Acacia 1983 13
Acacia 1983 13
Notiziano della Serenissima Gra:n Loggia di Rito Simbolico - Palazzo Giustiniani _Via
Giustin iani, 5 - 00186 ROMA
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Simbolico ed a un ristretto numero·d i Maestri L.M.
l dattiloscritti dovrano pervenire in duplice copia alla Redazione, presso la Gran Segre-
teria del Rito - Via Giustiniani, 5- Piano 3- Roma o al seg uente recapito : prof. Antonio De
Stefano Cas. Post. 450 - San Silvestro - 00100 Roma Ce ntro.
INDICE
Pag. l
IL X MARZO
. GIUSEPPE CAPRUZZI
UN CONVEGNO TRA REALTÀ ED UTOPIA
)) 5
VINCENZO SCIRCHIO
SCIENZA E PITAGORISMO
)) 8
VARI
PITAGORA 2000
19
FRANCESCO MESSINA » 28
LO ZEN E IL TIRO CON L'ARCO
S.D. LEVI
LA SQUADRA E IL COMPASSO )) 35
DUE UTENSILI DEL M.L.M.
42
RECENSIONI
FONDO
fRANCESCO !.ANDOi.INA
X MARZO
l
derebbe con la morte; Sl tornerebbe al nulla donde Venimmo : tutta }a vi-
ta spiritu~le, gli affetti le ricerche di pensiero le nostre meditazioni svani-
rebbero nel nulla. Diieguerebbero.
Come osserva Scheler, il filosofo tedesco, che sulla centralità della
persona e dell'amore fondò la sua sociologia, l'uomo moderno, per il suo
modo di vivere e per il tipo stesso delle sue attività, ha cacciato la morte
fuori della zona chiara della coscienza. Essa non è più una presenza esi-
stenziale contessuta alla vita, ma una nozione astratta. Due insignì opere
d'arte che sono due documenti dì opposte tendenze filosofich e ci dicono
i diversi modi d'intendere la morte nell'antichità classica.
Nel "D~ re~m natura", Tito Lucre.z!o Caro afferma che, essendo di-
mostrata la morte dell'anima, il pensiero della morte non deve menoma-
mente preoccupare; colla morte è impossibile qualunque consapevolez-
za; in conseguenza della morte non è né angoscia né dolore alcuno ma
un riposo infinito, ins'ensibile a qualunque sconvolgimento.
Platone invece nel Pedone ci fa sentire la misteriosa solennità della
morte che verrà tra poco a chiudere la bocca dì Socrate mentre egli di-
venta sereno; concludendo però che nella morte non tutto è chiaro, in-
voca, insieme a Socrate, gli dei perché gli rendano più faci le il trapasso.
La nostra visione del mondo ci consente la consapevolezza che nella
natura non esiste la morte come "fine", ma la continuità e l' eterno rifiori-
re della vita. Abbiamo la consàpevolezza di continuare a vivere nel "tra-
scorrere" dell ~ vita universale. La leggenda dì Hiram, l'antico mae'Stro
perito per m~no dei propri fratelli, sta a simboleggiare che lo spirito "mu-
ra torio" per quanto percosso a morte; non Pl!Ò definitivamente morire.
Hiram non muore perché rinasce da ogni sua morte in un nuovo inizia-
a
to, come sta simboleggiare quell'acacia sotto la quale vennero trovate
le di lui mortali spoglie. Qyella stessa acacia da noi usata in questa ceri-
moma.
Fratelli particolarmente versati si sono occupati in lunghe ed interes-
santi ricerche sulle abitudini e sull'uso dell'acacia. Il suo etim o greco sta
a significare a un tempo acutezza ed asprezza. È certo che essa assurge a
simbolo di conoscenza e di identificazione. Fu appunto usata per per-
mettere l'identificazione della tomba di Hiram. È simbolo dì morte e di
resurrezione, ed infatti dal ramo reciso e trapiantato nasce la nuova pian-
ta, capace dì germina r~. anc~e nel deserto .
.2
Urta nuova pianta che è continuazione della prima, magari più forte e
~igogliosa; in un continuo miglioramento della specie. .
Ed a noi convinti, infaticabili assertori del progresso umano, la morte
l
non può non apparire uguale al continuo germinare dell'acacia.
Ecco il perché dell'annuale commemorazione; fermandoci a riflettere
sullo scorrere della vita, abbiamo il dove11e di procedere ad una revisione
dei valori, scegliere le strade più giuste, abbandonare gli errori, liberarci
dalle scorie.
Che vale impegnarsi alla frequenza nelle logge, alla pratica esteriore
della simbologia, senia penetrame l'intima essenza, senza cogliere il sen-
so della fratellanza che ci deve accomunare nel bene e nella pratica effet-
tiva della tolleranza contro le prevaricazioni e le deviazioni di qualsiasi
natura? Un momento di pausa nella vita, una breve rìt1essione sulla mor-
te, che nello stesso tempo appare mistero e fede, dubbio e certezza, con-
siderata come l'ultimo problema che l'inizato deve affrontare con la sal- ·
da forza derivata dalla coscienza che il bene operato continuerà a vivere
nell'umanità che non avrà mai fine .
Qpesta è la vision~ della vita e della morte la religione del libero mu-
ratore, che si pone al disopra delle singole credenze, dei sentimenti e dei
ritì volti al culto di un dio, ma che tutJi..può comprendere e rispettare.
Ed è 'con questa pratica che il libero,muratore s~ può preparare a con~
siderare la morte, come auspicava Giuseppe Mazzini: "come il più solen-
ne momento della carriera terrestre, ma non come sventura. Il morente,
dalle crisi dolorose in fuori, lascerà la terra con quiete e parlando parole ·
di pace e di conforto e di saviezza a chi resta" . .
. . -C~m - Francese~ d'As~i~i p~t~à dire:- -- --- - -- .
"Laudato si', mi' 'Sìgnore, per sora nostra
morte corporale - da la quale nullu vivente·
po' skappare". ,
n vero iniziato vive nella fiducia che di lui resterà vivente e lievitante .
il contributo cosciente alla crescita morale della società ed alia incessan-
te edificàzione del Tempio. .
La collettività, cui attivamente appartenne, continua a vivere ed a fio-
rire anche per suo merito e pertanto lo conserva in vita a prescindere
·.· dalle effettive possibilità che egÌi ne fruisca una nel cosiddetto aldilà. ·
-~- , . N,~~s?n9 J?eglio di noi, che_i ~~;3:~~1F t!ap~~~ati_~~nos.~el:I?-II1~- e segl!_i-
3
tiarno a ricordare nelle nostre Logge, lo sa con più esatta cognizione di
causa.
Ed è sempre insegnamento di Giuseppe Mazzini che: "gli uomini
muoiono; ma quel tanto di vero che essi hanno pensato, quel tanto di
, buono che essi hanno operato, non va perduto con essi. L'umanità lo
~-· raccoglie e gli uomini che passeggiano sulla loro sepoltura ne fanno loro
pro".
Mfinché ciò sia sempre presente nella memoria dei liberi muratori il
nostro rituale per i lavori funebri, ricordando il Fratello passato
all'Oriente Eterno, formula la speranza che "possa la sua morte insegnar-
ci a morire e la sua venerata memoria mantenerci costanti nelle vie della
rettitudine e del dovere".
c. d'A.
4
UN CONVEGNO
TRA REALTÀ ED UTOPIA
5
grandi valori, le idee-forza, non sono mai in autentica crisi ma sempre
in continuo movimento ed in edificante costruzione, proprio perché si
compie sempre e puntualmente, nelle infinite fasi cicliche dell'umana
vicenda, quella silenziosa non apparente quanto lentà ma sicura "sim-
biosi" tra gli uomini che vivono nel dominio esterno (exoterico) e quelli
che sono nel dominio interno, costituito per eccellenza, dai gruppi spiri-
tualmente eletti delle comunità iniziatiche (mondo esoterico).
L'analisi in tal senso è certo molto peculiare ed impegnativa e direi di
respiro universale, e postula non soltanto istanze di prefigurazione del
mondo del domani -un mondo che potrebbe essere "anche" opera di in-
civilimento fondata sulla Sapienza e gnosi Pitagorica- ma ripropone nel-
la realtà odierna problemi di esistenza, di testimonianza delle Società
Iniziatiche, e di superamento delle solo apparenti contrapposizioni tra
Società di massa da una parte e vitale operatività delle Scuole Iniziatiche
dall'altra.
Si badi bene: il fenomeno della massificazione nelle sembianze più
varie è quello certamente il pi~ incisivo e pregnante della società dei mo-
derni, nei suoi aspetti diversi, positivi e negativi.
È un fenomeno che- sotto alcuni punti di vista- tende ad abbrutire ed
alterare ogni rapporto umano con la demolizione di ogni tensione idea-
le, di ogni spinta di ricerca spirituale e di realizzazione animica.
Orbene è proprio l'approfondimento di questo rapporto tra società di
massa e scuole iniziatiche che può costituire a nostro avviso uno dei
punti di stuçiio altamente speculativo oltre che di impegno pragmatico
per un Convegno su Pitagora 2000.
Forse non a caso stiamo vivendo proprio -nel nostro Paese, ma non
soltanto fra noi, una tendente pressione socio-politica volta a sottovalu-
tare nelle forme più varie, le Scuole Iniziatiche, ritenendole superate se
·•· non anacronistiche rispetto al mondo moderno.
Non è la prima volta che avviene questo assurdo tentativo, ma, mai
come in questo momento così intenso per la storia dell'umanità, il pro-
blema pone sbocchi diversi in una visione nuova per riaffermare i valori
della Iniziazione.
Riesaminare Pitagora -vicini al duemila -nell'orgia della società mas-
sificata e massificante, vuol dire per noi ristudiare il perché della inizia-
zione muratoria, riesaminare le ragioni intime della sopravvivenza e del-
6
la testimonianza delle Scuole Esoteriche, quale fenomeno di verità tra
mondo esterno (exoterico) e gruppo di esoteristi (modo interno), per co-
gliere la vitalità perenne di quest'ultimi per riaffermare la supremazia
Tragizionale (ovviamente con la maiuscola), per prefigurare -fuori dai
falsi magismi -in una razionalità pregnante di spiritualità -il mondo del
.domani che, proprio perché emergente dalla società di massa (società in-
forme), deve edificare il _Tem_pic) di_ogni uo_rno (Tempi_oj~terio~_f)- ed il _
Te~pio-soc!ciTe, qual,e universale eletta espressione dell'uomo della polis
cosm1ca.
Pitagora è una pietra miliare anche sul punto della costruzione della
Società.
A chi non è addetto ai lavori tutto questo può anche apparire un'uta-
. pia, ma in un Convegno che vede presenti iniziati ed esterni, oggi, questa
parte del discorso su Pitagora, proiettato nel 2000, può costituire un se-
gno fermo nel sempre meno facile rapporto tra società di tutti e mondo
iniziatico.
È tutto un discorso verso una meta, che, nel rimarcare i Valori costrut-
tivi e tuttora attuali della Sapienza Pitagorica, additi la dimensione nuo-
va dell'UDmo-nuovo, nel superamento da Homo Sapiens ad Homo Urna-
nus.
GIUSEPPE CAPRUZZI
7
SCIENZA E PITAGORISMO
BASTOGI M di A. MANUALI
una precisazione. Il Pitagora scienziato o filosofo o moralista non è mai
slegato o autonomo dal Pitagora iniziato e ciò accade anche per una ra-
gione abbastanza pratica: non si potevano rivelare verità o esternare in-
tuizioni in modo chiaro e aperto a persone che, per quanto colte e dispo-
nibili, si sarebbero trovate in gravi difficoltà a credere in affermazioni
non dimostrabili con la ragione e spesso in grave contrasto con le verità
uffi ciali del tempo. Era dunque necessario proporre queste affermazioni
pér mezzo di un codice particolare consistente in una serie di simboli,
che avrebbero gradualizzato l'apprendimento e l'avrebbero reso più ac ~
cettabile e più comprensibile. Da qui deriva la natura esoterica della
scuola pitagorica. Si badi bene che non vogliamo afferiEare che Pitagora
sapeva in quanto iniziato, giacché questo sarebbe argomento da affronta-
re appositamente nella sede più appropriata; ma vogliamo al contrario
sostenere che egli esplicava le sue conoscenze attraverso i suoi canoni di
insegnamento esoterico per motivi prudenziali o almeno pedagogici. Ci
sembra che questa affermazione, anche se riduttiva rispetto alla prima, ci
m etta in condizione di poggiare la nostra indagine su presupposti accet-
tabili anche da non iniziati o da avversari di qualsiasi iniziazione.
Esposte queste necessarie premesse, non ci rimane che intraprendere
l'indagine che ci siamo proposti.
9
•
distingui e valuta ogni cosa dall'alto eleggendo l'intelletto a guida ade-
guata". Questo verso esprime un preciso invito al superamento di ogni
visione parziale o di ogni limite imposto dalla natura, per-Venendo ad
una contemplazione razionale dell'insieme che si osserva.
Ora, a noi sembra che i più recenti progressi deila sci~nza astronomi- •
ca e astrofisica siano stati resi possibili, appunto, da una metodologia di
questo tipo, predicata da Pitagora 2500 anni or sono ed applicata con
grande successo nel nostro secolo: Una conoscenza abbastanza appro-
fondita del nostro Universo ha potuto conseguire soltanto ad una assolu-
tizzazione dei concetti di tempo o di spazio. La stessa teoria della relati-
vità, sulla quale torneremo in seguito, solo apparentemente relativizza le
due dimensioni, mentre in effetti stabilisce un criterio razionale o scien-
tifico per la loro comprensione universale. Se fossimo rimasti a misurare
il giorno e le stagioni o gli anni, non ci saremmo mai resi conto che essi
sono cicli temporali effimeri o falsi, perché percepiti solo dal nostro pun-
to di osservazione, cioè dalla Terra, mentre basterebbe portarci al di fuo -
ri del sistema solare (e · avremmo compiuto un piccolissimo passo
nell'Univeso) per perdere qualsiasi cognizione del giorno o della notte e
per essere perciò costretti a misurare il tempo adottando altri punti di ri-
ferimento. Lo stesso ragionamento può farsi, con le dovute modifiche,
per la dimensione spazio. La conclusione è semplice: esiste la possibilità
di pensare ad un tempo o ad uno spazio cosmici, validi per tutto l'Uni-
verso, il quale vive in essi quando si mettono in relazione tra di loro,
operazione questa necessaria per la comprensione pratica dell'Universo
e d'altra parte in perfetta armonia con una visione assoluta delle cose in
quanto idonea a cogliere un aspetto ulteriore dell'oggetto di studio. In al-
tri termini, è..YeJP che spazio e tempo sono concetti assoluti, ma è altret-
tanto vero che essi non sono separabili l'uno dall'altro, anzi la loro corre-
lazione ci .dà una visione completa e completante dell'Universo, una vi-
sione che negli ultimi ottanta anni ha permesso l'elaborazione di nume-
rose teorie, prima di tutte, anche cronologicamente, la relatività einstei-
niana,costituenti altrettante pietre miliari nella comprensione del nostro
"Universo o meglio nella sua autocomprensione, visto che ne siamo parte
anche noi.
q~à su un piano soltanto metodologico, o se vogliamo anche teleolo-
lO
gico, possiamo affermare dunque che Pitagora aveva colpito nel segno.
Ma egli forse aveva intuito qualcosa di più che un metodo o una finalità
universali.
11
visto una massa di luce così straordinariamente forte che il nostro sole al
confronto non sarebbe stato neanche un fiammifero. Gli scienziati chia-
mano questa massa "sfera di fuoco", definizione questa che serve solo a
rendere l'idea di quel che doveva apparire allora l'universo, mache non è
certo idonea a dare neppure una pallida descrizione di questo primo nu-
. eleo di materia. Eppure questa "sfera di fuoco" ci porta naturalmente a
pensare al pitagorico "fuoco sacro". L'associazione di queste due defini-
zioni si rafferma ancora di più se si pensa che entrambe hanno in sé qual-
cosa di divino o di scientificamente impiegabile. Ciò è molto evidente
mente nella definizione pitagorica ma è ben presente anche nella "sfera
di fuoco", della quale infatti si possono teoricamente ricostruire tutte le
varie fasi di passaggio ad eccezione del primissimo attimo, che non può
essere oggetto neanche di una ipotesi r~zionale. ~esto attimo, la cui du-
rata è pari ad una infinitesima frazione di secondo (lO""\ è l'attimo indi-
cibile della creazione divina. Il fuoco sacro, origine o centro dell'U niver-
so, sembra proprio coincidere con la sfera di fuoco. Pitagora ne parlava,
sotto la cautela del simbolo, 2500 anni prima che si giungesse ad una
conferma scientifica; egli aveva anticipato la teoria del Big Bang.
~:- ~· :}
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ta dalla primordiale esplosione. Si formerà alla fine una nuova sfera di
fuoco nella quale la materia sempre più calda e densa si trasformerà in
pura energia e l'evoluzione naturale ritornerà al suo punto di partenza,
alla sua origine divina. Così come il Due ritornerà all'Uno per formare if
Tre. È possibile a questo punto, ma qui la scienza nulla ci può ancora di-
re, che si verifichi un nuovo Big Bang per dar luogo ad un nuova espan-
sione e poi ad una nuova contrazione e così via per l'eternità. È questa
l'ipotesi detta dell'Universo oscillante, simile ad un immenso respiro:
una immensa espirazione seguita da una immensa inspirazione.
Come non pensare, a questo punto, al pitagorico "respiro cosmi-
co" che il Grande Iniziato diceva di avvertire e conoscere? E come
non pensare anche a quell'unico ciclo reale e assoluto che Pitagora
chiamava il Grande Anno, volendolo assimilare all'eternità senza con es-
sa confonderlo?
13
e si organizza utilizzando le forze naturali di cui la materia è stata dotata.
Il fondamentale modello di sviluppo universale è senz'altro il sistema di
gravitazione intorno a. un punto centrale. Così è organizzato l'atomo,
così sono organizzate le galassie e così anche i sistemi solari. La legge di
questo tipo di organizzazione della materia è la gravitazione universale,
secondo la quale ogni corpo esercita una attrazione su ogni altro corpo
direttamente proporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale
.
..
~/
-
al quadrato della distanza. Questa legge permette a tutti i corpi celesti, a
tutte queste sfere sospese nel vuoto di equilibrarsi nello spazio e di gravi-
tare nel vuoto senza scontrarsi. Se non ci fosse questa legge, tutti i corpi
spinti dalla esplosione iniziale, vagherebbero nello spazio senza alcun
principio e si scontrerebbero continuamente fra loro rendendo impossi-
bile qualsiasi ulteriore evoluzione della materia. Il caos regnerebbe so-
vrano nell'Universo. La gravitazione rende possibile la sopravvivenza e
l'evoluzione, poiché per merito di essa ogni corpo celeste, pur rimanen-
do indissolubilmente legato al tutto, h<tla possibilità di una vita autono-
ma nell'ambito di una perfetta armonizzazione del singolo con il molte-
plice. Questo divino equilibrio, questo sacro reciproco rispetto, questa
meravigliosa lezione d'amore può anch'essa essere ricondotta a quel che
Pitagora chiamava "armonia delle sfere".
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pianeti, dunque, e a tutti i mondi abitati.
Ma, con un processo esattamente contrario di dissociazione e di dis-
solvimento della materia, la vita esce dalla stella, che, terminata la sua
energia, esplode, si dilata e si perde nel cosmo insieme a tutto cio che è
stato partecipe della sua lunga esistenza. La materia che da sola si vivifica
e muore, che si concentra in un punto ponendovi il seme di ogni esisten-
za organica e poi la abbandona per partecipare a nuovi atti creativi, è
l'anima universale che si rende mirabile protagonista di questi cosmici
atti d'amore. La materia dissociata, disorganizzata, ma non caotica, diret-
ta emanazione dell'imponderabile ~pirito creatore della primordiale
Grande Esplosione, diventa vita sensibile.
Se fossimo nella metafisica, ma non vi siamo, diremmo che lo spirito
per mezzo dell'anima dà vita alla materia. Ed è più o meno quel che di-
ceva Pitagora quando raccontava ai suoi adepti la storia della "divina psi-
che", cioè dell'anima chè trasmigrava da un corpo all'altro. Ma Pitagora
non era un metafisica, non amava speculare su mondi irreali senza basi e
conoscenze concrete. Egli era inve_c e uri iniziato, anzi un Grande Inizia-
to, e come tale non avrebbe potuto enunciare in termini immediatamen-
te comprensibili il sorgere e il tramontare di ogni forma di vita. Ricorse
così alla metempsicosì: costruì una mirabile teoria fisica della nascita e
della morte e seppe arricchirla di un profondissimo significato etico ar-
monizzando ancora una volta il dovere morale con l'essere universale:
solo adempiendo al proprio dovere si può sperare in una vita ulteriore.
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cenda trasformandosi in energia. Eppure un tempo lontanissimo anche
le antiparticelle esistevano in natura: ciò accadeva nei primissimi attimi
di vita dell'Universo quando le antiparticelle furono prodotte diretta-
mente dalla Grande Esplosione. Anche in questo caso però esse si annul-
larono subito scontrandosi con le particelle corrispondenti e producen-
.· do energia. Solo che l'autore del Big Bang fece in modo che per ogni mi-
liardo circa di coppie particella-antiparticella avanzasse una particella,
permettendo all'Universo di sopravvivere invece di distruggersi in quei
primi attimi di vita. Tutto quel che noi sappiamo esistente oggi è nato da
quel lontanissimo e costosissimo contrasto tra materia e antimateria.
Certo, sarbbe stato molto più semplice se la Grande Esplosione avesse
prodotto solo materia o solo antimateria, ma purtroppo sembra proprio
che non è andata così_ ed una spiegazione è ancora possibile.
L'annullamento reciproco di materia e antimateria ha prodotto una
quantità straordinaria di nuova energia che, aggiunta a quella già impres- .
sionant.e del Big Bang, ha fatto sorgere una serie di campi energetici così
intensi da produrre altra materia.
' .
(< ,, In ogni caso, la conclusione obbligatoria è che ogni forma di esistenza
attuale deriva da un originario contrasto di opposti: contrasto inevitabile
ma creativo. Proprio come pensavà Pitagora che non vedeva vita né vita-
liti dove nop. era opposizione e che aveva elaborato una serie di dieci op-
posizioni fon'damentali nelle quali potevano rispecchiarsi tutte le oppo-
sizioni possibili. Anche in questo caso, una-legge fisica diventava legge
' morale, armonizzando con l'universale. Infatti, non solo la materia ma
anche il pensiero e il sentimento, ammesso che questi ultimi siano im-
materiali, nascono da un contrasto. Anche le idee e l'amore scaturiscono
da una opposizione e costituiscono in fondo niente altro che un amplia-
mento di quella energia prodotta dallo scontro di una particella con la
sua corrispondente antiparticella di segno elettrico opposto. Dunque
l'idea come l'amore non può nascere in un ambiente conformista e quie-
scente, ma ha bisogno di partorire da cervelli e da cuori diversi e coesi-
stenti. Il progresso umano nasce dalla tolleranza e dal rispetto reciproco,
fino all'annullamento contemporaneo di due elementi opposti, ~e ciò è
necessario per il sorgere di una vita più complessa e un poco meno im- .
perfetta. Q!Iesta grande lezione, che Pitagora aveva colto semplicemente
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osservando le diversità della natura nell'aspetto che di essa si poteva co-
noscere ai suoi tempi, ci viene confermata e ribadita perfino da due mi-
nuscole, invisibili ma universali particelle subatomiche.
* ~r *
Probalilmente il secolo ventesimo sarà ricordato tra i posteri come il
secolo della relatività. Einstein infatti non è stato un semplice scienziato
come tanti altri, non si è limitato ad aggiungere qualcosa alle nostre co-
noscenze o a perfezionare qualche teoria o qualche macchina. Egli ha in-
vece completamente sconvolto le basi secolari della fisica, spazzando via
antiche certezze come se fossero volgari superstizioni. Non si può com-
prendere Einstein se non si muta radicalmente il proprio atteggiamento
nei confronti della realtà, se non si è disposti ad accettare che essa è altra
cosa rispetto a come ci appare. Per fare un esempio, difficilmente noi sia-
mo disposti a pensare al di fuori delle dimensioni di spazio o di tempo
nelle quali quasi si adagia comodamente la nostra vita di tutti i giorni. Il
tempo e lo spazio ci sembrano unici ed assoluti ed in effetti lo sono. Solo
che essi sono il nostro spazio e il nostro tempo, così come noi li perce-
piamo dal nostro punto di osservazione che è la Terra. La teoria della re-
latività dimostra che il tempo e lo spazio sono diversi per diversi osserva-
tori e introduce nello stesso tempo un concetto assoluto, cioè valido per
tutti gli osservatori: la dimensione dello spazio-tempo, misurabile in in-
tervalli spazio-temporali. Non potendo qui approfondire l'argomento
proprio per mancanza cli spazio e di tempo, ma soprattutto per insuffi-
cienza di capacità intellettive, mi soffermo su un solo punto.
La teoria della relatività generale è idonea a individuare la posizione
di un punto nella dimensione spazio-tempo !].ei confronti di un altro
punto situato nella stessa dimensione. In verità, più che di punti si do-
vrebbe parlare di eventi che accadono in un punto in un determinato
istante. Comunque l'individuazione avviene attraverso quattro coordi-
nate (longitudine, latitudine, altezza e tempo) ed è possibile anche quan-
do i due eventi si trovano tra di loro in rapporto di moto accellerato cioè
non uniforme. La teoria della relatività ristretta, di cui la relatività gene-
rale è appunto una generalizzazione, è applicabile invece solo se il rap-
porto tra i due punti (o eventi) è di moto uniforme, ferme restando le
quattro coordinate.
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Eliminando la coordinata tempo, l'individuazione dell'evento avrà
un valore relativo e sarà valida solo per ragioni spaziali così piccole da far
risultare irrilevanti il tempo e la velocità della luce. Per esempio, per in-
dividuare un punto che si trovi ad una certa altezza sulla superficie della
Terra non è necessario prendere in considerazione il fattore tempo, ma è
sufficiente applicare le equazioni di Gauss, che considerano solo tre
coordinate o tengono conto della curvatura terestre.
Tali equazioni risalgono al secolo scorso.
Eliminando ora anche la coordinata altezza, in pratica non potrem-
mo più individuare alcun punto nello spazio, ma possiamo agire soltan-
to sullo stesso piano geometrico. Ci ritroviamo insomma con le coordi-
nate cartesiane, che possono essere applicate alla superficie terrestre solo
per estensioni molto limitate per le quali sia irrilevante la curvatura ter-
restre. Risaliamo indietro nel nostro tempo di altri due secoli. Ma dal
tempo di Cartesio le cose in questo campo erano rimaste invariate da al-
meno ventun secoli e cioè da Pitagora, perché a pensarci bene le coordi-
nate cartesiane non sono altro che una applicazione del teorema di Pita-
gora. In un triangolo rettangolo il quadrato dell'ipotenusa è uguale alla
somma dei quadrati dei cateti. È anche un metodo per misurare una rela-
zione o una distanza.
In conclusione, se al teorema di Pitagora, cioè alle coordinate longitu-
dine e latitu'dine, aggiungiamo due successivi elementi, e cioè le coordi-
nate altezza e tempo, ci ritroviamo in piena teoria della relatività, la qua-
le dunque rappresenta una delle tante, l'ultima generalizzazione del teo-
. . rema di Pitagora .
Ventiquattro secoli di fatica, di studi, di scoperte, di invenzioni, venti-
quattro secoli di progresso scientifico e tecnico, ma soprattutto di pro-
gresso umano, in questa estrema sintesi, in questi due nomi dal sapore
magico ma così meravigliosamente reale: Pitagora, Einstein.
FR. VINCENZO SciRCHIO
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PitAGORA 2.000
19
. .
'gradi: gli uditori, i parlatori, i matematici. Ai primi non era concessa la
parola: essi dovevano solo apprendere, ascoltando, astenendosi dal porre
osservazioni e dal chiedere spiegazioni. Il Màestro era, per loro, l'unica
fonte di verità.
Passato un certo periodo di tempo, secondo alcuni due anni, secondo
.· altri cinque, l'uditore poteva divetare parlatore; questi aveva facoltà di
intervenire, di chiedere chiarimenti.
Ma ove vi era una vera partecipazione alla conoscenza, trasmessa solo
oralmente e mediante l'uso dei simboli, era nel terzo grado, quello dei
matematici. Essi studiavano "scienze umane e divine'1; l'approfondimen--
to di tali scienze consentiva loro di dedicarsi alla contemplazione delle
cose che non mutano che nulla hanno a che vedere con le cose materiali
soggette a continui cambiamenti.
Si comprende perché per poter accedere al gruppo degli esoterici, il
discepolo doveva dare prova di 'avere compreso appieno il graçlo di mate-
matico. l
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formula che compendia tutta la dot~rina di Pitagora: "CHE ÌL NUME-
RO SIA IL PRINCIPIO DELLECOSE"; formula che ci è~ stata traman-
data nelle ve versioni: l) che le cose siano numeri; 2) che le cose abbiano
numero; 3) che le cose imitino o siano fatte a somiglianza di numeri.
L'importanza del numero sta qui ad indicare l'ordine e la costanza
che si palesano nel mutevole divenuto sensibile.
Per intendere il valore del numero nel mondo della natura, è necessa-
rio considerarlo nella sua progressiva estensione dall'ordine aritmetico a
quello geometrico e finalmente all'ordine fisico. Qpindi l'uno ha la sua
espressione spaziale nel punto; il due nella linea (che è delimitata da
due punti); il tre nella superficie, il quattro nel solido. Una moltiplica-
zione aritmetica può, di conseguenza, permettere di calcolare una super-
ficie o un volume; di qui la rappresentazione simbolica di numeri qua-
drati e cubici esprimente la perfetta compenetrazione dei due ordini,
aritmetico e geometri.co. Qrindi la scuola ha identificato il numero con
le figure dello spazio ed ha applicato le proprietà numeriche agli enti
spaziali.
Pitagora ha distinto i numeri in pari e dispari; quest'ultimo quando è
diviso i due parti, lascia in mezzo un'unità; il pari, invece, lascia uno spa-
zio vuoto senza padrone e senza numero e quindi il pari è imperfetto e
difettoso, il dispari compiu.to e perfetto; il pari è l'infinito; il dispari èil
limitato. L'infinito, quindi, nella sua espressione geometrica, è suscetti-
bile di illimitate suddivisioni per"mancanza di qualche cosa intermedia
che arresti il processo dicotomico.
A questa distinzione del pari e del dispari si allaccia un'altra intuizio-
ne della scuola. L'"uno" ha una posizione particolare nella serie numeri-
ca: preso in senso ristretto esso appartiene alla categoria dei dispari; ma
in senso più largo guardando la generazione di tutta la serie, esso ne co-
stituisce il principio formatore perché aggiungendosi al pari produce il
dispari, al dispari il pari. Perciò la sua natura trascende la dicotomia: esso
è la sintesi dei due termini è, cioè, il parimpari. Da qui la foùnulazione
' dell'antitesi suprema dell'uno e della diade: l'uno è il principio dell'ordi-
ne e del limite; la diade della molteplicità e della indeterminatezza.
Pari e dispari, limitato ed illimitato sono le prime due delle dieci cop-
pie nelle quali si compedia il dualismo filosofico della scuola. Le altre so-
22
•
no: unità e molteplicità; destro e sinistro, maschio e femmina, in quiete
e in moto, retta e curva, luce e tenebra, bene e male, quadrato e a lati di-
seguali. Il che significa, in altri termini, che il divenire del mondo si svol-
ge tra contrari come tra due poli: l'uno dei quali (limitato, impari, ma-
schio, luce, etc) costituisce un principio positivo di determinazione, l'al-
• tro un principio passivo ed indeterminato.
Tra le coppie elencate si è vista quella della luce e delle tenebre, che ci
pone in presenza della fisica pitagorea .
. Sotto il nome di tenebre 1 maestri della scuola intendevano una esten-
sione illimitata di nebbia o d'aria o di vuoto diffusa per l'universo al di là
dell'aria visibile. La luce, invece, promanava da un fuoco situato nel
mezzo del mondo e dotato di attributi divini. Il concorso di questi due
elementi detérminava un'aspirazione del vuoto infinito nell'interno del
cosmo, sotto l'azione attrattiva del fuoco e dava luogo ad una specie di
respiro cosmico che aveva, per effetto, di distinguere le nature dei corpi;
ad analogia di quello che accade nella' serie numerica, le cui unità discre-
te
/
sono separate tra loro dal vuoto.
.
Era dunque possibile, attribuire al Ìm-
mero, nella sua figurazione geometrica, ìl valore di un principio deter-
minante in seno alla natura. I pitagorici quindi sono arrivati alla conce-
zione matematica della natura facendo del numero il principio del limite
e dell'ordine nella estensione materiale illimitata ed essi sono arrivati a
ciò attraverso la loro aritmo-geometria che dava al numero una figura-
zione spaziale; così la materia, iptesa come tiò che si estende nello spa-
zio veniva costretta nelle leggi delle figure e dei numeri nel senso che la
struttura degli .elementi del mondo fisico è fatta di forme geometriche
fondamentali (la terra di cubi, il fuoco di piram~di ect) ed a Pitagora dob-
biamo attribuire il merito di avere scoperto la vitale continuità tra il pen-
siero che formula i concetti ed i teoremi della matematica, e il mondo fi-
sico · che li realizza.
La cosmologia dei pitagorici poneva al centro dell'universo un fuoco
centrale, principio di vita e di animazione cosmica ed intorno ad esso fa-
ceva rotare la terra, la luna i pianeti il sole ed il cielo delle stelle fisse.
Il che significa che avevano scoperto la sfericità della terra e la circola-
rità dei moti celesti.
Nell'astronomia pitagorica aveva un posto importante un corpo invi-
23
sibil~ chiamato anti-terra, che insieme ai nove corpi invisibili (la terra, la
luna, il sole, i cinque pianeti allora conosciuti e il c;oielo delle stelle fisse
·\. '"'
considerato come corpo unico) realizza il numero/ decadico perfetto.
All'eterno movimento ciclico degli astri, si col!egavano le altre due
popolari vedute della scuola. L'una era quella del ritorno periodico di
tutte le cose, l'altra quella dell'armonia delle sfere.
Della prima diceva Eudemo che, data l'identità del moto e la costanza
delle sucs:essioni, tutti gli eventi si produrranno in Ùn tempo prefisso.
Della seconda, cioè i'armonia delle sfere, per i pitagorici ad ogni mo-
vimento doveva corrispondere un suono; quindi un movimento ordina-
.· · to e perfetto come quello degli astri, doveva produrr~' un mirabile accor-
do musicale. Come accade allora che noi non percepiamo questa celeste
melodia? La risposta val più della domanda: La nostra sensibilità è in gra-
do d~ cogliere i suoni solo nel contrasto con il silenzio; cioè abb!amo la
possibilità di sentire i suoni solo se interrotti; un suono continuo è per
noi impercettibile.
Fin qui il pensiero filosofico del Maestro e l'insegnamento esoterico si
coglie a piene mani, da tutto quello che si è detto; ma era necessario af-
frontare un tema che ci riconducesse all'attualità del pitagorismo; ebbe-
ne noi 'abbiamo scelto, l'attualità del numero quaranta, atteso che per la
Chiesa Cattolica, questo è il periodo della quaresima e noi a questo ac-
cenneremo: Alla quaresima iniziatica .
.Pitagora, come si sa, aveva segnato quattro distinte età, ciascuna di
venti anni; e da questa quadripartizione pitagorica, già preparata del re-
sto, dalla cultura popolare e dalle istituzioni sociali itala-greche, deriva
probabilmente l'uso biografico di fissare -a quaranta anni l'acme della vi-
ta umana. ,
Il quaranta è un numerro che viene associato ad ogni specie di genera-
. zione e di rigenerazione. Q!Iaranta giorni era il periodo prescritto per la ,.
purificazione per la nascita di un maschio (Lev. 12.2.4) ed il doppio per
la nascita di una femmina; Gesù fu portato per quaranta giorni nell'utero
di Maria; e la credenza· che il parto a terwine avvenga dopo nove mesi e
dieci giorni ossia dopo 270 giorni più dieci (quaranta settimane fanno
appunto 280 giorni) è ormai tina realtà -scientifica.
I primi digiuni mentovati nella ;Scrittura ·sono quelli di Mosé ed Elia
24
che furono, appunto di più di quaranta giorni, e, ad imitazione di questi
· ultimi, Gesù condotto dal diavolo nell'eremo_, nel deserto, vi. digiunò per
quaranta giorni e quaranta notti consecutive prima di essere tentato dal
diavolo.
Ma vi sono tantissimi altri esempi: i 40 giorni richiesti per la imbalsa-
mazione di Giacobbe, i 4Q anni che Israele soggiornò nel deserto; i 40
anni di Mosè quando divenne il liberatore del suo popolo.
Un riferimento più o meno diretto e chiaro alla rigenerazione si pre-
senta negli esempi di Adamo messo da Dio in paradiso quaranta giorni
dopo la sua creazione, di Seth che aveva quaranta anni quando gli angeli
.· lo rapirono agli occhi degli uomini per istruirlo segretamente intorno al
cri~ine degli egregori, al diluvio universale ed alla venuta di Gesù.
Ih senso più altamente cosm,ogonico, il 40 compare in connessione
con il diluvio di Noè: Iddio infatti dette 40 anni di tempo al mondo per
pentirsi prima di disperdere il genere umano mediante il diluvio, per 40
giorni durò la pioggia del diluvio e 40 giorni int~rcorsero fra la prima ap-
parizione della vetta della montagna e l'apertùra delle finestre dell'arca.
Prima fu inviato il nero corvo, e poi, dopo quaranta giorni, la bianca
!=Olomba, che tornò portando in bocca un ramoscello di olivo con le fo-
glie verdeggianti: l'olivo che è una pianta mediterranea.
Nella tradi:z;ione araba Dio forma l'uomo con il fango, e l9 secca in 40
giorni: nei misteri isiaci il quaranta compariva nel digiuno di Lucio pri-
ma della iniziazione di Osiride. Q!Iesta concordanza nello scopo e nel-
la durata dei digiuni di Mosè, Elia, Gesù, Lucio in Apuleio, per non par-
lare di quelli di Campanella e di Cagliostro, fanno intravedere nell'Egit-
to la fonte comune o la manifestazione più antica da noi conosciuta del-
la determinazione del periodo di quaresima e della sua possibile connes-
sione con la durata del digiuno iniziatico nella grande opera della rigene-
. razione; e tendono a mostrare come attene-ndosi in questo particolare
simbolismo, a questa tradizione mediterranea, non si fa altro che seguire
una stessa "religione" veramente universale, seguita evidentemente an-
che da Gesù, religione che per manifeste ragiç5ni di ordine cronologico
non poteva essere quella cristiana che ne è tutf:-'~1 più una derivazione. E
qui si innesta Pitagora: Q!Iale importanza e quale significato ha per Pita-
gora il quaternario, la sacra tetractis e la decade non abbiamo bisogno di
.25
ricordare. Ma interessa invece indagare il legame simbolico e misterico
tra il quattro e il dieci, perché esso giustifica e convalida l'eccellenza mi-
steriosa del numero quaranta loro prodotto.
Nella genesi geometrica dell'aritmetica pitagorica abbiamo visto che
il punto corrisponde all'unità, l'aggregazione di più punti disposti se-
condo una stessa direzione originava i segmenti composti di due ... tre
punti, ossia originava la serie dei numeri interi; la sovrapposizione, ip un
piano, del punto ai segmenti di due ... tre punti dava origine ai triangoli
composti di tre, sei, dieci ... punti, ossia alla serie -dei così detti numeri
triangolari, l'no numero tria'llgolare è qu,indi uguale_ _ alla somma dei pri-
mi n numerì interi; la sovrapposizione nello spazio, del punto ai triango-
li di tre, sei dieci punti dava origine ai tetraedri o piramidi a base triango-
lare, costituiti da quattro dieci ... venti punti, ossia ai numeri piramidali.
Dopodiché il procedimento analitico può essere proseguito operando
in modo consimile con i numeri piramidali, ma geometricamente ossia
pitagoricamente bisogna arrestarsi perché la intuizione umana dello spa
zio non conc€pfsce come si possa sovrapporre-i'tetraedri in strati sp;_-~iaii
t · successivi. Qlindi quattro punti bastano per costruire un poliedro e per
26
Il fatto essenziale è che il quaranta esprime la totalità di un periodo,
l'integrità dei secoli, come dice S, Agostino. Qyesto periodo avrebbe po-
tuto essere espresso simbolicamente d~ altri numeri; e se nel caso specia-
le della quaresima o digiuno iniziatico è stato prescelto o si è dappertut-
to, nei misteri isiaci nella tradizione ebraica, araba, cristiana ed ermetica,
affermato il quaranta, ciò si deve alla comune origine egizia della sapien-
za del Mosè, dei misteri isiaci e di Pitagora, ed in ogni modo allegarne
profondo che lega tra loro le varie correnti e manifestazioni della corren-
te iniziatica mediterranea da cui traggono derivazione più o meno preci-
sa e cosciente le religioni storiche del bacino del Mediterraneo, i mi-
steri egizi, orfici pitagorici eleusini bacchici etc ... gli ordini cavallere-
schi, l'ermetismo e la Massoneria.
Possiamo dunque concordare con quanto scriveva il Lacuria a propo-
sito del numero quaranta: "La sola cosa costante è che il numero quaran-
ta caratterizza un periodo completo e sufficiente per compiere un'opera.
S. Agostino pensa che il numero quaranta rappresenta la durata del no-
stro pellegrinaggio sopra la terra il che è difatti un periodo completo c~e
termina l'opera del nostro destino. Il quaranta deve emanare dal numero
quattro che è pure un numero completo; un numero che riassume Dio e
la sua opera; una somma che contiene l'enumerazione di tutte le specie
di esseri esistenti e possibili".
'Che la rigenerazione in!ziatica costituisca un periodo, un lasso di
tempo, cioè, avente un inizio e una fine come ogni altro caso di genera-
zione e sia perciò esprimibile e simbolicamente computabile a mezzo di
un numero co,me il quaranta, ci sembra manifesto. E poiché il compi-
mento di un periodo porta necessariamente all'inizio di un altro lasso di
tempo, ed ogni fine è nel medesimo tempo un principio, ogni morte una
nascita, è naturale che i concetti di fine, perfezione, compimento, mor-
te, inizio e iniziazione siano tra loro strettamente associati, e che la pa-
lingenesi iniziati ca consti inttisecamente e' sia cerimonialmente raffigu-
rata da quellà morte e resurrezione, che nella tradizione cristiana ha per
protagonista Gesù; la cui morte e resurrezione, quindi ed innanzi tutto, è
una espressione simbolica della tradizionale trasmutazione spirituale ini-
ziatica, abbia o non abbia riferimento in un particolare evento storico o
leggendario.
.:27
LO ZEN E IL TIRO CON L'ARCO
-.
"Se non riuscite a trovare
la realtà dove vi trovate,
dove sperate di trovar/a?
Nyogen Senzaki
Maestro Zen
.·zs
Così in scuole, palestre, clubs ci si impegna nello studio e nella prati-
ca dello Yoga, dello Zen, delle Arti Marziali, dello estremo oriente, invo-
cando una catarsi spirituale che nasca dallo strano incontro tra le verità
orientali e i dubbi occidentali. Una catarsi che va trovata, filtrandola tra
i Mass Media assotclanti, i persuasori occulti, la natura violenta, la vio-
lenza umana, il gen~raJe abbrutimento mentale dell'individuo.
È bene ricordare che le regole del giuoco debbono sempre essere ri-
spettate nella loro rigidità e, a volte, incomprensibile natura; sperare,
dunque, nel facile adattamento dell'oriente all'occidente o viceversa è
come sperare di possedere il dono dell'ubiquità, è come sperare che ci sia
vita o morte nello stesso istante, è come sperare che esista un punto X
ignot~ ma conoscibile in cui gli Estremi si tocchino rivelando, forse,
l'Essenza Divina. Ma tali speranze così irrazionali ed assurde non costi-
tuiscono i tentativi compiuti dalla cultura tradizionale sin dagli albori
del Pensiero Occidentale nella.volontà di sublimare la Grande Paura del
Destino sconosciuto dell'Uomo?
Allora sempre e soltanto con l'applicazione della sfera razionale l'uo-
mo occidentale cerca di riconquistarè il Paradiso Perduto che la sua stes-
sa natura e predisposizione interiore in realtà gli hanno sottratto.
Ora si affida ai terroristiei assiomi imposti dal clero ora esaspera illai-
cismo fanatizzando la filosofia o riducendola a passatempo salottiero,
ora si rinchiude nella più sofferta e disperata meditazione rifiutando la
sua stessa realtà di essere umano composto principalmente da materia,
umilia il proprio corpo aggiudicandogli le colpe che sono invece della
sua mente. f
Così, in preda alla pura esaltazione o alla esultanza di falsi traguardi
raggiunti, l'uomo dell'Occidente si muove tra· i meandrì della sua Esi-
stenza sperando e volendo un qualcosa di indefinito, di sconosciuto che
con grande ingenuità chiama: Verità Assoluta e, con sottile malizia, lo ri-
tiene irraggiungibile.
L'orientale, invece, forse perché vive là dove nasce la luce, là dove il
sole schiude il tempo alla Vita, noncerca akun Paradiso che sia al di fuo-
ri della sua stessa esistenza sulla T erra, non pone se stesso né come punto
di partenza né come punto di arrivo, la sua conoscenza è legata alla sua
Volontà di fare e alla sua Non Volontà di raggiungere il risultato.
È la ricerca di q11esto eg_uilibrio ~ell~ forze interiori che assorbe la sua
29
vita, non la verifica dell'esistenza o meno dell'anima all'interno o al di
fuori dell'uomo. Il fulcro della Leva Conoscitiva è l'lo stesso che tende
esclusivamente all'lo: e non posso conoscere me stesso se prima non mi
scopro materialmente, se prima non rivelo i limiti e le caratteristiche fisi -
che del mio corpo dominandone completamente gli effetti.
È tempo di avvicinarsi all'avventura vissuta da Eugen Herrigel autore
del libretto: lo Zen e il Tiro con l'Arco, che ha ispirato questa mia medi-
tazione. ·
Professore tedesco di Filosofia per alcuni anni dimora in Giappone e
vuole essere introdotto allo Zen. Gli viene risposto che dovrà imparare
una delle Arti che si rifanno a quella scuola (l'arte dell~ spada, l'arte di di-
sporre i fiori - la c.d. Ikebana - l'arte di tirare con l'arco).
Herrigel opta per quest'ultima!
Non è accessibile lo Zen, se non attraverso una sua concretizzazione,
attraverso una disciplina in cui si ricerchi la piena maestria; non posso
capire se resto su posizioni astr~tte; la mia verifica deve consistere in una
concreta difficoltà da superare. Per il giapponese il Tiro cOn l'Arco non è
uno sport, è un rito, non è un mero esercizio fisico, ma la continua eleva-
zione spirituale; l'arciere alla fine prenda la mira e colga se stesso!
Enigmi! Tradizioni suggestive! così lontane ed inconoscibil! da chi è
avvinghiato alla propria conformazione culturale e mentale ma invece
penetrabili da colui che è pronto a rinunziare alle proprie convinzioni
confrontà.n dosi continuamente.
Tre le difficoltà da superare per esser ,edotti nell'Arte: tendere l'arco;
tirare il colpo; colpire il bersaglio.
La prima fatica è tendere esattamente l'arco in maniera che raggiunga
la sua massima estensione; è solo dopo un lungo periodo di tempo che
Herrigel scopre che tale esercizio non cela alcun accorgimento tecnico
invano ricetcato, ma che esso va eseguito regolamentando la propria re-
spirazione che libera e apre nuove possibilità. Non è un'illusione soprav-
. ..., valutata perché il giusto dosaggio del proprio respiro è un'intuizione che
scaturisce dalla convinzion~ e dalla perseveranza dell'apprendista arciere
senza l'interv~nto diretto del mae~tro il quale si limita ad osservare e so.l-
lecitare con l'esempio i progressi dell'allievo. Finab;nente così Herrigel
riesce da solo a tendere l'arèo con Potenza ma, senza fatica,, traendo da
30
ciò l'immobilità statuale di chi compie un gesto con naturalità e sempli-
cità.
Ora bisogna far partire il colpo anche se per il momento senza la frec-
cia. Ciò che si richiede per l'esatto movimento del tiro del colpo non è
però quello che sino ad ora Herrigel aveva inteso.
Egli si rende conto lentamente che sono proprio i suoi scopi, le sue in-
tenzioni a non poter collimare con la riuscita di questo nuovo compito
da affrontare.
L'agevolezza con cui si esegue un atto di forza è senza dubbio uno
spettacolo alla cui bellezza l'uomo dell'estremo oriente è particolarmen-
,te sensibile e grato. E di questa bellezza è responsabile l'arciere che de-
ve rimanere assolutamente immobile anche dopo aver scoccato il colpo.
,.,,
f" ..
Da buon occidentale H erri gel tenta di raggiungere tale perfezione con
il preciso scopo di cogliere, successivamente, il bersaglio; infatti che sen-
so avrebbe il rito se non si facesse poi centro? Tendere l'arco, raggiunge-
re la massima tensione, tirare il colpo, sostenere elasticamente il contrac-
colpo, tutto ciò è al servizio della precisione del tiro, ma sempre in rela-
zione allo scopo ultimo, realizzato con pazienza, di cogliere il bersaglio!
È qui che avviene la prima profonda matamorfosi nell'animo dell'ap-
prendista arciere, il quale si accorge che non riesce a sostenere la scossa
all'indietro con animo e corpo disteso proprio perché la sua attenzione è
dedicata ad altro, ad un qualcosa di successivo che impedisce di eseguire
il tiro con la piena partecipazione.
La difficoltà di Herrigel è delresto la difficoltà di chi è ammalato di
occidentalismo nel senso che si può dare a tale malattia: voler a tutti i co-
sti ipotecare il futt;tro e, senza una graduale meditazione e volontà di per-
fezionarsi, conquistare gratuitamente il successo.
Interviene in suo e nostro aiuto ilMaestro Zen che svela non i segreti
dell'arte Zen, ma come leggere i segreti dell'Arte Universale dell'Uomo.
;·
"La vera arte è senza scopo, senza intenzione! ~anta più ci si ostine-
rà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersa-
glio, tanto meno riuscirà l'una cosa e tan~o più si allontanerà dall'altra.
L'ostacolo è una volontà troppo volitiva. Si pensa che ciò che non si
fa avvenga. I maestri Zen dell'arco, dicono un colpo, una vita. Più sem- 1
. 31
all'estremità inferiore è appesa la terra fissata con un filo di seta. Se il col-
po parte con una forte scossa c'è il pericolo che il filo si spezzi. Per il voli-
tivo, per il violento la frattura diventa allora definitiva e l'uomo resta irri-
mediabilmente nello spazio intermedio tra il cielo e la terra. Occorre im-
parare la giusta attesa, staccandoci da noi stessi, !asciandoci dietro tanto
decisamente tutto ciò che è nostro che di noi non rimanga altro che una
tensione senza intenzione!
Solo così il colpo filerà liscio sorprendendo il tiratore stesso."
La nostra tradizione culturale non può comprendere pienamente tali
principi. Poiché grava sul cuore dell'occidentale, nato sotto l'influsso
della tenue luce del crepuscolo, l'assillante pensiero della Fine, ben raffi-
gurato dallo sfinimento del Sole. L'uomo deve abiurare la Grande paura
della morte; deve riuscire ad intravedere la speranza della rinascita; deve
rinunziare a credere nell'Eros per rimedi~re al Tanatos.
Facili considerazioni queste per l'uomo orientale, nato all'insegna del
Principio, che dedica la sua esistenza a'lla preparazione del ritorno alla vi-
ta eterna di quell'anima di cui egli non si è mai interessato perché sem-
plicemente convinto della sua realtà. La rìcerca dell'orientale si è indiriz-
zata, trascinata dalla certezza della nascita, verso il primo esempio vitale
che egli incontra all'inizio della sua esperieza cosciente: il proprio corpo.
Solo dominando la struttura fisica si potrà conoscere il p;ocedimento
che porterà alla catarsi.
La cata'i:-si altro non è che l'assoluto controllo di tutto ciò che impedi-
sce all'anima di liberarsi e vivere la sua realtà al di là della dimensione
precipuamente materiale. I lama del Tibet assistono il moribondo mas-
saggiandolo e istigando (con rituali gesti millenari) la sua anima a stac-
carsi serenamente dal corpo che ostacola la sua liberazione. La Morte
.~ non costituisce un problema, anzi è l'unico m~zzo con cui l'anima può a
sua volta rinascere e ricongiungersi allo Spirito Supremo.
L'occidentale affida invece la propria ricerca alla tazionalità e, distrat-
to dal suo stesso ragionamento crea due stadi di esistenza differenziati
uno assolutamente astratto che è riempito tanto dalle sue elucubrazioni,
che da una particolare tensione al fantastico, al puro, al divino; l'altro as-
solutamente concreto che si esaurisce nel dare al proprio corpo un'im-
portanza relativa s_olo alle sue comodità e ai suoi sfoghi edonistici .
.32
Così attraverso secoli di oscurità piena o sprazzi di luce intensa si è
svolta e si svolge l'Avventura del pensiero occidentale: il tutto all'insegna
della Sofferenza Interiore. Poiché è noto_che non poter"rispondere a tutti
gli interrogativi che si pone, è sofferenza: non presumere la verità mari-
cercarla affannosamente e senza tregua, pur;sapendo che ciò che si trove-
rà alla fine dei nostri viaggi sarà il nostro stesso tramonto, è sofferenza.
Allora è inesatto credere che l'Orientale è uno spirituale mentre l'Oc-
cidentale è un pragmatico! Per quell'eterno giuoco delle Contraddizioni,
in realtà, accade proprio l'inverso e così il primo si dedicherà alla cono-
scenza concreta del proprio corpo ed il secondo a quella astratta del pro-
. .
pno pensiero. _
Ma per queste posizioni occorre un metodo di indagine, uno stru-
mento pratico di ricerca che può essere chiamato come si vuole, nel caso
specifico, ad esempio, Zen o, per quel che ci riguarda, Massoneria.
Infatti l'iniziazione svolge un ruolo importante nel momento in cui
può far sì che ci sia una interpretazio~.'e esoterica di entrambe le espe-
rienze ~in qui esaminate e tentare la fusione dei risultati attraverso un
metodo che sia per l'appunto l'Arte Universale.
~ello che si evince dalle parole del Maestro Zen che spiega la grande
dottrina, è che se si vuole il massimo rendimento nel praticare una disci-
plina, occorre raggiungere la spontaneita del proprio agire; spontaneità
che si intende come naturale adempimento dei propri obblighi rinun-
ziando alle intenzioni stesse che ci hanno guidati a fare una determinata
scelta.
Spontaneità.-che si differenzia dalla superficialità poiché così come
non è permesso all'arciere di aprire le tre dita (pollice indice e medio)
che trattengono la corda, senza prevenzione e tirare un colpo alla cieca,
non è consentito al massone di colpire la pietra grezza senza la determi-
nazione di volerla sgrossare: per ent~ambi nulla deve esser lasciato al ca-
so, tutto deve rientrare nei canoni dell'Arte. Tutti i momenti della espe-
rienza che si vive debbono éssere conosciuti profondamente e intensa-
mente, anche quelli che al monde:i profano e superficiale appaiono com-
pletamente banali.
Il dubbio che ci dovrà assalire sarà non quello se riusciremo mai a col-
pire il bersaglio, ma se sia l'arciere a tendere l'arco o l'arco che lo trae alla
33
massima tensione, se sia l'apprendista a lavorare la pietra o la pietra a
sgrossarlo e levigarlo. Il Maestro Zen ci direbbe a questo punto che que-
sto è il momento in cui : l'arco si tende; il colpo si tira; il bersaglio si col-
pisce! Dobbiamo ricercare la musicalità ed il ritmo del nostro operare e
siglarle con il movimento del nostro pensiero, opposto all'immobilità di
quelle realtà inscindibili della nostra esistenza, facilmente provabile.
Non dobbiamo più dubitare di noi stessi poiché altrimenti concepiremo
solo l'oscurità perenne d! una benda sugli occhi che, del resto, non ci la-
scerebbe intravedere nemmeno la luce · soffusa del tramonto.
Incontriamoci fratelli al centro di questo T empio, viaggiando da
Nord, da Sud, da Ovest e da Est: lì sul quadro di loggia, sul centro del
mondo, sull'ombelico cosmico da cui partono tutti i cordoni ombelicali
che ci infusero la Vita Cosciente. ' ,
Se avremo avuto l'intenzione di ricercare ed, una volta superate le co-
lonne che dividono il "fanum" dal "pro-fanum", avremo rinunciato allo
scopo di raggiungere il bersaglio a tutti i costi o conquistare il successo,
rivestendoci solo con esso, avremo raggiunto la Sp-ontaneità, il lavoro di
auto sgrossatura e di conoscenza d~ll'lo specifico sarà così chiaro, così
naturale da sembrarci ridicolmente semplice! Così la Benda si leva; la
Pietra si sgrossa; il Tempio si costruisce!
Allora, solo Allora ... sulla nota di un suono divenuto upiversale, .. .. la
corda dell'arco ci avrà trapassati da parte · a parte.
FRANCESCO MESSINA
:34
LA SQUADRA ED IL COMPASSO
DUE UTENSILI DEL M.·. L.·. M.·.
'·
MA:
.
••• l;:OITRiCE-
. TORINO
BASTOGI M di A. MANUALI
37
La Squadra mi sembra rappres~nti, l'espressione più semphce di una
"situazione" puramente interiore e comunque metafisica, alla cui defini-
zione non è sufficiente alcun numero di parole.
In ispecie, essa mi appare la raffigurazione estremamente sintetica di
due possibilità di "essere'' e di "operare". L'essere potrebbe chiamarsi ri-
cettività passivo-statica; ma può anche raffigurare per altro verso, la pos-
sibilità "dell'agire senza agire". L'operare potrebbe denominarsi possibi-
lità di sforzo e di tensione, ma, anche da un superior~ punto di vista, pos-
sibilità ~i~~!_Il_ic:a3 ~!_tiva_,__ _()perativa. . _ ______ _
È chiaro che l'una e l'altra connotazione possono intendersi in senso
"più" od in senso "meno", a seconda a cui ci si riferisce. Perciò il passare
·dell'apprendista dalla perpendicolare alla livella, non è semplice passare
"dall'attivo al passivo", bensì un transito dall'operosità attiva ad una ope-
rosità più quieta e sottile. .
A questo punto la squadra si può ribaltare, ma la verticale che ora si
contrappone all'orizzontale, non è più "quella di prima": è una nuova
verticalità attiva che riassume e supera le dtte "situazioni" p~ecedenti, in
un operare che, come viene insegnato, "conduce alla camera di mezzo",
ossia al perfetto controllo della squadra ed alla sua subordinaziorìe al
compasso. ,
L'uomo .supino può essere "morto", ma può anche avere superato la
verticalità spontanea dell'agire profano.
L'uomo in piedi può essere il profano che lotta e che cerca di impor-
si e magari l'apprendista al suo primo contatto con la pietra grezza; ma
può anche essere il risorto, colui che contempla, disteso ai suoi piedi, ciò
che è stato e che ormai non è più: può essere l'anima finalmente "stante"
e no? p~ù "c~dente". ' . . _ ··-- .
La Squadra ed il Compasso vengono intrecciati sul Libro Sacro, in
modo diverso nelle sedute dei tre gradi.
Per la tenuta di Apprendista, la Squadra "deve" stare sul Compasso,
prevale cioè la materia sullo spirito, l'aspetto materiale sull'aspetto spiri-
tuale.
In terminologia alchimistica la Madre, sostanza prima di ogni metal-
lo, Acqua, Mercurio,_,contiene l'Oro, il Maschio, l'Io sciolto in essa.
È la fase d~l_d()m~nio d~lla Fetp.mi11a sullyfaschio, deJ!a Lun9- _~uJ ~qle, '
38
della Regina sul Re, ma tutto ciò volto a reintegrare la potenza del Figlio.
Nella seduta in grado di Compagno, Squadra e Compasso sono in-
trecciati. Q!Iesta è la seconda fase alchemica nella quale il Figlio è creato
dall'arte.
Nella seduta in grado di Maestro, il Compasso sta "sopra" la Squadra:
l'aspetto spirituale si è affermato definitivamente sull'aspetto materiale,
attraverso la illusione della materia (Maya) si scorge la realtà dello spiri-
to.
In questa fase alchemica, il Figlio creato dall'arte e fatto forte, domina
la Madre, la sposa, la possiede e la uccide, la rende cioè simile a lui.
Il Maschio domina la Femmina, il Sole la Luna, il Re la Regina. La lo-
ro unione dà luogo al Rebis, all'Androgino Spirituale, al filius philosofo-
rum (equivalente al Figlio dell'Uomo), il Cristo evangelico ed esoterico,
il divino e l'umano.
È la realizzazione del Vivente, del Signore delle due nature, termine
medio della Grande Triade, "cosa unica" nella quale sono riunite le virtù
del "Cielo e della Terra".
"Fra la tradizione estremo orientale e la tradizione occidentale, un
punto di notevole avvicinamento è an~ora costituito dal simbolismo del-
la Squadra e del Compasso.
· Essi corrispondono palesemente al cerchio ed al quadrato, vale a dire
alle figure geometriche rappresentanti il Cielo e la Terra". 1
Il Compasso come simbolo "celeste" è Yang-maschile e la Squadra
simbolo terrestre è Yin o femminile.
"Q!Iando ess1 sono rappresentati insieme ed uniti mediante le loro co-
de di serpente, simboleggiano uno ' scambio che si può qualificare pro-
priamente ierogamico che si ricollega al simbolismo dei due serpenti del
caduceo". 2
"Nel simbdismo massonico, conformemente a questa corrisponden-
za, il Compasso è normalmen~e posto in alto e la Squadra in basso.
Quando questa posizione è invertita,~ il simbolo prende un significato
particolare che deve essere ayvicinato alla inve~sione del simbolo alche-
mico della "Grande Opera", come pure \il simbolismo della 12· Lama del
Tarocco". 3
"Ciò è ancora da riportare al fatto che, nella 3• e 4• Lama del Tarocco,
- ---uns imbolo c~leste -(St~lle) è attribuito all'Imperatrice ed un simbolismo
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terrestre (pietra cubica) all'Imperatore; inoltre numericamente e per il
rango di queste due Lame, l'Imperatrice si trova ad essere in corrispon-
. denza col numero 3, numero dispari,\e l'Imperatore col numero 4, nu-
. mero pari, ciò che riproduce la stessa inversione". 4
"Sotto questo nuovo rapporto, la Squadra stessa prende un altro signi-
ficato, poiché per il fatto che è formata da due braccia poste perpendico-
larmente, la si può considerare come la riunione dell'orizzontale e della
verticale, che in uno dei loro sensi, corrisponde rispettivamente alla Ter-
ra ed al Cielo, al pari dello Yin e dello Yang in tutte le loro applicazioni
ed è d'altronde.in tal modo. che anche nel simbolismo massonico la
Squadra del Venerabile è considerata infatti come l'unione e la sintesi
della livella e della perpendicolare". 5
L'ineguaglianza delle braccia della Squadra del Venerabile si riferisce
più precisamente ad un "segreto" della Massoneria operativa concernen-
te la formazione del triangolo rettangolo i cui lati sono rispettivamente
propor-zionali ai numeri 3, 4, 5 e che indica secondo Plutarco- De Iside et
Osiride - la via per giungere al numero cinque.
Come è noto, il teorema di Pitagora afferma che in un triangolo ret-
tangolo la somma dei quadrati costruiti sui cateti equivale al quadrato
costruito sull'ipotenusa. Aritmeticamente, quando i lati del triangolo so-
no numeri interi, si verifica che la somma dei loro quadrati è uguale al
quadrato della ipotenusa.
N ella fattispecie del triangolo che si forma unendo le due braccia 'del-
la Squadra del Venerabile i cui cateti si misurano con i numeri interi 3 e
4 e l'opotenusa con 5, Plutarco fa una anal()gia col teorema di Pitagora
dalla quale risulta che il 5 sarebbe il risultato dell'azione spirituale del 3
. __ disposto verticalmente (simbolo del maschio) sopra la base orizzontale
del 4 che simboleggia la femmina. In tatmodo il 5 proverrebbe non dai
numeri interi, ma dai loro quadrati.
Risulta poi che la tema dei numeri consecutivi 3, 4, 5 è la sola terna di
numeri consecutivi che ha la proprietà di far sì che la somma dei quadrati
dei primi due è uguale al quadrato del terzo.
Va poi ricordato che il 5 è il numero del pentagram-ma Q pentalfa o
Stella Fiammeggiante e che, di conseguenza, la Squadra del Venerabile è
la sola che lo possa generare.
S.D. L EVI
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BIBLIOGRAFIA
1
Cfr. R. Guénon, "La Grande Triade", cap. XV -' p. 95, ed. Atanor Roma 1971.
2
Cfr. R. Guénon, Ibidem, p. 97.
3
Cfr. R. Guénon, Ibidem, p. 95, nota n. 3.
4
Cfr. r. Guénon, Ibidem, p. 98, nota n. 16.
5 Cfr. R. Guénon. Ibidem, p. 98 e p. 99.
U.G. Porciatti, Simbologia Massoneria- Massoneria Azzurra, Arturo .Reghini, "Le parole sacre e
di passo" e "Considerazioni sul ritualeefèl!'apprendista libero muratore".
Rivista massoni ca del G.O. d'Italia, numeri 3 aprile 1967, l genaio 1968, 3 marzo 1970, 9 novem-
bre 1971, 10 dicembre 1971.
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RECENSIONI
Ad oltre cento anni dalla sua prima apparizione vede la luce l'edizio-
ne italiana dell'opera impon~nte di Albert Pike (1809-1891), uno dei più
importanti ma~sonologi americani. La partizione dell'opera in 6 volu"mi
è legata a precisi criteri esegetici, oltre che a ovvie ragioni di praticità, pri-
ma fra tutte quella di rendere più agile la lettura e più facile la consulta-
zione, quest'ultima necessaria qualora si consideri la natura dell'opera
che è una sorta di codice universale dei criteri a cui deve informarsi il
perfetto massone.
Pubblicata una prima volta nel1871, l'opera fu cominciata da Pike nel
1855, allorché ricevé dal Supremo Consiglio l'incarico di curare l'edi-
zione "riveduta e corretta" dei rituali dal 4° al 32° del R.S.A.A.
Si tratta d{"lectures", di commenti, se non di vere e proprie glosse ai.
gradi del Rito Scozzese, destinate ai Masson~ americani della Giurisdi-
zione nel cui ambito Pike divenne Sovrano Gran Commendatore.
Pur tuttavia, "Morals and Dogma of the Ancient and Accepted Scot~
' tish Rite" è un'opera che non appartiene solo alla Massoneria americana.
A distanza di più di un secolo, essa si presenta agli occhi dello studioso
quale classico della letteratura massonica, la cui lettura e il cui studio so-
no indispensabili per chi voglia essere un Maestro dell'Arte Reale nel
senso più vero e profondo.
Dunque un'opera ricca di riferimenti frutto di letture meditate e for-
te di un'esperienza di vita di incalcolabile valore. Qui si respira un'atmo-
sfera da Umab.esimo il cui ideale ha principio e ispirazione nel risveglio
platonico, e nelle Accademie precorritrici probabili della moderna Mas-
soneria come forma di cultura.
LECTOR
A2
Alfonso Ricolti, Studi sui "Fedeli d'Amore": Dai poeti di corte a Dante-
Simboli e linguaggio segreto, Ed. Bastagi, pp. 302, L. 15.000.
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rezza. Tutti potranno rinvenire in essa i lineamenti di Ùna storia dell'an-
tica istituzione.
Il libro espone-chiaramente i fatti, suggerisce una valida interpretazio-
ne degli insegnamenti massonici e visualizza le fondamentali verità che
si celano dietro l'allegoria e il simbolo.
Esso risponde dunque alle più semplici e urgenti domande del nuovo
fratello per il quale la nostra Istituzione è, in parte, ancora avvolta nel
mistero. Esso stupirà più di un vecchio Massone, rivelandogli quanto sià-
no ancora sentiti certi temi, che invece si considerano ovvi e poco inte-
ressanti.
Le analisi si muovono dal rito iniziatico ai "viaggi", per giungere al
"segreto". Il Grembiule, le Pietre angolari, i Gioielli, etc. vengono consi-
derati secondo gli antichi insegnamenti. Un glossario, un indice delle co-
se notevoli e numerose illustrazioni a colori completano il volume.
LEcToR
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SERENISSIMA GRAN LOGGIADEL RITO SIMBOLICO ITALIANO
Serenissim o Presidente
Gran Maestro deg li Architetti
M.·. A·. Fr.·. Virgilio Gaito