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Maria Teresa Di Paola - La Filanda Barbera All'Annunziata - Soc - Storia - Patria99

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ARCHIVIO STORICO MESSINESE

Fondato nel 1900

Periodico della Società Messinese di Storia Patria


CONSIGLIO DIRETTIVO
Rosario Moscheo, Presidente
Vittoria Calabrò, V. Presidente
Salvatore Bottari, Segretario
Giovan Giuseppe Mellusi, Tesoriere
Consiglieri
Giuseppe Campagna, Giampaolo Chillè, Gabriella Tigano

COMITATO DI REDAZIONE
Giovan Giuseppe Mellusi, Direttore
Virginia Buda, V. Direttore
Alessandro Abbate, Vittoria Calabrò, Giuseppe Campagna
Mariangela Orlando, Elisa Vermiglio

Direttore Responsabile
Angelo Sindoni

COMITATO SCIENTIFICO
Gioacchino Barbera, Rosario Battaglia, Salvatore Bottari, Michela D’Angelo
Caterina Di Giacomo, Mirella Mafrici, Cesare Magazzù, Maria Grazia Militi
Rosario Moscheo, Daniela Novarese, Maria Teresa Rodriquez
Andrea Romano, Caterina Sindoni, Lucia Sorrenti, Gabriella Tigano

www.societamessinesedistoriapatria.it
[email protected]
Antonio Tavilla, webmaster

Autorizzazione n. 8225 Tribunale di Messina del 18-XI-1985 ISSN 1122-701X


Archivio Storico Messinese (On-line) ISSN 2421-2997

Stampa Open S.r.l. - Messina, impaginazione e stampa


SOCIETÀ MESSINESE DI STORIA PATRIA

ARCHIVIO STORICO
MESSINESE
99

MESSINA 2018
La Redazione e l’intera Società Messinese di Storia Patria non assumono responsa-
bilità alcuna per le opinioni espresse dai singoli autori.
SAGGI
Vera von Falkenhausen

ONOFRIO, ARCHIMANDRITA DEL S. SALVATORE DE LINGUA PHARI,


E GLI ARCIVESCOVI DI MESSINA*

Onofrio fu il terzo archimandrita del monastero greco del S. Salvatore


de Lingua Phari, fondato da Ruggero II sulla penisola a forma di mezza-
luna (ἀκρωτήριον), che chiude il porto di Messina. In una nota marginale
al codice Mess. Gr. 115 (f. 16v), il manoscritto che contiene il Typikon
del monastero, si legge che la sua costruzione ebbe inizio nell’anno 6630
(1121/1122) – molto prima dell’incoronazione del primo re normanno – con
l’edificazione della chiesa, che originariamente era stata intitolata non solo
a Cristo, ma anche alla Theotokos e a S. Nicola1. Dopo dieci anni, nel luglio
del 6640 (1132), l’edificio fu completato2. Nel diploma di fondazione del
luglio del 6639 (1131)3, il sovrano indicò le norme che avrebbero dovuto

* Il presente saggio è la traduzione italiana, curata dal prof. Giovan Giuseppe Mellusi,
dell’originale tedesco dal titolo: Onouphrios, Archimandrita von S. Salvatore de Lingua Phari,
und die Erzbischöfe von Messina, apparso in Prosopon Rhomaikon. Ergänzende Studien zur
Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit, herausgegeben von A. Beihammer, B. Krönung
und C. Ludwig, (Millenium Studien zu Kultur und Geschichte des ersten Jahrtausends n. 68),
Berlin-Boston 2017, pp. 241-263 (ISBN 978-3-11-053218-0). La Redazione ringrazia vivamen-
te l’Autrice e l’editore Walter de Gruyter per averne consentito la pubblicazione.
1
S. Cusa, Diplomi greci ed arabi di Sicilia, I.1, Palermo 1868, p. 292. In alcuni documenti
latini, la penisola su cui fu costruito il monastero è anche chiamata Lingua sancti Nicolai: R.
Starrabba, I diplomi della cattedrale di Messina, raccolti da Antonino Amico (Documenti
per servire alla storia di Sicilia I, 1), Palermo 1888, doc. 5, pp. 6-8; H. Buchthal, A School
of Miniature Painting in Norman Sicily, in Late Classical and Mediaeval Studies in Honor of
Albert Mathias Friend, Jr., a cura di K. Weitzmann, Princeton 1955, p. 338.
2
P. Schreiner, Notizie sulla storia della Chiesa greca in Italia in manoscritti greci, in La
Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo. Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari,
30 Apr. - 4 Magg. 1969) (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica 21). Padova
1972, n. 49, p. 903.
3
L’originale del documento edito da Cusa, Diploma greci ed arabi di Sicilia, cit., pp.
292-294 su una trascrizione del XVI o XVII secolo non si è conservato. Una copia medievale
del diploma (fine XII - inizio XIII secolo), sul quale pende un sigillo bilingue di Ruggero II,
è oggi a Toledo, nell’Archivo General de la Fundación Casa Ducal de Medinaceli, Fondo
Messina (in seguito i documenti di questo Fondo saranno indicati con ADM), perg. 530. In
entrambe le copie l’anno del mondo 6639 e l’indizione (VIII) non corrispondono. Tali errori
sono comuni nelle trascrizioni, ma forse Ruggero aveva rilasciato il privilegio di fondazione
già durante l’VIII indizione nel luglio del 6638 (1130), quindi prima della sua incoronazione
8 VERA VON FALKENHAUSEN

regolamentare la struttura della nuova abbazia: secondo un accordo con


l’arcivescovo e i canonici di Messina, il S. Salvatore doveva diventare una
μάνδρα e madre dei monasteri ad esso assoggettati e versare all’arcivescovo
(ὑπὲρ τοῦ ἐπισκοπικοῦ δικαίου) un censo annuale di 100 litri di cera, 20 litri
di incenso, 20 kaphizia4 di olio e 20 nomismata. Ai monaci spettava di eleg-
gere il loro abate – che, al tempo stesso, era archimandrita supervisore dei
monasteri assoggettati al S. Salvatore – secondo le regole canoniche, mentre
al sovrano spettava di confermare l’eletto. Al monastero furono ammessi
chierici e monaci provenienti da tutte le parti del regno e di qualunque con-
dizione sociale. Il S. Salvatore, inoltre, doveva essere indipendente da qua-
lunque autorità (arcivescovili, vescovili e secolari) (θέλομεν δὲ τὸ ἡμέτερον
μοναστήριον εἶναι ἐλεύθερον ἀπό τε ἀρχιεπισκόπων, ἐπισκόπων καὶ ἁπλῶς
παντὸς προσώπου ἐκκλησιαστικοῦ φημι καὶ κοσμικοῦ), e tutti i processi in
cui era parte l’archimandrita (e i suoi successori) si sarebbero dovuti svol-
gere innanzi al re e ai suoi successori (τὸν τούτου προεστώτα καὶ τοὺς αὐτοῦ
διαδόχους εἴποτε τύχη ἀμφιβολία μετά τινος συνελθεῖν μὴ ἀπολογεῖσθαι εἰ
μὴ ἐνώπιον ἡμῶν ἢ τῶν κληρονόμων καὶ διαδόχων ἡμῶν)5.
I monaci non dovevano possedere solo una nave libera, ma avevano il
diritto, anche in caso di un conflitto marittimo, di 40 marinai esentati. Rug-
gero, inoltre, diede al S. Salvatore il necessario per il mantenimento dei
monaci: immobili, e precisamente i suoi agros6 (con indicazione dei limiti),
una vasta proprietà terriera a sud di Messina, dove ai monaci fu permesso di
pascolare 500 maiali, riservandosi, tuttavia, i diritti sulla foresta e i tributi
(doma) dovuti dai marinai colà residenti. Egli donò, inoltre, il metochion
di S. Nicone di S. Nicandro con le relative proprietà, così come affermato
nel sigillion di Ruggero I dell’anno 66027. Il nome dell’abate o archiman-
drita in questo privilegio non è ancora menzionato. La struttura giuridica del
S. Salvatore corrispondeva fino a un certo punto a quella di un monastero
imperiale (βασιλικὸν μοναστήριον) di Bisanzio8 – e così, occasionalmente,

il giorno di Natale di quell’anno. In seguito, i monaci (e forse il sovrano) credettero che un


privilegio regio di fondazione fosse di più grande effetto, e quindi la data di emissione venne
posticipata di un anno, senza inserire la corrispondente indizione.
4
Καφίζιον (dall’arabo qafiz) era una misura per l’olio: G. Caracausi, Lessico greco della
Sicilia e dell’Italia meridionale (secoli X-XIV) (Lessici siciliani diretti da G. Ruffino, 6),
Palermo 1990, p. 285.
5
A questo punto il testo pubblicato da Cusa non è corretto. Cito quindi dalla copia medie-
vale (ADM, perg. 530).
6
Si tratta della proprietà di Agrò, sita a circa 30 km a sud di Messina.
7
Il sigillion di Ruggero I per S. Nicone di S. Nicandro è pubblicato da J. Becker, Docu-
menti latini e greci del conte di Calabria e Sicilia (Ricerche dell’Istituto Storico Germanico
di Roma 9), Roma 2013, n. 34, pp. 147-149.
8
J. Thomas, Your Sword, Our Shield: The Imperial Monastery in Byzantine Civilization, in
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 9

Fig. 1 - Toledo, Archivo Ducal Medinaceli, Fondo Messina, perg. 1248


10 VERA VON FALKENHAUSEN

il monastero viene pure designato9; re Ruggero nei suoi privilegi lo chiama


regolarmente μονὴ ἡμῶν, ἡμέτερον μοναστήριον o in maniera simile10.
Tuttavia i monasteri imperiali di Bisanzio erano esenti dalla giurisdizione
dei vescovi locali, mentre nel caso del S. Salvatore si parla comunque di
ἐπισκοπικὸν δίκαιον.
Nell’ottobre del 1131, l’arcivescovo di Messina, Ugo, rilasciò un docu-
mento di fondazione del S. Salvatore in cui sottolineava che già sotto il suo
predecessore Guglielmo (in carica nel novembre del 112311) era iniziata la
costruzione del monastero12. Egli infatti concedeva all’archimandrita – sem-
pre senza farne il nome – 33 monasteri greci situati nella sua diocesi, fondati
o almeno privilegiati da Ruggero I (quadam monasteria nostre dioceseos
qua beate memorie pater suus magnus primus viene Rogerius fundavit et
per privilegia sua corroboravit)13, – in ogni caso, non tutti i monasteri greci
ricadenti nella diocesi di Messina –, indicando il censo annuale che il S. Sal-
vatore avrebbe dovuto pagare all’arcivescovo, rinviato, però, fino a quando
la chiesa abbaziale non fosse stata completata e consacrata (censum annua-
lem minime persolvendum, donec ipsa ecclesia construeretur et dedicatione
polleret)14. Si affermava anche che l’arcivescovo avrebbe dovuto consacrare

Church and Society: Orthodox Christian Perspectives, Past Experiences, and Modern Chal-
lenges. Studies in Honor of Rev. Dr. D. J. Constantelos, a cura di G.P. Liacopulos, Boston
2007, pp. 27-44.
9
E. Aar, Gli studi storici in Terra d’Otranto, in «Archivio storico italiano», sr. IV, 9
(1882), p. 255.
10
Cusa, Diplomi greci ed arabi di Sicilia, cit., pp. 293-294; V. von Falkenhausen, Ancora
sul monastero greco di S. Nicola dei Drosi (prov. Vibo Valentia). Edizione degli atti pubblici
(secoli XI-XII), in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», 79 (2013), p. 70; ADM,
perg. 1356 (1136/1137); ADM, perg. 533 (1144).
11
L.T. White, Jr., Latin Monasticism in Norman Sicily (The Mediaeval Academy of Amer-
ica. Publication 31), Cambridge Mass. 1938, p. 210.
12
Starrabba, I diplomi della cattedrale di Messina, cit., n. 5, pp. 6-8. Anche in questo
caso l’originale del documento non ci è pervenuto, ma una copia del XII o XIII secolo è con-
servata nell’Archivo General della Fondacion Casa Ducal de Medinaceli (ADM, perg. 107).
Una piccola ma leggibile fotografia di questo documento è riprodotta nel volume Messina.
Il ritorno della memoria, Catalogo della mostra (Messina, Palazzo Zanca, dal 1 marzo al 28
aprile 1994, Palermo 1995, p. 159 n. 26.
13
Questi sono i monasteri: S. Nicandro di Messina, S. Leone di Messina, S. Salvatore de
Presbytero Scholario, S. Filippo di Messina, S. Maria di Massa, S. Stefano di Messina, S.
Pietro d’Itala, S. Nicola di Ysa, S. Pietro d’Agrò, S. Giovanni di Psicro, S. Salvatore di Placa,
S. Nicola di Pellera, S. Costantino di Malet, S. Elia di Embola, S. Basilio di Troina, S. Mer-
curio di Troina, S. Nicola de Canneto, S. Onofrio di Calatabiet, S. Nicandro di S. Nicone, S.
Felice di S. Marco cum obedientiis suis, S. Barbaro di Demenna, S. Pietro di Deca, S. Angelo
di Ficarra, S. Elia di Scala Olivieri, S. Giacomo di Calò, S. Maria di Mallimachi, S. Pietro
de Largo Flumine, S. Venera di Venella, S. Teodoro dell’Isola di Milazzo, S. Maria di Gala,
S. Domenica dell’Isola di Milazzo, S. Anna di Monforte, S. Pancrazio cum suis obedientiis.
14
A questo punto l’edizione di Starrabba diventa lacunosa; cito, quindi, dal transunto
medievale (ADM, perg.107).
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 11

la chiesa del S. Salvatore e quelle dei monasteri dipendenti e benedire gli


archimandriti scelti dai monaci e confermati dal re. L’archimandrita avrebbe
dovuto ricevere gli olii santi e il chrisma dall’arcivescovo e partecipare ai
sinodi diocesani su suo invito15.
Va ricordato, tuttavia, che entrambi i documenti sono pervenuti solo in
transunti della fine del XII o dei primi anni del XIII secolo, e alcune frasi
potrebbero essere interpolate. Sotto l’arcivescovo Berardo di Messina (1196-
1226), infatti, si era giunti a un’aspra disputa con gli archimandriti a motivo
del giuramento di obbedienza richiesto dal metropolita agli abati dei mona-
steri greci della sua diocesi16. Nel corso di questo conflitto, durato decenni,
diversi documenti sono stati falsificati, come ad esempio la chrysobulla di
Ruggero II17 del febbraio del 6642 (1134) o la littera di Innocenzo III del
121018. Non escludo, ad esempio, che la frase sulla esenzione del monastero
da tutte le autorità arcivescovili, episcopali e laiche (θέλομεν δὲ τὸ ἡμέτερον
μοναστήριον εἶναι ἐλεύθερον ἀπό τε ἀρχιεπισκόπων, ἐπισκόπων καὶ ἁπλῶς
παντὸς προσώπου ἐκκλησιαστικοῦ φημι καὶ κοσμικοῦ) presente nel docu-
mento di Ruggero del 1131 sia frutto di una successiva interpolazione.
In una chrysobulla originale del febbraio del 6641 (1133) Ruggero II
aveva subordinato all’archimandrita Luca 13 monasteri (αὐτοδέσποτα καὶ
κεφαλικά) e 18 metochia in Sicilia (elencandone i nomi), situati per la mag-
gior parte nella diocesi di Messina, e 4 monasteri e 5 metochia nel sud della
Calabria19. Egli, però, eliminò dalla lista dei 33 monasteri greci ricadenti nella
diocesi di Messina tre già concessi dall’arcivescovo Ugo nel suo diploma (S.
Costantino di Maletto, S. Onofrio di Calatabiano e S. Domenica di Milazzo),

15
Th. Hofmann, Papsttum und griechische Kirche in Süditalien in nachnormannischer
Zeit (13.-15. Jahrhundert), in Beitrag zur Geschichte Süditaliens im Hoch- und Spätmit-
telalter, Diss.-Würzburg 1994, pp. 50-54.
16
M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale. Rinascita e decadenza,
sec. XI-XIV, Roma 19822, pp. 235-243; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Kö-
nigreich Sizilien. I: Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs
1194-1266. 3. Sizilien, München 1975, pp. 1022-1023.
17
ADM, perg. 1251. Il testo greco è ancora inedito, ma una traduzione latina del docu-
mento è stata pubblicata da R. Pirri, Sicilia sacra, II, Palermo 1733, pp. 974-976; E. Caspar,
Roger II. (1101-1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie, Innnsbruck
1904, pp. 522-523; V. von Falkenhausen, I documenti greci del fondo Messina dell’Archivo
General de la Fundación Casa Ducal de Medinaceli (Toledo). Progetto di edizione, in Vie per
Bisanzio. Atti del VII Congresso dell’Associazione Italiana di Studi Bizantini, a cura di A.
Rigo, A. Babuin e M. Trizio, II, Bari 2013, p. 672.
18
ADM, perg. 124; H. Enzensberger, Der Archimandrit zwischen Papst und Erzbischof:
der Fall Messina, in «Bollettino della Badia greca di Grottaferrata», 54 (2000), pp. 216-218.
19
Il documento originale (ADM, perg. 529) è ancora inedito: V. von Falkenhausen, L’Ar-
chimandritato del S. Salvatore in lingua phari di Messina e il monachesimo italo-greco nel
regno normanno-svevo (secoli XI-XIII), in Messina. Il ritorno della memoria, cit., pp. 45-46;
Ead., I documenti greci del fondo Messina, cit., pp. 669-670.
12 VERA VON FALKENHAUSEN

perché nel frattempo erano stati assegnati ad altre istituzioni ecclesiastiche.


Il sovrano stabilì, inoltre, anche i doveri dell’archimandrita verso i metochia,
la cui amministrazione sarebbe stata affidata a degli economi, e quelli rela-
tivi ai monasteri indipendenti (αὐτοδέσποτα καὶ κεφαλικά), che sarebbero
stati governati da hegoumenoi; questi ultimi venivano eletti all’interno dei
rispettivi monasteri ma rimanevano sotto la supervisione spirituale e disci-
plinare dell’archimandrita. Il sovrano concesse alcuni privilegi di natura
economica e confermò la donazione di Agrò, disponendo che lì e in altre
zone boschive della Sicilia ὁφείλουσιν ἔχειν ἄδειαν οἱ μοναχοὶ νέμειν τὰ
ζῶα αὐτῶν ἅπαντα ἀκωλύτως μηδέν τι ὑπὲρ ἐννομΐου τῶν ζώων αὐτῶν ἢ
δεκατίας ἢ ἑτέρας τινὸς αἰτΐας παρά τινος τῶν ἁπάντων ἀπαιτούμενοι τὸ
σύνολον ἢ ζημϊούμενοι ὁπωσδήποτε. Altri obblighi nei confronti dell’arci-
vescovo non vengono menzionati.
Il primo archimandrita, Luca, era stato abate del monastero di Nea Hode-
getria del Patir presso Rossano. Egli, il 19 agosto 1130, era diventato suc-
cessore di Bartolomeo di Simeri, il defunto fondatore, che sembra esser stato
particolarmente venerato dal sovrano. Dal monastero del Patir, anche occa-
sionalmente chiamato βασιλικὸν μοναστήριον20, Luca portò alcuni monaci e
manoscritti a Messina21. Luca I non era un monaco-sacerdote: in un atto del
1141 con cui egli certifica l’acquisto di reliquie per il monastero si chiama:
Λουκᾶς μοναχὸς καὶ μέγας ἀρχιμανδρίτης; tra l’altro, Ruggero II, nella chry-
sobulla del febbraio del 1133, si era riferito a lui solo come μοναχός. Anche
tra i sette monaci del S. Salvatore che sottoscrivono il documento di acquisto
delle reliquie non vi è alcun prete22. Senza dubbio Luca fu un uomo istruito –
Ruggero lo chiama εὐπαίδευτος – e un organizzatore di talento, che ammini-
strò con efficienza non soltanto il S. Salvatore, ma anche i 23 metochia e i 17
monasteri dipendenti. Purtroppo non ci è pervenuta completa la prefazione al
suo Typikon23, che probabilmente scrisse negli ultimi anni del suo mandato24,
ma da essa sappiamo quali e quante difficoltà dovette superare durante la
fase di fondazione del S. Salvatore: egli viaggiò per la Calabria e la Sicilia,

20
F. Trinchera, Syllabus Graecarum membranarum, Neapolis 1865, p. 140, n. 106; G.
Breccia, Nuovi contributi alla storia del Patir. Documenti del Vat. Gr. 2605, Roma 2006, p. 168.
21
Scaduto, Il monachesimo basiliano, cit., pp. 175-187; G. Zaccagni, Il Bios di san Bar-
tolomeo da Simeri (BHG 235), in «Rivista di studi bizantini e neoellenici», n.s., 33 (1997),
pp. 225-226.
22
Cusa, Diplomi greci ed arabi, cit., pp. 299-301.
23
S. Rossi, La prefazione al Typicon del monastero del SS. Salvatore stritta da Luca primo
archimandrita, in Atti della R. Accademia Peloritana, 17 (1902), pp. 71-84; I. Cozza Luzi,
De typico sacro Messanensis monasterii archimandritalis, in Novae patrum bibliothecae, X,
Romae 1905, pp. 121-130.
24
M. Re, Il copista, la datazione e la genesi del Messan. gr. 115 (Typicon di Messina), in
«Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata», n.s., 42 (1988), pp. 145-155.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 13

Fig. 2 - Toledo, Archivo Ducal Medinaceli, Fondo Messina, perg. 110


14 VERA VON FALKENHAUSEN

recandosi in tutti i metochia e monasteri a lui soggetti per ispezionarli e con-


trollare la disciplina monastica, che in molti di essi era piuttosto decaduta.
Egli si impegnò di riportare l’ordine, invitando monaci pii e se possibile
ben istruiti a trasferirsi al S. Salvatore, ove provvide alla costruzione di un
reparto ospedaliero e di uno xenodochion, di strutture amministrative, alla
creazione di una biblioteca25, oltre a dare impulso e sviluppo all’agricoltura.
Non tralasciò la situazione economica dei metochia: così, ad esempio, nell’e-
state del 1141 si rivolse al sovrano chiedendo la rideterminazione dei confini
dei possedimenti di S. Giorgio di Troccoli presso Sciacca, cosa avvenuta
prontamente26. L’archimandrita, infatti, mantenne ottimi rapporti con Rug-
gero II, visto che tra il 1133 e il 1147 questi emanò ben dodici privilegi in
suo favore27. Quando Luca morì, il 27 febbraio 1149, fu sepolto in un grande
sarcofago di marmo oggi conservato nel Museo Regionale di Messina28.
Se il suo successore Luca (II), è identico all’omonimo docheiarios che
sottoscrive il sopra citato documento del 1141 sull’acquisto di reliquie,
anch’egli non era un sacerdote29. Sarà menzionato per l’ultima volta in un
documento del febbraio 6666 (1158)30. Nel corso della vita di Ruggero II,
il S. Salvatore fu ‘inondato’ di beneficienze regali: sono noti, infatti, quin-
dici privilegi del sovrano in favore dell’archimandritato, alcuni conservati
in originale, altri in copie o in traduzione latina31: comunque, più numerosi
che per ogni altra istituzione ecclesiastica nel Regno di Sicilia. Tra l’altro,
sembra che i primi due archimandriti avessero un legame particolarmente
buono con il re, perché nelle dispute con i funzionari regi circa i confini o le
competenze del monastero, tanto il primo quanto il secondo Luca si rivolge-
vano direttamente al sovrano, ottenendo da lui, prontamente, privilegi in loro
favore: così nell’ottobre del 1144, quando Luca I si lamentò dei regi phore-
sterioi e degli altri praktores, che avevano limitato i diritti dell’archimandrita

25
Id., Il typikon del S. Salvatore de Lingua Phari come fonte per la storia della biblioteca
del monastero, in Byzantino-Sicula III. Miscellanea di scritti in memoria di Bruno Lavagnini
(Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici. Quaderni 14), Palermo 2000, pp. 249-278.
26
V. von Falkenhausen - N. Jamil - J. Johns, The twelfth-century Greek-Arabic and Ar-
abic documents of St George of Tròccoli (Sicily), in «Journal of Arabic and Islamic Studies»,
16 (2016), pp. 1-84.
27
von Falkenhausen, I documenti greci del fondo Messina, cit., pp. 669, 671-677.
28
A. Guillou, Recueil des inscriptions grecques médiévales d’Italie (Collection de
l’École Française de Rome 222), Paris 1996, pp. 203-205, n. 191; A. Rhoby, Byzantinische
Epigramme auf Stein (Österreichische Akademie der Wissenschaften. Denkschriften der phil-
osophisch-historischen Klasse, Band 474. Veröffentlichungen zur Byzanzforschung, Band
35), Wien 2014, pp. 464-467.
29
Cusa, Diplomi greci ed arabi, cit., p. 301.
30
C. Rognoni, Le fonds d’archive «Messine» de l’Archivio de Medinaceli (Toledo). Rege-
stes des actes privés grecs, in «Byzantion», 72 (1972), p. 514, n. 54.
31
von Falkenhausen, I documenti greci del fondo Messina, cit., pp. 669, 671-678.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 15

sui metochia siciliani32; o nell’aprile del 1147, quando Ruggero concesse


all’archimandrita il traffico di trasporto gratuito tra il S. Salvatore e i suoi
metochia in Calabria e in Sicilia, che era stato contestato dai parathalas-
sitai e da altri funzionari33; oppure nel giugno del 1149, quando il sovrano
riconfermò a Luca II le terre di Agrò, a seguito delle opposizioni sollevate
dall’ameras – probabilmente il noto Giorgio d’Antiochia – e da altri funzio-
nari (ὀφφικιάλιοι)34; o, infine, nel maggio del 1151, quando il re confermò
la giurisdizione del S. Salvatore sugli abitanti del monastero di Toukkion in
Calabria, messa in discussione dai funzionari regi di Reggio e S. Agata e dai
baroni locali35. La promessa contenuta nel privilegio di fondazione del 1131,
secondo cui i processi in cui era parte il S. Salvatore dovevano essere risolti
soltanto dal sovrano fu, quindi, mantenuta.
Onofrio fu, come già detto, il terzo archimandrita del monastero del S.
Salvatore36. Egli compare per la prima volta in un documento del luglio del
115937 – per cui la sua elezione si pone tra la primavera del 1158 e l’estate
del 1159 – ed è menzionato per l’ultima volta nell’anno 6690 (1181/1182)38.
Il suo successore, Niphon, è nominato per la prima volta nel marzo del 6692
(1184) 39. Il governo di Onofrio durò, dunque, oltre vent’anni e sono più di
quaranta i documenti relativi al suo mandato pervenutici: molto più che per
altre istituzioni ecclesiastiche in Sicilia durante questo periodo. Ecco perché
mi è sembrato sensato indagare più da vicino sull’attività di questo personag-
gio. Difatti, durante l’abbaziato di Onofrio, mutarono non solo la situazione

32
ADM, perg. 533. Il documento è ancora inedito, ma alcuni brani si trovano in tradu-
zione latina in Pirri, Sicilia sacra, II, cit., p. 1158. E. Caspar, Roger II. (1101-1154) und die
Gründung der normannisch-sizilischen Monarchie, Innsbruck 1904, pp. 555-556, reg. 174.
33
ADM, perg. 1260. Il privilegio è inedito, ma il suo regesto è in Caspar, Roger II. (1101-
1154), cit., p. 567, reg. 209.
34
L.-R. Ménager, Amiratus - Ἀμηρᾶς. L’Émirat et les origines de l’amirauté (XIe - XIIIe
siècles) (Bibliothèque générale de l’École pratique des Hautes Études, VIe section), Paris
1960, n. 32, pp. 212-214; Caspar, Roger II. (1101-1154), cit., p. 571, reg. 219.
35
ADM, perg. 263. Il documento è inedito; Caspar, Roger II. (1101-1154), cit., p. 554 f.,
reg. 227.
36
La letteratura precedente parla di due archimandriti di nome Onouphrios, attestati tra
1158-1165 e il 1168-1184. In mezzo è stato collocato l’archimandrita Niceforo, menzionato
in un documento del gennaio 1166 (Scaduto, Il monachesimo basiliano, cit., pp. 218-221).
Tuttavia Nikephoros è il frutto di un errore di lettura. Il suo nome compare solo nella copia
tardiva di un atto del 1166. Nell’originale (ADM, perg. 1349), che a Scaduto non era ancora
accessibile, l’archimandrita è chiaramente chiamato Onouphrios (Rognoni, Le fonds d’ar-
chive, cit., n. 68, p. 517; von Falkenhausen, L’archimandritato, cit., p. 50). Di conseguenza,
‘con la coscienza pulita’ possiamo eliminare Nikephoros dall’elenco degli archimandriti e
considerare un solo Onofrio.
37
Ibid., n. 108, p. 526.
38
Rognoni, Le fonds d’archive, cit., p. 514, n. 56.
39
Ivi, p. 528, n. 116.
16 VERA VON FALKENHAUSEN

politica ed economica dell’archimandritato, ma anche i rapporti di questo


con gli arcivescovi (latini) di Messina, anche perché era ormai scomparso il
suo regio fondatore e sponsorizzatore. Nulla sappiamo delle origini di Ono-
frio. Prima della sua nomina ad archimandrita nessun monaco con tale nome
appare nei documenti del S. Salvatore. Nella seconda metà del sec. XII,
era un nome molto popolare tra i monaci della Sicilia, perché l’ascetismo
estremo del santo eremita egiziano era considerato un modello monastico.
Nel 1172, oltre all’archimandrita, al S. Salvatore c’erano altri due monaci e
un diacono con questo nome40 e, inoltre, all’inizio degli anni ’90 del sec. XII,
è documentato un abate Onouphrios a S. Maria della Grotta di Palermo41.
Normalmente, i monaci greci mutavano i loro nomi quando entravano in
monastero, tenendo conto della iniziale del loro nome secolare, ad es. Johan-
nes - Joasaph, Leon - Lukas, Nikolaos - Neilos etc. Ma, a prescindere dai
rari casi di Oreste, non si conoscono altri nomi bizantini che iniziano con O;
per cui è dificile fare ipotesi sul nome di battesimo del terzo archimandrita.
Il nostro Onouphrios si firma come μοναχός, quindi non era un sacerdote, e
la sua firma (uno scarabocchio) mostra che non era un esperto calligrafo42.
Dopo la morte di Ruggero II (1154), la stretta relazione esistente tra archi-
mandrita e sovrano cambia abbastanza bruscamente. Di Guglielmo I non ci
è stato tramandato nessun privilegio per il S. Salvatore43; Guglielmo II nel
marzo del 1168 donò al monastero la foresta di Agrò che Ruggero II, nel suo

40
ADM, perg. 1248, edita in appendice a questo saggio (fig. 1).
41
V. von Falkenhausen, I documenti greci di S. Maria della Grotta rinvenuti a Termini
Imerese, in Byzantino-Sicula VI. La Sicilia e Bisanzio nei secoli XI e XII. Atti delle X gior-
nate di Studio della Associazione Italiana di Studi Bizantini (Palermo, 27-28 Maggio 2011),
a cura di R. Lavagnini e C. Rognoni (Istituto siciliano di studi bizantini e neoellenici ‘Bruno
Lavagnini’. Quaderni 18), Palermo 2014, pp. 224-225.
42
Vedi la Tav. I. La sottoscrizione di Onofrio come ἱερομόναχος in un documento del
febbraio 1176 (Cusa, I diplomi greci, cit., p. 372), è frutto di un errore di lettura. Nell’origi-
nale [Palermo, Archivio di Stato (d’ora in avanti ASPa), Tabulario di S. Maria Maddalena di
Valle Josaphat, perg. 51] si afferma chiaramente Ὁ τῆς περιβλέπτου καὶ μεγάλης μονῆς τοῦ
Σωτῆρος προεστὼς Ὀνούφριος μοναχὸς καὶ ἀρχιμανδρίτης ἐκύροσεν: P. Degni, Le sottoscri-
zioni testimoniali nei documenti italogreci: uno studio sull’alfabetismo nella Sicilia norman-
na, in «Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi», sr. II, 3 (2002), pp. 107-154, tav. VI.
43
In un diploma di Enrico VI per il S. Salvatore (1195) si dice in maniera generica confir-
mamus eis privilegia regis Rogerii et regis Guillelmi primi et filii eius regis Guillelmi secundi,
eidem ecclesiae ab eisdem regibus indulta [H. Enzensberger, Guillelmi I. regis diplomata,
(Codex diplomaticus Regni Siciliae, S. I, tom. III), Köln-Weimar-Wien 1996, p. 127, dep.
50], e con parole simili Federico II confermò i privilegi dei suoi predecessori [Die Urkun-
den Friedrichs II. 1198-1212, edd. W. Koch, K. Höflinger, J. Spiegel, Ch. Schroth-Köhler,
(MGH Diplomata XIV, 1), Hannover 2002, n. 15, pp. 31-32 (1200); Die Urkunden Friedrichs
II. 1212-1217, edd. W. Koch, K. Höflinger, J. Spiegel, Ch. Friedl (MGH Diplomata XIV,
2), Hannover 2007, n. 352, pp. 358-360 (1216); C.A. Garufi, Giacomo da Lentino notaro, in
«Archivio storico italiano», sr. V, 33 (1904), p. 402].
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 17

documento del 1131, dichiarava di essere ancora di sua proprietà44; mentre


nel giugno del 1177 permise a un suo familiaris, il vicecancelliere Matteo
d’Ajello, di donare al S. Salvatore 3 paricla di terreni agricoli della proprietà di
Callura, che il re gli (a Matteo!) aveva concessa45. Inoltre, sembra che in quello
stesso anno, l’archimandrita abbia ottenuto la giurisdizione sugli abitanti del
territorio di Toukkion46, già concessa al monastero nel 1151 da Ruggero II47. A
differenza di suo nonno, Guglielmo II non chiamava mai il S. Salvatore mona-
sterium nostrum, e lo stesso vale per i suoi immediati successori. Solo al tempo
di Federico II verrà ricordato lo stretto legame che univa il sovrano al mona-
stero. In un privilegio del 1210, infatti, è detto del S. Salvatore quod est camera
nostra48 e in un atto bilingue del settembre del 1228 dell’imperiale magister
doane de secretis et questorum Matteo di Romania il monastero è indicato
come οἰκεία καπέλλα καὶ κάμμερα αὐτοῦ (dell’imperatore) e βασιλικὴ μονή,
ovvero chiamato camera et cappella imperialis e imperialis monasterium49.
Il rapporto tra il monastero e le istituzioni statali, dunque, sembra cam-
biare dopo la morte di Ruggero II. Mentre Luca I e Luca II nel caso di con-
flitto con alti funzionari o baroni si rivolgevano direttamente al re, che poi,
prontamente, rilasciava loro il privilegio di esenzione desiderato50, il suc-
cessore di costoro, Onofrio, conduceva le sue azioni legali davanti ai tribu-
nali competenti51. E poteva succedere che la sentenza fosse in suo sfavore52.

44
H. Enzensberger, <http://www.hist-hh.uni-bamberg.de/WilhelmII/textliste.html>, n. 17.
45
Ivi, n. 93.
46
C.A. Garufi, Documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia (Documenti per servire
alla storia di Sicilia, I, 18), Palermo 1899, p. 168, n. 69.
47
ADM, perg. 262; von Falkenhausen, I documenti greci del fondo Messina, cit., pp.
677-678.
48
Die Urkunden Friedrichs II. 1198-1212, cit., p. 253, n. 129.
49
ADM, perg. 1385; V. von Falkenhausen, Tra Valle Tuccio e S. Agata. Un documento bi-
lingue di Matthaeus de Romania Imperialis doanae de secretis et questorum magister (1228),
in Studi bizantini in onore di Maria Dora Spadaro, a cura di T. Creazzo, C. Crimi, R. Gentile,
G. Strano, Acireale-Roma 2016, pp. 181-196.
50
Vd. note 32-35.
51
von Falkenhausen, Ancora sul monastero greco di S. Nicola dei Drosi, cit., pp. 71-79.
Una controversia tra l’archimandrita Onofrio e tal Petros Phouskaldos fu decisa nel maggio
del 1174 e dallo strategoto di Messina (ADM, perg. 534). Il documento, in cattivo stato di
conservazione, è ancora inedito.
52
In due controversie con il potente barone Bartolomeo de Parisiis, privo di scrupoli,
relative a usurpazioni di costui ai possedimenti monastici di Mascali e Catona, Onofrio non fu
in grado di fare rispettare i suoi diritti; nel processo relativo al canneto (cannetum) di Catona,
sembra addirittura che vi sia stata una iudicialis sententia in favore di Bartolomeo, il quale,
però, a sua volta, rimase soccombente in seconda istanza, al tempo di Nifone, successore di
Onofrio [C.A. Garufi, Per la storia dei secoli XI e XII. I de Parisio e i de Ocra nei contadi di
Paternò e Butera, in «Archivio Storico per la Sicilia Orientale», 10 (1913), pp. 358-360; V.
von Falkenhausen, Una sentenza di Sanctorus Magne Regie curie magister iustitiarius (Mes-
sina, 1185), in «Zbornik radova Vizantoloskog instituta», 50 (2013), pp. 521-533].
18 VERA VON FALKENHAUSEN

Anche nel caso dello scontro tra quest’ultimo archimandrita e l’arcivescovo


di Messina, Nicola, verificatosi a motivo della decima dovuta per il posse-
dimento di Agrò (1172), donato dal re, non si interessò Guglielmo II, ma la
controversia fu mediata dallo strategoto di Messina53.
Nel frattempo, peraltro, l’archimandritato era diventato così ricco e potente
da poter difendere i suoi possedimenti anche senza il sostegno del sovrano,
potendo continuare ad espandersi, e difatti Onofrio ha dimostrato di essere un
uomo d’affari instancabile: 27 documenti datati tra il 1158 e 1181/1182 riguar-
dano l’acquisto da parte dell’archimandrita di campi e altri beni immobili, prin-
cipalmente nel sud della Calabria ma anche nei dintorni di Messina54. In genere
si trattava di terreni piuttosto piccoli, del valore compreso tra 5 e 20 tarì, per
l’ampliamento delle terre del monastero, ma a volte si era in presenza di somme
comprese tra 120 e 200 tarì per l’acquisto di proprietà terriere estese o di un certo
valore. Inoltre, l’archimandrita scambiava fondi rustici con proprietari terrieri
confinanti55, prendeva e dava in affitto terreni agricoli56 e poi, naturalmente, rice-
veva donazioni dai monaci del suo monastero57, da piccoli proprietari terrieri58
o da potenti funzionari, come il vice-cancelliere Matteo, il quale partecipe delle
preghiere dei monaci del S. Salvatore si considerò frater eiusdem monasterii59.
Anche con gli altri alti funzionari dell’amministrazione centrale pare che
Onofrio abbia mantenuto buoni rapporti: ad esempio, il giudice della magna
regia curia, Judex Tarentinus o Κριτὴς Ταραντινός, divenne monaco del S.
Salvatore nel 1173 e nominò Onouphrios esecutore testamentario60, mentre

53
Il documento viene pubblicato alla fine di questo saggio (fig. 1).
54
Rognoni, Le fonds d’archives, cit., pp. 515-526, ni 56, 61-63, 65, 67, 72, 74 a-b, 83-84,
88-89, 91, 93, 96-97, 100-108. Una gran parte di esso è edito in Ead., Les actes privés grecs de
l’Archivo Ducal de Medinaceli (Tolède), II. La Vallée du Tuccio (Calabre, XIIe-XIIIe siècles),
Paris 2011, pp. 104-190, ni 13-14, 16-18, 20-22, 24-38. Il n. 38 dovrebbe essere datato, a mio
avviso, non all’anno 6695 (1186/1187), ma al 6690 (1181/1182).
55
Rognoni, Le fonds d’archives, cit., p. 521, n. 86.
56
Ivi, n. 64, p. 516; n. 95, pp. 523-524; Ead., Les actes privés grecs, II, cit., pp. 111-113, n. 15.
57
Rognoni, Le fonds d’archives, cit., n. 58, pp. 514-515; Ead., Πρὸς τὴν ἐργασίαν τῶν
καλῶν: il testamento di un monaco italogreco del San Salvatore di Messina (a. 1160-1161), in
Studi bizantini in onore di Maria Dora Spadaro, a cura di T. Creazzo, C. Crimi, R. Gentile,
G. Strano, Acireale-Roma 2016, pp. 377-395.
58
Rognoni, Le fonds d’archives, cit., n. 61, p. 515; n. 66, pp. 516-517; n. 68, p. 517; n. 77,
p. 519.
59
H. Enzensberger, Einige unbekannte Dokumente aus normannischer und staufischer
Zeit, in «Νέα Ῥώμη», 9 (2012), pp. 168-170, 177-178.
60
Aar, Gli studi storici in Terra d’Otranto, cit., pp. 252-257; E. Jamison, Judex Taren-
tinus. The Career of Judex Tarentinus magne curie magister justiciarius and the Emergence
of the Sicilian regalis magna curia under William I and the Regency of Margaret of Navar-
ra, 1156-1172, Proceedings of the British Academy 53 (1967), pp. 300-301, riedito in Ead.,
Studies on the History of Medieval Sicily and South Italy, a cura di D. Clementi - Th. Kölzer,
Aalen 1992, pp. 478-479.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 19

l’ammiraglio Eugenio dedicò al cimitero del S. Salvatore fondato dallo


stesso Onofrio una poesia61. Questi fu assistito nell’amministrazione della
proprietà del monastero dal vestiarios o vestiarites Macario (attestato nel
1172, 1175/1176)62 e dai rispettivi oikonomoi dei grandi possedimenti: Elia,
μέγας οἰκονόμος χώρας Τούκκων (documentato tra il 1164/1165 e il 1170)63,
Leonzio μέγας οἰκονόμος χώρας Τούκκων (1172/1173-1187)64 e Eulogios,
οἰκονόμος Κηροφύλλου (nel sud della Calabria) e Filarete οἰκονόμος τοῦ
Σαληκοῦ (nei dintorni di Messina)65. Nessuno di questi economi era un
monaco-sacerdote e Leonzio arrivò persino a diventare archimandrita (docu-
mentato tra il 1191 e il 1200)66.
Onofrio, inoltre, si prese pure cura degli interessi economici dei mona-
steri indipendenti (κεφαλικὰ καὶ αὐτοδέσποτα), a lui subordinati: nel feb-
braio del 1176, ad esempio, sottoscrisse insieme al suo vestiarios Macario, al
προεστώς di S. Nicandro di Messina, Chariton, e ad alcuni monaci un atto con
cui esentò lo strategoto di Messina dal pagamento del censo su di un piccolo
fondo rustico appartenente a S. Nicandro67. Dal confronto dei caratteri, sem-
bra che l’abate Chariton sia il medesimo che nel 1172 – a quel tempo ancora
monaco del S. Salvatore – sottoscrisse il documento pubblicato in appendice.
Secondo le disposizioni del Typikon del S. Salvatore, dopo la morte di un abate
(προεστώς), i monaci di ogni monastero, in presenza di due monaci delegati
dall’archimandrita, avrebbero dovuto proporre una terna di candidati idonei
per la successione del superiore del monastero, di cui almeno uno appartenente
alla comunità del S. Salvatore68. L’archimandrita, quindi, tenendo conto di
questa indicazione, avrebbe scelto e insediato il nuovo abate. Presumibilmente
spesso accadeva, che l’archimandrita scegliesse il successore tra i monaci del
monastero principale, per meglio controllare il monastero dipendente.
Nel 1179/1180 l’archimandrita fondò a Catona un ospedale per i malati di

61
Eugenii Panormitani Versus iambici, ed. M. Gigante (Istituto siciliano di studi bizan-
tini e neoellenici. Testi 10), Palermo 1964, pp. 97-98, n. 14: «… ’Ωνουφρίῳ κρατοῦντι τῶν
μονοτρόπων, / δείμαντι, κοσμήσαντι τόνδε τὸν δόμον».
62
Cusa, I diplomi greci ed arabi, cit., pp. 371-373; Rognoni, Les actes privés grecs, II, cit.,
pp. 153-156, n. 27; von Falkenhausen, Ancora sul monastero greco di S. Nicola dei Drosi,
cit., pp. 71-79.
63
Rognoni, Les actes privés grecs, II, cit., ni 13-18, pp. 104-123; ni 20-21, pp. 127-132.
64
Ivi, pp. 133-194, ni 22, 24, 28-39.
65
ADM, perg. 1126. Il documento, un testamento del 1160/1161, è inedito.
66
Rognoni, Les actes privés grecs, II, cit., pp. 530-531, ni 126, 128-129; M. Re - C. Ro-
gnoni, Gestione della terra ed esercizio del potere in Valle Tuccio (fine secolo XII): due casi
esemplari, in «JÖB», 58 (2008), pp. 139, 143-146.
67
ASPa, Tabulario di S. Maria Maddalena di Valle Josaphat, perg. 51, edita da Cusa, I
diplomi greci ed arabi, cit., pp. 371-373.
68
Cozza Luzi, De typico sacro Messanensis monasterii, cit., pp. 128-130.
20 VERA VON FALKENHAUSEN

lebbra69. In precedenza era sorta una controversia tra lui e il potente barone Bar-
tolomeo de Parisiis relativa a questa proprietà – o almeno una parte di essa70.
Forse la fondazione di un istituto di beneficenza sul sito contestato fu ritenuta
da Onofrio una soluzione per uscire da una situazione giuridica non chiara,
ma, negli anni a seguire, si verificarono altre liti tra il S. Salvatore, il magister
leprosorum e gli eredi di Bartolomeo de Parisiis circa la proprietà di Catona71.
Interessante, in questo contesto, si rivela il rapporto tra Onofrio e i vari
arcivescovi di Messina. L’archimandrita Luca I sembra essere stato in carica
intorno al 1132, prima della fine dei lavori di costruzione del monastero, e
comunque prima del febbraio del 1133, e pertanto si può presumere che Ugo
abbia benedetto il candidato nominato dal sovrano72. Il testo di un giuramento
di fedeltà reso da Onofrio all’arcivescovo Roberto (1151-1161) ci è noto73, e
riprende in gran parte il iuramentum che i vescovi dovevano prestare al Papa
quando erano nominati74. Per i due Luca tali formule non si sono conservate;

69
Cod. Vat. Lat. 8201, ff. 284r-285r; Scaduto, Il monachesimo basiliano, cit., pp. 222-223.
70
Garufi, Per la storia dei secoli XI e XII, cit., pp. 358-360; von Falkenausen, Una sen-
tenza di Sanctorus, cit., pp. 522, 529-533.
71
Acta Honorii III (1216-1227) et Gregorii IX (1227-1241), rec. A.L. TĂutu (Pontifi-
cia commissio ad redigendum codicem iuris canonici orientalis. Fontes III, vol. 3), Typis
polyglottis Vaticanis 1950, ni 14-15, pp. 32-34; ni 27-28, pp. 46-52; Hofmann, Papsttum und
griechische Kirche, cit., pp. 71-72, 75.
72
Nei documenti fondativi di Ruggero II e dell’arcivescovo Ugo del luglio e dell’ottobre
1131 l’archimandrita non è ancora menzionato; il suo nome comparirà soltanto nella regia
chrysobulla del febbraio del 1133 (ADM, perg. 529).
73
Buchthal, A School of Miniature Painting, cit., p. 338: «Ego Enufrius Archimandrita
monasterii sancti Salvatoris de lingua S. Nicolai Messane iuro salva fidelitate domini Gui-
lelmi dei gratia gloriosissimi Regis Sicilie ducatus Apulie et principatus Capue et heredum
suorum, secundum suam ordinationem quod ab hac hora in antea semper vere fidelis ero et
vere subiectus et vere obidiens in omnibus et per omnia sacrosancte Metropolitane Messanen-
si ecclesie et tibi domino meo Roberto dei gratia eiusdem ecclesie venerabili archiepiscopo
omnibusque tuis successoribus canonice intrantibus, et assicuro vos de vita et membris et
terreno honore non queram nec querere faciam, nec ero in facto, dicto, consilio sive consensu
qualiter vitam aut membrum vel sanitatem vestram aut terrenum honorem vel spiritualem per-
datis aut dampnum rerum vestrarum vel dedecum corporis vestri aut captionem habeatis. Ar-
chiepiscopatum et omnes possessiones Messanensis ecclesie quas hodie tenet vel infuturum
adquisitura est cum omni honore et dignitate sibi pertinente adiuvabo vos tenere et defendere
contra omnes homines vel feminas qui ea vobis ad tollendum invaserint. Vocatus ad sinodum
vestram veniam, nisi perpeditus fuero canonica preperditione. Legatum sacrosancte metropo-
litane ecclesie Messanensis ineundo et redeundo honorifice tractabo et in suis necessitatibus
adiuvabo. Consilium quod mihi per vos vel per litteras aut nuncium vestrum crediditis alicui
nullomodo pandam ad vestrum dampnum me sciente. Hec omnia supradicta adtendam et ob-
servabo sacrosancte Messanensi metropolitane ecclesie et tibi domino meo Roberto dei gratia
eiusdem ecclesie venerabili archiepiscopo et omnibus successoribus tuis canonice intrantibus
per bonam fidem sine fraude et malo ingenio sic me deus adiuvet et hec sancta dei evangelia
et iste sancte reliquie. Amen».
74
J. Deér, Papsttum und Normannen. Untersuchungen zu ihren lehnsrechtlichen und
kirchenpolitischen Beziehungen, Köln 1972, p. 66.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 21

ma ciò non significa necessariamente che essi non l’abbiano prestato, perché
le possibilità di conservazione di simili testi sono piuttosto scarse.
Presumibilmente l’arcivescovo Ugo aveva anche consacrato la chiesa del S.
Salvatore, se si considera che il censo che il monastero pagava annualmente
all’arcivescovado era stato sospeso fino a quando la consacrazione della chiesa
non fosse avvenuta. È difficile, infatti, immaginare che gli arcivescovi aves-
sero rinunciato a questo censo per decenni. Se Guglielmo II aveva dichiarato
in un suo diploma del marzo del 1168 che la consacrazione della chiesa del S.
Salvatore era avvenuta in sua presenza (tempore quo ipsa est nobis presentibus
dedicata)75, allora ciò potrebbe probabilmente essere accaduto il 10 marzo 1168,
perché in una nota marginale al codice Mess. Gr. 115 (ff. 115v-116r) sotto il mese
di marzo è scritto εἰς τὰς ι´ τὰ ἐγκαίνια τοῦ ἁγίου ναοῦ ἡμῶν76. In tal caso, la
chiesa del monastero sarebbe rimasta ‘sconsacrata’ per 35 anni. Ma l’elevazione
di Messina al rango di arcivescovado da parte dall’antipapa Anacleto II (1131)
non venne riconosciuta dai legittimi pontefici77. I successori di Ugo, infatti, rima-
sero vescovi eletti. Il vescovo Roberto (1151-1161), anche se nel 1157 adottò
nuovamente il titolo arcivescovile, lo fece senza approvazione papale, perché
solo il vescovo Nicola, nel 1166, fu ufficialmente elevato al rango di metropolita
da Alessandro III e, come tale, si definì primus Messanensis archiepiscopus78.
Ora, poiché nel Decretum Gratiani si dice che «Absque precepto sedis aposto-
licae nova non dedicetur ecclesia e sine auctoritate summi pontificis nova non
dedicetur ecclesia», possiamo ipotizzare che forse Nicola, in quanto primo arci-
vescovo legittimo di Messina, per dimostrare la propria autorità, abbia proceduto
alla nuova consacrazione della chiesa, considerando invalida la consacrazione da
parte di un suo predecessore ritenuto illegittimo, perché eletto da un antipapa79.
L’arcivescovo Nicola era particolarmente ansioso di riuscire ad aumentare
le rendite della sua diocesi80. Il documento pubblicato alla fine di questo saggio,

75
Enzensberger, <http://www.hist-hh.uni-bamberg.de/WilhelmII/textliste.html> cit., Nr. 17.
76
Le Typicon du monastère du Saint-Sauveur à Messine. Codex Messinensis gr. 115, A. D.
1131, ed. M. Arranz (Orientalia Christiana Analecta 185), Roma 1969, p. 128.
77
Italia Pontificia, X. Calabria - Insulae, ed. D. Girgensohn, Turici 1975, pp. 330, 339-340.
78
Ibidem; N. Kamp, Der unteritalienische Episkopat im Spannungsfeld zwischen monar-
chischer Kontrolle und römischer “libertas” von der Reichsgründung Rogers II. bis zum Kon-
kordat von Benevent, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II. Atti delle terze giorna-
te normanno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 119-120; V. von Falkenhausen
- J. Johns, An Arabic-Greek Charter for Archbishop Nicholas of Messina (November 1166), in
«Νέα Ῥώμη», 8 (2013), pp. 156-159.
79
Corpus iuris canonici. Editio Lipsiensis secunda post Aemilii Ludovici Richteri, ed. AE.
Friedberg, I. Decretum magistri Gratiani, Leipzig 1879 (rist. an. Graz 1959), Decreti tertia
pars, I, 4-5, col. 1295.
80
Subito dopo essere entrato in carica, egli chiese – con successo – la concessione delle en-
trate spettanti all’arcidiaconato di Messina, che sembra fossero state avocate durante la sede va-
cante dal regio Diwan (von Falkenhausen - Johns, An Arabic-Greek Charter, cit., pp. 153-168).
22 VERA VON FALKENHAUSEN

che attesta la grande lite (μεγάλη ἀμφιβολία) avvenuta nel 1172 tra il metro-
polita e l’archimandrita, mostra chiaramente con quale audacia chiese anche al
ricco monastero greco di pagare le decime. Egli, infatti pretese persino il paga-
mento relativo alla decima della proprietà di Agrò, donata dal re al S. Salvatore
nel 1131. Questa donazione, confermata nella chrysobulla del 1133, riservava
al sovrano l’uso della foresta e i tributi dovuti dai marinai locali, come sopra
detto. Nel privilegio del marzo del 1168, però, Guglielmo II aveva ceduto que-
sti ultimi diritti della Corona su Agrò in favore del S. Salvatore81. Quando
Onofrio accettò di dare alla Chiesa di Messina la decima di Agrò e di pagare la
stessa somma pagata dal re fino a prima della donazione di Agrò, cioè, quando
esso apparteneva ancora al Demanio, il metropolita rifiutò l’offerta e chiese
una somma molto più alta. Sembra che l’archimandrita in questo caso non si
sia rivolto al re, o almeno non pare che Guglielmo II all’inizio si sia interessato
al caso perché il suo nome non risulta mai menzionato nel documento. In esso,
infatti, compare Stefano, strategoto di Messina (1170-1172), che ha mediato in
questa disputa, al punto che i due contendenti alla fine si accordarono per un
pagamento annuale di 200 tarì. Quanto l’archimandrita si trovasse sotto pres-
sione da parte dell’arcivescovo, risulta dal tenore del documento ove Onofrio si
rivolge a Nicola con ‘epiteti superlativi’ come ὁ πανοσιώτατος καὶ ἁγιώτατος
καὶ πνευματικὸς ἡμῶν πατὴρ ὁ ἁρχιεπίσκοπος, … ὁ δὲ σεβασμιώτατος καὶ
μεγαλεπιφανέστατος καὶ μεγαλοδοξότατος καὶ ἁγιώτατος ἀρχιἐπίσκοπος καὶ
πατὴρ ἡμῶν, … τὸν τιμιώτατον καὶ θεοφιλέστατον καὶ ἰσάγγελον πνευματικὸν
πατέρα ἡμῶν κῦρ Νικόλαον ἀρχιἐπίσκοπον Μεσίνης) e come egli umilmente si
indichi γνησιώτατον καὶ πιστὸν καὶ πνευματικὸν τέκνον τῆς ἁγίας ἐκκλησίας.
Questo potrebbe forse celare dell’ironia, ma più probabilmente dimostra l’im-
potenza dell’archimandrita di fronte all’arrogante metropolita.
Su quali presupposti giuridici fosse basata la richiesta del metropolita e
perché la decima che prima il sovrano doveva pagare per Agrò venne calco-
lata più bassa rispetto alla somma richiesta dall’arcivescovo all’archiman-
drita non è del tutto chiaro. Nella chrysobulla del 1133, che si è conservata in
originale, si afferma espressamente che i monaci avevano il diritto di tenere il
proprio bestiame libero di pascolare nelle foreste di Agrò e in tutta la Sicilia,
senza tasse per i diritti di pascolo e senza pagare decime per altre ragioni82.

Nel dicembre del 1179 fu risolta una lunga controversia tra Nicola e Stefano, vescovo di Pat-
ti-Lipari, relativa alla divisione delle decime di vari villaggi e chiese, ricadenti tutte nella diocesi
governata da Stefano (Starrabba, I diplomi della cattedrale di Messina, cit., n. 20, pp. 30-32).
81
Enzensberger, <http://www.hist-hh.uni-bamberg.de/WilhelmII/textliste.html> cit., n. 17.
82
ADM, perg. 529: ἐν μέντοι τοῖς ἐκεῖσε ὄρεσι (Agrò) καὶ πᾶσι τοῖς τῆς Σικελίας
ὄρεσιν ὁφείλουσιν ἔχειν ἄδειαν οἱ μοναχοὶ νέμειν τὰ ζῶα αὐτῶν ἅπαντα ἀκωλύτως μηδέν
τι ὑπὲρ ἐννομΐου τῶν ζώων αὐτῶν ἢ δεκατίας ἢ ἑτέρας τινὸς αἰτΐας παρά τινος τῶν ἁπάντων
ἀπαιτούμενοι τὸ σύνολον ἢ ζημϊούμενοι ὁπωσδήποτe.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 23

Tuttavia, dopo la sottoscrizione dell’accordo sulla decima tra arcivescovo


e archimandrita, sembra che alla fine Guglielmo II si sia attivato in modo
da avvertire il Papa di questa lite. Fino a quel momento non sembra che ci
fossero stati contatti tra Roma e l’archimandritato, benché a quell’epoca il
‘monastero madre’ del S. Salvatore, S. Maria del Patir a Rossano godesse già
del privilegio dell’immunità pontificia che aveva ricevuto da Pasquale II nel
1105 (σιγίλλιον ἐλευθερίας) 83.
Così, il 21 ottobre 1175, Alessandro III, precibus carissimi in Christo
filii nostri Willelmi illustris Siciliae regis, con un privilegio originale, ancor
oggi conservato (fig. 2, app. II), prese l’archimandrita Onofrio e il monastero
sotto la protezione papale (sub beati Petri et nostra protectione suscipimus).
In esso vengono enumerati, come sottomessi al S. Salvatore, i metochia e
monasteri in Sicilia e Calabria, con alcune aggiunte rispetto alla lista della
chrysobulla di Ruggero II del 1133: in Calabria i metochia di S. Teodoro di
Nicotera, SS. Cosma e Damiano, S. Conone e S. Giovanni de Frulluzano,
e in Sicilia il monastero di S. Pancrazio, nonché le terre donate sempre da
Ruggero II: Kerophyllon e Tukkion (Tuccio) in Calabria e Salikon (Salice) in
Sicilia. In armonia con la chrysobulla ruggeriana sono poi le disposizioni che
regolano il rapporto tra il S. Salvatore e i monasteri dipendenti: d’accordo
con i monaci, l’archimandrita aveva il diritto di insediare i nuovi abati e,
ove il caso, deporre gli abati indegni. Inoltre l’archimandrita avrebbe dovuto
avere giurisdizione sui monasteri e sui metochia – tam de spiritualibus, quam
de temporalibus – e poteri sugli abati, sui monaci e sui laici, che dovevano
onorarlo e obbedirgli come padre e archimandrita.
Il papa, inoltre, confermava tutte le proprietà del monastero e le future
donazioni, menzionava il censo di 20 solidi, 100 libbre di cera, 20 libbre di
incenso e 20 misure di olio dovuto annualmente all’arcivescovo dall’archi-
mandrita e, quindi, aggiungeva il punto essenziale: «Sane novalium vestro-
rum quae propriis manibus aut sumptibus colitis, sive de quibuscumque aliis
proventibus vestris, nullus a vobis vel ab hominibus vestris decimas exigere
vel extorquere praesumat». Facendo riferimento, dunque alla chrysobulla di
Ruggero II, il pontefice permetteva a ogni chierico e laico di essere libero di
entrare nel monastero e proibiva a chiunque, a pena di interdetto, di molestare
i monasteri e i metochia sotto la giurisdizione del S. Salvatore. Inoltre, dopo
la morte dell’archimandrita, sarebbero stati i monaci a scegliere, in ossequio
alle regole del monastero e senza interferenze esterne, il successore; non vi
è, però, più menzione della conferma del re e della benedizione dell’arcive-
scovo. Alla fine vengono rafforzate le disposizioni con la frase: «Salva Sedis

83
Breccia, Nuovi contributi, cit., pp. 63-67.
24 VERA VON FALKENHAUSEN

Apostolicae auctoritate et Messanensis archiepiscopi, sicut supradictum est,


annuo censu»84.
In tal modo, per il momento, Onofrio aveva vinto la sua battaglia contro
l’arcivescovo, anche se sarebbe passato qualche tempo prima che le disposi-
zioni di Alessandro III trovassero applicazione. In ogni caso, nel settembre
del 1194, a seguito di un processo iniziato dall’archimandrita Leonzio contro
l’arcivescovo Guglielmo di Reggio, quest’ultimo rinunciava a chiedere il
pagamento della decima per i possedimenti dell’archimandritato a Mesai,
nella diocesi di Reggio85; una rinuncia, poi confermata nel dicembre del 1197
da Celestino III86. A lungo termine, tuttavia, gli archimandriti non riuscirono
a prevalere contro gli arcivescovi di Messina, anche perché i papi non furono
più pronti a difendere gli interessi del S. Salvatore87. Anche i tentativi degli
archimandriti per tutelare i loro vecchi diritti per mezzo di privilegi falsifi-
cati rimasero inefficaci88. Nel corso del XIII secolo il peso della popolazione

84
ADM, perg. 110. Secondo H. Enzensberger, Der Archimandrit zischen Papst und Bi-
schof, cit., p. 225, il documento toletano è da ritenersi originale. Fino ad ora conosciamo il
documento attraverso una copia del XVII secolo [Acta Romanorum Pontificum a S. Clemente
I (an. c. 90) ad Coelestinum III (+ 1198), I. (Pontificia Commissio ad redigendum codicem
iuris canonici orientalis. Fontes, ser. III), Typis Polyglottis Vaticanis 1943, p. 818 d-f].
85
Pirri, Sicilia sacra, II, cit., p. 980: «Guillelmus Rheginus Archiepiscopus, venerabili
Fratri Leontio Archimandritae dilectisque filiis et monasterio vestro, vestrisque successoribus
in perpetuum: caussam, quam adversus nos super decimas eorum, quae in Territorio Mesae
Parochiae nostrae, Ecclesia nostra moverat, omnino remittimus, concessione perpetua sta-
tuentes, ut de iis omnibus, quae in praefato territorio Mesae monasterium unitum possidet,
quietum perpetuo maneat ab omni debito decimarum exemptum».
86
Acta Romanorum Pontificum a S. Clemente I (an. c. 90) ad Coelestinum III (+ 1198), I,
cit., p. 818 h, n. 6; Hofmann, Papsttum und griechische Kirche, cit., p. 303.
87
Hofmann, Papsttum und griechische Kirche, cit., pp. 76-77, 91.
88
Tra i documenti falsi è molto interessante il χρυσόβουλλον σιγίλλιον (febbraio 6642
= 1134) di Ruggero II, un’imitazione della chrysobulla del 1133, ma con estese e numero-
se interpolazioni. Esso dice, ad esempio: Ταῦτα δὲ, ὡς εἴρηται, ἡ γαλινώτης ἡμῶν στέργει
καὶ ἐπιβραβεύεται τῇ αὐτῇ ἁγίᾳ μονῇ τοῦ Σωτῆρος ὑπὲρ ψυχικῆς σωτηρίας ἡμῶν καὶ τῶν
γεννητόρων τοῦ κράτους ἡμῶν τοῦ ἔχειν αὐτὰ καὶ δεσπόζειν καὶ ἐξουσιάζειν πάντα ὡσπερ
ἔχονται ἀπό γε καὶ εἰς τὸ ἑξῆς μέχρι τερμάτων αἰώνων ἀκωλύτως καὶ ἀνεμποδίστως παρὰ τοῦ
κράτους ἡμῶν καὶ τῶν ἡμετέρων κληρονόμων καὶ διαδόχων ἀλλ› ὡς δοθέντα καὶ ἀφιερωθέντα
παρ› ἡμῶν εἰς τὴν αὐτὴν μονὴν τοῦ Σωτῆρος ἔχειν αὐτὰ καὶ δεσπόζειν, ὡς προέφημεν,
ἐν πάσῃ γαλήνῃ καὶ ἐλευθερίᾳ ἀπό τε ἀρχιεπισκόπων, ἐπισκόπων καὶ παντὸς ἱερατικοῦ
καταλόγου ἔτι τε καὶ ἀπὸ τῶν ἀρχόντων ἡμῶν στρατηγῶν καὶ λοιπῶν ἄλλων πάντων ἐκ πάσῆς
συνηθείας ἢ ἐπειρείας τινὸς ἢ τινὸς δεκατίας τῶν ἐπαρχιῶν ἀρχιεπισκόπων ἢ ἐπισκόπων ἕως
ἑνὸς ὁβολοῦ, μὴ ἀνθισταμένου τινὸς κοινοῦ ἐκκλησιαστικοῦ δικαίου ἢ συνηθείας τινὸς ἐν
τοῖς διοικήσεσιν ἐνάντιος τῇ ἡμετέρᾳ χάριτι, ἵνα δὲ ὁ ἀρχιεπίσκοπος πόλεως Μεσήνης καὶ
οἱ αὐτοῦ διάδοχοι λαμβάνουσι κατ’ ἔτους ὑπὲρ τῆς αυτῆς μονῆς παρὰ τοῦ κατὰ τὴν ἡμέραν
ἀρχιμανδρίτου καὶ τῶν αὐτου διαδόχων λόγου κίνσου σόλιδα εἴκωσι, κυρίου λήτρας ἑκατὸν,
θυμιάματος λήτρας εἴκωσι καὶ καφίσια ἐλαίου εἴκωσι· καθότι καὶ τὸ ἀναμεταξὺ ἡμῶν καὶ τοῦ
ῥηθέντος ἀρχιεπισκόπου Μεσήνης σύμφονον περιέχει ἐξ οὗ καὶ μολυβδόβουλλον σιγήλλιον
παρ› αὐτοῦ εἰς ἀσφαλίαν τῆς αὐτῆς μονῆς τὸ ἡμέτερον κράτος ἀνελάβετο. Questo passaggio
manca nell’originale (ADM, perg. 1251). Una traduzione latina del documento è stata pub-
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 25

greca di Messina diminuì rapidamente e i ceti dirigenti greci si latinizzarono


sempre più89. Di conseguenza, gli arcivescovi non sentivano più l’obbligo di
rispettare i privilegi e i diplomi che erano stati precedentemente emanati in
favore dei monasteri greci.
Infine una breve osservazione sulla vita monastica nel S. Salvatore al
tempo dell’archimandrita Onofrio. L’anonimo viaggiatore inglese – forse
Roger de Howden – scrisse tra il 1191 e il 1193, pochi anni dopo la scom-
parsa di Onofrio, il trattato De viis maris in cui descrive il monastero Grif-
fonum sito accanto ad un buon ormeggio (anchoratio) all’ingresso del porto
di Messina. Egli dice che Ruggero II aveva fondato e riccamente dotato il
monastero in onore del Salvatore:

et in eo centum monachos griffones, id est Grecos, instituit. Et in regione illa sunt XVI
abbates eiusdem ordinis subiecti abbati predicti monasterii, qui ter in anno, scilicet
ad natale Domini et ad Pascha et ad festum sancti Salvatoris, visitant illam matri-
cem ecclesiam suam, et unusquisque affert secum sex cades vini, et C panes de tritico
unaquaque vice quando faciunt visitationes suas. Est autem ordo illorum quod diebus
dominicis et solempnitatibus sanctorum ad celebranda divina conveniant, non mandu-
cant simul in refectorio nec dormiunt simul in dormitorio, sed duo et duo habitant in
cellulis suis et ibi manducant et dormiunt. Si autem aliquis eorum obierit, deportatur
a fratribus in ecclesia et ibi, factis exequiis defuncti, omnes circumstant defunctum
iacentem in lecto tenentes in manibus suis candelas ardentes et unusquisque osculatur
eum ore ad os et dicunt ei ultimam vale. Et abbas illius monasterii est patriarcha et in
Greco vocabulo dicitur ipse archimandrita, quod interpretatur custos omnium. In loco
autem illo ubi illi monachi habitant, nichil preter illos et eorum servientes habitat, et
non estibi equus hynniens nec bos mugiens nec asinus rudens nec ovis balans neque
canis latrans neque gallus cantans nec sus grunniens nec leo rugiens neque lupus

blicata in Pirri, Sicilia sacra, cit., II, pp. 974-976. Anche un privilegio di Innocenzo III per
il S. Salvatore (1210) risulta interpolato in questo contesto: Specialiter autem praedictum
monasterium S. Salvatoris, nec non oboedientias et reliquia monasteria suffraganea ipsius
monasterii liberamus et eximemus ab omni praestatione et servitio alicuius ecclesiae et alia-
rum personarum. Itaque amodo sit libera et exempta at nuli ali ecclesiae, diocesano archie-
piscopo, episcopo vel locis religiosis seu aliquibus personis, nisi tibi Lucae Archimandritae
tuisque successoribus tantum teneatur amodo in aliquo respondere, excepto censu ecclesiae
Mesanensi sicuti in privilegiis praefati monasterii dicitur contineri, vobis et per vos eidem
monasterio auctoritate apostolica confirmamus, et praesentis scripti patrocinio communi-
mus [Acta Innocentii PP. III (1198-1216), rec. Th. Haluscynskyj (Pontificia commissio ad
redigendum codicem iuris canonici orientalis. Fontes III, vol. 2), Typis polyglottis Vaticanis
1944, pp. 398 ss., n. 168]. Sul problema dell’autenticità del documento: Enzensberger, Der
Archimandrit zwischen Papst und Erzbischof, cit., pp. 217-219.
89
V. von Falkenhausen, Friedrich II. und die Griechen im Königreich Sizilien, in Fried-
rich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994 / Federico
II. Convegno dell’Istituto Storico Germanico nell’VIII Centenario della nascita, edd. A. Esch,
N. Kamp, (Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 85), Tübingen 1996, pp.
248-262.
26 VERA VON FALKENHAUSEN

ululans nec vulpes garriens nec puteus aque nec fons scaturiens, sed sunt ibi cisterne
multe et, quamvis in loco illo nec arant neque seminant neque nent neque congregant
in horreis, tamen habent habundantiam vini, frumenti et olei et carnium et piscium qui
proveniunt illis de redditibus quos dedit illis Rogerius rex Sicilie90.

Il complesso monastico del S. Salvatore deve avere fatto un’ottima


impressione all’autore inglese, perché in nessun altro punto del trattato
egli fa una descrizione della struttura e delle abitudini di un’istituzione che
nulla ha a che fare con la navigazione e i problemi ad essa relativi, come
invece nella sua divagazione sull’archimandritato di Messina. Tuttavia, la
sua descrizione non sempre coincide con le altre notizie in nostro possesso
sull’organizzazione dell’archimandritato: ad esempio mi sembra troppo
alto il numero di 100 monaci colà presenti. Forse Ruggero II, al momento
della fondazione dell’archimandritato aveva pensato a un tale numero, che
però poi non poté realizzare. Difatti, il documento solenne con cui Onofrio
promise all’arcivescovo, per sé e per i suoi successori, il versamento della
decima annuale di 200 tarì risulta firmato da tutti i monaci del monastero
(μετὰ τῆς συμβουλῆς πάντων τῶν ὑπ’ ἐμὲ πατέρων καὶ ἀδελφῶν μικρῶν καὶ
μεγάλων, οἵτινες ἐκδιοχείρως (sic!) ὑπέγραψαν τὰς ϊδίας μαρτυρΐας αὐτῶν)
e riporta in totale 25 firme. Quello potrebbe essere stato effettivamente il
numero totale di monaci del S. Salvatore. Inoltre, l’atto di fondazione dell’o-
spizio dei lebbrosi di Catona (1179/1180), avvenuta ex comuni voluntate et
censura totius fraternitatis, è stato sottoscritto da 24 monaci91. Forse l’autore
del De viis maris aveva considerato anche i monaci dei monasteri dipendenti.
Anche per l’affermazione secondo cui i monaci non mangiavano insieme
nel refettorio e dormivano nel dormitorio, ma mangiavano e dormivano a
due a due nelle loro celle, non vi è corrispondenza nelle disposizioni disci-
plinari del S. Salvatore, trasmesse soltanto in traduzione calabrese, trascritta
in lettere greche, fatta nel 1571 per il monastero di S. Bartolomeo di Trigona.
Si dice, infatti: Νεσκηοὕνο νε αββάτι νεν σοὺβδιτο πρεσούμε μανγνηἅρε
νέλλα τζέλλα σούα σὲνζα κάουσα de ινfirmita per καὶ κουἕστο ἐ κάουσα δε
σκὰνδαλο ἀδ μόλτι92. Non ci sono disposizioni corrispondenti nei Typika uti-
lizzati da Luca I per il suo governo del S. Salvatore: la regola di Teodoro Stu-
dita e quella di Atanasio del Monte Athos. Infine, nei protocolli delle visite

90
P. Gautier Dalché, Du Yorkshire à L’Inde. Une “Géographie” urbaine et maritime del
afin du XIIe siècle (?), (Ecole Pratique des Hautes Etudes. Siences historiques et philologiques,
V. Hautes Etudes Médiévales et modernes, 89), Genève 2005, pp. 210-211.
91
Cod. Vat. Lat. 8201, ff. 284r-285r. Il testo è disponibile solo in traduzione latina.
92
S.G. Mercati, Sul tipico del monastero di S. Bartolomeo di Trigona, tradotto in italo-ca-
labrese in trascrizione greca da Francesco Vicisano, in «Archivio Storico per la Calabria e la
Lucania», 8 (1938), p. 217.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 27

dell’archimandrita Niphon ai monasteri, relativi agli anni 1328-1336, alla


domanda se anche i monaci mangiavano insieme (εἰς τὴν κοινὴν τράπεζαν),
viene sempre risposto di ‘Si’93.
Il numero di 16 abati dei monasteri dipendenti non è esattamente uguale al
numero dei monasteri previsti nel privilegio di Alessandro III (13 in Sicilia e
4 in Calabria); una possibilità è che non tutte le abbazie avessero un egumeno
o che qualche monastero fosse stato dissolto o che un metochion fosse diven-
tato monastero, come nel caso, ad esempio, del monastero di S. Nicola di Pel-
lera, che nei privilegi di Ruggero II (1133) e Alessandro III risulta considerato
metochion, e nel marzo 1168 ha un proprio προεστώς chiamato Hilarion94.
Interessante è la descrizione del cerimoniale funebre, di cui il viaggia-
tore inglese potrebbe essere stato testimone. Secondo il poema di Eugenio
di Palermo, Onofrio aveva anche creato un cimitero per il S. Salvatore95. In
ogni caso, per l’autore del De viis maris, la visita dell’archimandritato greco
sulla Lingua Phari di Messina, con il suo silenzioso ambiente monastico,
accanto alle vivaci attività di un porto internazionale, dovette essere un’espe-
rienza di viaggio indimenticabile.
Per ciò che riguarda la biblioteca del S. Salvatore e l’attività di scrittura dei
monaci al tempo di Onofrio, Maria Bianca Foti ha individuato due manoscritti:
un Euchologion (codice Mess. Gr. 172), vergato nel 1179 dal monaco Bla-
sios, presumibilmente lo stesso che sottoscrisse con l’archimandrita il docu-
mento del 1172, e un Synaxarion copiato da Basileios di Reggio nel 1171/1172
(codice Lips. Rep. II 25)96. Quando l’ex giudice della magna regia curia, il
Κριτὴς Ταραντινός, che divenne monaco nel 1173 a S. Salvatore, depositò nel
monastero 14 ‘libri legali’ che i suoi nipoti ed eredi avrebbero dovuto ricevere
da Onofrio, esecutore testamentario, è possibile che tali manoscritti, dimen-
ticati dai nipoti o non richiesti, siano rimasti nella biblioteca del monastero,
poiché tra i numerosi codici del Fondo S. Salvatore, numerosi palinsesti recano
tracce di testi giuridici riutilizzati97. Infine, Vasiliki Tsamakda ha ritenuto che
il famoso Skylitzes Matritensis (Bibl. Matr., Vitr. 26-2) sia stato scritto sotto

93
Codex Messanensis Graecus 105, Testo inedito, indici e glossario, a cura di R. Canta-
rella (R. Deputazione di Storia Patria della Sicilia. Memorie e documenti di storia siciliana
II 2), Palermo 1937, pp. 11, 15 s., 19, 25, 30, 33, 38, 42, 49, 56, 59, 66, 70, 73, 76, 79, 83,
86, 94, etc.
94
V. von Falkenhausen, Un diploma greco di Guglielmo II (marzo 1168), in Storie di cul-
tura scritta. Studi per Francesco Magistrale, a cura di P. Fioretti, Spoleto 2012, pp. 377-389.
95
Vd. nt. 61.
96
M.B. Foti, Il monastero del S.mo Salvatore in Lingua Phari. Proposte scrittorie e co-
scienza culturale, Messina 1989, pp. 42-43.
97
M.T. Rodriquez, Riflessioni sui palinsesti giuridici dell’area dello Stretto, in Vie per
Bisanzio, cit., pp. 625-645.
28 VERA VON FALKENHAUSEN

l’archimandrita Onofrio al S. Salvatore98, ma senza fornire prove rilevanti99.


In generale, tuttavia, il manoscritto, che è presente sin dal XIII secolo nella
biblioteca archimandritale, è datato ai primi decenni del XII secolo100. Ma
anche se forse al tempo di Onofrio al S. Salvatore furono copiati meno mano-
scritti rispetto al periodo di fondazione dell’archimandritato, vi erano comun-
que nella comunità, monaci ben istruiti che potevano essere utilizzati come
insegnanti per i loro confratelli: un documento del 1160/1161 risulta scritto
dal monaco-sacerdote Niphon ὁ διδάσκαλος101; il monaco sacerdote Gioele
ὁ γραμματικός firma il documento del 1172102; infine, uno dei testimoni del
documento di fondazione (giuntoci solo in versione latina) dell’ospedale dei
lebbrosi di Catona (1179/1180) è il magister Metodio103. Il monaco sacerdote e
chartophylax Onofrio, che è ancora attestato nel 1176 al S. Salvatore104, scrisse
nel 1173 il testamento del Giudice Tarantino al suo ingresso nella comunità
monastica dell’archimandritato, conservato soltanto in palinsesto105: potrebbe
trattarsi di uno dei monaci-sacerdoti dallo stesso nome che sottoscrivono i già
citati documenti del 1172 e del 1179/1180.
Nonostante le crescenti difficoltà a livello politico e di politica ecclesia-
stica, quindi, l’archimandrita Onofrio sembra aver lasciato al suo successore
una comunità monastica ben organizzata e fiorente.

98
V. Tsamakda, The Illustrated Chronicle of Ioannes Skylitzes in Madrid, Leiden 2002,
pp. 393, 397.
99
Ivi, p. 18. Il riferimento ai marginalia (f. 173): Ἰωάννης ἱερομόναχος τῆς μονῆς τοῦ
ἁγίου Βαρθολομαίου τῆς Τρυγόνης, in cui l’autrice ritiene questo monastero calabrese come
fondazione di Bartolomeo del Patir e sotto la giurisdizione del S. Salvatore è sbagliato, perché
S. Bartolomeo di Trigona era un monastero regio indipendente che non divenne mai un’obbe-
dienza del S. Salvatore: V. von Falkenhausen, S. Bartolomeo di Trigona: storia di un mona-
stero greco nella Calabria normanno-sveva, in «Rivista di studi bizantini e neoellenici», n.s.,
36 (1999) [2000], pp. 93-116.
100
D. Bucca, Ancora un’osservazione sui fogli di guardia dello Scilitze Madrileno, in
«Νέα Ῥώμη», 11 (2014), pp. 151-168; F. Marchetti, Nota sull’ornamentazione iniziale dello
Scilitze di Madrid, in «Νέα Ῥώμη», 11 (2014), pp. 169-182. Circa l’attività di scrittura in con-
tinua diminuzione nel S. Salvatore sotto l’archimandrita Onofrio: S. Lucà, Dalle collezioni
manoscritte di Spagna: libri originari o provenienti dall’Italia greca medievale, in «Rivista
di studi bizantini e neoellenici», n.s., 44 (2007), pp. 79-80.
101
ADM, perg. 1226. Il documento è ancora inedito.
102
Vd. Appendice, doc. I.
103
Codice Vat. Lat. 8201, f. 285r.
104
Cusa, I diplomi greci ed arabi, cit., p. 372.
105
Aar, Gli studi storici in Terra d’Otranto, cit., p. 255.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 29

Appendice
I

Ἔγγραφον, linea 14
Messina, maggio, ind. V, 6680 (1172)
Nicola, primo arcivescovo di Messina, aveva chiesto all’archimandrita
Onofrio del S. Salvatore di consegnare all’arcidiocesi una somma a paga-
mento della decima di Agrò, superiore a quella che il sovrano pagava quando
era ancora di sua proprietà. Dopo un tentativo di mediazione da parte dello
strategoto di Messina, Stefano, l’archimandrita del S. Salvatore de Lingua
Phari promette, anche a nome del monastero e dei suoi successori, di versare
all’arcivescovato la somma di 200 tarì all’anno.

Originale: ADM, perg. 1248 (vecchia segnatura S. 814), pergamena


chiara e di forma rettangolare di mm 600 x 515, plica di 47. Ancora pre-
senti resti della cordicella di canapa, su cui era attaccato il sigillo di piombo,
non menzionato nel testo*. Sul verso: «Privilegium Onofrii archimandriti
Messane de decima nemoris Agroh»; privo di note in lingua greca; alcune
note successive non sono più leggibili. Di mano moderna: «S-814», «1248»,
«Griego». Il documento è sostanzialmente ben conservato; solo nella piega
centrale verticale sono presenti dei fori. Le firme di 25 monaci sono disposte
su tre colonne. Due copie del sec. XVII si trovano nel codice Vat. Lat. 8201,
ff. 109v-110r, 160rv, e una traduzione latina a f. 176v (Hofmann, Papsttum
und griechische Kirche, cit., p. 301).

Il documento è inedito

+ Ὁ τῆς περιβλεπτ(ου) (καὶ) μ(ε)γ(ά)λ(ης) μον(ῆς) τοῦ Σ(ωτῆ)ρ(ο)ς


(προ)εστ(ὼς) Ὀνούφρϊο(ς) εὐτελ(ὴς) μοναχ(ὸς) (καὶ) ἀρχ(ι)μανδρ(ί)τ(ης) +
/2 + Μεγάλ(ης) ἀμφιβολί(ας) οὖσ(ης) ἁναμεταξὺ τοῦ ἁγιωτ(ά)τ(ου) αρχ(ι)-
ἐπισ(κό)π(ου) πόλ(εως) Μεσίν(ης) (καὶ) π(ατ)ρ(ὸ)ς ἡμῶν ἐκλεκτοῦ κ(ῦρ)
Νικολά(ου) (καὶ) ἑμοῦ τοῦ εὐτελοῦς μοναχοῦ Ὁνουφρΐου (καὶ) ἀρχ(ι)-
μανδρΐτου μ(ε)γ(ά)λ(ης) μον(ῆς) τοῦ Σ(ωτῆ)ρ(ος) περὶ τ(ῆς) δεκατί(ας) τοῦ
ὅρους τοῦ /3 Ἀγροῦ, ὁποίαν δεκατεί(αν) ἐζήτει ἡμὴν· ὕστερον δὲ μεσιτεύων

*
In un altro documento di Onofrio dell’anno 6688 (1179/1180), tramandatoci solo in
traduzione latina, la presenza del sigillo è menzionata in modo specifico: «Similiter et a me
supradicto archimandrita assueto meo plumbeo sigilli ea quae sunt superius confirmante»
(codice Vat. Lat. 8201, f. 285r).
30 VERA VON FALKENHAUSEN

ὁ ἐνδοξότατο(ς) στρατ(η)γ(ὸς) Μεσί(νης) κ(ῦρ) Στέφ(α)ν(ος) κ(α)τέληξεν


εἰς τοιαύτ(ην) ὑπόθε(σιν) περὶ τ(ῆς) προρηθήσ(ης) δεκατί(ας)· καὶ τοῦτο
ὑπήρχ(εν) τὸ ζήτημ(α), /4 ὁπερ ἐζήτει ὁ πανοσιώτατο(ς) (καὶ) ἁγιώτατο(ς)
(καὶ) πν(ευματ)ικ(ὸς) ἡμῶν π(ατ)ὴρ ὁ ἁρχ(ι)επίσκοπο(ς), ΐνα πα[ρέχ]ωμ(εν)
αὐτὸ διὰ τὴν τῆς ἀπὸδεκατώσε(ως) ἀπὸδεκάτωσϊ(ν) πληρεστάτην τοῦ ὅρους
τοῦ Ἀγροῦ· (καὶ) ἡμεῖς τοῦτο ἀπο= /5 κρινώμεθα λέγοντες οὕτ(ως), ὅτι ἡμεῖς
ἐτοίμ(ως) ἔχωμεν παρέχει(ν) σοι αὐτὴν ἀνελλοιπ(ῶς) καθότι ἐλάμβανες
αὐτὴν ὅτε ὑπῆρχ(εν) εἰς τ(ὰς) χεῖρ(ας) τοῦ κραταιοῦ (καὶ) ἁγ(ίου) ἡμῶν
δεσπότου ῥηγὸ(ς), καθότ(ι) (καὶ) /6 συνήθ(εια) ἣν. Ὁ δὲ σεβασμιώτατο(ς)
(καὶ) μεγαλεπιφανέστατο(ς) (καὶ) μεγαλοδοξότατο(ς) (καὶ) ἁγιώτατο(ς)
προρηθ(εῖς) ἀρχ(ι)ἐπίσκ(ο)π(ος) (καὶ) π(ατ)ὴρ ἡμ(ῶν) ἀπεκρίνατ(ο) πρὸ(ς)
ἡμ(ὰς) λέγων, ὅτι δεῖ σε ταύτ(ην) δοῦν(αι) καλλί(ον) /7 καὶ πληρεστάτ(ην)
ὑπερ οὖ ὅτ(αν) ὑπήρχ(εν) εἰς τ(ὴν) εξουσίαν τοῦ κραταιοῦ (καὶ) ἁγ(ίου)
ῥηγὸ(ς) ὁς γνησιώτ(α)τ(ον) (καὶ) πιστὸν (καὶ) πν(ευματ)ικ(ὸν) τέκνον
τ(ῆς) ἁγί(ας) ἐκκλησί(ας). Ἡμεῖς οὖν σχολάζοντες περὶ τῆς τοιαύτης
ὑπο= /8 θέσε(ως) (καὶ) ἀμφιβάλλοντες ὁ προρηθ(ὴς) ἐνδοξότατο(ς) (καὶ)
λογιώτατο(ς) (καὶ) στρατ(η)γ(ὸς) Μεσίν(ης) κ(ῦρ) Στέφ(α)ν(ος) μεσιτεύων
περὶ τῆς μεταξὺ ἡμῶν ὑποθέσε(ως) ἐσυναρέσθημ(εν) τέλο(ς) πάντ(ων) τῶν
ἀμφιβαλλο=/9 μέν(ων) (καὶ) ἐσυνεφωνήσαμεν ὅπ(ως) ἠμεῖς ἐπιδίδωμέν σοι
κ(α)τ’έτος διὰ τὴν δεκάταν [τοῦ ὄ]ρους ἀπὸδεκάτω(σιν) ταρΐα διακόσια εἱς
σὲ τὸν τιμιώτατ(ον) (καὶ) θεοφιλέστατ(ον) καὶ ̒ϊσάγγελ(ον) πν(ευματ)ικ(ὸν)
/10 π(ατέ)ρα ἡμ(ῶν) κ(ῦρ) Νικόλα(ον) ἀρχ(ι)ἐπίσκοπ(ον) Μεσίν(ης) καὶ τοῖς
μετα σὲ καὶ πλέον οὐδέν. Ε[ἰ οὖν φα]νῶ ἐγὼ οἵ τε οἱ μετ’ ἐμὲ ἀρχ(ι)μανδρΐται
ἢ ἔτερον πρόσωπον ἀπὸ τῆς ἡμετέρας ἁγί(ας) /11 ἐκκλησί(ας) κολύων τὰ
τοιαύτα διακόσια ταρΐα ἅπερ καλοθελ(ῶς) ἐσυνεφων[ήσ]αμεν δίδειν εἰς τ(ὴν)
ἁγ(ίαν) ἐκκλησΐ(αν) τ(ῆς) ἀρχ(ι)ἐπισκοπ(ῆς) Μεσίν(ης) διὰ τ(ὴν) δεκάτ(ην)
τοῦ ὅρους τοῦ Ἀγροῦ, ἔστω /12 κεχωρισμ(έ)ν(ος) παρὰ τοῦ υἱοῦ τοῦ Θ(εο)ῦ,
ἐχέτω (καὶ) τὴν ἀρὰν τῶν τιη ἁγίων π(ατέ)ρων, ἐὰν οὐ μὴ ἐπιστρέψ(η) εἰς
τὰ συνφωνηθέντα παρ’ἡμῶν· καὶ τοῦτο γέγων(ε) παρ’ἐμοῦ τοῦ προρηθ(έν)
τ(ος) εὐτε(λοῦς) /13 Ὁνουφρΐου μονάχοῦ (καὶ) ἀρχ(ι)μανδρΐτου μετὰ τῆς
συμβουλῆς πάντων τῶν ὑπ’ἐμὲ π(ατέ)ρων καὶ ἀδε(λφῶν) μικρ(ῶν) καὶ
μεγάλων, οἵτινες ἐκδιοχείρωςa ὑπέ=/14 γραψαν τὰς ϊδίας μαρτυρΐας αὐτῶν·
καὶ ἐπὶ τοῦτ(ο) γέγων(εν) τὸ παρὸν ἔγγραφον ὅπερ ἐγράφη μη(νὶ) Μαΐω
τ(ῆς) ἰν(δικτιῶνος) ε´ ἐν ἔτει ‚ςχπ´ + /15
+ Θεοδό(σιος) εὐτελ(ὴς) ϊερομονάζ(ων) (καὶ) ἐκκλησιάρχ(ης)
ὑπ(έγραψεν)+ + Χαρίτ(ων) εὐτε(λὴς) (μονα)χ(ὸς) ὑπέγρ(αψεν) + /16
+ Βονιφάτ(ιος) εὐτ(ε)λ(ὴς) ἱερομόναχο(ς) ὑπ(έγραψεν) + /17 +
Ὀνούφρϊο(ς) εὐτ(ε)λ(ὴς) ἱερομοναχο(ς) ὑπ(έγραψεν)+ + Παῦλος (μονα)-

a
leg. ἰδιοχείρως.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 31

χ(ὸς) καὶ δο[χειάριος]b ὑπ(έγραψεν) + + Κύριλλο(ς) εὐτε(λὴς) (μονα)χ(ὸς)


ὑπ[έγραψεν] /18
Βαρθολομαῖο(ς) εὐτ(ε)λ(ὴς) ἱερομόναχο(ς) ὑπ(έγραψεν) + Βλάσιος
εὐτελ[ὴς μοναχὸς] ὑπ(ἑγραψεν) + + Δωρόθεος εὐτ(ε)λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) (καὶ)
πρωτοκελλ(ά)ρ(ιος) ὑπ(έγ)ρ(αψεν) + /19
+ Ὀνούφριο(ς) εὐτ(ε)λ(ὴς) ἱερομονάζ(ων) ὑπ(έγραψεν) + + Ἰωὴλ εὐτ(ε)-
λ(ὴς) ἱερομόναχο(ς) [γραμ]μ(α)τικ(ὸς)c ὑπ(έγραψεν) + + Ϊωαννίκ(ιος)
εὐτελ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) μ(αρτυ)ρ(ῶν) ὑπεγρα(ψεν) ιδιοχ(εί)ρ(ως) + /20
+ Νήφο(ν) εὐτ(ε)λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) ἱερομονάζ(ων) ὑπέγρ(αψεν) + ὁ
ἐλάχιστο(ς) ἐν μονοτρόπ(οις) Θεοδό(σιος) ἱερομό[ναχος ....] + ὁ εὐτελ(ὴς)
μοναχὸ(ς) Κυριακὸ(ς) (καὶ) δοχ(ειά)ρ(ιος) μ(α)ρτ(υ)ρ(ῶν) [ὑ]π(έ)γρ(αψεν) +
/21 + Λουκ(ᾶς) εὐτελ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) ϊέρομονάζων /22
+ Θεοδώ(σιος) εὑτελ(ὴς) ἱερομόναχο(ς) ὑπέ(γραψεν) + + Μακάρϊος
εὐτ(ελὴς) [μοναχὸς] (καὶ) βεστιαρίτ(ης) ὑπέγρ(αψεν) + Λουκιανο(ς) εὐτ(ε)-
λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) ὑπέ(γραψεν) /23 (soltanto sul lato sinistro) + Σάβας εὐτ(ε)-
λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) (καὶ) διάκον(ος) ὑπέ(γραψεν) + /24 (soltanto nel centro e
sul lato sinistro) + Λουκᾶς εὐτ[ελὴς μοναχὸς] (καὶ) γέρ(ων) ὑπέ(γραψεν)
+ Νήφ(ων) εὐτ(ε)λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) (καὶ) διάκονο(ς) υπέ(γραψεν) + /25
+ Ἀρσένιο(ς) εὐτ(ε)λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) (καὶ) διάκονο(ς) ὑπέ(γραψεν) + +
Βαρσανούφιο(ς) (μονα)[χὸς] (καὶ) διάκονο(ς) ὑπέ(γραψεν) + + Ὀνούφριο(ς)
εὐτ(ε)λ(ὴς) (μονα)χ(ὸς) (καὶ) διάκον(ος) ὑπέ(γραψεν) + /26 + Ego Petrus
medic(us) iudex Messan(ensis) /27 + Stephanus stratigotus Mess(anensis).

b
Non letto nelle trascrizioni.
c
Non letto nelle trascrizioni.
32 VERA VON FALKENHAUSEN

II*

Anagni, 21 ottobre 1175, ind. IX

Il pontefice Alessandro III, su richiesta di Guglielmo II re di Sicilia, con-


ferma ad Onofrio, archimandrita del S. Salvatore di Messina, tutti i pos-
sedimenti e le obbedienze del monastero concessi da Ruggero II, nonché i
privilegi e le esenzioni di cui lo stesso gode.

Originale: ADM, perg. 110 (vecchia segnatura S. 117), pergamena chiara


e di forma rettangolare di mm 830 x 594, in discreto stato di conservazione.
Cucita per tutta la sua lunghezza, in corrispondenza della piega. Presente
ancora una porzione del filo serico ove era apposta la bolla plumbea. Sul
verso, di mano moderna: «Bulla pape Alexandri III super confirmatione
omnium privilegiorum a Rege Rogerio concessorum Archimandritatu cum
exentione omnium ecclesiarum illi subiecti». A matita: «1175», «Alejandro
III»; «Sicilia». Copie del documento, con numerosi errori di trascrizione,
in Vat. Lat. 8201, ff. 19r-21r, 281r-283r. Sugli inserti nei privilegi dei papi
Giovanni XXII (1323) e Clemente VI (1342), ulteriori copie e le edizioni
precedenti, tutte senza conoscenza dell’originale, vd. D. Girgensohn, Italia
pontificia, X: Calabria - Insulae, Zurigo 1975, pp. 347ss, n. 1.

‡Alexander episcopus servus servorum Dei. Onofrio archimandrite Sancti


Salvatoris Messanensis eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regula-
rem vitam professis in perpetuum.‡ | Apostolice sedis cui quam quam immeriti
providente domino presidemus auctoritate debitoque officii nostri compellimur
viros religiosos sincera caritate diligere et ne | cuiuslibet temeritatis incursus aut
eos a suo proposito revocet aut robur, quod absit, sacre religionis infringat apo-
stolico ipsos presidio communire. Eapropter precibus k(arissi)mi | in Christo
filii nostri W(illelmi) illustris Sicilie regis benignius inclinati, et vestris postula-
tionibus favore gratuitu annuentes, prefatum monasterium in quo divino | estis
obsequio mancipati sub Beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis
scripti privilegio communimus. In primis si quidem statuentes ut ordo mona|-
sticus qui secundum Deum et Beati Basilii regulam, que in eodem monasterio
antiquitus instituta esse dignoscitur, perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter
observetur. | Preterea quascumque possessiones, quecumque bona, quascumque
obedientias et abbatias rex Rogerius recolende memorie eidem monasterio per

*
L’edizione della bolla concistoriale, non presente nel saggio originale in tedesco ma
citata a nt. 84, è stata curata per la traduzione italiana dal prof. Giovan Giuseppe Mellusi.
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 33

privilegium suum bulla aurea communitum | concessit omnem quoque hono-


rem, dignitatem, consuetudines, libertates, et quicquid aliud vobis vestrisque
successoribus contulit, sicut in privilegio suo plenius continetur firma vobis |
vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus
exprimenda vocabulis: Locum ipsum in quo prefatum monasterium situm est
cum omnibus pertinentiis | suis, in Sicilia quidem obedientias has: ecclesiam
Sancti Leonis de Messana, ecclesiam Sancti Stephani de Messana, ecclesiam
Sancti Nicolai de Yse, ecclesiam Sancti Iohannis de Psichro, ecclesiam Sancti
Nicolai de Pe|llera, ecclesiam Sancti Mercurii de Traina, ecclesiam Sancti Nico-
lai de Canneto, ecclesiam Sancti Nicandri de Sancto Nico, ecclesiam Sancti
Barbari de Demenna, ecclesiam Sancti Petri de Deca, ecclesiam Sanctia Elie de
Scala | Oliverii, ecclesiam Sancti Iacobi de Calo, ecclesiam Sancte Marie de
Mallimachi, ecclesiam Sancti Petri de Largo Flumine, ecclesiam Sancte Veneris
de Venellum, ecclesiam Sanctib Theodori de Insula Melacii, ecclesiam | Sancte
Anne et Sancti Nicolai de Monteforti, ecclesiam Sancti Georgii de Trocloc, obe-
dientiam de Agro, obedientiam de Salice. In Calabria autem obedientias has:
ecclesiam Sancti Pancratii de Ebri|atico, ecclesiam Sancti Theodori de N[i-
cot]era, ecclesiam Sanctorum Cosme et Damiani, ecclesiam Sancti Nicolai de
Droso, ecclesiam Sancti Viti cum tenimentis suis de Buzanod, ecclesiam Sancte10e
Ierusalem, ecclesiam Sancti | Cononis, ecclesiam Sancti Iohannis de Fruizano,
obedientiam de Catuna, obedientiam Kerufilli cum terris Argilli, obedientiam
de Tuchi cum omnibus pertinentiis et tenimentis earum. Monasteria | autem
in Sicilia hec: monasterium Sancti Nicandri de Messana, monasterium San-
cti Salvatoris de presbitero Scholario, monasterium Sancte Marie de Massa,
monasterium Sancti Philippi de Messana, monaste|rium Sancti Petri de Gitala,
monasterium Sancti Petri de Agro, monasterium Sancti Salvatoris de Placa,
monasterium Sancti Elie de Embola, monasterium Sancti Basilii de Traina,
monasterium | Sancti Philippi de Demenna, monasterium Sancti Pancratii,
monasterium Sancti Angeli de Bloro, monasterium Sanctae Marie de Gala,
monasterium Sancti Gregorii de Gipso. In Calabria vero: mona|sterium Sancti
Elie novi, monasterium Sancti Iohannis de Laura, monasterium Sancti Fantini,
monasterium Sancti Pancratii de Scylla, cum omnibus obedientiis eorum. In
supradictis si|quidem monasteriis omnibus debes tu, fili archimandrita et tui
post te successores, abbates instituere consilio et consensu, qui in eis fuerint
monachorum. Et si quis abbatum indi|gnus fuerit abbatia cui preest tu illum

a
in interlinea
b
in interlinea
c
Triocala
d
per Bruzzano
e
in interlinea
34 VERA VON FALKENHAUSEN

et tui successores iuste et canonice ammovere debetis, et alium substituere in


loco eius quem dignum provideritis iuxta Dei | timorem et regulam monasterii
vestri. Liceat quoque vobis in supradictis omnibus monasteriis et obedientiis
examinare et iudicare abbates et monachos et laicos eorum tam | de spirituali-
bus, quam de temporalibus, et causas eorum iuste et canonice diffinire. Ipsi vero
tibi tuisque successoribus debent obedientiam et reverentiam debitam exhibere
tamquam | patri et archimandrite eorum et iusticias vobis solvere constitutas. Ad
hec quascumque possessiones, quecumque bona, tam de piscationibus, olivetis,
nemoribus, molendinis, | terris, vineis, cannetis et pomeriisf, quam de hominibus
et quibusque aliis idem monasterium in presentiarum ubique iuste et canonice
possidet aut in futurum concessione | pontificum, largicione regum vel princi-
pum, oblacione fidelium seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterint adi-
pisci vobis et ipsis monasterio, auctoritate apo|stolica confirmamus. Eo tenore,
quod Messanensi archiepiscopo et successoribus eius, tam tu fili archiman-
drita, quam successores tui, viginti solidos, centum libras cere, viginti | incensi
et totidem cafisos olei, pro censu annuatim solvere debeatis. Sane novalium
vestrorum, que propriis manibus aut sumptibus colitis sive de quibusque aliis |
proventibus vestris vel de nutrimentis animalium vestrorum nullus a vobis vel
ab hominibus vestris decimas exigere vel extorquere presumat. Liceat quoque
vobis clericos vel | laicos liberos et absolutos e se[cu]lo fugientes ad monaste-
rium vestrum recipere et eos absque contradictione aliqua retinere. Prohibemus
insuper ut nulli fratrum vestrorum | post factam in monasterio vestro professio-
nem fas sit de eoadem loco nisi arcioris religionis optentu absque archimandrite
sui licentia discedere, discedentem vero | absque comunium litterarum cautione
nullus audeat retinere. Prohibemus eciam ut nullus ipsum monasterium vestrum
interdicere audeat vel monasteria aut obedientias eius seu homines eorum. Lib-
ertates quoque et inmunitates, antiquas et racionabiles consuetudines monasterii
vestri concessas et hactenus observatas ratas habemus et eas | perpetuis tempori-
bus illibatas permanere censemus. Obeunte vero te nunc eiusdem loci archiman-
drite vel tuorum quolibet successorum nullus ibi qualibet surreptionis | astucia
seu violentia preponatur, nisi quem fratres monasterii comuni consensu vel frat-
rum maior pars consilii sanioris secundum Dei timorem et monasterii | regulam
de se ipsis providerint eligendum. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum
liceat prefatum monasterium temere perturbare aut eius possessiones | auferre
vel ablatas retinere, minuere seu quibuslibet vexationibus fatigare set illibata
omnia et integra conserventur eorum pro quorum gubernacione et sustenta|tione
concessa sunt usibus omnimodis pro futura, salva sedis apostolice auctoritate
et Messanensis archiepiscopi sicut supradictum est annuo censu. Si | qua igitur

f
così nelle copie, anche pomariis, in A si legge p[.]taeriis
Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari, e gli arcivescovi di Messina 35

in futurum ecclsiastica secularisve persona hanc nostre constitucionis paginam


sciens contra eam temere venire temptaverit secundo tertiove commonita | nisi
presumpcionem suam digna satisfactioneg correxerit, potestatis honorisque sui
dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate |
cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei ac domini redemptoris
nostri Iesu Christi aliena fiat atque in extremo examine districte ulcioni subia-
ceat. | Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Iesu
Christi quatinus, et hic fructum bone actionis percipiant et apud distri|nctum
iudicem premia eterne pacis inveniant. ‡Amen. Amen. Amen.‡

(R) Ego Alexander Catholice Ecclesie episcopus ss.h (BV)

Colonna sinistra
 Ego Iohannes presbiter cardinalis Sanctorum Iohannis et Pauli tit.
Pamachii ss.
 Ego Iohannes presbiter cardinalis tit. Sancte Anastasie ss.
 Ego Albertus presbiter cardinalis tit. Sancti Laurentii in Lucina ss.
 Ego Boso presbiter cardinalis Sancte Pudentiane tit. Pastoris ss.
 Ego Iohannes presbiter cardinalis tit. Sancti Marci ss.
 Ego Manfredus presbiter cardinalis tit. Sancte Cecilie ss.
 Ego Petrus presbiter cardinalis tit. Sancte Susanne ss.
 Ego Vivianus tit. Sancti Stephani in Celiomonte presbiter cardinalis ss.

Colonna destra
 Ego Iacobus diaconus cardinalis Sancte Marie in Cossmidyn ss.
 Ego Arditio diaconus cardinalis Sancti Theodori ss.
 Ego Cinthyus diaconus cardinalis Sancti Adriani ss.
 Ego Hugo diaconus cardinalis Sancti Eustachii iuxta templum Agrippe ss.
 Ego Laborans Sancte Marie in Porticu diaconus cardinalis ss.

Data Anagnie per manum Gratiani sancte Romane ecclesie subdiaconi et


notarii XIIo kal. Novembris, indictione VIIIIa, Incarnationis dominice Anno
Mo. Co. LXXo. V., pontificatus vero domini Alexandri pape III Anno XVIIo.

(BPD)

g
satisfatione A
h
leggasi subscripsi
Attilio Russo

UNA NUOVA IPOTESI SUL NOME ‘MAUROLICO’

Fu negli anni venti del XVI secolo che lo scienziato messinese Francesco
Marulì iniziò ad accarezzare l’idea di modificare il proprio cognome, pen-
sandone una forma più raffinata ed importante1. Già nel luglio 1526, infatti,
il trentunenne Marulì firma con il nuovo nome ‘Maurolycius’ un proprio
breve componimento pubblicato a Messina nel De urbis Messanae perve-
tusta origine, posto in chiusura del testo e dedicato all’autore dell’opera,
Bernardino Rizzo, ed al committente della stampa, Filippo La Rocca2. La
forma aggettivale latino-ellenizzata ‘Maurolycius’ continuerà quindi ad es-
sere usata per quasi un decennio3, comparendo in ogni scritto mauroliciano

1
Il particolare, non trascurabile, che il famoso matematico Maurolico in realtà si chiamas-
se Marulì, o Mauroli, non è tuttora comunemente noto, tranne che ai ‘soliti studiosi’. Sull’ar-
gomento dell’origine e la modifica del cognome dello scienziato l’unico contributo specifico
è rappresentato da un breve saggio di Rosario Moscheo (Il nome Maurolico, apparso come
Nota complementare I, in appendice a F. Maurolico iunior, Vita dell’Abbate del Parto Don
Francesco Maurolyco. Scritta dal Baron della Foresta, ad istanza dell’Abbate di Roccamato-
re D. Silvestro Marulì Fratelli, di lui Nipoti, nuova edizione con introduzione e note a cura di
R. Moscheo, Messina 2001, pp. 103-112), che ha pure il pregio di riassumere le osservazioni
di tutti coloro che in passato hanno avanzato delle ipotesi in materia, peraltro quasi sempre in
maniera fugace e superficiale: dal Mugnos all’Amari, fino al Martinez ed al Macrì.
2
Il De urbis Messanae pervetusta origine et inde ad Appium Claudium consulem cum S.P.
Q.R. decreto quo civitas nobilis et regni caput declaratur per magnificum Bernardum Rictium
virum eruditissimum, primo testo a stampa sulla città di Messina, fu editato nel 1526, per i
tipi di Pietro Spira, da Francesco Iannelli, ex allievo di Costantino Lascaris al pari dell’autore
dell’opera. Gli unici due esemplari superstiti del libro, ritenuti persi per anni (vd. P. Megna,
Per l’ambiente del Lascari a Messina: una Sylva di Francesco Giannelli, in «Studi Umanisti-
ci», IV-V [1993-1994], pp. 307-347, spec. 329 nt. 3), sono stati da me ritrovati e riprodotti in
formato digitale nel 2004 nel corso delle mie ricerche su Lascaris, ed è adesso mia intenzione
curarne una prossima pubblicazione.
3
La scelta del Marulì riguardo a questo suo primo nuovo nome fu sicuramente ben studiata
e non banale. Con la latinizzazione del cognome (in questo caso si tratta più d’una ellenizza-
zione), peraltro comunissima in quell’epoca tra gli intellettuali, sembra che lo scienziato abbia
voluto indicare una relazione con la Lycia, la regione dell’Asia Minore a sud del Monte Tauro.
‘Mauro Lycius’ o ‘Mauro Licio’, alla lettera, vorrebbe quindi dire ‘nero [o meglio: oscuro, oc-
culto] abitante della Lycia’. Considerando che ‘Licio’ era nell’antica Grecia uno degli epiteti
principali del dio Apollo (nume, non a caso, dell’armonia, delle proporzioni matematiche e
del pitagorismo) il significato del termine, con ogni probabilità, è: ‘Apollo occulto’, nel senso
di ‘occulta luce apollinea’. Per la correlazione tra Apollo ed il pitagorismo, ben nota ai tempi
38 ATTILIO RUSSO

di tale periodo: nell’edizione del 1528 dei Grammaticorum rudimentorum li-


belli sex Francisco Maurolycio authore4, nel codice autografo del Libellus de
impletione loci quinque solidorum regularium per Franciscum Maurolycium
compositus del 15295, in quello dell’Arithmeticorum Jordani ex traditione
Francisci Maurolycii messanensis liber quartus del 1532, nel sonetto (a fir-
ma ‘Francesco Maurolicio’) editato nel 1534 a Messina in calce al poemetto
di Cola Giacomo D’Alibrando Il spasmo di Maria Vergine, ed infine nel
manoscritto dei Sereni cylindricorum libelli duo manu et industria Francisci
Maurolycii del 16 agosto 1534. Durante tutto quest’arco di tempo lo scien-
ziato si proporrà pertanto come ‘Mauro Lycio’, ‘Apollo nero’ (o più esat-
tamente ‘Occulto Apollo’), secondo una scelta maturata, quasi certamente,
con la conoscenza diretta e l’approfondimento dei Saturnalia di Macrobio:
opera che, nella sua natura enciclopedica, si presenta ricca di temi e spunti
di carattere esoterico e scientifico, citati peraltro in buona proporzione nella
Cosmographia mauroliciana6. Sarà dunque tra l’agosto e l’ottobre del 1534

del Marulì, vedasi la tradizione riportata da Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VIII, 11; Por-
firio, Vita di Pitagora, 2, 28; Giamblico, La vita pitagorica, 5, 7, 8, 30, 91-92, 135, 140, 161,
222. Riguardo all’aggettivo «μαῦρος - nero», d’origine più recente (tardoantico-medievale)
rispetto all’arcaico «’αμαυρòς», si veda la relativa voce in H. Stephanus, Thesaurus Graecae
Linguae, Graz 1954 (dove si legge: «apud Byzantinos μαῦρος est Niger»). Per l’etimologia
di ‘Lycio-Apollo’ vd. infra, nt. 6.
4
I Grammaticorum rudimentorum libelli sex furono stampati a Messina nel 1528 da Pietro
Spira, medesimo editore del De urbis Messanae pervetusta origine.
5
Questo e gli altri manoscritti autografi del Maurolico elencati di seguito sono tutti de-
scritti in R. Moscheo, Francesco Maurolico tra Rinascimento e scienza galileiana. Materiali
e ricerche, Messina 1988, pp. 241-244, 307, 183-185. Colgo qui l’occasione per ringraziare
l’amico Moscheo per i consigli dispensatimi per la realizzazione di questo mio lavoro.
6
La Cosmographia in tres dialogos distincta, opera terminata dal Maurolico nel 1535 e
pubblicata a Venezia nel 1543 (vd. infra, pp. 56-59), contiene ben ventidue menzioni di Ma-
crobio (in riferimento sia ai Saturnalia che ai Commentarii in Somnium Scipionis). Il brano
dei Saturnalia che dovette ispirare Francesco Marulì per la scelta del nuovo nome ‘Mauro
Lycio’ è il seguente: «conosciamo varie spiegazioni del nome di Apollo Licio. Lo storico An-
tipatro scrive che Apollo è chiamato Licio da leukàinesthai in quanto ‘ogni cosa diventa bril-
lante quando il sole la illumina’. Cleante osserva che Apollo è chiamato Licio perché, come
i lupi (in greco lýkoi) rapiscono le pecore, così anch’egli con i suoi raggi rapisce l’umidità.
Gli antichi Greci chiamavano lýke la luce che precede il sorgere del sole, da leukós (bianco).
Anche oggi quest’ora del giorno vien detta lykóphos. Così ne parla il poeta: ‘l’aurora non ap-
pariva ancora ma c’era l’oscurità antelucana’. E ancora Omero: ‘fa voto ad Apollo Lykegenés,
arcere famoso’, che è formato da gennân tèn lýken e significa ‘colui che al suo sorgere genera
la luce’. Infatti lo splendore dei raggi, che precede in ogni direzione il sole che si avvicina e
dissipa a poco a poco l’oscurità delle tenebre, produce la luce. Pure i Romani, che derivarono
dal greco moltissimi altri termini, foggiarono ‘luce’ sul greco lýke. I Greci antichissimi chia-
mavano l’anno lykábas, cioè ‘quello che è percorso (bàinesthai) e misurato dal lýkos’ vale
a dire dal sole. Anche la città di Licopoli nella Tebaide è una prova che il sole era chiamato
lýkos, perché essa onora con uguale culto Apollo e il lupo, cioè in greco lýkos, venerando
in ambedue il sole, in quanto tale animale rapisce e distrugge tutto come il sole e, dotato di
vista acutissima, vince le tenebre della notte. Alcuni ritengono che gli stessi lupi siano stati
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 39

che il matematico messinese deciderà di modificare una seconda volta il pro-


prio cognome, perfezionandolo in quella che rimarrà la versione definitiva,
a tutt’oggi conosciuta, di ‘Maurolyco’. È datato 20 ottobre 1534, infatti, un
suo codice sul sorgere ed il tramontare delle stelle fisse in cui7, per la prima
volta, egli si designerà con tale denominazione, dal significato non più di
‘Apollo’ ma di ‘lupo’ ‘occulto’. Da questo momento in poi tutti i lavori del
matematico recheranno appunto la firma ‘Maurolyco’8, compresi quelli editi
posteriormente alla sua morte, di seguito alla quale il nome anzidetto compa-
rirà, fatto incidere dai nipoti, anche nella cappella di famiglia: nell’epitaffio
per «d. francisco mavrolyco patricio messanensi», sovrastante il sarcofago
marmoreo poggiato su una base arricchita, ai lati, da due bassorilievi con lo
stemma mauroliciano con il tema del lupo e la stella9. Sarà proprio dopo la

chiamati in greco lýkos da lýke, cioè dalla prima luce, perché queste fiere scelgono soprattutto
quell’ora come la più adatta per rapire il bestiame, che prima dell’alba viene fatto uscire dalle
stalle per il pasto, dopo il digiuno notturno» (Saturnalia, I, 17, 36-41; la versione italiana qui
riportata è tratta da Macrobio, I Saturnali a cura di N. Marinone, Torino 1967, pp. 254-257).
È indicativo che il presente brano di Macrobio già contenga, esplicitamente, anche i presup-
posti per la scelta mauroliciana del secondo nome di ‘Mauro Lyco’, subentrato anni dopo a
quello precedente di ‘Apollo occulto’ e relativo al lupo (vd. infra). Si aggiunga che, tra tutte le
fonti classiche dirette, potenzialmente disponibili allo scienziato per la creazione del proprio
epiteto ‘Lycio’, è questa dei Saturnalia la più completa e dotta, laddove frammentarie e fugaci
sono le altre menzioni antiche relative ad Apollo Lycio e all’etimologia di tale appellativo del
nume. A tal proposito scarterei la possibilità che il matematico abbia tratto ispirazione per il
proprio nuovo nome da Luciano (Anacharsis, 7) o da Orazio (Odi, III, 4, 62-64) o Pindaro
(Pitiche, I, 39), o tantomeno Erodoto (autore ben conosciuto dal Maurolico, ed ampiamente
‘utilizzato’ per la stesura del suo compendio di storia siciliana, Sicanicarum Rerum Compen-
dium) che in due passi delle Storie (I, 173, e VII, 92) accenna a Lyco, l’eroe eponimo della
Licia, senza però addentrarsi in simbolismi e riferimenti al lupo o al dio Apollo (di cui Lyco,
figlio di Pandione, istituì a Patara il famoso culto, secondo la tradizione).
7
Il manoscritto autografo, intitolato Autolyci de ortu et occasu syderum, sive phaenome-
na (elaborazione latina dell’opera di Autolico di Pitane), costituisce parte del codice Fonds
Latin 7472 (della Bibliothèque Nationale de France a Parigi). A foglio 36v, nel colophon (che
precede uno schema di numeri figurati seguito dal termine greco non accentato φοσφορος,
con cui viene designata la stella del mattino), si legge: Autolyci de ortu et occasu Syderum
sive phaenomenwn in libellis duobus industria Francisci Maurolyci (il manoscritto, come gli
altri elencati in precedenza, è descritto in Moscheo, Francesco Maurolico, cit., pp. 200-203).
8
Se da una parte il matematico, d’ora in avanti, si autodefinirà sempre ‘Maurolico’,
dall’altra la prima denominazione ‘Maurolicio’ dovette convivere inizialmente con quest’ul-
tima, quantomeno perché utilizzata da coloro che avevano conosciuto negli anni precedenti
lo scienziato col suo nome anteriore, ignorandone forse tale seconda modifica. Tra questi può
annoverarsi Cola Giacomo D’Alibrando che, pubblicando nel 1535 la cronaca della visita di
Carlo V a Messina di ritorno dalla vittoriosa impresa di Tunisi (vd. infra, nt. 35), cita infatti
«francisco maurolicio, nostro cittatino studiosissimo» (C.G. D’Alibrando, Il triompho il qual
fece Messina nella Intrata del Imperator Carlo V e Molte altre cose Degne di Notitia fatte
dinanzi e Dopo l’evento di Sua cesarea Maghesta in dicta cita, Messina 1535, f. 5r nn), che
per lui, firmandosi con questo cognome, aveva composto l’anno prima un sonetto (incluso
nell’opera del D’Alibrando, Il spasmo di Maria Vergine: vd. supra, p. 38).
9
Nella parte iniziale dell’epigrafe, tuttora ben visibile nella cappella all’interno della chie-
40 ATTILIO RUSSO

scomparsa dello scienziato, quindi che inizierà ad ingenerarsi qualche equi-


voco ‘retroattivo’ sul Maurolico, quantomeno sulle origini ed i legami paren-
tali del suo ceppo. Se da un lato i due nipoti Silvestro e Francesco, principali
eredi del matematico10, faranno chiarezza sul cognome originario dell’‘illu-
stre casato’, autodefinendosi sempre ‘Marulì’11, dall’altro saranno giusto loro

sa di S. Giovanni di Malta a Messina, è scritto: «d. franc. mavrolyco patricio messanen. ex


clariss. marvlorv[m] familia». Oltre ai due stemmi alla base del sarcofago del Maurolico un
terzo minuscolo bassorilievo è scolpito sulla stessa urna ed un quarto, con la medesima insegna
mauroliciana con il lupo e la stella, è posizionato al momento sulla parete d’un pianerottolo della
scala in pietra che conduce al piano superiore della predetta chiesa messinese di S. Giovanni, ed
un tempo sovrastava un’iscrizione a muro nella cappella (vd. Moscheo, Francesco Maurolico,
cit., pp. 363-375, spec. 369). Infine, un ulteriore esemplare dell’impresa mauroliciana è pre-
sente, a stampa, nel frontespizio del libro di Francesco Maurolico iunior, barone della Foresta
e nipote del matematico, che scrisse una biografia del più famoso e omonimo zio (vd. infra, nt.
10). Colgo l’occasione, in questa sede particolarmente opportuna, per rimediare ad un errore
da me commesso in un mio precedente lavoro, in cui definivo lo stemma mauroliciano «un
emblema che raffigura un cane ed una stella», anche se, correttamente, identificavo quest’ultima
come l’astro Sirio (A. Russo, La fontana del Sirio d’Orione, o delle metamorfosi, in «Città &
Territorio», II/2001, pp. 30-41, spec. 39). L’inesattezza di non distinguervi, invece, un lupo fu
causata dall’aver ritenuto attendibile la prima descrizione che si conosca dell’impresa del Mau-
rolico: quella ad opera dell’araldista e genealogista messinese Galluppi, che la interpretò come
«accompagnata nel capo da un cane d’argento, camminante sulla divisa, guardante la stella dello
stesso, posta al primo cantone» (G. Galluppi, Nobiliario della città di Messina, Napoli 1877,
p. 232). All’errata descrizione del Galluppi si uniformarono poi l’Arenaprimo ed il Mango (G.
Arenaprimo, Tavola genealogica dei Maurolico, in «Giornale Araldico di Pisa», III-IV, a. XVI
[1888]; A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912, vol. I, pp. 433-434),
confermando la presenza d’un cane, e non del lupo. Fu Rosario Moscheo, in un lavoro dato alle
stampe solo un paio di mesi dopo la pubblicazione del mio articolo, a vedere per primo, corret-
tamente, un lupo nello stemma (Moscheo, Il nome Maurolico, cit., p. 129 nt. 9), pur dandone
un’interpretazione complessiva nei confronti della quale, alla luce degli approfondimenti da me
effettuati ed esposti adesso in questa sede, nutro dei leciti dubbi.
10
Tra i vari fratelli del matematico Francesco Maurolico vi fu Giacomo, padre di Silve-
stro e di Francesco iunior i quali, di fatto, si ritrovarono ad essere i principali eredi dello zio
scienziato. Silvestro intraprese la carriera ecclesiastica divenendo abate commendatario dei
monasteri messinesi di S. Maria di Gala e di Roccamadore, e diede alle stampe una propria
opera (Historia Sagra intitolata Mare Oceano di tutte le religioni del mondo. Divisa in cinque
libri. Composta da Monsignor D. Silvestro Maruli, o Maurolico Messinese, Dottor Theologo,
& Abbate di S. Maria di Roccamadore dell’Ordine Cisterciense. Dedicata alla Maesta Ca-
tholica di Filippo Terzo Re di Spagna, Messina 1613). Francesco Maurolico iunior acquisì
invece il titolo di barone della Foresta (vd. infra) e scrisse (probabilmente tra il 1592 ed il
1605) la biografia dell’omonimo zio Francesco (F. Maurolico iunior, Vita dell’Abbate del
Parto Don Francesco Maurolyco. Scritta dal Baron della Foresta, ad istanza dell’Abbate di
Roccamatore D. Silvestro Marulì Fratelli, di lui Nipoti, Messina 1613), edita postuma grazie
al fratello Silvestro. Il completamento della cappella Maurolico, alla quale i due eredi inizia-
rono presumibilmente a lavorare insieme, è dovuto a Silvestro (dopo la morte di Francesco
iunior agli inizi del Seicento) che con ogni probabilità esagerò il proprio ruolo nella faccenda,
attribuendosene tutto il merito nel vantarsi d’aver sepolto lo zio «in una bellissima arca mar-
morea, fattagli da noi Don Silvestro» (vd. Maurolico iunior., Vita dell’Abbate del Parto, cit.,
p. XIV nt. 20).
11
‘Marulì’ si definisce Silvestro, nella propria lettera prefatoria alla biografia dello zio
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 41

a dar vita a delle alterazioni, motivate da ovvi intenti. I due ambiziosi eredi,
membri dell’alta borghesia dell’epoca ed assurti di recente ad un rango su-
periore (ma non di discendenza aristocratica) grazie alla fama acquisita dallo
zio, avvertono, alla sua morte, l’esigenza di nobilitare la famiglia e coniano
ad arte la falsa notizia della provenienza bizantina della propria stirpe. Per
di più, giocando sull’assonanza dei cognomi, essi sembrerebbero anche so-
stenere la parentela con la potente schiatta dei Marullo, proprietaria a quel
tempo di vari possedimenti in Calabria e in Sicilia, tra cui molti a Messina,
Augusta e Calatabiano12. Francesco Maurolico iunior, in particolare, conse-
guito il titolo di ‘barone della Foresta’ grazie ad un accorto matrimonio con la
nobildonna Diana Patti, nel redigere la biografia del suo famoso ed omonimo
zio, trattando del proprio ceppo scrive: «inclita, et anticha famiglia Marula.
Della quale, oppressa di già quella famosa et imperial città di Costantinopoli
dal dominio barbaro e mahomettano, trasferitisi non pochi a Messina, quivi
si fermarono, propagandosi d’ogni lato con nobili e generosi rampolli, de’
quali uno fu il padre del nostro Francesco, c’hebbe nome Antonio»13. Tale
falso mito familiare (introdotto, chissà, ricalcando la vicenda dell’acquisita
cittadinanza messinese di Costantino Lascaris, illustre profugo costantino-

scritta dal fratello (barone della Foresta) e, sempre ‘Maruli’, nella sua opera Historia Sagra
(vd. supra, nt. 10). Allo stesso modo, ‘Marulì’, vengono denominati sia il casato che lo zio da
Francesco iunior, senza eccezione, in tutta la biografia dello scienziato e, infine, anche sull’e-
pigrafe della tomba da loro eretta nella cappella i due eredi si firmano, committenti dell’opera,
«marvli fratres». Non va affatto esclusa, comunque, la possibilità che il cognome originario
sia stato invece Mauroli e non Marulì, o quantomeno che entrambe le versioni abbiano con-
vissuto: in un atto notarile del 1501, infatti, è il nome di ‘Antonio Maurolj’ (padre di France-
sco) ad essere indicato come quello del proprietario del podere familiare ubicato in contrada
Annunziata (la nota dell’atto, trascritta dallo stesso Maurolico, è riportata integralmente in G.
Macrì, Francesco Maurolico nella vita e negli scritti, Messina 1896, pp. 227-228) e, parimen-
ti, esistono dei documenti di fine Cinquecento dove si legge indistintamente sia Mauroli che
Maruli (vd. Moscheo, Francesco Maurolico, cit., pp. 383-389). Il cognome, nelle sue diverse
varianti, fu presente in Sicilia dal XIII a tutto il XVII secolo (vd. infra, p. 43 e nt. 19).
12
Il fatto che la madre di Sivestro e Francesco iunior Maurolico fosse stata sepolta nel
convento del Carmine a Messina, non distante dalla tomba di Giovanni Marullo (vd. C.D.
Gallo, Annali della città di Messina, nuova edizione con correzioni, note ed appendici a cura
di A. Vayola, Messina 1877-1881, vol. III, l. I, p. 94; G. Bonfiglio Costanzo, Messina Città
Nobilissima. Descritta in VII libri, Venezia 1606, e Messina 1738 da cui si cita, IV, p. 64), avrà
forse favorito tale confusione, per di più considerando che durante il Cinquecento i Marullo
s’erano chiamati con il loro cognome originario ‘Mirulla’ o ‘Merulla’ e solo dalla fine del XVI
secolo essi l’avrebbero sostituito definitivamente con il nome ‘Marullo’, facilitando così, per
l’assonanza, l’equivoco della parentela con i Marulì. Non è anzi escluso che gli stessi Marullo
(neanche questi, probabilmente, di nobile origine ma solo discendenti da ricchi commercianti
e proprietari) abbiano visto con compiacenza la notizia della provenienza bizantina, lusingati
sia dalla ventilata parentela con un famoso scienziato sia dalla prospettiva di poter essere
inclusi in tal modo in un illustre casato che annoverava, tra gli altri, personaggi della statura
di Michele Marullo Tarcaniota.
13
Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., p. 12.
42 ATTILIO RUSSO

politano) sarebbe stato ribadito anche da Silvestro, fratello del novello ba-
rone, che avrebbe sostenuto la discendenza da un certo «Metredoro Marulla
nobilissimo Signore», fuggito in Italia alla caduta della capitale bizantina e
stanziatosi poi a Messina14. L’origine greca del Maurolico, pertanto, verrà ac-
cettata d’ora innanzi acriticamente, fin quasi ai giorni nostri, nonostante dei
ragionevoli dubbi avrebbero potuto essere avanzati già dall’inizio. Nessuna
menzione, infatti, è accennata mai dallo stesso Francesco Marulì su questa
presunta provenienza dal Vicino Oriente15, né si ha notizia d’una innata co-
noscenza del greco da parte di Antonio, padre dello scienziato, che invece, a
soli quarant’anni dalla ‘fuga da Costantinopoli’, avrebbe quindi rimosso le
proprie radici per andare ad apprendere ex novo l’idioma da Costantino La-
scaris16. Antonio Marulì per giunta, ‘figlio d’illustri bizantini’, non sembra ec-
cellere nell’ambito della scuola lascariana di Messina se il Bembo, interpellato in
proposito, non ne ha alcun ricordo e se17, stranamente, non esiste traccia d’un suo

14
«La Casa Marulla trahe la sua origine da Metredoro Marulla nobilissimo Signore, il qua-
le insieme con sua moglie Polisena, fuggendo la barbara et inhumana crudeltà di Mahometto
Imperador de’ Turchi, ch’haveva preso Costantinopoli con grandissima stragge de Christiani,
passò Metredoro in Italia, e fermatosi in Messina, ivi fondò la sua nobil casata. Hebb’egli della
sua moglie un solo figliolo Pino nomato, che si casò con una gentildonna di Casa Spatafora
Baronessa di Venetico, con cui hebbe un figlio per nome detto Salvo, il quale fu padre d’Anto-
nio, persona di molto maneggio, e sapere. A questi successe Don Francesco, che per le sue gran
lettere, e virtù fu chiarissimo in tutte le Accademie di letterati dell’Europa…». Tali affermazioni,
attribuite a Silvestro, sono riportate nel Breve Ragguaglio delle cose più notabili del Regno di
Sicilia sin all’anno di Christo 1642 (Messina, Biblioteca Regionale Universitaria, ms. F.N. 48,
pp. 621-622; vd. Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., pp. 12 nt. 5, 105).
15
A tal proposito è opportuno anche rilevare che non esiste alcun accenno, da parte di Fran-
cesco Maurolico o di altri, ad eventuali rapporti dei Marulì con l’importante Archimandritato
messinese, notoriamente in connessione con le famiglie siciliane e calabresi d’origine bizantina.
Similmente, i nomi propri dei vari Maurolico sono tutti, rigorosamente, non di tipo greco ma la-
tino (Antonio, Girolamo, Giovan Salvo, Silvestro, Matteo, Francesco, Giovan Pietro, Giacomo,
Laura, Virginia: vd. Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., pp. 13, 41 nt. 144).
16
È Francesco Maurolico iunior ad informarci dell’appartenenza di Antonio Marulì alla
scuola del Lascaris (Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., p. 14), che fiorì a Messi-
na nell’ultimo trentennio del Quattrocento e che, come è noto, vide anche l’insigne presenza
del veneziano Pietro Bembo, dal 1492 al 1494, insieme a quella di tanti eruditi peloritani
(vd. infra, nt. 18). I numerosi allievi del maestro costantinopolitano, oltre ad apprendere la
grammatica greca, ebbero la possibilità di fruire d’un poliedrico magistero, secondo un’impo-
stazione neoplatonico-pitagorica propria della visione lascariana. Su questo argomento vedasi
il mio articolo: A. Russo, Costantino Lascaris tra fama e oblio nel Cinquecento messinese, in
«Archivio storico messinese», 84-85 (2003-2004), pp. 5-87, spec. 46-87.
17
Lo scienziato Francesco Maurolico, scrivendo nel 1536 a Pietro Bembo, chiede «si
patrem quoque meum Antonium Maurolycum Lascaris amicissimum memoria teneres?», e
l’umanista veneto, da parte sua, risponderà dimostrando di aver ben vivo il ricordo degli anni
trascorsi a Messina alla scuola di «Constantini Lascaris optimi sanctissimique viri, qui me
erudiit», ma preciserà al matematico che «de patre tuo, quem fuisse mihi notum putas, ego
vero sum eius rei prorsus immemor» (P. Bembo, Epistolarium, libri sedecim, in Opere del car-
dinale Pietro Bembo, Venezia 1729, p. 243; la lettera del Maurolico, pubblicata da Giuseppe
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 43

significativo operato: né per traduzioni o pubblicazioni di testi né per eventuali


insegnamenti svolti in quell’attivissimo milieu in cui egli, al contrario, avrebbe
dovuto rivestire una posizione preminente in virtù della propria madrelingua18.
Ma ad eliminare ogni dubbio in proposito è la radicata, e documentata, presenza
della famiglia Marulì-Mauroli nella Sicilia nordorientale in epoca anteriore a
quella della diaspora bizantina, nel 1453, alla caduta di Costantinopoli. È infatti
grazie ad un contributo di Rosario Moscheo, relativamente recente, che è pos-
sibile constatare la titolarità da parte degli avi del Maurolico, già dal 1456,
di un giuspatronato sulla cappella adibita a sepolcro del casato, nella presti-
giosa chiesa messinese di S. Giovanni: diritto questo ammissibile solo nei
casi di famiglie ben insediate, da tempo, nel tessuto sociale del luogo (e non
da appena tre anni). Per di più, dell’esistenza di un buon numero di Marulì,
Maroli o Mauroli, a seconda delle diverse varianti del cognome originario19,
si ha notizia, dal XIII al XV secolo, in ben due centri siciliani: a Messina,
patria dello scienziato, e nella vicina Taormina, la città del Monte Tauro20, da
dove è appunto presumibile sia originario il ceppo21.

Spezi nel 1872, si legge anche integralmente trascritta in Moscheo, Francesco Maurolico,
cit., pp. 271-274).
18
«Tempus illud aureum» scriveva Cola Bruno, segretario messinese del Bembo ed an-
ch’egli allievo del Lascaris, per riferirsi a quell’eccezionale e prolifico periodo vissuto dalla
città dello Stretto, parafrasando il famoso giudizio di Aldo Manuzio che aveva definito il
capoluogo siciliano «Athenae alterae propter Constantinum». Tra gli eruditi messinesi del
gruppo lascariano che si resero artefici d’opere di vario genere non figura però il nome di An-
tonio Maurolico, laddove invece possono annoverarsi Francesco Faraone, Ludovico Saccano,
Bernardino Rizzo, Francesco Iannelli, Angelo Calabrò, Matteo Caldo e Francesco Castro-
novo. Un indice eloquente del livello dell’atmosfera culturale che si respirava in città a quel
tempo fu anche la notevole produzione del libro a stampa, che vide ammontare a più di venti
gli incunaboli editi a Messina in coincidenza con l’attività della scuola del Lascaris, dei quali
una buona parte riconducibili ad essa, direttamente o meno (vd. C. Bianca, Stampa cultura e
società a Messina alla fine del Quattrocento, Palermo 1988). Il significativo retaggio lascaria-
no fu quindi colto, nel Cinquecento, da Francesco Maurolico e da una cerchia di accademici
che, insieme a lui, usavano riunirsi in quell’epoca nella città dello Stretto (vd. infra).
19
I cognomi ‘Marulì’, ‘Maroli’, e le relative varianti, presenti in Sicilia almeno sino a tutto
il XVII secolo, si sono estinti nell’Isola e nelle regioni vicine. Esiste tuttavia qualche Maroli
in Piemonte (e, di riflesso, nella confinante Lombardia) che prende con ogni probabilità tale
denominazione dalla località piemontese Alpe Maroli, ricadente nel comune di Armeno in
provincia di Novara. Stesso tipo di etimologia concerne il somigliante cognome ‘Marola’, che
trae origine da siti montani, omonimi, in Basilicata ed in Emilia Romagna. Per i vari Marulì
presenti in Sicilia vedasi Moscheo, Il nome Maurolico, cit., p. 112.
20
Diodoro Siculo, nel menzionare «il Monte chiamato Tauro» in Sicilia, accenna anche
alla fondazione di Taormina, che «fu chiamata Tauromenio, perché vi rimasero quelli che si
erano radunati sul Tauro» (XIV, 59, 2-7; la traduzione è tratta da Diodoro, Biblioteca Storica
a cura di T. Alfieri Tonini, Milano 1985).
21
Scartando quindi il mito dell’arrivo dei Maurolico a Messina dopo la caduta di Costanti-
nopoli, potrebbe sempre prendersi in considerazione l’eventualità che i Marulì-Mauroli abbia-
no in realtà fatto parte di quelle tante famiglie greche insediatesi in Sicilia ed in Calabria nel
44 ATTILIO RUSSO

I due fratelli Silvestro e Francesco iunior Marulì pertanto, parallelamente


alla fuorviante manovra agiografica messa in atto alla morte dello zio22, si
attivano anche per predisporre la realizzazione della sua tomba, iniziando a
sistemare quella cappella nella chiesa di S. Giovanni destinata alle sepolture
familiari, già in possesso del casato da circa un secolo e mezzo. Oltre al sar-
cofago marmoreo del matematico ed alla lapide, essi commissionano all’au-
tore della scultura pure dei bassorilievi con lo stemma mauroliciano con il
tema del lupo e la stella: un’insegna personale dello scienziato, questa, che
sarebbe stata interpretata, in seguito, come il blasone dell’intera dinastia (fig.
1). Nel far ciò gli eredi aggiungono di propria iniziativa, presumibilmente,
qualche particolare all’emblema originario pensato dallo stesso Maurolico al
momento di assumere il nome di ‘lupo occulto’. Sotto la raffigurazione del

corso dei secoli precedenti, e delle quali esisteva una nutrita rappresentanza nel Val Demone
e nella città dello Stretto. Pure questa probabilità, però, anche se potenzialmente attendibile
(avanzata dall’Amari: M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia. Seconda edizione modifi-
cata e accresciuta dall’autore. Pubblicata con note a cura di Carlo Alfonso Nallino, Catania
1933, e Catania 1977 da cui si cita, vol. I, p. 638) dovrebbe escludersi in base alle medesi-
me motivazioni valide per la falsa origine costantinopolitana: ovverossia il totale silenzio in
proposito di Francesco Maurolico, e l’assoluta estraneità della famiglia alla comunità greca
peloritana (vd. supra, nt. 15).
22
Tra le notizie poco attendibili divulgate sul Maurolico dai nipoti, volte ad esaltare e
quasi ‘divinizzare’ la memoria dello zio, non può sfuggire ovviamente quella secondo cui
la madre del matematico, incinta di questi, avrebbe sognato di mettere al mondo una «vi-
vace e risplendente fiamma… che sembrava… signoreggiar le stelle» (Maurolico iun., Vita
dell’Abbate del Parto, cit., pp. 13, 87). Tale riadattamento in positivo della favola di Ecuba
(che, prima di generare Paride, ha il sogno di partorire una fiaccola che incendia l’intera città
di Troia) prende spunto con ingenuità seicentesca da Apollodoro o dall’Eneide (Apollodoro,
Biblioteca, II, 12; Virgilio, Eneide, VII, 319-322). Similmente, la narrazione dei fenomeni so-
prannaturali che si sarebbero verificati alla morte dello scienziato (la comparsa d’una cometa
ed il miracoloso piegarsi del fusto dell’alto cipresso della villa: Maurolico iun., Vita dell’Ab-
bate del Parto, cit., p. 59) deriva da leggende, abbondantemente utilizzate nelle agiografie
medievali (anche dell’Estremo Oriente), prese probabilmente in prestito, in questo caso, dai
vangeli apocrifi (in particolare dallo ps.-Matteo per quel che riguarda il chinarsi dell’albero).
Per quanto concerne invece le predizioni astrologiche effettuate dal Maurolico, anche se de-
scritte con esagerazione nella biografia (ivi, pp. 39, 45, 56), reputo se ne possa ritenere atten-
dibile la storicità, considerando che all’epoca era uso comune richiedere simili pronostici agli
astronomi più in auge. In particolare, l’oroscopo redatto per il marchese Giovanni Ventimiglia
(vd. infra, nt. 58), ammonito a tenersi «lungi dall’onde, e dalle navigationi maritime» per la
possibilità di poter annegare (ivi, p. 39), dovette certamente turbare il patrizio che, per giunta,
già annoverava nella propria ‘anamnesi familiare’ l’episodio d’un famoso avo affogato nel
Mar Tirreno in un naufragio (Alduino di Ventimiglia, conte di Geraci, morto il 5 settembre
1289: vd. A. Drago Beltrandi, Castelli di Sicilia, Milano 1956, p. 25). Il Ventimiglia, infatti,
probabilmente si guardò bene dall’intraprendere viaggi su imbarcazioni ma, ironia della sorte,
finì per morire nel 1553 guadando il torrente di Letojanni, travolto dalla piena causata dalle
piogge d’ottobre (rischio, questo, tristemente concreto anche ai giorni nostri in quelle zone
del comprensorio messinese, dove purtroppo tantissime disgrazie autunnali di questo genere,
con numerose vittime, occorrono tuttora con una certa continuità, imputate ad un ‘dissesto
idrogeologico’ che è, evidentemente, abbastanza antico).
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 45

Fig. 1 - Bassorilievo marmoreo con lo stemma del Maurolico con lupo e stella (attualmente
nella chiesa di S. Giovanni di Malta a Messina: vd. supra, nt. 9).
46 ATTILIO RUSSO

canide leggermente rampante, in procinto di correre al brillare di un astro,


compare quindi una partizione con una fascia orizzontale di tre losanghe di
tipo nobiliare e, sovrastante lo scudo, un copricapo abbaziale con le relative
sei nappe per lato, ‘spettante’ al matematico in virtù della sua dignitas di
abate benedettino23. Esternamente, inoltre, viene inciso il motto «quoniam
advesperascit», tratto probabilmente tanto dal Vangelo secondo Luca, come
già d’altronde rilevato da altri24, quanto dagli scritti di Cicerone che, conge-
dandosi da Catone sull’imbrunire, così si esprime: «sed quoniam advespera-
scit et mihi ad villam revertendum est»25. Per il resto, i due nipoti sembrano
conformarsi ad un prototipo a noi ignoto, costituito da un vero e proprio
disegno autografo dello zio, o soltanto da una sua trasmissione orale sul si-
gnificato del nome ‘Mauro Lyco’26. Se comunque così non fosse, ed invece

23
Le losanghe, come figure araldiche interne allo scudo, indicano in genere forza marziale
e costanza, e possono anche far riferimento agli eserciti in formazione da combattimento. Tali
disegni sembrerebbero abbastanza fuori luogo, quindi, in relazione al mite e saggio Mauro-
lico. Il copricapo abbaziale, invece, può essere stato aggiunto dal nipote Silvestro in quanto
anch’egli abate al pari dello zio, considerando pure che lo stemma, da emblema personale
dello scienziato, sarebbe stato ostentato con il tempo come quello dell’intera famiglia.
24
Vd. Moscheo, Il nome Maurolico, cit., p.129 nt. 9. Dello stemma marmoreo posizionato
attualmente in un pianerottolo nella chiesa di S. Giovanni a Messina (vd. supra, nt. 9), la parte
inferiore, incisa con il motto latino, è andata in parte distrutta e, allo stesso modo, sta per
perdersi purtroppo anche la porzione sinistra della base che, lesionata seriamente, comprende
il termine ‘quoniam’ (fig. 1).
25
Sono almeno due i passi di Cicerone in cui appare tale tipica espressione latina. Il primo
brano, per bocca dello stesso Arpinate che, nella villa di Lucullo, deve congedarsi da Catone a
causa dell’imbrunire, è: «sed quoniam advesperascit et mihi ad villam revertendum est, nunc
quidem hactenus; verum hoc idem faciamus saepe» (De finibus bonorum et malorum, 4, 28).
Il secondo passo, proprio alla fine del De Natura Deorum, è invece relativo ad un dialogo tra
lo stoico Lucilio Balbo ed il pontefice Gaio Aurelio Cotta (e riveste una certa importanza, in
quanto ‘chiave di volta’ dell’intera discussione conclusiva dell’opera, in cui l‘autore dichiara
peraltro di parteggiare per le tesi di Balbo): «sed quoniam advesperascit, dabis nobis diem
aliquem ut contra ista dicamus» (De Natura Deorum 3, 94). La corrispondente versione in
italiano del discorso di Lucilio, per esteso, è: «ora però s’è fatto tardi e spero che ci concederai
qualche giorno per preparare la risposta. La mia discussione con te riguarda la difesa dei va-
lori più profondi della religione e della famiglia, dei templi e dei sacrari degli dei, delle mura
della città che voi pontefici considerate sacre e ponete maggior cura nel difendere la città col
sentimento religioso che a mezzo di fortificazioni. Sono valori cui io, finché avrò vita, consi-
dererò empio rinunciare» (la traduzione è tratta da M.T. Cicerone, Sulla natura degli Dei, a
cura di U. Pizzani, Milano 1967). È opportuno anche rilevare che il De Natura Deorum non
fu affatto sconosciuto al Maurolico, essendo uno dei testi citati nella sua Cosmographia del
1535 (vd. infra, pp. 56-59) in quanto ricco di argomenti scientifici ed astronomici (esposti,
nel secondo libro dell’opera ciceroniana, proprio per bocca del personaggio di Lucilio Balbo).
26
I due eredi potrebbero anche aver eseguito una qualche specifica disposizione testa-
mentaria dello zio circa l’immagine da scolpire sulla propria tomba come emblema. Nulla,
comunque, figura tra le carte ed i codici mauroliciani pervenutici, che pur contengono note
e disegni di vario genere. Tra quest’ultimi voglio ricordare la raffigurazione d’una lira epta-
corde, per la quale lo scienziato prese certo spunto da uno schizzo quasi equivalente tracciato
da Costantino Lascaris in un proprio manoscritto (vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp.
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 47

gli eredi avessero voluto ideare personalmente l’intera insegna, affermerei


senza alcun dubbio che il soggetto fondamentale sia stato copiato da una
‘figura naturale araldica’ con il lupo e la stella tra le tante riprodotte dal Ca-
paccio nel suo trattato Delle imprese, pubblicato nel 1592. Fra le numerose
illustrazioni del libro, dunque, essi ne avrebbero individuata una straordi-
nariamente adatta per l’erigendo monumento funebre: quella, pertinente al
duca d’Alba, del lupo del Monte Tauro che corre ad occultarsi al brillare
estivo della stella Sirio (fig. 2)27. Una scelta, questa, forse conseguente ad una
scrupolosa ricerca, svolta anche su tutti gli altri testi dell’epoca atti a fornire
eventuali suggerimenti sullo stemma da realizzare28. Evidentemente, i due

60, 66 nt. 167). Tale strumento, tratteggiato dal Maurolico, è accompagnato dalla didascalia
«heptachordos Mercurii lyra quam Pythagoras fecit octochordon» e, nelle pagine precedenti e
successive, da interessanti scritti sulle note musicali e le loro proprietà terapeutiche, e le relative
corrispondenze astrologiche (la riproduzione fotografica del disegno, con la descrizione del
codice, può vedersi in Moscheo, Francesco Maurolico, cit., tavola XII e pp. 171-174).
27
Sullo stemma fatto scolpire sulla tomba del Maurolico è stata operata qualche lieve
modifica rispetto all’emblema originale riportato nel trattato dell’erudito napoletano Giulio
Cesare Capaccio: il lupo rampante corre verso sinistra anziché verso destra, come se inseguis-
se la stella Sirio piuttosto che fuggirla e, a confermare tale atteggiamento dell’animale, è stato
infatti eliminato l’eloquente motto «te oriente fugit» (vd. infra, nt. 28). Non doveva comunque
essere insolito, per la famiglia Marulì, l’appropriarsi di insegne, simboli o miti modificandone
il significato originario per un proprio uso, giungendo talvolta a stravolgerne o invertirne
addirittura la valenza (come nel caso del riadattamento della favola di Ecuba che partorisce la
fiaccola: vd. supra, nt. 22).
28
Tra tutti i testi d’araldica del tempo soltanto nel trattato del Capaccio compariva l’im-
magine dell’emblema del duca d’Alba, con il lupo del Monte Tauro, ed il relativo commento:
«prima che’l Duca d’Alba andasse col governo di Fiandra, un Signor quasi Tiranno era dive-
nuto della Regione. All’andar di quel Principe, subito fu fatta un’Impresa di quel Lupo che
nasce nel monte Tauro, il qual nascendo la Canicola, o Cane Sirio imagine Celeste, fugge, e
nelle Spelonche si nasconde, fin che passi il caldo, col motto, te oriente fugit» (G.C. Capac-
cio, Delle imprese. Trattato di Giulio Cesare Capaccio. In tre libri diviso, Napoli 1592, f. 81r-v).
Niente in proposito, invece, era riportato dagli altri testi, disponibili all’epoca, corredati d’il-
lustrazioni delle imprese figurate (P. Giovio, Dialogo dell’imprese militari et amorose di Mon-
signor Giovio, Roma 1555 e Lione 1559; C. Paradin, Devises Héroïques et Emblêmes de M.
Claude Paradin, Lione 1557 e Parigi 1621; G. Symeon, Les dévises ou emblêmes héroïques
et morales, inventées par le S. Gabriel Symeon, Lione 1559; G. Ruscelli, Le imprese illustri
del S. Ieronimo Ruscelli, Venezia 1572 e Venezia 1583; L. Contile, Ragionamento di Luca
Contile sopra la proprietà delle imprese con le particolari de gli Academici Affidati et con
le interpretationi et croniche, Pavia 1574; S. Bargagli, Dell’imprese di Scipion Bargagli
Gentil’Huomo Sanese, Siena 1578 e Venezia 1594). È indicativa la presenza, tuttora, presso
la Biblioteca Regionale Universitaria di Messina di due esemplari del trattato del Capaccio
del 1592, ben conosciuto e diffuso a quel tempo (vd. anche infra, nt. 30). Infine, si noti che la
dipendenza dell’effigie scolpita sul sepolcro del Maurolico dalla raffigurazione contenuta nel
libro del Capaccio porrebbe l’anno 1592 (o al massimo il maggio 1591, data della dedica del
volume) come terminus post quem per la realizzazione del predetto bassorilievo tombale e,
forse, di tutto il monumento funebre. Ciò avvalorerebbe dunque la tesi che si sia cominciato
a lavorare all’opera solo dopo il 1605 (Moscheo, Francesco Maurolico, cit., p. 365 nt. 4) e,
probabilmente, scarterebbe anche la possibilità, da alcuni ventilata, che sia stato lo scultore
48 ATTILIO RUSSO

Fig. 2 - L’impresa del lupo del Monte Tauro con la stella Sirio, appartenente al duca d’Alba,
illustrata nel trattato Delle imprese. Trattato di Giulio Cesare Capaccio. In tre libri diviso,
Napoli 1592. Si può notare la notevole somiglianza con lo stemma Maurolico, a parte qualche
lieve variante (vd. nt. 27).

fratelli Marulì avrebbero trovato opportuno che il ‘lupo occulto’ familiare


da riprodurre potesse essere quello mitico nativo del Monte Tauro, la catena
di rilievi dominante la Cilicia e la Licia: regioni di quella Grecia dalla quale
asserivano provenisse il casato29. Resterebbe da capire, però, perché i due
eredi, se ciò fosse frutto della ‘solita manovra agiografica’, non pubblicizzi-
no adeguatamente quest’altra invenzione, precisando anche l’antica origine
specificamente licia della propria stirpe bizantina al momento di trattarne
nella biografia del matematico. Ma, soprattutto, non si spiega come i nipoti
osino spingersi sino a stravolgere il significato originario del nome ‘Mauro
Lyco’ (quale che fosse) coniato dal riverito zio, per di più non conoscen-
do sicuramente molto sulla genesi della favola del leggendario animale del
Tauro, a cui neanche il Capaccio, loro fonte, fa alcun accenno nel proprio
trattato Delle imprese. Al contrario, era lo scienziato Francesco Marulì ad
essere ben edotto sul ‘lupus Tauri’ dalle meravigliose proprietà, possedendo
una particolare competenza riguardo all’opera di Oppiano Cynegetica, da cui
proviene la leggenda di tale mitica bestia ‘denominata aurea’30.

messinese Rinaldo Bonanno (morto nel 1590) a realizzare il sepolcro (quantomeno nella sua
totalità).
29
Ovviamente i due Marulì, nella loro pretesa di presentarsi come oriundi bizantini, non
avrebbero avuto certo intenzione di riferirsi ad un altro Monte Tauro: quello taorminese (vd.
infra).
30
La curiosa favola del lupo del Monte Tauro è riferita da Oppiano d’Apamea nel terzo
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 49

Dopo questa prima ipotesi sulla storia della realizzazione dello stemma
Maurolico, è opportuno adesso considerarne una seconda che reputo forse
più probabile, pur restando del parere che l’impresa con il lupo del Monte
Tauro, raffigurata nel trattato del Capaccio del 1592, sia in ogni caso in re-
lazione con l’emblema scolpito sulla tomba del matematico. Ritengo infatti
che, in realtà, possa essere effettivamente il ‘lupus Tauri’ quello dell’insegna
mauroliciana, ma che i due nipoti nel farla eseguire non abbiano agito motu
proprio, rispettando invece una precedente creazione personale dello zio,
consistente in un disegno o, più verosimilmente, tramandata solo in forma

libro della propria opera sulla caccia (Cynegetica). Secondo tale leggenda, quasi sconosciuta,
‘l’eccelsa fiera della Cilicia dalla forza insuperabile’ si andrebbe ad occultare d’estate nelle
caverne all’apparire della stella Sirio, per evitarne eventuali influssi negativi. Per rendere più
accessibile il testo del suddetto brano oppianeo, in lingua greca, ne riporto la traduzione lati-
na: «est vero quidam lupus Tauri nivosa supra juga/ degens Cilicesque colles et vertices Ama-
ni,/ pulcher aspectu, inter-feras prorsus-eximius, quem vocant/ aureum, fulgentem condensis
comis;/ non lupus hic est, sed lupo praestantior excelsa fera,/ labiis aeneis acuta, insuperabilis
robore./ Saepe quidem et aes firmum, saepe lapidem/ fortiter perfregit et acutum ferrum./ Et
canem Sirium novit, et exorientem metuit;/ mox enim specum subit latae terrae,/ aut spelun-
cam caliginosam, donec ab-aestu/ sol desistat et perniciosae caniculae stella» (la traduzione
è tratta da Oppiano, De Venatione, III, 314-325, in Poetae bucolici et didactici, ed. Ambrosio
Firmin Didot, Paris 1862). È da rilevare che una certa popolarità dovettero acquisire, a Messi-
na, l’insegna ed il mito del lupo del Monte Tauro (quantunque ne fosse ignorata, con ogni pro-
babilità, la paternità oppianea, almeno inizialmente). Nel 1616, infatti, sull’apparato allestito
in città per l’arrivo del nuovo viceré Francesco di Castro, venne anche raffigurato tra le varie
‘imprese’ il leggendario ‘lupus Tauri’. Nel resoconto a stampa di tale evento, dopo la men-
zione dell’‘esordiente’ Simone Gullì in qualità di «Ingegniere» e progettista di tale struttura
realizzata in forma di ponte decorato, si legge: «…la maravigliosa proprietà del lupo del
Monte Tauro, quale all’apparir della canicola, o sirio celeste, nulla potendo sofferir gli ardori
dell’accesa stagione, ratto altrove sen fugge. Fu il soggetto della terza Impresa, in maniera,
che quegli in su’l giogo del Monte Taurino, in atto di fuggirsene dipinto mostrava, con rimirar
stizzoso l’ardente stella, quella esserne della sua fuga la cagione, co’l motto Te nascente fugit.
Onorò cotesto bel somiglio l’Eccellenza del Duca d’Alba itone al governo di Fiandra…»
(Raguaglio del ponte eretto dal Senato nella solenne entrata in Messina dell’illustris.mo et
eccellentis.mo signor d. Francesco Di Castro novello viceré, Messina 1616, ff. 2v, 5v nn).
Anche se per la creazione di tale insegna, certamente, fu al trattato del Capaccio, noto in città,
che si fece riferimento, nondimeno è verosimile che fu lo stemma mauroliciano (dove il lupo,
però, aveva una valenza diversa da quello fuggitivo e «stizzoso», rappresentante i nemici del
duca d’Alba) che si ebbe presente per scegliere il soggetto da raffigurare sull’apparato pseu-
do-trionfale. Effigiata sull’artistico sepolcro marmoreo del matematico, in una delle più pre-
stigiose chiese cittadine, e riprodotta a stampa sul frontespizio del libro scritto da Francesco
Maurolico iunior (pubblicato nel 1613: vd. supra, nntt. 9-10), l’immagine del mitico animale
con l’inseparabile stella Sirio, infatti, doveva aver acquistato a Messina una discreta rinoman-
za. Su Simone Gullì (alias Gollini), vedasi il testo dell’Accascina che, nonostante sconosca
l’esistenza del ‘ponte’ progettato dal Gullì come sua prima opera messinese (in seno a quella
felice carriera che sarebbe culminata nella costruzione della famosa ‘palazzata’ in riva allo
Stretto) e faccia risalire solo al 1622 le notizie iniziali sull’architetto, rimane sempre valido:
M. Accascina, Profilo dell’Architettura a Messina dal 1600 al 1800, Roma 1964, pp. 24-39
(vd. anche il più recente L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. I, Palermo 1993,
pp. 223-224, secondo cui, similmente, Simone Gullì «è documentato a Messina al 1621»).
50 ATTILIO RUSSO

orale circa il senso del nome ‘Maurolico’ (e della sua equivalenza con il
lupo del Monte Tauro che s’occulta alla comparsa estiva di Sirio). Bisogna
pertanto fare un passo indietro fino all’ottobre del 1534, periodo in cui lo
scienziato Francesco Marulì, che già aveva assunto da ben un decennio il
cognome latinizzato di ‘Maurolycius’ (peraltro elegante e significativo più
che sufficientemente), decide di cambiarlo per qualche valida ragione31. Egli,
che al contrario di quanto avrebbero fatto gli eredi non ha mai pensato di rin-
negare le proprie origini siciliane, è memore d’essere oriundo di quella zona
del Val Demone circostante il Monte Tauro taorminese e viene a conoscere
l’opera di Oppiano, che avrà ben presente, anni dopo, nello scrivere il tratta-
to naturalistico De piscibus siculis, sollecitato dalla notizia d’una possibile
imminente pubblicazione in materia da parte di Pierre Gilles, illustre ittiolo-
go32. È quasi certamente su uno dei manoscritti di Costantino Lascaris che
il matematico legge e studia gli scritti oppianei, apprezzandoli così tanto da
includerli poi in un suo programma enciclopedico d’insegnamento insieme
ad altri testi appresi dalla biblioteca messinese del dotto bizantino, tra cui i
Versi d’oro pitagorei, Focilide, Galeno e Plotino33. L’influenza sul Mauroli-

31
Si noti che comunque Francesco Marulì, nell’assumere il nuovo nome accademico di
‘Lupo occulto-Maurolyco’ sostituendolo al precedente di ‘Apollo occulto-Maurolycius’, non
abbandonò del tutto il significato del suo primo appellativo, in quanto il lupo è in ogni caso
relazionato con Apollo ed animale a lui sacro (vd. supra, nntt. 3, 6).
32
Il Maurolico scrisse nel 1543 il De piscibus siculis tractatus per epistolam, in cui, oltre
ad Oppiano, vengono citati Strabone, Aristotele (tradotto da Teodoro Gaza), Plinio, e il De
romanis piscibus di Paolo Giovio del 1524: tutti testi che lo scienziato, con ogni probabilità,
conosceva da tempo in relazione a questo suo campo d’interesse ed in base ai quali egli è già
competente al momento d’essere sollecitato a scrivere il proprio saggio sui pesci siciliani. È lo
stesso matematico, all’inizio del trattato, ad informarci che fu un suo amico, Giovanni Lomel-
lino, nell’apprendere che il francese Pierre Gilles d’Albi stava lavorando ad un atlante ittio-
logico mediterraneo, ad indurlo a redigere il De piscibus siculis, conoscendo evidentemente
la preparazione dello scienziato sull’argomento. Gilles in realtà non riuscì poi a pubblicare la
sua opera che rimase per sempre incompiuta e, similmente, anche il De piscibus mauroliciano
giacque dimenticato ed inedito fino all’Ottocento (vd. Maurolico iun., Vita dell’Abbate del
Parto, cit., p. 30). È da rilevare, infine, la menzione non casuale di Costantino Lascaris, da
parte del Maurolico, alla fine del trattato, il quale riporta un singolare aneddoto riguardante il
dotto bizantino, da questi riferito in vita personalmente.
33
I testi oppianei (considerati all’epoca come opere d’un unico autore) sono contenuti nel
codice greco Matr. 4558 (Halieutica ff. 3-86 e Cynegetica ff. 87-120) trascritto a Messina da
Costantino Lascaris nel 1488 e tramandato alla città con gli altri preziosi manoscritti del dotto
bizantino, «a beneficio degli studiosi» (gli Halieutica sono anche nei ff. 61-136 del Matr. 4642,
con annotazioni interlineari del Lascaris ad uso didattico). Il Maurolico, nel suo programma d’u-
na ‘enciclopedia’ concepita a fini didattici, aveva inserito come materia d’insegnamento, oltre ad
«Oppianus de venatione ac piscatione» ed agli autori già citati, anche Raimondo Lullo, Geber
(l’alchimista arabo Jabir Ibn Haiyan), Cornelio Agrippa, Pietro d’Abano ed Ermete Trismegisto
(il progetto enciclopedico, che fu steso intorno al 1570 e circa il quale non è dato sapere se e in
che misura fu attuato, si legge integralmente in Moscheo, Francesco Maurolico, cit., pp. 533-
547; Id., I gesuiti e le matematiche nel secolo XVI, Messina 1998, pp. 320-332).
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 51

co del retaggio intellettuale lascariano è indubbiamente notevole, anche se


non è possibile sapere, in questo caso, quanto sullo scienziato abbia inci-
so la propensione del Lascaris alle sottili manipolazioni, volte a localizzare
‘disinvoltamente’ nell’area geografica della Magna Grecia tradizioni, miti e
patrimoni culturali d’altre regioni della civiltà ellenica, basandosi talvolta
sulla semplice assonanza dei toponimi34. Sta di fatto che il matematico, ex
abrupto, giudica particolarmente adatto per il proprio nome accademico il
colto e ‘personalizzato’ riferimento ad una leggendaria creatura occulta e
stellare, per di più potenzialmente nativa del suo stesso luogo d’origine. Egli
pertanto fa in modo, spigliatamente, che il Monte Tauro cilicio dei Cynege-
tica diventi invece quello taorminese e, di conseguenza, il «lupo prestantior
excelsa fera» divenga un animale tutto siciliano. D’altronde, tale innocente
rimaneggiamento, contrariamente a quelli di lascariana memoria di dominio
pubblico, sarebbe stato noto soltanto a pochi, fra cui certamente i nipoti che,
in seguito, avrebbero utilizzato appropriatamente l’espressiva raffigurazio-
ne, relativa al duca d’Alba, trovata nel trattato del Capaccio (consultato in
vista della realizzazione del bassorilievo con lo stemma), che rappresentava
alla perfezione il tema da dover effigiare (figg. 3-4)35.

34
Circa le ‘manipolazioni toponimiche’ operate dal Lascaris vedasi il mio articolo Russo,
Costantino Lascaris, cit., pp. 83-85. In questa sede, basterà ricordare brevemente come il
dotto bizantino abbia reso, con un abile ‘colpo di pennello’, il filosofo Favorino (nativo di
Arelate) un campano di Velia, Orfeo un calabrese di Crotone, ed il greco Focilide, nato a
Mileto in Asia Minore, cittadino invece di Milazzo! In relazione all’influenza della ‘ideologia
lascariana’ sul Maurolico vd. infra, nt. 69.
35
Per quanto riguarda Fernando Álvarez de Toledo, terzo duca d’Alba, può aggiungersi
che fu viceré di Napoli nel 1556 e, quindi, nominato da Filippo II governatore dei Paesi Bassi
nel 1567, epoca in cui ideò la propria impresa con il lupo del Monte Tauro oppianeo (per
celebrare la fuga dalle Fiandre dell’oppositore Guglielmo I d’Orange che, al ‘sopraggiungere
della stella dell’Alba’, si ‘nascose’ in Germania). Nell’autunno del 1535, al ritorno con Carlo
V dalla vittoriosa impresa di Tunisi, conquistata al corsaro ottomano Khayr al-Din Barbaros-
sa, don Fernando fece tappa a Messina con il seguito imperiale, soggiornandovi insieme ad
esso per tredici giorni prima dell’imbarco per il Continente. In tale periodo il duca fu ospitato
nel palazzo del barone della Scaletta, Francesco Salimbene Marchese (che nell’assedio della
Goletta aveva perso il figlio Marco, caduto in battaglia), e presenziò, a fianco dell’imperatore,
alla solenne cerimonia svoltasi in cattedrale, a cui parteciparono, insieme alle altre autorità,
anche Francesco Marulì (che da poco aveva assunto il nome di ‘Maurolyco’) ed il pittore
Polidoro Caldara da Caravaggio, in qualità di ideatori degli apparati trionfali per l’evento (vd.
anche infra, nt. 64). Il Maurolico, tra l’altro, ebbe di certo l’occasione di conoscere personal-
mente l’Álvarez durante il non breve soggiorno messinese di questi presso i Salimbene Mar-
chese, essendo, oltre che un intellettuale già molto in vista, amico della famiglia ospitante (vd.
infra, nt. 60). Al tempo del governatorato dei Paesi Bassi, il duca d’Alba, meritatosi il sopran-
nome di ‘macellaio delle Fiandre’, diede dimostrazione d’eccessiva durezza ed ambizione,
arrivando persino a farsi erigere (nel maggio 1571 ad Anversa) una statua che lo raffigurava
per celebrare la propria vittoria ed il dominio sulla provincia ‘sediziosa ed eretica’. Lo sculto-
re del monumento di don Fernando, Jacques Jonghelinck, nel realizzarlo dovette aver presente
anche la fonte del Nettuno del Montorsoli a Messina (per via di Leone Leoni, presso cui il
52 ATTILIO RUSSO

Fig. 3 - Un’illustrazione del mitico


lupo del Monte Tauro, con l’astro
Sirio umanizzato, a corredo d’un
manoscritto greco cinquecentesco
dei Cynegetica d’Oppiano (Par.
gr. 2736, f. 42v). La rappresenta-
zione del favoloso animale è qui
ben diversa da quella riportata dal
Capaccio, relativa all’impresa ide-
ata per il duca d’Alba.

Fig. 4 - Altra impresa, posteriore a


quella mauroliciana, con il ‘lupus
Tauri’ ed il ‘cane’ Sirio, inclusa
nel testo tardo-seicentesco di C.
Labia, Dell’imprese pastorali di
monsignor arcivescovo Carlo Labia
vescovo d’Adria (Venezia 1685, III,
p. 1061). Anche questa interpreta-
zione della mitica fiera differisce da
quella dell’insegna del duca d’Alba.
La relazione equivalente tra lo
stemma Maurolico e l’illustrazione
del lupo contenuta nel trattato del
Capaccio appare evidentissima se
si considera che, nel tempo, furono
di varia e differente guisa i non
molti disegni sul tema oppianeo, ma
nessuno mai somigliante all’altro
come, inequivocabilmente, nel caso
dei due predetti.
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 53

Che, dunque, Francesco Marulì, assumendo il nome ‘Maurolico’, abbia


voluto anche sottolineare le proprie origini ‘taorminesi’ è molto probabile.
Si potrebbe pure, a tal punto, ipotizzare ragionevolmente che il luogo di pro-
venienza dei Marulì possa essere, per l’esattezza, una ben precisa località
del Val Demone ricadente nel circondario del Monte Tauro siciliano. Esiste
infatti, sconosciuto tuttora ai più, un sito denominato proprio ‘contrada Ma-
raulì’ (figg. 5-6), facente parte del comune di Calatabiano e distante appena
qualche chilometro dal rilievo taorminese che, da nord, lo sovrasta (allo stes-
so modo in cui sulla Lycia incombe, da settentrione, l’omonimo Tauro me-
diorientale abitato dal mitico lupo descritto da Oppiano)36. Considerando al-
lora che una larghissima parte dei cognomi italiani deriva dai toponimi delle
città d’origine dei relativi ceppi familiari (tanto di grandi centri come Napoli,
Messina, Siracusa quanto di piccole frazioni quali ad esempio, in Sicilia,
Misitano, Cattafi, Giostra, Cannistrà etc.)37, è molto probabile che sia l’igno-

Jonghelinck s’era formato a Milano: vd. S. Hänsel, Benito Arias Montano y la estatua del
Duque de Alba, in «Norba. Revista de arte», 10 [1990], pp. 29-52, spec. 33). Al contrario della
statua montorsoliana del nume (che voleva rappresentare allegoricamente Carlo V trionfante),
quella del duca, però, effigiava ‘arditamente’, per la prima volta dopo secoli, un personaggio
vivente nelle sue fattezze reali. Due anni più tardi (nel 1573) da Messina, quasi per una sorta
di risposta a questa ‘audace’ realizzazione innovativa, si sarebbe innalzato un secondo mo-
numento d’un alto dignitario spagnolo in vita: quello di don Giovanni d’Austria, vincitore di
Lepanto ed antagonista del duca d’Alba (frattanto caduto in disgrazia e del quale sarebbe stato
abbattuto il ‘temerario simulacro’ nel 1574), a cui sarebbe anche succeduto nel governatorato
delle Fiandre (è pertanto un errore imperdonabile voler considerare la statua messinese di don
Giovanni come la prima di un personaggio vivente: vd. B. Laschke, La Fontana di Nettuno a
Messina: un modello per l’allegorismo politico monumentale nel Cinquecento in «Quaderni
dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina», 13 [Aspetti della scultura a Messina
dal XV al XX secolo], 2003, pp. 99-109, spec. 106). Caso vuole che anche don Giovanni,
come don Fernando, conobbe il Maurolico, tenendolo in grande considerazione ed andandolo
a visitare nella città dello Stretto in occasione della battaglia di Lepanto. Per il soggiorno del
duca d’Alba e di Carlo V a Messina vd. D’Alibrando, Il triompho, cit., ff. 7v-8r nn; Gallo,
Annali, cit., vol. II, l. VII, p. 513.
36
La contrada Maraulì, precedente l’imbocco del paese di Calatabiano, ricade attualmente
nella provincia di Catania ed è situata nella fascia di confine con quella di Messina, su un
poggio alto 150 metri sul livello del mare, da cui dista meno di 4 chilometri. Essa, in piena
campagna, ospita prevalentemente oliveti e, quasi disabitata, è sovrastata a nord dal Monte
Tauro (alto 400 m) su cui s’adagia Taormina, da cui è lontana 7 km. La località, ignota ai più,
è indicata soltanto sulla carta topografica specialistica dell’Istituto Geografico Militare (Carta
d’Italia, Fiumefreddo di Sicilia, Foglio 262 II N. O.) e, solo relativamente da poco, è segnalata
dal cartello d’un viadotto dell’autostrada Messina-Catania (peraltro fugacemente e, impro-
priamente, senza la ‘i’ accentata, presente invece nel toponimo leggibile sulla predetta carta
topografica). La maggioranza degli stessi abitanti di Calatabiano conosce la contrada Maraulì
soltanto da qualche tempo: da quando essa balzò agli onori della cronaca per essere stato co-
struito in loco un tragitto viario di collegamento allo svincolo autostradale, rivelatosi ‘inspie-
gabilmente’ dispendioso e soprannominato pertanto ‘la strada dei trenta miliardi’ (figg. 5-6).
37
Oltre ai cognomi etnici consistenti in veri e propri toponimi, diffusissimi sono, ovvia-
mente, anche quelli indicanti la provenienza geografica in forma aggettivale, quali ad esempio
54 ATTILIO RUSSO

Fig. 5 - La contrada Maraulì


(indicata dalla freccia), frazio-
ne del comune di Calatabiano
(CT), sulla carta topografica
dell’Istituto Geografico Milita-
re (Carta d’Italia, Fiumefreddo
di Sicilia, Foglio 262 II N. O.).

Fig. 6 - La contrada Maraulì,


in piena campagna, preceden-
te l’imbocco del paese di Ca-
latabiano.
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 55

rata contrada Maraulì il nucleo da cui si irradiarono i vari Marulì - Mauroli


- Maroli, a seconda delle diverse varianti assunte poi dal nome, insediatisi a
Taormina e Messina già nel XIII secolo38. D’altra parte, perché presupporre
di trovare lontano ciò che si dovrebbe, in primis, ricercare non distante dalla
Messina in cui sappiamo vissero i Maurolico? Né in Costantinopoli o Zante
sarebbe quindi da individuare la terra natia dei Marulì, né tantomeno ad una
varietà di ‘lattuga’ sarebbe da attribuire la genesi del relativo cognome, come
da qualcuno avanzato, né è necessario sbizzarrirsi con qualche fantasiosa
ipotesi per localizzare, invece, le radici dei Maurolico in una contrada si-
tuata solo ad una sessantina di chilometri dalla città dello Stretto39. Pertanto,
l’origine del nome dei Marulì non sarebbe affatto greca ma, probabilmente,
araba: non perché, di certo, la famiglia fosse appartenuta a tale etnia ma in
quanto derivante da quella lingua il predetto toponimo ‘Maraulì’. Tanto dal
greco quanto dall’arabo, come in questo caso, provengono infatti in Sicilia
i nomi accentati sulla sillaba finale: che siano essi di famiglie o di località40.

i vari ‘Napolitano’, ‘Genovese’, ‘Romano’, ‘Cammaroto’ etc.. Per l’etimologia dei cognomi
italiani e siciliani vedasi il recente ed utile E. Caffarelli, C. Marcato, I cognomi d’Italia.
Dizionario storico ed etimologico, Torino 2008, spec. vol. I, pp. XIII-XX.
38
Non v’è traccia di alcun Marulì-Mauroli, o simili, nei registri dei battesimi e matrimoni
delle chiese di Calatabiano, attualmente custoditi tutti in quella di Maria SS. Annunziata. I
più antichi di tali elenchi risalgono a fine Seicento e prima d’allora, evidentemente, le ultime
famiglie Marulì e Mauroli dovettero aver lasciato la zona trasferendosi nelle vicine Taormina
e Messina, forse mantenendo ancora per un certo tempo la proprietà di qualche fondo in loco.
Coltivato ad oliveti, ed in parte agrumeti, il fertile territorio di Maraulì era certo in grado
di garantire una discreta rendita ai proprietari e, può darsi, assicurò agli avi del Maurolico
quell’agiatezza che permise loro, tempo dopo, d’essere inseriti a pieno titolo nell’alto ceto
messinese già a metà del XV secolo (vd. supra, p. 43). Riguardo alle ricerche effettuate nei
registri parrocchiali di Calatabiano ringrazio la Diocesi di Acireale e don Sebastiano Leotta
per l’autorizzazione e la disponibilità accordatemi.
39
Le svariate ipotesi avanzate in passato sul nome ‘Maurolico’, come già accennato, sono
tutte riportate da Moscheo (vd. supra, nt. 1). La non conoscenza della sperduta contrada Ma-
raulì è certo il motivo per cui non fu mai preso in considerazione da alcuno tale luogo come
origine del nome ‘Maurolico’, e quale sito di provenienza della famiglia stessa.
40
Cimentarsi nel difficile tentativo di definire l’etimo del toponimo ‘Maraulì’ compor-
ta, innanzitutto, il considerare l’origine araba della stessa Calatabiano, importante centro al
tempo della dominazione musulmana in Sicilia, posto a guardia delle vie d’accesso alla val-
le del fiume Al Qantarah, oggi Alcantara. Dalla costruzione del castello, intorno a cui si
svilupparono poi il borgo e le circostanti frazioni, derivò il nome della località: Kalat Bian
cioè ‘castello’ di ‘Bian’ (individuando presumibilmente in ‘Bian’, come tradizione vuole, il
signore che comandava la fortezza). Non lontano, sulla strada per Messina ed a soli 28 km di
distanza, si trova il paese di Alì che, a sua volta prende probabilmente tale denominazione dal
nome proprio d’un condottiero islamico del tempo, Alì, che conquistò tutta la zona, oppure dal
termine Aalì cioè ‘il posto alto’. È possibile quindi avanzare una prima ipotesi, supponendo
che la contrada Maraulì si chiami così dall’arabo Mamar Alì cioè ‘passaggio di Alì’, o meglio
Mar Alì, dal significato di ‘passa Alì’. Allo stesso modo, è plausibile che il toponimo si origini
da Mamar aalì (o Al mamar alaalì) ovverossia ‘passaggio alto’. Ulteriori probabilità sono
che il termine derivi da Mar el uali (‘eremita’, ‘persona saggia’) o da Mar eluáli (‘autorità
56 ATTILIO RUSSO

È soprattutto la simbologia insita nell’immagine del ‘lupus Tauri’, più


che la volontà di sottolineare il proprio luogo d’origine, ad aver comunque
spinto Francesco Marulì-Mauroli, nella scelta d’un suo nome accademico,
a rapportarsi forse alla figura del mitico animale che s’occulta, conosciuta,
come si è osservato, dalla lettura dei Cynegetica d’Oppiano. Proprio perché
appartenente ad un particolare sodalizio messinese, certamente depositario
di un’eredità illustre quale quella lascariana, il matematico vuole sceglie-
re un appellativo con cui egli possa definirsi in maniera dotta, originale ed
appropriata. È quindi un nome, quello di ‘Lupo occulto’, che deve anche
potersi correlare in qualche modo al proprio gruppo d’appartenenza: alle at-
tività, alle usanze o, pertanto, anche ad un luogo specifico degli incontri di
tale cerchia d’eruditi. Usi, abitudini e frequentazioni, queste, che lo scienzia-
to farà anche in modo di comunicarci, accennandovi all’occasione nei suoi
scritti senza eccessivi misteri. Della propria affiliazione ad un’accademia,
infatti, ci informa espressamente lo stesso matematico in una delle sue ope-
re, riferendosi agli anni venti del Cinquecento (periodo in cui egli faceva
parte di tale sodalizio ancora con l’appellativo di ‘Maurolicio-occulta luce
d’Apollo’). «Un grave cordoglio m’ha occupato», scrive il Maurolico nella
Cosmographia del 1535, «pensando che quattro de’ compagni de la nostra

prefettizia della zona’), eventualità queste che indicherebbero l’antica presenza in loco d’un
prestigioso personaggio, o invece che esso provenga da Marahallah (‘campo coltivato’). Ma
l’ipotesi più interessante è che la contrada Maraulì, posizionata su un poggio alto 250 m
sottostante il castello di Calatabiano e sulla via per Messina, abbia ospitato un tempo una
di quelle stazioni arabe di marhalah («‘cavalcata’, ossia quel tratto di strada che si percorre
d’un fiato») di cui si conosce la presenza sul litorale tirrenico dell’Isola grazie alla descrizione
del geografo Al Idrisi. È l’Amari (insieme all’arabista Nallino) ad intervenire in nostro aiuto
su questo argomento, informandoci che «una misura che sembra oficiale e dell’XI secolo,
portava undici marhalah o diremmo stazioni di posta, da Trapani a Messina, e tre giornate
di larghezza». Un’antica stazione araba, quindi, di marhalah, situata strategicamente tra il
vicinissimo litorale e l’ingresso della valle dell’Alcantara: ai piedi dell’importante fortezza
di Calatabiano che, posizionata in un luogo troppo scosceso rispetto alla via di comunicazio-
ne, non era ovviamente adatta ad ospitare un veloce cambio di cavalli ed un luogo di ristoro
(Maraha) facilmente accessibile, ma tutelava invece militarmente tutta la zona (intorno a cui
si sviluppavano i vari insediamenti) con la propria presenza incombente (circa la marhalah
vd. Amari, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp. 531-532; per la storia di Calatabiano vedasi
F. Zappalà, Calatabiano ed il suo castello dalle origini ai giorni nostri, Catania 1955; F.
Maurici, La “terra vecchia” di Calatabiano per l’archeologia postmedievale in Sicilia, in La
Sicilia dei terremoti. Lunga durata e dinamiche sociali, Atti del Convegno di studi, a cura di
G. Giarrizzo, Catania 1996, pp. 139-166; per la consulenza sui vocaboli arabi si ringrazia la
prof.ssa Rana Abu Rub). È opportuno infine considerare che tutta la zona fu per un secolo il
feudo baronale dei Marullo (che l’acquistarono nel 1484 e la cedettero a fine Cinquecento alla
famiglia Gravina), e che l’eventuale vicinanza d’un podere anticamente proprietà dei Marulì
alla baronia Marullo (come nel caso delle sepolture attigue nel convento del Carmine: vd. su-
pra, nt. 12) potrebbe forse aver fornito maggiori spunti agli eredi del Maurolico per insinuare
appunto la parentela con gli stessi Marullo.
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 57

academia41, con li quali d’ogni speculativa materia raggionar solevamo, già


undeci anni fa, son defunti»42.
Sempre nella Cosmographia, oltre a fornirci volutamente tale importante
notizia, lo scienziato si prodiga intenzionalmente in altri cenni autobiografici
e vari particolari degni veramente d’interesse43. Scritta in forma di dialogo
tra il maestro Nicomede, ‘doppio’ del medesimo Maurolico, e il ‘recalci-
trante’ (ma proficuamente curioso) allievo Antimaco44, la lectio mauroliciana

41
La stessa definizione «academia nostra» è usata da Claudio Mario Arezzo, membro del
medesimo sodalizio ed amico del Maurolico (vd. infra, p. 64). In relazione a quest’accademia
messinese, erede di quella lascariana, si vedano i miei articoli: A. Russo, L’Accademia della
Fucina di Messina: una società segreta esistente già dal primo decennio del secolo XVII, in
«Archivio Storico Messinese», 73 (1997), pp. 139-172, spec. 157-158; Id., Costantino Lasca-
ris, cit., spec. pp. 20-21, 74-80 (vd. anche Id., La fontana del Sirio d’Orione, cit., pp. 30-32).
42
«NICO. Serenum diem nactus ad haec aprica nuper, solatii causa, prodieram verum pro
solatio, gravis me dolor occuppat, cogitantem quatuor ex academia nostra sodales duodecimo
ab hinc anno defunctos, atque in illo, quod vides, D. Alexii sacello tumulatos iacere» (F. Mau-
rolico, Cosmographia in tres dialogos distincta, Venezia 1543, f. 1v). Della Cosmographia,
scritta nel 1535 e stampata in latino nel 1543, esiste anche, grazie a Giovanpietro Villadicani,
amico del Maurolico, una versione manoscritta coeva in volgare (che talvolta può differire
leggermente dall’originale in lingua latina), di cui riporto qui di seguito il brano corrispon-
dente: «[Nicomaco] Facciano gli Dij immortali, che cossì sia come tu speri. [Antimaco] Ma
tu che fai qui solo? Che contempli? Et come stai così malanconico? [Nicomaco] Io son uscito
questo sereno iuorno in questi lochi aprici per causa di sollazzo et contemplatione; ma invece
di sollazzo, un grave cordoglio m’ha occupato pensando che quattro de’i compagni de la no-
stra academia, con li quali d’ogni speculativa materia raggionar solevamo, già undeci anni fa,
son defunti et or, dentro a questo sacello di Santo Alessio, sepulti iaceno. [Antimaco] Quelli
passaro a miglior vita, non deve passione alcuna intrare nel petto di te savio» (Catania, Biblio-
teca Universitaria, Fondo Caruso, ms. U. 52: Dialoghi Tre della Cosmographia Di Francesco
Maurolico, Messina 1544, ff. 1v-2r).
43
È ad esempio d’eccezionale importanza, come già da altri ampiamente rilevato, la noti-
zia dell’esistenza della sfera armillare donata da Pietro Bembo al maestro Costantino Lascaris
(citata anche nella lettera del matematico al Bembo del 1536): «io vo’ che sappi», scrive il
Maurolico poco dopo aver accennato all’accademia, «che questo sperico instrumento lo man-
dò, con certi altri doni, misser Pietro Bembo da Vinegia a misser Constantino Lascare» (Mau-
rolico, Dialoghi, cit., f. 5v). L’opportunità di pubblicare la Cosmographia, in un periodo nel
quale la città di Messina godeva d’una certa libertà (il testo, come già accennato, fu ultimato
nel 1535 e dato alle stampe nel 1543), ha certo fornito al Maurolico l’occasione d’inserire
e tramandare una serie d’importanti informazioni, di sicuro poco attinenti alle disquisizioni
strettamente scientifiche ed alla teoria tolemaica. Il matematico, pertanto, si mostra lieto ed
orgoglioso di poter dispensare descrizioni relative alla propria amata città, o all’accademia
d’appartenenza. Ben altro sarebbe stato, invece, l’atteggiamento dello scienziato qualora tale
opera fosse stata edita anni dopo, quando egli fu costretto al contrario a mostrarsi reticente
nei propri scritti, a causa di pressioni censorie attuate dalle forze controriformiste locali (su
questa reticenza forzata del Maurolico vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp. 14-17; vd.
anche infra, nntt. 68-69).
44
Se per l’allievo curioso, ma dall’atteggiamento oppositivo, Maurolico sceglie l’appro-
priato appellativo di ‘Antimaco’ («…di continuo combatti contra la verità? Ben ti sta questo
nome Anthimacho…»: Maurolico, Dialoghi, cit., ff. 1r-2v), al maestro, dispensatore di chiari
insegnamenti, è dato invece il nome di ‘Nicomede’ che, più che rapportarsi all’omonimo
58 ATTILIO RUSSO

di ‘geografia astronomica’ si sviluppa in tre tempi e luoghi differenti, tutti


altamente significativi e scelti con estrema cura dall’autore: in primis nel
giugno-luglio del 1535 sulle alture circostanti Messina, successivamente a
metà ottobre del medesimo anno presso una delle porte della cattedrale della
città e, infine, nel convento del Carmine (a fianco dell’abitazione dello stesso
Maurolico) il 21 ottobre 1535, giorno dell’entrata trionfale in città di Carlo V
dopo l’impresa di Tunisi45. La prima delle tre parti dell’opera, o primo dialo-
go, è quindi ambientata nella contrada Annunziata (una zona collinare a nord
del centro abitato cittadino, attraversata da un omonimo torrente) e specifica-
mente in un sito allora chiamato ‘S. Alessio’, dove i Marulì possedevano da
qualche decennio un podere con la casa familiare di campagna46. Questo è il

matematico greco (peraltro quasi sconosciuto), forse vorrebbe rappresentare, con una sorta di
combinazione onomastica, una sintesi del sapere del famoso pitagorico Nicomaco di Gerasa e
di Archimede di Siracusa: due autori questi al vertice degli interessi e degli studi mauroliciani.
45
Per l’impresa di Tunisi di Carlo V, ed il suo soggiorno a Messina (insieme al duca d’Al-
ba ed al seguito imperiale), vd. supra, nt. 35.
46
Il podere, appartenuto originariamente ad un ordine religioso, era stato, durante tutto
il quindicesimo secolo, ottenuto in concessione da diversi locatari, finché fu definitivamente
comprato, il 5 aprile 1501 per 80 once, dal padre di Francesco Maurolico, Antonio. Dalle
annotazioni dei vari atti notarili, trascritte dallo stesso Francesco, sembrerebbe che, fino al
momento dell’acquisto del fondo, nella zona vi fosse prevalentemente una vigna (vd. Macrì,
Francesco Maurolico, cit., pp. 227-228). L’ampliamento d’un precedente eventuale fabbri-
cato rustico, sicuramente modesto, sarebbe stato quindi opera dei Maurolico, così come la
costruzione, negli anni, d’una villa vera e propria e delle relative pertinenze («paterna villa»
viene sempre denominata, dal nipote, nella biografia del matematico). Nell’estate del 1501,
quando tutti i Marulì vi si rifugiarono con la servitù all’infuriare d’una epidemia di peste
a Messina, la struttura doveva comunque essere già idonea, in qualche modo, ad ospitare
per l’emergenza una famiglia molto numerosa. Esistente in origine, invece, era una chiesetta
rurale (menzionata già in un rogito del 1460: ibid.), intitolata appunto a S. Alessio ed eretta
sicuramente dai religiosi che avevano detenuto il podere. Tale «sacello», passando anch’esso
in gestione ai Maurolico, divenne di fatto la cappella privata della villa, ed era con ogni proba-
bilità lì nei pressi che svettava, ab initio, un vetusto cipresso «tanto celebre per l’antichità, et
altezza» (definito anche «pianta funebre»: Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., p.
59). L’intero fondo, inoltre, era presumibilmente d’una certa estensione, visto che all’interno
dei suoi confini comprendeva pure un rilievo (o parte di esso) chiamato «Cresta dell’ulivo»
(ibid.) e, oltre alla già citata vigna, colture d’aranci e gelsi (vd. infra, nt. 55). Tutto il comples-
so dovette nel tempo diventare abbastanza confortevole e d’un certo pregio, tanto che il Mau-
rolico vi fu sempre affezionato, fino a passarvi anche gli ultimi momenti della propria vita, as-
sistito dai nipoti, nel 1575. Attualmente, la zona dove si trovava la proprietà non è facilmente
individuabile poiché, da tempo, del toponimo ‘S. Alessio’ con cui veniva indicata non esiste
più alcuna traccia. Il punto dove sorgeva la villa, comunque, potrebbe localizzarsi ai piedi del
versante orientale-sudorientale di un’altura su cui è ubicata oggi una casa di riposo delle suore
‘Figlie del Divino Zelo’ (ordine religioso di cui fu fondatore il messinese S. Annibale Maria
Di Francia). È possibile infatti che la predetta ‘Cresta dell’ulivo’ sia identificabile in questo
poggio (alto 123 m), o in quello subito antistante (134 m) sul cui fianco è situata la vicina an-
tica grotta di S. Nicandro, che il Maurolico lascia intendere essere limitrofa al proprio podere
(vd. infra, nt. 48). In effetti essi sono gli unici due rilievi presenti tra la riva destra del torrente
Annunziata e la sinistra del S. Licandro dove lo scienziato ambienta il primo dialogo della
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 59

luogo dove, con ogni probabilità, s’era spesso riunita in quegli anni l’accade-
mia messinese e presso il quale si era deciso, non a caso, di seppellire quattro
dei sodali morti, presumibilmente di peste, intorno al 1523-2447. I membri di
tale associazione, lì ritrovandosi d’estate per ragionar «d’ogni speculativa
materia», dovevano esser soliti adunarsi, a causa della calura siciliana, in una
fresca e comoda ‘cisterna’ spaziosa di pertinenza della stessa villa Mauroli-
co. È il matematico che ce lo lascia intendere, sempre nella Cosmographia,
dove, qualche rigo più oltre la calcolata citazione della «nostra academia», il
maestro Nicomede, al momento d’iniziare l’ampia lectio estiva, invita il di-
scepolo ad entrare appositamente nel sito più prestigioso e rappresentativo di
tutto il podere dei Marulì: «nel ostracato pavimento di questa cisterna, dove
potremo alquanto sedere»48.

Cosmographia, descrivendo con una certa precisione i luoghi e l’itinerario percorso (riguardo
alla contrada di S. Alessio-Annunziata, la casa familiare dei Maurolico e la pestilenza del
1501 a Messina vd. ivi pp. 17-18; vd. anche Macrì, Francesco Maurolico, cit., pp. 225-230).
47
Vd. supra, nt. 42. Potrebbe esistere la possibilità, anche se lontana, che tra i quattro
«sodales» morti ed inumati verso il 1523-24 fosse compreso Francesco Faraone, la cui scom-
parsa dovrebbe risalire proprio a quest’arco di tempo (vd. M. Ceresa, Faraone, Francesco, in
Dizionario biografico degli Italiani, vol. 44, Roma 1994, pp. 765-766) e le cui umili origini
non avrebbero forse favorito la sepoltura (specie durante una pestilenza, sempre che in tale
periodo sia davvero defunto il Faraone) in una delle prestigiose chiese del centro cittadino,
come avvenne invece per il Lascaris o per lo stesso Maurolico. Ritengo però che, in questo
caso, il Maurolico probabilmente non avrebbe usato per un simile personaggio il termine di
‘sodale’ ma quantomeno di ‘maestro’, trattandosi non solo del proprio precettore (fu special-
mente il suo insegnante di grammatica latina) ma anche di un elemento d’una certa levatura
intellettuale. A tal proposito darei quasi per certo che il Faraone abbia potuto partecipare,
presenziare, o ancor più verosimilmente sovrintendere all’accademia di cui ci vuol far sapere
il Maurolico e ch’era attiva nel primo ventennio del Cinquecento: periodo in cui il Faraone, a
due decenni dalla scomparsa di Costantino Lascaris, era probabilmente subentrato, da tempo,
alla guida di quel gruppo che al dotto bizantino faceva riferimento. Definito, non a caso, il
«Pitagora del nostro secolo» egli era amico del padre del Maurolico e dello stesso scienziato,
che certo aveva formato in base ad una impostazione pedagogica lascariana (vd. infra, nt. 69).
Sul Faraone quale probabile successore del Lascaris vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp.
74-75; vd. anche Bianca, Stampa cultura e società, cit., II, pp. 417-429. Riguardo alla pesti-
lenza messinese del 1523 vd. Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., p. 17 nt. 30.
48
«NICO. Morem tibi geram. Subeamus ostreatum cisternae huius pavimentum, ubi se-
dere possimus. ANTI. Ita faciamus. Nunc iam exordiri potes» (Maurolico, Cosmographia,
cit., f. 2v). «[Nico.] Io vorria cominciare d’alcuni preamboli di geometria ala materia nostra
necessarij. [Anti.] Se tu volessi esponere tutti preamboli, che fanno bisogno ali astronomici
rudimenti, ti fora necessario dichiarare tutti quasi gli Elementi d’Euclide, et gli Sperici di
Theodosio et alcun’altre cose, che non ci basteria un anno. Non è questo il nostro proposito.
Fa conto ch’io habia visto detti autori; che già credo haverne tanta intelligenza quanto il beso-
gnio chiede, et ovunche io mancasse, tu m’aiuterai. [Nico.] Farrò come vuoi. Intriamo pria nel
ostracato pavimento di questa cisterna, dove potremo alquanto sedere. [Anti.] Così facciamo»
(Maurolico, Dialoghi, cit., f. 3v). Il Maurolico fa anche in modo d’informarci che la ‘cister-
na’ della propria villa, probabile luogo delle riunioni degli accademici messinesi nel periodo
estivo, era non distante (poco più a monte, quindi) dalla «vicina valle di San Nicandro» e
dalla «grotta nella quale si dice haver habitato San Nicandro» (ivi, f. 35v). Tale sito, dove si
60 ATTILIO RUSSO

Nei successivi dialoghi la disquisizione sulla materia cosmografica av-


verrà, similmente, in altri due importantissimi luoghi, come già accennato,
presso i quali gli accademici messinesi, in città ed in mesi meno caldi, pro-
babilmente usavano incontrarsi: lo spazio antistante una delle porte del Duo-
mo, da dove era visibile l’horologium solare («il cerchio dell’hore»), ed il
convento del Carmine, in cui si custodiva il sepolcro di Costantino Lascaris
e nel quale lo stesso Maurolico aveva tenuto delle lezioni sulla Sphaera del
Sacrobosco49. Ma nel periodo di luglio, ai primi segni della torrida ed inso-
stenibile canicola ‘del Sirio cane celeste’, è nella fresca ‘cisterna’ agreste
di villa Marulì, in contrada Annunziata, che presumibilmente si rifugiava-
no i membri di quel sodalizio per le loro dotte adunanze50, ‘occultandosi’,
di certo più per comodità che per una possibile valenza simbolico-misteri-
ca, non comunque da escludere51. Confortevole e funzionale, tale struttura,

voleva avesse dimorato l’eremita Nicandro, è ancora esistente ma praticamente inaccessibile


perché letteralmente soffocato da un invasivo sviluppo edilizio sulle colline dell’Annunziata
e S. Licandro a Messina. Tutta la zona era, secondo le descrizioni fatte dal Maurolico, ricca a
quel tempo di vegetazione e di fonti e corsi d’acqua, al contrario di come appare attualmente
(vd. infra, nt. 52).
49
«Sacro loco» fu definita dal Maurolico, con una sincera ammirazione scevra da eventua-
li topoi, la chiesa del Carmine (contigua alla sua abitazione in città) che, oltre alla tomba del
Lascaris, ospitava quelle di Polidoro Caldara da Caravaggio (vd. infra, nt. 64) e dei più illustri
Messinesi: «o fortunato Tempio, che contiene/ La spoglia anchor di quell’alma divina,/ Insie-
me con la qual si fe latina/ Ogni cultrice nimpha d’Hippocrene./ Prego chiunque al sacro loco
viene,/ Saluti l’ombra, per la cui dottrina/ Portata dal Parnaso: qui Messina/ Fioriva un tempo
quasi unaltra Athene./ Lascare teco Pindo et Helicona,/ Teco sepolta l’eloquenza tace./ Per la
tua morte pianse ogni persona./ Ma, ben che il corpo qui consunto giace,/ La fama tua immor-
tal per tutto sona :/ Et tu nel ciel godi l’eterna pace» (Rime del Maurolyco, Messina 1552, f.
58r). Riguardo alle lezioni tenute dal Maurolico sulla Sphaera si veda Maurolico iun., Vita
dell’Abbate del Parto, cit., p. 24 nt. 64. Circa la tomba di Costantino Lascaris nel convento del
Carmine Maggiore, e la vicenda della distruzione della stessa, vedasi il mio articolo Russo,
Costantino Lascaris, cit., pp. 22-32.
50
Che l’importante ‘cisterna’ dove si svolge tutto il primo dialogo della Cosmographia
sia esattamente quella di pertinenza della villa Marulì, e non un’altra della zona, lo specifica
lo stesso Maurolico che, alla fine della lettera prefatoria dell’opera, diretta a Pietro Bembo,
precisa che il luogo dove avviene tutta la disquisizione tra Nicomede ed Antimaco è appunto
il proprio podere: «primumque dialogum in praediolo nostro» (Maurolico, Cosmographia,
cit.).
51
Sarebbe suggestiva, ma destinata a rimanere senza riscontro, l’ipotesi che l’occultarsi
degli accademici nella cisterna ‘ostracata’ possa aver avuto anche un’intenzionale valenza
iniziatica di stampo pitagorico. È verosimile comunque che verso una visione neoplatoni-
co-pitagorica fosse appunto orientata l’accademia messinese, in quanto erede del retaggio del
Lascaris. Non è impossibile allora che l’utilizzo d’una grotta artificiale, sorta di ninfeo, rien-
trasse proprio in quell’ottica prettamente rinascimentale, e lascariana, di recupero antiquario
di tradizioni classiche. A tal proposito è interessante notare che l’uso pitagorico di antri forniti
d’uno specchio d’acqua, e consacrati alle Ninfe, era attestato specificatamente in una famosa
opera di Porfirio, L’antro delle Ninfe, che venne stampata e circolò proprio all’inizio degli
anni venti del Cinquecento: epoca in cui si riunivano gli accademici su quelle colline messine-
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 61

probabilmente semisotterranea, era refrigerata da uno specchio d’acqua di


provenienza piovana o, forse, alimentato tramite l’intercettazione di uno dei
tanti «correnti rivoli» di cui allora era ricca la zona limitrofa52. I sedili dove
prendevano posto gli accademici, per intrattenersi a lungo, erano con ogni
probabilità ricavati da ‘ostracati’ blocchi di dura calcarenite, sviluppantisi
lungo una porzione o la totalità della grotta artificiale53. Si trattava di un edi-

si definite dal Maurolico «venerandum ninpharum abitaculum» (Maurolico, Cosmographia,


cit., f. 38v). Ben conosciuta in quel tempo, quindi, simile tradizione dell’‘antica teologia’ era
riportata in tal modo da Porfirio: «dopo questo Zoroastro, invalse l’uso anche presso gli altri
di compiere i riti iniziatici in antri e caverne, sia naturali sia costruiti di mano umana. Infatti
come agli dei celesti si innalzano santuari, templi ed altari, ai terrestri ed agli eroi are, ai sot-
terranei buche e sacrari, così al mondo antri e caverne; parimenti poi alle Ninfe: a causa delle
acque che stillano o scaturiscono negli antri, ed alle quali presiedono le ninfe Naiadi… Del
resto [si sa] che gli antri erano consacrati alle Ninfe, e tra queste soprattutto le Naiadi che si
trovavano presso le sorgenti, e traggono il loro nome dalle acque dalle quali sorgono fluenti;
e lo attesta anche l’inno ad Apollo, nel quale si legge: ‘per te aprirono le sorgenti delle acque
dell’intelletto che dimorano negli antri alimentate dall’alito della terra per l’ispirato oracolo
della Musa; esse sgorgando sulla terra… senza posa porgono ai mortali brocche [colme] delle
dolci correnti’. Da qui, credo, presero le mosse anche i pitagorici; e, dopo questi, Platone
rappresentò il mondo come un antro o una caverna» (Porfirio, L’antro delle Ninfe, VI-VIII).
52
Scrive il Maurolico, per descrivere la zona: «…qui soavissimi canti di augelli, et pla-
cidi mormorj di correnti rivoli si sentono» (Maurolico, Dialoghi, cit., f. 1r). Più avanti, lo
scienziato si sofferma ancora su simili descrizioni: «[Nico.] …per non ci ammogliare i piedi
nell’acqua, che di questa fornicata fonte corre... vedrai una fonte testudinata con due fenestre
alquanto di capillo venere. Innanzi la quale, d’un piccolo buso, l’acqua in alto, et spiccia, et
in una saxea conca ricade… questa è la fonte che ti dissi. [Anti.] È mirabile in sì eminente
luogo quest’acqua trovarsi» (ivi, ff. 35v-36r). Analogamente, anche la collina antistante quelle
dell’Annunziata, viene descritta come abbondante, in quel tempo, di corsi d’acqua o di sor-
genti: «traversamo questo colle, et vedremo quell’altro luogo d’acque copioso, che Tremonti
volgarmente si chiama» (ibid.). È interessante notare come la mentalità pragmatica del mate-
matico Maurolico imposti l’opera in base all’uso di tali precise raffigurazioni di luoghi reali,
adeguata cornice per la materia cosmografica e per riflessioni scientifiche, lontane pertanto
dai topoi e dalle ambientazioni oniriche caratteristiche di narrazioni famose dell’epoca, quali
quelle, ad esempio, dell’Arcadia o della Hypnerotomachia Poliphili.
53
In relazione alla ‘descrizione’ del luogo data nella Cosmographia, escludo, ovviamente,
la possibilità di tradurre la frase «subeamus ostreatum cisternae huius pavimentum, ubi se-
dere possimus» (vd. supra, nt. 48) come un invito a sedersi, alla lettera, sul duro pavimento
asciutto d’una cisterna vuota ed in disuso. Il prender posto a terra su un fondo scomodissimo
e polveroso (impermeabilizzato con malta e bitume), durante più di un’ora di conversazio-
ne, non avrebbe senso, specie quando all’esterno ci sarebbe stata l’occasione di disquisire
confortevolmente all’ombra d’una rigogliosa vegetazione, in prossimità di fonti e ruscelletti.
L’esatta interpretazione della scena, invece, ci fa appunto immaginare il sedersi al bordo dello
specchio d’acqua interno alla ‘cisterna’, su duri ma agevoli sedili intagliati nella calcarenite,
del tipo di quelli presenti in varie ‘camere dello scirocco’ palermitane attualmente esistenti
(e come tuttora sopravvivono nell’architettura isolana in forma di spartani muretti in pietra,
denominati ‘bisola’, posti a demarcazione di cortili o terrazze con funzioni di panca). Un’ul-
teriore e libera traduzione del termine «ostreatum-ostracato» potrebbe pure far pensare che il
pavimento intorno al bacino fosse stato maiolicato o lastricato. Inoltre, sempre rapportandosi
all’esempio di strutture superstiti di questo genere, è lecito anche supporre che l’edificio non
fosse affatto buio, ma possedesse invece un pozzo di ventilazione che lo illuminava dall’alto,
62 ATTILIO RUSSO

ficio, quindi, ideato e costruito appositamente per l’otium ed il ristoro, dotato


d’un efficiente sistema di raffrescamento passivo: una tipica ‘camera dello
scirocco’ siciliana54, importante pertinenza di quella villa padronale Marulì
circondata, oltre che da floride vigne e da colture d’aranci e gelsi55, dalla fitta
vegetazione delle circostanti colline prospicienti lo Stretto di Messina (fig.
7). Qui pertanto, nell’afoso periodo estivo della canicola, trovava asilo Fran-
cesco Marulì insieme agli altri accademici, fuggendo la levata eliaca della
stella Sirio, cane d’Orione, alla maniera del magico lupo del Monte Tauro, e
diventando così, per tutti, il lupo occulto: ‘Mauro Lico’.

Conclusioni

Maggiori elementi necessiterebbero per avvalorare con certezza parte di


ciò che fin qui è stato esposto. Rimane tuttora insoluto il dubbio su quanto
di quel che ci è stato tramandato sia riconducibile al Maurolico stesso, e
pertanto degno di fede, e su cosa invece costituisca una successiva interpo-

e che fosse a pianta quadrata o circolare. È pure presumibile che la riserva idrica lì presente
servisse esclusivamente, o principalmente, per il raffrescamento di tale ambiente, utilizzan-
dosi invece per l’irrigazione delle coltivazioni circostanti le usuali e caratteristiche vasche in
muratura (‘gebbie’). Rimane il dubbio, invece, se la struttura fosse semisotterranea (come è
più probabile) o meno (costruita in superficie e chiusa da spesse pareti delimitanti il bacino
idrico interrato), visto che nella versione volgare manoscritta è usato il verbo «intriamo» ed in
quella latina «subeamus» (che, seppure usato con l’accusativo, comporterebbe il senso della
discesa). Riguardo infine all’anno di costruzione dell’edificio (per il quale il terminus ante
quem è ovviamente il 1535, anno di redazione della Cosmographia), l’ipotesi più credibile è
che esso sia stato fabbricato o perfezionato dai Maurolico dopo l’acquisto del podere nel 1501
(vd. supra, nt. 46). Per la consulenza sulle interpretazioni traduttive dal latino si ringrazia il
prof. Emiliano Arena.
54
Fu per la prima volta a fine Seicento, in un atto notarile palermitano, che venne utilizzato
il termine ‘camera dello scirocco’ per definire tale tipo di struttura che, similmente, era stata
denominata ‘camera di rinfresco’ nella prima metà di quel secolo. Siffatti edifici dovevano
però, da molto prima, essere presenti in determinata quantità nelle più ricche città siciliane,
quali Palermo e Messina. Pressappoco contemporanea alla ‘cisterna’ di villa Maurolico, infat-
ti, è la famosa ‘camera dello scirocco’ della villa palermitana Ambleri-Naselli, costruita nel
1552 e tuttora esistente. Sull’argomento vedasi P. Todaro, Il sottosuolo di Palermo, Palermo
1988, pp. 55-59; Id., Guida di Palermo sotterranea, Palermo 2002, pp. 64-68, 80-88; T. Fir-
rone, Le camere dello scirocco: archetipi bioclimatici della Palermo antica, in Palermo Città
delle Culture, a cura di G. Fatta, Palermo 2014, pp. 43-52; M. Saeli, E. Saeli, Analytical
studies of the Sirocco room of Villa Naselli-Ambleri: a XVI century passive cooling structure
in Palermo (Sicily), in «Journal of Cultural Heritage», 16 (2015), pp. 344-351.
55
«Nel Rure dell’Annunciata innante il Tempio di Sant’Alessio sotto l’Arangio, et il Cel-
so» si legge nel colophon del manoscritto in volgare della Cosmographia. Parimenti è men-
zionata specificatamente, nelle annotazioni autografe dello stesso Maurolico riguardo ai vari
passaggi di proprietà del podere, la presenza di una vigna, che doveva essere importante ed
abbastanza estesa (vd. Macrì, Francesco Maurolico, cit., p. 228; vd. anche supra, nt. 46).
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 63

Fig. 7 - La ‘camera dello scirocco’ settecentesca di villa Savagnone a Palermo, ideata per il
‘ristoro’, che può dare un’idea di come dovette essere la ‘cisterna’ dei Maurolico. La struttura
è «scavata interamente in un banco di calcarenite gialla ben stratificata, presenta una forma
planimetrica subcircolare di superficie 100 mq circa, ed è bordata lungo il suo perimetro,
senza soluzione di continuità, da un sedile intagliato nella roccia. Vi si accede per mezzo di
una scalinata… L’abbassamento della temperatura e il conseguente effetto di refrigerazione
erano prodotti dalle acque correnti del qanat proveniente dai cunicoli ovest che attraversavano
il pavimento della camera in un unico canale ammattonato e a cielo aperto. Si può ipotizzare
che lo slargo sagomato e approfondito a mo’ di piccolo bacino potesse servire per bagnarsi o
rinfrescarsi direttamente al contatto con l’acqua. Secondo la tradizione orale infatti nei mesi
caldi questo ambiente era tanto confortevole da essere utilizzato per incontri conviviali e ban-
chetti» (Todaro, Guida di Palermo, cit., pp. 82-84).

lazione, fuorviante, ad opera dei suoi eredi. In ogni caso, tutti i dati raccolti
in questa sede potranno fornire materiale per ulteriori verifiche ed appro-
fondimenti, atti ad ampliare in misura più esauriente le cognizioni relati-
ve a questo intricato argomento. Più elementi concordanti permetteranno,
in futuro, di dare un valore probatorio a quelle che adesso rimangono delle
ipotesi, anche se potenzialmente attendibili. Ciò che comunque ritengo quasi
sicura è l’origine non greca della famiglia Marulì o Mauroli, così come re-
puto assolutamente certa la scelta d’un nome accademico, per ben due volte,
da parte dello scienziato Francesco Maurolico. Che prima dell’appellativo
di ‘Lupo occulto’ (‘Mauro Lyco’) il matematico abbia adottato quello di
‘Apollo occulto’ (‘Mauro Lycio’, per almeno otto anni, ininterrottamente)
è un particolare finora sfuggito a tutti. Membro d’una accademia, erede del
64 ATTILIO RUSSO

circolo lascariano, il Maurolico, menzionando all’occasione nella Cosmo-


graphia lo stesso Lascaris, ci informa pure, chiaramente, dell’esistenza di
tale sodalizio e, probabilmente, di uno dei luoghi delle sue riunioni: la fresca
‘cisterna’ della villa familiare, adibita appositamente all’otium in forma di
‘camera dello scirocco siciliana’56. Di questa «nostra academia» messinese,
presente già dal 1523-1524, ci darà notizia esplicitamente anche l’affiliato
Claudio Mario Arezzo nel 1542, chiamandola, allo stesso modo, «l’academia
nostra» (nella propria opera Osservantii di la lingua siciliana et canzoni in
lo proprio idioma che, a buon diritto, può considerarsi un’elegante e dotta
esercitazione letteraria nata in seno al medesimo cenacolo)57. Sempre nel

56
Quantomeno è possibile che lo scienziato accenni alla ‘cisterna’ quale un luogo dove
l’accademia messinese, a cui egli apparteneva, si sia riunita solo occasionalmente, nel periodo
estivo, approfittando dell’ospitalità della famiglia Maurolico.
57
L’illustre letterato Claudio Mario Arezzo, originario di Siracusa e biografo di Carlo V,
visse molti anni a Messina dopo esser stato allievo di Cristoforo Scobar, a sua volta ex scolaro
di Costantino Lascaris. Una certa influenza dell’impostazione ideologica lascariana, ereditata
tramite il maestro Scobar, traspare in due opere dell’Arezzo, entrambe stampate nella città
dello Stretto: il De situ insulae Siciliae, del 1537, ed il già citato Osservantii di la lingua
siciliana et canzoni in lo proprio idioma, del 1542 (vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp.
83-86). Tali due scritti, tra l’altro, rivestono una notevole importanza per la presenza d’una
buona quantità di dediche ed omaggi poetici (composti per o da altri letterati della stessa cer-
chia, scambievolmente: vd. infra, nntt. 61-63), che costituiscono un prezioso filo d’Arianna
per orientarsi circa la rete dei rapporti che univa i componenti dell’accademia messinese nella
prima metà del Cinquecento, di cui l’Arezzo viene ritenuto probabilmente «il principale ani-
matore» (vd. D. Puzzolo Sigillo, Pagine trascurate di storia letteraria: Un’ignorata “Acca-
demia Messinese” del primo Cinquecento tenta di sostituire il Siciliano al Toscano, in Atti R.
Accademia Peloritana, Messina 1930, pp. 297-308; R. Zapperi, Arezzo Claudio Mario, in Di-
zionario Biografico degli Italiani, vol. 4, Roma 1962, pp. 106-108). Per quanto riguarda il De
Situ, poi, reputo sia anche di considerevole interesse la citazione, da parte dell’autore, dell’e-
sistenza della tomba d’Arnaldo da Villanova, localizzata (a torto o a ragione) a Montalbano
Elicona. «Monsalbanus Rinaldi villanovae sepulchrum» viene infatti indicato a f. 35r del libro
nel descrivere i luoghi d’interesse della provincia messinese, con quella che è di fatto la prima
menzione, in un testo a stampa (e forse in assoluto), di tale sepoltura come situata a Montalba-
no (notizia, questa, ripresa un ventennio dopo dal Fazello, il quale a tutt’oggi ne viene ritenuto
erroneamente la fonte originaria: vd. T. Fazello, De rebus siculis decades duae, Palermo
1558, e Palermo 1990 [Storia di Sicilia, Introduzione, traduzione e note di A. De Rosalia e
G. Nuzzo] da cui si cita, I, l. X, p. 450). L’attenzione per il Villanova, medico, scienziato ed
alchimista, in seno al gruppo degli accademici messinesi è confermata implicitamente anche
dal Maurolico, che dimostra di conoscere benissimo quest’autore ‘proibito’ nel momento in
cui, su ‘pressioni controriformiste’, è costretto ad elencarlo tra gli «alchimisti, cabalisti e ne-
cromanti da abominare» in una lettera pubblica indirizzata al Concilio Tridentino con valore
d’abiura e di excusatio (vd. infra, nt. 68). Le opere d’Arnaldo, pertanto, dovettero essere tra
quelle ‘visitate’ dai membri della «nostra academia» in quegli anni, insieme, per quel che ci è
dato conoscere, ai Versi d’oro pitagorei, agli scritti di Focilide, Plotino, Ermete Trismegisto,
Galeno, Oppiano: tutti testi, questi ultimi, ‘ereditati’ dal Lascaris ed inclusi poi dal Maurolico
nei propri programmi d’insegnamento (vd. supra, nt. 33). Le «conversationi» di quella dotta
cerchia lascariana, costituita da «gintil’homini di acuto e svigliato ingegno», diedero luogo
tra l’altro, come già osservato, alla pubblicazione delle Osservantii, commissionate al con-
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 65

1542, governando a Messina come ‘stratigoto’ Giovanni Ventimiglia II mar-


chese di Geraci, anch’egli adepto quasi certo del sodalizio, il Senato citta-
dino, ufficialmente, «quando la prima volta si trattò di questa fondatione…
fece loro un annuo donativo di 300 scudi»58. La delibera d’un così cospicuo
finanziamento pubblico a favore di tale associazione, da cui sarebbero poi
derivate in città l’Accademia della Stella e quella della Fucina, ci dà l’idea
di quanto ad essa fosse legata all’epoca buona parte dell’oligarchia locale59.
Probabili componenti del gruppo furono infatti, oltre a Maurolico e Arezzo e
Ventimiglia, il barone della Scaletta Salimbene Marchese60, il vescovo Gio-

socio Claudio Arezzo che, nel ricordare come appunto l’opera sia nata in seno a «l’academia
nostra», annovera implicitamente nel gruppo anche l’importante presenza del Maurolico, in-
dicandolo come «homo di non poco qualita». Simili affermazioni non sfuggirono a Domenico
Puzzolo Sigillo che così, per primo, ebbe sentore dell’esistenza del colto cenacolo peloritano
cinquecentesco (vd. Puzzolo Sigillo, Pagine trascurate, cit., pp. 297-308). Egli però, nella
propria intuizione, individuò erroneamente l’associazione nell’Accademia degli Abbarbicati,
fondata per la verità a Messina un secolo dopo (nel 1636), sol perché nelle cronache cittadine
del Gallo, a proposito del predetto sodalizio degli ‘Abbarbicati’, veniva giudicata «la sua
fondazione essere stata più antica del 1636, mercecché l’anzidetto autore (Ariano e Patè) la
nomina Antica Accademia» (ivi, p. 301; Gallo, Annali, cit., Apparato, I, p. 85). Tale Teodoro
Ariano e Patè, citato dal Gallo ed artefice d’uno scritto agiografico del 1659 sui miracoli di
S. Alberto, in realtà aveva solo annotato laconicamente che «nella Casa di Alberto Tuccari
Gentil’huomo dell’Ordine Senatorio da parte de’ Cittadini… è fondata una virtuosissima,
e antica Accademia, intitolata degli Abbarbicati», riferendosi all’accademia come «antica»
semplicemente perché inaugurata un ventennio prima (ed infatti la ricordava come posta sotto
la tutela di S. Alberto poiché con il nome del santo si chiamava il suo patrocinatore-cofonda-
tore Alberto Tuccari: vd. T. Ariano Patè, Vita, e miracoli di S. Alberto, Messina 1659, p. 98).
58
Giovanni Ventimiglia II, marchese di Geraci e stratigoto di Messina dal 1540 al 1542,
fu allievo e mecenate del Maurolico, ed amico dell’Arezzo che gli dedicò dei versi in risposta
ad una ‘disputa filosofica’ avuta con lui (vd. C.M. Arezzo, Canzoni di Mario di Arezzo, gin-
til’homo saragusano, f. 5r, in calce a Id., Osservantii, cit.). Il marchese, come già accennato,
morì il 13 ottobre 1553 guadando a cavallo il torrente di Letojanni, località sita sulla strada
tra Messina e Taormina (vd. supra, nt. 22). Sul Ventimiglia vd. R. Moscheo, Mecenatismo e
scienza nella Sicilia del ’500. I Ventimiglia di Geraci ed il matematico Francesco Maurolico,
Messina 1990.
59
La notizia del «donativo» è riportata da Samperi (P. Samperi, Iconologia della Gloriosa
Vergine Madre di Dio, Messina 1644, e di nuovo in Messina 1739 da cui si cita, l. I, p. 136; vd.
anche Russo, L’Accademia della Fucina, cit., pp. 157-158), che individua l’associazione che
ricevette il finanziamento nell’Accademia della Stella, sodalizio messinese, dal carattere an-
che ‘paramilitare’, in realtà fondato nel 1595, almeno nella forma ufficiale da noi conosciuta.
Fu con ogni probabilità a favore del gruppo del Maurolico e dell’Arezzo la proposta d’erogare
la sovvenzione (di cui non si conosce l’effettiva attuazione). Che tale cenacolo possa quindi
essersi chiamato ‘Accademia della Stella’ (o della ‘Stella del Sirio d’Orione’) è possibile, o
anche ‘Accademia della Fucina’, o quantomeno è verosimile che da quest’innominata cerchia
cinquecentesca la Stella e la Fucina siano poi derivate. Le due accademie, operanti a Messina
nel Seicento in maniera pubblica (ma delle quali si riscontra un’indubbia esistenza anteriore in
forma clandestina), costituirono in effetti un’unica associazione, di cui la Stella era il braccio
armato e la Fucina il ramo ‘culturale’ (ivi, pp. 150-153).
60
Di questo casato, da sempre a capo della fazione ‘ghibellina’ messinese e nel cui palazzo
si sarebbe riunita per molti anni l’Accademia della Stella (vd. supra, nt. 59), faceva parte a
66 ATTILIO RUSSO

van Francesco Verdura61, Baldassarre Saccano62, il medico Leonardo Testa e


Francesco Lio63, e fu in questo humus favorevole che s’inserì proficuamente
la presenza a Messina di Polidoro Caldara da Caravaggio e, in seguito, quel-

metà Cinquecento Antonio Salimbene Marchese, ed è a lui che probabilmente il Maurolico si


riferisce in un proprio scritto (o forse a Francesco o Nicolò Marchese, suoi contemporanei)
indicandolo, tra tanti altri umanisti e dotti elencati, come «non minus laudandus» negli studi
letterari (il matematico menziona il letterato, e probabile accademico, Salimbene Marchese
nei due libri aggiunti al proprio compendio del De poetis latinis di Pietro Crinito del 1555, che
possono leggersi in G. Macrì, Francesco Maurolico nella vita e negli scritti, II ed., Messina
1901, pp. XXXV- XLVIII, spec. XLVIII). Per il monumento sepolcrale dello stesso Antonio
Marchese, evidentemente molto vicino al Maurolico e da lui stimato, lo scienziato compose
anche dei bei versi (che si leggono in Maurolico iun., Vita dell’Abbate del Parto, cit., p. 98).
Sull’importanza della famiglia Marchese vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp. 73 nt. 178,
76 nt. 184.
61
Il canonico messinese Giovan Francesco Verdura, ordinato da Paolo III vescovo di Chi-
ronissos (vd. G. Mellusi, Canonici e clero della cattedrale di Messina, Messina 2017, p. 120),
faceva parte della cerchia del Maurolico e dell’Arezzo (a riprova di ciò, un suo componimento
in omaggio all’autore si legge in apertura al De situ insulae Siciliae dell’Arezzo, unitamente
ad una dedica composta dallo stesso Maurolico) e dovette rivestire un ruolo d’una certa im-
portanza in seno ad essa. Fu il Verdura, infatti, in nome e per conto del Senato di Messina,
a commissionare allo scultore fiorentino Giovan Angelo Montorsoli la fontana d’Orione da
doversi erigere in città, sottoscrivendo il relativo contratto, stipulato presso il notaio romano
Francesco Antonio Mandini da Majoro, il 30 agosto 1547 (vd. D. Puzzolo Sigillo, Una no-
bilissima statua marmorea di S. Agata di legittima paternità montorsoliana, in «Spirale», I,
2 [1951], pp. 3-5; G.F. Omodei, Descrizione della Sicilia, in Opere storiche inedite sulla città
di Palermo ed altre città siciliane per cura di G. Di Marzo, Palermo 1876, voll. XXIV-XXV
[VI-VII della seconda serie], vol. XXIV, p. 34; Russo, Costantino Lascaris, cit., pp. 19-21;
vd. anche infra, nt. 68).
62
Baldassarre Saccano apparteneva allo stesso casato di Ludovico Saccano (importante
componente della cerchia del Lascaris), ed a lui l’Arezzo indirizzò dei versi (Arezzo, Canzo-
ni, cit., f. 5v) ed una lettera pubblicata nel De situ (f. 41r).
63
Leonardo Testa, «dottissimo, e prestantissimo Filosofo, Medico, e Poeta de’ suoi Tempi»
(Bonfiglio, Messina Città Nobilissima, cit., IV, p. 52), fu autore, al pari del Maurolico, d’un
componimento presente nel De urbis Messanae pervetusta origine del lascariano Bernardino
Rizzo (vd. supra, p. 37), e per lui l’Arezzo scrisse due ‘canzoni’ in cui definisce il medi-
co «Esculapio» e «homo tali chi morti corigiti», dimostrandosi fiero di poterne annoverare
l’appartenenza al «nostro chiostro» messinese («e, dedicari in fini al nostro chiostro la vostra
laureata, e bella imagini»: Arezzo, Canzoni, cit., ff. 7v, 10v). Il Testa venne pure incluso dal
Maurolico, con giudizi molto lusinghieri, nei propri due libri aggiunti al De poetis latinis
di Pietro Crinito («Leonardus cognomento Testa messenius, medicinae et artium professor,
aliquoties etiam poeticae operam dedit: habuitque tam in vernaculis metris tantum argutiae,
tantum leporis et salium, ut optimorum poetarum stylum expresserit»), ed alla sua morte fu
Giovan Angelo Montorsoli ad essere incaricato di realizzarne il monumento funebre (vd. D.
Puzzolo Sigillo, Un’opera ignorata di Martino Montanini. La Santa Caterina di Forza d’A-
grò, in «Archivio storico messinese», XXVI-XXVII [1925-1926], pp. 306-311). Anche Fran-
cesco Lio fu annoverato dal Maurolico, come letterato, nel De poetis latinis («Franciscum
quoque Leum sive Leonem») e, allo stesso modo, gli venne dedicata una canzone dall’Arezzo
(Arezzo, Canzoni, cit., f. 10v), mentre dei suoi versi si leggono nel De situ insulae Siciliae
(Id., De situ, cit., ff. 2r e 41r).
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 67

la del fiorentino Giovan Angelo Montorsoli64. La fontana d’Orione e Sirio,


costruita nel cuore cittadino dallo scultore d’ambito michelangiolesco tra
il 1547 ed il 1553, con un programma iconografico neoplatonico, può ben
ritenersi un’espressione di questa cerchia culturale e, allo stesso tempo, il
momento apicale d’una vicenda che da quel punto avrebbe sperimentato
un conseguente declino. In piena Controriforma, infatti, non sarebbe stato
ammissibile continuare a tollerare a lungo la relativa libertà di cui avevano
potuto godere fino allora, stranamente, i membri dell’oligarchia messinese,
e l’intera città65. Allo spegnersi degli ultimi echi rinascimentali l’attenzione
inquisitoria dei poteri forti non mancò d’irradiarsi, inevitabilmente, anche
sulle rive dello Stretto, ed ogni attività della «nostra academia» si dovette
arrestare66. Non solo fu precluso qualsiasi futuro al colto sodalizio peloritano

64
Il Montorsoli, frate servita allievo di Michelangelo, giunse a Messina nel 1547, anno in
cui iniziò a lavorare alla fonte d’Orione, a cui sarebbe seguita quella del Nettuno che com-
pletò nel 1557, poco prima d’esser costretto a fare ritorno definitivamente nella Penisola (vd.
infra, nt. 68). Anteriore alla presenza montorsoliana fu quella del pittore bergamasco Polidoro
Caldara (seguace di Raffaello), stabilitosi verso il 1527-1528 nella città dello Stretto, dove
realizzò nel 1535, con la collaborazione del Maurolico, gli apparati trionfali per l’entrata
di Carlo V (vd. supra, nt. 35). In occasione di quest’importante evento Polidoro, inserito a
pieno titolo nell’oligarchia peloritana, fu anche presente all’esibizione ufficiale dei privilegi
cittadini all’imperatore (la notizia, da me già evidenziata in un mio precedente lavoro, fu
probabilmente fornita in origine dal Maurolico nella propria cronaca del ricevimento di Carlo
V, rimasta manoscritta in latino e poi andata perduta). Nel 1543 il Caldara venne misterio-
samente assassinato a Messina, dove fu sepolto nel convento del Carmine (vd. supra, nt.
49), in cui giacque fino alla distruzione intenzionale del suo illustre sepolcro. Su Polidoro e
l’abbattimento della relativa tomba vedasi Russo, Costantino Lascaris, cit., pp. 22-32, 43-45.
Sulla vita e le opere di Polidoro vd. A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969;
P. Leone De Castris, Polidoro da Caravaggio. L’opera completa, Napoli 2001. Su Montor-
soli si veda principalmente K. Mösedener, Montorsoli. Die Brunnen, Mittenwald 1979; S.
Ffolliott, Civic Sculpture in the Renaissance. Montorsoli’s Fountains at Messina, Ann Arbor
(Michigan) 1984; B. Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli. Ein Florentiner Bildhauer
des 16. Jahrhunderts, Berlin 1993; N. Aricò, Architettura del tardo Rinascimento in Sicilia.
Giovannangelo Montorsoli a Messina (1547-57), Firenze 2013.
65
Messina era in quell’epoca una sorta di piccola repubblica indipendente, che riusciva a
sopravvivere, esempio raro, nel seno d’una monarchia assoluta e tirannica quale quella della
Corona di Spagna. La città, dopo l’impresa di Carlo V a Tunisi nel 1535 (vd. anche supra,
nt. 35), s’era venuta a trovare al centro d’una favorevole congiuntura, ed al culmine di uno
sviluppo politico-culturale e demografico iniziato almeno un secolo prima. Contendendosi il
primato dell’Isola con Palermo, essa viveva arroccata nel castello dorato delle proprie speciali
prerogative municipalistiche, difese strenuamente all’occasione: particolari garanzie ammini-
strative, una certa cogestione della cosa pubblica coi rappresentanti dei poteri centrali, l’esclu-
siva nel coniare la moneta del regno tramite la zecca locale, l’importantissima facilitazione
economica del monopolio delle esportazioni seriche e, infine, immunità come l’istituto del
‘controprivilegio’, grazie a cui nessun messinese (o straniero residente in loco da tempo, al
quale fosse stata quindi concessa la cittadinanza) avrebbe potuto essere giudicato fuori sede,
con relativa possibile negazione ad ogni richiesta o rogatoria proveniente dall’esterno.
66
Soltanto a partire dal quarto decennio del XVII secolo si potrà assistere ad una ripresa
delle attività culturali in città, in concomitanza con l’esordio pubblico dell’Accademia della
68 ATTILIO RUSSO

ma anche il passato ne fu in parte rimosso forzatamente, con un effetto retro-


attivo di cui ancora oggi si avvertono le conseguenze67. Alla distruzione delle
insigni tombe di Lascaris e Polidoro, sottile opera di damnatio memoriae,
s’accompagnò la carcerazione del Verdura nelle prigioni dell’Inquisizione
e, mentre il Maurolico fu costretto ad una pubblica abiura, il Montorsoli
dovette abbandonare Messina, dichiarando poi, in una lettera ufficiale del
1561 al cardinale Giovanni de’ Medici, di voler realizzare in futuro «non
cose profane, ma alcun’opera sacra, avendo tutto volto l’animo al servigio
di Dio e de’ suoi santi»68. Non ci è dato conoscere con che animo Francesco

Fucina (vd. supra, nt. 59), che aveva dovuto operare clandestinamente negli anni precedenti
(vd. Russo, Costantino Lascaris, cit., pp. 79-80).
67
Un riduttivo stereotipo, difficile da sradicare, che vuole la città di Messina ai margini
del panorama culturale e politico del ’400-’500, affonda le radici proprio in questa efficace
opera di rimozione forzata, attuata tramite una sottile forma di damnatio memoriae (vd. infra).
68
L’incisiva repressione controriformista che interessò la città di Messina ebbe inizio nel
1556-1560. È in questi anni che infatti cominciano a ‘scomparire’, nei libri editi in loco,
citazioni ‘scomode’ quali quelle su Costantino Lascaris e la sua illustre e poliedrica scuola
messinese (motivo di vanto cittadino) che, orientata verso un neoplatonismo pitagorizzante,
aveva originato quelle successive ‘generazioni lascariane’ a cui appartenevano il Maurolico
ed i sodali dell’«academia nostra». Nel 1559, quindi, la censura del Sant’Uffizio si premura di
bruciare in tutta la Sicilia ogni testo non gradito, ed è proprio in questo periodo (dal 1561 fino
al 1575) che si registra una notevole crescita numerica dei membri dell’Inquisizione nella città
dello Stretto e che si verifica (nel 1560) il primo arresto a cui seguirà la pena capitale: quello di
tale Giacomo Bonello che, accusato di luteranesimo, verrà portato a Palermo per essere arso
vivo. Allo stesso modo, nel 1562, nella vicina Reggio ben quindici abitanti saranno giustiziati
sul rogo per eresia e, sempre a Messina, nel 1564 Filippo Campolo correrà anch’egli questo
rischio, venendo incriminato sol perché risultato in possesso di uno o due testi ‘proibiti’. In
questo clima, la distruzione dei prestigiosi sepolcri di Lascaris e di Polidoro da Caravaggio
(veri e propri vessilli per l’intellighènzia cittadina, ospitati nella chiesa del Carmine: vd. su-
pra, nt. 49) si consuma tra il 1560 e il 1587 circa, con la relativa dispersione intenzionale delle
ossa in fosse comuni. Il medesimo modus operandi verrà poi utilizzato nel 1585 per rimuove-
re dalla cattedrale l’insigne tomba di Giovanni Gatto, famoso tomista messinese appartenuto
alla cerchia neoplatonica del Lascaris e del Bessarione, dei quali era anche stato amicissimo.
Il vescovo Giovan Francesco Verdura, invece, verrà arrestato tra il 1557 ed il 1558 dall’Inqui-
sizione romana, rimanendo nel carcere di Ripetta almeno fino al maggio del 1559, insieme al
nobile messinese Bartolomeo Spadafora (parente del Maurolico) ed al predicatore agostiniano
Andrea Ghetti da Volterra. Verdura e Ghetti, scontate le condanne, per dimostrare pubblica-
mente il proprio pentimento definitivo ed essere riabilitati del tutto, furono pure sollecitati a
partecipare al Concilio Tridentino. Per motivi simili, lo stesso invito fu rivolto nel medesimo
periodo anche a Francesco Maurolico, che riuscì però ad evitare di prender parte al Sinodo,
scrivendo in cambio una pubblica lettera con valore d’abiura e di excusatio (che si legge in-
clusa in calce al Sicanicarum rerum compendium, il compendio di storia siciliana editato dal
matematico a Messina nel 1562: vd. anche supra, nt. 57), a testimonianza palese della propria
sottomissione al sistema di potere. In essa lo scienziato, con una chiassosa presa di posizione,
manifesta una violenta avversione per Erasmo da Rotterdam, e condanna apertamente, per la
prima volta, l’esoterismo di Pico della Mirandola, di Raimondo Lullo, di Arnaldo da Villa-
nova, di Cornelio Agrippa, di Geber e d’ogni altro alchimista e cabalista («ego abominandos
censeo Grebum, Arnaldum, Lullium, Picum, Agrippam et reliquos hujusmodi alcumistas,
cabalistas necromantas»), giudicando anche meritevole di disprezzo il Cardano, citato con
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 69

Fig. 8 - Il breve componimento d’un esordiente ‘Maurolycius-Apollo occulto’, prima pub-


blicazione a stampa d’uno scritto dello scienziato, inserito in chiusura del testo del De urbis
Messanae pervetusta origine, opera di Bernardino Rizzo editata a Messina nel 1526 (vd.
supra, nt. 2).
70 ATTILIO RUSSO

Maurolico visse quei difficili momenti, ma è certo che da allora egli proseguì
con cautela ed in tono decisamente minore le proprie attività, e senza degli
adeguati discepoli in grado di raccoglierne e continuarne in loco il prezioso
retaggio69. Ciò nonostante l’opera poliedrica del matematico messinese non

onore in passato per le sue opere matematiche ed astrologiche (e tenuto in cuor suo, come gli
altri autori predetti, in grande considerazione: vd. supra, nntt. 33, 57). Allo stesso modo, una
pubblica dichiarazione di tono equivalente è rilasciata nella primavera del 1561 dal Montor-
soli (che verrà editata postuma dal Vasari, suo amico, nelle Vite), il quale, approfittando di
una propria lettera ufficiale di risposta al cardinale Giovanni de’ Medici, specifica per iscritto
che non avrebbe mai più realizzato «cose profane». Altra excusatio, questa, che fa un chiaro
riferimento alle ‘creazioni eretiche’ prodotte fino a quel momento dall’allievo di Michelan-
gelo: la tomba di Iacopo Sannazaro a Napoli e la fontana d’Orione nella piazza del Duomo di
Messina. Infatti, se il sepolcro del Sannazaro a Mergellina poteva definirsi indubbiamente uno
dei monumenti più pagani del Rinascimento, la fonte d’Orione costituì forse il più complesso
edificio esoterico dell’epoca, e ciò non doveva di sicuro essere sfuggito all’occhio vigile delle
autorità inquisitorie, al pari dei legami che univano il Montorsoli al Maurolico e al Verdura:
tutti e tre coartefici, anche se con differenti funzioni, della suddetta fontana d’Orione e Sirio. Il
monumento, eretto nel cuore della città, aveva certo dovuto costituire la sfida più insopporta-
bile per il sistema di potere, tanto per il suo simbolismo iniziatico (difficilmente comprensibi-
le, comunque, all’occhio dei più) quanto per l’abbondanza di ‘sconvenienti idoli’ ma, specie,
per l’ostentazione, nel periodo sicuramente meno adatto, di ‘oscene’ e verosimili nudità. Lo
scultore toscano, quindi, intimorito al pari dei suoi due ‘amici messinesi’, fu costretto ad
abbandonare la città peloritana nel 1557 per l’editto papale controriformista di quell’anno (in
base a cui tutti gli «apostati ovvero sfratati» dovevano rientrare nei cenobi), dopo aver com-
pletato ‘sul filo di lana’ l’altra fontana commissionatagli: quella del Nettuno (nume scolpito
anch’esso in origine nudo, ma ricoperto stavolta dalla classica foglia di fico sul pube, rimossa
soltanto nel restauro realizzato nel 2001). In un clima fattosi pesante Giovan Angelo non ha
evidentemente alcuna intenzione, o possibilità, di rimanere a Messina sotto una ‘spada di
Damocle’ (opportunità invece tecnicamente non difficile, con l’eventuale acquisizione della
cittadinanza ed un conseguente ricorso all’immunità del ‘controprivilegio’: vd. supra, nt. 65).
Da quel momento il Montorsoli, tornandosene nella Penisola dopo un proficuo decennio di
permanenza in Sicilia, avrebbe dunque realizzato solo ‘opere sacre’, rispettando fedelmente
la propria promessa di ‘pentimento’ ed ostentando un palese ‘cambio di rotta’ equivalente a
quello del Maurolico. Su tutto questo complesso argomento, qui riassunto brevemente, vedasi
il mio articolo Russo, Costantino Lascaris, cit., spec. pp. 12-32 (vd. anche Id., La fontana del
Sirio d’Orione, cit.; Id., L’Accademia della Fucina, cit., spec. pp. 157-169).
69
Nel forzoso cambiamento d’indirizzo a cui dovettero conformarsi Maurolico, Montor-
soli, Verdura e, certamente, tutti gli altri frequentatori del colto sodalizio messinese, il disco-
noscere la propria appartenenza passata a quest’ultimo dovette essere la prassi, così come an-
che negarne la stessa esistenza. Se da un lato la tabula rasa messa in atto dai poteri forti sortì
sicuramente i suoi effetti, dall’altro essa fu quindi completata dagli atteggiamenti omertosi di
chi, intimorito, aveva tutto l’interesse a rimuovere tracce di legami personali con gruppi e per-
sonaggi ‘eretici’, o scomode citazioni nelle proprie opere relative ad essi. Declassare la scuola
del Lascaris (che peraltro sarebbe diventata quasi innominabile per circa un secolo), e la sua
natura neoplatonico-pitagorica, ad una cattedra di semplice grammatica greca fu uno degli
effetti di tale clima, come pure l’affrettarsi a fare svanire ogni segno della «nostra academia»
messinese cinquecentesca, erede di quella lascariana. Circostanze che quindi dovevano esser
state ‘arcinote’ e vissute dalla città alla luce del sole, con carattere pressoché di ufficialità (vd.
supra, nt. 59), sarebbero diventate un argomento proibito (oggetto, al massimo, solo di accen-
ni laconici ed elusivi) e, per i posteri, un misterioso puzzle da dover ricomporre, decifrando
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’ 71

poté essere obliata e, travalicando i confini dell’Isola, fu importante negli


anni a venire per gli sviluppi di più campi della conoscenza. All’ ‘Occulto
Apollo-lupo’ siciliano furono quindi tributati «onori riserbati a’ principi e a’
grandi della terra, e di rado conceduti agli scienziati»70, come è giusto per un
personaggio della sua statura, verso cui rimane grande il debito della cultura
italiana ed europea.

le menzioni criptiche ed i vari segnali sparsi sopravvissuti nel tempo. Ovvia conseguenza
fu un’apparenza ingannevole a cui si ‘fermarono’ generazioni di studiosi e, inevitabilmente,
l’originarsi dello stereotipo della perifericità culturale di Messina nei secoli XV-XVI, e del
Maurolico quale fenomeno isolato (vd. supra, nt. 67). Se è vero che il matematico non ebbe
adeguati discepoli in loco, probabilmente anche a causa del suddetto quadro repressivo, è però
altrettanto reale il legame tra il suo sapere e quello lascariano, che attesta come l’opera com-
plessiva del poliedrico scienziato non sia stata affatto, in città, un caso solitario sorto dal nulla
miracolosamente. A prescindere dall’importante presenza fisica di ben tre precettori ex allievi
del Lascaris nella formazione del Maurolico (Francesco Faraone, Giacomo Notese-Genovese
e lo stesso padre dello scienziato: Antonio), ‘salta all’occhio’ il suo sviluppo curriculare se-
condo un’impostazione di scuola lascariana: l’esordio della carriera con la pubblicazione d’un
testo didattico grammaticale (l’edizione del 1528 dei Grammaticorum rudimentorum libelli
sex Francisco Maurolycio authore, certamente eredità delle lezioni del Faraone, anch’egli
autore d’una grammatica: vd. supra, nt. 47) e l’inclusione nei propri programmi di studi e
d’insegnamento di particolari opere (per buona parte esoteriche) quali quelle di Ermete Tri-
smegisto, Plotino, Oppiano, Galeno, Focilide e, specie, dei Versi d’oro pitagorei (vd. Russo,
Costantino Lascaris, cit., pp. 52-53, 84; vd. anche supra, nntt. 33, 57). Sempre dalla stessa
matrice, poi, deriva la preparazione mauroliciana per la stesura degli Sphaerica di Teodosio
(Theodosii Sphaerica aelementa [sic] libris tribus), realizzati, in larga parte, grazie all’appro-
fondimento degli scritti d’un altro allievo del Lascaris, quel Giorgio Valla, amico di Leonardo
e traduttore di testi matematici confluiti nel famoso De expetendis et fugiendis rebus. Per di
più, è Pietro Bembo, anche questi ex scolaro del dotto bizantino (unitamente al proprio segre-
tario Cola Bruno, messinese: vd. supra, nt. 18), ad interessarsi per far stampare a Venezia la
Cosmographia, libro in cui il Maurolico, peraltro, menziona espressamente il possesso perso-
nale della sfera armillare regalata dallo stesso Bembo al maestro Costantino durante la propria
permanenza biennale a Messina (vd. supra, nt. 43). Le citazioni dello scienziato riguardanti il
Lascaris, oltre al suddetto cenno (volto quasi a voler rimarcare la continuità sapienziale tra i
due), sono numerose e celebrative. Il Maurolico, infatti, arriva a definire «alma divina» l’uma-
nista costantinopolitano (vd. supra, nt. 49), riportandone anche un’opera (le Vitae illustrium
philosophorum siculorum et calabrorum, quasi integralmente e solo con qualche variante)
nel primo libro del proprio Sicanicarum rerum compendium. D’altra parte, una simile ascen-
denza lascariana può notarsi in Claudio Mario Arezzo, anch’egli allievo di un ex scolaro di
Costantino (Cristoforo Scobar: vd. supra, nt. 57) ed importante consocio, con il matematico,
di quella «nostra academia» che appunto seppe cogliere nel Cinquecento, a Messina, la dotta
eredità del secolo precedente.
70
D. Scinà, Elogio di Francesco Maurolico, Palermo 1808, p. 100.
Alessandro Abbate

«ERETICI» NELLA SICILIA DEL CINQUECENTO*

Nella seconda metà degli anni Trenta del XVI secolo iniziarono a propa-
garsi anche in Sicilia le idee della Riforma. La prima propagazione venne
veicolata per mezzo degli ordini monastici, che, tramite i frequenti sposta-
menti dei priori dei conventi verso le case madri, le visite presso la Curia ro-
mana, i movimenti dei predicatori durante la Quaresima, risultarono elemen-
ti animatori della diffusione dei principi protestanti1. In modo particolare in
questa fase, gli echi della cerchia luterana di Giovanni de Valdés, Giovanni
Montalcino e Paolo Ricci – che in quegli anni trovava stabile residenza a
Napoli2 – ebbero notevole influsso, penetrando a fondo nel tessuto religioso
siciliano, anche grazie a un clima culturale isolano nel quale vi era ancora
spazio per il dibattito teologico e filosofico, con il viceré Ferrante Gonzaga
che si dimostrava fautore di un’intesa dottrinale tra cattolici e protestanti3,
e dove inoltre l’azione del Santo Officio risultava frenata dalla sospensio-
ne decennale dei privilegi inquisitoriali4. La situazione cominciò a mutare a
partire dagli anni Quaranta, quando anche in Sicilia si iniziò a risentire della

*
Abbreviazioni utilizzate nel presente saggio: AHNM = Archivo Historico Nacional –
Madrid, Inquisiciones de Italia, Tribunal de Sicilia, libb. 898-902; Garufi 1913 = Archivo
General de Simancas, Consejo supremo y de la Secretaria de la Camara de los Inquisidores
Generales, Inquisición de Sicilia, Listas de los autos da fé (1537-1572), in C.A. Garufi, Con-
tributo alla Storia dell’Inquisizione in Sicilia nei Secoli XVI e XVII. Note e appunti dagli
Archivi di Spagna, «Archivio Storico Siciliano», XXXVIII (1913), pp. 278-329; La Mantia
= Biblioteca Comune di Palermo, ms. Qq F 239, in V. La Mantia, Origine e vicende dell’In-
quisizione in Sicilia, Palermo 1977.
1
M.S. Messana, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782),
Palermo 2007, p. 35.
2
C.A. Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, Palermo 1978, p. 82; N.
Caserta, Juan de Valdes e valdesiani a Napoli, Napoli 1959; M. Firpo, Juan de Valdés e la Ri-
forma nell’Italia del Cinquecento, Roma-Bari 2016, pp. 42-55; G. Galasso, Valdés e Napoli,
in «L’Acropoli», XVI/3 (2005), p. 245.
3
R. Moscheo, Fermenti religiosi e vita scientifica a Messina nel XVI secolo, in Sciences
et religions de Copernic a Galilée (1540-1610). Actes du colloque international organisé par
l’Ècole nationale de Rome, en collaboration avec Ècole nationale des chartes et l’Istituto
italiano per gli studi filosofici, avec la partecipation de l’Università di Napoli «Federico II»,
Rome 12-14 décembre 1996, Roma 1999, pp. 317-318
4
F. Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, Palermo 1997, p. 319.
74 ALESSANDRO ABBATE

generale svolta controriformistica europea: nel 1541 si consumò il fallimento


della Dieta di Ratisbona e l’anno dopo Paolo III istituì l’Inquisizione roma-
na. In tale contesto l’imperatore Carlo V provvide a riordinare il Santo Offi-
cio siciliano e il 17 febbraio 1543 dispose che la sospensione, che ne causava
la paralisi, fosse da intendersi automaticamente revocata appena fosse giunta
a scadenza5. Gli stessi lavori del Concilio di Trento, avviatisi nel 1545, con
i loro decreti conciliari, condizionarono e diedero una nuova spinta all’atti-
vità inquisitoriale siciliana6. Questo dimostra come, a differenza della lotta
contro l’«eresia giudaica» – caratterizzante l’impegno principale del Santo
Officio isolano nella prima parte del Cinquecento – che era connessa alle
condizioni e al destino della sefarad iberica7, il protestantesimo siciliano e
la sua repressione fu invece un fenomeno di più ampio respiro, da intercon-
nettere strettamente alla Riforma italiana ed europea8. Proprio il decennio a
cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta vide il progressivo esaurirsi della pu-
lizia etnico-religiosa ebraica e il passaggio alla repressione delle cosiddette
«sette luterane»9.
Il primo condannato dal Santo Officio siciliano «per aver predicato molti
errori luterani» è Fra Eremio de Tripedibus, nativo di Maratea, ammesso
a riconciliazione il 21 dicembre 153910, maestro di teologia appartenente
all’ordine di S. Agostino. Il fatto che il frate fosse un agostiniano rafforza
l’ipotesi che la diffusione delle dottrine protestanti in Sicilia sia avvenuta
inizialmente all’interno degli ordini religiosi, ed è probabile che si fece por-
tatore delle idee apprese in seno al suo ordine – non a caso il medesimo a
cui apparteneva Martin Lutero – mediante i rapporti con Lorenzo Romano,
Pietro Martire e Girolamo Seripando, anch’essi luterani-agostiniani operanti
nel Regno napoletano11. Eremio poi ricadde in errore e venne ripreso una

5
Ivi, p. 71.
6
Messana, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), cit., p.
35.
7
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 309.
8
D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino
1992, p. 431.
9
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 98. La classificazione seguita
dagli inquisitori del Santo Officio siciliano non sempre rispecchiava esattamente il complesso
e altamente eterogeneo universo della Riforma protestante, gran parte delle volte, indipenden-
temente dalle convinzioni teologiche del reo, il condannato veniva etichettato genericamen-
te come ‘luterano’, ivi, pp. 326-327; V. Sciuti Russi, La Inquisiciòn española en Sicilia, in
«Studia Historica: Storia Moderna», 26 (2004), pp. 75-99.
10
In realtà la data riportata in BCP, ms. Qq F 239 è il 21 dicembre 1529 ma tutti gli studio-
si che hanno valutato il caso processuale di Eremio de Tripedibus sono concordi che si tratti di
un errore, e che il suo atto di riconciliazione vada postdatato di un decennio, cioè al 1539. Vd.
Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, cit., pp. 82-85; Messana, Inquisitori,
negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), cit., p. 35.
11
Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, cit., pp. 82-83.
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 75

seconda volta il 13 febbraio 1547 come «gran luterano, degradato verbaliter


e ymmurado perpetuamente»12, ma evaso, il 22 dicembre dello stesso anno
venne ʻrilassato in statuaʼ. Anche il primo protestante di Sicilia mandato al
rogo fu sempre un frate: il messinese Fra Petruccio Compagna, membro del
Terzo ordine di San Francesco di Paola, «relaxado al braço secular por he-
regias lutheranes» in occasione dell’autodafé che si svolse a Palermo il 30
maggio 154213.
Complessivamente, incrociando l’elenco dei rilasciati al braccio secola-
re conservato presso la Biblioteca Comunale di Palermo14 con la lista degli
autodafé siciliani dell’Archivo General de Simancas15 e la documentazione
dell’Archivo Historico Nacional di Madrid16, per tutto il XVI secolo emer-
gono 284 procedimenti a carico di 253 individui, che: o vengono esplicita-
mente bollati come ʻeretici protestantiʼ, o che attraverso il resoconto delle
loro convinzioni teologiche possono essere a ragione ricondotti al mondo
della Riforma.
Di questi 284 provvedimenti: 215 (75,70%) si conclusero con la ricon-
ciliazione17, che sottintende a una punizione che può andare dalla semplice
abiura de levi fino al carcere perpetuo o a molti di anni di condanna al remo;
33 volte (11,62%) il condannato era contumace o già deceduto e fu ʻrilassato
in statuaʼ; mentre in 36 casi (12,68%) l’ʻereticoʼ venne ʻrilassato in personaʼ
finendo arso vivo18.
Numerosi i religiosi condannati, in totale ben 75: 33 secolari (44,00%)
e 42 aderenti a ordini regolari (56,00%). Gli istituti monastici più rappre-
sentati furono gli Agostiniani con 8 rei (19,05% del clero regolare)19, se-

12
Garufi 1913, p. 282.
13
Ibidem. Sulla sua figura, vd. G. Mellusi, Canonici e clero della cattedrale di Messina.
Dalla rifondazione normanna della Diocesi al Concilio di Trento, Messina 2017, pp. 135-136.
14
La Mantia, pp. 167-208.
15
Garufi 1913, pp. 278-329.
16
AHNM, libb. 898-902.
17
Il ʻriconciliatoʼ è colui che riconosciuto colpevole di eresia, invoca il perdono e la mi-
sericordia della ʻSanta Madre Chiesaʼ e abiura alle proprie idee eterodosse, Renda, L’Inquisi-
zione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., pp. 257-258.
18
Il ʻrilassato in personaʼ è sempre un reo ostinato, o comunque un recidivo, o come si
diceva allora, un relapso, cioè un ricaduto. Assimilabile a essa anche la condizione giuridica
e simbolica del ʻrilassato in statuaʼ: in quanto se morto, il suo rilascio è un riconoscimento
postumo della sua professione eretica, mentre se assente, la fuga ne conferma la sua colpevo-
lezza, ivi, pp. 256-257.
19
Oltre a Eremio de Tripedibus gli altri appartenenti all’Ordine Agostiniano che emergono
dalla documentazione inquisitoriale cinquecentesca furono: Pietro Gratalaro «alias de Candia,
veneziano, predicatore dell’ordine di S. Agostino, luterano, assente, fu per sentenza a 7 agosto
1543 rilassato in statua, letta a 21 ottobre nella Chiesa della Pinta», La Mantia, p. 200; Gia-
como de Anfulio «predicador de la orden de Sancto Augustin, lutherano degrade verbaliter.
Reconciliado a la Sancta Madre Yglesia», Garufi 1913, p. 282 (autodafé, Palermo, 13 febbra-
76 ALESSANDRO ABBATE

guiti dai Francescani con 7 (16,67%)20; ossia i due ordini che da più tempo
premevano per una riforma della Chiesa21. Sorprendente la rilevanza nu-
merica degli eremiti: 8 (19,05%)22, i quali nonostante la loro propensione

io 1547); Pietro Granata «olim monacho de S. Augustin agora sic presbitero, degradado ver-
baliter. Recondiliado a la Sancta Madre Yglesia», ivi, p. 283, (autodafé, Palermo, 13 febbraio
1547) e «preste, reconciliado y huyo de la carcel que. Relaxado en estatua por absecia», ivi,
p. 288 (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Filippo Carbone «olim fraile de Sancto Agustin
[...] clerigo, por luterano desgraduado verbaliter. Reconciliado a la S.ta Madre Yglesia», ivi,
p. 289 (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Ambrogio di Palermo «maestre en theologia
de lo orden de Sancto Augustino, por opiniones lutheranas, abjurò de vehementi y privado
de predicar y recluso y subspenso de missa por un año», ivi, p. 295 (autodafé, Palermo, 18
giugno 1553); Giovanni Grasso «prior del monasterio de S.to Augustin de Meçina, sei años
de habito por luterano», ivi, p. 40 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Gianpietro Perrone
«Frate dell’ordine di S. Agostino, luterano, morto, fu per sentenza a I° luglio 1573 rilassato in
statua, letta a 21 novembre 1574, e fu brugiato allo Ciardone», La Mantia, p. 193. Vd. Tab. I.
20
Antonio Bevilacqua «alias Castronovo [...] doctor in theologia de la orden de Sancto
Francesco de lo claustrales, abjurò de levi por ciertas propositiones lutheranas», Garufi 1913,
p. 283 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Antonio Caruso «diacono eremita del terzo
ordine di S. Francesco, commorante nell’oratorio di S. Giovanni di Monte Scarpello [...] fu
per sentenza rilassato in persona al braccio secolare, e letta la sua sentenza nella piazza della
Loggia a 5 luglio 1551», La Mantia, p. 171; Giovanni Battista Vinci «doctor en theologia
de la orden de Sancto Francesco de los claustrales, lutherano, degradado verbaliter», Garufi
1913, p. 282 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547), successivamente «reconciliado por luthe-
rano, de lo orden de Sancto Francesco, maestro en thelogia, condepnato en statua», ivi, p. 294
(autodafé, Palermo, 18 giugno 1553); Luigi de Castro «eremita, luterano, assente, che andava
insegnando la setta luterana, fu per sentenza a 14 febbraro 1558 rilassato in statua, letta nella
piazza della Bocceria vecchia a I° maggio 1558», La Mantia, p. 195, la sua appartenenza
all’ordine francescano è attestata da Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia,
cit., p. 104; Cornelio Chanchardo «maestre en theologia de lo orden de Sancto Francisco,
lutherano. Reconciliado al gremio de la Sancta Madre Yglesia», Garufi 1913, p. 294 (auto-
dafé, Palermo, 18 giugno 1553), successivamente «Fray Cornelio Chanchardo de la ciudad
de Nicoxia, maestro en theologia del orden de S.to Francisco, relapso», ivi, p. 303 (autodafé,
Palermo, 8 giugno 1561); Serafino di Sciacca «orden de S.to Francisco, sacerdote de missa,
reconciliado por que se casò y hizò vida mardable sey años creyendo que no peccava; sey años
de galera», ivi, p. 308 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Alessandro Castellana «nativo
de Tricarico, nella provincia della Basilicata, dell’ordine degli osservanti di S. Francesco,
luterano, monaco professo, e sacerdote maritato, essendo stato riconciliato dall’Inquisitore di
Sardegna; e dopo finita la pena della galera se ne passò in Sicilia nella terra de Mazzarino, e si
maritò in faciem Ecclesiae, ed essendo preso dal Tribunale ed essendo ostinato nei suoi errori,
fu rilassato in persona al braccio secolare, letta la sua sentenza nel piano delli Bologni a 15
agosto 1584 fu degradato e rilassato», La Mantia, p. 175. Vd. Tab. I.
21
Messana, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), cit., p.
36. Riguardo i Cappuccini, vd. C. Salvo, Monache a Santa Maria dell’Alto. Donne e fede a
Messina nei secoli XV e XVI, Messina 1995, pp. 102-105.
22
Al di là di Antonio Caruso e Luigi de Castro, menzionati in precedenza, vd. supra, nt.
20; gli altri eremiti censiti nelle liste dell’Inquisizione sono: Andrea de Lucia «ordinis Santi
Pauli primi heremite, napoletano. Reconciliado en forma juris por opinion luterana», Garu-
fi 1913, p. 281 (autodafé, Palermo, 30 maggio 1542); Crisostomo Leonardo «heremita de
San Juan, por haver dicto palabras luteranas. Penitenziado y abjurantes de levi», ivi, p. 289
(autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Giuseppe Manzone «heremita, luterano. Reconciliado
al gremio de la Sancta Madre Yglesia», ivi, p. 294 (autodafé, Palermo, 18 giugno 1553);
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 77

all’isolamento sembrano avere avuto un ruolo importante del movimento


riformatore siciliano.
A cadere in ʻerroreʼ fu sia il basso clero, scarsamente istruito, che reli-
giosi di elevata istruzione, che ricoprivano cariche prestigiose; sono infatti
8 i dottori in teologia (10,67% di tutti i clerici sentenziati)23; e indicati come
ʻluteraniʼ vi sono anche: il decano di Messina, nonché arcidiacono di Catania
e Siracusa, Aliotta Buglio24; Giovanni Grasso, priore del convento messinese
di S. Agostino25; e Nicola di Alì, priore del monastero benedettino di Gangi26.
Nel complesso i condannati furono in stragrande maggioranza dei laici
(70,36%), 178 su 253, segno che dopo una prima fase, in cui la diffusio-
ne delle ʻopinioni luteraneʼ avvenne per mezzo del clero, successivamente
esse raggiunsero in profondità anche il mondo laicale. Del resto l’ʻeresie
protestantiʼ non coinvolsero solo una categoria specifica, o ceti marginali e
diversi, come avvenuto per gli ebrei conversi o gli schiavi moreschi27, ma si
innestarono nei diversi strati sociali, facendosi strada anche in settori impor-
tanti dell’alta società siciliana. Vennero ritenuti ʻeretici protestantiʼ elementi
della nobiltà come il figlio del barone di Mazzarrà, Venetico e San Martino,

Vincenzo Escarpa «heremita en Noto, lutherano. Reconciliado al gremio de la Sancta Madre


Yglesia», Ibidem (autodafé, Palermo, 18 giugno 1553); Andrea de Lanza «hermitano del lugar
de Buxema. Relaxado en persona al brazo seglar», ivi, p. 303 (autodafé, Palermo, 8 giugno
1561); Giovanni Gigliuto, «hermitano de la ciudad de Notto. Relaxado en persona al brazo
seglar», Ibidem, (autodafé, Palermo, 8 giugno, 1561).
23
Sono dottori di teologia: Sebastiano de Blasco «maestre en theologia de lo orden del
Carmen, abjurò de vehementi por opiniones lutheranas, privado de predicar y subspeso de la
missa y reclusso en un monastero por medio año», Garufi 1913, p. 295 (autodafé, Palermo,
18 giugno 1553); Leonardo Vasapolo «fray maestro [...] carmelitano. Penitenciado y recluso
en un monastero por dos años, por que salio del Reyno sin licencia contra la sentencia y orden
que se le dio quando fu reconciliado y quitado el habito», ivi, p. 310 (autodafé, Palermo, 26
giugno 1569); Matteo di Scicli «fray maestro [...] del orden del Carmen; reconciliado y tre
años de habito», ivi, p. 318 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); oltre i già citati Eremio de
Tripedibus, vd. supra, p. 74 e nt. 10; Ambrogio di Palermo, vd. supra, nt. 19; Antonio Bevi-
lacqua, Cornelio Chanchardo, Giovanni Battista Vinci; vd. supra, nt. 20.
24
«Don Aliocta Puglu deán de Messina Arcidia[cono] de Cathania y Siracusa, lutherano
degradado verbaliter», Garufi 1913, p. 292 (autodafé, Palermo, 5 luglio 1551); riguardo alla
sua persona, vd. Mellusi, Canonici e clero della cattedrale di Messina, cit., p. 102.
25
Vd. supra, nt. 19.
26
«Don Nicolao de Aly, sacerdote del orden de S.to Benito, prior de un monasterio de
Gange reconciliado habito y carcel en un monasterio en vida. [...] En la tortura confessò aver
tenido y creydo que el Papa no tenìa potestad de conceder bullas ni jubileos, y que la confe-
sion no se devia hazer al sacerdote, y que los sanctos no podia interceder por nosostros, y que
somos salvos y e justificados por lo sangre de Jhesu Crhisto, y que no ay purgatorio, y otras
opiniones luteranas», Garufi 1913, pp. 316-317 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569).
27
V. Sciuti Russi, Ebrei, Inquisizione, Parlamenti nella Sicilia del primo Cinquecento, in
L’inquisizione e gli ebrei in Italia, a cura di M. Luzzati, Roma-Bari 1994, pp. 161-178; M.S.
Messana, La «resistenza» musulmana e i «martiri» dell’Islam: moriscos, schiavi e rinnegati
di fronte all’Inquisizione spagnola di Sicilia, in «Quaderni Storici», XLII/126 (2007), pp.
743-772.
78 ALESSANDRO ABBATE

Bartolomeo Spadafora-Moncada28, sua zia donna Mattia, baronessa di Fer-


la29, e il nobiluomo palermitano Francesco Bologna30. Inoltre furono colpiti
dalla macchina inquisitoriale prominenti esponenti della struttura giudizia-
ria come l’ex giudice della Gran Corte Giovanni Guglielmo Bonscontro31
o ricchi possidenti come Francesco Antonio Napoli32. Globalmente sui 96
laici condannati dall’Inquisizione siciliana nel corso del XVI secolo di cui
è stato possibile accertare la condizione sociale o professionale33, in 11 casi
(11,46%) si trattava di soggetti appartenenti all’aristocrazia o comunque al
ceto dei ricchi possidenti terrieri34. Una percentuale piuttosto sostanziosa se

28
C. Salvo, Dalla spada alla fede. Storia di una famiglia feudale: gli Spatafora (secoli
XIII-XVI), Acireale-Roma 2009, pp. 152-168; S. Caponetto, Un seguace di Juan Valdès. L’o-
ratore siciliano Bartolomeo Spatafora, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi», LIX/74
(1940), pp. 1-23.
29
ʻRiconciliataʼ, Garufi 1913, p. 302 (autodafé, Palermo, 18 febbraio 1560); Salvo, Dalla
spada alla Fede, cit., p. 167.
30
«Cavallero de Palermo, acusado de proposiciones lutheranas, abjuorò vehementi de-
truso en un monasterio por seis meses precisos, y mas tiempo a arbitrio de los inquisidores»,
Garufi 1913, p. 307 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); F.M.E. Gaetani di Villabianca,
Della Sicilia Nobile, Palermo 1758, parte II, libro II, Del Baronaggio del regno, pp. 193-198.
31
«El doctor Juan Guillermo Bonscontro de Palermo, quel el año antes que fuesse preso
fue juez de la Gran Corte; habito por diez años por aver creydo alguna proposiciones de la
setta de Lutero, mayormente contra la intercession de los sanctos, ymagines, ayuno, y officios
divinos, y que no se avia de dezi otra oracion si no el ʻpater nostrerʼ», Garufi 1913, p. 308
(autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia,
cit., pp. 112-129.
32
«Relaxado en persona», Garufi 1913, p. 302 (autodafé, Palermo, 18 febbraio 1560);
J.A. Llorente, Historia critica de la inquisición en España, vol. II, Madrid 1981, pp. 112-113.
33
Vd. Tab. II.
34
Al di là dei già ricordati Bartolomeo e Mattia Spadafora-Moncada, e del facoltoso pro-
prietario Francesco Antonio Napoli, gli altri esponenti ʻprotestantiʼ dell’upper class siciliana
sono: Garao Bon «hjio del quondam Luys Bon cavallero, lutherano, reconciliado y penitencia-
do con habito», Garufi 1913, p. 285 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547); Gutiere Laguna
«gentilhombre, lutherano, reconciliado y penitenciado con habito», Ibidem (autodafé, Palermo,
22 dicembre 1547); Agacio de Giunta «gentilhombre lutherano, reconcilado al gremio del la
Sancta Madre Yglesia», ivi, p. 294 (autodafé, Palermo, 18 giugno 1553); don Francesco Bolonia
«cavallero de Palermo, acusado de proposiciones lutheranas, abjurò de vehementi detruso en un
monasterio por seis meses precisos, y mas tiempo a arbitrio de los Inquisidores», ivi, p. 307 (au-
todafé, Palermo, 30 marzo 1568); Filippo Campolo «vezino de Meçina cavallero, este tuvó un
testigo de aver tractado con el en la setta luterana [...] abiura de levi y dozientas onças», ivi, pp.
313-314 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Nicola Antonio Crisafi «gentilhombre Meçines:
reconciliado y habito quatro años por aver tenido de mucho tiempo opiniones luteranas», ivi,
p. 320 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Barone Oddo di Palermo. AHNM, lib. 898, f. 48r
(Sala del Segreto, 1573); Melchiorre Grasso «gentiluomo di Messina, luterano, fuggito, fu per
sentenza a 6 luglio 1573 rilassato in statua, letta a 15 agosto 1573», La Mantia, p. 197. Sull’ade-
sione alle convinzioni protestanti di alcuni membri delle famiglie più eminenti famiglie isolane,
vd. Moscheo, Fermenti religiosi e vita scientifica a Messina nel XVI secolo, cit., pp. 319-320.
Per il caso specifico della circolazione di idee della Riforma nella Confraternita aristocratica
degli Azzurri di Messina, vd. C. Salvo, Tra Valdesiani e Gesuiti: gli Spatafora di Messina, in
«Rivista Storica Italiana», CIX (1997), pp. 541-601.
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 79

rapportata alla reale consistenza quantitativa dell’upper class siciliana nella


società isolana.
Un’altra delle classi sociali più sensibili alla Riforma risulta essere la
borghesia intellettuale: giudici, avvocati, notai, medici, insegnanti e artisti; i
quali si dimostrano aperti all’istanze religiose provenienti d’Oltralpe, capaci
di esprimere opinioni in contrasto, e criticare motivatamente il governo della
Chiesa romana35. Tanto è vero che sono ben 25 (26,04%) i soggetti appar-
tenenti a questo ambito sociale. In particolare, con sei rei, si riscontra una
partecipazione significativa alla Riforma dei maestri di scuola36; rilevante
inoltre anche il ruolo dei dottori in legge e in medicina, due categorie che
presentano rispettivamente cinque condannati a testa37.
Un ulteriore settore in cui l’influenza protestante fu molto penetrante è

35
M.S. Messana, Il Santo ufficio dell’Inquisizione. Sicilia 1500-1782, Palermo 2012, p.
96.
36
Baldassare Cazzola «natural de Lombardia, [...] mastro de escola, lutherano, huyo de
las carceles», Garufi 1913, p. 282, (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Giovanni Battista
Pellizeri «maestro di gramatica, heresiarca, lutherano, al qual trayendo preso, sus hermanos
quitaron en el camino a los officiales y el se absentò e huyo», ivi, p. 285 (autodafé, Palermo,
22 dicembre 1547), successivamente «maestro de scuela heresiarca lutherano. Relaxado en
persona», ivi p. 294 (autodafé, Palermo, 18 giugno 1553); Girolamo Litrano «maestro di scola
di grammatica, luterano fu, perché assente, fuggitivo, per sentenza lata a 16 settembre 1556
rilassato in statua», La Mantia, p. 186; Jacopo Riis «maestro de scuela en Palermo tudesco
natural de Trento; reconciliado y habito por tre añosy carcel en un hospital de Palermo»,
Garufi 1913, p. 318 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Francesco Villafranca «maestro di
scola luterano, fu per sentenza a 13 giugno 1582 rilassato in statua per assente», La Mantia,
p. 183; Pietro Alburgheto di Bergamo «maestro di scuola, abiura de vehementi», AHNM, lib.
898, f. 578v, 611r (Sala del Segreto, 1591).
37
Oltre il già richiamato Giovanni Guglielmo Bonscontro, giudice di Gran Corte (vd.
supra, p. 78 e nt. 31), gli altri dottori in legge presenti nella lista degli ‘atti di fede’ sono:
Filippo de Micheli «alias Cathania, [...] doctor in utroque jure, abjurò de vehementi por cier-
tas propositiones lutheranas», Garufi 1913, p. 283 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547);
Giovanni Antonio Cannizzo «alias Vizini [...] doctor in utroque jure, abjurò de levi por ciertas
propositiones lutheranas», ibidem (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Gian Domenico
Brigandi, «doctor in utroque iure advogado, lutherano, reconciliado y penitenciado con habi-
tos», ivi, p. 285 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547), successivamente «V.I.D., lutherano
y huyo. Relaxado en statua por absencia», ivi, p. 288 (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549);
Marino de Olivolas «abogado fiscal», ivi, p. 300, «doctor en leges, de nacion francessa. Salio
al aucto para relaxarse y, habiendo en el demandado misericordia con muchas instancias, fue
buelto a las carceles y admittido a renconciliacion», ivi, p. 303 (autodafé, Palermo, 8 giugno
1561). Altresì i dottori in arti mediche sono: Giovan Battista Dagni «doctor in medicina,
naturale de Calabria, lutherano. Reconciliado al gremio de la yglesia», ivi, p. 293 (autodafé,
Palermo, 5 luglio 1551); Fabrizio Napoletano «doctor en medicina. Reconciliado al gremio
de la yglesia», ibidem (autodafé, Palermo, 5 luglio 1551); Giovanni Dulisi «Ingles cirurgico,
lutherano. Reconciliado al gremio de la yglesia», ibidem (autodafé, Palermo, 5 luglio 1551);
Pietro Paolo Salamone «doctor en medicina, de la ciudad de Capici. Reconciliado», ivi, p.
303 (autodafé, Palermo, 8 luglio 1561); Leone Laganà «cirurgo, luterano, abitante di Messina,
morto, fu per sentenza lata a 11 agosto 1573 rilassato in statua, letta a 15 agosto 1573 nella
piazza delli Bologni», La Mantia, p. 196.
80 ALESSANDRO ABBATE

quello commerciale, sono difatti 21 (21,88%) gli ʻereticiʼ operanti nel tra-
sporto e compravendita di beni (marinai, mercanti, bottegai, ecc...)38, tra cui
spicca un particolare gruppo di commercianti-artigiani: gli «argentieri», che,
per quanto non fossero una categoria professionale particolarmente nutrita,
presenta addirittura sei colpevoli d’ʻopinioni luteraneʼ39. Ma l’ʻeresie prote-
stantiʼ si estesero ampiamente anche tra gli strati sociali più bassi, il 36,45%
dei laici condannati (35 su 96) esercitava un mestiere manuale (barbiere, cal-
zolaio, cuoco, carbonaio, muratore, panettiere sarto, etc.); in specie risalta il
numero degli operai non specializzati: nove40. Fa invece riflettere l’assoluta
assenza di lavoratori del mondo agricolo41. Contrariamente non fu immune
dal ʻcontagio luteranoʼ il mondo militare. Sono quattro i soldati peniten-
ziati dal Santo Officio siciliano. E a macchiarsi di ʻeresie protestantiʼ furo-
no anche elementi vicini alla corte palermitana, come le guardie personali

38
Sulla diffusione del pensiero luterano e calvinista negli ambienti dell’artigianato e del
commercio messinese, vd. B. Bilotta, La Riforma protestante a Messina: un’ipotesi di storia
sociale, in Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe III. Scienze Giuridiche,
Economiche e Politiche, XLVII (1978), pp. 5-60.
39
Antonio de Antona «platero Venetiano, vezino de Siragusa. Reconciliado», Garufi
1913, p. 303, (autodafé, Palermo, 8 giugno 1561); Pietro Angelo Musco «platero vezino
de Risoles habitante en Meçina. Relaxado en persona», ivi, p. 321 (autodafé, Palermo,
26 giugno 1569); Francesco Cacione «argentiero di Siragusa, dopo aver abiurato per sen-
tenza a 18 febbraio 1560, ricadde negli stessi errori luterani, ed essendo fuggito, fu per
sentenza a 13 luglio 1573 rilassato in statua. Fu letta la sentenza in Palermo a 15 agosto
1573 nella piazza delli Bologni e fu brugiata la detta statua allo Ciardone», La Mantia, p.
183; Agostino Grosseto «veneciano platero vezino de Meçina; reconciliado y habito por
tre años», Garufi 1913, p. 319 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Antonio Cavalcante,
anni 66, argentiere, alias Renduni di Cosenza, abitante a Palermo, riconciliato e condan-
nato a tre anni di galera nel 1568, rilassato in persona, AHNM, lib. 898, ff. 257r-258r
(autodafé, Palermo, 10 agosto 1582); Gian Visson, argentiere francese, sposato a Paler-
mo, riconciliato con abito, confisca dei beni e galera per 7 anni, ivi, f. 422r (autodafé,
Palermo, 18 marzo 1587).
40
Calogero Sciortino «labrador de la ciudad de Xaca. Reconciliados por Lutheranos con
confiscacion de bienes», Garufi 1913, p. 302 (autodafé, Palermo, 8 giugno 1561); Francesco
de Vindignie «labrador del lugar de Spacaforno. Reconciliados», ibidem (autodafé, Palermo,
8 giugno 1561); Francesco de Campo «labrador. Reconciliado por opiniones luteranas», ivi,
p. 304 (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Giacomo Romeo «labrador. Reconciliado por
opiniones luteranas», ivi, p. 305 (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Matteo Chato «labrador.
Reconciliado por opiniones luteranas», ibidem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Matteo
Santoro «labrador. Reconciliado por opiniones luteranas», ibidem (autodafé, Palermo, 13
aprile 1563); Matteo Tama «labrador. Reconciliado por opiniones luteranas», Ibidem (auto-
dafé, Palermo, 13 aprile 1563); Pietro de Xito «labrador. Reconciliado por opioniones lutera-
nas», ibidem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Pietro de Anastasi «labrador. Reconciliado
por opiniones luteranas», Ibidem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563).
41
Questo è un dato per certi versi sorprendente, in quanto nonostante l’ʻhabitatʼ del pro-
testantesimo siciliano fosse prevalentemente quello urbano-demaniale (vd. infra p. 90), le
ʻopinioni luteraneʼ giunsero anche in piccoli e medi centri rurali (vd. Tab. V), ove la maggior
parte della popolazione era impegnate in attività contadine.
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 81

del viceré: Hanzain e Tommaso Quifort, entrambe riconciliate in occasione


dell’atto di fede del 26 giugno 156942.
Va inoltre sottolineato come in generale la Riforma siciliana si ponga
come un movimento quasi esclusivamente maschile; su 253 rei, i condannati
di sesso maschile sono 241 (95,26%); mentre le donne sentenziate dall’In-
quisizione in tutto il Cinquecento sono appena 12 (4,74%). Tra l’altro, a
esclusione di Margarita Russo, morta in carcere durante il processo e quindi
inevitabilmente ʻrilassata in statuaʼ in quanto non abiurante43, nessuna donna
venne consegnata al braccio secolare, venendo tutte riconciliate al ʻgrembo
della Santa Madre Chiesaʼ, dato che mette in luce come nessun soggetto di
sesso femminile fu ritenuto colpevole di reati ereticali di grande rilievo. Per
di più, tre delle dodici condannate risultano sentenziate in associazione con
i loro mariti o altri parenti maschi, o comunque la loro condanna segue cro-
nologicamente quella del coniuge44; mentre per altre tre, nella sentenza viene
rimarcato l’essere seguaci di una figura maschile45, quasi a ribadirne il ruolo
subordinato.

42
«Hanzain, tudesco de la guardia del Vi Rey; reconciliado y tres años en galera complices
de lo suso dichos tudescos», Garufi 1913, p. 319 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569), in La
Mantia, p. 194 è noto come Cristoforo Prouhanzano; Tommaso Quifort, «aleman de la guar-
dia del Virrey, reconciliado y desterrado del Reyno por aver comido carne con otros muchos
tudescos en quaresma, diziendo que non era pecado, y creyendolo ansì, y en su presencia se
tractava de otras opiniones luteranas. Reconciliado», Garufi 1913, p. 318 (autodafé, Palermo,
26 giugno 1569). Gli altri due militari presenti nelle liste degli ‘atti di fede’ sono: il francese
«Antoni Moret, soldato. Reconciliado por opiniones luterans», ivi, p. 305 (autodafé, Palermo,
13 aprile 1563); e Ambrogio de Robles «natural de Ubeda, sargento mayor de Catania. Peni-
tenciado y abiurò de vehementi», ivi, p. 310 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569).
43
«Margarita Russo, moglie di Antonino Russo alias lo medico, morta luterana, fu per sen-
tenza a 15 ottobre 1574 rilassata in statua, letta nella porta principale della Chiesa Maggiore di
Palermo a 21 novembre 1574, e fu brugiata allo Ciardone», La Mantia, p. 187.
44
Giovannella Capridi «mujer de Marco Antonio Capridi, reconçiliada por luterana»
insieme al marito nel medesimo atto di fede, Garufi 1913, p. 307 (autodafé, Palermo, 30
marzo 1568). Caso analogo come per Dominichella Faraone, «reconciliada y habito por seys
años» nello stesso autodafé in cui venne «reconciliado en statua» il coniuge Tommaso Fara-
one, «murio en las carceres cofitente, de bullas jubileos potestad del Papa purgatorio, yma-
gines, intercesion de sanctos y que somos justificados por la sangre de Jhesu Crhisto», ivi, p.
317 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569). Per Dominichella viene inoltre ribadita la parentela
con un altro ʻeretico protestanteʼ: il frate Francesco Pagliarino, di cui è sorella; religioso
«relaxado en persona» nel 1551, ivi, p. 292 (autodafé, Palermo, 5 luglio 1551). Un altro caso
similare è anche quello di Catarinella Rizzo, «muger de Joan Antonio Rizo boticario Meçines
[...]. Esta avia muchos años que su suegro y marido la avian enseñado la setta luterana», ivi,
p. 317, ella fu riconciliata insieme al suocero Geronimo Rizzo, ivi, p. 318 (autodafé, Palermo,
26 giugno 1569), e suo il consorte era stato già riconciliato undici anni prima, ivi, p. 308 (au-
todafé, Palermo, 30 marzo 1558).
45
È il caso di «Francesca de Mayo», «Soro Minica de Leone, alias la Grassa» e «Soro
Florella Muzami» seguaci del prete Giovanello Scolaro, sacerdote penitenziato nel 1560. La
Mantia (autodafé, Palermo, 15 agosto 1573), Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in
Sicilia, cit., p. 139.
82 ALESSANDRO ABBATE

Passando ora a indagare in merito alle dottrine e le idee professate dagli


inquisiti, dobbiamo prendere atto che i memoriali degli ʽatti di fedeʼ, almeno
fino al 1568, sono estremamente schematici, al punto che il più delle volte
non abbiamo altre indicazioni se non la generica definizione del reo come
«lutherano» o «por aver creydo algunas proposiciones de la setta de Lutero»;
solo in 54 casi tale documentazione ci fornisce informazioni per ricostruire
la posizione teologica-dottrinale del reo.
L’ʻeresiaʼ più ricorrente è quella che si scaglia contro l’adorazione dei
Santi, contestando la loro capacità intercessorie e i loro miracoli, essa trova
menzione nelle note dei procedimenti a carico di 27 sentenziati46. Al secondo
posto vi è il rifiuto della confessione auricolare e il disconoscimento del suo
valore sacramentale, idea sostenuta da 25 ʻluteraniʼ47. Seguono la negazione
del purgatorio48, e il mancato riconoscimento dell’autorità papale e delle sue

46
Baldassare Cazzola, La Mantia, p. 187, vd. supra, anche nt. 36; Mastro Nicola, Garufi
1913, p. 313 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Gian Nodot «de Lylla, frances mercero,
reconciliado y siete años en galera», ivi, p. 316 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Biagio
Corso, AHNM, lib. 898, f. 31r (autodafé, Palermo, 1 giugno 1572); Giuseppe Stagno, ivi, f.
33v (autodafé, Palermo,1 giugno 1572); Francesco Fontanella, ivi, f. 482v (autodafé, Palermo,
24 agosto 1588); Cornelio Chanchardo, La Mantia, p. 178, vd. supra, anche nt. 20; Giovanni
Guglielmo Bonscontro, vd. supra, p. 78 e nt. 31; Francesco Laguna, Garufi 1913, p. 315 (au-
todafé, Palermo, 26 giugno 1569); Gian Domenico Chinigo, ivi, p. 320 (Palermo, 26 giugno
1569); Gian di Gand, ivi, p. 312 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Mariano Gianrusso, ivi,
p. 318 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Paolo Redolfo, ivi, p. 312 (autodafé, Palermo, 26
giugno 1569); Giacomo Bruno, La Mantia, p. 194; Pietro Carmantana, Garufi 1913, p. 313
(autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Giovanni Simone Franchano, AHNM, lib. 898, f. 409r
(autodafé, Palermo, 1 maggio 1586); Nicola di Alì, vd. supra, p. 77 e nt. 25; Nicola Antonio
Crisafi, vd. supra, nt. 34; Francesco Villafranca, Jacopo Riis, Pietro Alburgheto, vd. supra, nt.
36; Antonio Cavalcante, Gian Visson, Pietro Angelo Musco, vd. supra, nt. 39; Ambrogio de
Robles, vd. supra, nt. 42; Catarinella Rizzo, Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44.
47
Matteo di Portofino, AHNM, lib. 898, f. 32v (autodafé, Palermo, 1 giugno 1572);
Michele Tunda, ivi, f. 408v (autodafé, 1 giugno 1572); Vincenzo Giovanni Sabella, ivi, ff.
59r-59v (autodafé, Palermo, 11 luglio 1575); Leonardo de Mazeo, La Mantia, p. 198; Leo-
nardo Mahuni, AHNM, lib. 898, f. 382 (autodafé, Palermo, 15 agosto 1582); Pietro Satalia
AHNM, lib. 902, ff. 379-380, Relación de los meritos del proceso de Juan Satalú, vezino de
la ciudad de Saragoza de Sicilia reconciliado, sacada en vertu de letra del Ilustrísimo Señor
Cardinal de Toledo Inquisidor General dada en Toledo a 6 de febrero del año 1548; Marghe-
rita de Gregorio, AHNM, lib. 898, ff. 577r-578v (autodafé, Palermo, 25 luglio 1593); Antonio
Nicolino, La Mantia, p. 172; Geremia Falconcini, ivi, p. 183 e vd. anche Garufi, Fatti e
personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, cit., p. 139; Nicola di Alì, vd. supra, p. 77 e nt. 26;
Nicola Antonio Crisafi, vd. supra, nt. 34; Francesco Villafranca, vd. supra, nt. 36; Agostino
Grosseto, Gian Visson, Pietro Angelo Musco, vd. supra, nt. 39; Catarinella Rizzo, Francesco
Pagliarino, vd. supra, nt. 44; Gian di Gand, Gian Nodot, Giovanni Simone Franchano, Gia-
como Bruno, Giuseppe Stagno, Francesco Fontanella, Francesco Laguna, Pietro Carmantana,
vd. supra, nt. 46.
48
Francesco Zacco, Garufi 1913, p. 279 (autodafé, Palermo, 12 marzo 1540); Jacopo
Ques, ivi, p. 317, (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569), vd. infra p. 12; Giovanni de Monte-
alto, ibidem, (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Giovanni Battista di Recalbuto, AHNM,
lib. 898, ff. 120r-120v (Sala del Segreto 1577); Nicola di Alì, vd. supra, p. 77 e nt. 26; Ni-
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 83

potestà49, pensieri riportati 23 volte; il principio dell’inutilità delle opere me-


ritorie e della penitenza, in quanto la salvezza è merito del «sangue di Cristo»
e può essere raggiunta solo mediante la fede (21)50; la condanna dell’adora-
zione delle immagini (14)51; il diniego delle limitazioni alimentari (11)52; la
convinzione dell’assenza del corpo di Cristo nell’ostia consacrata (9)53, la
contestazione del valore delle indulgenze (9)54, la protesta contro il celibato

cola Antonio Crisafi, vd. supra, nt. 33; Francesco Villafranca, Jacopo Riis, vd. supra, nt 35;
Baldassare Cazzola, vd. supra, nt. 35 e 46; Agostino Grosseto, vd. supra, nt. 39; Catarinella
Rizzo, Geronimo Rizzo, Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Francesco Laguna, Giacomo
Bruno, Gian di Gand, Gian Domenico Chinigo, Giovanni Simone Franchano, Giuseppe Sta-
gno, Mariano Gianrusso, Pietro Carmantana, vd. supra, nt. 46; Leonardo de Mazeo, Matteo
di Portofino, vd. supra, nt. 47.
49
Francesco de Amato, AHNM, lib. 898, f. 31v (autodafé, Palermo, 1 giugno 1572); Fran-
cesco Giovanni Porcaro, La Mantia, p. 180 (1576); frate Luigi di Messina, AHNM, lib. 898,
f. 100r (1579); Claudio Paris, ivi, ff. 27v-28v (autodafé, Palermo, 22 novembre 1598); Corne-
lio Chanchardo, vd. supra, nt. 20 e 46; Nicola di Alì, vd. supra, p. 77 e nt. 26; Nicola Antonio
Crisafi, vd. supra, nt. 34; Francesco Villafranca, vd. supra, nt. 36; Gian Visson, vd. supra, nt.
39; Geronimo Rizzo, Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Francesco Fontanella; Giacomo
Bruno, Gian Domenico Chinigo, Gian di Gand, Gian Nodot, Giovanni Simone Franchano,
Pietro Carmantana, vd. supra, nt. 46; Leonardo de Mazeo, Michele Tunda, Pietro Satalia, vd.
supra, nt. 47; Giovanni de Montealto, Jacopo Ques, vd. supra, nt. 48, infra p. 90.
50
Matteo Costantino, AHNM, lib. 898, f. 408v (autodafé, Palermo, 1 maggio 1586); Cor-
nelio Chanchardo, vd. supra, nt. 20 e 46; Nicola di Alì, vd. supra, p. 77 e nt. 26; Matteo di Sci-
cli, vd. supra, nt. 23; Filippo Campolo, Nicola Antonio Crisafi, vd. supra, nt. 34; Baldassare
Cazzola, vd. supra, nt. 36 e 46; Ambrogio de Robles, vd. supra, nt. 42; Francesco Pagliarino,
Geronimo Rizzo, Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Francesco Laguna, Gian Domenico
Chinigo, Giovanni Simone Franchano, Giuseppe Stagno, Paolo Redolfo, vd. supra, nt. 46;
Michele Tunda, Pietro Satalia, vd. supra, nt. 47; Giovanni de Montealto, Jacopo Ques, vd.
supra, nt. 48, infra p. 90; Francesco de Amato, vd. supra, nt. 49.
51
Antonio Caruso, vd. supra, nt. 20; Guglielmo Bonscontro, vd. supra, p. 78 e nt. 31;
Cornelio Chanchardo, vd. supra, nt. 20 e 46; Francesco Villafranca vd. supra, nt. 36; Pietro
Angelo Musco, vd. supra, nt. 39; Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Francesco Fontanella,
Giacomo Bruno, Gian Domenico Chinigo, Gian Nodot, Giuseppe Stagno, Mariano Gianrus-
so, vd. supra, nt. 46; Giovanni de Montealto, Jacopo Ques, vd. supra, nt. 48, infra p. 90.
52
Battista Gurrisi, Garufi 1913, p. 310 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Cristoforo
Pion, ivi, p. 319 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569), vd. infra, p. 90; Guglielmo Bonscontro,
vd. supra, p. 78 e nt. 31; Jacopo Riis, vd. supra, nt. 36; Baldassare Cazzola, vd. supra, nt. 36
e 46; Gian Visson, vd. supra, nt. 39; Thomas Quifort, vd. supra, p. 81 e nt. 42; Ambrogio de
Robles, vd. supra, nt. 42; Geronimo Rizzo, vd. supra, nt. 44; Antonio Nicolino, vd. supra, nt.
47; Gian Nodot, vd. supra, nt. 46.
53
Giulio Azzarello, AHNM, lib. 898, f. 282 (autodafé, Palermo, 15 agosto 1573); France-
sco Villafranca, vd. supra, nt. 36; Baldassare Cazzola, vd. supra, nt. 36 e 46; Pietro Angelo
Musco, vd. supra, nt. 39; Catarinella Rizzo, vd. supra, nt. 44; Giacomo Bruno, vd. supra, nt.
46; Leonardo de Mazeo, Michele Tunda, vd. supra, nt. 47; Francesco Giovanni Porcaro, vd.
supra, nt. 49.
54
Patrizio Mangiavacca, AHNM, lib. 898, f. 265v. (Sala del Segreto 1583); Francesco
Villafranca, vd. supra, nt. 36; Agostino Grosseto, Gian Visson, vd. supra, nt. 39; Francesco
Fontanella, Giacomo Bruno, Giovanni Simone Franchano, vd. supra, nt. 46; Pietro Satalia,
vd. supra, nt. 47; Francesco Giovanni Porcaro, vd. supra, nt. 49.
84 ALESSANDRO ABBATE

del clero (8)55, etc.56 Proposizioni ereticali che dimostrerebbero come gli ade-
renti alla Riforma isolana, spesso sommariamente inquadrati come ʻseguaci
della setta luteranaʼ, effettivamente si richiamassero in prevalenza al pensie-
ro teologico di Martin Lutero.
Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è la provenienza degli
individui condannati per ʻopinioni luteraneʼ. È convinzione consueta che il
protestantesimo siciliano sia stato un fenomeno in prevalenza non indigeno
ma forestiero, se è vero che costanti e influenti furono i contatti con il mo-
vimento della Riforma continentale, le cifre, soprattutto quelle cinquecente-
sche, evidenziano come il protestantesimo isolano avesse una sua marcata
preponderanza autoctona57. Prova ne è che dei 247 ʻluteraniʼ sentenziati per
cui è stato possibile risalire all’origine territoriale, i non siciliani sono 81
(32,79%)58, quindi nel complesso meno di un terzo.
Analizzando la composizione di questo gruppo esogeno, emerge come
42 ʻprotestantiʼ provengano dall’Italia continentale (51,85% dei ʻluteraniʼ
non siciliani), e nello specifico della penisola italiana si segnalano due prin-
cipali aree di provenienza: una settentrionale, consistente in 18 ʻereticiʼ, con
condannati originari soprattutto dalla Liguria (6)59 e dal Veneto (5)60; e una
calabrese. Quest’ultima area, che presenta 17 condannati61, fu per lungo tem-

55
Paolo Scorpaniti (autodafé, Palermo, 15 agosto 1573), Garufi, Fatti e personaggi
dell’Inquisizione in Sicilia, cit., p. 139; Alessandro Castellana, Serafino di Sciacca, vd. supra,
nt. 20; Francesco Villafranca, vd. supra, nt. 36; Antonio Cavalcante, Pietro Angelo Musco, vd.
supra, nt. 39; Giacomo Bruno, Giuseppe Stagno, vd. supra, nt. 46.
56
Vd. Tab. III.
57
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 103. Questo già dalle sue
primissime fasi, la prima condanna di un siciliano in odore di luteranesimo fu quella di Fran-
cesco Zacco, avvenuta nel 1540: «de Ragusia heretico non creya ser infierno ni paradiso», vd.
supra, nt. 48.
58
Vd. Tab. IV.
59
Francesco Campiano «torcedor de seda natural de Genova, lutherano. Reconciliado
y penitenciado con habito», Garufi 1913, p. 285 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547);
Giorgio Costa «mercader. Relaxado en persona por lutherano», ivi, pp. 287-288 (autodafé,
Palermo 19 maggio 1549), la cui condanna al rogo generò numerosi dissapori diplomatici, vd.
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., pp. 81-82; Jacopo Ballestreri «abjuro
de levi por sospecha de la setta lutherana», Garufi 1913, p. 299 (autodafé, Palermo, 18 otto-
bre 1556); Andrea Trui «mastro, ginoves, albañir. Reconciliado por opiniones luteranas», ivi,
p. 305 (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); e i già citati Mastro Nicola, vd. supra, nt. 46 e
Matteo di Portofino vd. supra, nt. 47.
60
Paolo di Padova «fray, lutherano. Reconcilado», Garufi 1913, p. 299 (autodafé, Paler-
mo, 18 ottobre 1556); Francesco Vicino «mercader Paduano, Relaxado en persona al brazo
seglar», ivi, p. 303 (autodafé, Palermo, 8 giugno 1561); oltre i già menzionato Pietro Gratala-
ro, vd. supra, nt. 19; Antonio de Antona e Agostino Grosseto, vd. supra, nt. 39.
61
I ʻluteraniʼ di provenienza calabrese sono: Antonio Gesualdo, «Reconciliado», Garu-
fi 1913, p. 299 (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Giovanni Francesco Catanzaro «Re-
concilado», ibidem (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Demetrio Madafari «Pentadattilo
in Calabria. Luterano, fu relassato in persona al braccio secolare nell’Atto celebrato a 15
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 85

po considerata dagli inquisitori il ʻfocolare ereticoʼ da cui costantemente si


alimentava la Riforma siciliana62, giudizio che sottende all’attivismo che in
quegli anni contraddistinse la comunità valdese di Calabria63, ma che in ve-
rità non appare giustificato, quantomeno non dal punto di vista numerico.
Infatti l’apporto calabrese, tra le diverse componenti non autoctone, non ri-
sulta essere primario; ruolo ricoperto invece dai protestanti francesi, con 21
sentenziati64. Nel computo generale furono 39 i soggetti provenienti dall’e-

agosto 1563 in Palermo nella piazza delli Bologni, e a 17 agosto fu esecuta la sentenza in sua
persona d’aversi strozzato e bruciato nello Ciardone», La Mantia, p. 180; Francesco Mazullo
«reconçiliado por luterano, y açotes pro blasfemo», Garufi 1913, p. 308 (autodafé, Palermo,
30 marzo 1568); Iacobo Cortes «nativo de Tropea, sacerdote di messa, cappellano della chiesa
di S. Giovanni alla porta di Carini di Palermo, avendo abiurato la setta luterana in Napoli a 6
gennaro 1558 e rinconciliato alla S. Sede, poi venne in Palermo e fatto cappellano della detta
chiesa, ricaduto negli stessi errori, fu per sentenza letta a primo giugno 1572 rilassato in persona
nella Piazza Bologna, giorno della Trinità, e dopo l’essere affogato, fu il suo corpo brugiato
allo Ciardone», La Mantia, p. 180; Domenico Calafà, chierico calabrese, penitenziato, AHNM,
lib. 898, f. 41v (Sala del Segreto 1573); Paolo Gentile, prete calabrese già riconciliato «della
setta luterana», abiurò de levi, (autodafé, Palermo, 15 agosto 1573), Garufi, Fatti e personaggi
dell’Inquisizione in Sicilia, cit., p. 139; Antonio Micicheni «sacerdote di messa della terra di
S. Lorenzo in Calabria, essendo stato preso dal nostro Tribunale, e prese le informazioni come
luterano, fu rimesso a Reggio dove fu dal S.r Peri Antonio Pansa seu per l’Ordinario rilassato
in persona», La Mantia, pp. 170-171; Crescente Sciglioni «luterano, fu rimesso dal S. Officio
al Vicario Generale di Reggio dove per detto Vicario Generale e per il detto Antonio Pansa fu
bruggiato», ivi, p. 179; in aggiunta ai già citati: Agacio de Giunta, vd. supra, nt. 34; Giovan
Battista Dagni, vd. supra, nt. 37; Antonio Cavalcante, Pietro Angelo Musco, vd. supra, nt. 39,
Antonio Nicolino di La Guardia, Michele Tunda di La Guardia, Vincenzo Giovanni Sabella di
San Filippo di Argirò, vd. supra, nt. 47; Paolo Scorpaniti, vd. supra, nt. 55.
62
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 103.
63
R. Ciaccio, «L’inferno è dirupato». I valdesi di Calabria fra resistenza e repressione,
in Aiônos. Miscellanea di studi storici (2013-2014), Roma 2015, pp. 211-216; V. Tedesco,
Storia dei valdesi in Calabria. Tra Basso medioevo e Prima età moderna, Soveria Mannelli
2015, pp. 43-56.
64
Giacomo Spini «entallator françes, reconciliado a la S.ta Madre Yglesia por luterano»,
Garufi 1913, p. 289 (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Giandomenico Bossi «françes
coçinero, penitenziado y abjurante de levi por aver dicho algunas palabras luteranas», ibi-
dem (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Pietro Robert «francese, della Goletta di Tunisi,
ugonotto ostinato, fu nella Chiesa della Magione a 13 gennaro 1566 rilassato in persona»,
La Mantia, p. 200; Alessandro Bindon, «frances boticario en Meçina, difidado por luterano.
Relaxado en statua», Garufi 1913, p. 322 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Carlo Bor-
gognon, «calcetero, Relaxado en persona», ivi, p. 321, (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569);
Giovanni de la Abbadia «frances, reconciliado y seys años en galera», ivi, p. 316 (autodafé,
Palermo, 26 giugno 1569); Giovanni Antonio Darles «frances casado en Palermo, reconcilia-
do y cinco años en galera», ivi, p. 318 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Lazzaro Gas-
seia «frances calcetero casado en Palermo, reconciliado y seys años en galera», ivi, p. 316
(autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Natale Rosano «francese de la Rochella, reconciliado
y galera en vida», ibidem (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Pietro de Arnaldo «frances
mercero; relaxado en persona», ivi, p. 320 (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569); Giorgio de
Avarzo, nativo di Tolosa e abitante a Monreale «abiura de vehementi», (autodafé, Palermo, 15
agosto 1573), Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, p. 139; e i già menzio-
nati Marino de Olivolas, vd. supra, nt. 37; Gian Visson, vd. supra, nt. 39; Antonio Moret, vd.
86 ALESSANDRO ABBATE

stero condannati dal Santo Officio siciliano. Oltre quella francese, le altre
nazionalità registrate sono quella tedesca con 8 ʻluteraniʼ65; quella spagnola
e fiamminga rispettivamente con 3 rei66; mentre Romania, Malta, Grecia e
Inghilterra annoverano un condannato ciascuno67.
Va comunque sempre rimarcata la natura prevalentemente indigena del mo-
vimento protestante isolano, confermata dalla percentuale di condannati, che
per il 67,21% sono nativi dell’Isola. In quanto al luogo di origine, se seguiamo
l’antica tripartizione in Valli, balza subito all’occhio come su 166 siciliani sen-
tenziati dall’Inquisizione: 23 provenivano dal Val di Mazara (13,86%), 54 da
quello di Noto (32,53%) e ben 89 dal Valdemone; vale a dire che più della metà
(53,61%) erano originari dell’area nord-orientale della Sicilia68. Se invece ado-
periamo la corrente suddivisione in province, la ripartizione dei rei ʻluteraniʼ
risulta essere la seguente: Messina 85, Catania 19, Enna 5, Siracusa 25, Ragusa
8, Agrigento 8, Palermo 14, Trapani 2. Appare quindi evidente come l’ʻeres-
ie protestantiʼ ebbero una sua più massiccia propagazione nell’area orientale
dell’Isola, mentre la parte centro-occidentale, a eccezione del comprensorio
palermitano, venne interessata solo marginalmente.
In assoluto la comunità più compromessa dalle ʻopinioni luteraneʼ risulta
essere Messina. La città del Faro, favorita dalla posizione geografica e dal
suo ruolo di scalo portuale di rilevanza internazionale, si configura come una

supra, nt. 42; Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Gian Nodot, Francesco Fontanella, Pietro
Carmantana, vd. supra, nt. 46; Jacopo Ques vd. supra, nt. 48, infra p. 90, Giovanni de Mon-
tealto, vd. supra, nt. 48; Claudio Paris, vd. supra, nt. 49; Matteo Costantino, vd. supra, nt. 50.
65
I sentenziati tedeschi furono: Gaspare Savermu «aleman moço natural de Norimber-
ch. Abjurante de vehementi», Garufi 1913, p. 286 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547);
Matteo Savermu «mercader aleman natural de Normberch, lutherano. Reconciliado y peni-
tenciado con habito», ivi, p. 285 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547); Enrico Telogero
«mastro [...] natural de Nurenbeergh, luterano. Reconciliado a la S.ta Madre Yglesia», ivi, p.
289 (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Giovanni Matteo de Augusta «tudesco, luterano,
fu ammesso a riconciliazione a 26 giugno 1569», La Mantia, p. 183; e i già citati Jacopo Riis,
vd. supra, nt. 36, Hanzain, Thomas Quifort, vd. supra, p. 81 e nt. 42; Cristoforo Pion, vd.
supra, nt. 52, infra p. 90.
66
I protestanti spagnoli emersi dalla lista degli autodafé sono: Mariano di Palermo «de
Çaragoça, fue penitençiado y abiurò de levi por averse juntado con ciertas personas que tracta-
van de propositiones luteranas», Garufi 1913, p. 304 (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563), e i
già ricordati Luigi de Castro vd. supra, nt. 20, e Ambrogio de Robles, vd. supra, nt. 42. Mentre
quelli fiamminghi: Jacopo de Amberes «Flandes. Reconciliado», Garufi 1913, p. 299 (auto-
dafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Giuliano di Anversa «luterano fu ammesso a riconciliazione
a 26 giugno 1569», La Mantia, p. 183; e il già ricordato Gian di Gand, vd. supra, nt. 46.
67
Giulio Maczolis «natural de Romania [...] libraro, lutherano. Reconciliado a la Sancta
Madre Yglesia», Garufi 1913, p. 283 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Natale Caspar
«doctor Maltes. Condeñado», ivi, p. 299 (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Nicolò Ar-
giropulo «greco, abitante di Messina, luterano, fuggitivo, fu per sentenza a 11 maggio 1549
rilassato in statua, letta la sentenza nella Loggia a 19 maggio 1549», Garufi 1913, p. 198;
mentre il cittadino inglese sentenziato è il già richiamato Giovanni Dulisi, vd. supra, nt. 37.
68
Vd. Tab. V.
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 87

sorta di capitale del protestantesimo siciliano, in cui con più facilità rispetto
agli altri centri dell’Isola si introducevano le idee del movimento evangelico
italiano ed europeo69. Ciò trova lampante riscontro nei dati della repressione
inquisitoriale; dei 166 ʻluteraniʼ di Sicilia 47 (28,31%) risultano essere cittadi-
ni peloritani70, in pratica in tutto il Cinquecento non vi fu autodafé in cui non

69
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 323. In merito al contesto
socio-religioso messinese nel XVI secolo: vd. S. Caponetto, Le città siciliane dinnanzi alla
Riforma. Messina, in Città Italiane del ’500 tra Riforma e Controriforma, Atti del Convegno
internazionale di Studi (Lucca, 13-15 ottobre 1983), Lucca 1998, pp. 103-110; S. Bottari,
Messina tra Umanesimo e Rinascimento. Il “caso” Antonello, la cultura, le élites politiche,
le attività produttive, Soveria Mannelli 2010, pp. 169-175. E non è un caso che proprio a
Messina già negli anni Venti e Trenta del XVI secolo si fosse costituito attorno al vicerè Ettore
Pignatelli un circolo di umanisti particolarmente sensibili ai temi della Riforma religiosa, vd.
Moscheo, Fermenti religiosi e vita scientifica a Messina nel XVI secolo, cit., pp. 311-317;
Salvo, Monache a Santa Maria dell’Alto. Donne e fede a Messina nei secoli XV e XVI, cit., p.
105; Ead., Tra Valdesiani e Gesuiti: gli Spatafora di Messina, cit., p. 554.
70
Andrea La Maystra «presbitero degradado verbaliter», Garufi 1913, p. 292 (autodafé,
Palermo, 5 luglio 1551); Bonifacio Cipriano «canonigo de Messina, degradado verbaliter»,
ibidem (autodafé, Palermo, 18 giugno 1551), vd. Mellusi, Canonici e clero della cattedrale
di Messina, cit., pp. 99, 130; Stefano Pixi «frayle de Sancto Beneditto, lutherano», Garufi
1913, p. 294 (autodafé, Palermo, 18 giugno 1553); Stefano Pesce «monaco dell’ordine di
S. Benedetto di Messina nel monastero di S. Placido», luterano messinese, penitenziato in
occasione dello «spettacolo tenuto nella Loggia di Palermo a 18 giugno 1553», La Mantia;
Vincenzo Chiaramonte, Ibidem; Jacopo de Anastasio «lutherano. reconçiliado», Garufi 1913,
p. 299 (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Antonino Bardassi «panadero. Reconciliado por
opiniones luteranas», ivi, p. 305 (autodafé, Palermo 13 aprile 1563); Giovan Battista Castro-
gianni «clerigo de missa», ivi, p. 304 (autodafé, Palermo 13 aprile 1563); Giovanello Richari
«que hazia crucifixos, reconciliado por opiniones luteranas», ivi, p. 305, (autodafé, Palermo
13 aprile 1563); Domenico Masoneto «albañir, Reconciliado por opiniones luteranas», Ibidem
(autodafé, Palermo 13 aprile 1563); Pietro Paolo Lamberti «carbonero. Reconciliado por opi-
niones luteranas», Ibidem (autodafé, Palermo 13 aprile 1563); Andrea de Ardingo «de Meçina,
accusado por sequaz de la setta lutherana, abjurò de levi», ivi, p. 307 (autodafé, Palermo, 30
marzo 1568); Catarinella de Mazio «reconçialada por luterana», Ibidem (autodafé, Palermo,
30 marzo 1568); Ferrante Musarra «scrivano de Meçina, reconçiliado por luterano y galera
por seyes años, y avia sido antes proseguido y salio libre», ivi, p. 308 (autodafé, Palermo, 30
marzo 1568); Francesco Salvaricia «mercador de seda reconçiliado por luterano, quatro años
de habito», Ibidem (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568), «vezino de Messina, fue reconciliado
en el auto pasado [...] fue votado a doblalle la penitencia del habito», ivi, p. 314 (autodafé, Pa-
lermo, Palermo, 26 giugno 1569); Giovan Antonio Rizzo «boticiario Meçines, reconçialiado
por luterano, y tres años de galera», ivi, p. 308 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Giovan
Battista Lamberti «reconçiliado de Meçina, se ne tornò a prender diminuto, admettiose con
seis años de galera por luterano», ivi, p. 307 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Giovannello
Smeraldo «Meçinies, texedor de seda, reconçiliado por luterano y habito por quatro años», ivi,
p. 308 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Giuseppe Villari «mercante de seda, reconçiliado
por luterano y seis años de galera», Ibidem (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Marco Anto-
nio Capridi «pinctor Messines, reconçiliado preso segunda vez por diminuto, muy istructo en
setta luterana, habito perpetuo», Ibidem (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Norella Grasso
«mujer de Antonio Grasso, texedor, reconçiliada por lo mismo (luterana n.d.r)», Ibidem (au-
todafé, Palermo, 30 marzo 1568); Ambrogio di Messina «sacerdote monge del mismo orden
(San Benito n.d.r.), fue reconciliado y habito por seys años», ivi, p. 317 (autodafé, Palermo,
88 ALESSANDRO ABBATE

comparirono dei messinesi; nella sola pubblica manifestazione che si svolse a


Palermo il 30 marzo 1568, presso il Piano della Marina, furono 10 gli abitanti
della Città dello Stretto sentenziati per reati connessi alla Riforma71.
Un’altra ʻroccaforte protestanteʼ, forse di ascendenza valdese72, che al-
meno quantitativamente rivestì una parte di rilievo nella Riforma siciliana, è
Mandanici, piccola realtà rurale posta sulle colline del versante ionico mes-
sinese, che può ʻvantareʼ tra i suoi abitanti addirittura ben 20 rei73. Altresì

26 giugno 1569); Francesco Squillace «barvero de Meçina. Relaxado en statua», ivi, p. 322
(Palermo, 26 giugno 1569); Eliseo Manzè «dell’ordine di S. Benedetto nel monastero di S.
Placido di Messina, messinese apostata, fuggitivo, accusato di setta luterana, fu rilassato in
statua a 5 agosto 1573 nell’atto di fede celebrato nel Piano delli Bologni», La Mantia, p. 205;
Giambattista Gotto «un tempo monaco di S. Basilio, luterano fuggitivo, fu per sentenza a 6
luglio 1573 rilassato in statua, letta nella piazza delli Bologni a 15 agosto 1573, e fu brugiato
allo Ciardone», ivi, p. 193; Gianpietro Giardina «presbitero, degradado verbaliter, lutherano»,
Garufi 1913, p. 285 (autodafé, Palermo, 22 dicembre 1547), «luterano, un tempo riconciliato
e poi ricaduto e fuggitivo, fu rilassato in statua e letta la sua sentenza nel piano della Madrice
di Palermo a 21 novembre 1574, e fu brugiata nello Ciardone», La Mantia, p. 192; oltre i già
ricordati: Petruccio Compagna, vd. supra, p. 75; Aliotta Buglio, vd. supra, p. 79 e nt. 24, Pie-
tro Granata, Gianpietro Perrone, vd. supra, nt. 19; Bartolomeo Spadafora-Moncada, Mattia
Spadafora-Moncada, Giovanni Grasso, vd. supra, p. 77 e nt. 19; Filippo Campolo, Melchiorre
Grasso, vd. supra, nt. 34; Gian Domenico Brigandi, vd. supra, nt. 37; Giovannella Capridi,
Catarinella Rizzo, Dominichella Faraone, Tommaso Faraone, vd. supra, nt. 44; Florella Mu-
zami, Francesca de Mayo, Domenica de Leone, vd. supra, nt. 45, Gian Domenico Chinigo,
Biagio Corso, Giuseppe Stagno, vd. supra, nt. 46, frate Luigi di Messina, vd. supra, nt. 49.
A questi quarantasei individui si possono inoltre sommare i ʻluteraniʼ dei casali appartenenti
alla città: Leonardo de Mazeo di Bordonaro, vd. supra, nt. 47; Salvatore Espezio di Santo Ste-
fano, marinaio di 26 anni, riconciliato abiura in forma (autodafé, Palermo 18 ottobre 1589),
AHNM, lib. 898, ff. 351r-352v.
71
Garufi 1913, pp. 306-309.
72
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 99.
73
Domenico Santoro «presbitero lutherano, degradado verbaliter. Reconciliado a la San-
cta Madre Yglesia», Garufi 1913, p. 282 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547), «Preste
Minico Sanctoro de Mandanichi, por relapso e dogmatista de los sobre dichos de heresia
luterana, sacerdote de missa. Reconciliado», ivi, p. 305 (autodafé, 13 aprile 1563); Jacopo
Pellizeri «lutherano. Reconciliado al gremio de la yglesia», ivi, p. 293 (autodafé, Palermo,
5 luglio 1551); Andrea Bruno «mastro albanir. Reconciliado por opiniones luteranas», ivi, p.
305 (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Battista Pellizeri «luterano y de duplici matrimonio,
labrador. Reconciliado por opiniones luteranas», ibidem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563);
Nicola Bruno (fratello di Andrea Bruno) «en galera por diez años por vario y revocante», ibi-
dem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); «statua del quondam» Giovanni Matteo de Micheli
«de F.° regidor de Mandanichi. Reconciliada por opiniones luteranas», ibidem (autodafé, Pa-
lermo, 13 aprile 1563); Luciano Mamune «regidor de una aldea. Reconciliado por opiniones
luteranas», ibidem (autodafé, Palermo, 13 aprile 1563); Riccardo alias Fruxa «luterano, fu
rilassato in persona nell’atto celebrato nel piano della marina a 12 novembre 1564, e fu bru-
giato», La Mantia, p. 186; Girolamo Mamuni «reconçiliado por luterano y quatro años de
galera», Garufi 1913, p. 308 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Marquesa Santoro «acu-
sada de lutherana, abjurò de levi», ivi, p. 307 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Matteo
Ricciardo «reconçiliado por lo mismo (por luterano, n.d.r.)» ibidem (autodafé, Palermo, 30
marzo 1568); Petruccio Santoro «reconçiliado por luterano», ivi, p. 308 (autodafé, Palermo,
30 marzo 1568); Stefano Romeo «reconçiliado por luterano», ivi, p. 307 (autodafé, Palermo,
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 89

consistente il numero dei sentenziati a Vizzini e Noto, rispettivamente con


13 e 12 colpevoli di ʻeresia luteranaʼ a testa74; mentre Palermo figura negli
ʽatti di fedeʼ con 10 condannati75. Ma la capitale del Regno, più che essere
rappresentata da suoi cittadini, si caratterizzò soprattutto come centro che
diede ospitalità a numerosi ʻereticiʼ provenienti dall’estero. Proprio nella cit-
tà palermitana, nel 1569, fu infatti scovata una societas ad crimen haeresiae
agendum costituita da 18 congregati stranieri, che «avevano fatto una lega
che si riuniva in molte parti a trattare della setta luterana e avevano comin-

30 marzo 1568); Francesco de Micheli «Relaxado por herege pertinaz, demandò en el catafar-
do misericordia», ivi, p. 308 (autodafé, Palermo, 30 marzo 1568); Girolamo Calabrò «morto
per sentenza a 13 luglio 1573 fu rilassato in statua, fu letta a 15 agosto 1573 nella Piazza delli
Bologni e fu brugiato allo Ciardone, luterano», La Mantia, p. 183; e i già menzionati Giovan-
ni Battista Pellizeri, vd. supra, nt. 36; Matteo Chato, Matteo Santoro, Matteo Tama, Pietro de
Xito, vd. supra, nt. 40.
74
I ʻluteraniʼ vizzinesi emersi dagli ʽatti di fedeʼ sono: Pietro lo Piccolo «sastre, luthera-
no», Garufi 1913, p. 283 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Antonino di Pietro «alias
Buscarero, presbitero, por lutherano desgraduado verbaliter», ivi, p. 288 (autodafé, Palermo,
19 maggio 1549); Giovanni Virga «murador, reconciliado a la S.ta Madre Yglesia por lutera-
no», ibidem (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Giulio Petrella «reconciliado a la S.ta Ma-
dre Yglesia por luterano», ibidem (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Vincenzo Salvaggio
«presbitero, por lutherano desgraduado verbaliter», ibidem (autodafé, Palermo, 19 maggio
1549); Antonino lo Astuto «lutherano. Absente relaxado», ivi, p. 292 (autodafé, Palermo 5
luglio 1551); Giuseppe Iaquinta «presbitero luterano», ibidem (autodafé, Palermo 5 luglio
1551); Pietro Giangrosso «presbitero luterano», ibidem (autodafé, Palermo, 26 giugno 1569);
e i già citati: Gutiere Laguna, vd. supra, nt. 34; Giovanni Antonio Cannizzo, vd. supra, nt. 37;
Francesco Laguna, Mariano Gianrusso, vd. supra, nt. 46; Battista Gurrisi, vd. supra, nt. 52.
Invece i cittadini di Noto sentenziati in quanto ritenuti protestanti sono: Antonio Cassise «re-
conciliado», Garufi 1913, p. 399 (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Antonio Gambacurta
«reconciliado», ibidem (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Corrado Luparello «reconcilia-
do», ibidem (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Girolamo Litramo «condenado», ibidem
(autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); Girolamo Luparello «reconciliado», ibidem (autodafé,
Palermo, 18 ottobre 1556); Michele Spaccaforno «reconciliado», ibidem (autodafé, Palermo,
18 ottobre 1556); Sebastiano Carbeni «condenado», ibidem (autodafé, Palermo, 18 ottobre
1556); Pietro Giovanni Tommaso «reconciliado», ibidem (autodafé, Palermo, 18 ottobre
1556), «scarparo, luterano pertinace, impenitente, fu letta la sua sentenza di relassazione nel
piano della Marina a 26 dicembre 1566, fu rilassato in persona», La Mantia, p. 200; Michele
Giovanni Carobeni «abiurò de levi a 10 maggio 1558 nella Bocceria vecchia, poi caduto nelli
stessi errori ed ostinato, fu nella Chiesa della Magione letta la sentenza 13 gennaro 1566,
relassato in persona per essere luterano», ivi, p. 196; e i già menzionati: Giuseppe Manzone,
Vincenzo Escarpa, Giovanni Gigliuto, vd. supra, nt. 22.
75
Alessandro Luciano «lutherano. Reconciliado a la Sancta Madre Yglesia», Garufi 1913,
p. 283 (autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Vincenzo Lombardo «presbitero lutherano,
degradado verbaliter», ivi, p. 282, autodafé, Palermo, 13 febbraio 1547); Cristoforo Gerardo
«presbitero, por lutherano desgraduado verbaliter», ivi, p. 289 (autodafé, Palermo, 19 maggio
1549); Giovannello de Dotto «clerigo, por lutherano reconciliado a la S.ta Madre Yglesia»,
ibidem (autodafé, Palermo, 19 maggio 1549); Giovanni Antonio Sasso «reconciliado», ivi, p.
299 (autodafé, Palermo, 18 ottobre 1556); e i già citati; Francesco Bologna, vd. supra, p. 4 e
nt. 19; Giovanni Guglielmo Bonscontro, vd. supra, p. 80 e nt. 31; Ambrogio di Palermo, vd.
supra, nt. 19; Giovanni Battista Vinci, vd. supra, nt. 20; e il Barone di Oddo, vd. supra, nt. 34.
90 ALESSANDRO ABBATE

ciato a infettare il regno»76. Luoghi abituali di ritrovo erano la dimora del


parigino Jacopo Ques77, e la taverna del tedesco Cristoforo Pion78, ove si
leggevano e commentavano opere luterane, e si consumava carne anche nei
giorni proibiti79.
In generale in Sicilia il movimento protestante si presentava come un fe-
nomeno primariamente urbano-demaniale, dei 165 cittadini siciliani condan-
nati per crimini religiosi aderenti alle ʻeresie riformatriciʼ 113 provenivano
da città regie (68,48%), mentre solo 52 da centri feudali (31,52%)80, rapporto
decisamente più squilibrato della reale ripartizione cinquecentesca della po-
polazione isolana tra città demaniali e località baronali81.
Per quanto riguarda una suddivisione per fasi temporali della Riforma si-
ciliana nell’arco del Cinquecento, i numeri mettono in mostra come il perio-
do in cui l’ʻeresie protestantiʼ furono maggiormente vitali nel tessuto sicilia-
no, scatenando il più alto livello di repressione inquisitoriale, fu il ventennio
che va dal 1560 al 1580, anni in cui le sentenze del Santo Officio a carico di
soggetti giudicati come ʻluteraniʼ furono 155 , cioè un numero pari a oltre la
metà (54,58%) di tutti i provvedimenti assunti contro i protestanti operanti
sull’isola in tutto il XVI secolo. Mentre negli ultimi due decenni del Cinque-
cento si assistette a una progressiva regressione del movimento evangelico,
prova ne è che in quest’ultima fase del secolo il numero più cospicuo di rei
che sfilarono negli ʽatti di fedeʼ non sono più i propugnatori di «opiniones
lutheranas» ma bensì i mori rinnegati82, chiaro segnale di come gli equilibri
e le priorità religiose e politiche si fossero spostati in direzione del crescente

76
AHNM, lib. 898, ff. 18r-20v.
77
«Frances de Paris, complice de los demas franceses, antes principal pro que en su casa
se juntavan los otros franceses y era el que principal hablava; reconciliado, y diez años en
galera», vd. supra, nt. 48.
78
«Tudesco bodegonero; reconciliado y galera por quatro años por que a su casa acogia a
los demas tudescos y le dava a comer carne en quaresma, y el y los demas dezian y creyan que
no era pecado, y en su casa y en su presencia leyan libros y se tractava de la setta luterana»,
vd. supra, nt. 52.
79
AHNM, lib. 898, ff. 18r-20v. Gli altri 16 congiurati risultano essere: Jacopo Riis, vd.
supra, nt. 36; Hanzain e Tommaso Quifort, vd. supra, p. 83 e nt. 42; Gian Nodot, Gian di
Gand, Pietro Carmantana, vd. supra, nt. 46; Giovanni de Montealto, vd. supra, nt. 48; Ales-
sandro Bindon, Carlo Borgognon, Giovanni Antonio Darles, Giovanni de la Abbadia, Lazzaro
Gasseia, Pietro de Arnaldo, Natal Rosano, vd. supra, nt. 64; Giovanni Matteo de Augusta, vd.
supra, nt. 65; Giuliano di Anversa, vd. supra, nt. 66.
80
Vd. Tab. V.
81
Nel 1505 la popolazione demaniale in Sicilia corrispondeva al 52,8% del totale, nel
1569 toccò il vertice del 59,9%, scendendo nel 1583 al 56,3%. F. Renda, Le città demaniali
nella storia siciliana, Città e feudo nella Sicilia moderna, a cura di F. Benigno - C. Torrisi,
Caltanissetta-Roma 1995, p. 40.
82
Id., L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., pp. 133-134.
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 91

ʻpericolo islamicoʼ83. Infine nel Seicento la preda più abbondante sarà fornita
dalla caccia alle streghe e alle sette esoteriche84.
In conclusione, dopo aver analizzato nel complesso le cifre e i segni delle
cosiddette ʻeresie luteraneʼ, si può affermare come il protestantesimo sicilia-
no, inizialmente veicolato dall’esterno mediante la via degli ordini regolari,
nel corso della seconda metà del XVI secolo si innestò in maniera profonda
in tutti gli strati della società isolana, raggiungendo una sua vasta propaga-
zione e trasformandosi in un fenomeno prevalentemente indigeno, diverso e
più strutturato di una mera presenza di ristretti gruppi ereticali esogeni. Infat-
ti non si può non convenire con Francesco Renda nel sostenere che la storia
della Riforma nel Cinquecento conobbe in Sicilia uno dei suoi momenti, se
non più elevanti per elaborazione dottrinale e di idee, certamente più forti per
partecipazione e testimonianza di fede85.

83
F.L. Oddo, La Sicilia sotto gli assalti barbareschi e turchi (secoli XV-XVII), Trapani
1990.
84
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 256; G. Alaimo, Streghe,
demoni e inquisitori. Magia, stregoneria, ossessioni, esorcismi, Roma 1990.
85
Renda, L’Inquisizione in Sicilia. I fatti. Le persone, cit., p. 257.
92 ALESSANDRO ABBATE

Tab. I

Clero regolare condannato per eresia protestante 42


Agostiniani 8
Eremiti di ordini non specificati 8
Francescani 7
Carmelitani 5
Benedettini 4
Domenicani 3
Minimi 3
Suore di ordini non specificati 2
Basiliani 1
Gerosolimitani 1
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 93

Tab. II
Condizione sociale o professionale dei sentenziati protestanti

Aristocrazia e ricchi possidenti 11 (11,46%)


Gentiluomini 4
Cavalieri 3
Baroni 2
Figli cadetti 1
Ricchi possidenti 1

Borghesia intellettuale, istruzione, burocrazia statale e artisti 25 (26,04%)


Insegnanti 6
Dottori in legge 5
Dottori in medicina 5
Notai 3
Regidores di villaggio 2
Astrologi 1
Dottori in ambito non specificato 1
Musicisti 1
Sollecitatori di cause (Aiuto procuratore) 1

Commercio (trasporto e compravendita beni) 21 (21,88%)


Mercanti 7
Argentieri 6
Trafficanti di seta 2
Bottegai 2
Speziali 2
94 ALESSANDRO ABBATE

Librai 1
Marinai 1

Lavoratori manuali 35 (36,46%)


Lavoratori non specializzati 9
Calzolai 5
Muratori 4
Sarti 4
Scrivani 3
Barbieri 2
Cuochi 2
Carbonai 1
Intagliatori 1
Panettieri 1
Setaiuoli 1
Stampatori 1
Tessitori 1

Militari 4 (4,17%)
Guardie viceregie 2
Sergenti maggiori 1
Soldati di grado non specificato 1
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 95

Tab. III

Attestazione
Opinioni ereticali sostenute dai protestanti
n. volte
Contro l’adorazione dei Santi, contestazione della loro capacità
intercessoria e diniego dei miracoli da loro compiuti 27
Rifiuto della confessione auricolare e disconoscimento del suo
valore sacramentale 25
Negazione del purgatorio 23
Mancato riconoscimento dell’autorità papale e delle sue potestà 23
Inutilità delle opere meritorie e della penitenza, in quanto la sal-
vezza è merito del «sangue di Cristo» e può essere raggiunta solo
mediante la fede 21
Condanna dell’adorazione delle immagini 14
Diniego delle limitazioni alimentari 11
Assenza del corpo di Cristo nell’ostia consacrata 9
Contestazione del valore delle indulgenze 9
Contro il celibato del clero 8
Negazione dell’inferno 7
Negazione del paradiso 4
Sacerdozio universale e scioglimento degli ordini religiosi 4
Contestazione delle capacità intercessorie della Madonna e delle
sue opere miracolose 2
Contro la celebrazione del rito della messa 2
Contro la decima e le donazioni al clero 2
Mortalità dell’anima 2
Negazione del valore del sacramento del battesimo 2
Negazione del valore del sacramento dell’eucarestia 2
Negazione della natura verginale della Madonna 2
Predestinazione e negazione del libero arbitrio 2
Adorazione della sola natura umana di Gesù Cristo 1
Coincidenza di Dio Padre con l’Anticristo 1
Contro l’esposizione del simbolo della croce in chiesa 1
Conversione delle tre Persone divine nell’ostia consacrata 1
Differente natura del Cristo presente nell’ostia rispetto a quella di
colui che siede alla destra del Padre 1
Incarnazione delle tre Persone nel grembo di Maria 1
Negazione della natura peccaminosa degli atti sodomitici 1
Negazione del reato di usura 1
Negazione del valore sacramentale della cresima 1
Nell’ostia vi è la presenza del solo corpo di Cristo e non del san-
gue, e nel calice vi è solo il sangue e non il corpo 1
96 ALESSANDRO ABBATE

Tab. IV

Luoghi d’origine dei protestanti ʻforestieriʼ

Italia continentale 42 (51,85%)


Calabria 17
Liguria 6
Veneto 5
Lombardia 3
Piemonte 3
Basilicata 2
Toscana 2
Campania 1
Lazio 1
Marche 1
Trentino 1

Estero 39 (48,15%)
Francia 21
Germania 8
Fiandre 3
Spagna 3
Grecia 1
Inghilterra 1
Malta 1
Romania 1
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento 97

Tab. V

Luoghi d’origine dei protestanti siciliani suddivisi per Valli

Val di Mazara 23 (13,86%)


Palermo PA Demaniale 10
Sciacca AG Demaniale 4
Termini (Termini Imerese) PA Demaniale 2
Agrigento AG Demaniale 1
Bivona AG Feudale 1
Castronovo PA Demaniale 1
Mazara (Mazara del Vallo) TP Demaniale 1
Racalmuto AG Feudale 1
Salemi TP Demaniale 1
Sciara PA Feudale 1

Val di Noto 54 (32,53%)


Vizzini CT Demaniale 13
Noto SR Demaniale 12
Siracusa SR Demaniale 9
Buscemi SR Feudale 2
Calascibetta EN Demaniale 1
Catania CT Demaniale 2
Mineo CT Demaniale 2
Ragusa RG Feudale 2
Spaccaforno (Ispica) RG Feudale 2
Aidone EN Feudale 1
Chiaramonte (Chiaramonte Gulfi) RG Feudale 1
Lentini SR Demaniale 1
Ferla SR Feudale 1
Militello (Militello in Val di Catania) CT Feudale 1
Modica RG Feudale 1
Monterosso (Monterosso Almo) RG Feudale 1
98 ALESSANDRO ABBATE

Piazza (Piazza Armerina) EN Demaniale 1


Scicli RG Feudale 1

Valdemone 89 (53,61%)
Messina ME Demaniale 47
Mandanici ME Feudale 20
Pagliara ME Feudale 3
Taormina ME Demaniale 2
Santa Lucia (Santa Lucia del Mela) ME Demaniale 2
Alì ME Feudale 1
Bordonaro* ME Demaniale 1
Capizzi ME Feudale 1
Condrò ME Feudale 1
Maurojanni (Roccavaldina) ME Feudale 1
Milazzo ME Demaniale 1
Nicosia EN Demaniale 1
Paternò CT Feudale 1
Regalbuto EN Feudale 1
San Giovanni (San Giovanni Gemini) AG Feudale 1
San Marco (San Marco d’Alunzio) ME Feudale 1
San Pietro di Monforte (San Pier
ME Feudale
Niceto) 1
Sant’Agata (Sant’Agata Militello) ME Feudale 1
Santo Stefano* ME Demaniale 1
Savoca ME Feudale 1

* Casali di Messina ancora oggi rientranti nel territorio amministrativo del capo-
luogo peloritano.
Giuseppe Campagna

UN’ABBAZIA NEI NEBRODI:


LE BENEDETTINE DI SAN MARCO NEL SEICENTO
Primi risultati di ricerca

La cittadina di San Marco d’Alunzio sorge probabilmente sul sito dell’an-


tico Alontion-Haluntium, un centro di origine preellenica che venne ellenizzato
nel IV sec. a.C. e che, come attestano alcuni reperti archeologici, decadde in
età tardoantica. Con l’avvento dei Normanni, nel 1061, Roberto il Guiscardo
eresse un castello sulla sua area che denominò San Marco. Il territorio non era
spopolato, anzi, il rinvenimento di monete bizantine e arabe ne conferma la
frequentazione tra la fine del IX e gli inizi del X sec. Roberto, dunque, costruì
il nuovo fortilizio in un territorio che non era più denominato Haluntium, bensì
«χώρα Δεμέννων»1, la terra di Demenna, città fondata dai bizantini nel VII sec.
che secondo Ewald Kislinger corrisponderebbe all’odierna San Marco2, mentre
a parere di altri studiosi sarebbe da localizzare nelle vicinanze di quest’ultima,
sulla collinetta detta «Piano Grilli»3. Durante la dominazione normanna fu
centro di rilievo del territorio nebroideo, tanto che Edrisi la descriveva come:

Vasta rocca con avanzi di antichità, grande numero di colti, mercati, un bagno e copia
di frutte e produzioni agrarie. Stendesi nel territorio di questo paese una pianura con
larghi campi da seminare, lieta di varie polle d’acqua. Cresce da ogni banda la viola
mammola che imbalsama l’aria e vi si produce anco di molta seta. La spiaggia è bella.
Quivi si costruiscono delle navi col legname che si taglia nelle montagne vicine.

1
S. Cusa, I diplomi greci e arabi di Sicilia, Palermo 1868-1882, pp. 394 e 409.
2
Su Demenna vd. tra gli altri: E. Kislinger, I Normanni, la seta bizantina e San Marco
D’Alunzio, in Miscellanea Nebroidea, Sant’Agata Militello 1999; Id., Regionalgeschichte als
Quellenproblem. Die Chronik von Monembasia und das sizilianische Demenna. Eine histori-
sch-topographische Studie, Vienna 2001; Id., Demenna, città e territorio, storia e archeolo-
gia, in Nuove ricerche sul Valdemone medievale. Atti del Convegno (San Marco d’Alunzio, 11
settembre 2004), Sant’Agata Militello 2005, pp. 7-35; G. De Maria, Le origini del Valdemone
nella Sicilia bizantina, Sant’Agata Militello [2006]; G. Scibona, Piano Grilli (com. di Torre-
nova dal 1985) Relazione tecnica n. 18, in «Archivio Storico Messinese», 91-92 (2010-2011),
pp. 483-487.
3
C. Drago, La comunità ebraica in Demenna e in S. Marco fino all’Espulsione del 1492,
in Nuove ricerche sul Valdemone medievale, cit., p. 65.
100 GIUSEPPE CAMPAGNA

Un florido territorio dunque in cui, secondo la tradizione, negli anni ’70 del
XII sec. la regina Margherita di Navarra fondava un monastero femminile bene-
dettino dedicato al S. Salvatore e sottoposto alla giurisdizione dell’arcivescovo
di Monreale. Il cenobio e il primo luogo di culto erano distaccati dall’agglome-
rato urbano circa mezzo miglio ad oriente, e sorgevano in una contrada inizial-
mente denominata San Biagio e successivamente Badia Grande. Alla primitiva
chiesa si affiancò nella seconda metà del Seicento un nuova costruzione, edifi-
cata tra il 1661 e il 1698, e successivamente arricchita da finissime decorazioni
in stucco, da un baldacchino ligneo, realizzato nel 1701 da Corrado Oddo, e da
un imponente ciborio in legno zecchinato del 1704. L’esterno oggi si presenta
abbellito da un grandioso portale in pietra locale risalente al 17134.
Il monastero aluntino, si inserisce così in quel vasto movimento di svi-
luppo dell’edilizia ecclesiastica che già nella prima metà del Seicento, come
sottolineato da Giuseppe Giarrizzo, raggiunge in Sicilia cifre impressionanti5.
L’opulenza dell’interno del nuovo tempio testimonia la prosperità dell’abbazia
durante il XVII sec. e il principio del XVIII, dovuta a un’importante accumula-
zione di privilegi e proprietà sulle quali il monastero deteneva il dominio diretto
o percepiva censi enfiteutici e decime6.
Particolarmente interessante per ricostruire la geografia dei beni e delle ren-
dite della Badia Grande è un registro che annota proprietà e prerogative del
monastero compilato al tempo delle abbadesse Anna Maria e Anna Fulgenzia

4
Sul monastero del S. Salvatore di San Marco, vd. Tommaso Fazello, De rebus siculis
decades duae, Typis excudebant Ioannes Matthaeus Mayda, et Franciscus Carrara, Palermo
1560, p. 470; Gian Luigi Lello [Ludovico de Torres], Historia della Chiesa di Monreale,
Roma 1596, rist. anast. a cura di G. Schirò, Bologna 1967, pp. 7-28; R. Pirri, Sicilia Sacra
disquisitionibus et notitia illustrata, apud heredis Petri Coppulae, Palermo 1733, p. 22 e p. 485;
G.A. De Ciocchis, Sacrae regiae visitationis per Siciliam a Joanne-Ang. De Ciocchis Caroli
III regis jussu acta decretaque omnia, Ex Typographia Diarii Literarii, Palermo 1836, t. 1,
p. 454; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, a cura di P. Sella, Città del
Vaticano 1944, p. 49; P. De Luca, Una giuliana del monastero benedettino femminile del SS.
Salvatore di San Marco d’Alunzio, in «Benedictina», 25 (1978), pp. 365-407; A. Meli, Istoria
antica e moderna della città di San Marco. Ms. (sec. XVIII) della Biblioteca dell’Assemblea
Regionale Siciliana, a cura di O. Bruno, Messina 1991, pp. 229-237; S. Miracola, San Marco
d’Alunzio (pagine d’Archivio), Sant’Agata Militello 2008, pp. 132-139; R. Alibrandi, Il para-
diso può attendere. Devozione e terremoto in una cronaca settecentesca del Messinese, in
«Archivio Storico Messinese», 91-92 (2010-2011), pp. 9-44.
5
G. Giarrizzo, La Sicilia dal Cinquecento all’Unità d’Italia, in V. D’Alessandro, G.
Giarrizzo, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, Torino 1989, pp. 301-302.
6
Sulla questione delle proprietà ecclesiastiche e delle loro concessioni vd. S. Corleo, Storia
della enfiteusi dei terreni ecclesiastici di Sicilia, Palermo 1871; L. Genuardi, Terre comuni e
usi civici in Sicilia prima dell’abolizione della feudalità, Palermo 1911; O. Cancila, Baroni e
popolo nella Sicilia del grano, Palermo 1983, pp. 165-176; S. Cucinotta, Popolo e clero in Si-
cilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, pp. 7-47; O. Cancila,
La terra di Cerere, Caltanissetta-Roma 2001, pp. 78-112.
Un’abbazia nei Nebrodi: le benedettine di San Marco nel Seicento 101

Filangeri, appartenenti alla locale famiglia comitale7. Il volume ultimato nel


1692 è frutto di una diligente ricerca su «notamenti, scritture e libri privati»
dell’abbazia e composto «per chiarezza del monasterio, quanto per facilitatione
dei procuratori ed esattori di esso»8. Si percepisce, dunque, la ferma intenzione
da parte delle due abbadesse succedutesi alla guida della Badia Grande di effet-
tuare un’attenta mappatura delle prerogative e dei possedimenti probabilmente
volta a cautelare la posizione delle benedettine nei confronti dei soggetti obbli-
gati a corrispondere censi e decime in denaro o in altra natura.
Emerge così una vasta area che include gran parte della zona dei Nebrodi
dalla quale le benedettine di San Marco ottengono profitti. È naturalmente il
territorio che faceva capo al centro aluntino a costituire la roccaforte dei pos-
sedimenti soggetti all’abbazia, dove già nel Medioevo possedeva due mulini
e il diritto di libero pascolo delle mandrie di sua proprietà9. All’interno delle
mura aluntine la Badia Grande era proprietaria per metà di due case solerate,
una nel quartiere di San Nicolò e l’altra a Santa Maria di Casili, e per intero
possedeva un immobile della stessa tipologia nel quartiere di San Basilio10.
Alcune abitazioni nei quartieri di San Pantaleo e di Tutti i Santi erano invece
soggette a canone censuale11. Agli immobili residenziali le benedettine affian-
cavano il possesso di sei botteghe e due magazzini siti nella piazza del paese12.
Le proprietà suburbane si estendevano dall’allora Marina di San Marco, corri-
spondente all’odierna Torrenova, fino alle zone montane del territorio aluntino.
Nella Marina l’abbazia aveva il dominio diretto o riceveva il pagamento di censi
enfiteutici e decime prevalentemente su terreni coltivati a gelseto e vigneto, e in
minor misura su qualche canneto e oliveto13. Spesso questi terreni ospitavano

7
ASMe, Corporazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio, vol. 1294, frontespizio.
8
Ibidem.
9
Ivi, ff. 163r-164v. Ormai era perduto a quel tempo il diritto sulla jizia e l’augustale dovuto
dalla locale comunità ebraica a causa dell’espulsione da tutti i domini spagnoli dei giudei. Sulla
comunità ebraica di San Marco, vd. C. Colafemmina, Un copista ebreo a Demenna nel 1472,
in Gli ebrei in Sicilia dal Tardoantico al Medioevo. Studi in onore di mons. Benedetto Rocco, a
cura di N. Bucaria, Palermo 1998, pp. 89-98; Drago, La comunità ebraica in Demenna e in S.
Marco fino all’Espulsione del 1492, cit., pp. 63-127; G. Campagna, “Judayca Sancti Marci”.
Una comunità ebraica in Sicilia tra Medioevo e Prima Età Moderna, in Il Mediterraneo, la
Sicilia, il Mezzogiorno d’Italia tra Medioevo ed età contemporanea. Nuove proposte di ricer-
ca, a cura di S. Bottari - G. Campagna, Roma 2018, pp. 95-120.
10
ASMe, Corporazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio, vol. 1294, f. 254r.
11
Ivi, f. 218r: Giovan Domenico Ribaudo pagava 10 grani annuali per una casa nel quar-
tiere di Tutti i Santi; Giovan Maria Bruno e Giovan Pietro Salerno pagavano rispettivamente
10 e 5 grani annuali per le loro abitazioni nel quartiere di San Pantaleo.
12
Ivi, ff. 254v-256v.
13
Sui censi enfiteutici vd. ivi, ff. 207r-210v; sulle decime vd. ivi, ff. 219r-220v; sui beni
stabili vd. ivi, ff. 234r-242v. I terreni sono situati nelle contrade Bagnara, Carruba, Contura,
Favara, Fornace, Lenzi, Luri, Molino di Deca, Platanà, Xifano, Santa Lucia, Sant’Ippolito,
San Pietro di Deca, Scilipari e Re Magi, Torrenova.
102 GIUSEPPE CAMPAGNA

dei fabbricati, solitamente piccole case e palmenti14 ma anche locali specializ-


zati nella bachicoltura, come le case di nutricato15. Risalendo la montagna, i
terreni su cui le benedettine godevano diritti o di cui erano dirette proprietarie,
oltre a gelseto e a vigneto, erano coltivati prevalentemente a uliveto, castagneto
e raramente ad altre tipologie di alberi fruttiferi, in particolare il noce e il fico16.
I diritti enfiteutici e i beni posseduti si estendevano in gran parte del com-
prensorio nebroideo: Frazzanò17, Capri18, Mirto19, Castania20, Piraino21, Naso22,
Galati23, Longi24, Militello25, Caronia26, San Fratello27, Tortorici28 e San Sal-
vatore di Fitalia29. Su quest’ultima località il monastero esercitava la signoria
feudale, come stabilito dal perduto privilegio di fondazione di Margherita di
Navarra, poi confermato dall’imperatore Federico II30. In particolare la baronia
consisteva oltre che nei diritti sulla dogana e sul baiulato, in un mulino, un fran-
toio, un bosco di querce e olivi, vari terreni e parecchi diritti censuali31. Il privi-
legio di fondazione dotava anche il monastero di dieci barili di tonnina, divenuti
quindici all’inizio del Seicento, che la tonnara di Oliveri doveva corrispondere

Ivi, f. 219v: Pietro Cuffari pagava la decima su un loco coltivato a gelseto e altri alberi con
14

casa, vigna e palmento nella contrada Platanà.


15
Ivi, f. 238v: Il monastero possedeva una casa di nutricato nella contrada del Molino di
Deca.
16
Sui censi enfiteutici vd. ivi, ff. 211r-218r. Sulle decime vd. ivi, ff. 221r-229r e ff. 232r-233r.
Sui censuali per vigne e oliveti vd. ivi, f. 229v-231v. Sui beni stabili vd. ivi, ff. 243r-247r. I
terreni sono situati nelle contrade Amba, Bonriposo, Briveri, Cantagallo, Casanò seu Mot-
ta Cauda, Castiglia, Contura, Costi seu Arginura, Currao, Dela, Giarrello, Inferno, Jannachi,
Lando, Limbo, Luzzorello, Magnanò, Mallusa, Muschiglia, Panteloro, Potentia, Puzzo grande,
Puzzonello, Raboco, Santa Barbara, San Blasio, Santa Domenica, San Filippo, San Giovanni,
Santo Leo, Santa Marina seu Annunciazione, Santa Venera, Traversa, Zafarana, Zirì.
17
Ivi, ff. 118r-162r.
18
Ivi, ff. 105r-117v. Si tratta dell’attuale Caprileone.
19
Ivi, ff. 94r-104r.
20
Ivi, ff. 45r-87r. Si tratta dell’attuale Castell’Umberto.
21
Ivi, f. 44r.
22
Ivi, ff. 41r-43r.
23
Ivi, f. 30r.
24
Ivi f. 29r.
25
Ivi, ff. 20r-27r
26
Ivi, f. 17r.
27
Ivi, f. 18r.
28
Ivi, f. 40r.
29
Ivi, ff. 32r-39r.
30
Sull’autenticità del privilegio giuntoci tramite transunti vd. De Luca, Una giuliana del
monastero benedettino femminile del SS. Salvatore dì San Marco d’Alunzio, cit., pp. 378-382.
31
Ivi, f. 32r. In realtà non tutto, ma solo la metà del territorio era soggetto al monastero,
infatti Vito Amico attesta che il centro sito «nella diocesi di Patti, e ad essa in dritto per la
maggior parte, poiché l’altra è soggetta alle monache del San Salvatore nel paese di San
Marco, delle quali perciò se ne dice signora l’abbadessa», vd. V. Amico, Dizionario topografi-
co della Sicilia tradotto dal latino e continuato sino ai nostri giorni per Gioacchino di Marzo,
Palermo 1859, pp. 38 e 453.
Un’abbazia nei Nebrodi: le benedettine di San Marco nel Seicento 103

annualmente32. Gli introiti e i beni delle benedettine varcavano così i confini dei
Nebrodi estendendosi fino all’Alcantara, dove possedevano terre presso Moio e
Roccella33 e alle zone della Sicilia Occidentale, in quanto a Palermo vari immo-
bili erano gravati da censo e l’Ospedale di S. Bartolomeo corrispondeva dieci
onze annue come disposto dalle ultime volontà di Ottavio Cuffari34.
Tanto il dominio fondiario, quanto i diritti enfiteutici e di altra natura furono
accumulati sin dalla fondazione del monastero grazie alla benevolenza dei
sovrani, a lasciti testamentari e a doti di monacazione. Quest’ultima voce è
particolarmente presente nel registro esaminato tanto che si contavano circa
sessantasei nominativi di fanciulle che contribuirono a impinguare il patrimo-
nio dell’abbazia aluntina35. Le famiglie dei centri del comprensorio nebroideo
concorrevano nel monacare le loro figlie e capitava spesso che da una fami-
glia provenissero più monache, come le sorelle Vittoria ed Eufrosina Crimi36 o
Lucrezia e Anna Labozzetta37 tutte di Castania o Aloisia e Cecilia Ferraloro di
San Marco38. D’altronde è ben noto come le famiglie delle élites cittadine come
quelle dei centri minori sfruttassero la monacazione per garantire ad alcune
delle figlie una adeguata collocazione39. D’altronde San Marco anche nel secolo

32
Il numero di quindici barili era stato stabilito nel 1492 ma per tutto il secolo successivo
variò tra dodici e quindici per stabilizzarsi definitivamente solo nel Seicento. Vd. ASMe, Cor-
porazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio, vol. 1294, ff. 89r-92r.
33
Il compilatore del registro confonde l’attuale Roccella Valdemone con l’odierna Campo-
felice di Roccella. La donazione risaliva al tempo di Federico II come da atto del 1209 in cui si
specificava che venivano donate terre in «flumine dicto in tenimento Modij prope Roccellam».
Sulla questione vd. ASMe, Corporazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio, vol. 1294,
f. 15r e Meli, Istoria antica e moderna della città di San Marco, cit., p. 232.
34
Sui censi a Palermo vd. ASMe, Corporazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio,
vol. 1294, ff. 10r-13r. Sul legato testamentario del Cuffari vd. ivi, f. 9r.
35
Vd. Tabella 1. Un elenco di tutte le monache professe fino al Settecento si trova anche in
una giuliana del 1787 e trascritto in De Luca, Una giuliana del monastero benedettino femmi-
nile del SS. Salvatore di San Marco d’Alunzio, cit., pp. 378-382.
36
ASMe, Corporazioni religiose soppresse, San Marco d’Alunzio, vol. 1294, f. 56r.
37
Ivi, f. 74r.
38
Ivi, f. 231v.
39
Sulla corsa alla monacazione nell’area messinese può essere indicativo lo studio condotto
da Carmen Salvo sul monastero messinese di S. Maria dell’Alto, vd. C. Salvo, Monache a Santa
Maria dell’Alto. Donne e fede a Messina nei secoli XV e XVI, Messina 1995. Di particolare
interesse per l’area del Meridione d’Italia sono i contribuiti confluiti nel volume La città e il
monastero. Comunità femminili cittadine nel Mezzogiorno moderno, Atti del Convegno di
Studi (Campobasso 11-12 novembre 2003), a cura di E. Novi Chavarria, Napoli 2005, e in
particolare il saggio della curatrice: Identità cittadine, identità di ceto e monasteri femminili,
pp. 13-28. Della stessa autrice tra gli altri vd. Monachesimo femminile nel Mezzogiorno nei
secoli XVI-XVII, in Il monachesimo femminile in Italia dall’alto medioevo al secolo XVII,
Atti del Convegno del Centro di studi farfensi (Santa Vittoria in Mantenano, 21-24 settembre
1995), a cura di G. Zarri, Negarine di San Pietro in Cariano 1997, pp. 339-367; Ead., Sacro,
pubblico e privato. Donne nei secoli XV-XVIII, Napoli 2009; Ead., Ordini religiosi, spazi urba-
ni ed economici nella Calabria spagnola, in La Calabria del viceregno spagnolo. Storia, arte,
104 GIUSEPPE CAMPAGNA

successivo sarà un caso particolare nel panorama della presenza del monache-
simo femminile in Sicilia presentando un alto tasso di claustrate: su 753 donne
114 avevano scelto di vivere nei due monasteri locali, il 15% dunque rispetto ad
una media siciliana che si aggirava tra l’1 e il 2% massimo40.
In conclusione, le prime indagini su uno dei registri prodotti nella lunga
vicenda storica delle benedettine della Badia Grande di San Marco sembrano
attestare come il Seicento costituì un periodo di generale arricchimento delle
rendite e del patrimonio fondiario. Si tratta di un abbazia pienamente ascrivibile
tra quelle comunità monastiche femminili che sono state definite come «vere e
proprie aziende che amministravano terre, case, investimenti finanziari, affidan-
done la gestione a procuratori e ad altre figure professionali scelti direttamente
dalla badessa e le sue più strette collaboratrici»41. A tal proposito il Libro fatto
compilare dalle abbadesse Filangeri è fonte preziosa soprattutto per la ricostru-
zione delle aree su cui l’abbazia estendeva la sua influenza economica tramite il
possesso di immobili, rendite, censi e diritti enfiteutici.
Riusciamo così ad elaborare una prima mappatura dei possedimenti che
come abbiamo notato, avevano la maggiore concentrazione nell’area nebroidea
ma si estendevano anche oltre. Questo dovette certamente consentire alla comu-
nità monastica una indubbia floridezza economica testimoniata palesemente
dallo sviluppo dell’edilizia ecclesiastica tra gli anni ’60 del Seicento e gli anni
’40 del secolo successivo sfociata nella costruzione e nell’abbellimento della
nuova chiesa e negli ampliamenti del monastero.

Fig. 1 - Località in cui le benedettine di San Marco possedevano beni, rendite e


canoni enfiteutici e censuali

architettura e urbanistica, a cura di A. Anselmi, Roma 2009, pp. 537-545; Ead., Monasteri e
paesaggio urbano. Una prospettiva ‘ambientalista’ per la storia del monachesimo femminile,
in Scritture carismi istituzioni. Percorsi di vita religiosa in età moderna. Studi per Gabriella
Zarri, a cura di C. Bianca - A. Scattigno, Roma 2018, pp. 561-576.
40
R. Manduca, Le chiese, lo spazio, gli uomini. Istituzioni ecclesiastiche e clero nella
Sicilia moderna, Caltanissetta-Roma 2009, p. 148.
41
Novi Chavarria, Sacro, pubblico e privato, cit., p. 62.
Un’abbazia nei Nebrodi: le benedettine di San Marco nel Seicento 105

Tab. 1

Monacazioni tratte dal Libro nel quale si vedino notati tutte le prerogative, Privi-
legij, concessioni, rendite, censi redimibili emphiteutici, proprietà, censuali, ton-
nine, molendini, beni stabili, urbani e rusticani, terre, argento ed altri del venerabile
monasterio di San Benedetto sotto titulo del Santissimo Salvadore

Data Nome da religiosa Nome secolare


1506 Francesca Piccolo
1591 Claristella Ferrante Norella Ferrante
1600 Lucretia Pirrone
1601 Giacinta Varrica Agata Varrica
1607 Febronia Monastra Angela Monastra
1610 Agnese di Marco Isabella Di Marco
1610 Caterina Di Marco Caterinella Di Marco
1614 Angelina Greco Lorenza Greco
1616 Giovanna d’Alì Sabina d’Alì
1616 Leonora Manna
1617 Angela Filangeri
1617 Lorenza Monastra Geronima Monastra
1619 Vittoria Crimi
1619 Eufrosina Crimi
1619 Mariulla Ribaudo
1622 Arcangela Capriti Antonia Capriti
1622 Eufemia Cangemi Domenico Cangemi
1623 Felice Maria Gaglio
1625 Anna Maria Lando Maria Lando
1625 Francesca Manna
1630 Pelagia Monastra Marta Monastra
1630 Domenica Cosari
1631 Olimpia Bonfiglio Mattea Bonfiglio
1632 Margherita Romano Maria Romano
1633 Maria Lombardo
1633 Vita Lombardo
1637 Domitilla Marchisio Anna Marchisio
1638 Fulgentia Calderario Rachele Calderario
1638 Beatrice d’Alì Laura d’Alì
1650 Prudenza di Miele Rosalia Di Miele
1652 Laura Salerno Laura Salerno
106 GIUSEPPE CAMPAGNA

1652 Margherita Pirrone Serafina Pirrone


1656 Margherita Crisafi
1656 Flavia Lo Presti Antonina Lo Presti
1657 Elisabetta Garofalo
1658 Apollonia Bonfiglio Margherita Bonfiglio
1660 Ninfa Lanza
1660 Maria Lanza
1662 Gesualda Salerno Caterina Salerno
1663 Isabella Manna Maria Manna
1664 Antonia Martino
1664 Francesca Martino
1664 Rosalia Martino
1665 Maria Filangeri
1665 Giacinta Le Bozze Lucrezia La Bozzetta
1665 Anna La Bozzetta
1665 Vincenza Maria di Gesù Antonia di Gesù
1665 Alfonsa Ciambri
1670 Rosalia Pirrone Angela Pirrone
1672 Caterina Monastra Marta Monastra
1672 Angela Corpina
1675 Leonora Natale Maria Jera
1675 Aloisia Ferraloro
1675 Cecilia Fearraloro
1676 Laura Cuffari
1678 Anna Filangeri Anna Filangeri
1679 Clarisotta Famiano Maria Famiano
1679 Gradonia Mondello
1679 Angela Mondello
1680 Celestina Cundò
1685 Laura Gerbano
1688 Felice Bruno
Giuseppa Crimi Caterina Crimi
Domenica Longo
Scolastica Luci
Guido De Blasi

SCIPIONE ARDOINO, TEATINO, ARCIVESCOVO DI MESSINA (1715-78).


Cenni biografici

Alla seconda metà del Settecento nella Chiesa siciliana si svilupparono


fervori innovativi in ambito teologico e pastorale, che si misurarono con
l’irrompere di giansenismo, illuminismo e massoneria1. Se in alcune realtà
questi fenomeni ebbero una certa rilevanza sulla vita diocesana, a Messina
invece ciò non avvenne, tranne che, e con qualche minimo strascico, nel
breve episcopato del benedettino Gabriele Maria di Blasi (1764-67)2. Si può
supporre che tale ‘rivoluzione culturale’ non abbia attecchito per il rapido
susseguirsi di vescovi; tuttavia è necessario porre attenzione ai profili dei
singoli pastori per comprendere come essi possano aver inciso sul ‘progredi-
re’ della propria Chiesa.
Messina, nel periodo di massimo sviluppo di questi fervori, tra fine anni
Cinquanta e fine secolo, ebbe sette vescovi; nel mezzo si colloca l’episcopato
del concittadino Scipione Ardoino (fig. 1), il cui vissuto, che qui si ricostrui-
sce, ben simboleggia lo stato quasi assopito e un po’ reazionario della Chiesa
locale rispetto all’iperattività circostante.

1
Abbreviazioni: ACMe = Messina, Archivio Capitolare; ADM = Messina, Archivio Stori-
co Diocesano; AGT = Roma, Archivio generale teatino; ASNa = Archivio di Stato di Napoli;
ASV = Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano; BCP = Palermo, Biblioteca comuna-
le; BRUM = Messina, Biblioteca regionale universitaria; Annali = Gli Annali della città di
Messina di Caio Domenico Gallo, I-IV, a cura di A. Vayola, Messina 1877-1882, V-VI, cont.
Gaetano Oliva, Messina 1892-1893; DBI = Dizionario biografico degli italiani, Roma 1960-.
Per una veloce rassegna sul fenomeno si veda G. Zito, Sicilia, in Storia delle Chiese di Sicilia,
a cura di Id., Città del Vaticano 2009, pp. 27-259: 81-83 e bibl. alle pp. 157-161.
2
Vd., ad esempio, per Monreale: A. Crisantino, Quale filosofia per il regno di Sicilia?
Francesco Testa, la scuola di Monreale e Isidoro Bianchi (1770-1773), «Mediterranea - ricer-
che storiche», 25, 9 (2012), pp. 285-324; per Catania: A. Longhitano, Dal modello illuminato
del vescovo Ventimiglia (1757-1771) alla normalizzazione del vescovo Deodato (1773-1813),
in Chiesa e società in Sicilia. I secoli XVII-XIX. Atti del III Convegno internazional organiz-
zato dall’arcidiocesi di Catania, 14-26 novembre 1994, a cura di G. Zito, Torino 1995, pp.
41-58; per Patti: B. Lupica, Mons. Carlo Mineo e la “Duttrina” del 1767. Vita e pastorale
catechistica di un vescovo siciliano del XVIII secolo, Patti 2015; su Gabriele Maria di Blasi
vd. G. De Blasi, Il sepolcro di Gabriele Maria di Blasi di Ignazio Marabitti. Con una nota sui
perduti monumenti degli arcivescovi nel duomo di Messina, in «Archivio Storico Messinese»,
98 (2017), pp. 137-159: 137, nt. 1.
108 GUIDO DE BLASI

Scipione Ardoino nacque a Messina il 2 febbraio 1715, quinto e ultimo-


genito di Michele, principe di Palizzi, e di Caterina La Rocca, erede del titolo
di principe di Alcontres che fu quindi trasmesso al marito3; suo cugino, per
parte di madre, era il domenicano Tommaso Moncada, eletto giovanissimo
arcivescovo di Messina nel 17434.
Fu battezzato il giorno seguente, coi nomi di «Scipio, Antonius, Andre-
as, Candilorus, Blasius, Franciscus, Litterius, Benedictus, Gaspar, Baldassar,
Melchior», nella chiesa di S. Pietro dei Pisani dal parroco Nunzio Micalizzi
ed ebbe come padrini il fratello maggiore Pietro e l’ostetrica Rosa Iannò5.
Della sua infanzia non si ha alcuna notizia. Avviato alla carriera ecclesiastica,
entrò nella Congregazione dei Chierici Regolari Teatini, professando l’8 marzo
1732 presso la casa messinese della SS. Annunziata. In seno alla Congregazione
effettuò studi teologici e filosofici ma non divenne mai lettore di queste disci-
pline6. Il 24 febbraio 1736 ebbe il permesso della Congregazione per ricevere il
suddiaconato7 (ottenendo la licenza per il conferimento extra tempore il 27 aprile
successivo)8, mentre il 1° febbraio seguente gli fu consentito di esser ordinato dia-
cono «dispensando seco per gl’interstizi»9; il 20 settembre, al termine degli studi
teologici, fu approvato predicatore e confessore10 e il 5 ottobre gli fu concessa la
licenza per esser ordinato sacerdote11. Il 21 aprile 1738 fu ammesso alle confes-
sioni degli uomini12 e a quelle delle donne l’8 agosto 174213.

3
Sulla famiglia Ardoino, che deteneva, tra gli altri, anche i titoli di marchese di Roccalu-
mera e di grande di Spagna, vd. G. Galluppi, Nobiliario di Messina, Napoli 1877, pp. 26-27.
Sulla successione del titolo di principe di Alcontres, conteso dai mariti delle eredi del vecchio
possessore Pietro La Rocca, si segnala il ridicolo scontro che si ebbe tra le due fazioni durante
una celebrazione in cattedrale l’11 gennaio 1732, narrato in V. Ruffo, Baruffa di nobili messinesi
nella Cattedrale al 1732, in «Archivio Storico Messinese», 9 (1908), pp. 413-415.
4
Su Tommaso Moncada (1710-62) vd. Annali, IV, pp. 335, 367-368; V, pp. 9, 33, 39,
50, 70-71; Ad Messanensium Antistitum Catalogum a Pirro conscriptum additiones usque
ad annum MDCCXCI, in Sicilia Sacra, a cura di L. Boglino, I, Palermo 1899, pp. 266-270,
337-342: 337-338; G. Mellusi, Un’inedita cronotassi episcopale peloritana. Il ms. F.N. 204
della Biblioteca Regionale Universitaria di Messina, in «Archivio Storico Messinese», 94-95
(2013-2014) pp. 189-244: 197-201.
5
ASV, Congregatio Concistorialis Acta 1758/II, f. 404rv.
6
ASV, Processus Datariae 145, f. 309rv.
7
AGT, ms. 55 (Libro del definitorio e consulta, 1734-1737), p. 57. Desidero ringraziare p.
Juan Roberto Orqueida Guaglianone C.R. per l’aiuto nelle ricerche all’Archivio generale teatino
e p. Aleksander Iwaszczonek C.R. e la comunità teatina di S. Paolo Maggiore a Napoli per l’indi-
viduazione del ritratto.
8
Ibidem, p. 59.
9
Ibidem, p. 62.
10
AGT, ms. 56, p. 111; l’elezione in praedicatore evangelicum fatta dal Preposito generale
è del 24 settembre (ASV, Congregatio Concistorialis Acta 1758/II, f. 418v).
11
AGT, ms. 56 (Libro del definitorio e consulta, 1737-1739), p. 59. Mancando i registri
delle ordinazioni non si può risalire alla data esatta.
12
Ibidem, p. 78.
13
ASV, Congregatio Concistorialis Acta 1758/II, f. 419r.
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78) 109

Fig. 1 - Anonimo, Ritratto di Scipione Ardoino, 1771-78, olio su tela, Napoli, Casa teatina di
S. Paolo Maggiore
110 GUIDO DE BLASI

Visse prevalentemente nella casa dell’Annunziata, dove si trovò spesso


in dissidi coi confratelli per questioni inerenti alle cariche interne14; stette
per brevi periodi anche Napoli, nella casa di S. Paolo (1739), e a Palermo, al
Collegio Borbonico (1744), presumibilmente per predicare15.
Il 1749 fu cruciale per la sua carriera: Ardoino in primavera fu scelto quale
proprio teologo dal cugino arcivescovo, ricevendo il permesso pontificio il 16
dicembre con l’obbligo di residenza in una delle due case cittadine del suo ordine
(a seguito di voto del Generale dei Teatini)16; a fine anno fu nominato, sempre
dal cugino, rettore del seminario diocesano (gestito dal suo ordine sin dai tempi
dell’arcivescovo Simone Carafa), a seguito di un duro contenzioso sorto per fu-
tili motivi tra la reggenza e lo stesso Moncada, il quale riuscì – con particolare
insistenza presso il generalato teatino – a farne avere la guida a Scipione17.
Il 1° luglio 1753, sebbene religioso, ricevette parte dell’eredità dei geni-
tori tramite un atto stipulato col fratello Pietro: gli vennero assegnati cinque-
cento scudi da esigersi sugli introiti del feudo di Roccalumera, l’abitazione
nel palazzo di famiglia «in strata Cursus et prope Ven. Ecclesiam Sanctissi-
mae Annuntiationis», l’uso della carrozza con cavallo, il personale per la sua
conduzione e ciò che serviva alla sua manutenzione18.
Le nomine a teologo dell’arcivescovo prima e di rettore del seminario poi
furono viatico di una continua ricerca della mitra episcopale, che riuscì a gua-
dagnare solo quindici anni dopo la prima richiesta indirizzata alla Santa Sede.
Già nel maggio 1754 l’arcivescovo di Messina supplicò Benedetto XIV
affinché lo munisse «per soccorrere alle indigenze delle anime della sua va-
stissima Diocesi, la quale comprende quasi tre quarti (sic!) di tutto il Regno
di Sicilia, di un vescovo in partibus, ad effetto di potersene per suo ajuto ser-
vire»19. Moncada non esitò a segnalare, quale unico soggetto degno, «padre
don Scipione Ardoino, così pella sua dottrina, ed ottimissimi costumi, come
per il suo nascimento, e per esser mio congionto, quanto ancora perché son
tanti anni, che lodevolmente à esercitato, ed esercita, la carica di Rettore

AGT, R 086, Messina, 687, SS. Annunziata, ff. non num.


14

ASV, Processus Datariae 145, ff. 301v, 302v.


15
16
ASV, Segreteria di Stato, Lettere di Vescovi e Prelati 332, ff. 285v-286r; Congregatio
Concistorialis Acta 1758/II, ff. 417v-418r.
17
L’incartamento relativo alla vicenda è conservato in AGT, R 086, Messina, 687, SS.
Annunziata, ff. non num. In merito si rinvia alla ancora inedita relazione svolta da Giovan
Giuseppe Mellusi in occasione della giornata di studi Da cento anni nel cuore della Diocesi. Il
Seminario Arcivescovile San Pio X, organizzata il 2 aprile 2016 per il centenario dell’apertura
del Seminario di Giostra, dal titolo: Il Seminario di Messina dalle origini alla rifondazione
dell’arcivescovo Guarino.
18
ASV, Congregatio Concistorialis Acta 1758/II, ff. 423r-426v.
19
ASV, Processus Datariae 132, f. 194r.
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78) 111

di questo seminario de’ Chierici»20. L’arcivescovo, forse ingenuamente con-


vinto della ragionevolezza della sua richiesta e del certo accoglimento della
supplica, rimase stupito quando «degnossi la Santità Vostra manifestar l’A-
nimo suo clementissimo, che per suoi giustissimi alti riflessi non inclinando
di conferir simili vescovadi a regolari», ma chiese al Moncada di proporgli
«un prete secolare meritevole di una tanta, e tale dignità, che […] l’avrebbe
elevato alla medesima»21. Moncada, pertanto, dovette virare su altro sog-
getto, individuato nel canonico tortoriciano Gaetano Galbato, che fu quindi
rapidamente eletto vescovo titolare di Amatunte22.
Alla fine del 1757 Ardoino fu nominato vicario generale e luogotenente
dell’archimandritato del SS. Salvatore dal novello archimandrita, il messi-
nese Giovanni de Gregorio23, ricevendo il 18 dicembre il permesso del Ge-
nerale dei Teatini (richiesto dalla Congregazione per i vescovi e regolari)24 e
prendendo possesso della quasi-diocesi il 30 dicembre25.

20
Ibidem, f. 196v.
21
ASV, Processus Datariae 132, f. 196rv.
22
Gaetano Galbato nacque a Tortorici, allora appartenente alla diocesi di Messina, il 31
marzo 1707. Intrapresa la carriera ecclesiastica, conseguì il dottorato in teologia all’Università
di Catania il 14 giugno 1728; fu ordinato sacerdote a S. Martino delle Scale dal benedettino
Alfonso Naselli, vescovo titolare di Numidia, il 19 maggio 1731. Fu dapprima canonico,
quindi arcidiacono della collegiata di S. Nicolò in Tortorici, nonché vicario della diocesi di
Messina. Eletto appunto vescovo titolare di Amatunte e ausiliare di Messina, fu consacrato
presumibilmente da Moncada nei mesi successivi. Morì a Tortorici il 19 novembre 1786 e fu
sepolto nella locale chiesa della Badia. Vd. B. Lupica, Il vescovo dei tortoriciani. Appunti per
un profilo biografico di mons. Gaetano Galbato (1707-1786), Tortorici 2018.
23
Giovanni de Gregorio (1729-91), cardinale nel 1785, figlio di Leopoldo, marchese di
Squillace e ministro di Carlo III di Spagna, ottenne il beneficio archimandritale perché il so-
vrano non volle che le sue cospicue rendite uscissero dal Regno, assegnandone pure assegni
e pensioni ad altri prelati meridionali, vd. B. Tanucci, Epistolario, V, 1757-1758, a cura di
G. de Lucia, Roma 1985, pp. 189-190, 385-386. Sul de Gregorio vd. R. Ritzler - P. Sefrin,
Hierarchia Catholica Medii et Recientoris Aevi, VI, 1730-1799, Patavii, 1968, pp. 34-35, 49;
C. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio: 1550-1809, Roma 1994, pp. 237, 346,
619; Id. - M. Becker, Genealogien zur Papstgeschichte, III, Stuttgart 2002, p. 350.
24
Dagli atti della Procura generale teatina: AGT, ms. 78, ff. 41r-42r; il permesso fu rinno-
vato il 30 gennaio 1760 (AGT, ms. 79, f. 35rv), il 14 febbraio 1761 (ibidem, ff. 74v-75r), l’8
luglio 1763 (AGT, ms. 80, f. 47r), il 30 gennaio 1767 (AGT, ms. 81, f. 63r). Il 30 dicembre,
dopo la nomina abbaziale di Ardoino, la Congregazione concesse il permesso di vicario gene-
rale dell’archimandritato a Raimondo Moncada (AGT, ms. 81, f. 107r), che era stato scelto a
succedergli dal de Gregorio il 1° dicembre (ibidem, f. 105r).
25
ADM, Fondo Archimandritato, Carte Chimenz 8, passim. Vd. Annali, V, p. 49: «Però
con altrettanta soddisfazione, poco dopo [la morte dell’archimandrita Valenti e del suo vica-
rio Patti] fu appresa la nomina del nuovo archimandrita, che nella persona del cardinal De
Gregorio, allora Prelato Pontificio, erasi fatta cadere, sì perché egli ad una delle più illustri
famiglie patrizie di Messina apparteneva, e stimatissimo per le sue virtù di mente e di cuore
era da tutti, e sé perché a suo vicario generale avea prescelto il P. D. Giuseppe (sic!) Ardoino
de’ Principi di Alcontres, il più accetto fra i sacerdoti ed il più ben voluto fra i cittadini, che
come avrem agio di dimostrare più avanti, occupò poi degnamente e con tanto splendore la
112 GUIDO DE BLASI

Immediatamente fu proposto dal suo ordinario per la mitra: il prece-


dente vicario archimandritale, il benedettino Prudenzio Patti26, era stato
promosso all’episcopato ma morì pochi mesi dopo la consacrazione, a
breve distanza dalla dipartita dell’archimandrita Silvio Valenti Gonzaga27.
De Gregorio, stanziato a Roma – poiché il titolo era in commenda sen-
za obbligo di residenza – e su pressione dei parroci dell’archimandritato,
fece istanza al pontefice per far promuovere il suo vicario. Benedetto XIV
acconsentì, previo attestato de vita et moribus rilasciato dal Generale dei
Teatini, ma morì il 3 maggio 1758. Sebbene il processo canonico fosse
istruito e sostanzialmente completo di tutti gli allegati richiesti, il nuovo
papa Clemente XIII chiese consulto alla Congregazione concistoriale, che
nel consesso del 12 settembre 1758, nonostante le argomentazioni appa-
rentemente ragionevoli del ponente sulla peculiare condizione dell’archi-
mandritato, rigettò l’istanza «negative et amplius», senza fornire ulteriori
motivazioni28; si può immaginare tuttavia che l’evenienza di un ordinario
ancora non promosso al presbiterato con un vicario insignito invece del
carattere episcopale potesse esser ritenuta cosa anormale.
Il governo archimandritale fu tranquillo e privo di particolari questio-
ni estranee all’ordinaria amministrazione di una piccola diocesi e che po-
tessero creare difficoltà al vicario: le uniche vicende problematiche furo-
no quelle legate alla carestia del 1764, per lo più inerenti al contrabbando
di viveri esercitato da alcuni sacerdoti e cittadini dell’archimandritato29.

cattedra arcivescovile di Messina».


26
Prudenzio (al secolo Giovanni Filippo) Patti nacque a Santa Margherita (Messina)
il 24 febbraio 1689; entrato nell’ordine benedettino cassinese presso l’abbazia di S. Placi-
do di Messina, professò il 22 novembre 1705 e fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di
Messina Giuseppe Migliaccio il 12 marzo 1712 nella chiesa del monastero cittadino di S.
Anna. Vicario generale dell’archimandritato dal 1743, fu anche abate titolare di S. Placido
il Vecchio e visitatore della provincia siciliana nel 1755. Su richiesta del cardinale Silvio
Valenti Gonzaga fu eletto vescovo titolare di Diocesarea il 5 aprile 1756 e consacrato nella
chiesa di S. Teresa ai Gentilmeni il 4 luglio da Tommaso Moncada, con l’assistenza di
due abati. Morì a Messina il seguente 6 novembre e fu sepolto al romitorio di S. Placido il
Vecchio. Vd. ASV, Processus Datariae 133, ff. 102r-128r; ADM, San Placido Calonerò,
1, Affari di religione, ff. 132rv, 136r-141v; Annali, V, pp. 75-76; Ad Messanensium, cit.,
p. 337; A. Bonifacio, Il monastero benedettino di S. Placido Calonerò e la sua biblioteca,
in «Archivio Storico Messinese», s. 3, XXVI-XXVIII (1975-1976), pp. 91-178: 117-118;
Ritzler - Sefrin, Hierarchia Catholica, VI, cit., p. 196; G. Spinelli, Episcoporum Casinen-
sium seu Congregationis S. Justinae de Padua series chronologica: II. Ab anno 1604 usque
ad annum 1799, in «Benedictina», 52 (2005), pp. 353-369: 364.
27
Su Silvio Valenti Gonzaga (1690-1756), cardinale Segretario di Stato, vd. i saggi in Ri-
tratto di una collezione. Pannini e la galleria del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, Catalogo
della mostra, Mantova 2005, a cura di R. Morselli - R. Vodret, Milano 2005.
28
ASV, Congregatio Concistorialis Acta 1758/II, f. 400r.
29
La documentazione relativa al suo vicariato è in ADM, Fondo Archimandritato, Regi-
stri di cancelleria 74, 78, 86, 90-91, 93, 97-98, 100-101, 108, 125. Di particolare importanza
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78) 113

Alla morte di Gabriele Maria di Blasi, avvenuta il 1° febbraio 1767,


Senato e Capitolo di Messina insisterono per la nomina di un concitta-
dino alla cattedra di Bacchilo, e ovviamente Ardoino, insieme a Corrado
Deodato Moncada – nipote per parte di madre di suo cugino-arcivescovo,
vicario generale di Messina e arcidiacono del Capitolo30 –, era presente nei
desiderata messinesi. Non bastarono, tuttavia, né i memoriali diretti a Pa-
lermo e alla Curia romana, né le pressioni dell’agente messinese alla cor-
te partenopea, Giacomo Bottari: il viceré Giovanni Fogliani scelse primo
in terna il teatino palermitano Giovanni Maria Spinelli, che fu approvato
dalla giunta di Sicilia a Napoli il 29 giugno e confermato dal papa il 10
luglio31. Ai messinesi in terna, Ardoino e Deodato appunto, costò secondo
Fogliani l’esser «molto inferiori di merito al p. Spinelli»32: in particolare
l’Ardoino, che era il preferito dal Capitolo (poiché Deodato era messinese
solo per via materna) fu «pregiudicato dalle rappresentanze fatte in Napoli
di esser ignorante»33.
Non doveva essere però così carente agli occhi del Fogliani: appena un
anno dopo fu eletto abate, nonché ordinario, della piccola enclave diocesana
di Santa Lucia vacante dal 176034. E non è difficile presumere che ci pos-
sa esser stato l’interessamento del padre dell’archimandrita, il fidatissimo a
Carlo III di Spagna marchese Leopoldo de Gregorio, che nel 1766 fuggì da
Madrid per rifugiarsi nella natìa Messina a causa delle insurrezioni contro il
suo operato35. Confermato nella nuova carica da Clemente XIII il 18 novem-

sono i regg. 78 e 97, contenenti i biglietti vicereali diretti alla Curia archimandritale.
30
Su Deodato (1736-1813) vd. A. Longhitano, Le relazioni «ad limina» della diocesi di
Catania (1595-1890), II, Catania 2009, pp. 657-713; Id., Dal modello illuminato, cit.
31
La corrispondenza del Capitolo sulla nomina di un arcivescovo messinese nel 1767
è in ACMe, Scritture diverse, Sede vacante 1500-1786, ff. 151r-164v. Vd. G. Arenaprimo,
Diario Messinese degli anni 1766 e 1767, in «Archivio Storico Siciliano», 20 (1895), pp.
382-441: 421-425; Annali, V, pp. 94-95. Sul Fogliani (1697-1780) vd. S. De Majo, Fogliani
Sforza d’Aragona, Giovanni, in DBI, vol. 48, Roma 1997, pp. 454-458; su Spinelli si veda
Annali, V, pp. 94-96, 101.
32
ASNa, Casa Reale Antica 867, ff. non num., cit. in B. Tanucci, Epistolario, XVIII,
1766-1767, a cura di M.G. Maiorini, Napoli 2007, p. 428.
33
Arenaprimo, Diario, cit., p. 423.
34
Il motivo della lunga vacanza si spiega con la straordinarietà della circoscrizione eccle-
siastica e con il legame della stessa al titolo di Cappellano maggiore del Regno di Sicilia. Sulla
questione si vedano gli scritti di Alfonso Airoldi, che esaminò giuridicamente la vicenda:
BCP, ms. Qq H 132; vd. anche Tanucci, Epistolario, XVIII, cit., pp. 152-153, 320-321, 428;
G. Parisi, Alla ricerca di Diana Facellina. S. Lucia e il Melan nel mito e nella storia, S. Lucia
del Mela 1973, p. 245.
35
Su Leopoldo de Gregorio vd., da ultimo, E. Papagna, Squillace, Leopoldo de Gregorio
marchese di, in DBI, vol. 93, Roma 2018, pp. 806-809.
114 GUIDO DE BLASI

bre 176736, Ardoino non ebbe però il titolo collegato di Cappellano maggiore
del Regno di Sicilia; solo mesi dopo, il 9 luglio 1768, ottenne la Cappellania
ma per la sola città e distretto di Santa Lucia, venendo coì equiparato pie-
namente a un ordinario diocesano37. Seguì finalmente l’assegnazione di un
vescovado titolare: il 19 dicembre 1768 fu eletto vescovo in partibus di Ze-
nopoli e fu consacrato il 5 marzo successivo nella chiesa di S. Vito a Pozzo
di Gotto dall’arcivescovo Spinelli, assistito dai vescovi Carlo Mineo di Patti
e Gaetano Galbato38.
Il breve episcopato luciese, così come il governo archimandritale, fu assai
tranquillo: del suo operato si ricorda solamente il riconoscimento da parte
della Santa Sede al territorio luciese di vere nullius dioecesis39.
Alla morte di Giovanni Maria Spinelli il desiderio di avere un concit-
tadino arcivescovo poté finalmente esser soddisfatto. Dopo le insistenze di
Capitolo e Senato, la terna predisposta dal viceré Fogliani presentava solo
soggetti messinesi – in ordine: Scipione Ardoino, Corrado Deodato Moncada
e il canonico della cattedrale Pietro Paolo De Stefano40 –. Ardoino fu quindi
approvato dalla Giunta di Sicilia e proposto a Clemente XIV il 16 novembre
177041; assistette a Roma, il 17 giugno 1771, al concistoro nel palazzo del
Quirinale in cui il papa lo preconizzò alla sede messinese e durante il conses-
so poté personalmente richiedere il pallio, che gli fu consegnato immediata-
mente dopo dal cardinale camerlengo Alessandro Albani nella sua cappella
domestica42.
La nomina di un concittadino ad arcivescovo di Messina entusiasmò la
popolazione, che festeggiò in maniera eccessiva l’ingresso del prelato il
10 luglio: «i messinesi, con la nomina di un loro concittadino a capo della
diocesi, videro finalmente appagato un loro antico desiderio, e la scelta di
monsignor Ardoino, alla quale non era estraneo il Senato, li avea colmati di
gioia; perciò l’entrata di lui in Messina fu festeggiata in modo insolito, non

S. Di Chiara, De Capella regis Siciliae, Panormi 1815, pp. 177-178.


36

Ibidem, pp. 178-179.


37
38
F. Imbesi, Flos † Cinis. Epigrafi nelle chiese di Barcellona Pozzo di Gotto, Barcellona
Pozzo di Gotto 2012, p. 9. Fu persino realizzato da Filippo Vescosi un dipinto raffigurante la
consacrazione, vd. S. Di Bella, Dagli archivi: pittori poco conosciuti o dimenticati (secoli
XVIII-XIX). Parte III, in «Archivio Storico Messinese», 98 (2017), pp. 181-209: 199.
39
Parisi, Alla ricerca, cit., pp. 246-247.
40
Ad messanensium, cit., p. 340. Sul De Stefano vd. Annali, V, ad indicem.
41
ASV, Processus Datariae 148, ff. 31r ss.; La decisione era stata però presa prima: Ta-
nucci scrisse a Carlo III il 16 ottobre annunciandogli la nomina per Messina dell’abate di
Santa Lucia, «sacerdote esemplare, limosiniere, e bastante teologo», vd. Lettere di Bernardo
Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), a cura di R. Mincuzzi, Roma 1969, n. 581 p. 640.
42
«Diario Ordinario», n. 8276 (22 giugno 1771), pp. 9, 15; «Notizie del mondo», III
(1771), p. 406.
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78) 115

venendo le feste limitate alla sola Cattedrale o nell’ambito dei tempi e dei
monasteri. La città tutta vi prese parte, e per ben tre giorni furonvi luminarie
nei pubblici e privati edifizi, cuccagne per la povera gente, fuochi artificiali,
e tutto ciò che potea divertire il popolo, come per antica consuetudine usava-
si nelle grandi solennità civili e religiose»43.
Le notizie sul suo episcopato sono parche, come sempre mediate per lo
più dall’annalistica44. Nel gennaio 1772 si prodigò in beneficenze per soc-
correre e sovvenzionare le popolazioni dei villaggi circostanti Messina, col-
pite da un uragano45. Nello stesso anno dovette subire il drastico calo delle
ordinazioni presbiterali: il ministro della Regia Azienda Francesco Gemelli
reputò per l’arcidiocesi peloritana eccessivo il numero dei preti, i quali go-
devano di una tassazione agevolata, e, applicando le disposizioni della regia
visita di Giovanni Angelo De Ciocchis e una sentenza del giudice della Regia
Monarchia del 1757, fece emanare l’11 giugno un dispaccio vicereale che
limitò le ordinazioni; in tal maniera, solo quell’anno, a Messina vi furono
settanta nuovi sacerdoti su duecento pronti a diventarne46.
Nel 1773, il 20 ottobre, accolse il viceré Fogliani per rinnovo delle sue
funzioni celebrato in cattedrale. Il marchese era fuggito da Palermo per i tu-
multi che occorsero contro il suo governo e arrivò a Messina il 26 settembre,
ove rimase fino a metà 177447: Ardoino ebbe modo di presenziare a tutte le
occasioni, civili e religiose, che prevedevano la presenza dell’arcivescovo
nel cerimoniale vicereale48.
Estremamente affettato, si trovò sovente in contenzioso col Senato per
questioni di etichetta e precedenze in funzioni religiose e processioni49 e non
è un caso che la circostanza che gli diede più lustro fu appunto cerimonia-
le: riuscì infatti a ricavare – forte della residenza messinese del viceré, che
accompagnava – la presidenza del braccio ecclesiastico del parlamento del
Regno, riunito nel palazzo vescovile di Cefalù dal 4 al 9 luglio 1774, in virtù
del ius metropolitico sul suo suffraganeo50.

43
Annali, V, p. 103.
44
Tracce documentarie inerenti al suo episcopato che meriterebbero un’attenta indagine,
ma relative solo ad affari ecclesiastici di preminente interesse regio (questioni giurisdizionali
e contenziosi), si trovano in ASNa, Segreteria degli Affari ecclesiastici, Registri dei dispacci
363, 375, 378, 385, 402, 417.
45
Annali, V, p. 103.
46
Ibidem, p. 104.
47
Ibidem, pp. 108-111. Sui tumulti di Palermo vd. S. Laudani, “Quegli strani accadimen-
ti”. La rivolta palermitana del 1773, Roma 2005.
48
Mellusi, Un’inedita cronotassi, cit., pp. 202-204.
49
Come nel 1777: vd. E. Mauceri, Messina nel Settecento, Palermo 1924, pp. 237-239.
50
Annali, V, pp. 113-114; Ad messanenisum cit., p. 340; F.M. Emanuele e Gaetani mar-
chese di Villabianca, Diario palermitano, in Diari della Città di Palermo dal secolo XVI
116 GUIDO DE BLASI

Circa questioni di culto, fece ottenere nel 1776 l’orazione Concede que-
sumus, ut fideles sui per l’Officio e la messa della Madonna della Lettera,
concessa con decreto di Pio VI il 16 marzo; il 2 luglio 1777 lo stesso pontefi-
ce accordò con rescritto l’ostensione del corpo della beata Eustochia51.
Compì la Sacra Visita, come attestano alcuni registri parrocchiali, sebbe-
ne parzialmente e in precarie condizioni a causa delle difficoltà dovute alla
vastità della diocesi52 (che proprio negli ultimi mesi del suo episcopato in-
traprese il cammino verso la riduzione)53; forse per questo motivo, malgrado
l’obbligo dettato dai canoni del Concilio di Trento, mai trasmise a Roma le
relazioni ad limina, né vi chiese proroga o dispensa54.
Dai tre predecessori (Moncada, di Blasi e Spinelli) ereditò il vicario ge-

al XIX, XVI, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1875, p. 203. La vicenda della presidenza del
braccio ecclesiastico, oltre a brevi note che enfatizzano la pietas del pastore, occupa la quasi
totalità dell’anonimo Appunti biografici di Monsignor Scipione Ardoino arcivescovo di Mes-
sina (BRUM, F.N. 228, ff. 72r-73r).
51
Mellusi, Un’inedita, cit., p. 203.
52
Ad esempio a Troina: F. Bonanno, Memorie storiche della città di Troina, Catania
1789, p. 7: «le strade […] della vasta diocesi di Messina […] rendono tanto difficile l’annuale
accesso del Pastore […], l’ultima visita della diocesi, fatta da monsignor Arduino, non poté
altrimenti seguire (ma non terminarsi) che in un portantino»; o anche nella parrocchia di rito
greco S. Nicolò dei Greci il 16 ottobre 1775 (V. Schirò, Sulla origine ed elevazione a par-
rocchia di rito greco cattolico della chiesa di S. Nicolò dei Greci in Messina, Messina 1863,
pp. 42, 60) e a Castiglione di Sicilia il 19 ottobre 1776 (Visite Pastorali – Revisioni conti.
Parrocchia “Santi Pietro e Paolo” Castiglione di Sicilia [dal 1609], all’url https://tentamina.
com/2014/10/17/visite-pastorali-revisioni-conti-parrocchia-santi-pietro-e-paolo-castiglio-
ne-di-sicilia-dal-1609/, 12 febbraio 2019).
53
S. Gioco, Nicosia diocesi, Catania 1972, passim.
54
L’unica relazione antecedente l’episcopato di Scipione Ardoino risale al 1741, quando
l’arcivescovo Thomas Vidal y de Nin (1730-43) effettuò la visita per mezzo di un agente
(ASV, Congr. Concilio, Relationes ad limina 517b, ff. 476r-501v). Tommaso Moncada (1744-
62) né fece la visita, né mandò relazione. Gabriele Maria di Blasi, appena eletto e ancor prima
di esser consacrato, il 13 luglio 1764 scrisse alla Congregazione del Concilio di aver trovato
inadempiuta la visita per più trienni e chiese l’assoluzione e la proroga, che venne concessa
per un anno (ibidem, ff. 502r-503v), tuttavia effettuò la visita tramite procuratore tra il 20
agosto e il 20 settembre (ibidem, ff. 504r-509v) e supplicò nuovamente una proroga, che fu
rilasciata ad biennium il 18 settembre 1765 (ibidem, ff. 510r-511v). Il successore di monsi-
gnor di Blasi, Giovanni Maria Spinelli, effettuò solo la visita per procuratore e ottenne due
proroghe annuali, nei dicembri 1768 e 1769 (ibidem, ff. 512r-515v). Ardoino e il suo succes-
sore, Nicolò Ciafaglione (1780-89) non trasmisero alcunché a Roma, neppure tramite agente
o procuratore, tantoché Francesco Paolo Perremuto (1790-91), in Urbe per farsi consacrare,
dovette supplicare anch’egli assoluzione e proroga (che fu concessa per la presentazione della
relazione infra triennium) nella visita che effettuò il 6 aprile 1790 (ibidem, ff. 516r-517v). Ga-
etano Maria Garrasi (1792-1817) compì personalmente la visita il 27 giugno 1792, chiedendo
per la relazione una proroga ad quinquennium, che venne però concessa ad biennium (ibidem,
ff. 520r-523v). Dopodiché né Garrasi, né Antonio Maria Trigona (1817-19), né Francesco di
Paola Villadicani (1823-61) onorarono i dettami conciliari: per rinvenire una visita e relazio-
ne ai sacri limini bisogna arrivare al 20 novembre 1869 durante l’episcopato di Luigi Natoli
(1867-75) (ibidem, ff. 558r-569v).
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78) 117

nerale, il già citato parente Corrado Deodato Moncada, che, quando questi
venne eletto vescovo di Catania nel 1773, sostituì col canonico Tommaso del
Pozzo55. Richiese e gli fu concesso anche un ausiliare, il canonico Francesco
Maria Cotroneo, che ordinò vescovo nell’aprile 177356. Il 2 agosto 1772 con-
sacrò a Messina, con l’assistenza di due abati, il vescovo ausiliare di Siracusa
e titolare di Medea Sebastiano Landolina Nava, destinato a svolgere i pon-
tificalia in vece dell’ordinario Giovanni Requesens gravemente ammalato57.
Scipione Ardoino morì il 5 maggio 1778 nella villa ‘arcivescovile’ in lo-
calità Contesse, dove si era ritirato su consiglio dei medici, «per una impro-
visa suffocazione e sputo di sangue»58; la salma fu trasportata in cattedrale,
ove si tennero sontuosissimi funerali con la recita dell’orazione funebre del
padre teatino Francesco Lazzari e la sepoltura «accanto alle spoglie degli
altri illustri e innumerevoli arcivescovi di Messina»59. Per tre giorni il po-
polo messinese, che – a detta dell’annalista Gaetano Oliva – tanto amava il
suo pastore, accorse al duomo ad ammirare un superbo catafalco eretto in
onore del defunto, mentre nelle altre chiese cittadine, ottemperando antiche
consuetudini, si tennero partecipati mortori60.
Andrea Gallo invece, con particolare acredine e fornendo informazioni
taciute dalle poche altre testimonianze a noi giunte, notò nei suoi frammen-
tari appunti sugli avvenimenti notevoli di Messina che Scipione Ardoino
«come messinese fu ben accolto da suoi concittadini, quali però ebbero ben
giusto motivo di dolersi di lui pella sua inerzia, e spensieratezza negli affari,
lasciando da per tutto regolarsi da un suo credenziere per nome Antoniuccio
Lombardo, e dal suo cameriere, uomini di bassa estrazione, il primo de quali
sendosi più che l’altro arricchito co suoi maneggi ed estorsioni fu dopo la
morte dell’arcivescovo condannato alla Galea, se bene poi dal Tribunale del-
la G[ran] C[orte] venne liberato»61.

55
Ad Messanensium, cit., p. 340.
56
Francesco Maria Cotroneo (o Cutroneo) nacque a Messina il 16 ottobre 1713. Ordinato
sacerdote dall’arcivescovo Vidal nel 1736, fu canonico della cattedrale. Eletto vescovo titola-
re di Zoara il 15 marzo 1773, fu consacrato il 16 o 28 aprile. Alla morte di Ardoino fu vicario
capitolare. Morì il 5 novembre 1780 e fu sepolto nella chiesa di S. Paolo dei Disciplinanti. Vd.
ASV, Processu Datariae 150, ff. 3r-15r; Iuramenta 6, ff. 1r-4r; Annali, V, p. 219.
57
Ritzler - Sefrin, Hierarchia Catholica, VI, cit., p. 283. Su Landolina (1708-87) si veda
O. Garana, I vescovi di Siracusa, Siracusa 1969, p 196.
58
BRUM, ms. F.N. 193 (Andrea Gallo, Miscellanea), f. 66v; Annali, V, p. 126.
59
Ibidem. Il cerimoniale delle sue esequie è in BRUM, ms. F.N. 146, passim. Sulla sepoltura
in cattedrale di Ardoino, attualmente non identificabile, vd. De Blasi, Il sepolcro, cit., p. 154.
60
Annali, V, p. 126.
61
BRUM, ms. F.N. 193, f. 66rv; su Andrea Gallo (1734-1814) vd. L. Giacobbe, L’an-
tiquario al tavolino: Andrea Gallo e la formazione di una Wunderkammer nella Sicilia del
Settecento, Messina 2010.
118 GUIDO DE BLASI

Scipione Ardoino va pertanto inquadrato nel fenomeno dei religiosi ap-


partenenti alle famiglie magnatizie della Sicilia e promossi all’episcopato
tra Settecento e Ottocento62: egli, grazie a un intreccio di parentele e relazio-
ni, prima nepotisticamente con l’arcivescovo Moncada, poi clientelamente
con l’archimandrita de Gregorio e con il viceré Fogliani, riuscì a scalare la
gerarchia ecclesiastica, senza possedere, tuttavia, tutte quelle qualità che lo
contraddistinguessero esemplare nel munus episcopale, differentemente da
altri pastori isolani, tanto da suscitare alla sua morte opinioni tra loro agli
antipodi. Il suo stesso governo, nell’archimandritato, a Santa Lucia e a Mes-
sina, non presentò particolari forme di innovazione ‘illuminate’ – che intanto
pullulavano in Sicilia – né in campo pastorale, né teologico, né tantomeno
amministrativo.
In compenso Ardoino fu probabilmente quello che serviva all’egoriferita
Messina tardo-settecentesca – città e Chiesa – in crisi di autostima63: un ri-
chiamo di gloriosi tempi e principeschi episcopati passati, che potessero farla
sentire ancora rilevante, quando inconsapevole si avviava di lì a poco alle
traumatiche calamità del 178364.

M. Rosa, Settecento religioso. Politica della Ragione e religione del cuore, Venezia
62

1999, pp. 213-214; G. Zito, Dusmet e l’episcopato benedettino siciliano tra i Borboni e l’U-
nità, in Chiesa e società, cit., pp. 59-96.
63
In merito basta scorrere Mauceri, Messina, cit., passim o Annali, V, passim.
64
Vd. N. Aricò, Cartografia di un terremoto: Messina 1783, in «Storia della città», 13
(1988); S. Bottari, L’altro terremoto: Messina, 1783 e dintorni, in Messina dalla vigilia del
terremoto del 1908 all’avvio della ricostruzione, a cura di A. Baglio - S. Bottari, Messina
2010, pp. 41-56.
Maria Teresa Di Paola

LA FILANDA BARBERA ALL’ANNUNZIATA

Ubicato quasi alla foce del torrente Annunziata, a fianco del monastero
basiliano del S. Salvatore (fig. 1), ove oggi ricade il Museo Regionale di
Messina, si trovava un edificio anticamente adibito a luogo dei mangani per
trarre seta, di cui nel corso degli anni si erano perse le tracce, ma che in tempi
recenti cominciò a essere indicato come filanda Mellinghoff, cioè col nome
del cittadino tedesco che ne fu l’ultimo proprietario.
In questa breve nota cercherò di spiegare perché sarebbe più esatto indi-
care questo edificio come filanda Barbera. Le poche tracce della presenza
di Friedrich Wilhelm Mellinghoff a Messina fanno ritenere che nel fab-
bricato da lui acquistato nel 1902 all’Annunziata, e «che anticamente era
destinato a filanda», egli non avesse attivato un impianto per la trattura
della seta. È più probabile invece che lo avesse utilizzato come magazzino
di deposito per la propria attività commerciale, fino a quando non lo mise
a rendita affidando a un factotum la riscossione del canone dovutogli1. In
esso furono accatastati, infatti, tutti i reperti del Museo civico e del patrimonio
artistico che fu possibile recuperare tra le rovine della città distrutta.
Nelle Biografie cittadine scritte da Pietro Preitano e stampate a Messina
nel 1881 dalla Tipografia Fratelli Messina, lo studioso locale afferma che a
Messina «la filatura della seta ha ormai toccato tale incremento da alimentare
diverse centinaia di donne nelle filande di Eaton, Barbera e Guerrera», senza
precisare né il nome di battesimo dei sunnominati né dove queste filande
erano situate, poiché presumeva che i suoi lettori ne fossero a conoscenza.
Per chi fosse oggi interessato a ricostruire la storia della sericoltura nell’a-
rea dello Stretto, questa frase costituisce tuttavia un interessante indizio dal
quale partire per individuare alcune delle filande messinesi di cui si è persa
traccia e che intorno al 1880 erano ancora attive in città. In particolare, essa
documenta l’esistenza della filanda Barbera che non si trova nominata in
nessun’altra pubblicazione riguardante la vita economica della città in età
contemporanea.

1
Vedi testimonianza del primo direttore del Museo, Enrico Mauceri, Messina nei miei
ricordi, in «Brutium», a. XV, n. 1, gennaio-febbraio 1936, p. 27.
120 MARIA TERESA DI PAOLA

Fig. 1 - From below the convent of St. Salvador. In the bay of Messina, 100x220 mm., inci-
sione di Edward Goodall (1795-1870) su disegno di Peter Dewint (1784-1849), pubblicata da
Rodwell & Martin, New Bond Street, London, 1822.

Una ricerca fatta per localizzare le filande presenti a Messina nell’Otto-


cento consente d’affermare che la filanda Eaton era situata nel borgo San
Leo, in una vasta area a fianco del Torrente omonimo (poi detto Torrente
Trapani) dove oggi sorge l’isolato 481 lungo il viale della Libertà (Palazzo
Palano), un’area nella riviera di San Francesco che un tempo ricadeva fuori
le mura della città. A erigerla in quel luogo era stato il negoziante tedesco
Wilhelm Jeager2, i cui eredi la vendettero in seguito al negoziante inglese
Edward James Eaton, che nell’acquisto coinvolse la sorella Mary Ann, spo-
sata con il facoltoso nobile tedesco Johann von Walig.
Di tale filanda non rimane alcuna immagine, ma l’area dove sorgeva
è chiaramente indicata nella Pianta della città di Messina (fig. 2) incisa
presso la litografia G. Heusser di Messina3. Inoltre, un rilievo catastale fatto
per delimitare l’isolato nell’assetto stradario dopo il terremoto del 19084,

La filanda fu avviata nel 1845 con 100 bacinelle inserite in 34 banchi separate. Per una
2

sua descrizione cfr. G. Coglitore, Storia Monumentale-Artistica di Messina, Tipografia del


commercio, Messina 1864, p. 63.
3
La pianta incisa da Heusser si trova allegata in Guida descrittiva della città di Messina
con pianta topografica, Messina, Carmelo De Stefano Editore, 1882, oggi in Guide e Annuari
di Messina nell’Ottocento, a cura di R. Battaglia, Messina 1994.
4
Le linee tratteggiate indicano le aree che sarebbero state espropriate per allargare le
strade.
La filanda Barbera all’Annunziata 121

Fig. 2 - Pianta della città di Messina, incisione del litografo Hesseur.

documenta che gli edifici esistenti appartenevano allora a Elzie-Mary Eaton


del fu Edward e a Mary Ann Eaton del fu Johann von Walig. Probabilmente,
in seguito alla morte di Eaton nel 1902, la filanda che sorgeva in questo
luogo fu disattivata e i locali destinati ad altro uso (fig. 3)5.
D’altronde, la documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello
Stato, nel fondo riguardante gli aiuti alle filande calabresi e siciliane che subi-
rono danni nel terremoto del 1908, non fa alcun riferimento alla filanda Eaton
di Messina. Essa contiene invece l’incartamento della pratica avviata dalla
‘John Heathcoat & Co.’, di cui Eaton era stato uno dei soci, per segnalare i
danni subiti nelle filande di Villa San Giovanni e Gazzi gestite da tale ditta, e
che da lungo tempo fornivano la seta per i filati finissimi necessari alla produ-
zione di veli e merletti del proprio stabilimento di Tiverton, nel Devon6.
La filanda Guerrera era situata invece a Gazzi/Fucile, dove ricadono

5
Copia di mappa dell’isol. 481 fornitami il 3 novembre 2013 dall’arch. Mariella Caminiti.
6
Roma, Archivio Centrale dello Stato, MI, DGAC, CCS, b.473, Relazione non datata sui
risultati dell’indagine fatta sulla ditta ‘John Heathcoat & Co.’.
122 MARIA TERESA DI PAOLA

Fig. 3 - Rilievo catastale dell’isol. 481 con le aree di pertinenza di Elzie-Mary e Mary Ann
Eaton, part.

l’attuale Carcere Giudiziario di Messina e la chiesa parrocchiale di S. Nicolò,


e aveva lavorato esclusivamente per ‘John Heathcoat & Co.’, la ditta inglese
che dal 1845 al 1920 l’aveva tenuta in locazione, tanto che la gente del luogo
usava indicarla in genere come filanda Hallam, Eaton, o Skinner, cioè col
cognome di chi nel tempo ne assunse la responsabilità della conduzione.
La filanda fu impiantata da Mario Guerrera nel 1831, in un fabbricato
limitrofo all’antica chiesa di S. Nicolò, lungo la via del Dromo, che è chia-
ramente visibile nel dipinto di Francesco Fergola relativo allo sbarco delle
truppe borboniche a sud della città nel 1848 (fig. 4). All’epoca essa era gestita
da Thomas Hallam, che ne aveva ampliato il modesto impianto, installando
moderne macchinette per la trattura della seta da lui fornite e introducendo
pure il vapore, usato dapprima solo per riscaldare l’acqua per l’ammollo dei
bozzoli, e in seguito pure per alimentare i meccanismi di trattura e avvolgi-
mento della seta7.
Nel corso degli anni l’edificio e l’impianto della filanda Guerrera subirono

La filanda Guerrera iniziò a produrre seta grezza con solo due bacinelle, ma quasi su-
7

bito altre quattro furono aggiunte. La crescente domanda di seta grezza di Messina fece poi
aumentare ulteriormente il loro numero, che tra il 1844 e il 1854 passò da 36 a 146 (vd. Co-
glitore, op. cit., p. 65).
La filanda Barbera all’Annunziata 123

Fig. 4 - Francesco Fergola (1791-1874), Lo sbarco delle truppe borboniche a Messina, olio su
tela 1849, Napoli, Museo Nazionale di S. Martino, part.

diverse modifiche, con l’aggiunta di vari ambienti, fra cui gli uffici per la
direzione, la sala per la caldaia che generava il vapore, una grande bigat-
tiera, le stanze per depositare seta e bozzoli etc. Di essa rimane, infatti, una
pianta che ne mostra l’organizzazione interna e le aree che le sarebbero state
espropriate per l’attuazione del piano per la ricostruzione della città dopo il
terremoto del 28 dicembre 1908.
In seguito a questo catastrofico evento gli edifici della filanda subirono
molti danni a causa del crollo della ciminiera e del campanile della chiesa
limitrofa. Ciononostante, essendo la seta essenziale per la produzione dello
stabilimento ‘John Heathcoat & Co.’ di Tiverton, la ditta inglese riparò la
filanda di Gazzi per metterla in condizione di riprendere l’attività; tuttavia,
allo scadere del contratto nel 1919, gli eredi Guerrera intimarono lo sfratto,
per poi vendere, nel 1923, l’immobile ai fratelli Papandrea di Domenico8.
Per quanto riguarda la filanda Barbera, l’unica che risultò attiva nel corso
di alcune rilevazioni statistiche effettuate nell’Ottocento, si trovava a Gioiosa

8
I fratelli Papandrea, la cui famiglia aveva da tempo avviato delle filande a Roccalumera,
poterono utilizzare solo per alcuni anni la filanda di Gazzi, che fu loro espropriata nonostante
avessero presentato le proprie obiezioni al Capo del Governo nel memoriale Per la difesa di
un’industria, stampato nel 1929 a Messina dalla tipografia ‘La Commerciale’.
124 MARIA TERESA DI PAOLA

Marea, per cui si suppone che Preitano, parlando delle filande che davano
lavoro alle donne di Messina, non si riferisse a uno stabilimento situato in
un comune della provincia. Nel 1855 questa filanda di Gioiosa apparteneva
a Pietro Barbera, ma nel 1888 proprietario di essa era Giovanni Barbera, il
quale, come vedremo, all’epoca aveva dovuto probabilmente già disattivare
la filanda da lui avviata a Messina9.
Scorrendo un indice di beni situati in provincia di Messina e apparte-
nuti agli ordini religiosi soppressi in Sicilia e messi all’asta dopo l’Unità, è
stato riscontrato che Giovanni Barbera acquistò nel 1870 un cespite di 3.50
ettari lungo la riviera del Ringo a Messina, accanto all’ex monastero del S.
Salvatore, il quale era appartenuto al disciolto Ordine Basiliano, e compren-
deva «agrumi, casa e magazzino». Messo in vendita dallo Stato italiano per
38.000 lire come base d’asta, il cespite non aveva dovuto ricevere offerte al
rialzo, perché alla fine Barbera se l’aggiudicò per solo 17.100 lire10.
Dopo questa somma iniziale di denaro, e quella spesa per catastare a pro-
prio nome il bene acquisito11, per avviare e tenere attiva la filanda Giovanni
Barbera dovette impegnare molto altro capitale, forse facendo pure ricorso
a prestiti. Ritenendo che in breve tempo sarebbe riuscito ad ammortizzare le
somme impegnate, egli aveva finito invece con l’accumulare molti debiti, e
per soddisfare la massa dei creditori ebbe sequestrato e messo all’asta il fab-
bricato della filanda con il fondo limitrofo che il tribunale aggiudicò al nego-
ziante Francesco Rizzotti Lella, con sentenze rispettivamente del 13 giugno
1892, registrata al n. 2431, e dell’8 agosto dello stesso anno, registrata al n.
32712.
Non è noto l’uso che Rizzotti Lella fece di questi cespiti, né se, come e
quando riuscì ad averne la piena disponibilità, poiché è documentato che su
ambedue gravavano talune iscrizioni, delle quali qualcuna contro il debitore
espropriato Giovanni Barbera di data anteriore alle sentenze di aggiudica-
zione, e altre posteriori alle suddette sentenze e a favore della massa dei
creditori contro l’aggiudicazione al Rizzotti Lella13. L’unica cosa certa è che

9
Vd. tabella ‘Stabilimenti per la trattura della seta in attività nel 1888 nella provincia
di Messina’, in R. Battaglia, L’ultimo splendore: Messina tra rilancio e decadenza (1815-
1920), Soveria Mannelli 2003, p. 112, che cita come fonte Camera di Commercio e Agricol-
tura di Messina, Sulle condizioni economiche della provincia di Messina nel 1888, Messina
1889, p. XL.
10
Vd. appendice in S. Cucinotta, Sicilia e siciliani: dalle riforme borboniche al “Rivolgi-
mento” piemontese. Soppressioni, Messina 1996, p. 556.
11
Il cespite fu iscritto diviso in due particelle nel mandamento Priorato: il fabbricato
all’art. 1689 con rendita di lire 400, e il fondo all’art. 3162 con rendita di lire 434.
12
A proposito, vd. riferimenti in Archivio Notarile Distrettuale di Messina (d’ora in avanti
ANDM), Notaio Giuseppe Fleres, rep. Compravendita, atto n. 5386, 6 novembre 1902.
13
Ivi.
La filanda Barbera all’Annunziata 125

dopo quasi un decennio questi riuscì ad alienarli, vendendoli ambedue, nel


1902, al benestante chimico tedesco Friedrich Wilhelm Mellingoff14.
Originario di Muelheim nella Ruhr ma risiedente a Berlino, Mellinghoff
era venuto a stabilirsi a Messina all’inizio del Novecento, probabilmente
attratto dalle bellezze dello Stretto e dalle opportunità d’investimento e pro-
fitto che vi aveva intravisto. Egli aveva dunque acquistato la filanda ex Bar-
bera con il terreno attiguo, forse con l’idea d’impiantarvi una propria indu-
stria, ma nel frattempo aveva iniziato a operare come esportatore con una
ditta a nome proprio, che ben presto aveva però ceduto a dei negozianti del
luogo. La corrispondenza conservata presso la locale Camera di Commercio
documenta, infatti, che Mellinghoff fu titolare di una «casa commerciale per
l’esportazione di prodotti agricoli e industriali» da lui fondata nel 1902 e poi
ceduta, dopo appena due anni, alla ditta ‘Andreis Lindet & C.’15.
Ciò fa supporre che il possidente tedesco avesse incontrato una certa dif-
ficoltà a inserirsi nel mercato locale e che gli affari non gli fossero dovuti
andare molto bene, dato che, per altro, finì coll’accumulare un grosso debito
col commerciante d’agrumi Simone Gatto e a maggior garanzia del dovuto
fu costretto a ipotecare tutto il fabbricato dell’ex filanda e il limitrofo fondo
rustico16, dei quali restò però proprietario fino a quando il Governo italiano
non glieli espropriò per dare una sistemazione definitiva al Museo di Mes-
sina, la cui inaugurazione ufficiale ebbe luogo il 29 gennaio 192217.
L’esistenza di un fabbricato accanto all’ex monastero del S. Salvatore,
che un tempo era stato adibito a filanda, trova dunque conferma in due atti
notarili datati 6 novembre 1902 (regesto notaio Giuseppe Fleres) e 11 marzo

14
Con le debite garanzie di diritto e di fatto Rizzotti Lella aveva venduto a Mellinghoff,
per complessive lire 45.000: «1) tutto ed intero un fabbricato che anticamente era destinato
a filanda, nel quale si trova una caldaia smontata ed altri arnesi di uso vario che s’intendono
tutti comprendere nella presente vendita, con tutte le accessioni pertinenze e dipendenze, sito
in Messina nella Riviera del Ringo nella località denominata S. Salvatore dei Greci, confi-
nante con la strada pubblica denominata vicolo Annunziata, ad oriente con la Zona Militare,
a nord col fabbricato del soppresso Monastero del S. Salvatore dei Greci, ed a ponente col
fondo appresso descritto; 2) tutto ed intero un fondo rustico consistente in vigneto ed ortaggi
ed altre colture, con fabbricati dentro e con tutti gli annessi e connessi, noria con pozzo sito
nella suddetta località, confinante con la strada pubblica sudetta, col Torrente Annunziata, col
Monastero anzicennato, con la zona militare e col fabbricato sopradescritto», (ivi).
15
Vd. Camera di Commercio, Lettere, vol. III, ff. 1762 e 1954, come citato in M. D’Ange-
lo, Comunità straniere a Messina tra XVIII e XIX secolo, Messina 1995, p. 119 n. 21.
16
Mellinghoff il 10 marzo 1913 firmò a favore di Gatto tre cambiali di diecimila lire
cadauna, con scadenza a un anno e pagabili presso la sede della ditta ‘Hugo Stinner’ alle
Pagliarelle, di cui era presidente Giuseppe Battaglia, e dove il giorno dopo, alla presenza
di testimoni fu steso l’atto di costituzione d’ipoteca, poi registrato in ANDM, Notaio Pietro
Aversa, vol. 3871, anno 1913, primo semestre, Costituzione d’ipoteca n. 2568, fasc. n. 4685
del repertorio, 13 marzo 1913.
17
Mauceri, Messina nei miei ricordi, cit., p. 27.
126 MARIA TERESA DI PAOLA

1913 (regesto notaio Pietro Aversa), e che documentano come la proprietà


di questo immobile passò di mano da Barbera a Rizzotti Lella e da questo a
Mellinghoff.
È interessante notare come in ambedue i documenti l’immobile venga
indicato come «un fabbricato che anticamente era destinato a filanda», ma
non significa che questo fosse stato adibito prima di allora a tale uso, né
da Rizzotti Lella né da Mellinghoff. In effetti, quando esso fu acquistato
dal possidente tedesco soltanto «una caldaia smontata ed altri arnesi di uso
vario» si trovavano al suo interno, segno che l’impianto per la filatura della
seta era ormai stato da lungo tempo disattivato18.
Quando nella primavera del 1915 il sovrintendente Enrico Mauceri
assunse la direzione del costituendo nuovo Museo, il magazzino della ex
filanda Barbera gli apparve come un «vasto hanger», uno «squallido edifi-
cio» in cui erano stati sommariamente sistemati e ammassati quadri, mate-
riali artistici e oggetti di gran pregio recuperati in mezzo alle macerie degli
edifici distrutti dal terremoto. L’edificio aveva la forma di un gran parallele-
pipedo dalle rustiche pareti, con un «rudimentale tetto a travate, attraverso
cui svolazzavano i pipistrelli19, e in un atrio interno la Sovrintendenza ai beni
culturali aveva sistemato, già dal 1911, la Scilla del Montorsoli e le grandi
statue dei sovrani Ferdinando II e Carlo III20.
Per quanto tempo e in quali anni tale filanda fu operante, e quale consi-
stenza ebbe il suo impianto, purtroppo non emerge dalle fonti finora con-
sultate. La poca informazione disponibile consente solo di affermare che la
filanda al S. Salvatore fu avviata da Giovanni Barbera e rimase probabil-
mente attiva a fasi alterne per un imprecisato numero di anni, tra il 1870 e il
1890.

Vd. atto di compravendita del 6 novembre 1902, cit.


18

Mauceri, Messina nei miei ricordi, cit., pp. 25 e 26.


19
20
Vd. le annotazioni di Gaetano La Corte Cailler a proposito del trasferimento di questi
monumenti nei giorni 10 e 29 novembre 1911 in Il mio diario 1907-1918, a cura di G. Molonia,
Messina 2002, pp. 1094 e 1097.
Valerio Ciarocchi

«MI GIUNGE IL SUONO DELLA TUA CETRA BELLA»1.


Il profilo artistico-musicale di Annibale M. Di Francia
nella sua azione educativa e pastorale

Premessa

I quattordici anni trascorsi dalla canonizzazione del sacerdote messinese2


hanno visto, e tuttora contemplano, il fiorire di convegni, conferenze, studi e
ricerche sul fondatore dei Rogazionisti e sul carisma del ‘Rogate’3. Il can. Di
Francia fu però non solo un uomo di preghiera e di azione pastorale, un pre-
sbitero ispirato ed attento ai bisogni del suo tempo, un educatore moderno e
lungimirante, ma anche un intellettuale raffinato ed elegante. Quando un uomo
come p. Annibale, ormai consegnato alla memoria collettiva per la sua instan-
cabile attività pastorale ed al quale si attaglia opportunamente il giudizio della
storia, si fa ricordare per i suoi meriti eminentemente sociali ancorché religiosi,
facilmente si possono dimenticare altri elementi costitutivi della sua personalità
meno noti ai più, quale appunto è il suo profilo intellettuale. La persona umana

1
Verso tratto dalla poesia Come nota di canti peregrini (A.M. Di Francia, Fede e Poesia
- Versi, Oria 1926; vd. T. Tusino, L’anima del Padre. Testimonianze, Roma 1973, p. 605).
2
Proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004 e già beatificato dallo stesso
pontefice il 7 ottobre 1990. La memoria liturgica ricorre il 1° giugno (Conferenza Episcopale
Italiana, Martirologio Romano. Riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vati-
cano II e promulgato da Papa Giovanni Paolo II, Città del Vaticano 2004, 442.20).
3
Tra i più significativi studi sulla figura del Di Francia, si segnalano: “L’ardore della cari-
tà”. Annibale Maria Di Francia tra apostolato sociale, attività educativa e impegno cultura-
le, Atti del Convegno di Studi (Messina, 8 maggio 2015), a cura di A. Baglio - R.G. Romano,
Roma 2016; P. Borzomati et al., Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà, Roma 1992;
G. Cavarra, La sublime missione: “piccole storie” tratte dalla vita e dalle opere di Annibale
Maria Di Francia, Messina 2010; M.T. Falzone, Da questo vi riconosceranno. Chiesa e po-
veri in Sicilia in età contemporanea, Caltanissetta-Roma 2000; Figlie del Divino Zelo, Per la
Canonizzazione di Annibale Maria Di Francia. Giornate di studi e celebrazioni, Oria - Torre
Colimena - Francavilla - Villa Castelli, aprile-dicembre 2004, Belluno 2006; A. Majolino,
Ambasciatore di santità e messinesità, in «Padre Annibale, oggi», n.s., 35 (2010); A. Sardone,
Il santo delle vocazioni. Sant’Annibale Maria Di Francia, Piane (An) 2015; P. Schiavone,
Sant’Annibale Maria Di Francia. Maestro di discernimento, Roma 2017; S. Vitale, Il cano-
nico Annibale Maria Di Francia nella vita e nelle opere, Messina 1939 (rist. Roma 1994).
128 VALERIO CIAROCCHI

è una realtà sinfonica di elementi diversi che la compongono armoniosamente


come le facce di un prisma: tralasciarne alcune, perché altre spiccano, tradirebbe
l’idea corretta che bisogna farsi quando si contempla la biografia di un perso-
naggio così emblematico dell’essere cristiano e presbitero quale è Annibale Di
Francia. Questo aspetto intellettuale della sua personalità, in particolare il dato
artistico e musicale, si intende centrare in queste righe, con l’intento di focalizzare
l’attenzione del lettore sul fatto che esso, in p. Annibale, non è fine a sé stesso ma
orientato verso l’azione educativa e pastorale che lo contraddistinse. Offrire, in
questa sede, informazioni e riflessioni su un argomento talmente foriero di altre
suggestioni, è possibile solo accennandovi largamente e quindi senza pretesa di
totale esaustività. L’auspicio è che questa lettura spinga ad ulteriori approfondi-
menti, di cui in parte si offre spunto citando in nota alcuni riferimenti bibliografici.

1. Una formazione solida e fondata sulla cultura classica

Lo studente Annibale Di Francia fu quel che si dice un alunno modello,


allievo del poeta Felice Bisazza, che ne apprezzava la vivacità intellettuale.
Si concretizzava un futuro nella vita culturale della città per questo giovane
che primeggiava negli studi, già scriveva versi, conteso da più parti come pubblicista
– avviato quindi ad una carriera di letterato – e si trattava di una via congeniale tanto
alle inclinazioni e alla sensibilità del giovane, quanto alla necessità di una famiglia,
privata fin troppo presto della sua guida e del sostegno economico4.

La sua eclettica formazione gli fu poi utile quando incontrò i seminaristi


e quando venne attorniato dai primi religiosi della sua ancor giovane Con-
gregazione, quando fu unanimemente apprezzato predicatore, ritenuto anzi
uno degli oratori sacri più eleganti ed efficaci anche fuori dai confini del
messinese5. Ancor più se ne giovò per formare ed educare orfani e bambini
abbandonati, adolescenti e giovani che letteralmente salvò da un futuro fatto
di illegalità e di miseria morale e materiale.

2. Annibale Di Francia uomo del suo tempo: i fatti, la società e la cultura

Nell’anno in cui p. Annibale nacque, il 1851, Messina era ancora governata


dalla dinastia borbonica. Egli però intraprese la sua opera apostolica nella città

A. Scelzo, Padre Annibale M. Di Francia. Una vita copiata dal Vangelo, Roma 1990, pp. 8-9.
4
5
Testimonianze di ciò, specialmente sulla ‘modernità’ antesignana del canonico messine-
se, si scorgono in: Aa.Vv., Padre Annibale Maria Di Francia. Una nuova via di santità, Roma
2004; P. Miccoli, Il silenzio e la parola in Annibale Di Francia, Roma 1992.
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 129

dello Stretto, quando l’Italia era in gran parte unificata6. Il can. Di Francia visse,
dunque, in un periodo storico estremamente ‘vivace’ per l’Italia: il Risorgimento,
le guerre d’indipendenza e la questione romana erano già storia7, talvolta quasi
narrata come un’epopea, mentre lui sanava le ferite, morali e materiali, del quar-
tiere Avignone in primis e quindi della città intera8, fino a giungere ben oltre i
confini peloritani, attraverso le sue opere9. La sua vita pastorale attraversò i fasti
della Belle-Epoque, dell’industrializzazione e del colonialismo, l’epoca del mo-
dernismo10, la drammatica vicenda del terremoto del 190811, la carneficina del

6
Sulla sua attività pastorale ed i suoi rapporti con le autorità civili ed ecclesiastiche cit-
tadine, si suggerisce qualche lettura: A. Baglio, Il cardinale Giuseppe Guarino e il canonico
Annibale Maria Di Francia, in Il cardinale Giuseppe Guarino e il suo tempo. Chiesa, movi-
menti, istituzioni civili nella Sicilia di fine Ottocento, Atti del Convegno di studio (Messina
16-17 marzo 2012), a cura di C. Magazzù - G. Mellusi, Messina 2013, pp. 323-338; A. Sin-
doni, Annibale Di Francia e la Chiesa di Messina, in Borzomati et al., Annibale Di Francia.
La Chiesa e la povertà, cit., pp. 127-150.
7
Vd. Messina 1860 e dintorni. Uomini, idee e società tra Risorgimento e Unità, a cura di
R. Battaglia - L. Caminiti - M. D’Angelo, Firenze 2011.
8
Si leggano: N. Bollino, Le “casette Avignone” 1878-1932. Immagini ed emozioni della
loro storia, Messina 1999; R. Manduca, Nel fango della storia. Annibale Di Francia, Avigno-
ne e la modernità, in “L’ardore della carità”, cit., pp. 83-105.
9
Vd. G. Costanzo, Dalla periferia al centro: il movimento centripeto della carità in An-
nibale Maria Di Francia, in “L’ardore della carità”, cit., pp. 117-127.
10
Pius X, Pascendi Dominici gregis. Littera Encyclica de modernistarum doctrinis, 8
settembre 1907, in «Acta Sanctae Sedis», 40 (1907), pp. 593-650; Id., Sacrorum antistitum,
Motu proprio, 1 settembre 1910, in «Acta Apostolicae Sedis», 2 (1910), pp. 655-669; A. Bea,
L’Enciclica Pascendi e gli studi biblici: nel 50° anniversario dell’importante documento, in
«Biblica», 39 (1958) 2, 121-138; Modernismo. Un secolo dopo, a cura di L. Vaccaro - M.
Vergottini, Brescia 2010; G. Verucci, L’eresia del Novecento. La Chiesa e la repressione del
modernismo in Italia, Torino 2010; G. Vian, Il modernismo. La Chiesa Cattolica in conflitto
con la modernità, Roma 2012.
11
Tra i numerosi studi sul terremoto di Messina del 1908 si leggano, almeno: S. Attanasio,
28 dicembre 1908, ore 5,21. Terremoto, Acireale (Ct) 1988; A. Baglio - S. Bottari, Messina
dalla vigilia del terremoto del 1908 all’avvio della ricostruzione, Messina 2010; R. Battaglia,
L’ultimo splendore. Messina tra rilancio e decadenza, Soveria Mannelli (Cz) 2003; G. Boatti,
La terra trema. Messina 28 dicembre 1908. I trenta secondi che cambiarono l’Italia, non gli
italiani, Milano 2004; Il disastro è immenso e molto più grande di quanto si possa immaginare.
Il sisma calabro-siculo del 1908, Atti del Convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze
Giuridiche, Storiche e Politiche dell’Università di Messina (Messina 4-5 dicembre 2008), a cura
di L. Caminiti, Roma 2010; I. Cannavò, Chiesa e terremoto (Messina 1908). Solidarietà e pole-
miche, Acireale (Ct) 2009; Michelopoli. La Messina di Giuseppe Micheli nel racconto di Attilio
Salvatore, a cura di D. Caroniti, Soveria Mannelli (Cz) 2007; Id., Michelopoli, in Messina dalla
vigilia del terremoto del 1908 all’avvio della ricostruzione, a cura di A. Baglio - S. Bottari,
cit., 331-338; J. Carrère, La terre tremblante, Paris 1909. Traduzione italiana La terra fremente,
Calabria e Messina 1907-1908-1909, Messina 1911. Nuova traduzione italiana Le terre infran-
te, Messina 2008; A. Checco, Messina dal terremoto del 1908 al fascismo. La ricostruzione
senza sviluppo, in «Storia urbana», 46 (1989) pp. 161-192; L. Chiara, Dalla Restaurazione alla
cesura del terremoto (1815-1908), in La lunga rincorsa. Messina dalla rivolta antispagnola al
terremoto del 1908, a cura di S. Bottari - L. Chiara, cit., pp. 107-180.
130 VALERIO CIAROCCHI

primo conflitto mondiale12, l’«inutile strage», per usare le parole di Benedetto


XV13. Nel complesso quadro politico italiano della fine dell’Ottocento e degli
inizi del Novecento, in cui l’indirizzo governativo oscillava tra spinte liberali,
tendenze trasformiste ed autoritarismo, anticlericalismo spinto fino alla sop-
pressione degli ordini religiosi ed alla confisca dei loro beni14, la cultura sem-
brava riflettere le ambivalenze che segnano la vita economica e sociale (l’af-
fermazione della grande industria al Nord e l’impoverimento del Meridione, le
ambizioni imperialiste e l’incapacità d’affrontare i problemi interni sollevati dai
movimenti sindacali)15. Pur assorbendo alcuni stimoli dall’estero, le espressio-
ni artistiche non conobbero, sul piano linguistico e contenutistico, la radicalità
innovativa che attraversava la Francia e l’Austria. Al Verismo restò estranea la
tensione sociale e politica che nutrì il Naturalismo francese, l’Antiromanticismo
del Carducci si stabilizzò su forme classiche, oratoriali, celebrative, il Decaden-
tismo di D’Annunzio alternò pagine languide a produzioni retoriche.

3. Annibale Di Francia poeta/musico-catecheta e giornalista

Il can. Di Francia scrisse in tutta la sua vita circa sedicimila versi, nei
quali si scorgono richiami del Leopardi, lirismo romantico, evidentemente
ispirato dalla scuola del Bisazza, autentica devozione mariana. La gran parte
della sua produzione si può opportunamente collocare tra la letteratura sacra
popolare. Non scriveva perché i suoi versi fossero oggetto di studio e fossero
stampati e riposti nelle biblioteche, né gli importava la critica letteraria di
quanto scriveva. Le sue poesie erano un mezzo di ‘edificazione’ delle per-
sone più semplici, una forma di predicazione e di catechesi16. Egli stesso
scrisse di questa sua vena poetica, dando di sé un giudizio molto netto: «Ho

12
Sul contributo messinese alla Grande Guerra, vd. Istituto di Studi Storici Gaetano
Salvemini, “Da queste sponde sicule che stan di fronte a Scilla. Messina e la Grande Guerra,
Messina 2015.
13
Benedictus XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917, in «Acta Aposto-
licae Sedis», 9 (1917), pp. 421-423.
14
P. Borzomati, Le congregazioni religiose nel Mezzogiorno e Annibale Di Francia,
Roma 1992. Dello stesso autore e nel medesimo volume appena citato si legga: Le condizioni
della Chiesa di Messina, pp. 202-221.
15
Sulla lotta di classe, l’economia cittadina ed i movimenti politici in riva allo Stretto si leggano:
G. Barbera Cardillo, Messina dall’Unità all’alba del Novecento, Geneve 1981; P. Amato - M.
D’Angelo, Radici del socialismo riformista a Messina, Messina 1982; R. Wörsdörfer, Movimento
operaio e socialisti a Messina (1900-1914), Reggio Calabria-Roma 1990; R. Battaglia, Mercanti
e imprenditori in una città marittima. Il caso di Messina (1850-1900), Messina 1992; A. Cicala,
Partiti e movimenti politici a Messina. Dal fulcismo al fascismo (1900-1926), Soveria Mannelli
(Cz) 2000; L. Chiara, Messina nell’Ottocento. Famiglie, patrimoni, attività, Messina 2002.
16
Vd. S. Schirò, Alcune considerazioni sulla poetica di Annibale Maria Di Francia, in
“L’ardore della carità”, pp. 165-170.
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 131

scritto parecchi componimenti, perché ne sentivo l’estro… ma sono stato


così lontano dal credermi veramente un poeta, un letterato, che quasi tutti
i miei componimenti furono da me abbandonati e dispersi»17. Piuttosto egli
sentiva talvolta l’esigenza di scrivere, specialmente in momenti di difficoltà,
una sorta di richiamo classico al buono ed al bello, a quella kalokagathìa
greca che era nella sua memoria, così in contrasto con quanto di più misero
ruotava attorno a lui. Il Pronzato è convinto della bontà di questa ipotesi:

Ecco, forse è questa la chiave più convincente per capire la sua esigenza poetica:
bisogno di uno “sfogo” in mezzo ad assillanti preoccupazioni, necessità di riscattare
col “bello” la durezza di un’esistenza che non gli risparmia i colpi più crudeli, de-
siderio di esorcizzare la terribile banalità del quotidiano e l’ottusità di molta gente.
Le poesie sono, in fondo, il giusto prezzo che paga alla sua sensibilità, al suo animo
delicato, ai sentimenti più profondi. Un modo per tentare di dire ciò che prova “den-
tro” e che sfugge all’osservazione superficiale dei più18.

Fu anche un vivace giornalista, attività nella quale esordì, diciassettenne,


scrivendo sulle pagine de La Parola Cattolica, periodico messinese diretto
da uno zio materno, al quale successe come direttore19. Fu questa, per lun-
ghi anni, la sua tribuna, dalla quale polemizzava vivacemente ed argomentava
brillantemente sulla cosiddetta ‘questione romana’, che per molti decenni creò
gravi crisi di coscienza ai cattolici italiani20. La sua firma appare anche su altre
testate: La Luce, La Gazzetta di Messina, La Scintilla, Il Faro, Il Progresso
Italo-Americano, Il Corriere delle Puglie. Risultano anche alcuni suoi articoli
su L’Osservatore Romano21. Se la poesia era luogo spirituale di ristoro, ma
anche momento di preghiera e forma catechistica, la prosa giornalistica era
la concretizzazione della sua esuberanza caratteriale che lo portava ad essere
apologeta severo ma anche un impetuoso uomo di carità intellettuale22, perché

17
T. Tusino, Lettere del Padre, I-II, Padova 1965, p. 81.
18
A. Pronzato, …Non hanno più pane. Profilo biografico di Padre Annibale Di Francia,
Torino 1977, pp. 29-30.
19
Il primo articolo fu pubblicato il 26 novembre 1868. Intitolato ‘Giustizia all’innocenza’,
era l’ardente difesa di un altro periodico cattolico, L’Ape Iblea. Vd. anche: F. Pira, Padre An-
nibale comunicatore e giornalista, in “L’ardore della carità”, cit., pp. 59-68; M. Recupero,
Collaboratore direttore de “La Parola Cattolica”, Supplemento al nr. 2 di «ADIF», apri-
le-giugno 2008, p. 27; A. Sardone, Un comunicatore originale, in «Padre Annibale, Oggi»,
n.s., 25, suppl. al n. 4 di «ADIF», ottobre-dicembre 2007.
20
Si legga sul tema: S. Bottari, Riflessi della “questione romana”: l’opposizione cattoli-
ca e la polemica anticlericale nella stampa siciliana di fine Ottocento, in Il cardinale Giusep-
pe Guarino e il suo tempo, cit., pp. 299-322.
21
Una raccolta di tutti gli scritti del can. Di Francia è la seguente: Curia Generalizia dei
Rogazionisti, Annibale Maria Di Francia. Scritti, I-VII, Roma 2007-2016.
22
Vd. M.I. Palazzolo, La perniciosa lettura. La Chiesa e la libertà di stampa nell’età
liberale, Roma 2010.
132 VALERIO CIAROCCHI

scriveva con il medesimo impeto che metteva nell’offrire carità ai poveri. La


sua comprensione della forza della stampa fu avanguardistica23. Lo stesso Don
Bosco gli suggerì di rivolgersi alla stampa per far conoscere la sua attività e
le reali condizioni delle zone più malfamate della città: «S’ella facesse parlare
qualche giornale locale, molti prenderebbero conoscenza della situazione sua,
e qualche anima caritatevole sarebbe toccata nel cuore»24.
Ma non avrebbe molto senso parlare della sua attività giornalistica senza
correlarla con i suoi obiettivi pastorali. Egli aveva a cuore di far conoscere ai
più quelle notizie nascoste e talora negate che riguardavano i poveri e i disere-
dati messinesi: «Nelle sue mani la penna divenne un attrezzo di santità»25 e di
riscatto umano, sociale e religioso. Lo stesso va riferito alla sua produzione po-
etico-musicale, che può ben dirsi preghiera in versi, contemplazione in note26.

4. La sua passione per l’arte e la musica sacra a servizio dei giovani

La creatività e l’inventiva di Padre Annibale lo portarono a creare una sa-


cra rappresentazione, ispirata ai Salmi, di cui egli era profondo conoscitore27,
in cui impegnare soprattutto i giovani con quella fusione tra poesia e musica
che già era stata sperimentata nella prassi educativa oratoriale28. Il fondatore

23
Vd. M. Parito, La Chiesa nello spazio pubblico mediatizzato. Annibale Maria Di Fran-
cia come precursore di una concezione innovativa dell’uso dei media, in “L’ardore della cari-
tà”, cit., pp. 129-139. Si legga anche: G. Merenda, Padre Annibale oggi. Editore, giornalista
e scrittore, Roma 2007.
24
In Scelzo, Padre Annibale M. Di Francia, cit., p. 157.
25
Ivi, p. 158.
26
Sul tema dell’arte, della musica e della preghiera si leggano: A. Grün, Ascolta e la tua
anima vivrà. La forza spirituale della musica, Brescia 2014; A. Läpple, Der Sound Gottes.
Musik als Flügel der Seel, Augsburg 2004 (trad. italiana, Sulle ali dell’anima. Viaggio nella
musica di Dio, Milano 2006); L. Leone, Il suono, il senso, l’armonia. Musica, canto e pre-
ghiera nell’esistenza del cristiano, Roma 2016; P. Lia, Dire Dio con arte. Un approccio teolo-
gico al linguaggio artistico, Milano 2003; G. Liberto, Suggestioni in contrappunto. Preghie-
ra e Musica, Città del Vaticano 2014; A. Tomatis, Das Ohr und das Leben. Erforschung der
seelischen Klangwelt, Düsseldorf 2000; R. Venditti, Ascoltare l’Assoluto. Musica classica e
annuncio cristiano, Cantalupa (To) 2010; M.T. Winter, Why Sing?, in «Towards a Theology
of Catholic Church Music», Washington DC 1984, pp. 45-58; O. Zsok, Musik und Transzen-
denz. Ein philosophischer Beitrag zur Eruierung der geistig-spirituellen Inhalte der grossen
abendländischen Musik (Gregorianik, Bach, Beethoven und Mozart), St. Ottilien 1998.
27
Vd. C. Magazzù, La cultura biblica di Padre Annibale, in “L’ardore della carità”, cit.,
pp. 51-57; T. Pegoraro, Padre Annibale e l’uso della Sacra Scrittura, in «Studi Rogazioni-
sti», 29 (2008), pp. 14-109.
28
Stampato per i tipi della Tipografia del Sacro Cuore, nel 1911, in occasione della Festa
di Gesù Sacramentato, il primo luglio: «1° luglio 1911. Venticinquesimo Anniversario della
venuta di Gesù Sacramentato col titolo di Re nella Pia Opera degl’interessi del suo Divino
Cuore. Nozze d’argento». Si tratta di un opuscoletto che intende celebrare i 25 anni di presen-
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 133

dei Rogazionisti, infatti, aveva certamente presente l’opera compiuta a Roma


da San Filippo Neri, durante la Controriforma, ed aveva appreso bene la le-
zione offerta da Don Giovanni Bosco che dell’oratorio aveva fatto il perno
della sua attività educativa29. Un’attività tanto importante da essere oggi og-
getto di riflessioni del magistero ecclesiastico, che ne raccomanda la pratica
ed il potenziamento30.

4.1. L’oratorio: un breve e doveroso cenno storico


La citata Nota della C.E.I. parla dell’oratorio come di un «laboratorio
culturale»31. L’aspetto creativo ed artistico si lega con quello pastorale e ca-
techistico, che ne è l’elemento fondante ed ispirante.
Nell’oratorio si educa, si fa crescere animando, collaborando, curandosi
reciprocamente l’uno dell’altro. In esso le regole si rispettano ma senza rigi-
dità, non vi si fa istruzione scolastica, non si danno nozioni, ma si lancia un
messaggio, quello evangelico, con semplicità, favorendo il più possibile l’inte-
razione fruttuosa del gruppo dei pari tra i suoi componenti e con gli animatori.
Il termine oratorio indicò fin dall’origine un luogo di preghiera finalizzato alle
pratiche devozionali non liturgiche che s’esprimevano, già nel Medioevo, con
il canto ad opera delle confraternite laudesi fino al XVI secolo.

za rogazionista, la cui Congregazione è posta sotto la protezione del Cristo Re e di Maria Ver-
gine. A larghi tratti, in versi e musica, vi si tratteggia la storia dei Rogazionisti e delle Figlie
del Divino Zelo. I personaggi sono cinque: lo Sposo Celeste, cioè il Cristo, la Sposa Prima,
cioè la Pia Opera degl’Interessi del Cuore di Gesù; la Sposa Seconda, cioè la Pia Congrega-
zione dei Rogazionisti del Cuore di Gesù con annessi Orfani e Poveri; la Sposa Terza, cioè
la Pia Congregazione delle Figlie del Divino Zelo del Cuore di Gesù con annessi Orfanotrofi
ed Esternati; ed infine le Figlie di Gerusalemme. Con la totale esclusione di voci maschili, la
composizione richiede almeno una minima preparazione musicale. Da questa composizione
Padre Annibale, ampliandola e rivedendola, scrisse La Sposa dei Sacri Cantici, che dalla sua
stesura è stata eseguita nelle Case femminili dell’Opera Rogazionista (vd. F. Mattei, L’epi-
talamio dei divini amori, in «ADIF» XXVII (2011) 3, 15). Si legga anche: C. Cucinotta,
Itinerari poetici di Annibale Maria Di Francia, in “L’ardore della carità”, cit., pp. 25-48. In
qualche misura, alcuni suoi scritti poetici ebbero un richiamo interiore dovuto alla vicinanza,
in quanto suo confessore, della mistica coratina Luisa Piccarreta, di cui il santo messinese
curò, e presentò a Pio X, lo scritto L’Orologio della Passione. A riguardo dell’aspetto mistico
e spirituale del can. Di Francia possono risultare illuminanti le seguenti letture: L. Piccarreta,
L’Orologio della Passione, Tavagnacco (Ud) 2013; Aa.Vv., Sant’Annibale Maria Di Francia
e gli scritti sulla Divina Volontà della Serva di Dio Luisa Piccarreta, Tavagnacco (Ud) 2013.
29
Vd. P. Braido, Buon cristiano e onesto cittadino. Una formula dell’«umanesimo educa-
tivo» di don Bosco, in «Riviste Storiche Salesiane», an. XIII, n. 1, gennaio-giugno 1994, pp.
7-75; T. Loviglio, Annibale Di Francia educatore, Roma 1975.
30
Commissione Episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali - Commissione Epi-
scopale per la Famiglia, Il laboratorio dei talenti. Nota pastorale sul valore e la missione
degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo, 2 febbraio 2013, in
Enchiridion CEI (d’ora in avanti ECEI), 9, pp. 706-800.
31
Ivi, n. 21.
134 VALERIO CIAROCCHI

4.2. L’Oratorio come genere musicale e di sacra rappresentazione


Nell’arco di cento anni si determinò il codificarsi d’un genere drammatico
in musica, che s’evolverà in una forma che confidando nel potere espressivo
ed evocativo della musica rinuncerà alla componente scenografica. Sotto il
profilo drammatico le vicende erano arricchite ed avvincenti, tratte dalla Bib-
bia, dalla vita dei santi, da temi devozionali cari alla tradizione cristiana. Si era
davanti ad una storia sacra in musica che nella seconda metà del XVII secolo
si chiamerà Oratorio. Con lo sviluppo dell’oratorio ad opera di San Filippo
Neri, si struttureranno sempre meglio le caratteristiche dell’Oratorio musicale,
sviluppando le peculiarità che gli sono proprie, con forti accentuazioni reli-
giose legate all’opera di riforma cattolica voluta dai Padri conciliari tridentini
ed attuata specialmente dalle allora giovani Congregazioni nascenti (filippini,
gesuiti). La musica si mise ancora una volta al servizio della Chiesa32.
P. Annibale, memore dei suoi studi seminaristici, si rese ben conto che
l’arte e la musica sono mezzi potenti che la fede ha per esprimersi e se ne ser-
vì, così come fece della stampa e della poesia, fedele al comando di Cristo:
«Andate e ammaestrate tutte le genti»33.

5. La musica sacra come mezzo di edificazione ed elevazione spirituale nelle


opere del Di Francia

Il Di Francia fu un estimatore della musica sacra e liturgica e comprese


pienamente la potenza evocativa dei suoni, specialmente laddove non sa ar-
rivare la sola parola. La sua visione dell’arte musicale nella Liturgia era chia-
ramente in sintonia con la Tradizione ed il Magistero: bontà e santità della
Liturgia dovevano essere virtù proprie della musica sacra, tanto più quella
strettamente liturgica34. Questo tema ricorre spesso: «La musica sacra deve

Lo stesso San Filippo Neri era solito fare intermezzi cantati durante le catechesi e le
32

preghiere, anzi, ne compose personalmente. L’oratorio diventava appunto un laboratorio mu-


sicale in cui le antiche laudi medievali si trasformavano in polifoniche e con accompagna-
mento strumentale.
33
Mt 28, 16-20.
34
Nel Motu proprio ‘Tra le sollecitudini’, ai ni 5 e 6, Pio X, di cui p. Annibale fu con-
temporaneo e con il quale ebbe personali rapporti di stima, ha dato una definizione talmente
chiara di musica sacra che nessuno dopo di lui ha sentito il bisogno di apportarvi sensibili
cambiamenti: «La musica sacra, parte integrante della solenne Liturgia […] deve possedere
nel grado migliore le qualità che sono proprie della Liturgia, e precisamente la santità e la
bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità» (Pius X,
Inter pastoralis officii sollicitudines. Motu Proprio de musica sacra, 22 novembre 1903, in
«Acta Apostolicae Sedis», 36 (1903-1904), pp. 329-339, in seguito abbreviato in TLS). Que-
sto documento si ritiene sia stato ispirato dal gesuita Angelo De Santi (vd. A. Basso, De Santi
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 135

essere santa, e quindi escludere ogni profanità»35. Si deve escludere ogni in-
gerenza profana, l’uso di strumenti musicali che non siano l’organo liturgico,
si deve tenere in grande onore il canto gregoriano e la polifonia sacra, ritenuti
parte del millenario patrimonio artistico e culturale della Chiesa36. A questi
dettami p. Annibale si tenne sempre fedele e le celebrazioni liturgiche da lui
presiedute furono sempre accurate e corrette37, non solo e non tanto formal-
mente ma nella piena comprensione che dalla Liturgia, e specialmente dalla
celebrazione eucaristica, scaturisce l’agire autentico del cristiano, secondo il
carattere performativo della Liturgia stessa. Egli fu presbitero attento e con-
sapevole, proprio per la sua sensibilità musicale, alla temperie culturale mu-
sicale cui Pio X metteva ordine nei primi anni del Novecento, tra le attività di
Solesmes ed il nascente cecilianesimo38. Tuttavia, la sua personalità artistica

Angelo, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Appendice, p.


227. In seguito abbreviato in DEUMM). Vd. anche: R. Saiz Pardo Hurtado, Le opportunità
del tempo. Angelo De Santi e la Scuola Superiore di Musica Sacra, Firenze 2017.
35
TLS 7.
36
Pio X non fu particolarmente clemente verso la musica strumentale, come conseguenza
delle eccessive ingerenze del melodramma ottocentesco verso la musica sacra (vd. TLS 34-40).
Il pontefice fu piuttosto esplicito, con siffatte parole: «Siccome il canto deve sempre primeggia-
re, […] l’organo e gli strumenti devono semplicemente sostenerlo e non mai opprimerlo, proi-
bendo rigorosamente in chiesa l’uso del pianoforte, come pure quello degli strumenti fragorosi
o leggieri, quali sono il tamburo, la grancassa, i piatti, i campanelli e simili ed alle cosiddette
bande musicali di suonare in chiesa» (TLS 16-20). Non stupisca la fermezza del Papa nel proi-
bire così fermamente quegli interventi strumentali. Bisogna piuttosto tenere presente, come su
accennato, la popolarità del melodramma, specialmente nella cultura e nella società italiana, il
quale tendeva a quella “contaminazione di stili” che esiste nella storia della musica, coinvol-
gendo anche il genere sacro. Proponiamo un esempio chiarificatore. Giacomo Puccini, oltre che
acclamato operista, fu organista particolarmente dotato ed apprezzato: egli «imparò presto ad
improvvisare disinvoltamente all’organo […] ed a mettere a frutto le sue capacità nelle chiese
[…]. Le funzioni liturgiche accompagnate da Giacomo [Puccini] sembra che avessero un fasci-
no particolare, soprattutto sulle suore. […] Il giovane Puccini non esitava, nei luoghi deputati
della liturgia e soprattutto nella marcia consueta dopo l’Ite missa est e la benedizione, a improv-
visare su temi d’opera ascoltati al teatro; né verosimilmente, all’Elevazione, dove erano richieste
meditazioni musicali, si sarà lasciato sfuggire l’occasione di citare qualche melodia sdolcinata
e qualche concatenazione armonica mielosa, trovando sicuro gradimento da parte dei candidi
fedeli, soprattutto donne, pronti a scambiare l’estasi sentimentale con la mistica devozione del
momento. Soltanto la sorella Iginia, prossima a farsi suora agostiniana […], gli rimproverava
di mescolare sacro e profano. Ma Giacomo rispondeva, con perfetto agnosticismo, che la circo-
stanza scusava la libertà» (C. Casini, Puccini, Torino 1989, pp. 22-23). Per un approfondimento
si legga: V. Ciarocchi, Il Magistero sulla musica sacra: excursus e riflessioni a 50 anni dal
Concilio Vaticano II, in «Itinerarium», 22 (2014/1-2) 56-57, pp. 261-269.
37
Vd. P. Borzomati, Al centro delle sue opere: l’Eucaristia, in «Padre Annibale, oggi», 4
(1986) aprile-giugno, p. 10.
38
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si ebbe l’intensa attività dell’abbazia
benedettina francese di Solesmes per il ripristino del canto gregoriano secondo edizioni criti-
che fedeli (vd. J. Gaiard, Les debuts de la restauration grégorienne a Solesmes, Roma 1941;
D. Pistone, Solesmes, in DEUMM, Il Lessico, IV, pp. 341-342). Soprattutto iniziarono i primi
fermenti del cecilianesimo, anzitutto in Germania. Era il 1867 quando, con l’approvazione del
136 VALERIO CIAROCCHI

e musicale si mise più in evidenza nell’ambito extraliturgico, particolarmen-


te nell’attività oratoriale e più largamente educativa. Di rilevante significato
fu la sua attenzione verso la devozione popolare mariana.

5.1. L’ambito extra-liturgico: devozione mariana e pietà popolare


P. Annibale fu un intelligente devoto della Madre di Dio: molte sue rime
sono dedicate alla Vergine, molti versi sono ispirati da lei39. Il suo fervore ma-
riano fu infuso nelle sue opere e nelle sue Congregazioni: «La devozione ma-
riana è fonte inesauribile delle ‘industrie’ di pietà di p. Annibale. Inni, canti,

Congresso di Bamberga, Witt fondò la Allgemeine Deutscher Cäcilien-Verein, ossia il movi-


mento ceciliano (cfr. E. Costa, Movimento ceciliano, in DEUMM, Il Lessico, III, pp. 259-260;
Der Caecilianismus: Anfänge - Grundlagen - Wirkungen: Internationales Symposium zur Kir-
chenmusik des 19. Jahrhunderts, a cura di H. Unverricht, Tutzing 1988; R. Zanetti, Witt Franz
Xaver, in DEUMM, Le Biografie, VIII, pp. 520-521). Witt redasse gli intenti programmatici del
cecilianesimo nel suo Der Zustand der katholischen Kirchenmusik zunächst in Altbayern del
1865, a Regensburg per i tipi di Coppenrath Editor. Tale movimento si inserì in un quadro più
largo di nuova presa di coscienza storico-musicologica e liturgica intorno alla musica cultuale,
tendente a discostarsi dal presente per ricostituire un passato fatto di repertori intangibili e quasi
da venerare. «Movimento di opinione e di riforma operativa nel campo della musica, sviluppa-
tosi nel mondo occidentale lungo tutto l’Ottocento in reazione al gusto dominante, frutto, in gran
parte, della mentalità storicizzante dell’idealismo romantico» (Costa, Movimento ceciliano, cit.,
p. 259), si rafforzò nell’asse italo-germanico (per l’Italia a Roma, per la Germania a Monaco di
Baviera e Ratisbona), votato alla rivalorizzazione della polifonia romana cinquecentesca, trovò
sponda nel mondo cattolico francese, decisamente filo-romano ed anti-gallicano ed orientato
alla riscoperta della monodia gregoriana. A Roma venne rifondata nel 1880, come Associazione,
quell’Accademia di Santa Cecilia diretta erede della Congregazione dei Musici istituita da Sisto
V nel 1584. Nel 1905 lo studio ebbe impulso anche grazie al Bollettino Ceciliano, rivista di
formazione dell’Associazione, a tutt’oggi in attività. Il cecilianesimo in Italia, e con particolare
riferimento all’attività della Cappella Sistina, trovò in Perosi un autore ed uno studioso attento,
che seppe ispirare la musica sacra cattolica nel primo Novecento. Anzi, Perosi, tra gli altri, che
in qualche misura ispirò il Motu proprio Tra le sollecitudini, «per certi versi sposò e favorì il
movimento ceciliano e portò al superamento dello stile in auge prima di lui alla Sistina» (M.
Filotei, La solita «solfa». Storia della Cappella musicale pontificia Sistina, Città del Vaticano
2012, p. 54). Uno degli scopi precipui del movimento ceciliano era sradicare il gusto operistico
imperante nella musica cultuale. Tutti elementi e dati, questi, certamente ben noti al canonico
Di Francia nella sua attività pastorale, tanto più a Messina, ricca di attività musicale, sia sacra
che profana. Su Perosi si segnalano i seguenti studi: R. Cognazzo, Perosi Lorenzo, in DEUMM,
Le Biografie, V, pp. 647-648; G. Merlatti, Lorenzo Perosi. Una vita tra genio e follia, Milano
2006; A. Paglialunga, Lorenzo Perosi, Roma 1952; S. Pagano, L’Epistolario “Vaticano” di
Lorenzo Perosi, Genova 1996; M. Rinaldi, Lorenzo Perosi, Roma 1967. Per approfondimenti
sulla musica sacra e profana a Messina, nel periodo citato, segnaliamo: D. Chiatto, Musicisti e
compositori in Messina dal XIX sec. al 1908, Messina 2017; Id., Maestri di cappella e composi-
tori di musica sacra dal XIX sec. al 1908, Messina 2014.
39
Tra gli altri è suo un celebre inno alla Madonna della Lettera, successivamente musicato
dal M° Padre Bernardo Modaro ofmcapp. Testo, musica e cenni storici si possono agevol-
mente consultare su www.madonnadellalettera.it. Si vedano anche: G. Foti, Storia, Arte e
Tradizione nella Chiesa di Messina, Messina 1983; Id., Storia, Arte e Tradizioni nelle Chiese
dei Casali di Messina, Messina 1992.
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 137

preghiere, poesie, petizioni, rappresentazioni. Niente era escluso da un reper-


torio che sovrabbondava di espressioni perché sovrabbondava di fede»40. Con-
sapevole che la Madre è la via privilegiata che porta al Figlio, sicuro del fatto
che la fede della Chiesa è cristocentrica, incoraggiò la familiarità con Maria
anche attraverso la pratica del canto nelle devozioni popolari, grazie al reperto-
rio musicale ‘mariano’, così vasto, ricco e variegato, fatto di canti popolari, di
facile presa, sia musicale che mnemonica del testo41. Egli tenne comunque per
fermo l’assunto, che anni dopo il Vaticano II solennemente ribadirà, che anche
essi possiedano quelle caratteristiche della musica sacra, superando il concetto
di genere musicale, ma riferendovisi come ad «un tesoro d’inestimabile valore,
che eccelle tra le altre espressioni dell’arte»42.

6. P. Annibale e la Via Pulchritudinis: la musica come strumento di educa-


zione alla bellezza dell’Ineffabile

L’uso che il Di Francia fece delle sacre rappresentazioni, e della mu-


sica in special modo, ne fa un educatore intelligente e completo. Egli seppe
applicare alla sua azione educativa e catechetica quell’uso saggio delle arti
che si mettono al servizio della fede, secondo i termini della Via Pulchritu-
dinis, in cui la musica ed il canto, diremmo anche il ‘fare attività musicale’,
sono un tratto originale e privilegiato di questa Via della Bellezza, oggi risco-
perta e ravvivata43. Apprese dalla storia ecclesiastica e dalla patristica il dato

40
Scelzo, Padre Annibale M. Di Francia, cit., p. 169. Sulla devozione mariana di p. Anni-
bale si legga il capitolo X di Papasogli - Taddei, Annibale Maria Di Francia, cit., pp. 163-174.
41
Un recente riferimento magisteriale su devozione e pietà popolare è: Sacra Congrega-
tio pro Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, Direttorio su pietà popolare e Liturgia.
Principi e orientamenti, Città del Vaticano 17 dicembre 2001, in «Enchiridion Vaticanum» 20,
pp. 2619-2657. Al contempo si offre una lettura recente sul tema A. Cimini, Musica sacra po-
polare oggi. Liturgia, pietà popolare, catechesi ed evangelizzazione, Città del Vaticano 2013.
42
Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Sacrosanctum Concilium. Constitutio de Sacra
Liturgia, 4 dicembre 1963, in «Acta Apostolicae Sedis», 56 (1964), pp. 97-138, n. 112; Sa-
cra Congregatio Rituum, Musicam Sacram. Instructio de musica in Sacra Liturgia, 5 marzo
1967, in «Acta Apostolicae Sedis», 59 (1967), pp. 300-320, n. 16b.
43
Il Magistero si è espresso recentemente in tal senso ed i vescovi italiani hanno sottolineato
l’importanza della via artistica e musicale dell’educazione religiosa: «Uno strumento particolar-
mente efficace per il primo annuncio (e per la catechesi) si rivela la valorizzazione del patrimonio
artistico ecclesiale, dalle opere più sublimi alle espressioni di arte religiosa popolare, ma non per
questo meno significative sotto il profilo della fede. Il contatto della sensibilità dagli artisti, la via
della bellezza, la comunicazione plurisensoriale e plurisemantica di cui le opere d’arte sono ric-
che, ne fanno un grande veicolo di annuncio e di approfondimento della dottrina cristiana. In tale
contesto va sottolineata anche la valenza catechistica della musica sacra» (Conferenza Episcopale
Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, Roma 29 giugno
2014, in «Enchiridion CEI» 9, pp. 1304-1584). A sua volta, Papa Francesco aveva precedente-
138 VALERIO CIAROCCHI

della trasmissione della fede attraverso la contemplazione visiva e sonora di


un’opera d’arte44. Attualizzandola nel contesto coevo e creando al contempo
opere nuove che potessero corroborare le attività delle sue opere educative, spe-
cialmente in riferimento alla gioventù. La Via Pulchritudinis, infatti, fin da prin-
cipio si caratterizzò per questo suo essere un mezzo efficace di educazione alla
fede, di catechesi per tutti, ma anche, allargando lo spettro di osservazione, di
istruzione degli incolti, di introduzione all’estetica ed alla contemplazione del
bello artistico, pur in assenza di spiccate competenze tecniche, estetiche, tanto
più in epoche remote, laddove la lettura e la scrittura erano appannaggio di po-
chi ed il sapere era tramandato negli scriptoria abbaziali e nelle scuole palatine.
La Via Pulchritudinis non è tuttavia qualcosa che sa di leggiadro, tanto più per-
ché riferita al Sommo Bene, che esclude l’effimero. Il can. Di Francia lo sapeva
perfettamente, altrimenti non se ne sarebbe giovato. La Via della Bellezza ha un
fondamento teologico, pari alla Via Veritatis ed alla Via Bonitatis: la Bellezza
del Dio di Gesù Cristo45. P. Annibale, attraverso le sue opere artistiche, messe
a servizio dei ‘suoi’ ragazzi, intese indicare l’esempio ed il traguardo. Non va
dimenticato che tutto il suo operato artistico, ed in qualche misura musicale, va
inquadrato nella sua attività pastorale e nella sua vita presbiterale. Vale a dire
che attraverso la Bellezza della vita del Cristo egli intese far loro ‘scoprire’ la
bellezza della fraternità, che nella visione ecclesiale non può che essere obla-
tiva, giungendo ad una trasfigurazione dei sensi, poiché la Via Pulchritudinis
coinvolge tutte le nostre dimensioni, ma in particolar modo quella sensoriale,
fino a portarci a quelli che la teologia spirituale chiama sensi spirituali46.

mente dato forza a tale concetto, parlando espressamente di ‘via pulchritudinis’: «è bene che ogni
catechesi presti una speciale attenzione alla ‘via della bellezza’ […]. In questa prospettiva, tutte le
espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incon-
trarsi con il Signore Gesù» (Franciscus, Evangelii Gaudium. Esortazione Apostolica sull’annun-
cio del Vangelo nel mondo attuale, Città del Vaticano, 24 novembre 2013, in «Acta Apostolicae
Sedis» 105 (2013) pp. 1019-1137). Vd. anche: Pontificio Consiglio della Cultura, La via pul-
chritudinis. Cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo, Roma 2006.
44
Su tutti, per la Patristica latina, si veda: Agostino d’Ippona, De Musica, Palermo 1990;
Id., De Catechizandis Rudibus. Prima catechesi per i non cristiani, Roma 1993. Per un primo
approfondimento: G. Stefani, L’etica musicale di S. Agostino, Roma 1969; L. Wuidar, La
simbologia musicale nei commenti ai salmi di Agostino, Sesto San Giovanni (Mi) 2014; M.B.
Zorzi, Melos e jubilus nelle Enarrationes in Psalmos di Agostino. Una questione di mistica
agostiniana, in «Augustinianum», 42 (2002), pp. 383-413.
45
Sintetizzabile in tre elementi: la Bellezza crocifissa, la Bellezza della fraternità ecclesia-
le, la trasfigurazione dei sensi dell’uomo. Su questo passaggio si approfondisca con la lettura
di: E. Palumbo, Spiritualità per via pulchritudinis, in «Itinerarium», 24 (2016/3) 64, pp. 19-
29; M.A. Spinosa, Per viam pulchritudinis. La contemplazione, opera della bellezza, «Ho
Theologos», 10 (2017); C. Valenziano, Verso una epistemologia della Via Pulchritudinis.
Tre lezioni dottorali h. c., Roma 2009. Le tre vie non sono in opposizione l’una con l’altra, né
si escludono a vicenda. Sono piuttosto complementari o, meglio, complanari l’una all’altra.
46
Indichiamo alcuni testi per l’approfondimento: M. Canevêt, Sens spirituel, in Diction-
«Mi giunge il suono della tua cetra bella» 139

Una ricapitolazione conclusiva

Annibale Maria Di Francia fu un uomo del suo tempo, impegnato pasto-


ralmente e socialmente. La sua instancabile opera apostolica fu però soste-
nuta, oltre che da una fede autentica e sovente eroica, anche da una brillante
intelligenza e da una ferrea volontà, ed arricchita da una cultura raffinata che
non tenne per sé ma ne fece strumento di bene e dono per gli altri. Consape-
vole della forza del sapere, volle che i giovani che sottraeva alla strada fos-
sero educati ed istruiti perché anch’essi fossero, come i giovani dell’oratorio
salesiano, i futuri ‘buoni cristiani ed onesti cittadini’ di Messina, creando per
loro un ambiente educante adatto a ciò47. Avvedendosi della forza delle paro-
le e della stampa, se ne servì facendo del giornale un altro pulpito dal quale
indicare, appellarsi, talvolta rivendicare, invitando a guardare alla realtà ed a
modificarla in meglio48. Comprendendo la potenza evocativa dell’arte e della

naire de Spiritualité, XV, pp. 598-617; E. Prato, Il ritorno dell’estetica. Nichilismo, post-
moderno e verità del cristianesimo, in «Parola Spirito e Vita», 44 (2001), pp. 265-277; P.
Sequeri, L’estro di Dio. Saggi di estetica, Milano 2000; P. Tomatis, Accende lumen sensibus.
La Liturgia e i sensi del corpo, Roma 2010; R. Vignolo, Segni di gloria e sensi spirituali.
Bellezza della rivelazione e accoglienza della fede nel Quarto Vangelo, in «Parola Spirito
e Vita», 44 (2001), pp. 95-126; G. Zurra, «I nostri sensi illumina»: coscienza, affettività e
intelligenza spirituale, Roma 2009.
47
Anche il suo afflato intellettuale non era scevro dall’intuizione che era propria dei grandi
santi sociali dell’Ottocento (Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso, Giuseppe Cottolengo, Luigi
Orione) per cui l’istruzione, non soltanto religiosa, non doveva essere scissa dalla formazione
pratica e manuale, con l’avvio ad un lavoro, unico ed autentico mezzo di riscatto sociale. Sue
sono le seguenti frasi, emblematiche del suo impegno pastorale ed educativo: «Non vi può esse-
re educazione, né religiosa né civile, discompagnata dal lavoro»; «Il lavoro è tra i primi efficienti
della moralità. Esso è ordine, è disciplina, è vita». Un segno, questo, dell’attualità e della moder-
nità del suo pensiero ed insieme dell’urgenza, ancor oggi avvertita, di una formazione integrale
della persona. Vd.: Aa.Vv., La pedagogia di Annibale Maria Di Francia e le nuove sfide educa-
tive. Identità, Attualità, Prospettive, Atti del 1° Convegno Internazionale, Roma 2014; Comitato
per il progetto culturale della C.E.I., La sfida educativa, Roma-Bari 2009; Concilium Oecu-
menicum Vaticanum II, Gravissimum educationis, Dichiarazione sull’educazione cristiana, 28
ottobre 1965, in «Acta Apostolicae Sedis» 58 (1966) pp. 728-739; R.G. Romano, Attualità della
pedagogia di Annibale Maria Di Francia. Una lettura pedagogica del brano del Rogate, in
“L’ardore della carità”, cit., pp. 105-116. Questo pensiero di Annibale Di Francia trova peraltro
riscontro anche in filosofi e pedagogisti di formazione laica. Se ne avverte un’eco, ad esempio,
nel filosofo positivista messicano Gavino Barreda, che attribuì all’educazione, secondo il con-
cetto di Amor, Orden y Progreso, il compito di fornire la chiave della formazione intellettuale a
quell’ordine sociale e morale che egli avvertiva necessario per il popolo messicano (si leggano
a proposito le seguenti opere: G. Barreda, De la educaciόn moral (1863); Id., Oraciόn cίvica
(1867), in E. Lemoine, La Escuela Nacional Preparatoria en el periodo de Gabino Barreda
(1867-1878), Ciudad de México 1995). S’intende tuttavia che il canonico Di Francia ebbe in sé
quella connotazione evangelica che lo contraddistinse da un meritorio eppur mero atteggiamen-
to filantropico, restando sempre nell’alveo della dottrina cattolica.
48
Vd. M. Germinario, Provocatore di Vangelo. Umanità e religiosità di Annibale Di
Francia, Roma 2006.
140 VALERIO CIAROCCHI

musica, non ha esitato a servirsene per educare senza imporre, seguendo le


orme della millenaria tradizione ecclesiale. Musica, poesia e prosa nel Di
Francia tendono alla verità e sono vocate al bene comune. Il santo messinese
è stato un degno continuatore in terra siciliana dell’opera di altri religiosi che
dell’oratorio, dell’animazione e della cura dei giovani e dei più deboli hanno
fatto il loro carisma49. Sulla sua scia, i successori hanno continuato ad opera-
re, applicandone il carisma secondo l’evoluzione dei tempi e della società50.
Egli è stato concretamente «un pastore secondo il cuore di Dio»51, a benefi-
cio del suo popolo, con un autentico e fattivo moto di cristiana compassione52.
È stato un fondatore e diremmo piuttosto un emendator. Ha cioè eliminato i
mali sociali che lo attorniavano, anche con la sua poliedrica cultura, mai fine a
sé stessa ma ispirata dalla carità ed orientata al bene53. È stato certamente poeta
– e musico – nel senso etimologico del termine. Un contemplativo ed insieme
un uomo d’azione, dell’eu poiein, ossia del fare il bene: «È la sua vita, la sua
dedizione, il suo ‘perdersi’ per gli altri che è poesia sublime, indiscutibile»54.

49
Letture illuminanti sul rapporto tra il can. Di Francia e don Orione, specialmente nel
periodo dell’immediato post-terremoto, sono: G. Papasogli, Vita di don Orione, Torino 1984;
A. Pronzato, Il folle di Dio. San Luigi Orione, Milano 2004.
50
Vd. Francesco Bonaventura Vitale e i Rogazionisti nel Mezzogiorno d’Italia, a cura di
A. Sindoni, Soveria Mannelli (Cz) 2004; nonché C. Naro, Per una storia della spiritualità in
Sicilia in età contemporanea, in F. Renda et Al., La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vati-
cano II, I-II, Caltanissetta-Roma 1994, II, pp. 483-547.
51
Vd. Ger 3, 15.
52
Il concetto ed il termine di compassione nell’Antico Testamento si ritrova, ad esempio,
in Es 2, 25; Sal 7, 13; Is 54, 7; Zc 7, 9. Nel Nuovo Testamento la compassione diviene para-
digmatica dell’agire stesso del Cristo Salvatore, diventando centrale nel concetto annibaliano
del Rogate (cfr. Mt 9, 35-38; Lc 10, 20; Lc 10, 25-37; Mc 1, 41; 6, 34; 8, 2; Lc 7, 13; 15, 20)
e di cui il santo messinese fece il suo habitus interiore e vocazionale.
53
Al riguardo si veda: L. Di Carluccio, Annibale Di Francia. Santo per i poveri di pane,
per i poveri di Dio, Roma 2004; Opzione preferenziale per i poveri. S. Annibale Maria Di
Francia, a cura di R. N’Cek - E. Kucharska, Roma 2014.
54
Pronzato, …Non hanno più pane, cit., p. 30. Vd. G. Quartarone, Un inviato speciale
tra i poveri: Padre Annibale, poeta della carità, in “L’ardore della carità”, cit., pp. 155-164.
DOCUMENTI E REPERTI
ARTE E CONSERVAZIONE
a cura di
Virginia Buda
Alessandra Migliorato

SANT’ALBERTO ADORANTE IL CROCIFISSO:


un dipinto del Cinquecento fiorentino nelle collezioni dell’Università di Messina

Le recenti aperture al pubblico delle collezioni del Rettorato dell’Università


di Messina1 hanno acceso i riflettori su un patrimonio cospicuo, solo in parte di
ambito locale, ma in qualche modo legato al territorio attraverso trame sottili.
Nel caso della tavola con Sant’Alberto adorante il Crocifisso (fig. 1, cm
116x86), il rapporto con il contesto cittadino appare certamente giustap-
posto, ma trae origine dal soggetto del dipinto, che ne determinò probabil-
mente la sua acquisizione sul mercato antiquario.
Secondo la tradizione agiografica, infatti, Alberto degli Abbati (1240 ca
-1307) – nato a Trapani da una nobile famiglia di origine fiorentina – trascorse
la seconda parte della sua vita a Messina, garantendone la sopravvivenza
durante un assedio e diventandone, quindi, uno dei principali santi protettori2.
Al momento dell’acquisto3 era comunque ben chiara la provenienza
toscana dell’opera, tanto che nei verbali risulta un’attribuzione al pittore
fiorentino Michele Tosini (1503-76). Attribuzione, quest’ultima, che evi-
dentemente non incontrava l’assenso di Federico Zeri, giacché nel suo
archivio fotografico essa risulta catalogata sotto la voce di anonimo fio-
rentino della seconda metà del XVI4, mentre il riferimento a Tosini (oltre

1
Per la pubblicazione del dipinto ringrazio il Magnifico Rettore prof. Salvatore Cuzzocrea
e il predecessore prof. Pietro Navarra, in carica quando ho iniziato questo studio.
2
Sul personaggio, vd. L. Saggi - R. Ruocco, Alberto degli Abati, da Trapani, in Bibliothe-
ca Sanctorum, I, Roma 1961, coll. 676-682; L. Sciascia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli
agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo, Messina 1993, pp. 109-160: 137-141;
F.P. Tocco, Da Oriente a Occidente: la religiosità messinese dai Normanni alla fine del Me-
dioevo, in Istituzioni ecclesiastiche e potere regio nel Mediterraneo medievale. Scritti per Sal-
vatore Fodale, a cura di P. Sardina, D. Santoro, M.A. Russo, Palermo 2016, pp. 3-17: 9-12.
3
Messina. Università degli Studi. Ufficio Patrimonio. Verbali di acquisto. 14 aprile 1991:
«Acquistato dal rettore Guglielmo Stagno d’Alcontres. Opera attribuita al pittore Michele
Tosini detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (1503-77). Acquistato da Minaj Faldella,
Bologna, via F. Acri n 9». Nel verbale l’opera è indicata come olio su tela, ma si tratta eviden-
temente di una svista. Per la consultazione del verbale si ringrazia il dott. Fabio De Domenico,
Ufficio patrimonio dell’Università Messina.
4
L’archivio della fototeca Zeri è consultabile online all’indirizzo: http://catalogo.fonda-
zionezeri.unibo.it.
146 ALESSANDRA MIGLIORATO

che al più improbabile Michele Guidotti), viene menzionato come proposta


alternativa scaturita dal mercato antiquario.
A parte queste notizie, la tavola è tuttora priva di uno studio critico, al
punto che trapela persino una certa fatica a coglierne a pieno le valenze
iconografiche: nell’archivio Zeri essa è indicata come «Cristo Crocifisso
con santo carmelitano (?) e due bambini»; mentre più precisa la descrizione
del verbale di acquisizione: «Crocifisso con angeli su sfondo di paese con
S. Alberto Siculo a sinistra e due ragazzi inginocchiati sulla destra».
In realtà, se Sant’Alberto e il Crocifisso restano il fulcro della scena, sono
le due figure collaterali – da identificarsi con due novizi dell’Ordine carmeli-
tano – a costituire un’assoluta singolarità, che va giustamente interpretata in
rapporto agli intenti della committenza. Il dipinto risulta impostato, infatti,
come una visione che si manifesta ai giovani protagonisti, invitati a seguire
il percorso del santo, anch’egli entrato precocemente in convento. L’orna-
mento delle coroncine di fiori (una ancora sul capo e l’altra deposta a terra)
fa pensare, inoltre, a una cerimonia di ordinazione religiosa.
Proprio per questo, i toni drammatici che spesso accompagnano il tema
della Crocifissione appaiono fortemente attutiti, grazie anche alla presenza
di due angioletti dall’espressione giocosa. La partecipazione di questi
ultimi, peraltro, va probabilmente collegata ad un episodio accaduto subito
dopo la morte di Sant’Alberto, quando sorse una controversia circa il tipo
di messa da celebrare per l’occasione e due angeli apparvero, intonando
l’Os iusti, introito della messa dei santi confessori.
L’originalità dell’ideazione, non è però solo un dato fine a se stesso,
ma va considerata come una spia sintomatica per comprendere il quadro di
riferimento dell’opera, le cui coordinate dipendono strettamente da quanto
si andava elaborando all’interno di una delle botteghe più prestigiose della
Firenze medicea: quella di Agnolo Bronzino (1503-72)5.
L’angioletto che ostenta in simultanea la visione frontale e quella tergale,
ad esempio, manifestando con efficacia immediata la possibilità della pittura
di riprodurre la circolarità del movimento, rappresenta non soltanto una cifra
ricorrente nel catalogo bronziniano, ma anche un’allusione al dibattito teo-
rico circa il primato fra le arti, stimolato dall’amico Benedetto Varchi6.

5
Nell’impossibilità di citare una bibliografia completa si rimanda a: A. Emiliani, Bronzi-
no, Busto Arsizio 1960; C.H. Smyth, Bronzino as Draughtsman. An Introduction with Notes
of His Portraitures and Tapestries, Locust Valley N.Y. 1971; A. Cecchi, Agnolo Bronzino,
Firenze 1996; E. Pilliod, Pontormo, Bronzino Allori, A Genealogy of Florentine Art, New
Haven, Conn, London 2001; E. Brook, Bronzino, Paris 2002; M. Tazartes, Bronzino, Gine-
vra-Milano 2003; C.C. Bambach, J. Cox Rearick, G.F. Goldner, The Drawings of Bronzino,
Catalogo della mostra, New York, 2010; Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici,
Catalogo della mostra, Firenze 2010.
6
Sulla questione si consulti almeno: M. Collareta, Le “arti sorelle”. Teoria e pratica del
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 147

Fig. 1 - Alessandro Allori (?), Sant’Alberto adorante il Crocifisso e due novizi, Messina, Uni-
versità degli Studi, Rettorato
148 ALESSANDRA MIGLIORATO

Fig. 2 - Agnolo Bronzino e bottega, Immacolata Concezione, Firenze, chiesa di S. Maria della
Pace, in deposito esterno dalle Gallerie Fiorentine
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 149

Fig. 3 - Michele Tosini, La Notte, Roma, Galleria Colonna

Alla stessa matrice culturale si devono l’atmosfera sospesa e immobile,


da rituale celebrativo, priva di sbavature emotive, l’aristocratico distacco
dei protagonisti o il modo di caratterizzare alcuni personaggi con i volti
fortemente scorciati e gli occhi ruotati verso l’alto (fig. 2).
Di contro, va detto che l’universo di intangibile astrazione e i nettissimi
intagli adamantini che caratterizzano le opere del Bronzino, sembrano qui
tradotti in una versione per così dire ‘normalizzata’, cedendo il passo a una
misura più umana e a forme più stemperate e sfumate.
L’attribuzione a Tosini si comprende, dunque, alla luce della conti-
guità fra i due artisti, che si manifesta in maniera eclatante, ad esempio,

paragone, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1992, II, pp. 569-58; B. Varchi, V.
Borghini, Pittura e Scultura nel Cinquecento, a cura di P. Barocchi, Livorno 1998; M. Col-
lareta, Varchi e le arti figurative, in Benedetto Varchi 1503-1563, Atti del convegno di studi
(Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Accademia della Crusca, 16-17 dicem-
bre 2003), a cura di V. Bramanti, Roma 2007, pp. 173-184; M. Collareta, La pittura e le sue
sorelle, in Bronzino. Pittore e poeta, cit., pp. 195-201; A. Geremicca, ‘Damone’ per ‘Crisero’
e gli altri. Benedetto Varchi e gli artisti (prima e dopo l’Accademia fiorentina), in Intrecci
Virtuosi. Letterati, artisti e accademia nell’Italia centrale tra Cinque e Seicento, a cura di C.
Chiummo, A. Geremicca, P. Tosini, Roma 2016, pp. 11-26; Id., Sulla scia di Agnolo Bronzino,
Alessandro Allori sodale di Benedetto Varchi. Un ritratto ‘misconosciuto’ del letterato e un
suo sonetto inedito, in «La Rivista. Études culturelles italiennes Sorbonne Universités», 5
(2017), pp. 85-112.
150 ALESSANDRA MIGLIORATO

Fig. 4 - Alessandro Allori, Madonna Odigitria, Messina, Museo Regionale (su concessione
dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana - Dipartimento Beni
culturali, Museo Regionale di Messina)
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 151

Fig. 5 - Alessandro Allori, I sette Santi che ascendono a Monte Senario, Firenze, chiesa
dell’Annunziata (part.)
Fig. 6 - Alessandro Allori, Madonna Odigitria, Messina, Museo Regionale (part.)
Fig. 7 - Alessandro Allori, Disputa di Gesù nel tempio, Firenze, chiesa dell’Annunziata, cap-
pella Montauto (part.)
Fig. 8 - Sant’Alberto adorante il Crocifisso e due novizi (part.)
152 ALESSANDRA MIGLIORATO

Fig. 9 - Alessandro Allori, Autoritratto, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni
e delle stampe, inv. n 15390 F (da E. Pilliod, Pontormo, Bronzino Allori, A Genealogy of
Florentine Art, New Haven, Conn.- London 2001)
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 153

nella serie di dipinti eseguiti per Alamanno Salviati (oggi presso la Galle-
ria Colonna a Roma), in cui il dialogo linguistico è talmente fitto da aver
indotto in passato ad assegnare l’intero gruppo al solo Bronzino7.
Entrambi si misurano, del resto, con analoghe fonti figurative, Andrea
del Sarto e Michelangelo in primis, giungendo, però, ad esiti diversi.
Benché le differenze non risultino forse di evidenza immediata, pos-
siamo comunque osservare come il Tosini trasferisca la monumentalità
michelangiolesca in forme tornite dal chiaroscuro, che si impongono in
maniera preponderante. Inoltre egli ricorre con una certa frequenza a sti-
lemi peculiari nel tratteggiare le fisionomie con epidermidi ipersensibili,
accese da improvvisi rossori nelle gote, arcate orbitali sottolineate da
ombre scure di contorno e sopracciglia spesso evanescenti (fig. 3).
Si tratta di caratteri sostanzialmente assenti nel nostro dipinto, per la
cui paternità non bisognerebbe allontanarsi troppo dallo stretto entourage
bronziniano, al quale appartenevano – a detta del Vasari8 – Giovanni Maria
Butteri (1540-1606), Lorenzo Vaiani (1541-98), Cristofano dell’Altissimo
(1525-1605), Stefano Pieri (1542-1629), Giovan Battista Naldini (1535-
91) e soprattutto il prediletto Alessandro Allori (1535-1607)9, che visse

7
Il dipinto con Venere, Amore e Satiro (Roma, Galleria Colonna, inv. Salviati 1756, n. 66,
cm 135x231) fu eseguito da Agnolo Bronzino per Alamanno Salviati (zio di Cosimo de Medi-
ci) intorno al 1553. Vd.: G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori, scultori et architettori…,
ed. a cura di P. Barocchi, R. Bettarini, Firenze 1966-1987, VI, p. 235; E. Brook Bronzino,
cit., pp. 234-235; Tazartes, Bronzino, cit., pp. 50, 182; A. Baldinotti, Bronzino. Venere, Amo-
re e Satiro, scheda in Bronzino. Pittore e poeta, cit., pp. 212-213 (con bibliografia completa).
Per i tre dipinti del Tosini vd.: C. Gamba, 1928-1929, Ridolfo e Michele di Ridolfo del Ghir-
landaio, in «Dedalo», pp. 463-490 (prima parte), 544-56 (II parte); H. Hornik, Michele Tosini
and the Ghirlandaio workshop in Cinquecento Florence, Brighton 2009; R.M. Wellman,
Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Michele Tosini), La Notte, scheda in Il Cinquecento a
Firenze. Maniera moderna e Controriforma, catalogo della mostra a cura di C. Falciani, A.
Natali, Firenze 2017, pp. 264-265.
8
Vasari, Le Vite, cit., VI, pp. 238-240.
9
Per Alessandro Allori vd.: Vasari, Le Vite, cit., VI, pp. 238-239; R. Borghini, Il Riposo,
Firenze 1584, vol. III, IV, pp. 204-213; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno, 6
voll., Firenze 1681-1728, vol. V, III, p. 521; I. Supino, I Ricordi di Alessandro Allori, Firenze
1908; Mostra di disegni di Alessandro Allori (Firenze 1533-1607), catalogo della mostra a
cura di S. Lecchini Giovannoni, Firenze 1970; Ragionamenti delle regole del disegno d’Ales-
sandro Allori con M. Agnolo Bronzino, in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Baroc-
chi, II, Roma-Napoli 1975, p. 1965; Ph. Costamagna, Osservazioni sull’attività giovanile di
Alessandro Allori: seconda parte (les portraits), in «Antichità viva», XXVII (1988), 1, pp.
23-31; G. Langdon, A reattribution: Alessandro Allori’s Lady with a cameo, in «Zeitschri-
ftfür Kunstgeschichte», LII (1989), 1, pp. 25-45; S. Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori,
Torino 1991; E. Karwacka Codini, M. Sbrilli, La committenza dei Salviati ad Alessandro Al-
lori. Contributo sull’attività ritrattistica, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa.
Classe di Lettere e Filosofia», sr. III, vol. 21, n. 2 (1991), pp. 681-693; Pilliod, Pontormo,
Bronzino, Allori, cit.; A. Natali, La donna col cammeo: Ortensia de’ Bardi da Montauto di-
pinta da Alessandro Allori, Firenze 2006; G. Botticelli, La Cappella di San Girolamo nella
154 ALESSANDRA MIGLIORATO

Fig. 10 - Alessandro Allori, Miracoli di San Fiacre, Firenze, chiesa di S. Spirito


Sant’Alberto adorante il Crocifisso 155

Fig. 11 - Sant’Alberto adorante il Crocifisso e due novizi (partt.)

Fig. 12 - Alessandro Allori, Madonna Odigitria, Messina, Museo Regionale (part.)

Fig. 13 - Alessandro Allori, Angioletti reggenti un calice con la particola, Firenze, Palazzo
Vecchio, Cappella di Eleonora di Toledo (part.)
156 ALESSANDRA MIGLIORATO

Fig. 14 - Alessandro Allori, Fig. 15 - Sant’Alberto Fig. 16 - Alessandro Allori,


Madonna Odigitria, Messina, adorante il Crocifisso Annunciazione, Firenze, Gal-
Museo Regionale (part.) e due novizi (part.) lerie dell’Accademia (part.)

con il maestro alla stregua di un figlio e ne raccolse il testimone anche in


termini di prestigio e successo personale (fig. 4).
Proprio alla personalità di quest’ultimo si adattano perfettamente le
caratteristiche della tavola, in cui l’algida perfezione del maestro tende ad
incrinarsi in favore di toni più morbidi e accostanti.
Prima di approfondire tale ipotesi tuttavia bisogna avvertire che nell’o-
pera si individua qualche disomogeneità qualitativa, nonché la presenza di
ridipinture, la cui entità andrebbe meglio accertata con opportune indagini.
Nelle parti più integre, tuttavia, gli elementi di riscontro si rivelano
estremamente pregnanti: la stesura pittorica fredda, la luce balenante che

SS. Annunziata di Firenze, 1. L’intervento di restauro sulle pitture murali di Alessandro Al-
lori, in «Critica d’arte», LXX (2008), 33/34, pp. 104-119; S. Bianchin, La Cappella di San
Girolamo nella SS. Annunziata di Firenze, 2. Una metodologia scientifica per la conoscen-
za, la conservazione e il monitoraggio delle superfici pittoriche, in «Critica d’arte», LXX
(2008), 33/34, pp. 120-128; F. Saracino, Alessandro Allori “arameo”, in «Mitteilungen des
Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XLVIII (2004/2005), 3, pp. 358-382; A. Cherubini,
Alessandro Allori, il Destino e la Virtù, in «Artista», 2009, pp. 62-137; Id., Alessandro Allori
e l’eredità del Bronzino, in Bronzino. Pittore e poeta, cit., pp. 323-327; Id., Alessandro Allori
e la sua bottega: da allievo a maestro, in Alessandro Pieroni dall’Impruneta e i pittori del-
la Loggia degli Uffizi, Catalogo della mostra, a cura di A. Bernacchioni, Firenze 2012, pp.
59-79; A. Geremicca, Sulla scia di Agnolo, cit., pp. 85-112; R. Spinelli, Alessandro Allori a
Santa Maria Novella, in Le chiese di Firenze. 3 Dalla ristrutturazione vasariana e granducale
ad oggi, a cura di A. Spinelli, 2017, pp. 121-139; J. Stock, A drawing in the Capodimonte,
Naples, reattributed to Alessandro Allori, in «Master drawings», V. 56, 4 (2018), pp. 483-485;
V. Baldi, I figurini di Alessandro Allori per La disperazione di Fileno, pastorale in musica di
Laura Guidiccioni Lucchesini ed Emilio de’ Cavalieri, in «OADI Rivista dell’Osservatorio
per le Arti decorative in Italia», n. 10, dicembre 2014, consultabile online all’indirizzo: http://
www1.unipa.it/oadi/rivista.
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 157

illumina i tessuti dei sai monacali, i riccioli dorati degli angeli, o le loro
piume dalle cromie cangianti, l’apertura su un paesaggio quasi onirico,
che sfuma teneramente in lontananza, i minuti intrecci di fiori nelle coron-
cine, i panneggi sfaccettati e voluminosi che assecondano il movimento
del corpo, il contrasto fra la vivacità scatenata dei due angeli e l’intensità
mistica degli altri personaggi, rimandano chiaramente alla cultura allo-
riana, che trova conferma nell’analisi delle singole figure.
In particolare il novizio in primo piano rappresenta in modo emblema-
tico uno dei caratteri cruciali del maestro sia per l’espressione ineffabile
e malinconicamente assorta, sia per la specificità dei tratti fisionomici,
come gli occhi sottolineati da una doppia linea, le palpebre un po’ gonfie
e incorniciate da lunghe ciglia, il naso infantile illuminato in punta da una
striscia di biacca, la bocca sottile e lievemente asimmetrica (figg. 5-8).
La sua tipologia si riscontra in quasi tutta la produzione del pittore a par-
tire dal Cristo fanciullo della Disputa di Gesù nel tempio nella cappella
Montauto della chiesa dell’Annunziata a Firenze10, al giovanile autori-
tratto a matita conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle stampe
degli Uffizi11 (fig. 9), ai putti e alla Vergine della Madonna Odigitria del
Museo Regionale di Messina (dalla chiesa di San Francesco)12, alle figure
del Mese o di Hymeneo della serie della Genealogia degli Dei (Firenze,
Biblioteca centrale)13, al più giovane de I sette Santi che ascendono a
Monte Senario (Firenze, chiesa dell’Annunziata)14, ai tanti volti femminili
come la donna in primo piano dei Miracoli di San Fiacre (Firenze, chiesa
di S. Spirito)15 (fig. 10).

10
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., pp. 238-239; Pilliod, Pontormo, Bronzino,
Allori, cit., pp.145-185; Botticelli, La Cappella di San Girolamo, cit., pp. 104-119; Bian-
chin, La Cappella di San Girolamo, cit., pp. 120-128
11
Per il disegno (inv. n 15390 F) vd. S. Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., p.
217; Pilliod, Pontormo, Bronzino, Allori, cit., pp. 97-112.
12
Si ringrazia per la pubblicazione del dipinto il direttore del Museo Regionale di Mes-
sina, arch. Orazio Micali. Per la bibliografia si consulti: T. Pugliatti, La Vergine «Odigitria»
di Alessandro Allori. Vicenda critica e iconologica, in Scritti in onore di Vittorio di Paola,
Messina, 1985, pp. 283-308; F. Campagna Cicala, Presenze fiorentine a Messina nella secon-
da metà del Cinquecento, in «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Arte Medievale e Moderna.
Facoltà di Lettere e Filosofia. Università di Messina», 9-10 (1985-1986), pp. 21-37: 29; Lec-
chini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., p. 275.
13
Ms. C.B. III, 53, vol. I. Vd.: Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., pp. 224-
225.
14
Lecchini Giovannoni, I Sette santi che ascendono a Monte Senario, scheda in Il Seicento
Fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III. Pittura, Firenze 1986, pp. 86-87;
Ead, Alessandro Allori, cit., p. 294.
15
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., p. 285; A. Geremicca, Alessandro Allori.
Miracoli di San Fiacre, scheda in Il Cinquecento a Firenze, cit., pp. 328-329. Fra i confronti
è interessante prendere in considerazione anche il Ritratto di ragazzo con libro del Museum
158 ALESSANDRA MIGLIORATO

Il motivo dei due angeli volteggianti, cui si è già accennato per il


Bronzino, diventa nell’Allori ancora più insistente (figg. 11-13): nei due
Angioletti reggenti un calice con la particola su una delle sovrapporte
della cappella di Eleonora di Toledo presso Palazzo Vecchio a Firenze16,
nell’Adorazione dei Pastori nel duomo di Carini (Palermo)17, nell’Ascen-
sione della chiesa del Carmine a Pisa, nella Madonna Odigitria del Museo
Regionale di Messina, nell’Assunzione della Vergine nella cappella Nic-
colini della chiesa di Santa Croce a Firenze, nell’Incoronazione di Maria
delle Gallerie dell’Accademia di Firenze, nelle due versioni della Nascita
della Vergine della chiesa di Santa Maria Nuova a Cortona e della Santis-
sima Annunziata a Firenze, nell’Assunzione della Vergine dell’Oratorio di
San Michele a Prato, nella Santissima Trinità della chiesa dell’Annunziata
a Firenze18.
L’espressione mobile e vivacissima che anima l’angioletto di sinistra si
rispecchia, invece, nel Gesù Bambino dei Miracoli di San Fiacre (fig. 10).
Non meno significativo il novizio (o la novizia?) in secondo piano, con
le orbite oculari rivolte verso l’alto, la fronte accentuatamente convessa,
le gote paffute e arrossate, che trova sponda nel repertorio vastissimo di
cherubini e angioletti del maestro (figg. 14-16), a partire da quelli della
Madonna Odigitria di Messina, a quelli dell’Annunciazione delle Gallerie
dell’Accademia a Firenze19.
E ancora: i tratti somatici del Sant’Alberto (fig. 17) riprendono quelli
di San Tommaso d’Aquino o di Duns Scoto, che fanno capolino ai due
lati dell’Immacolata Concezione (fig. 2)20, opera avviata dal Bronzino al
termine della carriera e completata dagli allievi; mentre la posizione forte-
mente scorciata del santo appare insistentemente reiterata nelle altre figure
della stessa pala e torna, con diverse varianti, in gran parte del catalogo
alloriano, dalla giovanile Maddalena nel deserto, (Bergamo, collezione

of Fine Art di Houston (in origine presso la collezione Maresca di Napoli, poi Contini Bo-
naccolsi, infine Kress), la cui attribuzione al Nostro non è comunque accolta unanimemente.
16
E. Allegri, A. Cecchi, Palazzo Vecchio e i Medici, guida storica, Firenze 1980, pp. 21-
24; A. Natali, Andrea del Sarto, modello di pensiero e di lingua, in Il Cinquecento a Firenze,
cit., pp. 89-105.
17
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., pp. 244-245; N.A. Lo Bue, Alessandro
Allori. Adorazione dei pastori, scheda in Gloria Patri. L’arte come linguaggio del sacro,
catalogo della mostra a cura di G. Mendola (Monreale-Corleone, 2000/2001), Palermo 2001,
pp. 54-55.
18
Vd. supra, nt. 8.
19
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., pp. 276-278.
20
È il Borghini (Il riposo, cit., p. 538) a dare testimonianza dell’opera iniziata dal Bron-
zino alla fine della sua vita e terminata dai collaboratori. Su questo vd.: A. Natali, Bronzino,
Immacolata Concezione, scheda in Il Cinquecento a Firenze, cit., pp. 124-125.
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 159

Fig. 17 - Sant’Alberto adorante il Crocifisso e due novizi (part.)


160 ALESSANDRA MIGLIORATO

privata)21, alla figura a sinistra della Pesca delle perle dello studiolo di
Palazzo Vecchio a Firenze, alla Proserpina del Ratto di Proserpina del
Getty Museum a Los Angeles22.
Il modello del Cristo (fig. 18) deriva dal magnifico Crocifisso Pancia-
tichi del Bronzino (Nizza, Musée des Beaux-Arts)23, dal quale riprende la
posizione del corpo e del capo, distaccandosi però nel modellato, qui meno
aulico ed elegante. Si tratta di un tema sul quale Allori si è misurato in
numerosi studi grafici, che giungono ad esiti analoghi nel disegno inven-
tariato al numero 10306 F del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli
Uffizi (preparatorio per la tavola con la Deposizione della chiesa di Santa
Croce a Firenze)24, mentre nel giovanile Crocifisso con San Giovanni e la
Maddalena oggi presso l’Educatorio del Fuligno a Firenze25, le differenze
nella posizione del capo e del panneggio rendono meno evidenti le affinità,
che tuttavia sussistono.
Il robusto impianto del corpo, l’attenzione con cui ne viene resa la
muscolatura sembrano porsi piuttosto, pur senza raggiungerne l’enfasi,
nella medesima direzione del possente Cristo della Flagellazione su rame
in collezione privata londinese26. Del resto, dalla stessa testimonianza
dell’Allori apprendiamo che egli approfondì l’interesse verso gli studi ana-
tomici grazie alla pratica della dissezione dei cadaveri appresa dal medico
Alessandro Menchi da Montevarchi, nipote di Benedetto Varchi e quindi
amico di famiglia27.
Per quanto riguarda le circostanze di esecuzione, è chiaro che il committente
avesse legami con l’Ordine dei Carmelitani, i cui contatti con l’artista presen-
tano almeno due appigli documentati. Sappiamo, appunto, che il 26 gennaio
1581 (1582). Allori riceveva un acconto per l’affresco con l’Ultima Cena
(forse eseguito con l’aiuto di Giovanni Maria Butteri) nel refettorio della
chiesa del Carmine a Firenze su commissione di frate Luca da Venezia,
mentre il saldo per il lavoro ultimato gli fu consegnato il 19 marzo del

21
Ivi, p. 233.
22
Ivi, pp. 226-227, 228.
23
Ph. Costamagna, C. Falciani, Le Christ en croix d’Agnolo Bronzino peint pour Bartolo-
meo Panciatichi, in «Revue de l’art», 168 (2010), pp. 2 e 45-52; C. Falciani, Bronzino. Cristo
crocifisso, scheda in Bronzino. Pittore e poeta, cit., 170-172.
24
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., p. 219; Pilliod, Pontormo, Bronzino, Al-
lori, cit., pp. 113-144.
25
A. Cherubini, Alessandro Allori e l’eredità del Bronzino, in Bronzino. Pittore e poeta,
cit., pp. 323-327; Id., Alessandro Allori. Cristo Crocifisso tra San Giovanni Evangelista e la
Maddalena, ivi, pp. 330-331.
26
Il dipinto, firmato dall’artista, è stato pubblicato da C. Falciani, in Il Cinquecento a
Firenze, cit., pp. 216-217.
27
Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., p. 35.
Sant’Alberto adorante il Crocifisso 161

Fig. 18 - Sant’Alberto adorante il Crocifisso e due novizi (part.)


162 ALESSANDRA MIGLIORATO

medesimo anno28. Inoltre, il 3 agosto 1581 spediva a Nicolò da Poggibonsi


la pala d’altare con l’Ascensione di Cristo per la chiesa dei carmelitani di
Pisa, di cui era stato intermediario Pietro Spigliati29.
Dato il formato ridotto della nostra tavola, risulta, però, alquanto com-
plesso risalire all’originario destinatario, ma si può pensare o che essa
costituisse una prova compositiva per più vasta impresa non eseguita,
oppure che fosse destinata ad una fruizione privata e, in questo senso non
possiamo fare a meno di segnalare che nella collezione di uno dei più
importanti mecenati dell’Allori, Jacopo Salviati30, venivano menzionati
due Crocifissi31, di cui uno in rame (descritto anche ne I Ricordi dell’arti-
sta)32 ed un altro forse su tavola: «Un crocifisso di mano del detto [Allori]
con cornice di ebano»33.

28
Supino, I ricordi, cit., pp. 16-17, 35; Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, cit., pp.
257-258.
29
Ivi, p. 255.
30
La collezione si trovava presso Palazzo Portinari Salviati a Firenze. Si veda per questo:
E. Karwacka Codini, M. Sbrilli, La committenza dei Salviati, cit., pp. 681-693.
31
Pisa, Scuola Normale Superiore, Archivio Salviati, Libro d’Inventari dell’eredità et ere-
di della buona Memoria dell’Ill.mo ed Ecc.mo signor Lorenzo… dopo il 17 luglio 1609, f. 32
nr. 1223, in Karwacka Codini, Sbrilli, La committenza dei Salviati, cit., p. 687.
32
Supino, I ricordi, cit., p. 23.
33
Pisa, Scuola Normale Superiore, Archivio Salviati, Libro d’Inventari, cit., f. 33 nr. 124,
in Karwacka Codini, Sbrilli, La committenza dei Salviati, cit., p. 687.
Gaetano Bongiovanni

GERONIMO RIZZARDO A TAORMINA

Nell’articolato contesto della pittura del tardo manierismo, diffusa in Si-


cilia tra gli ultimi decenni del XVI secolo e i primi anni del successivo,
si individua un pittore connotato dal linguaggio fortemente arcaizzante che
tuttavia dimostra di conoscere gli esiti di gran parte della pittura italiana del
Cinquecento, soprattutto di area centro-meridionale.
Si tratta di Girolamo Rizzardo (o Ricciardi o Rizzardi) finora conosciu-
to attraverso tre opere firmate a cui se ne aggiunge un’altra cautamente
attribuitagli. Sappiamo della sua origine veneziana attraverso l’iscrizione
«Hieronimus Rizzardus pinxit 1600 il Venetiano» apposta nel San Giovanni
scrive l’Apocalisse (fig. 1), grande pala d’altare, ad olio su tela, della Chie-
sa Madre di Corleone1. Tuttavia occorre immediatamente notare che nelle
sue opere non si registrano elementi di area veneziana o comunque veneta,
probabilmente perché l’origine dalla città lagunare riguarda solo il luogo na-
tale2; lo stesso cognome ricorre a partire dal basso medioevo in alcuni centri
veneti dell’attuale provincia di Belluno.
La pala di Corleone presenta la figura di San Giovanni immersa in un pa-
esaggio frondoso cromaticamente caratterizzato dalle tonalità calde dei verdi
della vegetazione accostate ai rossi dell’ampio manto del santo, mentre l’in-
quietante visione dell’Apocalisse viene sottolineata dagli improvvisi lampi
di luce e dalle tonalità azzurre che virano verso effetti metallici.
Oltre che con questo dipinto, il Rizzardo è ricordato nella letteratura
artistica siciliana dell’Ottocento grazie all’erudito neoclassico Agostino
Gallo che segnala un suo quadro con Santa Eufemia (fig. 2) – firmato e
datato 1600, il medesimo anno del quadro di Corleone – già nel parlatoio
del monastero della Martorana a Palermo e oggi nei depositi della Galleria

1
Vd. B. Fasone, scheda II.7, in Gloria Patri. L’arte come linguaggio del sacro, a cura di
G. Mendola, Palermo 2001, pp. 170-171.
2
Per la raccolta delle notizie biografiche e le opere riferite a questo pittore, si veda la re-
cente voce di G. Bongiovanni, Ricciardi Girolamo, in Dizionario enciclopedico dei pensatori
e dei teologi di Sicilia dalle origini al sec. XVIII, a cura di F. Armetta, vol. 10, Caltanisset-
ta-Roma 2018, pp. 4082-4083.
164 GAETANO BONGIOVANNI

Fig. 1 - Geronimo Rizzardo, San Giovanni Fig. 2 - Geronimo Rizzardo, Santa Eufemia,
scrive il libro dell’Apocalisse, 1600, olio su tela. 1600, olio su tela. Palermo, Galleria Regio-
Corleone, Chiesa Madre nale di Palazzo Abatellis, depositi

Regionale di Palazzo Abatellis. Così scrive il Gallo: «sembra che avesse


guardato i quadri di Paladino e seguito lo stile, ma con più forza di scuri»3.
Tuttavia la vicinanza con Filippo Paladini proposta dall’erudito lascia in-
tendere in queste due opere del Rizzardo (San Giovanni e Santa Eufemia)
una cultura pittorica connotata dagli sviluppi del manierismo palermitano
tra Alvino e Paladini4.
La terza opera firmata è la Madonna del Rosario con santi domenicani
e francescani (fig. 3) conservata nella chiesa di Borgo Parrini, contrada di
Partinico, proveniente da una piccola chiesa limitrofa fondata dai gesuiti del
Noviziato di Palermo e già intitolata alla Vergine del Rosario. Il dipinto, su
tavola, reca nella partizione centrale il tema del quadro mentre tutto intorno
in 17 riquadri si trovano dipinti i misteri della Passione. Le tonalità squillanti
dei colori danno risalto ai temi iconografici rappresentati secondo modalità

3
A. Gallo, Prima parte delle notizie di pittori e museacisti siciliani ed esteri che operaro-
no in Sicilia (ms. XV.H.18), trascrizione e note a cura di M.M. Milazzo, G. Sinagra, Palermo
2003.
4
Così viene sostenuto da G. Davì, Appunti sul tardo manierismo isolano, in Vulgo dicto lu
Zoppo di Gangi, a cura di V. Abbate, Gangi 1997, pp. 88-89.
Geronimo Rizzardo a Taormina 165

Fig. 3 - Geronimo Rizzardo, Madonna del Fig. 4 - Geronimo Rizzardo, Madonna del
Rosario con santi domenicani e francescani, Rosario con santi domenicani e francescani,
fine sec. XVI, olio su tavola. Partinico, Chiesa part. Resurrezione, fine sec. XVI, olio su tavo-
di Borgo Parrini la. Partinico, Chiesa di Borgo Parrini (partt.
prima e dopo il restauro)

tipiche della Maniera moderna. La gran parte dei Misteri rimanda alla cultu-
ra del manierismo centro meridionale con specifiche tangenze con le opere
siciliane di Vincenzo da Pavia e Simone de Wobrec. All’ambiente romano,
invece, e in particolare al Raffaello delle Stanze Vaticane, sembra ispirarsi il
riquadro con l’elegante scena della Resurrezione (fig. 4). La tavola di Borgo
Parrini, che grazie al recente e accurato restauro ha raggiunto una leggibilità
ottimale5, si potrebbe agevolmente datare agli anni novanta del XVI secolo o
poco prima, quindi in epoca antecedente ai quadri di Corleone e di Palermo.
Probabilmente il Rizzardo, come tanti altri pittori attivi a Palermo e nel
suo hinterland, pur non essendo di origini locali si è bene integrato nel con-
testo della città vicereale, come attestano alcuni atti notarili datati tra il 1607
e il 1609. Tra questi il documento reso noto da Giovanni Mendola e tratto da
un atto del notaio Vincenzo Bellinvia, del 26 novembre 1609, in cui il Riz-
zardo viene nominato insieme a Gaspare Bazzano, lo Zoppo di Gangi, come
esperto per la valutazione del quadro raffigurante i Santi Biagio e Antonio

5
Vd. L. Panzavecchia, C. Puglisi, M. Vitella, Un’inedita tavola di Geronimo Rizzardo in
Sicilia. restauro e scoperta, in «Kermes», 106, aprile-giugno 2017, pp. 20-26.
166 GAETANO BONGIOVANNI

dipinto da Giuseppe Carrera e destinato a Partinico6. Inoltre chi scrive ha


riferito al Rizzardo il Martirio di Santa Giuliana7, oggi nella sacrestia della
Chiesa Madre di Giuliana nel palermitano, che potrebbe datarsi tra il primo e
il secondo decennio del XVII secolo. La figura della santa mostra numerose
affinità con il volto e il trattamento morbido del chiaroscuro della Santa Eu-
femia già nel Monastero della Martorana (fig. 2).
Adesso possiamo aggiungere al catalogo delle opere certe del pittore an-
che un dipinto che si trova lontano dall’ambiente palermitano, presso cui
l’artista di origine veneziana ha prevalentemente operato, ovvero l’inedi-
ta Adorazione dei Magi (fig. 5) dell’Albergo (ex convento) San Domenico
di Taormina8. La tavola, firmata in basso a destra «Hieronimus Rizzardus
1579», è affine, sia nella scelta del supporto sia nelle dimensioni medio pic-
cole, al dipinto di Partinico; entrambi sono databili ancora al XVI secolo e
mostrano un fruttuoso legame con la pittura del Cinquecento.
Questa Adorazione dei Magi costituisce, allo stato attuale degli studi, l’ope-
ra più antica del Rizzardo e pare inequivocabilmente connettersi all’ambiente
artistico partenopeo. Vi si possono rilevare riferimenti sia alla pittura fiam-
mingheggiante diffusa a Napoli tra la fine del Quattrocento e la prima metà
del secolo successivo, sia a pittori attivi in loco quali Antonio Solario detto
lo Zingaro e Marco Cardisco. In particolare l’Adorazione dei Magi condivide
numerosi punti di contatto con la grande tavola del medesimo tema attribuita
concordemente a Marco Cardisco (Calabria, 1485 ca – Napoli 1542 ca) dipinta
per la Cappella Palatina di S. Barbara in Castel Nuovo. Quest’ultima opera già
riferita al Van Eyck e a Pietro del Donzello, è stata inequivocabilmente asse-
gnata al Cardisco degli anni intorno al 1520 da Ferdinando Bologna grazie ad
alcuni puntuali raffronti con opere napoletane9 dello stesso pittore.

6
Vd. G. Mendola, Regesto dei documenti relativi a Gaspare Bazzano e alla sua scuola,
in Vulgo dicto lu Zoppo, cit., p. 267.
7
Bongiovanni, Ricciardi Girolamo, cit., pp. 4082-4083. Questo dipinto di Giuliana era
stato reso noto come di autore ignoto siciliano di cultura tardomanieristica da A.G. Marche-
se, La festa della Patrona di Giuliana “Maria SS. dell’Udienza”, Palermo 1998, p. 66, che
riproduce l’opera.
8
Il dipinto è inserito nel vincolo curato dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Am-
bientali di Messina riguardante la «Collezione di beni mobili e manufatti immobili pertinente
all’albergo San Domenico Palace Hotel (ex convento, di Taormina)». D.D.G. n. 287 del 7
febbraio 2017, emanato dal Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Siciliana.
9
Su questa importante opera di Marco Cardisco si confronti la scheda di P. Leone de Ca-
stris, in Castel Nuovo: il Museo Civico, a cura di P. Leone de Castris, Napoli 1990, pp. 132-
133, con la letteratura artistica precedente. Inoltre G. Previtali, La pittura del Cinquecento a
Napoli e nel vicereame, Torino 1978, p. 30 rivela quanto il carattere prevalente del quadro sia
lombardo «nel senso che la gamma cromatica ricorda Andrea Solario, e il tipo del volto della
Madonna e il paesaggio sono leonardeschi; mentre i palafrenieri a sinistra rimandano alla
cerchia umbro-romana, tra Raffaello giovane e il Genga».
Geronimo Rizzardo a Taormina 167

Fig. 5 - Geronimo Rizzardo, Adorazione dei Magi, 1579, olio su tavola, cm 97x67, Taormina,
San Domenico Palace Hotel (ex convento)
168 GAETANO BONGIOVANNI

Il carattere quasi fiabesco e al tempo stesso narrativo della tavola del Car-
disco si ritrova nel dipinto di Taormina, che mostra un gusto pittorico legato
ancora alla tradizione fiamminga ma anche ad aspetti del primo rinascimento
arguibili attraverso l’architettura classicheggiante e peruzziana che compare
in alto a destra. Anche la consueta vivacità cromatica riscontrata nelle altre
opere del Rizzardo qui è ben presente insieme alla ricchezza ornamentale de-
gli abiti, soprattutto dei Magi. Innegabile si rivela inoltre il carattere arcaiz-
zante del dipinto che, tuttavia, lascia intendere un momento di evoluzione
stilistico-compositiva manieristica attraverso una prospettiva ‘impennata’ vi-
sibile nella parte alta della tavola accanto alla costruzione classicheggiante.
Grazie alla nuova opera di Geronimo Rizzardo, rintracciata a Taormina,
si può ipotizzare che il pittore prima di approdare nell’ambiente palermitano,
tra la città e i centri di Corleone e Partinico e forse anche di Giuliana, abbia
avuto un più che probabile soggiorno napoletano che lo induce a consolidare
i riferimenti rinascimentali e post-raffaelleschi ponendolo anche in contatto
diretto con un radicato gusto pittorico fiammingo che dalla città partenopea
si diffonde in tutto il Meridione.
Virginia Buda

RESTAURI DI BENI STORICO ARTISTICI EFFETTUATI NEL 2018.


Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina

Il consueto resoconto degli interventi compiuti si arricchisce quest’anno


per la presenza di tre opere restaurate con fondi regionali. Dopo due anni
di ‘latitanza’ il Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana ha
mostrato nuovamente la disponibilità a destinare fondi ai restauri di beni
artistici messinesi.
La carenza di risorse economiche ha indotto la Regione Siciliana a re-
stringere il proprio raggio d’azione privilegiando il recupero dei beni di
proprietà del demanio regionale; di conseguenza, tra le istanze avanzate per
opere d’arte dell’intero territorio messinese, tutte bisognose di un urgente
restauro, il finanziamento è stato accordato a tre sculture che sono entrate a
far parte del patrimonio della Soprintendenza per i Beni Culturali di Messina
a seguito di sequestri operati, per detenzione illecita, dai Carabinieri e dalla
Guardia di Finanza.

Scultura in legno dipinto e dorato raffigurante Santa


Ambito siciliano, sec. XVI
(Perizia n. 13/2018 - D.D.G. 6642 del 27.12.2018. Progettazione: Maria Ka-
tja Guida e Luigi Giacobbe - Direzione Lavori: Luigi Giacobbe)

Scultura in stucco raffigurante Santo vescovo


Ambito Italia centro-meridionale, fine sec. XVII - inizio sec. XVIII
(Perizia n. 14/2018 - D.D.G. 6678 del 28.12.2018. Progettazione e Direzione
Lavori: Stefania Lanuzza)

Scultura in legno dipinto raffigurante Ecce Homo


Ignoto scultore di cultura flandro-iberica, secc. XVII-XVIII
(Perizia n. 15/2018 - D.D.G. 6636 del 27.12.2018. Progettazione e Direzione
Lavori: Virginia Buda)
170 VIRGINIA BUDA

Le tre opere provengono da due nuclei di reperti sottoposti a sequestro,


per i quali, nonostante le ricerche incrociate svolte tra la banca dati gestita
dal Nucleo Tutela dei Carabinieri e l’archivio catalografico dell’Unità Ope-
rativa per i Beni Storico-Artistici della Soprintendenza, non è stato possibile
individuare le collocazioni originarie e i legittimi proprietari ai quali restituirli.
Per tale motivo, a conclusione dei procedimenti penali, il Ministero della
Giustizia, tenuto conto del parere della Direzione del Museo Criminologico
(D.P.R. 115 del 30.05.2002, art. 152, c. 2), ha predisposto l’assegnazione
definitiva alla Soprintendenza di Messina, che fino a quel momento li aveva
tenuti in custodia giudiziale, ratificando l’inserimento tra i beni di proprietà
del demanio regionale.
A restauro concluso è stato possibile esporre al pubblico le tre sculture,
fino ad ora custodite nei depositi, arricchendo la mostra permanente allestita
all’interno della ex Cappella del Buon Pastore annessa alla Soprintendenza
di Messina. A causa dei rifacimenti e delle mancanze dovute alle tortuose e
ignote vicissitudini, la leggibilità delle opere è stata drasticamente compro-
messa rendendo impossibile l’individuazione della provenienza originaria e
approssimativa la loro attestazione ad un ambito cronologico e territoriale.
Pertanto il restauro si è configurato come un’interessante occasione di studio
e i lavori sono stati condotti secondo un criterio di ‘scoperta’ ed analisi del
sovrapporsi e giustapporsi delle modifiche apportate nel corso dei secoli,
nell’evidente impossibilità di ripristinare l’aspetto originario delle sculture
ormai vagamente decifrabile.
Oltre ai restauri finanziati con fondi regionali, anche nel 2018 sono stati
realizzati numerosi interventi su opere d’arte di proprietà ecclesiastica che
si elencano di seguito. È stato possibile attuarli grazie ai generosi contributi
delle singole parrocchie o delle confraternite che, con amorevole sollecitu-
dine, custodiscono il patrimonio culturale raccolto nei secoli e sopravvissuto
alle ingiurie del tempo e della natura. Quest’anno si menziona in particolare
il ripristino della statua vestita raffigurante l’Addolorata, posta su un altare
della chiesa di S. Giuseppe al Palazzo, voluto e attuato dalla confraternita
omonima che amministra la chiesa.
Si ricorda, infine, la pulitura progettata in linea straordinaria per eliminare
le scritte vandaliche con cui era stata deturpata la base delle colonne late-
rali del quattrocentesco portale centrale della Basilica Cattedrale di Messi-
na. L’intervento, per conto della Cattedrale retta dal Delegato Arcivescovile
mons. Giuseppe La Speme, è stato effettuato dalla restauratrice Fedra Sciac-
ca a seguito del parere della Soprintendenza espresso da Luigi Giacobbe che
si è occupato anche della sorveglianza.
Restauri di beni storico artistici effettuati nel 2018. Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina 171

Interventi di restauro conclusi nel 2018

Messina, Chiesa S. Giuseppe (Confraternita di S. Giuseppe al Palazzo)


Statua in legno, cartapesta e tessuto raffigurante la Madonna Addolorata
Rettore: mons. Mario Di Pietro
Restauro: Rosaria Catania Cucchiara - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda

Messina, Villaggio Camaro Inferiore, Chiesa SS. Annunziata


Scultura in legno raffigurante San Luigi, inizio sec. XX
Parroco: mons. Antonino Caminiti
Restauro: Geraci restauri s.r.l. - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Luigi Giacobbe

Messina, Villaggio Bordonaro, Chiesa S. Maria delle Grazie


Dipinto su tela raffigurante S. Francesco stigmatizzato, Giuseppe Minutoli 1880
Parroco: sac. Orazio Anastasi
Restauro: Rosaria Catania Cucchiara - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Luigi Giacobbe

Messina, Villaggio Bordonaro, Chiesa S. Maria delle Grazie


Dipinto su tela incollato su tavola raffigurante La Madonna della Lettera e
cornice lignea in argento meccato, sec. XVIII
Parroco: sac. Orazio Anastasi
Restauro: Barbara Fazzari - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Luigi Giacobbe

Messina, Villaggio Santo Stefano Medio, Chiesa S. Maria dei Giardini


Scultura in legno raffigurante Sant’Antonio Abate, sec. XVII
Parroco: sac. Lino Grillo
Restauro: Geraci restauri s.r.l. - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda
172 VIRGINIA BUDA

Messina, Villaggio Castanea delle Furie, Chiesa S. Caterina


Dipinto su tela raffigurante San Michele Arcangelo, sec. XIX
Parroco: mons. Antonino Isaja
Restauro: Geraci restauri s.r.l. - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Luigi Giacobbe

Barcellona Pozzo di Gotto, Oratorio delle Anime del Purgatorio


Dipinto su tela (frammento) raffigurante la Pentecoste (?), sec. XVIII
Parroco: mons. Santo Colosi
Restauro: Marianna Saporito - Milazzo (Messina)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda

Barcellona Pozzo di Gotto, Santuario S. Antonio di Padova


Scultura in marmo raffigurante la Vergine Immacolata, sec. XVIII
Rettore: fra Girolamo Palminteri
Restauro: Gianpaolo Leone - Noto (Siracusa)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza

Barcellona Pozzo di Gotto, Oratorio delle Anime del Purgatorio


Scultura in cartapesta raffigurante San Vito Martire, sec. XVIII
Parroco: mons. Santo Colosi
Restauro: Marianna Saporito - Milazzo (Messina)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza

Milazzo, Chiesa del Carmine


Dipinto su tela raffigurante Le Dolenti ai piedi della croce e Crocifisso in mistura
Rettore: sac. Francesco Farsaci
Restauro: Marianna Saporito - Milazzo (Messina)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Maria Katja Guida

San Piero Patti, Chiesa S. Maria e S. Pancrazio


N. 6 candelieri in legno dorato, sec. XIX
Parroco: sac. Angelo Parisi
Restauro: Gaetano Caruso - Mascalucia (Catania)
Restauri di beni storico artistici effettuati nel 2018. Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Messina 173

Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:


Virginia Buda

Mistretta, Chiesa S. Sebastiano


Scultura in legno raffigurante San Sebastiano, Noè Marullo 1896
Parroco: sac. Michele Giordano
Restauro: Francesca Antoci - Mistretta (Messina)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Luigi Giacobbe

San Fratello, Chiesa Maria SS. Assunta


Crocifisso in legno, Frate Umile da Petralia sec. XVII
Parroco: sac. Salvatore Di Piazza
Restauro: Rosario Schillaci - Acicatena (Catania)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda

Santo Stefano di Camastra, Chiesa S. Nicolò di Bari


Restauro del dismesso coro ligneo del sec. XVII e riutilizzo con funzione di
seggio del celebrante
Parroco: sac. Calogero Calanni
Restauro: Gaetano Caruso - Mascalucia (Catania)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda

Castel di Lucio, Chiesa Maria SS. delle Grazie


Scultura in legno raffigurante San Michele Arcangelo, seconda metà sec. XVI
Scultura in legno raffigurante La Vergine Immacolata, Vincenzo Genovese
1870 ca
Parroco: sac. Carmelo Lipari
Restauro: Giuseppe Inguaggiato - Gangi (Palermo)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza

Crocifisso in cartapesta, secc. XVIII-XIX


Restauro: Vincenza Santa Gulino - Gangi (Palermo)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza
174 VIRGINIA BUDA

San Pier Niceto, Chiesa S. Rocco


Scultura in legno raffigurante San Rocco, sec. XVIII
Parroco: mons. Francesco De Domenico
Restauro: Rosaria Catania Cucchiara - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza

Casalvecchio Siculo, Chiesa madre S. Onofrio Eremita


Scultura in legno raffigurante Busto di Sant’Onofrio, sec. XVII
Parroco: sac. Alessandro Malaponte
Restauro: Marialuisa Castrovinci - Milazzo (Messina)
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Stefania Lanuzza

Spadafora, Chiesa SS. Giuseppe e Martino


Scultura in legno raffigurante San Martino
Parroco: sac. Giovanni Sottile
Restauro: Rosaria Catania Cucchiara - Messina
Sorveglianza dei lavori per la Soprintendenza BB. CC. AA. di Messina:
Virginia Buda
NOTIZIE DAGLI SCAVI
a cura di
Gabriella Tigano
Gabriella Tigano

LA RICERCA ARCHEOLOGICA A MESSINA


E PROVINCIA TRA IL 2013 E IL 2018

Nell’impossibilità di dar conto dei numerosissimi interventi condotti a


Messina e provincia tra il 2013 e il 2018, si offre in questa sede una selezione
di quelli che hanno contribuito in modo significativo alla ricostruzione della
storia urbana degli insediamenti antichi (con una attenzione particolare ai
centri a continuità di vita) e di chiarire tempi, modi, forme delle trasformazioni
degli assetti territoriali nel lungo periodo.
La cronica assenza di risorse disponibili per programmi di ampio
respiro, ma anche per improvvise urgenze di tutela, le continue modifiche
apportate alle strutture periferiche dell’Assessorato Beni Culturali, hanno
richiesto sempre maggiore impegno da parte dei tecnici della Soprintendenza
chiamati a intervenire in una provincia molto estesa, geomorfologicamente
varia, e negli ultimi anni sempre più oberati da pratiche amministrative e da
contenziosi legali1. Se la più recente normativa nel settore dei lavori pubblici
ha offerto la possibilità, con il reclutamento di archeologi professionisti
esterni, specializzati, di monitorare il territorio oggetto di interventi di
rinnovamento (gas metano; enel) e di ammodernamento dei sotto-servizi (fibra
ottica) in modo capillare, ciò ha comunque comportato il coinvolgimento
del personale in organico al quale si attesta il fondamentale compito di
coordinare i professionisti esterni, vigilando e verificando l’operato sul
campo e la documentazione prodotta2. È quindi grazie al contributo di tanti
che è stato possibile acquisire nuovi dati che, benchè puntuali, risultano
fondamentali per un miglior esercizio della tutela, favorendo la conoscenza
delle dinamiche insediamentali nel lungo periodo. Tutela, conoscenza e
valorizzazione sono, come è noto, interdipendenti: non vi può essere tutela

1
L’andata in quiescenza di personale qualificato non ha comportato il necessario ricambio
generazionale con ulteriore aggravio di lavoro in settori quanto mai importanti in un ufficio
che si occupa di tutela del territorio.
2
Per la grande collaborazione offerta, un sentito ringraziamento va alle Funzionarie,
dott.sse Annunziata Ollà, Maria Ravesi, Assunta Sardella, Giusy Zavettieri che hanno operato
a Messina e provincia con grande professionalità; si ringraziano altresì l’arch. Rocco Burgio
per il qualificato supporto tecnico offerto in tante occasioni, e ancora Francesco Marcellino e
Antonino Cupitò per la grande disponibilità. Per l’attività di catalogazione, anche in funzione
dei premi di rinvenimento, sono altresì grata alle dott.sse Gabriella Pavia e Elvira D’Amico.
178 GABRIELLA TIGANO

se la ricerca e la conoscenza di quello che si vuole tutelare non procedono


congiuntamente.
Come nel passato particolarmente intensa è stata l’attività di scavo svolta in
regime di concessione da parte di università italiane e straniere, nei principali
siti demaniali aperti al pubblico (Tindari3, Patti4, Alesa Arconidea5), ma
anche in centri a continuità di vita noti (Taormina6) e meno noti (Monforte
San Giorgio7), spesso su sollecitazione delle amministrazioni locali.
I risultati di tali esplorazioni sono stati già in gran parte editi, dagli
autori delle ricerche, in articoli8 ai quali, per brevità, rimando. Mi corre
l’obbligo tuttavia di menzionare in questa sede quella che costituisce la
scoperta di maggiore rilievo, ossia l’identificazione del teatro antico di
Alesa9. L’edificio10, intercettato nel ripido pendio naturalmente ad emiciclo
sottostante i c.d. contrafforti, delimitato a valle dalla cinta muraria, era stato
realizzato sfruttando e intagliando la roccia di base secondo ampi gradoni, per
la realizzazione della cavea (lungh. 0,95 m, profondità 0,86 m, alt. 0,38 m), e
secondo un piano orizzontale, alla quota del livello d’uso dell’orchestra. Le
indagini, ancorchè in fase iniziale, hanno riportato alla luce: un lembo della
pavimentazione a grandi lastre di pietra locale dell’orchesta, limitatamente
al settore orientale; alcuni sedili della cavea realizzati sempre in pietra,
classificabili nel tipo a banda e cavetto, attestato nei teatri della costa tirrenica
settentrionale e parte del muro in blocchi della parete sud della parodos.
Il teatro, la cui completa estensione potrà essere definita solo con la

Università degli Studi di Torino, prof.ssa Rosina Leone: indagini in C.da Cercadenari.
3
4
Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne: prof.
Gioacchino Francesco La Torre: settore termale della villa romana di Patti Marina.
5
Università degli Studi di Messina, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne: prof.
Lorenzo Campagna e Univerisità di Oxford, prof. Jonathan Prag, indagini presso il Tempio
di Apollo; Université de Picardie ‘Jules Verne’: prof.ssa Michela Costanzi e Université de
Poitiers, prof. Vincent Michel, vari settori nell’area urbana.
6
Università di Messina, Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne: prof. Lorenzo Cam-
pagna, area Villa S. Pancrazio.
7
Università di Siena, Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali: prof. Enrico
Zanini, altura di Monte Marra (c.d. ‘Colle dell’Immacolata’), di Monforte San Giorgio (Me).
8
Per la villa di Patti Marina, vd. G.F. La Torre, A. Toscano Raffa, Prime indagini nell’a-
rea del complesso termale della villa romana di Patti marina (Me), in «Quaderni di Archeolo-
gia», n.s., VI (2016), pp. 143-157; G.F. La Torre, Nuovi scavi nella villa imperiale di Patti, in
Römischers Sizilien, La Sicilia romana, Roman Sicily, a cura di O. Belvedere, J. Bergemann,
Collana Studi e Materiali Università di Palermo, n.s., Palermo 2018, pp. 191-197.
9
La ricerca avviata nel 2017 dalla missione francesce (Université de Picardie ‘Jules Ver-
ne’: prof.ssa Michela Costanzi e Université de Poitiers, prof. Vincent Michel), comportò, pri-
ma dello scavo, indagini preliminari con riprese termografiche, indagini LiDAR e tomografia
elettrica.
10
Lo scavo di questo settore è stato diretto dal dott. Frédéric Gerber. I dati tecnici qui
riportati sono stati tratti dal Report conclusivo consegnata alla Soprintendenza BB.CC.AA.
di Messina a fine 2018.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 179

prosecusione delle ricerche, occupava quindi la zona di raccordo tra le


due colline che costituiscono il ‘lophos’ alesino, secondo quei principi di
architettura scenografica ben documentata anche in altre città della Sicilia
ellenistica (per es. a Taormina, a Solunto, a Segesta, a Termini Imerese, a
Centuripe), e ai quali si attiene il programma di rinnovamento edilizio
messo in atto ad Alesa in età tardo ellenistica11. È quindi assai verosimile
che inglobasse anche i c.d. contrafforti, grandiosa sostruzione sulla quale
transitava la strada che portava sull’acropoli sacra. Gli scavatori hanno
individuato nelle due nicchie esistenti nella parete di fondo del muro di
contenimento il presumibile asse centrale di simmetria dell’edificio. Ricerca
di effetti scenografici quindi, soprattutto nella visione della città da lontano,
progettazione studiata per raccordare i vari settori dell’abitato e per riservare
una collocazione topografica enfatica ai luoghi di riferimento politico-
ideologico e sacrale. Se è vero che la realizzazione del teatro in questa enclave
fu favorita dalla presenza della roccia naturale da sfruttare, non è certo
casuale che il teatro sorga a valle del complesso santuariale più importante
con il quale – ma si tratta di una ipotesi da verificare – forse si raccordava
attraverso quel sistema di terrazze degradanti e di diversa ampiezza, che
consentirono agli Alesini di sfruttare al meglio e sempre scenograficamente
l’acrocoro sommitale.

Messina

A Messina gli interventi – di scavo e/o di ‘riscoperta’ – sono stati pochi,


ma di rilievo per la conoscenza diacronica dell’assetto urbano di Messana.
Tra tutti si segnala, per i dati diretti acquisiti e per gli esiti conseguiti con
il successivo studio12, l’indagine sistematica che nell’estate del 2014 ha
interessato un cantiere edile dislocato tra la Via Mariano Riccio e la stazione
ferroviaria13, in un settore della città moderna strategico per la definizione

11
Per l’impianto urbano di Alesa, vd. da ultimo, G. Tigano, Alesa Arconidea: l’agorà-foro,
in Agorà, foro e istituzioni politiche in Sicilia e nel Mediterraneo antico, Atti delle settime
Giornate Internazionali di Studio sull’area Elima e la Sicilia Occidentale nel contesto medi-
terraneo (Erice 2009), a cura di C. Ampolo, Pisa 2012, pp. 133-154; Ead., Alesa Arconidea:
appunti sull’impianto urbano alla luce delle recenti ricerche, in “Se cerchi la tua strada
verso Itaca…”, omaggio a Lina Di Stefano, a cura di E. Lattanzi e R. Spadea, Roma 2016,
pp. 129-142.
12
G. Tigano, Zancle-Messana. Nuovi dati e problemi aperti sull’impianto tardo arcaico e
classico, in A Madeleine Cavalier, a cura di M. Bernabò Brea, M. Cultraro, M. Gras, M.C.
Martinelli, C. Pouradoux, U. Spigo, Napoli 2018, pp. 233-245.
13
L’area ricade nel FMC 229, partt. 193 e 194. Una prima, sintetica notizia, in G. Tigano,
L’attività della Soprintendenza di Messina nel settore dei Beni Archeologici tra la fine del
2010 e il primo semestre del 2012, in «Archivio Storico Messinese», 93 (2012), pp. 358-359,
180 GABRIELLA TIGANO

del limite sud dell’abitato greco, all’interno del quale non erano mancate, in
passato, scoperte di rilievo14.
Lo scavo15 ha messo in luce l’incrocio ortogonale di due assi stradali di
diversa ampiezza, orientati rispettivamente nord-sud (plateia) ed est-ovest
(‘stenopòs’), e lembi, più o meno estesi, degli isolati su essi prospicienti,
con strutture molto lacunose, relative a due fasi costruttive a diretto contatto,
databili tra la fine del VI sec. a.C. (impianto) e gli inizi del IV sec. a.C.
(distruzione), utilizzate nel corso dell’intero V sec. a.C. (fig. 1).
Il contributo che questa ricerca ha fornito per la ricostruzione della
maglia urbana della città greca è commisurato al fatto che l’intersezione dei
due assi viari costituisce il primo punto fermo sull’assetto viario di epoca
tardo-arcaica e classica messo in luce nella piana alluvionale a sud del porto,
un tassello di rilievo che conferma le ipotesi formulate circa la probabile
connessione tra geomorfologia e schema della trama urbana, con vie parallele
ad est al naturale limite della linea di costa e a sud al corso del torrente
Camaro-Zaera. Il raccordo tra questo primo punto fermo e gli altri lembi di
viabilità messi in luce in passato e di sicura ubicazione topografica16, ha poi
consentito di proporre una prima ipotesi ricostruttiva 17 dello sviluppo della
maglia stradale e del modulo dell’isolato dell’abitato di età classica.
Partiamo dalla viabilità.
La plateia nord-sud fu presumibilmente l’asse deputato a collegare la
piana costiera con la sezione più protetta dell’insenatura portuale18, co-
stituendo una delle principali vie di transito e di raccordo tra la viabili-
tà urbana e la radice della penisola di San Raineri. Militano in tal senso

fig. 28; Ead., Urbanistica e architettura. Dalla fondazione greca all’età romana, in Da Zancle
a Messina 2016. Nuovi dati di archeologia urbana, a cura di G. Tigano, Pisa 2017, p.31.
14
G. Tigano, L’indagine archeologica nell’area dell’Isolato Z di Via Torino, in Da Zancle
a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, a cura di G.M. Bacci, G. Tigano, I,
Palermo 1999, pp.103-108; C. Ingoglia, Archeologia urbana a Messina: lo scavo dell’isolato
“P” in via La Farina - via Oddo delle Colonne (rapporto preliminare), in «Quaderni di Ar-
cheologia Università di Messina», 4 (2003), pp. 83-105; Tigano, Urbanistica e architettura,
cit., p. 31, fig. 5.
15
Anche in questo caso lo scavo è stato possibile grazie alle maestranze messe a disposizione
dalla ditta esecutrice dei lavori edili. Il mio più vivo ringraziamento va quindi all’ing. Roberto
Caligiore e all’arch. Antonio Caligiore; si ringrazia anche il sig. Salvatore Falcone, storico operaio
degli scavi archeologici a Messina, che ha fattivamente contribuito al buon esito della ricerca.
16
Punto principale di riferimento lo ‘stenopos’ dell’is. 315, georeferenziato topografica-
mente.
17
Tigano, Zancle-Messana. Nuovi dati e problemi aperti sull’impianto urbano, cit., tav. 3.
18
G.M. Bacci, Zancle-Messana: alcune considerazioni sulla topografia e sulla cultura
materiale, in Messina e Reggio nell’antichità: storia, società, cultura, Atti Convegno della
Società Italiana per lo studio dell’Antichità Classica (Messina - Reggio Calabria 1999), a cura
di B. Gentili, A. Pinzone, in «Pelorias», 9 (2002), pp. 26-27.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 181

Fig. 1 - Messina. Via Mariano Riccio: veduta da nord dello scavo

l’ampiezza della carreggiata di m 8,9019 mantenuta nel tempo, con inter-


venti di colmatura e di ripristino dei distinti piani d’uso documentati con lo
scavo e l’uso dell’asse, ancora nel corso del IV-III sec. a.C., indipendente-
mente dai blocchi abitativi. Essa rappresentò, tenendo conto del limite na-
turale orientale costituito dalla linea di costa, la prima via da est, ad ovest
della cinta muraria20, la strada quindi a servizio dei segmenti di abitato

19
Non abbiamo altri dati sulla dimensione delle strade nord- sud, dal momento che la pre-
sunta strada di m 6,20 dell’is. T [G. Scibona, Storia della ricerca archeologica, s.v. Messina,
in Bibliografia Topografica Colonizzazione Greca, X, Roma-Pisa 1992, p. 35; G.M. Bacci
Spigo, Attività della Sezione ai Beni Archeologici della Soprintendenza B.C.A di Messina
negli anni 1989-1993, in «Kokalos», XXXIX-XL (1993-1994), p. 932], è ormai sicuramente
da leggere come spazio aperto all’interno del blocco abitativo. Per assi stradali così ampi,
vd., per Selinunte, D. Mertens, Selinunte, in Urbanistica e architettura nella Sicilia greca, a
cura di P. Minà, Palermo 2005, p. 31; per Agrigento, G.F. La Torre, Sicilia e Magna Grecia.
Archeologia della colonizzazione greca d’Occidente, Roma-Bari 2011, p. 204.
20
La fortificazione arcaica sarebbe raffigurata in modo sintetico in una dracma d’argento
della fine del VI sec. a.C., ove la linea della falce del porto appare ingrossata e scandita da
quattro quadratini aggettanti (torri?). Per questa lettura del documento numismatico, vd. G.
Vallet, Rheghion et Zancle. Histoire, commerce et civilisation des cités chalcidiennes du
detroit de Messine, Paris 1958, pp. 115, 327, nt. 2 tav. XVIII, 7.
182 GABRIELLA TIGANO

tardoarcaico-classico affiorati in più occasioni nella zona della moderna


stazione ferroviaria21 prossima al mare.
Lo ‘stenopòs’ costituì a sua volta uno degli assi est-ovest deputati ad
assicurare e favorire il deflusso delle acque, sia naturali che reflue, a mare,
come pare suggerire la forte erosione del piano di calpestio, leggibile solo
per lembi e la netta prevalenza di depositi alluvionali a contato con tali lembi.
L’asse, nella fase più antica con carreggiata di m 6,20, ampliata poi fino a m
8,20, al di là della sua dimensione, risulta perfettamente orientato e allineato
con la strada monte/mare dell’isolato 315, anch’essa in fase, nel momento
più antico, con un blocco abitativo di fine VI-V sec. a.C. 22.
L’intersezione della plateia e dello ‘stenopòs’, offre elementi per
prospettare – con tutte le cautele del caso, considerate le possibili varianti
legate all’ampiezza delle strade e degli ambitus23 – una prima ipotesi di
scansione dell’impianto tardo-arcaico/classico (fig. 2).
La distanza esistente tra l’incrocio di Via Mariano Riccio e l’angolo
nord-est intercettato nel moderno is. 19524 fornisce, quale misura dell’isolato
antico, una lunghezza est-ovest pari a m 168 per una larghezza che può
essere acquisita, al momento, solo in via ipotetica. Dalla scansione dell’area
urbana interposta tra i due lembi di abitato di riferimento, ipotizzando
una maglia regolare, strutturata secondo un rapporto di 1:4, detta misura
potrebbe corrispondere a m 4225. L’isolato di m 168x42 circa proposto
alla fig. 2, consente non solo di scandire la distanza tra i due punti presi
a riferimento con sei isolati, ma anche, di inserire diciassette isolati nello
spazio urbano che intercorre tra questa zona a sud della insenatura portuale

21
Ai rinvenimenti noti da tempo in corrispondenza dei binari nn. 8°-9° e 9°-10° (E. D’A-
mico, M. Ravesi, Schede per la lettura della carta archeologica, in Da Zancle a Messina, cit.,
a cura di G.M. Bacci, G. Tigano, II.2, pp. 17, 19, nn. 50, 90), si aggiungono quelli recenti
presso l’11°-12° binario (intervento del 2012) e soprattutto quelli acquisiti in un cantiere rica-
dente all’interno della stazione, all’altezza di Via Maddalena (marzo 2008, saggio di m 10x3,
seguito sul campo da G. Zavettieri) ove sono stati messi in luce ambienti utilizzati fino alla
fine del V sec. a.C., forse con due fasi costruttive.
22
M. C. Lentini, Messina. Stratigrafia di una città. Resti dell’antico tessuto urbano in Piaz-
za Duomo (campagna di scavo 2005-06), in «Notizie Scavi», sr. 9, 19-20 (2008-2009), p. 371.
23
Solo nell’is. 224 sono stati messi in luce ambitus, con ampiezza di cm 80, vd. G. Scibo-
na Punti fermi e problemi di topografia antica a Messina: 1966-1986, in Lo Stretto crocevie
di culture, Atti del XXVI convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 1986), Napoli 1993,
pp. 450-451, fig. 2. Va inoltre considerato il fatto che non sappiamo se all’interno dell’isolato
fossero previsti ambitus longitudinali e trasversali a delimitazione degli oikopeda, come do-
cumentato ad es. a Himera, nel complesso extraurbano dell’ex proprietà Cardillo, che rispetta
il sistema di lottizzazione adottato nell’impianto della città bassa: N. Allegro, P. Macaluso,
G. Parello, Himera. Ricerche dell’Istituto di archeologia dell’Università di Palermo nell’ex
proprietà Cardillo, in «Kokalos», XLIII-XLIV (1997-1998), II.2, pp. 618-619.
24
Per l’is. 195, vd. Scibona, Punti fermi, cit., p. 450, fig. 3.
25
Misura che chiaramente potrebbe oscilare, tra m 41/42.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 183

Fig. 2 - Messina. Ipotesi ricostruttiva impianto urbano città greca (arch. R. Burgio)

e quella topograficamente più a nord-ovest, nella quale ricade l’is. 315. Se la


nostra ipotesi di lavoro coglie nel vero, avremmo quindi un parallelismo con
l’impianto documentato ad Himera nella c.d. città bassa26, abitato che, come
nel caso di Messana, si sviluppava in una zona pianeggiante.
Passando agli isolati e all’edilizia domestica27, il lembo indagato ha
offerto evidenza di due fasi sovrapposte, databili all’interno del V sec. a.C.
(I-II), distinguibili per tecnica edilizia, per organizzazione degli spazi nelle

26
N. Allegro, S. Vassallo, Himera. Nuove ricerche nella città bassa (1989-1992), in
«Kokalos», XXXVIII (1992), pp. 140-141; sulla peculiarità dell’impianto della città bassa di
Imera proprio per la dimensione degli appezzamenti, i più spaziosi dell’Occidente greco, vd.
D. Mertens, Città e monumenti dei Greci d’Occidente, Roma 2006, p. 192.
27
Per una più puntuale descrizione delle case e dei materiali rinvenuti, si rinvia a Tigano,
Zancle-Messana, cit. pp. 233-245.
184 GABRIELLA TIGANO

unità abitative, per quote dei piani di calpestio; si tratta del primo settore
nel quale tale evidenza archeologica è documentata in modo così netto.
Le strutture murarie più recenti (II), messe in opera con ciottoli fluviali e
blocchetti grossolanamente sbozzati, inframmezzati a frammenti laterizi di
livellamento, riutilizzavano in parte quelle più antiche e apparivano rasate a
livello sommitale; i vani esplorati di questa fase non hanno offerto evidenza
di crolli consistenti, come documentato in altri cantieri28. Gli ambienti del
momento di impianto (I), con murature in grandi blocchi e/o ciottoloni
fluviali, in una sorta di pseudo-poligonale, conservavano almeno parte del
deposito di distruzione dei tetti e/o degli elevati.
Resta da capire il perchè delle due fasi documentate entro l’arco
cronologico del V sec. a.C. Se l’ipotesi che il momento finale della fase II
possa coincidere con la distruzione perpetrata da Imilcone nel 396 a.C.29,
per l’impianto di questa stessa fase II – una ricostruzione/ristrutturazione
con modifica dell’ampiezza dello stenopòs est-ovest e riorganizzazione
planimetrica delle case distrutte – con tutte le cautele del caso30, potrebbero
essere chiamati in causa quei rivolgimenti etnico-politici successivi alla
caduta del regime tirannico di Anassila31, che si conclusero, dopo un
brevissimo periodo che vide il sopravvento degli Zanclei (gli antichi esuli),
con la vittoria definitiva dei Messeni32, e con l’arrivo probabilmente anche in
città33 di nuovi ‘cittadini’, con tutto quello che ciò può avere comportato nella
divisione e/o assegnazione di spazi urbani. Si tratta di una ipotesi di lavoro
stimolante, ma della quale non riusciamo a definire la portata sotto il profilo

28
Per es. vd., nell’is. Z (Colapesce), G.M. Bacci, G. Tigano, M. Ravesi, G. Zavettie-
ri, Prime considerazioni su una nuova area sacra arcaica di Messina, in «Archivio Storico
Messinese», 91-92 (2010-2011), pp. 47-49; nell’is. 315, Lentini, Messina. Stratigrafia di una
città, cit., p. 371.
29
Diodoro Siculo XIV, 58,4 «... dopo aver abbattuto le mura di Messene ordinò ai soldati
di radere al suolo le case e di non lasciare una tegola né un legno né alcun’altra cosa, ma di
bruciare o distruggere tutto», traduzione di T. Alfieri Tonini, I classici di storia. Sezione gre-
co-romana, Milano 1985, p. 164.
30
Anche nell’abitato di Naxos del V sec. a.C. sono state isolate due fasi costruttive, at-
tribuite la prima alla rifondazione tirannica e la seconda al rientro degli esuli dopo la caduta
dei Dinomenidi: M.C. Lentini, Ultime indagini archeologiche nell’area urbana dell’antica
Naxos. Scavi 2003-2006. Rapporto preliminare, in Naxos di Sicilia. L’abitato coloniale e
l’arsenale navale 2003-2006, a cura di M.C. Lentini, Messina 2009, pp. 15-17.
31
Fonte principale Diodoro XI, 76.
32
D. Asheri, Rimpatrio di esuli e ridistribuzioni di terre nelle città siceliote, ca 466-462
a.C., in φιλιας χάριν. Miscellanea di Studi Classici in onore di Eugenio Manni, tomo I, Roma
1980, pp. 145-158 e in particolare pp. 152-153; G. De Sensi Sestito, Contrasti etnici e lot-
te politiche a Zancle-Messene e Reggio alla caduta della tirannide, in «Athenaeum», LIX
(1981), fasc. I-II, pp. 38-55.
33
Ricordiamo che furono convogliati verso Messene tutti quegli xenoi, mercenari e colo-
ni, ai quali non era stato consentito ritornare nelle sedi precedentemente occupate. Ai merce-
nari fu lasciata la chora, vd. Asheri, Rimpatrio, cit., p. 153.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 185

urbanistico senza ulteriori riscontri (ristrutturazione? ri-lottizzazione?), e di


cui si dovrà tener conto nel prosieguo della ricerca.
Lo scavo di Via Mariano Riccio, conferma, infine, la mancata urbaniz-
zazione di questo settore della città nel corso del IV sec.a.C.34, diversa-
mente da quanto documentato nell’area dell’is. Z (ex proprietà Vinciullo)35
prossimo all’insenatura portuale e corrobora la tesi che il progressivo spo-
stamento verso nord del baricentro dell’insediamento antico36, abbia potuto
avere il suo incipit proprio nella distruzione di Imilcone, evento che deter-
minò una cesura profonda nella storia della città.
Tra l’autunno del 2016 e la primavera del 2017, si è riscoperta e
parzialmente restituita alla fruizione37, una delle sepolture più interessanti
della ‘necropoli Meridionale’: la tomba a camera di Largo Avignone38.
Non mi soffermerò, in questa sede, sull’attività svolta, in sinergia con
l’Amministrazione comunale39, con il Club Lions Messina Host e con altre
associazioni40 e sui progetti elaborati al fine di assicurarne la piena fruizione41
(fig. 3), mi preme sottolineare che il trasporto dei reperti nei depositi della
Soprintendenza, ha offerto la possibilità di avviare lo studio della sepoltura

34
Il che non significa che questa zona sud non faccia più parte della città, ma in qualche modo
si spopola, lasciando spazio agli impianti artigianali, ora organizzati in ergasteria, che tuttavia si
datano in genere non prima del III sec. a.C., vd. Tigano, Urbanistica e architettura, cit., p. 34.
35
Tigano, L’indagine archeologica nell’area dell’Isolato Z di Via Torino, cit., pp.105-106.
36
Scibona, Punti fermi, cit., pp. 450-453.
37
Nel vano che accoglie la sepoltura, la visita è su richiesta e per un numero limitato di
visitatori, nelle more che venga realizzata una passerella che, con percorso anulare, consentirà
la fruizione del sito in tutta sicurezza.
38
L’importante monumento funerario al momento della scoperta fu conservato in situ
entro un ampio vano sottostante la scalinata. Il locale, inizialmente accessibile su richiesta, di-
venne, nel corso degli anni, prima della istituzione della Soprintendenza di Messina, luogo di
stoccaggio dei reperti rinvenuti nell’area urbana nel corso di recuperi e/o di scavi veri e propri,
per mancanza di spazi adeguati. Da anni in più occasioni era stato sollecitato un intervento di
trasferimento in altri locali dei materiali accatastati, ma la indisponibilità di spazi adeguati e
di fondi sufficienti avevano sempre impedito qualsiasi attività.
39
La proposta fu avanzata dal consigliere comunale avv. Piero Adamo. Il trasporto è stato
realizzato con i mezzi del comune di Messina nelle giornate di sabato.
40
Si ringrazia per l’entità dell’apporto il Club Lions Host Messina, e in particolare il
presidente in carica all’epoca dott. Santino Morabito, che ha sponsorizzato alcuni lavori di
riqualificazione degli accessi. Hanno preso parte attiva allo svuotamento del locale i compo-
nenti delle seguenti associazioni: Amici del Museo, Compagnia Rinascimentale della Stella,
Movimento Vento dello Stretto, Associazione Atreiu - La compagnia degli studenti, Associa-
zione Fare Verde Onlus, Archeotouch.
41
A completamento degli interventi effettuati con il Club Lions Host Messina, la scriven-
te, con la collaborazione dell’arch. Rocco Burgio e il supporto tecnico del geom. Giuseppe
Arena, ha elaborato il progetto riprodotto alla fig. 3 che prevedeva la messa in opera di una
passerella a sbalzo, che consentirebbe, con percorso anulare, di poter fruizione in sicurezza
il monumento.
186 GABRIELLA TIGANO

MESSINA
LARGO AVIGNONE
NECROPOLI MERIDIONALE - TOMBA A CAMERA
PIANTA PERCORSO DI VISITA CON PASSERELLE

INGRESSO NORD
INGRESSO NORD

Fig. 3 - Messina. Largo Avignone: progetto di fruizione (arch. R. Burgio)

0 1,00 2,00

Arch. Rocco Burgio


sotto il profilo architettonico-archeologico e dei materiali rinvenuti, ricerca
42

della quale si anticipano di seguito alcuni dati.


La sepoltura semi-ipogeica, fu costruita controterra con grandi conci
squadrati di calcare locale, di dimensioni diverse, posti di testa e di taglio,
leggibili nel dromos e in corrispondenza del filare di coronamento della cella.
Planimetricamente essa si articola in una camera a pianta quadrangolare
(dimensioni interne, circa m 2,98x2,97, fig. 4)43, orientata su asse est-ovest,
con altezza massima conservata di m 1,80 circa, conclusa alla sommità
da una copertura impostata su un filare a sbalzo, posto a coronamento
del livello superiore delle pareti perimetrali. I numerosi elementi lapidei
rinvenuti durante lo scavo della cella44 e il parallelo istituibile con esempi da

42
Il gruppo di studio è composto, oltre che dalla sottoscritta, dall’arch. Rocco Burgio e
dal prof. Emiliano Arena.
43
Per queste dimensioni, vd. G.A. Maruggi, Appendice 1. Catalogo delle tombe a ca-
mera, in Catalogo del Museo Nazionale archeologico di Taranto, a cura di E. Lippolis, III.1,
Taranto1994, p. 89, n. 44.
44
Dallo scavo condotto all’interno della cella provengono molti blocchi frammentati che
sono in corso di misurazione e di studio.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 187

Fig. 4 - Messina. Largo Avignone: tomba a camera, letti funerari

Taranto, suggerisce, come prima ipotesi di lavoro, che la copertura realizzata


in grandi blocchi lapidei avesse andamento orizzontale. La cella era stata
rifinita internamente con un intonaco bianco45, apparentemente non decorato.
Alla tomba si accedeva da est tramite un dromos 46 lungo m 3,95 circa,
delimitato da muri costruiti sempre in conci di calcare locale di vario
modulo, messi in opera di testa e di taglio (fig. 5), originariamente coperto,
come suggerisce l’intonacatura delle pareti interne. Si contano cinque filari
sul lato sud e quattro su quello nord, ma senza dubbio l’altezza originaria
doveva essere maggiore, per raccordarsi con la quota della copertura. Entro
il corridoio (largh. m 1,40 circa) una scalinata di cinque gradini, dei quali

45
Tale finitura è abbastanza comune. Vd. per es. a Cuma il mausoleo D29, V. Sanpaolo,
L’attività della Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei, in Alle
origini della Magna Grecia. Mobilità, migrazioni, fondazioni, Atti del 50° Convegno di Studi
sulla Magna Grecia (Taranto, 1-4 ottobre 2010), Taranto 2012, pp. 1319, fig. 8; per Taranto,
vd. Maruggi, Appendice 1, cit., pp. 95-97.
46
Il dromos costituisce uno degli elementi fissi delle strutture semi-ipogeiche: vd. per Taran-
to, Maruggi, Appendice 1, cit., pp. 87-97; per esempi in Campania, L. Rota, Attività della So-
printendenza per i Beni Archeologici delle province di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta,
in Alle origini della Magna Grecia. Mobilità, migrazioni, fondazioni, cit., pp. 1377; 1384-1385.
188 GABRIELLA TIGANO

Fig. 5 - Messina. Largo Avignone: tomba a camera, dromos


La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 189

Fig. 6 - Messina. Largo Avignone: tomba a camera, porta monolitica

oggi solo tre leggibili, con pendenza da est verso ovest per superare il
dislivello tra le quote d’uso della necropoli e quelle della camera, consentiva
di raggiungere l’ingresso del sepolcro posizionato sul lato est della cella,
tra due stipiti intonacati. L’accesso era chiuso con una porta monolitica, a
battente unico, monumentale (alt. m 1,77; spessore cm 27,5-30; largh. cm
90)47, ruotante su un perno di bronzo (fig. 6), fissata all’esterno dell’ingresso
vero e proprio, in quanto più ampia del varco. Il dislivello (ca. cm 40)
esistente tra il piano d’uso del corridoio, indicato dal blocco della soglia
dell’ingresso con luce di cm 70, e quello della cella, era raccordato da un
gradino con alzata di cm 20.
La camera funeraria, con pareti interne intonacate, lisce, conserva
integralmente l’arredo fisso di tre larghe klinai in muratura48, con cuscino,
anch’esse intonacate, addossate alle pareti nord, ovest e sud (fig. 4), in
momenti diversi, come indicano i rapporti tra le murature: alla prima, della

47
Porte monolitiche sono documentata anche a Taranto, vd. Maruggi, Appendice 1, cit.,
pp. 87-97.
48
L’unico parallelo che conosco per la presenza di tre klinai è con una tomba di Taranto,
vd. Maruggi, Appendice 1, cit., p. 89, n. 44 (Via Gorizia).
190 GABRIELLA TIGANO

parete nord (lungh. m 2,98; largh. cm 88; alt. cm 56), seguirono nell’ordine,
quella del lato ovest (lungh. 2,09; largh. 87) e quella del lato est (lungh. 2,10;
largh. 76), entrambe di dimensioni più piccole.
L’esplorazione condotta al momento della scoperta49 ha interessato
un deposito che, a livello superiore, conteneva materiali del crollo della
copertura, ma anche molti elementi residui dallo smantellamento di
epitymbia, come si è appurato con lo studio dei frammenti architettonici in
pietra tenera recuperati, recentemente editi50. Anche i frammenti di intonaci
dipinti recuperati e confluiti in questo scarico, in un primo momento attribuiti
a questa sepoltura, sono da ricollegare alla decorazione di sepolture distrutte.
I reperti rinvenuti al momento della scoperta e durante lo scavo, solo di
recente oggetto di analisi e attualmente in corso di restauro51, sono numerosi,
ma non sempre è possibile ricostruire la loro esatta collocazione, in assenza
di un rilievo di dettaglio. Lekanai-cinerari erano state sistemate nello spazio
vuoto al centro della cella, tra le klinai, come si ricava dalla contrassegnatura di
scavo, ma ci sfugge la loro puntuale distribuzione; di medie e grandi dimensioni,
in genere complete di coperchio, rientrano tutte in quella classe di vasellame
locale decorato a bande orizzontali di piena età ellenistica, ben documentata
a Messana52, a Mylai53, ad Abacaenum 54. Tra i cinerari spicca, quale pezzo
di rilievo, un grande bacile su alto piede con anse elaborate, completo di alto
coperchio troncoconico con presa, che rimanda alla produzione policroma
tardo ellenistica di tipo o stile centuripino, anche per il sistema di costruzione
del vaso (varie parti accostate tra loro ma non fissate) e trova, pur nell’assenza

49
Si ringrazia la prof.ssa Cettina Giuffrè Scibona, moglie del compianto Giacomo Scibo-
na, per aver messo a disposizione la documentazione raccolta dallo studioso al momento della
scoperta, e consistente nel giornale di scavo e nelle foto.
50
Si tratta dei seguenti elementi frammentari: sottocornice ionica a dentelli; sottocornice
dorica; elemento angolare di cornice di coronamento modanata; acroteri a palmetta di tipo
corinzio; capitellino a sofà; cornici di coronamento modanate, per i quali, vd. R. Burgio,
Frammenti di architettura lapidea dalla necropoli meridionale, in Da Zancle a Messina 2016.
Nuovi dati di archeologia urbana, cit., pp. 85-104.
51
Un ringraziamento particolare all’arch. Rocco Burgio che ha curato con ecceziona-
le professionalità il restauro effettuando una capillare ricerca dei frammenti particolarmente
difficile per la ‘dispersione e frammentazione’ dei manufatti in molte cassette non sempre
adeguatamente didascalizzate, consentendomi di presentare in questa sede una prima descri-
zione dei manufatti restituiti dalla sepoltura. Tutto ciò prelude alla pubblicazione completa del
monumento funerario anche a livello architettonico, affidata appunto all’arch. Burgio, nonché
l’edizione delle nuove iscrizioni in corso di studio da parte del prof. Emiliano Arena.
52
G. Tigano, Scavi nella necropoli lungo la via Cesare Battisti (Isolati 83 e 96), in Da
Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, a cura di G.M. Bacci, G.
Tigano, II.1, Messina 2001, p. 84.
53
G. Tigano, La necropoli orientale, in G. Tigano, L’Antiquarium archeologico di Milaz-
zo, Messina 2011, pp. 200, 205.
54
M. Arizia, P. Coppolino, I corredi funerari, in Aa.Vv., Tripi. Il Museo Archeologico
“Santi Furnari”. Guida all’esposizione, Terme Vigliatore 2015, p. 110.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 191

di decorazione applicata, un buon parallelo nel cinenario del sepolcro 40 bis


di Centuripe55. Altri manufatti frammentari, in corso di studio, confermano il
lungo utilizzo della tomba tra il III e il II sec. a.C.
L’appartenenza del monumento funerario, almeno inizialmente, ad una
famiglia di rango, è suggerita dalla polvere d’oro segnalata da Giacomo
Scibona56 sulle klinai e dal lembo di tessuto con trama in fili d’oro57 di cui oggi
non è possibile leggere l’ordito, recuperato con la setacciatura dei depositi terrosi
meticolosamente conservati, confrontabile con reperto analogo da Taranto58.
Nel corso dell’attività di pulitura e di restauro dei cinerari sono state individuate
nuove iscrizioni che si aggiungono a quella, da tempo edita, menzionante una
certa Πάκια Πομπτία, gentilizio che ricorre anche nella nota iscrizione osca
dei due meddices e che ha fatto supporre una probabile origine sannitica della
donna59; si tratta di tasselli onomastici che offriranno ulteriori spunti di riflessione
sulla storia, sicuramente articolata, di utilizzo e di riutilizzo della sepoltura.
La tomba a camera di Largo Avignone riveste quindi rilievo eccezionale
sotto molteplici aspetti. Si tratta di uno dei pochi monumenti funerari
costruiti documentati in Sicilia che si conserva pressoché integralmente,
diversamente dagli esempi segnalati da Siracusa60 e da altri centri di età
ellenistica (Licata61, Centuripe62, Agrigento63). Sotto il profilo monumentale
e architettonico il parallelo più vicino, anche per la peculiarità delle tre klinai,
è con Taranto, centro magno greco che ha restituito la documentazione più
ricca di tale tipologia funeraria.
L’appartenenza della famiglia alla quale si deve l’impianto della sepoltura
ad una classe sociale elevata si evince, oltre che dalla tipologia scelta, dagli
ornamenti (polvere d’oro?) e dalle vesti tessute in oro di cui si è trovata

55
A. Musumeci, Le terracotte figurate della necropoli di contrada Casino in Centuripe,
in G. Biondi, Centuripe. Indagini archeologiche e prospettive di ricerca, Enna 2010, pp. 102,
107, tav. XIII.
56
Scibona, Storia della ricerca, cit, p. 29.
57
G. Tigano, La necropoli meridionale: aspetti dell’architettura funeraria tra il IV
sec.a.C. e l’età imperiale, in Da Zancle a Messina 2016, cit., p. 78, fig.4.
58
E. Lippolis, Abbigliamento, in Gli Ori di Taranto in età ellenistica, Catalogo della mo-
stra, a cura di E.M. De Juliis, Milano 1985, pp. 329-332, 339-340, n. 278.
59
G. Tagliamonte, I figli di Marte. Mobilità, mercenari e mercenariato italici in Magna
Grecia e in Sicilia, Roma 1994, p. 196.
60
D. Zirone, Storia della ricerca archeologica, in Siracusa. Immagine e storia di una cit-
tà. Per lo studio delle fonti letterarie, epigrafiche e numismatiche e della storia della ricerca
archeologica, a cura di C. Ampolo, Pisa 2011, p. 195 con rinvii bibliografici.
61
A. Toscano Raffa, Finziade e la bassa valle dell’Himera Meridionale, I. La “Monta-
gna” di Licata (AG), Catania 2017, pp. 172-173, figg. 218-219.
62
A. Pautasso, Rilievi da una tomba di età ellenistica di Centuripe, in Scavi e ricerche a
Centuripe, a cura di G. Rizza, Catania 2002, p. 115.
63
E. De Miro, La Sicilia e l’Egitto nel periodo ellenistico romano. Sintesi e nuovi dati, in
Mare internum: archeologia e culture del Mediterraneo, Pisa-Roma, 2009, p. 85.
192 GABRIELLA TIGANO

traccia e che accomuna la nostra sepoltura a quelle di Taranto; del resto


sembra assodata la correlazione tra l’impiego di una soluzione architettonica
di tipo monumentale e l’offerta di preziosi per connotare il defunto.
Le attestazioni epigrafiche identificate sui cinerari, in corso di studio,
offriranno attraverso l’onomastica elementi diretti per la conoscenza del
processo di trasformazione della società di Messana durante l’età medio e
tardo ellenistica, secoli segnati dalla conquista mamertina e poi romana e dai
conseguenti cambiamenti avvenuti nel tessuto sociale. A livello di ipotesi di
lavoro ci chiediamo se, proprio alla luce delle notizie storiche sulla conquista
della città da parte dei Mamertini, la nostra sepoltura non possa essere stata
oggetto di profanazione e di riutilizzo ben prima del I sec. a.C., momento
documentato dallo scavo64.
La presenza di monumenti funerari di rilievo architettonico di questo tipo
a Messana – monumenti che come è noto avevano la funzione di prolungare
nel tempo il ricordo dell’individuo, e soprattutto di rimarcare lo status della
famiglia all’interno della comunità – conferma la presenza di un ceto che
aveva modo così di rappresentare il suo rango e, più in generale, di una
stratificazione sociale altrimenti poco leggibile.

Sempre nell’ambito delle ‘riscoperte’ si segnala l’intervento condotto nel


mese di novembre del 201865 nel cantinato dell’attuale Liceo ‘Giuseppe La
Farina’66 (fig. 7), grazie alla sinergia istituitasi con la preside e con alcuni

Scibona, Storia della ricerca, cit, p. 29.


64

L’intervento è stato seguito sul campo dalla dott.ssa Elvira D’Amico che ringrazio per
65

i dati che mi ha fornito e che ha in corso lo studio dei reperti rinvenuti, alcuni dei quali già
editi: E. D’Amico, Nuovi dati sulle produzioni ceramiche circolanti a Messina in età basso e
post medievale, in Da Zancle a Messina. 2016, cit, pp. 205-207; 209; ead., Catalogo, in Da
Zancle a Messina. 2016, cit, pp. 215, 222.
66
Nel corso degli anni novanta il Liceo La Farina fu oggetto di interventi strutturali e di
adeguamento che diedero origine a due campagne di scavo rimaste sostanzialmente inedite,
brevemente ricordate in S. Fiorilla, Il contributo dell’archeologia medievale. Carta con i siti,
in Da Zancle a Messina. 2016, cit, p. 200. La prima indagine (1992-93), condotta nell’area
della palestra, mise in luce: un pozzo rettangolare con pareti rivestite di malta idraulica, che
ha restituito reperti databili dal 1400 al 1600; una fossa settica, a pianta rettangolare i cui de-
positi di colmatura hanno restituito un butto con ceramica invetriata e smaltata, ossa animali e
numerosi calici in vetro, databili tra il XVII e il XVIII sec.; strutture d’età bizantina, a livello
più alto, e romana a livello più profondo. La seconda esplorazione (1997-98), fu effettuata nel
settore nord dello stabile, in corrispondenza della vecchia casa del Custode. I risultati con-
seguiti con quest’ultimo intervento e le strutture messe in luce determinarono all’epoca una
variante a livello delle fondazioni che consentì la conservazione dell’interessante palinsesto
urbano rintracciato. Si fa presente che topograficamente quest’area era sicuramente esterna
alla città greca il cui limite settentrionale si è ipotizzato di recente coincidente con l’attuale
Via S. Agostino, asse viario che sigilla un corso d’acqua, braccio secondario del torrente Boc-
cetta, che doveva sfociare nel porto. Sulla destinazione di quest’area in antico, sulla scorta dei
reperti rinvenuti negli anni del post – terremoto (is. 327, statuette femminili databili dalla fine
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 193

Fig. 7 - Messina. Liceo ‘Giuseppe La Farina’: posizionamento dei settori oggetti di indagine
archeologica

docenti67. Con fondi dell’Istituto Scolastico68, è stato possibile rimettere in


luce le strutture rinvenute nel 1997 che costituiscono un interessante lembo
di palinsensto urbano (figg. 8-9).

del VI al III sec. a.C., oggi in parte esposte nella sezione archeologica del Museo di Messina),
sono state avanzate due ipotesi ugualmente compatibili. George Vallet, nel suo fondamentale
volume (Rhègion et Zancle. Histoire, commerce et civilisation des cités chalcidiennes du de-
troit de Messina, Paris 1958, p. 115) identificando la coroplastica recuperata come probabile
elemento di corredi funerari, ipotizzò che essa avesse potuto avere destinazione funeraria;
più recentemente si è proposto di vedere in tali reperti possibili ex voto di un santuario extra
urbano, dedicato alle divinità ctonie, vd. M.A. Mastelloni, L’insediamento arcaico e le aree
suburbane. I materiali dagli isolati 327, 283, 278, 224, 194, 147, 144, via Santa Marta, loca-
lità San Cosimo ed i ritrovamenti sporadici, in La Sicilia in età arcaica. Dalle apoikiai al 480
a.C. Contributi dalle recenti indagini archeologiche, a cura di R. Panvini, L. Sole, Palermo
2009, pp. 142-143.
67
Le attività di alternanza Scuola Lavoro, inserite negli ultimi anni tra gli obiettivi degli
istituti scolastici, hanno comportato un più stretto rapporto tra la Soprintendenza e i licei di
Messina e provincia, favorendo proficui scambi e una più puntuale attività di educazione
permanente dei ragazzi che hanno scelto di approfondire le conoscenze nel campo dell’arche-
ologia e della storia della propria città e/o del territorio.
68
Un ringraziamento particolare alla dirigente scolastica, dott.ssa Giuseppa Prestipino.
194 GABRIELLA TIGANO

Fig. 8 - Messina. Liceo ‘Giuseppe La Farina’, planimetria settore di scavo 1997

Fig. 9 - Messina. Liceo ‘Giuseppe La Farina’, panoramica dello scavo del 1997
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 195

L’intervento, ancorché minimale, ha offerto spunti di riflessione, grazie


alla verifica diretta, autoptica, delle unità murarie in situ; si tratta di fondazioni
di epoca ottocentesca, ricollegabili a edifici pre-terremoto rintracciabili nella
cartografia storica69 e di murature databili tra l’età normanna e il sec. XVI,
come provato dalla tecnica edilizia e dai reperti rinvenuti.
Gli approfondimenti eseguiti all’interno di un ambiente parzialmente inter-
cettato, hanno chiarito che la US 31, affiorante nel 1997, è un ‘muro’ messo in
opera con mattoni crudi e lastre di argilla, senza uno zoccolo di muratura, che
si segue per una lunghezza massima di m 1,20 su uno spessore di cm 50 e una
altezza di cm 30. Tale struttura (tramezzo? parte di una sub-struttura all’interno
del vano?), parallela alla USM 12 è in fase con un livello d’uso ben definito la
cui datazione si àncora ad un piatto catino invetriato dipinto in verde e bruno,
decorato con motivo centrale a larghe foglie in schema radiale70, ma anche ad
altri frammenti di vasellame di analoga cronologia.
L’approfondimento dell’indagine all’interno della struttura a pianta cir-
colare interpretata originariamente come ‘pozzo’, ha consentito di chiarirne
la funzione quale possibile fossa settica, come suggerisce la mancanza di un
rivestimento in malta idraulica sulla muratura in pietrame, controterra e la
finitura del fondo: un battuto di terra argillosa pressata mista a sassolini e a
frammenti laterizi, impermeabile.
Per verificare la presenza di livelli più antichi, sono stati aperti due sag-
gi di limitata ampiezza, per motivi di sicurezza. I risultati più interessanti
provengono dal saggio 171 nel quale è stato messo in luce un deposito scuro,
con abbondante bruciato (US 44), che ha restituito anche qualche scarto di
laterizio, forse indizio dell’esistenza, in area prossima, di un impianto per la
fabbricazione di materiale da costruzione databile tra la fine dell’XI-XII sec.
Considerato che questa zona in età normanna rientrava, presumibilmente,
nella ‘nova urbs’ dei documenti72, non meraviglia la dislocazione al suo in-
terno e, peraltro, in posizione marginale, di un impianto di questo tipo.

69
È in corso da parte dell’arch. Rocco Burgio lo studio di questo settore della città, attra-
verso l’analisi della cartografia storica inedita.
70
Incassato nel piano d’uso e databile tra la fine dell’XI e gli inizi del XII sec., è pro-
babilmente un prodotto delle officine palermitane specializzate in questa produzione detta
‘’siculo-islamica’, vd. D’Amico, Nuovi dati sulle produzioni ceramiche, cit., p. 206, fig. 8 e
p. 215, n. 2.
71
Nel saggio 2 si rintraccia la medesima US 44, databile ancora all’interno del XII sec.
72
G. Scibona, Messina XI-XII secc.: primi dati di storia urbana dallo scavo del Munici-
pio, in R. Fiorillo, P. Peduto (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale,
Castello di Salerno, Complesso di Santa Sofia (Salerno 2-5 ottobre 2003), Firenze 2003, pp.
508-509; Fiorilla, Il contributo, cit., p. 199.
196 GABRIELLA TIGANO

Milazzo

A partire dal 2014, la ripresa dell’attività edilizia nel centro urbano, ha


comportato il consueto monitoraggio degli interventi nel sottosuolo che
hanno dato origine a indagini in cantieri privati. I dati più significativi73 sono
stati registrati nel quartiere di Vaccarella, nel quale in questi ultimi anni si è
assistito ad un progressivo e graduale recupero dell’edilizia storica. I controlli
effettuati, nel corroborare l’ipotesi74 che tale contrada, a ridosso dell’ampia
insenatura portuale, abbia fatto parte integrante dell’insediamento antico nel
lungo periodo (età del bronzo antico - età bizantina), pur con momenti di
apparente ‘abbandono’, hanno altresì contribuito a definire meglio i contorni
di tale occupazione stabile, soprattutto in relazione alle fasi d’età greca
arcaica e classica fino ad oggi attestate esclusivamente dal recupero di reperti
mobili75. Acquistano particolare rilievo due interventi condotti nel 2018 in
Via Calcagno76 e in Via Montecastro77, nei quali per la prima volta è stato
possibile documentare lembi di strutture murarie e livelli abitativi databili
dal V sec. a.C.78 (Via Montecastro), all’età ellenistica.
Sempre per i dati di topografia storica, si segnala l’indagine che tra il
2015 e il 2017, ha interessato un cantiere di C.da San Papino (Via Marinaio
d’Italia/Vico Miramare)79 prossimo alla spiaggia di ponente, zona, in passato
variamente indiziata80. L’esplorazione sistematica del lotto da edificare ha
consentito di documentare, entro uno spessore di circa m 2,50, tre momenti
di utilizzo databili entro un arco cronologico assai ampio. A livello superiore,
superficiale, sono state riportate alla luce numerose sepolture risalenti al
XVII-XVIII sec., un cimitero di fosse terragne da correlare verosimilmente
con le prime fasi di vita del convento di San Papino81; in profondità, sono

73
Il monitoraggio dei cantieri e le successive ricerche sono state seguite sul campo con
grande impegno dalla dott. Annunziata Ollà che ne curerà l’edizione, con il valido supporto
del geom. Francesco Cambria.
74
G. Tigano, L’abitato. III sec. a.C. - VI sec. d.C., in L’antiquarium di Milazzo, cit. pp.
234-236.
75
Particolarmente interessante la grande buca isolata già nel 2013 nel cantiere sito tra la Via
Calcagno e la Via S. Maria Maggiore, che ha restituito ceramiche di fine VI-V sec. a.C. e fram-
menti residuali di più alta cronologia, vd. Tigano, L’attività della Soprintendenza, cit., p. 364.
76
Area di proprietà di Cambria Antonella ricade nel FMC 25, part. 73 sub 1. Lo scavo (19
febbraio-6 marzo) è stato seguito sul campo dalla dott. Annunziata Ollà, che ringrazio, con
manodopera messa a disposizione dalla ditta proprietaria.
77
Lo scavo è stato effettuato dal 3 aprile al 15 maggio, sempre con manodopera messa a
disposizione dalla ditta esecutrice dei lavori.
78
Sono stati documentati ben quattro livelli sovrapposti, databili tra la fine del V sec. a.C.
e il III-II sec. a.C.
79
L’area ricade nel FMC 5, part. 1904-1903.
80
G. Tigano, La città: fine VIII- III sec. a.C., in L’antiquarium di Milazzo, cit. pp. 113-114.
81
Milita in tal senso il frequente rinvenimento di rosari; i frati erano stati seppelliti, in
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 197

Fig. 10 - Milazzo. C.da Tono: resti ittiologici

Fig. 11 - Milazzo. C.da Tono: intervento di consolidamento per il recupero dei resti ittiologici
198 GABRIELLA TIGANO

stati isolati due livelli distinti, talora interferenti, riferibili ad una necropoli
d’età imperiale romana, con casse in muratura mista (II-III sec. d.C.), in gran
parte danneggiate in antico, e ad un’area sacra d’età greca (fine VI-V sec.
a.C.), con deposizioni votive nella sabbia. Le sepolture romane attestano per
la prima volta un utilizzo di quest’area per usi funerari, mentre le deposizioni
votive confermano le ipotesi di lavoro avanzate sulla possibile esistenza di
un santuario in questa zona pianeggiante, prossima alla linea di costa82.
Un breve cenno merita infine83, l’esplorazione condotta in C.da Tono, nella
parte più protetta della c.d. Ngonia. L’affioramento dei resti di un impianto
destinato alla lavorazione del pescato databile tra la tarda età ellenistica e la
prima età imperiale (II-I sec. a.C./I sec. d.C.) arricchisce in modo significativo
le nostre conoscenze su una attività archeologicamente documentata a Mylai
dall’età ellenistica e particolarmente attiva in età imperiale romana, periodo al
quale risalgono gli stabilimenti individuati e parzialmente indagati all’interno
dell’ampia insenatura portuale84. Vale la pena di sottolineare che la zona del
Tono fu rinomata per gli impianti moderni di lavorazione del tonno.
Lo scavo ha riportato alla luce parte di ambienti, due dei quali coperti,
pertinenti ad uno stabilimento, in fase con uno spazio sicuramente a cielo
aperto, dislocato sulla riva del mare, destinato alla macellazione, come
indicano l’eccezionale quantità di resti ittiologici affiorati (figg. 10-11), con
elementi scheletrici di pesci di grande taglia in posizione anatomica (tonni),
e le concentrazioni selettive di scarti e di tranci, spia del fatto che l’attività di
lavorazione riguardava pesci di grande e piccola taglia, verosimilmente per
la produzione di salsamenta.

Taormina

A Taormina l’attività edile, privata e pubblica, legata alla realizzazione


di sottoservizi, è stata particolarmente frenetica – soprattutto in occasione
del G7, svoltosi nel corso del 2017 – ma ricca di scoperte85 che hanno
fornito spunti di riflessione sulla storia dell’impianto urbano dell’antica
Tauromenion, come è noto, risultato di un programmatico intervento di

genere, in casse lignee. Si segnala che in molti casi sono stati recuperati lembi di tessuto
dell’abbigliamento. Sul convento dei Francescani riformati, costruito nel 1618 presso la Chie-
sa preesistente vd. F. Chillemi, Milazzo. Guida alla città perduta, Messina 2011, pp. 82-84.
82
Tigano, La città: fine VIII-III sec. a.C., cit., p. 114
83
Per una prima presentazione dei dati di scavo, vd. A. Ollà, Impianti di salsamenta e di
salse di pesce, in A Madeleine Cavalier, cit., pp. 421-429.
84
Tigano, L’abitato. III sec.a.C.- VI sec. d.C., cit. pp. 234-236, figg. 5-7.
85
Si ringrazia la dott.ssa Giusy Zavettieri per l’impegno profuso in questi anni.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 199

pianificazione risalente quanto meno al III sec. a.C.86, assai articolata nel
corso dei secoli e della quale, vista la continuità insediamentale, ci sfuggono
ancora molti tasselli.
Per la conoscenza dell’estensione della città all’inizio dell’età imperiale,
si segnala, nel corso del 2018, il recupero per la musealizzazione, di
un pavimento in cementizio, affiorato in Via S. Giovanni Bosco87, oggi
rimontato, dopo un delicato intervento di smontaggio e di riconfigurazione
dello stesso, nel giardino annesso al plesso comunale di Badia. Il pavimento
pertinente ad una abitazione della prima età imperiale, riconferma l’ipotesi
della maggiore estenzione della citta ellenistico-romana88, rispetto a quella
tardo-imperiale e poi medievale.
L’intervento di maggiore respiro è stato condotto nella c.d. ‘Villa San
Pancrazio’, acquistata nel 2015 dalla Società Luxury Collection s.r.l. con
l’obiettivo di restaurare l’immobile esistente degli inizi del novecento, di
riqualificare il giardino e di realizzare, ove possibile, un nuovo corpo di
fabbrica con finalità recettive.
Il sito era da tempo tutelato. Nel 1985 la Soprintendenza alle Antichità di
Siracusa e nel 199289 la Soprintendenza BB.CC.AA. avevano parzialmente
portato alla luce i resti di una domus d’età imperiale romana (Domus 1). Le
nuove indagini90, condotte tra il 2016 e il 2018 dall’Università di Messina
(Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne), in regime di concessione con
il supporto logistico e finanziario della ditta proprietaria, hanno interessato
sia il giardino (una delle poche aree del centro storico ancora a verde), che
l’albergo, limitatamente al sottosuolo del settore meridionale del piano
seminterrato. L’esplorazione91 ha messo in luce parte di un quartiere abitativo,

86
G.F. La Torre, Ricerche sui monumenti e sulla topografia di Tauromenion: una stoà
ellenistica nell’area della Naumachia, in «Sicilia Antiqua», V (2008), pp. 130-140; L. Campa-
gna, Urbanistica dei centri siciliani d’altura in età ellenistica: il caso di Tauromenion, in EIS
AKRA. Insediamenti d’altura in Sicilia dalla preistoria al III sec.a.C., a cura di M. Congiu, C.
Miccichè, S. Modeo, Caltanissetta-Roma 2009, pp. 205-226.
87
Il pavimento fu scoperto nel 2008, ma per indisponibilità di risorse, il suo smontaggio,
condotto poi a spese della ditta proprietaria, si è svolto a distanza di molti anni.
88
M.C. Lentini, Tauromenion, in Lo Stretto di Messina nell’antichità, a cura di F. Ghedini,
J. Bonetto, A.R. Ghiotto, F. Rinaldi, Roma 2005, p. 314-315, fig. 1. Ricordiamo il mosaico
a ciottoli presso la salita del Carmine.
89
G.M. Bacci, C. Rizzo, Attività della Soprintendenza: Taormina, in «Kokalos», XXXIX-
XL (1993-94), II.1, pp. 945-947.
90
Nel 2015 fu eseguita una prima campagna di rilievo della domus, propedeutica ai suc-
cessivi interventi.
91
L. Campagna, A. Toscano Raffa, M. Miano, M.C. Papale, M. Venuti, S. Bonanno, Lo
scavo nella villa San Pancrazio a Taormina. Relazione preliminare delle campagne 2015-
2017, in «Quaderni di Archeologia», n.s., VII (2017), pp. 103-170; L. Campagna, Taurome-
nion in età imperiale: nuovi dati dai recenti scavi, in Römisches Sizilien, La Sicilia Romana,
Roman Sicily, cit., pp. 285-297.
200 GABRIELLA TIGANO

impiantato sul declivio assai erto che domina l’attuale baia di Letojanni/S.
Alessio, strutturato in antico su quattro terrazze digradanti, servito a nord da
una strada est/ovest, verosimilmente la stessa documentata più a nord-est,
in corrispondenza dell’attuale parcheggio San Pancrazio92. Immediatamente
a monte della Domus 1, è affiorata una grande abitazione ben conservata
(Domus 2), articolata intorno ad un ampio peristilio, su due elevazioni,
con finiture di pregio (figg. 12-13). All’interno del fabbricato moderno gli
approfondimenti condotti hanno consentito di documentare parte di una
terza abitazione (Domus 3). Le singole unità, pur avendo offerto evidenza di
fasi edilizie/abitative distinte, non sempre sovrapponibili (III sec.a.C.; fine I
sec.a.C.-I sec.d.C.; fine I sec.d.C.-II sec. d.C.), anche per l’utilizzo prolungato
nel tempo, hanno offerto dati diretti e spunti di riflessione che consentono
di ricostruire molti tasselli della storia urbana di questa importante città a
continuità di vita. Innanzitutto l’ipotesi di lavoro che l’urbanizzazione di
questo versante settentrionale della città definito dalla cinta muraria93, possa
farsi risalire alla piena età ellenistica94 sembra trovare nuove conferme
(Domus 295 e Domus 3). La fase residenziale databile tra il tardo I sec. a.C.
e gli inizi del successivo, caratterizzata da abitazioni di livello medio-alto
(Domus 2), potrebbe, con tutte le cautele del caso, legarsi alla deduzione della
colonia augustea intorno al 21 a.C., che ebbe sicuramente un forte impatto
sul corpo civico e quindi anche sull’assetto monumentale ed urbanistico96.
Dopo una cesura leggibile nell’abbandono delle abitazioni precedenti, la
nuova fase databile alla fine del I-inizi del II sec. d.C. (Domus 1 e Domus 2
parzialmente), sembra coincidere con un momento di consolidata ricchezza97
documentata anche dalla intensa attività edilizia nel settore pubblico che
comporta, come è noto, la più monumentale ristrutturazione del teatro98, la

U. Spigo, I pavimenti della domus di Porta Pasquale a Taormina. Dati preliminari, in


92

Atti del IX Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico
(Aosta 20-22 febbraio 2003), a cura di C. Angelelli, Ravenna 2004, pp. 399-418; Campagna,
Tauromenion in età imperiale, cit., p. 294.
93
Sulle mura esistenti su questo versante settentrionale, vd., da ultimo, F. Muscolino, Le
mura settentrionali di Taormina in età ieroniana. Osservazioni e ipotesi, in ΚTHMA ES AIEI.
Studi e ricordi in memoria di Giacomo Scibona, a cura di G. Mellusi, R. Moscheo, Messina
2017, pp. 315-324.
94
Per la segnalazione di strutture risalenti alla prima età ellenistica, vd. Bacci, Rizzo,
Attività della Soprintendenza. Taormina, cit., pp. 946-947.
95
Campagna, Tauromenion in età imperiale, cit., p. 289, nt. 11.
96
Ivi, pp. 291-292 (trasformazione della piazza dell’agorà con realizzazione del grande
serbatoio della c.d. Naumachie; teatro: obliterazione del tempio ellenistico alle spalle della
summa cavea).
97
Nella domus di Porta Pasquale si assiste nel corso del II sec. ad un rifacimento degli
apparati pavimentali e parietali.
98
Risalgono all’età trainea e adrianea, l’ampliamento della porticus di summa cavea e il
rifacimento della frons scena con la facciata marmorea.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 201

Fig. 12 - Taormina. Veduta da sud della Domus 2

Fig. 13 - Taormina. Particolare della Domus 2


202 GABRIELLA TIGANO

costruzione dell’odeon99 e del complesso termale pubblico sul versante nord


del foro.
L’indagine ha poi intercettato alle quote più alte, livelli di epoca tarda,
secondo quanto già documentato durante lo scavo della Domus 1100, dati
ancora in corso di studio ed elaborazione da parte dell’equipe dell’Università
di Messina.

Patti

Parallelamente alle attività portate avanti in regime di concessione, non sono


mancate altre occasioni di ricerca sia a Tindari, nell’area fuori dal sito demaniale,
che a Patti, all’interno della villa romana, ove sono stati effettuati interventi di
messa in sicurezza dei pavimenti musivi, con finanziamenti regionali101.
Per la storia urbana di Tindari, particolare rilievo riveste lo scavo
condotto in Via Omero, in occasione di un progetto privato, poi non attuato,
che ha messo in luce il lembo di un settore monumentale, verosimilmente da
ricollegare all’agora ellenistico romana102.
Sempre nel territorio di Tindari, lavori promossi dalla società autostradale
in corrispondenza della galleria Tindari, lato monte, hanno intercettato, una
necropoli d’età imperiale romana con sepolture in muratura entro recinti,
forse da ricollegare con la villa romana di C.da San Leo103, parzialmente
distrutta con la costruzione della moderna stazione di servizio.
A Patti marina gli interventi di restauro104 si sono concentrati sui tappeti
musivi della sala tricora del plesso abitativo della prima metà del IV sec.
d.C.105. Si tratta del vano più importante, prospiciente il grande peristilio

99
L. Campagna, Tauromenion (Taormina, Sicily): The Hellenistic Sacred Area near the
Church of Santa Caterina and its Transformations during the Roman Imperial Age, in Helle-
nistic Sanctuaries between Greece and Rome, a cura di M. Melfi & O. Bobou, Oxford 2016,
pp. 261-262.
100
Bacci, Rizzo, Attività della Soprintendenza: Taormina, cit., pp. 946.
101
Il finanziamento è stato ottenuto grazie al supporto dell’allora Assessore Regionale,
avv. Carlo Vermiglio. Tra il 2014 e il 2015 limitati interventi erano stati condotti con gli alunni
della Scuola di Restauro di Palermo, sotto la guida di Lorella Pellegrino che si ringrazia per
l’impegno profuso.
102
M. Ravesi, Agorà/foro di Tindari: considerazioni alla luce dei recenti scavi, in A Ma-
deleine Cavalier, cit., pp. 393-403.
103
Su questo importante complesso residenziale, in gran parte intaccato e distrutto dai
lavori dell’autostrada, M. Fasolo, Tyndaris e il suo territorio, Roma 2014, II, pp. 156-161.
104
L’intervento è stato seguito con grande impegno dal dott. Piero Coppolino.
105
Per i dati più recenti sull’impianto della villa e sul momento della distruzione, con rife-
rimento al terremoto, vd. da ultimo R.J. Wilson, Archaeology and earthquakes in late Roman
Sicily: unpacking the muth of the terrae motus per totum orbem of AD 365, in A Madeleine
Cavalier, cit., pp. 457-458 e nntt. 99-102 con rinvii bibliografici.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 203

Fig. 14 - Patti. Villa romana. Intervento di restauro sala tricora: mappatura del degrado (ditta
Siqilliya, archivio Soprintendenza di Messina)

con portico scandito da pilastri, come suggeriscono le dimensioni (m


16x12), la planimetria adottata, l’accesso tripartito e monumentalizzato
con un arco a tutto sesto, i rivestimenti pavimentali. La sala conserva
un pregevole mosaico policromo steso con tappeti distinti, adeguati alla
planimetria del vano, di tipo geometrico nelle tre absidi106, figurativo107
nella zona centrale, ove cerchi e mandorle delimitano ottagoni curvilinei
campiti con animali domestici e selvatici. L’intervento108, riconfigurativo,
in alcuni settori, ma anche integrativo in corrispondenza delle ampie
lacune esistenti fin dal momento dello scavo109 (fig. 14) ha consentito di

106
I tappeti sono uguali solo nelle nicchie simmetriche, occidentale e orientale.
107
Nella villa prevale la decorazione policroma di tipo geometrico, con esclusione della
sala tricora e dell’ambiente 5 del lato ovest del peristilio, con medaglione centrale con testa di
Medusa. Vd. R. Wilson, Caddeddi on the Tellaro. A Late Roman Villa in Sicily and its Mosa-
ics, Leuven-Paris-Bristol-CT, 2016, pp. 14-15, fig. 1.20.
108
L’intervento ha costituito un primo stralcio di un progetto più ampio che interesserà
tutte le pavimentazioni della villa, mai oggetto di restauro, con esclusione di alcuni interventi
di messa in sicurezzarealizzati tra il 2014 e il 2015 già segnalati nella nt. 101.
109
Queste lacune sono state colmate con un composto di malta colorata al fine di dare
stabilità alla pavimentazione. Negli anni settanta erano stati realizzati cordoli di cemento per
delimitare i mosaici in situ dalle lacune, con risultati assai negativi : il cordolo nel tempo si era
fratturato, favorendo il distacco delle tessere dalla malta di sottofondo.
204 GABRIELLA TIGANO

acquisire dati sulla messa in opera del tessellato, allettato su uno strato
poco consistente di malta. Come riscontrato in altri siti della provincia,
anche a Patti le tessere musive erano state ricavate dalle rocce carbonatiche
e dai calcari marnosi delle formazioni geologiche dell’unità di Longi-
Taormina. Tali elementi, insieme alla carenza di tappeti figurativi, rende
verosimile l’ipotesi avanzata di recente che i mosaici siano opera di
maestranze siciliane110 che si attenevano ai modelli iconografici di matrice
africana (figg. 15-16).
Tra il 2016 e il 2018 la villa è stata luogo di sperimentazione di un
intervento di alternanza scuola- lavoro che ha visto coinvolto l’Istituto
Superiore ‘Borghese-Faranda’ di Patti, assegnatario di un finanziamento
MIUR, per il bando ‘Progetti didattici nei musei, nei siti di interesse
archeologico, storico e culturale o nelle istituzioni culturali e scientifiche’.
In stretta collaborazione con la Soprintendenza111, sotto la guida di
alcuni insegnanti, gli alunni hanno realizzato la restituzione su supporto
informatico degli schemi geometrici del tessellato dell’impianto musivo,
il plastico della villa, alcune tavolette tattili riprodotte con stampante 3D,
materiale che dal febbraio 2018 fa parte integrante del percorso di visita
dell’Antiquarium esistente all’interno del sito.

Torrenova - Piano Grilli

Nell’area dei Nebrodi merita più di un cenno l’indagine in estensione


effettuata nel 2016 sull’altura di Piano Grilli che ha consentito di acquisire
nuovi e più dettagliati dati su questo sito d’altura112. Si tratta di un terrazzo
aperto, naturalmente arroccato, potenzialmente ideale sia nella prospettiva
di garantire la difesa della propria comunità che in quella, da verificare, di
costituire l’elemento costiero di un sistema organico di difesa territoriale,
propiettata verso l’entroterra (fig. 17).
Le indagini hanno consentito di chiarire la tipologia dell’impianto
che prevede una distribuzione sparsa delle abitazioni, pur con una certa
pianificazione suggerita da alcuni allineamenti murari, schema che trova

Wilson, Caddeddi, cit., p. 15


110

Anche questo progetto è stato seguito dal dott. Piero Coppolino.


111
112
L’attività di scavo condotta in passato (1981; 1984; 2005) e di recente (2016) ha con-
fermato la necessità di mantenere invariata l’estensione del vincolo diretto e indiretto imposto
sul sito con D.A. 732/1980, al fine di tutelare l’abitato antico, che costituisce un’unità stori-
co-topografica di valore primario sul territorio aluntino. Per una prima notizia, G. Scibona,
Piano Grilli (com. di Torrenova dal 1985). Relazione tecnica n. 18, in «Archivio Storico
Messinese», 91-92 (2010-2011), pp. 483-488.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 205

Fig. 15 - Patti. Villa romana, intervento di restauro sala tricora

Fig. 16 - Patti. Villa romana, intervento di restauro sala tricora


206 GABRIELLA TIGANO

Fig. 17 - Torrenova. Piano Grilli: planimetria generale (L. Zurla, archivio Soprintendenza di
Messina)

Fig. 18 - Torrenova. Piano Grilli: un tratto della fortificazione (L. Zurla, archivio Soprinten-
denza di Messina)
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 207

paralleli in altri abitati di epoca tardoromana-bizantina quando all’interno


dei siti esistevano anche aree destinate alla coltivazione, indispensabili per
garantire la sopravvivernza degli abitanti nel caso di assedi (per es. monte
Kassar).
Come nei più noti siti tardo antichi, anche nel nostro, è stata messa in
luce una fortificazione di tutto rispetto che correva lungo il margine orientale
dell’altura, funzionale a precluderne l’accesso (fig. 18). Costruita con
pietrame allettato a secco, su uno spessore di circa m 1,60, la fortificazione in
alcuni punti raggiunge l’altezza media, verso valle, di m 1 e sembra frutto di
una progettazione unitaria che adeguandosi alla morfologia, prevedeva torri
(due circolari, una semicircolare nel settore mediano), dislocate nei punti di
raccordo e di discontonuità tra il pianoro e il pendio, ad una distanza media
di circa m. 40 l’una dall’altra.
Sul terrazzo, le esplorazioni si sono concentrate in alcuni edifici costruiti
con pietrame legato con malta, probabilmente con alzati in materiale
deperibile (legno; mattone crudo), costituiti da vani piuttosto ampi. I risultati
di maggiore rilievo sono stati acquisiti nel saggio B che ha offerto evidenza
di tre momenti di occupazione e/o frequentazione della struttura, risalenti
ad epoca tardo antica (metà del IV-metà del V sec. d.C), bizantina, e araba,
quando all’interno del vano si impianta una sorta di bivacco, che ha restituito
parte di una olla ipercotta della metà del X sec. d.C. (fig. 19).
La verifica condotta su tutti i reperti, inclusi quelli provenienti dai
vecchi scavi, ha consentito di dettagliare le fasi di frequentazione e/o
di occupazione del sito che spaziano dall’età preistorica (frammenti ad
impasto di pithoi dell’età del bronzo, e nuclei di ossidiana delle Isole Eolie)
al XVI-XVII sec. A tal proposito si precisa che sono state isolate fasi di
vita dell’insediamento prima non documentate - quali, quella di epoca
tardo romana, indiziata da frammenti di sigillata romana (fig. 20) (forme
Hayes 91 - tipo A; forma 61 tipo B; forma 67; forma 104) e di anfore da
trasporto (africana IIA con gradino; anfore di piccolo formato tipo Keay
LII; anfore di medie dimensioni di produuzione, locale che riproducono
forme orientali, tipo Late Roman Amplora 1 e 8); e quella di epoca araba
(vedi olla ipercotta della metà del X sec.), o non compiutamente isolate,
come quella di epoca normanna alla quale risalgono alcuni interessanti
catini decorati in verde e bruno sotto vetrina incolore (fig. 21), produzione
recentemente oggetto di studi specialistici.
208 GABRIELLA TIGANO

Fig. 19 - Torrenova. Piano Grilli: saggio B, frammenti di olla ipercotta di epoca araba (X sec.d.C.)

Fig. 20 - Torrenova. Piano Grilli: sigillate romane


La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 209

Fig. 21 - Torrenova. Piano Grilli: ceramica normanna

Mistretta

Importanti novità sono emerse a Mistretta, ove in occasione dei lavori di


metanizzazione, grazie al supporto finanziario della Snam, è stato possibile
effettuare per la prima volta una indagine di un certo respiro con risultati
del tutto eccezionali. La moderna Mistretta, sorta sui rilievi occidentali
della catena montuosa dei Nebrodi, a circa 10 Km dal Mar Tirreno, nel
tratto di costa compreso nell’antichità tra Kale Akte e Alesa e nel distretto
territoriale di origine araba denominato Val Demone si sovrappone, almeno
in parte, all’antica ΑΜΗΣΤΡΑΤΟΣ, nota da fonti letterarie113, epigrafiche114 e
numismatiche115. Conosciamo pochissimo della topografia della città antica,
che sorse in quel momento fondamentale della storia dell’urbanizzazione

113
Cic. Verr. 2,3, 101; Verr. 2,3,88-89, 172; Verr. 5,133; Sil. 14, 267; Stept. Byz, s.v.
Αμήστρατος.
114
Iscrizione greca Inv. 20219, G. Scibona, Le epigrafi, in G. Scibona, G. Tigano, Ale-
sa Archonidea. Guida all’antiquarium, Introduzione all’Archeologia di Halaesa, 1, Palermo
2008, p. 26.
115
Serie con etnico databile dal III sec. a.C. con i tipi Testa di Artemide/Apollo citaredo e
testa di Dioniso/cavaliere galeato con lancia: G. Scibona, Storia della ricerca archeologica,
s.v. Mistretta, in Bibliografia Topografica Colonizzazione Greca, X, Roma-Pisa 1992, p. 162;
M. Puglisi, La Sicilia da Dionisio I a Sesto Pompeo, in «Pelorias», 16 (2009), p. 245.
210 GABRIELLA TIGANO

della costa tirrenica della nostra Isola durante il quale, dopo la fondazione di
Tindari, da parte di Dionisio I, tiranno di Siracusa, agli inizi del IV sec.a.C.,
si assiste alla nascita di numerosi abitati d’altura in posizioni strategiche
(Apollonia, Aluntium), centri tutti che acquisteranno particolare rilievo nel
corso dell’età ellenistica.
La ricerca ha interessato l’attuale Piazza del Progresso116, topograficamente
ai piedi dell’altura occupata dai ruderi del Castello, da sempre considerata
sede dell’antica Amestratos117. Essa è stata condotta sia in modo tradizionale
(scavo a mano), che con prospezioni indirette del tipo GPR (georadar).
In una situazione pluristratificata, all’interno di un saggio ampliato
progressivamente in ragione delle scoperte, sono stati messi in luce lembi
di strutture e di livelli, spia della continuità insediativa nei secoli di questo
settore dell’abitato moderno. Le strutture murarie messe in opera con tecniche
edilizie diverse e in fase con depositi ben caratterizzati, documentano senza
ombra di dubbio un uso a scopo abitativo dell’area dal IV sec. a.C. fino ad
epoca tardo antica, pur con momenti di abbandono. Entro uno spessore di
circa m. 2 sono affiorati, a quote differenti dal livello più profondo e con
orientamenti non sempre coincidenti (fig. 22):
- due setti murari tra loro perpendicolari, costruiti con pietrame allettato
a secco, lembo dell’ambiente domestico di un edificio databile, per
posizione stratigrafica, intorno al IV sec. a.C. come dimostrano il calpestio
a matrice argillosa con focolare circolare di concotto e i numerosi pesi da
telaio troncopiramidali rinvenuti;
- l’angolo nord-orientale di un vano definito dai muri UUSSMM 13 e 14
con pavimento in cocciopesto, anche questo parte di un edificio articolato
in almeno due vani, risalente alla metà del III sec. a.C., sulla scorta dei
reperti rinvenuti118;
- due muri costruiti con conci lapidei squadrati di medio-grandi dimensioni,
rinzeppati con laterizi di reimpiego pertinenti all’angolo nord-occidentale
di un ambiente, rinforzato da una sorta di pilastro quadrangolare messo in
opera con conci squadrati, addossato, non ammorsato ai muri perimetrali.
Lo scavo ha isolato in questo caso anche il crollo degli alzati, un deposito
terroso consistente che includeva frammenti di tegole, pietre delle
murature e laterizi e che aveva sigillato il calpestio, un battuto a matrice
argillosa, con evidenti tracce di carbone, resti delle travature lignee del
tetto. La destinazione del locale si evince dal materiale affiorato sotto il
crollo: grandi recipienti acromi destinati all’immagazzinamento di derrate

Lo scavo è stato seguito sul campo dal dott. Letterio Giordano, dal 28 settembre 2017
116

al 30 maggio 2018, con la supervisione della Funzionaria dott. Annunziata Ollà.


117
Scibona, Storia della ricerca archeologica, cit., pp. 161-168.
118
Si segnalano due testine fittili e altri frammenti coroplastici.
La ricerca archeologica a Messina e provincia tra il 2013 e il 2018 211

Fig. 22 - Mistretta. Planimetria generale (part.)

alimentari, parte di una macina in pietra lavica, e frammenti ceramici


d’età tardo imperiale;
- numerose sepolture del tipo a fossa (n. 10), la maggior parte delle quali
intaccate in occasione dei lavori per il passaggio di sottoservizi, da mettere
in connessione con la Chiesa di S. Vincenzo, di origine Normanna,
demolita nel XIX sec. alla quale è pure da correlare il lembo di selciato in
acciottolato.
Un palinsesto interessantissimo che recupera, lasciando molti quesiti
aperti, un piccolo tassello di storia urbana di questa cittadina del Nebrodi
e sul quale varrebbe la pena investire, allargando la ricerca nell’area della
piazza tutta interessata da emergenze, come indicato dalle prospezioni.
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zione causa pro beatificazione del ven. mons. Arista; con introduzione e note del
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Parole prigioniere: i graffiti delle carceri del Santo Uffizio di Palermo, a cura di
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Paton, William Agnew Sicilia pittoresca: Siracusa, prima traduzione italiana di Et-
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Perrone, Domenica Il camminare lungo di Elio Vittorini, [Gioiosa Marea]: Pungi-
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Portelli, Giovanni <medico> - Giallongo, Giovanna <archivista> Storia di un monaste-
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Sofia, Girolamo Memorie sul soprassuolo: le necropoli monumentali di età tar-
do-classica ed ellenistica in Sicilia, Messina: Casta, 2018
Spadaro, Maria Antonietta Alessandro Manzo: un artista da scoprire, Bagheria:
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Spadaro, Maria Antonietta - Troisi, Sergio Itinerario arabo-normanno: il patrimo-
nio dell’UNESCO a Palermo, Monreale e Cefalù, fotografie di Gigliola Siragu-
sa; con uno scritto di Bruno Caruso, Palermo: Kalós, 2018
Storia geologica di Sicilia: l’evoluzione geologica dell’isola negli ultimi 250 milioni
di anni, Catania: Alma, 2018
Storia mondiale della Sicilia, a cura di Giuseppe Barone; in collaborazione con
Alessia Facineroso, Sebastiano Angelo Granata, Chiara Maria Pulvirenti, Bari:
Laterza, 2018
Suggestioni caravaggesche dai depositi di Palazzo Abatellis: una storia non sempli-
ce, a cura di Gioachino Barbera ed Evelina De Castro, Palermo: Regione sicilia-
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La tradizione siciliana: quando la cucina incontra il territorio, a cura di Danilo
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Sviluppo urbano di Santa Croce Camerina, [S.l.: s.n.], 2018
Tavčar, Giovanni Dizionario dei compositori di Sicilia, introduzione, cura e revisio-
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Il Teatro Massimo: architettura, arte e musica a Palermo, a cura di Maria Concetta
Di Natale; testi di: Paola Barbera ... [et al.], Palermo: Caracol, 2018
Teriaca, Francesco Le arti e i mestieri: edili a Palermo dalle antiche corporazioni
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Torcivia, Mario Chiamato dall’Amore: Il venerabile Pietro Di Vitale seminarista
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Tra solidarismo, assistenza e istruzione popolare: le società di mutuo soccorso in
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Trapani, Salvatore Giuseppe Sikelia: miniere di zolfo: Villarosa di Sicilia, Enna: La
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Turrisi, Giuseppe <sacerdote> I reverendi arcipreti nella storia di Pozzo di Gotto,
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Urso, Vittorio A Piscaria storica di Catania: storia, immagini, arte, cultura del
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Valvo Grimaldi, Lietta Palermo al femminile: guida turistica, fotografie di Deside-
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Vesco, Maurizio La Kalsa e le sue piazze: archivi, storia e progetto urbano a Paler-
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Viaggi in Magna Grecia e dintorni in età antica, testi di Daniele Castrizio, Massimo
Frasca, Claudia Lambrugo, Carmelo Malacrino, Carlo Ruta, Fabrizio Sudano,
Ragusa; Edizioni di storia e studi sociali, 2018
Villa Genuardi e i giardini storici di Agrigento: dal giardino degli Dei al giardino
del vescovo, a cura di Gabriella Costantino con Giovanni Scicolone; contributi
scientifici di Rosario Schicchi e Manlio Speciale, Palermo: Regione siciliana,
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Zambito, Luca La produzione di zolfo in Sicilia in età romana, Alessandria: Edizioni


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Zampieri, Pier Paolo Esplorazioni urbane: urban art, patrimoni culturali e beni
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cucina siracusana, Siracusa: PixelXPixeL, c2018
SCHEDE E RECENSIONI
a cura di
Salvatore Bottari
Francesco Benigno

TERRORE E TERRORISMO.
SAGGIO STORICO SULLA VIOLENZA POLITICA

Einaudi, Torino 2018

In una società contemporanea in cui l’idea comune di terrorismo sta pro-


cedendo sempre più sulla via di un appiattimento nella sua identificazione
con il fondamentalismo islamico, considerato dall’opinione pubblica come
una sorta di polo negativo dell’assetto ordinario del mondo che fa da sfondo
a un ideale conflitto di civiltà; Francesco Benigno, mediante un’opera scor-
revole e vivace – dedicata non solo agli specialisti, bensì fruibile a un più
ampio pubblico – conferisce prospettiva storica all’analisi del concetto di
ʻterroreʼ come strumento di regolazione violenta della lotta politica.
Egli prende le distanze dal campo dei Terrorism Studies; una nutrita let-
teratura scientifica che, sospinta da molteplici discipline sociali, ha preferito
appiattire la riflessione sul presente, disancorando il terrorismo dall’espe-
rienza del passato; se non far peggio, adoperando la storia in un modo arbi-
trario finalizzato a costituire una sorta di teoria esotica della reincarnazione
terroristica basata sul fanatismo religioso del ʻmondo orientaleʼ, lasciando
così implicitamente intendere che l’ʻoccidente cristianoʼ sia meno incline al
radicalismo.
Benigno invece afferma come il terrorismo non sia un ʻarbusto selvag-
gioʼ cresciuto in un recinto ideologico alieno alla storia europea, una sorta
di ʻserra islamica di barbarieʼ, ma al contrario sia una «pianta cresciuta nel
giardino occidentale e da lì trapiantata nel mondo». Per dimostrare questa
verità, l’autore va con rigore alla radice del terrorismo, risalendo al momen-
to storico in cui il vocabolo stesso viene a essere coniato per la prima volta:
cioè all’indomani del colpo di stato del 9 Termidoro dell’anno II; quando
per la prima volta si articola un discorso sul ʻterroreʼ inteso come sistema di
governo, esercizio del potere tirannico fondato sulla minaccia e sulla pau-
ra. Da lì prende vita un’esposizione storiografica di taglio essenzialmente
interpretativo che muove dal deposto Robespierre e dal giacobinismo, per
poi passare alle posizioni bubuviste e buonarrotiane, alla guerrila spagnola
antinapoleonica e al pensiero di Carlo Bianco di Saint-Jorioz, alle azioni
insurrezionali di matrice mazziniana e all’avanguardismo di patrioti come
Pisacane, alla «propaganda col fatto» degli anarchici, all’indipendentismo
236 FRANCESCO BENIGNO

irlandese, al movimento populista russo e al bolscevismo, alla lotta prima


anticoloniale e poi antimperialista egemonizzata dal marxismo-leninismo,
agli «anni di piombo», al conflitto arabo-palestinese, per giungere agli anni
recenti. Tra l’altro, senza mai perdere di vista l’altra faccia del terrorismo,
che spesso ha assunto il volto di quelle istituzioni ed entità statuali impegnate
a teorizzare e mettere in pratica metodi atti a contrastare e prevenire minacce
sovversive, contrapponendo ʻterroreʼ a ʻterroreʼ, e alimentando anche il co-
siddetto «terrorismo d’intelligence», principio pervasivo delle linee nemiche
e anima manipolatrice delle paure collettive e del consesso internazionale;
dinamica capace di dipanarsi sia in modo manifesto che mediante azioni co-
perte o attraverso una propaganda occulta, sovente lasciando appositamente
tracce fittizie, utili ad ascrivere falsamente l’attacco a chi si voglia delegit-
timare. L’autore riesce così nel compito di riannodare le fila degli elementi
di continuità che legano, sia nel suo impiego rivoluzionario che in quello
controrivoluzionario, una tradizione culturale bisecolare che ha impiegato
l’attentato terroristico in qualità di evento cospirativo dall’alto contenuto po-
litico-simbolico.
Ecco che l’opera di Benigno assume il merito di porre il lettore di fronte
alla complessità della storia e di spingerlo al di fuori di capziose prospetti-
ve manichee che vorrebbero la reificazione di una ʻpersonalità terroristicaʼ
come di un calco di tutto ciò che appare diverso e ideologicamente opposto
da noi; scevri da tali condizionamenti dualistici si dispiana la cognizione che
l’etichetta di terrorista possieda un senso intimamente derogatorio e orien-
tato alle circostanze e agli interessi in campo. Essa non risulta altro che la
qualificazione criminalizzante di un combattente attribuita da una parte poli-
tica che, se vista in modo rovesciato, può essere mutata in quella di patriota,
eroe o martire; dando prova di come il terrorismo in realtà sia un concetto
di per sé estremante ambiguo e indeterminato, non un termine neutro, pura-
mente descrittivo, ma una locuzione valutativa, una targhetta dispregiativa
adottata da governi e forze politiche per screditare gruppi avversi denuncian-
done i comportamenti come illegittimi. Tale consapevolezza impone quindi
un ripensamento della retorica vigente sul terrorismo, compiendo un salto di
qualità nell’episteme che non miri solo alla denuncia delle azioni armate, ma
al contrario riesca a porre in evidenza le ragioni politiche e le cause di fondo
da cui i gesti terroristici discendono.

Alessandro Abbate
CRONACHE E NOTIZIE
CONVEGNI ED EVENTI
A MESSINA E PROVINCIA

a cura di
Loredana Staiti
CRONACHE ED EVENTI
- 2018 -

Gennaio
02.01.2018. Messina. Presso la Chiesa del Carmine è stata allestita una
mostra fotografica, i cui pannelli ricostruiscono la venerazione del Bambi-
nello di cera del venerabile p. Domenico Fabris, oggi conservato nella chiesa
di Gesù e Maria delle Trombe, che lacrimò a più riprese a partire dal 23
febbraio 1712. La mostra è stata allestita da Giacomo Sorrenti, cultore di
tradizioni religiose locali.

04.01.2018. Messina. Presso la Sala ‘Sinopoli’ del Teatro Vittorio Emanuele


si è inaugurato l’anno sociale della locale sezione AEDE (Associazione
europea degli insegnanti), diretta da Caterina Pugliese, con la conferenza
tenuta da Vincenzo Caruso, direttore del museo storico ‘Forte Cavalli’, dal
titolo E vennero in Mille. Sogni e delusioni del Sud.

16.01.2018. Messina. Presso l’Auditorium ex chiesa di S. Maria Alemanna


si è svolta la conferenza dal titolo L’Ospedale militare di Messina: dall’u-
nità d’Italia ai nostri giorni, a cura di Vincenzo Caruso, direttore del museo
storico di ‘Forte Cavalli’. L’evento è inserito nel programma della kermesse
medico-culturale ‘Quadro Clinico’.

17.01.2018. Messina. Presso la Sala ‘Palumbo’ del Palacultura Antonello è


stata presentata la ristampa anastatica del volume Concorso agrario regio-
nale ed esposizione artistico industriale di Messina dal 12 agosto al 20 set-
tembre 1882, edito dalla tipografia Ribera (ristampa ediz. Di Nicolò). L’o-
pera contiene un approfondito saggio storico di Giovanni Molonia, insieme a
testi di Nino Grasso e Daniele Macris. Si tratta di un importante testo al quale
hanno contribuito l’Associazione culturale ‘Amici del Liceo Maurolico’ e
la ‘Comunità Ellenica dello Stretto’. Sono intervenuti all’evento l’assessore
alla cultura, Federico Alagna, e Luciana Caminiti, Luigi Giacobbe, Antonino
Grasso, Daniele Macris, nonché gli studiosi di storia locale Carmelo Mica-
lizzi e Giovanni Molonia.

Gli eventi culturali organizzati in tutto o in parte dalla Società Messinese di Storia Patria sono
contrassegnati da un asterisco *.
242 CRONACHE ED EVENTI

Febbraio
06.02.2018. Messina. Presso il Gabinetto di Lettura, l’Associazione culturale
‘Antonello da Messina’ ha promosso la conferenza Storia, riti e sapori del
Carnevale a Messina. Antonino Sarica e Nino Principato hanno approfon-
dito gli aspetti ‘tradizionali’ della festa, attingendo dalle cronache ottocen-
tesche. I saluti iniziali sono stati dati da Sergio Di Giacomo, coordinatore,
con Nicolino Passalacqua, presidente del Gabinetto di Lettura. Ha introdotto
l’evento Mario Sarica e moderato gli interventi Milena Romeo.

08.02.2018. Messina. Nella sala Ovale del Palazzo di Città, alla presenza
del vice-presidente nazionale Ottavio Terranova e del presidente provin-
ciale Teodoro La Monica, ha avuto luogo l’inaugurazione della sez. ANPI
di Messina, intitolata al partigiano messinese Aldo Natoli. Il prof. Brunello
Mantelli ha tracciato un profilo biografico del Natoli e la tavola rotonda ha
avuto come argomento il volume Dialogo sull’antifascismo, il PCI e l’Italia
Repubblicana.

*15.02.2018. Messina. Nella Sala Mostre del Dipartimento di Civiltà antiche


e moderne dell’Università degli Studi, nell’ambito delle attività del Dottorato
di Ricerca in Scienze storiche, archeologiche e filologiche, è stato presentato
il volume di Luca Lo Basso Gente di bordo: la vita quotidiana dei marittimi
genovesi nel secolo XVIII (ediz. Carocci, Roma 2016). Sono intervenuti con
l’autore, Salvatore Bottari (Univ. Messina) e Mirella Mafrici (Univ. Saler-
no). Ha introdotto e moderato i lavori Giuseppe Restifo (Univ. Messina).

Marzo
*07.03.2018. Messina. Nella Cappella di S. Maria all’Arcivescovado, si è
svolto un incontro di studi dal titolo La biblioteca dispersa della Cattedrale
di Messina. Sono intervenuti Horst Enzensberger, don Giuseppe Costa, Eli-
sabetta Caldelli e Valeria de Fraja, Giovan Giuseppe Mellusi e Federico
Martino. I lavori sono stati introdotti da Maria Teresa Rodriguez, direttrice
della Biblioteca Regionale Universitaria. L’evento è stato organizzato dalla
Biblioteca Regionale Universitaria ‘G. Longo’, in collaborazione con l’Arci-
diocesi di Messina-Lipari-S. Lucia del Mela, la Società Messinese di Storia
Patria e la Compagnia dei Verdi.

13.03.2018. Messina. A Palazzo dei Leoni si è tenuto un incontro sugli esuli


giuliano-dalmati di Sicilia. Maria Cacciola, direttrice della sez. provinciale
dell’Associazione nazionale tra i congiunti dei deportati italiani uccisi o
scomparsi in Jugoslavia, ha raccolto le testimonianze degli esuli istriani
Cronache ed Eventi 243

giunti nel secondo dopoguerra in Sicilia e nel territorio messinese, pub-


blicate dell’editore Giambra nel volume Sulle ali della memoria. Gli esuli
Giuliano-dalmati di Sicilia ricordano. La conferenza, scandita dalle letture
di Pietro Briguglio, ha visto la presenza, tra gli altri, dell’ex parlamentare
triestino Roberto Menia e gli interventi di Dario Caroniti e Rosalia Simone
D’Aliberti.

20.03.2018. Nell’Aula Magna del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne


si è svolta la presentazione del volume Antonello, i suoi mondi, il suo seguito
di Fiorella Sricchia Santoro. Dopo i saluti del direttore del Dipartimento,
Mario Bolognari, e del presidente del Kiwanis, Pietro Luccisano, sono inter-
venuti Gabriele Fattorini e Vicenzo Fera, nonché Carlos Brandon Streblke,
già curatore del Philadelphia Museum of Arts.

23.03.2018. Messina. Nell’Aula Magna del Liceo ‘F. Maurolico’ si è svolta la


conversazione letteraria dal titolo Dopo la catastrofe. Quasimodo tra letteratura
e giornalismo coordinata dalla Carmelita Paradiso. L’incontro è stato organiz-
zato in occasione del cinquantenario della morte di Salvatore Quasimodo.

Aprile
05.04.2018. Presso L’I.I.S. ‘Verona Trento’ è stato presentato il volume La
primavera dei popoli. La rivoluzione siciliana del 1848 di Roberto Sciarrone.

14.04.2018. Messina. Nel Duomo si è tenuta una conferenza sul tema La


teologia dell’icona nel Pantokrator absidale della Basilica Cattedrale di
Messina. Relatore è stato l’archimandrita Rinaldo Iacopino, docente presso
il Pontificio Istituto Orientale di Roma.

Maggio
06.05.2018. Messina. Nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca ha avuto
inizio la due giorni dedicata al 50° anniversario della scomparsa di Salvatore
Quasimodo. L’iniziativa è stata curata dalla Città metropolitana assieme al
Conservatorio ‘A. Corelli’, all’Ente Teatro ‘Vittorio Emanuele’ ed altri.

26.05.2018. Messina. Presso Villa Cianciafara è stato presentato il volume


Profilo dell’architettura a Messina di Franco Chillemi (ediz. Libreria Cio-
falo). L’incontro fa parte della rassegna culturale ‘All’ombra del Carrubo’
curata da Milena Romeo.
28.05.2018. Messina. Nella ex cappella dell’Istituto ‘Buon Pastore’ si sono
244 CRONACHE ED EVENTI

conclusi i seminari tematici dal titolo Conversazioni d’arte in Sicilia, per-


corsi conoscitivi del patrimonio artistico e architettonico. Gli incontri sono
stati promossi dalla Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina, diretti e coor-
dinati da Mirella Vinci, dirigente dell’U.O. 3 Sez. Beni Architettonici e Sto-
rico-Artistici (progetto scientifico e organizzazione a cura di Maria Katja
Guida e Stefania Lanuzza). Tenuti nelle giornate del 7, 14, 21 e 28 mag-
gio, i seminari sono stati incentrati su vari argomenti di studio, tra XV e
XX secolo, scaturiti dall’attività di tutela svolta dalle Soprintendenze sici-
liane. Sono intervenuti alcuni funzionari storici dell’arte provenienti dalle
Soprintendenze di Palermo, Catania e Agrigento oltre agli architetti e storici
dell’arte in servizio tra la Soprintendenza e il Museo Regionale di Messina.

30.05.2018. Messina. Nella Basilica Cattedrale è stato presentato il mano-


scritto vergato a pennello su tela di lino (restaurato dagli esperti Ernesto e Car-
melo Geraci), contenente il testo in lingua cinese della Lettera inviata secondo
la tradizione dalla Vergine Maria ai messinesi. La traduzione è da attribuirsi
al gesuita messinese p. Metello Saccano (1612-62), missionario in Cocincina
(Vietnam) intorno alla metà del XVII sec. Alla manifestazione sono intervenuti
il vicario generale, mons. Cesare Di Pietro, appena nominato vescovo ausi-
liare, Agostino Giuliano, funzionario esperto catalogatore del Museo Regio-
nale di Messina e Maurizio Scarpari (Univ. Cà Foscari di Venezia).

Giugno
13.06.2018. Messina. Nella Chiesa di S. Francesco all’Immacolata è stata
inaugurata la mostra Il Cristo dei Minori in cui sono stati esposti oltre 30
bozzetti grafici su carta e 10 bozzetti in scala 1:5 eseguiti in occasione del
concorso nazionale del 1991 per la realizzazione del Crocifisso dell’altare
maggiore della chiesa. Il team di MutualPass, nelle persone di Piero Serboli
e di Daniele Di Bartolo, ha ritenuto di promuovere e divulgare l’iniziativa
dei Frati Minori Conventuali di Messina. La pubblicazione della brochure
dedicata alla rassegna è firmata dal critico d’arte Mosè Previti e curata da
Luigi Mondello, direttore di MutualPass.

14.06.2018. Messina. Presso la Galleria di Arte moderna e contemporanea


‘L. Barbera’ è stata allestita una mostra di cartoline storiche di Messina che
illustrano scorci, monumenti, paesaggi della città prima e dopo il terremoto
del 1908, curata dal Circolo Filatelico ‘Peloritano’ in occasione del 50° anni-
versario della morte di S. Quasimodo. Con l’occasione è stata messa in ven-
dita la cartolina illustrata a tiratura limitata con l’annullo filatelico speciale
raffigurante il poeta.
Cronache ed Eventi 245

19.06.2018. Messina. Presso l’Archivio di Stato è stata inaugurata la mostra


documentaria Scritture e Immagini di Messina. Viaggio nella memoria della
città attraverso i documenti (secoli XVI-XIX). Sono intervenuti all’inaugu-
razione Eleonora Della Valle, direttore dell’Archivio di Stato, e Saverio Di
Bella. La mostra è rimasta allestita fino al 30 luglio.

Luglio
14.07.2018. Messina. Presso Villa Cianciafara è stata presentata la ristampa
del volume Lo stokkfisk venuto dal gelo. Della cultura del pescestocco a
Messina (ediz. Edas), la cui prima edizione risale al 2010, autore Antonino
Sarica. Dopo il benvenuto del padrone di casa, Giuseppe Amedeo Mallan-
drino, sono seguiti gli interventi di Franz Riccobono, che ha firmato la pre-
fazione del libro, di Sergio Di Giacomo, che ha portato il saluto dell’as-
sociazione ‘Antonello da Messina’ e di Francesco Trimarchi, già ordinario
di endocrinologia del nostro Ateneo, delegato dell’Accademia della Cucina.
L’incontro si è concluso con le testimonianze di Pina Bonanno, Giovanni
Dugo e della giornalista Italia Cicciò. L’incontro è stato moderato da Milena
Romeo.

30.07.2018. Messina. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’, dedicata


ai musicisti Giuseppe e Rosa Uccello, la cantante classica Daniela Uccello,
docente al conservatorio di Milano, ha inaugurato la rassegna di incontri cul-
turali dedicati a grandi personalità della letteratura, come i Nobel Pirandello
e Quasimodo, ma anche al 1968, al mito-donna. Il primo incontro, curato
dall’Associazione culturale ‘Antonello da Messina’ è stato dedicato a Luigi
Pirandello, con due aspetti poco noti della vita e dell’attività del celebre
drammaturgo. Sergio Di Giacomo e Antonino Sarica hanno analizzato alcuni
aspetti relativi al rapporto tra il Nobel e Messina, con particolare attenzione
alla figura del germanista, scrittore e poeta Eduardo Giacomo Boner, amico
del grande letterato agrigentino.

Agosto
10.08.2018. Messina. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’ si è svolto
il secondo incontro della rassegna, dedicato al musical dimenticato di Piran-
dello, un autentico ‘caso’ analizzato da Lia Fava Guzzetta, Nino Genovese e
Vincenzo Orioles.

17.08.2018. Messina. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’ si è svolto il


terzo incontro a 50 anni della ‘Contestazione’ del 1968, con una conferenza
246 CRONACHE ED EVENTI

sul tema Non consumate Marx. Il’68, fra cultura e società, presenti gli storici
Andrea Ricciardi e Anna di Leo.

22.08.2018. Roccalumera. Nel Salone del Parco letterario ubicato nella vec-
chia stazione ferroviaria, si è svolto un dibattito su Salvatore Quasimodo,
coordinato dallo scrittore Danilo Ruocco

23.08.2018. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’ si è svolto il quarto incon-
tro ‘Festa In Villa’ con Nino e Gina Pracanica ‘mastri d’arte e Kuntastorie’ che
hanno raccontato leggende e miti della vita siciliana dall’antichità ad oggi.

30.08.2018. Messina. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’ si è svolto


il quinto incontro dal titolo Ade e Demetra. Il significato dello Stretto nel
maschile e nel femminile, un convegno su mitomania, in collaborazione
con l’associazione ‘Pergamo’. Sono intervenuti Milena Romeo, Giuseppe
Gembillo, Diletta La Torre e Donatella Lisciotto. A seguire, il concerto del
soprano Barbara Vignudelli.

Settembre
03.09.2018. Messina. Presso la ‘Casa della Musica e delle Arti’ si è svolto il
sesto e ultimo incontro della rassegna, dal titolo Salvatore Quasimodo all’O-
pera. Sono intervenuti Milena Romeo, Sergio Palumbo, Antonino Schilirò,
ed eseguiti brani di Ghedini (Billy Budd) e Britten (mezzosoprano Gabriella
Sborgi, al piano Muriel Grifò).

19.09.2018. Messina. A Palazzo dei Leoni si è svolto un convegno sul tema


Avvio della nazione tra destra e sinistra storica 1861-1887, organizzato in
occasione delle celebrazioni per il bicentenario della nascita di Francesco Cri-
spi. L’evento, promosso dall’Assessorato Regionale BB.CC., dal Consorzio
universitario di Agrigento e dal Comune di Ribera, ha visto impegnati diversi
docenti in due sessioni, presiedute da Antonio Saitta e Daniela Novarese.

25.09.2018. Messina. Presso la Camera di Commercio è stata inaugurata la


mostra Paesaggi Terrazzati. Visioni globali, prospettive locali, curata da Ita-
lia Nostra sez. di Messina. Nel mese di permanenza dell’esposizione sono
stati organizzati diversi eventi collaterali che si sono conclusi il 25 ottobre
(vd. infra, pp. 251-256).

26.09.2018. Messina. Presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea


‘Lucio Barbera’, in occasione del 50° anniversario della morte di Salvatore
Cronache ed Eventi 247

Quasimodo, premio Nobel per la letteratura, è stata inaugurata la mostra Tra-


durre la bellezza. Dopo i saluti del sindaco metropolitano De Luca e della
dirigente Anna Maria Tripodo, ha introdotto i lavori la direttrice della Galle-
ria Angela Pipitò e coordinato l’incontro Fulvia Toscano, direttore artistico
di Naxos Legge e presidente Archeoclub Naxos-Taormina. Sono interve-
nuti l’artista Alessandro la Motta, Giorgio Ieranò (Univ. Trento), Salvatore
Nicosia (Univ. Palermo), Antonella Prenner (Univ. Napoli), Dario Toma-
sello (Univ. Messina), Anita Di Stefano (per conto di Aice ‘Delegazione P.
Isgrò-Morabito’ di Messina,) Mariella Astone (Fidapa Messina-Capo Peloro)
Bernardo Fazio (Archeoclub Messina).

*26.09.2018. Messina. Presso la Sala dell’Accademia Peloritana dei Peri-


colanti si è svolto il Seminario di Studi: Religione e Patria. Filippo Bar-
tolomeo, prete liberale messinese dell’Ottocento, promosso dalla Società
Messinese di Storia Patria. Hanno contribuito alla realizzazione dell’evento
l’Accademia Peloritana dei Pericolanti e la Scuola Diocesana per la Forma-
zione Teologica di Base ‘San Luca Archimandrita’. La Segreteria scientifica
è stata affidata a Vittoria Calabrò e Giovan Giuseppe Mellusi.

Ottobre
04.10.2018. Milazzo. Nave Luigi Rizzo (F 595), nuova fregata multiruolo
della Marina Militare, costruita nello stabilimento di Riva Trigoso (Genova)
e caratterizzata per una elevata flessibilità d’impiego, è stata accolta a
Milazzo, città natale dell’eroe della Grande Guerra che ha offerto all’unità
la ‘Bandiera di combattimento’. La nave ha una lunghezza di 144 m, una
larghezza di 19,7 m, può raggiungere una velocità superiore ai 27 nodi e, con
una capacità massima di personale trasportato pari a 200 persone, rappre-
senta lo stato dell’arte della difesa italiana ed europea.

15.10.2018. Messina. Nel Salone delle Bandiere del Palazzo municipale è


stato presentato il volume L’ultima Pandemia. 1887: acqua igiene colera
a Messina (ediz. Armando Siciliano) di Giusi Arimatea. Insieme all’autrice
sono intervenuti Cateno De Luca, sindaco di Messina, Vincenzo Trimarchi,
assessore alla cultura, Giuseppe Restifo e l’editore.

27.10.2018. Messina. Nell’Aula Magna dell’Ateneo è stato presentato


il volume Il simbolismo nella pittura europea (ediz. Magika) di Teresa
Pugliatti. All’incontro sono intervenuti Giampaolo Chillè, Virginia Buda e
Ludovico Nicotina.
248 CRONACHE ED EVENTI

Novembre
06.11.2018. Messina. Nei locali della Biblioteca comunale ‘T. Cannizzaro’ è
stato presentato il volume L’Ospizio di Beneficienza di Messina 1778-1969
di Enzo Azzolina (ediz. Libreria Ciofalo). Sono intervenuti Michela D’An-
gelo e Giovanni Molonia.

09.11.2018. Messina. Al Circolo del Tennis e della Vela è stato organizzato


un convegno su Messina chi era costei. Mini viaggio tra miti, agiografia e
storia, alla ricerca della memoria smarrita. Ospite della serata, introdotta
dal presidente del club Giuseppe Termini e dal prefetto Fabio Pagano, Roma-
nella Morici.

12.11.2018. Nell’atrio del Liceo classico ‘G. La Farina’ è stata allestita una
mostra di documenti che rievoca e approfondisce la figura e l’opera del ‘Sin-
daco Santo’ uomo politico e giurista Giorgio La Pira, morto in fama di santità.

13.11.2018. Messina. A Forte ‘Cavalli’ è stata illustrata la funzionalità di


puntamento della posizione telemetrica recentemente restaurata e facente
parte di quel Museo storico.

29.11.2018. Messina. Presso la sala dell’Accademia Peloritana dei Perico-


lanti è stata allestita la mostra Tot Homines, tot Siciliae promossa dalla stessa
Accademia e dall’Università di Messina e curata dalla geografa Corradina
Polto. Sono stati esposti diversi reperti di straordinario valore storico prove-
nienti della collezione cartografica dell’Università di Messina e facenti parte
del fondo di Cesare Zippelli, illuminato docente e collezionista.

Dicembre
05.12.2018. Roccalumera. Al Parco Quasimodo è stata inaugurata la
‘Settimana quasimodiana’ a coronamento delle celebrazioni per il 50°
anniversario della morte del Nobel. Durante la cerimonia è stato presen-
tato il volume Salvatore Quasimodo e Roccalumera. Io non che te nel
cuore della mia razza, di Carlo e Federico Mastroeni. Dopo i saluti isti-
tuzionali sono intervenuti Costantino Di Nicolò (editore), Mauro Carlan-
gelo (studioso quasimodiano). Giuseppe Rando (Univ. Messina) e Ales-
sandro Quasimodo (figlio del Nobel), cui è stata conferita la cittadinanza
onoraria.

*07.12.2018. Messina. L’Associazione Nazionale Archivistica Italiana,


sez. Sicilia, la Società Messinese di Storia patria, l’Archivio di Stato di
Cronache ed Eventi 249

Messina e l’Accademia Peloritana dei Pericolanti hanno inteso dedicare,


sotto il titolo di Maria… la ricordiamo così, un incontro di studi in me-
moria di Maria Intersimone Alibrandi, già Presidente della Società Mes-
sinese di Storia Patria, oltreché Direttrice a lungo dell’Archivio di Stato
della nostra città. Ad una commossa e partecipata introduzione di Rina
Stracuzzi, che per il suo apprendistato professionale ha avuto modo di
frequentare assiduamente l’illustre scomparsa, sono seguiti saluti istitu-
zionali del Presidente Rosario Moscheo, della Direttrice dell’Archivio di
Stato di Messina, Eleonora Della Valle, di Santina Sambito, responsabile
della sezione Sicilia dell’ANAI, e – dopo un intervento di ringraziamento
della famiglia dell’illustre Alibrandi – due sessioni di relazioni, rispet-
tivamente presiedute dalla stessa Sambito e da Salvatore Bottari, su Il
ruolo degli archivisti e la fragilità delle fonti digitali (Mariella Guercio),
Messina e il commercio mediterraneo (Bruno Figliuolo), Una biblioteca
“pubblica” per i cittadini di Messina. La biblioteca di Giacomo Lon-
go (Maria Teresa Rodriquez) e ancora Le insidie delle carte d’archivio:
qualche esempio (Gioacchino Barbera), Gli archivi di famiglia nella
storiografia moderna: gli Stagno di Messina (Giuseppe Restifo), “Og-
gettività” del documento e “soggettività” dello storico: suggerimenti ai
frequentatori degli archivi (Federico Martino) (vd. infra, pp. 257-259).

10.12.2018. Messina. Presso l’ex cappella ‘Buon Pastore’ della Soprinten-


denza BB.CC.AA., è stato presentato ad opera dei curatori Maria Katja Guida
e Stefania Lanuzza, il quaderno delle giornate di studio dal titolo Conversa-
zioni d’Arte in Sicilia, tenute nel mese di maggio. Sono intervenuti Orazio
Micali, soprintendente, Teresa Pugliatti e Federico Martino.

11.12.2018. Messina. Presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea


‘Lucio Barbera’, è stata inaugurata la mostra Omaggio a Giulio D’Anna, a
cura di Virginia Buda, promossa dalla Città Metropolitana - Ufficio Beni
Culturali, nell’ambito della VIII Settimana Quasimodiana.

14.12.2018. Messina. Presso il Forte ‘S. Salvatore’, dopo la posa di una


corona d’alloro alla base del monumento in sua memoria, si è svolta una con-
ferenza sull’eroe e MOVM Salvatore Todaro. Sono intervenuti l’amm. div.
Nicola De Felice, comandante di Marisicilia, la figlia dell’eroe, Graziella
Todaro, il comandante di Marisuplog Messina, Santo Giacomo Le Grotta-
glie, e Salvatore Totaro, presidente dell’associazione dedicata al valoroso
ufficiale.
Germana Giallombardo - Annalisa Raffa1

PAESAGGI TERRAZZATI. VISIONI GLOBALI E PROSPETTIVE LOCALI.


Mostra fotografica e iniziative sul territorio curate da Italia Nostra sez. di Messina

La mostra
Paesaggi terrazzati. Visioni globali e prospettive locali è il titolo della mostra
fotografica che si è svolta a Messina dal 25 settembre al 25 ottobre 2018 presso
la Sala Borsa della Camera di Commercio, con il patrocinio dello stesso ente.
Ideata e curata dalla sezione messinese di Italia Nostra, la mostra è stata
allestita dall’associazione culturale Siddharte. Il progetto grafico e la promo-
zione degli eventi sono stati affidati ad Antonella Mangano, mentre ad acco-
gliere e accompagnare i visitatori sono stati gli studenti dell’I.T.E.S. ‘A.M.
Jaci’, coinvolti in un progetto di alternanza scuola-lavoro.
Le fotografie esposte sono state realizzate dall’Associazione nazionale
Italia Nostra – in collaborazione con la Regione Veneto e la Sezione Italiana
dell’Alleanza Mondiale per i Paesaggi Terrazzati – in occasione dell’Incon-
tro Mondiale «Terraced landscapes choosing the future», tenutosi nell’otto-
bre del 2016. Le immagini, che ben documentano la presenza di questa par-
ticolare tipologia di paesaggio rurale in gran parte del Pianeta, costituiscono
da due anni una mostra itinerante; per facilitarne la fruizione e coinvolgere
anche i visitatori più giovani, sono state affiancate da supporti didattici, ide-
ati dalla sezione locale di Italia Nostra.
Italia Nostra Messina, allestendo questa mostra in un territorio unico dove
insistono, diffusissimi, antichi terrazzamenti con muri a secco, purtroppo
spesso in abbandono, ha affidato ai fotografi Antonella Mangano, José Mar-
tino e Sandro Messina il compito di rappresentare le nostre ammacie, che da
sempre caratterizzano il paesaggio collinare di entrambi i versanti peloritani,
ionico e tirrenico. Ai loro scatti il merito di colmare l’assenza del territorio
siciliano registrata nella mostra nazionale. La ‘mostra nella mostra’, quindi,
ha raccontato ai visitatori la bellezza del paesaggio terrazzato messinese, tra i
più interessanti d’Italia, invitando a riflettere sul titanico lavoro comunitario,
capace di modellare il territorio e sulle conseguenze dell’abbandono.

1
Componenti del Consiglio direttivo di Italia Nostra sez. di Messina.
252 GERMANA GIALLOMBARDO - ANNALISA RAFFA

Fig. 1 - Un momento della serata di inaugurazione della mostra. Messina, Sala Borsa della
Camera di Commercio, 25 settembre 2018

I paesaggi terrazzati caratterizzano tutti quei territori non pianeggianti,


montagne o colline in cui c’è stata la presenza stanziale dell’uomo, e rappre-
sentano, quindi, una cultura e una storia plurimillenaria. Si tratta di paesaggi
molto rappresentativi dell’Area Mediterranea, del Medio Oriente, dell’Asia,
del Sud America e anche di alcune parti meno note dell’Africa. Tuttavia, per
la natura povera di questi particolari manufatti e perché i muri a secco neces-
sitano di una costante manutenzione, è difficile ricostruire una vera e propria
storia dei terrazzamenti. Si può, però, affermare che in Italia i terrazzamenti
fanno parte della nostra cultura più profonda e costituiscono un elemento
caratteristico del paesaggio da Nord a Sud.
Una conferma dell’importanza che questa particolare tipologia di pae-
saggio agrario riveste è data dall’inserimento nel 2018 de ‘l’Arte dei muretti
a secco’ nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, così
motivata dall’UNESCO: nei millenni «hanno creato numerosi e vari pae-
saggi fornendo differenti modalità di costruire case e di organizzare coltivi e
allevamenti», inoltre «hanno un ruolo vitale nel prevenire frane, inondazioni
e valanghe e nel combattere l’erosione e la desertificazione del suolo, incre-
mentando la biodiversità e creando le giuste condizioni microclimatiche per
l’agricoltura».
La finalità della mostra è stata senz’altro quella di promuovere la cultura
Paesaggi terrazzati. Visioni globali e prospettive locali 253

Fig. 2 - Particolare del percorso espositivo con i pannelli fotografici affiancati dai supporti
didattici

della conoscenza, della tutela e del recupero del paesaggio terrazzato per
salvare dall’incuria e dall’oblio il suo valore storico, paesaggistico e umano,
altrimenti inevitabilmente destinato a scomparire per sempre.

Le iniziative
Una conversazione con il poeta e paesologo Franco Arminio sul tema
Ri-guardare la Bellezza. Etica ed estetica del paesaggio, condotta da Ful-
via Toscano e Mauro Curcuruto (in collaborazione con Naxoslegge), ha
dato l’avvio ad un mese di iniziative. Ad introdurre la mostra sono inter-
venute Liliana Gissara, consigliere nazionale di Italia Nostra, e Antonietta
Mondello Signorino, presidente di IN Messina. Nel corso del dialogo con il
poeta sono emerse insolite corrispondenze fra la poesia e il paesaggio ter-
razzato, entrambi risultato di fatica, rispetto, costruzione per raggiungere la
bellezza. Un paesaggio addomesticato pietra su pietra, filare su filare, in un
rispetto reciproco fra l’uomo e la montagna è una delle immagini evocate dal
poeta Franco Arminio che, intrattenendo uno stimolante dialogo con Fulvia
Toscano, ha tracciato la strada per uscire dalla crisi del nostro tempo, una
strada che parte dal sud dell’Italia, dall’arcaico dei paesi, dai luoghi appar-
tati, schivi e invisibili, dove il vuoto prevale sul pieno e accoglie il sacro.
Fra le numerose iniziative in calendario: l’escursione Un percorso sulle
254 GERMANA GIALLOMBARDO - ANNALISA RAFFA

Fig. 3 - Gli alunni dell’I.T.E.S. ‘A.M. Jaci’ illustrano la mostra alla classe II F dell’I.C. ‘Boer-
Verona Trento’

tracce di antichi terrazzamenti in San Placido Calonerò, coordinata dall’as-


sociazione escursionistica peloritana The Greenstone e guidata dalla prof.ssa
Anna Maria Prestianni, dal geologo Antonio Gambino e dal botanico Fabio
Mondello; la presentazione del volume Il vulcano che pensa con una coin-
volgente chiacchierata fra la curatrice, Fulvia Toscano, e l’autrice, Marinella
Fiume (evento in collaborazione con il Sabirfest); un corso teorico-pratico
sulla costruzione del muretto a secco a cura dell’I.I.S. ‘G. Minutoli’, sez.
Agraria ‘P. Cuppari’, tenuto dal prof. Leo Moleti.
Ha riscosso un positivo riscontro da parte del pubblico l’incontro Il pae-
saggio terrazzato nel messinese. Conversazione con un’antichista, un’archi-
vista e un geografo. Sono intervenuti Anna Maria Prestianni, docente di Sto-
ria Antica, Rina Stracuzzi, archivista presso il Museo Regionale Interdisci-
plinare di Messina e Paolo Mazzeo, geografo presso l’Università degli Studi
di Messina che, con l’ausilio di documenti epigrafici, d’archivio, fotografici
e cartografici, hanno condotto una riflessione interdisciplinare sull’origine e
sulle trasformazioni del paesaggio terrazzato.
I più giovani sono stati protagonisti delle ultime due iniziative, progettate
con la finalità di avvicinare i ragazzi alla conoscenza di uno specifico aspetto
del nostro paesaggio rurale affinché possano diventare custodi e promotori
Paesaggi terrazzati. Visioni globali e prospettive locali 255

Fig. 4 - La fotografa Antonella Mangano durante l’incontro-intervista con gli alunni della II F
dell’I.C. ‘Boer-Verona Trento’

della sua bellezza. La prima è stata una Conversazione a cura di Legam-


biente Messina sul tema L’acqua e il paesaggio agricolo peloritano. Hanno
animato l’incontro, partendo dal paesaggio terrazzato dei Peloritani, il dott.
Giuseppe Giami, già dirigente dell’Ispettorato Dipartimentale delle Foreste
di Messina, la prof.ssa Giovanna Allone, esponente della rete degli agricol-
tori della vallata di Larderia, e il sig. Ferrara, responsabile della biblioteca di
studi sociali ‘Pietro Gori’ di Tipoldo. La riflessione su azioni e interazioni tra
l’uomo e l’acqua nell’ambito del paesaggio ha condotto la conversazione sul
tema delle sorgenti peloritane, sui consorzi acqua delle vallate messinesi, sul
variare delle coltivazioni alle diverse quote terrazzate e i relativi sistemi di
irrigazione e sulle antiche cultivar resistenti alla siccità. All’incontro hanno
partecipato con interesse gli alunni delle classi IIIA e IIIC della scuola secon-
daria dell’I.C. ‘Santa Margherita’ di Giampilieri.
La seconda iniziativa ha coinvolto Antonella Mangano in un incon-
tro-intervista con gli alunni della classe IIF della scuola secondaria dell’I.C.
‘Boer-Verona Trento’. La fotografa, rispondendo alle domande dei ragazzi,
ha dato l’avvio ad un’attività didattica di osservazione del paesaggio attra-
verso l’uso della fotografia.
La collaborazione della sezione di Italia Nostra con varie associazioni
256 GERMANA GIALLOMBARDO - ANNALISA RAFFA

attive sul territorio ha favorito il coinvolgimento di un pubblico ampio ed


eterogeneo, sollecitato da proposte variegate e inusuali condotte con un
approccio informale e pragmatico. La mostra e le iniziative correlate hanno
suggerito una traccia da seguire che è efficacemente sintetizzata dalle parole
di Franco Arminio: «se la bellezza dà forma all’ambiente e a tutta l’esi-
stenza dell’uomo che vi abita, la felicità è mantenere l’armonia delle nostre
terre».
Rosario Moscheo

MARIA... LA RICORDIAMO COSÌ


Giornata in onore di Maria Intersimone Alibrandi

Ridentes super areolas dant


marmora luctus…

Non so chi abbia scritto il verso


su riportato e, in verità, non importa
molto saperlo. So per certo che la
Società Messinese di Storia Patria,
che tuttora ho l’onore di presiedere,
ha raccolto nel suo seno molti dei
‘marmora’ di cui in epigrafe – uno
fra i tanti, quello (invero cartaceo)
che si è riusciti da poco ad erigere
ricordando in un corposo volume
la figura di Giacomo Scibona no-
stro archeologo tuttofare – anche se
(ahinoi) non paiono esistere (o non
si scorgono affatto) le ‘aiuole fiori-
te’ che ospitano dette strutture.
È forse un azzardo dire che ‘collezioniamo’ tali ‘marmi’ così come capita-
no, senza accorgerci che, nel frattempo, la temperie culturale e politica nella
nostra città è profondamente mutata e, di sicuro, non in meglio.
Non è certo una esagerazione di troppo dire che quanto oggi proviamo
denota una situazione divenuta ormai insopportabile che colpisce duramente
tutti noi singolarmente e, insieme, un sodalizio quale il nostro che, con tanta
storia alle spalle, meriterebbe di sicuro maggiore tutela. Lamentiamo anco-
ra, infatti, il danno che ce ne è venuto, soprattutto con la perdita di figure
di grande equilibrio in seno alla Società e ispiratrici (determinate e solerti
a un tempo) di molte delle iniziative culturali da essa prese in tutti questi
anni. Maria Intersimone Alibrandi, archivista di ‘lungo corso’, è stata senza
alcun dubbio una di tali figure: cultura notevole, grande tatto, professionalità
spiccata… e, soprattutto, capacità indubbie di mediazione; qualità, queste
ultime, che nonostante i gravi problemi fisici da lei eroicamente sopportati
258 ROSARIO MOSCHEO

nei suoi ultimi anni, molto hanno giovato alla Società nel suo insieme oltre
che a molti di noi individualmente.
Sapevo già, ma mi ha comunque fatto un grande piacere riscoprire che
il suo apprendistato di archivista è iniziato quando, a dirigere l’Archivio di
Stato di Messina era il dr. Gino Nigro, indimenticabile figura di educatore
da me conosciuto e a lungo frequentato negli ambienti parrocchiali di Santa
Caterina Valverde dove, intorno alla metà degli anni ’50, giovincello alle
prime armi con il latino, ero con altri miei coetanei tempestato dal dr. Nigro,
con domande continue sulle declinazioni latine.
Del duo Nigro e Intersimone Alibrandi mi piace ricordare un episodio
triste dell’archivistica locale, ovvero l’ispezione accurata da essi esercitata
nei confronti di un archivista precedente, volta a recuperare tutta una serie
di carte già del nostro Archivio di Stato e destinate, altrimenti, a perdersi nei
meandri del collezionismo becero se non alla pura e semplice distruzione.
Non voglio insistere su cose già saldamente impresse nella nostra memoria,
preferisco piuttosto, senza estendermi troppo, esprimere almeno un ricordo
personale. Che io mi occupi da tempo della figura e dell’opera del Maurolico
è cosa arcinota, ma che abbia pure tentato di comprendere qualcosa della sua
prima formazione, guardando in particolare all’ambiente culturale nel quale
questa è avvenuta è cosa poco conosciuta. Me ne ha dato occasione una per-
gamena, già conservata nel nostro Museo, che fa parte di un corpus di docu-
menti provenienti da Corporazioni religiose soppresse, versato all’Archivio
di Stato di Messina, il cui inventario-regesto è stato redatto dall’Intersimo-
ne Alibrandi [pubblicato in Rassegna degli Archivi di Stato, 32 (1972), pp.
477-507], la quale, successivamente, mi ha dato il permesso di pubblicare
per esteso, a mia volta, il documento in questione, cosa che, grazie anche ad
Elina Rugolo, mia collega del Magistero e nostra socia (oltre che un altro dei
‘marmora’ su ricordati), mi è stato possibile fare.
Non mi dilungo oltre nel ricordo di Maria, confidando di riprendere, nel
sodalizio, l’impegno a pubblicare un ricordo più tangibile ed esteso della no-
stra Presidente, quale quello che i saluti e le relazioni susseguitesi nelle due
sessioni della mattinata del 7 dicembre 2018, hanno lasciato intravvedere, e
di cui accludo di seguito l’ordine dei lavori.
Maria... la ricordiamo così 259

PROGRAMMA

Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti


Piazza Pugliatti, 1

Messina, 7 dicembre 2018

Ore 9.00 - Introduce Rina Stracuzzi


Saluti istituzionali:
- Eleonora Della Valle, Direttrice dell’Archivio di Stato di Messina
- Rosario Moscheo, Presidente della Società Messinese di Storia Patria
- Rosalia Vinci, Presidente ANAI - Sezione Sicilia
- Cinzia Alibrandi, La famiglia ringrazia

Ore 10.00 - I sessione – Presiede Santina Sambito


- Mariella Guercio, Il ruolo degli archivisti e la fragilità delle fonti digitali
- Bruno Figliuolo, Messina ed il commercio mediterraneo
- Maria Teresa Rodriquez, I libri di Giacomo Longo e la Biblioteca di Messina

Ore 11.45 - II sessione – Presiede Salvatore Bottari


- Gioacchino Barbera, Le insidie delle ‘carte d’archivio’: qualche esempio
- Giuseppe Restifo, Gli archivi di famiglia nella storiografia moderna: gli
Stagno di Messina
- Federico Martino, “Oggettività” del documento e “soggettività” dello stori-
co: suggerimenti ai frequentatori degli archivi
VITA DELLA SOCIETÀ
Concetta Giuffrè Scibona

RICORDANDO CARMELO PUGLISI

Il 29 gennaio 2017 è scomparsa una figura veramente straordinaria, tra


quelle che la Società Messinese di Storia Patria ha annoverato tra i suoi
sodali. Si tratta dell’avv. Carmelo Puglisi, socio dal 28 novembre 1983.
Carmelo Puglisi nasce a Sant’Alessio Siculo (ME) il 2 maggio 1928 da
nobile famiglia (la madre, Rosaria De Luca Mauro, era figlia della marchesa
Anna Mauro, sorella del marchese Pietro, figura singolare e prestigiosa della
lotta antiborbonica e proprietario del castello di Sant’Alessio).
Conseguita la licenza elementare, sostiene nel 1940 gli esami di ammis-
sione (allora obbligatori) per iscriversi alle classi ginnasiali. La frequenta-
zione del Ginnasio dell’Istituto Salesiano ‘Domenico Savio’ di Messina e
del Liceo Classico ‘G. La Farina’, richiede da parte del giovane Carmelo, in
quegli anni di guerra, enormi sacrifici, affrontati con entusiasmo ed abnega-
zione. Mancavano spesso i collegamenti ferroviari ed egli per raggiungere il
capoluogo era costretto a percorrere a piedi 16 km al giorno e spesso, nella
stagione invernale, a guadare torrenti in piena.
264 CONCETTA GIUFFRÈ SCIBONA

Completati gli studi scolastici, nell’Anno Accademico 1946/47 Carmelo


Puglisi si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina,
che raggiunge come tanti altri, appendendosi all’esterno dei carri merci fer-
roviari. Purtroppo le condizioni economiche familiari, aggravatesi con la
guerra, lo costringono nel 1952 prima di laurearsi, a sostenere un pubblico
concorso statale nel Ministero di Grazia e Giustizia, alle dipendenze del
quale svolge a Nicosia ed ad Enna le funzioni di Cancelliere.
La laurea in Giurisprudenza arriverà nel 1955, mentre già lavora come
Cancelliere capo, attività dignitosissima ma riduttiva per chi avrebbe voluto
legittimamente raccogliere i frutti migliori dei suoi studi.
Nel 1973, infatti, egli si licenzia col grado di Cancelliere Capo di Tribu-
nale e si iscrive subito all’Albo degli Avvocati. Da allora, per 40 anni, eserci-
terà brillantemente la professione legale, sia privatamente che per conto del
Patronato Acli e dell’Istituto Bancario ‘San Paolo’ di Torino.
Nulla tuttavia lo distoglie dal suo amore per gli studi storici: né le sue
personali vicende di salute che lo avevano reso monorene, né le molte vicis-
situdini familiari, né certamente l’età!
Nel 1978 pubblica una monografia sulla storia di Sant’Alessio Siculo,
sotto l’egida dell’Istituto Siciliano di Cultura Regionale e con la prefazione
del prof. Santi Correnti, docente di Storia della Sicilia nell’Università di
Catania. Nel 2014 pubblica un’altra preziosa monografia sul monastero ‘basi-
liano’ dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, frutto di una lunga e laboriosa ricerca
incoraggiata dall’amico Giacomo Scibona, archeologo, docente nell’Univer-
sità di Messina e segretario della Società Messinese di Storia Patria. Membro
pluriennale del nostro Sodalizio, Carmelo Puglisi è stato anche autore di vari
articoli pubblicati su Archivio Storico Messinese.
Benché giunto tardi alla pensione, Carmelo Puglisi decide, dopo la con-
clusione del suo lavoro di avvocato, di mettere in pratica la lezione romana
dell’otium come dedizione allo studio e alla riflessione letteraria. Così, senza
farsi sconti o concedersi scorciatoie, nell’A.A 2009/10 si iscrive nuovamente
all’Università per coltivare la sua passione per gli studi storici.
Il 16 Luglio 2013, come riportano molte testate giornalistiche di set-
tore, «l’Università di Messina festeggia il suo laureato: l’avvocato Carmelo
Puglisi, che ad 85 anni, oggi è entrato nel primato di laureato più anziano
d’Italia, discutendo presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne,
ex Facoltà di Lettere, una Tesi intitolata: Agli albori dell’identità europea:
Romani e Barbari nella Germania di Tacito (avendo come relatrice la prof.
ssa Rosa Santoro)… Un momento di festa, come ha sottolineato il coordina-
tore del collegio dei pro-rettori, prof. Giovanni Cupaiuolo, il quale alla fine
della seduta ha portato all’avvocato Puglisi gli auguri a nome del rettore più
giovane d’Italia, prof. Pietro Navarra» (da ‘Costume e Società’ - Rai 2).
Ricordando Carmelo Puglisi 265

Ma Carmelo Puglisi non si ferma. Nell’A.A. 2013/14 si iscrive nuova-


mente all’Università di Messina, nel corso di Laurea in Scienze Storiche,
Cultura e Istituzioni d’Europa del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne
per mantenere fede al suo proposito di conseguire la Laurea Specialistica.
Aveva già cominciato a preparare la seconda sua tesi di laurea sotto la guida
del prof. Cesare Magazzù. Purtroppo però quest’uomo illuminato e infati-
cabile, mancherà per un soffio la meta perché scomparirà improvvisamente
qualche mese prima di discutere la tesi. Ed è così che diventerà per i più e
senza volerlo, lui uomo modesto, riservato e schivo, riluttante a qualunque
forma di autocelebrazione, un vero esempio di tenacia e di amore per lo
studio, un uomo che sfida e vince le avversità della vita, la malattia e la vec-
chiaia con l’entusiasmo e la gioia del sapere.
Un entusiasmo e una adesione alla vita che si rifletteva anche in certe sue
pratiche fisiche straordinarie. Egli infatti, nonostante la sua riservatezza e la
sua modestia, viene ricordato da molti che lo hanno conosciuto, come l’Av-
vocato che andava per mare e faceva i bagni anche in pieno inverno, l’ultimo
il 3 dicembre 2016. Va ricordato, infatti, che, adeguandosi alla regola clas-
sica della Mens sana in corpore sano, oltre allo studio della Giurisprudenza
e della Storia, oltre al ripasso giornaliero delle tre lingue europee che parlava
correttamente, Carmelo Puglisi coltivò sempre un altro grande amore: quello
per il mare e per la vela d’altura. Con la sua barca, dal nome emblematico
Turbine, in vetta alla quale sventola ancora una bandiera recante le seguenti
parole «Per neptunia, orando et canendo» (motto latino che fa eco a glorie
passate della marina italiana e la dice lunga sulla sua filosofia di vita), egli
navigò per tutto il Mediterraneo toccandone i porti più importanti e questo
fino a sei mesi prima della sua dipartita.
I funerali, celebrati nella sua Sant’Alessio, hanno visto la commossa par-
tecipazione di tanti amici ed estimatori che si sono uniti al dolore della moglie
Sara e degli amatissimi figli Salvatore, Valeria e Rossana. I figli, in occasione
dell’ultimo saluto e con la stessa paterna umiltà, lo hanno ricordano anzi-
tutto come padre amorevole ed esemplare, descrivendolo come generoso e
ironico, uomo di fede prima che di cultura, dedito alla famiglia, al lavoro ed
allo studio, dicendosi inconsolabili per la gravissima perdita, ma privilegiati
e grati per la lunga vita che Dio ha voluto concedergli insieme a loro. Anche
la nostra Società saluta ammirata e commossa questo socio straordinario.
Giampaolo Chillè

RICORDO DI ELVIRA NATOLI

Il 10 agosto 2017 è venuta a


mancare la professoressa Elvi-
ra Natoli, già docente di Storia
dell’Arte Medievale e Moderna
alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Messina, so-
cio ordinario della Società Mes-
sinese di Storia Patria dal 1969.
Nata a Palermo il 13 aprile
1935 si era formata all’Univer-
sità di Messina sotto la guida
di Valentino Martinelli, con il
quale si era laureata in Lettere,
con lode, nell’anno accademico
1957-58 discutendo una tesi dal
titolo Renato Guttuso e la poeti-
ca del neo-realismo.
Borsista della Fondazione
Giorgio Cini di Venezia e della
Fondazione Andrea Palladio di
Vicenza, si era perfezionata in Storia dell’Arte all’Università degli Studi di
Bologna. Già assistente ordinario del professore Martinelli – con il quale
ha collaborato alla pubblicazione, nel 1960, del manoscritto de Le vite de’
pittori messinesi di Francesco Susinno, in seguito al suo rinvenimento al
Kunstmuseum di Basilea – nel 1982 era stata designata direttore dell’Istituto
di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere e Filosofia di Messina, incarico as-
sunto ininterrottamente sino al 1989, subentrando ad Alessandro Marabottini
in seguito al trasferimento di questi all’Università di Perugia.
Divenuta professore associato di Storia dell’Arte Medievale e Moderna
nel 1983, ha ricoperto tale ruolo sino al collocamento a riposo, nel novembre
2005, formando diverse generazioni di studenti, molti dei quali oggi apprez-
zati studiosi. Da sempre particolarmente interessata alla letteratura artistica,
268 GIAMPAOLO CHILLÈ

dall’anno accademico 1988-89 ha accompagnato, con occasionali interru-


zioni, all’insegnamento di Storia dell’Arte Medievale e Moderna quello di
Storia della Critica d’Arte, conferitole per supplenza.
Diversi sono stati i suoi ambiti di ricerca scientifica: dalla pittura alla
scultura, dalle arti decorative alla critica d’arte, con una preminente atten-
zione alle realtà storico-artistiche messinesi e più ampiamente siciliane dei
secoli XVI-XVIII. Non sono mancate, tuttavia, anche occasionali digressioni
nel campo del contemporaneo, compiute, talora, in veste di critico militante.
Tra i suoi studi più noti e in qualche caso pionieristici – oltre a quelli sulla
scultura dei secoli XVI e XVII a Messina, editi sui Quaderni dell’Istituto
di Storia dell’Arte Medievale e Moderna della Facoltà di Lettere e Filoso-
fia dell’Università di Messina – sono certamente quelli sui pittori Agostino
Scilla e Letterio Paladino e quello intitolato Le corone delle dame siciliane
attraverso i documenti e le immagini di Antonello, pubblicato nel catalogo
della bella mostra su Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, allestita
a Messina nell’ambito delle manifestazioni antonelliane tenutesi tra la fine
del 1981 e gli inizi dell’anno successivo. Testimonianza della sua attenzione
verso il patrimonio artistico peloritano non più esistente è il saggio La forma
“assente”: decorazione messinese del primo Settecento, lavoro di indubbio
pregio e dal titolo assai suggestivo ed evocativo, pubblicato nel 1986 negli
atti del convegno La Sicilia del Settecento. Risultato di anni di appassionata
ricerca è l’edizione critica del manoscritto di Antonino Mongitore Memorie
dei pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani, data alle stampe nel
1977, con prefazione di Alessandro Marabottini, da Flaccovio Editore, opera
di particolare impegno, tutt’oggi imprescindibile punto di riferimento per
quanti si accostano allo studio dell’arte meridionale.
ATTI DELLA SOCIETÀ

Verbale dell’Assemblea Ordinaria dei Soci


4 luglio 2018

Il giorno 4 del mese di luglio dell’anno 2018, alle ore 16.30, in Messina,
nei locali dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘S. Maria della Lettera’
(via Ignatianum, 23 - 3° piano), si è riunita in seconda convocazione l’As-
semblea Ordinaria dei Soci per discutere e deliberare sul seguente o.d.g.: 1)
Relazione sulle attività svolte nel 2017; 2) approvazione del Bilancio Con-
suntivo 2017; 3) Relazione sulle attività programmate per il corrente 2018 e
approvazione del relativo Bilancio Preventivo. Varie ed eventuali.
Sono presenti i soci: Abbate, Archivio di Stato, Bottari, Buda, Calabrò,
Caratozzolo, Cesareo, Chillè, Della Valle, Giuliano, Mellusi, Moscheo,
Quartarone, Smedile, Sorrenti G., Staiti, Tigani, Tigano e Tomasello; e per
delega, Giuffrè Scibona, Magazzù, Militi, Russo, Sciarrone, Trimarchi.
Presiede il Presidente, prof. Moscheo, il quale prende la parola e, dopo
aver ricordato i soci scomparsi nell’ultimo anno (prof.ssa Elvira Natoli e dott.
Francesco Cuzari), introduce il 1° punto all’o.d.g. (attività svolte nel 2017).
Esaurita la relazione sullo stato della Società e le attività svolte, il Pre-
sidente chiede al Tesoriere di illustrare partitamente il bilancio consuntivo
2017, approvato dal Consiglio Direttivo in data 4.6.2018. Lo stesso si com-
pendia nelle cifre appresso indicate: a) Situazione patrimoniale [totale Atti-
vità € 335.569,71 (di cui liquidità € 3.917,23); totale Passività € 335.267,66];
b) Movimento finanziario 2017 [entrate (attività istituzionale + attività com-
merciale) € 4.282,81; uscite (attività istituzionale) € 6.980,76].
Al termine di questa esposizione il Presidente dà lettura del verbale n. 45
del Collegio dei Revisori dei conti, redatto in data 2 luglio c.m., e trascritto
alla p. 41 dell’apposito Registro: «Il Collegio dei Revisori dei conti della So-
cietà Messinese di Storia Patria, riunitosi il giorno 2 luglio 2018 in Messina,
presso lo Studio dell’Avv. Carmelo Briguglio, presente il Tesoriere dott. G.
Mellusi, prende in esame il rendiconto relativo all’anno 2017 predisposto dal
Consiglio di Amministrazione della predetta Società in data 4 giugno 2018,
e sottoposto all’esame di questo Collegio. Il Collegio dei Revisori dei Conti,
dopo aver esaminato il rendiconto, unanime nel voto, delibera di approvarlo.
270 VITA DELLA SOCIETÀ

Letto, confermato e sottoscritto. Carmelo Briguglio, Cesare Magazzù».


Il Presidente dell’Assemblea a questo punto invita i Soci ad approvare il
consuntivo 2017. L’Assemblea approva unanime.
Si passa alla trattazione del 3° punto all’o.d.g.: Attività previste per il
corrente anno 2018:
- Seminario di Studi “Religione e patria Filippo Bartolomeo prete
liberale dell’Ottocento”, 26 settembre 2018, Aula dell’Accademia
Peloritana dei Pericolanti;
- patrocinio alla presentazione del libro di Luca Lo Basso, Gente di
bordo: la vita quotidiana dei marittimi genovesi nel secolo XVIII,
Carocci, Roma 2016, con la partecipazione dell’autore e dei proff.
Salvatore Bottari e Mirella Mafrici.
A questo punto, il Presidente chiede al Tesoriere di illustrare il bilancio
preventivo per il corrente anno 2018. Alle spese ordinarie previste per il ca-
none di locazione (€. 2.400,00), acquisto pubblicazioni (€. 480,00), spese
tipografiche (€. 550,00), prestazioni professionali (€. 500,00), contributo per
l’organizzazione del Convegno su F. Bartolomeo (€. 500,00), impaginazione
n. 98-99/2017-18 dell’Archivio Storico Messinese (€. 2.000,00), contributo
stampa del volume in memoria di C.M. Rugolo (€. 800,00) e del volume
di Scritti in onore di G. Scibona (€. 800,00), nonché di tre altri fascicoli
arretrati (ni 91/92, 93, 94/95) dell’Archivio Storico Messinese (€. 3.000,00),
organizzazioni di eventi (€. 1.000,00), nonché altre voci meno rilevanti che
si leggono nel documento relativo, per un totale complessivo di €. 16.000,00,
fa fronte una previsione di entrate di pari entità in termini di quote sociali,
contributo regionale (€. 10.000,00) e vendita pubblicazioni.
Esaurita la discussione sui punti dell’o.d.g. e in assenza di ulteriori argo-
menti, il Presidente dell’Assemblea dichiara sciolta la seduta alle ore 18:15.

Il Presidente dell’Assemblea Il Segretario verbalizzante


prof. Rosario Mascheo prof. Salvatore Bottari
SOCI EFFETTIVI

Abbate dr. Alessandro - Messina


Alibrandi dr. Rosamaria - Messina
Anselmo dr. Nuccio - Messina
Archivio di Stato - Messina
Ardizzone rag. Giuseppe - Messina
Arena prof. Giuseppe A.M. - Messina
Ascenti dr. Elena - Messina
Azzolina dr. Pippo - Messina
Baglio prof. Antonino - Rometta (ME)
Ballo Alagna prof. Simonetta - Messina
Bianco dr. Fausto - S. Agata Militello (ME)
Bilardo prof. Antonino - Castroreale (ME)
Bottari prof. Salvatore - Messina
Briguglio avv. Carmelo - Messina
Buda dr. Virginia - Messina
Calabrò prof. Vittoria - Messina
Campagna dr. Giuseppe - Roccalumera (ME)
Caratozzolo dr. Eugenio - Messina
Cesareo dr. Marco - Messina
Chiara prof. Luigi - Messina
Chillé prof. Giampaolo - Messina
Cuzari dr. Francesco - Messina
D’Amico dr. Elvira - Messina
D’Angelo prof. Michela - Messina
Della Valle dr. Eleonora - Messina
Deputazione di Storia Patria per la Calabria - Reggio C.
Di Bella dr. Sebastiano - Messina
Di Blasi dr. Aldo - Messina
Di Pietro S.E.R. mons. Cesare - Messina
Famà dr. Giovanna - Messina
Ferlazzo dr. Giuseppe - Capo d’Orlando (ME)
Giacobbe dr. Luigi - Messina
Giuffré Scibona prof. Concetta - Messina
Giuliano dr. Agostino - Roccavaldina (ME)
Gulletta mons. Letterio - Messina
Gullo ing. Filippo - Messina
Lanuzza dr. Stefania - Messina
Magazzù prof. Cesare - Messina
Mancuso dr. Vincenzo - Messina
Mellusi prof. Giovan Giuseppe - Messina
Migliorato arch. Alessandra - Messina
Militi prof. Maria Grazia - Messina
272 VITA DELLA SOCIETÀ

Minissale dr. Francesca - Messina


Moscheo prof. Rosario - Messina
Nicastro dr. Gaetano - Roma
Novarese prof. Daniela - Messina
Pelleriti prof. Enza - Messina
Pisciotta mons. Francesco - Patti (ME)
Quartarone prof. Mario - Messina
Raffa prof. Annalisa - Messina
Rinaudo sac. Basilio - Patti (ME)
Rodriquez dr. Maria Teresa - Messina
Russo dr. Attilio - Messina
Sarica prof. Antonino - Messina
Serraino ing. Giorgio - Messina
Sindoni prof. Caterina - Messina
Smedile dr. Valeria - Messina
Sorrenti prof. Lucia - Messina
Sorrenti dr. Giacomo - Messina
Spagnolo dr. Donatella - Messina
Staiti prof. Loredana - Messina
Tavilla dr. Antonio - Messina
Teramo dr. Antonino - Messina
Tigani dr. Francesco - Messina
Tigano dr. Gabriella - Messina
Tomasello dr. Giuseppe - Messina
Trimarchi prof. Carmen - Messina
Vermiglio prof. Elisa - Messina

SOCI BENEMERITI

Biblioteca Provinciale dei PP. Cappuccini ‘Madonna di Pompei’ - Messina


Ordile on. Luciano - Messina
INDICE

SAGGI

Vera von Falkenhausen


Onofrio, archimandrita del S. Salvatore de Lingua Phari,
e gli arcivescovi di Messina  7

Attilio Russo
Una nuova ipotesi sul nome ‘Maurolico’  37

Alessandro Abbate
«Eretici» nella Sicilia del Cinquecento  73

Giuseppe Campagna
Un’abbazia nei Nebrodi: le benedettine di San Marco nel Seicento.
Primi risultati di ricerca  99

Guido De Blasi
Scipione Ardoino, teatino, arcivescovo di Messina (1715-78).
Cenni biografici  107

Maria Teresa Di Paola


La filanda Barbera all’Annunziata  119

Valerio Ciarocchi
«Mi giunge il suono della tua cetra bella». Il profilo artistico-musicale
di Annibale M. Di Francia nella sua azione educativa e pastorale 127

DOCUMENTI E REPERTI

Arte e conservazione a cura di Virginia Buda

Alessandra Migliorato
Sant’Alberto adorante il Crocifisso: un dipinto del Cinquecento fiorentino
nelle collezioni dell’Università di Messina  145

Gaetano Bongiovanni
Girolamo Rizzardo a Taormina  163
Virginia Buda
Restauri di beni artistici effettuati nel 2018
sotto la sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Culturali di Messina 169

Notizie dagli scavi a cura di Gabriella Tigano

Gabriella Tigano
La ricerca archeologica a Messina e Provincia tra il 2013 e il 2018 177

BIBLIOGRAFIA

Rassegna a cura di Mariangela Orlando 215

Schede e recensioni a cura di Salvatore Bottari

Francesco Benigno. Terrore e terrorismo.


Saggio storico sulla violenza politica. Recensione di Alessandro Abbate 233

CRONACHE E NOTIZIE

Convegni ed eventi a Messina e Provincia

Cronache ed Eventi 2018  241

Germana Giallombardo - Annalisa Raffa


Paesaggi terrazzati. Visioni globali e prospettive locali.
Mostra fotografica e iniziative sul territorio
curate da Italia Nostra sez. di Messina  249

Rosario Moscheo
Maria... la ricordiamo così  257

VITA DELLA SOCIETÀ

Concetta Giuffrè Scibona


Ricordando Carmelo Puglisi  263
Giampaolo Chillè
Ricordo di Elvira Natoli  267

Atti della Società  269

Elenco dei Soci  271

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