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Riassunto La Letteratura Inglese Dall'umanesimo Al Rinascimento. Michele Stanco

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Storia: dalla pace politica alle guerre religiose

1.1 Premessa: incremento demografico e trasformazioni economiche

Dopo la fine della Guerra delle due rose tra Lancaster e York (1485) l’Inghilterra godette di una
lunga stagione di pace. Anche queste isole erano state colpite da epidemie e carestie ma I vuoti
furono colmati più in fretta e, sin dalla fine del Quattrocento, si avviò uno sviluppo demografico
che sarebbe proseguito ininterrottamente. Inizialmente fu lenta ma poi assunse sempre maggiore
intensità.
Non solo la popolazione ma anche la politica, le istituzioni, la produzione materiale, i commerci, la
religione e la comunicazione culturale appaiono pervasi da un movimento incessante, con una
velocità ignota al resto d’Europa. Durante l’età Tudor la cantieristica navale conobbe una forte
ripresa ponendo le basi per quella che sarebbe stata la politica navale di Elisabetta I.
Anche il sistema giudiziario subì delle variazioni: sopravvissero i tribunali ma avendo difficoltà ad
affrontare le nuove problematiche economiche, vennero affiancati dalle corti regie che
giudicavano secondo la equity, vale a dire secondo procedure più snelle: Star chamber (per le
cause penali), Court of Request (tribunale delle istanze avanzate dai poveri), High Court of
Admiralty (corte dell’Ammiragliato per le cause legate ai commerci internazionali e agli affari
marittimi), Court of Chancery (tribunale della Cancelleria, con competenze sempre più estese in
campo civile).

1.2 I Tudor da Enrico VIII a Maria

1453: fine della Guerra dei cent’anni per la conquista della Francia, era fallito il piano di Edoardo III per
impadronirsi del trono di Francia e in seguito alla controffensiva francese persero tutti i domini in
Normandia e Guienna rimanendo solo col porto di Calais.

1455-1485: Guerra delle due rose, guerra feudale per l’egemonia del governo del paese tra la casata dei
Lancaster (rosa bianca) e quella di York (rosa rossa).

1485: con la battaglia di Bosworth e la morte di Riccardo III finisce la Guerra delle due rose e sale al
trono Enrico VII Tudor. Essendo considerato erede dei Lancaster si era rifugiato in Bretagna e con l’aiuto
di Carlo VII re di Francia aveva organizzato il suo rientro in patria e aveva marciato contro Riccardo III
sconfiggendolo e uccidendolo.

1487: Enrico crea la Star Chamber: una Corte Suprema composta da sette consiglieri regie dotata di
vaste competenze per garantire la sicurezza dello stato.

1509: alla morte di Enrico VII, essendo morto il primogenito Artuto, succede il secondogenito Enrico VIII
che sposò Caterina d’Aragona, vedova di suo fratello.

1536: Enrico fece approvare il Welsh Act of Union con cui annetté ufficialmente il Galles alla corona
d’Inghilterra.

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1533: Matrimonio di Enrico VIII e Anna Bolena.

1534: Act of Supremacy con il quale il Parlamento nominò Enrico VIII capo supremo della Chiesa di
Inghilterra.

1536: Anna Bolena fu condannata a morte per adulterio e tradimento e sposò Jane Seymour.

1537: Nasce l’erede maschio, Edoardo ma morì Jane.

1540: Enrico si sposò con Anna di Cleves, giustiziò Cromwell per uso arrogante di potere, poi sposò
Caterina Howard giustiziata nel 1542, nel 1543 sposò Caterina Parr.

Nacque una Chiesa nazionale svincolata da Roma in questo modo la requisizione dei patrimoni
ecclesiastici, la vendita dei loro beni o le donazioni ai clienti costituivano un modo per recuperare un po'
di soldi dato che la guerra attiva era molto costosa e non era possibile tassare ulteriormente i sudditi.

1547: 28 gennaio morì Enrico VIII e gli succedette Edoardo VI di appena 9 anni

1553: 28 gennaio muore Edoardo VI. Venne incoronata Maria, la figlia di Caterina d’Aragona. L'arrivo
degli spagnoli e la repressione contro i protestanti fecero perdere consensi a Maria

1558: Morì Maria e in mancanza di eredi succedette Elisabetta, figlia di Anna Bolena

1.3 La nascita della Chiesa d’Inghilterra

Le diocesi del regno erano divise tra le due province ecclesiastiche di Canterbury e York, dipendenti
direttamente dal pontefice che si comportava da padrone degli uffici ecclesiastici: attribuiva vescovadi,
abbazie, canonicati e altri benefici a persone di suo gradimento, anche non inglesi, e imponeva sui loro
patrimoni tasse, balzelli, decime e pensioni che andavano a Roma. Il malcontento si trasformò in varie
rivolte popolari.

Gia nel Trecento l’Inghilterra aveva conosciuto una corrente di riformismo religioso con John Wyclif, che
nei suoi scritti De veritate Scripturae e De Ecclesia aveva anticipato il concetto di Chiesa come comunità
spirituale di predestinati, ben distinta dalla Chiesa ufficiale alla quale pure bisognava sottomettersi per
opportunità. Dopo la sua morte venne condannato dal Concilio di Costanza nel 1415 ma le sue idee
rimasero vive negli inglesi e i suoi seguaci erano chiamati poor preachers o lollardi in senso
dispregiativo. Inizialmente la corona fu favorevole a questo movimento ma successivamente vennero
perseguiti come eretici. L'umanesimo e la vicinanza alle fiandre contribuirono alla diffusione di queste
idee (Lutero) ritenute eretiche. I rapporti tra la Chiesa di Roma e Enrico VIII si inasprirono a causa delle
sue vicende coniugali fino a quando nel 1534 con L’Act of Supremacy il re non ebbe il titolo di capo
supremo della Chiesa d’Inghilterra. L'anno dopo il Valor ecclesiasticus (un inventario fiscale dei beni
della Chiesa) conesntì al goveno di porre le basi tecniche per un esproprio dei patrimoni ecclesiastici e
una loro redistribuzione a vantaggio delle casse statali e dei ceti più alti. Tra 1536 e 1540 furono
soppressi quasi un migliaio tra monasteri, conventi ed enti religiosi, questo arricchì la gentry ma
impoverì chi viveva con l’elemosina della chiesa creando delle insurrezioni che vennero soppresse nel
sangue. Con Edoardo VI la chiesa anglicana si avvicinò sempre più alle posizioni dei calvinisti. Con Maria
Tudor però si tentò di ripristinare il cattolicesimo ma il mettere al rogo gli eretici rese gli inglesi ancora
più ostili alla riconciliazione con Roma. Di lì a pochi anni la persecuzione sanguinosa dei protestanti

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avrebbe trovato il suo cantore in John Foxe. La morte di Maria Tudor nel 1558 pose fine al tentativo di
restaurare la religione cattolica.

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Filosofia: i primi studi umanisti e la riscoperta dell’antico

2.1 Gli studi humanitas in Italia

Negli anni a cavallo tra XV e XVI secolo iniziano a diffondersi gli studia humanitas.

Petrarca aveva anticipato quello che sarebbe stato il concetto cardine di quegli anni cioè l’humanitas:
una presa di coscienza da parte dell’uomo delle sue enormi capacità e del suo ruolo nel mondo. Il
termine si fonda su un metodo pedagogico chiamato Studia humanitas basato su: eloquenza, filologia,
filosofia morale e letteratura. Si sviluppò particolare interesse per greci e latini e le opere greche
iniziarono a circolare tradotte mentre il latino divenne lingua attiva. Nel medioevo si era dibattuto
sull’humanita dignitas ma in quel caso le doti dell’uomo dovevano servire a elevarlo dal mondo terreno.
Ora invece l’uomo ha ruolo attivo per riformare la realtà che lo circonda basandosi sulla sua capacità di
autodeterminarsi e sugli studi basati anche su testi pagani.

Marsilio Ficino diede forma tematica a questo movimento con la sua Theologia Platonica dove si
afferma che l’uomo è superiore alle altre creature e che la sua anima può rivolgersi sia a Dio che alle
cose materiali. Infatti, nello schema gerarchico universale:

DIO <- MENTE ANGELICA <- ANIMA RAZIONALE -> QUALITÀ -> CORPO

L'anima è in una posizione mediana che le permette di tanto di ascendere a Dio come di discendere al
mondo terreno. Grazie all’anima che fa da tramite tra i due mondi l’uomo può ricollegare la molteplicità
delle cose terrene all’idea divina, al principio primo. L'amore è l’atto cognitivo per eccellenza che
spogliato dal mondo dei sensi ci fa recuperare la conoscenza divina. L'essere supremo, in un atto di
infinita bontà, ha deciso di infondere nel mondo il desiderio di ricongiungersi a lui. L'amore vuole
raggiungere la sua somma bellezza attraverso vari gradi che partono dai barlumi che discendono sulla
terra e sono copie delle idee vere e proprie (che stanno nell’iperuranio) e seguendo questi barlumi
l’uomo percepirà i modelli assoluti e perfetti e immutabili (le idee) e in base a questi riordinerà e
riformerà il mondo (caratteristica dinamica dell’uomo).

Pico Della Mirandola in De Hominis Dignitate non solo riconosce la capacità dell’uomo di riformare il
mondo ma l’uomo non essendo nato con alcuno scopo può autodeterminarsi: scegliere la propria strada
dalla più degradante alla più elevata. La dignità dell’uomo sta proprio nel suo libero arbitrio. Non
importa cosa sceglie, importa che abbia la possibilità di scegliere la sua forma. È superiore anche agli
angeli in quanto essi nascono buoni e divini, l’uomo invece va incontro a leggi o a un destino prefissato.
Dignità dell’uomo nel suo essere e divenire.

2.2 Diffusione dell’umanesimo in Inghilterra

La penetrazione degli ideali umanistico-platonici nell’Inghilterra Tudor fu determinante per l’avvento del
Rinascimento anche in quella nazione. Tale immigrazione ebbe inizio verso la fine del secolo precedente,

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studenti inglesi si recarono in Italia per gli studi di legge e discipline mediche per poi tornare in patria ad
esercitare la professione.

Durante la permanenza questi uomini entrarono in contatto anche con il nuovo curriculum degli studia
humanitatis e con le nuove correnti filosofiche che non tardarono a importare insieme ai testi. E con i
libri degli antichi furono divulgate le opere e le idee dei maggiori pensatori rinascimentali.

Thomas More, pur non essendo stato in Italia venne a conoscenza del pensiero pichiano e ne fu attratto
e influenzato tanto che tradusse la Vita del filosofo. Riscosse grande successo, in particolare, la teoria
dell’amore platonico di Marsilio Ficino.

In linea con la prospettiva neoplatonico-umanistica si colloca Il cortegiano di Baladassare Castiglione


tradotto in inglese da Thomas Hoby, conduct book che mirava a proporre nuovi modelli pratici sia di
eleganza estetica sia di etica sociocomportamentale. Sir Thomas Elyot scrisse sulla stessa linea The Boke
Named the Governour (1531) dedicato a Enrico VIII la cui autorità viene celebrata come quella di ogni
regnante virtuoso. La posizione di un re è all’apice della gerarchia, tuttavia, dovrebbero essere affiancati
da un gruppo scelto di persone capaci di aiutarlo nei suoi uffici per l’attuazione di un buon governo.

Thomas More nel 1516 scrisse Utopia redatta in latino in forma di dialogo, More aveva immaginato una
società libera da qualsiasi giogo di carattere sociale e religioso, spingendosi ben oltre il suo modello che
era la Repubblica di Platone. Prospettava una società largamente egalitaria con una più ampia
partecipazione al governo da parte dei cittadini, tutti per altro degni di ricevere una cultura e di
condividere gli stessi beni e proprietà, c’è completa tolleranza religiosa. Più tardi lo stesso More sarà
fatto giustiziare da Enrico VIII per tradimento.

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Le dottrine politiche: utopie e Realpolitik

3.1 L’eredità del primo Umanesimo

Il movimento umanista inglese si caratterizza per un’estrema vivacità culturale e un’attenzione che non
si limita ai modelli canonici della classicità, ma volge lo sguardo al sud dell’Europa, promuovendo scambi
internazionali di testi e di persone, contribuendo al nuovo ruolo dell’Inghilterra nella mappa politico-
culturale europea. Protagonisti di questo movimento furono umanisti italiani che si recarono in
Inghilterra, collezionisti e bibiofili, e scrittori come John Lydgate che raccolsero e sintetizzarono le novità
che arrivavano dal continente.

Significativa è l’opera di John Lydgate, The Fall of Princes nata come la traduzione di De casibus virorum
illustrium (le sventure degli uomini illustri) di Boccaccio e allargatasi a dismisura fino a diventare il
poema più lungo della letteratura inglese e un compendio di storia e mito.

3.2 Dottrine politiche e identità nazionale

Gli umanisti inglesi del primo periodo Tudor si impegnarono in un ruolo di consiglieri del sovrano che
ritenevano essenziale al benessere dello stato. La prima caratteristica da sottolineare quando ci sia
avvicina agli scritti politici dell’Umanesimo inglese è l’estrema diversità di generi a cui essi fanno
riferimento: trattistica, interludio teatrale, poemetti satirici (John Skeleton), rielaborazioni poetiche di
favole esopiche. La trattistica politica viene dagli speculum principis medievali.

Un esempio è The Boke Named the Governour (il libro del governatore) di Thomas Elyot (1531), libro
che fonde l’ammonimento ai principi e l’ammonimento sul buon governo e più generali regole di
condotta. È ispirato in parte al Cortegiano di Baldassarre Castiglione. Dichiara la monarchia come forma
ideale di governo e il diritto del sovrano a essere Dio nella propria nazione. Questo tipo di trattato nella
realtà può portare alla disgrazia e persino alla morte colui che lo compone data la natura tirannica e
capricciosa dei re.

3.3 La prosa politica: More e i suoi contemporanei

Il testo cardine della storia delle dottrine politiche in Inghilterra nella prima età moderna è Utopia di
Thomas More, scritto in latino ma poi tradotto in inglese e pubblicato per la prima volta nel 1516. Il
volume si divide in due libri e segna l’ingresso nel pensiero occidentale di un nuovo vocabolo: utopia, il
non luogo, l’isola che non c’è.
È sottoforma di discussione filosofica: si apre con un dialogo tra lo stesso Morus e Pietro Gilles, un
pubblivo ufficiale di Anversa che Morus aveva conosciuto nei suoi viaggi, e un personaggio di finzione,
Raffaele Itlodeo, un viaggiatore appena ritornato dall’isola di Utopia. Il primo libro mette in luce i mali
dell’amministrazione e della politica inglese; il secondo invece contiene un’articolata descrizione di

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Utopia, implicitamente contrapposta all’Inghilterra come luogo dell’ottimo goveno e dell’esaltazione del
bene comune, e al tempo stesso della pace.
I cittadini di Utopia vivono alla ricerca costante della virtù, sola chiave del vivere civile e mostrano una
straordinaria tolleranza nei confronti dell’elaborazione del libero pensiero, al punto che è persino
prevista la libertà di culto: qualcosa di impensabile al tempo, così come l’abolizione della pena di morte,
anch’essa presente in Utopia.
Nella sua ricerca di una felicità razionale, Utopia sembra divorare sé stessa: e non è un caso che, con la
sola eccezione del re Utopos, nessuno degli abitanti dell’isola abbia un nome o una personalità, e che
persino il loro modo di vestire sia regolato dalla legge.
More era Lord cancelliere, quindi, era in una posizione molto vicina al re del quale era primo consigliere.
Evidentemente i vantaggi e le difficoltà di questo ruolo gli erano ben presenti: nel primo libro di Utopia
sia More che Gilles chiedono a Itlodeo di mettere la sua esperienza e dottrina al servizio di un sovrano
ma lui rifiuta dichiarando che alla corte dei re non c’è alcuna differenza tra servizio e servitù. In More c’è
un dilemma tra tra vita attiva dell’umanista-consigliere e vita contemplativa dell’umanista-studioso.

Lo stesso dilemma si trova alla base dell’opera di Thomas Starkey, A Dialogue between Reginald Pole
and Thomas Lupset anche se in questo caso lo scrittore conclude senza esitazioni a favore del servizio
attivo per il sovrano. Propone come modello ideale per una buona monarchia la struttura dogale della
Repubblica di Venezia (aveva vissuto in Italia a Padova): una forma di monarchia elettiva in cui il potere
del sovrano è temperato dal ruolo del Senato. Una critica al potere costituito negli anni in cui Enrico VIII
si stava trasformando in despota.

Vale la pena menzionare A Remedy for Sedition di Richard Morison, un’apologia della brutale
repressione attuata da Enrico VIII nei confronti dei dissidenti religiosi del cosiddetto Pilgrimage of Grace.
Il testo richiama all’obbedienza incondizionata al re e alle sue leggi difendendo in maniera spudorata
l’atto violento del sovrano.

Durante il regno di Edoardo VI uno dei movimenti di idee più interessanti è quello dei
Commonwealthman che include umanisti e predicatori in un dibattito sui problemi economici e politici
dell’Inghilterra Tudor. Tra i testi prodotti all’interno di questo movimento vi è A Discourse of the
Common Weal pubblicato anonimo ma scritto forse da Hles o Smith. È un trattato non solo di dottrina
politica ma anche economica, che parte dal lamento di More alle fine di Utopia per considerare lo stato
della nazione nelle mani di pochi e rapaci proprietari terrieri. Uno dei bersagli più importanti dei
Commonwealthman è la creazione delle enclosures che era a scapito dei più poveri.

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La poesia: dagli epigoni di Chaucer a Surrey

4.1 La tradizione Chauceriana e i courtly makers scozzesi: Dunbar e Douglas

I versi della tradizione Chauceriana sono caratterizzati da decasillabi detti pentametri chauceriani con
vecchio ritmo allitterativo medievale che prevedeva quattro accenti per verso; solo che i mutamenti che
segnano il passaggio tra il medio-inglese e l’inglese della prima modernità, in particolare la caduta della
e finale, ne fanno una poesia dai ritmi irregolari e, a orecchie moderne, spesso zoppicante.

Poesia in inglese, nella tradizione chauceriana, è anche quella dei courtly makers scozzesi del primo
Cinquecento Dunbar e Douglas.

William Dunbar nel 1503 scrive The Golgen Targe (Lo scudo d’oro), nella tradizione della dream vision.
Nel poema il poeta addormentato sogna, in un mattino di maggio, una nave carica di cento belle dame
della corte di re Cupido. Di committenza cortigiana è anche The Thistle and the Rose (Il cardo e la rosa,
1503), una composizione protalamica per le nozze di Margherita e Giacomo IV di Scozia.
Dunbar utilizza però anche linguaggi bassi e realistici come in The Two Married Women and the Widow
nel vecchio verso allitterativo, e toni più cupi come nel Lament for the Makers.

Gavin Douglas si ispira al Roman de la Rose in The Place of Honour, 1501, in cui si parla dell’incostanza
della Fortuna. Nella tradizione chauceriana a lui è indubbiamente accreditato King Heart un cupo poema
allegorico sulla vita a precipizio verso la morte. La cosa più importante nella sua produzione è però la
traduzione in distici dell’Eneide, dalla versione francese di Guillaume Leroy del 1490.

4.2 John Skeleton

Era alla corte di Enrico VII, non si hanno notizie certe sulle sue origini. Studiò a Cambridge dove venne
nominato poeta laureato e ottenne un posto a corte come precettore del figlio del re, Arturo, e
successivamente anche di Enrico VIII.

The Bowge of Court (La bocca della corte ), è una delle sue opere maggiori. Una satira contro la vita di
corte, vista poco meno come inferno dei vivi e luogo di ogni peccato. Aveva già scritto Agaynste a
Comely Coystrowne (Contro un bellimbusto), incluso in una raccolta, e si trattava di un’invettiva contro
un musico. L'ultimo titolo della raccolta è Womanhood, Wanton, Ye Want (La femminilità, o sfacciata, è
ciò che ti manca) dedicato a una signora di palazzo dal sorriso angelico e dalla lingua viperina.

Nella raccolta vi è anche Unpon a Deadsman Head (Su un teschio), un macabro dono ricevuto dal poeta,
forse mandatogli dalla stessa signora di cui si parla nell’ultima poesia della raccolta. Si tratta di un primo
esempio di versificazione inventata da Skeleton, gli Skeletonics, generalmente caratterizzati da due
accenti per verso (con un ritmo dunque martellante) e da rime che vanno dal distico fino alla serie di
rime consecutive. La composizione parrebbe assai medievale nel gusto del macabro, nella
contemplazione della corruzione della carne, nel memento mori, ma quel ritmo e quelle rime trovano in

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quella materia una forma di levitas ed esprimono una sorta di ghigno di ritorsione verso la donatrice nel
verso finale in francese che pare rinviare il dono al mittente

Tuttavia, è in The Bowge of Court (1498) che per la prima volta Skeleton affronta la vita di corte non
attraverso personaggi, emblemi, caricature, ma nel suo complesso come spazio infernale di menzogne
ipocrisie, violenze e, in definitiva come luogo dell’umana follia e vero e proprio infirmarium. Il poema si
compone di un prologo, nella tradizione della dream vision; tuttavia, l’azione non si svolge nel sole di
primavera, ma in autunno e sotto il segno della luna, l’astro della mutevolezza e della follia.

Nell'immaginazione del poeta si materializza una nave con le vele al vento, il cui nome è appunto The
Bowge of Court. La padrona della nave è Madama Senza Pari, e la nave è popolata di personaggi e
oggetti a loro volta allegorici, nominati con parole-chiave della vita curiale: Favore, Pericolo, Paura,
Desiderio, Buona Ventura, Fortuna, Sorte (buona e cattiva), Favell (Favella o Adulazione e Maldicenza),
Sospetto, e Harvey Hafter (il nome indicava l’imbroglione) la quintessenza caricaturale del cortigiano,
che porta la pelle di volpe e complotta contro il personaggio che ha nome Dread (paura) e che vede
dovunque nemici, e poi Ryote (il Ribaldo che vive di d’intrighi e si vanta delle sue imprese di seduzione
tra le giovani donne della corte dalle quali spreme denaro) e Desceit (Inganno). Il quadro della vita di
corte che ne esce è una sorta di incubo in cui tutto ciò che sembra non è, ogni apparenza è ingannevole
e la vita stessa è una sorta di guerra di tutti contro tutti.

Dopo la vita da precettore di corte viene spedito nella parrocchia di Diss. Li scrive parodie della funzione
funebre, tra cui uno dei suoi capolavori Phyllyp Sparowe (il passero Filippo) 1508 ca. Un poemetto
dedicato a Jane Scrope, poco più che ventenne, in consolazione della perdota del suo passerotto ucciso
dal gatto Gib. Ispirandosi al carme in morte del passero di Lesbia di Catullo e alla tradizione della messa
per gli uccelli nei bestiari medievali, Skeleton compone un poemetto di 1382 versi skeletonici di grande
fascino, musicalità, tenerezza e leggerezza. Manifesta anche desiderio e incanto alla vista di Jane.

The Tunnyng of Elynour Rummyng risalente al periodo di Diss o più tarda è un’altra composizione in
skeletonics. È un poema all’insegna della bruttezza, vecchiezza, del demoniaco, del realismo grottesco in
particolare nella descrizione della taverna di Elynour e della sua clientela come luogo carnevalesco di
maschere distorte di vizio, intemperanza e follia.

Torna a corte chiamato da Enrico VIII come orator regius. Lì scrive Poems against Garnesche (Versi
contro Garnesche) che era un gentleman usher di Enrico VIII contro cui Skeleton scaglia invettive
violentissime. Nel 1516 l’orizzonte cortigiano di Skeleton si incupisce con la dichiarazione di ostilità
contro il cardinale Wolsey

Nel 1515-20 ca scrive Magnyfycence, un morality play in chiave allegorica. Magnificenza, il personaggio
principale, è il sovrano. Misura viene elsiliato, lasciando campo a Follia e Stravaganza, maschere
grottesche che introducono i Vizi cortigiani (mascherati da Virtù) che tramano per la caduta di
Magnificenza. Da una parte abbiamo Felicità, Ricchezza, Misura, Cautela, Speranza, Giustizia,
Perseveranza e dall’altra Avversità, Miseria, Follia, Stravaganza, Ipocrisia, Abuso, Disperazione. Questi
personaggi si muovono su uno schema in cinque parti:

1) dalla Prosperità
2) al Complotto
3) all' Errore

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4) al Castigo
5) al Ripristino dell’ordine

Alla fine, dopo la caduta e il castigo, Magnificenza, aiutato da Povertà che gli parla di Dio, si rialza e
riconosce la propria follia. Libertà lo riconosce nei panni del mendicante, Magnificenza allontana da sé
Disperazione, ritrova Speranza, Fede, Carità e, dunque, Giustizia, Temperanza, Prudenza, Fortezza. Alla
fine, ci ritroviamo davanti al quadro ricostruito delle virtù teologali e cardinali che insieme alla
magnificenza, sono le virtù del principe cristiano.

Il furore polemico di Skeleton si rivolge poi contro l’avvento del nuovo sapere umanistico e
dell’insegnamento del greco nelle università di Oxford e Cambridge. In Speke, Parrot (Parla, pappagallo)
1521 ca Skeleton si schierava dalla parte dei tradizionalisti contro il New Learning il cui responsabile
secondo Skeleton era proprio Wolsey. È un poema poliglotta in inglese, latino, spagnolo, francese,
italiano e greco antico che mescola diversi metri e schemi strofici. Una sorta di satira in cui la voce
poetante è quella del pappagallo, spesso oracolare e sempre beffarda. È una satira generale contro il
mondo nuovo.

Nel 1520-22ca scrive Collyn Clout in versi skeletonici. Parte dalla constatazione della solitudine del poeta
satirico, il quale pronuncia a voce spiegata ciò che meglio farebbe a tacere, finendo per passare per
folle. Il poeta indossa la maschera dall’uomo semplice: clout è zolla per indicare la condizione
campagnola, dunque, un’ingenuità straniata tra le beghe politiche e culturali della città. Il bersaglio è
soprattutto la Chiesa e quindi Wolsey visto come Anticristo. Contro di lui è anche Why Come Ye Not to
Court.

The Garland of Laurel è un poema autocelebrativo con foma di dream vision in cui l’autore riattraversa
allegoricamente tutta la sua vita, si presenta al giudizio della dea della saggezza e della Regina della
gloria, per l’ammossione nel palazzo di quest’ultima. Viene istituito un processo di beatificazione poetica
al quale sono chiamati a testimoniare i grandi poeti antichi e moderni.

4.3 Sir Thomas Wyatt

A 13 anni entra a Cambridge, a 17 sposa Elizabeth Brooke dalla quale avrà un figlio. Nel 1525 viene
nominato “esquire of the Royal Body” e si separa dalla moglie accusata di adulterio. In questo stesso
periodo probabilmente si interessa ad Anna Bolena. Nel 1526 venne spedito in missione diplomatica in
Francia e l’anno dopo andò in Italia dove conobbe Bembo, Castiglione e forse Ariosto. Quando torna in
Inghilterra la relazione tra Enrico e Anna è diventata affare di stato e per sposare Anna ripudia Caterina.
Wyatt traduce per Caterina The Quyet of Mynde (La tranquillità dell’anima) di Plutarco nel 1528. Nel
1536 il re fa aprire un’inchiesta su Anna per adulterio con il risultato che molti amici di Wyatt che
costituivano il cenacolo intellettuale formatosi intorno ad Anna, vengono arrestati e decapitati. Lo stesso
Wyatt viene arrestato ma è l’unico a salvarsi forse grazie all’amicizia con Thomas Cromwell. Muore nel
1442.

Ad eccezione di The Quyet of Mynde nessuna opera di Wyatt viene stampata quando è ancora in vita.
Nel 1547 alcune sue poesie sono incluse nell’antologia A Book of Ballets. Nel 1549 sono pubblicati i
Penitential Psalms tradotti in versi dalla prosa di Aretino. Molti suoi componimenti, così come quelli di
altri courtly makers come Surrey, vengono pubblicati nella Tottel’s Miscellany nel 1557.

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Il viaggio in Italia è molto importante per la produzione di Wyatt. Inizia ad adattare le opere di Petrarca.
Il Petrarca tradotto da Wyatt subisce una sorta di metamorfosi attraverso la scelta di un registro più
basso, vicino alla lingua quotidiana, con un’impressione forte di urgenza e autenticità. Un esempio è The
Pillar Perished Is (Rotta è la colonna), che si ritiene faccia riferimento alla decapitazione di Thomas
Cromwell. La fonte è il sonetto 269 del Canzoniere petrarchesco, Rotta è l’alta colonna e’l verde lauro, in
cui Petrarca lamenta, oltre la morte di Laura, la morte del cardinal Colonna suo protettore e amico. Ma
la morte di Cromwell è per Wyatt fonte di angoscia e paura dato che la sua stessa vita è in pericolo. A
volte Wyatt prende immagini petrarchesche e le sviluppa in uno strambotto (ottava a rime alterne
chiuse da un distico rimato, presa dalla poesia di Serafino Aquilano). Per Wyatt il sonetto è formato da
un’ottava e una sestina conclusa però da un distico finale. Wyatt è il primo petrarchista inglese,
inventore del sonetto e rielaboratore delle canzoni di Petrarca

Una delle sue più famose composizioni è They Flee From Me (Fuggon da me) in cui emblematica
medievale e fonte ovidiana con la forma usata da Chaucher in Troilus and Criseyde, si fondono alla
perfezione in tre strofe a royal rhyme.

Wyatt è ricordato anche per le sue satire. Tre sono le satire formali e tutte in una terza rima
sapientemente elaborata: l’epistola a John Poynz in cui si dice della schiavitù della vita di corte e della
scelta di abbandonare quella vita; ancora a John Poynz e ispirata alla satira VI di Orazio, della topina di
campagna che va in città e viene mangiata dal gatto; infine, l’epistola a Francis Brian, il cui modello è la
satira XII di Gioveniale sui cacciatori die redità.

I salmi penitenziali si tratta di un adattamento de I sette salmi della penitentia di David di Pietro Aretino
da cui Wyatt trae la struttura e l’idea di introdurre in modo figurativo e teatrale ognuno dei salmi,
descrivendo e localizzando lo stato d’animo e la figura di Davide che riflette sul suo amore adulterino
con Betsabea. Sono un’ispirazione, non la traduzione di Aretino.

4.4 Henry Howard, conte di Surrey

Nacque intorno al 1517 da una delle famiglie più importanti del regno. Come Wyatt anche Surrey è tra i
new courtly makers. Surrey lavora sul sonetto e sul pentametro giambico e spoglia il pentametro della
rima nella sua traduzione dei due libri dell’Eneide, facendone il blank verse poi usato da tutto il teatro
elisabettiano-giacomiano. Traduce in impeccabili pentametri i sonetti di Petrarca. La poesia d’amore di
Surrey è dedicata a una fair Geraldine che probabilmente è solo una convenzione poetica.

Sardanapalus è un duro sonetto satirico tacitamente dedicato a Enrico VIII come tipo del satrapo

La lingua poetica di Surrey è alta, aristocratica che si distingue dal linguaggio d’uso.

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La prosa: da Malory alle traduzioni della Bibbia

5.1 La prosa nei primi anni della stampa

C'è uno stretto rapporto tra proliferazione di testi in prosa e diffusione della stampa. La stampa arrivò in
Inghilterra nel 1473 con William Caxton. Il ruolo di Caxton in questa fase della storia letteraaria inglese è
duplice: da una parte, nel selezionare i testi da pubblicare (con occhio ai gusti del pubblico), lo
stampatore creò un primo canone della letteratura inglese; dall’altra, i prologhi e gli epiloghi di cui
spesso dotava oi suoi volumi costituiscono un primo esempio di saggistica in prosa, già con alcune
caratteristiche della scrittura accademica. Con la sua attività di traduttore poi introdusse decine di
vocaboli nella lingua inglese

5.2 Thomas Malory

Il ruolo di William Caxton e il suo interesse per cronache e romances, è particolarmente visibile nel caso
dell’opera di Sir Thomas Malory pubblicata nel 1485 con il titolo Le Morte Darthur (La morte di Artù,
titolo che si desume nei commenti dell’epilogo poiché non vi è frontespizio) e che mescola storia e
invenzione nella rivisitazione di uno dei miti fondanti della nazione inglese. È una lunghissima opera in
prosa che ricostruisce le vicende della vita di Artù dalla sua nascita, circondata di magia, alla morte per
mano del figlio Mordred. Nel suo prologo Caxton spiega di aver preso le le molte narrazioni di fatti
d’arme e cavalleria e averle riunite in un unico volume, dividendolo in 21 libri, a loro volta divisi in
capitoli. Il che dà modo allo stampatore di produrre una sorta di sommario nel prologo che descrive il
contenuto di ogni libro. L'ordine in cui egli ripropone le varie narrazioni maloriane e il titolo che assegna
al volume hanno fortemente condizionato la percezione posteriore di questo testo, trasformato da
collezione di traduzioni e resoconti in narrazione unitaria con una propria logica interna. Solo nel 1934
grazie al ritrovamento del manoscritto si è potuto ricostruire l’intervento di Caxton. Dal manoscritto si è
concluso che Malory in realtà non intendesse scrivere un’opera unica, ma presentare varie narrazioni su
momenti e personaggi diversi del ciclo arturiano.

Vi sono numerosissime versioni poetiche di singoli episodi sia in Inghilterra che in Scozia, ma solo Malory
ci offre una summa di un mito assai articolato.

Sappiamo pochissimo di Thomas Malory, che nel corso della sua opera fa numerose allusioni alla sua
triste condizione: probabilmente possiamo identificarlo con un cavaliere del Warwickshire che combatté
in Francia durante la Guerra dei cent’anni e passò gli ultimi anni della sua vita in prigione.

L'importanza del mito arturiano in epoca Tudor è testimoniata dal fatto che l’opera di Malory sia stata
ristampata almeno altre cinque volte dopo l’edizione di Caxton

5.3 La prosa umanistica

Se il romance, genere popolate per eccellenza, viene scritto e stampato in inglese, molta parte della
produzione in prosa del primo Cinquecento è in latino, in obbedienza al dettato umanistico che si stava

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diffondendo in Inghilterra, ma anche alla ricerca di un pubblico che non si limitasse agli scrittori inglesi.
Lo scrittore più importante in questo senso è Thomas More. L'opera storica di Thoma More (Richard III?)
esercitò grande influenza su un altro genere letterario che nella prima metà del Cinquecento assume
importanza, vale a dire quello delle cronache, o resoconti del recente passato nazionale.

Tra i più importanti storici inglesi di questo periodo, ricordiamo Edward Hall, autore della Union of the
Two Noble and Illuste Families of Lancastre and York, pubblicata postuma nel 1548; oggi più noto come
fonte dei drammi storici di Shakespeare, Hall creò una storia “imperiale”, in una narrazione che
privilegiava la figura del monarca come motore degli eventi e guida della nazione.

Robert Fabyan scrisse The Newe Cronycles of England and Fraunce. Questi autori di cronache
contribuirono alla costruzione della nazione Tudor, legittimandone le dubbie origini e promuovendo una
propaganda sistematica della nuova dinastia, propaganda che sarebbe diventata uno dei motivi
dominanti della cultura elisabettiana.

5.4 La prosa religiosa, le traduzioni

La letteratura religiosa è una tra le più fiorenti in questi anni con una produzione straordinariamente
diversificata che include, oltre a numerosissime opere in versi, anche l’esplorazione di generi in prosa
come i sermoni, i pamphlets e la trattatistica. Le controversie religiose iniziano già una produzione di
volumi a volte polemici, a volte di difesa dell’una o dell’altra religione, volumi che preludono alla guerra
dei libri che esploderà nel XVII secolo. Una delle grandi conseguenze della Riforma protestante in Europa
fu la necessità di pianificare in forma sistematica le traduzioni della Bibbia nei vari volgari. William
Tyndale tradusse il Nuovo Testamento nel 1525.

La prima traduzione ufficiale e completa della Bibbia in lingua inglese fu portata a termine nel 1535 ad
opera di Miles Coverdale che venne pubblicata due anni dopo con una speciale autorizzazione del re. Fu
la versione ufficiale fino alla fine del regno di Edoardo VI perché poi vi fu Maria Tudor che era cattolica.

Nel frattempo, alcuni protestanti misero a punto la nuova versione nota come Geneva Bible dedicata
poi alla regina Elisabetta nel 1560. Questa venne poi sostituita nel 1568 dalla Bishops’Bible.

Queste diverse traduzioni erano accompagnate da una pubblicistica polemica e pamphlettistica volta a
difendere o attaccare l’una o l’altra traduzione, come nel caso di uno dei saggi più famosi, il Dialogue
Concerning Heresies del 1529, in cui Thomas More partecipava al dibattito criticando la traduzione di
Tyndale.

John Bale nel 1540, dopo la condanna di Cromwell, scappò in Germania dove scrisse saggi che
denunciavano l’influenza della Chiesa cattolica in Inghilterra. In Image of Both Churches Bale enunciò un
principio di antitesi fra la vera Chiesa inglese e la falsa Chiesa di Roma. Ma la fama di Bale è legata
all’Index Britanniae scriptorum del 1548 che tentava di preservare attraverso la descrizione e
catalogazione il patrimonio manoscritto che la furia iconoclasta di Edoardo VI metteva a repentaglio.

Tutte queste traduzioni contribuirono alla creazione dell’Authorized Bible o Bibbia di re Giacomo,
pubblicata nel 1611 e per secoli il testo di riferimento della Chiesa anglicana.

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John Foxe scrisse Acts and Monuments che segna un punto fondamentale nella controversia religiosa in
Inghilterra. Venne completato in latino nel 1559 e pubblicato in inglese nel 1563. Si tratta di una sorta di
martirologio protestante dei grandi inglesi che, con il loro sacrificio, contribuirono alla grandezza della
Chiesa e dello Stato. Allo stesso tempo l’opera si richiamava alla tradizione delle cronache, offrendo un
resoconto della storia inglese tra XIV e XVI secolo.

Attraverso la traduzione la cultura inglese inizia ad avvicinarsi di più alla cultura europea
contemporanea, in particolare alle letterature italiana e francese. Allo stesso tempo si introducono molti
testi appartenenti alla cultura classica, facendoli entrare in maniera permanente nel canone letterario
inglese.

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6
Il teatro: dai drammi religiosi agli interludi

6.1 Miti e pregiudizi da sfatare

L’imputazione di mancanza di poesia nel Trecento, derivata dal confronto con il successivo teatro
elisabettiano, era sbagliata, poiché i drammi tardomedievali e umanistici erano composti solo per essere
rappresentati e certamente non per finalità letterarie. Assieme a questo aspetto si è attenuata anche
l’accusa di povertà e noia dei testi, tesi, secondo questa imputazione, solo esclusivamente
all’insegnamento religioso.

Un altro mito da sfatare è quello relativo alla successione quasi evoluzionistica delle forme
drammatiche. Ci si è resi conto che la sequenza misteri-moralità-interludi non è corretta. Da un recente
studio emerge il fatto che dei quattro cicli completi di cui solitamente si afferma la sopravvivenza
(Chester, York, N-Town e Towneley/Wakefield) solo i primi due possono essere ritenuti tali, mentre gli
altri sono ora considerati delle antologie di testi di varia origine, sulla cui rappresentazione non vi è
alcun dato sicuro.

6.2 I cicli misterici

I cicli misterici rappresentano la tipica manifestazione spettacolare dell’Inghilterra tardomedievale, la cui


origine si deve alla celebrazione delle festività del Corpus Domini. Si tratta di drammi religiosi derivati
dalla tradizione biblica che mettono in scena la storia sacra dalla creazione al giudizio universale.
Composti di molti episodi, erano diffusi in varie parti della Gran Bretagna. La messinscena era compito
della città e delle sue corporazioni di di arti e misteri, mancava la figura dell’attore professionista. La
rappresentazione avveniva su carri spinti o tirati a mano, lungo le strade della città, secondo un percorso
fisso che prevedeva soste in varie postazioni, ove il singolo episodio veniva ripetuto ogni volta. Anche se
le storie avevano una trama predeterminata essendo ricavati dalle Sacre Scritture, i drammaturghi
riescono in alcuni episodi a tratteggiare con cura i personaggi, a aggiungere dettagli appena accennati
nella BIbbia e dialoghi (nella rappresentazione del Diluvio universale di Chester abbiamo una lite
domestica tra Noè e la moglie)

Nella raccolta N-Town nessun luogo specifico è associato a tale serie quindi N sta per nomen/name, vale
a dire che forse alcuni drammi venivano portati in tournee in luoghi differenti.

I personaggi cattivi sono tratteggiati in maniera comica e derisoria. La riforma protestante cercherà di
cancellare ogni traccia di queste rappresentazioni e durante il regno di Elisabetta I terminarono in tutte
le città. Ad oggi queste rappresentazioni sono state riprese.

6.3 Le moralità

Rappresentati quasi certamente da professionisti nelle sale e nei cortili delle taverne, nelle sale dei
banchetti delle dimore nobiliari o nelle piazze e nei rounds, i drammi morali (The Castle of Perseverance,

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Wisdom, Mankind) presentano caratteristiche narrative comuni. Condividono la presenza di personaggi
allegorici (sostenitori del male e del bene) che si contendono l’anima del protagonista (everyman nei
drammi comuni). Nel tempo questo tipo di dramma, per la sua struttura, venne utilizzato per ospitare
anche tematiche politiche, dove all’uomo si stostituisce lo Stato in preda a profittatori, malcostume e
cattivo governo. È il caso di Magnyfycence di John Sketelon. Il dramma morale venne utilizzato anche
come contenitore di propaganda delle fazioni religiose cattolica e protestante.

Il dramma morale più noto è Everyman di origine fiamminga, che si differenzia dalla trama tipica
indicata dato che tratta della morte imminente e dell’obbligo di presentare a Dio il bilancio della propria
vita. Dio, infatti, manda Morte come messaggero a Ognuno che chiede ad amici e parenti di
accompagnarlo nel duro cammino verso la fine. Inizialmente propensi ad affiancare il protagonista,
Felloship (Amicizia), Cousin, Kindred (Parenti), e Goods (Ricchezza) lo abbandonano non appena
comprendono il vero motivo del viaggio. Solo Good Deeds (Opere buone) seguirà Ognuno sino alla
tomba e un angelo consegnerà al cielo l’anima finalmente salvata.

The Castle of Perseverance rappresenta al meglio la moralità inglese, con le forze del Bene e quelle del
Male che si contendono l’anima del protagonista Humanum Genus. Ci sono vari palchi, quello di Dio,
Mondo, Avidità e Belial, collocati in cerchio e al centro c’è il castello della perseveranza preso d’assalto
dai vizi e difeso dalle virtù. Humanum Genus nasce e muore in scena, passando attraverso le varie fasi
della vita, preda dei vizi e salvato dalle virtù, sino a quando, ormai vecchio, cede di nuovo al peccato di
Avidità, di fronte al quale lamenta angosciato la propria decadenza fisica.

6.4 Gli interludi

È negli interludi che l’elemento comico si inserisce maggiormente, ancora una volta connesso ai
rappresentanti del male, anzi, a chi li raccoglie tutti in uno: il Vice (vizio). Il Vice ordisce inganni contro il
protagonista buono, ma lo fa dialogando con il pubblico, a cui rivela i propri intenti, con linguaggio
arguto, brillane e spesso scurrile. La moralità degli interludi, sia cattolici che protestanti, si salva alla fine
con il trionfo del bene, ma solo dopo che gli stessi spettatori sono stati irretiti dai giochi scenici del Vice.
Erano messi in scena con il minimo di attrezzeria da compagnie di giro il cui capocomico teneva per se il
ruolo di Vice. I luoghi privilegiati erano i cortili delle taverne e soprattutto la sala dei banchetti delle case
nobiliari o i refettori delle scuole, dove la recita avveniva sullo sfondo degli screens (schemi di legno che
separavano la sala dalle cucine) provvisti di due porte che erano l’entrata e l’uscita per i personaggi.

La parola interlude non va confusa con l’intermezzo italiano poiché i testi inglesi sono autonomi e non
recitati tra gli atti di composizioni maggiori. Un esempio di interludio è Fulgens and Lucres, ca 1497 di
Henry Medwall.

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7
Storia: da Elisabetta I a Giacomo I

7.1 Il regno di Elisabetta I

È stata introdotta la stampa che dalla seconda metà del XVI secolo in poi diventa motore del dibattito
culturale in Inghilterra. La morte di Enrico VIII crea un profondo spartiacque, dal momento che per la
prima volta, e per tre successivi regni, si propone il problema della natura acefala del potere: nel
momento in cui a regnare c’era un bambino o una donna, sorgeva il quesito sulla natura del corpo del
sovrano.

Dal punto di vista religioso, nel 1558 l’Inghilterra doveva ancora trovare un proprio equilibrio dopo la
rottura con la Chiesa di Roma. Un altro episodio significativo che segnò quell’anno fu la presa di Calais
da parte dei francesi: cadeva così l’ultimo bastione del dominio inglese oltremanica, rafforzando l’idea di
sovranità insulare.

Senza la protezione di padre o marito Elisabetta poteva presto diventare una pedina nelle mani del
Parlamento o dei suoi consiglieri, ma la regina rivelò ben presto un grande talento per la mediazione che
le permise di superare i momenti difficili del suo regno. Elisabetta mise in atto quella che è stata definita
una repubblica morachica, incoraggiando un’autonomia di governo locale, ma facendo costantemente
sentire la sua presenza grazie ai royal progress, vale a dire, mantenendo una corte in perenne
movimento e spostandosi da una contea all’altra come parte di una strategia di controllo e interazione
nei confronti delle autorità locali e dei sudditi. Elisabetta si dimostrò costantemente aperta, almeno in
apparenza, anche nei confronti del Parlamento e disponibile ad essere guidata. Si dimostrò più severa
invece con l’opposizione puritana, arrivando a bandire il dibattito politico nel 1566.

Una delle conseguenze del degenerare dei rapporti tra Elisabetta e i cattolici fu l’acuirsi delle tensioni
con la Spagna che culminarono con il tentativo da parte dell’Armada spagnola di invadere l’Inghilterra
del 1588; un’altra conseguenza fu la condanna a morte di Maria Stuart nel 1587.

Nell'ondata di reazione anticattolica, l’Inghilterra modellò anche la propria politica nei confronti della
Francia, appoggiando il protestante Enrico di Navarra (al trono come Enrico IV) nella sua lotta contro la
fazione cattolica.

7.2 Il regno di Giacomo I

Sul letto di morte Elisabetta I aveva nominato suo successore Giacomo VI di Scozia che assicurò venti
anni di regno stabile tanto da meritarsi il soprannome di rex pacificus. Nell'ambito della politica estera,
Giacomo arrivò a firmare un trattato di relazioni commerciali con la Francia e a cessare le ostilità con la
Spagna ormai in declino.

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Nel 1611 il parlamento fu sciolto, mentre il sovrano si appoggiava sempre più a giovani cortigiani,
alimentando le dicerie sulla propria omosessualità e corruzione e talvolta creando scandalo con la sua
passione per il vino e la caccia. A distanza di quattro secoli, il regno di Giacomo si caratterizza come più
moderato e stabile di quello di Elisabetta, meno feroce nelle persecuzioni e più attento allo sviluppo
della cultura e delle arti. Giacomo aveva un forte interesse per il teatro, anche dettato da un desiderio
quasi ossessivo di controllare le forme più popolari di circolazione delle idee, al punto che nel corso del
suo regno prese sotto la propria protezione la compagnia in cui lavorava Shakespeare, i Lord
Chamberlain’s Men, che assunse il nome di King’s Men.

In ambito religioso dopo una congiura sventata nel 1605 per uccidere il re, le leggi nei confronti dei
cattolicisi fecero più severe e si pretese un giuramento di fedeltà a chi volesse intraprendere una
carriera pubblica. Intensificò i suoi sforzi per portare la nazione ad un’unità religiosa e nel 1611 fece
pubblicare l’Authorized Bible.

L'unione dei regni di Inghilterra e Scozia attuata da Giacomo fu sempre respinta dal Parlamento.
Colonizzarono l’Irlanda e nel XVI iniziarono i primi insediamenti nell’America del Nord. Giacomo sembrò
molto più interessato di Elisabetta alla questione coloniale e ai possibili vantaggi derivanti da uno
sfruttamento di territori ancora inesplorati. Con la fondazione della Virginia Company nel 1606, la
colonizzazione della Virginia ricominciò.

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Filosofia: magia e scienza

8.1 Premessa

La magia rappresentava un punto di intersezione tra religione e scienza e tale nesso non può
prescindere dall’impatto teorico elaborato sin dal Tardo Medioevo: tra XIII e XIV secolo, infatti, si era già
sviluppata una concezione ben definita della scienza come sapere fondato su principi primi razionali che
derivava dai commenti latini alle opere fisiche e metafisiche di Aristotele. Da tale punto di vista, se la
riflessione critica si costituisce sulla base dei principi di identità e non di contraddizione quale fonte di
razionalità può caratterizzare la magia che è eminentemente trasformativa? Possiede la magia una sua
verità? Ed è l’inconoscibile, l’occulto, a rappresentarne il carattere costitutivo? Tali interrogativi
legittimano il rinvio dei temi magici al problema della verità, e ciò a maggior ragione ove si consideri che
la magia richiedeva l’intervento di entità superiori alla mente umana (demoni, angeli) per attingere tale
sapere occulto, e dunque in molti casi finiva con lo sconfinare in vere e proprie pratiche negromantiche.

Nel rinascimento invece la magia si sviluppa come “magia naturale” e dunque come branca della stessa
scienza che si propone di operare attraverso tecniche pienamente legittime rivolte innanzitutto allo
studio della filosofia naturale.

Con tale visione più o meno scientifica della magia coesisteva una concezione di tipo più esoterico in cui
veniva ribadita l’unità del tutto e la necessità di un ritorno dell’anima individuale alla sua origine divina.

In questa doppia prospettiva di lettura della magia rinascimentale in inserisce la voce di Giovanni Pico
della Mirandola, il quale definisce il confine tra magia naturale, parte pratica e più nobile della scienza
della natura, e magia demoniaca

8.2 Magia e scienza in Giordano Bruno

A Londra Bruno pubblica i suoi primi tre Dialoghi in cui sono definitivamente riformulati i rapporti
tra fisica e metafisica, e tra natura e Dio, con l’adesione al sistema copernicano. Il tema centrale in
questi anni è quello relativo al riconoscimento teorico dell’eliocentrismo di Copernico e alle
implicazioni metodologiche che ne derivano. Da un lato Bruno riconosce all’astronomo il merito di
aver prospettato quell’ipotesi eliocentrica che era stata già sostenuta da scienziati e filosofi
dell’antichità; dall’altro, contemporaneamente ne rileva limiti ben precisi sul piano filosofico;
Bruno evidenzia i limiti del suo quadro esclusivamente matematico che non ha consentito la
necessaria elaborazione cosmologico-ontologica.

Nel suo percorso di ricerca, Bruno fa proprio l’insegnamento dei maghi egizi: gli unici,
nell’antichità, ad aver compreso che l’essenza dell’azione magica risiede nella ricerca delle forze
insite nella natura stessa.

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8.3 Scienza e magia nella filosofia elisabettiana: dai courtiers del Northumberland Circle a John
Dee

Tra le tematiche innovative di Giordano Brunospiccano quelle che furono raccolte e sintetizzate dai
courtiers del Northumberland Circle, i quali seppero individuare all’interno di esse, insieme con
l’accettazione del sistema copernicano, interessanti spunti e suggestioni di carattere scientifico.

La critica ai saperi tradizionali rappresenta il tentativo di determinare con precisione quel modello
scientifico in cui il progresso delle scienze possa misurarsi con il rigore del loro metodo nel distacco
totale da ogni possibile considerazione realista e metafisica della scienza stessa come coscienza della
causa sostanziale prima. Si aprivano così, per la scienza e la filosofia inglesi, diversi e più ampi campi
d’indagine che imponevano un totale ribaltamento delle categorie chiave della filosofia aristotelica
nell’ambito dell’accettazione della tesi dell’infinità dei mondi.

John Dee è il mago matematico che ispirò il progresso tecnico elisabettiano. L'opera di Dee può dividersi
sostanzialmente in due fasi: nel primo periodo egli si propone come punto di riferimento del
Rinascimento elisabettiano e la sua biblioteca, luogo di ritrovo per il circolo del conte di Leicester,
comprende le grandi opere della tradizione mago-alchemica rinascimentale, in primo luogo il De occulta
philosophia di Argippa. Durante questo periodo al centro dei suoi interessi c’è la ripresa della tradizione
ermetico-cabbalistica, ma non mancano testi che si riferiscono alla legittimazione delle arti meccaniche
come General and Rare Memorials Pertayning to the Perfect Art of Navigation (Sulla perfetta arte della
navigazione) in cui scienza naturale e occulta convergevano nel legittimare le mire espansionistiche
inglesi.

Nella seconda fase del suo pensiero si può invece rilevare un nuovo orizzonte teorica, quello
propriamente magico-cabbalistico. L'intera problematica svolta nella Monas hieroglyphica (Monade
geroglifica) 1564, infatti, è sufficiente a spiegare come, nella stessa opera, possano integrarsi riflessioni
matematiche di una certa rilevanza e molteplici intuizioni di un mago cabbalista, evocatore di angeli e
spiriti. La Monas a parere di Dee rappresenta un potente simbolo magico e anche la fruizione della
scienza matematica si prestava alle tecniche cabbalistiche che Dee esercitava con il suo aiutante.

8.4 Francis Bacon: dalla magia alla scienza

A distanza di vent’anni, Francis Bacon nel The Advancement of Learning (Del progredire della scienza)
pubblicato nel 1605 e dedicato a Giacomo I, avrebbe lamentato le carenze strutturali dei saperi del suo
tempo, sia in ambito letterario che naturalistico, prospettando e presagendo la possibilità di un mondo
in cui finalmente la comunione nello studio e nell’esercizio delle arti meccaniche avrebbe rinnovato
tutte le attività umane.

Nella sua prospettiva di ricerca, la scienza va attinta unicamente dalla luce della natura quindi Bacon
ripropone una ricostruzione delle filosofie presocratiche indipendente dalle inattendibili testimoniante
aristoteliche. Apprezza in Democrito lo scetticismo metodologico che gli aveva consentito di penetrare
nei segreti della natura più profondamente rispetto ad Aristotele e la sua scuola. Ciò non toglie che tutta
l’opera di riforma baconiana nasca e si sviluppi a partire da una profonda critica contro la sterilità della
cultura antica fondata sulla consapevolezza che le scoperte geografiche, la bussola, la stampa, la polvere
da sparo e il progredire delle arti meccaniche hanno determinato un mutamento radicale nella stessa

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filosofia. Scrisse Novum organum tratta della logica del procedimento tecnico-scientifico, una logica da
contrapporre a quella aristotelica (Organon era il titolo dato all'insieme delle opere logiche di
Aristotele), buona, per Bacone, solo per le dispute verbali. Ad Aristotele Bacone rimprovera di aver
trascurato la logica dell'induzione, ossia il percorso dall'esperienza sensibile, che è sempre di oggetti
individuali, ad una conoscenza generale. (preso da wikipedia)

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La poesia: i canzonieri, le arie, le egloghe, il poema epico, i
poemetti narrativi

9.1 Lo scenario poetico rinascimentale

La poesia elisabettiana si pone come ritratto dell’individuo e dello Stato: le due immagini coincidono
nella rappresentazione della regina, donna per il corpo naturale e uomo per il corpo politico. La poesia
esamina la dimensione interna della coscienza individuale e si propone di creare la dimensione pubblica
della nazione.

9.2 Gascoigne, Elisabetta I, Raleigh

La regina organizza il consenso intorno a sé, avvalendosi della simbologia petrarchesca, presentandosi
come domina irraggiungibile, che eleva lo spirito dei suoi devoti corteggiatori, per cui ogni lamento e
supplica amorosa acquista valenza politica e cortigiana.

Tra i poeti del regno di Elisabetta giovane, Geroge Gascoigne è il più capace di sperimentazione e di
riflessione teorica. Nella vita e nella scrittura tenta varie strade ma manca sempre il bersaglio, e di
questo si accusa in Woodmanship (Abilità venatoria) in cui si chiede cosa sia a condurlo sempre al
fallimento, se la mancanza di logica o di volontà, ma incolpando infine la mancanza di protezione. Scrive
Hundreth Sundrie Flowers (Cento fiori diversi 1573) che contengono poesie vigorose e scanzonate come
Lullabie of a Lover in cui l’amante non più giovane culla le sue rattrappite facoltà fisiche e spirituali,
preparandosi al sonno della morte.

La stessa Elisabetta I da giovane scrive versi. Malgrado siano rimaste solo una quindicina di liriche
attribuibili a lei, bastano a disegnare una personalità vivace e decisa. The Doubt of Future Foes (La
paura dei futuri nemici) ca 1570, sembra all’inizio un lamento per infedeltà d’amore ma acquista man
mano sicurezza minacciosa e alla fine arriva a brandire profeticamente la spada della giustizia.

Un posto particolare in questo contesto occupano gli scambi di versi con Sir Walter Releigh. Le poesie
rivolte ad Elisabetta esprimono l’arroganza e l’insicurezza dell’amante che sa di avere potenti rivali e di
dovere la sua fortuna al capriccio dell’amata. Offeso dall’indifferenza di lei si chiude nella disperazione e
nel silenzio, imprecando contro la Fortuna. I frammenti del poema The Ocean to Cynthia mostrano uno
stato di agitazione febbrile che restituisce significato ai luoghi comuni sull’infelicità dell’amante. Raleigh
ha una vita lunga e ricca di esperienze intense, per cui anche l’arco delle sue liriche sporadiche
comprende temi e modi diversi: petrarchesco e sapienziale, popolare e raffinato, ironico e satirico.

9.3 Sidney e Spenser

La produzione poetica di Sir Philip Sidney comprende i Certain Sonnets, Astrophil and Stella e e le
liriche e le elegie intercalate nelle due Acradie.

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I Certain Sonnets sono una miscellanea di sonetti “inglesi” (forma elaborata da Surrey e poi riproposta
da Shakespeare), canzoni, traduzioni, esperimenti in versi quantitativi, racchiusi tra due coppie di sonetti
sulla vittoria e il rifiuto dell’amore. La raccolta parla di amore goduto e perduto: se la donna respinge il
desiderio, l’amante respinge l’amore.

Astrophil and Stella ha una struttura ampia e scandita in tre parti. All'inizio Sidney riesamina il
repertorio tradizionale e ribalta ironicamente topoi consolidati: non si tratta di amore a prima vista, la
dama è bionda ma ha gli occhi neri, il poeta si sforza di escogitare splendide frasi. Nella sezione centrale
Sidney affronta il dissidio tra amore e virtù, passione e ragione. La terza parte si apre alla canzone quarta
con un’esplosione di incredulità e di collera per il persistere del diniego dell’amata con cui nella seconda
parte aveva iniziato a intrecciare un dialogo, finché il poeta non chiede licenza di accantonare
temporaneamente il rapporto in vista di una great cause, probabilmente la difesa della causa
protestante in Europa o forse un altro progetto letterario. Il corteggiamento si svolge in un contesto
militare, venatorio ma ancor più giudiziario ed economico: i rischi dell’amore assomigliano ai calcoli
delle speculazioni commerciali e agli azzardi delle spedizioni esplorative. La raccolta è un canto a più voci
che comprendono l’amico che lo rimprovera con parole amare, le dame che lo ammirano, gli ingegni
invidiosi che lo scherniscono, Stella che tenta di porre le sue condizioni e al rifiuto si ritrae in un’assenza
presente, Desiderio e Ragione, Natura e Virtù, tutte le figure che ruotano intorno al centro della vicenda,
Astrophil.

Metricamente Sidney crea uno strumento formidabile per esprimere l’equilibrio contraddittorio della
sua passione: usa il sonetto italiano, ma combina l’ottava petrarchesca (due quartine ABBA) con la
sestina di Surrey a rima progressiva (quartina CDCD e distico finale EE). Sidney instaura una moda che
porterà a numerosissime collane, che culmineranno nei Sonetti di Shakespeare.

Edmund Spencer si presenta come il prototipo del “poeta” che realizza la sintesi delle qualità letterarie
dell’epoca d’oro elisabettiana. Sin dall’inizio si prepara alla sua missione, seguendo il percorso
ascendente tracciato da Virgilio (rota Vergilii) dalle Bucoliche alle Georgiche, all’epica.

Nel 1579 pubblica lo Shepheardes Calender, con un’epistola dedicatoria e un apparato di glosse firmate
da un non ben identificato E.K. (Spencer stesso, l’amico Gabriel Harvey o Edward Kirk), dove si presenta
come il poeta nuovo, il continuatore di Chaucher e l’erede di Virgilio. La raccolta di dodici egloghe che
esibisce una stupefacente varietà di temi, metri e generi, usa il travestimento pastorale per esprimere le
gioie e i turbamenti della vita quotidiana, delle tensioni della corte, le preoccupazioni del governo dello
Stato e della Chiesa e le responsabilità della vocazione poetica.

Gli Amoretti rappresentano un canzoniere anomalo che risolve il dissidio tra passione e ragione con
l’esaltazione protestante dell’amore coniugale. Esprimono la concezione matura dell’amore di Spencer.
Racconta in 89 sonetti il suo corteggiamento a Eizabeth Boyle, non attribuisce nomi fittizi ai personaggi.
Sceglie la forma inglese delle tre quartine con distico con rime alternate ripetute in ripresa
(ABAB/BCBC/CDCD/EE). Esprime timori e inquietudini nei riguardi della donna, che lo irretisce nella rete
d’oro dei capelli, lo cattura con ami dorati, lo uccide con sguardi di basilisco. La conclusione sta fuori
dalla raccolta nella celebrazione nuziale dell’Epithalamion.

La Faerie Queene viene pubblicata per la prima volta nel 1590 e in una lettera a Sir Walter Ralegh
descrive il suo poema come un’allegoria, e invita i lettori a interpretare i personaggi e le avventure dei
diversi libri, in termini delle particolari virtù e vizi che rappresentano. Ad esempio, il Redcrosse Knight

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del primo libro è il cavaliere della santità (o San Giorgio, patrono dell’Inghilterra), Sir Guyon nel secondo
libro, è il cavaliere della Temperanza, il cavaliere donna Britomart è il cavaliere della Castità. Gli eroi dei
libri 4, 5 e 6 rappresentano Amicizia, Giustizia e Cortesia. Lo scopo del poema è di disegnare il ritratto
del principe perfetto attraverso l’esame delle virtù morali e politiche nei prospettati ventiquattro libri.

I cavalieri hanno una complessa relazione alle loro identità allegoriche, identità nella quale crescono solo
attraverso percorsi dolorosi ed errori nel corso delle loro avventure. Queste avventure ripetutamente
prendono la forma di un combattimento mortale con nemici giurati (ad esempio il cavaliere della Santità
si batte contro il Saraceno Sanfoy che è musulmano), ma i nemici spesso si rivelano essere aspetti
dissociati dei cavalieri stessi (quando Redcrosse si batte con Sanfoy, Redcrosse è appena stato infedele
alla sua lady, Una, e il nemico Sanfoy non è altro che la sua stessa disperazione).

La complessità è aumentata dall’inclusione, in aggiunta alle allegorie morali, delle allegorie storiche alle
quali Spencer richiama l’attenzione, nella lettera a Ralegh, osservando che sia la Faerie Queen che
Belphoebe sono rappresentazioni della regina Elisabetta. Inoltre, lungo tutto il poema ci sono numerosi
riferimenti a eventi, problemi e personaggi dell’Inghilterra e del resto delle isole britanniche.

Alcuni personaggi sono rappresentati da simboli convenzionali che la gente del tempo avrebbe subito
riconosciuto, ad esempio la donna con il mitra e i vestiti rossi che duella lungo il Tevere rappresenta la
Chiesa di Roma. Questo poema è la celebrazione epica della regina Elisabetta, della fede protestante e
della nazione inglese, ma è anche un romance cavalleresco pieno di cavalieri giostranti e damigelle in
difficoltà, draghi, streghe, alberi incantati, maghi malvagi, giganti, ecc.

Il poema è scritto in stanze da 9 versi con rima ababbcbcc, i primi 8 versi hanno 5 accenti (pentametro
giambico) e il verso finale ha 6 accenti (esametro giambico o verso alessandrino).

Il primo libro è autoconclusivo ed è centrato sulle avventure di un solo eroe principale, Redcrosse, che
alla fine realizza la missione che affronta su richiesta di Una: uccidere il drago che ha imprigionato i suoi
genitori e così vincere lei come sposa. Quindi nel progetto di Spencer il libro I è incentrato sulla grazia
spirituale o santità, il libro II sulla temperanza e l’equilibrio mentale, il libro III la castità e l’amore
sponsale, libro IV l’amicizia, libro V la giustizia o equilibrio sociale e libro VI grazia mondana o cortesia. Il
progetto di Spencer prevedeva 20 o 24 libri in totale ma morì molto prima. Tutti i sei libri sono
caratterizzati da una mancanza di conclusione in più abbiamo il frammento di un altro libro che sono i
Mutabilitie Cantos in cui Spencer rimugina sulla tensione in natura tra ordine sistematico e mutamento
costante.

9.4 Poemi storico-geografici, libri di canzoni e di arie

Samuel Daniel, George Chapman e Michael Drayton si basano sull’opera di scavo di antiquari, storici,
geografi eruditi, le loro narrazioni storiche e corografiche costituiscono documenti preziosi al di là del
loro smalto letterario. Samuel Daniel si distingue per la melanconica Delia (1592), George Chapman per
la sensualità e l’erudizione dello Ovid’s Banquet of Sense (1595), Michael Drayton per l’intensità dei
sonetti di Idea’s Mirror (1594) con la sua mescolanza di stile popolare e cortigiano, e la sua capacità di
intrecciare ai motivi amorosi aneddoti quotidiani sugli spiriti che custodiscono tesori o sulla vivisezione
dei condannati.

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Un perfetto equilibrio di parole e musica si raggiunge nei cinque Books of Ayres (Libri di arie, 1601-17) di
Thomas Campion che compone sia le liriche che gli adattamenti musicali. Usa temi e immagini
convenzionali e alterna fantasie erotiche e meditazioni religiose, toni teneri e giocosi. Nei Books of Ayres
da voci a donne che non sono solo belle o brutte, ma esprimono sentimenti complessi e usano un
linguaggio e una retorica maschile.

9.5 La poesia delle donne

Erano poche le donne che si facevano strada all’ombra di un padre, fratello o sposo letterato. Erano
aristocratiche come Mary Sindey, sorella di Sir Philip, e Lady Mary Wroth, sua nipote, ma anche borghesi
legate alla corte come Aemilia Lanyer, o giovani al servizio di famiglie nobili come Isabella Whitney.

Mary Sidney alla morte del fratello si erge a custode della sua memoria. Intraprende il completamento
della traduzione dei Salmi come atto di devozione. Modella i canti nelle forme metriche più svariate,
introducendovi gli echi dello splendore gaio della corte, della rigogliosità della campagna inglese,della
spaziosità dei confini di un mondo recentemente allargato alle Americhe, fino a farne l’espressione
vibrante di un’unica voce, la sua.

La nipote Mary Sidney Wroth, vive nel trapasso dal periodo elisabettiano a quello giacomiano. Nel 1621
pubblica il primo libro di un romanzo The Countess of Mountgomeries Urania (L’Urania della contessa
di Montgomery) che provoca violente polemiche e viene ritirato. Il canzoniere apposto alla fine,
Panphilia to Amphilantus (Panfila ad Anfilanto) affronta il problema di ricreare il ruolo del poeta al
femminile. Il contesto più ampio del romanzo permette di identificare la regina Pamphilia, schiava della
propria costanza ma non della volontà dell’amato, con la regina Elisabetta.

Aemilia Lanyer scrive il libretto Salve Deus Rex Judeorum, 1611, una meditazione, quasi ostensione, del
Cristo sofferente. La composizione si divide in tre parti: la prima con una serie di dediche a donne nobili
e potenti che costituiscono un’utopica comunità femminile; la parte centrale contiene la descrizione
della Passione di Cristo; la terza parte è The Description of Cooke-Ham che è probabilmente il primo
country-house poem, poemetto su una dimora di campagna in cui rievoca un vero o supposto soggiorno
in un giardino edenico dove lei e le sue protettrici si raccolgono in meditazione.

Isabella Whitney compone The Copy of a Letter, che contiene quattro testi: la lettera di un’amante
tradita, un ammonimento alle fanciulle a non fidarsi degli uomini, le protesta di un giovane fedele
contro una donna volubile e i consigli di un amico contro l’incostanza delle donne. Colpisce la dignità con
cui la donna abbandonata si accomiata dall’amante augurandogli miglior fortuna, ma non amore più
sincero con la nuova compagna. A Sweet Nosgay (Un dolce mazzolino 1573) è una miscellanea che
include il Will and Testament. Si tratta di un’appropriazione unica, da parte di una donna, di un genere
maschile, scanzonato e dissacratorio. Sul punto di abbandonare la vita, la scrittrice sceglie come
esecutore testamentario la città di Londra, personificata nei panni di un amante ingrato e infedele, cui
lascia quello che lei non possiede ma la città esibisce in abbondanza: ricchezza e miseria, potere e follia.

9.6 Jonson e Donne

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Da una parte John Donne e i metafisici propongono una complessità che non esprime più la varietà del
mondo, bensì la sua conflittualità e forzano lo stile verso cadenze recitative e drammatiche. Dall'altra
parte Ben Jonson e i suoi epigoni (detti sons of Ben) cercano di semplificare la conflittualità entro un
disegno ordinato e sul piano stilistico ritornano all’elegante equilibrio delle forme classiche

Ben Jonson crea un nuovo plain style che proviene dalla tradizione popolare medievale, raccoglie
elementi della satira religiosa anticortigiana e li soggioga alla disciplina classica, producendo una
semplicità raffinata. Afferma che l’obbiettivo della poesia è l’originalità non l’imitazione. In An Epistle
Answering to One that Had Asked to Be Sealed of the Tribe of Ben dice di voler porre il vaso di coccio
della sua vita al riparo dai pericoli della folla e di essere intenzionato a vivere da uomo e abitare il più
possibile al centro di sé stesso.

All'interno della sua produzione troneggia lo stesso autore, con la sua figura corpulenta, esibita senza
vergogna, e la sua formidabile mente, esaltata con orgoglio. Jonson ritiene che i ruoli del poeta e del
protettore siano di reciproco sostegno, ed è costretto a continue mediazioni tra il suo concetto etico
della funzione della poesia e i bisogni che lo attanagliano nella realtà. Si vede più come consigliere che
come stipendiato dei potenti.

Le diverse modulazioni del suo rapporto di prossimità, ma non appartenenza, alla corte sono associabili
alle tre raccolte poetiche maggiori: gli Epigrams che comprendono poesie tardo-elisabettiane e
giacomiane, The Forest una raccolta di quindici poesie dalle forme più varie e Underwood che
comprende quasi solo poesie degli anni 1620-30. To Penshurst , è una delle poesie che esprimono più
compiutamente la filosofia di Jonson, esalta la dimora dei Sidney, connette luogo, storia e famiglia e
raffigura la nobile casata come un regno dell’età dell’oro e reincarnazione della virtù romana.

Al suo ruolo di poeta pubblico Jonson mescola quello di poeta drammatico dalle radici popolari e
carnevalesche, e quello di poeta privato che traduce in poesia i momenti più singolari della vita
quotidiana. Si va dall’invito a cena di un amico (Inviting a Fiend to Supper) al pianto per la morte dei figli
(On My First Daughter, On My First Son).

La poesia di John Donne pone al centro l’ego dello scrittore, rappresentandolo nelle sue esplosioni
passionali, esercitando una dialettica sottile, dilettandosi in atteggiamenti teatrali e antitetici anziché
della ricerca di equilibrio. Dopo l’adesione alla fede protestante e la rapida ascesa negli odini
ecclesiastici, anche la sua poesia negli ultimi anni si colora di un sempre maggiore afflato religioso. Nella
poesia come nella vita di Donne si alternano vari personaggi, troviamo Jack Donne, brillante segretario e
cinico corteggiatore delle poesie scanzonate (The Indifferent e Go and Catch a Falling Star); il pensatore
scettico (Biathanatos); il vagheggiatore della fusione neoplatonica degli animi (The Autumnal e
Twickenham Garden); l’amante e poi lo sposo legato alla sua donna dalla sfortuna e dalla sofferenza (le
quattro Valediction o Commiati); l’autore di mordenti satire ed elegie erotiche (The Anagram, To His
Mistress Going to Bed). Ma abbiamo anche l’uomo più maturo, John, impegnato in un drammatico
dialogo con Dio (Hymn to Christ, In Good Friday, Riding Westward, Divine Meditations, Death’s Duel).
In vita non pubblicò quasi nulla.

I Songs and Sonnets (scritti tra 1593-1598) comprendono le poesie d’amore, le elegie, le satire, gli
epigrammi e le epistole poetiche: sono composti per diverse occasioni e si rivolgono di volta in volta ad
un uditorio differente, maschile o femminile, pubblico o privato. La fase intermedia è segnata dagli
esercizi retorici dei due Anniversaries, i Divine Poems, le Devotions e i Sermons.

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10
La prosa: la traduzione, il romance, il pamphlet, il manuale di
poetica, il trattato teologico-filosofico

10.1 La nascita dell’industria della stampa: La Stationer’s Company

È nel periodo elisabettiano che nasce lo scrittore di professione. Nel 1557 le attività dell’antica
consorteria dei librari, stampatori, rilegatori, editori erano regolate dalla Star Chamber con decreto di
Maria Tudor in modo da avere il controllo sulle pubblicazioni sediziose o eretiche. Qualche anno dopo
Elisabetta, nella stessa logica di controllo, confermò il decreto e lo rafforzò. Sicché librai e ecc. vennero
riuniti in una corporazione, dotata di un organo di governo ufficiale, la Stationer’s Company a Londra, il
cui strumento era lo Stationer’s Register che registrava, in regime di monopolio, previo pagamento di
una tassa, ogni opera stampata e pubblicata.

Lo Stationer’s Register aveva una doppia funzione: la prima era quella di garantire una sorta di
copyright, la seconda era di strumento censorio di controllo del mercato libraio. La Stationer’s Company
si occupava di mandare al rogo i libri proibiti e perseguirne gli stampatori.

10.2 Il mercato librario: le traduzioni

A Londra si traduceva di tutto. In primo luogo, la Bibbia poi molti classici, libri italiani, francesi e spagnoli
contemporanei (es. Essais di Montaigne tradotti da John Florio). I libri italiani più diffusi erano quelli che
modellano l’ideale di gentiluomo e la dama di palazzo in forma di conduct book.

10.3 I romances o “romanzi”: lo stile eufuistico, la forma pastorale, le avventure picaresche

La narrativa nel senso moderno del termine nasce negli anni 70 del Cinquecento. Forse il primo romanzo
della storia della letteratura inglese è A Hundreth Sundrie Flowers di Gascoigne, pubblicato nel 1573,
forse ispirato a Storia di due amanti di papa Pio II. Si tratta di una storia che da una forte sensazione di
vissuto, tanto che spesso la si considera autobiografica. Nel romanzo si alternano prosa, poesia, forma
epistolare, conversazione e racconto di maniere e rappresenta la vita aristocratica di una grande
mansion del Nord dell’Inghilterra senza traccia di tragedia o melodramma. F.J., ospite della casa, si trova
preso tra le attenzioni di Frances, figlia del padrone di casa, e l’attrazione, ovviamente illecita, per la
moglie del fratello di Frances, Elinor. La cosa più importante però è il realismo nella descrizione di giochi,
passatempi, danze, conversazioni, passeggiate e altre attività sociali che danno un quadro preciso e
minuto della vita aristocratica in quegli anni. Il libro fece scandalo per la storia tanto che Gascoigne lo
ripubblicò nel 1575 con diverso titolo, The Pleasant Fable of Ferdinando Jeronimi and Leonora de
Velasco, firmandolo e censurandolo e distanziando la storia attraverso un’ambientazione italiana.

In Euphues: The Anatomy of Wit (1578), John Lily non commette lo stesso errore di Gascoigne: il
protagonista è greco, la vicenda è ambientata a Napoli e, pur essendo una storia di tradimenti,
innamoramenti e abbandoni, non vi sono dettagli piccanti. Anche per questo romanzo si è discussa

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l’ipotesi autobiografica di una vicenda accaduta ai tempi dei suoi studi universitari a Oxford. Euphues (che
significa arguto) racconta di un giovane ateniese che va a studiare a Napoli e fa amicizia con Philauto
(amante di sé) che gli presenta la sua fidanzata Lucilla. Euphues corteggia Lucilla, tradendo l’amico ma
Lucilla alla fine preferisce un terzo corteggiatore. Euphues e Philauto si riappacificano e Euphues poi torna
ad Atene. Nel libro vi sono un epistolario (di Euphues) e un saggio finale che mostrano le ambizioni
filosofiche neoplatoniche di Lily.

Nel sequel del 1580, Euphues and His England, Euphes e Philauto si imbarcano da Napoli per l’Inghilterra,
viene descritto il viaggio fino a Londra e sono cantate le lodi di Elisabetta e del suo regno. A corte Philauto
si innamora a prima vista di una damigella d’onore, Camilla. Ciò provoca la reazione di Euphues contro
l’amico che ha ceduto alla suggestione dei sensi. Segue la visita di Philauto a un mago che conosce le virtù
di tutte le erbe, una lettera a Camilla, una risposta della stessa che non lascia speranze allo spasimante, e
altre vicende. Quello che voleva mettere in mostra Lily non era però la storia, ma uno stile di discorso che
aveva inventato, una lingua affinata in una poetica manieristica fatta di contrapposizioni, paralleli,
antitesi, chiasmi ecc. Questo stile divenne una moda che prese il nome del personaggio, “eufemismo”.

La composizione di Arcadia occupa dal 1577 al 1586. La prima versione, la cosiddetta Old Arcadia, in prosa
e in versi divisa in cinque libri, racconta la storia di Pyrocles e Musidorus, due principi greci che entrano in
arcadia e si innamorano delle figlie del re, Basilio, il quale a sua volta vi si era ritirato per sfuggire alle
sventure annunciate da uno spaventoso oracolo. Alla fine, dopo peripezie e travestimenti vari, la storia
approda ad un finale lieto con il matrimonio dei due principi con le figlie di Basilio. Il titolo ovviamente
deriva dall’opera di Jacopo Sannazzaro e richiama l’inizio della fortuna del genere pastorale in Inghilterra.
Il romanzo di Sidney mette insieme l’ambientazione pastorale con le storie di cavalleria, e l’idea di dar
forma a modelli di comportamento aristocratici traendo ispirazione dal Cortegiano o da The Boke Named
the Governour. Successivamnete inizia una revisione e ampliamento del romanzo senza però riuscire a
completarlo, arriva al terzo libro.

La New Arcadia viene pubblicata postuma nel 1590. Esiste un’ulteriore versione messa insieme da sua
sorella unendo i tre libri della New Arcadia con le sequenze finali della Old, nota come The Countess of
Pemboke’s Arcadia. La New Arcadia è così ricca di peripezie che diventa difficile seguirne l’intreccio;
presenta un lungo antefatto di atti eroici, nonché un naufragio che introduce ad Arcadia. Sidney intesse
anche una nuova trama con Cecropia, cognata di Basilio, che ne rapisce le figlie. Le due sorelle vengono
torturate e la storia si interrompe sull’assedio di Basilio al castello di Cecropia. Cecropia rappresenta la
dimensione machiavellica e politica.

La prima opera di Greene è il romanzo Mamillia (1580 la parte prima e 1583 completo della parte
seconda). Il romanzo più interessante di Greene è Menaphon (1589) fortemente ispirato all’Arcadia.

Altro romanzo molto importante è Rosalynde (1590) di Thomas Lodge sempre con tono eufemistico,
ripreso da Shakespeare in As You Like It.

Thomas Nashe scrisse The Unfortunate Traveller nel 1594, una specie di romanzo storico in chiave di
avventura picaresca. Il romanzo è ambientato nel 1513 durante la campagna francese di Enrico VIII. Il
protagonista è il paggio Jack Wilton che, tornato in Inghilterra, incontra Erasmo e More, e si fa soldato di
ventura. Viaggia in Germania e conosce Martin Lutero; torna in Francia dove stringe amicizia con il conte
di Surrey e con lui viaggia verso l’Italia; si innamora di Diamante, che gli viene rapita, e rischia due volte la

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pena capitale. Infine, Jack ritrova Diamante e la sposa. A Nashe non piace l'Italia e descrive Roma come
un vero inferno.

10.4 Il sottobosco criminale: i cony-catching pamphlet

Tra gli anni Ottanta e Novanta fiorisce il filone narrativo-descrittivo dei pamphlet, vi si raccontano fatti di
malavita, imbrogli, truffe, prostituzione e Greene ne scrive parecchi (A Notable Discovery of Cozenage
Practised by Cony-Carchers and Crossbiters (Notevole Illustrazione dell’arte della frode, praticata da
acchiappa-citrulli e bari) seguito da una parte due e tre). Sono opere simili alla tradizione picaresca
spagnola. Greene apre questo filone che continua fino al primo Seicento

10.5 La poesia come arte del sé: poetiche e manuali di comportamento

Roger Ascham (aeskam) negli anni Sessanta scrive The Scholemaster (1570, postumo). È molto più di un
semplice manuale per l’insegnamento del latino: attraverso gli exempla, è un vero e proprio manuale di
etica e di comportamento a cui si ascrive l’idea dell’abolizione delle punizioni corporali.

Toxophilus (L’amante del tiro con l’arco, 1545) è un manuale di tiro con l’arco ma soprattutto un
manuale di disciplina del corpo e della mente

Sidney scrisse An Apology for Poetry che inizia in modo giocoso con une lezione di equitazione per farci
capire come non si debbano confondere i mezzi con i fini, perché con l’equitazione e la passione per i
cavalli, si finirebbe per immedesimarsi con lo strumento, e cioè il cavallo stesso, laddove per Sidney ogni
disciplina è strumento valido alla formazione del sé. Ciò che Sidney intende sottolineare è che la poesia,
la scrittura, l’operatore artistico fine a sé stesso, al pari di qualsiasi altra disciplina, non è che mera
vanità se non riesce a promuovere l’affinamento del sé nei comportamenti sociali. Per Sidney la poesia
non è solo strumento di affinamento di sé, ma è anche e soprattutto organo di verità, a meno che essa
non tradisca i propri stessi principi.

10.6 Le controversie religiose: i sermoni sulla vita e sulla morte

Scoppiano due controversie principali religiose. Una riguarda la cosiddetta Martin Marprelate
controversy, un attacco puritano all’episcopalismo anglicano cioè alla persistenza del principio di
autorità in materia religiosa. L'altro, sempre di marca puritana, riguarda l’attacco al mondo del teatro,
visto come luogo di menzogna e peccato.

Un esempio per la prima controversia è A Defence of the Government Established in the Church of
Engalnd for Ecclesistical Matters, di John Bridges del 1587. La risposta dei dissenters puritani non si fece
attendere e nello stesso anno Dudley Fenner pubblicò A Defence of the Godly Ministers against the
Slanders of Dr. Bridges.

Nel 1593 Richard Hooker pubblicava i primi quattro libri di Of the Lawas of Ecclesiastical Polity, seguiti
da un quinto nel 1597. Hooker difende l’impianto della Chiesa d’Inghilterra, argomentando che le
Scritture non sono l’unica guida, in quanto esiste anche una legge di natura (a sua volta di origine divina)
che l’uomo può riconoscere e comprendere attraverso la ragione. L'opera esibisce un tono ragionevole,
equilibrato e tollerante.

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La seconda controversia si aprì con il Treatise against Dicing, Dancing, Vain Plays or Interludes, whit
Other Idle Pastimes di John Northbrooke. Era una manifestazione di dissenso verso l’aristocrazia e la
corona quali sponsor dell’attività teatrale.

Uno spazio a parte occupa la prosa religiosa di John Donne. Nelle Devotion upon Emergent Occasion
(Devozione sull’accadere di eventi improvvisi), composte nel 1623 e pubblicate nel 1624, spiccano varie
meditation sulla morte (salvezza eterna, alla fine siamo solo polvere, memento mori, Dio annulla la
morte). Tra i Sermons abbiamo la prosa di Death’s Duel, l’ultimo sermone di Donne.

10.7 La salute del corpo e dello spirito: le anatomie

Thomas Rogers nel 1576 trattava degli squilibri umorali e del loro effetto sul carattere in A Philosofical
Discourse Entituled the Anatomie of the Mind.

The Anatomy è l’unico libro di Robert Burton, si tratta dunque di un libro di una vita intera. Il progetto si
può scindere in due punti principali: da un lato l’illustrazione dei tipi, delle cause e degli effetti della
malinconia, dall’altro un’indicazione delle possibili cure. L'opera contiene numerose digressioni e parla
di meteorologia, luoghi, aria, immagini, impressioni, luci, colori, sogni, profumi, guerre e traffici, del
diavolo e degli angeli, cause efficienti del male e metodi di cura. Scrive di spirito e di materia e di come
la materia incida sullo spirito e viceversa. È come una summa di tutta la cultura occidentale.

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11
Lo spazio teatrale, i generi, la produzione drammatica

11.1 La nascita di un nuovo teatro e l’opposizione puritana

Si può far risalire la nascita del teatro elisabettiano alla produzione delle prime commedie e tragedie
regolari degli anni 50 e 60 del 500 (Ralph Roister Doister di Nicholas Udall, ispirata alla commedia
plautina e Gorboduc, or Ferrex and Porrex di Sackville e Norto, ispirata alla tragedia senechiana).

Alla rivoluzione delle forme drammatiche, dettate dall’esigenze della Riforma protestante che vietava la
rappresentazione di argomenti religiosi, si associò la costruzione di nuovi spazi teatrali (Red Lion,
Theatre, Curtain)

Agli attacchi dei puritani al teatro rispondono Thomas lodge con A Defense of Poetry, Music and Stage
Plays e Sir Philip Sidney con An Apology for Poetry.

Con la fine del teatro religioso fiorisce il teatro laico, professionale, con la produzione di drammi ispirati
a modelli e temi classici, alla storia della patria e alla cronaca del tempo. Sono caratterizzati da
esuberanza retorica, effetti spettacolari, temi magici o stregoneschi, ambientazioni esotiche. Molti
erano rappresentati in palazzi privati e università, altri però raggiungevano il pubblico popolare nelle
locande, primi veri luoghi teatrali dell’Inghilterra della seconda metà del 500.

11.2 Seneca e Machiavelli

All’epoca di Enrico VIII si inizia a studiare e a rappresentare il teatro latino. L'influenza di Terenzio e
Plauto è evidente in molte commedie della seconda metà del 500. Grande successo ottiene in queste
commedie l’introduzione del personaggio di Vice che assume connotazioni diverse da quelle dei morality
e interludi. È un allegro farabutto che invoglia al riso dilettandosi in battute scurrili.

Per quanto riguarda la tragedia si sente l’influenza di Seneca. Viene inventato un “Seneca inglese”,
esagerando la retorica dell’originale, esasperando gli atteggiamenti stoici e amplificando l’uso del
sovrannaturale. Questo Seneca fornisce il modello principale per i grandi eroi tragici elisabettiani:
uomini malvagi, vendicatori accaniti soggetti a un destino cieco e immersi in una realtà tra fantasmi e
spettri e sogni profetici. Seneca fornisce anche il prototipo dell’eroe stoico. Orgoglioso nella sua
solitudine e disperazione. Soprattutto però l’eroe senechiano fornisce il modello dello stile tragico,
elaborato e ampolloso, ricco di immagini verbali, in cui massime e sentenze chiudono i discorsi in forma
epigrammica.

Gorboduc, or Ferrex and Porrex di Thomas Norton e Thomas Sackville è la prima tragedia regolare
inglese ispirata al teatro di Seneca. È un’opera rivolta alla regina Elisabetta che, nonostante l’argomento
storico, allude ai problemi contemporanei della successione e della gestione del potere. Compare anche
per la prima volta il blank verse a teatro.

Altro autore che esercitò un forte impatto sul teatro è Machiavelli, dalla Francia si diffonde la leggenda
del politico corrotto e diabolico capace delle azioni più bieche per raggiungere i propri fini. Il suo

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personaggio dà vita alla figura del Villai, creatura malvagia, crudele e calcolatrice. Per gli inglesi
Machiavelli diventa sinonimo di Satana e di riflesso l’Italia diventa la sentina di ogni vizio, sede di intrigo
e corruzione.

11.3 Spazi. Attori, disciplina dell’attività teatrale

Staccatosi dalla Chiesa, il teatro si trasferisce nelle piazze, strade, cortili delle locande, nelle playhouses
oltre che nelle università e case dei nobili. Nei cortili delle locande viene sistemato una specie di
palcoscenico di legno, che regge una piccola costruzione in legno chiusa da tende che può fungere da
casa, caverna o spazio chiuso in generale, facilmente smontabile e trasferibile. Lo spettacolo si svolgeva
nelle prime ore del pomeriggio. Gli attori però rischiano l’accusa di vagabondaggio e per questo si
pongono sotto la protezione di ricchi. Nelle case nobiliari vengono ospitati nella sala dei banchetti che è
rettangolare.

Mancando un vero e proprio diritto d’autore le compagnie conservano il diritto esclusivo sulla
rappresentazione e sul dramma; almeno fino a quando riescono a impedire che il testo sia stampato e
messo a disposizione di tutti.

Le playhouses sono inizialmente arene di legno in cui si svolgono combattimenti tra animali e che in altri
giorni della settimana possono essere usate per altri tipi di intrattenimenti come spettacoli di giocolieri,
saltimbanchi ecc. A queste costruzioni ne seguono altre fatte apposta per il teatro, la prima è il The
Theatre 1576

Elisabetta I concede nel 1574 delle licenze o patenti ad una compagnia di attori, quella del conte di
Leicester, con la quale la compagnia ha facoltà di lavorare a Londra e in tutto il paese senza intercorrere
in problemi, divieti o ostacoli. A capo di tutta l’organizzazione teatrale del paese c’è il Master of Revels.
Alle donne è proibito recitare e le parti femminili sono assegnate ai boyactors.

11.4 Struttura dei teatri

Il Globe fu edificato tra il 1598 e il 1599 dalla compagnia dei Chamberlain’s Men con il legno e i materiali
dello smantellamento del Theatre. I teatri elisabettiani erano in genere a piante poligonale, alti tre piani
con uno spazio aperto al centro. Nello spazio centrale si ergeva il palcoscenico, una piattaforma
sollevata di circa un metro e mezzo, sostenuto da due pilastri e coperto da una tettoia. Sulla tettoia vi
era un cubicolo dal quale i macchinisti potevano far scendere sul palcoscenico apparizioni e divinità. La
parte sotto della tettoia era dipinta come un cielo stellato e detta heaven, mentre la botola al centro del
palcoscenico era l’hell che permetteva apparizioni e sparizioni di fantasmi, mostri ecc. La parte superiore
dietro il palcoscenico poteva essere usata come balconata. In fondo vi erano le porte di entrata e uscita
degli attori forse coperte da tende. A livello della prima galleria, sopra il palcoscenico vi era il posto per i
musici. Una bandiera sventolava in cima al teatro per segnalare che uno spettacolo era in corso. (Swan,
Rose, Curtain, Fortune, Red Bull)

I teatri privati avevano una capienza assai minore, un prezzo di entrata più altro ed erano coperti quindi
potevano funzionare tutto l’anno (Blackfiars, Whitefriars, Phoenix)

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Per questi teatri lavoravano decine di autori le cui opere sono andate perdute insieme ai nomi. Il
repertorio attingeva dalle cronache dell’epoca e alla storia patria, così come al teatro greco e latino, a
leggende, novelle e racconti che arrivavano da tutta Europa.

11.5 Scene, costumi e musiche

In mancanza di una scenografia vera e propria, lo spazio scenico era suggerito dal dialogo o dall’uso di
accessori come tende, letti, troni, cespugli, rami, scale ecc. Riguardo ai costumi, gli attori si
presentavano in scena vestiti con abiti contemporanei o si ricorreva a travestimenti con lenzuola
drappeggiate alla romana, o abiti fantasiosi per streghe, fate o figure allegoriche, o costumi tradizionali
ad esempio per Robin Hood, con costumi caratteristici per turchi, ebrei, spagnoli.

Nell'età di Giacomo I, la scena, in particolare quella dei masque, si arricchì di effetti speciali, danze e
musiche.

11.6 University Wits

Per University Wits si intende un gruppo di studenti che, venuti a contatto durante il corso dei loro studi
con il teatro classico e con quello italiano, decisero di scrivere per il palcoscenico sfruttando la loro
maestria nell'uso della lingua e la loro raffinata preparazione culturale.
Tra loro emerge la possente personalità di Christopher Marlowe

John Lyly è autore di drammi mitologici e pastorali composti a imitazione dei modelli classici e italiani, e
ricchi di quelle atmosfere raffinate proprie degli ambienti di corte e dei teatri privati.
Il suo stile arguto e pomposo, fitto di allitterazioni e interrogazioni retoriche, avrebbe esercitato
un'influenza profonda sulla commedia elisabettiana. I suoi drammi, per lo più derivati da temi e fonti
antiche, contribuirono a diffondere il gusto per il dialogo neoplatonico e cortese. In Mother Bombie
(Mamma Bombie,1589) Lyly, ambientando la storia nella Londra elisabettiana, cerca, pur all'interno di
un modello terenziano, di fornire vivaci note di realismo attraverso situazioni e temi a lui
contemporanei.

George Peele , intellettuale colto dalla vita sregolata, scrive un dramma pastorale, The Arraignment of
Paris (Il giudizio di Paride, ca. 1581) in omaggio alla regina di fronte alla quale viene rappresentato.
In The Battle of Alcazar (La battaglia di Alcazar, 1578) trae ispirazione dalle vicende contemporanee,
mentre in Edward I (Edoardo 4, ca. 1590) affronta un tema storico. In The Old Wives' Tale (Il racconto
della vecchia, ca.1593-9s), attraverso la messa in scena di una fiaba magico-sovrannaturale (appunto, il
racconto da parte della vecchia a tre giovani, propone una parodia del dramma romanzesco.

Robert Greene compone commedie pastorali, inserendovi elementi comico-farseschi come in Frier
Bacon e Frier Bungay.

Thomas Nashe scrive un dramma allegorico Summer’s Last Will and Testament nel quale tra danze e
canzoni si dibattono temi assai cupi come peste, malattia e morte.

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Nella vasta produzione teatrale della seconda metà del Cinquecento spicca una tragedia molto
particolare e di grande interesse, legata alle cronache del tempo: Arden of Faversham (o Feversham,
Arden di Faversham, ca. 1590), di autore anonimo. Prendendo spunto da un fatto di cronaca nera
l'autore rappresenta le vicende di Alice, moglie del signorotto di campagna Arden e amante del rozzo e
meschino Mosbie. Alice e Mosbie decidono di uccidere Arden, riuscendovi dopo numerosi tentativi, ma
venendo infine scoperti e messi a morte. Arden of Feversham è una tragedia borghese ante litteram in
cui personaggi di estrazione comune vengono analizzati e descritti nelle loro debolezze, meschinità,
paure e crudeltà.

11.7 Generi e sottogeneri teatrali

Dal punto di vista delle tecniche compositive non vi è il rispetto delle unità pseudo-aristoteliche di
tempo, luogo e azione né una netta distinzione tra comico e tragico. La maggior parte dei drammi
riflette la fiducia dell’epoca in un sistema morale, che vede l’uomo libero di compiere le proprie scelte,
subendone personalmente le conseguenze. Va ricordato poi che il fine del drammaturgo è andare
incontro ai gusti del pubblico.

Un passaggio di Polonio in Hamlet in cui elenca tutti i generi di teatro ci suggerisce che convivevano
almeno due tipi di teatro: un teatro classicista rispettoso delle regole pseudoaristoteliche e della
suddivisione in generi, e un teatro in libertà che mescolava le forme drammatiche, ignorando le regole e
ricollegandosi in parte alla tradizione del teatro medievale. Nel teatro in libertà è difficile definire i
generi in maniera netta: vi sono tragedie (senechiane, d’amore, di vendetta e di potere), drammi storici,
commedie (pastorali e/o di città, o a imitazione di plauto e terenzio) tragicommedie, romances o opere
miste sugli argomenti più vari.

11.8 La tragedia di vendetta: da The Spanish Tragedy di Kyd a The Revenge of Bussy d’Ambois di
Chapman

Thomas Kyd con la Spanish Tragedy dà il via alla tragedia di vendetta. Con Kyd oltre alla vendetta
diventano centrali i motivi della follia, del sovrannaturale, dell’esotismo, del teatro nel teatro, mentre
fantasmi e malvagi di stampo machiavellico calcano trionfalmente il palcoscenico. La trama prende le
mosse dall’apparizione del fantasma di Don Andrea accompagnato da Vendetta e si conclude con una
carneficina finale. Segna un cambiamento nel teatro inglese perché pone domande sulla giustizia,
umana e divina, sulla liceità della vendetta personale e della ribellione a un tiranno, nonché sul concetto
di onore.

Questo tipo di opere sono ambientati maggiormente nei paesi di religione cattolica in modo da evocare i
delitti, le efferatezze e le ipocrisie che allignano all’ombra della Chiesa romana.

Un testo chiave per seguire l’evoluzione di questo genere è The Revenger’s Tragedy (1605-07 ca)
attribuita alternativamente a Cyril Tourneur e a Thomas Middelton. Si tratta di una tragedia dell’orrore
ambientata in Italia, in cui trionfano corruzione, lussuria e violenza estrema. Ciò che cambia in questa
tragedia è la figura del vendicatore: da positivo si trasforma in negativo. Il tono dell’opera è parodico e
l’effetto finale è quello di una grande pantomima macabro-grottesca.

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Con George Chapman il genere raggiunge il suo apice e la sua fase declinante. Scrive una prima tragedia,
Bussy d’Ambois (scritta 1604, pubbl 1607), che riscuote un certo successo e poi il suo seguito, The
Revenge of Bussy d’Ambois (scritta 1609-11, pubbl 1614). Il protagonista Clermont d’Ambois subisce
una progressiva trasformazione: da vendicatore si trasforma in filosofo meditabondo, riluttante ad agire
contro l’assassino del fratello che, nel finale, vorrebbe sfidare in un regolare duello.

11.9 La tragicommedia

Questo genere fa la sua entrata ufficiale a teatro all’inizio del Seicento. Seguendo le indicazioni di
massima di Il compendio della poesia tragicomica di Giovanni Battista Guarini, i drammaturghi inglesi
decidono di dar forma a un loro genere tragicomico. Al contrario di Guarini che utilizza un linguaggio
artificioso, in Inghilterra viene utilizzato un linguaggio oridnario in un’ambientazione simile a quella reale
dove si dibattono problemi di amore, infedeltà, onore e lealtà in un clima di paura che si dirada solo nel
lieto fine.

Rientrano in questo genere alcune opere di Marston come The Malcontent (1603), in cui il personaggio
di Altofronte, travestito da Malevole e assai ben delineato nella sua cinica ironia, si erge a fustigatore dei
vizi e della corruzione del tempo.

Questo genere però è associato soprattutto a una celebre coppia fissa di autori: John Fletcher e Francis
Beaumont che scrivono Philaster, The Maid’s Tragedy ecc. Con ambientazioni esotiche, complessità
degli intrecci e il continuo ripresentarsi di situazioni apparentemente insolubili, il contrasto tra amore e
onore che sembra riportare sempre alla situazione contemporanea di Londra. Sia Fletcher che
Beaumont scrivono anche individualmente.

Fletcher scrive una tragedia, Valentinian, e alcune tragicommedie e commedie quali The Humorous
Liutenant, in cui il protagonista beve per sbaglio un filtro d’amore e inizia a corteggiare il suo re, e The
Wild Goose Chase in cui un libertino impenitente finisce tra le braccai di una donna ricchissima,
anticipando il tema di matrimonio per denaro che sarà molto diffuso più tardi.

Beaumont scrive due drammi significativi: The wooman Hater, una commedia romantica e spiritosa, e
The Knight of the Burning Pestle, una commedia parodico farsesca che si fa beffe dei gusti ingenui dei
borghesi del tempo che a teatro preferiscono le avventure cavalleresche a qualsiasi altro argomento.

Philip Massinger scrive The Maid of Honour storia di amore e tradimenti con finale a sorpresa: Camiola,
la damigella, da molti desiderata in sposa, alla fine si chiude in convento.

11.10 La commedia cittadina e il dramma domestico

La city comedy si sviluppa tra il 1590 e il 1610 e si concentra sulla critica e sulla satira nei confronti della
società del tempo. In questo periodo fiorisce la borghesia che, per ostentare la propria ricchezza,
compra addirittura titoli nobiliari e ad ostentare poi una vita adatta a quel titolo. Eccessi ed esibizionismi
sono la base su cui si costruisce il personaggio del nuovo ricco che i drammaturghi elisabettiani mettono
in ridicolo nelle loro commedie urbane.

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Un esempio di queste commedie è Eastward Ho! (1605) scritta in collaborazione da Chapman, Jonson e
Marston.

Thomas Dekker scrive The Shoemaker’s Holiday (La festa del calzolaio 1599) il cui protagonista è Simon
Eyre, il calzolaio che durante il regno di Enrico Vi divenne sindaco di Londra e si sostiene la tesi che chi
vive a Londra vive nel migliore dei mondi possibili. Old Fortunatus (1599) ha invece una trama tragica
ed è tratto da un’antica leggenda; il vecchio sceglie una borsa di denaro inesauribile che gli è stata
offerta dalla dea Fortuna rinunciando alla saggezza, salute e lunga vita. The Honest Whore (1605) è
scritta in parte in collaborazione con Middelton.

Thomas Heywood scrive The Four Prentices of London (I quattro apprendisti di Londra, 1592), che
rappresenta le vicende di quattro giovani che cercano fortuna come apprendisti nella capitale. In The
Fair Maid of the West, in cui viene celebrata la marina inglese e le sue imprese oltreoceano.

Thomas Middelton scrive Michaelmas Term (Autunno, 1605) che tratta il tema dell’usura e vede un
giovane gentiluomo di campagna, Easy, che, giunto in città, perde tutto il suo denaro al gioco finendo
nelle grinfie di un usuraio. Easy alla fine sposerà la bella nuora dell’usuraio. Middelton scrive anche due
tragedie: Women Beware Women (1621) che tratta un fatto di cronaca realmente accaduto nell’Italia
del 500 (la storia di Bianca Cappello); e The Changeling (Il bambino scambiato, 1622) che è una vicenda
di lussuria e perdizione, in cui una giovane di ricca famiglia, Beatrice-Joanna, per liberarsi del fidanzato
impostole dal padre, lo fa assassinare da De Flores,che la ama ma che lei ripugna. Alle profferte amorose
e ai ricatti di quest’ultimo Beatrice cede e ne diventa l’amante, abbandonandosi poi a una perversa e
inspiegabile passione.

11.11 Ben Jonson: tragedie, commedie degli umori, masque

Jonson entra nel favore della corte e di Giacomo I per i quali scriverà numerosi masque. Nel 1616 Jonson
raccoglie i suoi testi teatrali in un prezioso volume in-folio a cui dà il titolo Works, proponendosi a pieno
titolo come auctor. Jonson si distingue soprattutto nella commedia per la robusta architettura e per la
genialità degli intrecci, per la vivacità dei caratteri e per il suo spirito caustico. Contribuisce a rendere
popolare la “commedia degli umori” (teoria degli umori) creando una fitta schiera di personaggi
“umorali”. Dei suoi numerosi drammi oggi sono quattro quelli più rappresentati.

Volpone, or the Fox (1606) presenta un vecchio e avido imbroglione che, fingendosi ricco e in punto di
morte, sfrutta presunti amici con il miraggio di essere nominati suoi eredi: tutti offrono doni e uno di
loro, Corvino, decide di offrire al vecchio Volpone persino sua moglie.

Epicoene, or the Silent Woman (1609) ha come protagonista Morose, uno scapolo egoista e intollerante
ai rumori, il quale intende sposare una donna silenziosa. Il nipote gli trova in moglie una timida fanciulla
che però si rivelerà essere un ragazzo assai loquace. Già alla festa di nozze, attorno al vecchio si scatena
una comica baraonda.

In The Alchimist (1610) alcuni imbroglioni entrano nella casa disabitata di un ricco cittadino fuggito in
campagna per sfuggire alla peste, e in un turbinio di truffe, raggiri e inganni vari, si fano beffe di una
serie di gonzi, illusi dalla vana speranza di trovare piaceri e ricchezze “alchemiche”.

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In Bartholomew Fair (1614) presenta un vasto affresco di personaggi che si ritrovano alla fiera di
Smithfield, in una zona povera e popolare di Londra.

La satira è il tono prevalente nella commedia umorale, nei masque invece prevale un intento
celebrativo. Il masque inglese nasce dagli spettacoli di corte italiani e francesi del rinascimento.
Complessi meccanismi creano scenografie spettacolari collaborando con Inigo Jones, architetto e
scenografo presso gli Stuart. Più tardi assecondando una richiesta della regina Anna crea una nuova
forma più elaborata del genere: un antimasque che fa da preludio e contrasto al successivo main
masque. Il masque Jonsoniano fa ampio uso di allegorie, personaggi mitologici e leggendari e una
componente didattico-moraleggiante.

Il primo e tra i più noti è The Mask of Blackness (1605) in cui a Giacomo I, “re Sole” viene attribuita la
capacità di purificare con il suo bagliore la pelle nera dei masquers: allogoricamente quindi la capacità di
trasformare gli africani in europei.

Il Masque determina l’introduzione della scenografia italiana in Inghilterra.

11.12 le tragedie “italiane” di Webster e gli ultimi bagliori del teatro giacomiano

Due tragedie sono le opere più significative attribuite a John Webster.

In The White Devil la veneziana Vittoria Corombona, il diavolo bianco, è una cortigiana senza scrupoli
che agisce in modo cupo, violento e falso. La sua passione illecita per il duca di Bracciano porta i due
amanti a progettare ed eseguire l’assassinio dei rispettivi coniugi. L'opera si dispiega in un bagno di
sangue che coinvolge colpevoli e innocenti

In The White Duchess of Malfi approfondisce ulteriormente la psicolohia dei personaggi, soprattutto
della duchessa. La duchessa è innamorata di un uomo a lei socialmente inferiore, il maggiordomo
Antonio, e la sua decisione di sposarlo nonostante il veto dei fratelli.

37
12
Marlowe: poemetti e tragedie

12.1 Una vita turbinosa

Nasce a Canterbury nel 1564, compie i primi studi presso la King’s School della stessa città usando una
borsa di studio. Nel 1581, sempre come borsista, entra al Corpus Christi College di Cambridge per
studiare teologia. Nel 1584 prende il titolo di Bachelor of Arts e un anno dopo di Master of Arts. Nel
1589 si trova a Londra coinvolto in una rissa nel corso della quale viene ucciso un uomo e l’anno
successivo viene arrestato altre tre volte per risse e spaccio di monete false, a trarlo d’impaccio sono
sempre autorevoli protettori o il denaro paterno. Nel 1593 durante una perquisizione della casa che
divideva con Thomas Kyd vengono trovati degli scritti atei. Kyd sotto tortura dice che appartengono a
Marlowe che viene arrestato ma rilasciato su parola in attesa del processo che non si fa perché muore
prima in una rissa assai misteriosa.

12.2 I poemetti

Prima dei capolavori tragici, Marlowe traduce le Ovid’s Elegies che a dispetto di non pochi errori
interpretatvi presentano una versificazione fluida nel sapiente uso tanto del balnk verse quanto del
rhyming cuplet.

Scrive il poemetto arcadico The Passionate Shepheard to His Love, scritto per essere cantato, consta di
di sei quartine in tetrametri giambici, composta ognuna di due distici rimati.

A rendere famoso Marlowe tra i contemporanei fu il poema Hero and Leander, rimasto tronco e
pubblicato nel 1598 in due edizioni, la seconda con il completamento di Chapman. Sono 818 versi
redatti in distici eroici che riprendono il modello classico dell’epillio, cioè un breve componimento
epicizzante per narrare la storia d’amore tra Ero e Leandro. Leandro si innamora di Ero, sacerdotessa del
tempio di Venere a Sesto. Purtroppo, egli vive ad Abido, città posta sulla sponda opposta dell’Ellesponto.
Nella versione originale Leandro ogni notte attraversa l’Ellesponto a nuoto e lei per aiutarlo a orientarsi
nell’oscurità tiene una lanterna accesa. In una notte di tempesta però la lanterna si spegne e Leandro
annega. Ero sopraffatta dal dolore si uccide gettandosi nei flutti. Nella versione di Marlowe, che si
arresta nel momento in cui Leandro riesce a sedurre Ero, il nesso amore-morte passa in secondo piano.
L'autore sbilancia vistosamente il dettato in direzione di una sensualità accesa che pervade uomini e
cose.

12.3 Le tragedie

The Tragedy of Dido, Queen of Carthage, ebbe la sua prima edizione a stampa in un quarto del 1594 e
coincide con la transcodificazione dei libri I, II e IV dell’Eneide ma non travalicava i limiti
dell’apprendistato o dell’esercitazione su tema

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In Tamburline (composto 1587-88, pubbl 1590) un uomo che, immemore della propria mortalità, coltiva
una passione dominante fino a portarla a un apice in cui si cela una catastrofe più o meno repentina ma
sempre inevitabile. L'ascesa del protagonista occupa le sezioni iniziale e mediana e la parte finale
riguarda la discesa. Tamerlano, capo di una banda di predoni sciiti, marcia contro Micete re di Persia.
Vince e non si placa, continuando a conquistare terre su terre, nelle sue mani cade anche la figlia del
sultano d’Egitto, Zenocrate, di cui si invaghisce al punto di sceglierla come sposa. Riesce poi a sgretolare
l’impero del turco Bajazet, facendolo suo prigioniero, ad annettere l’Egitto, la Siria e altri regni,
procedendo in ciascun caso a esecuzioni di massa. A un certo punto uno dei tre figli, Califa, si rifiuta di
seguire le orme del padre. In un impeto di rabbia Tamerlano lo uccide e prosegue verso la conquista di
Babilonia. Prede la città, affoga tutti e brucia simbolicamente una copia del corano sfidando Maometto
e Dio stesso. Qualche momento dopo avverte un malore che in poco tempo lo conduce alla morte.
Collocando l’azione in latitudini incerte e in paesi esotici, Marlowe conferisce alla vicenda una
dimensione favolosa, fuori dal tempo.

Sia Barabba che Tamerlano che Faust vengono puniti con la morte.

Più compatto nella struttura e nel ritmo è The Jew of Malta (prima rappresentazione di cui si ha notizia
è del 1592). Ebbe un successo interrotto solo dalla chiusura dei teatri da parte dei puritani nel 1642.
Nonostante la scarsa presenza di ebrei a Londra, gli inglesi erano comunque pieni di pregiudizi verso di
loro, motivo per cui non destava meraviglia la presenza sulla scena di un ebreo avido, cinico e
calcolatore come il Barabba di Marlowe. Quando i turchi sbarcano sull’isola per esigere il loro tributo, il
governatore di Malta Fernese non trova di meglio che sottrarre con l’arbitrio all’ebreo Barabba il suo
denaro e la sua stessa casa, destinata a diventare un convento di monache. Spinto dal desiderio di
vendetta nei confronti dei cristiani e dal desiderio di recuperare i suoi beni, indice sua figlia a fingere di
convertirsi per entrare nel nuovo convento e recuperare i gioielli e i soldi li nascosti. Acquistato uno
schiavo turco, Itamoro, Barabba se ne serve per avvelenare le monache, inclusa sua figlia Abigail che si è
effettivamente convertita. In punto di morte Abigail e Itamoro raccontano i delitti di cui Barabba si è
macchiato e viene condannato. A nulla serviranno i suoi ulteriori inganni e cambi di bandiera, l’ebreo,
ingannato a sua volta, finisce in un calderone di olio bollente mentre i Cavalieri di Malta massacrano i
turchi. È molto comico e grottesco.

The Tragical History of D. Faustus, mutato poi in The Tragical History of the Life and Death of Doctor
Faustus, pervenutoci in due versioni differenti, è l’opera che meglio interpreta la figura dell’intellettuale
nuovo, che il collasso dell’universo tolemaico e dell’unità cristiana avevano posto di fronte a
contraddizioni laceranti. Il tragico destino di Faust si addensa nella parte del dramma in cui egli dialoga
con sé stesso o con Mefistofele, l’emissario di Lucifero presentato come la versione intellettuale del
diabolico, l’opera si apre con Faust da solo nel suo studio che svaluta la cultura occidentale e cristiana
rifiutando ciò che nei secoli hanno prodotto la filosofia, la scienza medica, il diritto, e la teologia. Faust
ambisce a una conoscenza illimitata delle cose e a un dominio assoluto sulla materia. E poiché le sue
aspirazioni coincidono negli attributi di Dio, Faust si illude di poter trovare risposte nel suo avversario
primigenio, Satana, e nelle pratiche magiche. Il carattere velleitario della sua impresa gli è chiaro fin da
subito dato che chiede soli 24 anni di onnipotenza in cambio dell’anima.

The Massacre of Paris, rappresentata per la prima volta nel 1593e giunta a noi in forma sbozzata e
incompiuta, è incentrata sul massacro della notte di San Bartolomeo (ugonotti francesi uccisi da orde di

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cattolici). I cattolici erano capeggiati, tra gli altri, da Enrico duca di Guisa, che nell’opera assume il ruolo
del cattivo machiavellico.

The Troublesome Reign and Lamentable Death of Edward the Second, King of England, with the Tragic
Fall of Proud Mortimer fu un'opera di grande successo e se ne avvicendarono più edizioni dal 1592 al e
1622. Il dramma si apre con Edoardo che saluta con accenni di giubilo il ritorno dall’esilio di Gaveston,
subito insignito di numerosi titoli che però i vari conti di Lancaster, Warwick, Mortimer, affiancati dai
vescovi di Coventry e Canterbury, accolgono con levate di scudo e progetti eversivi. Dalla loro parte si
pone anche la regina Isabella che in Gaveston vede un rivale in amore e nel potere. Gli sviluppi portano
Gaveston a un nuovo esilio e Isabella a tradire il marito con il giovane Roger Mortimer, alla caduta di
Gaveston che viene decapitato. Per Edoardo la situazione precipita: rifugiatosi nell’abbazia
di Neath, viene tradito dai monaci che dapprima mostrano di volerlo proteggere ma poi lo consegnano
ai suoi nemici. Condotto al castel di Killingworth è costretto a cedere la corona, il re viene poi rinchiuso
nelle fogne del castello di Berkeley, dove soffre umiliazioni e abusi, per essere infine brutalmente ucciso
dal sicario Lightborn (chiaro calco di Lucifero), che gli infila nell'ano uno spiedo arroventato. Così come
in Holinshed, anche qui Edoardo, prima di rendere lo spirito, leva un urlo terribile, una sorta di Urschrei
contro quella violenza estrema di cui solo gli uomini sono capaci. Insediato sul trono, il giovanissimo
Edoardo III mostra una straordinaria fermezza ordinando che Mortimer sia tratto in arresto e giustiziato,
e che la sua testa sia posta sul feretro del re. Isabella viene arrestata e allontanata dalla corte.
Il primo dramma omoerotico della letteratura inglese riceve il crisma della sua densa originalità
innanzitutto dalla coppia Edoardo/Gaveston, le cui dinamiche interne sono esplorate da un Marlowe
molto attento alla caratterizzazione psicologica.

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13
Shakespeare, poeta/artigiano: il canone, le forme drammatiche,
i modelli culturali

13.1 Premessa

Non conosciamo la data di nascita di Shakespeare, sappiamo solo che fu battezzato il 26 aprile 1564 a
Stratford-on-Avon.

13.2 L’arte Shakespeariana: un primo sguardo d’insieme

Nulla di rilevante in questo paragrafo che non sia già stato detto o che non venga detto in seguito.

13.3 La vita e la carriera teatrale cronologia delle opere

13.3.1 PROFILO BIOGRAFICO: L’ATTORE, L’IMPRESARIO TEATRALE, IL DRAMMATURGO

La vita di Shakespeare è stata ricostruita sulla base di documenti che ne attestano l’esistenza e la sua
attività di poeta e drammaturgo, si tratta di documenti anagrafici, legali e amministrativi e
testimonianza di contemporanei (celebre elogio di Francis Meres nel Palladis Tamia del 1598).

Di Shakespeare non conosciamo i pensieri o i punti di vista, gli unici testi in cui possiamo attingere alla
sua voce diretta, o a qualcosa che le assomigli, sono le dediche ai poemetti Venus and Adonis e The
Rape of Lucrece che suggeriscono che ci fosse un sodalizio socioaristocrativo e un legame affettivo tra il
poeta e il suo mecenate, il conte di Southampton. Ma bisogna comunque essere prudenti, soprattutto in
virtù del carattere convenzionale che regolava il microgenere della dedica.

La condizione sociale agiata degli Shakespeare lascia immaginare che William abbia frequentato la
grammar school locale (latino, retorica, lettura della Bibbia) e che non abbia proseguito gli studi fino
all’università. Alla sua formazione hanno contribuito anche gli insegnamenti della Chiesa locale: dalla
partecipazione agli uffici divini alle lezioni di catechismo. La formazione di Shakespeare fu continua e
non limitata alla sua educazione scolastica e religiosa.

Nei documenti della vita di Shakespeare rimane un vuoto di circa sette anni, dal 1585 al 1591, i
cosiddetti anni perduti. È stato ipotizzato che durante quegli anni William abbia intrattenuto legami con
famiglie cattoliche del Lancashire. Nella sua carriera teatrale Shakespeare avrebbe ricoperto
contemporaneamente i ruoli di attore, impresario e drammaturgo.

Da una critica di Greene a Shakespeare si capisce che all’inizio degli anni 90 Shakespeare si era già
affermato come figura prominente nel mondo del teatro londinese. In più cita un verso della terza parte
dell’Enrico IV che ancora non era stata pubblicata, ciò ci suggerisce che la risonanza di un dramma e la
memorizzazione dei suoi versi non dovevano essere legati solo alla stampa.

41
13.3.2 LE OPERE IN SEQUENZA CRONOLOGICA

Nella sua carriera drammatica (1590-1613) Shakespeare avrebbe composto una quarantina di drammi o
più, alcuni in collaborazione con altri drammaturghi a volte noti altre no (in particolare alla fine con
Fletcher).

Riguardo alla cronologia delle opere se è quasi sempre impossibile stabilire la data esatta, non è però
impossibile stabilire gli estremi di composizione: sia sulla base di documenti esterni sia sulla base di
criteri interni di ordine stilometrico.

La sua produzione giovanile appare marcata dal prelevare del dramma storico, forma con la quale
avrebbe continuato a confrontarsi fino al 1599 con una certa continuità. Prima della chiusura dei teatri
per la peste nel 1592, Shakespeare aveva già scritto tre o quattro drammi relativi alla storia inglese: le
tre parti di Henry VI e forse Richard III (è possibile che sia stato scritto prima della chiusura ma
rappresentato solo alla riapertura). Aveva scritto anche un numero ristretto, e imprecisato, di commedie
(The Two Gentleman of Verona, The Timing of the Shrew, The Comedy of Errors) e la tragedia Titus
Andronicus (1592). In ciascuna di queste opere si ispirò ai principali modelli drammatici allora in voga
ravvivandone il linguaggio e le forme espressive. Nessuno di questi drammi fu pubblicato in quegli stessi
anni.

Durante la chiusura dei teatri (1592-94) abbandona i drammi per dedicarsi alla poesia. Scrive Venus and
Adonis e The Rape of Lucrece, poemetti narrativi regolarmente pubblicati nel 1593 e 94 dall’editore
Richard Field. Dalle dediche dell’autore capiamo che si trattasse di pubblicazioni autorizzate, entrambe a
Henry Wriothesley conte di Southampton.

Più complessa è la datazione dei Sonnets, pubblicati nel 1609 (in un’edizione che in appendice includeva
anche A Lover’s Complaint) ma già menzionati nel 1598 da Meres nella Palladis Tamia. È probabile che la
data di composizione della raccolta si estenda lungo un ampio acro cronologico difficile da circoscrivere.
La pubblicazione dei sonetti potrebbe non essere stata autorizzata: sappiamo che circolavano da tempo
in forma privata e manoscritta e che la dedica a Mr W.H. non era dell’autore ma dell’editore (Thomas
Thorpe).

Finita la peste, Shakespeare tornò a dedicarsi al teatro. La riapertura dei teatri comportò una
riorganizzazione delle compagnie e insieme con James Burbage e altri, Shakespeare entrò nella
compagnia dei Lord Chamberlain’s Men, in cui era attore, principale drammaturgo e full sharer, ovvero
azionista a quota intera. Shakespeare portò nella compagnia anche i drammi composti anteriormente.
Lo spazio scenico privilegiato da questa compagnia era il The Theatre. Negli anni 1594-99 Shakespeare
continuò a produrre sia commedie (Love’s Labour’s Lost, A Midsummer Night’s Dream,The Merchant
of Venice, The Merry Wives of Windsor, Much Ado About Nothing) sia drammi storici (la seconda
tetralogia comprendente Richard II, le due parti di Henry IV e Henry V poi il King John e alcune scene di
Edward III). In quegli anni scrive una sola tragedia Romeo and Juliet (1595), (va però ricordato che alcuni
drammi storici possono essere classificati anche come tragedie).

Attorno a questo periodo risalgono le prime edizioni a stampa dei drammi di Shakespeare, inizialmente
anonime (edizioni in quarto di Titus Andronicus e Henry VI, part two, del 1594), ma poi con il suo nome
(Love’s Labour’s Lost stampato nel 1598 è la prima a portare il suo nome)

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Il periodo successivo che va dal 1599 al 1607-8, è marcato dal trasferimento della compagnia al Globe.
Con la produzione del Julius Caesar del 1599 abbiamo il passaggio dalla storia inglese a quella romana.
Tra il 1606-08 scrive anche Antorny and Cleopatra e Coriolanus che completano la trilogia romana.

Il maggior contributo di Shakespeare alla foma tragica è ascritto però alle “great tragedies”:
Hamlet (1600-01),
Othello (1603-04),
King Lear (1605-06),
Macbeth (1606).
Drammi che con la rappresentazione di coscienze fragili, lacerate, tormentate dal dubbio, segnano una
svolta poetica rispetto alle tragedie precedenti.

Abbiamo anche una serie di commedie composte tra il 1599 e il 1607:


As You Like it (1599-600),
Twelth Night (1601),
alcune definite dark comedies o problem plays a causa dei loro finali aperti e irrisolti:
Troilus and Cressida (1602),
Measure for Measure (1603-04),
All’s Well That Ends Well (1606-07).

Le commedie degli ultimi anni dal 1607-08 al 1613 si avvalgono anche dello spazio chiuso del Blackfriars,
soprattutto in inverno. Questo nuovo teatro offriva più possibilità che vennero ampiamente sfruttate
nelle nuove commedie ricche di musiche, danze, canti e scene mimico-corali. Ispirandosi al romanzo
greco d’età ellenistica, assimilato attraverso le riscritture contemporanee, scrisse:
Pericles, con George Wilkins,
The Winter’s Tale,
Cymbeline,
The Tempest,
The Two Noble Kinsmen, con Fletcher.
La critica le ha definite romances o commedie romanzesche perché hanno tutte una trama intricata,
ricca di peripezie ed eventi magici o fantastici, una notevole dilatazione temporale dell’intreccio,
un’atmosfera finale di rigenerazione, riconciliazione, perdono.
A queste commedie si aggiunge un dramma storico fortemente atipico, a sua volta ibridato dalla forma
del romance: All is True o Henry VIII con Fletcher.
Fu proprio durante una rappresentazione di Henry VIII, nel 1613, che il Globe andò distrutto da un
incendio forse scatenato dall’effetto eccessivamente realistico che si volle dare a una scarica di cannone.
Per coincidenza quello fu anche l’ultimo dramma di Shakespeare.

13.4 La trasmissione del testo

13.4.1 LA COSTRUZIONE DEL CANONE

I primi dramma di Shakespeare ad essere pubblicati (Titus Andronicus e Henry VI, part two) furono
pubblicati anonimi; invece, il primo dramma ad avere il nome di William sul frontespizio è molto
probabilmente un apocrifo (The Lamentable Tragedy of Locrine 1595). Sarebbe dunque vano alle

43
condizioni attuali cercare di circoscrivere la produzione poetico-drammatica di Shakespeare. La
paternità di alcuni testi rimane ancora oggetto di disputa tra gli studiosi.

Il problema della ricostruzione del canone si intreccia con il problema filologico della ricostruzione dei
testi e della loro genesi. In molti drammi elisabettiani, infatti, si possono individuare più voci autoriali:
sia per motivi di collaborazione, sia perché drammi incompiuti, censurati o non del tutto riusciti
venivano successivamente completati, integrati emendati o riscritti da altri. Per alcuni drammi quindi ci
si deve chiedere anche in che misura questi sono ascrivibili a Shakespeare. I casi più controversi
riguardano una piccola percentuale dei testi (per lo più i drammi di collaborazione), mentre la sostanza
del corpus trova d’accordo la maggior parte degli studiosi

Per quanto riguarda i criteti di attribuzione delle opere è consuetudine distinguere tra: external e
internal evidence.
La external evidence o prova esterna, cerca di individuare l’autore sulla base di un insieme di
documenti: dai frontespizi delle edizioni dell’epoca (non sempre affidabili), all’iscrizione nello Stationer’s
Register, alle testimonianze dei contemporanei.
La internal evidence invece, si basa su criteri interni o testuali, di tipo tematico e/o stilometrico.

Punto di partenza condiviso nella costruzione del canone è da sempre un criterio esterno: la prima
raccolta delle opere di Shakespeare, il cosiddetto First Folio, pubblicato nel 1623 comprendente un
insieme di trentasette drammi, ma non le opere poetiche. Il First Folio includeva diciassette drammi già
pubblicati durante la vita dell’autore in formato più piccolo o in-quarto, un diciottesimo dramma,
Othello, pubblicato nel 1622 e diciotto drammi inediti. L'edizione in-folio deriva la sua autorevolezza dal
fatto di essere stata curata da due attori colleghi di Shakespeare, Heminge e Condell, e dalla presenza di
un’introduzione firmata da Ben Jonson, personaggi eminenti della scena teatrale del tempo che ben
conoscevano Shakespeare e la sua opera. Data l’autorevolezza del primo in-folio, affinché una nuova
opere fosse accettata nel canone è stato necessario spiegare i motivi della sua mancata inclusione
nell’edizione originaria.

Non di meno rimane qualche dubbio sui criteri ispiratori della raccolta. In genere si è suggerito che
Heminge e Condell avessero deliberatamente escluso le opere di collaborazione, nonostante la presenza
di alcuni drammi a più mani, o ritenuti tali (le tre parti di Henry VI, o almeno la parte prima, Titus
Andronicus, Thimon of Athens, Henry VIII). Più complessa è l’attribuzione dei drammi non contenuti
nella raccolta e cioè i drammi pubblicati in-quarto in forma anonima ma nei quali la critica recente ha
ravvisato la probabile mano di Shakespeare, e i drammi pubblicati con il nome di Shakespeare o con la
sigla W.S. durante la sua vita (dal 1595 al 1609) e poi non inclusi nel primo in-folio e dunque ritenuti di
dubbia autorialità. Tali drammi furono successivamente integrati nel canone shakespeariano quando fu
pubblicato il Third Folio, che nel frontespizio vantava la presenza di <<Seven Playes never before Printed
in Folio>>. Queste sette ulteriori Plays, che portavano il canone da trentasei a quarantatré drammi,
erano: Locrine, The First Part of Sir John Oldcastle, Thomas Lord Cromwell, The London Prodigal, The
Puritan Widow, A Yorkshire Tragedy e Pericles.

L’allargamento fu solo provvisorio perché dagli anni 20 del 700 Alexander Pope disconobbe la paternità
dei sette drammi e a riportare il canone ai 36 originari. Solo Pericles nel tardo 700 fu restituito al canone
grazie all’intervento del filologo Edmond Malone. L'opera è però ritenuta un dramma di collaborazione, i
primi due atti sono generalmente attribuiti a George Wilkins, mentre sono considerati prevalentemente
shakespeariani gli atti III e V. Deve il suo salvataggio sia al frontespizio originario che lo attribuiva
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esplicitamente a Shakespeare e alla compagnia dei King’s Men, sia a motivi di ordine stilistico. La sua
esclusione dal First Folio potrebbe essere dovuta allo stato corrotto del testo e/o alla forma
collaborativa.

Un discorso affine investe The Two Noble Kinsmen, altro dramma reintegrato nel canone dalla critica
contemporanea ed escluso dal folio in quanto collaborative play. Lo stato collaborativo è stato
riconosciuto già nella stessa editio princeps, un in-quarto del 1634, che recava la doppia attribuzione a
Shakespeare e a Fletcher. Per un periodo fu attrbuito a Beaumont e Fletcher dall’editore Moseley nel
1653 ma il sodalizio tra i due si era interrotto nel 1613 a causa del matrimonio di Beaumont e i test
tematico-stilistici e lessicali riconducono a Fletcher e Shakespeare.

Dato che al momento è quasi impossibile che vengano identificate altre opere esclusivamente
shakespeariane, si punta a identificare una serie di possibili apporti, anche minori, di collaborazione o
revisione. in tale prospettiva vanno inquadrati una serie di drammi, tra cui Sir Thomas More e Edward
III, opere nelle quali il contributo di Shakespeare appare marginale e limitato alla revisione/integrazione
di un testo preesistente.

Sir Thomas More rappresenta un unicum nel canone: si tratterebbe dell’unica opera shakespeariana di
cui ci è pervenuto il manoscritto autoriale. Il manoscritto è ascrivibile a ulteriori 5 mani oltre quella
autoriale, e quella di Shakespeare sarebbe la cosiddetta Hand D. La versione originaria del dramma,
verosimilmente posta a censura a causa dell’argomento delicato, sarebbe stata successivamente rivista
ed emendata da un gruppo di drammaturghi, tra cui Shakespeare (sole tre pagine che risalirebbero al
1603-04).

L’ascrizione di Edward III invece poggia su motivi interni di ordine tematico-stilistico. Innanzitutto, si
presuppone che sia stato escluso dal First Folio per il suo carattere antiscozzese, tanto più inopportuno
in un momento in cui il potere era passato in mano agli Stuart. L'opera presenta molti paralleli con i
drammi storici di Shakespeare e soprattutto con i Sonnets: in particolare un verso identico al verso
conclusivo del sonetto 94. A Shakespeare vengono attribuite le scene delle edizioni moderne 1.2, 2.1,
2.2, e forse 4.4 (nelle edizioni del Cinquecento non c’era la divisione in atti e scene).

Per completare il quadro bisogna aggiungere un paio di opere perse, Love’s Labour’s Won e Cardenio,
attribuite a Shakespeare dai suoi contemporanei.

Una commedia intitolata Love’s Labours Won venne ascritta a Shakespeare da Francis Meres nel suo
Palladis Tamia all’interno di un elenco di dodici drammi shakespeariani. Sull'opera calò il silenzio per
quattro secoli fino a quando, nel 1953, fu ritrovata un’antica rilegatura di un volume stampato nel 1637-
38 che conteneva la trascrizione di un elenco di drammi venduti da un libraio inglese nell'agosto del
1603, tra cui appunto Love’s Labours Won.

Ancora più intricato è il caso Cardenio. Del dramma perduto rimangono due ricevute di pagamento da
cui sappiamo che nel 1613 la compagnia dei King’s Men recitò per due volte a corte, un dramma
chiamato Cardenio o Cardenna. Un dramma dal titolo The History of Cardenio, verosimilmente
identificabile con quello recitato nel 1613, e attribuito a Fletcher e Shakespeare, fu poi iscritto nello
Stationer’s Register nel 1653, per conto di Moseley ma probabilmente non fu mai stampato. Dal
momento che il personaggio di Cardenio compare nel Don Chisciotte di Cervantes tradotto in inglese nel
1612, è probabile che tale traduzione sia stata la fonte del dramma di Shakespeare e Fletcher. Si perse

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qualsiasi traccia dell’opera fino al 1727, quando Lewis Theobald mise in scena un dramma dal titolo
Double Falsehood, or, The Distessed Lovers, presentandolo come l’adattamento di un originale di
Shakespeare. Nella prefazione della successiva edizione a stampa, Theobald precisò che la sua opera si
rifaceva a tre copie manoscritte di un dramma di Shakespeare (non olografe ma postume), la più antica
della quali risalente a poco più di 60 anni prima. L'opera di theobald drammatizzava la storia cervantina
di cui si è detto, alterando però i nomi dei personaggi. È difficile esprimersi sull’attendibilità di Theobald.

Una soluzione editoriale accettabile sembra essere quella recentemente proposta da Bate e Rasmussen
in William Shakespeare and Other Collaborative Plays. Anziché allargare arbitrariamente il canone
inserendo opere in cui l’intervento di Shakespeare non è solo incerto ma anche marginale, l’edizione si
limita a considerare in un discorso a sé stante varie possibili forme di coautorialità.

13.4.2 UNA NOTA FILOLOGICA

Oltre a cercare di capire quali opere siano state scritte da Shakespeare, bisogna anche ricostruirne i
relativi testi, ripulendoli da quegli interventi esterni che hanno in parte distorto l’originaria voce
autoriale. Ad esempio, possiamo chiederci quale sia il testo più autenticamente shakespeariano tra le tre
diverse versioni di Hamlet che ci sono pervenute. Di fatti, almeno una parte delle opere ci è giunta in
edizioni non autorizzate o comunque di dubbia provenienza, di cui è difficile se non impossibile
ripercorrere la genesi.

Solo diciassette drammi dei 36 dell’in-folio erano già stati pubblicati mentre l’autore era in vita, tra
l’altro alcuni di questi in più edizioni diverse tra loro e diverse anche dall’in-folio. Per tali drammi il
filologo deve scegliere la più attendibile tra le edizioni dell’epoca, i cosiddetti “testimoni”

Heminge e Condell nella prefazione della loro opera affermavano di essersi rifatti ai manoscritti originali
e che tutte le edizioni precedenti erano tutte corrotte in quanto pubblicate arbitrariamente. Le loro
parole e le condizioni di alcuni in-quarto dell’epoca portarono, a inizio 900, il filologo Alfred Pollard a
coniare la deifinzione di <<bad quarto>>. Secondo Pollard gli errori, le imprecisioni e le manchevolezze
delle edizioni in-quarto di drammi quali Romeo and Juliet, Henry V, The Merry Wives of Windsor e
Hamlet erano imputabili alle loro modalità di trasmissione. I testi di partenza erano buoni ma sarebbero
stati corrotti da processi editoriali non scrupolosi. Tali testi invece di essere stati venduti agli autori dalla
compagnia erano stati probabilmente ottenuti in maniera abusiva: o tramite trascrizioni stenografiche
realizzate durante le rappresentazioni, o tramite ricostruzioni mnemoniche da parte di attori del cast. Ai
bad quartos sono contrapposti i <<good quartos>>

Studi recenti imputano la brevità dei bad quartos non a vuoti di memoria o imprecisioni ma ai tagli, alle
trasformazioni e agli adattamenti subiti dal testo nelle successive fasi della sua stesura. Di norma il
drammaturgo preparava una prima versione dell’opera nota come authorial manuscript, che veniva
proposta alla compagnia. La compagnia lo adattava alle esigenze della scena e da tale revisione nasceva
il book of the play o prompt-book, cioè il copione.

Un esempio è Hamlet di cui abbiamo tre copie: Q1 molto breve, Q2 lungua quasi il doppio della prima e
Q3 che è quella dell’in-folio. Se seguiamo la teoria di Pollard, la brevitas di Q1 sarebbe dovuta a una
trasmissione abusiva. Vicevesra se teniamo contro dei processi compositivi dell’epoca Q2 può essere il
manoscritto autoriale e Q1 il copione. A sua volta le due teorie possono essere integrate, infatti Q1 ha

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tutta l’aria di essere la cattiva ricostruzione mnemonica di una versione già opportunatamente ridotta
per le scene.

A questo punto viene da chiedersi perché i manoscritti autoriali fossero così lunghi se poi venissero
tagliati per la scena. Una possibile teoria è che le versioni lunghe non fossero destinate alla scena ma
alla lettura privata accreditata sia da un'edizione di The Duchess of Malfi di John Webster che nel
frontespizio dichiara di offrire un surplus di versi che la durata dello spettacolo non poteva permettere
di inscenare, sia da un verso finale presente in Edward III in cui uno dei personaggi afferma che le sue
gesta serviranno a edificare i lettori delle età future.

13.5 I generi drammatici: comedies, histories, tragedies

Anche per quanto riguarda la classificazione delle opere per generi, il First Folio costituisce il punto di
partenza. Il titolo della raccolta propone una suddivisione del corpus drammatico in tre generi principali:
comedies, histories e tragedies. Questa divisione è però meramente funzionale anche perché mentre la
distinzione tra comedies e tragedies risulta abbastanza chiara, appare meno evidente il senso da
attribuire al genere delle histories e al suo rapporto con le commedie e le tragedie.

Con il termine histories il folio includeva dieci drammi relativi alla storia inglese, disposti secondo un
ordine cronologico che partiva dalle remote vicende di King John (1199-1200) fino ad arrivare alla storia
quasi contemporanea rappresentata da Henry VIII. Già Francis Meres nel Palladis Tamia aveva ripartito i
drammi tra tragedie e commedie inserendo le histories tra le tragedie, incluso Henry IV che finiva con un
happy ending. Nella divisione del Folio la distinzione tra commedie e tragedie si basa sulle strutture
narrative e in particolare sullo scioglimento dell’azione, viceversa il termine histories prescinde dai
meccanismi narrativi che regolano l’intreccio per riferirsi a un tema o un’ambientazione. Infatti, i
drammi storici possono a loro volta essere divisi in commedie storiche e tragedie storiche a seconda del
loro finale. Ma l’individuazione di di un insieme di drammi accomunati dal loro contenuto storico
permette di dar senso al rapporto continuato di Shakespeare con la storia inglese e di dare giusto rilievo
a quello che appare come un progetto drammatico, all’interno del quale le singole histories si
rimandano tra loro. Nelle classificazioni successive anche drammi relativi alla storia romana sono stati
inseriti nelle histories.

13.6 Le commedie: la felicità “meritata”

13.6.1 UNA PRIMA DEFINIZIONE: IL MODELLO RETRIBUTIVO DELLA COMMEDIA

Una commedia è un’opera teatrale che si conclude con un lieto fine, generalmente un matrimonio ma
anche qualsiasi conclusione che sia al contempo favorevole al protagonista e moralmente equa. Alla fine
dell’azione, l’eroe godrà di una felicità meritata, in accordo con i dettami della giustizia poetica e con
una visione del mondo di tipo retributivo.

13.6.1 IL CANONE COMICO

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Nel genere commedie possiamo includere i 14 drammi inseriti nella sezione delle comedies nel Folio, più
Cymbeline, King of Britain curiosamente incluso tra le tragedie nonostante il suo happy ending. A tale
corpus possono essere aggiunte anche alcuni drammi che anche se non si concludono con un
matrimonio hanno comunque un happy ending e una pacificazione dei conflitti: le due parti di Henry IV
e Henry V. poi si aggiungono le commedie non incluse nel Folio ma aggiunte dopo al canone: The Two
Noble Kinsmen. Incerto è lo statuto di Troilus and Cressida a causa della forma incompiuta e
dell’inserimento nel Folio all’ultimo minuto. Infatti, non compare nell’indice ed è state inserita
all’apertura delle tragedies, ma il fatto che le pagine di Troilus and Cressida non siano numerate
suggerisce che sia stata inserita lì dove rimaneva spazio. Ad oggi viene inserita nelle commedie oscure, o
drammi problematici, con Meausre fo Measure e All’s Well That Ends Well.

13.6.3 STRUTTURA NARRATIVA: IL LIERO FINE, IL TEMA MATRIMONIALE

Il tema matrimoniale non si presenta mai come tema isolato, di solito convive con eros e politica: in As
You Like It, Cymbelie, The Tempest l’amore e il matrimonio sugellano una pace politica senza la quale
l’eros non potrebbe aver pieno corso. Né l’amore è quasi mai disgiunto da motivazioni di ordine
economico-sociale. Le commedie di Shakespeare sono organizzate secondo il modello tripartito
(presentazione, intreccio, scioglimento).

13.6.4 VISIONE DEL MONDO: IL MODELLO RETRIBUTIVO E IL MODELLO ORDALICO

La visione retributiva non è assoluta né esente da ambiguità e contraddizioni che si manifestano nelle
dark comedies o problem plays. Il progredire dell’azione verso il lieto fine suggerisce l’esistenza di un
mondo ordinato. A tale tipo di intreccio si dà il nome di giustizia poetica.

Il modello retributivo è anche alla base di una giustizia di tipo ordalico. La giustizia ordalica si fonda su
un ragionamento di tipo circolare, ove premessa e conclusione si legittimano a vicenda: se il mondo è
giusto, chi è favorito dalla sorte è buono. Più che attribuire un premio a una buona azione, si immagina
che il favore della sorte sia di per sé il segno di buona azione. Nelle commedie Shakespeariane,
soprattutto quelle problematiche, accanto al modello retributivo si insinua la sua variante ordalica. Vale
a dire, il favore o l’ostilità della sorte diventano indicatori morali. Il lieto fine riabilita personaggi
eticamente discutibili. La vittoria rende innocenti.

13.6.5 LE COMMEDIE PROBLEMATICHE: LE VIE TORTUOSE DELLA GIUSTIZIA

Nelle commedie problematiche vari piani di giustizia si sovrappongono secondo principi non del tutto
chiari o lineari. Nonostante tali drammi si concludano a loro volta con un matrimonio, la chiusura
dell’azione non riesce a convincerci pienamente.

La critica ha etichettato come problem plays Troilus and Cressida, Measure for Measure e All’s Well That
Ends Well. In senso lato, tuttavia, molte delle commedie shakespeariane presentano scioglimenti
problematici.

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Ad esempio, The Merchant of Venice mette in scena, accanto allo scenario apparentemente idilliaco-
amoroso di Belmonte, quello molto più inquietante di una Venezia pervasa dall’odio reciproco tra
cristiani e ebrei. I cristiani alla fine hanno la meglio sull’ebreo Shylock, il quale viene costretto a
convertirsi e a subire la confisca dei propri beni. Se da un lato, in base al criterio ordalico, la punizione di
Shyloc sembra confermare la sua colpevolezza e le ragioni dei cristiani, dall’altro è evidente che l’ebreo è
posto sotto assedio dai cristiani, i quali si riservano il diritto di amministrare la giustizia a proprio uso e
consumo. Oltre che dalla conclusione dell’azione, le riserve morali sul comportamento dei cristiani
emergono da varie sequenze della commedia.

L'azione di Measure for Measure si svolge in una Vienna dall’atmosfera mascherata da una falsa
rispettabilità. Angelo, che sostituisce temporaneamente il duca di Vienna, è la perfetta incarnazione del
perbenista pronto a punire negli altri quei crimini e quei peccati di cui egli stesso è colpevole in prima
persona. Anche se alla fine le sue colpe sono ridimensionate dal fatto che non hanno prodotto i danni
temuti, il perdono concessogli dal duca appare troppo generoso. Infine, le doppie nozze imposte dal
duca stesso non sembrano foriere né di giustizia né di felicità.

Anche in All’s Well That Ends Well il matrimonio è desiderato solo dalla parte femminile e imposto da
un’autorità esterna.

In Troilus and Cressida Shakespeare si era spinto ancora più in là: l’opera rinuncia del tutto a un lieto fine
per quanto problematico. Si tratta di un’opera aperta, priva di un vero e proprio finale. Non solo non ci
sono matrimoni, ma, insieme con il personaggio di Troilo tradito da Cressida viene sconfitta l’idea stessa
di amore romantico.

13.7 Le tragedie: il dolore “(in)giustificato”

13.7.1 UNA PRIMA DEFINIZIONE: LA LOGICA BIFRONTE DELLA TRAGEDIA

La morte non è solo presente nella tragedia, ma sul piano narratologico, costituisce anche il momento
conclusivo dell’azione drammatica, solo ed esclusivamente quella dell’eroe ed è imprescindibilmente
una morte violenta, sfuggendo così a qualsiasi ottica retributiva. La morte dell’eroe, non di meno
prelude a un successivo processo di ricomposizione dell’ordine (alla morte di Romeo e Giulietta
prosegue la pace tra Montecchi e Capuleti).

La tragedia shakespeariana pare attraversata da una logica bifronte: cioè da un lato la morte dell’eroe,
prodotta dal caso, suscita successivamente nei vivi un comprensibile bisogno di azzerare il caos e di
rigenerare il corpo sociale; dall’altro la morte dell’eroe sembra scaturire da una necessità interna,
ovvero dallo stesso bisogno di rigenerazione sociale: è come se l’eroe morisse, e il vecchio sistema
imblodesse, allo scopo di permettere la guarigione e la successiva rinascita.

13.7.2 IL CANONE TRAGICO

Nel First Folio sotto la voce tragedy figuravano dodici drammi, escludendo Troilus and Cressida messo li
in secondo momento e Cymbeline che ha un lieto fine, si scende a dieci drammi. A questi dieci però
vanno aggiunti i drammi storici con un finale luttuoso.

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13.7.3 STRUTTURA NARRATIVA E VISIONE DEL MONDO: IL DISEGNO SACRIFICALE

Ciò che avviene dopo la morte dell’eroe nelle tragedie ha un’intensità minore e passa quasi inosservato.
La tragedia shakespeariana reca dunque tracce di un tema e di un’etica sacrificali

13.7.4 LA COSCIENZA TRAGICA: LA ALOGHIA DEL DOLORE INDIVIDUALE

L'eroe che muore non comprende o non conosce la necessità del suo morire. Quella morte e quel dolore
che appaiono giustificati a livello transindividuale, diventano alogici nel momento in cui si riflettono
all’interno della coscienza del protagonista. Tale deriva di senso, emerge dai grandi monologhi tragici.
Per il protagonista, il confronto con la propria morte diventa un rovello verbale, il vano tentativo di
cogliere attraverso un linguaggio fortemente autoriflessivo il mistero di un dolore che sfugge all’umana
comprensione (Richard III, Hamlet, Machbet). Se sul piano sociale lo schema sacrificale giustifica
implicitamente la caduta dell’eroe mostrandola come necessaria alla successiva ricomposizione
dell’ordine, sul piano individuale il dolore dell’eroe tragico non trova riscatto né giustificazione alcuna.

13.8 Le histories: il soggetto storico, tra pubblico e privato

13.8.1 UNA PRIMA DEFINIZIONE: LA STORIA SULLA SCENA

Non contiene nulla di rilevante.

13.8.2 IL CANONE STORICO

Sin dall’indice del First Folio i singoli drammi storici sono presentati come tessere di un unico
mosaico. Nel Folio sono disposte in ordine secondo il periodo storico coperto dai singoli drammi :
King John,
Richard II,
The First Part of King Henry IV,
The Second Part of King Henry IV,
King Henry V,
The First Part of King Henry VI,
The Second Part of King Henry VI,
The Third Part of King Henry VI,
Richard III,
King Henry VIII.

Copre dal 1199 al 1533. All'interno dell’arco temporale ci sono dei buchi, infatti, la prima e l’ultima sono
due drammi parzialmente a sé stanti e meno intimamente collegati con la sequenza nel suo insieme. Gli
altri 8 drammi mettono in scena in maniera sistematica il periodo che va dal 1398 al 1485.

Shakespeare compose prima le tre parti di Henry VI e Richard III e poi Richard II, le due parti di Henry IV
e Henry V. Anche nella trilogia romana dopo aver composto due drammi cronologicamente sequenziali
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(Julius Caesar, 1599; Anthony and Cleopatra, 1606) scrive Coriolanus che è storicamente precedente
(1608). Nel First Folio la trilogia romana figura tra le tragedies e non tra le histories ma sono in realtà
delle histories, innanzitutto perché hanno la stessa struttura e poi perché gli inglesi legavano la storia
romana a quella inglese perché pensavano che la stirpe britannica derivasse da Bruto, nipote di Enea.

Al canone storico vanno poi aggiunti Edward III e Sir Thomas More (collaborative)

Anche Machbet, Cymbeline e King Lear potrebbero essere considerati storici vista l’ambientazione.

13.8.3 LA STORIA COME INTRECCIO: TRAGEDIE E COMMEDIE STORICHE

Se oggi leggiamo il corpus come storico come un insieme coeso e compatto ciò è dovuto anche ad alcuni
precisi accorgimenti editoriali da parte dei curatori che, in tal modo, legittimarono la creazione di una
sezione specificatamente dedicata alle histories. Innanzitutto, le disposero non in ordine di stesura ma in
ordine cronologico dei fatti narrati, poi modificarono i titoli originali togliendo la dicitura tragedy o altre
modifiche come la stostituzioe di Chronicle con The Life and Death of (nei casi in cui è inscenata anche la
morte) o The Life of.

Per quanto riguarda le due parti di Henry IV è probabile che il primo dei due drammi fosse stato
composto come testo autonomo e che solo successivamente fosse divenuto la prima parte di un dittico
perché il successo di Henry IV spinse l’autore a produrne la seconda parte

Più intricato è il caso delle tre parti di Henry VI. La seconda e la terza parte erano stati concepiti come
un dittico. Furono stampati rispettivamente nel 1594 e 95 in edizioni in-quarto separate ma tra loro
collegate dal titolo The Firt Part of Conention che preannunciava una seconda parte che era intitolata
The True Tragedy of Richard Duke of York. Il dramma che conosciamo come prima parte stampato per la
prima volta nel First Folio, molto verosimilmente è un’opera successiva e indipendente dalle altre due. Il
nome con cui è stato ribattezzato, First Part, serviva ad indicare che il periodo storico coperto era
antecedente alle altre due.

La creazione della sezione delle histories così come la vediamo è più un’invenzione di Heminge e Condell
che di Shakespeare stesso.

13.8.4 LA STORIA COME SPECCHIO: CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA PASSATO E PRESENTE

Una volta chiarito che i drammi storici di Shakespeare possono essere considerati, più che come un
genere a sé stante, tragedi e commedie di argomento storico. Storico è il rapporto tra il presente della
rappresentazione e passato rappresentato. Nel rappresentare il passato Shakespeare si sforzò non solo
di riprodurre in maniere più o meno fedele fatti temporalmente remoti (senza farsi scrupolo di
reinventarli o alterarli per renderli adatti alla scena), ma anche di catturare i modelli culturali propri del
periodo storico in questione. Innanzitutto, utilizzava il linguaggio del presente. Il passato veniva,
inconsapevolmente o scientemente, tradotto nella lingua e nella cultura presente e, dunque, in un certo
senso ibridato. Le histories, così come i drammi romani, non solo rappresentano un mondo
culturalmente distante, ma anche un mondo omologo al presente, capace di rispecchiare i problemi
politici contemporanei.

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13.8.5 LA STORIA COME FINZIONE: L’INVENZIONE DELL’IO STORICO

Un'ulteriore caratteristica dei drammi storici è la rappresentazione della storia dall’interno, dal punto di
vista degli stessi protagonisti. Rispetto alla storiografia, mentre la storia pretende di essere veridica, al
contrario la poesia, come afferma Sidney in Defence of Poesy, non aspira ad essere creduta. Implica cioè
una sorta di patto col lettore. È proprio la sua dichiarata non veridicità a permettere alla funzione storica
di catturare attraverso l’immaginazione la dimensione interiore dell’io storico e di ricreare pensieri e
emozioni private del personaggio in una data circostanza storica.

13.9 Note conclusive: la visione del mondo, l’arte della parola

I drammi ci colpiscono per la loro elaborata tessitura verbale, il linguaggio si rivela strumento potente di
comprensione del mondo. Anche se tende verso un’ingegnosità barocca, non perde mai la sua
immediatezza comunicativa né la sua autenticità affettiva. I momenti più intensi dell’arte linguistica di
Shakespeare sono però quelli in cui un determinato evento spinge il personaggio ad allargare i confini
della sua riflessione, a rileggere il suo caso particolare come il tassello dell’infinito puzzle dell’umana
condizione.

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14
La poesia Shakespeariana: poemi e sonetti

14.1 I poemetti narrativi

Venus and Adonis apparve nel 1593 con dedica a Henry Wriothesley Conte di Southampton. È composto
di 1194 versi distribuiti in sestine rimanti ABABCC e riprende la storia narrata da Ovidio nel X libro delle
Metamorfosi, integrandola con le vicende di Salmace ed Ermafrodito e di Eco e Narciso che si trovavano
nel IV libro. La verginale resistenza che il bell’Adone oppone a una Venere a dir poco sfrontata,
prolungandosi per centinaia di versi, conferisce all’insieme i tratti di un coitus interruptus, che non
poteva non incontrare il favore di un’epoca sanguigna, alla quale era ben chiaro che i modi del
corteggiamento cortese non consentivano di elidere pulsioni meno confessabili. L'inversione dei ruoli
uomo-donna da ulteriore forza, non nuova, ma qui portata a limiti estremi. Nemmeno la conclusione,
che con lo strazio del corpo di Adone consegna alla tradizione letteraria l’ennesima variazione sul tema
amore/morte sovrapponendolo a quello del cupo destino che sovente tocca agli innocenti, è sufficiente
a disinnescare l’intensa carica erotica dei versi.

The Rape of Lucrece fu depositato presso lo Stationers’ Register nel 1594 con il titolo di Lucrece e
stampato qualche mese dopo e sempre dedicato al Conte di Southempton. Il poema conta 1855 versi
suddivisi in strofe di sette versi rimanti ABABBCC (la royal rhyme) e riprende la vicenda della violenza
patita da Lucrezia, moglie di Collatino, ad opera di Sesto Tarquinio, tramandata da Ovidio nei Fasti, da
Livio nelle Storie e ripresa da Chaucher. Prevale il modo della tragedia con qualche sprazzo di ironia.

14.2 Le poesie minori

Minore attenzione meritano i versi contenuti nell’antologia The Passionate Pilgrim, pubblicata da
Jaggard, e il poemetto A Lover’s Complaint, in appendice alla prima edizione dei Sonnet.

A Lover’s Complaint consta di 47 strofe in settenari con royal rhyme, per 329 versi che narrano la storia
di una fanciulla sedotta da un fatuo giovanotto.

The Phoenix and The Turtle, apparso nel 1601 in un’antologia, è composto di 67 versi in cui viene
ripreso il tema degli uccelli che si riuniscono in assemblea per celebrare un rito funebre, e lo riscrive in
maniera del tutto originale, fondendo elegia e allegoria. I versi sono articolati in tre sezioni: un proemio
(5 strofe in settenari rimanti ABBA), un’antifona (8 strofe nello stesso metro), e un thrénos, un lamento
funebre (5 terzine in settenari a rima baciata).

14.3 I sonetti

Il volume che li raccoglie fu registrato nello Stationers’ Register il 20 maggio 1609 e pubblicato nello
stesso anno con il titolo Shakespeares Sonnets. La modesta qualità dell’edizione suggerisce però
l’assenza di qualsiasi intervento correttivo da parte dell’autore. L'editore Thomas Thorpe li dedica a
W.H. definito l’unico generatore dei componimenti. Nulla viene detto a proposito dell’io che anima la

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raccolta e dei suoi muti destinatari: il fair youth, la dark lady e il poeta rivale. Nel 1640 venne pubblicata
una seconda edizione curata da John Benson che però intervenne pesantemente sui testi e sostituendo
il pronome he con she per motivi di moralismo.

La raccolta consta di 154 componimenti (da cui restano parzialmente isolati gli ultimi due). Una
ripartizione consolidata divide la raccolta in sezioni variamente estese. Ai due gruppi maggiori, quello del
fair youth (1-126) e quello della dark lady (127-152) fanno capo altre divisioni:

1-17 sonetti definiti matrimoniali e ruotano attorno al tema dell’increase,

78-80, 82-86 sono i sonetti del poeta rivale,

18, 19, 55, 60, 63, 65, 74, 77, 101, 107 e altri vertono sul valore eternante della poesia, sonetti
dell’immortalità.

Temi diversi si intrecciano tra loro all’interno di una medesima sezione, rendendo difficile qualsiasi
suddivisione netta.

I sonetti sono composti da tre quartine in pentametri giambici, seguite da un distico rimato (ABAB CDCD
EFEF GG). Non mancano anomalie dipendenti forse dalla mancata revisione del testo. Ci sono numerose
affinità con i monologhi dell’Hamlet.

Il carattere innovativo dei sonetti sta nell’aver riconosciuto anche al brutto, al deforme, all’umano
fango, una piena dignità estetica. Un altro macrotema dei sonetti è quello del Tempo, l’energia
distruttiva del tempo che corrode uomini e cose, opposta al potere eternante della poesia.

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Shakespeare oggi: bardolatria, orientamenti critici, riscritture

15.1 Bardolatria, bardomania

Shakespeare è un’icona culturale per eccellenza, la sua presenza si manifesta nelle espressioni più alte
del patrimonio estetico dell’Occidente: musica classica, balletto, melodramma, jazz, pittura, pop art,
arte concettuale. Ma è sicuramente nel campo della poesia e del romanzo che le infiltrazioni
shakespeariane hanno trovato strade sempre più creative. Nel campo educativo e della formazione,
Shakespeare figura nei curriculi di scuole di ogni ordine e grado. È ormai una figura della cultura
popolare, cinema, merchandising, turismo.

La sua opera è stata tradotta in più di 90 lingue, l’inglese ne veicola la diffusione su scala mondiale. Il
macrotesto shakespeariano inizia la sua diaspora spazio-temporale che lo porterà ai quattro angoli del
mondo in un continuo processo di ricontestualizzazione e reinterpretazione. Inizia con la dedica di Ben
Jonson. Nel pieno Settecento Shakespeare invade la scena di un orizzonte celebrativo più ampio. Nel
1741 Alexander Pope raccoglie fondi per costruire una statua al bardo a Westminster Abbey.

Ma anche l’identità di Shakespeare, come tutte le mitologie è diventato luogo di speculazione, ci si


interroga sulla sua reale esistenza, si è pensato a Marlowe, Ben Jonson fino all’italiano Michelangelo
Crollalanza.

15.2 Le stagioni della critica

15.2.1 DA BRADLEY AL NEW CRITICISM, AL CLOSE READING E ALLO STRUTTURALISMO

In concomitanza con la nascita di una vera e propria critica professionale, la perizia interpretativa del
primo Novecento fu ancora per la figura di Shakespeare come letterato che non come esperto di teatro.
Con la pubblicazione nel 1904 della Shakespearean Tragedy di Bradley nascerà in ambito accademico il
cosiddetto character criticism. Era una lettura concentrata sui protagonisti delle grandi tragedie che
tendeva a considerarne le personalità più alla stregua di rappresentazioni mimetiche di persone reali, di
cui si tendeva a ricostruire un profilo biografico fuori dal testo, che non come costrutti attanziali
all’interno del meccanismo drammaturgico.

Successivamente, una serie di movimenti furono accomunati da una medesima tendenza a spostare
l’attenzione critica dal contenuto del testo alla sua forma. Il New Criticism privilegerà una concezione del
testo come costrutto linguistico-semantico autosufficiente, eliminando dal campo d’indagine sia la
dimensione autoriale sia quella genericamente di contesto.

15.2.2 SVOLTA POSTSTRUTTURALISTA E DECOSTRUZIONISTA

Successivamente poi si passa alle riflessioni sull’opacità del linguaggio e sulla sua dimensione
autoreferenziale con il poststrutturalismo e il decostruzionalismo. Nell'opera shakespeariana l’apertura

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e l’ambiguità vengono ricercate e valorizzate. Dei drammi si inizia a sottolineare la vocazione
polivalente, dialogica, polifonica, multivocale e pluralistica.

La lettura decostruttiva si concentra più su ciò che i testi hanno rimosso, nascosto, marginalizzato, o
posto sotto silenzio, articolandosi a livello psicanalitico, postcoloniale, femminista, queer ecc,
analizzandoli da punti di vista specifici.

15.2.3 CRITICA PSICANALITICA

L'iniziale formulazione del complesso edipico fu costruita tanto sull’omonimo dramma di Sofocle quanto
sull’Hamlet. Freud aveva ipotizzato che la scrittura di Hamlet avesse costituito un processo elaborativo
del lutto per la morte del padre ricollegata poi a quella del figlio Hamnet. Il fatto che Shakespeare avesse
anche recitato la parte del fantasma non poteva che innescare una serie di ulteriori interrogazioni del
cortocircuito filiale-paterno in cui le proporzioni testuali, quelle culturali e quelle biografiche hanno
continuato a intersecarsi fittamente. Si avvicinava allo psicologismo bradleyiano in cui c’è una sorta di
sovranità dell’io sulle proprie narrazioni.

15.2.4 CRITICA FEMMINISTA

La rivendicazione di un’ottica femminile è centrale nel prospettivismo poststrutturalista. La prima


ondata critica fu tesa a denunciare le peggiori efferatezze sessiste presenti. Successivamente
Shakespeare fu posto in relazione a dialettiche relative le politiche di genere. La prima fu Dusineberre
(1975) che rinvenne nel drammaturgo un’adesione di fondo a modelli discorsivi in parte innovativi
rispetto al ruolo della donna nel matrimonio, visto in termini più egualitari, o alla questione della
sessualità, percepita come più naturale e meno peccaminosa.

Un altro topos classico rispetto alla costruzione dei modelli sessuali è quello relativo alla differenza nei
vari generi drammatici. La disparità di resa del ruolo delle donne vede queste ultime primeggiare nelle
commedie, genere fecondo per eccellenza, dove hanno generalmente un egual numero di battute e
spesso anche l’ultima parola, mentre nelle tragedie o nei drammi storici emerge con chiarezza la loro
posizione marginalizzata e spesso di vittime.

Sull’ onda delle considerazioni sui boyactors, negli anni 80-90 i feminist studies confluiscono nella più
ampia categoria dei gender studies, interessati alla formazione e alla rappresentazione anche del
maschile, affiancandosi ai queer studies che si concentrano sulle tensioni tra pulsioni omoerotiche e
norma eterosessuale.

15.2.5 NEOSTORICISMO E MATERIALISMO CULTURALE

Nati in ambito statunitense il primo e britannico il secondo, il neostoricismo e il materialismo culturale


muovono dal presupposto dell'esistenza di un nesso significativo tra storiografia e le altre forme di
scrittura inclusa quella artistico-letteraria, nel senso che, una volta stabilita la natura testuale della
storia, non si può più parlare semplicemente di testi e contesti storici bensì di "co-testi storici",

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espressione con cui Montrose (1992) esprime una reciproca influenza tra letteratura e altre testualità
culturali abolendo la nozione derivativa del testo letterario da uno sfondo storico-culturale predefinito.

15.2.6 CRITICA POSTCOLONIALE

Questo approccio critico pone questioni relative allo spazio di rappresentazione/costruzione della
diversità occupato dall’opera shakespeariana. Come si pone il testo shakespeariano rispetto agli
stereotipi di razza già attivi nel suo contesto, quanto si adopera per smontarli o rafforzarli, complicarli
nel confronto con altri tipi di subalternità, oppure declinarli in funzione delle proprie esigenze
drammatiche? Il testo shakespeariano, per quanto abbia potuto utilizzare gli stereotipi razziali, risulta
sempre il primo promotore del suo disvelamento

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