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ISSN 2280-8728
Filosofia
«Le due città non sono riconoscibili in questo fluire dei tempi e sono
Agostino e la sua eredità
fra di loro commischiate, fino a che non siano separate dall’ultimo giu-
dizio». Con queste parole Agostino consegna alla cultura occidentale
la prima proposta, da un punto di vista cristiano, di una visione or-
ganica della storia nella quale bene e male – la città di Dio e la città
terrena – sono da sempre presenti e profondamente legati. È alla luce
della rivelazione trinitaria che sarà possibile rileggere la storia in un’ot-
tica pienamente positiva in cui dall’esperienza del male vinto emergerà
l’Amore, lo stesso che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nel
periodo delle invasioni barbariche che sconvolsero l’Impero Romano, le
riflessioni dell’Ipponate gettano le basi per costruire una nuova epoca
e forniscono una prospettiva epistemologica che diverrà il fondamento
di gran parte del pensiero filosofico e teologico. Dal Medioevo al Rina-
scimento, fino alle incertezze tipiche della contemporaneità indecisa fra VITO LIMONE
postmoderno e dopomoderno: l’eredità di Agostino attraversa i secoli
– un’eredità qui esemplificata attraverso Scoto Eriugena, Guglielmo di GIULIO MASPERO (eds.)
Saint-Thierry, il Cinquecento spagnolo, Fichte, Rosmini, Scheler, Sciac-
ca, Ricoeur, Chrétien, Marrou e Marion – e offre spunti sempre attuali
per riflettere sul rapporto tra Dio e il mondo, tra eternità e tempo. Agostino e la sua eredità
Teologia, filosofia e letteratura
VITO LIMONE è ricercatore di Storia del Cristianesimo e delle Chiese
all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Per Morcelliana ha pub-
LIMONE - MASPERO (eds.)
blicato Origene e la filosofia greca. Scienze, testi, lessico (2018).
GIULIO MASPERO è professore di Teologia dogmatica alla Pontificia Uni-
versità della S. Croce (Roma). Per Morcelliana ha pubblicato Dio trino perché
vivo. Lo Spirito di Dio e lo spirito dell’uomo nella patristica greca (2018).
Scritti di: Maria Benedetta Curi, Benedetta Sonaglia, Andrea Tagliapietra,
Piero Coda, Piotr Zygulski, Ilaria Vigorelli, Enrico Moro, Davide Penna, Ja-
vier Roberto González, Maurizio Maria Malimpensa, Filippo Silva, Emanuele
Pili, Valentina Gaudiano, Lorena Catuogno, Raul Buffo, Cecilia Avenatti de
Palumbo, Giovanni Catapano, Alessandro Clemenzia, Gaetano Lettieri.
€ 32,00
piero coda
DALL’INCONTRO ALLA PRESENZA.
NOTE PER UNA FENOMENOLOGIA DELL’INVENTIO
DELL’ONTOLOGIA TRINITARIA NELLE CONFESSIONI
DI AGOSTINO (LIBRI VII-IX)
1. L’inventio dell’ontologia trinitaria
Con Agostino d’Ippona si dischiude un orizzonte nuovo, per la terra d’Oc-
cidente ma non solo, nella storia dell’essere: e cioè – per dirla con le sue
stesse parole – nella storia del quaerere la Luce della Verità che per sé invita
a deambulare insieme nella Civitas, con responsabilità e creatività, al chiarore
appunto di questa Luce. Dall’incontro, trasformante, con la Luce della Verità
alla Presenza trasfigurante nella Luce della Verità. Con tutti i limiti del caso,
è ovvio: perché d’impresa umana si tratta, e dunque provvisoria e tentativa,
anche se ispirata e sostenuta dalla Grazia. Ma che segna un punto di non ri-
torno nella storia dell’essere. Perché nell’avventura esistenziale e intellettuale
di Agostino assistiamo dal vivo, nella profondità acuminata dell’anima – là
dove s’incrociano in groviglio inestricabile la ricerca di sé e la ricerca di Dio
nella ricerca della Luce della Verità – all’incontro agonico prima e alla Presen-
za pacificante poi, ma in entrambi i casi bruciante di desiderio, del quaerere
antico e sempre attuale che s’esprime nella philo-sophia con l’imprevedibile
e sempre nuovo farsi disponibile di ciò/di Chi «oculus non vidit nec auris
audivit nec in cor hominis ascendit» ma «Deus praeparavit his qui diligunt
illum» (1Cor. 2, 9).
Ciò accade, in Agostino, perché è accaduto l’evento di Gesù Cristo, il Lo-
gos fatto carne (Gv. 1, 14) che istituisce ephápax, una volta per sempre, nel
soffio dello Spirito, l’evento della Chiesa suo Corpo totale, quella Chiesa –
intendo – che, secondo le parole del Nuovo Testamento, è il πλήρωμα «di
Colui che è riempito tutto in tutte le cose» (Ef. 1, 23: «ἥτις ἐστὶν τὸ σῶμα
αὐτοῦ, τὸ πλήρωμα τοῦ τὰ πάντα ἐν πᾶσιν πληρουμένου»), il luogo panumano
e pancosmico nel quale l’evento di Gesù Cristo va facendosi lungo i seco-
li, trasmettendosi e comunicandosi, crescendo e sviluppandosi come evento
dell’umanità nuova in Lui: «sino a (diventare) uomo perfetto, nella misura che
conviene alla pienezza di Cristo» (Ef. 4, 13: «εἰς ἄνδρα τέλειον, εἰς μέτρον
ἡλικίας τοῦ πληρώματος τοῦ Χριστοῦ»). Con Agostino – che non è certo il
primo, né l’unico, pur diventandone interprete così singolare da provocare
un’inesausta e si direbbe fin quasi inesauribile Wirkungsgeschichte – ciò acca-
de nel pensare e come pensare: sul terreno appunto scoperto e dissodato dalla
philo-sophia, con ciò stesso invitandola però e provocandola a cambiare di
62 Piero Coda
luogo e a mutare di forma: senza minimamente snaturarne l’intrinseca voca-
zione, ma indirizzandola con definitività all’inedito télos cui tutta e sempre in
verità è per sé tesa. Perché di un pensare che è vita ormai si tratta, vita intrisa
dell’Eterno verso il cui compiersi il pensare in sé e per sé è proiettato nel
farsi sin d’ora casa dell’E/essere che in Cristo – nell’irriducibile grazia che è
insieme agonica tensione e responsabilità in ordine a tale compimento – spe-
rimenta accadere.
Tale nuova forma del pensare, di cui Agostino si fa docile e geniale inter-
prete, non è teo-logia nel significato specifico e ristretto che il termine acqui-
sterà nel tempo della modernità: quale intelligenza della fede per principio e
con rigore distinta dall’intelligenza della pura ragione. No. È onto-logia nel
senso più classico e universale del concetto: intelligenza dell’E/essere nel-
la situazione inedita d’esistenza in cui la introduce il Cristo. È – possiamo
infine dire oggi, edotti dalla tormentata parabola conosciuta dal pensiero in
terra d’Occidente, a seguito di questi decidenti eventi della storia dell’essere
e della loro interpretazione – ontologia trinitaria: illuminazione performativa
del senso dell’E/essere nel bagno di Luce e di Vita di Dio Trinità che si fa pre-
sente e operante nella trama variegata e agonica delle relazioni umane nella
dimora comune che è il mondo. Si può di qui comprendere, a posteriori, per-
ché il gigantesco opus magnum di Agostino, che al tempo stesso costituisce il
cruciale Grund-Text del pensiero occidentale nella confluenza di philo-sophia
greca e Rivelazione ebraico-cristiana, sia – e altro non avrebbe potuto essere –
il De Trinitate. Perché il pensiero di Agostino segna di fatto e di diritto, nella
terra d’Occidente, l’inventio di un’ontologia formalmente trinitaria, iniziale
quanto si vuole: ma proletticamente e prospetticamente decisiva.
Ora – e non lo dobbiamo dimenticare per non incorrere nel rischio di smi-
nuirne la portata e d’inficiarne l’interpretazione – di un evento a tutto tondo
si tratta: non semplicemente un’avventura speculativa di nuovo conio, ma un
“entrare” col pensiero nella regione nuova dell’essere in cui il Cristo ha in-
trodotto la storia dell’uomo. Dall’incontro con la Verità alla Presenza della
e nella Verità: in un quaerere che tale restando si fa deambulare, non da soli
ma lungo i sentieri disegnati dalla via caritatis, come Agostino la chiama.
Questo il significato dell’effato in cui culmina l’inventio descritta nel libro
viii del De Trinitate: «Immo vero vides Trinitatem si caritatem vides».1 Per-
ché in definitiva – è ancora Agostino a richiamarlo nell’ultima pagina del De
Trinitate – si tratta d’esercitare con pertinenza e rigore il desiderio di «intel-
lectu videre quod credidi».2 Dalla fides alla intelligentia fidei, dunque, spinti e
1
Augustinus, De Trinitate, viii, 8, 12; l’edizione del De Trinitate seguìta è: Agostino.
La Trinità, intr. A. Trapè e M.F. Sciacca, tr. it. G. Beschin, Città Nuova, Roma 1973, che
riproduce il testo latino dell’edizione maurina, confrontato con quello dell’edizione della
serie “Corpus Christianorum”, cfr. De Trinitate libri xv, 2 voll., eds. W.J. Mountain e F.
Glorie, Turnhout, Brepols 1968 (“Corpus Christianorum Series Latina”, 50 e 50A).
2
Ibi, xv, 28, 51.
Dall’incontro alla presenza 63
guidati dal desiderium videndi Deum. Perché la fides stessa, in se stessa e per
se stessa, è videre: «e vide e credette» (Gv. 20, 8), non si dice proprio questo
del discepolo – quello che Gesù amava – quando s’affaccia al sepolcro dove
il Crocifisso ormai non è più? Un videre, quello della fides, principiale, certo,
a tratti luminoso e abbagliante, a tratti oscuro e accecante, perché exercitium
che chiama il pensiero – passando per la notte della Croce – in una nuova e
luminosa regione dell’essere e così nella nuova forma del pensare che gra-
tuitamente e costosamente gli corrisponde. Tanto che l’intellectu videre, cui
inesorabilmente tende il pensare di Agostino, s’accredita come la forma intel-
lettualmente dispiegantesi del videre che la fides promette nell’incontro, e che
dalla fides è destinato a sbocciare nella Presenza.
È precisamente sul significato e sulla dinamica di questa strabiliante in-
ventio, in actu exercito, dell’ontologia trinitaria nel pensiero di Agostino, che
in questi ultimi anni – sollecitato e direi guidato dall’esperienza del pensare
insieme condotta a lezione con gli studenti dell’Istituto Universitario “Sophia”
– mi sono di più in più soffermato con crescente attenzione e che, in sintesi
provvisoria ed euristica, vorrei in questa sede a voi proporre.3 È infatti per me
una progressivamente maturata convinzione che abbiamo qui a che fare con
il profilo epistemicamente decidente della performance intellettuale di Ago-
stino, la quale – con accenti e sfumature diverse – segnerà (e segna) il percor-
so del pensiero che in terra d’Occidente va da Anselmo d’Aosta a Tommaso
d’Aquino a Meister Eckhart, da Scoto Eriugena a Bonaventura da Bagnoregio
a Duns Scoto, da Ildegarda di Bingen e Caterina da Siena a Teresa d’Avila e
Giovanni della Croce, da Hegel e Schelling ad Antonio Rosmini, Sergej Bul-
gakov e Pavel Florenskij, per sostare sulla soglia del ’900 e assistere, specie
negli ultimi decenni, alla riproposizione a livello riflesso e consapevole della
quaestio risolutiva attorno alla quale s’istituisce un’ontologia trinitaria: quella
della forma evenienziale e reciprocante della visio in intellectu de Trinitate e
in Trinitate del senso dell’E/essere.4
3
Mi limito a richiamare tre saggi in cui ho cercato di offrire i risultati parziali e prov-
visori di questa ricerca: Sul luogo della Trinità: rileggendo il “De Trinitate” di Agostino,
Città Nuova, Roma 2008; Visio Trinitatis. Il “De Trinitate” di Agostino tra desiderio e
interruzione, in «Sophia» iv, 1(2012), pp. 17-33; “Fraterna dilectio non solum ex Deo sed
etiam Deus est”. L’ontologia trinitaria nel Libro viii del “De Trinitate” di Agostino, in:
Trinità in relazione. Percorsi di ontologia trinitaria dai Padri della Chiesa all’Idealismo
tedesco, ed. C. Moreschini, Edizioni Feeria/ Comunità di San Leolino, Panzano in Chianti
(Firenze) 2015, pp. 105-142.
4
Mi permetto di rinviare a La Trinità come pensiero. Un manifesto, in «Sophia»
ix, 1(2017), pp. 9-17; con alcune “glosse” a cura di M.B. Curi in: Para una ontología
trinitaria. Si la forma es relacíon, tr. spagn. R. Buffo, Agape Libros, Buenos Aires 2018,
pp. 15-38.
64 Piero Coda
2. Le Confessioni: il presupposto e lo sfondo fenomenologico dell’on-
tologia trinitaria
Inoltrandomi in questa specifica prospettiva di ricerca, ho scoperto e ve-
rificato con stupore e gioia che l’inedita avventura ontologica tracciata nel
De Trinitate – che originariamente aveva catturato la mia attenzione in rife-
rimento all’istituzione di un’ontologia trinitaria – ha il suo invalicabile pre-
supposto fenomenologico nell’avvincente racconto consegnato al libro delle
Confessioni: a testimonianza che, nel pensiero di Agostino, si dà l’inventio di
un’ontologia trinitaria perché e solo perché la sua esperienza esistenziale è
segnata – e prima capovolta – dall’incontro con il Dio che trinitariamente si
rivela e comunica Trinità all’umanità in Cristo come Chiesa (nel senso prima
descritto). Scrive Hemmerle nelle Thesen zu einer trinitarischen Ontologie:
«Un’ontologia trinitaria si dischiude soltanto per colui che dona se stesso a
questo dar-si di Dio, per colui che non solo il suo pensiero, ma anche la sua
esistenza offre nel movimento di risposta al donarsi di Dio […]. Egli trapassa
in una nuova fenomenalità, la quale si mostra anche a chi ne è fuori, non in
maniera automatica o cogente ma come invito a prendere una decisione» (n.
27).5
Di qui il circolo ermeneutico – tra il De Trinitate e le Confessioni, tra l’on-
tologia della e nella Trinità e la fenomenologia dell’esperienza d’incontro, sino
alla Presenza, con Dio Trinità – che occorre sempre di nuovo ripercorrere in
un movimento a spirale per penetrare nelle viscere dell’intramontabile lezione
di vita e della discriminante eredità di pensiero che Agostino ci consegna.6
5
K. Hemmerle, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, in Id., Ausgewählte Schrif-
ten, ii. Unterswegs mit dem dreieinen Gott, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1996, pp. 124-161,
qui p. 151 (tr. it. nostra): «Sie erschließt sich nur dem, der diesem göttlichen Sich-Geben
sich selber gibt, der in die antwortende Bewegung des Sich-Gebens nicht nur sein Denken
[…]. Er stößt durch in eine neue Mitte der Phänomenalität, die auch demAußenstehenden
sich bezeugt – freilich nicht automatisch, nicht zwingend, sondern ihn zur Entscheidung
einladend».
6
Ciò, lo annoto per inciso, viene incontro all’invito esplicitamente formulato da Hem-
merle stesso nelle Thesen: la fenomenologia dell’amore come fenomenologia del darsi
(Sich-Geben), introdotta nella speculazione dell’essere da Bonaventura da Bagnoregio e,
«con decisive aperture (gewichtigen Ansätzen)», anche da Agostino (n. 17) costituisce di
fatto lo sfondo (Hintergrund) di un’ontologia trinitaria (n. 19). Anche se l’esecuzione che
per intanto propongo va in una direzione complementare: perché non punta a una feno-
menologia dell’amore in generale ma a una fenomenologia dell’incontro e della Presenza
di Dio Amore nell’esperienza esistenziale di Agostino. Dal punto di vista epistemologico,
una rigorosa puntualizzazione di questa prospettiva è offerta in: E. Prenga, Gottes Sein als
Ereignis sich schenkender Liebe. Von der trinitarischen Ontologie Piero Codas zur tri-
nitarischen Phänomenologie der Intersubjecktivität und Interpersonalität, Verlag Herder,
Freiburg im Breisgau 2018, cfr. anche la postfazione, pp. 555-566: Die Habilitationsschrift
von Eduard Prenga: Vicenzo Di Pilato im Gespräch mit Piero Coda.
Dall’incontro alla presenza 65
Del resto – e anche questa è una singolarità che ne caratterizza la performance
intellettuale – Agostino è uno dei pochi grandi maestri del pensiero cristiano
che, insieme al cammino e ai frutti raccolti nella sua avventura speculativa, ha
anche squadernato il mondo interiore della vicenda d’anima che l’ha condotto
a quelle vette di pensiero. Anche in ciò è racchiuso un insegnamento, e anche
per questo non possiamo esimerci dall’impresa che ho descritto.
Nelle Confessioni, e in particolare nel racconto del tornante decisivo della
sua vita che campeggia nei libri vii, viii e ix – la conversione a Cristo, che
segna una radicale metánoia di pensiero – Agostino registra con straordinaria
intensità ed efficacia tre eventi incalzanti in grazia dei quali la sua esistenza
e il suo pensiero si ritrovano d’emblée introdotti, dopo lungo errabondare, in
quell’inedita regione dell’essere che s’è fatta disponibile nell’evento di Gesù
Cristo. Il racconto di tali eventi ne descrive minuziosamente la dinamica e
ne esibisce in rapidi ma sapidissimi tratti l’effetto prodotto nella coscienza,
provocandone l’esodo dal luogo in cui sin qui s’esercitava e dalla forma di
sé che sperimentava per ritrovarsi trasferita in altro luogo e in altra forma,
dove l’anima si sente e si conosce infine a casa: anche se sempre in cammino,
in risposta a una chiamata e a una promessa d’esercizio di sé tale da farla lì,
proprio lì, habitare e deambulare.
Così, il racconto di questi eventi ci offre la possibilità, unica, di una feno-
menologia dell’esperienza esistenziale di Agostino in conformità alla quale
– per intrinseca e incoercibile urgenza ed esigenza – egli stesso responsabil-
mente e rischiosamente è spinto all’esercizio fedele e creativo di un’ontologia
trinitaria tale da esprimere e promuovere la nuova situazione d’essere in cui,
in Cristo, si trova introdotto. I tre eventi sono puntualmente individuabili e
pertanto distinti, eppure s’implicano l’un l’altro nel disegnare il percorso e il
ritmo interiore che porta all’accesso dell’inesplorata regione dell’essere cui
Agostino accede, e in cui comincia a orientarsi. Tanto che, per una pertinen-
te e integrale interpretazione del significato dell’inventio agostiniana, tutti in
egual misura debbono esser tenuti presenti: è solo nel grembo fecondo di cui
insieme circoscrivono i contorni, infatti, che s’assiste al parto travagliato ed
esultante della nuova forma di pensiero che corrisponde al farsi disponibile
della Verità di/da Dio nell’evento di Gesù Cristo.
Quanto sin qui succintamente detto invita a un’attenta e dettagliata rilet-
tura in chiave fenomenologica degli eventi descritti in queste pagine delle
Confessioni: un’impresa che – a quanto mi consta – resta in gran parte se non
tutta ancora da fare, nella specifica intenzionalità, se non altro, che ho cercato
sin qui di mettere a fuoco. Mi limito, in questa sede, a tracciarne un indice ap-
pena, auspicando vivamente che un giorno l’impresa possa essere compiuta.
Citerò i passi centrali delle pericopi in cui i tre eventi sono narrati, per evi-
denziarne poi i significati più rilevanti in ordine al nostro interesse. Basti, per
cominciare, rimarcare un dato di fondo: il linguaggio di cui Agostino fa uso in
ciascuno dei tre racconti – in una corrispondenza che non può non sorprendere
66 Piero Coda
– è non solo singolarmente intenso ma sconfina in più d’un punto nella poesia
e persino nella mistica: quasi a confermare e rimarcare che, in ciascuno degli
eventi, Agostino è protagonista/spettatore di un’esperienza immediata d’irru-
zione nell’anima di quella Veritas che egli stesso – a seguito di ciò – coglierà
e dichiarerà praesens come pulchritudo semper antiqua et semper nova:7 in
interiore homine e in mutua caritate.
3. «Cum te primum cognovi»
Cominciamo dal primo evento, Confessioni, libro vii: «Cum te primum
cognovi», quando per la prima volta t’ho conosciuto.
Ricordo soltanto, prima di leggere la pericope, che ciò che prepara il ter-
reno all’imprevisto e dirompente incontro con la Luce di Dio – racconta Ago-
stino – è la lettura dei “libri dei platonici”. In essi, Agostino ha finalmente
rinvenuto l’itinerarium mentis in Deum da seguire obbedendo ai due impera-
tivi dell’ascesa interiore verso la trascendenza della Verità: rede in te ipsum
e transcende te ipsum. In ciò – per dirla con Pierre Hadot8 – è consegnata ad
Agostino la straordinaria eredità dell’exercitium dello spirito messo in moto
nella philo-sophia greca, da Socrate a Platone a Plotino. Agostino, dunque,
entra in se stesso, trascende se stesso, e per la prima volta “tocca” la Luce
o, meglio, è dalla Luce infine raggiunto. Meglio ancora: è introdotto in una
regione dell’essere inondata di quella Luce in cui l’Essere stesso si dichiara
ed esibisce per ciò che è, e in cui Agostino coglie d’un lampo il senso del suo
essere in relazione con quell’Essere misterioso – ma luminosissimo – che è
Dio. Leggiamo il testo:
Ammonito da quegli scritti a tornare a me stesso entrai nel mio
intimo sotto la tua guida, poiché tu diventasti il mio soccorritore
(Et inde admonitus redire ad memet ipsum intravi in intima mea
duce te et potui, quoniam factus es adiutor meus) (Sal. 29, 11).
Entrai e vidi, qualunque fosse l’occhio della mia anima, sopra quel
medesimo occhio, sopra la mia mente, una luce immutabile (lu-
cem incommutabilem), non questa luce comune e visibile a ogni
carne, né del medesimo genere (in quanto) più grande, come se
codesta (luce visibile) molto e molto più chiaramente clarificasse e
occupasse l’universo con la (sua) grandezza. Non così era quella,
7
Augustinus, Confessiones, x, 27, 38; l’edizione delle Confessiones seguìta è: Ago-
stino. Le confessioni, testo latino a cura di M. Skutella, rivisto da M. Pellegrino, tr. it. C.
Carena e intr. A. Trapè, Città Nuova, Roma 20007.
8
Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, ed. e pref. di A.I. Davidson, Ei-
naudi, Torino 2005.
Dall’incontro alla presenza 67
ma qualcosa d’altro, molto altro da tutte queste luci (visibili alla
carne). E non era sopra la mia mente così come l’olio (sta) sopra
l’acqua né come il cielo sopra la terra, ma essa era superiore, poi-
ché è stata lei a crearmi, e io inferiore, perché da lei creato. Chi
conosce la verità, la conosce (tale luce), e chi la conosce conosce
l’eternità. (Qui novit veritatem, novit eam, et qui novit eam, novit
aeternitatem). La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e
cara eternità! Tu sei il mio Dio (Sal. 42, 2), a te sospiro giorno e
notte (Sal. 1, 2; Ger. 9, 1). E quando ti conobbi per la prima volta
(et cum te primum cognovi), tu mi sollevasti, perché vedessi che
è, ciò che vedevo (tu assumsisti me ut viderem esse, quod viderem
[perché potessi vedere che è, ciò che mi facevi capace di vedere]),
e (perché vedessi) che io non ero ancora colui che era in grado di
vedere (et nondum me esse, qui viderem). E riverberasti l’infermità
del mio sguardo raggiando verso di me con veemenza, e tremai
tutto di amore e di orrore, e scoprii che ero lontano da te nella
regione della dissomiglianza (Et reverberasti infirmitatem aspec-
tus mei radians in me vehementer, et contremui amore et horrore:
et inveni longe me esse a te in regione dissimilitudinis), come se
ascoltassi la tua voce dall’alto: “Io sono il nutrimento degli adulti:
cresci e ti nutrirai di me. E tu non trasformerai me in te come cibo
della tua carne, ma tu sarai trasformato in me”. [...] E gridasti di
lontano: “In verità io sono colui che sono” (Ego sum qui sum) (Es.
3, 14). E udii, come si ode nel cuore, e non v’era più motivo perché
dubitassi, e avrei potuto dubitare più facilmente di vivere io che
dubitare non vi sia la verità, la quale, per mezzo delle cose che sono
state create, è vista come conosciuta dall’intelletto (Rm. 1, 20)».9
Agostino, con dettato limpido e coinvolgente, registra innanzi tutto la
duplice coscienza da lui guadagnata in virtù di quest’esperienza originaria e
fondativa. In primo luogo la coscienza di vedere che Dio realmente è. La sua
non è un’illusione soggettiva, né una costruzione immaginativa. È qualcosa
che si offre, meglio Qualcuno che viene incontro, propiziando la dinamica
pulsante di una relazione offerta e donata. Non una conoscenza che afferra
la realtà per possederla, perché è la realtà stessa, questa specifica Realtà, che
viene incontro nell’interiorità: così che Agostino la contempla stupito. Anzi,
attonito. Anche se solo di sfuggita. E insieme la coscienza che tale vedere è
tutto e solo frutto dell’agire di Dio. Agostino esprime icasticamente la consa-
pevolezza di non essere ancora in grado – lui, con le sole sue forze e capaci-
tà – di vedere ciò che vede: è Dio, piuttosto, che lo fa capace di vedere, per
primo venendogli incontro, accogliendolo nel luogo di Luce in cui dimora,
innalzandolo così fino a Sé. Ecco la straordinaria e quasi intraducibile forza
9
Augustinus, Confessiones, vii, 10, 16.
68 Piero Coda
plastica di quel «tu assumsisti me ut viderem esse, quod viderem et nondum
me esse, qui viderem».
Questa duplice coscienza farà scaturire in Agostino – ben presto lo si ve-
drà –, un duplice desiderio e un duplice e conseguente quaerere: il desiderio
e la ricerca di habitare il luogo ov’è stato introdotto, perché non si tratti sol-
tanto d’una passeggera “toccata e fuga”; e il desiderio e la ricerca di penetrare
almeno un po’, con l’intelligenza, la verità di ciò/di Chi così si è incontrato.
L’avventura umana e intellettuale di Agostino è così tutt’intera anticipata e
promessa. Tutto è dono di Dio: e proprio per questo la libertà è chiamata ad
accoglierlo e farlo suo. Il più che sia possibile.
Agostino descrive poi la modalità in cui l’incontro s’è dato: «e riverberasti
l’infermità del mio volto, raggiando verso di me con veemenza». La metafora è
quella del sole da cui saettano raggi che colpiscono gli occhi infermi di chi fissa
lo sguardo verso di esso. La tradizione mistica cristiana la fa sua parlando di un
radium lucis che è insieme radium tenebrae (così Dionigi l’Areopagita, ad esem-
pio, e Giovanni della Croce): perché di luce così intensa ed eccedente da acceca-
re, in verità qui si tratta. Agostino annota: «e tremai tutto di amore e di orrore».
Formidabile tensione: amore e orrore insieme per descrivere l’incontro con Dio!
Vien subito alla mente Rudolf Otto col suo Das Heilige:10 il Sacro che s’annuncia
e s’impone tremendum e fascinosum. Per Agostino c’è prima il fascino, quello
dell’amore (che alla fine è ciò che resta: perché «l’amore perfetto scaccia il timo-
re», 1Gv. 4, 18), che però, di primo acchito, facendo sperimentare l’invalicabile
distanza e la spaventevole dis-misura, s’arrende atterrito e stupefatto.
«E scoprii – chiosa Agostino – che io ero lontano da te nella regione della
dissomiglianza». È paradossale, ma è proprio così: nel dischiudersi dell’oriz-
zonte della Luce che raggia con veemenza da Dio, si sperimenta quanto si è
infinitamente da Lui lontani. Il rapporto con Dio non è quello della familiarità
banale. «Nella regione della dissomiglianza»: l’espressione è tratta da Plotino
e richiama Platone, ma porta con sé l’eco della parabola neotestamentaria del
figliol prodigo, che se ne va «in una regione lontana» (in regionem longin-
quam, cfr. Lc. 15, 13). La dissomiglianza descrive al negativo la regione di ciò
che per natura sua non è né simile né assimilabile a Dio.
Eppure proprio lì risuona l’inaudito: «Come se udisse una Voce dall’alto
che dice: Io sono il cibo degli adulti. Cresci e mi mangerai. Senza per questo
trasformarmi in te ma tu ti trasformerai in me». Un repentino passaggio dal
vedere all’udire, per poter in qualche modo esprimere la percezione dell’im-
probabile anzi dell’impossibile che invece accade. Dalla vista all’udito, se-
condo il registro dei “sensi spirituali” che diverranno cari alla tradizione cri-
stiana: perché l’anima non solo vede, ma ode, gusta, odora, tocca ... .11
10
R. Otto, Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale,
tr. it. E. Bonaiuti, Feltrinelli, Milano 1966.
11
Si ricordi il bellissimo testo dove Agostino descrive, facendo ricorso a tutti e quanti
Dall’incontro alla presenza 69
Agostino passa inopinatamente dal registro della vista (sinora ha parlato
di Luce) al registro dell’udito (di qui innanzi parla di Voce). La vista è l’or-
gano dell’atto filosofico (il θεωρεῖν dei Greci); l’ascolto invece è tipico della
Rivelazione biblica: l’Ebreo non vede il volto di Dio, ne ascolta la voce, e San
Paolo scrive che la fede viene dall’ascolto (ex auditu) (cfr. Rm. 10, 17). Anche
se queste distinzioni van sempre fatte con discrezione, tanto più che nell’even-
to di Gesù Cristo si dà una sintesi pregnante delle due cose: Gesù è al tempo
stesso l’immagine (εἰκών) e la parola (λόγος) del Padre. Il Logos «che carne
si è fatto» (Gv. 1, 14) è l’icona del Dio invisibile (Col. 1, 15), Lui, «Luce della/
dalla stessa Luce del Dio» – confessa il Concilio di Nicea (325).
Fenomenologicamente, quest’inedito gioco dei sensi spirituali attesta che
Agostino viene introdotto in una regione dell’essere che trascende sia quella
intuita dalla philo-sophia greca sia quella sperimentata nella fede biblica. Tan-
to più che la Voce rimanda infine al toccare. Anzi, al mangiare! Dice infatti:
«Io sono il cibo degli adulti. Cresci e mi mangerai. E non tu trasformerai me in
te, come avviene per il cibo, ma tu sarai trasformato in me». La Voce promet-
te che la Luce si farà Pane della Vita … come non pensare all’Eucaristia? Il
toccare tende all’intimità dell’abbraccio. Tende, al limite, alla trasformazione
di sé nell’A/altro da sé attraverso il nutrirsi di Lui. Una regione dell’essere,
dunque, in cui non solo mangiare con l’altro (insieme con la sponsalità, è il
convivio il luogo epifanico principe dell’ontologia, e cioè del senso dell’esse-
re, Platone insegna), ma nutrirsi dell’altro (come nell’ultima Cena).
Dalla regione della dissomiglianza all’assimilazione più intima che si pos-
sa pensare. Il rovesciamento non potrebbe essere più completo e radicale. La
regione della dissomiglianza è capovolta, da cima a fondo, per il fatto che
la Luce promette di darsi in Pane di Vita per trasformare in Sé chi lo riceve.
La dissomiglianza è rovesciata dall’amore in somiglianza: anzi in ὁμοουσία,
in consostanzialità (Nicea). L’ὁμοουσία gratuitamente donata, ricevuta ed
esercitata sarà la pietra angolare della nuova ontologia. Tutto ciò – come nel
viluppo quasi inestricabile, eppure all’evidenza percettibile, di una promessa
– accade ed è anticipato in quel «cum te primum cognovi».
Ma non basta. Il videre dell’experientia sin dall’inizio apre, anzi urge al
videre dell’intelligentia: l’incontro dischiude in sé, ed esige, l’appercezione
del suo significato. Il passaggio, in questa pagina, è fulmineo, quasi ellittico,
sottintendendo e in sé sintetizzando il senso della nobile parabola della philo-
sophia greca che viene a incontrarsi, nell’evento di grazia di cui Agostino è
testimone e attore, con la promessa dell’Antico Testamento che in Gesù si fa
visibile, udibile, tangibile (cfr. 1Gv. 1, 1: «Quello che era da principio, quello
i sensi dello spirito, l’esperienza della Verità/Bellezza che è Dio: «Vocasti et clamasti et
rupisti surditatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, fragrasti, et
duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi, et esurio et sitio, tetigisti me, et exarsi in pacem tuam»
(Confessiones, x, 27, 38).
70 Piero Coda
che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello
che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita»).
Tre verbi ritmano il klimax con cui Agostino ci prova a descrivere l’evento
nell’evento: l’irruzione nell’intelligentia della Verità che s’è fatta disponibile
nell’experientia dell’incontro – cognovi, dixi, audivi.
Cognovi: è una citazione dal Salmo 38 (v. 12) che Agostino sceglie per
esprimere l’intelligenza di sé cui è stato condotto dalla vicenda tormentata e
piagata della sua vita e in cui, in certo modo, è compendiato il tenore della
pedagogia esercitata da Dio nei confronti del suo popolo lungo l’Antico Testa-
mento: «Hai ammaestrato l’uomo a motivo della sua iniquità e hai impudritito
come ragnatela la mia anima».
Dixi: da questa lucida e sconsolata intelligenza, ecco il lacerante interro-
gativo che esplode dall’anima di Agostino portandolo, esasperato, alla lettura
dei libri dei platonici: “La verità è dunque un nulla?”.
Ed ecco la risposta, imprevista, che piove gratuita e sovrastante in quella
Luce che gli si mostra – come dirà – «interior intimo meo et simul superior
summo meo». La Verità custodita in quella Luce, al cui incontro l’ha prepa-
rato la lettura dei platonici, si dice in una Parola: audivi. Agostino ascolta
dalla Luce una Parola che risponde da lontano, misteriosamente, all’interro-
gativo ch’egli stesso a se stesso è diventato («factus eram ipse mihi magna
quaestio»).12 Una Parola maestosa e misteriosa in cui la Luce si dice e pro-
mette di darsi: «Et clamasti de longinquo: “Immo vero Ego sum qui sum”».
Nell’anima e nell’intelligenza di Agostino s’incontrano due mondi: il cam-
mino della filosofia greca (Platone e i neoplatonici) e il cammino della fede
del popolo d’Israele (riassunto dalla Parola dell’Esodo). S’incontrano e s’in-
trecciano. Sboccia, nell’incontro, la storia nuova del pensiero d’ispirazione
cristiana in terra d’Occidente che in sé li combina, armonizzando imprevedi-
bilmente ma in modo non scontato, nel crogiuolo dell’evento di Gesù, l’onto-
logia dell’Uno (Plotino) e l’ontologia dell’Essere (la metafisica dell’esodo).
L’essere che connota Dio – Agostino lo spiegherà nel De Trinitate, ma tutto è
già anticipato nelle Confessioni – non è la mera “sostanza” (οὐσία), sia pure
somma e ab-soluta, dei Greci: è l’Esse che, in quanto tale, si rivolge in rela-
zione d’amore a ciò che per sé non è, per farlo anch’esso essere, per liberarlo
e portarlo a pienezza di senso e di vita. Perché ne è il principio ontologico,
con la creazione, e ne è la meta escatologica, nella Vita eterna. Agostino lo
esplicita subito appresso: «Et inspexi cetera infra te et vidi nec omnino esse
nec omnino non esse: esse quidem, quoniam abs te, non esse autem, quoniam
id quod es non sunt».13
Nel videre dell’intelligentia di Agostino s’incontrano i due cammini in cui
Dio ha guidato sinora l’umanità, nella terra d’Occidente. Ma quest’incontro
12
Augustinus, Confessiones, iv, 4, 9.
13
Ibi, vii, 11, 17.
Dall’incontro alla presenza 71
è insieme un parto: non è semplicemente l’accostamento o la somma dei due
registri dell’ontologia sin qui esplorati, ne custodisce e partorisce in germe
un’altra, di ontologia, quella che appunto scaturisce dall’incontro perché in
Cristo accade, inveradone i presupposti e con ciò stesso trascendendoli: è
l’ontologia dell’essere in relazione, l’ontologia dell’amore, l’ontologia che
dischiude il senso dell’E/essere nella luce di Dio Trinità.
La parola detta a Mosè e custodita nella memoria della tradizione biblica si
accende di vita per Agostino facendosi Voce di Dio che proprio a lui si rivolge:
«E ascoltai come si ascolta nel cuore e non c’era più motivo di dubitare oltre e
mi sarebbe stato più facile dubitare che io vivevo che dell’essere della verità,
la quale verità si mostra come conosciuta attraverso le cose che sono state
fatte da lei». Egli registra, in queste parole, il prodursi nella coscienza della
percezione soggettiva della certezza in risposta al prodursi oggettivo dell’evi-
denza: è certo d’aver incontrato o meglio d’essere stato raggiunto dalla Verità.
Tanto che l’evidenza della Verità – non teme di dichiararlo – s’ attesta d’ora
innanzi più forte dell’evidenza stessa del proprio vivere.
Il che significa, fenomenologicamente, che Agostino percepisce d’aver
preso coscienza di sé solo e pienamente prendendo coscienza della Verità
dell’Essere che illumina e abbraccia la sua esistenza. Un’evidenza dinamica:
Luce che Si promette attraverso la Voce. Verità che non si dà in uno statico e
definitivo possesso, ma in una chiamata che invita a entrare nel farsi di una
relazione. L’evidenza, dunque, di una Verità che si fa nella carità (cfr. Ef. 4,
15), perché si dona e chiede il dono di sé in risposta.
Il dar-si della Verità istituisce così nell’anima due dinamiche. Innanzi tut-
to, ne afferra il fondo più fondo e di qui progressivamente lo guadagna, tutto,
in un agone decisivo. Per questo, va sempre di nuovo accolta, conquistata,
arrischiata. Perché si dà in un dinamismo permanente che mi spoglia di me
stesso per ridonarmi ogni volta intero e nuovo a me stesso. Ed è insieme Verità
che purifica: la Verità di un’evidenza che conosce il buio profondo della notte.
Perché chiede di trascendermi. Del tutto. Perché è amore, e l’amore – dirà
Agostino – «facit in nobis quandam mortem».
4. «Sed induite Iesum Christum»
Passiamo, più rapidamente, al libro viii, dove Agostino racconta il secon-
do decisivo evento della sua vita: la resa per grazia che diventa incontro li-
berante con Gesù Cristo. In definitiva si tratta di “entrare” in Lui: e cioè di
essere introdotti, di habitare e deambulare in quel luogo di Luce e di Vita che
Agostino ha visto e ha percepito essere promesso «cum te primum cognomi».
L’“entrare” in Cristo è, per Agostino, entrare in quella Luce. Non un fatto
solo razionale: ma decisione e libertà. Anche in questo caso, l’evento com-
prende due dimensioni e da Agostino viene letto secondo due livelli: innanzi
72 Piero Coda
tutto, è esperienza paradossale non semplicemente d’“entrare” (in Cristo) ma
di poterlo fare perché ivi introdotti; e poi, da lì, di vedere dove ora ci si trova,
e prenderne coscienza e assumerne la responsabilità.
Prima d’esaminare la pericope che descrive l’evento è però necessario
dire almeno una parola sul lancinante dramma interiore che Agostino vive al
suo approssimarsi. Egli desidera ardentemente darsi a Dio, in Gesù, perché,
ormai, «perceptio veritatis: iam […] certa erat»14 e «certum habebam esse
melius tuae caritati me dedere quam meae cupiditati cedere».15 E tuttavia non
gli riesce di fare il grande passo. Ci sono due volontà in me? – si chiede allora.
No, risponde: «La verità è che la volontà non vuole del tutto, quindi non co-
manda del tutto».16 Comanda cioè solo per quel tanto che vuole. Non è capace
di volere quello che ha visto e vorrebbe volere con tutto se stessa. È intuita
e abbozzata, in queste pagine, un’affascinante ontologia della libertà (e della
Grazia), a proposito della quale si potrebbe istituire un raffronto con L’action
di Maurice Blondel.
Continua Agostino: «Non è dunque un’assurdità volere in parte […] è
piuttosto una malattia dello spirito. Sollevato dalla verità ma non raddrizzato
del tutto (non totus veritate sublevatus)». Al di là o, meglio, al fondo della dia-
lettica tra “volontà voluta” e “volontà volente” descritta da Blondel si palesa
la dialettica tra lo slancio della volontà volente e la sua intrinseca frustrazione.
Agostino vive un momento di quasi insostenibile tensione interiore: «quando
dal più segreto fondo della mia anima l’alta meditazione ebbe tratto e am-
massato tutta la mia miseria davanti agli occhi del mio cuore, scoppiò una
tempesta grondante, un’ingente pioggia di lacrime. Per scaricarla tutta con i
suoi strepiti mi alzai ... ». Si rifugia allora in un giardinetto, da solo. Ma ecco
il racconto:
A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fan-
ciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più vol-
te: “Prendi e leggi, prendi e leggi” (Tolle lege, tolle lege). Mutai
d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere intensamente se fosse
una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo
affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle la-
crime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si
trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo
verso che vi avrei trovato (nihil aliud interpretans divinitus mihi
iuberi, nisi ut aperirem codicem et legerem quod primum caput in-
venissem). Avevo sentito dire di Antonio17 che ricevette un monito
dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: “Va’,
14
Ibi, viii, 5, 11.
15
Ibi, viii, 5, 12.
16
Ibi, viii, 9, 21.
17
Si tratta di Antonio Abate, il padre dell’eremitismo.
Dall’incontro alla presenza 73
vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli,
e vieni, seguimi” (Mt. 19, 21). Egli lo interpretò come un oracolo
indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a Te. Così tornai
concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato
il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi
tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non
nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudi-
cizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore
Gesù Cristo” (Rm. 13, 13 ss). Non volli leggere oltre, né mi occor-
reva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce
quasi di certezza fu infusa nel mio cuore (quasi luce securitatis
infusa cordi meo) e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.18
La distanza insuperabile tra la volontà che vuole, ma non è capace di vole-
re del tutto e sino in fondo l’Oggetto/Soggetto infinito e per sé irraggiungibile
ch’è voluto, è infine superata in virtù di una Parola che mi tira fuori da me,
infondendo la Luce della certezza che promana dall’incontro promesso e infi-
ne raggiunto. È l’esperienza della Grazia: la possibilità donata di incontrare/
conoscere/amare Dio perché Dio mi conosce, mi ama, mi si fa incontro. In
Cristo. La Grazia è avvento di Dio nell’anima perché l’anima è introdotta, per
Cristo, in Lui.
Il paradosso della volontà è sciolto, dunque, ancora una volta dalla Parola
che risuona dalla Voce (Dio). Ma questa volta è una Parola fatta carne: o,
meglio, è una parola detta dalla Parola fatta carne. Nel caso di Antonio Abate
era stato l’invito alla sequela di Gesù, nel caso di Agostino è l’invito dell’A-
postolo Paolo a vivere in-Cristo. Attraverso questa Parola è offerto l’incontro
con Colui che Agostino spasmodicamente cerca, e così la pace con se stesso.
La pace con se stesso: perché, trovando per dono il rapporto con l’Altro, egli
trova la verità di se stesso misurata dal e nel rapporto con l’Altro, come ha
pregato all’inizio delle Confessioni: «Non ergo essem, Deus meus, non om-
nino essem, nisi esses in me. An potius non essem, nisi essem in te, ex quo
omnia, per quem omnia, in quo omnia (1Cor. 8, 6; Rm. 11, 36)».19 Trovando
Dio trovo il rapporto di me con me stesso. E con tutti. Il paradosso della vo-
lontà (che cerca se stessa in quanto libertà) è sciolto nella relazione. L’onto-
logia della libertà s’invera nell’ontologia della relazione che è amore donato,
ricevuto, ri-donato. In definitiva, Agostino scopre che il luogo della libertà è
la relazione in Cristo con Dio. A rivolgergli la Parola è Dio in Cristo, Parola
fatta carne. E l’essere così tirato fuori da sé è l’azione dello Spirito Santo: che
in Dio è la capacità e la spinta personale – libera e gratuita – che il Padre e il
Figlio condividono nell’uscire da Sé per andare l’Uno verso l’Altro, e recipro-
18
Augustinus, Confessiones, viii, 12, 29.
19
Ibi, i, 2, 2.
74 Piero Coda
camente, ritrovandoSi uno e distinti in Lui. La libertà è avvolta e custodita dal
e nel mistero della Trinità. E nel suo spazio di Luce e di Grazia si dischiude
per l’uomo.
Il primo versetto su cui cadono gli occhi di Agostino, nella raccolta delle
lettere di Paolo, è quasi la “Parola di vita” che illumina e orienta la sua esisten-
za e la sua futura missione: «rivestitevi del Signore Gesù Cristo». Prendere la
veste donata dal Padre (Gesù) e indossarla significa lasciarsi assimilare nella
fede e nell’amore a Gesù. Perché Lui s’è identificato con me. La volontà inef-
ficacemente volente diventa volontà voluta, finalmente, in Gesù. La volontà
che desiderava ma era irrimediabilmente frustrata, ritrova se stessa perché in
Gesù riceve il compimento, la misura, il luogo d’esercizio. Trova se stessa
nell’Altro da sé, in Dio. Grazie a Gesù.
Ad Agostino basta quella frase, non ha bisogno di leggere oltre. Ha tro-
vato la via: Gesù è il mediatore che porta al Padre. Il cammino ha raggiunto
la meta. Ma come un nuovo inizio. E così da lì riparte. Agostino ha trovato
o, meglio, scopre d’esser stato trovato. Chiuso il libro, racconta all’amico ciò
che gli è accaduto. E l’amico prende il libro e legge ciò che viene dopo ... e “si
unì a me”. Agostino si prepara con lui a ricevere il battesimo.
C’è nel racconto di questo secondo, decisivo evento, in nuce, il tracciato
di un’ontologia trinitaria della libertà, che è un’ontologia della relazione al
Padre in Gesù mediante lo Spirito. In questo caso, come in quello preceden-
te, il videre dell’anima che in sé sperimenta l’evidenza del darsi della Verità
fa sbocciare il desiderium di videre con l’intelligenza il senso profondo e la
ragione ultima di ciò che così è accaduto: l’antropologia della grazia che sarà
uno dei fili d’oro del pensiero agostiniano, così come la contemplazione del
mistero di Dio nel De Trinitate, altro non sono che l’esecuzione di quell’on-
tologia trinitaria che in Cristo dà la ragione ultima della relazione di grazia e
libertà di Dio con l’uomo.
5. «Apud praesentem Veritatem»
Ma c’è un terzo evento su cui dobbiamo infine soffermare l’attenzione:
quello dell’essere “uno”, in Cristo, come il Padre e il Figlio lo sono, con i
fratelli (cfr. Gv. 17, 21), sino a diventare «un cuor solo e un’anima sola» (cfr.
At. 4, 32), Chiesa che è la Sposa di Cristo.
Qualcosa già s’intuisce nell’episodio sintomatico che chiude il libro vii:
Alipio che s’unisce ad Agostino nella sequela. E poi, insieme, Agostino e Ali-
pio che vanno da Monica per condividere la loro gioia. Entrare in rapporto con
Gesù è entrare nell’amicizia più grande: la Chiesa. È condividere e comuni-
care la gioia scaturita dall’incontro con la Verità. Nell’amicizia della Chiesa
ci si educa alla familiarità con Colui che si è trovato, s’impara a conoscerLo
da vicino e a rivestirsi di Lui. Come accade nel sacramento del battesimo che
Dall’incontro alla presenza 75
Agostino riceve dalle mani del vescovo Ambrogio, nella Pasqua del 387. È
l’avvenimento della sua vita, al quale non a caso egli in profondità si prepara,
insieme agli amici a lui più cari, nell’otium di contemplazione e dialogo di
Cassiciacum.
Ma un episodio paradigmatico, anzi di sapore che non esiterei a definire
profetico circa il significato eccedente dell’amicizia vissuta nella fede come
luogo dell’habitare e deambulare in Deo, Agostino lo vive con la mamma
Monica a Ostia, poco prima della morte di lei. L’essere in-Cristo, che si è rea-
lizzato mediante la Parola ed è stato sigillato nel battesimo, diventa esperienza
di un’esistenza che anela a dimorare in Dio attraverso la comunione con la
persona che, almeno in quel momento, a lui è più vicina. Ecco il racconto di
Agostino.
All’avvicinarsi del giorno in cui [Monica] doveva uscire di
questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua,
io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo
lei e io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della
casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori
della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in
vista della traversata del mare. Conversavamo (colloquebamur),
dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate
e protesi verso quelle che stanno innanzi (Fil. 3, 13), cercavamo
fra noi (inter nos) alla presenza della verità (apud praesentem
Veritatem), che sei Tu (cfr. Gv. 14, 6), quale sarebbe stata la vita
eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse
in cuore d’uomo (1Cor. 2, 9; cfr. Is. 64, 4). Aprivamo avidamente
la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della
vita, che è presso di te (Sal. 35, 10), per esserne irrorati secondo
il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà
così alta.20
Un’esperienza – originalissima! – di contemplazione di Dio che avviene
nel colloquium: nel loquere cum, il parlare “insieme” essendo “da soli”. Il
colloquio, dunque, spazio interpersonale della contemplazione, quasi si fosse
un’anima sola in due. Si realizza così – lo dico con un’espressione bella e
intensa di Giuseppe Maria Zanghì – una sorta di “interiorità dilatata”21 o –
scrive Papa Francesco – un’“interiorità allargata” (cfr. Eg 272) nel quaerere
dialogando «apud praesentem Veritatem». Un colloquio condotto nel lasciarsi
reciprocamente illuminare puntando lo sguardo del cuore e della mente verso
20
Ibi, ix, 10, 23.
21
Cfr. G.M. Zanghì, Dio che è Amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova, Roma
1991; Id., Umanesimo e mistica, «Nuova Umanità» x, 57(1988), pp. 11-31; Id., La vita
interiore. Riflessioni sull’oggi, in «Nuova Umanità» xvi, 93(1994), pp. 5-40.
76 Piero Coda
Dio e verso la Vita eterna che da Lui sgorga copiosa e inesauribile nella Luce
della Verità presente: quel Gesù di cui l’io e il tu che intrecciano il colloquio
sono rivestiti nella fede e che è presente in mezzo a loro (cfr. Mt. 18, 20), così
che Egli stesso – insieme – li guida nel soffio dello Spirito all’Abbà.
Il lessico impiegato da Agostino per descrivere l’evento propiziato dal
mistico “colloquio” è tutto relazionale, perché accade inter nos, ed è al plu-
rale: noi colloquiavamo, cercavamo, aprivamo … Il dialogo è intenzionato
– nell’amore di Dio e nel reciproco amore tra Agostino e Monica – a dilatare
lo spazio del loro cuore e della loro mente, quasi scavandoli nel desiderio e
nell’apertura, per accogliere Dio. Non per giungere a Lui ciascuno separata-
mente: ma per dilatare il cuore e la mente l’uno dell’altro affinché insieme si
diventi luogo in cui la Verità, già presente, in pienezza si manifesti e conduca
alla sorgente.
Elevandoci con più ardente impeto d’amore verso l’Essere
stesso (erigentes nos ardentiore affectu in Idipsum) (Sal. 4, 9), per-
corremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il
sole e la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in
noi stessi (interius) pensando e parlando e ammirando le tue opere,
giungemmo alle nostre anime e anch’esse transcendimus per attin-
gere la plaga (regionem) dell’abbondanza inesauribile (cfr. Ez. 34,
14), ove pasci Israele (Sal. 79, 2) in eterno col pascolo della verità,
ove la vita è la Sapienza, per mezzo della quale sono fatte tutte le
cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma
tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l’essere passato
e l’essere futuro non sono in lei, ma solo l’essere, in quanto eterno,
poiché l’essere passato e l’essere futuro non è l’eterno. E mentre
ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con
lo slancio totale del cuore (attingimus eam modice toto ictu cordis),
e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito (Rm.
8, 23), per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la
parola ha principio e fine. E cos’è simile alla tua Parola, il nostro
Signore, stabile in se stesso senza vecchiaia e rinnovatore di ogni
cosa (cfr. Sap. 7, 27)?22
È un’ascensione affettiva e intellettuale insieme condotta quella che si
compie nel dialogo tra Agostino e Monica, simile e diversa da quella che Ago-
stino ha sperimentato a livello personale: rede in te ipsum … transcende te
ipsum. Questa volta, in Cristo, è fatta insieme e punta dritto, nell’amore, verso
l’Essere che è Se stesso (Idipsum) e che s’è rivelato e donato in Cristo. Così
Agostino e Monica insieme attingono, per un istante, in contemplazione la
Vita eterna in Dio. È un’estasi a due simultanea, quasi si fosse diventati apud
22
Augustinus, Confessiones, ix, 10, 24.
Dall’incontro alla presenza 77
praesentem Veritatem un’anima sola: vertice e promessa da cui s’intuisce il
senso profondo della comunione vissuta in Cristo – la Chiesa.
L’ascensione giunge dapprima, nel colloquio, alla mente che, considerando
la mutevolezza delle cose esteriori, le trascende. Ma poi la mente trascende
se stessa, perché anch’essa si distende tra il passato, il presente e il futuro. Lo
sguardo di Agostino e Monica si rivolge così dalla regione della mutevolezza,
che abbraccia le cose e la mente, alla regione dell’Eterno e della ricchezza senza
misura in cui abita la Verità di cui Dio vuol nutrire Israele, suo popolo. È la
regione dell’Essere in cui – dice Agostino – la Vita è quella Sapienza per mezzo
della quale son state fatte e le cose e la mente. Il riferimento è al Nuovo Testa-
mento: «in lui (il Verbo) era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini» (Gv. 1,
4). La regione dell’Essere così attinta, dunque, è quella in cui abita il Verbo di
Dio che s’è fatto carne: la Parola in cui si dà coincidenza di passato, presente e
futuro, di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che sarà, senza che passato, presen-
te e futuro siano in ciò assorbiti o tolti. Agostino vi tornerà nei successivi libri
delle Confessioni con la meditazione sul tempo e sulla sua relazione con la vita
eterna. Ma intanto registra l’accadimento: «E mentre ne parlavamo e anelavamo
verso di lei [la Sapienza], la cogliemmo un poco con tutto lo slancio del cuore
(toto ictu cordis), e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito».
L’“ad-tingere” (toccare da presso) dice l’entrare in rapporto diretto, im-
mediato, intimo. Il tatto, anche a livello spirituale, è il senso più integrale e
pregnante. Per un attimo, Agostino e Monica partecipano della Vita eterna:
la Vita di Gesù, il Verbo eterno del Padre fatto carne, crocifisso e risorto, ora
asceso in Cielo perché dal Cielo un giorno è disceso: è Lui la Sapienza eterna,
presente tra i due, che li porta in Dio.
Ma brusco e stridente è il repentino ripiombare sulla terra: «e siamo ridi-
scesi al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine».
L’esperienza che Agostino ha vissuto con Monica è stata d’attingere la Sa-
pienza, la Parola della Vita eterna, con l’apertura totale del cuore e della mente
dilatati nel dialogo dall’amore. Per subito ricadere nel grigiore e nell’incon-
sistenza delle parole che suonano vuote, perché hanno principio e fine sulla
bocca di ciascuno: quando ciò che dici torna a te ed è frustrato nel suo dire
perché non attinge – nell’eco dell’ascolto che l’accoglie e lo rilancia – ciò/
Colui che cerca.
Ma tanto luminoso è stato ciò che ha vissuto, che Agostino torna ancora
una volta sull’evento e lo descrive – in un testo mirabile e denso, che quasi
viene a coronare l’intero racconto della conversione sin qui prodotto – nel suo
significato ontologico che, in definitiva, è tutto d’impronta mistica: un invito
alle cose e alla mente a lasciar parlare infine in sé Lui (Ipse), Dio, attraverso
la sua Parola fatta carne (per Verbum eius):
Dicevamo dunque: Se per un uomo tacesse il tumulto della
carne, tacessero le immagini della terra, dell’acqua e dell’aria, ta-
78 Piero Coda
cessero i cieli, e l’anima stessa si tacesse e si superasse non pen-
sandosi (et ipsa sibi anima sileat et transeat se non se cogitando),
e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni
segno e tutto ciò che nasce per sparire se per un uomo tacesse com-
pletamente, sì, perché, chi le ascolta, tutte le cose dicono: “Non ci
siamo fatte da noi, ma ci fece (cfr. Sal. 99, 3) Chi permane eterna-
mente” (Sal. 32, 11); se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver
levato l’orecchio verso il loro Creatore, e solo questi (ipse solus)
parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e
noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce
d’angelo o fragore di nube (cfr. Sal. 76, 18) o enigma (cfr. 1Cor.
13, 12) di parabola, ma lui (ipsum), da noi amato in queste cose,
lui udissimo senza queste cose (ipsum sine his) come or ora prote-
si con un pensiero fulmineo cogliemmo l’eterna Sapienza stabile
sopra ogni cosa (sicut nunc extendimus nos et rapida cogitatione
attingimus aeternam Sapientiam super omnia manentem), e questa
cosa (hoc) si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente
inferiore, scomparissero, e quest’unica nel contemplarla ci rapisse
e assorbisse e custodisse (rapiat et absorbeat et recondat) in gioie
interiori, e dunque la Vita eterna somigliasse a quel momento d’in-
telligenza (hoc momentum intelligentiae) che ci fece sospirare: non
sarebbe questo l’“entra nel gaudio del tuo Signore” (Mt. 25, 21)? E
quando si realizzerà? Non forse il giorno in cui tutti risorgiamo, ma
non tutti saremo mutati (1Cor. 15, 51)?23
Ciò su cui Agostino soprattutto pone l’accento con insistita nitidezza, nella
descrizione dell’ascesa sino al rapimento, come l’atteggiamento che la rende
possibile, è l’ascolto che nasce dal silenzio delle cose e della mente: per ascol-
tare, appunto, la Voce di Dio che parla, sì, attraverso le realtà esteriori e poi
attraversa la mente, ma per poter parlare infine Egli stesso da Sé. Ciò – attesta
Agostino – è accaduto: in un’estasi dal tempo all’eternità, nel luogo del dia-
logo intrecciato tra lui e Monica apud praesentem Veritatem, un dialogo che,
condotto nell’amore, ha scavato nell’uno e nell’altro lo spazio del silenzio,
l’al-di-là delle loro menti che – in questo reciproco silenzio – son diventate
l’eco in cui la Parola della Sapienza ha potuto infine risuonare, rapendoli,
assorbendoli, immergendoli nella gioia che scaturisce non solo più dall’essere
apud praesentem Veritatem, ma dall’habitare e deambulare in Veritate. Cristo
s’è mostrato, allora, in pienezza anche se solo per un istante: Via alla Verità
che è Lui stesso, Vita che è Parola e Sapienza del Dio «in cui tutto è stato
creato» (cfr. Gv. 1, 3).
Se quest’esperienza istantanea diventasse permanente – si chiede allora
Agostino –, non sarebbe proprio questo la Vita eterna? Egli l’ha attinta con
23
Ibi, ix, 10, 25.
Dall’incontro alla presenza 79
Monica, per un attimo, nel colloquio apud praesentem Veritatem. Una ripresa,
quasi, della Lettera vii di Platone in orizzonte cristiano. Nell’epoca nuova del-
la storia dell’essere di cui Agostino è testimone, l’attingimento della Sapienza
diventa realtà in Gesù crocifisso, risorto e asceso al Cielo.
6. Verso nuovi orizzonti
I tre eventi narrati da Agostino nelle Confessioni, di cui abbiamo tentato
un’iniziale lettura fenomenologica, attestano il prender forma dell’esistenza
e dell’intelligenza di Agostino in corrispondenza all’avvento di Dio Trinità,
per Cristo, in esse. È questa nuova forma d’esistenza e d’intelligenza il lo-
cus dell’inventio d’un’ontologia trinitaria. Come Agostino stesso illustrerà nel
libro viii del De Trinitate: l’inventio definisce nell’intelligenza il locus ove
ormai si dà il videre in Trinitate e de Trinitate, perché, in Cristo, è istituita
ephápax la regione nuova dell’essere in cui ciò accade.
Restano tre formidabili tensioni che proiettano la straordinaria e di qui in-
nanzi imprescindibile performance di ontologia trinitaria, che Agostino trac-
cerà nella sua opera,verso orizzonti sempre più vasti e profondi.
La prima: Agostino non può dimorare stabilmente nel luogo della Sapien-
za, che è attinta per un attimo per poi però ripiombare desolato nella vita di
tutti i giorni. Solo un anticipo, dunque, una promessa. Il percorso spirituale e
intellettuale di Agostino, dopo questi eventi, sarà teso alla ricerca di come si
possa habitare e di come si possa deambulare, nel già e non ancora del frat-
tempo, in questa realtà. Non ha comandato Gesù: «manete in dilectione mea»
(Gv. 15, 9)? Questa tensione segnerà la storia del pensiero cristiano, e non, da
allora ad oggi.
La seconda: quando, nel De Trinitate, Agostino indicherà il locus del vide-
re Trinitatem nell’amore reciproco, giungendo a dire che esso – l’amore reci-
proco – «non solum ex Deo (est), ma Deus est»,24 il riferimento al locus punta
genialmente sull’Oggetto del videre: ma non sulla forma soggettiva e dialo-
gica del videre. Così che – nell’istituzione di un’ontologia trinitaria – viene a
mancare quella fondazione epistemologica intersoggettiva e performativa che
pure fenomenologicamente è descritta da Agostino nelle Confessioni, e che
solo oggi (dopo la modernità) sollecita infine, con ormai ineludibile appello,
la nostra attenzione e il nostro impegno.
La terza infine: il punto d’arrivo dell’ascesa di Agostino con Monica è la
Sapienza, il Verbo, la Parola. Non il Padre, “il” Dio, di cui nel Nuovo Testa-
mento. Segno, forse, che il cammino non ha ancora attinto la meta.
24
Augustinus, De Trinitate, viii, 8, 12.