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Riassunto Di Letteratura Italiana

Dalle origini alla scuola poetica toscana

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ester cascone
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Dalle origini alla scuola poetica toscana

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Alle orioini

della letteratura
italiana

O biettivi
Conoscere e comprendere
l’evoluzione della lingua
1
dal latino alle lingue moderne
Conoscere le origini
della letteratura europea e
2
della letteratura italiana
Conoscere alcuni testi e
autori della poesia italiana
3
del Duecento:
la poesia religiosa,
la Scuola siciliana,
la poesia toscana
prestilnovista

1
antologia letteraria © IstItuto ItalIano EdIzIonI atlas
Introduzione
Le origini delle lingue moderne
dal latino alle lingue Moderne
È arduo determinare in modo cronologicamente preciso il momento del pas-
saggio dal latino al volgare, cioè quando il latino abbia cessato di essere usato
dal popolo come lingua di comunicazione e sia stato sostituito dalle lingue
nuove, neolatine e non. Sta di fatto che tale passaggio si svolse in modo e in
tempi diversi da luogo a luogo; inoltre, come sostiene Natalino Sapegno, un
illustre critico della letteratura italiana e attento studioso delle sue origini, un
linguaggio non nasce e non muore mai, ma si trasforma sempre.

una rapida fraMMentazione


della lingua parlata
In particolare, a partire dal V secolo d.C., in seguito
alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, si assiste
a una rapida frammentazione delle lingue parlate.
Questo fenomeno si verifica perché la lingua latina
imposta dai Romani – che si era sovrapposta nelle re-
gioni conquistate alla cosiddetta lingua di substrato,
cioè quella che gli abitanti parlavano in precedenza
–, non più sostenuta da un potere centrale, perde la
sua funzione comunicativa orale. Pertanto, le lingue
parlate, non più unificate dal latino, si modificano
velocemente, ben più della lingua scritta, che man-
tiene invece un maggior rigore e controllo.
Si verifica quindi, nei primi secoli del Medioevo,
una situazione particolare: a una lingua scritta, so-
stanzialmente modellata sul latino, seppure diversa
ormai dal latino dei classici1, gestita da un’élite in-
tellettuale composta per lo più da uomini di chiesa2,
si contrappongono le lingua parlate, differenziate da
zona a zona. Nei secoli successivi alla caduta dell’Im-
pero romano d’Occidente, prima nelle aree di lingua
germanica, poi in quelle di lingua neolatina, si assi-
ste a un progressivo allontanarsi dalla lingua latina e
all’originarsi dapprima di nuove forme del parlato e
poi di nuove lingue scritte.

1. Si tratta, infatti, del latino medievale, che ha caratteristiche diverse rispetto a quello classico. Il latino medievale era contraddi-
stinto da un lessico in cui confluivano espressioni dal greco e dall’ebraico, a causa dell’influenza della lingua della Vulgata, cioè
della traduzione della Bibbia in latino, dal greco e dall’ebraico. Inoltre, alcune parole ed espressioni derivavano dal germanico,
parlato dalle diverse popolazioni migranti che fecero irruzione nel cuore dell’Impero.
2. La grande maggioranza della popolazione era analfabeta. Solo gli uomini di chiesa, i cosiddetti chierici, erano colti e capaci di
scrivere testi utilizzando il latino, che nel frattempo si era comunque evoluto rispetto al modello classico.

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antologia letteraria © IstItuto ItalIano EdIzIonI atlas
Mutamenti linguistici significativi
All’interno del latino parlato o volgare (vale a dire, usato dal vulgus, il popo-
lo) iniziano a verificarsi molteplici mutamenti linguistici. Per esempio, il ge-
nere neutro dei sostantivi gradualmente si estingue; i casi grammaticali vanno
scomparendo, in favore del diffondersi dell’uso di preposizioni più sostantivo;
alcuni vocaboli di impiego quotidiano ne sostituiscono altri di origine colta e
letteraria (caballus anziché equus, bucca anziché os ecc.); altri ancora si mo-
dificano (oculus diventa oclus, frigidus diventa frigdus); compaiono, infine,
numerosi nuovi costrutti e alterazioni derivanti dall’influenza delle lingue dei
popoli con i quali il mondo romano era entrato in contatto.

Le lingue romanze
Già nel VI secolo, i vari idiomi volgari sono così diversi fra loro da rende-
re sempre più difficile la reciproca comprensione, pur essendo legati dalla
comune origine latina: essi vengono denominati lingue neolatine o romanze
(dal latino romanice loqui: “parlare in lingua romana”, cioè in latino). I gruppi
fondamentali di idiomi neolatini sono:
• il portoghese, il castigliano (che diventerà lo spagnolo) e il catalano nella
Penisola iberica;
• le lingue d’oïl e d’oc (il futuro francese e il provenzale) in Francia;
• il rumeno nell’antica Dacia, conquistata dall’imperatore Traiano, l’attuale
Romania;
• in Italia, il francoprovenzale, il ladino, il sardo e numerosi altri dialetti
nell’area centrale, meridionale e settentrionale, fra cui quelli dell’area umbra
e toscana.
Proprio quest’ultima regione – la Toscana – offrirà nel corso dei secoli un con-
tributo fondamentale alla nascita della lingua italiana, soprattutto attraverso
una cospicua e raffinata produzio-
ne letteraria, che imporrà il volgare
toscano sulle altre varianti regiona-
li italiane.

Le lingue germaniche
Già a partire dall’VIII secolo nel-
l’area germanica, ove la diffusione
della lingua latina era meno con-
solidata, la lingua parlata, ormai
distante dal latino, viene integra-
ta anche nella forma scritta, con i
primi documenti che attestano la
nascita della lingua anglosassone,
l’odierno inglese, intorno al 700
e della lingua tedesca, intorno al
750.
Questo processo complessivo, con-
dizionato da eventi storici e da re-
lazioni tra popoli diversi, porterà
alla nascita delle cosiddette lingue
nazionali.

L’Indovinello veronese è un testo in corsiva nuo-


va vergato su una pergamena (risalente alla fine
dell’VIII - inizio IX secolo d.C.); è il primo testo vol-
gare romanzo e secondo le stime attuali degli stu-
diosi attesterebbe la nascita della lingua volgare
in Italia.

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antologia letteraria © Istituto Italiano Edizioni Atlas
I primi documenti scritti in volgare
I primi documenti che, in Europa, attestano l’uso scritto
delle nuove lingue, non sono opere letterarie. Il più an-
tico è il Giuramento di Strasburgo che, nell’anno 842,
stabilisce la spartizione dell’Impero carolingio fra i discen-
denti di Carlo Magno, Ludovico il Germanico e Carlo il
Calvo, alleatisi contro il fratello Lotario: il documento ori-
ginale è scritto in latino, ma riporta pure in antico francese
il giuramento di Carlo e in antico tedesco quello del fratello
Ludovico. Questi due testi erano destinati a essere letti ai
soldati, che non comprendevano più il latino, ma solo le
rispettive lingue volgari.

In Italia
Anche in Italia sono presenti alcune tracce di volgare in do-
cumenti notarili del VII e VIII secolo, tuttavia viene con-
siderato primo esempio di espressione scritta della nuova
forma linguistica un indovinello che risale a un periodo
collocabile fra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, scritto
in margine a un codice latino della Biblioteca Capitolare di
Verona e per questo definito indovinello veronese.
L’indovinello si riferisce all’atto dello scrivano. Eccone il te-
sto:
Se pareba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba,
negro semen seminaba.
La traduzione proposta è la seguente, ormai codificata da-
gli studiosi: “Spingeva innanzi i buoi (le dita), arava campi
bianchi (il foglio), teneva un aratro bianco (la penna d’oca),
seminava un seme nero (l’inchiostro)”.
Questo breve scritto – ricco di assonanze e consonanze, che
mescola elementi tipici della lingua latina (gli accusativi bo-
ves, alba pratalia, semen) con altri, già mutati nella direzione
di una nuova lingua3 – potrebbe configurarsi come lo sfogo di
un copista che, costretto per ore al lavoro di amanuense, riflet-
te su di esso, riproponendolo sotto forma di indovinello.
In un successivo documento, il Placito cassinese (o Carta ca-
puana) del 960, il processo di trasformazione del latino in volga-
re appare concluso a tutti gli effetti. Il testo riproduce una formula
pronunciata dai testimoni in occasione di una lite per i confini fra
il Monastero di Montecassino e un tale Rodelgrino d’Aquino:
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette Il “Placito cassinese”. Si tratta di
parte Sancti Benedicti. un gruppo compatto di quattro
pergamene di argomento simi-
“So che quelle terre, nei confini che qui sono indicati, le possedette trent’anni le, formate da quattro placiti.
il convento di San Benedetto.” I placiti riguardano beni di tre
monasteri che dipendono da
Questo documento riveste un interesse prevalentemente pratico-documen- Montecassino e sono stati pro-
tario. Infatti, riferisce le parole di un testimone che, in quanto esponente del nunciati nei principati longobar-
popolo, non conosce più il latino e si esprime nella sua lingua volgare. La di di Capua e di Benevento.
testimonianza è quindi incastonata in un testo formale, scritto in latino.
Quelli riportati sono solo due esempi di primi documenti in lingua volgare
che non hanno, tuttavia, caratteristica e dignità di testo letterario.

3. Tra gli elementi ancora latini vi sono gli accusativi plurali boves (maschile) e alba pratalia (neutro), e l’accusativo singolare
semen; tra gli elementi che già rivelano un mutamento dal latino, di cui comunque conservano la matrice, gli imperfetti indicativi
pareba, araba, teneba, seminaba, che hanno perso la desinenza latina; albo e versorio, che hanno perso la desinenza dell’accu-
sativo, così come negro.

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antologia letteraria © Istituto Italiano Edizioni Atlas
Alle origini della letteratura europea
La letteratura nasce quando vengono prodotte opere che hanno scopi lette-
rari, cioè si propongono come fine primario la produzione del bello e sono
condivise da un pubblico che riconosce in esse espressioni della sua stessa
concezione della vita.
La letteratura nelle lingue volgari d’Europa nasce sul modello dei grandi poe-
mi epici e della poesia lirica provenzale. Sia per la produzione epica sia per
quella lirica, gli scrittori francesi assurgono, infatti, a modelli: in lingua d’oïl
(sviluppatasi nella Francia settentrionale, presso Parigi) per l’epica; in lingua
d’oc (sviluppatasi presso le corti provenzali) per la lirica; quest’ultima influen-
zerà notevolmente la nascita e i primi sviluppi della letteratura italiana.

I grandi poemi epici:


il ciclo carolingio e il ciclo bretone
I grandi poemi epici cantano le vicende originarie di un popolo e le gesta dei
suoi eroi, prendendo spunto da eventi storici, ma trasfigurandoli nell’ambito
del leggendario. In alcuni casi più opere trattano di un unico argomento, costi-
tuendo dei cicli, tra cui importanti sono il ciclo carolingio e il ciclo bretone.
Il ciclo carolingio è ispirato dalle grandi gesta di Carlo Magno, il fondatore
del Sacro Romano Impero che, per certi aspetti, doveva riprendere la tradizio-
ne dell’Impero di Roma – ormai limitato come estensione territoriale alla sola
parte orientale –, unificando il mondo cristiano occidentale. Il ciclo carolingio
si esprime soprattutto attraverso le chansons de geste, lunghi poemi scritti
Vetrata gotica raffigurante
in lingua d’oïl, il francese antico usato nella Francia settentrionale, e diffusi a
la rotta di Roncisvalle.
partire dall’XI-XII secolo. Tra questi il più importante è la Chanson de Ro-
land, che si ispira a un avvenimento realmente accaduto, la storica rotta di
Roncisvalle, un valico sui Pirenei orientali, ove Orlando, il perfetto paladino
di Carlo Magno, fedele all’imperatore e alla Francia, perse la vita per difendere
la patria.
Il ciclo bretone, invece, è ispirato alle gesta di re Artù e dei cavalieri della
Tavola rotonda. Le vicende di re Artù, leggendario re del Galles e mitico
capo dei Bretoni, secondo le fonti popolari che le tramandarono, riguardano
in particolare i suoi tentativi di fermare l’avanzata dei Sassoni, nel VI secolo
d.C. Queste vicende, riprese in chiave mitica per la prima volta da Goffredo
di Monmouth nella sua opera Historia regum Britanniae, poi trascritta in
francese nel XII secolo, furono poi rielaborate nei romanzi in versi di Chrétien
de Troyes. Vi si canta soprattutto la perfezione del cavaliere, non innata,
ma conquistata attraverso una queste, ossia un instancabile itinerario di ricer-
ca a cui egli si sottopone e durante il quale, superando prove avventurose e
straordinarie, si libera di ogni imperfezione e impurità. Tra i mitici cavalieri
immortalati nei romanzi di Chrétien de Troyes ricordiamo Lancillotto, Ivano
e Perceval. Quest’ultimo, in particolare, nel suo cammino di purificazione alla
ricerca del sacro Graal, sarà considerato uno degli elementi cardine della spi-
ritualità europea.

Altri poemi epici


Tra i più grandi poemi epici della letteratura medievale ricordiamo inoltre
Beowulf, di autore ignoto, scritto originariamente in lingua sassone occiden-
tale del X secolo, ispirato alle vicende di Beowulf, re dei Goti e nemico dei
Franchi, figura realmente esistita nel VI secolo; il Cantare dei Nibelunghi,
scritto in tedesco antico intorno al 1200, ispirato alle vicende del leggendario
eroe Sigfrido e della bella Crimilde, sua sposa, e agli avvenimenti storico-
leggendari del popolo dei Burgundi; il Cantare del Cid, ispirato alle gesta del
cavaliere cristiano El Cid campeador, scritto in lingua antica castigliana, che
ne celebra le gesta gloriose compiute contro i Mori nel processo della ricon-
quista cristiana della Spagna.
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antologia letteraria © Istituto Italiano Edizioni Atlas
La poesia lirica provenzale
Nelle corti della Francia meridionale – in Aquitania, Alvernia, Limosino e
nel Poitou, della Provenza e della Linguadoca – si sviluppa nel XII secolo la
cultura cortese, alla cui base stanno i valori della corte feudale, propri di
una società aristocratica, raffinata e colta, che mira a differenziarsi nettamente,
ad esempio, dalla massa dei contadini, considerati inferiori. Tali ideali – della
cortesia, della misura e del valore – trovano espressione nella lirica compo-
sta in lingua d’oc dai trovatori, poeti che accompagnano i loro versi con la
musica.
Queste liriche ebbero originariamente una trasmissione orale: erano cantate
di fronte al pubblico di corte dal trovatore che le aveva composte o da un
giullare, con accompagnamento musicale. Solo più tardi, quando le corti pro-
venzali subirono un rapido declino, le poesie vennero trascritte e raccolte in
canzonieri.
Le liriche provenzali presentano come tema centrale l’amore cortese: il tro-
vatore poeta esprime il proprio amore nei confronti di una donna non nomi-
nata, o nominata con un nome fittizio, per evitare le voci dei cosiddetti “mal-
parlieri”, che potrebbero infangare il nome dell’amata. Si tratta di un amore
che resta sempre inappagato, un desiderio struggente che non si realizza, pro-
prio perché in questo consiste la sua forza, secondo quanto affermò un teorico
del tempo, Andrea Cappellano4.
Il poeta avverte il suo rapporto di vassallaggio5 – quindi di subordinazione
– nei confronti della donna, alla quale rende un umile servizio d’amore. Il
sentimento amoroso non si conclude con il matrimonio, tanto più che, molto
spesso, la donna amata dal poeta è già sposata. L’amore cortese è liberamen-
te scelto e sciolto da qualsiasi forma di condizionamento.
Questa splendida e ricca produzione poetica si spense in seguito a un fatto
storico rilevante: la crociata contro gli Albigesi, un gruppo ereticale che
si era diffuso in Provenza, combattuto da papa Innocenzo III tra il 1208 e il
1209.
Da questo momento in poi la lirica dei trovatori trovò il proprio svilup-
po presso nuove scuole, in Italia e in Spagna, di cui importantissima fu la
Scuola siciliana.

La nascita della letteratura italiana


La produzione letteraria italiana nasce tardivamente rispetto ad altri Paesi
europei perché la solida tradizione culturale latina a cui la nostra cultura
era legata frenò sia la diffusione di scritti in lingua volgare, sia lo sviluppo
di una vera e propria letteratura in volgare. In particolare, la frammenta-
zione politica italiana nei primi secoli del Basso Medioevo6 non permise
lo sviluppo, nelle piccole e poco importanti corti feudali italiane, di centri
propulsori di cultura letteraria in volgare, simili, ad esempio, alle esperienze
che si erano realizzate nelle corti della Francia meridionale a partire dal XII
secolo. Ma con l’avvento del XIII secolo, la particolare fisionomia politico-
economica dell’Italia, caratterizzata dal formarsi di un regno solido e accen-
tratore nell’Italia meridionale e dal consolidarsi dell’esperienza dei liberi
Comuni nel centro-nord della penisola, determina alcuni fenomeni culturali
interessanti, favorendo, tra l’altro, la nascita di vere e proprie scuole e correnti
di produzione letteraria.

4. Autore del trattato De Amore (secolo XII).


5. Uno dei principi fondamentali della concezione feudale. Consiste nella subordinazione al proprio signore da parte di colui
che ha ricevuto in beneficio un feudo. Nell’ambito della poesia d’amore in lingua d’oc, il termine assume il significato di completa
subordinazione dell’uomo alla donna, sua Signora d’amore.
6. Con questo termine si indicano i primi secoli successivi all’anno Mille. Esso si contrappone all’Alto Medioevo, che indica invece
il periodo che intercorre dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.) all’anno Mille. Ovviamente queste periodizzazio-
ni hanno un valore puramente pratico e definiscono fenomeni di medio-lunga durata.

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antologia letteraria © Istituto Italiano Edizioni Atlas
La poesia religiosa del Duecento
Fra l’XI e il XIII secolo, mentre si sviluppano i conflitti tra le due massime
autorità del mondo occidentale, l’imperatore e il papa, l’Europa è travagliata
da conflitti interni alla Cristianità, molto spesso determinati da fenomeni di
corruzione della Chiesa cui si contrappone il modello di povertà e semplicità
evangelica, sostenuto per lo più da movimenti popolari. Questi ultimi sovente
sfociano nell’eresia, ossia nell’abbandono della cosiddetta ortodossia, o corret-
ta interpretazione della dottrina della Chiesa.
La spiritualità cristiana rivive pienamente nell’ambito della civiltà comunale
umbra attraverso l’esempio e l’opera di Francesco d’Assisi, il quale non solo
fonda l’Ordine mendicante dei Francescani – che rinnova la povertà evange-
lica attraverso una piena adesione alla dottrina della Chiesa –, ma esprime la
propria sensibilità di fronte alle bellezze del creato attraverso un testo poetico
esemplare in volgare umbro, che si colloca alle origini della letteratura ita-
liana.
Oltre a Francesco d’Assisi si deve ricordare la figura di Jacopone da Todi,
anch’egli umbro, che esprime nelle sue liriche testimonianze di altissimo spi-
rito religioso e, in particolare in un testo, Donna de Paradiso, ripercorre con
drammatica semplicità la passione di Cristo.

Cimabue,
San Francesco d’Assisi,
XIII secolo, 1278-1280.
FRANCESCO D’ASSISI
L’autore e l’opera
San Francesco nacque ad Assisi nell’inverno del
1182 da una ricca famiglia borghese; il padre,
mercante, aveva sposato una nobildonna francese.
All’età di vent’anni partecipò alla guerra tra Assisi
e Perugia, da cui ritornò gravemente ammalato.
Superata questa esperienza negativa, giudicò vuo-
ta l’esistenza fino ad allora vissuta e scelse una
vita di silenzio e di riflessione nelle campagne
di Assisi.
In rotta con il padre, che voleva avviarlo alla sua
stessa professione di mercante, rinunciò a tutti i
suoi beni. Le gesta di Francesco non passarono
inosservate, e dopo qualche tempo gli si affianca-
rono i primi seguaci. La data ufficiale della nasci-
ta dell’Ordine dei Frati Minori è il 1210, quando
Francesco e i compagni furono ricevuti da papa
Innocenzo III, che approvò verbalmente la Re-
gola. Dal 1213 la predicazione di Francesco si
estese per un più ampio raggio, interessando an-
che l’Oriente.
Nel 1224 sul Monte della Verna ricevette le stim-
mate, i segni della crocifissione di Cristo e della
santità. Francesco, stanco e ammalato, venne cu-
rato nella chiesetta di San Damiano, dove compose
il Cantico delle creature, opera di alta religiosità e
lirismo, che contiene tutti gli ideali dell’umiltà e
della grandezza francescane.
Morto nel 1226, Francesco venne dichiarato santo
da papa Gregorio IX.
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Il Cantico delle creature
Il Cantico di Frate Sole, detto anche Laudes creaturarum, fu composto da Francesco, secondo la tra-
dizione risalente alle biografie francescane – Legenda antiqua perusina, Speculum perfectionis –, in
fasi diverse della sua vita. Nonostante la differenza di toni che caratterizza le varie parti, si nota
tuttavia nell’intero testo la profonda fiducia in Dio, che, nella sua immensa misericordia, vuole il bene
dell’uomo.
Scritto in un volgare che presenta una lieve patina dialettale umbra, il Cantico è uno dei più antichi
documenti della letteratura italiana. Si articola in undici “lasse” o strofette di prosa ritmica asso-
nanzata, cioè con la presenza per lo più di ritorni identici di vocali, affini alle sequenze liturgiche e
ai salmi. Celebra le lodi del Creatore attraverso l’esaltazione delle sue creature: l’acqua, il fuoco, il
vento e la stessa morte. I doni della natura sono esaltati per tre aspetti: la bellezza, l’utilità, il riflesso
di Dio.
Metro: la poesia è costituita da undici lasse di prosa ritmica con assonanze.

Altissimu, onnipotente bon Signore, Domina nel testo poetico la


struttura del polisindeto, con
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. frequente ripetizione della con-
Ad te solo, Altissimo, se konfano1, giunzione e.
et nullu homo ène dignu te mentovare2.

5 Laudato sie, mi’ Signore cum3 tucte le tue creature,


spetialmente messor lo frate sole4, La rappresentazione del sole
è emblematica e si ripete poi
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. per tutte le altre creature. Esso
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: viene esaltato per la bellezza,
l’utilità e perché espressione
de te, Altissimo, porta significatione5. della grandezza di Dio.

10 Laudato si’, mi Signore, per6 sora luna e le stelle:


in celu l’ài formate7 clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento


et per aere et nubilo et sereno et onne tempo8,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

PARAFRASI

Altissimo, onnipotente e buon Signore, a te spettano le lodi, la gloria e l’onore e ogni benedizione. A te soltanto, Altis-
simo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome.
Sii lodato, o mio Signore, con tutte le tue creature, in particolare con il signor fratello sole, che è la luce del giorno che
tu ci dai grazie a lui. E il sole è bello e raggiante con grande luce: è simbolo di te, o sommo Dio.
Sii lodato, o mio Signore, per sorella luna e per le stelle: le hai create in cielo chiare, preziose e belle.
Sii lodato, o Signore, per fratello vento, e per l’aria che porta nubi o sereno e per ogni stagione, attraverso cui mantieni
in vita le tue creature.

1. se konfano: si addicono, sono perti- 5. porta significatione: è simbolo. un significato vicino a un complemento
nenti. 6. per: i critici hanno lungamente discus- di causa: per la creazione, meglio resa
2. et nullu homo … mentovare: e nes- so sul significato da attribuire alla prepo- con una proposizione causale: per aver
sun uomo è degno di nominarti. sizione per. Secondo alcuni, introduce creato, per il fatto di aver creato.
3. cum: qui nel senso di “così come”. un complemento d’agente (in analogia 7. l’ài formate: le hai create.
4. messor lo frate sole: attributo dupli- con il par francese); per altri, invece, intro- 8. et per aere et nubilo et sereno et
ce, che sottolinea rispetto e reverenza durrebbe un complemento di mezzo: Dio onne tempo: per l’aria, apportatrice di
(messor è forma umbra di messer) e, nel sarebbe lodato per mezzo delle creature; nubi e di sereno e di ogni variante di cli-
contempo, unione fraterna. una terza interpretazione assegna a per ma.

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15 Laudato si’, mi’ Signore, per sor aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta9. Il polisindeto lega tra loro gli at-
tributi delle creature e i diversi
modi con cui esse si presenta-
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, no all’uomo.
per lo quale ennallumini10 la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Oltre all’utilità per l’uomo, le
creature sono lodate per il loro
aspetto, che arreca gioia e
20 Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, quindi allieta lo spirito.
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore Passaggio dal mondo delle
creature all’interiorità dell’uomo.
et sostengono infirmitate et tribulatione11.

25 Beati quelli ke ’ l sosterranno in pace,


ka12 da te, Altissimo, sirano incoronati13.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, La strofa realizza il passaggio
dalla lode delle creature, che
da la quale nullu homo vivente pò skappare: domina la prima parte del can-
guai a cquelli ke morrano ne le peccata mortali; to, alla riflessione sulla morte
30 beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, corporale che, con toni più
cupi, caratterizza invece l’ulti-
ka la morte secunda14 no ’ l farrà male. ma parte.

Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiate


e serviateli cum grande humilitate.
da Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960

Sii lodato, o Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e preziosa e pura.
Sii lodato, o mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte: ed esso è bello, dà allegria, è robusto
e forte.
Sii lodato, o mio Signore, per la terra, nostra sorella e madre, la quale ci sostiene e ci mantiene in vita, e produce diversi
frutti con fiori colorati ed erbe.
Sii lodato, o Signore, per coloro che perdonano in nome del tuo amore e sopportano malattie e sofferenza. Beati quelli
che sopporteranno con spirito pacifico, perché da te, o sommo Dio, saranno incoronati.
Sii lodato, o mio Signore, per nostra sorella morte del corpo, che nessun uomo può evitare; guai a quelli che moriran-
no in una situazione di peccato mortale, beati quelli che la morte troverà nei tuoi santi voleri, perché la dannazione
dell’anima non li potrà colpire.
Lodate, benedite e ringraziate il mio Signore e rendetegli omaggio con grande umiltà.

9. casta: pura. to: malattia che provoca sofferenza. nati, riceveranno in premio il regno dei
10. ennallumini: illumini, rischiari. 12. ka: in strettissimo rapporto con la cieli.
11. infirmitate et tribulatione: malattia e congiunzione car francese, introduce 14. morte secunda: dannazione eterna.
sofferenza. I due concetti si ripetono in una proposizione causale e significa L’espressione era assai diffusa all’epoca:
una sorta di endiadi, figura retorica in cui poiché. la si ritrova anche nella Divina Commedia
due parole esprimono lo stesso concet- 13. sirano incoronati: saranno incoro- di Dante.

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Analisi del Testo
I temi La figura di San Francesco emerge nel-
del Cantico la nuova realtà comunale dell’Italia cen-
tro-settentrionale tra l’XI e il XIII secolo,
contemporaneamente alle esigenze di
rinnovamento religioso che si manife-
starono in questo contesto. Il Santo di
Assisi, pur essendosi formato nella tradi-
zione liturgica latina, intese rivolgere il
cantico a un pubblico vasto, in cui gli
umili occupano un posto privilegiato:
da qui la scelta del volgare umbro.
Nel Cantico Francesco propone una vi-
sione della vita e del creato serena e
ottimistica, volta a sottolineare il carat-
tere positivo dei singoli elementi, creati Uno dei rari autografi di Francesco,
la benedizione a frate Leone, scritta in nero
da Dio per il bene dell’uomo. In questo tra le righe rosse della pergamena.
Francesco si pone in alternativa al pes-
simismo allora dominante, che tendeva a disprezzare il mondo, considerato come
luogo di corruzione e di morte. La proposta francescana si realizza nella relazione
serena Dio-uomo-mondo creato, esaltato nella bellezza, nell’utilità per l’uomo, nel suo
essere specchio della grandezza di Dio. Considerando ogni creatura come fratello
o sorella dell’uomo, Francesco vuole sottolineare l’umiltà della condizione umana.
L’uomo è collocato nell’universo insieme a tutte le altre creature, che sono considera-
te fraternamente. Tutto il creato, dunque, viene innalzato nelle sue qualità per rendere
lode al Signore. Anche l’uomo partecipa umilmente a questa lode; in particolare, egli
innalza a lode di Dio le sue sofferenze – infirmitate et tribulatione – fino a ringraziare
per la sua stessa morte corporale.

La composizione Nel Cantico alcuni critici hanno individuato toni e temi diversi, rispondenti probabil-
del Cantico mente a differenti momenti della vita del Santo. I primi ventidue versi, in particolare,
sarebbero stati composti presso il convento delle Clarisse a San Damiano, dopo una
visione nella quale Dio avrebbe preannunciato al frate la salvezza. I vv. 23-26, detti i
versi del perdono, risalgono probabilmente a un periodo successivo, quando Fran-
cesco si era impegnato nel superamento di una contesa tra il vescovo e il podestà
di Assisi. I versi finali, relativi alla morte come comune destino dell’uomo, sarebbero
stati composti, infine, in un periodo di sofferenze, in cui Francesco sentiva approssi-
marsi la fine. Tuttavia, nonostante l’indubbio valore di questa interpretazione, si può
comunque riconoscere l’unità di ispirazione del testo, che va individuata nell’accetta-
zione serena di ogni aspetto del creato come espressione della volontà divina.

Tecniche Apparentemente si tratta di un testo semplice, che può sembrare un’opera ingenua
stilistiche e spontanea; nonostante ciò, numerosi sono i precedenti letterari, identificabili nel
Vecchio Testamento, in particolare nei Salmi, a cui si rifà la struttura del componi-
mento, che mette in parallelo elementi della natura e del mondo interiore dell’uomo,
e nei Vangeli, precisamente nel Discorso delle Beatitudini (Matteo 5, 3-10; Luca 6,
20-23).
Il Cantico consta di versetti di stampo biblico raccolti in lasse irregolari, dai due ai
cinque versi; era accompagnato da una melodia musicale, attribuita a Francesco
stesso, che si ispirava al canto gregoriano dei salmi. La lingua è il volgare umbro del
secolo XII, in cui sono presenti influssi toscani, francesismi (messor, ka) e latinismi
(mi, et, homo).
Il testo poetico non presenta, se non occasionalmente, rime (stelle-belle, vento-tem-
po-sostentamento, rengratiate-humilitate), ma assonanze, come per esempio Signo-
re e benedictione; sole e splendore e significatione; aqua e casta; nocte e forte; terra,
governa e herba; corporale, skappare, male; mortali e voluntati.

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ESERCIZI

Comprensione del testo


1. Dopo aver letto attentamente il testo con i suoi apparati, rispondi alle seguenti domande.
a. A chi si rivolge l’autore del testo?
b. Quali sono le creature citate nel Cantico, per la cui esistenza Dio deve essere lodato?
c. Quali persone, nel testo, si possono definire beate?
d. Le creature citate vengono nominate come frate o sora. Che senso assumono questi epiteti? Che
cosa vogliono comunicare?
e. Attribuisci un significato alle preposizioni per dei vv. 10, 12, 13, 14, 15, 17, 18, 20, 23, 27.
f. Che senso puoi attribuire alla congiunzione ka (vv. 26, 31)?
g. Perché messor lo frate sole è il primo elemento della natura a essere ricordato nel Cantico? Trova
una giustificazione plausibile.
h. Che cosa significa morte secunda?
2. Sintetizza il testo poetico nei suoi tre momenti essenziali, dando un titolo a ciascuno di essi.

Analisi del testo


3. Individua i temi presentati nella poesia e traccia una mappa degli stessi. Puoi sostenere la tesi che lo
sviluppo tematico ha un andamento circolare? In base a quale considerazione, in particolare?
4. Quali ritorni significativi puoi trovare in questo testo? Elencane alcuni e preparati a sostenere un
commento orale.
5. Rintraccia nel testo le qualità degli elementi naturali riferiti all’aspetto esteriore, all’utilità per l’uo-
mo, all’espressione della grandezza di Dio e completa la tabella.

ASPETTO ESTERIORE UTILITÀ RIFLESSO DI DIO

Sole .......................................................... .......................................................... ............................................................


Luna .......................................................... .......................................................... ...........................................................
Stelle .......................................................... .......................................................... ...........................................................
Vento .......................................................... .......................................................... ...........................................................
Acqua .......................................................... .......................................................... ...........................................................
Fuoco .......................................................... .......................................................... ...........................................................
Terra .......................................................... .......................................................... ............................................................

O ltre il testo
6. Ricerca film realizzati sulla figura e sull’opera di san Francesco. Se riesci a organizzare con la classe
la visione di un film (Franco Zeffirelli, Roberto Rossellini, Liliana Cavani sono stati i maggiori registi
italiani di film dedicati al Santo di Assisi), analizza come è reso lo spirito francescano di amore verso
tutti gli aspetti della natura.
7. La spiritualità francescana, oltre agli aspetti della vicenda terrena del Santo, ispirarono il ciclo degli
affreschi di Assisi, opera di Giotto di Bondone, uno dei grandi maestri della pittura del XIV secolo. Ri-
cerca illustrazioni di tali affreschi. Soffermati su qualcuno in particolare, sottolineando il ruolo svol-
to dalla natura, oppure descrivendo con le tue parole come è rappresentata la figura del Santo.

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La prima scuola poetica in Italia: la Scuola siciliana
È opinione unanime degli studiosi che i primi due scritti in volgare italico,
elaborati per scopi squisitamente letterari, siano il Cantico di Frate Sole, di
san Francesco d’Assisi, e le poesie elaborate dai poeti della cosiddetta Scuola
siciliana. In particolare, nell’ambito di questo gruppo di cultori di poesia,
vennero rielaborate le teorie sull’amore che avevano trovato ampio spazio nel-
la produzione poetica provenzale da parte dei trovatori.
La nascita della scuola poetica è legata all’impulso di Federico II di Sve-
via, salito al trono imperiale nel 1220 e contemporaneamente re di Sicilia,
in quanto figlio di Arrigo VI e di Costanza d’Altavilla, ultima discendente dei
Normanni, dominatori dell’isola prima degli Svevi. Federico II rappresentò
una figura eccezionale di sovrano, capace di imprimere un forte carattere
accentratore al regno di Sicilia, cui si impose dal 1230, garantendo una soli-
da amministrazione, struttura burocratica e una cultura nuova e originale.
Soprattutto, egli promosse la formazione, presso la corte di Palermo, di
una scuola poetica, luogo di aggregazione di quanti, nell’ambito del regno, si
interessassero di retorica e di poesia.

Caratteristiche della Scuola siciliana


I primi poeti della scuola furono gli stessi funzionari di corte, notai o
dignitari. A differenza dei trovatori provenzali, quindi, i siciliani furono com-
plessivamente dei dilettanti e non dei professionisti della poesia.
La scuola poetica siciliana, grazie all’eccezionale personalità del sovrano che
la promosse, si avvalse al suo interno di numerosi apporti, dall’antichità
latina al mondo bizantino, ebraico, arabo, normanno, germanico, ma soprat-
tutto fu aperta ai poeti della scuola provenzale, dopo la distruzione delle
corti del sud della Francia. La particolare curiosità intellettuale di Federico II,
nonché la tolleranza che lo caratterizzò, lo portarono, infatti, a ospitare presso
la sua corte alcuni poeti provenzali dai quali i dignitari della corte di Palermo
impararono forme e temi di poesia. La Scuola siciliana si sviluppa quindi in
un ambiente culturale estremamente raffinato. In questo ambito, la scuola
trasforma nel volgare siciliano temi e tecniche stilistiche dei provenzali,
adattandoli alla nuova sensibilità, sviluppatisi nella corte palermitana.
L’amore è, come presso i Provenzali, il tema centrale della produzione poe-
tica. I Siciliani ne propongono una concezione laica, che non lo collega alla
pratica del matrimonio, ma riprende lo schema del rapporto amoroso derivato
dalla prassi feudale: così come per i Provenzali, la donna amata è l’amante-
madonna di cui il poeta si confessa umile servo, per riprodurre il rapporto
che nel vincolo feudale si instaura tra il beneficiato e il suo signore. La donna
amata non è una donna reale e concreta, piuttosto una donna ideale, che ri-
sponde ad alcuni ideali di bellezza: è bionda ed ha il viso chiaro.
Inoltre, la particolare raffinatezza dell’ambiente di corte sembra trasfigurare la
poesia in un’atmosfera estranea all’esperienza amorosa popolare e quotidiana,
conferendole un carattere elitario1 legato a una concezione dell’amore intel-
lettuale e astratta, disgiunta dalla vita sociale e privata.
La poesia elaborata dalla Scuola siciliana non è più accompagnata dalla mu-
sica. I poeti si concentrano soprattutto sugli aspetti tecnici, metrici e stilisti-
ci, codificando attentamente le strutture dei componimenti già adottati dai
Provenzali – la canzone2, soprattutto – e inventandone addirittura di nuo-

1. L’esperienza amorosa cantata dai poeti siciliani non ha le caratteristiche del comune sentimento d’amore, ma conserva parti-
colari tratti che la fanno apparire un’esperienza straordinaria, propria di persone aristocratiche, colte, raffinate.
2. Con i Siciliani, la struttura della canzone diviene precisa: oltre alla divisione delle stanze – cioè le strofe – in fronte e sirma (o
sirima), essa prevede l’adozione di versi settenari e endecasillabi, alternati in vario modo, con la creazione all’interno di essi di
molteplici corrispondenze mediante rime, assonanze o ripetizioni. Come le stanze in genere, viene ripresa e modificata anche
l’ultima strofa, detta congedo, dal modello della tornada della canzone provenzale.

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vi, come il sonetto3, per opera del poeta Jacopo
da Lentini, definibile, nella sua sintetica brevità,
come un vero gioiello della tradizione metrica
italiana, destinato a durare fino ai giorni nostri.

La lingua utilizzata dai poeti siciliani ha dato luo-


go a un equivoco. Per molto tempo si è ritenuto,
infatti, che essa fosse stata il frutto di una consa-
pevole sintesi di lessico e di strutture sintattiche
di provenienza varia, unificati secondo il criterio
della purezza linguistica. Questo equivoco ebbe
origine dal fatto che le liriche dei poeti siciliani
vennero lette su codici trascritti nel corso del XIII
secolo da amanuensi toscani, i quali le conforma-
rono, secondo la tradizione medievale, alla pro-
nuncia toscana. Oggi, al contrario, gli studiosi
concordano nel ritenere che la lingua usata dai
Siciliani non fu altro che il frutto di una profonda
opera di raffinamento del loro stesso dialetto.

Tra gli autori della Scuola siciliana ricordiamo,


in particolare, Jacopo da Lentini, già citato
come l’inventore del sonetto; Stefano Protono-
taro, autore, tra altri componimenti, della can-
zone Pir meu cori alligrari; Pier della Vigna,
citato da Dante nel XIII canto dell’Inferno, segre-
tario e massimo consigliere del re Federico II, poi
caduto in disgrazia e condannato alla prigione,
Federico II di Svevia dove morì suicida; è autore di alcune liriche d’amore e di un Epistolario in
in una miniatura della
Chronica Regia Coloniensis.
latino; Jacopo Mostacci, probabilmente falconiere4 di corte; Rinaldo d’Aqui-
no, di origine irpina5, elogiato da Dante, nel De vulgari eloquentia6, per la
ricercatezza della sua produzione poetica; Giacomino Pugliese, di cui non
si hanno molte notizie, forse un giullare che visse intorno alla metà del XIII
secolo; Guido delle Colonne, di professione giudice, impegnato a Messina,
autore di opere in latino, oltre che di alcune canzoni sicuramente a lui attri-
buite. Ricordiamo, inoltre, che lo stesso Federico II, cui si devono per altro
degli scritti notevoli sulle tecniche della caccia al falcone, ci ha lasciato tre
canzoni, mentre dei suoi figli, Manfredi e Enzo, risultano piuttosto scarse le
testimonianze poetiche.

La Scuola siciliana andò perdendo progressivamente importanza dopo il


1250, in seguito alla morte improvvisa di Federico II, che ne era stato il più
tenace propulsore; sopravvisse fino al 1266, quando morì il figlio naturale
Manfredi, sconfitto dalle forze guelfe papali e angioine nella battaglia di Bene-
vento. Il suo patrimonio culturale fu ereditato dalla scuola toscana, che
ne rielaborò forme e contenuti in modo originale.

3. Composizione poetica breve, di soli 14 versi endecasillabi, suddivisi in quattro strofe, due quartine e due terzine. Lo schema
delle rime, vario, normalmente è alternato: ABAB, ABAB, CDC, DCD. Se si raggruppano tra loro le due quartine e le due terzine,
si può parlare anche di ottava e di sestina.
4. Il falconiere è l’addestratore di falconi per la caccia e abile nel cacciare con essi. Questo tipo di caccia, comune presso le
società aristocratiche medievali, si diffuse particolarmente alla corte di Federico II, che ne era un vero e proprio cultore.
5. Regione dell’Italia meridionale, oggi coincidente con la provincia di Avellino.
6. Opera in latino scritta da Dante con lo scopo di riflettere sull’utilizzo – ormai frequente al suo tempo – della lingua volgare, sia
per usi pratici che letterari.

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J ACOPO DA LENTINI
L’autore e l’opera
Come per molti poeti della Scuola siciliana, non possediamo molte notizie
sulla biografia del poeta. Sappiamo che fu funzionario del regno e notaro
(notaio) e che presumibilmente morì intorno al 1260, quando la Scuola era
ormai in declino, dopo la morte di Federico II. Jacopo da Lentini è citato da
Dante nel canto XXIV del Purgatorio come il rappresentante più illustre dei
poeti siciliani. L’autore è ritenuto, oltre che l’inventore del sonetto, colui
che più contribuì a codificare altre forme poetiche di derivazione provenzale,
come la canzone, la canzonetta e il discordo1.
Scrisse complessivamente circa quaranta componimenti, tra canzoni, canzonet-
te e sonetti. Questi riprendono toni, temi, forme metriche della lirica provenza-
le. Non si tratta tuttavia di un’imitazione passiva, bensì di una trasposizione in
forme originali, che superano in parte l’amore passionale della poesia in lingua
d’oc per mettere in rilievo temi nuovi: l’amore come visione della donna e
soprattutto la riflessione sugli effetti psicologici che la vista dell’amata
suscita nell’uomo. Tale tema sarà poi ripreso dai poeti del Dolce Stil Novo, tra
il XIII e il XIV secolo, e da Francesco Petrarca, in pieno XIV secolo.

1. Prende il nome dal provenzale descort ed è caratterizzato da schema metrico aab-aab-ccd-ccd-


ccd, con l’utilizzo di versi brevi, senari e ternari. È un componimento poetico che si sviluppò in Italia
solo nella lirica siciliana e si basa sul tema del contrasto.

Meravigliosamente
Si tratta di un testo poetico molto elaborato, che dà vita a immagini ben costruite e a una serie di
similitudini altamente significative. Jacopo da Lentini elabora in modo raffinato il dialetto siciliano,
facendolo assurgere a lingua poetica. I temi sono ripresi dalla tradizione poetica provenzale, ma co-
munque rielaborati in modo autonomo.
Il congedo allude all’origine e al ruolo esercitato nella corte dal poeta.
La distanza cronologica dalla nostra lingua standard rende indispensabile l’utilizzo della parafrasi
per una completa comprensione del testo.
Metro: il testo è una canzonetta, composta di sette stanze di nove versi settenari, di cui i primi sei costitui-
scono la fronte1, con schema ritmico abc, abc, mentre gli ultimi tre, a rima ddc, costituiscono la sirma. L’ul-
tima strofa funge da congedo.

Meravigliosamente L’avverbio occupa ben sette sillabe, costituendo da solo


il primo verso e imprimendo al componimento un ritmo
un amor mi distringe2 dolce e accogliente.
e mi tene ad ogn’ora.
Com’om3 che pone mente
5 in altro exemplo4 pinge Si tratta di una figura etimologica, poiché le due parole
la simile pintura, hanno la stessa derivazione. A esse si associa il termine
pinta, della strofa successiva.
così, bella, facc’eo5,
che’nfra lo core meo
porto la tua figura.

1. fronte: fronte e sirma rappresentano stessa strofa, per il differente schema latino homo, la stessa che si ritrova nel
le parti costitutive della strofa o stanza delle rime. francese on.
nella canzone e nella canzonetta. Si 2. mi distringe: mi stringe, mi lega. 4. exemplo: modello.
differenziano tra loro, nell’ambito della 3. om: è forma impersonale, derivata dal 5. eo: sempre nel significato di “io”.

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10 In cor par ch’eo vi porti, Poliptoto, ossia ripetizione di uno stesso verbo (parete,
pinta come parete, pare, par) in forme diverse, per sottolineare il tema prin-
e non pare di fore. cipale della lirica: l’immagine della donna amata che il
poeta ha elaborato in sé.
O Deo, co’ mi par forte.
Non so se lo sapete, Allitterazioni che danno un ritmo piacevole alla lirica.
15 con’ v’amo di bon core;
ch’eo son sì vergognoso Tema dell’amante timido.
ca6 pur vi guardo ascoso,
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
20 dipinsi una pintura, Altro poliptoto.
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio7
guardo ’n quella figura,
e par ch’eo v’aggia avante:
25 come quello che crede Similitudine: il ritratto della donna per il poeta è come
salvarsi per sua fede, un’immagine sacra per il credente; essa rappresenta la
promessa della salvezza eterna, che per il momento non
ancor non veggia inante. può sperimentare, ma in cui crede.

Al cor m’arde una doglia, Iterazione del verbo ardere e più in generale dell’area se-
com’om che ten lo foco mantica del fuoco.

30 a lo suo seno ascoso,


e quando più lo ’nvoglia8,
allora arde più loco,
e non pò star incluso:
similmente eo ardo,
35 quando pass’e non guardo
a voi, vis’amoroso.

PARAFRASI

I strofa: Un amore mi tiene legato in modo eccezionale e mi possiede in ogni momento. Io porto dentro al mio cuore
l’immagine di te, o bella, come chi osserva con attenzione un modello e ne dipinge l’immagine fedelmente.
II strofa: Sembra che io vi porti nel cuore dipinta come voi mi apparite, anche se ciò non si mostra all’esterno. O Dio,
come mi pare crudele ciò. Non so se voi conoscete la sincerità del mio amore, dal momento che io sono tanto timido
che vi ammiro standomene nascosto e non vi dimostro quanto io vi ami.
III strofa: Provando un grande desiderio di voi, io dipinsi, o mia bella, un’immagine a voi rassomigliante; e quando
non vi vedo, la contemplo e provo l’impressione di avervi di fronte a me: sono come colui che crede di salvarsi in nome
della sua fede, anche se non vede ancora nulla davanti a sé.
IV strofa: Nel mio cuore arde un’intensa sofferenza, quasi fossi un uomo che tiene il fuoco nascosto nel suo petto, e
quanto più tenta di celarlo (lo ’nvoglia), tanto più arde in quel punto e non può stare rinchiuso: similmente io ardo
quando passo per via e non vi guardo, o mio amato viso.

6. ca: congiunzione, qui con valore consecutivo.


7. non vio: non vedo.
8. lo ’nvoglia: lo nasconde, lo tiene chiuso.

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S’eo guardo, quando passo,
inver’voi no mi giro,
bella, per risguardare;
40 andando, ad ogni passo
getto un gran sospiro
che facemi ancosciare; Altro poliptoto.
e certo bene ancoscio,
c’a pena mi conoscio,
45 tanto bella mi pare.
Assai v’aggio laudato,
madonna, in tutte parti
di bellezze ch’avete.
Non so se v’è contato9 Tema della maldicenza dei malparlieri, che insinuano nel-
la donna amata dal poeta il sospetto che egli la lodi solo
50 ch’eo lo faccia per arti per ottenerne qualche favore.
che voi pur v’ascondete.
Sacciatelo per singa10
zo11 ch’eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
55 Canzonetta novella, Il poeta è consapevole della novità della sua poesia.
va’ canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d’ogni amorosa, Metafora che sottolinea la superiorità della sua donna,
seguita da una similitudine preziosa.
60 bionda più c’auro fino:
“Lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al Notaro
Una raffigurazione
ch’è nato da Lentino”12. medievale di un
da Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960 menestrello.

V strofa: Se guardo, quando passo, verso di voi, non mi volto,


o bella, per guardarvi nuovamente. Camminando, emetto
a ogni passo un gran sospiro che mi provoca singhiozzi
(facemi ancosciare). E certo singhiozzo a buon diritto, se
stento a riconoscermi, tanto bella ella mi appare.
VI strofa: Vi ho lodato assai, o mia signora, in ogni
aspetto della vostra bellezza. Non so se vi hanno racconta-
to che io faccio questo solo per finzione (per arti), dal
momento che vi nascondete. Che voi conosciate (sacciatelo) attra-
verso indizi (per signa), quando mi vedrete, quello che io non so
esprimere attraverso le parole.
VII strofa (congedo): O nuova canzonetta, va’ e comunica questo
nuovo messaggio; alzati presto nel mattino davanti alla più bella, fiore
di ogni donna amata, bionda più dell’oro fino. “Il vostro prezioso amore, datelo al notaio originario di Lentini”.

9. Non so se v’è contato: non so se vi Può essere, per esempio, il pallore del 12. da Lentino: a Lentini, cittadina ora
hanno raccontato. volto, lo sbigottimento. in provincia di Siracusa, al margine meri-
10. per singa: attraverso segni, indizi. 11. zo: ciò, quello che. dionale della piana di Catania.

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Analisi del Testo
I temi Meravigliosamente è una lirica in cui il “notaro” di Lentini riprende motivi tipici della
della lirica scuola provenzale, adattandoli tuttavia alla sua personalità e al nuovo contesto in cui
egli opera. Quello che colpisce nella poesia sono una profonda sincerità di senti-
menti, di fronte alla quale il poeta si confessa timido amante, e nel contempo la
bellezza e l’originalità delle immagini attraverso le quali egli canta l’amore della sua
donna, la cui grazia è oggetto di pura contemplazione interiore da parte del poeta.
La canzonetta si può considerare divisa in tre sezioni. La prima, che comprende
le prime cinque stanze, sviluppa il motivo della contemplazione della donna, dal
momento iniziale in cui il poeta la vide e si impossessò della sua figura, cioè della
sua immagine, come un pittore che contempla l’oggetto impresso nella sua mente
e da questo realizza la sua opera, fedele all’originale. Tutte le prime cinque strofe
insistono su questo tema, replicandolo in articolazioni diverse, in modo che riman-
gano chiari nel lettore sostanzialmente questi concetti: la bellezza della donna ha
colpito l’animo del poeta, che la porta impressa nella sua mente e nel suo cuore. La
timidezza dell’uomo fa sì che egli non riveli questo suo sentimento, che tuttavia lo
prende completamente. Più egli cerca di soffocare il suo amore, più questo emerge
vincitore nell’animo suo e si impone da padrone. L’immagine che si è creato della
sua donna conferisce al poeta un’immensa fiducia in lei, paragonabile a quella che
il fedele prova dinanzi a un’immagine sacra.
La seconda parte – corrispondente alla sesta strofa – introduce il tema dei ca-
lunniatori, motivo già presente nella poesia provenzale. È possibile che qualcuno
abbia riferito alla sua donna il falso relativamente all’atteggiamento del poeta nei
suoi confronti, e cioè che egli la lodi semplicemente per finzione, allo scopo di in-
gannarla. La donna sarà rassicurata in questo solo osservando attentamente alcuni
segni che evidenziano con chiarezza la sincerità del sentimento del poeta.
La terza parte, corrispondente all’ultima strofa, è una richiesta aperta, rivolta alla
donna, perché doni al poeta il suo amore. Egli supera quindi la timidezza iniziale,
attraverso una preghiera aperta e franca.

Una perfetta La prima parte della poesia in particolare, cioè le prime cinque stanze, costituisco-
coerenza tra temi e no una fitta rete di ritorni tematici, accompagnati da altrettanti ritorni lessicali e
resa espressiva fonici (pinge, pintura, pinta, parete, pare, par), sviluppati attorno al tema della figura
della donna amata, cioè dell’immagine che il poeta si è formato di lei nella mente e
che contempla anche in sua assenza. Si tratta quindi di una stretta integrazione
tra tessuto tematico-concettuale e resa espressiva.
Un’analoga struttura riguarda tutte le prime cinque strofe, ciascuna delle quali si
basa su ritorni lessicali o comunque sull’approfondimento di una particolare area
semantica: così nella terza emerge l’area semantica del guardare: vio, guardo, veg-
gia; nella quarta quella dell’ardere: arde, foco, arde, ardo; nella quinta quella dei
sospiri e delle pene d’amore: sospiro, ancosciare, ancoscio, pena.
Ma anche la settima strofa – il congedo – riprende, attraverso scelte lessicali spe-
cifiche, il tema di fondo: in questo caso emerge il motivo della novità: nuova, cioè
originale, è la canzonetta, come nuovo è l’atteggiamento del poeta, che ora chiede
alla donna di donargli il suo amore. Così la canzonetta novella canterà nova cosa.

I caratteri della Rispetto alla canzone, la canzonetta presenta caratteri meno solenni ed è solita-
canzonetta mente più breve. Inoltre è caratterizzata da versi più veloci, come i settenari, definiti
leggeri e cantabili. Il lessico e la sintassi sono nel complesso semplici e chiari.
In questo componimento si notano in particolare:
• la presenza di termini di stretta derivazione dal volgare siciliano, che sono
rimasti, nonostante le trascrizioni da parte dei Toscani: vio (vedo), sacciatelo (sap-
piatelo), singa (segni), zo (ciò), v’aggio (vi ho);
• la presenza di molteplici ripetizioni di parole, seppure con la variante del poliptoto;
• la presenza di similitudini significative: quella del pittore (v. 4), del cristiano che
si affida alle immagini sacre (v. 25), dell’uomo che arde d’amore (v. 29), del biondo
della donna, paragonato all’oro più prezioso (v. 60).

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ESERCIZI

Comprensione del testo


1. Accanto a ciascuna delle sette strofe che costituiscono la canzonetta, scrivi una breve frase di sintesi
che ne definisca con chiarezza il contenuto.
2. Scrivi un breve testo di sintesi del contenuto espresso nella poesia.
3. Esponi oralmente con chiarezza e fluidità il contenuto della sesta strofa, mostrando come esso in-
troduca un tema nuovo rispetto alle precedenti strofe.
4. Fa’ lo stesso per il congedo. Che cosa chiede il poeta alla sua donna? Come la definisce?

Analisi del testo


5. Rintraccia due figure retoriche e spiegale oralmente con precisione e fluidità verbale.
6. Dopo aver letto attentamente il testo e i suoi apparati, esponi oralmente le caratteristiche più im-
portanti della lingua e dello stile di Jacopo da Lentini nella canzonetta.

O ltre il testo
7. Hai appreso alcune informazioni sulla Scuola siciliana. Per prepararti a una loro esposizione corretta
e ordinata, sintetizzale nella seguente tabella. Essa ti servirà da guida per orientarti nell’esposizione
orale.

DOVE? QUANDO? CHI? CHE COSA? PERCHÉ?

(Dove si sviluppa la (Quando nasce, si (Chi la anima? Quali (Quali i contenuti, le (Quale la motivazione
Scuola?) sviluppa, declina in poeti vi partecipano? innovazioni apportate, dello scrivere poesia?)
corrispondenza di qua- Chi sono?) i modelli di riferimento,
le importante evento la lingua usata …)
storico?)

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I rimatori toscani
Dopo la morte di Federico II e di Manfredi, i rappresentati della Scuola sici-
liana si disperdono e la loro esperienza poetica viene trapiantata, attraverso
canali non sempre ben decifrabili, in Toscana, regione ove si era sviluppata
una fitta rete di liberi Comuni. L’asse culturale e letterario della penisola
italiana si sposta quindi dalla corte di Palermo, un regno accentratore,
alla realtà politico-sociale ben diversa della Toscana, che vive nella secon-
da metà del XIII secolo lo scontro tra Comuni guelfi e ghibellini in un primo
momento, e, successivamente, i conflitti tra fazioni nell’ambito di uno stesso
comune. In questa realtà tanto varia si impone una nuova élite culturale, che
si è formata nelle università e con la sua nuova educazione non solo anima
il dibattito civile e politico cittadino, ma è in grado di accogliere sul piano
letterario elementi della tradizione latina, provenzale e siciliana.
Questa scuola rappresenta un momento di importante transizione tra le pri-
me sperimentazioni poetiche in volgare, legate all’esperienza dei Siciliani, e le
forme più evolute di espressione lirica che si riscontreranno nella poesia del
Dolce Stil Novo.

Caratteristiche poetiche dei Toscani


Il gruppo dei rimatori toscani che accolse e rielaborò la tradizione della
Scuola siciliana non costituisce una vera e propria “scuola” poetica, nel
senso che:
• ciascun poeta rappresenta una personalità ben distinta, vivendo esperienze
diverse dagli altri;
• non viene elaborata una poetica comune e i risultati raggiunti dai singoli
sono spesso molto diversi.
Tuttavia tali poeti sono accomunati da alcuni elementi come il linguaggio e
il riferimento a esperienze poetiche precedenti.
Inoltre, la particolare complessità e vivacità dell’esperienza politico-sociale
vissuta dai poeti toscani fa sì che essi riflettano nella loro produzione non
solo la tematica amorosa, esclusiva nella Scuola siciliana e nel modello pro-
venzale, ma anche suggestioni politiche e religiose. Questi nuovi motivi
riflettono le passioni civili e morali che si dibattono nel fecondo ambiente
comunale del tardo Duecento. Proprio per questo la funzione del poeta non
è più solo quella di cantare un tema universale come l’amore, ma di riferirsi
a fatti concreti e individuali, legati alla città in cui egli vive. Si profila, quindi,
la formazione di un poeta impegnato politicamente nella sua città, come sarà
poi Dante Alighieri. Anche il tema religioso, per lo più configurato come “fuga
dal mondo”, si può far risalire al desiderio di pace che una società in perenne
conflitto necessariamente vive.
Dal punto di vista linguistico, i rimatori ricercano un volgare illustre model-
lato sul toscano, ma arricchito grazie a strutture linguistiche colte e all’uso
di termini provenzali. Da ricordare, poi, che il linguaggio elaborato da questi
poeti varia da città a città, tanto che si può parlare di polilinguismo.
Alcuni di loro – in particolare il poeta più rilevante, Guittone d’Arezzo – opera-
no delle innovazioni sul piano metrico, riprendendo il sonetto, inventato dal
siciliano Jacopo da Lentini, e variandolo con l’inserimento di nuovi elementi1.
Oltre a Guittone, senz’altro il più autorevole, si ricordano Bonagiunta Orbic-
ciani, notaio di Lucca, forse colui cui si deve il merito di aver divulgato in To-
scana i modi della poesia siciliana; Chiaro Davanzati, autore di un cospicuo
Canzoniere; Compiuta Donzella, una poetessa (della cui esistenza si è dubi-
tato da parte dei critici) autrice di tre sonetti ispirati alla poesia provenzale.

1. Una novità è rappresentata dal sonetto doppio, caratterizzato dall’introduzione di un settenario.

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G UITTONE D’AREZZO
L’autore e l’opera
Guittone di Michele del Viva, più noto come Guittone d’Arezzo, nacque nel
1235 nell’omonima città toscana, che fu costretto a lasciare nel 1263, perché
guelfo. La sua vita si divide in due parti: la prima dedicata all’impegno po-
litico; la seconda, invece, alla predicazione religiosa, dopo che egli entrò in
convento nell’ordine dei Cavalieri di Santa Maria, detti anche “frati godenti”.
Fu un poeta fecondo. Di lui si ricordano circa cinquanta tra canzoni e ballate
sacre, oltre a un cospicuo numero di sonetti e di lettere, primo esempio illu-
stre di prosa letteraria in volgare della letteratura italiana.
Fu pure un poeta versatile: la sua poesia presenta, infatti, temi e forme di-
verse; la sua produzione migliore è comunque quella di stampo politico e
civile. Le composizioni religiose di fra Guittone hanno come tema di base un
senso profondo della giustizia sociale.
Guittone ebbe una larga fortuna nel suo tempo e fu modello per molti poeti,
prima dello sviluppo della corrente del Dolce Stil Novo.

Ahi lasso, or è stagion de doler tanto


La canzone tratta della sconfitta subita nella battaglia di Montaperti (1260) dai fiorentini di parte guel-
fa, a cui Guittone stesso apparteneva, contro i fuorusciti ghibellini, alleati con i Senesi e con Manfredi e
guidati da Farinata degli Uberti, noto uomo politico di parte ghibellina, cantato nell’Inferno di Dante.
Si tratta della più celebre canzone scritta dal poeta, un modello di poesia civile cui faranno riferimen-
to anche poeti successivi che si vorranno impegnare in questo ambito, come Dante e Petrarca.
Metro: canzone costituita da sei strofe di quindici versi (tredici endecasillabi e due settenari) e di un
congedo di sette versi (cinque endecasillabi e due settenari). Lo schema delle rime è per ogni stanza
ABBA, CDDC (fronte) e EFGgFfE (sirma). Il congedo è strutturato come la sirma.

Ahi lasso1, or è stagion de doler tanto2 L’inizio della canzone è un compianto


in uno dei più tristi giorni di Firenze.
a ciascun om che ben ama Ragione3,
ch’eo meraviglio u’4 trova guerigione,
ca5 morto no l’ha già corrotto6 e pianto,
5 vedendo l’alta Fior sempre granata7
e l’onorato antico uso8 romano
ch’a certo9 pèr10, crudel forte villano,
s’avaccio11 ella no è ricoverata:
ché l’onorata sua ricca grandezza
10 e’l pregio quasi è già tutto perito
e lo valor e’l poder si desvia.
Oh lasso, or quale dia12 Interrogativa retorica, di cui si conosce
già la risposta.
fu mai tanto crudel dannaggio13 audito?
Deo, com’hailo sofrito14,
15 deritto pèra e torto entri ’n altezza?

1. Ahi lasso: ahimè misero! causale: “perché”, “poiché”. ramente”, “certamente”.


2. or è stagion de doler tanto: ora è 6. corrotto: lamento (sostantivo). 10. pèr: perisce.
tempo di piangere tanto. L’avverbio tanto 7. l’alta Fior sempre granata: la nobile 11. avaccio: subito (avverbio).
anticipa la congiunzione che del v. 3. Firenze, sempre capace di dare frutti. 12. dia: giorno, dal volgare siciliano.
3. Ragione: qui sta per giustizia. 8. uso: consuetudine. Si riteneva che Fi- 13. dannaggio: danno, sventura.
4. u’: dal latino ubi, nel senso di “dove”. renze discendesse dall’antica Roma. 14. com’hailo sofrito: come hai potuto
5. ca: è una congiunzione subordinante 9. a certo: è locuzione avverbiale: “sicu- tollerare.

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Altezza tanta êlla15 sfiorata Fiore Potentissimo ossimoro, che mette in
fo, mentre ver’ se stessa era leale, evidenza il triste destino della città.
che ritenea modo16 imperïale,
acquistando per suo alto valore
20 provinci’ e terre, press’o lunge, mante17;
e sembrava che far volesse impero Firenze è messa in relazione con
sì como Roma già fece, e leggero Roma.

li era, c’alcun no i potea star avante18.


E ciò li stava ben certo a ragione,
25 ché non se ne penava per pro tanto19,
como per ritener giustizi’ e poso20;
e poi folli amoroso21
de fare ciò, si trasse avante tanto,
ch’al mondo no ha canto
30 u’ non sonasse il pregio del Leone22.

Leone, lasso, or no è, ch’eo li veo23


tratto l’onghie e li denti e lo valore,
e ’l gran lignaggio suo mort’a dolore24,
ed en crudel pregio[n] mis’a gran reo25. Ripresa dell’aggettivo gran in antitesi.
35 E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono Altra interrogativa retorica.
de la schiatta gentil26 sua stratti27 e nati,
che fun per lui28 cresciuti e avanzati
sovra tutti altri, e collocati a bono29;
e per la grande altezza ove li mise Qui la storia della Firenze del Due-
cento è sintetizzata mirabilmente, nel
40 ennantîr30 sì, che ’l piagâr quasi a morte31; rapporto conflittuale tra guelfi e ghi-
ma Deo di guerigion feceli dono, bellini.
ed el fe’ lor perdono32;
e anche el refedier poi33, ma fu forte
e perdonò lor morte34:
45 or hanno lui e soie membre conquise35.

15. êlla: introduce un complemento di do con il giglio. secutiva seguente.


stato in luogo: en la, “nella”. 23. li veo: lo vedo. 31. ’l piagâr quasi a morte: lo colpirono
16. modo: consuetudine, stile, ruolo: è 24. ’l gran lignaggio… dolore: le miglio- quasi a morte, sempre in riferimento al
un’iperbole, in coerenza con lo stile alto ri famiglie fiorentine, che, dopo la batta- leone. Chiara allusione alla fase della
di esaltazione della città. glia di Montaperti, avevano subito gravi contesa tra guelfi e ghibellini in Firenze,
17. mante: è un francesismo e significa danni; molti loro componenti erano stati che vide la vittoria della parte ghibellina
“tante”. trucidati o messi in prigione. con una prima cacciata dei guelfi nel
18. c’alcun no i potea star avante: nes- 25. a gran reo: con grande colpa. 1248.
suno poteva superare il valore di Firenze. 26. schiatta gentil: stirpe nobile. Allude 32. ed el fe’ lor perdono: allusione alla
19. ché non se ne penava per pro tan- alle nobili famiglie dei fuorusciti ghibellini pace intercorsa tra le parti nel 1251.
to: che non si affaticava per ottenere un di origine fiorentina, che hanno tramato 33. e anche el refedier poi: lo ferirono
tale vantaggio. contro la loro città. nuovamente in un secondo tempo. Qui
20. poso: tranquillità, pace. 27. stratti: secondo l’interpretazione di l’autore allude a una congiura ghibellina
21. poi folli amoroso: dal momento che Gianfranco Contini, significa “discesi”. avvenuta nel 1258.
le piacque. 28. fun per lui: furono grazie a lui, cioè al 34. e perdonò lor morte: non li punì
22. il pregio del Leone: il valore del Leo- Leone dello stemma di Firenze. con la pena capitale.
ne. Vi è un’allusione al leone raffigurato 29. collocati a bono: collocati in ruoli di 35. or hanno lui e soie membre con-
sullo stemma di Firenze, detto il “Marzoc- potere, ossia in posizioni di prestigio. quise: ora i ghibellini hanno conquista-
co”. Su di esso era raffigurato un leone 30. ennantîr: insuperbirono. Il sì che se- to il Leone e lo hanno addirittura fatto a
che nella zampa destra teneva uno scu- gue ha valore di “così” e anticipa la con- pezzi.

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Conquis’è l’alto Comun fiorentino,
e col senese in tal modo ha cangiato36,
che tutta l’onta37 e ’l danno che dato
li ha sempre, como sa ciascun latino38,
50 li rende, e i tolle il pro e l’onor tutto39:
ché Montalcino av’ abattuto a forza, Queste le pesanti conseguenze della
sconfitta fiorentina – e quindi guelfa.
Montepulciano miso en sua forza,
e de Maremma ha la cervia e ’l frutto40;
Sangimignan, Pog[g]iboniz’ e Colle41
55 e Volterra e’l paiese42 a suo tene;
e la campana43, le ’nsegne e li arnesi
e li onor tutti presi
ave44 con ciò che seco avea di bene.
E tutto ciò li avene
60 per45 quella schiatta che più ch’altra è folle.

PARAFRASI

I strofa: Ahimè infelice, questo è tempo di piangere a tal punto, per ogni uomo cui stia a cuore la giustizia, che io
meravigliandomi chiedo dove possa trovare conforto, senza che la sofferenza e il pianto non lo abbiano già prostrato,
vedendo la sua nobile Firenze, sempre feconda e l’onorata e antica consuetudine romana che stanno per perire, cosa
difficile da sopportare e fonte di vergogna, se presto non viene soccorsa, perché la sua potenza, degna di ogni onore,
e il suo prestigio sono quasi del tutto scomparsi e il valore e il potere si allontanano da lei. Ahimè infelice, in quale
giorno, infatti, fu udita una sventura tanto crudele? O Dio, come hai potuto tollerare che la giustizia perisse grazie al
trionfo dell’ingiustizia?
II strofa: Vi fu tanta grandezza nella sfiorita Firenze, finché fu leale verso se stessa, che aveva un ruolo imperiale,
acquistando, grazie al suo valore, province e territori, vicini o lontani; e sembrava sul punto di costituire un impero,
così come prima aveva fatto Roma, ed era un compito per lei leggero, dal momento che nessuno la poteva superare.
E ciò le sarebbe spettato di diritto, perché non agiva per trarne un vantaggio, quanto per mantenere la giustizia e la
pace. E dal momento che fu per lei piacevole fare ciò, si spinse tanto avanti che nel mondo non vi è un sol luogo dove
non risuoni il nome di Firenze.
III strofa: Ma ahimè, ora non ha più la forza del leone, perché io le vedo strappate le unghie, i denti e il grande valore,
e colpita a morte la sua stirpe e rinchiusa in una crudele prigione con grande ingiustizia. E chi le ha procurato ciò?
Quelli che sono nati dalla sua stessa stirpe, che furono, grazie a lei, resi potenti e privilegiati più di ogni altro e collo-
cati in posizioni elevate; e per il ruolo prestigioso che Firenze affidò loro, essi insuperbirono al punto che la colpirono
quasi a morte; ma Dio le donò la guarigione ed ella li ha perdonati; e ancora la colpirono in seguito, ma essa fu forte
e risparmiò loro la morte. Ora, invece, hanno conquistato lei e le sue membra.
IV strofa: È sconfitto il ricco e prestigioso comune di Firenze, e ha scambiato le sorti con Siena, a tal punto che
quest’ultimo comune gli restituisce tutta la vergogna e il danno che Firenze gli ha inflitto in precedenza, sempre, come
sa ogni cittadino italiano, e le toglie tutto il vantaggio e l’onore: perché Siena ha abbattuto Montalcino con la forza e ha
conquistato Montepulciano e riceve ora un tributo e una rendita dal territorio della Maremma; ha conquistato stabil-
mente San Gimignano, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Volterra e il territorio del contado; e ha conquistato la campana, le
insegne, le armi e tutti gli arredi, con quello che insieme vi era di buono. E tutto ciò accade a Firenze a causa di quella
stirpe che è più folle di qualsiasi altra.

36. col senese in tal modo ha cangia- no tutti gli Italiani. d’Elsa.
to: le sorti si sono avvicendate: prima 39. i rende, e i tolle il pro e l’onor tut- 42. ’l paiese: il contado.
dominava Firenze, ora i Senesi hanno to: gli restituisce e gli toglie i vantaggi e 43. la campana: la campana di guerra
l’egemonia. Più avanti il poeta passa in il benessere. che serviva per dare ordini, detta anche
rassegna le varie località che i ghibellini, 40. de Maremma ha la cervia e ’l frut- Martinella, che fu presa a Montaperti
di cui i Senesi erano alleati, hanno con- to: Siena ha conquistato il territorio dei come trofeo della battaglia vinta.
quistato. conti di Santa Fiora che gli rendono un 44. ave: ha.
37. l’onta: la vergogna. tributo. 45. li avene per: gli succede per colpa
38. como sa ciascun latino: come san- 41. Colle: si tratta del paese di Colle Val di.

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Foll’è chi fugge il suo prode46 e cher danno, Il poeta esprime qui il giudizio morale
sui fatti accaduti.
e l’onor suo fa che vergogna i torna47,
e di bona libertà, ove soggiorna
a gran piacer, s’aduce a suo gran danno48
65 sotto signoria fella e malvagia49,
e suo signor fa suo grand’ enemico50.
A voi che siete ora in Fiorenza dico,
che ciò ch’è divenuto, par, v’adagia51;
e poi che li Alamanni52 in casa avete,
70 servite i bene, e faitevo mostrare53 Inizia la parte fortemente ironica della
lirica….
le spade lor, con che v’han fesso i visi,
padri e figliuoli aucisi54;
e piacemi55 che lor dobiate dare,
perch’ebber en ciò fare
75 fatica assai, de vostre gran monete.

Monete mante e gran gioi’56 presentate


ai Conti57 e a li Uberti e alli altri tutti
ch’a tanto grande onor v’hano condutti,
che miso v’hano Sena in podestate;
80 Pistoia e Colle e Volterra fanno ora
guardar vostre castella a loro spese58;
e ’l Conte Rosso59 ha Maremma e ’l paiese,
Montalcin sta sigur senza le mura;
de Ripafratta temor ha ’l pisano60,
85 e ’l perogin che ’l lago no i tolliate61,
e Roma vol con voi far compagnia62.
Onor e segnoria
adunque par e che ben tutto abbiate:
ciò che desïavate
90 potete far, cioè re del toscano63.

46. il suo prode: il suo vantaggio. Manfredi, capo della fazione ghibellina. 59. ’l Conte Rosso: Aldobrandino degli
47. e l’onor suo fa che vergogna i tor- 53. faitevo mostrare: fatevi mostrare. Aldobrandeschi, che ha invece perso i
na: fa sì che il suo onore si trasformi in 54. aucisi: uccisi. propri territori.
suo danno. 55. piacemi: sono contento, provo pia- 60. de Ripafratta temor ha ’l pisano:
48. s’aduce a suo gran danno: si ridu- cere. Pisa ha conquistato il castello di Ripa-
ce a suo gran danno. 56. e gran gioi’: e grandi quantità di fratta.
49. sotto signoria fella e malvagia: sot- gioielli. 61. ’l perogin che ’l lago no i tolliate: i
to un dominio vile e malvagio. 57. Conti: i conti Guidi, una delle più Perugini temono che voi possiate toglie-
50. e suo signor fa suo grand’ ene- importanti casate ghibelline, come gli re loro i territori del Trasimeno.
mico: sceglie come suo signore il suo Uberti, citati dopo. 62. con voi far compagnia: fare allean-
grande nemico. 58. guardar vostre castella a loro spe- za con voi.
51. v’adagia: vi piace; francesismo. se: custodire le vostre fortezze a spese 63. cioè re del toscano: avere l’egemo-
52. li Alamanni: i Tedeschi, mercenari di loro. nia di tutta quanta la Toscana.

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Baron lombardi e romani e pugliesi
e toschi e romagnuoli e marchigiani,
Fiorenza, fior che sempre rinovella, … che qui muta in pesante sarcasmo.
a sua corte v’apella,
95 che fare vol de sé rei dei Toscani,
dapoi che li Alamani
ave conquisi per forza e i Senesi.
da Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli, 1960

V strofa: Folle è chi abbandona il suo vantaggio e se ne va in cerca del danno, e fa sì che la sua gloria si muti in ver-
gogna, e si riduce, da uno stato di libertà in cui si trova con piacere, con proprio danno sotto un dominio perfido e
malvagio, scegliendo come suo signore il suo peggior nemico. A voi che vi trovate ancora nella città di Firenze dico che
ciò che è accaduto, a quanto pare, vi piace; e poiché avete i Tedeschi in casa, cioè le truppe mercenarie di Manfredi,
capo dei ghibellini, serviteli bene e fatevi mostrare le loro spade, con le quali vi hanno ferito i visi e hanno ucciso padri
e figli; e mi fa piacere che dobbiate dare loro in abbondanza del vostro denaro, dal momento che fecero molta fatica
nel fare ciò.
VI strofa: Offrite gran quantità di monete e preziosi gioielli alle famiglie dei Guidi e degli Uberti e a tutti quanti che vi
hanno portato così alto onore, mettendo Siena in vostro potere; Pistoia, Colle Val d’Elsa e Volterra fanno sorvegliare le
vostre fortezze a loro spese; e il conte Aldobrandino possiede la Maremma e il contado, Montalcino se ne sta al sicuro,
senza mura che la proteggano; il pisano teme il castello di Ripafratta, e il perugino che gli possiate togliere il dominio
sul lago Trasimeno, e Roma desidera stipulare un’alleanza con voi. Dunque sembra che voi abbiate onore, potere e ogni
altro beneficio. Potete fare ciò che sognavate, cioè conquistare il potere della Toscana.
VII strofa (congedo): O baroni lombardi, romani, pugliesi, toscani, romagnoli e marchigiani, Firenze, fiore che sem-
pre si rinnova, vi chiama alla sua corte, poiché aspira a diventare signora della Toscana, dopo che ha sconfitto con la
forza i Tedeschi e i Senesi.

I Fiorentini occupano
i territori pisani.

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Analisi del Testo
La struttura L’andamento delle lunghe strofe scandisce dei blocchi di contenuto molto chiari
della canzone e ben distinti. Innanzitutto, la prima strofa si apre con il compianto per il lutto
vissuto da Firenze nella battaglia di Montaperti. La seconda strofa rievoca il pas-
sato glorioso di Firenze, che viene paragonata a Roma, sviluppando un confronto
già accennato nel sesto verso della prima strofa. Nella terza stanza si assiste a un
ritorno al presente; in particolare, bersaglio del poeta sono i ghibellini traditori
che, nutriti all’interno della città di Firenze e portati da essa ai massimi livelli, si sono
poi rivoltati contro la stessa patria, insuperbendo e colpendola a morte. La terza
stanza sembra anticipare i toni polemici della seconda parte della lirica e chiude la
struttura del compianto, ripresa da analoghi modelli provenzali. La quarta e la quin-
ta stanza si riferiscono soprattutto alla tragedia della sconfitta. Il poeta rivolge
accuse e denunce, prima attraverso il tono della polemica, poi ricorrendo all’ironia
che, nel congedo, si muta in pesante sarcasmo, di fronte alla pretesa di Firenze di
diventare città egemone della Toscana, ora che essa ha perso molti suoi territori e
può vantarsi di avere nel suo seno le truppe tedesche del ghibellino Manfredi.
La posizione di Guittone è chiaramente di parte, motivata quindi da ragioni politiche
e ideologiche. Il giudizio storico relativo alla disfatta si fonde con il giudizio morale,
secondo il quale essere guelfi significa essere nel giusto, mentre ai ghibellini viene
imputato ogni grave danno vissuto dalla città di Firenze.

Una perizia L’estrema ricercatezza tecnica e stilistica conferiscono ai temi nobiltà e ufficialità
compositiva proprie della poesia civile, che deve educare e orientare nei comportamenti.
notevole La canzone appare un vero e proprio repertorio di preziosismi formali.
Innanzitutto la metrica: Guittone utilizza la tecnica della capfinidura, di origine pro-
venzale. Essa prevede che ogni termine finale di strofa venga ripreso nel verso ini-
ziale di quella successiva, con l’unica eccezione del congedo. Questo espediente
rende particolarmente coesi i temi trattati in successione nelle stanze e contribuisce,
inoltre, a rendere evidenti determinate parole chiave: altezza, in riferimento al livello
raggiunto in passato dalla città di Firenze e perduto irrimediabilmente in seguito agli
eventi storici del presente; Leone, simbolo contemporaneamente della forza rappre-
sentata nello stemma della città e del disonore raggiunto dopo lo sfortunato scontro
di Montaperti; conquise, per sottolineare sia decadenza politica sia perdite territoriali;
folle, aggettivo che rievoca sia l’atteggiamento dei ghibellini traditori sia l’insano com-
portamento di chi fugge il bene per mutare vantaggio e onore in vergogna; monete,
a sottolineare le reali perdite del comune, che ha sacrificato la propria autonomia e
l’ambizione a diventare la città egemone dell’intera Toscana. Dal punto di vista delle
rime, poi, possiamo annoverare moltissime forme particolari, che costituiscono un
autentico repertorio illustrativo delle molteplici possibilità offerte. Innanzitutto, rime
ricche, ossia parole scelte in modo che abbiano più di una sillaba in rima, come
Ragione-guerigione (vv. 2 e 3), fiorentino-latino (vv. 46-49); parole intere in rima, come
tanto (vv. 25 e 28), morte (vv. 40 e 44); rime equivoche, ossia costituite da parole di
uguale suono, ma di significato diverso: forza-forza (vv. 51-52). Non si tratta di un sem-
plice virtuosismo: anche in questo caso, il poeta ha voluto sottolineare alcuni termini
chiave, tra cui morte, nonché lo stretto rapporto tra Firenze e il mondo romano.
Sul piano sintattico, Guittone utilizza nelle stanze una struttura del periodo pre-
valentemente ipotattica, molto articolata e ricca di subordinate, di chiara impronta
latina; sono tuttavia frequenti, a livello lessicale, i francesismi, che rivelano una buo-
na conoscenza della poesia provenzale.
Sul piano delle figure retoriche, la poesia presenta ancora una volta un ricco re-
pertorio. Tra le meno note ricordiamo la figura etimologica sfiorata Fiore, in cui le
due parole hanno in comune la radice etimologica appunto, in questo caso anche
in antitesi; la prosopopea o personificazione, in riferimento alla città stessa e al
Leone; l’apostrofe, quando il poeta si rivolge direttamente a Dio (v. 14), che sembra
aver tollerato il perire della giustizia e il trionfo dell’ingiustizia; l’antifrasi, nella parte
conclusiva della canzone, quando il significato viene rovesciato e ciò che è negativo
viene sarcasticamente trattato come positivo.

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ESERCIZI

Comprensione del testo


1. Rispondi con precisione alle seguenti domande, che ti consentono di contestualizzare il testo poe-
tico.
a. Dopo quale evento storico importante è stata scritta la canzone?
b. Quando è avvenuto l’evento chiave cui essa si riferisce?
c. Che cosa ha portato alla città di Firenze?
d. Contro chi hanno combattuto le forze guelfe?
e. Per quali ragioni il poeta, pur essendo di Arezzo, partecipa al dolore della città di Firenze?

2. La canzone, per il linguaggio usato e per la costruzione dei periodi, particolarmente involuta, è
piuttosto difficile da comprendere. Dopo averla letta attentamente, insieme agli apparati di com-
prensione e di commento, scrivine una breve sintesi in circa sette righe di foglio protocollo, in cui
cerchi di coglierne gli elementi a tuo avviso salienti e di presentarla a un compagno di classe che
non la conosce.

Analisi del testo


3. Questi possono essere considerati i temi portanti della canzone. Accanto a ciascuno di essi trascrivi
alcune parole chiave o espressioni della poesia che ti sembrano particolarmente significative.
a. Firenze tra passato glorioso e presente infangato ➜ ......................................................................................
b. Il tradimento dei capi ghibellini della città ➜ ....................................................................................................
c. Il compianto del poeta ➜ ..........................................................................................................................................
d. La denuncia morale del poeta ➜ .............................................................................................................................

4. Scegli una stanza della canzone e preparane un accurato commento orale, citandone le più signifi-
cative particolarità stilistiche.

O ltre il testo
5. Hai appreso alcune informazioni sui rimatori toscani. Per prepararti a una loro esposizione corretta e
ordinata, sintetizzale nella seguente tabella. Essa ti sarà da guida per orientarti nell’esposizione orale.

DOVE? QUANDO? CHI? CHE COSA? PERCHÉ?

(Dove vivono? In quale (Quando operano? In (Quali poeti potresti (Quali i temi, le innova- (Quale la motivazione
importante contesto corrispondenza di quali ricordare?) zioni apportate, del loro scrivere poesia?)
socio-politico?) eventi caratterizzanti i modelli di riferimento,
il particolare momento la lingua usata?)
storico?)

...................................... ...................................... ...................................... ...................................... .......................................


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