(P. Coda) Fraterna Dilectio Non Solum - Il de Trinitate Di Agostino
(P. Coda) Fraterna Dilectio Non Solum - Il de Trinitate Di Agostino
Estratto
Trinità in relazione
Percorsi di ontologia trinitaria
dai Padri della Chiesa all’Idealismo tedesco
a cura di Claudio Moreschini
«Theánthropos» - 2
Testi e studi
sul cristianesimo antico
Edizioni Feeria
Comunità di San Leolino
Il volume raccoglie i contributi presentati in occasione
del Convegno di Ontologia trinitaria, tenutosi presso
l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
(28-30 aprile 2015), ed è stato pubblicato
grazie al contributo e al patrocinio
di Genesis. Centro di Studi Patristici “Luigi Maria Verzé”.
Distribuzione
Città Ideale
Via Goldoni 30 – 59100 Prato
tel. 0574 691312 – fax 0574 698182
[email protected] – www.cittaideale.info
1
K. Hemmerle, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie (1976), Johannes Verlag
Einsiedeln, Freiburg 1992; tr.it., Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento del pensiero
cristiano, Città Nuova, Roma 19962 [d’ora in poi indicato con l’abbreviazione Tesi].
3
Torno qui ad Agostino ancora una volta2, per fissare l’at-
tenzione sul Libro VIII del De Trinitate, il libro cerniera che
descrive il passaggio tra la prima e la seconda parte del De Tri-
nitate, la cui rilettura è stata per me foriera di preziosi e rile-
vanti guadagni in ordine all’istituzione di un’ontologia trinita-
ria, di cui qui vorrei almeno in parte dar conto.
2
Su di lui, in effetti, mi sono soffermato in più di un’occasione: Il “De Trinitate” di
Agostino e la sua promessa, in «Nuova Umanità» XXIV, n. 140-141 (2002) 219-248; Agostino,
l’interiorità e l’esperienza dell’altro, in «Adultità» n. 22 (2005), 77-85; L’anima e il suo oltre. La
teologia trinitaria di Agostino tra interiorità e reciprocità, in AA.VV., Luoghi del pensare.
Contributi in onore di Vincenzo Vitiello, Mimesis, Milano 2005, 117-128; Agostino e la “via
caritatis”. Rileggendo il “De Trinitate”, in L. Alici – R. Piccolomini – A. Pieretti (edd.), La
filosofia come dialogo a confronto con Agostino, Città Nuova, Roma 2005, 19-36; L’esperienza e
l’intelligenza della fede in Dio Trinità. Da Sant’Agostino a Chiara Lubich, in «Nuova Umanità»
XXVIII (2006/5) n. 167, 527-552; Sul luogo della Trinità: rileggendo il “De Trinitate” di
Agostino, Città Nuova, Roma 2008; Visio Trinitatis. Il “De Trinitate” di Agostino tra desiderio e
interruzione, in “Sophia”, IV (2012/1), 17-33; Se l’uno è anche il suo altro, in P. Coda - M.
Donà, Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte trinitario, Città Nuova, Roma 2013, 9-96.
4
«Il tuo volto, Signore, io cerco», fammi conoscere il tuo volto
(cf. Sal 27,8).
Questo percorso trova il suo focus decisivo nell’amore di
caritas – l’agápe neotestamentaria. Non di un fatto emozionale
soltanto si tratta: ma ontologico. Dice l’essere. Non va ridotto
all’affettività, anche se la implica. Per Agostino, l’amore si dà
come il nome dell’essere. Perché è il nome di Dio. In realtà, il
senso profondo dell’incontro con Dio, il suo fine ultimo, altro
non è appunto se non l’unità nell’amore.
3
Agostino d’Ippona, Confessioni, VII, 10,16; testo latino dell’ed. di M. Skutella riveduto
da M. Pellegrino, (Opere di Sant’Agostino), Città Nuova Editrice, Roma 20007, 200.
5
luce nuova nella rivelazione, quando Dio entra in rapporto con
Israele e, infine, quando s’incarna in Gesù Cristo.
6
3. È quest’ultimo guadagno che apre al cammino che, dal
Libro V porta al Libro VIII. La reciprocità tra Padre e Figlio –
spiega Agostino – non è una reciprocità a due termini. Si dà
infatti, tra loro, un terzo termine, il quale non è esterno a essi
due: è Altro dall’Uno e dall’Altro essendo ciò (Chi) mediante
cui si realizza la loro reciprocità. L’intuizione che Agostino
afferra dalla rivelazione è che non solo in Dio si dà l’alterità,
non solo quest’alterità è relazione, non solo questa relazione è
reciprocità, ma questa reciprocità è sussistente. La reciprocità è
qualcosa, meglio Qualcuno d’Altro che fa possibile la sussi-
stenza di Ciascuno che si dona all’Altro come relazione.
Il punto verso cui s’indirizza, dunque, l’intentio di Agosti-
no a partire dal Libro V è lo Spirito Santo: 1) come il terzo in
cui la relazione si dà; 2) come colui nel quale si gioca, così, la
dialettica tra interiorità ed esteriorità. Lo Spirito Santo, infatti,
è interiore a ciascuno dei due, Padre e Figlio, ed è esteriore
(altro) rispetto a ciascuno di essi. Descrive, in Dio, un’interiori-
tà che non è contraddittoria all’esteriorità e un’esteriorità che
non è contraddittoria all’interiorità.
Così, lo Spirito Santo, proprio perché è il terzo e perché
media tra interiorità ed esteriorità, esercita una mediazione
altra da quella di Gesù, il Verbo di Dio che si è fatto carne. Nel
Libro IV, Agostino ha descritto il Verbo fatto carne come il
mediatore tra Dio e gli uomini4. Ora, la mediazione viene guar-
data da un altro punto di vista, quello dello Spirito Santo: Cri-
sto è il mediatore, perché vero Dio e vero uomo, lo Spirito
attua e articola la mediazione su tre livelli: 1) la mediazione tra
4
Agostino d’Ippona, De Trinitate, IV, 7.11: «Quia enim ab uno Deo summo et vero
per impietatis iniquitatem resilientes et dissonantes defluxeramus, et evanueramus in
multa discissi per multa et inhaerentes in multis, oportebat nutu et imperio Dei miserantis
ut ipsa multa venturum conclamarent unum, et a multis conclamatus veniret unus, et
multa contestarentur venisse unum, et a multis exonerati veniremus ad unum, et multis
peccatis in anima mortui e propter peccatum in carne morituri ameremus sine peccato
mortuum in carne pro nobis unum, et in resuscitatum credentes et cum illo “per fidem”
spiritu resurgentes iustificaremur in uno iusto facti unum, nec in ipsa carne nos
resurrecturos desperaremus cum multa “membra” intueremur praecessisse nos “caput
unum” in quo “nunc per fidem” mundati et “tunc per speciem” redintegrati et per
Mediatorem Deo reconciliati haereamus Uni, fruamur Uno, permaneamus Unum»; testo
latino dall’ed. maurina confrontato con l’ed. del Corpus Christianorum, (Opere di
Sant’Agostino) Città Nuova Ed., Roma 1973.
7
il Padre e il Figlio, in Dio; 2) la mediazione tra Dio e gli uomini,
in Cristo; 3) la mediazione tra gli uomini, in Cristo.
Lo Spirito Santo, dunque, è mediatore universale in Dio tra
Padre e Figlio, tra Dio e la creazione in Cristo, tra le creature in
Cristo. Potremmo dire, con più precisione, che Gesù è il media-
tore, mentre lo Spirito è la mediazione: in quanto agisce facen-
do “capaci” gli esseri che partecipano della mediazione d’esse-
re attivamente mediati. Non è questo un piccolo tema: è, in
fondo, il tema del significato ontologico, trinitario e universale,
dell’unione ipostatica. Non mi ci avventuro. Ma prima o poi
bisognerà affrontarlo.
5
De Trin., V, 11.12: «Sed tamen ille Spiritus Sanctus, qui non Trinitas, sed in Trinitate
intellegitur in eo quod proprie dicitur Spiritus Sanctus, relative dicitur cum et ad Patrem
et ad Filium refertur, quia Spiritus Sanctus et Patris et Filii Spiritus est».
6
Ibid.: «Sed ipsa relatio non apparet in hoc nomine; apparet autem cum dicitur
donum Dei. Donum enim est Patris et Filii, quia et a Patre procedit, sicut Dominus dicit, et
8
Dal punto di vista lessicale, la denominazione Spirito San-
to non dice relazione, che appare invece nell’appellativo “dono
di Dio”, usato in riferimento allo Spirito Santo nel Nuovo
Testamento. Infatti, lo Spirito Santo è dono sia del Padre sia del
Figlio. Inoltre, quando si parla di “dono”, si allude al “dono
del donatore” e al “donatore del dono”. E l’una e l’altra espres-
sione è detta in senso reciprocamente relativo.
Ma allora, lo Spirito Santo, propriamente, che cosa o
meglio Chi è? Una specie di “ineffabile comunione” tra il
Padre e il Figlio – risponde Agostino – ciò che tra loro è comu-
ne: ciò che esprime la loro unità nella loro distinzione. Anzi, è
forse chiamato così – Spirito Santo – proprio perché questa
denominazione può convenire sia al Padre che al Figlio: perché
il Padre è Spirito ed è Santo e il Figlio è Spirito ed è Santo, la
loro comunione la posso chiamare Spirito Santo! Agostino
sembra così suggerire che lo Spirito Santo dice l’essenza di
Dio, il “Chi è” di Dio – Communio, Unitas. Per lui, infatti, è
nome proprio quello che per gli altri due è nome comune.
Lo Spirito Santo, in una parola, è il dono che accade nella reci-
procità del donarsi tra Padre e Figlio. Non è che il Padre dona lo
Spirito al Figlio senza che il Figlio risponda nell’accogliere il
dono riconoscendolo come dono e così restituendolo. Lo Spiri-
to è il dono comune dei due.
quod Apostolus ait: Qui Spiritum Christi non habet, hic non est eius; de ipso utique Spiritu
Sancto ait. “Donum” ergo “donatoris”, et “donator doni”, cum dicimus, relative utrumque
ad invicem dicimus».
9
per il quale il generato sia amato dal suo generante ed ami il suo
generatore, colui per il quale tutti e due conservino, non per parteci-
pazione, ma per loro essenza, non per il dono di un essere superiore,
ma per il dono suo proprio, l’unità di spirito nel vincolo della pace7.
7
De Trin., VI, 5.7: «Quapropter etiam Spiritus Sanctus in eadem unitate substantiae
et aequalitate consistit. Sive enim sit unitas amborum, sive sanctitas sive caritas, sive ideo
unitas quia caritas et ideo caritas, quia sanctitas, manifestum est quod non aliquis duorum
est quo uterque coniungitur, quo genitus a gignente diligatur generatoremque suum
diligat, sintque non participatione, sed essentia sua, neque dono superioris alicuius sed
suo proprio servantes unitatem spiritus in vinculo pacis».
10
il donare di donarsi, il far dono, cioè, della capacità di donarsi.
Lo Spirito Santo è il dono che dona l’unità: vuol dire che dona
la capacità di donarsi che si attua nell’unità. In ciò è la santità
di Dio – la sua Essentia che è Communio, Caritas, Unitas8.
8
Cf. su tutto ciò (e su quanto segue) le acute riflessioni di J. Ratzinger nel
suo Lo Spirito Santo come “communio”. Sul rapporto tra pneumatologia e spiritualità
in Agostino, in AA.VV., La riscoperta dello Spirito. Esperienza e teologia dello Spirito
Santo, a cura di C. Heitmann – H. Mühlen, tr.it., Jaca Book, Milano 1975, 251-267.
Scrive tra l’altro Ratzinger: «La peculiarità dello Spirito Santo è evidentemente
nel suo essere la realtà comune fra Padre e Figlio. La sua peculiarità unica è di
essere unità. Quindi è proprio la denominazione generica “Spirito Santo” il
modo più adeguato, nella sua generalità, di esprimere paradossalmente quanto
egli ha di più proprio, che è appunto la comunanza. Io credo che in questa
analisi si verifichi qualcosa di oltremodo importante: il comporsi di Padre e
Figlio in perfetta unità viene visto non in una consubstantialitas ontica generale,
bensì come communio, diremmo quasi non in una sostanza essenziale in senso
generalmente metafisico, bensì, in forza delle persone, conforme alla natura di
Dio, è esso medesimo personale. Nella Trinitas la Diade volge all’unità senza
annullare il dialogo, che, invece, proprio per questo viene rafforzato. Un
ricomporsi nell’unità, che non fosse esso medesimo persona a sua volta, non
potrebbe non annullare anche il dialogo in quanto tale. Lo Spirito è la persona in
quanto unità, l’unità in quanto persona» (254).
11
d’amore reciproco tra i discepoli è imitatio Trinitatis, in quanto
partecipazione alla vita trinitaria.
Di qui la seconda cosa: Padre, Figlio e Spirito Santo, se
sono questa relazione d’amore che nello Spirito Santo è Unità,
sono un solo Dio non per qualche cosa d’altro, ma perché nello
Spirito Santo sono Uno nell’amore. Dio è Uno nell’amore e da
Sé, cioè dal Padre, per mezzo di Sé, cioè per mezzo del Figlio,
in Sé, cioè nello Spirito Santo, noi veniamo resi partecipi della
sua stessa vita e dunque diventiamo uno con lui anche inter
nos. Diventiamo un solo Spirito perché la nostra anima è
“agglutinata” a Lui per grazia.
La vita trinitaria, perciò, è la grammatica dell’essere uno.
Sembra paradossale: ma è la Trinità che fa uno! Perché la Trini-
tà è uno essendo amore, la sua è l’unità dell’amore: così che la
partecipazione alla vita dei tre rende partecipi di quella vita
dell’amore che fa uno come Dio è Uno.
Lo Spirito Santo – continua Agostino – «è la stessa comunio-
ne consustanziale ed eterna; se il nome di amicizia le si addice, la si
chiami così, ma è più esatto chiamarla carità» (VI, 5.7). Lo Spirito
Santo è l’unità tra il Padre e il Figlio che sussiste dalla stessa
sostanza del Padre e del Figlio. Questa comunione – che Lui è
e che non è qualcosa in cui naufraga l’identità degli altri due,
ma in cui gli altri due sono se stessi – si può chiamare amicizia.
Per dire, appunto, che si tratta dell’unità in cui i due che stan-
no in relazione tra loro sono se stessi, eppure sono uno, essen-
do ciascuno così se stesso. L’amicizia, infatti, è riconoscere
nell’altro un altro se stesso9. Qui Agostino ha dietro di sé, evi-
dentemente, la grande lezione greca e latina sull’amicizia, e la
sua intensa esperienza in proposito10.
Lo Spirito Santo, dunque, è l’amicizia del Padre e del Figlio
o se dobbiamo dirlo ancora meglio – precisa Agostino – è cari-
tas, traduzione del neotestamentario agápe, quel tipo d’amore
de Deo che Gesù ha attestato e comunicato agli uomini nello
9
Cf. Aristotele, Ethica Nicomachea, IX, 12.
10
Cf. M.A. McNamara, Friendship in Saint Augustine, Editions Universitaires,
Fribourg 1958; tr. it., L’amicizia in S. Agostino, Editrice Ancora, Milano 1970.
12
Spirito Santo11. L’agápe, la caritas, è l’amicizia nella sua essenza
ultima: la perfezione dell’amicizia.
E questo è neotestamentario. La Prima Lettera di Giovanni,
ad esempio, parla della perfezione (teleíosis) dell’amore: dove?
quando? nella reciprocità che sboccia nell’unità (cf. 1Gv 4,16-
17). L’unità è qualcosa di più della reciprocità. La reciprocità è
quella del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo è l’unità nella
distinzione di Padre e Figlio che vivono nella e della loro reci-
procità d’amore. E ciò è antropologicamente significativo:
guardando al mistero di Dio s’illumina infatti dall’interno il
mistero dell’uomo, perché l’uomo è sé quando vive l’amicizia
che è la reciprocità che fiorisce nell’essere uno essendo ciascu-
no se stesso. La Trinità è lo spazio che, per grazia, introduce
nella possibilità d’attuare pienamente la vocazione inscritta nel
più profondo dell’essere uomo.
Ovviamente, detto che lo Spirito Santo manifesta e parteci-
pa l’essere di Dio come carità, da qui s’illuminano l’essere del
Padre e l’essere del Figlio. Il Padre è amore nel suo modo, il
Figlio nel suo modo, lo Spirito Santo nel suo modo. Sono i tre
modi dell’essere amore: «Di conseguenza non sono più di tre:
uno che ama colui che ha origine da lui, uno che ama colui dal
quale ha origine, e l’amore stesso. E se questo è niente, in che
modo Dio è carità? E se questo non è sostanza, in che modo Dio
è sostanza?»12.
11
Leggiamo nel Sermo 34 di Agostino: «amemus Deum de Deo, Immo quia Spiritus
Sanctus Deus est, amemus Deum de Deo. Quid enim plus dicam: amemus Deum de Deo?
Certe quia dixi: Caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est
nobis; ideo est consequens, ut quia Spiritus Sanctus Deus est, nec diligere possumus Deum
nisi per Spiritum Sanctum, amemus Deum de Deo» (Sermo habitus Carthagine ad Maiores de
responsorio psalmi CXLIX: “Cantate Domino canticum novum”, in Id., Discorsi, I [1-50], [Opere
di Sant’Agostino, XXIX] Città Nuova Ed., Roma 1979).
12
De Trin., VI, 5.7: «Et ideo non amplius quam tria sunt: unus diligens eum qui de
illo est, et unus diligens eum de quo est, et ipsa dilectio. Quae si nihil est, quomodo Deus
dilectio est? Si non est substantia, quomodo Deus substantia est?».
13
le le proprietà di ciascuna delle Persone della Trinità disse: L’e-
ternità è nel Padre, la forma è nell’Immagine, la fruizione nel Dono».
14
la gioia, il soffio, la vita che sgorga dal e sigilla il rapporto tra il
Padre e il Figlio.
Tutte le opere dell’“arte divina” che è espressa nella creazione
presentano dunque in sé una certa unità, forma e ordine. L’unità è
riferita al Padre, la forma al Figlio, l’ordine allo Spirito. Ogni cosa
è qualcosa di uno, ha una forma, si tiene in un determinato ordi-
ne. Se è così, se tutte le cose sono create dal Padre per mezzo del
Figlio nello Spirito Santo, esse tutte portano un’impronta trinita-
ria, in sé e nei loro vicendevoli rapporti. E allora è possibile e
necessario che conoscendo il Creatore per mezzo delle sue opere
celebriamo la Trinità di cui la creazione in una certa proporzione
vera reca in sé la traccia: il vestigium – parola magica che diventerà
un leit-motiv di tutta la tradizione cristiana.
Di lì, dal vestigium, posso risalire alla Trinità. Ecco il circolo
ermeneutico del procedere di Agostino: è partito dalla Trinità,
ha contemplato come la creazione avviene quale espressione
della Trinità, così che in essa se ne rinviene il vestigium. Un
discorso cosmologico. Ma la pagina precedente era più radical-
mente antropologica: intuiva l’accadere nelle relazioni tra le
persone – per lo Spirito Santo – non solamente del vestigium
ma dell’imitatio Trinitatis, dove entra in gioco la libertà della
persona che assume la grazia, si sintonizza con lo Spirito Santo
e vive in e per Lui nella Trinità e come Trinità.
15
spirito possa discernere l’essenza della verità pura da ogni materia,
da ogni mutevolezza14.
14
De Trin., VIII, 1.1: «Dicta sunt haec, et si saepius versando repetantur, familiarius
quidem innotescunt; sed et modus aliquis adhibendus est Deoque supplicandum
devotissima pietate ut intellectum aperiat et studium contentionis absumat quo possit
mente cerni essentia veritatis, sine ulla mole, sine ulla mutabilitate».
15
De Trin., VIII, 5.8: «Sed ex qua rerum notarum similitudine vel comparatione
credamus, quo etiam nondum notum Deum diligamus, hoc quaeritur».
16
un secondo passaggio: contemplare come questo Dio è il Dio tri-
nitario. Nel senso che l’intenzionalità della mia interiorità, nella
sua realtà profonda, è quella tale intenzionalità che è messa in
movimento dal ritmo stesso della vita di Dio che è la Trinità.
16
De Trin., VIII, 6.9: «Illud mirabile ut apud se animus videat quod alibi nusquam
vidit, et verum videat, et ipsum verum iustum animum videat, et sit ipse animus et non
sit iustus animus, quem apud se ipsum videt».
17
sempre di nuovo si entra e dal quale sempre di nuovo si è
superati e si è rimessi per strada. La misura rinvia sempre
oltre, è sempre al-di-là: l’attui, e nel momento in cui l’hai attua-
ta, non la possiedi, devi rimetterla in moto.
In te stesso, dunque, ma al di là di te stesso, rinvieni la misu-
ra del rapporto con ciò che è fuori di te stesso. In te stesso, al di là
di te stesso, fuori di te stesso. La trovi in te stesso, la misura, ma in
qualche cosa che è al di là di te stesso, in un confine che ti supera
dall’interno di te. In te stesso, ma al di là di te stesso, rinvieni
infatti quella misura che ti permette di giudicare con verità e
giustizia ciò che è fuori di te stesso – l’altro. Il rapporto di verità
e di giustizia con te e con l’altro, da te è misurato in Chi è al di là
di te. Tu sei attraversato da Chi ti trascende nella misura di te
stesso e dell’altro da te. Questo significa conoscere Dio non
conoscendolo ancora e amare Dio non conoscendo ancora di
amarlo: perché non conosci il volto di questa misura di giustizia
che scopri in te al di là di te. La giustizia, però, così non solo la
conosci perché è attraverso la sua misura che misuri te stesso e
misuri l’altro da te, ma anche l’ami, perché vi aderisci.
La misura è: veritas interior praesens. Agostino la chiama
anche “forma”, ciò che dà significato a quello che sei e a quello
che fai, il principio strutturante e identificante e orientante. La
verità s’esprime in una forma, ha una dinamica interiore che ne
esprime il significato di verità. «Dunque l’uomo che è ritenuto
giusto è amato secondo la verità che contempla ed intuisce in sé
colui che ama; questa forma e verità (ipsa vero forma et veritas)
però non si ama per un motivo diverso, ma per se stessa»17.
La verità, la forma, la misura che trovi al di là di te stesso e
che misura te stesso e l’altro da te è misurata solo da se stessa,
non ha fuori di sé un criterio di misura che la misuri – è misura a
se stessa. Sentenzia perciò Agostino: «Quidquid enim tale aspexe-
ris, ipsa est; et non est quidquam tale, quoniam sola ipsa talis est»18:
17
De Trin., VIII, 6.9: «Homo ergo qui creditur iustus, ex ea forma et veritate
diligitur, quam cernit et intellegit apud se ille qui diligit; ipsa vero forma et
veritas non est quomodo aliunde diligatur».
18
De Trin., VIII, 6.9.
18
ciò che tu vedi in essa come suo proprio, ciò che intuisci in que-
sta forma come forma, che cos’è? ipsa est, è essa stessa. Essa stes-
sa è la misura di se stessa che ti viene partecipata per grazia.
Ciò significa, ad esempio, che per capire che cos’è la giusti-
zia, devo entrare nella giustizia, devo lasciarmi docilmente
insegnare dalla giustizia stessa che cosa essa è: lo intuisco, ma
non è che io possa dire che c’è una forma di giustizia alla luce
della quale io giudico che cos’è la giustizia. La giustizia è giu-
stizia in se stessa, io partecipo della luce di che cos’è la giusti-
zia e in base a questa posso giudicare che cosa è giusto.
Ma tutto questo discorso non è che una preparazione alla
rivelazione che Dio fa di Se stesso come giustizia che è amore e
come amore che è Trinità.
19
De Trin., VIII, 7.10: «Quapropter non est praecipue videndum in hac quaestione,
quae de Trinitate nobis est, et de cognoscendo Deo, nisi quid sit vera dilectio, immo vero
quid sit dilectio».
19
ri di Dio. Dio in Se stesso mi dice qual è la misura di Se stesso,
la sua veritas, il suo ordo: la Trinità. La misura di amore, o di
giustizia o di verità, con cui misuro me stesso e l’altro da me,
ha la sua misura in Dio in quanto Egli è Trinità.
Rivelandosi Trinità, quel Dio che non conosco e che pure già
conosco ancora non conoscendolo, si mostra pertanto come l’oriz-
zonte entro il quale progressivamente acquisto la luce per misura-
re il mio rapporto con Lui, il mio rapporto con me e il mio rappor-
to con l’altro. La Trinità non è un meteorite che cade dal cielo e
che è periferico o accessorio alla mia vita: ma è piuttosto quello
spazio nel quale «vivimus, movimus et sumus» (cf. Atti 17,28).
Nella fede in Dio Trinità, in Gesù, il mediatore, mi è donata
e dunque anche richiesta una misura nel rapporto con Dio, con
me stesso e con l’altro che per grazia attinge la misura non
misurata di ciò che è al di là di me: la Trinità – che si rende pre-
sente a me per diventare la misura del mio rapporto con Dio,
con me stesso, con l’altro.
Questa misura è l’amore di Dio, l’amore che è Dio, Dio che
essendo amore è Trinità. È questo che riconosce l’atto di fede:
quando il mio spirito è toccato dall’esperienza in cui avverte
d’essere amato da Dio fino al punto che Dio, in Gesù, muore
per lui. «Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha
in noi» (1Gv 4,15): questo l’incipit e la summa della fede cristia-
na. La misura di questa giustizia è questo Dio che ti ama senza
se, senza ma, con una misura che è senza misura, dando la vita
per te. Quando sono raggiunto da questo evento e vi corri-
spondo nell’atto di fede, intuisco che l’amore di Dio è misurato
dal fatto che ... Dio è amore! L’amore che Dio ha per me ha la
sua misura nel fatto che in Dio non c’è niente che non sia amo-
re. Deus caritas est (1Gv 4,8.16).
Questa misura in Sé è la Trinità: che è dono totale di Sé del
Padre al Figlio, dono di risposta del Figlio al Padre in quel quo
sussistente che è lo Spirito Santo. Questo è il senso dell’essere.
L’ordo amoris è de Deo, è ordo trinitario.
Agostino, collocandosi all’interno dell’evento cristologico
partecipato nello Spirito Santo, riesce così a mostrare che il
20
senso dell’essere che si è è interiore al nostro essere in Cristo: il
che significa che è interiore alla vita trinitaria. Se già nel primo
momento, quello della giustizia, io sono atematicamente in
relazione a Dio, col dono del Figlio e dello Spirito Santo, Dio
mi chiama e mi accoglie in Sé in modo tale che divento prota-
gonista consapevole e responsabile di quella dinamica trinita-
ria in cui Dio si comunica pienamente rendendomi partecipe
per grazia della misura del suo stesso essere. Dio mi dà in
mano, nel cuore, nella mente la misura di Se stesso, e dandomi
la misura di Se stesso mi dà la chiave per diventare ciò che lui
vuol farmi, per dono: un altro Se stesso, figlio nel Figlio.
L’interpretazione che viene data per lo più di Agostino cir-
ca la cosiddetta “analogia psicologica” della Trinità viene qui
capovolta. Non è che Agostino cerchi il vestigio della Trinità
nell’interiorità per capire la Trinità a partire dalle cose create,
ma il contrario: cerca la Trinità nel fatto che Dio, la misura sen-
za misura, partecipa in Cristo e nello Spirito Santo Se stesso
all’interiorità della creatura.
20
De Trin., VIII, 7.10: «Quapropter non est praecipue videndum in hac quaestione, quae
de Trinitate nobis est, et de cognoscendo Deo, nisi quid sit vera dilectio, immo vero quid sit
dilectio. Ea quippe dilectio dicenda quae vera est; alioquin cupiditas est; atque ita cupidi
21
«Il vero amore consiste nell’aderire alla verità per vivere
nella giustizia»: ecco la definizione dell’amore che invera il
concetto di giustizia. Il vero amore è aderire alla verità, cioè a
quella misura che è ontologicamente inscritta nell’essere di Dio
stesso per vivere nella giustizia, cioè nell’ordine giusto in rife-
rimento a Dio, a sé, all’altro.
«Allora potremo giungere al punto anche di essere disposti
a morire per il bene dei nostri fratelli come il Signore Gesù Cri-
sto ci ha insegnato con il suo esempio»: per scoprire che cos’è
l’amore, trascendendo le cose mortali, devo dunque essere
disposto anche a dare la mia vita. Di qui un ulteriore approfon-
dimento circa i due comandamenti dell’amore. Agostino muo-
ve da un’osservazione pertinente: è vero che vi sono due pre-
cetti dell’amore in cui sono compendiati la Legge e i Profeti –
come dice Gesù (cf. Mt 22,40) –, uno che riguarda Dio e uno
che riguarda il prossimo, però nella Scrittura alcune volte si
parla dell’uno, l’amore di Dio, presupponendo l’altro, l’amore
del prossimo, oppure si parla dell’amore del prossimo, presup-
ponendo l’amore di Dio. Ciò significa che l’uno ha in sé l’altro,
così che quando ci viene comandato l’amore ci viene comanda-
to quell’ordo amoris per cui occorre prima amare Dio con tutto
se stessi e così amare il prossimo come se stessi.
La forma dell’amore è questa giusta misura che implica
l’amore di Dio e l’amore del prossimo. La verità dell’interiorità
– possiamo dire – è l’esteriorità e l’esteriorità è la verità dell’inte-
riorità: la verità del mio rapporto interiore con Dio è la verità
del mio rapporto esteriore con il fratello, e la verità del mio
rapporto esteriore col fratello è la verità del mio rapporto
interiore con Dio.
A ben vedere la cosa è dirompente! Quale la ragione onto-
logica di questa perfetta coappartenenza dei due precetti
dell’amore? Agostino – anticipo la risposta – intuisce che ciò
abusive dicuntur diligere, quemadmodum cupere abusive dicuntur qui diligunt. Haec est
autem vera dilectio, ut inhaerentes veritati iuste vivamus; et ideo contemnamus omnia mortalia
prae amore hominum, quo eos volumus iuste vivere. Ita enim et mori pro fratribus utiliter
parati esse poterimus, quod nos exemplo suo Dominus Iesus Christus docuit».
22
si dà perché Dio è Trinità. Egli ha scoperto che la verità
dell’interiorità è al di là dell’interiorità, nella trascendenza di
Dio: ma nella rivelazione cristiana la verità di quest’interiori-
tà, che è al di là di te, ti proietta fuori di te, nell’esteriorità. È
stupefacente anzi persino lacerante la cosa! Non è partito
Agostino dal «noli foras ire, rede in teipsum e transcende teip-
sum»? Scoprire la verità vuol dire guardare dentro di me, ma
una volta che ho scoperto la verità dentro di me e al di là di
me, questa verità si dà nel «ama il prossimo tuo come te stes-
so», e dunque mi scaraventa fuori. La misura di ciò è Dio Tri-
nità – una interiorità esteriorizzata, che guarda in Sé fuori di
Sé, perché il Padre guarda dentro di Sé, cioè in Dio, fuori di
Sé, nel Figlio, che è Dio anch’Egli.
La verità dell’interiorità di Dio è una esteriorizzazione che
non è contraddittoria all’interiorità ma la dispiega e la realizza.
Benché vi siano due precetti dai quali dipende tutta la Legge e i Pro-
feti: l’amore di Dio e l’amore del prossimo, non è senza motivo che la
Scrittura di solito ne ricordi uno per tutti e due, come in questo passo:
Sappiamo che per coloro che amano Dio, egli fa concorrere tutto al bene; ed
in quest’altro: Chiunque ama Dio, questi è conosciuto da lui; ed ancora:
Perché l’amore di dio è stato diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito San-
to che ci è stato dato, ed in molti altri passi. Perché chi ama Dio è natu-
rale che faccia ciò che Dio ha prescritto e lo ami, nella misura in cui lo
fa. Di conseguenza amerà anche il prossimo, perché Dio lo ha coman-
dato. Talvolta la Scrittura ricorda soltanto l’amore del prossimo, come
nel passo: Sopportate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di
Cristo; ed in questo: Tutta la Legge infatti si compendia in questo solo
comando: Ama il prossimo tuo come te stesso; e nel Vangelo: Tutto quanto
desiderate che gli uomini facciano a voi di bene, fatelo voi pure a loro; poiché
questa è la Legge ed i Profeti. E noi incontriamo nelle sante Scritture
molti altri passi, in cui solo l’amore del prossimo sembra comandato
per la perfezione, mentre non si parla dell’amore di Dio. E tuttavia la
Legge e i Profeti dipendono dall’uno e dall’altro precetto. Ma ancora
una volta la ragione di questo silenzio è che chi ama il prossimo ama
necessariamente, prima di tutto, l’amore stesso. Ora: Dio è amore, e chi
23
dimora nell’amore dimora in Dio. Ne consegue dunque che ama princi-
palmente Dio21.
Chi ama Dio è naturale che faccia ciò che Dio ha prescritto
e lo ami nella misura in cui Egli ama. Di conseguenza, amerà
anche il prossimo: perché Dio lo ha comandato. Ma ciò signifi-
ca che chi ama l’altro, per il fatto stesso che lo ama, ama l’amo-
re mediante cui ama l’altro. Amare l’altro vuol dire aderire a
quella legge dell’amore che scopro dentro di me e al di là di
me, e quindi amando l’altro amo l’amore e quest’amore con cui
amo l’altro, in definitiva, è Dio stesso. Quindi, amando l’altro,
amo Dio. Ecco il riassunto di tutto il discorso fin qui svolto:
«Dio è amore, e quelli che sono fedeli riposano con lui nell’amore;
perché andar correndo nel più alto dei cieli, nel più profondo
della terra, alla ricerca di Colui che è presso di noi se noi
vogliamo stare presso di lui?»22.
Dunque, «Nessuno dica: “non so che cosa amare”. Ami il fratel-
lo ed amerà l’amore stesso»23. L’amore, per sé, ha un oggetto che è
fuori di sé. Nell’amare devo amare quell’oggetto d’amore che è
fuori di me, essendo altro da me, e per me, creatura umana, l’al-
tro da me più vicino e più concreto è il fratello. Allora io amo il
21
De Trin., VIII, 7.10: «Cum enim duo praecepta sint in quibus tota Lex pendet et
Prophetae, dilectio Dei, et dilectio proximi, non immerito plerumque Scriptura pro utroque
unum ponit. Sive tantum Dei, sicuti est illud: Scimus quoniam diligentibus Deum omnia
cooperantur in bonum; et iterum: Quisquis autem diligit Deum, hic cognitus est ab illo; et
illud: Quoniam caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est
nobis; et alia multa, quia et qui diligit Deum consequens est ut faciat quod praecepit Deus,
et in tantum diligit in quantum facit; consequens ergo est ut et proximum diligat, quia hoc
praecepit Deus. Sive tantum proximi dilectionem Scriptura commemorat, sicuti est
illud: Invicem onera vestra portate, et sic adimplebitis legem Christi; et illud: Omnis enim lex in
uno sermone impletur, in eo quod scriptum est: Diliges proximum tuum tamquam te ipsum; et in
Evangelio: Omnia quaecumque vultis ut faciant vobis homines bona, haec et vos facite illis; haec
est enim Lex et Prophetae. Et pleraque alia reperimus in Litteris sanctis, in quibus sola
dilectio proximi ad perfectionem praecipi videtur, et taceri de dilectione Dei; cum in
utroque praecepto Lex pendeat et Prophetae. Sed et hoc ideo, quia et qui proximum
diligit, consequens est ut ipsam praecipue dilectionem diligat. Deus autem dilectio est, et
qui manet in dilectione, in Deo manet. Consequens ergo est ut praecipue Deum diligat».
22
De Trin., VIII, 7.11: «Deus dilectio est, et fideles in dilectione adquiescunt illi, revocati ab
strepitu qui foris est ad gaudia silentia. Ecce: Deus dilectio est. Utquid imus et currimus in
sublimia caelorum et ima terrarum quaerentes eum qui est apud nos, si nos esse velimus
apud eum?».
23
De Trin., VIII, 8.12: «Nemo dicat: “Non novi quod diligam”. Diligat fratrem, et
diligat eamdem dilectionem».
24
fratello e così innesco dentro di me il movimento dell’amore
per cui amo l’amore amando il fratello e amando il fratello
amo quel Dio che mi fa capace di amare il fratello. Se amo il
fratello faccio dunque due scoperte.
La prima è che, amando il fratello, aderisco a quella forma e
misura di amore che mi fa amare il fratello, e quindi in qualche
modo la conosco, la amo. Amando il fratello sono in presa diret-
ta con Dio, perché metto in movimento la relazione per la quale
sono in rapporto con Lui. Amando il fratello realizzo una cono-
scenza esperienziale in atto di Dio. Anche se al limite non lo so.
La seconda scoperta è che l’amore in virtù del quale amo il
fratello è più grande del mio cuore (cf. 1Gv 3,20), perché,
appunto, viene da Dio, è anzi Dio stesso. Sperimento, infatti,
che io non sarei capace di amare il fratello con vero amore se
dentro di me non fossi visitato, abitato, animato da un amore
che è più grande del mio cuore.
Ecco Agostino: «Ami il fratello ed amerà l’amore stesso. Infatti
conosce meglio l’amore con cui ama che il fratello che ama» 24. Se ti
soffermi un attimo sull’esperienza dell’amore al fratello costati
che egli rimane sempre altro da te, mentre l’amore con cui lo
ami lo conosci perché lo sperimenti dentro di te. Quindi, cono-
sci di più l’amore con cui ami che il fratello che ami. «Ed ecco
che allora Dio gli sarà più noto che il fratello; molto meglio
noto, perché più presente, più noto perché più interiore; più
noto perché più certo. Abbraccia il Dio amore e abbraccio Dio
con l’amore»25.
Come fai ad abbracciare il Dio che è amore? lo abbracci
nell’amore per il fratello. Abbracci interiormente Dio nel
momento in cui sei proiettato fuori di te nell’amore al fratello.
È quello stesso amore che associa tutti gli Angeli buoni e tutti i
servi di Dio con il vincolo della santità e che ci unisce scambievol-
24
De Trin., VIII, 8.12: «Magis enim novit dilectionem qua diligit, quam fratrem quem
diligit».
25
De Trin., VIII, 8.12: « Ecce iam potest notiorem Deum habere quam fratrem; plane
notiorem, quia praesentiorem; notiorem, quia interiorem; notiorem, quia certiorem.
Amplectere dilectionem Deum et dilectione amplectere Deum».
25
mente insieme, essi e noi, unendoci a lui che è al di sopra di noi.
Quanto più dunque siamo esenti dal gonfiore della superbia, tanto
più siamo pieni d’amore. E di che cosa è pieno se non di Dio colui
che è pieno d’amore?26.
26
De Trin., VIII, 8.12: «Ipsa est dilectio quae omnes bonos Angelos, et omnes Dei
servos consociat vinculo sanctitatis, nosque et illos coniungit invicem nobis, et subiungit
sibi. Quanto igitur saniores sumus a tumore superbiae, tanto sumus dilectione pleniores.
Et qui nisi Deo plenus est, qui plenus est dilectione?».
27
De Trin., VIII, 8.12: «At enim caritatem video, et quantum possum eam mente
conspicio, et credo Scripturae dicenti: Quoniam Deus caritas est, et qui manet in caritate in
Deo manet . Sed cum eam video, non in ea video Trinitatem».
28
De Trin., VIII, 8.12: «Sed commonebo, si potero, ut videre te videas; adsit tantum
ipsa, ut moveamur caritate ad aliquod bonum. Quia cum diligimus caritatem, aliquid
diligentem diligimus, propter hoc ipsum quia diligit aliquid».
26
ché l’amore suppone uno che ama un altro che è amato e che
risponde, ed è così l’amore tra i due: ha quindi una forma trini-
taria. Quando ami il fratello, anche senza saperlo, stai facendo
una confessione di fede trinitaria, stai vivendo la Trinità. L’on-
tologia trinitaria è/diventa la verità del tuo essere.
Agostino sviluppa il suo pensiero in 5 punti – che riassu-
mo per evidenziarne il filo conduttore.
i) Il primo punto: «Che cosa ama dunque la carità perché anche
la carità stessa possa essere amata? Non è infatti carità quella che non
ama nulla» (VIII, 8.12). La carità è carità quando ama di carità
qualcuno. La carità, infatti, è definita dall’oggetto verso cui è
indirizzata. Non possiamo fissare il “che cos’è” della carità in sé,
astraendo dall’oggetto vero il quale si muove, perché la carità è
tale quand’è in atto. Per illustrarlo, Agostino fa un paragone:
Ora questo, per partire da ciò che abbiamo di più prossimo, è il fra-
tello. Osserviamo quanto l’apostolo Giovanni ci raccomandi l’amore fra-
29
De Trin., VIII, 8.12: «Sicut enim verbum indicat aliquid, indicat etiam se ipsum, sed
non se verbum indicat, nisi se aliquid indicare indicet; sic et caritas diligit quidem se, sed
nisi se aliquid diligentem diligat, non caritate se diligit. Quid ergo diligit caritas, nisi quod
caritate diligimus?».
27
terno: Colui che ama il suo fratello, egli dice, dimora nella luce, e nessuno scan-
dalo è in lui. È chiaro che egli ha posto la perfezione della giustizia nell’a-
more del fratello; perché colui nel quale non c’è scandalo è perfetto30.
30
De Trin., VIII, 8.12: «Id autem, ut a proximo provehamur, frater est. Dilectionem
autem fraternam quantum commendet Ioannes apostolus attendamus: Qui diligit,
inquit, fratrem suum in lumine manet, et scandalum in eo non est. Manifestum est quod
iustitiae perfectionem in fratris dilectione posuerit; nam in quo scandalum non est, utique
perfectus est».
28
viene da Dio; colui che ama è nato da Dio, e conosce Dio. Chi non ama, non
ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. Questo contesto mostra in manie-
ra sufficiente e chiara che questo amore fraterno – infatti l’amore fra-
terno è quello che fa amare vicendevolmente – non solo viene da Dio,
ma che, secondo una così grande autorità, è Dio stesso. Di conseguen-
za, amando secondo l’amore il fratello, lo amiamo secondo Dio31.
31
De Trin., VIII, 8.12: «Apertissime enim in eadem Epistula, paulo post ita
dicit: Dilectissimi, diligamus invicem, quia dilectio ex Deo est; et omnis qui diligit ex Deo natus
est, et cognovit Deum. Qui non diligit, non cognovit Deum; quia Deus dilectio est. Ista contextio
satis aperteque declarat, eamdem ipsam fraternam dilectionem, (nam fraterna dilectio est,
qua diligimus invicem), non solum ex Deo, sed etiam Deum esse tanta auctoritate
praedicari. Cum ergo de dilectione diligimus fratrem, de Deo diligimus fratrem».
29
Egli è Dio, ma l’essere di Dio in quanto diventa esperienza e
dono per noi.
v) Questa reciprocità, accadendo nello Spirito Santo, è una
reciprocità che accade nel terzo:
Qual meraviglia, dunque, se chi è nella luce non vede la luce, cioè
non vede Dio, perché è nelle tenebre? Vede il fratello con sguardo uma-
no che non permette di vedere Dio. Ma se amasse colui che vede per
sguardo umano, con carità spirituale, vedrebbe Dio, che è la carità
stessa, con lo sguardo interiore con cui lo si può vedere. Perciò chi non
ama il fratello che vede, come potrà amare Dio che non vede, precisamente
perché Dio è amore, amore che manca a colui che non ama il fratello?32.
Nell’atto stesso in cui amo il fratello, sono nella luce perché sto
attuando l’intenzionalità del mio essere che è essere in Dio e vedere
in Dio tutte le cose nella loro verità, e cioè nel loro ordo amoris.
Uno sguardo semplicemente umano non permette di vede-
re Dio. «Ma se amasse colui che vede per sguardo umano, con carità
spirituale (spiritali caritate diligeret), vedrebbe Dio, che è la carità
stessa, con lo sguardo interiore con cui lo si può vedere»: lo sguardo
“spirituale” è lo sguardo imbevuto di Spirito Santo, che vede
Dio, che è Carità, «visu interiore quo videri potest».
32
De Trin., VIII, 8.12: «Qui ergo non est in lumine, quid mirum si non videt lumen, id
est non videt Deum, quia in tenebris est ? Fratrem autem videt humano visu, quo videri
Deus non potest. Sed si eum quem videt humano visu, spiritali caritate diligeret, videret
Deum, qui est ipsa caritas, visu interiore quo videri potest. Itaque qui fratrem quem videt
non diligit, Deum, quem propterea non videt, quia Deus dilectio est, qua caret qui fratrem non
diligit, quomodo potest diligere?».
33
De Trin., VIII, 8.12: «Nec illa iam quaestio moveat, quantum caritatis fratri
debeamus impendere, quantum Deo: incomparabiliter plus quam nobis Deo, fratri autem
quantum nobis ipsis; nos autem ipsos tanto magis diligimus, quanto magis diligimus
30
È un problema astratto proporsi asetticamente la questione
di come e quanto devo amare il fratello e di come e quanto
devo amare Dio. Ama, e quando ami metti in movimento den-
tro di te quel principio vitale per cui a Dio viene dato amore
«senza alcun confronto, più che a noi. Al fratello quanto a noi stessi.
Amiamo infine tanto più noi stessi quanto più amiamo Dio».
A questo punto si presenta però la domanda: com’è possi-
bile amare Dio più di se stessi, incomparabiliter plus quam nobis?
Come è possibile che io realizzi un atto d’amore per Dio con
un amore più grande di quello con cui amo me stesso? Io pos-
so amare qualcosa più di me solamente se in me c’è un amore
che mi trascende. Allora che cosa significa che amo Dio con
tutto me stesso più di me stesso? Significa che amo l’amore,
con cui amo me stesso e amo l’altro più di me stesso, con quel-
la misura che è senza misura.
Quindi, noi amiamo l’amore perché “vediamo” – direbbe
Agostino – che l’amore è il principio, lo spazio, il senso del
nostro amare. È solamente trascendendo i nostri oggetti di
amore nell’amore per quell’amore che è Dio stesso, che amia-
mo i nostri oggetti di amore con vero amore, un amore misura-
to dall’amore stesso.
Ed ecco la conclusione: «È dunque da una sola e identica
carità che amiamo Dio e il prossimo (ex una igitur eademque
caritate Deum proximumque diligimus)». Agostino non dice sem-
plicemente che si tratta allora della “stessa” carità, ma che è
“ex”, dall’unica e medesima carità che fluiscono i due precetti
dell’amore. C’è un’unica sorgente. È dalla stessa carità che
amiamo Dio e amiamo il prossimo.
«Amiamo Dio per se stesso, noi stessi invece e il prossimo per Dio
(propter Deum)». Cosa vuol dire questo “per Dio”? Propter vuol
dire in ragione di, è causale. Propter Deum, in ragione di Dio,
vuol dire amare il prossimo secondo Dio e in Dio, con quella
misura cioè che è propria di Dio e che Dio è a Se stesso. La crea-
Deum. Ex una igitur eademque caritate Deum proximumque diligimus, sed Deum
propter Deum, nos autem, et proximum propter Deum».
31
tura umana ha questa incredibile vocazione: è se stessa quando
la ragione del suo essere è Colui che è al di là del suo essere,
come suo principio e fine. L’essere umano è se stesso là e quando la
ragione del suo essere è Colui che è al di là di lui – Dio Trinità.
13. Che è dunque l’amore o carità (dilectio vel caritas), tanto lodato
e celebrato dalle divine Scritture, se non l’amore del bene? Ma l’amore
suppone uno che ama e con l’amore si ama qualcosa. Ecco tre cose:
colui che ama, ciò che è amato, e l’amore stesso. Che è dunque l’amo-
re se non una vita che unisce, o che tende a che si uniscano due esseri,
cioè colui che ama e ciò che è amato?34.
34
De Trin., VIII, 10.14: «Quid est autem dilectio vel caritas, quam tantopere Scriptura
divina laudat et praedicat, nisi amor boni? Amor autem alicuius amantis est, et amore aliquid
amatur. Ecce tria sunt: amans, et quod amatur, et amor. Quid est ergo amor, nisi quaedam vita
duo aliqua copulans, vel copulari appetens, amantem scilicet, et quod amatur?».
32
una fonte più pura e cristallina, calpestiamo con i piedi la carne (calca-
ta carne) ed eleviamoci fino all’anima (ascendamus ad animum). Che
ama l’anima in un amico, se non l’anima? Anche qui dunque ci sono
tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore. Ci rimane di ele-
varci ancora e cercare più in alto queste cose, per quanto è concesso
all’uomo di farlo35.
35
De Trin., VIII, 10.14: «Et hoc etiam in extremis carnalibusque amoribus ita est. Sed
ut aliquid purius et liquidius hauriamus, calcata carne ascendamus ad animum. Quid
amat animus in amico, nisi animum? Et illic igitur tria sunt: amans, et quod amatur, et
amor. Restat etiam hinc ascendere, et superius ista quaerere, quantum homini datur».
33
alla salvezza. “Calcata carne” tronca la questione. Ma così la
luminosità cui è pervenuto si scontra con l’imperativo di eli-
minare la carne in senso negativo. Il che può rischiare, e di
fatto rischia, di eliminare la carne anche in senso positivo.
Nei libri seguenti Agostino andrà in questa direzione. Se la
Trinità è questo rapporto – amante, amato e amore tra i due – allo-
ra il rapporto uomo/donna ha qualcosa di trinitario, si chiederà
più oltre? Dal punto di vista biblico senz’altro. Ma Agostino sotto-
linea che c’è di mezzo la concupiscenza, per cui la sua risposta è
lapidaria: ubi sexus nulla Trinitas36. Rimarcando che non si può per-
correre la via della carne, Agostino blocca lo sviluppo del pensie-
ro cui è giunto, anche se dice una cosa importante: non è scontato,
in effetti, coniugare éros e agápe. La visione cristiana, nei secoli suc-
cessivi, scoprirà che l’amore è sempre mediato dalla carne: basti
pensare a Francesco d’Assisi. Ma la carne dev’essere trasfigurata
e, quindi, crocifissa nel senso di donata per amore. L’amore
dev’essere pienamente umano, quindi anche “carnale”, ma di una
carnalità non autoreferenziale, non possessiva, liberata, trasfigu-
rata. Per quanto è possibile. In cammino.
Questa carne trasfigurantesi è il luogo dello Spirito. Non per nien-
te riceviamo lo Spirito attraverso l’Eucaristia: «se non mangiate la
carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete
in voi la vita» (Gv 6,53). Cristo, per darci il suo Spirito, si fa carne,
muore, si fa pane. Come dice Papa Francesco, se non tocco la car-
ne del prossimo, non sono in relazione vera con lui.
36
L’approfondimento della questione si trova nel libro XII. Il ragionamento – assai
articolato – che Agostino vi sviluppa in proposito è imperniato sulla distinzione tra la
corporeità dell’uomo e la sua razionalità («non secundum formam corporis homo factus est
ad imaginem Dei, sed secundum rationalem mentem»; De Trin., XII, 7.12) e perviene alla
conclusione secondo cui «Ubi sexus nullus est, ibi factus est homo ad imaginem Dei, ubi
sexus nullus est, hoc est in spiritu mentis suae» (ibid.).
34
solito colui che ha trovato il luogo in cui deve cercare qualche cosa;
non l’ha ancora trovata, ma ha trovato dove cercarla. Che queste
riflessioni ci bastino e siano come il primo filo a partire dal quale noi
tesseremo il resto della nostra trama37.
37
De Trin., VIII, 10.14: «Sed hic paululum requiescat intentio, non ut se iam existimet
invenisse quod quaerit, sed sicut solet inveniri locus, ubi quaerendum est aliquid.
Nondum illud inventum est, sed iam inventum est ubi quaeratur. Ita hoc dixisse
suffecerit, ut tamquam ab articulo alicuius exordii cetera contexamus». Traduco “intentio”
con “attenzione” nel senso pregnante in cui usa questo termine Simone Weil: come
apertura e tensione dello spirito ad accogliere in sé la luce di Dio.
35
La “trinitarietà” dell’amore, in questo locus, non è una
semplice analogia, uno specchio che rimanda a qualche cosa
d’altro, ma è partecipazione dall’interno a questa realtà che è
l’amore di Dio, partecipazione donata, certamente, ma reale
alla vita di Dio: l’essere inseriti grazie allo Spirito Santo nella
vita trinitaria. Agostino intuisce infatti che vivendo l’amore
siamo in Dio realmente, ne tocchiamo la sostanza, siamo già
nell’eterno.
b) Una seconda domanda: che cosa vuol “vedere” Agosti-
no in questo locus? Per lui è chiaro in tutto il percorso del De
Trinitate: ciò che egli vuol “vedere” è la Trinità in Sé.
Potremmo dire che il locus ritrovato – l’amore reciproco tra
i fratelli nello Spirito Santo – costituisce la pre-comprensione
vitale, vissuta nello Spirito, di Dio in Sé. Quello che Agostino
vuol fare ora è il passaggio da Dio in noi a Dio in Sé. Se si fer-
masse al Dio in noi, ancora si potrebbe rischiare d’identificare
l’alterità di Dio con questa unità con il fratello che così è speri-
mentata. In verità, tale presenza di Dio nell’amore reciproco
rimanda a Dio in Se stesso: la Trinità esercitata nel rapporto
d’amore reciproco presuppone e rinvia alla Trinità in Sé.
Trovato il luogo, ascendamus, spicchiamo il volo per “vede-
re” la Trinità in Sé. Questo movimento analogico presuppone
però un movimento catalogico. Puoi ascendere a Dio perché
Dio Trinità è disceso verso di te. Si dà una circolarità ermeneu-
tica tra Dio in noi e Dio in sé. È evidente che una volta che sei
salito a Dio – per videre Trinitatem, come dice Agostino – avrai
poi negli occhi la luce per vedere meglio la presenza di Dio in
noi, perché la tua visio l’hai definitivamente purificata e immer-
sa nel sole di Dio.
E tuttavia Agostino non riesce ad ascendere da questo locus
alla Trinitas. Non riesce a fissare lo sguardo in alto, a motivo
della pienezza di luce che allora lo investe.
36
Se cerchiamo di ricordarci in quale momento, nel corso di questi
libri, al nostro intelletto è cominciata a apparire la Trinità troviamo
che fu nel libro ottavo. In questo libro infatti, per quanto lo abbiamo
potuto, abbiamo tentato con le nostre analisi di innalzare l’attenzione
(intentio) dello spirito fino all’intelligenza di quella suprema e immu-
tabile natura che il nostro spirito non è. Tuttavia noi la contemplava-
mo non lontana da noi, e al di sopra di noi, (...) in modo che sembrava
stare presso di noi per la pienezza della sua luce. In essa tuttavia non
ci appariva ancora la Trinità, perché non tenevamo fermo lo sguardo
dello spirito su quello splendore per cercarla. Ma quando si giunse
alla carità, che è stata chiamata Dio nelle Sacre Scritture, il mistero si
chiarì un poco con la trinità dell’amante, dell’amato e dell’amore38.
38
De Trin., XV, 6.10: «Si enim recolamus ubi nostro intellectui coeperit in his libris
Trinitas apparere, octavus occurrit. Ibi quippe, ut potuimus, disputando erigere
tentavimus mentis intentionem ad intellegendam illam praestantissimam
immutabilemque naturam, quod nostra mens non est. Quam tamen sic intuebamur, ut
nec longe a nobis esset, et supra nos esset, non loco, sed ipsa sui venerabili mirabilique
praestantia, ita ut apud nos esse suo praesenti lumine videretur. In qua tamen nobis
adhuc nulla Trinitas apparebat, quia non ad eam quaerendam in fulgore illo firmam
mentis aciem tenebamus. Sed ubi ventum est ad caritatem, quae in sancta Scriptura Deus
dicta est, eluxit paululum Trinitas, id est, amans, et quod amatur, et amor».
37
– dice Agostino – una digressione «tra ciò che avevamo comin-
ciato a dire e ciò che volevamo dire». Ci siamo fermati, cioè,
sulla soglia, perché non riuscivamo a penetrare in questa lux
ineffabilis. Ci siamo così rivolti al nostro spirito, secondo il qua-
le l’uomo è stato fatto a immagine di Dio – l’uomo interiore – e
vi abbiamo trovato un oggetto di studio più a noi familiare per
riposare la nostra intentio affaticata. Un ripiego, dunque. «Et
ecce iam quantum necesse fuerat, aut forte plus quam necesse fuerat,
exercitata in inferioribus intellegentia ad summam Trinitatem quae
Deus est, conspiciendam nos erigere volumus, nec valemus».
Agostino aveva terminato il Libro VIII dicendo che quanto
detto era sufficiente come un primo filo a partire del quale tes-
sere l’ulteriore discorso. Ora vuole riprendere il filo: vuole
compiere il balzo, innalzarsi a contemplare la Trinità in Sé,
videre Trinitatem – e però nec valemus, non vi riusciamo!
Questo, a mio avviso, è l’esito aperto, interrotto, struggen-
te, di tutto il percorso del De Trinitate.
39
Cf. H.U. von Balthasar, Gloria V: Nello spazio della metafisica. L’epoca moderna, tr. it.,
Jaca Book, Milano 1978, 31.
38
so la mediazione della corporeità. Di qui l’accento di nostalgia
escatologica con cui si chiude il De Trinitate. Il punto di fuga
della ricerca rimane l’attesa e l’invocazione di quell’esperienza
di Dio Trinità in Dio, alla fine dei tempi, in cui si realizzerà
anche la perfetta e universale reciprocità:
40
De Trin., XV, 28.51: «Sapiens quidam cum de te loqueretur in libro suo, qui
Ecclesiasticus proprio nomine iam vocatur: Multa, inquit, dicimus, et non pervenimus, et
consummatio sermonum universa est ipse . Cum ergo pervenerimus ad te, cessabunt multa ista
quae dicimus, et non pervenimus; et manebis unus omnia in omnibus : et sine fine dicemus
unum laudantes te in unum, et in te facti etiam nos unum».
39
40
Indice
Prefazione
di Vincenzo Cicero, Alfredo Gatto, Claudio Moreschini 7
Sezione patristica
Claudio Moreschini
Una substantia, tres personae. Tertulliano e gli inizi
dell’ontologia trinitaria in Occidente 13
1. Cristianesimo e filosofia greca del secolo II 13
2. Il Logos di Dio e la sua generazione dal Padre 14
3. Un abbozzo di dottrina trinitaria 19
4. Contro la dottrina del Logos: il modalismo e Prassea 20
5. Sull’eresia monarchiana 22
6. Teologia trinitaria di Tertulliano 24
7. Persona 27
7.1. ‘Persona’ nel mondo latino 27
7.2. ‘Persona’ nell’esegesi scritturistica 28
7.3. ‘Persona’ in Tertulliano 30
7.4. Il Figlio 36
7.5. Lo Spirito 38
8. Conclusioni 39
Domenico Pazzini
Origene. L’ontologia trinitaria fra economia e teologia 43
1. Percorso diacronico 43
2. Ontologia ed episteme 48
41
Vito Limone
Ousía, hypóstasis, hypokeímenon.
Il lessico trinitario del ‘Commento a Giovanni’ di Origene 55
1. Introduzione 55
2. Orat. 27,7-8: i significati platonico, stoico e cristologico
di ouèsi@a 56
3. L’uso di ouèsi@a nel ‘Commento a Giovanni’ 59
3.1 CIo 1,24,151-152 59
3.2 CIo 2,2,16 60
3.3. CIo 2,10,74 62
3.4. CIo 2,23,149 63
3.5. CIo 6,38,188 64
3.6. CIo 10,37,246 65
4. eèk th^v ouèsi@av: il caso di FrIo 9 67
Giulio Maspero
L’ontologia trinitaria nei Padri Cappadoci:
prospettiva cristologica 69
1. Introduzione 69
2. Antecedenti 70
3. Basilio 74
4. Gregorio di Nazianzo 77
5. Gregorio di Nissa 83
6. Conclusione 90
Piero Coda
«Fraterna dilectio non solum ex Deo sed etiam Deus est».
L’ontologia trinitaria nel Libro VIII
del De Trinitate di Agostino 105
Alessandro Clemenzia
Quaestio de unitate et de alteritate in Deo nella riflessione
di Agostino d’Ippona 143
1. Introduzione: l’ontologia trinitaria come orizzonte teo-logico 143
2. L’unità di Dio in Dio 147
42
2.1. L’unità divina nella comune essenza 148
2.2. L’unità divina nello Spirito Santo 151
2.3. L’unità come evento intratrinitario 155
3. Conclusioni 157
Giuseppe Girgenti
L’origine porfiriana della formula trinitaria
μία οὐσία, τρεῖς ὑποστάσεις 159
Sezione medioevale
Davide Penna
«Amor ipse intellectus est». Amore e conoscenza
in Guglielmo di Saint-Thierry 181
1. La ricerca del volto di Dio come desiderium absentis 181
2. Videre est esse: l’esigenza trinitaria 184
3. Ratio transit in amorem: la via di Davide 186
4. La sapientia come unitas spiritus 192
Andrea Tagliapietra
Gioacchino da Fiore e la musica del Salterio a dieci corde.
Grammatica e metaforica della Trinità 195
Emanuele Pili
Abbandono e relazione: l’evento della croce
nella Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino 219
43
Mauro Mantovani
Quale “ontologia trinitaria” in Tommaso d’Aquino?
Una discussione aperta 229
1. Introduzione 229
2. Un’opera giovanile: il De ente et essentia 232
3. La prima opera “sistematica”: il Commento alle Sentenze 233
4. Un interesse costante 236
5. Alcune note conclusive 238
Marco Vannini
Divinità, Dio, Trinità in Meister Eckhart 241
Marco Ivaldo
L’idea della trinità nella Staatslehre di Fichte 249
1. «Vecchio» e «Nuovo mondo» 249
2. Il «regno dei cieli» 251
3. Principi di una cristologia filosofica 254
4. La visione trinitaria 258
5. Spirito dal Padre e Spirito santo 262
6. Due critiche 266
Vincenzo Cicero
Kenosis dell’Assoluto.
Del negativo nella cristologia hegeliana 269
1. Kenosis, autodifferenziazione dell’Assoluto, negatività 269
2. Kenosis e povertà di spirito nel Servo maltrattato 272
3. La kenosis del Logos e i limiti della posizione hegeliana 278
Claudia Cimmarusti
Hegel e la dialettica trinitaria tra la Scienza della logica
e la Fenomenologia dello spirito 283
1. Dal privilegio ermeneutico: identità speculativa
e «rinuncia al monismo hegeliano» 283
2. Hegel e l’ontologia trinitaria: un confronto possibile? 289
44
3. Ipotesi sull’Aufhebung 293
4. Sull’intersoggettività: dalla Fenomenologia alla Logica 296
Francesco Tomatis
Principi primi e potenze trinitarie nell’ultimo Schelling 299
Filippo Silva
‘De generatione aeterna’. La polemica di Schelling
con i ‘teologi’ (Philosophie der Offenbarung, Vorlesung XV) 313
Lorena Catuogno
Klaus Hemmerle e Antonio Rosmini: il rinnovato equilibrio
tra teologia e filosofia quale presupposto di una
ontologia trinitaria 325
1. Klaus Hemmerle. La ricerca di una nuova ontologia
a partire dal duplice apriori della teologia 326
2. Antonio Rosmini. La Trinità e la triadicità dell’essere alla
luce dei fondamenti ontologici della conoscenza naturale e
di quella soprannaturale 331
3. Conclusione 337
45