aquino. I
testimoni, a favore del monastero di Montecassino, giurano in volgare, perché non conoscono il
latino. La parlata è quella campana (ko dal latino quod; kelle, ki =caduta delle consonanti finali).
Qui possiamo notare anche la consapevolezza dei compositori che hanno trascritto il documento
in latino nonostante il discorso fosse in volgare.
La presenza di latinismi e di termini della tradizione cancelleresca, fa ritenere che il testo della
testimonianza giurata sia stato elaborato in precedenza da altri, ma in maniera da renderlo
comprensibile a persone senza cultura; gli atti notarili erano infatti redatti normalmente in latino.
A livello linguistico si colgono notevoli trasformazioni rispetto all’indovinello veronese, infatti si
tratta ormai di un volgare italiano nettamente distinto dal latino.
L’iscrizione di San Clemente
Negli affreschi della Basilica Inferiore di San Clemente sono raffigurati alcuni miracoli attribuiti al
santo. In uno di essi è raccontata la leggenda miracolistica del prefetto Sisinnio, che, arrabbiato
a causa della conversione della propria moglie Teodora, la seguì con alcuni servitori.
Quando la trovò in una sala mentre assisteva ad una messa celebrata da Clemente, logorato dal
sospetto che la moglie avesse una relazione con il santo, ordinò l’arresto di questi, ma Dio non lo
permise rendendo ciechi sia Sisinnio che i servitori. Il prefetto restò cieco fino al suo ritorno a
casa.
La parte dell’affresco che ci interessa rappresenta il patrizio Sisinnio nell’atto di ordinare ai suoi
servi di legare e trascinare San Clemente, che, nel frattempo, si è trasformato in una colonna di
marmo. È possibile leggere delle espressioni di vario registro linguistico, la cui attribuzione è
fortemente discussa. Anche in questo caso convivono il volgare parlato dai servi e da Sisinnio
con delle influenze romanesche e il latino dotto ed ecclesiastico parlato dal Santo.
Letteratura provenzale (per lo più lirica d’amore)
A Provenza nel 1070, nasce la letteratura provenzale, che si avvale del volgare in lingua d’oc.
Essa raggiunge il massimo splendore tra 1175 e 1205 e durò fino al 1230: questa tramonta
quando con il trattato di Parigi, il mezzogiorno italiano passa dalla Provenza al sud della Francia. I
poeti di questa erano detti trovatori dal verbo trobar, che significa appunto “comporre musica”. Il
primo dei trovatori, secondo la tradizione, fu Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), un grande
signore feudale amante della guerra e dei piaceri. Proprio per questo possiamo parlare di lirica
“trobadorica”. Esistono 3 tipi di trobar nella letteratura provenzale:
– TROBAR LEU “lieve, semplice”, facile e chiaro alla lettura (es. Bernardt de Ventadorn un
giullare). La scrittura si basa sulla concretezza, sull’amabilità e sulla levità della vita. Costui
nella “canzone della lodoletta” [allodoletta] parla dell’antitesi tra l’allodola, esempio di
gioia, e il poeta infelice per la donna crudele che rende vano il servizio d’amore. Egli, non
canta l’amore come processo che nobilita l’amante come i cavalieri, bensì come processo
distruttivo.
– TROBAR CLUS “chiuso e aspro” dalla scrittura densa e difficile da decifrare (es. Arnaul
Daniel, che viene ammirato da Dante nel XXVI canto del Purgatorio)
– TROBAR RIC “fiorito” ricco di virtuosismi tecnici
La donna è celebrata esteticamente, stilizzata con andamento verticale discendente (dal volto
in giù) e concepita quasi come un essere sublime. La donna sprigiona un potere sovrumano, ma
non c’è il moralismo dell’ideale cristiano: la donna è un’esperienza sul piano terreno, è corporea
e sensuale. L’uomo adora la sua donna e si proclama suo umile servitore, infatti il poeta si rivolge
a lei senza pretendere nulla. Questo è un amore che non verrà mai appagato, infatti è un amore
che porta sofferenza, ma anche gioia. Quindi si può dire che il poeta parla di un amore più
concettuale che reale, più qualcosa di mentale.
Tipo di amore (alcuni esempi)
Si passa dall’Amor de lohn (“Amore da lontano”, teorizzato da Jaufré Rudel), un amore più
raffinato e idealizzato, alla descrizione anche sensuale della donna e degli incontri d’amore.
Le 5 virtù laiche acquisite dall’amante sono:
1. misura morale;
2. ragionevolezza;
3. capacità affettiva;
4. riconoscimento sociale;
5. servizio d’amore.
Il genere per eccellenza è la grande canzone d’amore, dal complesso sistema metrico.
Altri generi di componimento sono:
● Cobla esparsa componimento formato da una sola cobla (“stanza”/trofa) [antenata del
sonetto]
● il compianto (planh)
● la tenzone, uno scambio di poesie o strofe tra poeti durante una discussione, in genere su
argomenti amorosi, morali o politici;
● Sirventese un componimento d’argomento per lo più politico
● la pastorella (pastorelle), in cui un cavaliere cerca di sedurre una contadina, che resiste
alla seduzione;
● l’alba (aube), un lamento dell’amante o della donna, addolorati perché l’arrivo dell’alba li
separa;
I primi documenti linguistici in volgare italiano furono usati inizialmente nella comunicazione
scritta per fini pratici, come la compilazione di documenti (es. Indovinello veronese, Placito
capuano, Iscrizione di San Clemente).
A partire dal XII secolo però, si iniziò ad usare il volgare italiano anche per comporre testi
“letterari”, quindi non più solo pratici, come i ritmi giullareschi, ossia componimenti versificati
dai giullari, destinati al popolo, composti in un linguaggio ricco di forme dialettali, latinismi,
francesismi, e quindi ancora lontano da una fisionomia coerente e unitaria. Degli esempi sono: il
Ritmo laurenziano (1151/1157 d.C.), il Ritmo Cassinese o il Ritmo di sant’Alessio, collocati tra la
fine del XII e gli inizi del XIII secolo dunque in un ambito sociale vicino al mondo ecclesiastico.
In realtà la prima vera e più antica manifestazione della nostra letteratura è il Cantico del Frate
Sole, più conosciuto come Cantico delle Creature, composto da San Francesco D’Assisi: una
specie di inno religioso nel quale veniva lodato Dio, pensato per far pregare la gente con l’uso del
volgare umbro.
Il genere della LAUDA
La lauda (da laus, laudis “lode”) si sviluppò particolarmente nell’italia centrale, in Toscana e in
Umbria. Si tratta di una preghiera di lode e ringraziamento a Dio, alla Madonna e ai santi,
cantata dal popolo in occasione di processioni e manifestazioni popolari religiose, infatti essa era
di carattere popolare, proprio della letteratura italiana dei primi secoli. Questa inoltre narrava
anche i fatti e la storia di quest’ultimi e contenevano appelli e incitamenti alla penitenza e
invocazioni alla misericordia divina.
Un elemento importante è la musica, poiché la lauda è composta proprio per essere cantata
collettivamente, inizialmente era trasmessa solo per via orale, solo in seguito fu trascritta nel
laudari (raccolta di laude).
La lauda poteva essere lirica o drammatica:
1. LAUDA LIRICA
queste avevano un carattere lirico-narrativo; lirico perché era basato su sequenze ritmiche
cantate, narrativo perché l’autore stesso narrava i fatti direttamente.
2. LAUDA DRAMMATICA
sugli stessi argomenti ci furono laude a dialogo di carattere drammatico. L’autore non narrava più
i fatti direttamente ma incita al dialogo sui fatti altri personaggi, che recitano strofe diverse
interpretando i personaggi del Vangelo.
IL CANTICO DELLE CREATURE DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
Il cantico delle creature (laudes creaturarum) o cantico di Frate Sole è il primo testo letterario
italiano in volgare, di alto valore poetico. Esso è composto nel 1224-1225, un anno prima della
morte di San Francesco (1226).
È una preghiera a Dio in volgare umbro in cui si invita a lodare il signore e le sue creature, dal
sole agli astri, ai quattro elementi. Dopo la dichiarazione di amore per Dio tramite le cose da lui
create, nell’ultima parte ci suggerisce di vivere l’esperienza del perdono e considerare la morte
corporale una sorella, che ci accompagna alla vita eterna.
Esso è costruito su una struttura salmica basata su raggruppamenti (lasse assonanzate da 2-5
versi). Il ritmo è lento e ricalca un tipo di preghiera che si chiama “mattutino”.
Francesco d’Assisi vuole rivolgersi agli umili e agli ignoranti del latino.
Per questo motivo:
- la lingua è il volgare umbro;
- il testo ha un impianto strutturale semplice;
- il discorso è condotto con immagini comuni e concrete.
Per quanto riguarda invece la funzione ideologica, lui voleva:
- lasciare ai confratelli e ai devoti un inno da cantare in lode del Signore;
- contrastare le eresie/il pessimismo;
- mostrare l’aspetto sereno della morte e del rapporto con Dio.
Le tematiche presenti in questa sono:
- nuova concezione della vita, della natura positiva rispetto al pessimismo millenaristico,
- il principio evangelico della fratellanza unisce il creato a Dio e riscatta l’uomo dalla visione di
subalternità→ la struttura del cantico è incentrata sull’abbraccio fraterno tra uomo e creato.
- l’uomo poiché ha creato Dio ha una una natura buona → questo sarà difficilmente digerito
della Chiesa perché sfiora quasi un concetto anarchico.
- Dio non lo si può conoscere se non tramite il creato
- ci sono varie interpretazioni della proposizione per: il primo valore può essere quello mediale
“tramite”; il secondo di causa “a causa di”; il terzo di agente “da parte di”
Poesia siciliana
La poesia siciliana nasce quando un gruppo di funzionari laici dello Stato tra il 1230 e il 1250
nella corte di Palermo di Federico II, compongono poesie di evasione, incentrate sul tema
dell’amore, per portare il modello trobardorico in Italia tramite il volgare illustre siciliano. I loro
testi ci sono giunti in una forma siculo-toscana, dunque con una facies linguistica Toscana.
Questo perché i copisti toscani sovrapposero le caratteristiche del loro volgare a quello siciliano.
parliamo di una poesia di pure evasione ed elitaria, poiché in Sicilia vi era un forte potere
monarchico assoluto e accentratore; inoltre non esistevano comuni nei quali può nascere un
dibattito civile.
Questa prende spunto dalla lirica provenzale, dunque anch’essa tratta i temi amorosi dell’amore
cortese, dunque amare come servizio verso la donna. I poeti siciliani non solo riprendono i temi
già codificati dai trovatori, ma ne effettuano un’ulteriore stilizzazione. Prende spunto da essa
anche i procedimenti linguistici oltre che alle immagini e alle metafore.
È possibile notare anche delle differenze:
- Il poeta non è né un cavaliere né un giullare, bensì un borghese, più specificamente un
funzionario politico-amministrativo
- Manca di accompagnamento musicale
- C’è la perdita del Shenal, dunque il nome con cui si alludeva alla donna (es Leopardi “A Silvia”)
- Diventa atemporale, dunque non c’è nessun riferimento al piano storico-temporale
- Non abbiamo nessun dettaglio riferimento biografico del poeta
- L’unica tematica è quella dell’amore, privilegiata con la fenomenologia amorosa→ l’accento
cade sull’amore in quanto tale più che sul rapporto d’amore tra vassallo e dama.
Quando parliamo di rima imperfetta siciliana, si intende l’abitudine dei copisti toscani di
adattare alla pronuncia toscano le parole scritte in volgare siciliano (amuri > amore; finiri > finire).
Siccome il vocalismo del siciliano è ben diverso da quello toscano, molte rime sono venute a
mancare. Se parliamo invece di rime perfette siciliane dopo la trascrizione nelle versioni
toscanizzate sono diventate imperfette.
Come già accennato, le strutture metriche e retoriche della poesia siciliana si rifanno a quelle
della poesia trobadorica, però selezionandole rigorosamente.
Le principali sono tre: la canzone, la canzonetta e il sonetto.
- La canzone deriva dalla cansò provenzale e diventa la forma più elevata e illustre di poesia; è
composta di endecasillabi e settenari.
- La canzonetta ha una struttura narrativa e dialogica e ha un andamento ritmico più semplice (i
versi sono più brevi e vivaci) perciò si è usata per argomenti meno nobili ed elevati (es.
Meravigliosamente di Jacopo da Lentini.)
- Il sonetto nasce alla corte di Federico II, probabilmente fu inventato da Jacopo da Lentini; è
formato da 14 endecasillabi. Esso tratta di argomenti diversi, presso i siciliani, prevalentemente
discorsivi, teorici, filosofici e morali, ma anche scherzosi e amorosi. Rispetto alla canzone può
aprirsi anche alla realtà quotidiana.
Jacopo da Lentini (1210-1260 ca).
Era un funzionario imperiale, nello specifico notaio presso la corte di Federico II. Dante nel XVI
canto del Purgatorio lo definisce “Notaro” e autorevole rappresentante della scuola siciliana.
Probabilmente fu l’inventore del sonetto e codificò le forme metriche della canzone. Di lui si
ricordano circa 40 poesie, tra cui quelle più note sono:
- Meravigliosamente” canzonetta di settenari che affronta il tema - provenzale - dell’
innamorato timido che non riesce ad esprimere all’amata i suoi sentimenti e chiede alla canzone
(poesia) di andare dall’amata e di intercedere per lui.
- Amor è un desio che ven dal core: sonetto sul tema dell’amore che fa parte di una “tenzone”
(discussione in versi) sull’amore con Jacopo Mostacci e Pier della Vigna. L’autore affronta la
fenomenologia dell’amore rifacendosi direttamente ai dettami di Andrea Cappellano (l’amore
proviene dal cuore ma si trasmette grazie alla vista della bellezza femminile).
Dopo Jacopo da Lentini, fra i poeti della scuola siciliana si riscontrano due linee: di cui la prima
(tragica e narrativa) è del tutto prevalente:
A) Linea aulica, è tragica, tratta di un argomento amoroso; pubblico elitario; di elevato
contenuto teorico e morale. Tra le due è la più prevalente. Ricordiamo Guido delle Colonne, Pier
della Vigna e Stefano Protonotaro, al quale risale l’unico componimento siciliano giunto per intero
in lingua siciliana originaria “Pir meu cori alligrari”
B) Linea parodico-narrativa una poesia popolare e parodica; più narrativa.
Rappresentanti di questa tendenza, meno diffusa, sono Rinaldo d’Aquino e Giacomino Pugliese.
Tale linea tende alla canzonetta popolareggiante e ha diversi punti di contatto con la produzione
giullaresca, che è però estranea alla Scuola siciliana.
In questa linea probabilmente rientra anche Cielo d’Alcamo, un poeta colto che, nel
componimento “Rosa fresca aulentissima”, imitando i modi giullareschi, sembra fare una parodia
dell’amore cortese. Questa si di una poesia in volgare siciliano, ma non in siciliano illustre.
La poesia Rosa fresca aulentissima (composta tra il 1231 e il 1250) è un “contrasto”, un dialogo
realistico tra l'amante che incalza e la donna, una pastorella che finisce col cedere a lui.
Nonostante questo sembri non rispecchiare i canoni della poesia siciliana, è comunque riportato
nel codice vaticano 3793.
DOLCE STIL NOVO
Nella seconda metà del Duecento alcuni poeti, prevalentemente toscani, definiscono un modo
nuovo di fare poesia in volgare, dunque una nuova poetica letteraria. Non si possono definire
una scuola poiché manca un’impronta istituzionale, una figura centrale, una compattezza
cronologica tra gli esponenti del gruppo. I giovani promotori hanno una formazione universitaria
e appartengono al contesto comunale. Inoltre sono un gruppo di amici che condividono interessi,
cultura ed eccellenza d’ingegno ma hanno sensibilità diverse e visioni divergenti. Gli esponenti
maggiori sono Guido Guinizzelli (Bologna), Giudo Cavalcanti (Firenze) e Dante Alighieri. Egli è il
più illustre tra questi poeti, definisce la nuova poesia “dolce stil novo” (o semplicemente
Stilnovo).
Dante fa conoscere la definizione di Dolce Stil novo a Bonagiunta Orbicciani (da Lucca),
incontrato nel girone dei golosi.
Bonagiunta, per essere sicuro dell’identità di Dante, gli chiede se sia il poeta che ha inventato
una nuova poetica con la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore;
Dante gli risponde in modo affermativo, esponendo la sua poetica (parlando dell’assoluta
fedeltà all’ispirazione e ai dettami d’Amore)
Bonagiunta risponde di aver compreso sia la novità della poetica di Dante sia le ragioni che la
oppongono alla precedente tradizione poetica, rappresentata da Jacopo da Lentini (scuola
siciliana) e da Guittone d’Arezzo (siculo-toscani) e definisce la nuova poetica “Dolce Stil Novo”.
Nel canto XXVI del Purgatorio, Dante incontrerà Guido Guinizzelli e lo definirà “padre mio”,
riconoscendogli il ruolo di iniziatore della nuova poetica caratterizzata da “rime d’amor dolci e
leggiadre”
L’amore per gli stilnovisti è “dittatore”, dunque il poeta è colui che trascrive i dettami di
quest’ultimo.
inoltre l’amore espressione naturale di un animo nobile visto anche come esperienza:
- elitaria-> solo per chi possiede un animo nobile e cultura
- totalizzante-> quando comprende gli aspetti psicologici, poetici e filosofici
- autobiografico-> il poeta racconta la sua esperienza amorosa e l’incontro con la donna.
L’incontro avviene sia quando il poeta che la donna sono in compagnia di un gruppo di amici.
L’amore genera una serie di effetti interni, che i poeti:
• osservano utilizzando uno sguardo fortemente introspettivo (viene
attenzione all’interiorità dell’amante)
• descrivono ricorrendo a concetti filosofici, teologici, scientifici (medici, astronomici).
Quando parliamo di sodalitas intendiamo sia il comun sentire (una visione etica condivisa) in
cui si riconoscono i giovani stilnovisti che la solidarietà che offrono il gruppo di amici (fedeli
d’amore) del poeta nell’incontro con la donna.
RIGORE SPECULATIVO, ovvero la conoscenza di questioni dottrinarie e filosofiche (e anche
coscienza della novità del proprio poetare), poiché solo una cultura raffinata permette di
descrivere la materia amorosa con la poesia.
Visione della donna
La donna è vista come una donna angelo
Questa ha la virtù di rendere più puro e nobile chi le sta intorno, respinge chi è indegno, rende
umile chi è superbo e, con il solo saluto, dispensa «salute», cioè salvezza; il suo apparire è
capace di diffondere tutt’attorno una radiosità ultraterrena.
Si passa, dunque, dall’omaggio feudale rivolto alla donna (tipico dell’amore cortese)
all’esaltazione come angelo in terra e dispensatrice di salvezza.
N.B La figura della donna-angelo cessa di essere una semplice metafora, e tende a divenire una
possibilità di mediazione tra il poeta e Dio e dunque di salvezza spirituale.
Esistono due tipi di amore:
AMORE SALVIFICO
Nel quale l’apparizione della donna ha una forza benefica: la donna, tramite lo sguardo e il
saluto, elimina ogni pensiero cattivo e produce salvezza ed elevazione dell’innamorato.
AMORE COME FORZA DISTRUTTIVA
Nel quale l’amore conduce l’uomo all’autodistruzione, produce inquietudine.
La donna è misteriosa (tema presente già in Bernart de Ventadorn)
I poeti siculo- toscani (Una “scuola” di transizione)
Negli anni ‘50-’60 del ‘200 la nuova lirica volgare siciliano è trapiantata nell’Italia comunale,
soprattutto in Toscana, dove gli scontri tra guelfi e ghibellini comportavano dei contatti con la
corte sveva.
Con la morte di Federico II (1250) e la sconfitta del figlio Manfredi nella battaglia di Benevento
(1266) finisce il sogno ghibellino di Federico II. Il declino della potenza sveva comporta
ovviamente la decadenza della civiltà letteraria siciliana. Fra il 1240 e il 1266 i funzionari imperiali
di Federico II e di Manfredi ebbero rapporti con gli esponenti del partito ghibellino soprattutto a
Firenze, acculturati e formati presso l’Università di Bologna. Tali funzionari diffondono la poesia
siciliana a Bologna e a Firenze.
Il tramonto della civiltà letteraria siciliana coincide con il fiorire di questa in Toscana.
I principali centri di produzione siculo-Toscana sono Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze, Bologna.
I rimatori siculo-toscani sono così chiamati per indicare la dipendenza della scuola siciliana e il
nuovo apporto dei toscani. Essi effettuano un’attiva revisione del modello trobadorico e siciliano:
A) Ripresa di elementi della poesia provenzale
1. Recupero del trobar clus nello stile e nei temi;
2. Recupero del sirventese (temi politici);
3. Recupero della tornada (congedo) (abbandonata da molti siciliani, ma usata da Jacopo da
Lentini in Meravigliosamente).
B) Ripresa di elementi della poesia siciliana
1. Uso del sonetto
2. Uso del volgare (illustre), ovviamente toscano.
C) Novità dei siculo toscani:
1. Il tema delle poesie non è solo amoroso, ma anche politico-civile (lotte politiche) → siamo nel
contesto dei Comuni.
2. I poeti non sono intellettuali di corte dipendenti da un potere centrale, bensì borghesi che con
la loro attività poetica partecipano al dibattito politico.
Due sono i principali autori siculo-toscani. Bonagiunta Orbicciani e Guittone d’Arezzo.
Bonagiunta Orbicciani è nato a Lucca. È il primo poeta a trapiantare nel volgare toscano la
poesia siciliana tramite un linguaggio semplice (lontano dal trobar clus di Guittone). Dante nel
XXIV canto del Purgatorio gli riconosce l’importanza di mediatore tra poesia siciliana e lo Stil
novo, definendolo “colui che trasse le nove rime”, ma il poeta toscano, nel rispondergli,
dimostra la sua consapevolezza del distacco tra i siculo-toscani e gli stilnovisti.
Guittone d’Arezzo è il vero e proprio caposcuola dei siculo-toscani. Figlio di un tesoriere,
guelfo, andò in esilio volontario viaggiando in Italia centro settentrionale, poi aderì ai cavalieri di
Santa Maria (ordine religioso) dedicandosi a una vita religiosa. Di lui ci sono giunti circa 300
componimenti, che sono ascrivibili a due diverse fasi poetiche: la prima fase della poesia,
amorosa e civile; la seconda fase di poesia morale e religiosa. Lo stile guittoniano è il trobar
clus.