Lezioni Dinamiche Geopolitiche Nello Spazio Post-Sovietico 2023 PDF
Lezioni Dinamiche Geopolitiche Nello Spazio Post-Sovietico 2023 PDF
Come nasce la Russia? L’Antica Rus’ di Kiev è uno spicchio di territorio che corrisponde all’Ucraina e
alla Russia moderne. Quindi, Ucraina e Russia nascono insieme come un’unica entità che per lungo
tempo si chiamava il nome di Antica Rus’. Sorte nel IX secolo d.C. vicino Kiev, lungo il fiume Dnepr.
Tuttavia, non si conoscono bene le sue origini. Si sa che la popolazione, di origine forse scandinava,
i Rus, arrivano nell’Ottocento d.C. e si stabiliscono qui formando un’entità statuale (non è uno Stato
vero e proprio), ovvero una confederazione di staterelli, principati; il fondatore di questa entità
statuale era stato il principe Rjurik. Per molto tempo questa Rus rimane uno stato formato da piccoli
principati e questi principi nominano il principe capo, che non ha però rango di monarca: è primus
inter pares. Piano piano si sviluppano istituzioni e questa entità diventa uno Stato federale tant’è che
nell’837 era formato da 15 staterelli. Prima data importante: 998 d.C. questa antica Rus’ si converte
al cristianesimo orientale della Chiesa di Bisanzio diventando ortodossa. La capitale è Kiev, Mosca è
inesistente e se ne sentirà parlare solo nel 1147 quando viene indicato come un villaggio
insignificante in mezzo alle paludi con pochissimi abitanti. Dopo qualche decennio, nel 1236, a
Novgorod viene eletto sovrano di tutta l’Antica Rus’ il principe Nievskj. Egli passa alla storia come
eroe leggendario e santificato in quanto grandissimo condottiero capace di sconfiggere gli svedesi
che attaccavano da nord; inoltre, e riesce a sconfiggere i teutonici (i moderni tedeschi). Queste
battaglie contro svedesi e teutonici valgono a Nievskj la grande fama. Dopo qualche anno, da oriente
arriva una minaccia ben più imponente: i mongoli, eredi di Gengis Kan. Nel 1242 l’antica Rus viene
conquistata dai mongoli e trasformata in un khanato, una sorta di principato o Stato vassallo
dell’imperatore mongolo (Kublai Khan). Nievskj va a Karakorum, dov’era il khan del periodo e riesce
a negoziare un accordo abbastanza vantaggioso: pagherà delle tasse ed invierà soldati all’imperatore
mongolo, ma in cambio potrà rimanere sul trono. Storicamente si è taciuto molto su questa
negoziazione di Nievskj con i mongoli perché questo avrebbe dimostrato la dominazione sull’antica
Rus. I mongoli in questo sistema, oltre a creare i khanati, avevano lasciato intatta la struttura
esistente (quella dei piccoli regni) e i re erano diventati come governatori locali a cui il khan non
imponeva la religione. Tra il 1242 ed il 1480, per quasi due secoli, l’antica Rus rimane sotto la
dominazione mongola, sempre più indebolita da varie liti tra i principi.
Nel 1300, il figlio di Alexander Nievsj, Danil, riesce a conquistare Mosca, città che comincia ad essere
costruita, trasformandosi da luogo di periferia a cittadina modesta. I discendenti di Danil escono
vincitori dalle liti fra principi e così nasce la dinastia dei Danilovici. Si tratta di una disnastia fedele al
Khan, che in cambio riconosce il titolo di “gran principe”, conferito ad Ivan I di Mosca nel 1327. In
questo momento, anche il metropolita - capo della chiesa ortodossa - si trasferisce a Mosca che inizia
ad essere un centro politico importante. Con Ivan I, Mosca e la sua zona limitrofa crescono di
importanza. Mosca diventa sede principale di raccolta di tutte le tasse dell’area che saranno poi
destinate ai mongoli. Diventa quindi una città importante anche da un punto di vista economico oltre
che politico e religioso. Si inizia a parlare di principato di Moscovia.
Il ‘300 è importante anche per capire i rapporti russo-ucraini. Infatti, nasce in questo secolo il
granducato di Lituania: la Lituania riesce a sconfiggere i mongoli ed a liberare la parte orientale di
questa Antica Rus’, quella che oggi identifichiamo come Ucraina, e comincia ad esercitare il suo
potere. Kiev viene conquistata nel 1362 e da questo momento il destino della parte occidentale
dell’antica Rus si separa dal destino di quella orientale.
Questa origine comune ha dato vista ad un grande dibattito tra linguisti e storici quando si dibatte
delle origini della Russia e dell’ortodossia: gli ucraini dicono che sia nato tutto da loro e che sono i
russi ad aver deviato da tale storia; i russi dicono invece che sono nati tutti insieme, ma che la parte
importante che si è mantenuta sono loro.
Il Granducato di Lituania divenne nell’arco di brevissimo tempo uno degli stati più importanti
dell’Europa orientale, oltretutto molto tollerante. Le popolazioni slave conquistate dettero un grosso
contributo: leggi, codici religiosi ecc. vennero redatti anche in lingua slava proprio a dimostrazione
di tale tolleranza.
All’inizio i mongoli avevano cercato di limitare la crescita di Mosca. Quando però l’ascesa del
granducato cominciò a minacciare Mosca, il khan cominciò ad aiutare i moscoviti per rafforzare la
città fino a quando questa crescita si ritorse proprio contro i mongoli. Nel 1380, il principe Dimitri
Donckoj nella battaglia di Kulika attacco e sconfisse i mongoli liberando la Russia dalla dominazione.
La città ed il suo sovrano acquisirono così maggiore importanza e Mosca crebbe sempre di più. Di lì
a poco Ivan III avrebbe sposato Sofia Palmiologa, nipote dell’ultimo imperatore di Costantinopoli. Da
questo momento la storia Russia assume sempre più connotati imperiali. Ivan IV, detto il terribile,
(1533-1583) giunse al trono nel 1547 e fu incoronato per la prima volta imperatore: caezar. Si fece
incoronare dal metropolita di Mosca. Ivan il Terribile fu un grandissimo imperatore: centralizzò lo
Stato, strutturò une esercito statale, limitò il potere dei nobili ecc. e cominciò a pensare di espandersi
rispetto al territorio del principato di moscovia, andando verso Kazan Astrakan e lanciandosi poi alla
conquista della Siberia, che terminò di essere conquistata oltre la metà del Seicento.
Alla fine del Cinquecento, la dinastia dei Danilovici si estinse e attraverso una serie di vicende salirono
al trono i Romanov, la famiglia che verrà poi sterminata dai bolscevichi con la Rivoluzione d’ottobre.
Cosa succedeva nel frattempo ad ovest? Abbiamo lasciato la parte occidentale dell’Antica Rus’ ormai
sotto il dominio del granducato di Lituania. Un cambio di passo si ha con l’Unione di Lubliuno, un
trattato del 1569 con cui Polonia e Granducato sancivano la nascita dello Stato polacco-lituano. Fu
un grandissimo cambiamento in negativo per gli antichi rus’. Perché fu un danno? Perché tanto il
Granducato di Lituania era stato uno Stato tollerante, i polacchi in quanto cattolici volevano
convertire gli abitanti dell’Antica ‘Rus al cattolicesimo. Alla fine, non ci riuscirono, ma crearono un
grandissimo malcontento. Questo portò ad una grande rivola sociale e nazionale che cominciò nel
1648 sotto la guida del capo dei Cosacchi: contadini armati, primigeni ucraini, che si spostavano
verso oriente, fino quasi a porsi sotto la protezione del principato di moscovia. Il capo dei cosacchi,
il letamano, Mielnitskij, dopo una serie di vittorie sui polacchi, decide nel 1654 con il trattato di
Perejaslava di porsi sotto la tutela dello zar di Mosca. Ora un’altra parte dell’antica rus, circa i 2/3 del
totale, è sotto la Moscovia; anche se una parte è ancora sotto la Polonia. Questo è molto importante
perché questa parte dell’Antica Rus conosce uno sviluppo diverso dal resto dell’area: ecco perché gli
ucraini della parte occidentale sono più legati all’occidente (inoltre, questa separazione coincide con
l’Umanesimo e il Rinascimento, momenti fondamentali per lo sviluppo europeo).
Nel 1689 diventa re Pietro il Grande, uno zar di fondamentale importanza per la Russia: Pietro è
l’occidentalizzatore che cerca di portare la Russia all’intero delle correnti intellettuali dell’Europa
occidentale. Passa l’infanzia a giocare per strada a Mosca, parte poi clandestinamente per Rotterdam
per imparare a fare le navi, poi tornando a Mosca pensa di diventare dentista ecc. In un primo
momento il suo sogno sembra quello di tutti gli zar: la crociata ortodossa contro gli infedeli
musulmani e un modo per arrivare un giorno ai mari caldi. Organizza allora la prima campagna per
conquistare il mare di Azov. Conquistata Azov, ma anziché procedere alla conquista della Crimea, si
convince che la Russia debba occidentalizzarsi. Mentre Pietro elabora queste idee, alla fine del 1689
si svolge una guerra complessa, detta la Guerra del Nord, che alla fine apre ad uno scontro tra i russi
di Pietro e gli svedesi. Pietro riesce ad impadronirsi degli avamposti svedesi sul fiume Nieva, crea una
fortezza nel 1703, quella di San Pietro e Paolo, e riesce a sconfiggere gli svedesi vincendo la guerra
del nord. Viene così riconosciuto come un grande sovrano dalle altre potenze europee; quindi,
capisce che lì deve esserci la sua finestra sull’Europa. Fa costruire la bellissima San Pietroburgo che
diventerà la nuova capitale fino all’inizio della guerra civile. Durante la Guerra del Nord, l’atamano
durante l’attacco svedese, si schiera con gli svedesi e, una volta sconfitti, l’atteggiamento di Pietro
con i cosacchi cambia.
A questo punto Pietro sposta l’interesse verso il Caucaso, riscontrando grossissima resistenza.
Questo attacco è durato fino al 1864. Pietro muore, ci sono varie zarine fino all’arrivo di Caterina la
Grande. Lei sta sul trono dal 1762 al 1796 e riesce a conquistare la Crimea nel 1793, rimasta fino a
quel momento un khanato con popolazione tartara e conquistata poi dall’Impero Ottomano. Sarà
qui che il suo prediletto amante, Pationky le farà costruire la bellissima città di Odessa, andandola a
prendere a San Pietroburgo per farle vedere dal mare la città che le aveva costruito.
Austria, Prussia e Russia decisero di spartirsi la polonia definitivamente nel 1795; fu una spartizione
molto dura che vide i lembi dell’Antica Rus rimasti alla Polonia entrare sotto il territorio russo.
L’ultimo accenno va fatto alla zona del centro-asia, le regioni “stan” (all’epoca il Turkestan
occidentale), conquistate da Alessandro II, Alessandro III e Nicola I a varie riprese nella seconda metà
dell’Ottocento, in circa una trentina d’anni. Quando nel 1887 viene fatto il censimento, c’erano 126
milioni di persone e la presenza di oltre 200 etnie diverse. Tutto questo viene messo in discussione
dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.
27/09
Secondo il censimento del 1887, nell’ Impero russo abitavano circa 200 etnie. La sua organizzazione
è basata su Regioni o Governatorati con a capo fedelissimi dello zar; la gestione della yes publica è
dello Stato, affidata ad una casta di funzionari della media-bassa nobiltà: un potentato. Le zone meno
abitate erano quelle della Siberia, ma anche le più ricche a livello di materie prime: petrolio, gas,
oro. I russi erano consci di questo, ma non c’erano persone che le abitassero principalmente per
l’ostilità delle condizioni climatiche. Sotto il dominio zarista, non c’era imposizione di conversione, la
confessione religiosa, infatti, non importava agli zar. La Russia, nonostante gli zar siano riconosciuti
come una grande potenza in politica estera, rimane un paese arretratissimo, tant’è che fino al 1861
è bloccata internamente come sviluppo interno dalla piaga della servitù della gleba: il 95% della
popolazione è contadina, non esiste borghesia e le ricchezze e il potere sono in mano alla famiglia
imperiale e ad un 4/5% di nobili e nella chiesa. Nel 1861 Alessandro II decide di abolire la servitù
della gleba e di fare riforme importanti; questa riforma della servitù della gleba fu importantissima
dal punto di vista formale, ma nella sostanza non ebbe grandi ricadute perché non fu accompagnata
da una vera redistribuzione delle terre e, nei primissimi anni, alcuni contadini che non riuscivano a
comprare un pezzo di terra, si trovavano addirittura in condizioni peggiori di prima.
La monarchia zarista era assoluta, non vi erano garanzie costituzionali, questo almeno fino al 1905,
anno della rivolta popolare che costrinse lo zar a dare una costituzione, sebbene molto molto blanda.
Date le condizioni generali del Paese, mancava a metà Ottocento uno sviluppo industriale, una
popolazione proletaria e borghese. Un po’ per la ragione di essere stata così a lungo dominata dai
mongoli, tenuta quindi isolata dagli altri popoli, da umanesimo e rinascimento; un po’ per la grande
chiesa ortodossa. Rublev era un pittore di icone che si sviluppano in questo paese, si sviluppa solo
l’arte sacra. La prima volta che si sente parlare all’estero di grandi scrittori russi, è quando iniziano a
scrivere Tolstoj e Dostoevskij verso la fine dell’Ottocento. Infatti, la Russia non era mai stata coinvolta
nei grandi movimenti occidentali come l’illuminismo, rivoluzione liberale o industriale.
Solo con Nicola II c’è una modernizzazione del paese, accetta i soldi di investitori esteri, cercando di
modernizzare il Paese con, ad esempio, la creazione di fabbriche in zone come l’Azerbaijan. È
importante però sapere che la modernizzazione dell’impero russo, però, arriva tutta dall’alto: è lo
zar, con i suoi funzionari, a decidere tutto. C’è quindi uno sviluppo capitalista, ma è centralizzato,
gestito dall’alto. Ovviamente, sull’onda di questo inizio, ci sarà lo sviluppo di una limitata classe
borghese, ma rimane un capitalismo di Stato, con una modernizzazione tardiva.
Ad inizio Novecento, essendoci state queste timide trasformazioni sociali, cominciano i primi
malumori: nasce il proletariato russo che comincia le prime manifestazioni. Emerge in questo
momento Lenin, un personaggio che sarà poi fondamentale, fondando il partito bolscevico; nasce
anche il partito socialista; questi partiti nascono tutti all’estero, ma il fermento è reale.
Nel 1905 la Russia zarista entra in conflitto con il Giappone perché vogliono entrambe la Manciuria,
una regione cinese molto molto ricca. Inizia una guerra navale e con grande sorpresa di tutti, la
Russia perde. Di fronte al pessimo andamento della guerra, nel 1905 a San Pietroburgo scoppia una
protesta molto grande e lo zar Nicola è costretto a concedere una Costituzione: viene creata la Duma
con un suffragio molto ristretto e garanzie estese per il potere autocratico. Sarà un inizio molto
sofferto per la democratizzazione del potere autocratico zarista. I movimenti sono però evidenti.
Questo timidissimo tentativo di modernizzazione del Paese, si infrange nei campi di battaglia della
Prima guerra mondiale. Lo zar decide di intervenire infatti accanto ai fratelli serbi: la Russia però non
è pronta, nonostante un esercito numerosissimo, non ha armi o infrastrutture sufficienti. La guerra
va malissimo; Nicola non ha inclinazione per le questioni militari. Tra 1915 e il 1916 il popolo
manifesta per la mancanza di beni primari come cibo, legna per scaldarsi ecc., ma Nicola non riesce
a prende la decisione di uscire dalla guerra.
Nel febbraio 1917 chiede al fratello di diventare zar: il fratello rifiuta il titolo e Nicola finalmente
abdica. A quel punto, i pochi partiti borghesi formatisi prendono il potere e fondano un governo
provvisorio, il cd “governo dei cadetti” (prende nome dal partito più grande). Errore clamoroso: una
volta preso il potere, questo governo provvisorio non decide l’uscita dalla guerra e l’impero si scioglie
immediatamente. La popolazione continua a rivoltarsi. Interviene ora la figura di Lenin e di altri
grandi rivoluzionari dell’epoca, i cd “rivoluzionari di professione”: studiavano i testi degli intellettuali
che scrivevano di storia, politica ecc. Lenin in quel momento è in prigione in Germania, viene liberato
per tentare di mettere la Russia nella condizione di uscire dalla guerra. Dopo il suo ritorno pubblica
“Le Tesi d’Aprile”, dicendo che la Russia è pronta per la Rivoluzione. Viene nuovamente arrestato e
scappa in Finlandia, aspettando il momento giusto per rientrare. Ritorna clandestinamente
nell’ottobre 1917, convincendo il resto del partito a fare il Colpo di Stato. Il 25 ottobre attacca il
palazzo d’inverno, arresta i membri del governo provvisorio e i membri della famiglia imperiale:
quest’ultima viene messa prima a San Pietroburgo e poi viene spostata agli Urali e sterminata.
Preso il potere, Lenin deve confrontarsi anche con altri partiti, capaci negli anni ad ottenere un certo
consenso. Nel novembre 1917 viene convocata una Costituente, vengono fatte delle elezioni e, con
grandissima sorpresa, i risultati vedono il partito bolscevico in minoranza; i partiti di maggioranza
sono i menscevichi e i social-rivoluzionari. A questo punto, Lenin fa un secondo colpo di stato e Lenin
scioglie l’Assemblea costituente prendendo in mano il potere assoluto. Ora il Paese è nel caos: non
c’è più lo zar, ci sono stati due colpi di stato e il Paese è in un’anarchia totale. Scoppia per tre anni
una terribile guerra civile (1917-1921), combattuta su tre piani diversi:
- i generali bianchi (le divise dei generali zaristi erano bianche), che riorganizzarono le truppe dello
zar per riportarlo sul trono.; tre generali partono da zone diverse puntando verso Mosca (la nuova
capitale). In questa occasione le potenze europee dell’Intesa aiutano i generali bianchi: tra il 18 e il
19 con armi e militari; questo sarà fondamentale per creare nella mentalità russa la sindrome
dell’accerchiamento/postulato dell’inevitabilità della guerra. Marx aveva già parlato di questo: le
potenze capitaliste avrebbero attaccato il Paese una volta avvenuta la rivoluzione; infatti, sarebbe
stato necessario esportare la Rivoluzione in tutto il mondo perché in un solo Paese non sarebbe
sopravvissuta; i bolscevichi si convincono che il mondo esterno sia ostile e queta sarà la base della
sindrome dell’accerchiamento ispiratrice della politica estera russa. I generali bianchi, con il
supporto occidentale, combattono per circa un anno. Nel 1918 i bolscevichi firmano la Pace di Brest-
Litovsk per l’uscita dalla guerra. Ora possono creare il proprio esercito. Trotskij lo crea e vince contro
i generali bianchi.
- nazionalità: si tratta di macro-minoranze nazionali. Queste minoranze sperano che sia il momento
dell’indipendenza; i baltici e la Finlandia in realtà lo chiedono subito dopo essere stati presi ad inizio
700 e ora sono i primi a staccarsi riuscendo ad essere indipendenti per 20 anni anche grazie all’aiuto
occidentale. Altre nazionalità ci provano: georgiani, azeri, armeni ed ucraini. L’Ucraina riesce a
formare un governo nazionale e dal 17 ali 19 esisterà una piccola Ucraina indipendente. Anche su
questo fronte però con il passare dei mesi i bolscevichi hanno il sopravvento, finendo per avere la
meglio su queste rivolte. Si apre quindi un grande dibattito all’intero del partito bolscevico. Cosa
fare? La discussione è tra Lenin e Stalin, con il secondo molto più conservatore del primo, aspirando
a creare una grande Russia dove far rientrare tutti. Lenin invece sostiene che seguendo questa strada
il bolscevismo diventa come lo zarismo: serve piuttosto un modo per dare una eguaglianza a tutte le
nazionalità, altrimenti sarà mantenuta l’accusa di colonialismo. Lenin era molto più considerato e il
partito finirà per seguirlo.
Nel 1922 si crea l’URSS, una grande federazione all’interno della quale ci sono una serie di
repubbliche socialiste sovietiche federate. Nel 1945 abbiamo i paesi Stan, poi nel Caucaso l’Armenia,
la Georgia e l’Azerbaijan; l’Ucraina e la Bielorussia, la Repubblica Socialista Sovietica Federata Russa;
con il patto Molotov-Ribbentrop, Stalin chiede i tre Baltici e Finlandia (con la guerra d’Inverno non
entrerà nell’URSS finché dopo la 2 GM verrà costretta a firmare un trattato molto duro). Con i tre
baltici Stalin va più leggero: crea partiti comunisti a lui molto fedeli e manovra la situazione
dall’interno; questi partiti prendono il sopravvento, con gli oppositori politici che vengono arrestati.
Questi tre paesi nel 1940 fanno un referendum falso chiedendo l’annessione all’URSS. La Moldavia
(Bessarabia) era stata conquistata nell’Ottocento, entrando a far parte dell’impero, fu persa dai
bolscevichi con Brest-Litovsk, finendo alla Romania e poi andando all’URSS con la seconda versione
del patto nazi-sovietico, finendo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, a far parte dell’URSS. La
RSFSR è a sua volta formata da tanti soggetti federati: ci sono decine e decine di minoranze nazionali.
Stalin ottiene una piccola vittoria ideologica: c’è una federazione, ma è necessario far rientrare nei
confini territoriali ulteriori minoranze capaci di infastidire la minoranza maggioritaria in tale
territorio, cosicché questa abbia più bisogno di Mosca. Sulla carta questa URSS è all’avanguardia
sull’assetto costituzionale ecc. In tutti i testi costituzionali è presente la clausola della secessione. In
realtà questa operazione staliniana non fu molto dannosa nell’immediato, ma diventerà un
problema enorme con la caduta dell’URSS, come ad esempio il conflitto nel Nagorno-Karabakh, una
piccola striscia di territorio abitata da armeni che Stalin aveva dato scientificamente all’Azerbaijan.
Era un modo per lui per fidelizzare l’élite azera a Mosca. Armeni ed azeri, però, saranno sempre
nemici per queste manovre. Stessa cosa è avvenuta in Georgia: Ossezia e Abkhazia abitate
prevalentemente da russi.
03/10
Nel 1922, come già detto, nasce l’URSS, la cui organizzazione segue la linea di Lenin: bisogna
riconoscere alle nazionalità più importanti un rango adeguato, paritario alla nazionalità dei russi.
In lingua italiana viene confuso il livello della cittadinanza con il livello etnico perché il piano
linguistico e culturale non viene distinto da quello della cittadinanza, ma in russo:
Russkij → di nazionalità russa
Rossijskiy →Cittadini dell’Impero, ma di altre nazionalità (si tratta di minoranze).
A questa distinzione viene aggiunto l’aggettivo “sovetskij” che in qualche modo riassorbe i due
termini perché un cittadino è sovietico a prescindere dalla nazionalità.
Viene creata, quindi, una federazione all’interno della quale tutte le nazionalità stanno sullo stesso
piano.
Sulla base della costituzione del 1924 era - in teoria - un Paese federato all’avanguardia, ad esempio
era previsto il diritto di secessione, ma nella sostanza questo non poteva avvenire. Se il collante
dell’Impero in epoca imperiale era la figura sacrale dell’Imperatore, in URSS il collante era
rappresentato il partito unico che dal centro, attraverso gli iscritti negli organi principali dello Stato,
negli organi locali, nelle fabbriche, creava una serie di diramazioni che fungevano da collante.
Proprio Stalin, non soddisfatto di questa soluzione, usò ad arte la questione complessa dei confini
perché alcune de queste repubbliche federali erano molto grandi e avevano al loro interno
repubbliche autonome, circondari, distretti. Non casualmente, queste repubbliche autonome
vennero create in modo da riconoscere un certo grado di autonomia a minoranze nazionali differenti
e talvolta in polemica con la nazionalità dominante, in questo modo si inseriva uno strumento di
controllo – e eventualmente di ricatto- sulle élite al potere nelle singole repubbliche. Ci sono quindi
due livelli da considerare quando si parla di politica delle nazionalità: un livello ideologico e uno
pratico. Il primo, è che Lenin aveva evidenziato l’aspetto imperialistico del potere zarista, anche
opprimente nei confronti delle varie nazionalità che componevano l’Impero; quindi, il partito
bolscevico si presentava come la forza che avrebbe in qualche modo emancipato queste nazionalità
prigioniere dell’Impero russo: è necessario dimostrare che il partito bolscevico era propenso a far
cessare il primato della componente slava sulle altre componenti. In prospettiva, si avrebbe mostrato
agli altri popoli colonizzati come anche per loro il bolscevismo sarebbe stata una soluzione. Il livello
pratico, staliniano, utilizza le nazionalità per rafforzare il potere sovietico. Quindi Stalin, per essere
coerente con il livello ideologico leninista, individua le nazionalità titolari; dove ci stavano identità
nazionali definite era abbastanza chiaro affidare la titolarità, ma in alcune aree ci stava un mosaico
di nazionalità particolarmente complesso: come individuare le nazionalità quando le stesse
popolazioni hanno difficoltà a classificarsi? Su mandato di Stalin viene fatto un lavoro incredibile: le
identità nazionali vengono costruite a tavolino (lingua, costumi, teatro, cultura). All’intero di queste
repubbliche era necessario creare un problema potenziale, quella serie di attriti che nelle realtà
multinazionali ci stanno sempre. Quindi, all’interno di ciascuna di queste repubbliche, Stalin ha
inserito un vulnus potenziale fondato su differenze linguistiche, etniche, religiose: nel momento in
cui l’autonomia all’interno di quella repubblica con nazionalità titolare avesse avuto da ridire si
sarebbe rivolta al centro. Questa logica nasconde in sé anche un paradosso perché in uno stato
multiforme viene fuori uno standard di cittadino, l’uomo sovietico, che non doveva essere legato a
tradizioni religiose, linguistiche o di costumi, ma conforme ad un modello ideologico: tutti uguali,
tutti cittadini sovietici. In effetti, finché il modello sovietico è esistito problemi sotto questo punto di
vista non ci sono stati; le tensioni che sono iniziate nel corso degli anni ’80 non erano tanto tensioni
nazionali, ma legate a fattori locali.
In tutto il corso degli anni ’20, la componente ideologica, l’idea che non dovesse passare il messaggio
che i russi si presentassero come nazionalità dominante e colonizzatrice si adottarono politiche di
indennizzazione: si dette la possibilità alle lingue non scritte di essere scritte con l’alfabeto che essere
preferivano, di pubblicare, di fare teatro, di insegnare nella lingua madre a tutti i livelli. Questa
politica resistette alcuni anni fino a quando Stalin non indirizzò diversamente il corso della storia
sovietica e questa politica venne sospesa e il russo divenne la lingua veicolare.
Gli anni ’30 sono un decennio molto particolare perché Stalin consolida il suo potere autoritario
internamente e a livello internazionale cresce il pericolo di una guerra su due fronti per l’URSS. Inizia
quindi un processo che è il recupero delle antiche tradizioni e della storia imperiale russa: si recupera
la riguarda di Alesando I e della sua sconfitta di Napoleone, dei grandi generali russi e il valore della
lingua russa; parallelamente si abbandona ogni forma di incentivo verso le politiche e le lingue locali
perché Stalin avverte la necessità di uniformare l’URSS il più possibile per arrivare alla creazione
dell’individuo sovietico: questo sarebbe risultato utile nel caso di un attacco dall’esterno e di fatto
viene creato il substrato sul quale affonderà le radici la grande guerra patriottica.
Dopo l’arrivo di Gorbaciov le cose inizieranno a cambiare. Gorbačëv era stato un funzionario di
partito di medio rango. Dal 1917 al 1924 Lenin; si aprono cinque anni di lotte interne al partito dove
non c’è un vero erede di Lenin; 1929 – 1953 Stalin; 1953 – 1964 Krusciov; 1964 – 1982 Bréžnev; 1982
Andropov, ex capo del KGB. La nomina a Segretario generale di Andropov risulta paradossale perché,
essendo stato a lungo capo del KGB, era la persona che meglio conosceva le problematiche dell’URSS
e infatti proprio lui chiamò a Mosca un gruppo di giovani funzionari, i cripto-riformatori, a cui dette
il compito di stilare dei rapporti sinceri per capire, alla luce della difficoltà in cui versava il paese,
come si sarebbe potuto riformare. Nel 1985 venne eletto Gorbačëv, un personaggio patetico, molto
amato in occidente, ma fallimentare. Gorbačëv era convinto che il paese potesse essere riformato.
La sua linea politica fu molto confusa tant’è che i suoi analisti sostennero che esistevano più
Gorbaciov, diversi l’uno da l’altro. Al suo arrivo era convinto della sanità del sistema. Nel primo anno
lanciò un programma che si chiamava “accelerazione”, l’idea non era riformare realmente il sistema,
ma dagli un’accelerata; secondo lui il sistema aveva la forza di autorigenerarsi e avrebbe dovuto farlo
usando il partito. La colpa principale dei problemi, soprattutto economici, era della burocrazia, per
cui bisognava abbatterla in modo da poterla rivitalizzare. Già qui emerge una notevole
contraddizione: se il sistema fosse stato accelerato la burocrazia avrebbe dovuta essere
salvaguardata perché le riforme non possono che passare attraverso i burocrati; il partito governa,
non attua. Inoltre, tutto il mondo della burocrazia sovietica cominciò a dichiararglisi nemico. Da non
dimenticare è che la burocrazia era di fatto una proiezione del partito.
04/10
Siamo arrivati a Gorbačëv.
Come mai proprio con un leader riformatore si è arrivati alla fine dell’esperienza sovietica? È
importante partire dal fatto che non c’è un solo Gorbačëv, ma diversi perché nei sei anni in cui sta al
potere dal marzo ‘85 al dicembre ‘91, la sua politica cambia molto, ma con l’obiettivo costante della
salvezza dell’URSS e del comunismo, rispetto alla cui tenuta egli sarà irremovibile. Una volta lasciata
la riforma utskorenje (accelerazione): si basa sull’idea che ci sia un paese elefantiaco, corrotto ecc.
Infatti, l’economia sovietica seguiva piani quinquennali che venivano valutati e poi rilanciati; essendo
un regime autoritario, tutti temevano di dire la verità; perciò, i bilanci dei piani quinquennali erano
truccati: i ministeri delle varie unità economiche se le cose fossero andate male le statistiche
sarebbero state falsificate. La pianificazione era basata su una suddivisione di compiti tra le
repubbliche o regioni all’interno delle repubbliche. Ad esempio, ciascuna repubbliche era
specializzata nella produzione di un’unità che poi sarebbe stata assemblata alle altre in un’altra
repubblica per ottenere il prodotto finale. C’era quindi una ferrea suddivisione dei compiti che
comportava tempistiche enormi sulla produzione. Tutti gli investimenti andavano per lo più
all’industria militare e pesante, quasi nulla su quella leggera. La guerra fredda costava moltissimo in
termini di armamenti per la corsa al nucleare ed in termini di aiuti ai paesi in via di sviluppo, uno dei
grandi tratti delle relazioni internazionali. Era una sfrenata corsa a catturare al proprio modello di
sviluppo quanti più paesi in via di decolonizzazione. Non si tratta più di depredare un paese delle
proprie risorse, ma spendere per mantenere al potere élite fedeli ad uno dei due blocchi.
Nel corso degli anni, tutto il sistema economico internazionale entra in crisi: già negli anni ‘60 gli USA
entrano in crisi e si ha la fine della convertibilità del dollaro in oro nel ‘71. Gli USA non possono più
reggere il peso dell’intera economia globale. Allo stesso tempo, anche l’economia sovietica entra in
crisi per i costi insostenibili. Dagli anni ’70 però si aggiunge una nuova voce positiva nel bilancio
dell’URSS: gas e petrolio che vengono venduti all’Europa con la costruzione di nuovi gasdotti. Lo
vendono però in cambio di moneta pregiata (il rublo non è convertibile perché vige solo nello spazio
sovietico) ma i guadagni continuano ad essere diretti in armi e aiuti al terzo mondo, non al benessere
della popolazione sovietica. Il sistema lentamente comincia ad implodere. La popolazione comincia
ad impoverirsi e questo ha una dimensione iconica: le lunghissime code che si formano davanti ai
negozi per accedere ai beni primari. Esisteva per ovviare a questo problema un’economia parallela,
basata sul principio della corruzione e del mercato nero. Questa economia parallela pervadeva
anche ai livelli più altri, tra i dirigenti di partito e di fabbrica, la cosiddetta nomenclatura politica ed
economica sovietica era estremamente corrotta. Questa corruzione permise l’accantonamento di
piccole fortune economiche che poi apriranno la strada alla nascita dell’oligarchia con El’ Cin.
Nel marzo 1986, Gorbačëv si rende conto che la politica di spinta ha scontentato tutti e, ad aggravare
la situazione, ci fu la campagna contro l’alcolismo. I burocrati erano scontenti, la popolazione pure e
quindi lancia la Perestrojka e Glasnost. Per quanto riguarda la Glasnost si basa sulla trasparenza, ma
questa proposta nei primi tempi lasciò moltissima indifferenza. La popolazione sovietica era in un
certo senso sonnolenta, non era interessata ai dibattiti politici o culturali. L’intellighenzia sovietica,
anche la più antiregime, guardò a questa Glasnost molto freddamente: era un processo di
trasparenza, ma voluto dall’alto e non secondo regole di democratizzazione volute dal basso. I paesi
dell’est furono anch’essi freddissimi, capendo che parlare di trasparenza avrebbe potuto aprire crepe
nel sistema; anche le nomenclature delle singole repubbliche erano perplesse: il rapporto tra le élite
delle repubbliche e Mosca, soprattutto con la crisi economica, non era più basato sul collante
ideologico, ma era basato su prebende da Mosca per garantirsi la fedeltà delle élite politiche
repubblicane; quando i soldi iniziano a scarseggiare e Gorbačëv lancia questo piano di trasparenza,
queste élite si preoccupano moltissimo e così iniziano a serpeggiare anche nelle repubbliche un
grand malcontento. In contemporanea, dobbiamo ricordare che comincia a scricchiolare tutto il
blocco dell’est. Il 26 aprile 1986 l’incidente di Chernobyl mise ulteriormente in crisi la Glasnost:
l’incidente ovviamente mette in cattiva luce la neonata riforma perché le autorità ucraine, d’accordo
con Gorbačëv, tendono a nascondere l’incidente, ma quando la notizia fuoriesce ha un effetto
deleterio: da un lato si parla di trasparenza e dall’altro si tende a nascondere un simile disastro.
L’incidente attira inoltre l’attenzione della popolazione sul tema dell’etnonazionalismo: nell’URSS, a
partire dagli anni 30, Stalin aveva avviato una intensissima opera di modernizzazione con i piani
quinquennali ad esempio costruendo dighe, centrali elettriche e estraendo materie preziosissime
grazie al lavoro forzato; l’opera era portata avanti nei decenni successivi, ma con rilevanti danni per
l’ambiente; con Chernobyl, l’ambiente si fonde con l’etnia e il patriottismo delle singole nazionalità,
diventando fattore propulsivo, tant’è che nel 1986 cominciano le prime proteste per il progetto di
deviazione dei due fiumi Ob e Irtys che erano volute da gruppi di potere in Kazakstan ed Uzbekistan.
Perché ci si opponeva alla deviazione di questi fiumi? Perché deviandoli si peggiorava la situazione
del mare di Aral, un lago oggi scomparso proprio perché smise di arrivare l’acqua dai due fiumi che
vi confluivano, la Amu Dar’ia e la Syr Dar’ia; il loro corso fu deviato proprio per far fluire più acqua
possibile per i campi di cotone in Uzbekistan. Quando le acque sono evaporate, le sostanze tossiche
sono emerse, impattando non solo sull’economia, ma anche sulla salute della popolazione.
Cominciano anche le proteste sul nucleare con manifestazioni di massa per bloccarne la crescita in
Armenia, Lituania e Ucraina. La Glasnost cominciò, inoltre, a sembrare eccessiva alla destra del
partito. La glasnost ha anche dei riscontri positivi: cominciano le prime tribune politiche in tv,
sinonimo di apertura, ma con la destra del partito che però non entusiasta.
Nello stesso tempo partì la Perestrojka: nelle campagne doveva esserci la nuova possibilità di
affittare le terre da parte dei contadini. I contadini non andati in guerra si erano presi più terreni e
Stalin non aveva poi fatto nulla; quindi, Gorbačëv si trovava già con una situazione di terre
privatizzate dei contadini, voleva solo ampliare questa possibilità. Nessuno però reagì con
entusiasmo. Fallì inoltre sul piano industriale, era tutto vecchio: Gorbačëv avrebbe potuto seguire la
linea del far emergere il mercato nero, ma per lui non era fattibile, era comunista e non poteva
contraddire i propri ideali e allora decise di fare una campagna contro i redditi non guadagnati,
danneggiato commercianti, meccanici ecc.
(Lezione Giannotti)
Perestrojka: ricostruire in tre direzioni: politica, costituzionale ed una economica.
Costituzionale: l’URSS ha avuto una prima Carta nel 1924, una seconda staliniana nel 1936 ed entrata
in vigore nel 1937, una terza nel 1977 di Breshnev e poi le riforme di Gorbačëv basate su vari
propositi: (1) l’URSS era formalmente un’unione di repubbliche libere che mantenevano il diritto di
scendere dall’Unione e sostanzialmente ciascuna di esse era organizzata con tutte le strutture tipiche
di ogni statualità, ma fondamentalmente questo diritto non era esercitabile, o almeno non lo è stato
fino al ’91, e nelle dinamiche inter-repubblicane e anche tra maggiori questioni a livello di ogni
singola repubblica ogni decisione ricadeva su Mosca. Fintanto che al centro c’era stato un potere
forte e stabile, a livello repubblicano non c’erano stati problemi. Quando però il centro ha cominciato
a dare segni di rilassamento, alcune élite a livello repubblicano hanno cominciato a rumoreggiare. È
molto difficile stabilire qui un preciso nesso eziologico (causa), ma sta di fatto che fino al 1988 a
livello locale non c’erano state grandi manifestazioni. Comunque, Gorbačëv si convince che è
necessario arrivare ad un ridisegno della struttura costituzionale dell’URSS, in termini di
devoluzione: lasciare a livello repubblicano competenze maggiori. Ora però c’è un punto: si tratta di
connubio tra Stato e partito difficilmente scindibile espresso chiaramente nella la Carta del 1977,
ovvero il partito è il centro della struttura sovietica e delle sue organizzazioni statali, sociali, sportive
ecc. Il partito comunista sovietico è un animale particolare con vicenda storica particolare perché ha
vissuto in periodi tutt’altro che tranquilli -prima clandestino; scoppia la rivoluzione; guerra civile;
muore Lenin e scontro tra Stalin e Trotzkij; repressioni staliniane; arrivo di Krusciov che ipotizza una
riforma che causò la maturazione di ostilità interna al partito nei suoi conforti -. Nel 1964 arriva
Breznev, figlio fedele dell’apparato del partito che mantiene, anche dal punto di vista personale,
contatti costanti a livello di capi di partito repubblicani e regionali, facendoli sentire considerati.
Breznev era molto amato dal partito anche perché garantiva incarichi sostanzialmente vitalizi e, al di
là di mettere qualche proprio uomo, lasciava i vari ruoli stabili. L’apparato del partito era vissuto
dunque in questa stabilità, ma poi arriva Gorbačëv. La stabilità, intesa come lunga durata del
mandato, può essere positiva per sviluppare politiche a lungo termine, ma anche negativa per lo
sviluppo di abitudini malsane che si sono poi manifestate in tutta la loro gravità sotto Gorbačëv.
Modifica costituzionale concedendo più poteri alle repubbliche. Riforma allo statuto del partito
garantendo svecchiamento e rotazione. Riforma economica: Gorbačëv, come molti esponenti
sovietici, si rendeva conto che la centralizzazione completa non poteva reggere: si aveva un completo
annullamento del sistema domanda-offerta che sta alla base di un qualsiasi altro sistema economico
funzionante, ma in quello sovietico non vi era alcun correttivo di mercato il che è insostenibile.
Intatti, Breznev nel 1964 aveva nominato Kosygin, un economista che voleva lasciare ai
compartimenti industriali una maggior libertà di scelta e definizione delle attività produttive
attraverso una modernizzazione che purtroppo si fermò. Gorbačëv decide di riconsiderare le
valutazioni di Kosygin e rimetterle in atto. Forse non sbagliava, ma come diceva Andropov,
sicuramente Gorbačëv aveva il difetto della fretta. Egli, infatti, non considera gli effetti di questa
trasformazione combinata alla mentalità sovietica, un’idea rivoluzionaria che si combinava alla
glasnost: trasparenza di mezzi comunicativi, diretta televisiva delle sedute del parlamento; anche
però trasparenza in senso retroattivo: diritto del popolo sovietico di poter conoscere ed indagare gli
eventi del passato, compresi però problemi enormi come le purghe staliniane, i dissidi interni al
partito ecc. e per una popolazione estremamente ideologizzata non è facile. Il malfunzionamento
del sistema determina insoddisfazione a cui si aggiunge l’improvvisa possibilità di vedere come si
prendono decisioni e di vedere come sono state prese quelle passate e che oggi determinano la
propria vita in quel modo. Il combinato di Glasnost e Perestrojka determina una grande scossa. Dagli
anni ‘70 i dissidenti politici venivano rinchiusi nei manicomi e nel ‘77 un congresso internazionale di
psichiatria alle Hawaii, l’URSS fu espulsa. Samizdat (auto stampato), erano le pubblicazioni proprie e
clandestine, finiscono con la glasnost: si comincia a poter pubblicare quasi tutto. Viene pubblicato il
patto Molotov-Ribbentrop ecc.
A questa situazione interna si aggiunge il contesto internazionale politico ed economico:
1) Afghanistan: nel 1978 scoppia una rivoluzione che porta al potere il partito democratico dei
lavoratori afghani. Il partito comunista locale è diviso in due fazioni: una più radicale guidata
da Taraki, all’ombra del quale si mette in luce Amin, e che prospetta una rapida e traumatica
trasformazione dell’Afghanistan in un paese socialista (collettivizzazione delle terre, drastica
riduzione della religione nella vita sociale, emancipazione femminile, pianificazione
dell’economia); l’altra fazione propende invece per un approccio meno radicale: stesso
obiettivo socialista, ma attraverso ad una serie di passaggi più ottemperati e il suo maggiore
esponente è Karmal. Vince la fazione più radicale, il compagno Karmal viene mandato come
ambasciatore in Cecoslovacchia e Taraki diventa presidente, con Amin ministro della Difesa
e questi cominciano a rivoltare l’Afghanistan (ricordiamo essere un paese estremamente
conservatore e religioso, per alcuni aspetti assimilabile all’Europa medievale). Questa
trasformazione ebbe effetti traumatici nella società afghana, soprattutto in alcune zone.
Inizia così a svilupparsi un movimento di guerriglia che mette a dura prova le forze
dell’esercito afghano. Gli afghani si rivolgono all’URSS che manda un esercito di funzionari
per costruire il socialismo, nonché un’enormità di mezzi necessari. L’esercito afghano non
pare comunque in grado di combattere il movimento di guerriglia, così Taraki chiama Mosca
per un intervento militare. Taraki chiama insistentemente Kosygin da marzo a dicembre per
intervenire. I guerriglieri attaccano Rat e i militari afghani perdono, anche con la morte di
funzionari sovietici. Quando Taraki inizia a chiedere insistentemente l’intervento sovietico,
Breznev affida ad un triumvirato di gestire la questione afghana. Qui vengono inseriti il
ministro degli esteri Gromyko, il ministro della difesa Ustinov e il capo del KGB Andropov.
Gromyko affida al viceministro Kornienko di creare un gruppo di lavoro sull’Afghanistan che
dirà che l’Afghanistan non è pronto per un passaggio così repentino al socialismo: non solo
non si pensa di inviare truppe, ma si contesta la velleità del partito comunista afghano di
passare al socialismo.
Al centro del partito c’è il Comitato Centrale. Il Congresso del partito è formalmente l’organo
supremo di un partito. Fra un congresso e l’altro la faccenda è gestita dal Comitato Centrale.
Il Congresso vota il Segretario Generale del comitato centrale del partito. Il CC era il centro
del partito e i suoi membri erano coloro che effettivamente contavano. In una riunione
interdipartimentale Kornienko esprime le perplessità di cui abbiamo parlato. Allo stesso
tempo, la Sezione internazionale era guidata da Ul’anovskij e quando Kornienko dice questo,
Ul’anovskij si alza e interviene dicendo “compagno Kornienko, non c’è ad oggi un paese nel
mondo che non sia pronto al socialismo”. Il CC non fa una valutazione di tipo pratico, ma di
ordine politico-ideologico. Andropov dice che è paradossale perché per anni hanno cercato
di suscitare rivoluzioni in tutto il mondo e ora che un paese confinante vede una rivoluzione
cominciare da sola l’URSS si trova in difficoltà, ma essendo iniziata, non si può abbandonarla.
C’era inoltre la paura della minaccia islamica, con la rivoluzione iraniana che scoppia proprio
nello stesso anno, in un paese confinante con l’Afghanistan. L’idea era di aiutare l’esercito
afghano, mettere in sicurezza le infrastrutture fondamentali, stare qualche mese e venire via.
In particolare, questa idea si consolida nel momento in cui Amin da segnali di voler scalzare
Taraki. Il KGB scopre questo e in una delle visite di Taraki a Mosca gli fanno presente questo
rischio, ma lui stenta a crederci; nonostante questo, quando arriva in Afghanistan manda per
arrestarlo, ma questo fugge e la notte stessa sarà Taraki a venir assassinato nel sonno, con
Amin che prende il suo posto. Amin ha studiato alla Columbia, comincia a oscillare fra l’URSS
e gli USA: prende contatti con gli USA e a Mosca si convincono che, non solo è pericoloso ed
inaffidabile, ma anche un possibile agente della CIA. Viene allora organizzato un intervento
in Afghanistan con ancora Amin in carica, poi viene mandato un commando alla residenza
presidenziale che deve eliminare Amin. Un cuoco che avvelena Amin, ma c’era un medico
sovietico che lo salva (non sapendo nulla). Il commando uccide Amin e le truppe entrano
l’Afghanistan. L’URSS rimane lì fino all’89. Negli USA Brzezhinski, advisor for national security
del Presidente Carter, sottolinea che l’Afghanistan stava offrendo agli USA un’ottima
occasione e nel gennaio 1980 Carter parla al Congresso esponendo la dottrina Carter: il
Medioriente (intendendo dal mediterraneo orientale al Pakistan) è un territorio essenziale
per la sicurezza nazionale USA e qualsiasi minaccia quest’area stesse sarebbe stata percepita
come una minaccia diretta agli USA. A Carter succederanno Reagan e Bush, poi tutti gli altri,
ma la dottrina Carter è rimasta un pilastro fondamentale della politica estera americana. Alla
luce di tale dottrina, gli USA cominciano a finanziare movimenti di guerriglia, di resistenza
antisovietica, inizialmente attraverso il Pakistan. Il ‘79 è anche l’anno in cui in Pakistan va al
potere il generale Ziah, il quale pone fra i punti essenziali del proprio programma l’osservanza
della legge islamica. Gli Usa mandano soldi in Pakistan per le armi e poi cominciano a favorire
una narrazione per cui questi combattenti mujhaidin sono combattenti per la libertà, per la
democrazia e solo incidentalmente per la guerra santa. Inizia allora un’attività di
reclutamento in tutto il mondo musulmano da parte di tutti i paesi musulmani. Vengono
mandati anche i missili antiaerei Sting. Gli Usa mettono sempre più risorse in Afghanistan,
contribuendo a mettere in crisi le finanze sovietiche, finché Gorbačëv deciderà nell’89 a
venire via. Il peso della guerra in Afghanistan sarà un enorme peso sulle spalle sovietiche.
2) Sostegno al movimento comunista internazionale
3) Crollo del prezzo del petrolio: negli anni 70, dopo la crisi dello Yom Kippur del 73, le nazioni
arabe avevano ridotto le estrazioni e le vendite fuori dal contesto interno, determinando un
enorme aumento dei prezzi, di cui i sovietici hanno beneficiato enormemente; Gorbačëv ha
avuto sfortuna perché quasi in concomitanza con la sua salita alla segreteria il prezzo del
petrolio si è ridotto di circa un terzo. L’URSS fino all’ultimo ha poggiato finanziariamente i
movimenti comunisti ovunque nel mondo. Il PCI veniva aiutato comprando un certo numero
di copie edite e non dell’Unità e di Rinascita.
10/10
Casa comune europea, idea di ancorare il paese alla nuova costruzione europea: Gorbačëv si rende
conto che il superamento del contesto della Guerra fredda e della relativa contrapposizione tra
blocchi richiede un’alternativa di collaborazione fino a possibile integrazione. La cosa inizia con un
cenno a questa possibilità che Gorbačëv fa in Inghilterra e che trova disponibilità presso la Thatcher
e presso governi socialisti e socialdemocratici come Francia, Danimarca, Spagna ecc. Questo si lega
alla disgregazione sovietica in modo indiretto: nel momento in cui l’URSS si propone di collaborare
con la Comunità europea, riconoscendo principi di leale cooperazione, ricerca della pace ecc., è
chiaro che alcuni atteggiamenti ormai tipizzati del Patto di Varsavia e dell’URSS nei confronti del
campo socialista dell’Europa orientale non erano più praticabili e lo sarebbero stati sempre meno.
Questo determinò che le protesta montanti in diversi paesi dell’Europa orientale non potevano più
essere gestite come in passato dai governi locali e con il tacito consenso ed intervento sovietico.
L’accordo tra CE e COMECON, sia nel 1988, e tra 88 ed 89 cadono tutti i governi socialisti dell’Europa
orientale. È chiaro che il cambiamento radicale negli equilibri dell’Europa orientale non è
determinato solo dalla passività sovietica, ma anche da un atteggiamento occidentale che l’URSS,
vista appunto la sua passività, non è più in grado di contrastare. Si allenta e si annulla la censura e il
controllo e quando paesi che si rifanno all’URSS vi si rivolgono, non vengono più aiutati. Questo ha
anche delle ripercussioni evidenti e dirette sugli equilibri di questi paesi, ma anche delle ripercussioni
indirette nell’equilibrio interno sovietico perché cresce la tensione in una parte consistente del
partito contro Gorbačëv. Il quale accetta un’ipotesi prima scartata: la creazione della figura del
Presidente dell’URSS; fino a questo momento l’equivalente del capo di Stato è il Presidium del soviet
supremo e poi il Segretario Generale. Gorbačëv nel ‘86/’87 aveva rifiutato, ma poi su spinta dei
collaboratori, accetta la creazione di questa nuova figura. È lo stesso Comitato Centrale che propone
Gorbačëv per ottenere questa carica che quindi diventerà il primo ed ultimo Presidente. Assumendo
le funzioni di Presidente, però, viene depotenziata la figura del Segretario generale e questo avrà
conseguenza nefaste; da leggere in combinato con l’abolizione dell’articolo 6 della costituzione che
metteva il partito al centro della vita sovietica.
Riforma costituzionale: l’istituzione della presidenza dell’URSS apre la pagina della riforma
costituzionale. Queste riforme creano una situazione di tempesta perfetta: viene creata la
Presidenza dell’URSS, viene avviata la Glasnost, viene riformato il ruolo del partito, ovvero si
perdono gli elementi comuni che avevano tenuto indifferentemente i popoli sovietici ed emerge
la questione russa.
Finora, infatti, la Russia non è stata quasi mai accennata, nonostante sia chiaramente il centro
sovietico. Le Iniziano ad esserci movimenti nazionali russi nella RSFSR, i cd russisti, dei nazionalisti
che cominciavano a lamentare il supposto bistrattamento riservato alla Russia. Finora c’era stata una
totale sovrapposizione tra Russia ed URSS e questo aveva portato, secondo i russisti, ad un
progressivo annullamento delle identità e delle prerogative dei russi come nazione rispetto alle altre
componenti. Un ruolo molto importante nel terremoto che si sta preparando lo avranno proprio le
rivendicazioni di una parte della classe dirigente della RSFSR che recupererà una parte degli
argomenti dei russisti, fortemente perseguitati da Andropov avendo capito il potenziale esplosivo di
queste rivendicazioni. Dopo Andropov, i russisti riprendono vigore e sottolineano la
sottorappresentazione russa: delle 15 repubbliche solamente due avessero una bilancia
commerciale interna attiva, ovvero la RSFSR e la Bielorussia; tutte le altre erano “dotazioneje”,
ricevendo contributi dall’esterno. Era la RSFSR che praticamente pagava i conti delle repubbliche; la
Russia era diventata “donor”, donatore di tutte le repubbliche. Questi esponenti nazionalisti
dell’RSFSR allora sottolineano come si vivesse peggio in regioni interne della Russia che in città di
altre repubbliche poiché le risorse interne venivano utilizzate per le altre repubbliche. Le
rivendicazioni di questi russisti si impersonificano in El’ Cin, presidente della RSFSR, il quale
progressivamente viene a porsi come alter ego fondamentale di Gorbačëv.
Gorbačëv, fin dal 1990, e ancor più dalla primavera del 91, è impegnato nel progetto di una riforma
costituzionale che tenga conto delle specificità nazionali, delle esigenze di equilibrio con le realtà
occidentali e al mantenimento dello Stato unitario, ma con concessione di autonomia maggiore alle
repubbliche. Tuttavia, ci sono proteste da parte dei russisti e, in parallelo, cominciano ad emergere
movimenti nazionali anche in alcune repubbliche nell’URSS: nei baltici, in Georgia e, in misura
minore, in Ucraina. Questi cominciano a fare un tale baccano da porre in dubbio l’URSS: si organizza
un referendum per il mantenimento dello Stato unitario, ma non viene svolto in tutte le repubbliche,
viene deciso dalle singole repubbliche e questo per il centro dovrebbe essere un campanello
d’allarme. Il referendum viene svolto in nove repubbliche: si ipotizza di togliere l’aggettivo
“socialiste”, mettendo “sovrane”, mantenendo la dicitura “sovietiche”. Nella RSFSR i “sì” sono più del
70% e se si paragonano ai risultati interni si vede come i centri che erano per più alta percentuale
per il “no” erano Mosca e Leningrado. I baltici, Armenia, Georgia e Moldavia non vollero farlo. Vince
quindi il mantenimento dello Stato unitario, perciò Gorbačëv procede con il suo programma di
riforma: il cd programma di Nova Ogarevo che dall’aprile all’agosto 1991 avrebbe previsto la
costituzione di uno stato federale con ampie autonomie in capo alle repubbliche, ma con le politiche
fondamentali in mano al governo centrale (politiche monetarie, doganali, estera ecc.).
Questione della divisione del lavoro: al di là delle infrastrutture fisiche, quando viene costituito il
COMECON (contrapposto al piano Marshall) viene fuori il piano Molotov che prevedeva la
trasposizione in tutto il campo socialista del modello basato sulla specializzazione delle singole
repubbliche in singoli comparti del sistema produttivo.
Il 19 agosto 1991 c’è il proclama della cd GKCP: gli oppositori di Gorbačëv decidono di passare
all’azione perché ormai considerano la linea del Presidente definitivamente prospettata verso la fine
dell’URSS e lo accusano di essere un traditore dell’URSS. Allora, mentre Gorbačëv, impegnato nella
bozza di riforma, è lontano da Mosca, un gruppo formato dal vicepresidente, dal Ministro della
Difesa, dal presidente del KGB, dal primo Ministro e altri decidono di estrometterlo (in quel momento
è in villeggiatura in Crimea, a Foros). Vengono interrotte le trasmissioni e viene affermato che
Gorbačëv non può più essere Presidente per motivi di salute, il comitato prenderà i suoi poteri per
salvare l’URSS. Chi si oppone decisamente è El’ Cin e, nel momento in cui questo comitato (GKCP) ha
disposto l’armata rossa, El’ Cin sale su un carro armato e disconosce questo comitato, appoggiando
(faziosamente) Gorbačëv. È un colpo di stato molto curioso: Gorbačëv non viene toccato, nessuno
gli fa del male; vengono dispiegate le truppe, ma non ci sono arresti di massa, i mezzi di informazione
non vengono presi ecc. è una presa un po’ goffa. Tutta questa faccenda dura poco perché i moscoviti
cominciano a protestare ed i militari solidarizzano con i protestanti e i cd golpisti vanno da Gorbačëv
facendo marcia indietro. Gorbačëv torna a Mosca, riprende il potere riassumendo le funzioni, ma il
golpe ha comunque dato una spallata a tutto l’impianto e allo spirito della fattibilità della riforma
costituzionale, sovreccitando gli animi di El’ Cin e dei suoi compagni desiderosi di avere una sovranità
russa. Putin, quando diventerà Presidente non presenterà nessun conto a coloro che erano vicini ad
El’ Cin, ma questo non significa che Putin apprezzasse l’operato del predecessore, che invece è stato
sempre indicato come una iattura.
Il ritorno sembra andar bene; a Nova Ogarova si riuniscono i rappresentanti di molte repubbliche e
confermano con Gorbačëv che il compromesso è stato trovato e ci si prepara alla riforma.
In Bielorussia si svolge un incontro pianificato tra El ’Cin e il presidente bielorusso per discutere di
aiuti, scambi commerciali; per non far sembrare che facessero tra di loro, hanno invitato anche il
presidente Ucraino. Non era in programma di parlare di unione, ma una fonte dice che durante
questo incontro El’ Cin è stato in costante contatto con la Casa Bianca. Questi tre firmano una
dichiarazione in cui, come fondatori dell’URSS del 1922, RSFSR, Ucraina e Bielorussia dichiarano
cessato l’accordo del 1922, sancendo sostanzialmente la fine dell’URSS. Cosa è successo negli incorni
precedenti? Si è aperta drammaticamente la questione Ucraina: un URSS senza Ucraina non poteva
esistere; quindi, Gorbačëv chiede a El ‘Cin di intervenire presso il presidente ucraino convincendolo
di aderire alla nuova unione; il presidente ucraino si mostra critico e El’ Cin se ne felicita → senza
l’Ucraina, non c’è URSS, senza URSS, non c’è il Presidente dell’URSS. In questo modo si capisce come
è concatenato il processo di decostruzione sovietica: togli il ruolo del partito, depotenzi il peso del
segretario del partito a favore di un’altra carica evanescente. Si va ad ALMATA in Kazakhstan, dove ai
tre firmatari se ne aggiungo altri nove e qui viene fuori Comunità Indipendenti Alleate, viene meno
il grande progetto di Gorbačëv. È un’indipendenza che alcuni prendono con grande riluttanza, a
cominciare da Nazarbayev. Queste realtà, mai state indipendenti, si trovano a dover costruire stati
indipendenti di cui mai avevano fatto esperienza, trovando difficoltà incredibili. Dovevano inventare
tutto da zero. Inoltre, c’è la questione nazionale: come reagiranno queste componenti? Questi paesi
ottengono l’indipendenza sulla base del mantenimento di quei legami precedenti di cui ha parlato
prima.
11/10 Dinamiche 7
Si capisce subito che questa comunità di Stati indipendenti è un’organizzazione fragile; è stata ormai
archiviata ogni ipotesi federale con invece la creazione di questa organizzazione regionale che però
non ha nessuna struttura politico-istituzionale. Il 25 dicembre 1991 Gorbačëv annuncia in televisione
la fine dell’URSS e il suo rimpiazzo di questa comunità indipendente. Già a partire dal 1992 ci si
accorge degli enormi problemi gestionali che ha questa entità: come dividere l’esercito? L’arsenale
nucleare?
Inoltre, c’erano grandi centri di ricerca nucleare: esistevano in URSS 47 città segrete, le cd. ZATO,
dove vivevano moltissimi scienziati e si trovavano testate nucleari. In URSS, gli scienziati erano sotto
il totale controllo del governo e, con la creazione di queste città segrete (iniziate ad essere costruite
nei primi anni 50), vennero messi lì. Si tratta di città non segnate sulla cartina ed ancora ai tempi di
El’ Cin se ne negava l’esistenza e i primi giornalisti poterono andare negli anni 90 (Putin chiuse
nuovamente a questa possibilità).
Poi ovviamente ci stava la questione del grande debito pubblico: l’URSS si era indebitata moltissimo
con i paesi dell’Europa centro orientale, per finanziare i paesi del terzo mondo ecc.: che destino
avrebbe avuto la banca di stato sovietica e il rublo? La federazione Russa si accollò tutto il debito
sovietico e tutte le spese di mantenimento dei soldati che stavano ancora rientrando dall’Afghanistan
e anche il grande patrimonio nucleare sovietico. Avere un arsenale era molto costoso, quindi le ex
repubbliche non volevano averlo, così le armi nucleari fecero rientro nel territorio della Federazione
Russa. In particolar modo, con l’Ucraina venne firmato nel 1994 il Memorandum di Budapest sulla
base del quale l’Ucraina restituiva alla Federazione russa tutte le armi sul proprio territorio e le
riconosceva l’affitto per 40 anni di Sebastopoli, luogo in cui era dislocata la flotta sovietica (insieme
a Vladivostock); in cambio i russi riconoscevano l’indipendenza e l’integrità territoriale degli ucraini.
Tutte le repubbliche vengono ammesse all’ONU, alla CSCE, nel 1992 al FMI, ma solo una poteva
sedere al consiglio di sicurezza e questa fu la Federazione russa.
Subito dopo, nel 1991, ci si rese conto di quanto fragili erano i rapporti fra queste repubbliche: c’era
una situazione di forte destabilizzazione in Georgia che rallentò l’ingresso di quest’ultima nella
comunità degli stati indipendenti; poi c’era in corso il conflitto nel Nagorno Karabakh. La zona del
Nagorno Karabakh era a prevalenza armena, ma quando ci fu la divisione dei territori per
l’indipendenza, venne dato all’Azerbaijan. Sin dal 1988 c’erano stati i primi problemi, ma non era
ancora sfociato in un conflitto armato. Tra il 1991 e il 1994 ci fu una guerra civile tra armeni e azeri
che vivevano nella regione, ovviamente aiutati dai rispettivi governi. Nel 1994 si arrivò ad un “cessate
il fuoco”, con il Nagorno Karabakh che fu proclamato una repubblica indipendente, non venendo
però riconosciuto da nessuno, eccetto che dai russi che mandarono forze di peace keeping. Il
conflitto rimane congelato fino al 2020, con una parte del territorio ripresa dagli azeri; torna a
congelarsi per poi riprendere gli scontri tra agosto e settembre 2023.
Contemporaneamente, c’è una fortissima crisi in Georgia: Abkhazia e Ossezia del sud create ad hoc
per infastidire ed indebolire la Georgia ed entrambe si sentivano più russe che georgiane. Tra il 1991
ed il 1994 anche qui ci fu una guerra civile tra ossetini, abkhazi e georgiani (ossetini volevano entrare
nella federazione russa e abkazi volevano un piccolo stato indipendente). Alla fine, nel 1994 venne
firmato un cessate il fuoco e la situazione rimase sospesa: formalmente tornavano ad essere
repubbliche autonome della Georgia, ma nella sostanza ossetini e abkhazi fingevano indipendenza;
si arriva quindi ad una situazione molto ambigua soprattutto in Ossezia.
Nella Federazione russa c’erano dagli 87 agli 89 soggetti federati, con una diversa rilevanza. C’erano
repubbliche autonome; poi c’erano le regioni, le provincie, le regioni autonome e le città di
importanza capitale: Mosca e San Pietroburgo. Ciascuno di questi soggetti aveva un diverso rapporto
con il centro, almeno sulla carta. Il problema del federalismo non darà poco filo da torcere a El ’Cin.
Nella storia imperiale russa e in quella sovietica c’era stato un grande rimescolamento di popolazioni.
Dallo stato kieviano al 1991, avevano circolato in questi territori tantissimi popoli diversi. Stalin, dopo
l’arrivo di Hitler al potere, individuava categorie di persone da imprigionare o deportare a seconda
delle caratteristiche e dopo il 33 una delle caratteristiche fondamentali erano le nazionalità. Ad
esempio, sul Volga era presente una vastissima comunità tedesca insediatasi ai tempi di Caterina la
Grande (lei era tedesca) e la stessa cosa era successo in Crimea con gli italiani; per Stalin i tedeschi
avrebbero potuto collaborare con Hitler di attacco e stessa cosa fu fatta con gli italiani, che vennero
spostati in siberia. Quando finì la grande esperienza sovietica, si trovarono a vivere al di fuori della
propria repubblica di appartenenza oltre 40 milioni di persone, 15 ritornano nella propria repubblica
e 11 di queste nella Federazione russa e gli altri 4 nelle altre repubbliche. Oltre 25 milioni di russi
rimangono comunque in altre repubbliche. Fra il 1989 e il 2002 si spostarono circa 15 milioni di
persone. Ci sono alcuni casi particolari da sottolineare: l’Armenia era stato ed è rimasto un paese
molto omogeneo anche nello spazio post-sovietico, a causa di una caratteristica: durante l’epoca
sovietica non aveva grande rilevanza economica, non c’erano infrastrutture importanti ed era
circondata da alte montagne →c’era stato molto poco movimento. In Lituania, c’era stato meno
rispetto a Lettonia ed Estonia il trasferimento di russi: la Lituania aveva pochi russi. Altro caso
particolare è il Tagikistan: ci fu una forte guerra civile agli inizi degli anni ‘90 e questo portò all’esodo
di molti milioni di russi che abbandonarono subito il paese.
Negli anni ‘90 non c’era certo spazio per preoccuparsi di queste minoranze russe all’estero. Questo
diventerà un leitmotiv ricorrente durante l’esperienza di Putin che, soprattutto dopo l’elezione del
2012 con la penultima presidenza, comincerà il mantra della difesa di queste minoranze russe
all’estero. Una politica del genere significa mantenere un grado di controllo sul paese in cui esse
vivono. Inoltre, mantenere tali legami può diventare uno strumento importante per un futuro ed
eventuale rientro in patria di questi cittadini, contrastando la crisi demografica che la federazione
sta vivendo dagli anni ‘90 (oggi si sta rispondendo con una forte immigrazione dai paesi centro
asiatici). Quindi, le due vere ragioni sono: influenzare la repubblica in cui la minoranza russa vive,
mantenere forti dei legami al fine di contrastare il calo demografico. Nel 2014, con l’annessione della
Crimea, è stata fatta una nuova legge sulla cittadinanza per i russofoni dello spazio postsovietico:
tutti i russi che non vivono in Russia hanno la possibilità di ottenere velocemente la cittadinanza
russa. La Russia di Putin si mantiene ancor oggi un paese multietnico.
Nel 1992, El Cin si trova automaticamente presidente della nuova Federazione russa e ovviamente
si ritrova a governare con gli stessi organi dell’URSS. Ha attorno a sé un gruppo di personaggi che si
erano affiancati alla sua linea politica già negli anni precedenti; quindi, c’è una forte continuità tra
vecchia e nuova nomenclatura (sinistra radicale del vecchio partito).
El Cin deve prendere tre grandi decisioni:
1. Cosa fare istituzionalmente? La cosa pubblica viene ancora gestita dai vecchi organi di stampo
sovietico. Nel 1992, El ‘Cin affidò ad una commissione ad hoc l’elaborazione di una nuova
costituzione, creando moltissimo malcontento. Nell’ottobre 1993, El Cin presentò la nuova
costituzione e il malcontento sfociò in un tentato colpo di stato nell’ottobre ‘93, portato avanti da
due personaggio dell’ex partito. Era una carta dall’impronta fortemente presidenzialista che
riconosce al presidente poteri enormi, nonché il diritto di crearsi una equipe di collaboratori
estesissima e che costituiscono una sotta di governo nel governo → un aspetto molto sfruttato sia
da El ‘Cin che da Putin nella gestione del potere.
2. Cosa fare dell’economia? El Cin e i suoi avevano davanti due scelte: un socialismo di mercato,
quindi una sorta di vecchia NEP di origine leninista, dove la grande industria, le infrastrutture erano
in mano allo stato, mentre le attività secondarie andavano in mano ai privati; la seconda era il
passaggio al libero mercato e purtroppo la scelta fu questa. Da un lato portò alla casta degli oligarchi
nonché, dall’altro un impoverimento fortissimo del paese. La casta degli oligarchi nacque grazie alla
necessità di distribuire il patrimonio sovietico: furono stampati moltissimi voucher da immettere sul
mercato e che tutti dovevano poter comprare, finanziando il recupero del patrimonio sovietico e
ritrovandosi nuovamente proprietari di ciò che prima avevano in quanto comunisti. Ci fu pochissima
pubblicità e questi voucher furono razziati sul mercato da coloro che avevano moltissimi soldi da
parte e così persone che fino a quel momento aveva avuto privilegi si trovò padrona di immense
fortune. Nasce la classe degli oligarchi, di cui El Cin stesso diventerà vittima. La Russia da qui ebbe
talmente tanti problemi da uscire totalmente dalla scena internazionale. Totale passività rispetto
all’occidente. Negli anni successivi le condizioni rimasero più o meno queste; El Cin divenne sempre
più alcolista, venendo sempre più ricattato dagli oligarchi, in quanto erano i gestori di televisioni,
radio ecc. che lo mantenevano al potere.
3. Come gestire il federalismo? Una repubblica comincia a ribellarsi: la Cecenia. Questa repubblica
faceva parte del Caucaso del sud, la cui conquista era iniziata con Pietro il Grande, ma i popoli del
Caucaso del nord avevano opposto una strenua resistenza per oltre 140 anni, infatti fu presa solo nel
1840-1850. Fra i popoli più avversi alla presa russa c’erano i ceceni, organizzati sottoforma di clan.
Con l’esperienza sovietica, Stalin nel 1944 aveva preso in massa i ceceni e gli Ingusci e li aveva
deportati: fra i 400 e i 500 mila ceceni erano stati trasferiti in Kazakstan, temendo che potessero
finire con il collaborare con i tedeschi a causa della loro avversione nei confronti del potere di Mosca.
A questo punto, nel 1956 Kruscev aveva disposto la chiusura del gulag, liberando milioni di detenuti
e nel 1958 aveva fatto una legge con cui stabiliva il diritto dei popoli deportati al ritorno nelle loro
terre d’origine. Dunque, i ceceni deportati (o i discendenti) tornarono a casa, trovando le case
occupate, i lavori sostituiti ecc., ma riuscendo con il tempo a reintegrarsi. Non si sentirà più parlare
di ceceni per anni, ma nel 1991 viene fuori la notizia che i ceceni si sono ribellati, dichiarando
l’indipendenza guidati da un ex generale dell’aviazione sovietica, Dudajev. L’indipendenza cecena era
un problema immenso: non si trattava del piano federale sovietico, qui si trattava della sopravvivenza
stessa della Russia perché, se le repubbliche autonome della vecchia RSFSR avessero chiesto
l’indipendenza, la Russia si sarebbe sfaldata. Ne nacque una situazione folle: El Cin aveva tutti questi
problemi e non aveva la forza di intervenire contro la Cecenia; quindi, fino al 1994 si fece finta di non
sapere nulla, nessuno aveva dato loro l’indipendenza e quindi Mosca si proteggeva dietro a questo.
Inoltre, c’erano problemi anche con le altre repubbliche: l’unica repubblica che ebbe il coraggio di
dichiararsi indipendente fu la Cecenia, ma anche le altre avevano pretese assurde; il Tartastan fece
un accordo con Mosca secondo cui il Tartastan era autonomo sotto il profilo della politica estera,
una contraddizione rispetto al concetto di federazione. Siamo nel periodo del “etnofederalismo”,
cioè il concedere il più possibile alle singole repubbliche per tenersele buone. La situazione in
Cecenia rimase congelata fino al 1994, quando El Cin mandò l’esercito. Questa guerra ebbe
caratteristiche particolari: fu combattuta malissimo dall’esercito, erano combattimenti in mezzo alle
montagne. Poi, i confini vennero lasciati aperti e i giornalisti ecc. cominciarono a denunciare quanto
avveniva. Dopo due anni, si arriva all’armistizio, con la firma di un trattato di assicurazione secondo
cui le parti in causa avrebbero deciso sul da farsi. Era una guerra indipendentista, laica. La seconda
guerra cecena fu fatta da Putin. Diverso fu il discorso dopo il 1996, con la guerriglia cecena che
cominciò ad essere infiltrata da personaggi legati all’islam radicale, come un personaggio come Al
Khattab, e quindi la natura del conflitto si diresse verso l’islam.
Lezione Giannotti
Politica estera, individuazione di elementi di continuità e discontinuità rispetto al periodo sovietico
El ‘cin è stato il motivo della cesura. Analizziamo due punti: la Federazione russa viene riconosciuta
come stato erede dell’URSS, il che significa che la Federazione russa subentra nel seggio permanente
al cds che viene ingaggiato un negoziato con alcuni tranquillo, ma con altri grottesco per le sedi
diplomatiche sovietiche all’estero. La Russia prende anche dei passivi, come il debito estero
dell’URSS, finendolo di pagare nel 2013.
Rispetto al periodo di Gorbačëv, quali sono i punti di continuità? El Cin prosegue sulla linea di
Gorbačëv puntando ad accreditare la Federazione russa e il suo Presidente come interlocutore e
partner del mondo che conta, dell’occidente. A chi guarda? Perché partner? C’è un punto di
sostanziale immutabilità della percezione russa nel bene o nel male: l’URSS prima, e la Federazione
russa poi, focalizzano l’attenzione sugli USA; si dice occidente (“collettivo”), ma si guardano gli USA
con speranza. In Europa, vengono al di là delle intenzioni privilegiati rapporti di carattere bilaterale,
ma vengono molto sviluppati rapporti bilaterali con alcuni paesi in particolare: Germania, Italia,
Francia. La Germania è al vertice per vari motivi: è la potenza industriale centrale d’Europa, di cui
l’industria russa ha bisogno per ottenere tecnologia e alla quale la Russia si rivolge per fornire
materie prime - la Germania ha un’industria pesante che consuma moltissima energia in termini di
idrocarburi e materie prime, quindi deve importare moltissimo -; seconda ragione: in Russia, fin dal
700 c’è una significativa minoranza tedesca; terza ragione: una ragione figlia degli accordi violati fra
Khol e Gorbačëv; la riunificazione tedesca degli anni ‘90 è stata resa possibile dalla non opposizione
sovietica → l’accordo raggiunto a suo tempo per l’unificazione prevedeva che la Germania avrebbe
pagato molti soldi all’URSS; poi, che la Germania avrebbe pagato per il trasferimento nell’URSS degli
oltre 400mila soldati sovietici stazionati nella repubblica. Oltre a questo, la Germania, nell’incontro
che era avvenuto nel Caucaso Khol si era impegnato con Gorbačëv a non far stabilire infrastrutture
militari NATO sul territorio della ex DDR e ovviamente questo chiaramente non è avvenuto, ma di
fatto l’ex DDR sarebbe dovuta rimanere la frontiera orientale della NATO. Rispetto agli altri paesi
dell’occidente, i tedeschi avevano una parte della propria classe dirigente che aveva avuto rapporti
con l’URSS. La ricerca della partnership è un vulnus della politica estera elciniana. Ma che significa
andare a ricercare la partnership? E’ importante citare l’incontro tra l’ex ministro degli esteri (con El’
Cin) Kozyrev e Nixon: Nixon chiede quali siano le dinamiche di politica estera e l’interesse nazionale
della nuova Russia; il ministro risponde che l’interesse nazionale è una categoria riconducibile
all’esperienza sovietica e che la nuova Federazione russa vuole lasciarsi alle spalle, ma si accettano
consiglio per definirlo eventualmente; Nixon rimane molto scosso: un attore del genere che non sa
quale sia il proprio interesse nazionale diventa molto molto pericoloso. In questo rifiuto verso tutto
quello che è riconducibile al periodo sovietico è da considerare il rapporto con le ex repubbliche
sovietiche, quello che viene chiamato Bliznee zarubeze: estero vicino. È una categoria particolare
con cui vengono classificate le nuove repubbliche già parte dell’URSS. Si tratta di repubbliche
indipendenti, ma che non possono essere assimilate al Perù, per esempio, o all’Irlanda: per la Russia
il Kazakhstan è un’altra cosa. Tuttavia, nel tempo di El cin la tensione verso questo estero vicino è
molto molto limitata nella pratica. La Russia non aveva interesse al mantenimento di questi rapporti
a quanto pare. Ormai sono però stati indipendenti, ma quando viene fuori uno stato non si tratta
solo di risolvere quegli enormi problemi individuati ieri, ma serve anche consolidare e creare
un’identità nazionale nuova, separata. Per farlo, serve quindi recuperare tutti gli elementi di una
ipotetica o reale storia presovietica, la lingua, ecc. I rapporti nell’esterno vicino cominciano ad
allentarsi. Dagli anni ’90 i rapporti tra la Federazione russa e l’estero vicino danno segni di
allentamento, in primo luogo, per mancato impegno della Federazione russa. I singoli Stati
dell’estero vicino iniziano quindi a seguire linee proprie. Ad esempio, la Moldavia comincia a stabilire
rapporti crescenti con la Romania e da lì con il resto dell’Europa orientale e quindi la futura UE.
L’Azerbaijan, la Turkmenia, il Kazakhstan, hanno più possibilità, essendo ricchi di risorse, di andare a
cercare partner nuovi e talvolta questi partner risultano essere concorrenti della Russia perché,
soprattutto questi stati centro-asiatici, quando hanno a che fare con l’Asia si rendono conto che non
si trovano bene (hanno una mentalità diversa), idem con il mondo musulmano. Esempio ulteriore:
la Turkmenia: in Afghanistan arriva una guerra civile terribile che si conclude con la fuga dell’ultimo
presidente afghano Najibullah che si rifugia nella sede dell’ONU a Kabul dal 92 al 96; l’Afghanistan
aveva creato problemi ai paesi confinanti e garantire la sicurezza delle loro frontiere era di interesse
della stessa Federazione russa → tutto ciò ha risvolto anche su piani ulteriori, al di là dell’estero
vicino: ecco la passività di Mosca. Nelle condizioni in cui si trovava, la Russia non aveva la forza, o la
volontà, di essere conseguente con il seggio che occupa nel CdS. Un assaggio di questo si era avuto
con la crisi del golfo (non vi partecipano Harafat e il re di Giordania); la Russia fa un tentativo di
pacificazione: manda Primakov a Baghdad e poi in diverse capitali occidentali per cercare di evitare
l’attacco militare ed avviare una negoziazione. Gli sforzi di Primakov erano appoggiati di Cossiga ed
Andreotti (Primakov era un arabista, conosceva tutti i leader), ma il tentativo fallì a causa della
debolezza dell’URSS in quel momento. Il disinteresse in quel caso fu anche da parte tedesca. Questa
era stata un’avvisaglia di questa transizione russa, e non era ben augurante. La faccenda si fa ancor
più grave e palese nell’ambito della crisi Jugoslava, all’epoca una specie di piccola unione sovietica.
Era una realtà multinazionale, multireligiosa, multilinguistica in cui c’era, seppure in diverse
proporzioni, una componente più numerosa, quella serba, e che era sparpagliata non solo nella sua
repubblica titolare, ma in tutte. Le altre repubbliche iugoslave. Ad un certo momento, Slovenia e
Croazia si proclamano indipendenti spalleggiati dalla Germania appena riunificata. La Germania
pone un ricatto ai partner europei: chiede che riconoscano questi due nuovi stati in assenza di questo
riconoscimento essa non avrebbe firmato i trattati di Maastricht. A questa indipendenza si opponeva
la Serbia, che si riteneva la vestale della federazione iugoslava e di rimbalzo la Russia si sarebbe
dovuta opporre (nell’idea serba). Invece, la Russia di El Cin non solo non si oppone, ma arriva a
riconoscere l’indipendenza di questi paesi insieme agli europei e prima degli americani. L’opinione
pubblica russa, rispetto a questa questione, aveva ed ha un’idea totalmente diversa rispetto ad El
Cin. La condizione fu questa a causa debolezza interna e per il non voler neppure dare l’idea di
contrapposizione. Lo stesso dicasi per processi di democratizzazione dell’Europa orientale.
Altro aspetto: abbiamo parlato delle grandi privatizzazioni. Un TRUST è un istituto di diritto privato
che prevede un rapporto triangolare tra un settelor (disponente), un trustee (mandatario) ed un
beneficiario; questo trust prevede che il disponente prende un suo patrimonio e lo conferisce al
mandatario in proprietà, ma con il vincolo di gestirlo nell’interesse di un altro. Nel diritto
anglosassone ci sono moltissimi trust diversi, mentre in Italia non ne abbiamo, se non il
riconoscimento di un trust estero. In Russia ci sono tre personaggi: Burbulis, Gaidar e Tchuvais; questi
organizzano la privatizzazione e lo fanno stimando il patrimonio industriale russo e viene diviso per
gli abitanti della Federazione russa. Poi, vengono stampati i voucher e vengono distribuiti secondo
questa stima. Finora però gli abitanti hanno vissuto una realtà comunista, un sistema totalmente
diverso: non c’è mentalità speculativa e a questo si aggiungono le gravissime difficoltà economiche
della popolazione. Si istituisce allora un trust e quelli che avevano mentalità e soldi necessari (ex
dirigenti delle fabbriche ecc.) cominciano a rastrellare questi voucher, diventando proprietari.
Succede che anche all’interno del gruppo dirigente di El Cin si comincino ad avanzare delle riserve,
la Russia si sta immiserendo anche sul piano internazionale e questi fatti iugoslavi ne sono la
quintessenza, le condizioni della popolazione sono pessime: cala l’aspettativa di vita media che arriva
ai 50/60 anni, aumenta la mortalità.
El cin si rende conto che si dovrebbe fare qualcosa e una delle soluzioni potrebbe essere due punti:
1. Questione allargamenti NATO: nel corso degli anni 90, la NATO si espande in Polonia, Repubblica
Ceca e Ungheria e ci sono negoziati per Slovacchia, Romania, Bulgaria e le tre repubbliche baltiche.
La Russia non si è veramente frapposta: c’era l’idea di fare tutto per dimostrarsi amici. Avevano
smantellato il Patto di Varsavia, hanno fatto riforme economiche che hanno trasformato l’economia
in una economia di mercato, una carta presidenzialista sul modello occidentale ed anche accettato
lo sfaldamento balcanico. La Russia non si spiega come mai gli USA non la rispettano come vorrebbe.
Negli anni ‘90 la Russia si comporta così finché non si rende conto che gli USA dispensano consigli,
ma non hanno alcuna intenzione di avere un rapporto di parità con la Federazione russa, come
invece c’era nei fatti con l’URSS. Questo lo dimostra la cd dottrina Wolfowitz, esponente del partito
repubblicano che insieme ad altri enuncia una linea che avrebbe dovuto definire la linea USA nel cd
unipolarismo. Cioè, una dimostrazione ulteriore del fatto che nessuno si proponeva di essere al pari
della Federazione russa, ma si ragionava sugli interessi usa in ottica unipolare. La partecipazione
russa nelle situazioni come la Iugoslavia è solo da compartecipe, mentre al tempo sovietico URSS e
USA avrebbero deciso insieme, mentre ora sono gli USA che decidono e la Russia si accoda. La linea
di El cin è troppo arrendevole secondo alcuni, e Kozyrev viene sostituito da Primakov.
17/10
Nel 1996 ci sono le prime elezioni presidenziali dopo la caduta dell’URSS, ovviamente con la
partecipazione di El ‘cin; lui ha governato fino al ‘93 con gli organi di Stato sovietico e poi ha
governato ad interim fino a questo momento. Il suo entourage in questi anni si impegna per
riesumare la sua credibilità, in declino per le difficoltà economiche e per l’instabilità cecena. Gli
oligarchi a lui vicini, grazie ai mezzi di comunicazione cercando di metter su una campagna
propagandistica di ampio respiro, usando molti soldi del FMI che invece avrebbero dovuto essere
investiti a favore dell’economia del paese, ma nei fatti sono stati rastrellati da Guzinskij e Berezovskij,
(fra quelli poi maggiormente perseguitati da Putin, con il primo che fuggirà in Israele e il secondo a
Londra). Erano personaggi di grande spicco e aiutarono moltissimo El cin che alla fine riesce a vincere
e con un rimpasto di governo riesce nei primi due anni a risollevare un po’ il paese. Nell’estate 98
però una grande crisi sconvolge le cd tigri asiatiche che avevano conosciuto negli ultimi 20 anni una
crescita economica impressionante e in questo periodo la Russia aveva investito in queste economie
con i risparmi dei consumatori. Il crollo delle tigri ebbe un grande contraccolpo sull’economia russa
che entrò nuovamente in grande crisi. Qui si capì che El cin non governava più la situazione e, infatti,
nell’agosto ‘99 ci fu un nuovo rimpasto di governo e questa volta fece capolino sulla scena un
personaggio che poi è rimasto costante nella scena politica russa: Vladimir Putin diventa Primo
Ministro. Chi è Vladimir Putin? Nell’entourage moscovita è poco noto, è un ex colonnello del KGB e
ha lavorato molto negli anni ‘80 nella Germania orientale e spunta un po’ dal nulla; molti ritengono
che quindi non sia lui il vero delfino di El’ cin, ma una figura transitoria che poi verrà sostituita. Così
non sarà: diventa primo ministro nell’agosto 99, e in contemporanea si riapre la questione cecena e
lui riuscirà stavolta magistralmente a risolverla nel giro di pochi mesi (in ottobre) e questo gli porterà
grande attenzione e rispetto da parte di opinione pubblica ed establishment. Quando a dicembre El
‘cin si dimette Putin diventa Presidente ad interim, come previsto dalla costituzione. Le elezioni
successive si tengono nel marzo 2000: le prime elezioni libere che lo vedono protagonista. Putin
passa al primo turno con il 53% dei voti.
Tornando alla politica estera russa degli anni ‘90:
1) I rapporti con l’Ue;
2) La dottrina Primakov;
Soprattutto nella prima fase di El cin, con al ministero degli esteri Kozyrov che resta dal 1991 al 1996,
la politica russa è molto filoccidentale: grandi rapporti con gli USA, partner privilegiato attraverso il
quale ci si ingraziano FMI e Banca Mondiale per avere finanziamenti. Per confermare questa buona
volontà, El cin fa mosse concrete: nel 1992 viene rinegoziato un accordo già firmato nel 1990, subito
dopo la riunificazione tedesca: era il trattato per la riduzione delle forze armate convenzionali in
Europa, firmato dai paesi NATO e quelli del patto di Varsavia, prevedeva limiti alle armi convenzionali
e alla costruzione di tali armi, oltre che a limiti per la costruzione di armi particolari. Proprio mentre
i paesi che lo avevano firmato lo stavano ratificando, l’URSS era scomparsa; quindi, si è riaperto il
negoziato per dare occasione alle 15 repubbliche di partecipare. La firma arriva dunque nel 1992 e
alcuni paesi ex URSS, fra cui la Russia, lo firmarono → questo accordo nell’arco di 3 anni portò allo
smantellamento di 50.000 mezzi pesanti. Questo accordo sembrò far iniziare gli anni ‘90 sotto ottimi
auspici e sembrò il primo passo per raggiungere altri accordi sugli armamenti. Tuttavia, nel ‘99, con
grande sorpresa dei russi, la NATO cominciò ad allargarsi. Ovviamente fu una sorpresa molto
spiacevole, coincidente con il passaggio da El cin a Putin. Questo allargamento del ‘99 vede la
Polonia, la Cechia (divisa dalla Slovacchia dal 1993) e l’Ungheria; nel 2004 si allarga ai baltici (Estonia,
Lettonia e Lituania), alla Bulgaria, Romania, Slovacchia e Slovenia. Nel 2009 è entrata l’Albania e nel
2020 anche la Macedonia. A peggiorare le cose sarà il Summit di Bucarest del 2008 in cui Bush (figlio)
annuncia che dopo il grande allargamento del 2004 la NATO avrebbe potuto iniziare a guardare verso
Moldavia, Ucraina e Georgia: un enorme problema per i russi, sia dal punto di vista strategico che
sul fronte politico interno. Saakashvili, leader georgiano pensò allora di poter riprendere Abkhazia e
Ossezia del Sud, ma invece vide una controffensiva russa che arrivò quasi fino a Tbilisi.
Prima che questo però avvenisse, noi siamo ancora nel 1992 con la firma sulle limitazioni alle armi
convenzionali: gli anni del filo-occidentalismo russo, dell’illusione di una costruzione di un sistema
internazionale multipolare che veda la Russia ricrescere ed avere un dialogo forte con gli USA, con
l’UE e persino con la NATO. Nel 1991-1992 vengono firmati negoziati con la NATO, viene creato il
consiglio di cooperazione nord-atlantico, dove per la prima volta gli esponenti della nuova Russia si
siedono accanto ad esponenti NATO. Nel ‘91-‘98: vengono promossi dall’ormai quasi Unione
Europea due progetti: TACIS1 e TACIS2; il primo prevedeva aiuti da parte dell’UE, soprattutto di
natura economica, per situazioni di emergenza e il secondo vedeva coinvolta la società civile.
Nel 1992 inaspettatamente la Russia chiese di aderire al Consiglio d’Europa. Questa domanda in
realtà venne congelata per via della guerra in Cecenia, con la creazione di una commissione che
doveva valutare il rispetto dello stato del diritto, dei diritti umani ecc. e durante questa valutazione
scoppiò la guerra cecena. Finita la prima guerra, nel 1996, la Russia entrò. Nel frattempo, nel ‘94/’95
l’Unione Europea cominciava la sua politica verso i PECO, gli ex paesi del patto di Varsavia e dell’URSS
che ambivano ora ad entrare nell’UE. Quando Mosca seppe di quest’idea, fu contenta di queste
aperture poiché il Cremlino sperava di riprendersi velocemente e di mantenere, da un lato il rapporto
con gli USA, dell’altro che in Europa venissero ridefiniti gli equilibri geopolitici regionali e creato uno
spazio europeo forte con un ruolo importante della Russia, togliendo forza agli USA e alla NATO.
Nel 1994, la Russia stessa, nell’ottica di ricostituzione dello spazio geopolitico europeo, firmò a Corfù
un trattato di pace e cooperazione molto importante, ma anch’esso poi fu congelato per tre anni per
la prima guerra cecena. Alla fine, però entrò in funzione e prevedeva che l’UE e la Russia erano
partner strategici nel campo economico, politico e culturale: si dovevano infatti riconoscere
reciprocamente la clausola della nazione più favorita; dovevano reciprocamente ridurre costi di
importazioni ed esportazioni, riconoscere il diritto di creare aziende nei reciproci territori; dovevano
poi promuovere il processo di liberalizzazioni di pagamenti e capitali; si doveva regolamentare la
proprietà intellettuale; armonizzare le rispettive legislazioni in campo finanziario ed economico;
tutto questo al fine di immaginare la creazione di una futura zona di libero scambio. Inoltre, si
prevedevano forme di cooperazione nel campo energetico, della lotta alla criminalità organizzata, ai
trasporti ecc. Per la prima volta non si parlava più di sostegno economico alla Russia, ma si
individuavano obiettivi comuni anche sul piano politico che avrebbero comportato un rafforzamento
del sistema di sicurezza europeo. Sempre nel 1994, El cin chiede una collaborazione con l’Unione
dell’Europa occidentale in alcune aree di interesse, in particolare modo per la gestione dei punti di
crisi nell’ex Iugoslavia. I negoziati andarono avanti e nel 1999 l’Assemblea generale dell’Unione
dell’Europa occidentale istituzionalizzò al suo interno una delegazione russa permanente per far sì
che Mosca partecipasse sempre di più ad alcuni progetti specialmente militari. Tutte queste cose
accadono soprattutto nei primi anni ‘90. Erano tutti molto filoccidentali, ma questo sentimento
cominciò a scemare nella metà del decennio per due ragioni: la guerra in Cecenia è stata giudicata
in modo pesante dai media occidentali portando a diverse condanne; dal ‘94/’95 si capisce che sono
stati avviati i negoziati per il primo allargamento della NATO. Non è un caso che questi due elementi,
il non gradimento per le critiche subite per la Cecenia e l’allargamento futuro della NATO, portano
alla sostituzione di Kozyrov con Primakov. Primakov viene dalla ex nomenclatura sovietica e fu
ministro degli esteri dal ‘96 al ‘98 e poi primo ministro dal ‘98 al ‘99. Ci interessa molto perché
ideatore della dottrina Primakov.
18/10
*Dobbiamo aggiungere che nel 1994 in realtà di nuovo si ripropose un’occasione di dialogo e venne
presentato dalla NATO un Partenariato per la pace, per cercare di dare attuazione al Consiglio di
cooperazione nordatlantico creato nel 1991. In effetti, questo progetto del ‘94 portò a dei risultati
perché la NATO con dei soldati russi realizzarono due forze: IFOR e SFOR, forze di intervento e
stabilizzazione in Bosnia-Erzegovina. Specialmente nella SFOR, su un totale di 20.000 uomini la
Russia partecipò con 1.200. Nel 1997, a Parigi venne firmato un Atto sulla cooperazione e la sicurezza
tra la NATO e la Federazione russa e sulla base di questo accordo venne istituito un consiglio
congiunto permanente. Quindi, rispetto a quello del 91, dove c’era un consiglio occasionale, ora ce
n’era uno permanente. In questo momento però la NATO firmò da un lato questo accordo, ma
dall’altro nel ‘97 annunciò l’avvio del processo che avrebbe portato all’allargamento del ‘99, cosa che
non mancò di inquietare i russi che non ne capivano il motivo. I rapporti cominciarono ad incrinarsi
per la prima volta tra il ’96 e il ‘97 proprio per i motivi visti ieri: nel 1996 finisce la guerra in Cecenia
con grande critica occidentale e nel ‘97 c’è l’annuncio dell’avvio di questo processo. Questo porta ad
un cambiamento molto importante nella politica estera russa, un cambiamento che sul momento
non ebbe grandi conseguenze, ma in realtà sarà di estrema importanza. Kozyrov, il ministro degli
esteri più filooccidentale che la Russia abbia mai avuto, fu sostituito da Primakov fino al 1998 che
poi diventerà Primo Ministro. Dal 1998 al 2004 ci sarà Ivanov come ministro degli esteri e dal 2004
ci sarà Lavrov. Dal punto di vista del suo ruolo di ministro degli esteri Primakov non fece molto, era
un intellettuale e pensatore, teorico della cd dottrina Primakov, che sotto El cin non ebbe la
possibilità di realizzarsi perché il presidente era filoccidentale e poi perché in soli due anni non si
poteva cambiare molto; sarà però la dottrina che ispirerà tutta la politica estera putiniana.
Che cosa dice la sua dottrina? La Russia si è troppo orientata verso l’Occidente e questo non va bene,
non perché esso sia nemico, ma perché così facendo la Russia si era completamente dimenticata
della sua anima asiatica, non come Russia asiatica, ma come spazio post-sovietico asiatico. Secondo
Primakov l’occidentalismo andava bene, ma si dovevano recuperare tutti i rapporti con lo spazio
post-sovietico in senso lato, diventando molto più attivi sul fronte di questo spazio, rivitalizzando
anche quella comunità degli stati indipendenti creata nel 1991, ma poi rimasta abbastanza lettera
morta. Oltre a questo, una particolare attenzione andava dedicata alla regione asiatica perché la
Russia non è soltanto Europa, ma anche Asia, sia come Federazione russa in quanto tale, che come
entità culturale dall’Impero russo e dall’esperienza sovietica. È vero che la Russia è un paese cristiano
ortodosso, ma è vero che ci sono 20 milioni di musulmani, ci sono poi minoranze buddhiste,
ebraiche, calmucchi, muriachi ecc. e quindi la Russia doveva tornare a recuperare la sua identità
asiatica e, solo grazie al recupero dello spazio post-sovietico della sua identità asiatica, sarebbe
tornata a ricoprire il suo ruolo internazionale. La Federazione russa stava soggiacendo all’occidente
e questo non andava bene. Per comprendere la dottrina dobbiamo fare un passo indietro: la Russia
aveva vissuto un’esperienza particolare rispetto al resto d’Europa storicamente e non aveva
comunque mai perso la propria identità slava, subendo l’influenza sia occidentale che mongola.
Questi erano stati i tratti distintivi della storia fino a Pietro il Grande, rimanendo fino ad allora fuori
dalle grandi correnti europee ed evoluzioni occidentali. Quando arriva Pietro, ammiratore
dell’occidente, andrà in questa direzione: occidentalizzare la Russia; creerà San Pietroburgo; impone
l’uso del francese a corte; cambia il modo di vestire imponendo l’uso di abiti francesi. L’altra grande
ondata di occidentalizzazione si ebbe invece con Caterina, una principessa tedesca attenta verso le
grandi correnti culturali e anche con lei si radicò questo sentimento. Dopo le campagne
napoleoniche, con il francese sconfitto da Alessandro I, si cominciò a guardare male all’occidente, e
Alessandro I impedì l’uso del francese a corte reintroducendo il russo e recuperando le tradizioni
russe. Sull’onda di questo contesto, nel 1836 Cudaev scrive un pamphlet dove parla di slavofilia e
occidentalismo, dove si interrogava su cosa fosse la Russia: Europa? Asia? Eurasia? Iniziò quindi un
dibattito che vedeva contrapposti occidentalisti e slavofili. Si aggiunsero poi nel corso degli anni un
altro gruppo di pensatori: gli euroasisti: la Russia è sia un paese slavo, che europeo, che asiatico: tre
identità in una. Nasce qui la corrente dell’euroasismo e un dibattito che resta nell’anima dei russi,
seppur congelato in epoca sovietica. Negli anni ‘90, il paese è così povero e allo sbando che non vede
il ritorno della tematica, ma 160 anni dopo grazie al pensiero di Primakov tornerà alla luce: i russi
sono occidente, slavia e asia. Negli anni seguenti, anche sotto Putin, la sua dottrina conoscerà un
successo enorme, diventando pensiero ispiratore. Gli eurasisti troveranno il loro maggiore portavoce
in Alexander Dugin, opinionista che negli anni ‘90 aveva ripreso a parlare di questo tema, un
personaggio bizzarro che con l’avvicinarsi di Putin alla dottrina Primakov diventerà uno dei suoi più
fedeli alleati. Quando Primakov elabora la sua teoria è permeato da questo lungo dibattito culturale
che ha attraversato tutto l’‘800. In effetti, come vedremo, già negli anni ‘90 la Russia aveva cercato
di tenere insieme i paesi post-sovietici e lo aveva fatto tramite la Comunità degli stati indipendenti
del 1991 e poi nel 1992 con la creazione del TSO (trattato sulla sicurezza collettiva/DKB), dove erano
entrati la Russia, la Bielorussia, Il Kazakhstan, l’Armenia, il Tagikistan e il Kirghistan e l’Uzbekistan che
però ha una politica estera molto particolare, filo-russo ma non troppo e che è entrato e uscito
dall’organizzazione più di una volta. Quando anche questo DKB viene creato, quando Primakov parla
è rimasto lettera morta, e sarà con Putin che questa politica eurasista riprenderà vigore e sarà
proprio con lui che verranno create una serie di organizzazioni, soprattutto economiche, che però
tentano di tenere insieme i paesi dello spazio post-sovietico anche dal punto di vista economico. La
Russia venne messa ancor più all’angolo nel 1999, quando in piena crisi del Kosovo la NATO decise
di bombardare la Serbia: c’era già stato non bombardamento NATO nel 1995 in Bosnia, con la NATO
autorizzata allora dal CdS e si era deciso di andare a bombardare il confine tra Bosnia e Serbia, senza
toccare proprio il territorio serbo; serviva per impedire i rifornimenti di armi da parte della Serbia.
Qua c’era stato l’ok del CdS, quindi non ci furono problemi di questo tipo. Quando ci fu la guerra in
Kosovo, la NATO decise di andare a bombardare la Serbia in Serbia, e a quel punto i russi dissero di
no. Ciononostante, la NATO decise di bombardare lo stesso. Primakov in quel momento era in volo
per andare a Washington per un incontro con Clinton e, appena seppe dell’attacco, fece tornare
indietro l’aereo. Per protesta, Mosca abbandonò il Consiglio permanente NATO-Russia, addolcendo
poi la propria posizione facendo partecipare i propri soldati al KFOR che doveva operare in Kosovo.
La questione del Kosovo fu molto pesante per i russi ed essi vissero il fatto come un’enorme
umiliazione: fu il momento più basso del prestigio dei russi dopo la dissoluzione sovietica. Questo
evento suggellò agli occhi della popolazione russa l’idea che ci si era troppo asserviti all’occidente e
che la Federazione russa aveva perso prestigio e forza. Nonostante questo, fu lanciato ed accettato
da El ‘cin, ancora presidente, nel 1999 un piano d’azione, il “Common strategy towards Russia” voluto
dall’UE: era una strategia comune voluta moltissimo dai tedeschi, preoccupati sia della crisi
economica russa, che del contraccolpo che aveva dato tutta la mossa unilaterale NATO nel Kosovo.
Questa delle strategie comuni era uno strumento previsto dal trattato di Amsterdam firmato dai
paesi UE, con il quale nell’ambito della politica estera di sicurezza comune si voleva avviare strategie
comuni con paesi specifici. Con queste strategie si prevedevano iniziative in campo politico,
commerciale, energetico ecc. e venne proposto anche alla Russia di partecipare a questa strategia
comune che doveva durare 4 anni e che aveva l’obiettivo di reinserire la Russia nell’area politica ed
economica europea attraverso il consolidamento della democrazia, dello stato di diritto, delle
istituzioni e del libero mercato; l’idea finale era la realizzazione di un’area di libero scambio con la
Russia, di collaborare per la sicurezza in Europa, per gestire il crimine organizzato, la sicurezza
ambientale ecc. Addirittura, si pensavano a iniziative comuni nel campo della sicurezza comune e
mantenimento della pace non solo in area europea, ma anche in zone extra-europee di comune
interesse. Questa politica rappresenta il punto più alto ed inizio del declino tra Mosca e Bruxelles.
Perché non andò in porto? Gli anni ‘90 sono stati l’unico decennio con reali forme di collaborazione,
poi iniziò il declino, fino ad arrivare al 2014 con l’annessione della Crimea e la conseguente risposta
europea fatta di sanzioni verso gli oligarchi, poi le banche, poi le aziende e infine un sacco di prodotti.
Sarà un punto di rottura molto molto forte.
Nel 1999, arriva come primo ministro Putin. Viene eletto per la prima presidenza dal 2000 al 2004;
per la seconda presidenza dal 2004 al 2008; dal 2008 al 2012, data la disposizione costituzionale,
Medvedev è presidente con Putin primo ministro. Nel 2012 Putin viene rieletto e una volta rieletto
cambia la costituzione e porta il mandato a 6 anni, rimanendo al potere fino al 2018. Fra il 2012 e il
2018 nella riforma costituzionale mette anche la possibilità di ricandidarsi per più di due mandati
consecutivi e si ripresenta nel 2018 e arriverà fino al 2024 e poi, non essendoci più il limite dei due
mandati, potrà ricandidarsi. Si stima possa arrivare al 2036. Per capire bene cosa avviene dobbiamo
tornare in Cecenia, la prima carta vincente del Putin primo ministro. Dobbiamo ricordarci che
esistono più Putin, diversi tra loro. Sale al potere come primo ministro nell’agosto 1999 e nel
settembre i ribelli ceceni provano ad esportare la ribellione del Daghestan, un paese confinante.
Perché questa mossa? La prima guerra cecena è una guerra indipendentista, laica, ed è la guerra in
sé con le violenze dell’esercito federale ad esacerbare gli animi, seminando il terrendo per il
fondamentalismo islamico ceceno. C’è uno strano personaggio alla base, Al Qattab, un wahabita,
legato al fondamentalismo islamico giordano che entra in stretto contatto con i capi della guerriglia
cecena, i quali si trasformano, tanto che ora il Daghestan viene attaccato dai fondamentalisti ceceni
con l’idea di creare un califfato nel Caucaso del nord. I russi non sapevano bene cosa fare. Di fronte
però a questo attacco, che comunque andò malissimo in quanto i daghestani si ribellarono all’attacco
dei fondamentalisti e li ricacciarono. Putin (primo ministro) si rese conto che la situazione doveva
comunque essere risolta e nel settembre 1999 ci furono a Mosca degli strani attentati con delle
bombe nei palazzi nelle periferie. Si diffuse subito la voce che fossero stati i ceceni, i maligni invece
dissero che tutto sommato non c’entravano niente i ceceni, ma che si trattava dei servizi di sicurezza
russi che avevano creato il pretesto per una guerra. Comunque sia andata, vennero arrestati dei
ceceni e Putin dichiarò ufficialmente che era il momento di risolvere la questione: nell’ottobre inizia
la seconda guerra russo-cecena, molto diversa dalla prima. Intanto, furono chiuse le frontiere, fu
impedito all’Alto commissariato per i diritti umani di entrare e furono blindate le frontiere, però una
giornalista riuscì per conto suo ad entrare più di 40 volte in Cecenia durante il conflitto: Anna
Politovskaija. Scrisse moltissimi articoli contro i federali russi che stupravano le donne cecene, che
razziavano i villaggi, spaccavano case ecc. si trattava di articoli raccolti nel libro “Cecenia, il disonore
russo”. Lei scrisse anche libri molto importanti contro Putin e poi venne assassinata del 2006 in
ascensore. Già nel 2000 l’esercito federale prendeva la capitale cecena. I russi stavano vincendo la
guerra e tutto prese una dimensione molto politica: serve cecenizzare il conflitto individuando
interlocutori credibili, filorussi che comincino a combattere contro la guerriglia fondamentalista.
Questa operazione andò avanti alcuni anni. Fu individuato un personaggio che era Kadyrov padre, il
gran Mufti della capitale cecena, uomo religioso ma non fondamentalista che dichiarò di voler stare
accanto ai russi e contro i ribelli; questi ultimi organizzarono allora, sia nel 2002, che nel 2004, due
terribili attentati che prendono il nome di “attentato al teatro Na Dubrovke” e di “Beslan”. Il primo,
nel 2002 fu ad un teatro in cui c’era un musical ed entrarono circa 25 persone che si asserragliarono
con oltre 1000 persone all’interno. Anna Politovskaja fu chiamata per mediare perché i ceceni si
fidavano, lei andò al teatro e loro dicono che rilasceranno i ragazzi se i russi lasceranno la Cecenia.
Putin rifiuta, fa immettere veleno con le forze speciali nel teatro, ammazzano i terroristi ma anche
150 persone. Due anni dopo, i ceceni irrompono in una scuola a Beslan, dov’erano centinaia di
bambini. Anche qui entrano le forze speciali e morirono moltissimi bambini. In quell’occasione la
Politovskaja fu chiamata dai ceceni, ma fu avvelenata in aereo e poi salvata, non riuscendo però ad
arrivare. A quel punto i guerriglieri ceceni, nel 2004, uccisero Kadirov padre mentre era allo stadio a
vedere una partita. Il figlio aveva meno di 30 anni e dato che il presidente doveva avere almeno 30
anni e ci fu un periodo di transizione fino al 2006, anno in cui compì i 30 anni. Sconfisse i ribelli, istituì
un regime durissimo grazie agli aiuti russi e divenne molto fedele a Putin. Ne sentiamo infatti parlare
per la guerra in Ucraina, con Kadirov sempre schierato dalla parte di Putin. Si è creato un esercito
privato, gli Omon, ha moltissime donne, molto corrotto: è il modello del satrapo orientale.
Nel 2009 Medvedev annuncerà la fine dell’operazione speciale antiterrorismo in Cecenia. Cosa
succede tra settembre ‘99 e marzo 2000? Grazie a questa guerra cecena e all’andamento sin da
subito positivo di questa, i russi si entusiasmano: finalmente si riporta l’ordine nella Federazione.
Questa è una delle chiavi di volta del successo di Putin alle elezioni del 2000. I maggiori alleati di El
cin si schierarono con Putin. Putin comunque visse con il 53%, una vittoria di misura, forse le elezioni
più libere finora. Qual era l’obiettivo di Putin nella prima presidenza?
1) Sul piano politico istituzionale: la Russia non era pronta per una democrazia vera, serviva tempo.
Non si negava che si sarebbe arrivati a quel traguardo, ma in quel momento ci si doveva accontentare
di una Vertical Vlast, una democrazia assistita dall’alto.
2) Tema economico: bisogna rilanciare la produzione. Serve tornare ad essere indipendenti dagli
aiuti occidentali. Qui ebbe una grande fortuna: quando arrivò alla presidenza i prezzi del petrolio e
del greggio aumentarono e lui iniziò dunque a vendere a maggior prezzo. Nell’arco del brevissimo
tempo, nel 2001 per la prima volta il bilancio interno andava in positivo e quello estero andò quasi
totalmenteliquidato. Questo fece sì che migliorarono la qualità di vita, le infrastrutture ecc.
Diminuirono moltissimo disoccupazione ed aumentò l’aspettativa di vita. Fu possibile raggiungere
questo obiettivo anche grazie all’intervento di contrasto agli oligarchi: una casta che nasce come
casta economica, ma che chiaramente diventa casta di dominio politico sociale. Arrivato al potere,
Putin fece questa operazione: in un incontro segreto, probabilmente già nell’estate 2000, convocò
tutti gli oligarchi e disse che, o restituivano il 51% dei loro TRUST e non si mettevano in politica,
oppure i loro beni sarebbero stati requisiti e loro sarebbero stati mandati in esilio. Molti di loro
accettarono e diedero il 51% di ciò che avevano allo stato; altri decisero per la via dell’esilio. Altri
ancora, invece, rimasero tentando di fare politica: un caso è quello di Chadarkovskij, circa
quarantenne, ricchissimo, che decise di entrare in politica. Putin lo fece arrestare con l’accusa di
frode allo stato e andò in Siberia per anni. Da qui, iniziò a fare la vittima, diventando una specie di
martire dell’opposizione russa, venendo santificato dall’occidente; iniziò a scrivere insieme ad una
grande scrittrice russa, parlando di pace ecc. Putin cedette liberandolo e ora l’ex oligarca vive a
Berlino. Lo stato, rientrando in possesso di larga parte delle infrastrutture del patrimonio economico,
migliorò moltissimo la propria condizione economica.
3) Salvaguardia dell’integrità territoriale: guerra in Cecenia.
4) Restaurare il prestigio internazionale della Russia. Putin si rendeva conto che prima di tutto doveva
risistemare la situazione economico-finanziaria e sociale interna. Ha l’obiettivo di restituire prestigio
alla madre Russia, ma era all’epoca sfocato sullo sfondo. La popolazione comincia ad amarlo,
specialmente durante le prime due presidenze i russi si convincono che Putin è l’uomo del destino
per loro. Sanno dei vari problemi, ma quello che importava loro era che la situazione economica
migliorasse, che il tasso di mortalità diminuisse, che il tasso di criminalità diminuisse, che la
corruzione degli oligarchi non desse più scandalo.
Dinamiche 12
24/10
La prima presidenza Putin (2000-2004) ha diversi punti principali: la sua priorità, e la fonte della sua
legittimazione per le successive elezioni, è fondamentalmente la ripresa economica, cioè l’obiettivo
principale è concentrarsi sulla situazione politica interna e soprattutto sull’economia e, grazie al
rialzo dei prezzi e alla sua battaglia contro gli oligarchi, di fatto riesce a raggiungere l’obiettivo, tant’è
che tra il 2000 e il 2004 il debito estero è quasi azzerato, la bilancia dei pagamenti è in pari, il tasso
di disoccupazione è crollato così come quello della mortalità. Salvaguardia dell’integrità territoriale
→ la vittoria nella guerra cecena significa per Mosca riprendere in mano il controllo di tutto l’assetto
federale: infatti, già con la prima presidenza quel federalismo segmentato di memoria elciniana
viene rivisto, con la ridefinizione delle competenze e dei poteri del centro e delle varie repubbliche
che compongono la federazione. Sullo sfondo c’è l’idea che tutto questo servirà per recuperare il
grande prestigio internazionale della Russia. Ma la prima presidenza rimane concentrata sulla
politica interna dal punto di vista economico, federale e della corruzione all’illegalità, ma la
questione del prestigio internazionale è sempre sullo sfondo perché in questo momento le priorità
di politica interna hanno il sopravvento sulla politica estera.
Su tutti questi punti l’opinione pubblica è d’accordo con Putin: alla popolazione piace che la
situazione economica venga risanata; piace anche la soluzione della questione cecena perché i russi
sono abituati ovviamente ad essere un paese multietnico, ma con un centro forte; anche la lotta
contro gli oligarchi piace perché vi era un grande divario tra gli oligarchi e la popolazione; infine,
anche sulla questione internazionale ovviamente Putin avrebbe trovato grande consenso → c’erano
tutte le premesse e, al di là della manipolazione elettorale, Putin trova consenso tra i cittadini.
Arriva poi la seconda presidenza. Putin da questo momento si sente le spalle più coperte perché non
ha più le priorità impellenti che aveva nel 2000 e quindi può articolare meglio i suoi piani. È
importante ricordare che Putin è cresciuto negli anni Brezneviani.
Lenin sta al potere dal 1921 al 1924, a seguito della Rivoluzione d’Ottobre da lui guidata e della
guerra civile. Lo succederà Stalin
È vero che Stalin è colui che rese grande l’URSS trasformandola da paese agricolo a moderno in grado
di creare una propria sfera di influenza e diventando il faro del movimento comunista internazionale,
ma è anche la personalità che segna profondamente e irreversibilmente l’URSS → governa per 23
anni con strumenti violenti e repressivi, si dice che Stalin governa attraverso un terrore di stato
profilattico: per tutti gli anni ’30 lo stalinismo è caratterizzato da campagne repressive violente
contro categorie di nemici individuate aprioristicamente. Questo clima costante di terrore di stato
atomizza la società sovietica, che andrà a sviluppare un senso di sfiducia ed un conseguente blocco
dello sviluppo. Questa parte del mondo è passata dallo zarismo, alla servitù della gleba,
all’esperienza sovietica segnata profondamente dal terrore staliniano e si perde la possibilità di una
reale formazione di una società civile. L’unico decennio in cui si è pensato che si potesse formare
una versa società civile sono stati gli anni ‘90 di El ‘Cin con pluripartismo, ricerca, dibattito e
sembrava davvero che la Russia fosse in grado di far nascere una matura società civile.
Dal ’53 al ’64 sta al potere Kruscev che liberalizzerà un po’ il clima fino all’arrivo di Breznev (1964-
1982); intermezzo di Andropov; infine Gorbačëv.
Nell’epoca di Breznev tutto si pacifica, si stabilizza e timidamente si cominciano a recuperare alcuni
tratti dello stalinismo, ad esempio la vittoria della grande guerra patriottica. Queste sensazioni erano
profondamente diffuse a livello del KGB che dipendeva dal Ministero degli interni. Putin cresce in
questo ambiente in cui vengono recuperati tratti dello stalinismo e diventa un ufficiale del KGB.
Putin governa ininterrottamente dal 2000, ma c’è un cambiamento a partire dalla seconda
presidenza perché recupera alcune tematiche e le sviluppa fino alle estreme conseguenze.
Appena eletto Putin afferma che la Russia non è ancora pronta alla democrazia: parla di società civile
non matura, di una Russia che deve essere accompagnata alla democrazia, ed è quello che farà già
a partire dalla prima presidenza. Nel corso di questi 23 anni ha creato un sistema illiberale che però
mantiene alcune procedure di tipo democratico. Le elezioni ci sono, ma con il passare degli anni il
controllo di Putin dei mezzi di comunicazione di massa aumenta e con esso anche la manipolazione
dell’opinione pubblica e dei risultati elettorali. In questo contesto illiberale, non ha puntato al solo
rafforzamento della sua leadership, ma soprattutto al rafforzamento dello Stato. Questo non deve
sorprendere perché la Russia viene da una tradizione statalista, dallo zarismo all’esperienza sovietica
in cui il partito utilizza lo Stato per decidere tutto. Il programma politico è quindi soprattutto volto al
rafforzamento dello Stato centrale che serve per garantire benessere ai cittadini, per mantenere
saldo l’assetto federale, per mobilitare l’esercito in caso di pericolo e per avere relazioni con il mondo
esterno.
Il terzo elemento sviluppato sempre di più da Putin è il recupero del paradigma imperiale della
statualità russa → lo Stato deve essere centrale, ma la statualità deve essere vissuta nella sua
dimensione imperiale. La Russia deve essere al centro di tutta una serie di rapporti non solo con i
nuovi soggetti federati, ma anche con tutto lo spazio post sovietico, seppur con una modulazione in
questi rapporti, ad esempio, Putin vorrebbe intensificare i rapporti con Ucraina e Bielorussia in
quanto repubbliche slave, sorelle; mentre rispetto ai paesi stan Putin propone una serie di
organizzazioni regionali perché anche questi sono paesi che permettono ai russi di recuperare il
paradigma imperiale della loro statualità. Questi, appunto, sono i punti fondamentali del programma
putiniano e delle sue presidenze: garantire l’esistenza di un sistema illiberale pur in presenza di
procedure democratiche, consolidare lo Stato – lotta agli oligarchi perché detenevano patrimonio
che secondo Putin era dello Stato -, recuperare il paradigma imperiale della statualità russa.
Putin ha molto lavorato in questa direzione anche se è evidente un dato di fatto con il quale
dobbiamo confrontaci: la Federazione russa non è in alcun modo riuscita a tornare un impero: la
comunità degli stati indipendenti non è di particolare rilevanza i rapporti con la Bielorussia sono
dicerti, ma con l’Ucraina no; i rapporti con i paesi stan vedono questi paesi seguire politiche
abbastanza in sintonia con Mosca, ma non troppo.
Problemi attuali: deficit demografico e a causa della manodopera estera si teme ne risenta la
nazionalità russa; PIL pro capite basso; arsenale militare, ma spende una cifra irrisoria rispetto agli
USA (se non avesse l’atomica non potrebbe mai competere con loro). Questi limiti del sistema
putiniano non vengono rilevati minimamente dall’opinione pubblica russa e quindi i russi si sentono
una superpotenza perché Putin ha molta abilità di toccare tasti che fanno musica all’orecchio dei
russi. In realtà, c’è un elemento in più: nella visione imperiale di Putin non c’è solo l’Ucraina, la
Bielorussia e i paesi stan, ma anche la popolazione russofona che vive fuori. Appena rieletto nel
2005, Putin fa un discorso molto interessante dicendo che la più grande tragedia del XX secolo è
stato lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Questa affermazione va compresa perché a Putin non
manca l’URSS in quanto tale, ma il rango che l’URSS aveva e la sua dimensione imperiale. Putin
rimpiange non la fine del comunismo, ma la fine della dimensione imperiale. Dal 2005, questi 25
milioni di russi, diventano un mantra sempre più ricorrente. Già nel ’99 verrà fatta una legge,
modificata successivamente, sul rilascio della cittadinanza: qualsiasi compatriota che vive all’estero
e parla russo può richiedere la cittadinanza con una procedura accelerata → c’è l’obiettivo di ricreare
il mondo russo, cioè una vera e propria comunità “imperiale” e una civiltà al centro della quale vi è
la Russia che avvolge tutti coloro che sono uniti da valori, lingua e cultura russa → si recupera il
paradigma imperiale della statualità russa, declinato a seconda dei paesi ex Urss a cui si guarda; si
recuperano i 25 milioni di cittadini russofoni in modo tale che all’interno di questa visione imperiale
si riformi quel mondo russo. Nel sistema putiniano non c’è solo un taglio politico, ma un taglio quasi
mistico, religioso. Nel sistema putiniano c’è qualcosa che va al di là della politica assumendo contorni
mistici, religiosi. Ecco, quindi, che negli anni delle presidenze dopo il 2004 c’è un grande recupero
del pensiero slavofilo e slavista perché sono elementi funzionali a questo disegno. Ovviamente in
un’ottica del genere la lingua russa diventa un elemento di fondamentale importanza; per Putin la
lingua russa è la discriminate fondamentale, ad esempio Putin prima del conflitto in Ucraina, Putin
ha detto che ucraini-russi sono la stessa cosa perché hanno la stessa radice, la stessa lingua e la
stessa storia. C’ è quindi questo richiamo all’entità russa concepita attraverso la lingua; che poi
regionalmente i popoli abbaino avuto destini diversi non è rilevante: chi parla russo fa parte della
santa madre Russia.
Altro tema che caratterizza il sistema putiniano dopo il 2004 è la sottolineatura della decadenza
dell’Europa occidentale, al confronto di una Russia sana e pura nei suoi valori. In questo la Chiesa ha
un grande ruolo. Questo significa difendere i valori cristiani, ovvero portare al centro dell’attenzione
valori tipici della chiesa ortodossa, condivisi da tutti i neoconservatori della società contemporanea
(famiglia, no aborto, no unioni gay, ecc.). Chiaramente se si deve combattere l’Europa decadente
dove tutte queste “deviazioni” sono tollerate ed esaltate, bisogna rivalutare il ruolo della Chiesa
ortodossa → cogestione tra potere politico e religioso: la Chiesa ortodossa e il metropolita di Mosca
sono a fianco di Putin. Quanto ai valori da difendere, dal 2007 Putin si è molto impegnato in questa:
ha emanato un pacchetto di misure a favore delle famiglie che avevano più figli, nel 2011 sono state
introdotte misure restrittive all’aborto, ma la legislazione sul lavoro è molto favorevole al lavoro
femminile (le donne non vengono relegate ai lavori domestici, ma devono rispettare determinati
valori).
Un altro tratto del sistema putiniano è la diffusione del culto della personalità di Putin che però non
è in senso tradizionale: immagine di un leader basata sulla mascolinità aggressiva. Rapporti tra
Berlusconi e Putin. → uomo forte al comando. Un altro tratto del sistema putiniano è stato
l’indebolimento del potere degli oligarchi, ma il rafforzamento del potere dei membri dei poteri forti,
i cd. Siloviki: esercito, KGB, alta nomenclatura dei ministeri (che praticamente sono gli stessi
traghettati dall’epoca sovietica).
Tutto questo si può riassumere così: di presidenza in presidenza la centralizzazione dello Stato, il
recupero del paradigma imperiale, l’illiberalità, la difesa della lingua russa, la difesa dei valori, tutto
porta in un processo di involuzione patriottica nel senso che la patria è al centro di tutto. Però ci
sono anche delle sviste nel sistema che Putin ha tentato di costruire.
Ma come ha fatto Putin a raggiungere i suoi obiettivi e a creare un sistema caratterizzato da questi
aspetti che abbiamo individuato? Ha usato vari strumenti come mezzi di comunicazione di massa
manipolando l’opinione pubblica russa; ha corretto il federalismo segmentato rendendolo forte
tornado al sistema dei governatori nominati che El cin aveva abolito; ha emanato leggi che difendono
i valori da lui profusi; dal punto di vista culturale c’è uno sfrenato uso pubblico della storia: ha cercato
di occupare lo spazio del dibattito pubblico, ma veicolando molto una narrazione del passato,
presente e futuro della Russia completamente gestita dall’altro, ad esempio da quando Putin ha
iniziato la seconda presidenza si prova a creare un libro di storia unico per gli studenti degli istituti
superiori (non si è ancora arrivato in fondo a questo programma); nelle università ci è stato un calo
di corsi di storia contemporanea; risalto della grande guerra patriottica come fondamento della
coscienza contemporanea russa (vedi parate del 9 maggio organizzate nella piazza Rossa per la
liberazione dai nazifascisti e come cambiano i leader politici invitati nel corso degli anni fino ad
arrivare alla scomparsa dei leader occidentali).
Non su tutti i fronti Putin ha avuto successo perché non tutti credono alla storia che Putin ha scritto,
delle forme di opposizione ci stanno e non tutti i valori profusi vengono assecondati.
25/10
Che cosa accade dal punto di vista della politica estera della Russia dal 2000 al 2014?
La politica estera di Putin si divide in fasi ben precise. La prima corrisponde al periodo dell’Edilio e
delle Torri gemelle (2000 – 2003). In questo periodo Putin è filoccidentale per una serie di ragioni,
mai come in questi tre anni è stato predisposto e collaborativo con l’occidente. Nel 2000 presenta il
suo primo programma dove delinea le tracce principali di quello che intende fare rispetto al sistema
internazionale. Intanto riprende la dottrina Primakov sottolineando i tratti euroasiatici della
Federazione russa, gli piace pensare a una Russia attiva non solo nella dimensione europea, ma
anche nella sua dimensione asiatica. In quest’ottica, Putin immagina di rilanciare l’esistente, cioè,
investire energie per rivitalizzare la Comunità degli stati indipendenti e il vecchio Trattato sulla
sicurezza collettiva del 1992. Questo trattato aveva visto l’adesione di paesi dello spazio post-
sovietico, ma era rimasto lettera morta: Putin nel 2002 ha l’idea di rivitalizzarlo trasformandolo in
Organizzazione sulla sicurezza collettiva → stesso rapporto che esiste tra Patto Atlantico e NATO: il
Trattato sulla sicurezza collettiva è il Patto, l’Organizzazione sulla sicurezza collettiva è la NATO, il
braccio armato che dà vita al Trattato. In seguito, Putin prenderà anche altre iniziative proprio per lo
spazio postsovietico in generale. Per quanto riguarda la dimensione europea e occidentale, i rapporti
con sono l’UE importanti, ma non decisivi. Quando Putin arriva al potere non ha nessuna intenzione
di mettere in discussione davvero l’operato di riavvicinamento di El ‘cin con l’Occidente; infatti, vuole
collaborare con l’Occidente per creare un sistema paneuropeo di sicurezza collettiva che non metta
in discussione i rapporti con USA e NATO, con cui bisogna collaborare senza però arrivare
all’egemonizzazione, esattamente quello è ciò che Putin rimprovera ad El ’Cin, ovvero la
sottomissione all’occidente.
Ovviamente non c’è nelle sue previsioni nessuna possibilità di adesione russa all’UE, ma si parla di
partnership nel senso di un rapporto paritario in modo da creare una serie di punti di collaborazione
che avrebbero dovuto rafforzare la cooperazione tra Mosca e UE così da rafforzare la posizione
dell’Europa nel mondo. Putin sicuramente non contestava tutto il processo di allargamento dell’UE
all’ora in corso, piuttosto si guardava con preoccupazione i risvolti dell’euro che avrebbe svantaggiato
il commercio, ma soprattutto l’allargamento dell’UE nello spazio postsovietico perché su quello
spazio si sarebbe dovuto articolare un tratto fondamentale della politica estera russa.
L’attentato alle Torri gemelle rappresentò l’acme, il momento più fecondo per Putin per un
consolidamento dei rapporti con l’UE e con USA perché Putin aveva già detto che si stava
diffondendo sempre più il fondamentalismo islamico ricevendo critiche circa il suo comportamento
in Cecenia. Fu un momento di gloria per Putin che fu il primo a telefonare a Bush mostrandogli
solidarietà; decise di aprire lo spazio russo al sorvolo degli arei usa e nato e accolse tranquillamente
l’offerta di messa a disposizione di due basi militari in Uzbekistan e Kirghiza; quindi, non quello di
Putin non fu un appoggio limitato alle parole, ma fatto di aspetti concreti.
Nell’ottobre del 2001 a Bruxelles si tiene un Summit euro russo sull’onda di quando accaduto con le
Torri gemelle e si stabilì il principio lotta comune tra Europa e Russia contro il terrorismo. Per far
vedere quanto l’UE apprezzasse l’impegno della Russia a maggio del 2002 alla Russia fu riconosciuto
lo status di economia di mercato.
Sempre nel 2002, in una base militare NATO vicino a Roma (Pratica di mare) Putin si incontra con i
membri NATO. Viene creato in questa occasione un Consiglio Russia – NATO in cui la Russia
finalmente sedeva su un piano di parità con tutti gli altri membri pur rimanendo un attore esterno
all’alleanza. Esisteva già un Consiglio permanente NATO-Russia, ma era un organo che si doveva
ritrovare quando la NATO doveva decidere argomenti specifici; gli obiettivi dei due organismi erano
gli stessi, ma era diverso il riconoscimento della Russia, soprattutto si aggiungeva il grande tema della
lotta al terrorismo. Nel maggio 2002 venne firmato anche un trattato sugli armamenti SORT per la
riduzione delle testate nucleari. Mosca in quel momento aveva tre obiettivi: ottenere benevolenza
americana perché gli era funzionale alla ripresa economica; far dimenticare la macchia della Cecenia;
tentativo per convincere gli americani ad annullare il debito russo nei loro confronti. Tutto sembrava
andare benissimo, fino a quando cominciò la seconda fase che va dal 2003 al 2004 → inizio della
crisi. Due anni importanti nei rapporti tra Russia e Occidente perché avvengono eventi che mettono
in crisi i rapporti con l’Occidente: nel 2002 attentato al teatro; Guerra del golfo in Iraq che fu
duramente avversata da Mosca che da quel momento cominciò a parlare di unilateralismo
americano; nel 2004 si assiste al quinto allargamento della NATO: Bulgaria, Romania, Slovacchia,
Slovenia e tutti e tre i paesi baltici. Qualitativamente la situazione cambiava molto perché la NATO
stava arrivando ai confini di quello spazio che sicuramente non era più sovietico, ma era una sorta di
cintura di sicurezza, il cd. estero vicino →nella percezione dei russi l’allargamento del 2004 viene
percepito come una minaccia diretta al territorio russo. Anche l’UE nel 2004 vede il suo allargamento
a tutta l’Europa centrorientale e ai paesi baltici (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia,
paesi baltici e nel 2006 Romania e Bulgaria).
A settembre 2004 c’è un nuovo attentato dei guerriglieri ceceni in Ossezia del nord che fa parte della
Federazione russa; anche in questo caso il modo di Putin di risolvere la questione fu piuttosto brusco.
Inoltre, nello stesso anno, la Commissione europea annunciò di voler giungere a nuove forme di
collaborazione con una politica europea di vicinato, la cd. PEV, che riguardava l’Ucraina, la
Bielorussia, la Moldavia e il Caucaso meridionale (Georgia, Azerbaigian e Armenia), esattamente tutti
quei paesi verso cui Putin aveva detto non gradire allargamento. La notizia porta ad una durissima
reazione di Lavrov che ricorda minacciosamente agli europei come tale zona rientrasse pienamente
nel sistema d’integrazione della CSI e quindi come non ci fosse nessun bisogno di promuovere
politiche verso questi paesi. La PEV non avrebbe dato nei fatti grandi risultati, ma purtroppo, nel
2008/2009, l’UE avrebbe avviato il programma di partenariato orientale, cioè un programma
associazione rivolto ai soliti paesi. Mentre ormai la situazione sta peggiorando, cominciano a
scoppiare in Ucraina (arancione), Georgia (delle rose) e Kirghizistan (dei tulipani) le rivoluzioni
colorate. Queste rivoluzioni furono l’inizio del momento di rottura con l’occidente perché Putin si
convince che dietro ci sia la mano degli occidentali per destabilizzare la posizione russa nello spazio
post-sovietico. Infatti, quando Putin viene rieletto 2004 espone la sua dottrina di politica estera e
comincia a parlare tantissimo del ruolo internazionale della Russia come grande potenza europea e
asiatica.
Lezione Giannotti:
Con il cambiamento politico che ha fatto seguito alla nomina di Primakov e con il rinnovato interesse
di fine anni ‘90 e inizio 2000, Mosca si rivolge allo spazio post-sovietico, guardando anche
all’integrazione europea, è chiaro che l’SMG ha fatto quello che poteva fare, ma più là non poteva
andare; continua ad esistere, ha una sua funzione di piattaforma di incontro, ma un vero e proprio
slancio in termini di integrazione non lo fa. Putin dice allora di dover integrare quelle repubbliche
parte dell’SMG che hanno intenzione di approfondire l’integrazione. Si può parlare di un equivalente
eurasiatico di geometria variabile. Nel contesto dell’UE c’è stato qualche esempio? L’eurozona ne è
un esempio, così come Schengen a cui non tutti i paesi non vi hanno aderito. Questa idea di
geometria variabile, quindi, sta a significare la previsione di canoni diversi di integrazione che non
coinvolgono tutti i 9 paesi o comunque forme di integrazione differenziata. Nello spazio post-
sovietico vi si arriva con la cd Evrazec, cioè comunità economica eurasiatica, a cui si accompagnano
i cd TS (unione doganale) e EEP (spazio economico comune). Quindi, comunità economica
euroasiatica che si declina in particolare con l’unione doganale e con lo spazio economico comune.
A queste istituzioni, vengono ad aderire inizialmente tre paesi: Russia, Bielorussia e Kazakhstan fin
da subito si mostrano pronti ad un processo di integrazione più approfondita, declinata in queste
dimensioni: doganale, economica. Tutte queste vengono assorbite nel 2014 da EAZesC (Unione
eurasiatica). Ad alcune dimensioni dell’altra, e poi a questa, vengono ad aderire anche l’Armenia, la
Kirghisa e ci sono in corso negoziati per il Tagikistan. Si parlava anche di Abcasia ed Ossezia del Sud,
ma Giannotti crede che presto entreranno a far parte della Federazione russa (e ha ragione). Questo
non si sostituisce all’SMG e bisogna considerare che una serie di prerogative c’erano anche nell’SMG.
Altro aspetto importante è il riconoscimento di documenti come i diplomi, i documenti di istruzione,
documenti medici ecc. tutta una serie di atti che sennò dovrebbero passare da una traduzione
consolare ecc.
L’ultima dimensione è la difesa. Abbiamo già parlato della firma del DKB, il Trattato sulla sicurezza
collettiva. Questo DKB alla fine degli anni 90 c’era, ma era inutilizzato: nel contesto di questo
rinnovato interesse per l’area eurasiatica serve rivedere e riconsiderare la questione di politica estera
per la sicurezza comune: viene allora creata nel 2003 la ODKB, ovvero sulla base di questo DKB viene
istituita una struttura, l’organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, a cui aderiscono i 5 paesi
di prima+ Tagikistan ed Uzbekistan. Quest’ultimo poi è uscito a seguito dei fatti di Andijan, una città
nell’Uzbekistan orientale dove nel 2005 avvengono una serie di attività terroristiche legate al
fondamentalismo islamico, vengono presi d’assalto alcuni edifici pubblici e il governo di Karimov
interviene pesantemente; di fronte a questo intervento c’è grande scandalo sui mezzi di
informazione occidentali e, dopo alcuni mesi, un’inchiesta del Senato americano avrebbe
evidenziato come se fosse stata in atto un’azione ad Andijan da parte di gruppi terroristici come Al
Qaeda e gruppi di talebani. Gli uzbeki si sono molto offesi, quindi ha iniziato a guardare verso la
Russia, entrando nell’ODKB; se non che poi una serie di condizioni legate alla partecipazione in
questo contesto di integrazione, con la previsione di cessioni di sovranità, hanno portato gli uzbeki
ad uscire nel 2008 (tra l’altro era la prima volta che succedeva).
Cosa prevede l’ODKB? Ha molte analogie con la NATO perché di fatto è un trattato di mutua
assistenza in risposta ad aggressioni esterne; quest’ultimo elemento (“aggressioni esterne”) ha dato
molti limiti figli del contesto geopolitico perché immaginare un’aggressione esterna a questi paesi
era molto improbabile. Le maggiori tensioni derivavano evidentemente da una dimensione interna,
ma non era previsto che l’ODKB potesse intervenire non in un paese oggetto di aggressione esterna,
e il perdurare di questa situazione sembrava renderla quasi inutile. Solo nel dicembre/gennaio 2022
la situazione è un po’ mutata, ma anche prima non né che fosse totalmente inutile perché aveva
comunque tre funzioni: disponeva unità militari congiunte, soprattutto le cd unità di intervento
rapido; approfondisce ed integra la cooperazione in ambito militare sia dal punto di vista delle
tecnologie che tattiche; organizzare iniziative congiunte per contrastare alcune minacce comuni, non
necessariamente di natura prettamente militare, vedi le esercitazioni di contrasto all’immigrazione
clandestina ed il contrasto alle rotte del narcotraffico, quindi annualmente sono organizzate
operazioni congiunte (la più importante è l’operazione kanal), quasi tutte sulla frontiera afghana. La
situazione è cambiata nel 2022 a causa dei disordini in Kazakhstan perché per la prima volta, su
richiesta e concordato con il governo locale, contingenti dell’ODKB sono stati dislocati nel paese per
ripristinare l’ordine e poi sono state ritirate → questo è stato il primo caso in cui l’ODKB interveniva
per motivi interni e non per un’aggressione esterna.
La parte asiatica del mondo russo l’abbiamo toccata. Ma c’è anche una federazione russa asiatica: la
Federazione russa è due volte gli USA e più di tre volte l’Europa per estensione ed è solo in parte
uno stato europeo perché la maggior parte della sua estensione è nello spazio asiatico.
Tra Russia e Cina c’è stato un lungo periodo di concorrenza che ha visto sistematicamente prevalere
la Russia; una prevalenza che si apprezzava e si percepiva chiaramente con le grandi opere
ferroviarie, in particolare il braccio della Transiberiana e poi la Transmongolica, grandi imprese
infrastrutturali dominate dal capitale e da amministrazione russa, che ovviamente aveva
regolarmente avuto il sopravvento nelle dispute territoriali conseguenti. Questione del fiume Amur,
confine identificato da una barriera territoriale evidente: è russo per i russi, con la Cina che inizia
sull’altra sponda; questo ha dato inizio ad una disputa terminata solo nel ‘92 con la fissazione della
regola tradizionale del diritto internazionale (confine mobile). Su questo punto si è arrivati anche ad
uno scontro armato molto grave nel ‘69 sull’isola di Damianskij. Questa espansione si realizza e si
consolida nel periodo considerato. A seguito della rivoluzione succede anche che alcune province
cinesi, in particolare la Mongolia esterna e la Buriazia si trasformano in stati guidati da partiti
socialisti e la Russia sovietica si fa garante e protettrice di queste realtà. La Mongolia esterna sarebbe
poi diventata Mongolia nel 1925. La Burazia diventa prima una repubblica popolare, poi una
repubblica autonoma della RSFSR ed è rimasta oggi sotto la Federazione russa. Dal punto di vista
territoriale altre due modifiche nel 1945 che hanno riguardato l’una la provincia giapponese di
k’arafuto, parte meridionale dell’isola di Sakhalin e le isole Curili. Così si completa l’assetto
territoriale della Russia asiatica.
Un passaggio fondamentale è la grande opera di evacuazione che ha fatto seguito all’aggressione
tedesca del 22 giugno del 1941: quando i tedeschi avanzavano verso Mosca, il governo sovietico ha
deciso l’evacuazione dei maggiori complessi industriali non ancora conquistati e tutto quel che
hanno potutolo hanno smontato e trasferito verso est. Il grosso lo trasferirono quindi oltre gli Urali,
molto in Siberia, molto negli Urali, molto in Asia centrale. Il fatto è che questi complessi industriali,
in buona parte, dopo sono rimasti lì e questo ha fatto la fortuna di queste zone di nuovo
insediamento perché villaggi o centri abitati molto piccoli diventano dal nulla enormi ed
importantissime città industriali. In Russia ci sono oltre 15 città con oltre un milione di abitanti e
molte di queste hanno conosciuto il loro sviluppo a seguito proprio della guerra e del trasferimento
di questi complessi industriali. Qui il passaggio ulteriore che in qualche modo integra quello che si
diceva sulla transiberiana, ecc. è la costruzione della BAM, una ferrovia che doveva collegare il lago
Baikal al fiume Amur. Per costruire questa rete, viene lanciata una grande campagna.
La Russia asiatica oggi è divisa in tre distretti federali: il distretto estremo orientale, contenente la cd
res publica sacra, la Yakutia, che conta solo 6 milioni di abitanti nonostante una grandezza
impressionante dal punto di vista dell’estensione geografica. Poi c’è il distretto siberiano, minore
rispetto alla reale estensione della Siberia, contante 20 milioni di abitanti. L’ultimo distretto è quello
degli Urali, più piccolo degli altri, con 12,5 milioni di abitanti. Qui emerge la questione demografica
che viene amplificata avendo al confine invece un gigante demografico, la Cina. Il problema dello
spopolamento a Mosca viene sentito e per questo viene creato il Ministero per lo sviluppo
dell’estremo oriente nel 2012 che poi diventa Ministero per lo sviluppo dell’estremo oriente e
dell’artico. La finalità di questo ministero promuove progetti di natura infrastrutturale, startup, ecc.
e deve convincere la gente a non abbandonare la zona, cercando poi di attrarre popolazione che
vada a vivervi.
Uno dei progetti importanti è la pipeline tra Russia e Cina
31/10/2023
Periodo dell’Idilio → siamo di fronte ad un Putin filoccidentale. Questo filooccidentalismo si esprime
soprattutto in determinate occasioni come l’attacco alle Torri gemelle; infatti, Putin sarà il primo
leader occidentale a telefonare a Bush e aprirà il suo spazio aereo agli aerei NATO diretti a
bombardare l’Afghanistan, sarà disponibile a fornire basi agli americani per le operazioni dirette in
Afghanistan. Nel 2002 si firma l’accordo di Partica di mare con cui si crea consiglio NATO – Russia.
Sempre nel 2001 un Summit euro russo a Bruxelles stabilisce il principio della lotta comune contro il
terrorismo e, immediatamente dopo, l’UE concede alla Russia lo status di economia di mercato. Nel
2002 Putin finanzia anche un negoziato sugli armamenti e c’è una grada stima verso l’occidente. La
crisi avviene dopo il 2003: Guerra del golfo: insistenza USA contro tre nemici Iran, Iraq e Corea del
nord, ovvero tre paesi alleati della Federazione; quinto allargamento NATO nel 2004; ingresso UE di
nuovi membri, tra cui tutti baltici e paesi Europa orientale; nel 2004 le elezioni presidenziali in Russia
sulle quali cominciano le critiche degli occidentali (es. pochi spazi ai giornalisti indipendenti); 2004
attentato guerriglieri ceceni nella scuola in Ossezia del Nord; annuncio Commissione Europa di
volere estendere la Politica Estera di Vicinato a quello che i russi considerano come estero vicino.
Tutte queste cose portano Putin a disinnamorarsi dell’Occidente con la fine del 2004 → quando il
2004 si chiude l’idea è che degli occidentali non ci si può fidare.
Dall’inizio della seconda presidenza del 2004, Putin comincia a cambiare posizioni: nei primi discorsi,
infatti, si sottolinea la peculiarità della Federazione russa che è al contempo europea e asiatica. Che
i rapporti siano diversi lo si comincia a vedere da subito: in questa presidenza l’andamento della
tensione è crescente fino al 2008 quando si arriva alla crisi in Georgia, ovvero una crisi che è
indirettamente diretta dagli Occidentali (in realtà soprattutto dagli USA). Cosa successe in questi
quattro anni? Intanto tra il 2004 e il 2006 c’è la prima guerra del gas con l’Ucraina. Il punto di frattura
tra i due Paesi è stata la Rivoluzione arancione nel 2004. Nel corso degli anni ’90 la Russia e l’Ucraina
hanno un destino molto comune: situazione economica disastrosa, decisione di transitare al libero
mercato, impoverimento della popolazione, crescita di una classe di oligarchi potentissima,
diffusione della corruzione, politica estera di basso profilo non rinnegando i rapporti con la Russia,
senza disdegnare però l’Occidente; ma ad un certo punto la specularità tra Russia e Ucraina inizia ad
inclinarsi. Già nel 2001 in Ucraina cominciano le prime manifestazioni popolari, rivolte
prevalentemente verso la corruzione. Tra gli anni ’90 e 2000 due presidenti Kucma e Kracuk. Dalla
Russia guardano con apprensione queste prime manifestazioni e lo fanno con riguardo perché da
quel momento inizia per la prima volta uno scollamento nella storia dei due paesi → se fino a quel
momento sono stati l’immagine speculare una dell’altra, il destino cambia: in Russia arriva Putin; in
Ucraina si risveglia la società civile → idea che ad un certo punto Putin non ha più avuto garanzia
che non sarebbero più saliti presidenti fedeli alla Russia e nel moneto in cui ha capito che questo
non sarebbe più accaduto ha cominciato ad insospettirsi moltissimo. Non a caso nel 2004 elezioni
importanti perché scade il mandato di Kucma. A queste elezioni vince il candidato filorusso, ma la
gente scende in piazza per manifestare contro presunti brogli elettorali (la cd. Rivoluzione
arancione); la Corte conferma i brogli e gli ucraini ritornano alle urne e vince il candidato
filoccidentale.
Putin è preoccupato di questa “involuzione” democratica dell’Ucraina. Fino a questo momento
l’Ucraina aveva beneficiato di prezzi più che di favore per l’acquisto di gas; inoltre, gli ucraini
prendevano il gas russo e una parte veniva rivenduta al mercato nero a prezzi più altri e i russi lo
sapevano, ma si facevano andare bene la situazione in cambio di lealtà verso la Russia. Nel 2005
l’UE, che non ha mai avuto una propria politica energetica, decide di firmare un progetto per creare
la Comunità dell’energia, in modo da trovare fonti alternative al gas russo. In questa Comunità
dell’energia si volevano coinvolgere diversi paesi per trovare fonti e vie di transito alternative perché
il passaggio dei gasdotti dallo spazio post-sovietico comportava il rischio che, se questi paesi fossero
entrati in conflitto con la Russia, questo passaggio si sarebbe interrotto. Juščenko sfrutta questa
occasione per avvicinarsi ancora di più all’UE e, dopo il Summit di Atene, firma una Memorandum
d’intesa sulla cooperazione in materia di energia. A questo punto i russi decidono che dal 2006
Gazprom applicherà all’Ucraina i regolari prezzi di mercato. Il 1° gennaio 2006 ha inizio la crisi russo-
ucraina sul prezzo del gas naturale. Gazprom taglia i rifornimenti di gas naturale all’Ucraina
promettendo che però avrebbe fatto ugualmente transitare il gas verso l’Europa, ma in pochissimi
mesi le forniture del gas russo all’UE diminuirono del 25%. Dopo diversi negoziati viene concordato
un prezzo e la guerra russo-ucraina si placa. Per la prima volta l’UE si rende conto di essere
totalmente dipendente dal gas russo.
Nel 2006 si arriva ad un’altra crisi con la Bielorussia che però non è dovuta tanto al desiderio di
aumentare il prezzo, ma Lukashenko che è un fedelissimo di Putin, ogni tanto, secondo Putin, non è
così fedele.
Nel 2007 Putin fa un discorso durissimo contro l’Occidente dicendo che l’Occidente fa politica
antirussa, ci sono prove dell’intervento occidentale nelle Rivoluzioni colorate, tensioni con il gas e
per cui avvisa l’Occidente di dover stare attento perché ha a che fare con una Russia molto diversa
dal passato → discorso di Monaco. Nessuno dà troppo peso a questo discorso, ma Putin accompagna
questo discorso con una decisione molto importante: il ritiro della Russia dal Trattato sulle forze
convenzionali in Europa. Questo è un momento di svolta molto importante perché il contrasto passa
dal piano energetico a quello degli armamenti; quindi, la frattura con l’Occidente si approfondisce.
Anche perché i paesi dell’Europa centrorientale, ora che sono parte della NATO, possono
tranquillamente trovare il modo di aggirare i limiti imposti dal trattato. Inoltre, si vocifera la
possibilità per l’Ucraina e la Georgia di aderire all’Alleanza atlantica e sulla volontà americana di
creare un grande sistema di difesa contro i missili, un grande scudo, in Polonia e in Repubblica Ceca.
Sempre nel 2007, dopo il discorso di Monaco, Putin afferma di volersi ritirare dall’ Intermediate
Nuclear Forces Treaty (INT) del 1987, un accordo firmato durante la Guerra fredda per non solo
limitare, ma per fermare la crescita di arsenali nucleari. Sempre nel 2007 viene varato un imponente
piano di riarmo che durerà per sette anni → 2007-2015.
A peggiorare drammaticamente questo clima, arriva la dichiarazione di Bush nel 2008 che
ufficialmente dice che potrebbe esserci una futura adesione di Georgia e Ucraina nella NATO. Pochi
mesi dopo, la Polonia e la Repubblica Ceca accettano l’installazione del muro antimissile sul loro
territorio. Il vero momento di rottura però è la guerra russo-georgiana del 2008. In Georgia nel
momento dell’indipendenza dall’URSS si affronta una guerra civile in Georgia. Diventa presidente
Gamsakuhrida fino al suo allontanamento; verrà sostituito da Shevardnadze, ex esponente sovietico.
Intanto, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia si ribellano avere l’indipendenza dalla Georgia. Grazie alla
mediazione russa viene firmato un accordo di mediazione nel ’95 e in Ossezia vengono mandate
forze di peace keeping per vigilare la stabilità. Saakashvili viene eletto a seguito della Rivoluzione
delle rose ed è un presidente filoccidentale e dopo la dichiarazione di Bush è molto contento; manda
le truppe in Ossezia del sud convinto proprio dalla dichiarazione di Bush. La Russia interviene e ha la
meglio sul campo di battaglia. Si arriverà ad una mediazione grazie alla figura di Sarkozy. Sempre nel
2008, a seguito del cessate il fuoco, la Russia riconosce come indipendenti sia l’Abkhazia che l’Ossezia
del Sud.
In questi anni sono anche in fase di negoziazione due accordi promossi dagli USA con Europa e alcuni
paesi asiatici per creare zone di scambio (il TTIP e il TPT), anche se poi questi accordi non porteranno
a niente. Nel 2008 gli americani si rendono conto di quanto la Cina fosse diventata forte
economicamente; quindi, questi accordi erano più in funzione anticinese che antirussa.
Come se non bastasse, sempre nel 2009 Russia e Ucraina entrano in crisi e ci fu la seconda guerra
del gas. Nel 2010 viene creata l’Unione Doganale Euroasiatica tra Russia, Bielorussia e Kazakistan
che avrebbe progressivamente dovuto espandersi a tutti gli altri paesi dell’ex URSS. Nel 2008 ci sono
sia in Russia che negli USA le elezioni e questo porta ad un temporaneo raffreddamento tra Russia e
USA. Obama e Medvedev, i nuovi eletti, riescono a comprendersi anche perché Obama è un
democratico e reimposta la politica estera americana sulla base di una considerazione: si rende
conto di quanto la Cina sia padrona degli USA, infatti, di anno in anno, il debito pubblico americano
è sempre più nelle mani di Pechino) e quindi ci deve essere un riposizionamento americano verso il
Pacifico e l’estremo oriente. In più Obama si accorge che i russi dipendono esclusivamente
dall’esportazione delle materie prime e questo rappresenterà anche un insuccesso di Putin che
anche con il massimo dei suoi sforzi non è ancora riuscito a modernizzare il paese. In Obama ho un
approccio più multilaterale alla politica estera e si rende conto che agli USA la Russia serve per
migliorare i rapporti con l’Iran che stava crescendo dal punto di vista nucleare. Su queste basi Obama
riporta alcuni successi: nel 2009 viene creato un corridoio che attraversa il territorio russo per
portare rifornimenti in Afghanistan e i russi concedono un aeroporto agli americani; nell’aprile 2010
viene formato un nuovo inedito accordo sul nucleare, sempre sulla riduzione degli armamenti
nucleari; Obama ritira il progetto di installazione dello scudo antimissilistico in Polonia e Repubblica
Ceca e rinuncia ufficialemtne a qualsiasi piano di allargamento della NATO. A suggello di questo
periodo di collaborazione nel 2012 la Russia viene fatta entrare nel 2TO, senonché nel 2012 tutto
cambia perché cambia drammaticamente il quadro internazionale →il Medioriente e il nord Africa
sono scossi dalle Primavere arabe e i due maturano subito visioni diverse e l’occidente aiuta le
primavere arabe che di fatto sono state inutili; la Russia invece all’inizio rimane prudente, ma quando
si rende conto che si formano forze islamiche fondamentaliste, la politica di Putin si fa più dura nei
confronti dell’occidente. Ad esempio, nel 2011 la Francia e la Gran Bretagna decidono di intervenire
in Libia e gli USA le seguono; la Russia è contraria anche se non porrà il veto al CdS per imporre un
no-fly-zone sulla Libia e c’è quindi ancora un atteggiamento attendista; in Egitto grande sconfitta per
USA e inserimento di Putin come alleato del nuovo governo; nel 2011 crisi siriana.
Nel 2012 il Congresso americano, con Obama contrario, approva il Magnitsky Act che dice che i
cittadini russi responsabili di violazioni di diritti umani non possono entrare negli USA e i loro beni
presenti nel territorio americano sono confiscati; la Duma vieta adozioni di bambini russi in tutti quei
paesi sono legali le unioni omossessuali; nel 2013 si aggiungono le cd. leggi omofobe russe e
vengono anche emanate una serie di leggi liberticide contro giornalisti e attivisti. Sempre nel 2013
Putin da asilo a Snoden, un personaggio che racconta l’attività di spionaggio che gli americani
facevano sulle leadership europee, e Obama per protesta non partecipa all’apertura delle olimpiadi
nel 2014. Nel 2014, subito dopo le elezioni, sappiamo che comincia il periodo della crisi irreversibile.
Tutto comincia con la decisone di Putin di far fare il referendum e annettere la Crimea; seguono
condanne da parte del mondo occidentale e sanzioni da parte degli USA e dall’UE e la Russa viene
sospesa dal G8. Il recupero della Crimea però porta i consensi di Putin alle stelle. Da quel momento,
isolato nel contesto internazionale, Putin firma il primo accordo con la Cina per la fornitura di gas e
di petrolio; nel giugno del 2014 Putin fa un lungo e simbolico viaggio a Cuba, in Nicaragua, Brasile e
Argentina stringendo rapporti stretti con questi paesi per la fornitura di armi. Nel dicembre 2014, fa
un discorso all’Assemblea federale dove emergono i suoi nuovi obiettivi: consolidamento
dell’integrazione della Crimea; avanzamento del programma di riforme del sistema infrastrutturale,
diminuzione della dipendenza economica del paese dalle esportazioni di gas e petrolio e, per la
prima volta, dice apertamente che la Russia deve rafforzare i legami con tutte lo organizzazioni
regionali che ha creato, i BRICS, i paesi arabi e l’india in funzione anti-occidentale e anti-americana
perché gli USA hanno fatto di tutto per isolare la Federazione.
Con la presidenza di Trump, 2016-2020, si vivrà un periodo di immobilismo nei rapporti tra le due
potenze, non succede un granché. Con Biden si vedrà un’iniziale freddezza, no interessi economici o
scambi culturali in comune; con la guerra in Ucraina questa freddezza di è trasformata in diretto
conflitto (guerra per procura).
07/11/2023
Cina
La domanda di fondo della lezione è capire come la Cina da paese arretrato, emarginato dal contesto
internazionale, sia riuscito negli ultimi trent’anni a trasformarsi in una grande potenza; come è stata
recepita dalla comunità internazionale questa crescita; quali percezioni la Cina ha di sé stessa come
grande potenza internazionale.
Marco Polo scopre la Cina per la prima volta. I cinesi rimangono stupiti da questa missione europea
anche è perché la Cina è un paese che da secoli basta a sé stesso, autoreferenziale e tale rimane
anche dopo Marco Polo, non si tratta infatti di un’apertura. Così rimarrà fino ai primi decenni
dell’800.
L’ Impero cinese è autoritario e gerarchico, ma si ispira ai principi del confucianesimo: armonia, pace,
scurezza e superiorità della grande esperienza imperiale cinese, sennonché dai primi decenni
dell’800 le ambizioni britanniche guardano alla Cina → diffusione di un uso dell’oppio in Cina di cui
la Gran Bretagna è responsabile. I britannici chiedono all’Imperatore di eliminare i limi alle
importazioni di oppio, l’imperatore rifiuta e si andrà in contro alla I guerra dell’oppio e poi alla II (fine
1860). Queste furono guerre di natura principalmente economica, ma furono importantissime
perché dimostrarono quanto in realtà l’esercito cinese fosse debole e alla fine i cinesi dovettero
accettare le condizioni britanniche. Arrivarono quindi nel paese anche le altre potenze europee e i
giapponesi per ottenere trattati vantaggiosi. Nessuno aveva in realtà interessi nello sfaldamento
dell’Impero cinese, ma si voleva firmare i “trattati ineguali” in cui la potenza coloniale atteneva
estremi benefici; con questi trattati le altre potenze ottenevano anche il principio di
extraterritorialità; ad esempio, se un cittadino inglese fosse stato scoperto a rubare non avrebbe
potuto essere giudicato da un tribunale cinese, ma doveva essere processato in Inghilterra. Questa
questione, con il passare degli anni, indebolirà la Cina e anche la percezione che la Cina aveva di sé
stessa. Verso la fine dell’800 si manifestò anche l’interesse russo e giapponese per una regione della
Cina, la Manciuria, e questo portò allo scontro del 1905 che si svolse sui mari, ma il vero obiettivo
era conquistare privilegi assoluti nell’ambito della Manciuria. La guerra si concluse con la sconfitta
della Russia da parte del Giappone. Nel 1911, una parte del establishment cinese legato al partito
nazionalista dette vita ad una rivolta che portò alla fine dell’Impero. Nel 1912 l’imperatore scappò,
e 20 anni dopo i giapponesi lo prelevarono dal luogo in cui si era rifugiato per metterlo come sovrano
fantoccio a capo della Manciuria: infatti, nel 1931 il Giappone aveva deciso il colpo di mano in
Manciuria e presero l’ultimo imperatore cinese e lo usarono come sovrano fantoccio. Tutta questa
storia è importante per capire il senso di umiliazione avvertirono i cinesi tra le guerre dell’oppio e la
fine dell’impero → influenza di particolare rilevanza sulla formazione dell’ultimo statista Xi Jinping
che parlerà di rinascita e riscatto cinese → leader di un partito comunista fortemente nazionalista.
Quando l’impero si sfalda nasce una Repubblica guidata dal partito nazionalista cinese il cui leader
era Sun Yat Sen. Lui muore nel 1926 e il suo posto viene preso da un altro uomo, Chang Kai Sehek
che avrebbe stabilito una leadership corrotta, incontrando anche le antipatie della popolazione. Lui
assume le redini del governo cinese dal 1926. Nel frattempo, nel 1921 un giovanissimo compagno
Mao fonda il partito comunista cinese di chiara ispirazione bolscevica → come i sovietici hanno fatto
in Russia, i comunisti devono fare in Cina. Il paese entra in uno stato di guerra civile tra le milizie
comuniste e quelle nazionaliste. Questa silenziosa guerra civile si interrompe tra il 1931 e il 1932
quando i giapponesi attaccano la Manciuria perché la priorità è ovviamente difendere il paese, ma
di fatto non riusciranno a difendere un granché e, persa momentaneamente la Manciuria, la guerra
civile ricomincia con una maggiore intensità.
Nel 1937 il Giappone attacca la Cina e la guerra interna viene nuovamente sospesa fino al 1945. Il
Giappone ad un certo punto di concentrerà sul versante del Pacifico e quindi contro gli USA. Dopo la
fine della II Guerra mondiale, non appena il Giappone firma la resa, la guerra civile riprende. Nel 1°
ottobre 1949 Mao dichiara la nascita della Repubblica popolare cinese e Sun Yat Sen deciderà di
rifugiarsi nell’Isola di Taiwan, detta anche di Formosa. Lì deciderà di trasferire la Repubblica
nazionalista cinese; una simile operazione sarà possibile grazie al sostegno degli sconvolti americani
che, dagli anni ’20, si erano impegnati economicamente a favore del governo nazionalista guidato
da Sun Yat Sen - soprattutto durante la guerra civile vera e propria -. Gli USA, quindi, vissero la nascita
della Repubblica popolare cinese come un trauma, una perdita economica, e una battuta d’arresto
strategico perché un altro paese era diventato comunista. La Cina nazionalista di Taiwan era ridicola,
ma invece è durata fino ai nostri giorni con una pazzesca anomalia perché Roosevelt a Yalta chiese
che nel CdS entrasse la Cina nazionalista, che è rimasta ad occupare il seggio fino al 1979. Tra il 1949
e il 1976 (morte di Mao) cosa accade? Il paese era povero, prevalentemente agricolo e aveva una
struttura economica praticamente feudale anche se formalmente non esisteva la servitù della gleba,
non esisteva industria, infrastrutture o sviluppo economico. Mao cercò di cambiare il paese in due
momenti: nel 1958 con la politica del grande balzo in avanti, ma il progetto fallì; otto anni dopo fu
lanciata un’altra campagna di natura anche ideologica e culturale per preparare la popolazione che
era ancora intrisa dei principi del confucianesimo e tutto questo andava estirpato: nel 1966 fu
lanciata la rivoluzione culturale: squadre di giovani e membri del partito dovevano andare nelle
campagne soprattutto a indottrinare la gente comune, ma una volta avviata questa operazione non
fu più possibile controllarla e degnerò in episodi di violenza estrema e si cercò di cancellare tutte le
antiche tracce del paese; diffusione del libro rosso di Mao.
La rivoluzione culturale funzionò meglio, azzerò la possibilità di resistenze da parte della popolazione
rispetto ai voleri del governo. In questi anni non esiste una politica estera cinese: la Cina non c’è nel
panorama internazionale. Prima di tutto, molti paesi non riconoscevano la Cina (solo casi isolati in
occidente es. UK). Anche se nel 1972 gli USA decidono di limitare il ruolo della Cina di Taiwan e dare
più peso alla Cina comunista, soprattutto perché sperano così di indebolire i sovietici. In realtà era
una strategia a breve scadenza. Nel 1977 Mao muore e per due anni si forma un quadrunvirato, tra
cui tre erano esponenti maoisti e il quattro membro era la moglie di Mao. Successivamente arriverà
Deng Xiaoping → si rende conto che è necessario un rilancio economico. Ha un’idea geniale: il paese
va diviso in zone che saranno denominate in zone ad economia controllata in cui introduce il libero
mercato (zone che saranno principalmente sul mare) e queste zone traineranno lo sviluppo
economico del paese e da un lato si avrà lo sviluppo economico, dall’altro verrà mantenuto il partito
unico e i principi del comunismo. La sua leadership fu puntata interamente su questo sforzo interno.
Ci fu un momento, alcuni anni dopo, in cui la crescita rallento (1988/1989). In parte le speranze che
questo sviluppo economico aveva creato riguardo a libertà che però non arrivarono: proteste degli
studenti universitari nel 1989 → NB. i cinesi non volevano libertà che possiamo aspettarci noi
occidentali riguardo democrazia e liberalismo. Il governo reagì con i carrarmati. Deng scrisse un
documento: “28 caratteri di guida della politica estera cinse” in cui dice che bisogna concentrare
tutto sullo sviluppo interno perché è necessario per la sopravvivenza del partito e questo deve
accompagnarsi ad una politica estera di bassissimo profilo qui c’è una scelta isolazionista ben
consapevole e motivata. Deng muore nel 1992 e lo succederà Jiang Zemin: anni di cambiamento
dell’assetto e della postura cinese. Ovviamente siamo in un decennio particolare in cui crolla il
sistema bipolare e si ha l’illusione che si crei un sistema multipolare. I cinesi cominciano a pensare
che in questo sistema anche loro possono avere un qualche ruolo per migliorare la propria
reputazione e lo fanno con la partecipazione alle operazioni di peace keeping dell’ONU, tant’ che
oggi la Cina è il secondo contributore al bilancio di queste operazioni. Pur tenendo la politica di basso
profilo la Cina inizia ad emergere. Ma il primo vero punto di svolta è il 1997 → le Tigri asiatiche che
negli ultimi decenni avevano conosciuto uno sviluppo economica spaventoso iniziano ad entrare in
recessione e vengono salvate dalla Cina che con manovre economiche importanti andrà a stabilizzare
questi paesi: la Cina per la prima volta diventa una potenza responsabile a livello regionale. Questo
maggiore attivismo porta la Cina ad accettare una folle proposta di Bush padre, ovvero di farla
entrare nell’organizzazione mondiale del commercio → Bush pensava di poterla controllare nel 2TO
e di indurla verso la democratizzazione, ma siamo a ridosso del cambio nello scacchiere americano
e dal 2001 fino ad Obama gli USA non guarderanno verso il Pacifico, ma verso Medioriente e questi
saranno proprio gli anni della trasformazione cinese. Nel 2001 ci fu anche l’adesione
all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai → questa organizzazione parla di sicurezza
(criminalità organizzata, narcotraffico, ecc.) e quindi di questioni militari e per la prima volta la Cina
assume vere responsabilità politiche regionali. Zemin lascia il posto a Hu Jinto (2002-2013) → vero
e proprio miracolo cinese → la Cina diventa una vera potenza economica. In questo decennio la Cina
comincia a pensarsi come attore globale, non più basso profilo e marginalità, ma postura di un attore
globale che vuole e deve avere un grande ruolo ed inizia l’espansione cinese – è anche il momento
in cui le merci cinesi iniziano ad invadere in nostri mercati- sia verso i paesi “grandi”, ma anche verso
i paesi del “terzo mondo” in quanto ex tale e in quanto potenza vergine dagli orrori del capitalismo.
Nel 2006 → BRIC e poi BRICS. Sempre nel 2006 entra nel G20. In questi anni attiva anche una serie
di strumenti completamente sconosciuti ai cinesi che rientrano nel concetto di soft power, cioè,
comincia ad attivare strumenti di natura culturale per la diffusione della Cina nel mondo es. Istituto
Confucio per la diffusione della lingua cinese nel mondo.
Dal 2012 arriva Xi Jinping → eredita una Cina potente, legittimata a livello internazionale. Lui non
parta più di potenza globale, ma di grande impero celeste. Nel 2021, a cento anni dalla fondazione
del partito comunista cinese), dice di voler superare gli USA entro il centenario della nascita della
Repubblica popolare cinese. Incomincia una serrata lotta alla corruzione che gli ha portato consenso
da parte della popolazione e gli ha permesso di eliminare le opposizioni; nel 2017 cambia la
costituzione e la postura internazionale. Altra cosa fondamentale sono i grandi investimenti
nell’esercito e nella marina che prima di lui era molto ridotta. Problemi: sempre attenzione agli
oppositori interni perché si possono sradicare, ma mai eliminare completamente; è necessario
mantenere molto alto lo standard di sviluppo economico; nel paese ci sono ancora delle sacche di
povertà in particolare verso occidente che può diventare pericolosa; sfida tecnologica perché sa
bene che tutto si gioca lì; sfida ambientale che è diventata uno dei temi principale per la popolazione
cinese. Due anni dopo la sua salita al potere, Xi Jinping va in Kazakistan e fa un discorso con il quale
annuncia la cosiddetta nuova via della seta, con la quale annuncia al mondo come intende realizzare
il suo sogno di ritorno al nuovo impero cinese: costruzione di innumerevoli infrastrutture che devono
collegare le coste della Cina sia attraverso rotte terrestri che marine al porto di Rotterdam. A cosa
serve? Intento è un sistema per fare arrivare facilmente le merci fino in Europa; dal punto di vista
marittimo la creazione di questa rotta permetterebbe di ridurre l’uso dello stretto di Malacca, ovvero
aumentare la sicurezza delle rotte; la Cina aumenterebbe la sua sicurezza energetica. Si tratta di un
progetto enorme che avrebbe dovuto coinvolgere molti paesi ed è dichiaratamente un progetto
antiamericano; molti di questi paesi inizialmente hanno reagito positivamente poi si sono palesati
tre punti vulnerabili: 1. Non si capisce la reciprocità; 2. questa banca asiatica per gli investimenti che
dovrebbe operare è molto meno attiva delle banche cinesi rischio di trappola del debito; 3. il Covid
ha rallentato il processo.