Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Nel 1815, finita la dominazione
napoleonica, i vincitori si riunirono nel
Congresso di Vienna per riportare
l’Europa nelle condizioni precedenti
quella fase e per rimettere i regnanti
spodestati sui loro troni. In tale
occasione lo zar di Russia e
l’imperatore d’Austria istituirono la
Santa Alleanza con lo scopo di
ripristinare l’ordine prestabilito ed
impedire rigurgiti di libertà.
L’Italia fu definita dal ministro austriaco Metternich (che pure amava molto la
nostra penisola) «una semplice espressione geografica», un’appendice del territorio
austriaco (che di fatto governava un po’ dappertutto), e fu divisa nei seguenti Stati:
Regno di Sardegna, comprendente Sardegna, Piemonte, Liguria, Nizza e Savoia,
sotto Casa Savoia;
Regno Lombardo-Veneto, formato da Lombardia e Veneto, alle dipendenze
dell’Austria;
Ducato di Modena e Reggio, assegnato a Francesco IV, cugino dell’imperatore
d’Austria;
Granducato di Toscana, dato a Ferdinando III, fratello dell’imperatore d’Austria
Francesco I;
Ducato di Parma e Piacenza, nelle mani della figlia dell’imperatore d’Austria,
Maria Luisa, sposata da Napoleone Bonaparte in seconde nozze, per suggellare la
pace di Vienna, e madre di Napoleone II (morto giovane a causa di una polmonite);
Stato Pontificio, guidato da papa Pio VII;
Regno delle Due Sicilie, con a capo Ferdinando I di Borbone, genero
dell’imperatore d’Austria.
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Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Il Risorgimento. Dopo la Rivoluzione Francese e la stagione napoleonica, con tutto
il carico di idee e le rivendicazioni di libertà ed uguaglianza che esse avevano
portato, non era tollerabile un ritorno al passato. Il regime di stretta sorveglianza ed
il ricorso alla polizia austriaca, costrinsero i fautori di un rinnovamento politico e
sociale ad organizzarsi in Società segrete. Molto attiva era la Carboneria, chiamata
così perché i suoi adepti si fingevano carbonari. I luoghi di riunione si chiamavano
vendite, il loro compito era quello di cacciare i lupi dalla foresta, ovvero gli austriaci
dall’Italia.
I moti del 1820-21. Nel 1820 scoppia la prima insurrezione nel Regno delle Due
Sicilie. A sollevarsi è l’esercito, guidato dal generale Guglielmo Pepe. Fu chiesta ed
ottenuta dal re Ferdinando I una Costituzione, che, però, fu da questi prontamente
revocata non appena ebbe l’appoggio delle truppe austriache. L’esercito napoletano
fu sbaragliato ed i rivoltosi perseguitati ed esiliati.
Nel 1821 si sollevarono i carbonari piemontesi, che credevano nell’appoggio del
principe reggente Carlo Alberto, che di fatto la concesse. Ma il re Carlo Felice,
adiratosi per questo, gliela fece ritirare. Le truppe austriache intervennero a
ristabilire l’ordine. Furono esiliati alcuni patrioti, tra cui Santorre di Santarosa, il
quale andò a combattere ed a morire per la libertà della Grecia. Furono esiliati nella
fortezza dello Spielberg, in Moravia, il dottor Oroboni, che morì in carcere, e Silvio
Pellico, che in prigione scrisse Le mie prigioni, un libro che costò all’Austria più di
una battaglia perduta.
Moti del 1831. L’anelito alla libertà ed all’indipendenza dall’Austria non si erano
però sopiti. Nel 1831 scoppia un nuovo tentativo, anch’esso sfortunato, di liberarsi
dal giogo austriaco. L’insurrezione scoppiò a Modena ad opera di Ciro Menotti, che
era convinto di poter contare sull’appoggio del duca, che aspirava ad allargare i suoi
domini col pretesto della rivoluzione. Ma il duca tradì i congiurati e Menotti fu
arrestato ed impiccato.
Causa del fallimento di questi primi moti fu l’ingenua fiducia nell’appoggio altrui e
la mancanza di unità dei moti rivoluzionari, spesso saltuari, episodici, lontani fra
loro.
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Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Giuseppe Mazzini. Intanto, Giuseppe Mazzini, patriota genovese esule a
Marsiglia, organizzava la Giovane Italia per diffondere tra gli Italiani l’idea di patria e
di libertà e per organizzare nuovi moti insurrezionali. Furono tutti fallimentari.
Troppo ideale la visione di Mazzini, poco incisiva la sua azione a causa della
lontananza dall’Italia. Nel 1833 fu arrestato Jacopo Ruffini, amico carissimo di
Mazzini, che si uccise in carcere per il timore che la tortura gli strappasse il nome di
altri patrioti. Nel 1834 scoppiavano altre sommosse, una delle quali a Genova, con a
capo Giuseppe Garibaldi, un giovane marinaio iscritto alla “Giovane Italia”. Per
Mazzini e Garibaldi fu comminata la condanna a morte, ma essi si salvarono per via
dell’esilio. Nel 1844 furono giustiziati i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera. Essi,
abbandonata la Marina austriaca di cui erano ufficiali, sbarcarono con altri compagni
a Cosenza, nel tentativo di sollevare la popolazione. Furono invece sopraffatti
dall’esercito borbonico, fatti prigionieri e fucilati nel vallone di Rovito. Caddero al
grido di «Viva l’Italia!». Nel 1852 altri patrioti mazziniani furono scoperti ed
impiccati a Belfiore, vicino Mantova. I martiri di Belfiore erano nobili, sacerdoti,
popolani. Tra di loro vi era Tito Speri, eroe delle dieci giornate di Brescia. Nel 1857 i
trecento volontari guidati da Carlo Pisacane nella spedizione di Sapri troveranno la
morte gloriosa, nel tentativo di sollevare la popolazione locale. Sono ricordati nella
poesia di Luigi Mercantini La spigolatrice di Sapri. Mazzini, dopo tanti fallimenti,
viene sconvolto dalla «tempesta del dubbio», ovvero dal dubbio sulla bontà della
sua azione cospirativa, che però sarà superato grazie ad un percorso di fede che lo
porterà, per tutta la vita, ad impegnarsi per le sue idee.
Il 1848. È l’anno in cui l’Europa è percorsa in lungo e largo da moti insurrezionali, i
quali hanno lo scopo di ottenere dai governi la Costituzione. In Italia il nuovo
pontefice Pio IX, sulle prime concede ai suoi sudditi alcune riforme, e questo fa ben
sperare nella possibilità di un cambiamento, che sarà poi smentito nei fatti. Il 4
marzo di quell’anno il re Carlo Alberto concede la Costituzione, ovvero lo Statuto
albertino, che sarà la legge fondamentale dello Stato italiano per circa un secolo,
ovvero fino al 1946.
In Austria i governanti rimasero sordi ad ogni richiesta ed il 17 marzo 1848 a
Vienna scoppiò la rivoluzione. Seguirono a ruota sollevazioni nel Lombardo-Veneto.
E cioè lo stesso giorno ci fu la rivolta di Venezia, che il 22 di marzo riuscì a cacciare le
truppe austriache dalla città, dove fu istituita la Repubblica, con a capo il patriota
liberale Daniele Manin. Il 18 marzo si sollevò Milano ed il 22 l’epica impresa si
concluse con la cacciata degli austriaci. Tale episodio passò alla storia con il nome di
Cinque giornate di Milano.
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Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria riportata nelle Cinque giornate, i milanesi
spronano Carlo Alberto ad intraprendere la guerra contro l’Austria. Il 25 marzo 1848
il re varca con l’esercito il Ticino – confine tra la Savoia ed il Regno Lombardo –
Veneto, muovendo verso Milano. Alle truppe piemontesi si uniscono volontari
provenienti da tutta Italia. Le prime vittorie si hanno a Goito (provincia di Mantova),
Valeggio e Pastrengo (Verona). Le truppe di Radetzky furono respinte a Curtatone e
Montanara (Mantova). I Piemontesi vincevano di nuovo a Goito ed a Peschiera. Ma
Radetzky riceveva rinforzi dall’Austria e sconfiggeva Carlo Alberto a Custoza
(Verona). Seguiva l’armistizio ed il 6 agosto gli Austriaci rientravano a Milano,
portandovi la repressione.
Il 12 marzo 1849 la guerra riprendeva e Carlo Alberto veniva di nuovo sconfitto a
Novara. Il re abdicò e si ritirò in esilio ad Oporto, in Portogallo, dove morì quattro
mesi dopo. Gli succedeva il figlio, Vittorio Emanuele II, il quale si incontrava col
generale Radetzky a Vignale (Alessandria), a concludere un duro trattato di pace.
Nel 1848 si erano sollevate, oltre a Milano e Venezia, alcune città della Toscana,
nel Napoletano, in Sicilia. Venezia continuò la sua resistenza per oltre un anno, ma a
causa della fame e delle malattie, capitolò il 23 agosto 1849. Brescia resistette per
10 giorni, animata dall’azione e dall’esempio eroico di Tito Speri. Nel 1849 a Roma,
abbandonata dal Papa per una insurrezione popolare, era stata proclamata la
repubblica. La governavano Mazzini, Saffi e Armellini. La difendeva Garibaldi, a
capo si numerosi volontari accorsi da tutta Italia. Tra di loro vi erano Luciano Manara
e Goffredo Mameli (a cui si deve l’Inno d’Italia). La Repubblica ebbe breve vita e la
resa arrivò il 4 luglio 1849. A difenderla c’era stata anche una giovane patriota
umbra, che combatteva vestita da uomo: Colomba Antonietti (1826-1849), di origini
popolane, sposata col conte Luigi Porzi, anch’esso aderente alla Repubblica Romana.
Colomba ebbe l’ammirazione di Garibaldi. A lei Luigi Mercantini dedicò un’ode.
Garibaldi abbandonò Roma per correre in soccorso di Venezia e mentre compiva il
tragitto perdeva la moglie Anita nella piana di Ravenna.
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Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Il decennio di preparazione. Dopo la sconfitta di Novara il Piemonte raccolse le
sue forze per prepararsi alla rivincita. L’opera fu intrapresa dal primo ministro
Massimo D’Azeglio e continuata dal suo successore Camillo Benso conte di Cavour,
uno dei principali artefici dell’unità d’Italia. Cavour diede impulso all’agricoltura, ai
commerci, alle industrie. Cercò alleanze contro l’Austria. A tale scopo nel 1855
mandò un corpo di spedizione in Crimea a combattere a fianco dei Francesi e degli
Inglesi contri i Russi. L’eroica battaglia della Cernaia diede modo a Cavour di
partecipare al Congresso di Parigi, dove poté esporre le tristi condizioni dell’Italia e
coltivare un’alleanza con Napoleone III imperatore dei Francesi. Gli accordi di
Plombières (21 luglio 1858) sancirono un’alleanza tra Italia e Francia in base alla
quale l’imperatore si impegnava a mandare un esercito di 100mila uomini in aiuto al
Piemonte qualora questo fosse stato attaccato dall’Austria. Cavour provocò ad arte
l’aggressione austriaca, radunando volontari che da ogni dove accorrevano nelle fila
dell’esercito austriaco e respingendo l’ultimatum dell’Austria che gli imponeva di
licenziarli. Era la guerra.
La seconda guerra d’indipendenza. L’Austria dichiarò guerra al Piemonte il 23
aprile 1859 e tre giorni dopo l’esercito austriaco varcava il Ticino per sbarcare in
Piemonte. La sua avanzata fu resa difficile dall’allagamento delle risaie, in modo da
guadagnare tempo e far giungere rinforzi dalla Francia. Gli Austriaci furono sconfitti
a Montebello (Vicenza), Palestro (Pavia) e Magenta (Milano), mentre Garibaldi con i
suoi «Cacciatori delle Alpi» vinceva a Varese, San Fermo e Como.
Il 24 giugno 1859 i due eserciti si scontravano a San Martino e Solferino, sul Lago
di Garda (Lombardia). In quell’episodio nacque l’ispirazione di fondare la Croce
Rossa.
File audio www.solferinoesanmartino.it/images/audio/it/La%20battaglia%20del%2024%20giugno%201859.mp3 .
Gli Austriaci furono di nuovo sconfitti e ripassarono il fiume Mincio. Gli Italiani
esultavano al pensiero che anche il Veneto sarebbe stato libero di lì a poco. Ma
Napoleone III, in modo inatteso, sospendeva la guerra e firmava l’armistizio di
Villafranca (Verona) l’11 luglio 1859. La Lombardia veniva unita al Piemonte ma il
Veneto rimaneva alle dipendenze dell’Austria. Cavour, per protesta, si dimise. Emilia
e Toscana si sollevavano e tramite plebiscito si univano al Regno di Sardegna.
L’annessione veniva riconosciuta da Napoleone III, che però pretese la Nizza e la
Savoia. Garibaldi, che era nizzardo, soffrì moltissimo perché la sua terra diventava
francese.
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Il 4 aprile 1860 in Sicilia era scoppiata una rivolta subito domata. Il 5 maggio 1860
Giuseppe Garibaldi si imbarcava a Quarto con mille volontari sui piroscafi Piemonte
e Lombardo. Sbarcati a Marsala l’11 maggio, cominciarono gli scontri con i
Borbonici. Vi furono le battaglie di Calatafimi, Palermo e Milazzo, tutte vittoriose
grazie anche all’aiuto dei “picciotti” siciliani. Ad agosto l’esercito garibaldino
attraversava lo Stretto di Messina e conquistava Reggio Calabria, risalendo verso
Napoli. Un violento scontro sul Volturno, il 1° ottobre 1860 regalò la vittoria ai
garibaldini. Mentre i garibaldini risalivano la penisola, Vittorio Emanuele II scendeva
con il suo esercito, liberando le Marche e l’Umbria. Il 26 ottobre 1860 i due si
incontrarono a Teano. Garibaldi fece dono a Vittorio Emanuele del regno liberato,
salutando in lui il primo re d’Italia. Dopo quest’ultima impresa, il generale vittorioso
si ritirò a Caprera, in vita isolata e tranquilla, dedicandosi all’agricoltura.
Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno d’Italia. A giugno di quell’anno,
logorato dalle fatiche, si spegneva Cavour. Al completamento dell’unità mancavano
ancora i territori di Venezia e Roma, e nelle ultime ore di delirio il grande artefice
dell’unità nazionale non faceva altro che ripetere queste sue parole: «Venezia,
Roma…». Al suo capezzale accorse a dare l’assoluzione frà Giacomo da Poirino (al
secolo Giacomo Marrocco), al quale Cavour disse la famosa frase: «Frate, libera
Chiesa in libero Stato». Frà Giacomo, per avere assolto il grande statista, fu
convocato da Papa Pio IX e perseguitato dall’Inquisizione, sarà sospeso a divinis e
morirà povero e solo a 77 anni, quindici anni dopo la Breccia di Porta Pia e la fine del
potere temporale della Chiesa.
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Restaurazione – Risorgimento – Guerre d’indipendenza
Milano.
Il 16 giugno 1866 viene siglata un’intesa fra Prussia e Italia, che aspiravano
entrambe a liberare i loro territori. Il 16 giugno 1866 entrano in guerra contro
l’Austria. L’Italia fu sconfitta a Custoza e nella battaglia navale di Lissa (in Croazia).
Le navi Palestro e Re d’Italia affondarono con i loro comandanti che non le avevano
volute abbandonare.
L’Austria veniva però sconfitta dalla Prussia a Sadowa.
I volontari di Garibaldi vincevano a Bezzecca, in Trentino. Erano già in vista di Tre
quando la guerra ebbe termine, ed il generale, all’ordine inviatogli dal re di
sospendere le operazioni, rispose con lo storico «Obbedisco»!
La pace di Vienna, sottoscritta il 22 ottobre, sanciva il passaggio del Veneto
all’Italia, unito al resto della nazione con solenne plebiscito.
Roma doveva ancora essere unita al resto dell’Italia. Napoleone III aveva
affermato che mai l’Italia avrebbe occupato Roma. Ma nel 1870 la Francia entra in
guerra con la Prussia e viene da questa sconfitta e lo stesso imperatore viene fatto
prigioniero. Dopo inutili tentativi di trattative presso il Papa per ottenere
pacificamente la città, le truppe italiane comandate dal luogotenente generale
Raffaele Cadorna. Il 20 settembre entrano attraverso la breccia di Porta Pia. Papa
Pio VII si rende prigioniero delle stanze del Vaticano, da cui non uscirà più, rifiutando
sdegnosamente le guarentigie offertegli dal governo italiano come risarcimento per
l’affronto subito. Nel 1871 Roma diventa capitale d’Italia (la terza, dopo Torino e
Firenze).
Negli anni successivi scomparvero i grandi artefici del Risorgimento: nel 1872
moriva Mazzini; nel 1878 Vittorio Emanuele II e nel 1882 Giuseppe Garibaldi.
Il territorio irredento del Trentino fu annesso al Regno d’Italia con il trattato di
Saint- Germain en Laye, nel 1919, come prodotto del rapporto di forza tra gli Stati,
anche se De Gasperi nel 1914 aveva comunicato all’ambasciatore imperiale a Roma
che le popolazioni locali erano fedeli all’Austria e mal sopportavano un’annessione
all’Italia. Anzi, in caso di referendum per il passaggio in Italia probabilmente il 90%
avrebbero optato per l'Austria-Ungheria. Le istanze locali non furono considerate.