Dispensa Di Storia 5 G
Dispensa Di Storia 5 G
STORIA
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Tra la fine del 19° sec. e gli inizi del 20°si sviluppa una società caratterizzata da un significativo ruolo
delle masse nello svolgimento della vita politica e sociale, ma anche da una loro crescente
omologazione, perdita di autonomia individuale, facilità di manipolazione.
1) studiare i migliori metodi di lavoro; 2) divisione del lavoro in fasi e controllo del ciclo produttivo; 3)
scegliere l’operaio giusto per ottenere il massimo rendimento; 4) rispettare i tempi di lavoro ed
eliminare tutte le perdite di tempo; 5) sviluppo dei rapporti di stima e di collaborazione tra direzione e
manodopera
Con la parola fordismo, invece, si usa indicare una particolare forma di produzione basata
principalmente sull'utilizzo della catena di montaggio per incrementare la produttività. Il termine fu
coniato attorno agli anni Trenta per descrivere il successo ottenuto nell'industria automobilistica a
partire dal 1913 dall’imprenditore statunitense Henry Ford (1863 - 1947). Ispiratosi alle teorie di
Frederick Taylor (1856 - 1915), Ford rivoluzionò notevolmente l'organizzazione della produzione
a livello globale. Nella società di massa assume sempre più importanza il settore terziario, i cui
dipendenti sono chiamati «colletti bianchi» in contrapposizione agli operai » che svolgono lavori
manuali e sono chiamati «tute blu». Nell’industria meccanizzata gli operai erano costretti a svolgere
attività ripetitive e a sostenere ritmi di lavoro erano estenuanti. Non mancarono le critiche alle loro
dure condizioni di lavoro. Numerosi diventeranno gli scioperi.
Partiti di massa
Per conquistare il consenso delle masse si affermò il modello del partito politico di massa, che
prevedeva la partecipazione di un grande numero di persone alla politica. Sorsero anche i
sindacati e si introdusse il suffragio universale maschile al di là del censo. I mezzi di comunicazione
di massa (radio, stampa, cinema ecc.) divennero fondamentali per raggiungere le grandi masse e
vennero sfruttati anche dai partiti.
Nazionalismo
L’idea di nazione nella prima metà del 1800 è positiva: essa rimanda ai principi di libertà e
democrazia. Le nazioni non devono farsi guerra, ma avere rapporti regolati dalla diplomazia. L’idea
di nazione dalla seconda metà del 1800 fino alla metà del 1900 non è positiva: essa rimanda ai
concetti di superiorità e rivalità tra i popoli. I rapporti tra gli Stati sono regolati dalla guerra; il
patriota ama solo la propria patria e odia quella degli altri.
Razzismo
Si tratta della convinzione che esista una gerarchia tra le razze. I razzisti, infatti, credono che ci
siano razze superiori e razze inferiori. Arthur de Gobineau già nel 1800 parlava della razza ariana
(europei bianchi) come razza superiore. Un caso particolare di razzismo è quello che riguarda gli
ebrei, da sempre accusati di avere qualità fisiche e morali negative e di cospirare per conquistare il
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mondo (in Russia venne realizzato un libretto, i Protocolli di Sion, che presentava il piano degli
ebrei per conquistare il mondo. Era ovviamente un FALSO. 1894 Affaire Dreyfus: capitano di origine
ebraica ingiustamente accusato di spionaggio e tradimento a favore della Germania. Solo dopo 12
anni di carcere venne assolto (qui si può fare collegamento con Zola, che denunciò la questione
mobilitando l’opinione pubblica).
Suffragette
Le donne acquisirono una nuova consapevolezza sull’importanza del loro ruolo nella società,
soprattutto quando iniziarono ad essere impiegate nelle fabbriche. Sorsero così movimenti femministi
che si battevano per i diritti delle donne. Tra questi ricordiamo i movimenti delle suffragette. La lotta
delle suffragette fu particolarmente dura in Gran Bretagna (subivano arresti, morivano facendo lo
sciopero della fame), ma grazie alla loro leader Emmeline Pankhurst, esse ottennero nel 1918 il
diritto di voto (potevano votare però solo le donne sopra i 30 anni).
Belle Époque
Il periodo che precede la Prima guerra mondiale è definito “Belle époque”. In questi anni (1870-1914)
la società europea visse un periodo di pace e di sviluppo industriale. La Belle Époque fu
dominata da una grande fiducia nel progresso: le innovazioni tecnologiche e scientifiche e lo
sviluppo delle grandi industrie influenzarono i gusti delle persone. L’ottimismo e la spensieratezza
della Belle Époque interessarono principalmente la nobiltà e la ricca borghesia. Tuttavia, anche il
ceto operaio e la piccola borghesia poterono dedicare parte dei risparmi ai consumi, allo svago e al
tempo libero.
Anche il settore delle comunicazioni progredì. Con l’invenzione del telefono, si permise alle persone
di poter comunicare tra di loro anche a lunghe distanze. Ci fu anche l’invenzione del motore a
scoppio in Germania che velocizzò gli spostamenti di persone e merci. Il motore a scoppio fu
utilizzato per creare motociclette, automobili e per la progettazione del primo aeroplano. Altre
invenzioni del periodo furono: il cinema, il telegrafo senza fili, l’aereo, il fonografo, la lampadina.
La belle époque fu anche l’età nella quale lo sport si diffuse fra le classi popolari. Calcio, ciclismo e
automobilismo attirarono sempre più l’interesse grazie anche all’opera svolta dai giornali.
Con la belle époque si ebbe la nascita del tempo libero. Le persone iniziarono ad andare in vacanza.
Con l’invenzione dell’illuminazione elettrica i divertimenti continuavano fino a notte tarda. Nel1894
venne inventato il cinema dai fratelli Louis e August Lumière. Gli abitanti delle città avevano scoperto
il piacere di uscire, anche e soprattutto dopo cena, di recarsi a chiacchierare nei caffè e ad assistere
a spettacoli teatrali. Le vie e le strade cittadine erano piene di colori: manifesti pubblicitari, vetrine
con merci di ogni tipo, eleganti magazzini.
Aspetti negativi: Il periodo della belle époque non fu caratterizzato solo da invenzioni scientifiche-
tecnologiche, benessere e divertimento. Ci furono disuguaglianze economiche (la ricchezza non
era distribuita in modo uguale; si verificarono scontri sociali) e forti tensioni tra gli Stati che
portarono allo scoppio della Grande Guerra.
Giovanni Giolitti
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1903 – 1914 = Età Giolittiana detta così perché fu un periodo dominato politicamente dalla figura di
Giovanni Giolitti, prima come Ministro degli Interni (1901 - 1903), poi come Presidente del Consiglio
dei Ministri (1903 - 1914)
Giolitti è un politico ambiguo che cerca di volta in volta l’appoggio di altri partiti, in particolare dei
riformisti del Partito Socialista e dei cattolici. La sua politica è trasformista, perché basata sul
clientelismo e sulla spregiudicata capacità di modificare linea politica a seconda delle situazioni.
Politica sociale
Vengono consentiti gli sciopericonvinzione: integrazione delle masse nella politica e migliori
condizioni di vita dei lavoratori e del mercatorealtà: gli scioperi aumentano di numero.
L’atteggiamento non repressivo nasce dalla necessità di distinguere tra scioperi autorizzati e
non (nei confronti dei quali la posizione repressiva era molto dura).
Giolitti promuove una nuova politica sociale. Tra le sue riforme di Giolitti ricordiamo:
- orario di lavoro ridotto (max. 10 ore); leggi sul lavoro che tutelano donne e bambini;
- statalizzazione delle ferrovie e della scuola con istruzione obbligatoria fino ai 12
anni; municipalizzazione dei servizi pubblici (gas, elettricità, trasporti);
- promozione dello sviluppo industriale al Nord.
Giolitti è stato accusato di avere un doppio volto: aperto e democratico al Nord e corrotto al Sud
(Salvemini lo definisce il “ministro della malavita”. In effetti, Giolitti promosse molto lo sviluppo al
Nord, ma non fa nulla di significativo per estirpare i fenomeni criminali al Sud. Si limita ad emanare
alcune leggi volte ad aiutare le economie meridionali (“legislazione speciale”). Non si tratta però di
interventi strutturali, ma di interventi mirati. Nel 1902 ad esempio viene finanziata la costruzione
dell’Acquedotto Pugliese. Vengono poi presi altri provvedimenti per le province meridionali:
(finanziamenti per il rimboschimento e per il consolidamento dei terreni franosi; finanziamenti per la
costruzione di strade; sgravi fiscali per le aziende agricole)
Nel 1911 il governo Giolitti attacca la Libia per vari motivi, tra cui trovare nuove terre per i braccianti
del Sud e per aumentare il prestigio internazionale dell’Italia. Nel 1912 con la pace di Losanna
l’impero ottomano riconosce la sovranità italiana sulla Libia, anche se la resistenza della
popolazione delle zone interne rimarrà ancora tenace. I risultati della conquista furono deludenti per
una serie di motivi: 1) controllo del Paese difficoltoso 2) impresa molto costosa 3) non si poterono
reindirizzare i contadini poveri verso la Libia perché era uno “scatolone di sabbia”.
Nel 1912 Giolitti fa approvare la riforma elettorale (suffragio universale maschile): da questo
momento possono votare i cittadini maschi di 30 anni (in alternativa coloro che hanno 21 anni e che
hanno svolto il servizio militare o che sono capaci di leggere e scrivere).
Tuttavia, Giolitti teme che le elezioni del 1913 favoriscano i socialisti. Infatti, nel PSI gli equilibri sono
cambiati. Gli esponenti più moderati del Psi vengono espulsi nel 1912 (costoro formeranno il PSRI,
ovvero il Partito socialista riformista italiano). Il Psi è ora dominato da una maggioranza di
intransigenti (massimalisti) guidati da un giovane Mussolini.
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Intanto, il nuovo papa, Pio X, è favorevole ad una partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche in
funzione antisocialista. Vincenzo Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione elettorale cattolica, fa
accordi con i liberali e invita i cattolici a votarli nelle elezioni del 1913 purché costoro si impegnino a
rispettare i punti del movimento cattolico. Circa 200 liberali sottoscrivono il patto Gentiloni. Chi
sottoscrive il patto si impegna, tra l’altro, a tutelare le associazioni religiose; ad assicurare alle
famiglie un’istruzione religiosa nelle scuole comunali; a difendere l’unità della famiglia ecc.
Giolitti vince le elezioni, tuttavia la maggioranza è troppo eterogenea per assicurargli libertà di
manovra. Inoltre, l’economia attraversa un periodo di crisi. Giolitti decide di dimettersi, credendo di
poter tonare alla presidenza successivamente. Tuttavia sale al governo Antonio Salandra che
resterà in carica a lungo.
1) fu una guerra combattuta in una vasta area del mondo, non solo in Europa ma anche nei mari e
negli Oceani, con combattimenti in Asia e in Africa;
2) fu un evento tragico che portò alla morte di milioni di soldati in tutta Europa. Bisogna poi
considerare le milioni di persone rimaste gravemente ferite o mutilate. Si tratta di numeri che non si
erano mai registrati in nessuna altra guerra precedente.
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Zona in cui esistono forti le tensioni che possono sfociare improvvisamente in un conflitto.
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di ogni forma di propaganda antiaustriaca; soppressione delle organizzazioni irredentistiche slave;
apertura di un’inchiesta sull’attentato condotta dall’Austria). Il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla
Serbia. In base al sistema delle alleanze2, dalla parte dell’Austria si schierò subito la Germania, dalla
parte della Serbia la Russia e la Francia.
La Germania credeva di poter condurre una guerra lampo contro la Francia attraverso il piano
Schlieffen: il 4 agosto le truppe tedesche invasero il Belgio, anche se si era dichiarato neutrale, e
arrivarono pericolosamente al fiume Marna (a 40 km da Parigi). Anche l’Inghilterra entrò in guerra
contro la Germania.
I francesi riuscirono a respingere i tedeschi verso il fiume Aisne e il fronte di stabilizzò. Iniziò una
guerra di posizione anche sul versante orientale, dove il fronte si stabilizzò in Galizia. Il conflitto
divenne mondiale: le colonie africane si schierarono a favore della propria madrepatria; l’impero
ottomano appoggiò la Germania, mentre il Giappone si schierò contro la Germania perché
interessata ai suoi possedimenti in Estremo Oriente, tra cui Kiachow.
2. LA POSIZIONE DELL’ITALIA
Il 2 agosto 1914 l’Italia aveva dichiarato la sua neutralità, poiché la Triplice Alleanza doveva avere
uno scopo difensivo e non offensivo (invece l’Austria aveva dichiarato guerra per prima). In Italia
l’opinione pubblica si divise: i neutralisti (tra cui i cattolici, i socialisti, Giolitti) volevano che l’Italia
rimanesse neutrale; gli interventisti (tra cui i nazionalisti e il poeta D’Annunzio) erano a favore
dell’intervento. Mussolini, prima neutralista, mutò opinione dopo poco, schierandosi dalla parte degli
interventisti. Il ministro degli Esteri Sidney Sonnino firmò in segreto il patto di Londra con le potenze
della Triplice Intesa (26 aprile 1915): in cambio delle terre irredente (Trentino-Alto Adige, Venezia-
Giulia, Istria – eccetto Fiume, Dalmazia), l’Italia sarebbe entrata in guerra. Gli interventisti intanto
organizzarono manifestazioni in piazza e il re Vittorio Emanuele III, favorevole al conflitto, concesse
pieni poteri a Salandra. Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò ufficialmente in guerra contro l’Austria. Nel
1915 la Bulgaria si schierò con gli imperi centrali (gli austro-tedeschi).
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Vd. Triplice Alleanza e Triplice Intesa.
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igieniche; l’introduzione di nuove armi. Le trincee erano fossati scavati nel terreno che dovevano
garantire protezione ai soldati che vi si trovavano all’interno. Esse contenevano depositi di munizioni
e rifornimenti per i soldati. Davanti alle trincee si estendeva una rete di filo spinato per proteggere
ulteriormente i soldati da un possibile attacco nemico. I soldati vivevano nel fango e nella sporcizia,
con il costante timore di essere attaccati dai cannoni e dai cecchini nemici. Si mangiava pochissimo
e l’igiene, l’abbigliamento e l’acqua scarseggiavano. Non esistevano antibiotici e anche ferite non
molto gravi portavano spesso alla morte per setticemia. Le malattie più diffuse erano la dissenteria, il
tifo, il colera, l’influenza spagnola. I cadaveri rimanevano per lo più insepolti e andavano in
putrefazione, aumentando la diffusione di malattie. Lo stress per i lunghi bombardamenti annientava
il morale e la psiche dei soldati, provocando gravi traumi. Tra l’altro, moltissimi soldati non avevano
ben chiare le ragioni per cui combattevano. Spesso prima degli assalti, veniva anche distribuito
alcool per spingerli alla battaglia.
- baionetta: lungo coltello montato sulla canna dei fucili e utilizzato dai soldati per gli scontri
corpo a corpo;
- fucile a ripetizione; mitragliatrice; carro armato; cannone campale (cannoni mobili che
accompagnavano l’esercito in movimento);
- bombe a mano, lanciafiamme e bombe chimiche;
- mazza ferrata (si tratta di un’arma antica, composta da un bastone di legno o ferro con una
estremità costituita da aculei o lame o borchie. La tattica dei comandi militari, infatti, era
ancora quella dell’assalto alle postazioni nemiche);
- aereo e sottomarino (durante la Grande Guerra si iniziano a sperimentare anche questi nuovi
strumenti bellici).
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5. LA GUERRA DI POSIZIONE: IL 1916
In questo anno si ricordano le famose battaglie di Verdun e della Somme, combattute sul fronte
francese. Già dal 1914 la guerra si combatteva anche in mare. La Germania fece largo ricorso ai
sommergibili e nel 1916 intensificò la guerra sottomarina. Tale strategia, però, esasperò gli Stati Uniti
che subivano sempre più spesso l’affondamento delle loro navi commerciali (nel 1917 entreranno in
guerra).
Il 15 maggio 1916 in Trentino gli austriaci sferrarono un terribile attacco contro le truppe italiane,
definito Strafexpedition (“spedizione punitiva3”). Grazie all’aiuto dei russi l’Italia evitò il peggio, ma, a
causa del grave pericolo corso, Salandra si dimise. Il nuovo governo era presieduto da Paolo Boselli
che dichiarò guerra alla Germania per rispettare le clausole del Patto di Londra. L’Italia, intanto,
aveva conquistato la Gorizia. Tra i socialisti il dibattito sulla guerra era ancora aperto: una parte dei
socialisti aveva accettato il conflitto, un’altra rivendicava la pace. In Germania i membri delle Lega di
Spartaco, fondata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, promuovevano scioperi e rivolte. La rivolta
della Lega di Spartaco del 1919 fu repressa nel sangue.
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L’Italia doveva essere punita per il suo tradimento, dato che si era resa colpevole di essere passata a
combattere a fianco dell’Intesa.
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maggiore coscienza del loro ruolo e, in alcuni Paesi, i sindacati si batterono per far avere maggiori
diritti alle lavoratrici. Intanto, sia i soldati che i cittadini iniziarono a cambiare atteggiamento e a
guardare con sfiducia a quel conflitto disumano. I governi ricorrevano alla propaganda per controllare
le masse e per convincerle delle buone ragioni del conflitto. Nonostante ciò, aumentarono le proteste
e tra i soldati si moltiplicavano i casi di diserzione e autolesionismo.
Per quanto riguarda l’Italia, celebre fu la disfatta di Caporetto: tra il 23 e il 24 ottobre 1917 gli
austriaci spezzarono il fronte italiano, provocando la ritirata dei soldati. Boselli si dimise e si costituì
un governo di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Grazie alla guida del nuovo
generale Armando Diaz e all’arruolamento dei veterani e di giovanissime reclute (i ragazzi del ’99,
poiché nati nel 1899), la linea del fronte si attestò lungo il Piave, tra l’altopiano di Asiago e il Monte
Grappa.
L’Austria intanto attaccava senza successo sul Piave. Armando Diaz guidò l’avanzata verso Vittorio
Veneto, determinando lo sfondamento del fronte austriaco. Il 3 novembre 1918 l’Austria firmò
l’armistizio di Villa Giusti, nei pressi di Padova. Il 9 novembre venne proclamata la Repubblica in
Germania, guidata dal socialdemocratico Friedrich Ebert. L’11 novembre fu firmato l’armistizio di
Compiègne (nord di Parigi).
La guerra si concluse con la dissoluzione di due imperi: il secondo Reich e l’impero austro-ungarico
(in Austria e in Ungheria furono proclamate le repubbliche).
Dopo la fine della guerra le potenze vincitrici si riunirono a Parigi, dove si tenne la conferenza di
pace. I politici più influenti erano: Thomas Woodrow Wilson (presidente degli USA), Georges
Clemenceau (presidente del Consiglio francese), David Lloyd George (primo ministro inglese),
Vittorio Emanuele Orlando (presidente del Consiglio italiano). La pace avrebbe dovuto ispirarsi ai
Quattordici punti del programma di Wilson in cui sostanzialmente si affermavano i seguenti principi:
l’importanza della cooperazione tra le nazioni e della libertà economica; il principio
dell’autodeterminazione dei popoli (nessun popolo deve essere costretto a essere sottoposto alla
sovranità di uno Stato) e quello di nazionalità (ogni nazione4 dovrebbe potersi costituire come Stato
autonomo); la creazione di un’associazione delle Nazioni. Effettivamente, il 28 giugno 1919 nacque
la Società della Nazioni, ossia un’associazione di potenze che avrebbe dovuto risolvere le
controversie in maniera pacifica. L’organismo, però, era debole a causa di due fattori: gli USA non
aderirono a causa dell’opposizione del Consiglio americano; le decisioni dovevano essere prese
all’unanimità.
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La nazione va intesa come un popolo i cui membri condividono la stessa lingua, cultura, religione.
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Nei trattati di pace prevalse la logica punitiva, non quella di Wilson. Il trattato purtroppo più noto fu
quello di Versailles.
Con il trattato di Versailles (28-06-1919) vennero stabilite le condizioni di pace della Germania,
ossia:
- la Germania doveva rinunciare all’Alsazia e alla Lorena, zone ricche per i giacimenti di ferro e
carbone, e al corridoio di Danzica5 che venne ceduto alla repubblica di Polonia ;
- doveva pagare 132 miliardi di marchi alla Francia, al Regno Unito e all’Italia che con questo
danaro avrebbero pagato i loro debiti agli USA;
Le condizioni erano estremamente dure e questo fu un grave errore che commisero le potenze
vincitrici. A causa di queste decisioni, la Germania non avrebbe più potuto riprendersi
economicamente e tutto questo favorì il diffondersi del malcontento e l’affermarsi dell’ideologia
nazista.
L’Italia presto non ebbe più una posizione rilevante nella Conferenza. Con il trattato di Saint-
Germain, infatti, all’Italia non vennero concesse la Dalmazia e Fiume. Vittorio Orlando abbandonò le
trattative. Anche in questo caso furono commessi errori da parte delle potenze vincitrici e nel nostro
Paese si diffuse il sentimento nazionalista. Dato che non erano stati rispettati gli accordi del Patto di
Londra6, si iniziò a parlare di “vittoria mutilata”.
Altre decisioni più significative dei trattati furono: nacquero nuovi Stati: Ungheria, Cecoslovacchia,
Iugoslavia, Estonia, Lettonia, Lituania; la Turchia perse i territori europei; la Palestina e l’Iraq furono
affidati agli inglesi. Come si vede, la carta dell’Europa venne ridisegnata; quattro imperi sparirono
(impero austro-ungarico, impero tedesco, russo e turco); i veri vincitori furono gli USA, che divennero
la prima potenza economica e politica.
All’inizio del 1900 l’economia russa era per lo più agricola, l’industria era poco sviluppata e i contadini
e gli operai vivevano nella miseria. Già nel 1905 si erano verificate delle sommosse7 e lo zar Nicola II
era stato costretto ad istituire il Parlamento (Duma) e a fare alcune concessioni. Tuttavia, il
Parlamento aveva solo potere consultivo. Lo zar era un sovrano assoluto che impediva la nascita di
uno stato moderno. Per risolvere le tensioni interne, la Russia decise di intervenire nella Prima
guerra mondiale accanto agli stati dell’Intesa (Gran Bretagna e Francia). La situazione continuò però
a peggiorare: l’esercito venne sconfitto molte volte e le condizioni della popolazione diventarono
ancora più misere.
Nel febbraio del 19178 ci fu una prima rivoluzione (rivoluzione di febbraio) e lo zar Nicola II fu
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Territorio che separava la Germania dalla Prussia orientale.
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Patto che l’Italia firma il 26 aprile del 1915 e con il quale si impegna ad entrare in guerra a fianco dell’Intesa.
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Le sommosse erano scoppiate durante il conflitto tra Russia e Giappone per il controllo della Manciuria e della
Corea.
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costretto ad abdicare. Il popolo e l’esercito di Pietrogrado, infatti, si sollevarono contro lo zar. Si
formò così un governo provvisorio, costituito dai liberali moderati, che si proponeva di continuare la
guerra e di attuare le riforme dopo il conflitto. Alla presidenza del governo provvisorio c’era il liberale
Georgij L’vov. Le forze popolari e socialiste intanto ricostituirono i soviet (organismi di
rappresentanza degli operai, dei contadini e dei soldati). Il soviet di Pietrogrado finì per presentarsi
come un’alternativa al potere centrale. Al suo interno, però, c’erano contrasti tra i menscevichi e i
bolscevichi. I menscevichi credevano che ci dovesse essere una rivoluzione democratica e
borghese, che instaurasse un regime politico simile a quelli di Gran Bretagna e Francia. Solo dopo la
trasformazione della società russa in senso capitalista sarebbero finalmente maturate le condizioni
per una rivoluzione del proletariato. I bolscevichi, guidati da Lenin, sostenevano lo sviluppo
immediato della rivoluzione in senso socialista. I bolscevichi, inoltre, chiedevano la pace. Lenin,
tornato in Russia dopo un periodo di esilio, propose con le sue “Tesi d’aprile” un programma di
azione: voleva la fine dalla guerra, l’abolizione della proprietà privata, la riforma agraria ecc. Tutto il
potere sarebbe dovuto passare in mano ai soviet. I bolscevichi, tuttavia, costituivano ancora una
minoranza all’interno dei soviet. La situazione diventava sempre più tesa a causa delle rivolte e degli
insuccessi al fronte. Le rivolte furono represse nel sangue e Lenin venne mandato di nuovo in esilio.
L’vov fu costretto a dimettersi per l’incapacità di gestire la situazione e la presidenza del consiglio
venne assunta dal socialista Kerenskij, convinto della necessità di proseguire la guerra e di
riorganizzare lo Stato su basi democratiche. Infatti, furono programmate a novembre le elezioni per
un’Assemblea costituente.
I bolscevichi acquisivano sempre più ascendente sui soviet, infatti riuscirono a sventare il colpo di
stato dei conservatori guidati dal generale Kornilov (costoro organizzarono una marcia su
Pietrogrado per sedare le rivolte e per limitare il potere del soviet). Lenin ritenne che ormai la
situazione fosse matura per rovesciare il governo. Per questo tornò clandestinamente in Russia e
organizzò una rivoluzione nota come “rivoluzione d’ottobre”. Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre
1917 (calendario russo) i bolscevichi presero il potere. La Guardia rossa9, infatti, occupò i centri
nevralgici di Pietrogrado e il Palazzo d’Inverno, sede del governo. Il successo conseguito con scarso
spargimento di sangue permise a Lenin di mettersi a capo del nuovo governo, definito “Consiglio
dei commissari del popolo” (i ministri, infatti, erano detti commissari del popolo). Lenin divenne
presidente del Consiglio; Stalin divenne il commissario delle Nazionalità10; Trotskij commissario
degli Esteri e poi della guerra. Alle elezioni di novembre, tuttavia, i bolscevichi non ottennero la
maggioranza dei seggi. A questo punto i socialisti rivoluzionari, che avevano invece conquistato la
maggioranza, avrebbero dovuto riprendere il potere. Lenin, allora, sciolse l’Assemblea costituente e
proclamò che il potere dei soviet fosse superiore rispetto a quello dell’Assemblea. Successivamente,
furono intraprese le trattative di pace, conclusesi con l’armistizio di Brest-Litovsk (3 marzo 1918). Gli
imperi centrali imposero dure condizioni di pace, soprattutto in termini di perdite territoriali:
- la Russia doveva rinunciare alla Polonia, alla Lituania, alle province baltiche, alla Finlandia,
all’Ucraina, a parte della Bierlorussa.
Si trattava di territori importanti da cui dipendeva parte della produzione agricola e metallurgica
russa, ma Lenin riteneva che il sacrificio fosse necessario per poter uscire dalla guerra e
concentrarsi sulla ricostruzione del Paese. Fu a causa delle dure condizioni dell’armistizio che
scoppiò una guerra civile (1918-1921) tra i “bianchi”, che sostenevano lo zar ed erano contrari al
nuovo regime, e i “rossi” che sostenevano Lenin e il partito bolscevico.
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La rivolta scoppiò il 23 febbraio 1917. Tra il calendario ortodosso e quello gregoriano c’è una differenza di 13
giorni. Secondo il calendario gregoriano, quindi, la rivolta scoppiò l’8 marzo.
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Corpo armato di operai organizzato dai bolscevichi.
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Stalin aveva il compito di curare i rapporti tra le diverse parti dell’ex impero zarista.
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L’Armata bianca (chiamata così dal colore della divisa che riprendeva quella degli ufficiali zaristi) era
appoggiata dai borghesi e dalle potenze occidentali, spaventate per un possibile diffondersi del
comunismo nei loro Paesi. All’inizio l’Armata bianca sembrò prevalere ed era sul punto di liberale la
famiglia imperiale che si era stabilita a Ekaterinburg (città sul versante orientale degli Urali). Lenin
fece uccidere lo zar e la sua famiglia ed istituì l’Armata rossa per fronteggiare l’offensiva dei bianchi.
Trotskij fu posto alla guida dell’Armata rossa che alla fine riuscì a prevalere. La guerra civile causò
milioni di morti e la Russia fu colpita da una terribile carestia. Malgrado le difficoltà, Lenin era
convinto che bisognava agire affinché la rivoluzione comunista si estendesse ad altri Paesi e, nel
1919, venne istituita la Terza Internazionale (o Komintern), con il compito di coordinare i partiti
comunisti di tutto il mondo e di diffondere la rivoluzione su scala mondiale.
Durante gli anni della guerra il governo di Lenin prese una serie di provvedimenti noti come
“comunismo di guerra”. Tali provvedimenti erano:
CAPITOLO 5: IL DOPOGUERRA
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1. Crisi e ricostruzione economica
Il bilancio della Prima guerra mondiale è stato molto negativo: ci furono circa 17 milioni di caduti e 20
milioni di feriti gravi. Bisogna poi considerare le 200 milioni di persone nel mondo che contrassero
l’influenza spagnola, una malattia virale che ebbe origine negli USA e si diffuse rapidamente in altri
Paesi. I primi a parlarne furono gli spagnoli, da qui il nome attribuito alla malattia.
Oltre all’alta percentuale di morti e feriti, l’Europa dovette fare i conti con la crisi economica e con la
disoccupazione. Per quanto riguarda il settore industriale, le difficoltà riguardavano la
riconversione della produzione: bisognava passare da un’economia di guerra ad un’economia di
pace in tempi brevi. Per quanto riguarda l’agricoltura, i problemi erano legati all’abbandono delle
campagne: i contadini avevano lasciato le loro terre per andare a combattere o per trasferirsi in città.
La produzione entrò in crisi: la quantità di prodotti divenne insufficiente e, di conseguenza, i prezzi
aumentarono. L’inflazione crebbe vertiginosamente; infatti, i prodotti costavano di più, mentre il
valore della moneta diminuiva. In Germania la situazione divenne molto grave; inoltre, il Paese
doveva anche fare i conti con le dure condizioni che le erano state imposte dal trattato di Versailles.
A causa della “pace punitiva” l’economia tedesca non avrebbe mai potuto riprendersi e la Germania
non aveva le risorse per pagare le riparazioni di guerra alle potenze vincitrici.
Con la Prima guerra mondiale le economie dell’Europa e degli USA erano ormai legate e questo
piano aveva dei vantaggi per tutti: 1) le banche e le aziende degli USA investivano in Germania;
2) la Germania in questo avrebbe pagato le riparazioni di guerra alle potenze europee; 3) le
potenze europee avrebbero potuto a loro volta ripagare i debiti contratti con gli USA.
Il meccanismo del piano Dawes si perfezionò quando venne approvato nel giugno del 1929 il piano
Young da una nuova Commissione internazionale. Il piano prevedeva una riduzione del debito e il
pagamento rateale dei risarcimenti tedeschi (2 miliardi all’anno per 58 anni). Il piano ebbe successo
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e il giro di affari crebbe così tanto che negli USA si assistette a un vero e proprio boom economico
tra il 1925 e il 1926.
Negli USA aumentarono i sentimenti conservatori e il razzismo. Vennero presi provvedimenti contro
l’immigrazione straniera e si diffuse la cosiddetta “paura rossa”, ovvero la paura per il diffondersi del
comunismo. I membri del Ku Klux Klan (KKK), una setta di carattere razzista convinta della
superiorità della “razza” bianca, agivano con violenza nei confronti della popolazione afroamericana.
In questi anni venne anche approvato un emendamento con cui venne proibita negli USA la
produzione e la vendita degli alcolici (proibizionismo). Il provvedimento mirava a colpire gli
immigrati, accusati di bere troppo, e i lavoratori (si riteneva che l’alcool diminuisse la produttività). Il
provvedimento fu inefficace e venne abolito nel 1933.
Nella società del dopoguerra nacquero anche un nuovo ottimismo e una nuova voglia di vivere.
Ancora una volta furono gli USA ad essere i protagonisti di questo cambiamento e a fornire i modelli
culturali all’Europa. Il boom economico aveva determinato un miglioramento delle condizioni di vita,
un incremento dei consumi e lo sviluppo del settore terziario. Il numero di impiegati (i cosiddetti
“colletti bianchi”) aumentava nei giornali, nelle banche, nelle agenzie pubblicitarie ecc. Il numero
delle automobili aumentò grazie alla politica industriale di Ford11. Gli anni Venti furono definiti
“anni ruggenti” negli USA e furono caratterizzati dal delinearsi del cosiddetto “American way of
life” (“modo di vivere americano”). Il mito dello stile di vita americano si basava su un alto tenore di
vita e sul’idea che tutti potessero accedere ad una maggiore ricchezza. In seguito questo stile di vita
venne soprannominato in maniera negativa “consumismo”. Aumentarono anche i modi per
trascorrere il tempo libero: la radio si diffuse ovunque; la stampa periodica visse la sua stagione più
felice; il jazz e il cinema vennero sempre più apprezzati ecc. Nel 1911 alcuni produttori si trasferirono
a Hollywood, sobborgo di Los Angeles: da qui nacque la capitale del cinema.
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Collegamento con il taylorismo e con la catena di montaggio.
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Negli USA degli anni Venti, dunque, crebbe la produzione industriale, soprattutto quella dei beni
durevoli. Iniziò a diffondersi una vera e propria “febbre speculativa”, nel senso che molti investivano
i loro soldi per acquistare i titoli quotati in borsa. Ben presto il mercato diventò saturo e si verificò una
crisi di sovrapproduzione: sui mercati americani vi erano enormi quantità di prodotti agricoli e
industriali invenduti. I prezzi diminuirono e le condizioni delle imprese peggiorarono, tanto è vero che
numerose fabbriche dovettero chiudere. Tuttavia, gli operatori in borsa continuarono a comprare
azioni per rivenderle e ottenere un guadagno. La “bolla speculativa” è il processo che comportò la
crescita del valore delle azioni indipendentemente dalle reali condizioni economiche delle aziende.
Nell’autunno del 1929 molti operatori di borsa si accorsero che il valore delle azioni era troppo
positivo rispetto all’andamento delle aziende. Il 21 ottobre del 1929 gli operatori di Wall Street
cominciarono a vendere le azioni con grandissima rapidità. Di conseguenza, il valore delle azioni
scese e i risparmiatori si allarmarono e iniziarono a vendere subito le loro azioni per ottenere i
guadagni sperati. Il 24 ottobre si ebbe il crollo della borsa di Wall Street (il “giovedì nero”) e il
29 ottobre del 1929 (il “martedì nero”) furono venduti titoli azionari per un valore di 16.500.000
di dollari. Scoppiò una grande depressione economica e sociale: negli USA 15 milioni di persone
persero il lavoro; numerosi contadini abbandonarono le campagne in cerca di un lavoro per
ripagare i debiti; la produzione industriale calò del 54%.
La crisi colpì anche l’Europa legata all’economia americana attraverso il Piano Dawes e il
Piano Young. In Germania, infatti, la disoccupazione riguardò 6 milioni di persone. Anche i Paesi
europei e l’Italia furono colpiti. I governi reagirono per lo più imponendo un controllo sull’economia e
aumentando le misure protezionistiche.
Negli USA il presidente americano Hoover non riuscì ad arrestare la crisi. Nel 1932 il democratico
Franklin Delano Roosevelt vinse le elezioni, battendo il rivale liberale Hoover. I punti fondamentali
del suo “New Deal” furono:
Roosevelt ottenne complessivamente 4 mandati (1932, 1936, 1940, 1944). Infatti, pur dovendo
superare l’opposizione delle classi privilegiate, riuscì ad ottenere risultati positivi. Intono al 1936 la
grande depressione poté considerarsi superata.
L’aspetto economico dell’azione di Roosevelt venne analizzato in un importante saggio del 1936
dell’economista John Maynard Keynes. Il titolo dell’opera è la “Teoria generale dell’occupazione,
dell’interesse e della moneta”. Keynes, a differenza dei liberali, riteneva che il mercato avesse
bisogno dell’intervento dello Stato, soprattutto in fasi di crisi. Infatti, in questi momenti lo Stato deve
garantire la circolazione di risorse attraverso la politica delle opere pubbliche, anche a costo di
portare in passivo il bilancio. In questo modo i disoccupati tornano a lavorare e iniziano a spendere di
nuovo; a loro volta le aziende aumentano la produzione e ricominciano ad acquistare materie prime e
attrezzi, moltiplicando la domanda aggregata.
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I primi ad utilizzare l’aggettivo «totalitario» furono alcuni esponenti dell’antifascismo italiano (i liberali
Giovanni Amendola e Piero Gobetti, il socialista Lelio Basso, il cattolico Luigi Sturzo), che a partire
dal 1923 intesero denunciare la politica del fascismo e indicarne la specificità. La definizione di
totalitario data dagli oppositori al fascismo fu da quest’ultimo assunta e rivendicata. Nel giugno del
1925 fu lo stesso Mussolini ad ascrivere al suo regime una «feroce volontà totalitaria». Questa si
traduceva nella supremazia assoluta dello Stato e nell’annullamento in esso della società civile:
«Tutto nello Stato, niente fuori dallo Stato, niente contro lo Stato» – dichiarava lapidariamente il
duce, mentre la voce «Fascismo» dell’Enciclopedia italiana, redatta dallo stesso Mussolini e da
Giovanni Gentile, affermava: «il fascismo è totalitario».
Il termine «totalitarismo» nella sua accezione attuale è stato introdotto nel secondo dopoguerra dalla
filosofa tedesca Hanna Arendt nella sua opera Le origini del totalitarismo, per definire le forme di
governo antidemocratiche del ventesimo secolo. Si tratta di regimi che hanno le seguenti
caratteristiche:
• leader carismatico
• partito unico;
• l’ideologia della «rivoluzione permanente» e del «nemico oggettivo» per tenere alta la mobilitazione
del consenso di massa; l’impiego massiccio delle tecniche di comunicazione come strumenti
di propaganda; l’uso sistematico del terrore come strumento di governo.
DOVE/QUANDO
• Francisco Franco in Spagna 1939-1975 • Adolf Hitler in Germania 1933 - 1945 • Benito Mussolini
in Italia 1922 - 1943 • Stalin in Russia 1924 – 1953
Nel 1924 Lenin morì per una emorragia cerebrale: si aprì allora un periodo di crisi nel partito,
durante il quale emerse la figura di Josif Dzugasvili detto Stalin (“uomo d’acciaio”). Collaboratore di
Lenin, Stalin nel 1922 era diventato segretario generale del Comitato centrale, l’organo collegiale che
eleggeva le cariche esecutive del Partito comunista. Nel giro di pochi anni riuscì a imporsi alla guida
del partito, eliminando l’opposizione di sinistra guidata da Lev Trotskij (o Trockij), l’uomo che aveva
guidato l’Armata rossa durante la guerra civile conclusasi nel 1921. Stalin e Trotskij entrarono in
conflitto principalmente per una diversa visione politica:
- Trotskij e il suo gruppo sostenevano l’idea della rivoluzione permanente (la Russia avrebbe
dovuto porsi come modello per l’Europa, facendo diffondere ovunque la rivoluzione);
- Stalin, invece, era favorevole al “socialismo in un solo Paese” (ossia, occorreva promuovere
la crescita economica e militare della Russia e, solo quando si fosse raggiunto tale obiettivo, si
sarebbe potuto pensare ad una rivoluzione mondiale).
Stalin costrinse Trotskij ad andare in esilio nel 1929 ed espulse dal partito tutti i suoi possibili
avversari. In questo modo rimase da solo al potere e riuscì a mettere in atto il suo progetto
economico e politico. In campo economico egli interruppe la Nep per raggiungere i suoi obiettivi:
industrializzazione del Paese e collettivizzazione della terra. Lo Stato assunse il controllo
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dell’agricoltura, costringendo i kulaki (rappresentanti della media proprietà agraria) ad entrare nelle
aziende agricole gestite dallo Stato, ossia i kolchoz e i sovchoz. Il kolchoz era un’azienda agricola in
cui i contadini coltivavano collettivamente la terra, fornendo i prodotti allo Stato, ma continuando ad
avere a disposizione alcune risorse a uso proprio (qualche bestia, un piccolo appezzamento). Il
sovchoz, invece, era un’azienda più grande e gestita interamente dallo Stato, per cui non c’era la
possibilità di poter godere di nessuna risorsa per uso personale. C’era quindi una differenza tra i due
tipi di aziende e sicuramente i kolchoz erano più graditi rispetto ai secondi, ma negli anni Cinquanta
lo Stato decise sempre più frequentemente di trasformare i kolchoz in sovchoz. I kulaki tentarono
inutilmente di ribellarsi al sistema e vennero progressivamente eliminati attraverso arresti e uccisioni.
Inoltre, tra il 1932 e il 1933 scoppiò la più terribile carestia della recente storia europea che causò
circa 7 milioni di vittime nelle regioni cerealicole dell’Ucraina, del Kazakistan e del Caucaso. Gli
storici ancora si interrogano sulle cause e alcuni ipotizzano che sia stata provocata da Stalin per
stroncare la resistenza delle campagne.
La collettivizzazione delle campagne fu necessaria, perché esse dovevano fornire le risorse per
creare le industrie e per conseguire i traguardi fissati nei piani quinquennali. Infatti, tutta l’economia
venne organizzata per raggiungere gli obiettivi di questi piani che avevano lo scopo fondamentale di
far aumentare la produzione industriale. Il primo piano venne approvato nel 1929 e, a partire da
esso, non ci fu più libertà economica. Furono favorite le industrie siderurgiche, elettriche, minerarie, a
scapito della produzione di beni di consumo destinati a soddisfare i bisogni della popolazione. L’Urss
raggiunse straordinari successi, ma tutto questo venne realizzato attraverso elevati costi umani. La
popolazione era mal nutrita e viveva in pessime condizioni. Anche la propaganda fu impiegata per
sollecitare l’impegno collettivo. A tal fine venne alimentato il movimento dello stacanovismo, dal
nome del minatore Aleksej Stakhanov. Egli aveva battuto più volte il record di estrazione del carbone
e il suo nome divenne leggenda: essere considerato “stakanovista” comportava prestigio sociale e
vantaggi economici.
Per ottenere la totale adesione alla sua politica, Stalin adottò l’arma della repressione, assumendo
un potere tirannico. Oltre a perseguitare i kulaki, vennero eliminati tutti i capi bolscevichi che
potevano rappresentare una minaccia. Vennero anche istituiti dei processi farsa contro tutti i
cittadini che erano incolpati ingiustamente di attività anticomunista. Questo periodo, definito delle
“grandi purghe”, iniziò negli anni Trenta e causò la morte dei capi bolscevichi, sostituiti da uomini
fedeli a Stalin. Trotskij venne ucciso da un sicario nel 1940 a Città del Messico, dove si era trasferito.
Furono eliminati circa 35.000 ufficiali di alto e medio rango, ex ministri e dirigenti. Vennero
organizzati campi di lavoro detti gulag (acronimo russo per “Direzione generale dei campi”), per
reprimere gli oppositori politici. Questi campi erano già attivi nel 1918, nel periodo di Lenin, ma con
Stalin il fenomeno raggiunse la massima estensione; infatti, sorsero oltre 160 gulag. I condannati
lavoravano in catene e in condizioni disumane. Lo scopo dei campi non era solo quello di reprimere
il dissenso, ma anche di avere a disposizione una manodopera sfruttabile a piacimento per sfruttare
le risorse naturali. Gli internati dovevano principalmente tagliare e lavorare il legname, costruire
strade e ferrovie.
Il conteggio delle vittime è difficile a causa della scarsa documentazione. A questi morti vanno
aggiunte le persone giustiziate con esecuzioni capitali. Le vittime furono almeno 10.000.000.
Fondamentale in questo quadro è l’azione svolta dalla Direzione Politica di Stalin (Gpu), la polizia
politica, dotata di ampi poteri e disinvolta nella scelta delle tecniche di indagini e della repressione.
La cosa sconcertante è che ogni cittadino poteva essere denunciato come traditore, anche dai propri
familiari. Venne disseminata ovunque una “politica della paura e del sospetto” senza precedenti.
4. La politica estera
Il mondo occidentale esaltò i successi economici dell’Urss, che nel 1934 venne addirittura ammessa
nella Società delle Nazioni, oltre ad essere riconosciuta dagli USA. Le potenze occidentali, infatti,
erano alle prese in quegli anni con gli effetti della crisi del 1929 e con il consolidarsi del
nazionalsocialismo, per cui si mostrarono pronte a collaborare per frenare l’espansionismo tedesco.
Anche l’Urss fu disposta ad una collaborazione con le potenze democratiche in nome
dell’antifascismo. Ma non passerà molto tempo prima che la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin
trovino il modo di stringere un’alleanza. Il 3 agosto 1939, infatti, Hitler sottoscrisse un patto di non
aggressione con l’Urss di Stalin (patto Molotov-Ribbentrop) per proteggersi le spalle in caso di
conflitto con le potenze occidentali. Il patto prevedeva anche la spartizione della Polonia.
CAPITOLO 7: IL FASCISMO
Nell'Italia del dopoguerra vi erano diversi motivi di malcontento. In primo luogo vi era il rancore,
provato soprattutto dai nazionalisti, per la "vittoria mutilata”. Dal 1919 al 1922 l'Italia fu sconvolta
inoltre da scioperi e agitazioni sociali per richiedere miglioramenti di stipendio e iniziative contro
l'aumento dei prezzi e la disoccupazione. Quando poi gli operai occuparono le fabbriche e i contadini
invasero le terre chiedendone la distribuzione (promessa loro durante la guerra), gli industriali e i
grandi proprietari terrieri temettero la rivoluzione socialista. Anche la piccola e la media borghesia,
impoverite dall'inflazione, erano ostili all'ascesa del proletariato. Tra i borghesi scontenti c'erano
anche gli ex ufficiali, che, dopo aver ricoperto in guerra posti di comando, mal si adattavano a una
grigia vita lavorativa.
Alla crisi sociale si aggiunse la crisi politica, dovuta alla crescita del Partito socialista e del Partito
popolare (quest'ultimo di ispirazione cattolica), che esprimevano le esigenze di maggior democrazia
delle masse popolari e che tolsero ai liberali il controllo del parlamento. All'interno del Partito
socialista, però, si andò ampliando la frattura tra riformisti (che proponevano una politica di riforme
graduali) e massimalisti (che volevano realizzare il programma "massimo" della rivoluzione
socialista e abbattere il capitalismo), tanto che nel 1921 il gruppo estremista di Gramsci uscì dal
partito e fondò il Partito Comunista Italiano, che si proponeva di guidare il popolo alla rivoluzione.
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Negli ambienti borghesi a questo punto dilagò la paura del "pericolo rosso", dell'assalto dei
"bolscevichi" alla proprietà privata, della loro lotta contro la religione e la Chiesa . Da più parti si
cominciò a invocare insistentemente un governo forte, che mettesse fine alle agitazioni popolari,
riportasse l'ordine e restituisse dignità alla patria, umiliata dalla "vittoria mutilata". In questa
situazione acquistò forza il Partito fascista fondato da Benito Mussolini, che proponeva l'uso della
forza per stabilire la pace sociale e scongiurare il pericolo comunista. Il governo sembrava disposto
ad accettare la sua presenza per poter liquidare socialisti e popolari e riacquistare la guida della
politica italiana. In realtà Mussolini intendeva instaurare una dittatura personale e agì in modo da
eliminare progressivamente le libertà dello Stato liberale. Il 28 ottobre 1922 cinquantamila fascisti
effettuarono una marcia su Roma, come manifestazione di forza, e Mussolini ricevette dal re Vittorio
Emanuele III l'incarico di Capo del Governo. Le elezioni del 1924 avvennero in un clima di minacce e
violenze nei confronti degli avversari politici e diedero al Partito fascista la maggioranza in
parlamento. L'uccisione dell'onorevole socialista Matteotti da parte di sicari fascisti scosse
l'opinione pubblica italiana e i deputati dell'opposizione reagirono abbandonando per protesta il
parlamento ("secessione dell'Aventino") per costringere il sovrano ad allontanare Mussolini, ma
questa decisione non venne presa. Da quel momento ebbe inizio la dittatura fascista e
l'organizzazione dello Stato fu modificata in modo da attribuire a Mussolini sia il potere esecutivo, sia
il potere legislativo: egli controllava tutta la politica italiana.
Il fascismo riuscì a imporsi in Italia grazie alla sottovalutazione che del fenomeno venne fatta. Molti
reputavano che il fascismo fosse un male necessario, ma temporaneo, cosa che invece non fu. Dopo
che l'incarico di capo del governo venne affidato a Mussolini, i partiti di opposizione adottarono
metodi maldestri e controproducenti, come l'abbandono dei luoghi ufficiali della politica (secessione
dell'Aventino), che lasciò il parlamento nelle mani dei fascisti. Il re, infine, si mostrò sempre timoroso
e debole, fin dal momento della marcia su Roma, quando non si affrettò a dare l'ordine di fermare i
fascisti con l'esercito e anzi affidò a Mussolini l'incarico di Primo Ministro. Nel 1929 il potere di
Mussolini fu ulteriormente rafforzato dai Patti Lateranensi, tra lo Stato italiano e il Vaticano.
Mussolini riconobbe il Vaticano come stato indipendente, pagò un'indennità per i beni confiscati dopo
l'Unità, riconobbe la validità civile del matrimonio religioso e s'impegnò a impartire l'insegnamento
della religione cattolica nelle scuole. Con questa mossa il fascismo ottenne l'appoggio della Chiesa e
si avvicinò anche alle grandi masse cattoliche.
Particolare cura fu posta nell'educazione della gioventù ai valori del fascismo (disprezzo della
democrazia, culto della forza, fede nel duce7 Mussolini). Il fascismo fu un regime reazionario in
quanto si basò:
• sulla repressione delle libertà individuali (attraverso tribunali speciali, polizia politica, censura); •
sulla difesa degli interessi del grande capitale (leggi antisciopero); • sullo svuotamento del
Parlamento e sulla dittatura (tutti i poteri al "duce").
Il fascismo fu anche un regime di massa, in quanto esso cercò di creare consenso intorno alla
politica del governo, attraverso la propaganda e l'inquadramento dei cittadini. I ragazzi vennero
inseriti nelle organizzazioni di partito fin da bambini (Opera nazionale dei Balilla), coinvolti in parate e
attività di addestramento militare; l'iscrizione al partito fascista divenne indispensabile per accedere
agli impieghi statali. Gli antifascisti, perseguitati e ridotti al silenzio, passarono anni in carcere, come
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Antonio Gramsci (che fu liberato solo alcuni giorni prima della morte), o furono costretti a fuggire
all'estero.
La nascita e la crescita del Nazismo si inquadra nella disperata situazione in cui si trovava la
Germania dopo la Prima guerra mondiale: una popolazione umiliata, l'obbligo di pagare
pesantissimi debiti di guerra, disoccupazione, inflazione, un governo incapace di risolvere queste
emergenze e di sostenere la Repubblica di Weimar, nata nel 1919 dopo la caduta del Kaiser
Guglielmo II. Nello stesso 1919 i comunisti avevano tentato una sollevazione armata per compiere
una rivoluzione di tipo sovietico, ma erano stati repressi sanguinosamente. Karl Liebknecht e Rosa
Luxemburg, a capo del gruppo comunista detto Lega di Spartaco, furono arrestati e uccisi. La nuova
repubblica aveva una Costituzione che prevedeva la presenza di un Parlamento (Reichstag), di un
cancelliere (primo ministro) e di un presidente. La Costituzione, però, aveva un grande punto debole:
in caso di emergenza, il presidente avrebbe potuto sospendere le libertà civili e scavalcare il
Parlamento disponendo tutte le misure necessarie per riportare l’ordine. Hitler seppe in seguito trarne
vantaggio per assumere il potere.
In questo clima, nel gennaio del 1919, nacque il Partito nazionalsocialista dei lavoratori (Nsdap),
noto come Partito nazista. Al suo interno era presente anche una struttura paramilitare, le SA
(“reparti d’assalto”), i cui membri agivano con violenza. Hitler tentò inutilmente di rovesciare il
governo nel 1923 con un colpo di Stato (Putsch di Monaco) e fu arrestato; ma uscì presto di
prigione dove aveva intanto esposto il suo programma in un libro intitolato Mein Kampf (La mia
battaglia). La sua propaganda, dopo di allora, fece leva in modo sempre più esplicito sul
nazionalismo (promettendo di ricostruire il primato industriale e militare della Germania) e sul
razzismo (indicando negli ebrei i responsabili della rovina tedesca). Queste due parole d'ordine,
raccolte dalla maggioranza della popolazione, gli permisero nel 1932 di ottenere una vittoria
elettorale di enormi proporzioni e nel 1934 di impadronirsi del potere. Bisogna tener presente che il
successo della Nsdap si deve anche al fatto che gran parte degli iscritti al Partito era composta
da giovani: il 70% dei membri aveva meno di 40 anni; nel 1933 Hitler aveva 44 anni e gli esponenti
di primo piano del Partito erano tutti più giovani di lui. Nel 1933, a causa delle trasformazioni
demografiche, il 41% della popolazione aveva un’età compresa tra i 15 e i 40 anni. Nelle elezioni
1932 il Partito nazista si impose come il primo partito della Germania. Hitler divenne
cancelliere, mentre come presidente venne eletto il maresciallo Paul Ludwig von Hindenburg.
La sera del 27 febbraio del 1933 venne incendiata la sede del Parlamento, il Reichstag di
Berlino. Vennero falsamente accusati i comunisti e per questo centinaia di membri dell’opposizione
furono arrestati o uccisi. Furono anche limitate le libertà di stampa e quelle politiche. Hitler fece
approvare una legge-delega con cui al suo governo vennero dati pieni poteri.
Successivamente, il Partito nazista venne riconosciuto come unico partito. Iniziò così il regime
totalitario fondato su una politica del terrore messa in atto attraverso la Gestapo (“Polizia segreta di
Stato”) e le SS (“Reparti di difesa”) guidate da Heinrich Himmler. Oltre alle SA (“Reparti d’assalto”),
infatti, nel 1926 vennero istituite le SS, la cui funzione originaria era quella di proteggere Hitler e i
dirigenti del Partito, assumendo poi un ruolo fondamentale nella gestione dei campi di
concentramento. Hitler, che sin dal 1921 aveva assunto il titolo di Führer (“condottiero, duce”),
contrastò ogni forma di opposizione attraverso condanne o uccisioni. La stampa e i mezzi di
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comunicazione furono messi sotto controllo. Ernst Röhm, capo delle SA, voleva diventare ministro
della Difesa e far sì che le SA sostituissero l’esercito. Hitler si oppose per non inimicarsi i quadri
direttivi dell’esercito e perché temeva la crescita del potere di Röhm. Tra il 30 giugno e il 1° luglio del
1934 Hitler ordinò alle SS di uccidere Röhm e di attaccare il quartier generale delle SA. L’episodio è
ricordato come la “Notte dei lunghi coltelli”. Dopo l’accaduto, le SA continueranno ad esistere, ma
avranno un ruolo subordinato rispetto alle SS.
Il 2 agosto del 1934 il presidente Hindenburg morì e Hitler ne assunse la carica, cumulandola
con quella di capo di governo. Con una serie di leggi, nacque un nuovo Stato che non era più
federale, ma controllato dai poteri centrali e chiamato Terzo Reich (il primo era il Sacro romano
impero; il secondo era stato quello di Guglielmo I). Lo Stato da questo momento coincise con la
figura di Hitler, che incarnava la volontà del popolo tedesco. I sindacati ancora esistenti furono
costretti a confluire nella Daf (“Fronte tedesco del lavoro”), unico sindacato ammesso e controllato
dal Partito nazista. La popolazione venne inquadrata nelle organizzazioni del Partito.
L’organizzazione principale dei ragazzi era la Gioventù hitleriana, dove restavano dai 14 ai 18 anni.
Dopo andavano a fare il servizio militare o a svolgere un periodo di lavoro presso il Rad (“Servizio di
lavoro del Reich”) che si occupava dei lavori pubblici. Tutti i lavoratori erano inquadrati nella Daf che
mediava tra lavoratori ed imprenditori. Dipendente dalla Daf era la “Forza attraverso la gioia” che
organizzava il tempo libero dei lavoratori e che offriva pacchetti vacanze o la possibilità di acquistare
un’auto a prezzo contenuto.
La Chiesa luterana diede subito sostegno al regime. Nel 1933 venne firmato un Concordato con la
Chiesa cattolica (pur condannando l’ideologia nazista, la Chiesa permetteva ai cattolici di far parte
del Partito e si impegnava a restare fuori dal campo politico; il regime, invece, garantiva libertà di
pratica religiosa ai cattolici).
3. La politica economica
In campo economico i punti essenziali dell’azione di governo furono due: attivazione di un vasto
piano di lavori pubblici (strade, autostrade, edifici) per riassorbire la disoccupazione; impiego di
larghe quote del bilancio statale per il rilancio dell’industria bellica. Per realizzare ciò, dal 1933 la
Germania interruppe i pagamenti delle riparazioni di guerra e questo consentì di avere un bilancio
statale libero da una pesantissima voce passiva. I risultati della politica economica furono eccezionali
e fecero aumentare il consenso dei tedeschi. La disoccupazione venne riassorbita fino al
raggiungimento del pieno impiego di tutta la forza lavoro (un risultano che non ottenne neanche il
New Deal) e aumentò la produzione industriale e agricola. Un sistema incentrato sull’aumento del
deficit dello Stato a favore dell’industria bellica non sarebbe potuto durare a lungo. La finalità reale,
infatti, era quella di preparare la Germania ad una nuova guerra. I nazisti diffusero l’idea che la
conquista di nuovi territori (di uno “spazio vitale”) fosse necessaria per offrire nuove risorse.
1) incoraggiò l’aumento della natalità attraverso prestiti e benefici per le famiglie. Venne repressa
duramente l’omosessualità maschile;
2) attuò misure antinataliste contro coloro che non potevano garantire un’adeguata e sana
riproduzione (disabili, malati di mente, criminali). Vennero sterilizzate migliaia di persone e si
attuò l’eutanasia per scopi eugenetici. Vennero uccise anche persone di razza ariana, in quanto
vecchie, malate, handicappate ecc.
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Come spiegò Goebbels, ministro della Propaganda, l’obiettivo della politica demografica nazista non
era «avere bambini ad ogni costo, ma bambini validi dal punto di vista della razza, sani fisicamente e
mentalmente». Le donne potevano essere madri e lavoratrici grazie all’Ente di assistenza per la
madre e il bambino che garantiva assistenza, servizi sociali, asili ecc.
Iniziò anche la politica antirazziale contro gli ebrei: con una serie di leggi dell’aprile del 1933 si
decretò che gli ebrei fossero espulsi dalle pubbliche amministrazioni, dalle strutture sanitarie,
dall’Ordine degli avvocati ecc. Dal 1935 vennero varate leggi ancora più dure che regolavano la
discendenza e i rapporti tra ebrei e tedeschi, ossia:
- la “Legge sulla cittadinanza del Reich”, che distingueva tra cittadini a pieno diritto, che erano
quelli di sangue tedesco, e “membri dello Stato privi di diritti”, che erano tutti gli altri, compresi gli
ebrei;
- la “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”, che proibiva il matrimonio e i
rapporti sessuali tra ebrei e tedeschi.
Tra il 9 e il 10 novembre del 1938, circa 7.000 negozi ebrei vennero devastati, 91 ebrei furono
uccisi e 26.000 vennero arrestati e internati nei campi di concentramento. Questa notte è ricordata
come la “notte dei cristalli”, visto che furono infrante le vetrine dei negozi e delle sinagoghe.
La politica razziale era guardata con una certa approvazione dalla popolazione. Questo avveniva
essenzialmente perché i tedeschi erano parte integrante della Volksgemeinschaft, erano protetti e
rassicurati dal sapersi parte della comunità dominante. Inoltre, pensare che quella sorte non sarebbe
toccata a loro apportava un ulteriore senso di pacificazione e spingeva a credere che gli ebrei
avessero fatto sicuramente delle azioni sbagliate per meritare quelle discriminazioni. Il regime
provvide anche ad epurare la produzione culturale. Nel 1933 ci fu un teatrale rogo di libri prodotti da
ebrei o da intellettuali che esprimevano valori contrari a quelli nazisti.
5. La politica estera
Le democrazie occidentali sottovalutarono Hitler e, a volte, espressero addirittura ammirazione per i
successi conseguiti in ambito economico. Ben presto, però, le relazioni internazionali mutarono. Nel
1933 la Germania uscì dalla Società delle Nazioni, si avvicinò a Mussolini e due anni dopo
occupò la Saar e la Renania. L'Italia fascista intervenne a fianco dell'alleato germanico nella
Guerra di Spagna, che tra il 1936 e il 1939 oppose i sostenitori del Fronte popolare (sinistre e
repubblicani) ai falangisti di Francisco Franco, che alla fine riuscirono ad abbattere la repubblica e a
instaurare un regime di tipo fascista (collegamento con Picasso e il dipinto Guernica).
Nel 1936 la Germania e l’Italia firmarono il patto noto con il nome Asse Roma - Berlino. Anche il
Giappone si avvicinò alla politica aggressiva dei due Paesi e nel 1940 il Giappone aderì all’Asse
Roma-Berlino-Tokyo. Nel 1938 ci fu l’annessione dell’Austria (Anschluss) con un plebiscito;
successivamente Hitler costrinse la Cecoslovacchia a cedere il territorio dei Sudeti abitato in
prevalenza da persone di nazionalità tedesca. Anche in questo caso Francia e Inghilterra, invece di
tutelare la Cecoslovacchia, preferirono un accordo, accettando che la Germania occupasse quel
territorio. Nel marzo 1939 le truppe tedesche invasero la Cecoslovacchia. Quando Hitler
rivendicò dalla Polonia il corridoio di Danzica, le potenze occidentali capirono che occorreva
intervenire, ma era troppo tardi. Germania e Italia, infatti, avevano siglato il Patto d’acciaio (22
maggio 1939), che impegnava entrambe a prestarsi reciproco aiuto in caso di guerra, sia difensiva
che offensiva. Il 3 agosto 1939 Hitler sottoscrisse un patto di non aggressione con l’Urss di Stalin
(patto Molotov-Ribbentrop dal nome dei due ministri degli Esteri firmatari) per proteggersi le spalle
in caso di conflitto con le potenze occidentali. Il patto prevedeva anche la spartizione della Polonia.
Ormai lo scoppio della Seconda guerra mondiale era diventato inevitabile.
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CAPITOLO 9: LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Quando Hitler minacciò la Polonia di cedere alla Germania il corridoio di Danzica, le potenze
occidentali decisero di intervenire, ma ormai era tardi. Il 1° settembre 1939 Hitler invase la
Polonia: aveva inizio la Seconda guerra mondiale. Francia e Inghilterra si schierarono dalla parte
della Polonia; USA e Giappone si proclamarono neutrali; l’Italia dichiarò la non belligeranza.
Hitler adottò la tattica della guerra-lampo (azione rapida con l’impiego di aviazione, artiglieria,
fanteria, forze corazzate). Dato che Hitler e Stalin avevano firmato il patto Molotov-Ribbentrop pochi
giorni prima dello scoppio della guerra, la Polonia venne invasa ad est anche dalle truppe sovietiche
e il territorio polacco fu diviso tra Germania e Unione Sovietica. Quest’ultima occupò anche
Estonia, Lettonia, Lituania e una parte della Finlandia. La Germania s’impadronì di Danimarca e
Norvegia.
Di fronte ai successi di Hitler, Mussolini pensò che la guerra si sarebbe conclusa nel giro di breve
tempo. Per queste motivazioni, l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania il 10 giugno 1940.
Intanto l’occupazione della Francia venne conclusa: la Francia del nord passava sotto il diretto
controllo tedesco; quella centro-meridionale diventava un nuovo Stato collaborazionista guidato dal
maresciallo francese Henri-Philippe Pétaine e con capitale a Vichy. Il generale Charles de Gaulle si
rifugiò a Londra e da allora lanciò appelli al popolo francese e guidò la resistenza.
Hitler passò poi a minacciare il Regno Unito: il suo obiettivo era quello di neutralizzare la Raf, ossia
l’aviazione inglese, per poi far sbarcare le truppe tedesche in Gran Bretagna. Iniziò così la “battaglia
d’Inghilterra”, ovvero una serie di bombardamenti a tappeto che durarono 84 giorni. Gli inglesi
resistettero coraggiosamente e Hitler dovette rinunciare al suo proposito.
L’Italia iniziò la sua offensiva in Africa e nei Balcani, attaccando l’Albania e la Grecia. La sconfitta
delle truppe italiane in Africa e in Grecia provocò l'intervento tedesco anche su questi fronti.
Il 27 settembre 1940 il Giappone firmò un patto di alleanza con Italia e Germania: nasceva così
l’Asse Roma-Berlino-Tokyo. Con questo patto le potenze si alleavano per creare un ordine nuovo
per il pianeta su basi razziali: la Germania avrebbe governato sull’Europa continentale, l’Italia
avrebbe controllato il Mediterraneo e il Giappone il continente asiatico. Anche Ungheria, Romania,
Bulgaria, Iugoslavia e Slovacchia aderirono al Patto. Questo evento fu importante perché Hitler
voleva imporre il suo controllo sui Balcani in vista dell’invasione dell’Unione Sovietica.
Il Giappone, intanto, portava avanti il suo progetto di costruire una “grande Asia” sotto il suo
controllo, procedendo alla conquista della Cina e dell’Indocina. Inoltre, tentò di estendersi in
Indonesia e nel Pacifico orientale, dove gli USA avevano interessi economici e basi navali. I
giapponesi decisero che era giunto il momento di attaccare gli USA, anche perché questi ultimi
aiutavano la Cina con la loro “legge affitti e prestiti”. Il 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese
sferrò un improvviso attacco alla base navale di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii. Il
bombardamento ebbe un grosso impatto sugli statunitensi e Roosevelt dichiarò l’entrata in guerra
degli Stati Uniti il giorno successivo.
Mentre le popolazioni dei paesi occupati subivano la dura dominazione tedesca, gli Alleati
prepararono la controffensiva, che iniziò alla fine del 1942 e fu vittoriosa in Africa, nel Pacifico e a
Stalingrado. Nel 1943, quando le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia, in Italia si era già
sviluppata una forte opposizione alla guerra e al fascismo. Mussolini fu messo in minoranza dagli
stessi gerarchi fascisti e fatto destituire e arrestare dal re. Il nuovo capo del governo, Badoglio, firmò
con gli Alleati un armistizio, reso noto l'8 settembre. I Tedeschi per reazione occuparono l'Italia, con
feroci rappresaglie contro militari e civili, e liberarono Mussolini, che fondò la Repubblica sociale
italiana (con sede a Salò, sul lago di Garda). Mentre le truppe alleate risalivano lentamente la
penisola, dietro le retrovie tedesche si andava organizzando un movimento popolare di resistenza,
che trovò il proprio punto di riferimento nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale). Collegamento
con i partigiani!
Nell'aprile 1945 le formazioni partigiane proclamarono l'insurrezione nazionale, che portò alla
liberazione delle città del Nord, alla cattura e uccisione di Mussolini e alla fine della guerra in Italia.
Intanto, il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia gli Alleati avevano iniziato l'offensiva finale
contro la Germania: in agosto Parigi veniva liberata, mentre i sovietici arrivavano a Varsavia. Nel
febbraio del 1945, a Yalta, Roosvelt, Churchill e Stalin si riunirono per concordare l'assetto da dare
all'Europa dopo la sconfitta della Germania. Nel maggio 1945 Berlino fu occupata, Hitler si suicidò e
la Germania si arrese. Il Giappone fu costretto alla resa nel settembre, dopo che due bombe
atomiche avevano distrutto il mese prima le città di Hiroshima e Nagasaki.
N.B. Durante la guerra ci furono le persecuzioni contro gli ebrei (collegamento con quanto fatto per
la giornata della memoria). Oltre a privare progressivamente gli ebrei dei loro diritti, i nazisti
istituirono i ghetti e organizzarono le deportazioni verso i campi di concentramento. I ghetti sorsero
all’interno delle città occupate e rappresentarono una delle tappe iniziali dello sterminio: le condizioni
igieniche erano pessime e la fame opprimeva tutti. Dai ghetti partivano i “trasferimenti” verso i campi
di sterminio. A partire dal 1941 prese definitivamente corpo la cosiddetta “soluzione finale” per lo
sterminio totale degli ebrei attraverso il sistema dei campi (Lager). Nei campi di concentramento si
sfruttavano i prigionieri come forza-lavoro e, quando non erano più idonei al lavoro, venivano inviati
nei campi di sterminio per essere eliminati. Nei campi di sterminio furono inviati anche coloro che non
erano utili al lavoro (bambini, vecchi, malati, donne). Nei Lager vennero internati ebrei, ma anche
zingari, persone di colore, malati mentali, omosessuali, dissidenti, testimoni di Geova. Tristemente
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famosi sono i campi di Auschwitz, Treblinka, Dachau, Mauthausen e Bunchenwald. I deportati erano
sottoposti a ogni tipo di violenza e vi erano camere a gas, forni crematori, locali destinati alle torture e
agli esperimenti su cavie umane. Anche i governi collaborazionisti, come quello di Vichy e quello
italiano, si resero complici dello sterminio, censendo gli ebrei e organizzando le deportazioni. In Italia
furono attivi dei Lager come quello di Fossoli in Emilia- Romagna e quello di Risiera San Sabba a
Trieste.
Alla fine della seconda Guerra mondiale l'Europa appariva sconvolta dalla perdita di 50 milioni di
persone (per la maggior parte uomini, cosa che determinò la superiorità numerica delle donne); i
superstiti si ritrovarono in un mondo distrutto: molte case, scuole e industrie erano rase al suolo,
l'agricoltura era stata fortemente danneggiata e per questo divenne sempre più difficile rifornire di
viveri le città. Di questa situazione approfittò il mercato nero, che portò alle stelle i prezzi di alcuni
generi di prima necessità.
Appena finita la guerra, il desiderio di pace delle potenze vincitrici portò alla creazione dell'ONU, un
organismo internazionale che avrebbe avuto il compito di risolvere pacificamente le controversie tra
le nazioni. Gli USA, che non erano stati toccati dalla guerra nel loro paese e che ne uscivano con
un'economia in espansione, erano considerati come i "liberatori" da cui aspettarsi aiuto e sicurezza.
L'URSS, per quanto danneggiata dalla guerra, venne assunta come punto di riferimento
ideologico e politico dei partiti comunisti europei.
In questa situazione si tenne la Conferenza di Parigi, che stabilì il nuovo assetto dell'Europa: forti
vantaggi territoriali toccarono all'URSS e alla Polonia; l'Italia perse le colonie, il Dodecaneso e parte
della Venezia Giulia; la Germania, divisa in quattro zone di occupazione (sovietica, britannica,
francese e americana), finì spaccata in due tronconi: la Repubblica Federale Tedesca a ovest
(sotto l'influenza occidentale) e la Repubblica Democratica Tedesca a est (sotto l'influenza
sovietica).
Frattanto, USA e URSS, poco prima alleati contro il nazifascismo, cominciarono a manifestare una
reciproca ostilità, che nasceva innanzitutto dalla diversità dei rispettivi sistemi politici e sociali.
Mentre si rafforzava l'egemonia comunista nei paesi dell'Est, da parte americana si varava il Piano
Marshall di aiuti collettivi, per estendere l'influenza statunitense ai paesi dell'Europa occidentale. Si
andava dunque delineando una netta divisione del mondo in due blocchi, capitalista e comunista,
divisione che provocò il succedersi di gravi momenti di tensione sul piano ideologico, politico e
diplomatico, tanto aspri da far parlare di guerra fredda. Viene utilizzato l'aggettivo "fredda" poiché non
vi furono combattimenti diretti su larga scala, ma il conflitto si basò soprattutto sulla lotta ideologica e
geopolitica per l'influenza globale delle due superpotenze.
I motivi di tensione furono accentuati nel 1948 dalla crisi di Berlino, dovuta alla riunificazione dei tre
settori occidentali della città e al conseguente blocco terrestre da parte dei sovietici di Berlino che,
essendo in piena area comunista, restò priva di rifornimenti. Inghilterra e USA organizzarono allora
un ponte aereo con Berlino, che rifornì di merci la città, permettendone la sopravvivenza. I confini
dei paesi dell'Europa orientale vennero chiusi agli occidentali, mentre negli USA il senatore Mac
Carthy lanciava una vera e propria "caccia alle streghe", diretta contro i comunisti e i loro
simpatizzanti o presunti tali. Intanto nel 1949 i Sovietici costruivano la loro prima bomba atomica e
rafforzavano il controllo sui paesi satelliti, riuniti nel Comecon (Consiglio di mutua assistenza
economica). Infine, con la creazione a ovest della Nato (1949) e a est del Patto di Varsavia (1955) i
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due blocchi si contrapponevano anche sul piano delle alleanze militari. In Europa si diede una
concreta risposta alla crisi economica fondando nel 1951 la Ceca (Comunità europea del carbone e
dell'acciaio, che permise la libertà di commercio, senza dazi doganali, di fondamentali materie prime)
e nel 1957 il Mec (Mercato comune europeo, composto inizialmente da sei membri: Francia,
Germania occidentale, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo), che estese la libertà di circolazione a
molte altre merci.
I rapporti tra mondo occidentale ed orientale iniziano a distendersi a partire dal 1985. Si può
considerare il 1989 l’anno della fine della guerra fredda. Nel 1989 ci fu la caduta del muro di Berlino e
due anni dopo ci fu la fine dell’URSS.
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