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EM
RIO
III.
2 6.5
.
A. DE GUBERNATIS
STORIA COMPARATA
DEGLI
USI NUZIALI
IN ITALIA
E PRESSO
GLI ALTRI POPOLI INDO-EUROPΕΙ
Volume Unico
MILANO
E. Treves & C. Editori
1869
BIBL . NAZ.
Vitt. Emanuele III
Race.
DeSharinis
A.
-1039- 4
NAPOLI
DEGLI USI NUZIALI
A. DE GUBERNATIS
STORIA COMPARATA
DEGLI
USI NUZIALI IN ITALIA
E PRESSO
GLI ALTRI POPOLI INDO- EUROPEI
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E. Treves & C. Editori
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1869
Tip. della Soc. Coop., ecc., Piazza Carmine, t.
PREFAZIONE
Non so se io dico una grande eresia ; ma parmi che
la storia si scriva molto più che non si faccia. Sopra
le miriadi d'uomini che vengono ogni secolo a popo-
lare e fecondare, da vivi e da morti, la terra, infimo
è al certo il numero de' privilegiati, che, per lustro
od infamia , sono eletti all' immortalità. Mentre il
grosso degli uomini nasce, lavora e si estingue, mar-
tire uniforme, ne' periodi veloci di oscure generazioni,
come fiore o come crusca, alla superficie si agita e
dà spettacolo di sè un'aristocratica famiglia di bene-
fattori e di tiranni che rimorchia, in parte, le mol-
titudini e seco le trascina a dividere la sua pubblica
fortuna. Ma , come nella prospera sorte de' così detti
grandi, il pubblico beneficio, il più delle volte, è, in
realtà, assai poco, per la ragione medesima, preci-
pitando essi, il popolo alla sua volta non muore mai
tutto; egli non è stato il solo autore della sua così
detta nazionale grandezza , e però , quando questa
appare più gloriosa, egli la gode assai male ; per
altro verso, egli prende pure una minima parte alla
sua rovina ; e, però, continuerà facilmente a vivere
anche dopo che questa, o per suo vizio organico, o
per alcuna violenza di interni ed esterni nemici, sia
cessata. I protagonisti della storia raccomandano il
6 PREFAZIONE
nome loro alla posterità col monumento, ma periscono
come le loro istituzioni ; il popolo a cui nessuno in-
nalza monumenti , per compenso e quasi direi per
vendetta della natura, vive immortale come le sue tra-
dizioni e le sue patriarcali consuetudini.
Mi pare poi che se volgessimo soltanto lo sguardo
intorno a noi medesimi, per osservare come la storia
odierna vada intessendo le sue fila, a traverso le quali
presumeranno le generazioni future giudicare la no-
stra, come noi giudichiamo, senza appello, le passate,
io non credo che seguiremmo con tanta passione il
racconto delle gesta consegnate da autenticissimi, se
si voglia, ma poco sinceri documenti, alla storia ; delle
gesta, io dico, le quali, per essere state pubbliche im-
maginiamo universali, per essere state pompose, sup-
poniamo importanti, per essere antiche, veneriamo.
Certo, quando si ritenga per fermo che l'arte me-
retricia, la quale converte spesso la ragione dell' in-
dividuo o della parte in solenne ragione di Stato non
imbelletti mai la vergogna de' grandi, quando si ri-
tenga per fermo che lo storiografo non sia mai con-
dotto nè da vezzo rettorico nè da vigliacca assenta-
zione ad esagerare, a travestire, ad inventar nulla
di ciò ch' ei narra , ha pure la sua importanza la
narrazione delle pubbliche vicende di un popolo co-
stituito in proprio Stato ; ma, come nello studio della
natura, prima del fenomeno, vuole osservarsi la legge,
così ragion vuole che si ricerchi la vita intima ed
immutabile di un popolo, innanzi di rappresentarcelo
nelle sue esteriori, più aperte bensì , ma assai meno
complete e assai più combinate manifestazioni . Il più
delle volte, il fenomeno non è la legge in atto, che
appare, ma l'eccezione della legge, l'anomalia; così
la storia ci riferisce della vita di un popolo molto
più che il suo modo di essere costantemente, il suo
modo di apparire in alcune circostanze eccezionali.
PREFAZIONE 7
A costo pertanto di lasciar parere che io dica qui
una seconda eresia, piglio la parola nel suo senso
etimologico e più nobile e non chiamo la così detta
storia d' un popolo altrimenti che la sua caricatura ,
quando pure esso non sia qualcosa di peggio, desti-
nato a mascherarlo . Poichè , eziandio facendosi una
distinzione molto larga fra la storia delle democrazie
e quella delle monarchie, oligarchie e teocrazie, non
può sfuggire come presso le prime ancora non di
rado avvenga che il popolo, per affermarsi insieme
e per consentire fiducioso con tutti, nasconda e neghi
individualmente sè stesso o sia ci sottragga la sua
propria e vera parte di originalità.
Per fare la storia e per dare degno soggetto al
filosofo di meditarla è necessario adunque qualche
cosa di più profondo e di più saldo che il vago е то-
bile tessuto degli avvenimenti esterni, i quali espri-
mono imperfettamente il carattere d'un popolo come
le escandescenze o le imposture quelle d'un individuo.
Negli individui molte delle azioni loro si attribuiscono
alla loro eccitabilità nervosa od a ragioni segrete ;
anche ai popoli si vuole tener conto di cosiffatta ec-
citabilità e di certe ragioni occulte ; ma, evidente-
mente, nè quella nè queste non bastano di certo a
lasciarci intendere quello che un popolo abbia potuto
essere o quello che sia.
Ma , sotto la storia pubblica o civile o politica o
convenzionale che addimandar si voglia, vi è una
storia viva e perenne che si potrebbe forse chiamar
domestica, poichè vive della vita delle famiglie , nel
loro intimo focolare e nelle loro mutue relazioni d'ogni
giorno. Questa storia accetta o subisce dalle vicende
e dalle istituzioni politiche quello che le conviene o
quello che non può evitare ; ma conserva, a traverso
le fasi della storia esterna che hanno potuto alterarla,
un fondamento tradizionale , il quale è tanto più
8 PREFAZIONE
solido e puro quanto meno varia e accidentata riuscì
la vita pubblica. Questa nuova specie di storia si stu-
dierà dunque meglio presso que' popoli che non ebbero
storie propriamente dette. Dirò di più : sopprimendo
le storie dalla vita dei popoli di una razza, l'unità
della razza, nel legame dell'uso e della tradizione,
emergerà al nostro pensiero ricreatore delle nostre
origini, con una evidenza sorprendente , non risul-
tando più altre varietà nella razza medesima, all'in-
fuori di quelle che determinarono, ne' primi tempi,
la discordia delle famiglie, la distinzione delle famiglie
in tribù, e la loro dispersione, varietà che il diverso
clima e la diversa regione hanno quindi potuto ac-
crescere ed alimentare, molte consuetudini d'un po-
polo essendo intimamente legate con le condizioni
fisiche le quali esso, nelle sue migrazioni, incontra ;
così che certi usi antichi si depongono per altri nuovi
che sorgono ; ma sempre è rimasto qualcosa che ci
richiama all'unità caratteristica della razza. Questo
qualcosa è nel nostro sangue; questo qualcosa pud
diminuire ed offuscarsi ; ma non si perde. Nello stesso
modo , in seno ad una sola famiglia, si notano diverso
carattere, diverso umore, diversa maniera di favel-
lare ; e due fratelli differiranno fra loro tanto che
l'uno parrà straniero all'altro ; essi saranno fra loro
orribilmente discordi e divisi ; e pure, se noi, che ci
troviamo al di fuori delle loro differenze, li osser-
viamo senza alcuna preoccupazione , ne scorgeremo
soltanto la somiglianza e la consanguineità, li affer-
meremo figliuoli d'uno stesso parente. Basta una li-
nea per dare la somiglianza ad un ritratto ; ora
questa linea lega tuttora il gran quadro delle famiglie
alle quali diedesi il nome d'Indo-Europee. L'uso della
prima famiglia patriarcale si moltiplicò nelle famiglie
successive , e, nel moltiplicarsi, naturalmente prese
modo differente ; ma nè le varie inclinazioni che
PREFAZIONE 9
divisero per tempo le tribù di una stessa antica unica
famiglia e talora persino le armarono l'una contro
l'altra, nè la varietà del colore locale, nè l' incontro
con altre razze, nè mi si permetta l'espressione, il
lungo uso dell'uso, hanno potuto presso alcun popolo
estinguere i caratteri essenziali della primitiva sua
stirpe.
Un autore indiano, alcuni secoli innanzi all' era
volgare, a proposito degli usi domestici e particolar-
mente nuziali dell' India , scriveva : « Varii sono gli
usi secondo le regioni ed i luoghi, i quali possono os-
servarsi nelle nozze; noi recheremo soltanto quello che
essi hanno di comune (1). » Lo stesso pressapoco debbo
io qui ripetere, in questo primo saggio di una storia
comparata degli usi nuziali. Ma poichè l'Italia for-
merà l'oggetto speciale delle mie ricerche, ho bisogno
di prevenire il giovine lettore ilaliano , affinchè non
s'inorgoglisca se anche, per la copia degli usi, il nostro
paese sia forse sovra ogni altro ricco . Non c'è di
che andare troppo superbi ; questi usi non sono tutti
indigeni ; nella loro varietà, invece, essi provano pur
troppo come l'Italia fu visitata da stranieri d'ogni
nazione, Greci ed Arabi nel mezzogiorno , Celti e Ger-
mani nel settentrione hanno più largamente contri-
buito, invadendo la nostra contrada, e confondendosi
quindi con noi , a trasformarci in parte nelle nostre
consuetudini ; e soltanto nell' Italia di mezzo e nella
Sardegna, ove lo straniero si arrestò meno, l'antica
tradizione italica può , nella sua povertà , gloriarsi
di essere rimasta più originale. Converrà quindi ,
quando io verrò riferendo gli usi nuziali d' Italia ,
tener qualche conto della provincia onde li ho rile-
vati ; quelli dell' Italia centrale, ossia di quella Italia
che sta in digrosso fra l'antica Magna Grecia e l'an-
(1) Acvalayana Gr’ihyasutra. I.
10 PREFAZIONE
tica Gallia Transpadana , sono, per lo più, indigeni ;
quelli della rimanente Italia , non di rado, importati.
Il che non toglie che spesso fra usi indigeni ed im-
portati si trovi somiglianza ; poichè la somiglianza
ha la sua ragione nel vincolo di parentela Indo-Eu-
ropea . Solamente , dove , per esempio , nell'Italia su-
periore , l'uso nuziale , che sente di feudalismo , ci
richiama spesso alla dominazione germanica, arri-
vando per tal modo a noi di seconda mano , nella
media Italia, ove sente ancora di pagano, risaliamo
direttamente con esso, malgrado il papa, e forse un
poco a motivo di esso , all'antico e tutto nostro mondo
latino .
E spiegatomi così sovra gl'intendimenti che io ebbi
nel distendere il presente lavoro , non avrei altro
d'essenziale che mi prema d'aggiungere, se non che ,
prima di offrire ai concittadini miei il povero frutto
delle mie povere fatiche, mi è necessario render grazie
alle cortesi persone che mi vennero in aiuto nelle
ricerche. So bene che non si troveranno nel mio libro
tutte le notizie relative agli usi nuziali , e che que-
st'opera potrà col concorso di futuri scrittori ancora
centuplicarsi; io non ho quindi la pretesa d' avere
punto punto esaurito il mio argomento; ma ho fiducia
che il poco che ho detto possa difficilmente contradirsi,
e che serva intanto come di scheletro ad opere di più
ampio disegno che sopra gli usi popolari , non per
appagare una lieve curiosità , ma per far parlare
un solo linguaggio all'uomo Indo-Europeo , auguro
vivamente possano presto concepirsi e mandarsi ad
effetto da qualche nostro felice ingegno.
In parte vidi io medesimo , in parte udii, in parte
lessi quello che io descrivo ; ma, per l'Italia odierna,
io debbo specialmente molto alla sollecitudine di due
sorelle mie , della gentile e colta signora Carolina
Bertoldo residente a Riva di Chieri, dell'ing. Giuseppe
PREFAZIONE 11
Chiaroviglio da Pinerolo, del cav. Alerino Como da
Alba, di Agostino Isola da Novi Ligure, del beneте-
ritissimo delle storie Genovesi cav . Emanuele Celesia,
di Pietro Vayra ed Antonino Bertolotti Canavesani,
di monsignor Losana vescovo di Biella, di Desiderio
Chilovi Tridentino, di Pietro ed Emilio Ferrari re-
sidenti nella Lunigiana, del prof. Giuliano Vanzolini
da Pesaro, del cav. Marcolini da Fano, del prof. Luigi
Morandi Tudertino , del cav . Andrea Miotti Valtel-
linese, del prof. Ferdinando Santini residente ad Ar-
pino, del cav . Gabriello Cherubini da Atri e del prof.
Giuseppe Pitrè Palermitano. Per gli usi Russi, oltre
all' esserne io medesimo stato testimonio oculare ed
essenzial parte, mi giovarono assai le rimembranze
di mia moglie e di mia suocera ; e, per alcuni canti
popolari Russi che illustrano l'uso nuziale del distretto
di Tarszok, i lettori italiani ringrazieranno l'amabile
zelo della signora Tatiana Lvoff.
Le donne hanno contribuito a questo libro quello
ch'esso contiene forse di più poetico ; possa ora il
libro medesimo, come povero compenso a tanta gen-
tilezza, nel venire fra le loro mani, non parere nè L
troppo indiscreto nè troppo pesante .
Santo Stefano di Calcinaia, 1.0 settembre 1868.
ANGELO DE-GUBERNATIS .
INNANZI DI ENTRARE IN MATERIA
SCOPO DEL MATRIMONIO
Dall' inno vedico al catechismo cattolico si è sem-
pre consacrato il matrimonio per una sola potente
ragione , quella di procrear figliuoli ; ma la ragione
fu spesso sottintesa o temperata da un naturale istinto
di poesia, che non permetteva di considerare la com-
pagna dell'uomo come un solo servile strumento di
generazione. Unico il diritto romano pose per legge e
considerò come sacro (1) che il matrimonio si compie
per cagione dell'ottener figli. Unico il diritto romano
distinse, per legge , la dignità della donna da quella
dell'uomo, stabilendo che vi sia potestà sopra il ma-
schio e che la femmina si possa dar nelle mani, ossia,
ciò che torna poi il medesimo, manomettere (2). Unico il
diritto sacro romano inventò una dea Viriplaca (3), ossia
placatrice del marito, alla quale s'innalzò pur un tem-
pio a fine di comporre le contese domestiche.
(1) Ennio, presso Festo, ha:
Ducit me uxorem sibi liberam quærendûm gratia
e Varrone , presso Macrobio , va più in là : « uxorem liberorum
quærendorum causa ducere, religiosum est » Presso gli odierni parsi,
il marito piglia una seconda moglie , se la prima sia sterile , e
assoggetta la prima alla seconda .
(2) Gajus, I, 108: « Sed in potestate quidem et masculi et feminæ
esse solent; in manum autem feminæ tantum conveniunt. »
(3) Cfr. Valerio Massimo, II, 16.
14 SCOPO DEL MATRIΜΟΝΙΟ
La donna riusci per tal modo, a serva dell' uomo ,
e, malgrado il cristianesimo, questo barbaro sentimento
penetrò ancora dal diritto romano nell'italiano. Gli
statuti di Lugo , confermati nel 1520 dal duca Alfonso
di Ferrara, affermano nel marito il diritto di batterla,
e, se adultera, di esporla sul rogo, tanto che ne muoia
ove a lui piaccia (1). La barbarie della legge contri-
bui ovunque in Italia a rendervi talora barbaro l'uso .
Quindi alla legge stessa la necessità talora di correg-
gersi e di contradirsi per sopprimere l'uso che per-
seguitava la donna. Gli Statuti di Perugia, pubblicati
nel 1523 (2) mettono una multa ai maschi che insul-
tino per via una donna di buona condizione e di
buona fama. Un decreto del 13 maggio 1709 pubbli-
cato dalla Repubblica di Genova (3), tenta correggere
lo stesso abuso nell'isola di Corsica, ove era pur di-
venuto un'arte di darsi moglie. La donna si rispetta
male finchè si considera da meno dell'uomo ; e il
diritto romano che ne proclamava la servitù con-
tribui non poco a rimuovere dai nostri usi quella
(1) Ita quod moriatur si viro suo placuerit.
(2) Rubr. 75 : Quoniam est inhonestum verecundiam facere mulie-
ribus , statuimus quod quicunque masculus fecerit aliqui mulieri
bonæ conditionis et famæ iniuriose cadere de capite vel acceperit
vettam vel drapellum vel velectum vel pannum quem in capite de-
portaret, puniatur pro vice quolibet in XXV lib. den.
(3) Si trova nelle Addizioni agli Statuti di Corsica , Lione 1843
« Avendo avuto notizia che si vada sempre più addimesticando
» l'abuso già da tanto tempo introdotto di baciare in istrada pub-
„ blica e di attaccare secondo il vocabolo di quel paese, cioè di
> levare la scufia, o dar di mano, o di fare altri atti di famiglia-
> rità alle giovani, perchè impossibilitate queste dal pregiudicio
> che nell' altrui opinione ne sentono a più maritarsi con altri
> siano costrette a sposarsi con loro, eсс. "
SCOPO DEL MATRIMONIO 15
specie di culto per la donna che prima di essere
cristiano fu celtico e Germanico , quella specie di
culto estetico alla madre , alla sposa, alla indovina ,
ossia all'essere di più delicato e più pronto sentire,
che ci lascia cosi felicemente distinguere la donna
dalla femmina. Perciò, in Italia, e , precisamente nel
seno del cattolicismo , nell'Italia del papa , ossia nel-
l'Italia della superstizione, più ostinati che altrove si
mantennero gli usi fallici. Non sono molti anni che a
Veroli nella Sabina si compievano ancora processioni
falliche. E mi sembra simbolo di un'antica proces-
sione fallica, l'uso che vigeva, nella città di Gallese,
per la festa di San Famiano, nella quale si portava at-
torno un talamo acceso (1). Nel seguito di quest'o-
peretta, ci accadrà di notare i varii usi persistenti in
Italia, come augurio di fecondità alla sposa , alcuni
de' quali troveremo perfettamente conformi con altri
de' tempi patriarcali vedici. La terra dell'ideale, come
(1) Statuti di Gallese , pubblicati in Gallese nel 1576 , lib. V :
« Perchè egli è cosa concedente che nelle feste solenni celebrate
> dalla santa chiesa cattolica romana e parimenti dalla nostra
» città s'abbino da ornare et honorare con gli lumi maggiori
> che si possono, e somigliantemente per manutenere le buone
› e laudabili consuetudini di questa nostra città di Gallese, per
> il presente capitolo, statuimo et ordiniamo che tutti gli arte-
> giani della nostra città di Gallese siano obbligati e debbano
> ogni anno perpetuamente un mese avanti la festa della so-
> lennità del glorioso San Famiano advocato et Protettore della
> nostra Patria, creare due Pettori della loro arte, quali Rettori
>>così creati, habbiano da exercitare il loro ufficio del Rettorato
» per un anno continuamente , e debbano fare un Talamo , 0
› vero un Cirio , ad uso e stil di Roma , e detto Cirio basti per
› tutta l'arte , sino che serrà buono adoprare e detti Rettori
› habbino cura e debbano processionalmente farlo portare per
› tutta la città acceso, ecc. "
16 SCOPO DEL MATRIMONIO
alcuno di noi si compiace denominar la patria nostra,
apparirà , negli usi de' suoi abitatori , terribilmente
positiva. Qui si benedice la terra perchè porti buon
grano ; si benedice la sposa perchè riesca feconda ;
ed altra virtù alla benedizione non si desidera.
La donna pel nostro popolo unicamente partorisce ;
resta perciò una cruda ironia la risposta che l'epi-
cureo imperatore Elio Vero dava alle lagnanze della
moglie negletta : « Soffri ch'io mi dia piacere con altre.
>
Perocchè il nome di moglie suona dignità e non
»
volutta » (1). Elio Vero metteva cosi la donna al
di sotto di quello che piace ai sensi : ne faceva una
fredda cosa elegante .
(1) Elio Spartiano, nella vita di Elio Vero, presso gli Scriptóres
Historiæ Auguste; ed Th. Vallaurius, Augustæ Taurinorum, 1853:
Patere me per alias exercere cupiditates meas. Uxor enim dignitatis
nomen est, non voluptatis.
LIBRO PRIMO
PRIMA DELLE NOZZE
I.
Mentre la fanciulla è bambina .
La pupa de' latini , pupattola degli italiani, poupée
de' francesi è il primo oggetto che richiama l'atten-
zione della donna al suo destino ; ancora bambina
ella è già madre; la bambola ch'ella inventò per bi-
sogno di prodigar tenerezze a qualcosa di più debole
ch'essa non sia , fu creazione del suo solo istinto di
madre. La pupattola è comune all'uso indo-europeo ;
paidiské l'addimandano i Greci , come noi diciamo
bambola presso bambina ; e per la stessa analogia gli
Indiani chiamavano la pupattola putri , o daruputri ,
daruputrikà che vale fanciulla di legno (1).
II.
Mentre la fanciulla cresce.
La donna si anticipa le gioie nuziali ne giuochi
fanciulleschi , ove la sposa è figura prediletta. Lascio
stare, per ora, la parte che i fanciulli pigliano nelle
vere nozze, ora per fare allegria, ora per festeggiare,
(1) Essa ci viene già ricordata nel Mahabharata .
DE GUBERNATIS . 2
/
18 MENTRE LA FANCIULLA CRESCE
ora per maledire, dovendo qua e là farvi accenno in
diversi capitoli; quello che essi ripetono ora facevano
in antico; quello che si nota fra noi, osservasi pure,
a mia notizia, in Germania, tra i Bretoni, tra i Finni,
nell'India ; la festa è un po' per loro, perchè essi sono
lo scopo finale della festa. Essi rompono le vecchie
stoviglie, essi mandano urli di gioia , essi salutano e
servono (1 ) gli sposi , e talora , per ischerzo , li arre-
stano ; talora vanno più in là; per esser fatti tacere
con regalini d'ogni maniera , molestano gli sposi per
mezzo di ostinate insolenze. I fanciulli sono adunque
la morale , il coro della favola ; e come la favola è
fatta per la morale , cosi la festa nuziale è animata
da fanciulli , la presenza de' quali è necessaria come
un augurio per la fecondità del talamo. Per questa
parte probabilmente che i fanciulli da lungo tempo
hanno preso alle feste nuziali, la tendenza nei loro
giuochi ad imitarle. Io so di parecchi giuochi so-
miglianti che si fanno in Italia , de' quali il più
evidente parmi quello che usa in Piemonte detto del-
l'ambasciatore, che qui descriverò poichè mal noto o
punto ai non Piemontesi. Ambasciatore chiamano i
Piemontesi nel loro giuoco come i Toscani ne' loro
stornelli il messaggiero d'amore. Un fanciullo chefi-
gura il capo di casa dà la mano a due fanciulle che
(1) Tra i latini , per esempio. Quindi Varrone , presso Nonio :
Sic in privatis Domibus pueri liberi et pueræ ministrabant ; ed Ovi-
dio , ne' Fasti , a proposito di un sacrificio domestico :
Stat puer et manibus lata canistra tenet.
Inde ubi ter fruges medios immisit in ignes
Porrigit incisos filia parva favos .
MENTRE LA FANCIULLA CRESCE 19
formano catena con altre disposte in una lunga fila.
L' ambasciatore, che è un altro fanciullo, si avanza o
con la cantilena alla quale io segno qui sotto le note,
dice solennemente
Sur imbasciatur (1 )
(mi) (fa) (sol) (la) (sol)
quindi, facendo alcuni passi indietro :
Lantantirulirulena
(mi) (sol) (sol) (re) (mi) (mi) (do) (sol) ;
il fanciullo si avanza di nuovo e ridice
Sur imbasciatur
quindi si ritrae al suo posto , cantando :
Lantantirulirlalà
(do)
Allora le fanciulle guidate dal capo di casa si avan-
zano verso il messaggero d'amore e cantano :
Cosa völi vui ? (2)
Lantantirulirulena (3)
Cosa völi vui? (4)
Lantantirulirula .
Ritorna la volta dell'ambasciatore, che avanzandosi al
primo e al terzo, ritirandosi al secondo e quarto ver-
setto , ricomincia a cantare:
I või una d' vostre fie (5)
Lantantirulirulena ecc.
(1) « Signor ambasciatore. » .
(2) « Che volete voi. >>>
(3) Cantando questo versetto le fanciulle e il capo di casa
fanno alcuni passi indietro.
(4) Le fanciulle si avanzano di nuovo col capo di casa.
(5) " Io voglio una delle vostre figlie. »
20 MENTRE LA FANCIULLA CRESCE
Le fanciulle e il capo di casa, muovendo di nuovo
incontro, domandano :
Quala völi vui ? (1)
Lantantirulirulena ecc.
La risposta dell'ambasciatore non è sempre la me-
desima; ora egli dice che vorrebbe la bionda, ora la
bruna, ora la più bella e cosi via finchè il giuoco si
stanca. Le fanciulle interpellano l'ambasciatore sul
mestiere che toccherà fare alla nuova sposa con lo
sposo che la fa domandare :
Che meste farála ? (2)
Lantantirulirulena ecc.
Qui pure la risposta dell' ambasciatore può essere
varia ; ora la sposa è destinata a diventare principessa,
ora fruttivendola, ora qualcosa di meno, secondo l'u-
more variamente burlesco dell' ambasciatore. Ma non
di rado avviene che il giuoco si guasta e la partita
si scombina, poichè la fanciulla si sente offesa di es-
sere chiamata ad un mestiere troppo vile. Allora si
mettono in mezzo i pacieri e si studia di placarla col
rifare il giuoco ed invitarla a nozze piú illustri. Le
fanciulle e il capo di casa ripigliano le loro questioni ,
una delle quali sopra la dote (3 ) che il marito in-
tende fare alla sposa. Dopo alcune altre questioni e
risposte, il capo di casa e le fanciulle lasciano andare
la fanciulla eletta alle nozze con le parole sacramentali :
Piévla püra ch'a l'è vostra (4)
Lantantirulirulena, ecc.
(1) « Quale volete voi ? >
(2) « Qual mestiere farà ella ? >
(3) Vedi il capitolo Sulla dote nel secondo libro di quest'opera.
(4) « Pigliatevela pure ch' ella è vostra. »
MENTRE LA FANCIULLA CRESCE 21
L ' ambasciatore la mena con sè e tutti, fanciulli e
fanciulle , che pigliano parte al giuoco , formano un
circolo e girano, mettendo grida di gioia , poichè la
sposa è fatta.
Io suppongo che questo animatissimo giuoco de'
fanciulli piemontesi sia di origine celtica, per la gran
parte che nelle nozze assume l' ambasciatore (1). Il
giuoco riproduce , al vivo , tutta una chiesta nuziale
alla maniera celtica, sebbene la chiesta stessa, in ge-
nere, e le danze che la conchiudono siano conformi
a tutto il rito indo-europeo.
Probabilmente, in Piemonte, appena l'uso celtico ,
che dura pur sempre tra i Bretoni, si andò perdendo,
divenné un giuoco da fanciulli.
Cosi pure la moscacieca, che si fa nell' Anno-
verese ( 2) , per nozze , è diventata , in Piemonte ,
un giuoco da fanciulli , mentre vi scomparve dall' uso
nuziale. Un fanciullo bendato deve, fra molte fanciulle,
ritrovare la sua; se egli si sbaglia , ha le risate di
tutta la compagnia.
In Piemonte, usa ancora un altro giuoco che si ri-
ferisce alle nozze. Esso rappresenta i doni da farsi
alla sposa. I fanciulli stanno seduti in giro. Il capo-
giuoco domanda a ciascuno di essi quello ch' essi :
sarebbero disposti a dare alla sposa. I fanciulli ri-
spondono , avendo cura di evitare , nella descrizione
(1) Vedi nel primo libro di quest'opera, il capitolo intorno al
messaggero d'amore e quello intorno alla chiesa.
(2) Cfr. Kuhn u. Schwarz : Norddeutsche Sagen, Märchen u Ge-
bräuche. Leipzig 1848 e, in questo libro, il capitolo che intitolo :
« Gli sposi si provano.
22 MENTRE LA FANCIULLA CRESCE
dell'oggetto ch'essi destinano alla sposa, la lettera r.
Ove si sbaglino , lasciano nelle mani del capogiuoco
un piccolo pegno da riscattarsi, in fin di giuoco, per
mezzo di una penitenza. Particolarmente le fanciulle,
nella minuta descrizione degli oggetti per la sposa,
mostrano una sollecitudine tutta amorosa ; i loro oc-
chietti si animano e brillano quanto vorrebbero far
brillare le stupende vesti delle quali intendono rega-
lare liberalmente la loro sposa.
In Toscana usa il giuoco del verde (1 ) ; piace agli in-
namorati ; chi perde, in questo giuoco, perde spesso l'a-
more ; poichè per il damo e per l'amata è segno d'obblio,
di disprezzo il non trovare il verde nelle mani di chi
ama. I bambini lo fanno volentieri coi vecchi che
hanno altri pensieri pel capo, sapendo come sogliono
rimediare con doni alle patite sconfitte; gli amanti
maliziosi, nel principio de' loro timidi amori, mettono
volentieri , per condizione , un bacio che chi perde
Geve dare o lasciarsi dare da chi ha vinto ; gli amanti
inoltrati invece s'insospettiscono, diffidano , s'adirano,
si allontanano talvolta, per la sola cagione del verde
dimenticato (2). L'uso tuttavia va in disuso; ed è a
(1) Ecco , in qual modo , lo descrive il Fanfani, nel suo Dizio-
zionario dell'uso Toscano : « Verde chiamasi la pianta del bossolo
→ che si mantiene sempre verde. Nella quaresima è costume che
> due, specialmente gl'innamorati, spiccano una o più foglie di
> verde e la custodiscono gelosamente, guardando di non la per-
> dere ; e se l'uno la perde, dee dare all'altro o questa o quella
> cosa pattovita fra loro. Ciò si dice fare al verde , e ogni volta
> che i due si trovano insieme, l'uno dice tosto all'altro: fuori
> il verde ! »
(2) Vedi ancora, in questo primo libro, il capitolo che descrive
< come si fa l'amore, »
PRONOSTICI 23
prevedersi che resterà, col tempo, un solo giuoco da
fanciulli, finchè alla loro volta i fanciulli, per la cre-
sciuta serietà de' tempi, diventati serii, non ismettano
anch'essi di giuocare.
III .
Pronostici.
La funzione più importante della vita è il matri-
monio; occorre quindi averlo propizio; le stelle , il
cielo , la sorte , il destino si invocano come auguri.
La fanciulla incomincia a sottintendere ch ' ella non
può mancare di maritarsi. Ma quando gli amanti si
fanno desiderare ella sa il modo di attirarli a sè e
di vincerli d'affetto .
Nell'India (1) e in Grecia v'erano formole per far
nascere l'amore e per far arrivare lo sposo. Nell' In-
dia, la fanciulla le recitava sopra una pelle di vacca
tentando il suo destino. Queste formole usano pure
nella Germania meridionale (2); la giaculatoria ha la
virtù di destare l'amore nella persona indifferente che
si ama (3). Nato l'amore, chi ne è posseduto diventa
furioso. La Venere Ellenica si vendicava spesso cosi
de' ribelli al suo potere; e le streghe del medio evo
avevano mille maniere d' unguenti e di incantamenti
(1) Cfr. Atharvaveda , VÌ, 89 .
(2) Cfr. Weber, Indische Studien, V.
(3) Cfr. Schönwerth e Weinhold citati dal Weber negli Indi-
sche Studien.
24 PRONOSTICI
per muovere la passione d'amore o allontanarla. Nelle
nostre novelline non di rado l'eroe è acceso , per
erba o bevanda che gli passarono le streghe, da su-
bita passione per altra donna che non sia quella che
egli ama.
Posta la necessità di un marito, bisogna sapere di
qual parte egli verrà, e quale sarà la sua condizione,
e quando e dove si faranno le nozze. Ora, con la ro-
vina di Delfo non rovinarono tutti gli oracoli ; le no-
stre fanciulle ne conoscono parecchi i quali , a senso
loro, non possono sbagliare ; e, poichè la sorte è quella
che deve decidere, esse latentano in ogni onesta maniera.
A Roma i due iddii Pilumno e Picumno, secondo No-
nio Marcello , presiedevano anticamente agli auspicii
per nozze ; e in Toscana, era l'uso di digiunare, per
assicurarsi un felice matrimonio (1) .
A novembre s'incomincia, come dicono nel Canavese
A purté le büsche pr fe' 'l nì (2).
Ma la vigilia dell'Epifania, ed, in genere, il tempo fra
il Natale e l'Epifania si elegge particolarmente dalle
fanciulle cosi in Italia , come, a mia notizia , in Ger-
mania , in Russia e Scandinavia per riscaldare i loro
amori . Gli antichi ateniesi chiamavano col nome di
Gamelione il mese di gennajo siccome quello in cui
celebravasi il maggior numero di matrimonii .
Altro giorno propizio a tirare l'oroscopo per nozze
è in Italia, in Grecia, in Francia , in Isvezia e , come
(1) Cfr. Gelli , nella Sporta , atto 5.º, scena 5.ª Io ti so dir,
› Lapo , che tu avevi digiunato la vigilia di Santa Caterina , a
• tor la moglie che tu avevi tolta. "
(2) " A portare i fuscelli per fare il nido. "
PRONOSTICI 25
suppongo, anche in Germania, la vigilia di san Gio-
vanni .
Nell' Umbria, la sera dell' Epifania, le ragazze, per
sapere se troveranno marito, vanno nude (cosi almeno,
perchè l'oroscopo riesca bene, dovrebbero andare) a
cogliere un ramo d'olivo verde. Preparano un posti-
cino sul focolare, staccano una fogliuzza , la bagnano
di saliva e la buttano quindi sul focolare; se la fo-
gliuzza fa tre salti, o per lo meno gira e rigira sopra
sè stessa, ne traggono augurio di prossimo e felice
matrimonio ; se , al contrario, la foglia brucia senzá
muoversi , ogni speranza di matrimonio è perduta. Mi
piace qui ricordare l'erba che, presso l'Atharvaveda (1),
si rallegra innanzi a quello che arriva.
In Piemonte, come in Russia (e forsé pure in Ger-
mania) usa per l' Epifania nella focaccia, che in tal
giorno si mangia, mettere due fave, l'una nera, l'altra
bianca; l'una rappresenta il re, l'altra la regina; i
due che trovano la fava, ossia il re e la regina, si le-
vano e si baciano; il re e la regina rappresentano
evidentemente gli sposi (2).
A Riva di Chieri si piglia uno stelo d'erba a più
nodi e si rompe ciascuno di questi nodi, dicendo al-
l'uno: io mi sposerò qui, e all'altro io mi sposerò fuori.
L'ultimo nodo è quello che deve dir la verità. Somi-
glia questo oroscopo a quello che pigliano le inna-
morate francesi e, per riflesso di moda, le nostre sopra
(1) VII, 38.
(2) Vedi, nel secondo libro di quest'opera, il capitolo che s'in-
titola: Gli sposi incoronati.>>
1
26 PRONOSTICI
i petali della margheritina per indovinare la forza del-
l'amore della persona amata.
A Riva di Chieri ancora , e nel Canavese, all' Epi-
fania, le ragazze da marito usano lanciare la pantofola
o lo zoccolo verso la porta di casa; se la punta si
volge verso la porta, il segno è buono; la ragazza ,
entro il carnovale, piglierà marito ; se no, no. Lo stesso
pronostico si leva a Pinerolo, ma il primo giorno del-
l'anno. Una simile usanza vige ancora in Russia, ove
si getta una pianella sopra la strada; lo sposo dovrà
arrivare da quella parte verso la quale si volge la
punta della pantofola.
Non meno diffusa è l'usanza di consultare il de-
stino intorno allo sposo futuro , per mezzo delle fi-
gure che si osservano sopra il ghiaccio. A Pinerolo ,
nel Canavese e nel Mantovano, la notte dell'Epifania,
le fanciulle mettono fuori di casa , possibilmente sul
tetto, una scodella piena d'acqua. L'acqua diaccian-
dosi nella notte, dalle impronte che si vedranno sul
ghiaccio, le quali, nel Canavese, sono attribuite ai tre
Re Magi, la fanciulla al mattino indovinerà il mestiere
dello sposo predestinato .
Poichè le donne credono alla predestinazione ; e fu
tempo che vi credevano anche gli uomini. Leggo nella
vita di Settimio Severo , presso gli Scriptores Historiæ
Augusta (1), come questo imperatore sposò una fan-
ciulla, credendola sortita a nozze regie, se pure, come
(1) Ed. Th. Vallaurius : Quum amissa uxore aliam vellet ducere,
genituras sponsarum requirebat , ipse quoque matheseos peritissi-
mus ; et quum audisset esse in Syria quandam, quæ id genituræ
haberet, ut regi jungeretur, eandem uxorem petiit...
PRONOSTICI 27
è probabile, non simulo di credere quello che gli tor-
nava. Così , presso il Lalita- Vistara (1) , Buddha non
conoscendo ancora la sua futura sposa, appena la in-
contra sente ch'è dessa. Egli ha la piena intelligenza
delle sue virtù. Ora a questi presentimenti che sono
diventati una superstizione particolarmente femminina
io do volentieri una origine mitica. Mi par difficile che
una giovinetta dica d'una cosa accaduta « il cuore me
lo diceva » se simili avvisi del cuore, non abbia mai
udito vantare prima da sua madre; la credenza ne'
presentimenti è tradizionale , ereditaria di madre in
figlia. Buddha s'accosta alla sua sposa e ha l'inten-
dimento delle sua virtù ; Buddha è il sole, quello che
vede tutto; la sua sposa è l'aurora; il sole s'accosta
all'aurora ; il sole trova la sua sposa, la indovina alla
prima. Per altra parte, l'aurora è la più sollecita a
destarsi ; è la prima a vedere, a scoprire ; essa pre-
vede ; l'aurora è donna , e la donna si paragonò al-
l'aurora ; ossia si fece indovina. Ma non solo l'au-
rora è sposa del sole; anche talora la nuvola; la nu-
vola tuona ; la nuvola avvisa; la nuvola è donna; e
la donna si paragonò alla nuvola , ossia si fece pito-
nessa, sibilla, druidessa, fata, profetessa. Come aurora,
pressente; come nuvola, predice.
Ad altri pronostici ricorrono ancora in Italia e fuori
le fanciulle da marito.
Nel contado di Pinerolo , per sapere se un matri-
monio avrà luogo si o no, mettono insieme due pal-
(1) Nella versione Tibetana tradotta dal prof. Foucaux : Hi-
stoire du Bouddha Sakya Mouni.
28 PRONOSTICI
lottole di stoppa destinate a rappresentare gli sposi
desiderati ; quindi le due pallottole si abbruciano
nell'aria ; sé le ceneri si sollevano, buon segno , il
matrimonio si fa; se restano giù , cade pure ogni
speranza nella povera villanella. Un'altra forma dello
stesso uso è il cosi detto mignofet; si mettono due
fantoccioni di stoppa l'uno innanzi l'altro e s'appicca
loro il fuoco; cadono essi l'uno verso l'altro ? e tutto
andra bene; si voltano essi da un'altra parte ? ed an-
che le nozze si voltano.
Nell'Atharvaveda, è una strofa ove si invita la sposa
a salire sopra una navicella della fortuna che la por-
terà verso il suo predestinato. Il Weber che la sco-
perse e la citò (1) riferisce alcune usanze germaniche
le quali mi sembrano bene provare come la formola
d'invito alla fanciulla perchè si imbarchi con la sua
fortuna dovesse pure accompagnare qualche esperi-
mento che le fanciulle indiane facevano della loro sorte
come spose.
Ora una tale corrispondenza de'giuochi a certé po-
polari usanze, parmi che renderebbe, a chi lo tentasse,
molto interessante un altro libro, che si potrebbe in-
titolare la storia dei giuochi. Auguro pertanto che,
fra tanti giuocatori, uno se ne trovi, che il desiderio
di illustrar l'arte, alla quale si appassiona, muova a
soddisfare con la vanità sua la nostra curiosità , rac-
cogliendo materiali per l'opera da me proposta , alla
quale non farebbero certamente difetto i lettori.
Oltre l'Epifania, è vivamente desiderata dalle nostre
(1) Op . cit .
PRONOSTICI 29
fanciulle la notte di S. Giovanni (1), per interrogare
l'oracolo d'amore. In Santo Stefano di Calcinaia, pic-
colo borgo ad otto miglia toscane da Firenze, ove io
sto scrivendo queste pagine , le fanciulle ricorrono a
tre forme di oroscopi. Verso l'albeggiare , pigliano
del piombo e lo liquefanno ; cosi liquefatto lo mettono
nell'acqua , ove il piombo assume figura di un omino;
secondo la figura di quest'omino, argomentano del me-
stiere che farà il loro sposo.
Oppure le fanciulle , pigliano tre fave ; sbucciano
l'una per intero, l'altra a mezzo, la terza punto e le
involgono in tre pezzi di carta e le ripongono sotto
il guanciale ; la notte ne levano a caso una di sotto
il guanciale; se la fava è tutta sbucciata, lo sposo
sarà un povero ; se a mezzo, nè povero nè ricco ; se
punto, lo sposo sarà ricco. Finalmente, ancora consul-
tano la sera le stelle e ne fissano particolarmente tre,
le quali , chiamano de' mercanti ; la notte , com'esse
dicono, sogneranno inevitabilmente tre uomini; e l'uomo
che esse vedranno in mezzo sarà lo sposo loro de-
stinato.
A Mineo , in Sicilia , la notte di San Giovanni , le
(1) Nel comasco è il proverbio :
La rosada de san Giovann
La guariss tüc'c' i malann,
Vedi le Canzoni popolari comasche , raccolte dal dottor ' G. B.
Bolza. Vienna, 1867 ; e un canto popolare spagnuolo, riferito dal
Caballero (Cuentos y poesias populares Andaluces) :
La mañana da San Juan
Cuaja la almendra y la nuez,
Asi cuajan los amores
Cuando dos se quieren bien.
30 PRONOSTICI
ragazze mettono alla finestra la cosi detta spina (il
fiore del cardo selvatico); ove la spina si apra e fio-
risca nella notte , esse si sposeranno , oppure il loro
amante sarà fedele .
In Francia , nel mattino di San Giovanni , è il tri-
foglio che annunzia alle ragazze un prossimo matri-
monio o un matrimonio felice (1).
Nella Svezia, secondo il Léouzon Le Duc (2), la vi-
gilia di San Giovanni tre ragazze si raccolgono a pre-
parare in silenzio un pasticcio, che insieme fanno cuo-
cere e dividono a caso in tre parti, le quali mangiano.
Vanno quindi a dormire e sognano la notte inevitabil-
mente un giovine che muove alla lor volta con una
dolcissima bevanda; quello è il giovine destinato a
menarle all'altare. È chiara la somiglianza di quest'uso
con quelli di Calcinaia sopra riferiti ; un altro , pure
della Svezia, ci richiama ai medesimi; ma io temo che
il Léouzon Le Duc non ce lo abbia descritto per in-
tiero. Secondo questo viaggiatore e dotto francese, le
ragazze svedesi compongono a San Giovanni un mazzo
di nove fiori diversi, fra i quali sempre l'hypericum o
fior di San Giovanni ; questi fiori vogliono essere rac-
colti da nove campi diversi. Composto il mazzetto, lo
mettono sotto il guanciale e si coricano; quello che
nella notte sogneranno, avverrà. Non sembra egli pro-
babile che ogni fiore abbia un suo proprio significato?
e che dal tirar fuori del mazzo a caso uno di quei
(1) Da un articolo di Clement-Mullet, pubblicato nel N. 56 della
Revue Orientale et Americaine .
(2) La Baltique, Paris, Hachette.
PRONOSTICI 31
fiori si disegni alle fanciulle svedesi il loro destino ? (1).
Ad altri oracoli d'amore ricorrono in Grecia per
San Giovanni, ai quali allude pure il canto popolare :
La sorte gettai per provarti
E la mia sorte mi disse che moglie ti pigli ;
ed una prova sarebbe accennata in questo distico :
La mia mano ha ben presa la tua tenera mano,
Quest' è segno buono ch'io ti farò compagna (2).
Nell'India, il sedersi sulla coscia sinistra d'un uomo
è segno di volerlo fare suo sposo; il sedersi invece
sulla coscia destra è proprio dei figli e delle nuore (3).
I moti del corpo seguono quelli dell'anima; nell'India
e in Russia, si crede ancora che l'uomo provi il bisogno
di starnutare, quando una donna pensa a lui.
In Italia si dice : « Chi a digiuno ha starnutato sarà
nel giorno regalato, o mortificato » . A me sembra, per
cagione del buon senso attribuito ai proverbi, che que-
st' ultima parte del proverbio , ossia la mortificazione
che segue lo starnuto sia un'aggiunta posteriore (4)
fatta da chi non credeva alla sincerità del primo pro-
verbio. Gli augurii poi che accompagnano fra noi
l'uomo che starnuta, i prosit, le felicità, i Dio ti pro-
speri , i bonheur , gli inchini che accolgono , ovunque
ne arrivi il caso, colui che starnuta, sono, come parmi ,
(1) Si confrontino gli otto acervi dell'uso indiano, nel capi-
tolo : Gli sposi si provano, in questo medesimo primo libro .
(2) Vedi TOMMASEO, Canti greci.
(3) Vedi Mahabharata, vol, 1 , 3873-3875 .
(4) Tuttavia era già romana la superstizione che fosse di cat-
tivo augurio lo starnutare di primo mattino, e di buono invece
lo starnutare nel pomeriggio.
32 PRONOSTICI
un resto della superstiziosa credenza, che considerava
lo starnuto come una benedizione .
I medici troveranno forse a questi augurii una ra-
gione tutta igienica , ed avranno l'augurio che si fa
allo starnutante, come uno scongiuro di qualsiasi caso
apopletico che potesse cogliere l'uomo nell'atto dello
starnutare . Ma io non so allora perché non si fareb-
bero simiglianti augurii per colui che ha un accesso
di tosse, per dire d'un caso molto più pericoloso .
Stimo invece veramente che si avesse lo starnuto
come avviso profetico, e interpreto pur questa credenza
col mito del tuono. Il tuono è uccello di buon augu-
rio, è il gallo che canta e farà piovere, nella mitologia
vedica (1) ; è insomma il nunzio della pioggia ; l'uomo
suscitato da Prometeo, nella mitologia ellenica, si fa sen-
tire per mezzo di uno starnuto; ora Prometeo è un eroe
tutto solare e congiunto ai fenomeni del cielo tempestoso .
Raffigurato il tuono come uno starnuto del Dio, si potè
agevolmente dare anco allo starnuto in genere, la virtù
di presagire. In Oriente, lo starnuto specialmente del re,
viene accompagnato da preghiere ; per i greci e per i la-
tini, era una specie di oracolo. È noto il culto che ebbe
ne'paesi germanici il tuono e come vi si denominasse
dal medesimo il giorno che noi sacrammo pure a Giove
tonante, ossia il giovedi (Donnerstag). Perciò il giovedi
rimase per i tedeschi devoti alle antiche loro credenze,
giorno di riposo (2) e di festa; ma il giovedi, il giorno
(1) Vedi le mie Fonti vediche dell'Epopea.
(2) Quindi venne l'uso nostro di far riposare gli scuolari il
giovedi.
PRONOSTICI 33
del tuono , viene essenzialmente prescelto per compi-
mento delle nozze, e i contadini tedeschi chiamano una
bella fanciulla da marito granata del tuono (1). Giove
tuona, Giove starnuta, Giove benedice; il giorno sacro
a Giove è ancora sacro a Giunone arbitra di matrimoni,
ossia sacro alle nozze ; Giove starnuta; Giove si sposa;
l'uomo starnuta; dunque una donna ha pensato a lui ;
non altra origine parmi che si possa attribuire più
probabile alla superstizione indiana e russa , e in parte
pure italiana. Poiché, non conviene obbliarlo ; se i cre-
duli sono da compatirsi, se la credulità umana è de-
plorevole, l'origine della credenza ha quasi sempre un
significato naturale che appaga la ragione. Ora io non
so se ho precisamente indovinato qui le fonti del pro-
verbio italiano, che riguarda lo starnuto ; ma son con-
tento di questa breve digressione che mi porge op-
portunità di raccomandare ai nostri raccoglitori e com-
paratori di proverbi la maggiore importanza ed utilità
che avrebbero le loro fatiche se de'proverbi omai messi
tutti insieme (gli essenziali almeno), si muovessero final-
mente a rintracciare quello che più ci rileva, cioè il loro
modo di prodursi. Un solo proverbio bene illustrato può
riuscire a chi legge, più utile di tutte le raccolte di
proverbii che si conoscono, le quali , tuttavia, per la
copia de'materiali che somministrano, non sono certa-
mente a disprezzarsi da chi scrive .
(1) Vedi ROKHOLZ, Deutscher Glaube und Brauch, vol. 2, p. 42,
Berlino, 1867. Le granate con le quali la tradizione popolare si
rappresenta le streghe, appartengono evidentemente al mede-
simo mito .
DE GUBERNATIS . 3
34 COME SI FA L'AMORE
IV.
Come si fa l'amore.
Sull'amore fu scritto tanto, dal Cantico dei Cantici
a Stendhal. E pure il capitolo che io metto qui era
ancora da scriversi. Io so che, dal più al meno, l'a-
more è sempre il medesimo , in sostanza ; ma , nella
forma , varia assai ; e variano poi non poco fra loro
l'amore per l'amore e l'amore pel matrimonio. Io mi
lascio qui occupare da quest'ultimo soltanto e mi privo
cosi del piacere di scrivere molte pagine patetiche ,
che, sotto il pretesto di offrire una nuova teoria del-
l'amore, mi permettessero, ove io ne avessi voglia, di
sfogare all'aperto le mie proprie malinconie.
Prima questione. A quale età incominciano gli amori?
Non parlo degli erotici , ma di quelli che hanno per
fine il connubio , e che poi si chiamano volgarmente
amori onesti. La questione, presso di noi , è risolta
dalla sola fanciulla; appena ella sia matura, le si può
permettere d'incominciare a far l'amore .
Ma nell'India antica, ove si facevano spose di otto
anni , nell'India odierna, ove si usa fidanzare le figlie
a cinque o sei anni , sebbene si consegnino al ma-
rito solo fra i dieci o i dodici anni , ossia soltanto
dopo che abbiano dato segni di fecondità; presso i
turchi ove si destina la fanciulla a tre o quattro anni,
per consegnarla a dodici o tredici ; nel Kirman , ove
si promettono le fanciulle a nove anni e a tredici si
sposano, non rimane evidentemente alle fanciulle nes-
sun tempo per fare all'amore. E, in genere, si può
35
COME SI FA L'AMORE
dire che per tutto ove l'autorità paterna preme troppo
la famiglia, non hanno luogo innamoramenti che con-
ducano a nozze .
Presso i serbi la fanciulla viene fidanzata, prima di
essere matura alle nozze ; ella obbedisce quindi al
predestino che le fa il padre. Il padre dispone pure
della fanciulla tra i russi ; e lo stesso avveniva nella
società romana , ove la tirannide paterna era il solo
governo della famiglia (1) .
Il matrimonio si combinava dai soli parenti , che
facevano gli sposi prima di innamorarli (2).
Se molti pertanto di tali matrimoni si fanno ancora
tra noi, ne ha colpa il solo diritto romano (3) . Il di-
ritto germanico portava invece altra libertà; i germani
si sposavano assai tardi ; anzi, avevano per cosa turpe
che un uomo conoscesse donna innanzi ai vent'anni (4) ;
questo voleva dire, che prima di imporsi un legame,
l'uomo doveva sentirsi libero e liberamente imporselo.
Nè ad una donna era concesso , innanzi alla sua ma-
turità, nè fidanzarsi, nè essere fidanzata. Il diritto lon-
gobardico prescriveva i dodici anni compiuti (5). An-
(1) Vedi, in questo libro, il capitolo che s'intitola: L'autorità
del padre e del fratello nelle nozze.
(2) Presso Orelli ed Henzen si trovano iscrizioni le quali ri-
cordano mogli romane morte a 13, a 12 ed anche ad 11 anni.
Trovo poi nelle Petri Excerptiones, come la fanciulla poteva a
sette anni venir fidanzata e a dodici sposarsi . La stessa età per
le promesse è fissata da MODESTINUS, Differentiarum, 4.
(3) Dovevano informarsi di certo a tale diritto gli Statuti di
Lucca, editi a Lucca nel 1539, i quali concedevano la facoltà di
menar moglie, quantunque non matura.
(4) CESARE : « Intra annum vero XX feminæ notitiam habuisse in
turpissimis habent rebus. »
(5) Nell'editto di Liutprando, art. 112, ediz, Baudi di Vesme e
36 COME SI FA L'AMORE
che la Brunilde dell' Edda , aspetta i suoi dodici in-
verni per darsi uno sposo. In Francia, non prima dei
dodici anni poteva una fanciulla essere sposata. In
Grecia non prima de'quindici (1); Platone poi , nelle
Leggi e Aristotile nella Rettorica , fermano come età
giusta per i maritaggi , alla donna quella che passa
fra i sedici e i diciotto ; all'uomo quella che cade fra
i trenta e i trentacinque anni (2); convien dire , che
quell'ideale de'due filosofi rispondesse alla consuetudine
già viva tra la gente più ragionevole e temperata. Cosi,
nell'India, mentre sappiamo che l'uso esisteva di fidan-
Neigebaur, leggo : « De puella unde antea dixemus, ut in duode-
cimo anno legitima sit ad maritandum, sic modo statuimus, ut non
intrantem ipso duodecimo anno, sed expleto, sic sit legetimam ad
maritandum. Ideo nunc hoc dicimus, quia multe intentionis de causam
istam cognovimus, et apparit nobis quod immatura causa sit ante
expletos duodecim annos. »
(1) Vi furono tuttavia eccezioni.
(2) A questo ideale s'accosta il proverbio palermitano : « Omu
di vintottu e Ammina di dicidottu. » Termine estremo, specialmente
per la donna, poichè un altro proverbio, pure palermitano, sog-
giunge : « Figghia di dicidott'anni, maritala o la scanni. Ciò non
toglie naturalmente che donne di maggior età in Sicilia non si
maritino, e, poiché mi trovo col discorso a Palermo, mi piace
riferire la descrizione assai lepida che fa Ricordano Malispini,
nella sua Storia Fiorentina, del matrimonio e parto di Costanza,
madre di Federico II :
Il papa Clemente « trattò con Costanza sirocchia del re Gu-
> glielmo che era monaca, e d'anni 50, e fecela uscire del mo-
> nastero, e dispensò ch'ella potesse essere al secolo e usare
>>matrimonio. E occultamente la feciono partire di Sicilia e ve-
> nire a Roma ; e la chiesa la fece dare per moglie al detto Ar-
>> rigo imperatore. Onde appresso ne nacque colui che poi fu
>> chiamato Federigo secondo imperatore, che tante persecuzioni
>> fece alla chiesa, indi dietro, e non senza giudizio di Dio, es-
>> sendo nato di monaca sacrata e d'età d'anni 50; che era quasi
>> impossibile a natura di femmina di partorire figliuolo. E tro-
> viamo che quando la detta Costanza imperatrice, era gravida
COME SI FA L'AMORE 37
zare bambini e di sposare i figli giovanissimi, il Sa-
hityadarpana viene fuori con una sentenza modera-
trice dell'uso: « L'uom saggio come penserà alle donne,
« innanzi di aver terminato il suo tempo? il sole non
« manifesta il rosso vespertino innanzi d'aver percorso
« l'intiero mondo » .
Per tal modo , ora vediamo l'uso diventar legge e
confermare ; ora la legge diventar uso e riparare.
In Italia, a dispetto del diritto romano, le fanciulle
innanzi di andar a marito, vogliono far all'amore, e in
nessun paese forse si ama di più che fra noi, io non
dico certo con maggior forza, ma intendo con maggior
facilità , varietà e gaiezza. Qui ed in Grecia e un tan-
tino pure in Ispagna i fidanzati si amano cantando ; vi
è strepito e vi è pompa ne'nostri amori ; perciò i
nostri amori si prestano agevolmente a venir descritti .
In Italia poi il canto popolare è quasi tutto amore ;
e ci sovrabbonda.
Quale contrasto fra le nostre fanciulle da marito e
la serba Roskanda vittima di Marco Cralievic', in onore
della quale , la poesia canta : « La fanciulla crebbe
« rinchiusa , crebbe , dicono , quindici anni , nè vide
« sole nè luna (1) » . Si lotta qui ancora e in Grecia
> del detto Federigo, si sospettava per il paese, che per la sua
> antichità non potesse avere figliuoli nè essere grossa. Onde
>> s'ordinò ch'ella partorisse nel mezzo della piazza di Palermo
>> sotto un padiglione. E si mandò bando : che quale donna vo-
> lesse andare a vedere, potesse. E assai ve ne andarono e vi-
>> donla ; e così cessò il sospetto. >>>
(1) Si confrontino nelle novelline, gli allievi e le allieve delle
fate, che non devono mai vedere alcuno e star di continuo nelle
tenebre, fino al di delle nozze; il fondo di tali novelline è evi-
dentemente mitico, e allude ora al sole, ora all'aurora che escono
dalla notte .
38 COME SI FA L'AMORE
e in Ispagna contro la gelosia de'parenti ; ma essa non
basta ad arrestare ne'suoi amori la giovine coppia che
si vuol sposare. In un racconto popolare spagnuolo (1),
l'amante inveisce , con una strofa , contro la vecchia
suocera, e in un canto popolare (2) disfida il padre
della fanciulla ch'ei vuole far sua.
Amore, nel mezzogiorno, è audace e non ha scru-
poli e non fa differenze, o, come dice Pietro Belfiore,
nella Tancia di Buonarroti il giovine (3).
..... non la guarda al casato,
Nè fa provanze, o legge Prioristi ;
Ma ch'egli agguaglia il piccin col maggiore,
E nobiltà non guarda, nè onore.
Amore fra noi è un vero attacco , che si fa col
canto. Nell'Abruzzo teramano, piglia talora forma di una
caccia (4), e se la fanciulla si mostra ritrosa, sono
schioppettate di versi insolenti che la maltrattano. A
(1) La suegra del diablo presso i Cuentos y poesias populares An-
daluces, raccolti dal Caballero :
Yo te quisiera querer
Y tu madre non me deja
El demonio de la veja
En todo se ha da meter.
(2) lb. Aunque pongan a tu puerta
La artilleria real ,
Y a tu padre de artillero,
Con tigo me he de casar.
(3) Atto 4.0, scena 6.ª..
(4) Fra gli altri, si canta questo rispetto un po' ardito :
Fior di mentuccia
Pigliam lo schioppetto e andamo a caccia
Per dare l'uccelletto a Marïuccia .
Più assai decente un canto-serenata che gli amanti nell'Ab-
bruzzo teramano vanno accompagnati da chitarra o cornamusa
a cantare sotto le finestre delle belle ed incomincia :
Luna di notte e sol di mezzogiorno
Stella Diana e paradiso eterno, ecc.
COME SI FA L'AMORE 39
Mineo in Sicilia, sembra, ad un assedio per approcci ;
l'amante fa tanti passi quanti sono i versi ch'egli canta ;
all'ultimo verso, che chiamano piede, egli fa pure l'ul-
timo passo, e si trova sotto la finestra della innamo-
rata. In altre parti della Sicilia , amore è seduzione ;
la comare tenta il cuore della fanciulla , con le lodi
del giovine :
Signura zita (1), signura damuzza (2)
Vui siti ciuri (3) di vera biddizza (4)
Lu vostru zitu si tagghia e sminuzza
E cci sguagghia (5) lu cori a stizza a stizza ( 6)
Beddu (7) diamanti aviti a ssa (8) manuzza (9)
'N pettini d'oru 'ntra ssa biunna trizza ( 10)
Quannu ( 11 ) si ' nguaggirà (12) ssa zitiduzza
Spinci (13), Amuri, bannera (14) d'alligrizza .
Vi fazzu, ' ngnura (15) zita, la bon'ura,
Cu ssa facciudda (' 6) di 'na ninfa autera (17)
Aviti li vranchizzi (18) di la luna,
E lu sblennuri (19) di 'na nova sfera (20) ;
(1) Zitella, e qui , particolarmente, fidanzata.
(2) Damigella, donzella, in accordo col damo, che è il fidanzato.
(3) Fiore.
(4) Bellezza.
(5) Squaglia.
(6) A stilla a stilla.
(7) Bello.
(8) Codesta.
(9) Piccola mano .
(10) Bionda treccia.
(11) Quando.
(12) Si ingaggierà, si impegnerà.
(13) Spiega o spingi ?
(14) Bandiera.
(15) Signora.
(16) Faccietta.
(17) Altiera.
(18) Bianchezze.
(19) Splendore.
(20) Di un sole nascente.
40 COME SI FA L'AMORE
Aviti un garzuneddu ca v'adura,
Ch'è chinu di biddizzi di primera ;
Gesù lodatu sia ca junci ss'ura,
Si junci lu stinnardu (1) e la bannera.
'Ngnura zita, vi fazzu la bon'ura,
Facci ' nfatata di ninfa sirena,
Ccá (2) cc'é lu vostru zitu chi v'adura,
Chinu di fantasia tutta sirena :
'Ntra ssu pittuzzu purtati la luna,
E 'ntra li manu lu suli, Gna Mena (3),
E sia ludata 'sta jurnata e 'st'ura, -
Guditivi lu munnu senza pena.
Più spesso il seduttore è il damo stesso, come in
un canto popolare piemontese inedito, il quale io pub-
blico qui non perchè, secondo la variante del Nisard,
Il faut de l'inédit, n'en fût-il plus au monde.
ma perchè questo dialogo in versi fra il pretendente
e la dama , goffo com'è , rende ad evidenza i rozzi
amori delle campagne piemontesi dove spesso una
crollata di spalle od uno sgarbo simigliante della
ragazza che accompagni un suo sorriso è una elo-
quente maniera d'invito. Si cantava , un tempo ,
a Riva di Chieri, nella prima visita che il giovine fa-
ceva alla stalla della ragazza. La ragazza finisce con
una risposta insolente, dove accenna, come se ella ama
poco , egli ama punto, dopo la quale , probabilmente,
ella si ritirava ridendo , e col suo riso , impegnava
l'amante al ritorno :
- Bela fia d'l faudal riga,
Seve cuntenta che ' l me braie a tucu vost fauda ?
- El me faudà l'è d' canavassia,
Venta tuchelu cun bela grassia.
- Oh bela fia, stala fr'sca l'eva ant la sia ?
- A sta fr'sca e dulenta.
(1) Lo stendardo.
(2) Qui.
(3) Signora Filomena.
COME SI FA L'AMORE 41
Si turneisa n'autra seira, sariive cuntenta ?
-O cuntenta, o no, p'r na volta venta nen di che d'no.
- O bella fia, chi sei tant bin rispunde,
L'acqua d'l mar a va a bell'unde.
O bel unde, o bei saut,
Mì sai rispunde sussi e d'autr.
- Bela fia, la vostr'amur l'è parei d' la mia ?
La mia füssa parei d' la vostra savria deve risposta.
- Bela fia, la vostr'amur l'è parei d' la mia?
- La mia l'ė sut al tavul, la vostra l'è a ca d'l diavul ( 1 ) .
Negli Appennini Liguri , gli innamorati cantano la
seguente canzone , che io ricevo dalla gentilezza del
Celesia : la fanciulla non vuole aprire all' amante ma
al fidanzato ; perciò il giovine promette ritornare il
giorno dopo con l'anello. Se non sia intieramente
opera di popolo, questa canzone spira tutta la grazia
e naturalezza dei canti popolari :
-
Chi picca la mia porta?
Chi l'è che picca li ?
- L'è il vostr'amant, Maria ;
Vi prego in cortesia,
Bella , vegni a dervi. (2)
(1) Reco qui la traduzione italiana:
- Bella fanciulla dal grembiule a striscie
Siete contenta che le mie brache tocchino il vostro grembiule ?
Il mio grembiule è di canevaccio
Convien toccarlo con bella grazia .
Oh! bella fanciulla, sta ella fresca l'acqua nella secchia ?
Ella sta fresca e dolente.
- Se io tornassi un'altra sera, sareste voi contenta ?
O contenta o no, per una volta, non conviene dir di no
O bella fanciulla, che sapete tanto bene rispondere,
L'acqua del mare va a bell'onde.
- O bell'onde, o bei salti,
10 so rispondere questo ed altro .
Bella fanciulla , il vostro amore è egli pari al mio ?
Se il mio fosse pari al vostro, saprei darvi risposta.
- Bella fanciulla, il vostro amore è egli pari al mio ?
Il mio è sotto il tavolo, il vostro è a casa del diavolo.
(2) Venite ad aprire.
42 COME SI FA L'AMORE
V'ho mai dovert ( 1) a st'ora,
Nanca vi vôi dervi (2) ;
Son scalza, in camisola,
Mi (3) dentro e voi di fora,
Sté (4) lì fin che l'è dì.
- La porta di voi, bella,
Mai più la vederò,
Me fate (5) un gran disdegno,
Lo porterò per segno,
Fino che scamperò.
- Se vú mì bandonate,
Mi morirò d' magon (6) ;
Ma 'm (7) preme il mio onore
Tant come il vostro amore :
Abbié (8) un po' compassion .
- Se il raggio della luna
Splendesse come il sol,
Mì vorriss scriv (9), Maria ,
La vostra scortesia
In lod del vostr' onor.
Vi lass la bonasira (10) ;
Diman ritornerò ;
Vi porterò ú anello (11)
Tutto dorato e bello ;
Con quel vi sposerò .
Dalla lingua adoperata in questo canto mi parrebbe
che esso fosse passato in Liguria dal Monferrato, men-
tre poi vi spira dentro un'aura di serenata provenzale.
Nel Canavese è popolarissima una canzone che
(1) Aperto.
(2) Neanche vi voglio aprire.
(3) Io.
(4) State.
(5) Mi fate, o pure, secondo la lezione del Celesia , m'è fatt
cioè, mi è fatto .
(6) Dolore, crepacuore.
(7) A me, mi .
(8) Abbiate.
(9) Io vorrei scrivere.
(10) Vi lascio la buonasera.
(11 ) L'anello.
COME SI FA L'AMORE 43
chiamano Martina , la quale cantata forse , in antico,
da un cosi detto Martino di Madonna che tornava
dalla fiera con un dono per la sua innamorata , 0
per il padre di essa, si ripete ora innanzi alla porta
delle stalle dai giovani pretendenti e dalle ragazze
che vi sono ricercate , chiamate le vioire ossia le ve-
gliatrici. È una gara di canto. Vi sono strofe obbli-
gate che tutti sanno a memoria ; ve ne sono altre
intermedie che conviene improvvisare ; se quei di
fuori, cioè i giovani s'arrestano nel canto e non tro-
vano più la via di continuare , non pure non viene
loro aperto l'uscio dalle vegliatrici, ma essi si racco-
mandano alle gambe , per non lasciarsi riconoscere e
sfuggire il ridicolo ; se invece s'imbrogliano le veglia-
trici, i giovani irrompono nella stalla , urlano e sghi-
gnazzano per la riportata vittoria.
Quindi si danno liberamente a corteggiar le loro
dame ; ma, se mentre essi corteggiano, arriva un'al-
tra brigata di giovani per cantar Martina e dal canto
escono pur questi con onore, si apre alla nuova bri-
gata ed i primi venuti se ne vanno, per la necessità
di obbedire al proverbio canavesano che dice : chi ch'a
l'a một ch' ansaca (1). Ecco ora le strofe obbligate
della canzone Martina; prima delle ultime due strofe
vanno le improvvisate, le quali possono essere molte
(1) Chi ha macinato, insacchi. Io debbo questi particolari al
signor A. Bertolotti che primo e solo fin qui pubblicò la canzone
Martina de' Canavesani nelle sue geniali Passeggiate nel Canavese
Vengo pure avvertito come nel Pesarese, a Fenestrelle e in
Calabria usino canti improvvisi in occasione di nozze ; ma non
sono riuscito a procurarmene.
44 COME SI FA L'AMORE
o poche , secondo la pazienza od impazienza degli
innamorati (1) :
Igiovani : Oh ! buña seira, vioire ,
Corpo d' mi ! buña seira
Oh ! buña seira, vioire,
O vioire, buña seira.
Le giovani : Chielu ch'a j'è lì d' fora ?
Corpo d' mi, chi ch'a j'è li ?
Sangh d' mi ; chi ch'a j'è fora ?
Chielu ? chi ch'a j'è lì ?
(1) La traduzione italiana suona così :
Oh ! buona sera , vegliatrici .
Pel corpo mio, buona sera,
Oh! buona sera, vegliatrici,
Vegliatrici, buona sera.
Chi è egli che c'è li fuori ?
Pel corpo mio, chi c'è li ?
Pel sanguo mio chi c'è egli fuori ?
Chi è egli ? chi c'é lì ?
- Io son Martino di Madonna,
Pel corpo mio ! io sono il Martina,
Io son Martino di Madonna,
Pel sangue mio ! Martino Martina !
Dove se' tu stato, Martina ?
Pel corpo mio, dove se' tu stato ?
Dove se' tu stato, Martina ?
Pel sangue mio, dove se' tu stato ?
- Alla granfiera, o vegliatrici,
Pel corpo mio, alla gran fiera,
Alla gran fiera, vegliatrici,
Pel sangue mio, alla gran fiera.
- Che hai tu comprato per la fiera,
Pel corpo mio, che hai tu comprato ?
Che hai tu comprato per la fiera ?
Pel sangue mio, che hai tu comprato ?
Un bel cappellotto, vegliatrici,
Pel corpo mio, vegliatrici, un cappellotto,
Un bel cappellotto, vegliatrici,
Pel sangue mio, vegliatrici, un cappellotto.
- Apritemi l'uscio , vegliatrici .
Pel corpo mio, apritemi l'uscio,
Apritemi l'uscio, vegliatrici,
Pel sangue mio, apritemi l'uscio
- Ecco aperto, Martina,
Pel corpo mio, l'uscio è aperto,
Esso è aperto, Martina,
Pel sangue mio, l'uscio è aperto .
COME SI FA L'AMORE 45
I giovani : I sun Martin d' Madona,
Corpo d' mi ! i sun Martina,
I sun Martin d' Madonna
Sangh d' mi ! Martin Martina .
Le giovani : Duv sestu stait, Martina ?
Corp d' mi ! duv sestu stait ?
Duv sestu stait Martina ?
Sangh d' mi ! duv sestu stait ?
I giovani : A la gran fera, vioire,
Corpo d' mi ! a la gran fera,
A la gran fera, vioire,
Sangue d' mi ! a la gran fera,
Le giovani : Cos l'astu cumprà d' fera,
Corp d' mi ! cos t'as cumprà ?
Cos l'astu cumprà d' fera,
Sangh d' mi ! cos t'as cumprà ?
I giovani : Un bel caplin, vioire,
Corp d' mi , vioire, ün caplin,
Un bel caplin, vioire,
Sangh d' mi ! vioire, ün caplin.
Le vegliatrici seguono a domandare col canto come
sia ornato il cappello, quanto costi , a chi sia desti-
nato : se i giovani rispondono finalmente che esso va
al padrone della stalla , le vegliatrici per lo più si
dichiarano contente ; allora i giovani ripigliano :
I giovani : Dörbimi l'üss, o vioire ,
Corpo d' mi , dörbimi l'üss,
Dörbimi l'üss, vioire ,
Sangh d' mi, dörbimi l'üss .
Le giovani : Eco düvert, Martina,
Corpo d' mi, l'üss è düvert,
A l'è düvert, Martina,
Sangh d' mi, l'üss è düvert.
Il canto era già caro agli innamorati romani , come
parmi rilevare dal Curculion di Plauto (1) ; ma in
(1) Phaedromus s'accosta alla porta della vergine Planesium
e canta : « Quid si adeam ad fores atque occentem ? » Palinurus :
« Si lubet ; neque veto , neque jubeo , etc. Phaedromus : « Pessuli,
heus, pessuli ! vos saluto lubens, vos amo, vos volo, vos peto atque
46 COME SI FA L'AMORE
Toscana, particolarmente, l' amore visse e vive di canto .
Nel mese di maggio, altrimenti chiamato , mese degli
amori , mese degli asini (1) , mensis hilaritatis , si
festeggia qui la natura che si rifeconda e il canto
viene ad accompagnare questo allegro ridestamento ;
e poichè il mondo vegetale e l'animale si danno vita
reciproca, si benedice ai campi e si preparano nuove
spose , si porta in giro un'albero fronzuto , il cosi
detto maio, carico di fiori e frutte, come segno che la
natura è ridesta , e si pianta innanzi all'uscio delle
belle come augurio di una fecondità novella. Ma in
1
Italia è difficile immaginare una festa senza suoni
e canti ; in Toscana , ove il maggio si festeggia ,
cantano pure il maggio , e maggio , per l'appunto ,
si addimanda questa canzone. A san Romolo , pae-
sello , che dista due sole miglia dal luogo in cui
scrivo , il primo di maggio , usano raccogliersi sotto
un padiglione dodici garzoni e dodici fanciulle per
cantare il maggio ; in altre parti della Toscana e
nel perugino , usano i maggiaiuoli andare attorno
in brigata , di casa in casa , presso le varie inna-
morate , che discendono a regalarli di uova , for-
maggio, berlingozzi, rinfreschi e simili presenti. II Ti-
gri (2) riferisce due delle antiche canzoni che si can-
tano per calendimaggio ossia il primo giorno di
obsecro , Gerite amanti mihi morem amoenissimi, etc. » Sembra ad
una delle nostre serenate .
(1) A motivo del loro caldo negli amori, che li rende pure filar-
monici alla loro maniera. I Romani nelle calende, none edi
maggio, sacrificando al Dio lare, incoronavano di pani un so-
marello, probabile simbolo di fecondità.
(2) Canti popolari toscani, 2.ª edizione .
COME SI FA L'AMORE 47
maggio ; la seconda soltanto fa all'oggetto nostro ed
è questa :
Or è di maggio, e fiorito è il limone;
Ora è di maggio, e gli è fiorito i rami ;
Ora è di maggio che fiorito è i fiori ;
Noi salutiamo di casa il padrone.
Salutiam le ragazze co' suoi dami.
Salutiam le ragazze co' suoi amori .
Talora i suoni e canti per la festa di maggio sono
accompagnati da giuochi ; cosi era in Francia (1 ) ;
cosi oggidi ancora in Sardegna e particolarmente ad
Ozieri. « I giovani d'ambo i sessi si adunano e sie-
dono in circolo innanzi alla casa d'uno di essi ; al-
lora ricopronsi d'un bianco lenzuolo , e collocano in
mezzo a loro un canestro in cui ciascuno degli astanti
depone un oggetto proprio. Eseguito il deposito , una
ragazzina eletta dalla società ad estrarre le cose na-
scoste , copre il canestro e gli siede accanto. Ma in-
nanzi che la giovinetta s'accinga all'estrazione, una
delle fanciulle che compongono il giuoco, intuona una
strofa d'una canzone cosi concepita :
Maju maju beni venga
Cun totu su sole e amore
Cun s'arma e cun su fiore
E cun sa margaritina.
Succede a questa un'altra strofa di felice augurio
e di complimento , finita la quale , la ragazza estrae
(1) Ciò appare da una nota di Benedetto Curzio al quinto Ar-
resto d'Amore di Marziale d'Alvernia, ricordata dal Minucci, in
una sua lunga nota al Malmantile del Lippi: << Prima die maii
mensis juvenes pluribus ludis ac jocis sese exercere consueverunt,
arborem soepenumero deportantes , ac in loco publico, aut etiam
ante alicujus egregii viri januam, vel frequentius amicae fores
plantantes, vestitam nonnunquam promiscuis adamantibus, intersignis
atque emblematibus . »
48 COME SI FA L'AMORE
dal canestro un oggetto di cui il proprietario è desi-
gnato ad accettare il voto e la felicitazione . La can-
tatrice ripetendo poi la strofa primiera , a quella ne
aggiunge un'altra di funesto presagio, che si rivolge
e devesi accettare dalla persona , il cui oggetto è con-
temporaneamente tratto dal canestro. Continuando il
giuoco in questa maniera sino alla perfetta mancanza
di oggetti , ne avviene che mezza l'assemblea è favo-
rita, l'altra maltrattata » (1).
Questa descrizione di un giuoco della sorte fatta
col canestro agevola , parmi , la via a dichiarare una
espressione tedesca, molto originale. I tedeschi dicono :
einen Korb geben , ossia dare un corbello (2) per rifiu-
tare e particolarmente dare un rifiuto di matrimonio.
È probabile che, in un giuoco di sorte, simile a quello
che si fa in Sardegna , si lasciasse qualcheduno dei
giovani senza regali, ossia col canestro vuoto .
Abbiamo veduto fin qui in quale età si incominci
a far l'amore, per fine di matrimonio e come il canto
sia fra noi mezzano di tali amori ; mi giova ora ri-
cercare quale stagione dell'anno sia loro più propizia
e qual luogo li favorisca meglio .
Trattandosi di usi popolari conviene studiarli fra il
popolo, e particolarmente nel contado, dove il popolo
ė più di sè stesso .
La vera poesia dei nostri amori vive sulle aie e
nelle stalle ; la prima conoscenza si fa per lo più sulle
(1) LUCIANO, Cenni sulla Sardegna.
(2) La espressione italiana corbellare ha un'altra derivazione,
analoga a quella di minchionare; noto ciò, perchè mi sembra
facile , in questo caso, il pigliare equivoco .
COME SI FA L'AMORE 49
aie , quando si batte il grano o si spanna il gran-
turco; si conferma l'inverno , nelle calde stalle. Nel
Pesarese , per esempio , il giovine leva dal pagliaio
una pagliuzza , e si gingilla con essa dichiarando il
suo amore alla ragazza, con una di queste tre formole
quasi consacrate « A vlet donca to'marit ? (1) » V'piac'ria
la mi'persona ? (2) » « V'piac'ria chesa nostra ? (3) »
Al che, la ragazza abbassa gli occhi, e, avvolgendosi
attorno alle dita le fettuccie dello zinnale o copriseno,
risponde, secondo la sua varia modestia e voglia, con
un « magara fussa ! (4) » oppure con un & Santit
mal bab o malla mama (5) » .
Talvolta, fatta la prima conoscenza ne'campi o sul
l'aia o alle vendemmie, si elegge come luogo per di-
chiarare l'amore il sagrato della chiesa. Nell'Osimano,
per esempio, i contadini che hanno fissata una ragazza,
l'appostano al fine della messa sulla porta della chiesa ;
e quando ella esce, con un colpo di gomito, le fanno
intendere come sospirino per essa.
Non di rado ancora le ragazze si attirano dietro i
giovani, quando muovono vestite pomposamente nella
processione del Corpus Domini. E queste nostre pro-
cessioni mi richiamano in mente la descrizione che ci
fa Senofonte Efesio delle nozze di Abrocome ed Anzia .
(1) Volete dunque toglier marito?
(2) Vi piacerebbe il mio personale ?
(3) Vi piacerebbe la casa nostra ?
(4) Magari fosse !
(5) Sentite il babbo mio o la mia mamma. Avvertano i filologi
la singolarità dell'articolo posposto al pronome nel dialetto pe-
sarese, come in rumeno.
DE GUBERNATIS .
50 . IL MESSAGGIERO D'AMORE
« Celebravasi la festa di Diana, solennità del paese,
andandosi dalla città al tempio, per lo spazio di sette
ottavi di miglio. Era d'uopo che gissero in proces-
sione tutte le donzelle di quella contrada, sontuosamente
adorne ecc .... Poichè costumanza era in quella ragu-
nata di trovare gli sposi alle pulzelle e le donne ai
garzoni » (1).
Ma dove l'amore piglia più spesso radice è nelle
stalle. Ordinariamente, quando il giovane vi entra, sa
già quello che va a cercarvi; ma rimane, per contro,
ancora incerto , se la ragazza da marito, o mariora ,
come in Piemonte la chiamano, lo voglia o no. Per non
esporsi all'onta di un rifiuto, egli manda alcuna volta
innanzi il così detto messaggiero d'amore.
V.
Il messaggiero d'amore.
Lasciando stare i cigni , le colombe , gli sparvieri ,
gli uccelli insomma della leggenda popolare, che portano
le novelle agli amanti, messaggiero d'amore, sensale,
mezzano (2), baccelliere (3), marussė (4) o malossė (5)
(1) Gli amori di Abrocome e d'Anzia volgarizzati da Anton M. Sal-
vini. Pisa, 1816.
(2) Così è chiamato l'intromettitore Agnolo di Giovanni De'
Bardi pel matrimonio di Francesco Guicciardini, ne' Ricordi au-
tobiografici del medesimo ( vol. X delle Opere inedite, pubblicate
dal benemerito cav. Giuseppe Canestrini) .
(3) In molti luoghi del Piemonte.
(4) Presso il Lago Maggiore.
(5) Nel Vogherese.
IL MESSAGGIERO D'AMORE 51
camerata (1 ) , ruffiano (2) , sono varii appellativi , che
si danno in Italia al procuratore di matrimoni (3), il
quale , talvolta si confonde pure col paraninfo, di cui
avremo occasione di ragionare nel secondo libro di
quest'opera.
A me piace notare fra gli altri il titolo di baccel-
liere (4) , per la etimologia significativa della parola.
Poichè baccelliere viene da baculus e ricorda, per l'ap-
punto, il bastoncello degli antichi ambasciatori, a in-
cominciare dal caduceo di Mercurio , l'ambasciatore
degli Dei . Il bazvatan , ossia procolo de' Brettoni (5),
ed i procoli Ungheresi, portano ancora tali bacchette,
ornate di nastri e fiori , quando muovono a fare la
domanda della sposa. Presso i Brettoni , l'ufficio di
bazvalan , è un privilegio de'sarti, i quali vi mettono
zelo singolarissimo. Essi devono sapere tutta la storia
della famiglia del pretendente e ridirla, al caso, come
pure avere notizia di tutte le sue sostanze. Il bazvalan
combina le nozze con la madre della fanciulla , fa gli
inviti per le nozze medesime, ed assiste ad esse, come
personaggio principale. Nell'India antica, talvolta erano
due compagni o parenti del garzone che facevano da
procoli presso il padre della fanciulla; talora era il
guru o maestro spirituale del giovine.
(1) A Riva di Chieri e a Gallarate.
(2) Nel Pesarese e nel Fanese.
(3) Proxeneta lo chiamavano gli antichi. Vedi HOTMAN : De ve
teri ritu nuptiarum.
f
(4) Bacialer nel Canavesano.
(5) Vedi VILLEMARQUÉ, Barzaz Breiz ( Chants populaires de la
Bretagne).
1
52 IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE
Cosi da noi , specialmente nelle campagne, non di
rado il procolo è il parroco od il prete confessore.
In Russia, il procolo è un parente dello sposo; così,
per l'ordinario in Italia; questo parente fra noi è tal-
volta lo stesso padre; cosi, nell'India odierna, la do-
manda è fatta dal padre del giovine a quello della
fanciulla.
A Palermo e nel Birman (1), la procuratrice del
matrimonio è invece la madre o altra donna da lei
deputata; cosi, nel Canavese, ove non si trovi il ba-
cialer, è una comare quella che mette insieme le nozze.
Ma, quasi sempre , fra noi , la domanda ai parenti è
preceduta dalla domanda del pretendente alla fanciulla,
e dal consenso di questa; ossia prima il cuore dei
giovani elegge ; quindi la ragione dei vecchi approva
o condanna.
VI .
Il Matrimonio per libera elezione.
Chiamo l'attenzione del lettore sopra un fatto sin-
golare ; il maggior rispetto alla donna si nota nelle ca-
ste militari. Mentre la figlia del brahmano, o sacerdote ,
o legislatore , vien destinata dal padre alle nozze, la
figlia del cavaliero è lasciata libera nella scelta dello
sposo. L'uomo deve meritare la donna e non la donna
l'uomo. Le corti d'amore, i tornei, le giostre del no-
stro così detto medio evo, ove premio del valore, era
(1) Vedi la Relazione del Symes.
IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE 53
la mano d'una donna , sono più antiche del medio evo,
che le ereditava da più remoti secoli di vita guerriera
insieme e patriarcale.
Nell' India , la maniera onde si stringevano matri-
monii fra principi e baroni , o cavalieri , o guerrieri
che addimandar si vogliano, era detta svayamvara, os-
sia la scelta da sè, l'elezione spontanea.
Acvalayana (1 ), scrittore indiano , ci descrive otto
modi di nozze , fra i quali mi paiono meritar nota
i seguenti : 1.° quello, per cui il giovine fa dono di
un paio di bovi e quindi sposa la ragazza, detto ma-
trimonio de'r'ishi (che ricorda il matrimonio brahma-
nico e degli antichi germani (2); 2.º quello , per cui
il giovane sposa la ragazza, dopo che igiovani si sono
fra loro piaciuti , anche senza il consenso de'parenti,
detto matrimonio alla maniera de'gandharvi (3) o sva-
yamvara, e in uso presso i guerrieri. Di questa seconda
forma di matrimonio abbiamo nella letteratura indiana
parecchi esempii illustri; cosi la ninfa Çakuntalà sposa
il re Dushyanta, la principessa Damayanti il re Nala,
Sità il principe Rama, Draupadi il guerriero Arg'una ,
Devayani il re Yayati , il quale ultimo tuttavia ri-
cusa (4), perchè stima, da quel pio re e devoto ai sa-
cerdoti ch'egli è, che il padre solo abbia diritto di
disporre della propria figlia. Nel Mahabharata, vien
detto che il matrimonio, per via di svayamvara, ossia,
(1 ) Gr'ihyasutra.
(2) Tacito , Germania, rammenta fra i doni nuziali tedeschi :
« boves et frenatum equum et scutum cum framea gladioque. »
(3) Semi -angioli e semi-demonii indiani.
(4) Mahabharata, vol. 1, 3384, 3385.
54 IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE
in cui la fanciulla si elegge lo sposo che più le piace,
è caro ai poeti (1).
Di fatto , i poeti , hanno nella descrizione di tali
scelte nuziali, occasione di sfoggiare tutta la loro arte.
Le assemblee di principi , nelle quali la giovine' prin-
cipessa si elegge lo sposo, le prove che i pretendenti
hanno a dare del loro valore, l'incoronamento dell'e-
letto per parte della fanciulla (2), sono un campo ove
l'immaginazione del poeta può accendersi e animare
al nostro sguardo pitture vivissime. Poichè raro è che
auno svayamvara non sia accompagnato da una gara di
valore fra i contendenti. La sposa si ha da conqui-
stare. Indra con la forza conquista Sità, nel Rigveda,
Rama suo successore nel Ramayan.a, la conquista per
mezzo della prova di un arco meraviglioso, cui nes-
suno riusciva a trattare ; Bellerofonte, per varii cimenti
superati, conquista la figlia del re Proeto. Alla sposa
de'poeti e de'racconti popolari, piace lo straordinario;
perciò lo sposo deve mostrarsi mandato dal destino ,
o predestinato con qualche miracolo; chè, secondo il
proverbio , gli sposi, Dio li fa e poi li accoppia (3).
E di grandi miracoli sono autori gli sposi delle leg-
gende care al popolo; tale, per esempio , il Sigifredo
e il Sigurd dell'epopea Germanica e Scandinava. I con-
(1) Vol. 1, 4091 .
(2) Così Draupadi incorona l'eroe vittorioso.
(3) E, a Lomello, si dice che matrimonio e vescovato sono da
Dio destinati ; nel quinto atto della Tancia del Buonarrotti,
scena ultima :
In buona fè gli è vero quel dettato,
Ch'un parentado in cielo è stabilito.
IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE 55
tendenti scommettono l'impossibile (1) , e alcuno si
trova pur sempre che deve vincere.
In una novellina Greca (2), ove tre fratelli vincono
tutti, il re , non sapendo decidere chi di loro meglio
valga , per levare di mezzo ogni invidia , sposa esso
stesso la fanciulla disputata.
Nel Pan'c'anada (odierno Pengiab) i Greci d'Ales-
sandro avevano notata una tribù , presso la quale i
giovani e le ragazze si eleggevano da sè stessi in ma-
trimonio. La tribù doveva al certo essere guerriera ,
come ce lo confermano gli odierni bellicosi principi e
briganti Rag'puti , i quali , malgrado il vicinato degli
Inglesi , assai gelosi delle loro antiche tradizioni, non
hanno dismesso il poetico uso dello svayamvara. Nel
cosi detto nostro medio evo, lo svayamvara doveva es-
sere pure in onore presso certe tribu slave e presso
i Tedeschi. Io lo argomento, per le prime, da un bel
canto popolare russo, che ricevo da Tarszok, eviden-
temente antico, il quale dice:
lo sedeva nel castello,
Io infilava le perle
Sopra il rosso velluto,
Non so di dove, arrivò uno splendido sparvierę
Egli agitò l'ala destra
Egli toccò il piatto ,
Il piatto d'argento,
E disperse le grosse perle
Fino all'ultima,
(1) Cosi portar caldo il latte da lontano, attraversare le fiam-
me, trovar l'acqua della vita, uccidere il mostro, strappare al
mostro il vero tesoro, fabbricar castelli d'oro, combattere con
la sposa stessa, travestita, da moro terribile, strappare al mo-
stro tre capelli, ecc.
(2) HAHN, Griechische und Albanesische Märchen.
56 IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE
E la fanciulla incominciò a piangere,
Mentre le stava innanzi il padre. :
<<<Non piangere, fanciulla mia,
Io inviterò per te i principi, i boiari ;
Essi raccoglieranno le tue grosse perle,
Fino all'ultima . "
Quanto ai Tedeschi, sono un documento sufficiente,
per dire dei più noti , i Nibelunghi , come , per gli
Scandinavi, le Edda e la saga di Ervora, e per i Fran-
chi , i Reali di Francia, dove il re Erminione fa ban-
dire un torneamento , al quale intervengono molti si-
gnori per isposare Drusiana.
La leggenda greca del matrimonio di Elena dispu-
tata da trenta garzoni , e la scelta fatta da Menelao ,
rilevano dal mondo eroico ellenico la medesima usanza,
che , secondo Ateneo (1) , era pur viva tra i Marsi-
gliesi, presso i quali, la fanciulla, in un convito, of-
friva la tazza a quello de'giovani, che più le piaceva .
Ne'nostri usi popolari la fanciulla generalmente si
elegge lo sposo; quindi i parenti, se non hanno nulla
in contrario, dispongono l'affare.
Cosi è degno di osservarsi , come presso il Rama-
yana (2), Rama e Sità , quantunque sposati , per via
di svazamvara , si uniscano col pieno consenso dei
loro genitori. Se non che, le nostre fanciulle del po-
polo , invece di troni nelle assemblee , si contentano
di una povera panca nelle stalle. Questa panca , (che
non manca neppure alle capanne dei Russi e dei
Finni (3), è destinata a ricevere i giovani pretendenti.
(1) Vol. 1, c. xIII, pag. 13.
(2) Vol . 1, c. III.
(3) Questi ultimi, in un loro inno, presso il Kalevala, la chia-
mano la lunga panca dell'ospitalità.
IL MATRIMONIO PER LIBERA ELEZIONE 57
Nel contado di Bra, in Piemonte, i giovani vanno in-
sieme alla stalla, dove siede la dama deʼloro pensieri;
l'un dopo l'altro si recano a corteggiarla, e quando
alcuno indugia troppo, si scuotono i gioghi delle bo-
vine, per fargli intendere che è tempo di levarsi e di
lasciare il posto a chi vien dopo .
Nelle stalle del Canavese, le fanciulle da marito si sie-
dono sopra la lunga panca; i giovani, che, per lo più,
dopo avere vittoriosamente cantato la Martina , entra-
rono nella stalla, sono ricevuti alla panca. Ed il ricevi-
mento ha le sue formalità. Qualunque giovane che sia se-
duto presso la mariora o fanciulla da marito, se un altro
giovane arriva , deve cedergli il posto. Il mancare a
questo riguardo è cagione talvolta , nel Canavese , di
spargimenti di sangue. A Riva di Chieri il giovane che
visita la fanciulla da marito può sperar bene , se egli
viene invitato a ritornare.
A Pinerolo , la fanciulla, va ad accendere il fuoco,
quando un damo le deve piacere ; ed insieme coi pa-
renti si beve ; il non fare, come la chiamano, tale onestà,
val quanto congedare il pretendente.
Nella valle di Andorno, la fanciulla lascia cadere a
terra il fuso perchè le sia raccolto dal giovine, al quale
vuol dare speranze, cui essa poi consola intieramente,
quando gli mette in mano delle nocciuole.
Nella campagna d'Alba, il giovine , entrando nella
stalla, getta alla fanciulla un fazzoletto; se la fanciulla
lo ritiene, egli pure è ricevuto; se invece glielo resti-
tuisce , deve tenersi per congedato.
Nell'Abruzzo UltraI.º, ilgiovine porta la notte, all'uscio
58 GLI SPOSI SI PROVANO
della ragazza un ceppo di quercia, detto tecchio ; se il
ceppo è messo in casa, il pretendente può entrarvi an-
ch'esso ; se invece , il ceppo è lasciato ov'egli il lasciò ,
al giovine non resta altro partito, se non quello di
ripigliarsi , in modo che nessuno lo vegga, il ceppo ,
e ritentare, se gli piace, la prova ad altri usçi.
VII.
Gli sposi si provano.
Dopo essersi eletti, gli sposi si provano. Le prove
più semplici si usano nel Pesarese e in Terra d'Otranto.
Nel Pesarese, il giovine invita la fanciulla a varii la-
vori campestri o domestici , per misurarne la forza e
la destrezza , avvertendo, quando si batte il grano , di
mettersi petto a petto, innanzi ad essa; al che rifiu-
tandosi una delle parti, si avrebbe il rifiuto come un
segno di corruccio. E cosiffatti esperimenti, per lo più,
si rinnovano .
Al Capo di Leuca , nel distretto di Gallipoli , è la
sposa che prova la robustezza dello sposo. Un giovane
non merita d'impalmare alcuna ragazza, finch'egli non
abbia almeno portato lo stendardo (cacciatu lu sten-
nardu) nella processione, che si fa per la festa del
santo del luogo.
È ancora una specie di svayamvara della donna, il
quale, mi richiama ai varii casi riferiti nel Libro dei
Giudici, di donne date come premio al valore dell'uomo ,
e all'uso degli antichi Scandinavi, presso i quali, verso
il Natale , o propriamente, nel solstizio d'inverno, le
GLI SPOSI SI PROVANO 59
fanciulle indicavano ai loro amanti il fatto eroico , che
essi dovevano compiere per meritare la loro mano.
/ Nell'Arpinate , le fanciulle misurano l'amore dei
fidanzati dal colore del nastro , onde essi avvolgono ,
nella domenica delle Palme, il ramo d'ulivo che por-
tano loro dalla chiesa. Se il nastro è giallo , indica
trattare la fanciulla da pazza ; se verde, che la si vuol
tenere in sola speranza ; se rosso, guerra ; se bianco,
pace; se turchino, amore (1 ).
Nell'Ascolano, per la festa di Sant' Emidio, gli sposi
arrivano alla piazza dell'Arringo in Ascoli. La sposa
si mette in mezzo; suonatori che strimpellano , mimi
che fanno smorfie d'ogni maniera ridicole si mettono at-
torno alla sposa, per provocarne il riso ; guai , se la
sposa ride ; ella non sarà una buona massaia, nè una
donna prudente; e lo sposo perciò l'abbandona al suo
destino.
Nella campagna di Perugia , ora lo sposo , ora la
suocera provano la sposa; le si presenta una polpetta ;
la sposa deve ingoiarla intiera o sana , come dicono
nell'Umbria ; se, invece , ella stenta a mandarla giu ,
se ne levano sinistri augurii.
A Riva di Chieri , in Piemonte, quando , nel primo
giorno delle nozze , si porta in tavola il tacchino , la
sposa deve prontamente alzarsi ; se non lo fa , si porta
uno scaldaletto sotto la sua sedia , dicendosi che la
sposa è fredda e bisogna riscaldarla .
(1) Anco, presso i Germani, il bianco e il turchino erano due
colori sacri. Vedi RocHHOLZ . Deutscher Glaube und Brauch. Ber-
lin, 1867, p. 191-285, II Band,
60 GLI SPOSI SI PROVANO
A Pinerolo in Piemonte, a Pernate nel Novarese, e a
Gallarate in Lombardia, la suocera sbarra la porta con
una scopa; se la sposa è prudente , deve alzarla e
portaria al posto suo; se invece vi passa sopra, vorrà
essere una cattiva massaia .
Nellamontagna di Pistoja(1) e nel Campidanese in Sar-
degna si prova l'amore del giovine, con lo scambiarle
la ragazza. Ma, in Sardegna, propriamente, lo scambio è
fatto al padre del giovine, che va, per suo desiderio
ed in suo nome, a fare la chiesta della fanciulla. Il
messaggiero arriva e, adoperando un linguaggio che ci
trasporta ad una età affatto patriarcale , dice : « Io
« vengo a cercare una giovenca bianca e di una bel-
« lezza perfetta che voi possedete e che potrebbe fare
« la gloria del mio gregge e la consolazione de' miei
« vecchi anni » . Gli ospiti comprendono , ma dissi-
mulano e rispondono con linguaggio altrettanto figurato;
e alfine , mostrando di consentire , presentano l'una
dopo l'altra le donne della casa , all' infuori dell'aspet-
tata e soggiungendo sempre : « è questa che deside-
rate ? » Sul diniego del forestiere, simulando di averla
lungamente cercata, ritornano , all'ultimo , con la fan-
ciulla richiesta, la quale si lascia trascinare come per
forza. Il forestiero allora si alza, batte le mani e grida :
« è quanto io desidero » (2).
Anche nell' India, secondo il Kauçikasútra, sul punto
(1) Per informazione del prof. G. B. Giuliani, che la visitò e
studiò a palmo a palmo.
(2) Vedi LAMARMORA, Voyages en Sardaigne de 1819 à 1825 ; e il
capitolo di questo libro che intitolo : Come la fanciulla si do-
manda,
GLI SPOSI SI PROVANO 61
di partire viene scambiata la sposa allo sposo ; nel-
l'Annoverese, si mettono le donne in giro intorno alla
sposa; si porta via il lume e lo sposo deve afferrare
la sposa ; se afferra invece un'altra, sinistro augurio ;
ed egli stesso è oggetto di ridicolo. Ho già notato
come il nostro giuoco della moscacieca debba riferirsi
ad una tale usanza.
In Isvezia , nella Slesia superiore Polacca, presso
Saarlouis , e nella campagna di Pistoja , invece della
sposa, conducono prima al giovine la più vecchia donna
della casa, la quale viene cosi esposta alla berlina.
In altre forme ancora si provano gli sposi nell'In-
dia e in Germania .
Negli usi del popolo tedesco , il fidanzato , per ac-
certarsi che la fanciulla con cui egli ha parlato sarà
moglie pulita e massaia, fa portare del cacio e lo af-
fetta, offrendone alla fidanzata; se questa mangia il
cacio senzo nettarlo , lo sposo è minacciato che la
fanciulla non gli farà, qual moglie , buona compa-
gnia (1) .
Secondo Açvalayana, una delle prime cose che si ha
da cercare nelle nozze indiane , è la onestà della fa
miglia ; la figlia dev' essere data ad un uomo prudente,
la donna dev' essere saggia, bella, costumata e fornita
di buoni segni ( lakshana, indizii). L'amante perciò
mette insieme otto acervi di terra levata da luoghi di
versi, e parla a ciascuno di essi cosi : « L'ordine è
« la prima cosa ; nell' ordine sta la verità; dove que-
(1) Veggasi una prova dello sposo tedesco, nel capitolo che
intitolo : Mentre la sposa si prepara, in questo stesso primo libro.
62 GLI SPOSI SI PROVANO
<< sta fanciulla è nata, là essa vada. » (Ossia mostri
con questa prova augurale, di qual casato essa sia e
qual parentado essa meriti). « La verità si faccia pa-
lese. Quindi , rivolto alla fanciulla, le dice : « piglia
uno di questi » .
Se la sposa eleggeva la zolla d'un terreno che si
fecondasse due volte l'anno , era prova che alla sua
prole non sarebbe mai venuto meno il cibo ; se la zolla
del terreno levato da una stalla, prenunziava ricchezza
di bestiame ; se la polvere di zolla levata dal circolo
ove si celebrava il sacrificio, era segno di molta devo-
zione ; se la zolla estratta da un lago che si dissec-
casse, rivelava prudenza e cortesia in ogni cosa e con
tutti ; se la zolla formata da un terreno ove si giuo-
casse , minacciava passione al giuoco ; se la zolla di
un trivio, si tradiva impudica ; se la zolla di landa, si
manifestava infeconda ; se la zolla di sepolcro, avrebbe
ucciso il proprio marito. Altri augurii analoghi a que-
sto fatto con gli otto acervi , possono ancora riscon
trarsi ne ' sutra .
A Tarnassari, sopra la costa del Coromandel, secondo
la relazione del nostro viaggiatore Ludovico Barthe-
ma ( 1 ) , vigeva , nel secolo decimosesto , quest'uso :
« Sarà un giovine che parlerà con una donna d'a-
more e le vorrà dar ad intendere che con tutto il
cuore le vuol bene e che non è cosa al mondo che per
lei non facesse, e stando in questo ragionamento pi-
glierà una pezza ben bagnata nell'olio e appiccagli
dentro il fuoco e se lo pone sopra il braccio a carne
(1) Vedi la Raccolta di viaggi del RAMUSIO.
GLI SPOSI SI PROVAΝΟ 63
nuda e mentre che quella brucia egli sta a parlare
quietamente con quella donna e senza una minima
perturbazione non si curando che s'abbrucci il braccio,
per dimostrar a colei che gli vuol bene e che per lei
è apparecchiato a fare ogni gran cosa. >>
A Pernate, nel Novarese, la prova a rovescio: è lo
sposo che, per assicurarsi se la sposa lo ama, le dà
un pizzicotto.
Ma la più comune, più conforme agli usi moderni,
più civile delle prove è quella che si ricorda in un
canto popolare Albanese, alla quale sola, mentre forse
tutte le altre scompariranno , si può assicurare l'im-
mortalità :
Tu , se mi vuoi per moglie ,
Mantieni costante la fede ,
Quattro, cinque , sei anni ,
Non per domani, doman l'altro o sta sera ,
Su , va all'estero ,
Va , lavora in Oriente !
E con il lavoro raccogli denaro ,
E poi vedrai che io vengo (1 ).
VIII.
L'autorità del padre e del fratello
nelle nozze .
La famiglia è una monarchia , dove il padre fa da
re; se il padre manca, il maggiore de' fratelli ne so-
stiene le veci .
I re sogliono considerare il regno come una loro
(1) Vedi CAMARDA, Appendice alla Grammatologia comparata della
lingua albanese, c, in questo primo libro, il capitolo che tratta
della Dote.
64 L'AUTORITÀ DEL PADRE E DEL FRATELLO
proprietà ; cosi il capo di casa o capoccia , come lo
chiamano in Toscana e nell' Umbria, in molti Diritti
umani, possiede moglie e figli, come chi dicesse , greggi
e campi. Il marito arriva a espropriare il padre, o il
fratello maggiore , il capoccia , in somma , di quello
ch' egli tiene per suo ; e diventa proprietario alla sua
volta. L'inno vedico , alla fanciulla che si sposa dice
esplicitamente : io ti sciolgo di qui ( cioè dal padre) ,
ma non di qui (cioè non dal marito ) ; e queste pa-
role possono servire per i legisti di lucido commen-
tario al disputato mundio. Nell' India , come si può
agevolmente scorgere dalle leggi di Manu , l'autorità
domestica è tutta presso il padre ; ed , ove il padre
manchi , presso il fratello ; sono essi che dispongono
della figlia o sorella; la quale non può in alcuna ma-
niera da sè emanciparsi ; è necessario che il pretendente
la domandi a' suoi proprietarii , e , in certo modo, la-
compri (1) .
Nel Diritto Romano , l'autorità paterna non solo è
monarchica, ma dispotica, assoluta; il padre ha diritto
di vendere il figlio, poichè ha diritto di ucciderlo (2).
L'autorità materna non conta invece nulla , poichè
le madri non posseggono i figli ; i figli possono quindi
liberamente sposarsi senza il consenso della madre, ma
nol possono, ove il padre loro padrone non voglia (3).
(1) Vedi più oltre il capitolo che tratta della Dote.
(2) Le 12 tavole : « In liberos suprema Patrüm auctoritas ésto,
venundare, occidere liceto... »
(3) Petri Excerptiones : « Mulieres liberos in potestate non habent,
deoque filii et filiæ sine consensu matris matrimonia contrahere
pössunt. Quod non possunt facere sine consensú patris, in cujus po-
testate sunt. >
L'AUTORITÀ DEL PADRE E DEL FRATELLO
65
Il Diritto longobardico e il comunale italiano si
modellarono , per questo articolo , intieramente sopra
il Diritto romano: ma il primo raddolcisce alquanto
il decreto, facendo partecipe anche la madre nella fa-
coltà di vietare o permettere (1) ; gli Statuti di Riva di
Trento (2) restringono il caso di colpa alle nozze volon-
tarie d'una fanciulla, senza il consenso paterno, o fra-
terno, od anche materno, se il padre e il fratello manchino ,
con un uomo infame o di troppo bassa condizione ; gli
Statuti di Lugo finalmente, che pure manifestano ca-
rattere ferocissimo, permettono ai figli una scappatoia ,
notando come il padre od il fratello e l'avo e quanti
hanno, in somma, la facoltà del divieto, debbano go-
dere del pieno uso della ragione. Si vede bene che
la legge formidabile dovea contradirsi e mostrarsi più
clemente nell'uso. L'uso era già più umano della legge
presso gli stessi legislatori ; ed a me basta per ren-
dermene persuaso questo bel passo di Ennio, onde si
scorge come la vittima non muovea sempre silenziosa
al supplizio e riusciva alcuna volta a commuovere il
(1) Editto di Rothari, art. 214, ed. Baudi di Vesme. « Si quis
liberam puellam absque consilium parentum aut voluntatem duxerit
oxorem, componat anagrip solidos vigenti et propter faida alios XX;
de mundium autem qualiter convenerit et lex havet, sic tamen si
ambo liberi sunt. »
(2) Vedi GAR, Biblioteca trentina, dis.ª XVI-XVIII . Trento, 1861 ,
art. 74 : « Statuimus, si quæ fæmina ad sui postam, sine consensu
patris, vel si non haberet patrem, sine consensu fratris, vel si non
haberet patrem nec fratrem , sine consensu matris , nuberet alicui
ignominioso, vel alicui longe minoris conditionis, quam ipsa , pri-
vetur et privata sit ab omni successione paterna, materna , fraterna
et sororina ipso facto ; et hoc si nupserit ipsi ignominioso ante vi-
gesimum quartum annum ; si vero post vigesimum quartum annum
nupserit tali viro, tunc privetur tertia parte haereditatis tantum . »
DE GUBERNATIS .
5
1
66 NOZZE PER ORDINE SUPERIORE
suo sacrificatore : « O padre, io sono da te indegna-
< mente offesa; poichè, se tu giudicavi tristo Cresfonte,
<< per qual motivo a lui mi destinavi in moglie ? se
« onesto, perchè mi obblighi contro mia voglia a la-
« sciarlo, mentre egli mi vuole ? » (1 ) .
IX.
Nozze per ordine superiore.
Notai di sopra, come la casta guerriera abbia mo-
strato, più di ogni altra, rispetto alla donna; ma alla
casta guerriera corrispondeva pur troppo un reggimento
feudale ; e nel reggimento feudale, la sola padrona ri-
maneva donna; il resto , o maschio o femmina che
fosse, si considerava come cosa vile e venale. La li-
bertà de' matrimonii era fra gli infimi vassalli inter-
detta; e, mentre pur si voleva che si moltiplicassero
perchè si moltiplicassero le braccia al lavoro , ciò si
voleva in quel modo e con quelle condizioni che pia-
cesse meglio al signore di imporre. Tra i Lettoni, per
relazione del signor Henriet, prima dell'ultimo decreto
imperiale per la emancipazione de' contadini , si rac-
(
1) Injuria abs te afficior indigna, pater;
Nam si Cresphontem existimabas improbum,
Cur me huic locabas nuptiis ? sin est probus,
Cur talem invitam invitum cogis linquere ?
Un somigliante rimprovero torna nello Stichus di Plauto,
1, 2, 73:
Nam aut olim, nisi tibi placebant, non datas oportuit
Aut nunc non aequum est abduci, pater.
NOZZE PER ORDINE SUPERIORE 67
coglievano in un determinato giorno di festa dal pa-
drone i giovani e le ragazze della terra in una osteria ;
rinchiusi nell'osteria per un'ora, il fattore distribuiva
loro noci e pane pepato. Ricevuto il qual dono, proprio
delle nozze (1 ), i giovani e le ragazze si sceglievano,
e uscivano quindi, a due a due, dall'osteria per farsi
benedire .
Della proprietà sembra lecito il disporre a piacere ;
finchè pertanto resta per legge o l'uso tollera che il
lavoratore sia un annesso della terra lavorata per il
signore , quest'ultimo può trattare l'uomo e la terra
al modo medesimo. Non recano quindi meraviglia le
sentenze delle Assisiæ Hierosolym (2), che proibiscono il
(1) In Piemonte, il proverbio dice :
Pan e nus
Vita da spus .
In Albania usano invece le nocciuole ; quindi la chiesta nu-
ziale, presso un canto popolare, edito dal Camarda :
M'ha mandato sua signoria
Per uno staccio ,
Per una focaccia ,
Per una fanciulla
Bellina,
lo non la tocco, non l'ammazzo,
Ma la regalo di pecore e di capre,
E le do pane e nocciole,
Or me la dai, o che mi dici ?
Vedi il capitolo che tratta de' cibi e banchetti nuziali , nel terzo
libro di quest'opera e il capitolo primo del quarto libro.
(2) Cap. 270 ; presso il Du Cange, ed. Henschel , sotto la voce
Forismaritagium « Se aucun vilain de qui que se soit se marie
> avec vilaine d'autre leue, sans le coumandement dou Seignor
>> de la vilaine , le Seignor dou vilain, à qui sera mariée la vilaine
>> estrange, rendra au Seignor de la vilaine un autre en eschange
> à la vilaine, de tel auge par la connaissance de bonnes gens.
>> Et se ils ne treuvent vilaine, qui la vaille, il li donra le meil-
68 NOZZE PER ORDINE SUPERIORE
matrimonio di alcun contadino, sia maschio o femmina ,
al di fuori della terra, senza che il signore della terra
in cui il contadino è passato ne restituisca l'equiva-
lente al proprietario .
Sopra i servi della gleba aveva dunque il signore
feudale potestà suprema per le nozze; egli le ordinava
od impediva a sua posta ; le ritardava, interrompeva,
aggravava senza che alcuna autorità venisse a limi-
tarne gli arbitrii. E mi sembra un resto infelice di
tali consuetudini l'uso che , scomparso quasi intie-
ramente in Francia, si mantiene ancora in Piemonte
dove la contadina che si sposa porta al suo padrone
una specie di coccarda fatta con nastri, la quale chia-
mano livrea , come per indicare a qual signore essa
appartenga. Cosifatta livrea viene pure distribuita fra
le varie persone che gli sposi intendono invitare alla
festa nuziale , e particolarmente al banchetto dove il
padrone interviene, se egli lo voglia, come di diritto (1).
>> leur vilain qu'il aura d'auge de marier; et cil qui sera marié
> à la vilaine estrange meurt, le Seignor dou vilain doit avoir
>> son eschange, se la vilaine torne à son premier Seignor. >>>
E nel capitolo seguente : « Se aucune vilaine vait de aucun
>> cazal en autre, qui ne soit de son Seignor, et le Seignor du
>> lieue ou elle sera venue, n'a pooir deli marier, il doit donner
>> à son Seignor une autre vilaine en eschange, à la connais-
>> sance de bones gens sans faillir. »
(1) Trovo ricordata, presso Rabelais, la livrea nuziale, quando
Panurgo annunzia il suo proposito di menar moglie « Je vous
» convierai à mes noces ; vous aurez de ma livrée. » Vedi ancora,
per la parte del feudatario, nel terzo libro, i due capitoli che trat-
tano de' cibi e banchetti nuziali e del jus primæ noctis . È tuttavia
possibile che la livrea nuziale distribuita a tutti i convitati delle
nozze sia un emblema della dignità signorile degli sposi , la
compagnia de' quali rimane la loro corte. Veggasi il capitolo
che tratta degli sposi incoronati.
NOZZE PER ORDINE SUPERIORE 69
Qualche riserbo maggiore si osservava nelle forme ,
quando la sposa non era già una contadina , ma sol-
tanto una vassalla sottoposta al gran feudatario. Il
feudatario le domandava quello che nel medio evo
chiamavano maritagii servigium. Egli mandava tre de'
suoi baroni alla donzella , con l'intimazione : Signora,
voi mi dovete il servigio di maritarvi (1) . Essa era costretta
ad eleggerne uno. Permesse le nozze, dovea quindi pa-
garsi con più maniere di balzelli al feudatario il nup-
tiaticum o diritto di nozze, il più esecrando de ' quali
che aveva nome marcheta, dovrò più oltre illustrare (2).
All' incontro, se il feudatario menava moglie, non pa-
gava nessun tributo ad alcuno, fuorchè al re, e im-
poneva a' suoi vassalli un tributo novello , chiamato
auxilium od aiuto. Che al re si dovesse una specie di
tributo per nozze, lo argomento dal brano di una carta
di Enrico III re d'Inghilterra , ove si proibisce a' si-
gnori qualsiasi maritaggio senza il consenso reale (3) .
Nel Dekhan, il re ha facoltà d'imporre un maritaggio,
quando un pretendente rifiutato gli si presenta a ca-
vallo di alcuni rami di palma, lacero e insanguinato
(1) Vedi DU CANGE , ed. Henschel , sotto la voce Maritagium ,
e Chéruel , Dictionnaire historique des institutions, moeurs et cou-
tumes de la France. « Dame, vous devez le service de vous marier. »
(2) Vedi , nel terzo libro di quest'opera, il capitolo che tratta
del jus primae noctis.
(3) Presso Du Cange ed. Henschel, sotto la voce Maritagium :
<< Cum per experientiam didicimus quod quamplures Dominæ regni
nostri, spreta securitate, quæ per legem et antiquam consuetudinem
regni Angliæ capi solet et debet ab eis, ne se maritari permitterent
sine consensu et voluntate nostra, non requisito super hoc nostri
assensu, unde tam nobis quam Corone nostræ et damnum et oppro-
brium emerserunt. »
70 NOZZE PER PROCURA
per le ferite, onde il proverbio dekhanico: « per gli
<< amanti disperati non vi è altra salvezza che il ca-
<< vallo fatto con rami di palma (1). »
Χ.
Nozze per procura.
Non so se abbiano usato altrove che in Europa, in
altro tempo che nel medio evo , fra altra gente che
principesca ; e, se usino oggi ancora tra principi, con-
fesso di non sapere ; ma credo saper certo che le for-
malità le quali usavano nel medio evo per una tal
cerimonia sono oggi dismesse. L'incaricato, per parte
dello sposo, aveva il diritto di mettere, come in segno
di matrimonio consumato , una gamba sopra il letto
della sposa. Ove gli ambasciatori erano più d'uno ,
come nel caso del re Pipino con la Berta d'Ungheria,
presso i Reali di Francia, suppongo che un tal diritto
fosse riserbato al più anziano. L'ambasciatore portava,
in nome dello sposo , alla sposa i doni e l'anello ; e
con l'anello sposava. Quando il re Ottone manda di
Germania alla prigioniera Adelaide un suo ambascia-
tore con l'anello , intende significarle ch'egli la tiene
:
già per propria sposa. Tal senso ha pure l'anello coi
doni, che, ne ' Canti Illirici, il re Stefano manda alla
giovine Roskanda, convertendo in svat o procuratore
il suo ministro Teodoro .
:
1
(1) Morale di Tiruvalluvar.
MONOGAMIA, POLIGAMIA E POLIANDRIA 71
ΧΙ .
Monogamia, poligamia e poliandria.
Come il celibato, per chi non faccia professione di
astinenza (1), è un delitto contro la società , cosi la
poligamia, la quale, se non distrugge intieramente, pre-
giudica assai il principale elemento della società ch'è
la famiglia. L'uso indo-europeo, rispettando la santita
della famiglia, si fonda sopra la monogamia; ma, come
non vi ha legge che non si violi, cosi non vi ha , si
può dire , uso che non diventi abuso. L'abuso cerca
giustificarsi con pretesti ; e non mancano ai poligami
pretesti mitologici. Gli Olimpi sono pieni di appa-
renti contradizioni e anomalie; prese queste apparenze
come leggi alla vita terrena si rischia di spostare ogni
principio di economia sociale. Il dio od eroe si pre-
senta alcuna volta con una donna sola, per la quale
mette in moto e scompiglio cielo e terra; talvolta in-
vece si abbandona ad ogni nuova figura della bellezza,
(1) E non sono i preti quelli che prima e dopo Gregorio VII
l'abbiano fatta. 11 loro vizio è antico come possiamo rilevare dallo
scandalo che ai padri della chiesa dava la condotta del primo
clero, e dal passo che segue di Landolfo seniore cronista mila-
nese, relativo ai tempi di Ariberto (11, 35) : « Humanam ac fra-
gilem naturam sciens ; qui sine uxore vitam in sacerdotio agere vi-
debantur viris uxoratis ordinis utriusque ne ab illis inhoneste cir-
cumvenirentur, semper suspecti erant. » Concordano i lamenti di
Pier Damiano, di Andrea, monaco vallambrosano, e di altri scrit-
tori contemporanei e posteriori, poco sospetti di parzialità verso
i detrattori della chiesa,
72
. MONOGAMIA , POLIGAMIA E POLIANDRIA
ora schiavo alle lusinghe di una donna, ora suo mobile
seduttore . Pigliando alla lettera i racconti mitici , il
credulo può raccogliere molti esempii assai tristi , il
furbo scusare molte sue bindolerie ; noi , che diamo
fondamento astronomico al mito, non ne caviamo pre-
cetti di morale, ma sole figure poetiche.
Ove sono poligami gli dei, è naturale trovare poli-
gami anche gli eroi che appaiono come la loro seconda
forma. Nel Ramayana , sono illustri le due mogli di
Daçaratha; nel Mahabharata, le due mogli di Pandu ;
e le due mogli epiche appaiono per lo più come ri-
vali . I Nibelunghi e le Edda, con la leggenda delle due
donne amate da Sigifredo-Sigurd , e rivali , sembrano
avere alcuna coscienza della poligamia eroica. La stessa
rivalità si manifesta nella leggenda semitica delle due
mogli di Abramo e, come parmi , anche delle due
mogli di Giacobbe.
Ma la poligamia non è necessaria nel mito , dove
anzi vediamo , per lo più , l'eroe fedele all'unica sua
sposa, la quale ora egli muove a conquistare, ora
a ritogliere dalle mani del suo rapitore ; nell'uso , la
poligamia è proscritta, e la legge la condanna, sebbene
talora lo stesso legislatore abbia peccato o pecchi in
contrario. Questo è il caso di Augusto, il quale, come
abbiamo da Svetonio, per impedire la troppa frequente
mutazione di matrimonii , pose un freno alla facoltà
del divorzio , mentre egli stesso nella sua vita diede
esempii affatto contrarii. Bigamo fu Antonio, secondo
il racconto di Plutarco (1). E l'imperatore Carino
(1) Nel parallelo fra Demetrio e Antonio.
MONOGAMIA, POLIGAMIA E POLIANDRIA 73
menò ben nove mogli , come ci riferisce Flavio Vo-
pisco (1) . Giulio Cesare aveva conceduto per legge il
diritto d'esser poligamo ai soli Quiriti; ma la legge ,
comunicata ad Elio Cinna tribuno della plebe, non
ebbe l'onore della promulgazione (2) .
Della poligamia presso gli ateniesi , discorre Ate-
neo (3) ; egli cita pure l'esempio dell' eroe Priamo
poligamo , senza che Ecuba se l'abbia per male ; ma
non si parla qui propriamente di più mogli, sì bene
di concubine, oltre la moglie. Cosi, ragionandosi delle
donne di Teseo, si dice ch'egli rapi Elena , Arianna,
Ippolita e le figlie di Cercione e di Sinide, e sposò
invece legittimamente Melibea madre di Aiace. Più
mogli effettive ebbe invece Filippo il Macedone ; e cosi
parecchi altri sovrani , i quali si fanno lecito e legit-
timo ogni arbitrio. È famosa, fra tutte , per le sue
conseguenze, la poligamia di Arrigo VIII d'Inghilterra.
Alfonso X, re di Spagna, voleva, alla maniera degli
odierni Parsi, sostituire alla prima moglie che gli
pareva sterile una seconda capace di far figliuoli ; ma,
mentre le nozze si combinavano, la prima moglie si
ingravidò ; preoccupato soltanto della successione, il re
lasciò andare la nuova sposa, che , dotata , consegno
al proprio fratello.
(1) Scriptores Historiæ Auguste, ed. Th. Vallaurius : « Uxores du-
cendo ac reiiciendo ac novem duxit, pulsis plaerisque praegnantibus. »
(2) SVETONIO, Iulius Caesar : « Helvius Cinna , tribunus plebis,
plerisque confessus est, habuisse se scriptam paratamque legem,
quam Caesar ferre jussisset, cum ipse abesset, uti uxores liberorum
quaerendum causa, quas et quot vellet, ducere liceret. >>>
(3) XIII, 1 .
74 MONOGAMIA, POLIGAMIA E POLIANDRIA
Il trovare in parecchi de nostri Statuti un articolo
a posta per punire i poligami, ci prova come spesso
in Italia si dovesse, nel medio evo, infrangere l'uso
della monogamia. Negli Statuti di Trento (1), i bigami
sono multati, e se non pagano, frustati; in quelli di
Rovigno (2), frustati, spodestati ed esigliati ; in quelli
di Civitavecchia, se non pagano, bruciati vivi; in quelli
draconiani di Lugo, multati senz'altro nel capo, purché
il matrimonio siasi consumato (3).
Meno frequenti , invece , i casi di poliandria; ma
pure ad essi accenna alcuno de' nostri Statuti (4), e
presso gli antichi britanni, per memoria di Giulio Ce-
sare (5), e presso gli spartani, per memoria di Seno-
fonte e Polibio, volendosi accennare ai soli indo-europei,
intieramente conformi all'uso. Nelle leggende indiane,
sono famose una ninfa che sposò dieci fratelli, Gautami
che sposó sette sapienti, Draupadi che sposó i cinque
fratelli panduidi (6); ma è preziosa la confessione dello
(1) Vedi GAR , Biblioteca trentina. dispense 111 - VI.
(2) Statuti municipali di Rovigno, Trieste, 1851 ; III, 51 .
(3) Volgarizzamento dell'anno 1451 : « Ad emendare la malizia
>> de li homini et la nequitia de le femmine le quali non desi-
>>>stono usurpare contro Dio la sancta madre chiesia et lo sancto
>>matrimonio adunando moglie ad moglie fermamente ordinando
>> dicemo che qualunque mosso da lo spirito cattivo havente la
>> sua legittima moglie ardiscerà pigliare l'altra moglie, e se ne
>> sarà facta accusa o querela de lui et serà facta legitima proba
>> per testimonii o vero per publico instrumento paghi libre cin-
>> quecento, la quale pena se non poterà pagare sia arso. »
(4) Quello, per esempio, di Civitavecchia qui sopra ricordato.
(5) De bello Gallico : « Britanni uxores habent deni , duodenique
inter, se communes, et maximefratres cum fratribus et parentes cum
liberis ; sed si qui sunt ex his nati, corum habentur liberi a quibus
primum virgines quæque ducta sunt. »
(6) Vedi il primo libro del Mahabharata .
MONOGAMIA, POLIGAMIA E POLIANDRIA 75
stesso Mahabharata che riferisce tali casi di poliandria,
come questa sia contraria alle usanze ed alle leggi
vediche (1 ). Di maniera che sembra doversi supporre
qualche ragione fisica ed economica aver solamente
determinato i britanni e gli spartani ad uscire dalla
legge generale. Il Wilson lasciò scritto : <<Fra gli
abitatori del Butan, una famiglia di fratelli possiede
una moglie in comune, ed osservando la sterilità del
paese in cui prevale usanza siffatta , non è troppo
necessario il domandarsi qual sia il motivo di un tale
accomodamento. Egli è probabilmente lo stesso motivo,
quello, cioè, d'uno scarso nutrimento, che portò fra
gli sciti la stessa usanza, secondo che ci insegna Ero-
doto. Meno agevolmente si spiega per qual ragione la
tribù de' Nairi del Malabar segua un tale costume ;
pure, poichè vi son traccie di parentela, quantunque
omai dissipate , fra questi e la gente dell' Himalaya ,
esse traccie indicano che i nairi poterono venir dalle
montagne e portare con sè quell'usanza » (2). Al che il
professore Foucaux, il quale ha riportato le parole
del Wilson (3), soggiunge il nome dei Dardi , tribu
montanara del Kaçmira, ove una sola donna è moglie
di più fratelli, e quello degli isolani di Lancerote, nelle
Canarie, ove, secondo l'informazione di Béthencourt,
viaggiatore del secolo decimoquinto , ciascuna donna,
per lo più, bastava per tre mariti.
(1) Tuttavia una strofa dell'Atharvaveda (lib. xiv) lascia sup-
porre la poliandria. Quando la sposa è giunta alla casa mari-
tale, si invitano gli uomini a seminare in quel campo fruttifero .
(2) Selections from the Mahabharata, pag. 66, in nota.
(3) Le Mahabharata ; onze épisodes tirés de ce poéme épique; nel-
l'introduzione.
76 NOZZE FRA PARENTI
XII .
Nozze fra parenti.
Vi sono due correnti nell'uso indo-europeo; nell'una,
le nozze fra i più intimi, per non perdere la nobiltà
della propria razza , si favoriscono ; nell'altra , a rin-
frescare il sangue ed animare i commerci , e a rad-
doppiare la vita, si cercano le nozze fuori del proprio
circolo e talora fuori del proprio paese. Quando i
paesi sono nemici , le nozze pigliano forma di un ra-
pimento. Nell'India, abbiamo consigli, perchè i membri
di uno stesso gotra non si ricongiungano ; ne abbiamo
poi altri che hanno vigore di legge , i quali non per-
mettono alle caste di mescolarsi. Il solo Buddha ap-
pare spregiudicato; suo padre Çuddhodana disposto a
farne la volontà dice pertanto al sommo de brahmani :
« Se si trova una fanciulla che possegga tali qualità
« (cioè quelle che Buddha ha descritto) , sia ella di
« razza kshatriya , o brahmanica, o vàiçya, o cùdra,
<< menala qua. E perchè no ? Il giovinetto non bada nè
« alla famiglia, nè alla razza; il giovinetto sta attento
< alle sole qualità » (1). Quanto meno tollerante per
questo rispetto l'occidente , ove ora si vieta al po-
polano di sposare una nobile , ora ad una nobile di
sposare un popolano. Tucidide narra (2) : « I popolani
(1 ) Lalita Vistara tradotto sopra la versione tibetana dal pro-
fessore Foucaux .
(2) VIII, 21 .
NOZZE FRA PARENTI 77
di Samo si sollevarono contro gli ottimati, in ciò aiu-
tati dagli ateniesi che vi si trovavano con tre navi ,
ne uccisero in tutti dugento incirca, quattrocento ne
confinarono e si divisero le loro terre ed abitazioni .
Dopo di questo, avendo gli ateniesi accordata loro
con decreto l'indipendenza in premio di fedeltà , go-
vernavano d'allora in poi la repubblica da sè , esclu-
sero da ogni diritto i possidenti di terre, e vietarono
a qual si fosse popolano di menar moglie nobile , e
di sposare ai nobili le proprie fanciulle » . In Roma,
fino alla legge Canuleia, era vietato ai popolani di
sposare donne patrizie e ai patrizii di sposar popo-
lane; il qual pregiudizio , malgrado la legge Canu-
leia, morta e sotterrata, malgrado la rivoluzione fran-
cese, omai dissipata, ma sempre paurosa, si accarezza
oggi ancora dal patriziato , al quale non so quanto
prosperi ; poichè nello studio di farsi un erede , raro lo
trovano ; chè, siccome da una botte vuota non è da cavar
vino, cosi neppure alcun seme, altro che poco e tristo
da piante intisichite. E i nostri Statuti comunali assai
poco democratici, per la massima parte, mantengono
vivo l'infelice privilegio: valga d'esempio il decreto
che segue (1): « Non sia lecito a persona alcuna far
<< parentado con signori , caporali, ed altri principali
<<dell'isola, così di qua come di là de' monti senza
« la solita licenza » . La licenza naturalmente non si
dava, se potesse dispiacere al capo della casa con cui
si volea stringere il parentado. Più umano l'editto di
Rothari pone soltanto per condizione che la fanciulla
(1) Statuti Criminali dell'isola di Corsica. Lione, 1843.
78 NOZZE FRA PARENTI
non sia una schiava , la quale il padrone non poteva
sposare, se prima non l'avea messa in libertà (1).
Non potendosi , col progresso de' tempi e con la
civiltà, proibir sempre e per tutto le nozze fra gente ..
di condizione diversa, si volle almeno bandire dalle
nozze coi cittadini il forestiero. Già i romani pro-
scrivevano da ogni connubio con i cittadini colui che
non godeva della romana cittadinanza (2); ma quando
la legge è troppo stretta l'uso l'allarga da sè ed al-
largata la fa ricomparire, e a suo tempo riconoscere,
sotto la forma di nuova legge ; cosi si spiega che
Valentiniano e Valente abbiano per legge escluso dal
connubio coi romani i soli barbari non appartenenti
alle provincie dell'impero ; finchè i barbari, cosi detti,
arrivarono da sè e si misero in casa nostra e la
fecero casa loro , e disposero de' connubii a modo e
usanza loro .
Ma l'amor del campanile cionondimeno è rimasto in
Italia e le mamme nostre continuano ad aver paura
di forestieri e forestiere. Nella valle d'Andorno, le
(1 ) Art. 222, Edicta regum Langobardorum, ed. Baudi di Vesme
« Si quis ancillam suam propriam matrimoniare voluerit ad uxorem ,
sit ei licentiam ; tamen deveat eam libera thingare, etc. »
(2) Pure furono sempre vietati dalla legge romana connubii
fra patrizii e, non che schiavi e schiave, liberti o liberte o
figli di liberti e liberte, e specialmente istrioni. La legge su
questo punto era tanto severa, che se la figlia di un senatore
sposava un libertino, il padre veniva espulso dal Senato. E
presso Paulus abbiamo : « Qui senator est, quive filius, neposve
ex filio, proneposve ex filio nato, cujus eorum est, erit ; ne quis
eorum sponsam, uxoremve, sciens, dolo malo habeto libertinam ; aut
eam quæ ipsa, cujusve pater materve artem ludicram facit, fe-
cerit, etc.>>
NOZZE FRA PARENTI 79
madri dicono alle figliuole che le piante forestiere lassù
non fanno buon frutto, e hanno un proverbio loro che
dice : alle veglie ed ai balli mai sotto il ponte della Balma.
7
Ora questo ponte è al fine della valle, e vogliono si-
gnificare con ciò , che vi è pericolo a passarlo o a
lasciarlo passare; il che non toglie tuttavia che l'ac-
colgano bene e direi quasi cavallerescamente , quando
un forestiero arriva. Il modo è questo , secondo una
descrizione che mi viene favorita dalla gentilezza squi .
sita del signor vescovo di Biella. « Ad un'ora di notte
veste lo sposo gli abiti di mezza festa, si caccia un
pistolone nella saccoccia, o sotto l'ascella, e solo od
anche accompagnato da qualche coetaneo, si dirige
verso il Cantone dove spera trovar corrispondenza
d'amore. Giunto alle prime case, spara un colpo, se-
gnale alle veglie, che vi arrivano amorosi. Immantinente
i giovani del paese escono ad incontrarlo e trovatolo
in abito di etichetta coll' indispensabile cappello , si
fanno rimettere l'arma e l'introducono in quante veglie
egli desidera, nè più l'abbandonano finchè chiegga
esso di ritornare a casa. Allora l'accompagnano sino
al luogo dove l'hanno trovato e restituitagli la pistola
e fattegli alcune cortesie , lo lasciano andare. Nelle
notti susseguenti, ritornando, lo stesso segnale , la
stessa accoglienza , la stessa compagnia finchè l'amo-
roso non sia fidanzato » .
In Toscana, un proverbio dice : moglie e buoi de' paesi
tuoi, e uno stornello canta :
Pampani e uva
E la mia mamma sempre lo diceva ,
L'amor del forestiero poco dura.
80 NOZZE FRA PARENTI
e fanno eco a queste popolari sentenze, i rigorosi di-
vieti presso i nostri Statuti comunali di sposar gente
forestiera (1 ) .
E, in Italia, pur troppo , forestiero non vuol dire
uomo d'altra nazione , ma d'altro campanile ; si che,
restringendosi sempre più i limiti de' connubi possi-
bili , non è meraviglia che lo stesso sentimento d'or-
goglio , d'indipendenza , d'egoismo , abbia portato,
presso certi popoli , l'uso delle nozze tra i parenti,
anche tra i più stretti.
In Toscana , quando due non si possono mettere
d'accordo dicono : Fra me e te siamo parenti , non ci
si può pigliare. Il proverbio va dietro il diritto romano,
che escludeva il connubio fra ascendenti e discen-
denti e fra parenti collaterali fino al settimo grado (2) .
Ma de' più famosi a violarlo furono per l'appunto im-
peratori romani. È celebre la risposta che la matrigna di
Antonino Caracalla diede al figliastro, che l'ammirava
ignuda (3): detto e fatto scelleratissimi, che la legge
(1) Seneca ha, nel lib. Iv De Benefic. « Promisi tibi filiam in
matrimonium ; postea peregrinus apparuisti. Non est mihi cum
extraneo connubium. » E Macrobio, nel primo de' Saturnali : « pe-
regrinis nulla cum Romanis necessitudo. » L'avere sposata Cleopa-
tra e Berenice, straniere, fece gran torto presso i Romani, al
triumviro Antonio e a Tito imperatore.
(2) Quelli di Gallese almeno ne adducevano una ragione scu-
sabile ; si temeva che l'ingresso di sconosciuti nella città , per
via di matrimonio, vi portasse canaglia. Così, nelle Constitu-
tiones di Ancona, si richiedeva perchè il forestiero potesse pi-
gliar moglie nella città, ch'egli vi dimorasse almeno da due
anni ; il che viene quanto a dire ch'egli vi fosse sufficientemente
conosciuto.
(3) Elio Spartiano, presso gli Scriptores Historiae Augustae, ed.
Th . Vallaurius . « Interest scire quemadmodum novercam suam An-
NOZZE FRA PARENTI 81
avrebbe puniti, se non si chiamava col nome poco onesto
di Augusto l'iniquo incestuoso; poichè di Augusto, Ca-
ligola si compiaceva narrare che il suo incesto con
la figlia Giulia avea dato il giorno alla madre di lui,
mostro . Nė potè valere a Claudio il suo espediente,
a levarsi ogni colpabilità, quando sposata la propria
nipote Agrippina , diede a tutti il permesso di fare
il medesimo ; egli non riuscì a trovare altri imitatori
all'infuori di due suoi adepti ; ed apparve cosi alla
storia, come uno stupido violator di leggi.
In Grecia, le nozze erano solo vietate fra ascen-
denti e discendenti ; non tra collaterali ; quindi « non
fu cosa turpe, come scriveva Emilio Probo nel proemio
al suo libro (1 ), non fu cosa turpe a Cimone, sommo
personaggio ateniese , l'avere per moglie una sua
sorella germana; ma ciò, per gli usi nostri, è delitto » ;
e Caligola che, presso i romani stupra una dopo le
altre tutte le sue sorelle , credo nove , riesce una
mostruosa eccezione. E Alcibiade è un'altra mostruosa
eccezione presso i greci, siccome quello che dormi
con la propria figlia (2); egli vuole, com'è noto , far
toninus duxisse dicatur ; quæ cum esset pulcherrima et quasi per
negligentiam se maxima corporis parte nudasset, dixissetque An-
toninus : vellem si liceret , respondisse fertur : si libet licet. An
nescis te imperatorem esse et leges dare non accipere ? Quo audito,
furor inconditus ad effectum criminis roboratus est ; nuptiasque eas
celebravit, etc. »
(1) De vita excellentium imperatorum : « Nequem enim Cimoni
fuit turpe, Atheniensium summo viro, sororem germanam in matri-
monio habere. At id quidem nostris moribus nefas habetur. »
(2) Il caso nefando è riferito così dall'oratore Lisia, presso
Ateneo (x1, 16) : « Navigando insieme nell' Ellesponto Assioco
>> e Alcibiade , in Abido , menarono in comune due mogli , Me-
DE GUBERNATIS. 6
1
82 NOZZE FRA PARENTI
parlare ad ogni costo di sè; ed è con questo inten-
dimento ancora ch'egli , secondo Ateneo , sale sul
talamo del re di Sparta, desideroso che si finisca di
vantare i re di Sparta come discesi da Ercole, e si
incominci col dire che discendono da Alcibiade . Ma
ciò ch' era licenza , abuso , delitto per Alcibiade in
Grecia, in Persia avea religiosa consacrazione. Più il
matrimonio era fatto tra persone intime e migliore si
riconosceva. Il Vispered (1) lo dice esplicito : « Io amo
<< quelli che sono sposati con parenti » ; ese ipa-
renti erano padre e figlia, madre e figlio, meglio ; il
matrimonio riusciva privilegiato.
Devoti alle antiche tradizioni , anche gli odierni
parsi riconoscono tali matrimoni come gli ottimi.
XIII.
Come la fanciulla si domanda.
1
Dove la scelta non è libera tra gli sposi, dove non
si celebra il matrimonio, come dicono nell'India, alla
maniera de' gandharvi , dove insomma interviene l'au-
torità de' parenti e la festa non è solamente della
giovine coppia ma più forse delle loro rispettive fa-
miglie, ha importanza la cerimonia della chiesta nuzialę.
>> donziade e Xinocepe. Quindi essendo loro nata una figlia ,
>> nè sapendo essi se da Assioco o da Alcibiade, come fu in età
> da marito, dormirono pure con essa , con la quale se usava
> Alcibiade diceva essere dessa figlia di Assioco , se Assioco, di
>> Alcibiade . >>>
(1) 1ш, 18.
COME LA FANCIULLA SI DOMANDA 83
Conosciamo già l'uso che corre in Sardegna ; in
generale, l'uso italiano è questo , che dapprima si
manda innanzi un terzo per esplorare se non vi sia
pericolo di rifiuto; quindi muove il padre stesso dello
sposo a fare la domanda ; in Sicilia, come appare dai
canti popolari e dalle informazioni del mio diligente
Pitrė, assume piuttosto un tale ufficio la madre.
Abbiamo, di fatto, un canto siciliano che dice ;
- Arsira ( 1 ) me' matruzza (2) mi spiau (3)
E mi dissi unni (4) vai, figghiuzzu miu ?
- Matruzza, unni la zita mi nni vaju (5)
Ca cc'è 'na bedda (6) di geniu miu.
- Fighiuzzu, 'nsignamillu (7) ca cci vaju
Quantu tanticchia (8) mi nni preju iu (9)
- Vossia (10), cci dici ; senziu nun haju ( 11)
Pinsannu ad idda di l'occhi nun viju (12)
In Sicilia, e per lo più, anche negli altri paesi, il
giorno medesimo della chiesta in cui si trattano gli
affari , si fa eziandio il puntamento, ossia si fissa il
giorno delle nozze. Che il medesimo a Roma si fa-
cesse lo argomento da questo brano di Terenzio (13) :
(1) " Ieri a sera. » *
(2) « La mia mammina. »
(3) « Mi osservò ma come chi vuole interrogare.
(4) « Ove. »
(5) « Io ci vado. >>
(6) « Bella. »
(7) « Guidamici, indicamelo. »
(8) « Un tantino.>>>
(9) « Io ne godo. >>
(10) « Vossignoria. >>>
(11) « Non ho senso, son fuori di me. >
(12) « Non vedo. >>
(13) « Andria : »
Нас fama impulsus, Chremes
Ultro ad me venit, unicam gnatam suaат
Cum dote summa filio uxorem ut daret.
Placuit, despondi ; hic nuptiis dictus est dies.
84 COME LA FANCIULLA SI DOMANDA
«Mosso da tal fama Cremete se ne venne a me spon-
« taneo, per dare a mio figlio in moglie l'unica sua
< figlia immensamente dotata. Mi piacque; feci la
<<promessa; si fermò questo giorno alle nozze. » In
questa prima cerimonia , quando le parti si trovano
d'accordo, gli sposi si danno la mano; e l'aver com-
piuto un tale atto è un primo e forte legame, come
lo era per gl'indiani (1). Il padre della Tancia al cit-
tadino Pietro Belfiore, dice :
La v'ha data la man, l'è obbrigata,
Non ci bisogna su nė sal nè olio (2)
Ma Cecco osserva, nell'atto quinto della commedia,
come quello che conchinde è l'aver dato l'anello e
detto in chiesa. Entrambi gli usi sono assai popo-
lari e ordinariamente vanno insieme ; ma fra il toc-
Propriamente, era il padre della ragazza o sponsa sperata quello
che spondebat; il giovine o sponsus speratus dal padre suo sti-
pulabatur.
(1) Cfr. i matrimonii di Devayani e di Draupadi, presso il
Mahabharata, 1, 3379, 3380, 7341 .
(2) Buonarroti , Tancia, atto 4.0, scena 4.". E un canto popolare
toscano, presso il Tigri :
Saprai pur, bello, che legati siamo,
E sposar tu non puoi altra persona.
Colla man destra femmo il toccamano,
E colla lingua ci demmo parola.
Se tu con altra in Chiesa ti dirai,
Le tue pubblicazion fermato avrai.
Secondo la Sporta dal Gelli (scena 6.ª, atto 5.0) basta la stretta
di mano fra il suocero e il genero :
Franzino : « Siate testimoni, spettatori ; ponete su la mano.>>>
Ghirigoro : « Eccola. >>
Franzino : « Padrone, ponete su la vostra. >>>
Alamanno : « Perchè ? Eccola . >>
Franzino : « Buon pro vi faccia a tuttaddua; la Fiammetta
vostra figliuola è moglie qui di Alamanno mio padrone.>>>
COME LA FANCIULLA SI DOMANDA 85
camano e il dare l'anello/quello che, nella credenza
comune, sembra legar più è l'aver dato l'anello della
promessa, chiamato dai latini anulus pronubus, diverso
da quello che si dà ora in chiesa dal prete quando
benedice le nozze omai combinate e non più possibili
a rompersi senza grave scandalo. L'anello della pro-
messa è un pegno di unione futura; l'anello che si
dà in chiesa è simbolo dell'unione che si fa. L'uso
dell'anulus pronubus è generale in Italia, dato « o per
segno di mutuo affetto, o piuttosto affinché per quel
« pegno i cuori si leghino (1) » . Secondo il diritto
romano, tuttavia l'anulus pronubus non è ancora vin-
colo legale di matrimonio (2); lo è invece pel diritto
visigotico e longobardico (3) e più poi ne' nostri canti
popolari, uno dei quali dice cosi : 1
Oh ! guarda che bel fior che ha quel roso!
M'è stato detto, amor, che siete sposo.
Se siate sposo ancora non lo so;
Ancora siete a tempo a dir di no.
Se siete sposo ancor non lo so io ;
Ancora siete a tempo a dirgli addio.
Quando vi vederò l'anello in dito
Allor ci piglierò pena e partito.
(1) Isidorus Hisp., lib. 2. De Divin. Offic., cap. 15 : « Quod in
primis nuptiis, anulus a sponso sponse datur, sit nimirum vel pro-
pter mutuæ dilectionis signum, vel propter id magis, ut eodem pi-
gnore eorum corda jungantur. »
(2) « Annuli subarratio non est de substantia matrimonii, sed pro
signo et pro quadam investitura. Cfr. Monterenzio, negli scolii
delle Sanctionum et Provisionum inclytæ civitatis studiorumque ma-
tris Bononiæ. Bologna. 1569, t. 2.º
(3) Lib. 3, tit. I. Cfr. BARONIUS, Ann. 58, num. 51 et seg. -
L'editto di Liutprando, art. 30 : « Si quiscumque secularis paren-
tem nostram saecularem disponsat cum solo anolo, eam subarrat et
suam facit. »
86 COME LA FANCIULLA SI DOMANDA
Quando vi vederò l'anello d'oro,
Allor ci piglierò partito e duolo. (1)
Ma, checchè ne dica il canto popolare, l'anello non
è sempre d'oro ; anzi nell'Arpinate e a Fenestrelle è
sempre d'argento e a Roma , al tempo di Plinio, era
solamente di ferro. Mi piace infine notare come nel-
:
l'agro Tuderte e in qualche altro luogo d'Italia che
ora non mi rammento , chiamano questo anello nu-
ziale la fede, e nel Veneto, la vera ; ora vera è parola
slava che vale precisamente la fede.
L'anello è dato , per lo più , direttamente dallo
sposo alla sposa; ma talora può essere o mandato da
esso come nel caso di Ottone I con Adelaide (2) , o
dato dal principe, in nome dello sposo ch'egli elegge
alla sposa, come ne abbiamo un caso presso il Ban-
dello (3) o fatto dare , come ci occorre presso il
Doni (4). Nell'India era una vecchia parente che met-
(1) E un altro canto popolare toscano :
Dissi : Quell'uomo, datemi un anello,
Che c'è me' pa' che mi vuol maritare,
E mi vuol dare a un giovan di castello,
1
lo voglio un giovanin che sia 'l più bello.
(2) Per mezzo di un ambasciatore ; cosi agli ambasciatori del
re di pagania d'oltremare, la principessa Orsola di Ungheria,
nella Leggenda di questa santa, presso il Del Lungo, dice: << ed
>>allora compieremo il matrimonio e la convenzione carnale ; e
>> al quale se voi siete mandati a ciò e se voi avete balia aiuto-
>> ria, per cagione di compiere tutto lo suo intendimento datemi
>> l'anello per nome del figliuolo di messere lo re d'Oltremare . »
(3) Nella novella della Gualdrada, ove all'onesta fanciulla Ot-
tone III consegna l'anello della promessa in nome di Guido, lo
sposo che le destina.
(4) Novella ventesimaprima, ove si ricorda la sola buona azione
di che abbia forse meritato lode in sua vita il duca Alessandro
de' Medici. Udito come due cortigiani avevano tradito una po-
COME LA FANCIULLA SI DOMANDA 87
teva in dito ai due sposi un anello di ferro (1). Tra
principi si trova pure il caso in cui la fanciulla per
ordine paterno si fidanzi per mezzo di un anello, che
ella manda allo sposo destinato; e un tale invio se non
la obbliga legalmente , la stringe pur tanto che ri-
traendosi ella possa provocare un casus belli (2).
L'anello adunque veramente impegna; è un forte
impegno morale che ne vale uno legale; si può scher-
zare con altro, ma coll'anello della promessa, no ; esso
è serio per chi lo dà e per chi lo riceve; al qual
proposito mi piace rilevare, da un eccellente scritto
della signora Dora d'Istria (3), l'uso che la dotta ed
elegante scrittrice ha potuto osservare tra i suoi con-
nazionali serbi : « I pesma sembrano avere inteso a
rendere popolari certi, assiomi che possono aiutare le
fanciulle a distinguere i serii amatori da quelli che
presumerebbero abusare della loro semplicità. Come
vera fanciulla, egli si reca presso la medesima in compagnia
loro e « cavatosi un ricco anello di dito, lo porge a colui che
>> promesso aveva di prenderla per donna e disse: « sposala.>>
In Francia, in simili casi, colui che era obbligato a sposare,
dovea ricevere invece di un anello metallico, per segno d'infa-
mia, un anello di paglia. Cfr. CHÉRUEL, Dictionnaire historique
des institutions, moeurs et coutumes de la France.
(1) Cfr. WEBER . Op. cit.
(2) Io ricordo il caso di Maria di Borgogna, impegnata per
tal modo col duca Massimiliano d'Austria, riferito nelle Memo-
morie del Commines, Cologne, 1615, p. 507, 508 : « Ainsi d'aucuns
» commencérent à pratiquer le mariage du fils de l'Empereur, à
>> present Roi des Romains : dont autresfois auoit esté paroles
>> entre l'Empereur et le duc Carles, et la chose accordée entre
>> eux deux. Si auoit l'Empereur une lettre faite de la main de
>> la dite Damoiselle, du commandement de son père et un an-
>> neau, où il y avoit un diamant. »
(3) La nationalité Serbe d'après les chants populaires.
88 COME LA FANCIULLA SI DOMANDA
« pegno di amore , si dà una mela; come profumo,
« si dà il basilico; ma l'anello si da soltanto per gli
<<sponsali » . In tutte le tradizioni orientali , la mela
vien considerata come un simbolo di seduzione. Una
mela sedusse Eva, come Atalanta , e per ottenerla
dalle mani di Paride , Hera, il tipo della matrona
ellenica, e Athene, la vergine austera, consentirono a
mostrarsi ignude come Afrodite nel cospetto di un
pastor frigio. Una fanciulla serba , più prudente che
non fosse l' Eva della Genesi , si affretta a gettar sul
naso di Mirko la mela ch'egli le offri : « io non ti
voglio nè la tua mela » grida ella irritata. La sorella
di Jovan , non meno corrucciata manda lungi col
piede la mela che Stoiano vuol farle accettare ; ma
colei che più risoluta sdegna un tal pegno di amore
indegno di lei , dolcemente sorride si tosto ch' ella
scorge come nelle mani di Mirko risplende l' anello
d'oro, l'anello della promessa. >>
Ora, se non fosse indiscreto, vorrei domandare a me
stesso di che sia in origine símbolo l'anello nuziale ;
mi contenterò invece soltanto di osservare come alle
vedove che si rimaritano, il secondo marito non usa
più offrire l'anello .
Nell'India antica, secondo i sutra , i due messag-
gieri d'amore , lasciata la casa dello sposo con le
benedizioni di lui, e fiori e frutti, andavano soli alla
casa della sposa , si annunziavano al padre , e in
presenza di tutti i parenti , esposto prima il loro
mandato, scrivevano la genealogia, le virtù e gli averi
dello sposo e domandavano la sposa , stando seduti
COME LA FANCIULLA SI DOMANDA 89
verso occidente , mentre i parenti erano rivolti ad
oriente, ossia verso il sole nascente , il primo, il più
bello e il più ricco degli sposi. Ove si cada d'accordo ,
i messaggieri toccano una coppa piena di fiori , grano ,
frutti ed oro; la stessa coppa veniva quindi posta
sul capo della sposa, come augurio di fecondita. Re-
citata qualche formola, lo suocero riceveva lo sposo,
lo faceva sedere sopra l'erba kuça e gli dava a bere
latte con miele; lo sposo presentava quindi i suoi
primi doni alla sposa.
Nell'India odierna, quando un giovine, compiuti i
suoi studi, manifesta il proprio desiderio di pigliar
moglie , suo padre elegge un giorno propizio , ap-
presta i doni e si avvia con essi alla casa della sposa.
Il padre fa la promessa e presenta i doni ; il padre
della sposa, prima di rispondere, tenta gli auguri ; e,
ove egli consenta , in mezzo a molte cerimonie si
fanno le promesse e si fissa il giorno solenne per
le nozze. Ma fra i brahmani corre ancora quest'altro
uso cerimonioso. Dovendo il giovine, per le nozze,
purificarsi d' ogni colpa , la purificazione egli compie
per mezzo di alcun dono cospicuo, fatto a qualche
sant'uomo della casta. Come penitenza poi, egli assume
un sacro pellegrinaggio alla Ganga. L'apparato del
viaggio si fornisce in tutto punto, e il giovine fidan-
zato si mette in via ; ma com' egli è appena giunto
fuor della città o del villaggio , incontra lo suocero
suo, che gli domanda ove sia diretto, e, saputolo, gli
offre la figliuola in matrimonio, pur ch'egli desista dal
viaggio ; naturalmente, il finto pellegrino desiste e si
sollecitano le nozze.
90 COME LA FANCIULLA SI DOMANDA
Nelle leggi della Germania settentrionale, una delle
formole per le quali si facevano gli sponsali era
questa : « Io ti sposo la figlia mia per l'onore e pel
matrimonio e per la metà del letto, per la serratura
e per le chiavi » (1 ). , intendendosi con ciò che il ma-
trimonio dovesse riuscire onorato e che la moglie,
oltre alla partecipazione del toro maritale , dovesse
assumere il dominio della casa..
In Russia (governo di Mosca), per la domanda nu-
ziale, muove un parente dello sposo e picchia ad una
delle finestre della casa dove la sposa abita. Il padre
della sposa gli domanda: « Chi siete voi ? » Il forestiero
risponde : « Sono un mercante di passaggio ed ho
buona merce , se voi la volete lasciar entrare .>>> Il
padre lo fa entrare , e si tratta; la fanciulla origlia
intanto dalla stanza vicina; se i due contraenti si
mettono d'accordo e combinano le nozze, la fanciulla
-
incomincia a levare alti lamenti ed a piangere.
Nel governo di Tver , dopo il consenso degli sposi,
incominciano tra i parenti le trattative, che si fanno
nel modo seguente : il padre dello sposo si reca in
visita presso quello della sposa; ma innanzi di partire,
come è l'uso russo, prima d'intraprendere qualunque
affare d'importanza, si siede e prega Dio. Presi quindi
con sè i doni , s'avvia alla casa della sposa, ove giunto,
i due suoceri ripiegano in su un lembo della loro
(1 ) Despondeo tibi filiam meam in honorem et uxorem et dimidium
lectum, in seras et claves. » Presso Stiernhoek, citato dal Mit-
termaier, Grundsätze des gemeinen deutschen Privatrechts .
COME LA FANCIULLA SI DOMANDA 91
pelliccia (1), e il padre dello sposo dice: « Quello che
hai immaginato, facciamolo ; battiamo le mani » . Allora
la palma dell'uno batte su quella dell'altro, e un tale
atto in Russia si chiama il battimano ; i toscani, come
l'abbiamo veduto di sopra lo chiamano il toccamano ;
egli è che veramente i russi battono ove i toscani
solamente toccano; ma chi assistette alle trattative fra
contadini di altre parti d' Italia avrà pure osservato
come spesso il suggello de' loro contratti sia un vero
battimano. Fatto il battimano, i contadini russi aggiun-
gono : « Dio ci permetta di vivere amici e di visitarci gli
« uni e gli altri, di mangiare pane e sale insieme , di
<<modo che la buona gente ci invidii. » I nostri contratti
finiscono in bere ; cosi i due suoceri russi, terminati gli
accordi, si scambiano, oltre ai doni, vino e birra. Si beve,
ed in quel punto, si dice in Russia, che la sposa è bevuta,
ossia ch'ella è fatta. Finalmente il padre dello sposo si
congeda dicendo : << avete voi cavalli per portare via
« la sposa? Se non ne avete voi, manderemo i nostri
<< a prendere la principessa » (2). Il padre della sposa
risponde : « Io stesso la condurrò ; non vi recherò
• codesto disturbo » . Alla sua volta , la madre della
sposa presenta i suoi doni per lo sposo e pel man-
datario, dicendo: « ricevete, signor mandatario, questo
<< per le pene vostre , per averci dato un erede , e
(1) Mi sembra ricordarmi che un simile uso vivesse tra i Ro-
mani , quando si trattava dai loro ambasciatori per la pace ; un
lembo ripiegato della toga significava pace : disteso, in vece,
guerra .
(2) Ossia la sposa; cfr., nel secondo libro, il capitolo che tratta
degli Sposi incoronati .
92 COME LA FANCIULLA SI DOMANDA
<< questo per il principe (1) : un fazzoletto ed un asciu-
gamano, perchè veda il lavoro della sposa (2) » . Dopo
di ciò, il mandatario si alza dal proprio posto , ed il
padre della sposa piglia il pasticcietto (pirog) prepa-
rato per l'occasione , col lembo diritto della pelliccia
e lo passa nel lembo diritto della pelliccia del padre
dello sposo , il quale , appena ricevutolo , corre , con
quanta più prestezza può , verso la propria dimora,
senza toccare con la mano il pasticcietto. A una tal
forma di chiesta nuziale si riferisce il seguente canto
popolare del distretto di Tarszok (governo di Tver) ,
nel quale la sposa destinata dai parenti si circonda,
come paurosa , a difesa , delle sue dilette compagne,
dei cigni, secondo la sua poetica immaginé, e dice :
Tu, mio sostentatore padre,
Non biasimarmi, non metterti in collera,
Mio sostentatore padre,
Se io ho condotto qua la schiera de' cigni,
Le mie care compagne.
Tu, mia carissima compagna N. N.
Avvicinati a me, alla malinconia amara,
Aiutami a sopportare la mia tristezza.
Voi, mie care compagne,
Siete senza pietà ;
Forse i vostri visi sono di carta,
Le ardenti lacrime di perla,
I cuori più duri della pietra.
Tu, mio sostentatore padre,
E tu , mia cara madre,
Non battete delle mani (3) ,
(1) Lo sposo ; vedi la nota di sopra.
(2) Tali fazzoletti e asciugamani sogliono essere riccamente
ricamati in rosso.
(3) Cioè , « non fate il battimano. >>
:
LA SPOSA SI ACCAPARRA 93
Nè il lembo contro il lembo (1)
Non impegnarmi, sostentatore padre,
Nè tu mia propria madre
Con impegni forti ,
Forti, eterni.
XIV .
La sposa si accaparra.
L'anello pronubo è la prima delle caparre ; ma altre
ordinariamente l'accompagnano anco presso i romani,
come appare evidente da un passo di Giulio Capito-
lino , tra gli Scriptores Historiæ Auguste (2). L'uso
italiano le ha continuate non contraddetto dal diritto
longobardico , la cui meta era una vera caparra (3).
La caparra in danaro o strenna (come la chiamano
(1) Cioè, non avvicinate i due lembi delle pelliccie ripiegati.
(2) Vi si parla di Massimino Giuniore : « Desponsata illi erat
Junia Fadilla, proneptis Antonini ; quam postea accepit Toxotius
eiusdem familiae senator, qui periit post præturam, cuius etiam
poemata exstant. Manserunt autem apud eam arrhæ regiæ, quæ
tales (ut Junius Cordus loquitur, harum rerum perscrutator) fuisse
dicuntur monolium de albis novem, reticulum de prasinis undecim,
dextrocherium cum costula de hyacinthis quatuor, præter vestes
auratas et omnes regias, ceteraque insignia sponsalium. »
Nelle Petri Excerptiones poi trovo questo precetto : « Si quis
uxorem ducere aliquam voluerit mulierem et in tempore sponsalium
aliquid ei arrharum nomine, causa futuri matrimonii, dederit, ve-
luti annulum, monile, pelles vel aliud simile, si per mulierem ste-
terit, quominus matrimonium sequatur , nisi justa causa impediat ,
reddat arrhas in duplum, vel etiam in quadruplum , si forte ita
pactum fuerit inter eos . Sin vero per virum steterit nisijusta causa
interveniat, tunc arrhas amittat, vel si pactus est, quadruplum
(3) Cfr. Glossarium Cavense, citato dal Du Cange sotto la voce
META.
94 LA SPOSA SI ACCAPARRA
nel Canavese e nel Biellese) che lo sposo dà, in Pie-
monte, alla sposa non eccede mai la somma di lire
cinquanta (1 ) ; se le nozze si guastano, per causa dello
sposo, egli perde la sua caparra; se, per causa della
sposa, la caparra viene restituita a colui che la diede,
a rindoppio talora, come usa nel contado di Pinerolo
ed anche nell' Osimano. La caparra si dà general-
mente il di delle promesse , ossia , come dicono nel
Canavese, il giorno in cui si va a baciare la sposa,
poichè da quel giorno veramente i parenti dello sposo
la riconoscono con un bacio. Ma non sempre la sposa
accetta la caparra in danaro, a molte fanciulle sem-
1
brando offesa quel pegno; ose, come nell'Abruzzo (2),
l'accettano, esse hanno cura di levare, all'unica mo-
neta che acconsentono di ricevere, il valore di moneta;
perciò, bucatala, se l'appendono al collo ad uso me-
daglia, quale pegno di fede promessa.
È una specie di caparra la cerimonia nuziale del
governo di Tver, in Russia, che si chiama bere la beltà
della ragazza. In una bottiglia di acquavite si mette
un'erba detta del diavolo ; la si orna di nastri e can-
delotti ed il padre dello sposo deve riscattare questo
diavolo per mezzo di cinque kapeika (3) . A tale offerta gli
si dice : « La nostra principessa (4) non vale solo que-
(1) Nella descrizione che ci fa Jacopo Salviati delle nozze di
Bernardo Rucellai con Nannina de' Medici, la caparra o mancia
che lo sposo dà alla sposa appare di fiorini 100 larghi e mani
1000 di grossoni.
(2) Abruzzo Ultra I.
(3) Venti centesimi..
(4) Intendi , sposa.
RICAMBIO DI DONI NUZIALI 95
sto » ; allora il mandatario aggiunge ancora ; gli si ri-
pete il medesimo, ed egli sempre aggiunge finchè la
somma non sia arrivata fino a cinquanta kapeika (1).
XV.
Ricambio di doni nuziali .
Le nozze non son fatte per gli avari ; si dà e si
riceve in esse con una liberalità veramente sfogata,
e nessuno tien conto di quello che vi ha speso. Si
mangia e si beve in casa altrui ; si dà da mangiare e
da bere in casa propria; è sempre la stessa abbon-
danza; le economie verranno poi. I doni volano per
tutte le parti ; oltre agli sposi, ne hanno gli stretti pa-
renti, i convitati, i compagni, le compagne ; ma in
tutti è gara di render più che non si è ricevuto. Riesce
difficile pertanto tener conto esatto di tutti i doni che
sogliono farsi nelle nozze; ma importa il sapere di
qual sorta particolarmente siano, ed in qual modo par-
ticolarmente si facciano .
I cibi, fra i doni non contano, tanto più ch'essi
ci daranno occasione di un articoletto speciale, come
saremo, nel secondo libro di quest'opera, a banchettar
con gli sposi. Ma conterà bene il dono d'una vacca
che lo sposo indiano faceva alla sposa e al prete mae-
stro (2), e il dono germanico della stessa vacca fatto,
(4) Due lire italiane.
(1) Se lo sposo era un brahmano , poichè, se guerriero, dovea
cedere al prete maestro una terra, se agricoltore o mercante,
un cavallo .
96 RICAMBIO DI DONI NUZIALI
ai tempi di Tacito, dallo sposo alla sposa (1 ) ; impor-
terà il dono d'una camicia che la sposa indiana (2)
tesseva e cuciva pel di delle nozze allo sposo, certo,
come la sposa russa, affinchè il principe (3) vedesse
il lavoro della sposa; e il dono è popolare a quasi
tutto l'uso indo-europeo (4) ; un canto illirico (5) ri-
corda, fra gli altri doni della sposa allo sposo una
camicia per lo sposo che non era stata nè filata nė
tessuta, ma che la fanciulla stessa (figlia del doge di
Venezia) aveva per tre anni, giorno e notte, con le
proprie mani , lavorata e contesta d'oro finissimo. Io
cito fra gli altri luoghi d'Italia, il Ligure, il Piemonte,
il Milanese, il Pesarese e il Perugino, ove la fanciulla
mette gran cura a ben cucire la camicia ch'ella re-
gala allo sposo ; nell'Arpinate poi, nell'Abruzzo Te-
ramano e presso il Lago maggiore, la sposa non re-
gala solamente d'una camicia lo sposo, ma quanti
parenti maschi si trovano nella casa di lui ; nel Pi-
stoiese, oltre lo sposo si regalano della camicia due
paraninfi detti scozzoni.
In molti luoghi d'Italia, lo sposo veste a nuovo, per
(1) Secondo il Birlinger, Volksthümliches aus Schwaben, usa
tuttodi lo stesso dono in Isvevia ; la vacca accompagna il carro
della sposa. - Fra i doni nuziali germanici, figura pure il gallo.
Cfr. SIMROCK, Handbuch der Deutschen Mytologie (nell'Arpinate
si dà una gallina al prete) ; in Francia, usava il dono d'un ca-
vallo alle ragazze che accompagnavano la sposa. Cfr. CHERUEL,
Dictionnaire des Institutions, Moeurs et coutumes de la France.
(2) Cfr . Atharvaveda, lib. 14.
(3) Lo sposo . »
(4) Anche fra i Turchi trovo ricordato un somigliante dono
nuziale. Cfr. UBICINI, La Turquie actuelle.
(5) MICKIEVIC', Canti Illirici.
RICAMBIO DI DONI NUZIALI 97
intiero, la sposa, per quanto ne deve al di fuori ap-
parire ; in altri, una sola parte del vestiario vien re-
galata. In alcuni paesi del Tarentino, a Gallarate e
Turbigo di Lombardia, a Cossato-Biellese e a Palermo ,
trovo indicate particolarmente le scarpe come dono
nuziale ; il che mi richiama all'uso germanico, per cui
lo sposo diventa padrone della sposa, mettendole un
nuovo paio di scarpe; ed al Russo che fa mandare le
scarpe alla sposa sopra un piatto, certo, affinchè, pur
nel toccare, per la prima volta, la soglia maritale, la
sposa appaia intatta. In altri luoghi finalmente, come
per esempio a Carpignano in Lombardia, si regalano
solo oggetti da lavoro, cioè un coltellino, un agoraio, un
par di forbici e un ditale ; o, come nel Pesarese, fra po-
veri, una rocca o conocchia lavorata e ornata. Questi usi
ultimi confermano gli antichi romanidel camillus chepor-
tava gli utensili della donna, e della conocchia apprestata
che accompagnava la sposa (1). Il medesimo uso ro-
mano della conocchia nuziale, si mantiene ancora nel
Monferrato Albese, a Monte Crestese nell'Ossola, nella
valle d' Andorno (Biellese) , in Sardegna, in Corsica,
come rilevo da un canto popolare corso (2), il quale
dice :
Quando andereti sposata
Purtereti li frineri ;
(1) Plinio , VIII, 48 : « Lanam cum colo et fuso Tanaquil, quæ eadem
Coecilia vocata est, in templo Sangi durasse, prodente se, auctor est
M. Varro, factamque ab ea togam regiam ondulatam in aede For-
tunæ, qua Servius Tullus fuerat usus. Inde factum ut nubentes vir-
gines comitaretur colus comta cum fuso et stamine . »
(2) Cfr. TOMMASEO, Canti Côrsi. In Corsica chiamano freno la
conocchia .
DE GUBERNATIS . 7
98 RICAMBIO DI DONI NUZIALI
e in Toscana ove un canto popolare satirico che so-
miglia ad una novella, motteggia cosi la donna che non
sa filare :
La bella donna che ha perso la rocca !
E tutto il lunedì la va cercando ;
Il martedi la trova mezza rotta,
Mercoledì la porta rassettando,
Il giovedì le pettina la stoppa,
Il venerdì la va inconocchiando,
Il sabato si liscia un po' la testa,
Domenica non fila perch'è festa.
Che la conocchia poi sia pure indispensabile com-
pagnia della fanciulla tedesca che va a marito lo rac-
colgo da un canto popolare che, fra i tedeschi, dice :
Riceve il miglior marito,
Quella che sa meglio filare . ( 1)
Un altro de'doni nuziali più caratteristici, è il cinto,
cingolo, centurino o cintone , o nastro , o zona che si
voglia addomandare, onde le nostre spose si ricingono
la vita mentre vanno pomposamente vestite al tempio.
Talora, invece del semplice nastro, portano le spose
un grembiale ; ond'è, che fra i doni nuziali, ora tro-
viamo un nastro , ora un grembiule, e che le espres-
sioni solvere zonam e sciogliere o far cadere il grembiule
valgono il medesimo.
Il Symes (2), sullo scorcio del secolo passato, no-
tava nell'Indo-Cina, fra gli altri doni nuziali alla sposa
quello di tre tubbeck o cinture. E la cintura non man-
(1) Die bekommt den besten Mann
Die am besten spinnen kann
Cfr. Deutsche Lieder in Volkes Herz und Mund, Leipzig, 1864.
(2) Relazione della sua ambasciata al regno d'Ava.
RICAMBIO DI DONI NUZIALI 99
cava alle spose indiane, greche, romane (1), celtiche;
ma forse l'avevano in proprio ; che, in Francia, invece,
fosse consueto dono dello sposo, lo si può supporre
dal Jeu de Robin et de Marion nella pastorale di Adam
de la Hale (2). È nota la virtù attribuita dalla leggenda
germanica alla cintura delle fanciulle. Brunilde, finchè
questa non si scioglie, è prodigiosa ; caduta questa,
riesce una donna come le altre (3). E alla cintura
nuziale allude pure un canto popolare dell'Estonia, ove
la leggendaria Salma va dicendo allo sposo da lei
eletto : « Caro giovine, caro fidanzato, tu m'hai dato il
tempo di crescere, dammi ancora quello di vestirmi.
La orfanella si veste con fatica; essa è lenta, la povera,
a cingersi la cintura (4). »
Meno importanti i doni della sposa allo sposo, e meno
significativi ; cosi non credo che la cintura a fil d'ar-
gento e perle tessuta dalla sposa di Zante (5), se-
condo il canto popolare allo sposo, abbia un simbolo
(1) Presso i romani doveva essere di lana pecorina ; si con-
fronti il nastro rosso e nero di lana, che le spose indiane por-
tavano, secondo i gr'ihyasutra, e le spose della Germania meri-
dionale portano, secondo Schönverth .
(2) Robins m'aime
Robins m'a
Robins m'a demandée,
Si m'arà .
Robins m'acata cotele
D'escarlate bone et bele
Soukanie et chainturele
A leur i va.
Cfr. NISARD, Des chansons populaires, t. 1 .
(3) Cfr. Der Nibelunge noth ; la cintura sembra simbolo di ver-
ginità,
(4) Cfr. LÉOUZON LE DUC, La Baltique.
(5) Cfr. TOMMASEO, Canti Greci .
100 RICAMBIO DI DONI NUZIALI
speciale (1) . La camicia vedemmo già per qual desi- .
derio di raccomandarsi la sposa regali al suo fidanzato;
e d'altri doni molto caratteristici che si facciano allo
sposo io non so ; nè il canto russo (2) che accompagna
una di cosiffatte donazioni, li determina :
Per la città, per la città sono incominciati i suoni,
Nel gineceo , nel gineceo si portarono i doni,
Faceva doni, faceva doni la giovinetta :
Accogli , o signore, i doni, accogli i doni, o bravo giovine,
E contro i doni miei non isdegnarti,
I doni miei, i doni miei son magri,
Le mie nozze, le mie nozze non sono d'importanza.
Più larga si mostra la sposa verso il procolo ; verso
la sposa poi abbondano di generosità, oltre lo sposo,
i parenti e gli amici di lui e di lei ; di maniera che,
ove questi sian molti, la sposa per le sue nozze ha
quasi da farsi un corredo. In qualche raro luogo, in-
terviene pure fra i donatori il prete, che altrove e per
lo più, sull'esempio indiano, ripete, per contro, un
regalo per sè. Presso il Lago Maggiore, alla sposa
che viene a visitarlo, il parroco offre danaro, ed in
Como era l'uso, forse vivo ancora, che il vescovo in-
viasse la magnifica palma che gli viene offerta per la
settimana santa, alla prima sposa nobile che s'impal-
masse dopo la domenica delle Palme.
Presso il Lago Maggiore, la guidazza o pronuba re-
gala alla sposa danaro o tela da camicie. A Monte
(1) Cosi neppure la cintura di lana rossa e le calze bianche
con impronta gialla, che, presso i Brettoni, il bazvalan e il
breutaer ricevono in dono. Cfr. VILLEMARQUÉ , Barzaz Breiz,
Chants populaires de la Bretagne.
(2) Governo di Tver.
RICAMBIO DI DONI NUZIALI 101
Crestese, nell'Ossola, mentre dura il finto piagnisteo
in casa della sposa, per la viciną separazione, una
vecchia alla quale danno nome di landa prende il
grembiule della sposa dall'ingiu, e fa con essa che
piange o finge di piangere, un giro davanti a tutti i
parenti ed amici, i quali gettano i loro doni nel grem-
biule. A Riva di Chieri, quando una povera giovine si
marita , i parenti delle due parti vanno presso i ric-
chi e dicono loro : Noi vi invitiamo pel giorno, ecc.,
se voi volete venire a regalare la sposa. Quelli che ac-
cettano si recano all'ora fissata presso la sposa, l'ac-
compagnano in chiesa e quindi alla sua nuova dimora.
Colà giunta, essa si mette sulla soglia, tiene con una
mano rialzato il grembiule e con l'altra una borsa, e
le donne mettono nel grembiule una camicia o qualche
altro abito che, fino a quel momento, portarono sul
braccio ; gli uomini offrono danaro; se essi lo mettono
nella borsa, la sposa deve dividerlo con la famiglia;
se lo mettono in seno alla sposa rimane esclusiva-
mente per lei. I donatori hanno diritto a baciare la 1
sposa. Cosi nei paesi montani dell' Abruzzo Tera- f
mano, mentre gli sposi stanno a sedere, gli astanti si
baciano e versano danaro in un fazzoletto disteso ap-
posta presso di loro. A Vistronio, nel Canavese, la
sposa impalmata usava sedersi sui gradini esterni della
chiesa, e lasciarsi baciare da quanti deponevano da-
naro sul piatto ch'ella teneva in mano.
1 Or questa cerimonia del bacio alla sposa è certa-
mente antica, e vige ancora, sotto forma alquanto di-
versa , in alcuni paeselli della valle di Susa, dove quanti
102 RICAMBIO DI DONI NUZIALI
incontrano la sposa mentre ella esce di chiesa hanno
diritto di baciarla, all'Allumiere,presso Civitavecchia (1),
nella Sardegna di mezzo e settentrionale (2) e altrove ;
ma non vien detto e non ebbi modo di sapere se il
bacio vi sia mercato come a Riva di Chieri , nell'A-
bruzzo e nel Canavese, o gratuitamente concesso, in
obbedienza alla consuetudine .
Ma, per tornare ai doni, recherà meraviglia che tanti
abbondino ancora in Italia per nozze, quando i nostri
Statuti concordemente intesero a rimuoverli ; egli è che
se ora la liberalità è ancora molta, in passato essa
era immensa e fuor d'ogni consiglio ; temendosi per-
tanto che il fasto di un solo giorno nuziale portasse
la miseria nelle famiglie, si posero decreti a frenarli ;
poichè non si trattava di far donativi alla sposa, alla
maniera di Aureliano, presso Flavio Vopisco (3), e di
tutti i principi antichi e moderni che sono liberali, per
(1) Per notizia che me ne reca l'avvocato Valenziani di Roma.
(2) Cfr. LAMARMORA, Voyages en Sardaigne DOMENECH, Ber-
gers et Bandits, Souvenir d'un voyage en Sardaigne. - Mercato è
il bacio che Ottone III, presso il Bandello, e Piero d'Aragona,
presso il Boccaccio, danno in fronte alla giovine sposa ; essi se
ne creano cavalieri , dopo averla dotata ; e così hanno comprato il
diritto del bacio .
(3) Cfr. Scriptores historiæ Augustæ ; Aureliano fece sposare a
Bonoso la gota Hunila, vergine di regio sangue, a fine di strap-
pare dalle confidenze di lei i segreti della formidabile sua gente,
e però scrisse, fra l'altro, a Gallonio Avito suo legato in Tracia :
Nunc tamen quoniam placuit Bonoso Hunilam dari, dabis ei, iuxta
breve infra scriptum , omnia quæ precipimus : sumptu etiam pu-
blico nuptias celebrabis . Brevis munerum fuit : tunicas palliolatas
hyacinthinas subsericas : tunicam auro clavatam subsericam librilem
unam, interulas dilores duas , et reliqua que matronæ conveniunt
Ipsi dabis aureos Philippeos centum, argenteos Antoninianos mille,
aeris sestertium decies .
RICAMBIO DI DONI NUZIALI 103
le nozze da loro combinate, della sostanza pubblica,
ma di impoverire solamente sè stessi, volendo ornare
sovra ogni altra donna la nuova sposa. Ma la legge
statutaria, nel voler togliere via uno scandalo, esagerò
senza dubbio la restrizione de'doni, e, per ciò ch'ella
aveva di eccessivo, non fu osservata, mentre l'abuso
massimo, che forse intendeva ferire, cesso del tutto.
Questo abuso è il così detto morgincap che ci of-
frirà soggetto d'un capitolo a sè, nel terzo libro di
quest'opera ; qualche Statuto, di fatto, lo nomina espli-
citamente, come, per esempio, quello di Casalmag-
giore (1); ma l'occasione di levar via l'abuso, o l'ec-
cesso, fece abusare ed eccedere il primo anonimo
legislatore statutario ed i suoi pedissequi anonimi
imitatori , con la stranezza de' loro rigori proibitivi.
Il morgincap e la pompa eccessiva delle nozze, pote-
vano veramente perturbare l'ordine economico delle
famiglie ; ma lo scambio di doni che la onesta alle-
grezza di una festa domestica consigliava e consiglia
agli sposi ed ai loro parenti ed amici non riuscendo
pericoloso, fu cagione che il divieto di esso, malgrado
il solo pretesto di correggere la vanità femminile , e
il lusso smodato , come appena la legge veniva pro-
mulgata, incontrasse il ridicolo (2).
(1) Statuta Casalis Majoris, Milano, 1717 : « Statutum est, quod
Mariti de coetero non teneantur, nec debeant fecere uxoribus dona-
tionem propter nuptias, nec morgincap, nec aliquid aliud ultra pro-
missione dotis, quam acceperint ab Uxoribus. »
(2) Si veggano nella novella 137, di Franco Sacchetti, le beffe
che vi si fanno già dello Statuto fiorentino, per ciò che spetta
gli ornamenti delle donne, le quali, mutando nome alle cose,
ingannavano facilmente la legge. E perchè i lettori possano
formarsi un'idea delle minuzie nelle quali si perdevano i nostri
104 LA DOTE
XVI .
La Dote .
La dote può essere di tre maniere ; l'una è quella
che la sposa può ricevere dalla propria famiglia, chia-
mata perciò dalla legge longobardica col nome di pha-
derphium ; l'altra è una specie di riscatto della sposa
Statuti , recherò loro un brano degli Statuti di Fano e alcuni
brani degli Statuti di Firenze del 1415 (lib. Iv. Ordinamenta circa
sponsalia et nuptias) . I primi dicono : « Declarantes quod nullus
dare possit simil et semel uxori seu sponsæ pannum grane sive scar-
lactum et pannum sirici ; nec dare possit ultra duas vestes ut su-
perius dictum est; neque possint dari d.nabus neque portari un-
quam valeant p. d.nas vestes aliquæ panni deaurati, nec possint
portare supra dorsum vel in capite ornamenta aurea vel argentea
vel de perlis ; vel alicuius alterius generis in totum valoris ultra
viginti ducatorum sub pena et bamno cuilibet portanti vestes seu
ornamenta contra formam pntis statuti decem ducatorum pro qua-
libet veste et qualibet vice de dotibus earum applicandorum co.i
Fani, etc. Ei secondi : Nulla persona audeat, vel presumat,
nec etiam possit in forzerino, vel scatola, vel aliqua alia re alicui
mulieri nupte, antequam viro tradatur. nec postea pro usu huius-
modi mulieris mittere, aut portare, aut mitti aut portari facere ali-
quas perlas, naccheras , vel lapides pretiosas in grillanda, in fre-
nello, cordono, cordiglio, cintura vel alia re apta ad cingendam,
vel in formaglio, vel in fregiatura, ricamatura, abbottonatura, aut
fogliettis nec aliquo alio modo pro usu huiusmodi mulieris valoris
ultra quadraginta florenos auri, sub poena, etc. Et quod nullus
sponsus, quando in civitate Florentiæ vel ejus comitatu dabit anu-
lum matrimonialem eius sponse seu uxori, possit eidem dare, vel
mittere ultra duos annulos, qui non possint, nec valeant excedere
valorem seu costum duodecim florenorum auri intra ambobus, etc. »
Non meno intolleranti poi gli Statuti di Perugia (Perugia, 1526) :
" Quod nulla uxor cuiuscumque conditionis existat quæ ad maritum
iverit possit nec debeat donare vel largiri alicui consanguineo ma-
riti aut alteri cuicumque persone aliquod munus vel aliquam rem
consistentem in pondere numero vel mensura nec ipsum munus aut
rem possit accipere ab aliqua persona ex parte viri vel ab alia
quacumque persona. "
LA DOTE 105
che lo sposo fa, pagando alla famiglia di lei una grossa
somma per impossessarsene : il che i longobardi chia-
mavano mundium, ossia il diritto di tutela che dal
padre passava al marito, ossia il diritto di farsi mun-
dualdo (1) ; gli corrisponde, in parte, la nostra con-
trodote. Il terzo caso di dote è quello in cui, sopra
l'erario pubblico, si mandano fanciulle a marito con
dote.
Abbiamo da Erodoto che, presso gli antichi veneti,
i giovani garzoni i quali pigliavano moglie versavano
al pubblico erario una piccola somma, con la quale
si dotavano le povere fanciulle. E una reminiscenza
di questo uso antico mi sembra il decreto emanato
dalla repubblica veneziana, affinchè per rendere più
solenne la cerimonia delle nozze « dodici fanciulle
di condotta irreprensibile e di non comune avvenenza,
tratte dalle famiglie più povere, venissero dotate dalla
nazione e andassero all'altare accompagnate dal Doge
stesso rivestito del suo regal manto e circondato del
pomposo suo seguito » (2).
Dove manca lo Stato, perchè lo Stato è il principe,
si incontrano alcuni casi capricciosi di dote fatte a
povere fanciulle da principi; cosi, presso il Bandello,
Ottone III dota la onesta Gualdrada di tutto il Ca-
(1) Al tempo di Giovanni Villani , come appare dalla sua cro-
naca lib. 2, c. 9, dovea già questa parola avere un altro senso :
« E feciono la Legge, che ancora si chiama Longobarda ; e ten-
>> gono ancora e' pugliesi, e gli altri Italiani in quelle parte,
>> dove danno Monualdo , overo il volgare Monovaldo alle donne ,
>> quando si obbligano in alcun contratto ; e fu buona e giusta
>> legge. >>
(2) Renier Michiel, Origine delle feste veneziane.
106 LA DOTE
sentino e di parecchie Castella in Val d'Arno, Piero
d'Aragona dota le due figlie di messer Lionato, e,
presso il Boccaccio, Carlo d'Angiò dota le due figlie
di messer Neri .
In antico, la vera dote era quella che il marito fa-
ceva alla moglie o ai parenti di essa, i quali volevano
rimborsarsi de'servigi che perdevano. Nell' India antica,
la mercede consisteva oltre alla moneta çulka, in tori
o vacche, il qual dono poi il prete sacrificatore ripeteva
per sè. Che presso gli antichi greci il marito dotasse la
moglie, lo prova ad evidenza un passo dell'Iliade (1),
ove Agamennone offre per isposa una delle sue figlie
ad Achille, senza ch'egli si dia l'incomodo di dotarla .
Presso i romani, la cerimonia della coemptio, prova che
il marito dovea pure comprare, in certo modo, la mo-
glie; ma, alla sua volta, questa era ordinariamente do-
tata , per una ragione che ci viene espressa da una
risposta di Lesbonico, nel Trinummus di Plauto, (2)
ove parrebbe al giovine che, se egli non dotasse la
propria sorella, questa dovrebbe reputarsi più tosto
concubina che moglie. E che la dote portata dalla mo-
(1) Libro Ix :
Ho di tre figlie nella reggia il fiore,
Crisotemi, Laodice, Ifianassa.
Qual più d'esse il talenta a sposa ei prenda
Senza dotarla, ed a Peléo la meni.
Doterolla io medesmo e di tal dote
Qual non s'ebbe giammai altra donzella,
(2) III, 2:
Nolo ego mihi te tam prospicere , qui meam egestatem leves ;
Sed ut inops infamis ne sim ; ne mi hanc famam differant,
Me germanam meam sororem in concubinatum tibi
Sic sine dote dedidisse magis quam in matrimonium.
LA DOTE 107
glie al marito fosse in Roma uso antico,lo argomen-
mentiamo dai tre assi che già al tempo di Varrone (1 ),
le spose doveano, per tradizional consuetudine, nel-
l'andare a marito aver seco , uno cioè per simbolo
della dote, e gli altri due per l'offerta sacrificale .
L'emptio adunque era reciproca , e però il nome di
coemptio, e però la formola solenne : Ubi tu Caius ego
Caia che Plutarco ci spiega cosi: ove tu signore e
padron di casa, anch'io signora e padrona di casa. La
qual formola tanto simpatica non trovò poi presso il
diritto romano quella conferma ed applicazione che ot-
tenne in realtà presso altri popoli che una tal formola
non possedevano, come, per esempio , i germani, appo
i quali era senza dubbio il marito che dotava la mo-
glie (2), e pure la moglie veniva rispettata come sacra.
In generale, l'uso indo-europeo porta la dotazione
della moglie per parte del marito. Presso i franchi, lo
sposo nel mettere in chiesa l'anello alla sposa, ripe-
teva dopo il prete : « con questo io ti sposo » e ver-
sava tre danari nella mano destra o nella borsa della
(1) Presso Nonio , XII : « Nubentes veteri lege Romana asses tres
ad maritum venientes solere pervehere, atque unum quem in manu
teneret tamquam emendi causa marito dare, alium quem in pede
haberent in foco Larum familiarum ponere, tertium quem in sac-
ciperione condidissent compito vicinali solere resonare. »
(2) Tacito : Dotem non uxor marito , sed uxori maritus offert. E
per il medio evo Germanico, il Mittermaier ( Grundsätze des ge-
» meinen deutschen Privatrechts) scrive : « Der Ausdruck : Dos hömmt
» zwar in den alten Deutscher Rechtsquellen von ; allein er bezeich-
» nete damals nur ein vom Ehemanne der Frau bei Eingehung der
» Ehe angewiesene Vermögesstück, und noch zuweilen kommt in Mit-
» telalter in diesem sinne Dos vor. »
108 LA DOTE
sposa (lasciando gli altri dieci al prete) e con ciò di-
ceva: « e vi doto de'miei beni » (1 ).
Lo stesso uso vige fra la gente tatarica; presso gli
antichi finni , i turchie i turcomanni odierni lo sposo
compra la sposa. Gli ultimi, anzi, per informazione del
signor Blocqueville, hanno prezzi varii secondo la forza
e bellezza della sposa (2).
Nell'odierna Italia, il contado di Atri mi sembra
conservar traccie dell'uso di comprar la sposa dal capo
di famiglia, il quale non lascia menar via la figlia, se
prima non gli vengano consegnati in dono uno o più
polli .
(1) Cfr. CHÉRUEL, Dictionnaire historique des institutions moeurs
et coutumes de la France .
(2) Se la fanciulla è forte, ben fatta e bella, il prezzo è di 100
toman o 160 toman (4640 0 6960 franchi circa). Per una donna or-
dinaria il futuro sposo paga una dote di 60 od 80 toman. Se la
ragazza poi ha qualche difetto fisico, assai meno. - Per chi
ami tal genere di confronti , rilevo da Ricordano Malispini ,
(Storia Fiorentina) quali erano le doti che nel principio del se-
colo decimoterzo si davano in Firenze alle fanciulle da marito :
• Libbre cento era comune dote , e libbre dugento o trecento
» era tenuta a quel tempo grandissima dote, avvegnachè il fiorino
» d'oro valea soldi venti . E dal Chronicon Placentinum del Musso,
presso il Muratori , Rerum Italicarum scriptores, t. xvi, quali
erano nel secolo decimoquarto le doti a Piacenza : « Magnæ dotes
nunc oportet dari. Et communiter nunc dantur in dotem Floreni CCCC
et Floreni D et Floreni DC auri et plus. » Le principesse portano
talora in dote regni ed imperi ; quindi leggiamo, per esempio,
nella vita di Marco Antonino scritta da Giulio Capitolino, presso
gli Scriptores Historiæ Augustæ : « Multi autem ferunt Commodum
omnino ex adulterio natum ; siquidem in Faustinam satis constat
apud Caietam conditiones sibi et nauticas et gladiatorias elegisse ;
de qua cum diceretur Antonino Marco, ut repudiaret, si non occi-
deret, dixisse fertur : « Si uxorem dimittimus, reddamus et dotem. ”
Dos antem quid erat, nisi imperium quod ille ab socero, volente Ha-
driano adoptatus , acceperat ? »
LA DOTE 109
Ora sarebbe difficile il giudicare quale de'due usi
sia stato migliore, visto che la compra della sposa che
si faceva in Germania non toglieva alcun rispetto alla
donna e la dote solita a darsi dai romani alle figlie
affinchè non paressero concubine, non tolse che la
donna romana venisse considerata assai da meno che
il vir. Certo che la prima origine dell'uso è barbara;
ma l'uso restò in Germania solamente pro forma, mentre
a Roma, dove la forma, per una specie di pudore, si
modificò , lo spirito dell'uso religiosamente si mantenne.
Un sentimento invece di vera civiltà progrediente spira
negli Statuti e nelle antiche consuetudini dell'Istria,
dove il fratello, per legge di giustizia, divide in parte
uguale il patrimonio con la sorella che va a marito, ed
il marito mette i suoi beni in comune od a metà
con quelli della moglie. Ecco in qual modo si esprimono
gli Statuti Municipali di Cittanuova (1) : « Per casion,
che in le parte del Istria se contrage multi matrimoni
delle quali non se fa algun istromento, volemo che
tutti matrimoni fatti, e contrati in Zidanoua , e per
lo so destreto, se intenda esser fra e suor. » Il qual
passo, per sè, mi sarebbe riuscito alquanto oscuro, se
non veniva a dichiararmelo il riscontro con un altro
degli Statuti Municipali di Rovigno (2), che dice: « Co-
stume et consuetudine antica è d'Histria la quale ap-
provemo et laudemo, et però statuendo ordenemo, che
tutti li matrimoni sino qui contratti, et che de coetero
legittimamente si contrazerano in Rovigno, et destretto
(1) Trieste, 1861 , 11, 24.
(2) Trieste, 1861, 11, 77 .
110 LA DOTE
di questa natura esser se intenda come per matrimonio
marito, et moglie, fradello et sorella essere se dicer-
nono in questo, massime, che in universal beni mobili
et stabili, ragion et ation tutte al tempo del contrazer
matrimonio speranza esser roba, et la qual si acqui-
stasse per essi, overo ciascun titolo, modo ragion overo
cagion come fratelli si intendano; cioè che tutti gli
beni , ragion et ation siano tutti insieme per essa ra-
gion per mità, salvo se convention per special patto
fra gli preditti fatto non fosse in contrario. » Il che
si conferma pure dal capitolo 79 de' medesimi Statuti,
dove si prescrive « se tra do sarà copula de matri-
monio secondo l'uso della provincia dell'Histria, et
come è ditto avanti et alcuni di quelli vorrà allegar
in ragion non esser maridada e frà et suor, non sia
aldito nissuno di loro matrimonio, se non per pubb. co
instrumento fatto per mano di pubblico nodaro, et se
altram. te fosse fatto sia di nissun valor. >>
XVII .
Il Corredo.
Vi son luoghi parecchi, ove la dote non si richiede
dal marito nè dal padre, e si domanda invece dal
primo e si concede o si desidera spontaneamente dal
secondo che la sposa si rechi al nuovo suo soggiorno
abbondantemente fornita di tutto ciò che deve bastare
a vestir sè e ornare la casa maritale. Questo che ora
1 IL CORREDO 111
è un supplemento ora un complemento alla dote chia-
masi fardello in Piemonte, sa robba (ossia la roba) in
Sardegna , l'addobbo nell'Abruzzo Teramano, il cor-
redo o i corredi in Toscana, i quali ci sono cosi de-
finiti dagli Statuti di Lucca (1) « Sono i corredi , se-
condo il comune uso di parlare, quelle vestimenta, locali
et beni mobili, i quali porta seco la donna a marito in
tempo di nozze. »
Mi piace osservare , come già nell'inno vedico, in-
titolato sùryàsukta (2), abbiamo una specie di corredo
nuziale nel cofano (koça), nel coltrone ( upabarhan am)
e nel belletto (abhyan'g'anam) che la sposa porta con
sè, mentre viene condotta alla casa dello sposo .
Il cofano, il letto, e l'occorrente per la teletta sono
pure indispensabili a quasi tutti i nostri corredi. Il
coltrone , e talora più d'uno , vuol essere sempre di
lana, il cofano o baule può essere supplito da un cas-
settone o da una guardaroba. Questo cofano poi suol
mettersi a' piedi del letto nuziale, come per suo com-
pimento. I letti talora son due, come raccolgo da un
atto del 1184, ad un Fulcone che prende in moglie
la sorella di certi Balzamo e Nicola; questi promettono
fra l'altre cose « duos lectos francinscos, duas culcetras
de lana, duos plumagios de lana plenos » (3).
1 Il letto è veramente la parte essenziale del corredo
nuziale, e che cio fosse pure tra i romani parmi po-
(1) Lucca, 1539, lib. II, c. 25.
(2 ) R'igveda, x, 85.
(3) Cfr. il Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d'Angiò
edito dal Del Giudice. Napoli, 1863, vol. 1, p. 45 dell'appendice
112 IL CORREDO
tersi chiaramente rilevare da un passo di Cicerone ,
nella sua orazione pro Cluentio (1).
Ma non sempre il letto si somministra completo
dalla sposa, e, nella Lomellina, per esempio, il fusto
ed il pagliariccio vogliono esser procurati dallo sposo .
La fanciulla cura, appena promessa, e talvolta anche
prima, di arredare nella casa paterna tutta una stanza
de'mobili ed oggetti ch'ella porterà nella casa dello
sposo; e il trasporto di tanta roba è, per certi paesi
nostri, una cerimonia solenne. Io posso qui ricordare,
fra gli altri, l'uso di Cossato nel Biellese, quello di
Sardegna e quello dell'Abruzzo Teramano. Intorno al
primo, ecco quanto mi scrive il venerando monsignor
Gio. Pietro Losana, vescovo di Biella : << I parenti
della sposa devono provvederla d'un letto compito. Il
paese è agricolo ; i contadini più agiati usano farne
una solennità ; lo caricano su d'un carro, ma tutto
allestito e bell'e fatto col suo cuscino e perfino con
la coperta già rivoltata. Il letto è tutto guarnito di
fiori, di nastri ed altre cianfrusaglie. I buoi od i ca-
valli inghirlandati a festa. Il carro, cosi fatto elegante,
segue la comitiva che accompagna la sposa alla nuova
sua dimora . »
In Sardegna (2) « Lo sposo accompagnato da'suoi
parenți ed amici, tutti a cavallo, si parte dalla casa
paterna ; una quantità di carri proporzionata a quella
(1) u Lectum geniale (che è il letto matrimoniale) quem biennio
ante Aliæ suæ nubenti straverat, in eadem domo sibi ornari et sterni
expulsa atque exturbata filia jubet, nubet genero socrus . »
(2) Traduco dal Lamarmora, Voyages en Sardaigne .
IL CORREDO 113
degli oggetti che si devono trasportare segue la co-
mitiva. Quando si è giunti alla dimora della sposa, i
parenti di questa rimettono il corredo allo sposo ; egli
osserva ogni cosa minutamente e fa quindi caricare
sopra i suoi carri ogni oggetto; quindi si ritorna alla
casa dello sposo. Due suonatori di launedda, scelti fra
i più capaci, aprono il corteggio, eseguendo arie cam-
pestri. Seguono giovanotti, donzelle e donne; tutti ve-
stono i loro abiti più belli e portano sopra la testa
o le spalle gli oggetti fragili che non si credette di
poter mettere senza rischio sopra i carri. Un giovine,
per esempio, porta sopra una spalla un grande specchio
con larga cornice dorata, un altro sopra l'una e l'altra
spalla un quadro di santo (il santo protettore della
fanciulla e il santo protettore del giovane) dipinto con
colori vivissimi e spiccati ; un terzo è caricato d'un
gran cestone pieno di tazze di maiolica o di porcel-
lana, vasi di vetro celeste per fiori e simiglianti og-
getti; un quarto finalmente trasporta sopra il suo ber-
retto piatto una cesta ripiena di bicchieri, di caraffe ecc.
Immediatamente dopo, camminano di fronte quattro
o sei ragazze o donne (1), ciascuna delle quali porta
sopra la sua testa parecchi guanciali tutti più o manco
ornati di nastri color rosa e di fiori e di foglie di
(1) Anche nella valle d'Andorno (Biellese), sono parecchie fan-
ciulle che portano in varii cestoni il corredo della sposa alla
sua nuova dimora. A monte Crestese, nell'Ossola, una ragazza
porta la conocchia ; un'altra il corredo entro una gerla. A Ci-
vita di Penne una sola donna , al finire della funzione di chiesa,
si avanza col carico di cuscini, lenzuola e coperte nuziali, e ac-
compagna gli sposi alla loro dimora.
DE GUBESRNATIS . 8
114 IL CORREDO
mirto. La mezzina di rame o di terra, di cui la mo-
glie deve servirsi per attingere acqua alla fonte, posa,
in tal giorno, sopra un guancialetto scarlatto collocato
sulla testa della più bella fra le fanciulle del luogo ;
questo vaso ha quasi sempre una forma antica elegan-
tissima; esso è decorato di nastri e ripieno di fiori
naturali. Parecchi fanciulli portano quindi varii piccoli
utensili da casa; e, in somma, si mette in mostra tutto
ciò che dovrà arredare la casa. A questa avanguardia
che, naturalmente, leva non poco strepito, succede, in
silenzio, una numerosa cavalcata, in mezzo alla quale
lo sposo si fa distinguere per lo splendore degli abiti
nuovissimi, e per la ricca bardatura del cavallo (im-
prestata, per lo più, in tali occasioni, dai signori del
luogo) .
I carri sono tirati da bovi , i quali su la punta
delle loro corna fasciate, portano un arancio (1) . Tutti
questi carri procedono in fila ; i due primi portano
parecchi materassi affatto nuovi, messi diligentemente
gli uni sovra gli altri, e formanti sovra ogni carro una
pila quadrata ; i due carri seguenti sono caricati dei
legni da letto e di tutti i loro accessori ; in una mezza
dozzina d'altri si veggono le sedie disposte a piramide
e ornate di lauro e di mirto; quindi le tavole e le
panche, e poi due immensi cassoni, l'uno de'quali
contiene la biancheria di casa, l'altro gli abiti della
sposa ; due carri sono occupati dagli arnesi di cu-
(1) Questo arancio de' Sardi può forse rappresentare i pomi
d'oro, consueto dono per le nozze eroiche, presso l'antica poesia
serba e scandinava.
IL CORREDO 115
cina (1) e parecchi utensili fra i quali si nota un'ampia
provvisione di fusi e di conocchie, e fra queste una
apparecchiata e fornita per la filatura (2).
Tre o quattro carri pieni di grano compongono la
prima provvigione della nuova famiglia; dopo il grano,
segue naturalmente la macina e quanto occorre, in Sar-
degna, per fabbricare il pane. Finalmente il paziente
molentu (3) attaccato con una lunga fune alla macina
che lo precede e ch'egli deve far muovere la prima
volta, chiude piacevolmente il corteggio. Con la coda
o le orecchie ornate di mirto e di nastri, questo pa-
cifico animale attrae sopra di sè gli ultimi sguardi
della moltitudine già stanca dello spettacolo che ha
contemplato ; l'ilarità che esso eccita forma allora un
piacevole diversivo alla serietà della pompa precedente.
Il corteggio è, per lo più, seguito da tre o quattro
tracche (specie di carri), che trasportano parecchie ra-
gazze, amiche o parenti della sposa, incaricati di am-
mobigliarne la casa e metterne in ordine il corredo ;
il loro costume, in tale solennità, è sommamente splen-
dido. Tutta la comitiva essendo giunta in casa dello
sposo, si procede allo scaricamento de'carri, che s'o-
pera con lo stesso ordine seguitosi nella marcia. Lo
sposo dà l'esempio caricandosi primo, sopra le spalle
uno de'materassi del letto nuziale ; allora gli altri gio-
vani gli sbarrano la via alla camera e succede fra loro
(1) Anche nella valle d'Andorno, fanno parte del corredo due
scodelle e due cucchiai ; e la nuova coppia se ne deve servire,
*
finchè duri la luna di miele.
(2) L'uso, come di sopra vedemmo, è intieramente romano.
(3) L'asino.
116 IL CORREDO
una lotta. Bene spesso questi ultimi, avendo ciascuno
un materasso, lo gettano sopra lo sposo e ne lo op-
primono, per far allusione senza dubbio al fardello
ch'egli sta per imporsi. »
Un simigliante impedimento allo sposo si osserva
nell'uso del contado Teramano. Anzi, tutti i parenti
della sposa si siedono sopra i bauli, facendo sacra-
mento che non lasceranno portar via la roba ; ricevuti
alcuni regali dallo sposo, accondiscendono . Si caricano
parecchi giumenti ornati, e la comitiva si mette in
via; ma giunti alla dimora della sposa, ricominciano
i contrasti ; e conviene allo sposo dar prima da bere
e da mangiare, s'egli vuol mettere in casa il così detto
addobbo .
Del resto, il corredo della sposa è più o meno ricco,
secondo l'amor proprio ed i mezzi di lei, dello sposo
e dei parenti . Vi fu tempo e vi sono ancora luoghi
in Italia ove la vanità del corredo e la paura che i
mariti si facciano usurpatori vanno cosi lontano che
la dote si dimezza nelle vesti e nelle gioie; il quale
eccesso si studiarono di correggere i nostri Statuti,
ma, come ordinariamente avviene, in modo eccessivo,
e stranamente inquisitorio, di maniera che anche il
modesto corredo della povera Tancia, poteva correre
il rischio di riuscire contra legem (1).
(1) Così gli Statuti di Firenze del 1415, lib . iv : « Quod nulla
domina possit portare vel portari facere, mittere vel mitti facere
forzerinos ad domum sui mariti valoris ultra sexdecim Aorenorum. »
Gli Statuti di Perugia (Perugia, 1526) permettono al corredo delle
spose due sole vesti di gala (honorabiles). Negli Statuti di Narni .
Narni , 1716, lib. 111, cap. 67 si concedono soltanto « panni lance
MENTRE LA SPOSA SI PREPARA 117
Ella ce lo descrive ne'versi che seguono (1) :
E'l mio corredo , che lo lasceróe ?
La mia gammurra co' nastrin di stame
E la becca (2) ch'i' ho di taffettà,
Il vezzo di coralli e ' l mio carcame (3)
S'io nol porto, a chi domin rimarrà ?
E quel bell'orciolin nuovo di rame,
Le mie stoviglie bianche chi l'arà ?
E' miei sei scugatoi col puntiscritto,
E duo' lenzuol cuciti a sopraggitto ?
XVIII .
Mentre la sposa si prepara.
L'essere detti, per tre volte, in chiesa, le visite fra
parenti, lo scambio de' doni, i primi banchetti, le prov-
visioni per le nozze, gli inviti per il giorno delle nozze,
pro Muliere, duo letta pannorum, unum soppedanium de ligno . »
Più liberali di minuzie gli Statuti di Gallese. Gallese, 1576, lib. II,
ove si comprende pure il regalo per lo suocero e per la suocera.
« Vestis ricca et zona argentea pro onore sit in arbitrio contrahen-
tium matrimonium. Una reticella serici fini ponderis quinque un-
ciarum, alia vera reticella similis serici ponderis trium unciarum .
Lectum unum lanæ seu plume, cum capitale ponderis scilicet lanæ
librarum triginta quinque si plumæ librarum quinquaginta, unum
par linteorum sponsalium trium telorum quolibet linteo, juste et de-
centis misure ; una coperta lanea nova, una capsa lignea seu duo
Forzerii lignaminis , una tobalia magna , duo toballeoli albi , duo
torzaroli bombacis , quatros bendoni etiam bambacis , septem tobal-
leoli albi ampli , quinque alii toballeoli extremi et si sponsa in-
venerit in domo viri socrum afferat secum unam petiam panni tele
septem brachiorum canape , seu lini , si etiam invenerit socerum
quod autem sit socer solus debeat secum afferre dictam petiam tele
quatuordecim brachiorum : Quatuor subiculus seu camisas foemi-
neas sponsalitias, unum sciuccatorium p. capite et unum toballeo-
lum p . lecto. »
(1) Atto 4.0, scena 5.ª.
(2) Cintura.
(3) Un ornamento del caро.
118 MENTRE LA SPOSA SI PREPARA
tutto ciò occupa assai le nostre famiglie che stanno
per fare la sposa. Lo stesso, meno le pubblicazioni in
chiesa, avveniva in Roma, in Grecia, nell' India e
presso gli altri popoli indo-europei. In Roma, inoltre,
il di delle nozze raccoglievansi di primo mattino in
casa della sposa quanti più si potevano parenti ed
amici invitati . La casa dello sposo e quella della sposa
si ornavano di fiori, ghirlande e tende di lana. I pa-
renti lontani , gli amici , i conoscenti non invitati , se
conoscevano le leggi della buona creanza , doveano
raccogliersi nella strada, per rendere onore agli sposi ;
al che si riferisce il passo seguente di Giovenale (1) :
<< Domani , di primo mattino, ho da fare un compli-
« mento nella valle di Quirino. Perchè il complimento ?
<< Che mi domandi tu ? L'amico si sposa e non vuol
« aver troppa gente attorno » .
Nell' India antica, in uno de' tre giorni, ne' quali si
dice : oggi o domani o dopo domani condurranno via la
sposa, il guru o maestro spirituale dello sposo , arri-
vato qual messaggiero, come veniva il mattino, bene-
dicea con acqua e purificava la fanciulla; dopo il che,
alcune donne, regalate di cibi e bevande , intrecciavano
una danza .
Dopo di ciò, arrivava lo sposo, e seguiva un lungo
ricambio di doni e gentilezze, accompagnato da bene-
(1) 11 :
Officium cras
Primo sole mihi peragendum in valle Quirini.
Quae causa officii ? quid quaeris ? nubit amicus,
Nec multos adhibet.
MENTRE LA SPOSA SI PREPARA 119
dizioni e sacrifici, tra le due famiglie che stavano per
conchiudere il parentado .
Nell' India odierna , la notte che precede le nozze,
gli sposi mangiano con i parenti del riso , e vanno
quindi con lampade, riso, acqua fresca e betel in mano
a visitare i vicini e far loro presenti .
Presso i brettoni, gli inviti alle nozze, si fanno,
cantando, dal bazvalan, il quale, accompagnato da uno
de' parenti più stretti dello sposo, si reca nelle varie
case, possibilmente, sul punto in cui le famiglie so-
gliono mettersi a tavola; egli picchia tre volte alla
porta, si dichiara bazvalan o messaggiere nuziale , e
viene festeggiato e fatto assidere alla mensa (1) .
Nella Germania meridionale (2), il fidanzato e il suo
compagno vanno pel villaggio , di casa in casa; e il
fidanzato dice: << Voi siete pregati per le nozze mar-
<< tedi all'albergo... Venite senza fallo; occorrendo, vi
« renderemo la pariglia. Non dimenticate di venire » .
In ogni casa, la massaia apre la dispensa, ne leva un
pane e un coltello e presenta il tutto, dicendo allo
sposo : tagliate del pane. Il fidanzato taglia una fetta
e la porta con sè. E qui abbiamo un'altra prova dello
sposo ; poichè si argomenta ch'egli riuscirà un cattivo
capo di casa, ove non affetti bene il pane.
In Russia , prima che tramonti il sole del giorno che
precede le nozze, la giovine fidanzata si lamenta cosi :
Mi sedero io, la mesta mestizia,
Su la bianca panca,
(1) Cfr. VILLEMARQUÉ. Chants populaires de la Bretagne.
(2) Cfr. il racconto di Auerbach : La pipa.
120 MENTRE LA SPOSA SI PREPARA
Presso la lucida finestra ,
Tu , mio sostentatore padre,
Tu, mia propria madre,
Vi siete infastiditi, mio sostentatore padre,
E tu, mia propria madre,
Della mia testa balzana,
Della mia treccia castagna.
La mia bellezza, la mia vergine bellezza passerà,
Passerà, cambierà,
Si mescolerà col nero fango,
Col nero fango lutulento, vischioso.
Tu, mia aurora,
Mia aurora vespertina,
Perchè cosi presto, o aurora, tu arrivi ?
E più l'aria si abbuia e più si fa tenero e più si
dispera il canto della giovine fidanzata russa, al quale
non saprei in vero , contrapporne altri più delicati e
più commoventi, non pur tra i dotti, ma nemmeno tra
i popolari :
Il roseo sole gira.
E tu, o stella errante,
Dietro le nuvole sei passata
Lunge dalla chiara luna ;
Così la nostra vergine
D'una in altra stanza è passata,
D'uno in altro tetto ,
E, nel passare, s'impensieri,
E, nell' impensierirsi, pianse,
E, tra le lagrime, disse :
Signor mio, babbo mio ,
Non sarebbe egli possibile fare altrimenti,
E me vergine non maritare ?
Tanta mestizia, tanto sgomento che occupa tutti i
canti popolari russi, relativi alle nozze , non toglie
tuttavia che la festa delle fanciulle o dievisgnik , la sera
del giorno che precede il nuziale, non riesca animata
e gioconda ; egli è che, più del canto, riesce a ralle-
grarla la copia de' cibi e delle bevande.
IL BAGNO ; LA SPOSA SI VESTE 121
ΧΙΧ .
Il bagno ; la sposa si veste.
/ In Italia, non so che i bagni, i quali pure vi si
fanno , per decenza, ordinariamente un giorno prima
delle nozze, siano accompagnati da alcuna solennità.
E pure un carattere sacro essi aveano di certo a
Roma, come lo conferma un passo di Servio : « Con
l'acqua e col fuoco, egli commenta, i mariti accoglie-
vano le mogli. Onde pure oggidi si portano innanzi
le faci e l'acqua attinta da una limpida fonte per mezzo
di un fanciullo assortito (1) o d'una fanciulla che
prende parte alle nozze, con la quale solevansi lavare
i piedi agli sposi » . Oggi ancora , in alcuni luoghi
della Sabina , le donne maritate non possono recarsi
alla fonte, per attingervi acqua; le sole fanciulle pos-
sono farlo .
Ora quest'uso del lavare i piedi agli sposi, e di
levar l'acqua da una fonte particolare , non era solo
romano, ma greco ed indiano.
In Grecia , l'acqua destinata al bagno nuziale deve
essere di fonte o di fiume, essere acqua viva , in somma .
Nella Troade, era famoso per tale uso lo Scamandro , al
quale, presso Eschine, la fidanzata, che si bagna, volge
(1) Mi parrebbe che in questo caso, sia il senso che meglio
convenga al disputato epiteto di puer felicissimus; ecco, del ri-
manente, il testo medesimo di Servio : « Aqua et igni mariti
uxores accipiebant. Unde et hodie faces prælucent et aqua petita
de puro fonte per puerum felicissimum vel puellam quæ interest
nuptiis, de qua solebant nubentibus pedes lavari. »
122 IL BAGNO ; LA SPOSA SI VESTE
questa preghiera : « togliti, o Scamandro, la mia ver-
ginità » (1); in Magnesia, godeva della stessa fama il
Meandro; in Atene, la fontana Kallirhoe , intorno alla
quale cosi informa Tucidide (2) : « d'appresso è la
fontana di cui si servivano per gli usi più importanti,
la quale, dopo essere stata restaurata dai tiranni, nel
modo che or si vede, ha nome le Nove-bocche ; e
prima , quando v'erano le sorgenti scoperte, si chia-
mava Kallirhoe. Da cotesti tempi lontani resta anche
adesso il rito di far uso di quell'acqua , prima delle
cerimonie nuziali e per le altre sacre funzioni » . E, in
Grecia ancora, era un fanciullo che dovea levar l'acqua
per lo sposo e una fanciulla l'acqua per la sposa (3).
Nell' India , il paese delle abluzioni per eccellenza,
innumerevoli le fonti sacre, alle quali può essere at-
tinta l'acqua del bagno nuziale. Ma sempre , innanzi di
adoperarsi , questa viene benedetta. Nell'Atharvaveda (4)
si conservano parecchie formole per una tale benedi-
zione. Nell' India odierna, lo stesso suocero lava i piedi
allo sposo con acqua, latte e sterco di vacca (5); se-
gue la congiunzione delle mani e la libazione dell'acqua
sopra le palme unite degli sposi.
Finito il bagno, l'antica sposa indiana, rilasciava le sue
vesti sudicie al procolo (ordinariamente lo suocero od il
(1) . . .. . λάβε μου, Σκαμανδρε, τὴν παρθενίαν.
(2) 11, 15.
(3) Cfr. BECKER. Charicles, III.
(4) Libro xiv. Cfr. gli Indische studien di Weber.
(5) Considerato come purificatore. L'acqua che le fanciulle
annoveresi gettano dietro la loro compagna che si marita, mi
sembra pure avere un simbolo di purificazione. Cfr. Kuhn und
Schwarz, Norddeutsche Sagen, Märchenund Gebräuche.Leipzig, 1848
IL BAGNO LA SPOSA SI VESTE 123
prete) recitandosi questo versetto: « Quanto di cattivo e
* d'impuro sarà accaduto nelle nozze e nel trasporto
<<della sposa , lo scuotiamo sovra il procolo » . Il procolo
levava i panni sudici con un bastone di tumbara, e
andava ad appenderli nella selva ad un albero, a fine
di purificarli ; intanto la sposa si ornava e vestiva di
nuovo, mentre le si recitavano versetti d'augurio, per
la fecondità e un vivere lungo e felice. Quindi le si
applicava un pettine di giunco a cento denti , con
augurii perchè il sudicio cadesse. Al qual uso , oltre
il romano dell'asta (1), con cui si pettinava dagli
astanti la sposa, mi piace richiamare il russo , per cui
ciascuno de ' convitati a cena dà un colpo di pettine
alla sposa già pettinata e depone una moneta sul
vassoio che le sta innanzi .
Tra i canti albanesi di Sicilia (2) è questo che accom-
pagna la sposa, quando essa viene condotta al bagno;
e la menzione che vi è fatta della neve e del ghiaccio,
mi fa supporre che il canto sia più antico della mi-
grazione degli albanesi in Sicilia, e nato veramente
tra i monti dell' Epiro :
Fiocca neve e fa pioggia
E la bella andò a lavare.
Ruppe il ghiaccio col piede
E la neve con la mano .
Spirò un venticello dritto dritto
Che le tolse il velo delicato,
E glie lo raccolse il di lei vecchio padre,
E col velo ritornarono a casa .
(1) Cfr. PLUTARCO, nella Vita di Romolo .
(2) Presso la Raccolta de' canti popolari Siciliani, ordinata da
Lionardo Vigo .
124 IL BAGNO ; LA SPOSA SI VESTE
In Russia pure, il canto accompagna la cerimonia
del bagno, fatto per traspirazione , cosi dallo sposo
come dalla sposa. Nella stanza del bagno si scherza ,
si ride e si canta; le compagne lavano la giovine
sposa, la quale, uscendo dal bagno, canta melanconica-
mente cosi :
Io, pervenuta all'ultimo, prego Dio,
Lo stesso Cristo del cielo,
La Santa Madre di Dio,
Nella mia bellezza di vergine,
Con le mie care giovani compagne.
O larga strada, luce mia,
O larga strada aperta ai sollazzi ,
Ho finito di camminare sopra di te,
Ho finito di sollazzarmi
Con le mie care giovani compagne
Nella mia bellezza di vergine.
Vicini miei , cari vicini a me più prossimi
i Non ricordatevi de' miei dispettucci e delle mie insolenze ;
Attribuite, miei cari vicini,
Le insolenze alla semplicità della vergine,
I piccoli dispetti alla bellezza della vergine ;
Amara lamentatrice, mi accosto
Alla mia pulita camera,
Al mio vasto cortile,
Alla nuova porta,
Agli intagliati pilastri.
E, mentre le viene intrecciata la chioma, essa ri-
volta ad una compagna le dice tutta carezzante :
Tu, mia cara sorella, tortorella,
Ν. Ν.
Intrecciami la mia treccia castagna,
Che sia fortissima, che sia finissima,
Intrecciami un nastro rosso,
Legami , tortorella mia,
Tre nodi ,
Tali che mai non si disfacciano .
IL BAGNO; LA SPOSA SI VESTE 125
Presso gli albanesi di Calabria incontriamo pure
canti, che ricreano la fidanzata, mentre essa vien pet-
tinata, mentre le vien messa la keza specie di cuffia
o berretta , mentre le si indossa la tzoga o gonnella
nuziale e le si attacca alla keza, un velo con uno spil-
lone sormontato da colomba (1). Ma invece di essere
la sposa quella che canta , cantano le compagne ora
unite , ora divise in due cori che alternativamente si
rispondono. Si apre il canto cosi :
O tu sposa, avventurata sposa !
È venuta l'ora che vai sposa .
Va sposa questa signora
Al fianco di un signore :
Voi dunque, signore e vicine,
Pettinatele bene la treccia,
Intrecciategliela mollemente, e fatene palla;
Non le spezzate alcun filo,
Sì che le sia grave quest'ora .
Allora il primo dei cori incomincia :
Sul trono del padronato
Ora leggiadramente acconcia il crine
Colla keza fulgente,
Coll'animo altero del tuo signore,
O decoro delle donzelle,
Levati chè tardasti assai .
Il secondo coro risponde :
Non fu tardo alcuno,
Chè solo tardò la signora madre
A comprarle la tzoga,
Acciò non le s'involasse ratta :
Ora che volete affrettarla
In quest'ultim'ora ?
Appena folgora il sole.
(1) Cfr. CAMARDA. Appendice al Saggio di Grammatologia com-
parata della lingua Albanese.
126 IL BAGNO; LA SPOSA SI VESTE
Tutte le donne insieme intuonano finalmente il canto :
O sorella e signora sposa,
Ecco il difuori per te si chiude,
Il difuori e tutto il mondo estraneo.
Come la colomba dei cieli
Coll'amore del compagno tuo
Tu felice sotto la pioggia,
E al fragore delle quercie,
Abbi decoro, sorella mia,
Come il sole quando sorge,
Come il sole nelle saliere,
Come la torta in sulle tovaglie .
Quando la sposa era vestita, si riteneva dai romani
come ottima consuetudine ch'ella si coricasse sul letto
con gli abiti nuziali (1), forse per la stessa cagione
che in Russia si siedono innanzi di imprendere gravi.
negozii o lunghi viaggi. Nessun negozio più grave, di
fatto, e nessun viaggio più lungo di quello che imprende
la giovine sposa. Ella viaggia da un mondo ad un altro,
da una vita all'altra; cosi ella potesse, nel suo ultimo
sonno di vergine dimenticare quanto abbandona, e ri-
svegliarsi fresca soltanto di liete speranze.
(1) Presso Festo : « Regillis, tunicis albis et reticulis luteis utri-
sque rectis, textis susum versum a stantibus pridie nuptiarum diem
virgines indute cubitum ibant ominis causa, ut etiam in togis viri-
libus dandis observari solet . »
LIBRO SECONDO
LE NOZZE
I.
Come sono vestiti gli sposi.
/ Il lucido giorno arriva ; gli sposi sono pronti a
mettersi in via; prima che essi muovano e ci occu-
pino altrimenti, osserviamone le foggie del vestire.
Esse vogliono apparire solenni ; ove la povertà tolga
di spendere in pompose vesti, è lecito, per tal giorno ,
pigliarne ad imprestito, come sappiamo che avveniva
alle antiche spose veneziane ; « esse non arrossivano,
۱
scrive la signora Renier Michiel (1), di prendere in
prestanza, per quel di, li fregi, e sino la corona d'oro
che lor venia posta in cima al capo, qual segnale di
nuove spose. Il Governo avea cura di abbigliare in
pari modo quelle che venivano dotate dal pubblico ;
ma, finita la festa, dovevano esse restituire tutti gli
ornamenti, non ritenendo per sè che la dote.>>>
Incominciamo dal capo della sposa come si petti-
nasse solennemente presso i romani e nell' India e
si pettini fra gli albanesi ed in Russia abbiamo sopra
veduto. Accennammo pure di sopra alla keza o cuffia
(1) Origine delle feste veneziane.
128 COME SONO VESTITI GLI SPOSI
o berretta delle albanesi; la cuffia è simbolo delle
donne maritate ; nella piccola Russia, quando una ra-
gazza si è lasciata sedurre , le compagne le mettono
per forza sul capo il fazzoletto a mo' di cuffia, come
le donne maritate lo portano. In Germania (1), le
donne maritate mettono alla sposa una cuffia, con nastro
di seta rosa , mentre le non maritate cercano impe-
dirlo. In Piemonte (2), la nuova sposa porta una cuffia
a piume , in Corsica una cuffia bianca arricciata (3),
a Castelnuovo Magra in Lunigiana una rete di seta
rossa (4) con nappe rosse pendenti, e sopra la rete,
da una parte, un piccolissimo e grazioso cappellino di
paglia, dall'altra ricche ciocche di fiori, particolarmente
garofani . Talora , oltre la cuffia , occorre ancora un
fazzoletto o un velo , come presso le spose albanesi
e le corse (5) ; talora il velo solo, talora il velo e
la corona. Ma al velo ed alla corona nuziale dovremo
concedere più oltre un paio di capitoletti distinti. Onde,
per finire quello ch' io so intorno alla testa della sposa,
aggiungerò qui ancora come, in alcune parti del Tren-
tino, le fanciulle portino sul capo una fogliolina verde,
la quale perdono il di delle nozze, in cui s'intrecciano
ai capelli della sposa fiori finti.
Intorno al collo portano in Germania un filo rosso,
(1) Cfr. SIMROCK, Handbuch der Deutschen Mythologie .
(2) A Riva di Chieri.
(3) Cfr. la cronachetta, presso i Canti Corsi del TOMMASEO.
(4) Si rammentino le reticelle color d'arancio delle spose ro-
mane citate da Festo .
(5) Queste ultime portano sopra la cuffia un fazzoletto di Cam-
bri o d'altra tela fina pendente sugli omeri,
COME SONO VESTITI GLI SPOSI 129
che può ricordar forse il nastro rosso e nero di lana
delle spose indiane (1). Rosso è, per lo più, il fazzo-
letto che le spose piemontesi portano intorno al collo ,
e la collana de' così detti dorini (che sono ghiandette
d'oro, vuoto o pieno, a più o meno giri, secondo la
dote della sposa) onde esse medesime fanno la loro
massima pompa, e le granate con fermaglio d'oro che
ricingono il collo delle spose di Castelnuovo Magra
in Lunigiana, contengono forse il medesimo simbolo,
presagio più facile ad indovinarsi dal lettore che a
dichiararsi da me.
/ La veste della sposa, secondo l'uso antico, è per lo
più bianca ; e l'uso si mantiene quasi universalmente
presso i popoli indo-europei. Accenno come una sin-
golarità la consuetudine di Ortonuovo in Lunigiana,
ove la sposa porta una gonnella di panno nero con
busto guernito di rosso allacciato sul davanti con una
stringa rossa. Vuolsi poi notare, come in Italia, dopo
l'invenzione della seta, la vanità delle spose del con-
tado faccia loro spesso preferire all'antica veste nuziale
bianca (l'alba tunica Romana), una veste di seta o nera
od a vivi colori .
Intorno alla vita vedemmo già usarsi dalle spose
un nastro , o cintura, per lo più di color rosso ; un
tal nastro portano pure gli sposi nel Trentino , legato
al braccio .
Sul grembo, spesso in Italia, il grembiale; le calze, y
(1) Nell'India meridionale usano il tali, una specie di figurette
di divinità fecondatrice, per un nastro, color zafferano, a 108 fili
finissimi , sospesa al collo delle donne maritate. Cfr . LAZZARO
PAPI , Lettere sulle Indie Orientali.
DE GUBERNATIS . 9
130 LO SPOSO ARRIVA
ora bianche, ora rosse ; le scarpe ora rosse addirittura,
ora legate con nastri di seta scarlatta.
Nell' India , vestendosi la sposa, si diceva : « le dee,
che questo (abito) hanno filato , tessuto e disteso e
piegatine intorno i lembi, ti vestano fino alla vecchiaia.
Vivendo a lungo, vestiti di questo. Con quell'attrattiva
che è ne'dadi e nelle bevande spiritose , con quel-
l'attrattiva che si trova ne' figli , con quell'attrattiva
che ha una coscia ignuda, con quella, o Açvin, orna-
tela. Così noi orniamo allo sposo suo questa sposa ;
la rallegrino di figli Indra, Agni, Varuna, Bhaga, Soma. »
L'attenzione si fermò assai meno sopra gli abiti dello
sposo; pure si può notare che trionfa anche in essi
il color rosso, per lo stesso simbolo che di sopra ho
accennato. Attorno al cappello, al braccio, alla vita,
alie calze, alle scarpe splendono nastri rossi ; ama i
fiori anche lo sposo , ed , ove usano le ghirlande o
le corone, s'inghirlanda o s'incorona; ed ove usa il
velo ei si lascia velare .
II.
Lo sposo arriva.
/
Solo, difficilmente ei s'arrischia; lo accompagna, per
lo più, il procolo o il camerata e talora una intiera
brigata di giovani, fra suoni, grida, spari di pistoloni
o schioppi. I ragazzi, al solito, gli fanno contrasti ; ma
di questi impedimenti nuziali vedremo , di proposito ,
in un prossimo capitolo. In Sardegna, lo sposo viene
LO SPOSO ARRIVA 131
accompagnato dai paraninfi e dal prete del villaggio,
specie di mezzano. Appena la sposa vede arrivare lo
sposo si getta ai piedi della madre e, piangendo e
singhiozzando, ne invoca la benedizione. Ne' dintorni
di Fenestrelle, in Piemonte, lo sposo muove con tutto
il parentado, e, secondo la espressione popolare pie-
montese, trova sempre, alla dimora della sposa , l'uscio
di legno (1) che vuol dire la porta chiusa. Quei di
fuori fanno alcuni bizzarri complimenti spesso in rima,
ai quali rispondono, dopo avere aperto, ed essere state
ritrovate dove stavano con essa nascoste , le amiche
della sposa. Questi dialoghi fra gli amici dello sposo
e le amiche della sposa sono popolari all'uso indo-
europeo ; e noi conserviamo ancora il canto relativo
de' brettoni , e quello degli albanesi. Ma , presso i
brettoni, canta per la fanciulla e per le sue compagne,
il loro avvocato che si chiama breutaer ; il bazvalan
o procolo, arrivato coi compagni dello sposo, a cavallo,
nel cortile della sposa, la invita col canto ad uscire ;
il breutaer risponde ; finito il dialogo fra loro, lo sposo
coi compagni resta fuori; il bazvalan viene introdotto
e siede un istante a tavola; dopo di che, il bazvalan
discende a pigliare lo sposo (2).
Presso gli albanesi di Calabria, mentre le compagne
finiscono di vestire la sposa e la porta sta sempre
chiusa, arriva lo sposo co' suoi e dicono (3) ;
Rondinella dal bianco collo,
Apri tosto, e mi ti mostra,
Che ti è venuto l'amante alla porta.
(1) L'üss d'bosch.
(2) Cfr. VILLEMARQUÉ. Op. cit.
(3) Cfr, CAMARDA. Op. cit.
132 LO SPOSO ARRIVA
Le donne rispondono maliziosamente dal di dentro :
Zitti , via, che è impedita,
Abbiamo la biancheria nel bucato,
Abbiamo il pane al forno ;
Quanto ne lo leviamo, e poi vengo.
Gli uomini :
Colà su, colà per il monte,
Colà era una pianura grande,
Dove pascolavano le pernici ;
Mi si lanciò uno sparviero (1),
La più bella ne scelse,
E me la rapi per il cielo.
Le donne si volgono allora a consigliare la sposa
compagna, perchè pigli il suo partito :
O sposa, tu sorella mia,
Servi tu il signor tuo,
Lascia gli ufficii che hai,
E prendi quelli che troverai .
Gli uomini fanno coraggio allo sposo, affinchè compia
ardito il suo disegno :
O tu, signore sposo,
Non andare timido,
Chè non vai a combattere,
Ma vai a prendere
Quel capo (gentile come) una mela
Quella vita (sottile come) una verga.
Le donne aprono la porta; gli uomini irrompono ;
lo sposo fa atto di rapire la sposa; le donne si la-
mentano così :
O sparviero , primo sparviero,
Lasciami andare la pernice ;
Ecco tristamente, poichè l'hai afferrata
Di lagrime inonda il seno .
(1) Anche nella poesia popolare russa vedemmo già personi-
ficato lo sposo in uno sparviero,
LO SPOSO ARRIVA 133
Lo sposo è occupato della sposa; i compagni rispon-
dono per lui :
Non la lascio, e non la rimuovo,
Chè io per me la voglio.
Vedendo una parte delle donne disperato il partito,
salutano la sposa e la benedicono in nome de' suoi
parenti:
Prendi tu dunque, sorella mia
Prendi il saluto dalle compagne,
Dalle compagne, o dalle vicine.
Prendi la benedizione di tua madre
Di tua madre, e del padre tuo.
L'altra parte si volta dolorosamente verso la madre
in nome della sposa che, tutta occupata del suo do-
lore, non può più parlare :
Che ti ho io fatto, o madre mia,
E mi rimuovi dal tuo seno,
Dal tuo seno, e dal tuo focolare ?
/ Ma la madre, che nell'uso popolare indo-europeo
non accompagna mai la figlia nè alla chiesa nè al
banchetto, perchè deve stare in casa a piangere, sof-
focata dalle lacrime, non può nulla rispondere ; e nep .
pure il vecchio padre; in nome loro pertanto una parte
delle donne benedice la sposa :
Abbiti la benedizione tu, o figlia,
Vanne come il sole quando esce.
I nostri nomi nei tuoi figli
Si ripetano, e sieno onorati ,
Quando noi saremo trapassati.
Questi rimproveri che la sposa addolorata volge
alla madre sono pure assai poeticamente resi in un
134 LO SPOSO ARRIVA
canto popolare russo. Lo sposo arriva co' suoi com-
pagni a cavallo, secondo la consuetudine più universale
all'uso indo-europeo ; la sposa inquieta interroga la
madre , che, per mezzo di vaghe risposte, si studia ,
come può, di allontanare dalla figlia il dolore che le
sovrasta ; ma, quando la compagnia entra in casa e si
stacca dal muro la sacra immagine, innanzi alla quale
si devono gli sposi prosternare per essere benedetti,
anche la madre si unisce a benedire :
- Madre, perchè nel campo c'è la polvere ?
Signora, perchè nel campo c'è la polvere ?
- Sono i cavalli che scherzano ;
Luce mia cara, sono i cavalli che scherzano.
- Madre, nel cortile le visite arrivano,
Signora, nel cortile le visite arrivano !
- Fanciulla, non temere, non ti renderò,
Luce mia cara, non ti renderò .
- Madre, sul verone le visite arrivano,
Signora, sul verone le visite arrivano !
- Fanciulla, non temere, non ti renderò,
Luce mia cara, non ti renderò .
-
Madre, nella stanza nuova vengono,
Signora, nella stanza nuova vengono !
- Fanciulla, non temere, non ti renderò,
Luce mia cara, non ti renderò.
- Madre, dal muro levano l'immagine santa,
Signora, dal muro levano l'immagine santal
Fanciulla, non temere, non ti renderò,
Luce mia cara, non ti renderò.
-
Madre, mi benedicono,
Signora , mi benedicono !
- Fanciulla, il signore sia con te,
Luce mia cara, il Signore sia con te.
IL PIANTO DELLA SPOSA 135
III.
Il pianto della sposa.
L'uso indo -europeo primitivo lasciava piangere la
sposa una sola volta, quando veniva lo sposo , e be-
nedetta dal padre e dalla madre, la menava alla sua
nuova dimora. La benedizione de' parenti bastava senza
quella del prete; le funzioni domestiche bastavano senza
quelle della chiesa. Allora si poteva dal rituale no-
tare, in modo preciso, quando alla sposa spettasse di
piangere. Ciò non si può ora, che lo sposo riceve in
consegna la sposa non una ma due o tre volte, la prima
in casa, quando gli sposi s'avviano alla chiesa, la se-
conda nella chiesa stessa, la terza quando si torna di
chiesa, correndo in parecchi paesi l'uso che gli sposi
tornino dalla chiesa a far la prima refezione nella casa
della sposa , la quale , come si dice, alle Langhe Al-
besi in Piemonte, ha bisogno di forze per la fatica del
viaggio.
Questa molteplicità di congedi contribui forse a fare
scomparire in molti luoghi l'antico uso che faceva
piangere la sposa prima di recarsi a marito. Pure di
una cosiffatta usanza di vedica antichità, sono ancora
molte le traccie in Italia, in Grecia , in Albania , tra
gli Slavi e tra i Finni.
/ Per quello che mi consta dell' Italia , la cerimonia
del pianto della sposa è viva in Sardegna , presso il
Lagomaggiore, nella valle d'Andorno, a Monte Crestese
136 IL PIANTO DELLA SPOSA
nell'Ossola , nell' Abruzzo Ultra 1.º , nell' Arpinate,
nel Fanese , nell' Osimano , nel Tudertino ; e dico la
/ cerimonia del pianto e non il pianto , dico il pianto
infinto e non le pie lagrime che la madre e la figlia
insieme confondono nel dolore del distacco ; poichè
questo dolore non è un uso, ma una voce sempre viva
della natura , che non concede ad alcuno di lasciar
senza rammarico le persone e le cose amate ; dove si
ama , si piange; ma perchè in molti luoghi si piange
senza amare , quest'altro pianto è dell'uso.
1 Ma l'uso per riuscir tale, dovette pure avere il suo
perchè ; ed il perchè io lo trovo in un altro uso, che
formerà il soggetto di un prossimo capitolo che si
vuole intitolare : Il rapimento della sposa. Il canto po-
polare ci ricorda questo pianto obbligatorio nuziale ,
e de' saggi ne recammo già dalla poesia russa ed al-
banese ; i contrasti del Carmen Nuptiale di Catullo la-
sciano indovinare la stessa usanza ; e nell'agro Tuderte
poi si canta ancora:
La giovinetta quando si marita,
Con due parole abbandona la mamma ;
Dice : la libertà per me è finita,
L'ultimo giorno che porto la palma. (1 )
A tal pianto , che fa, che dice lo sposo? Nel con-
tado Osimano egli è pronto a soggiugnere : « Che avete
< che piagnete tanto ? Avete paura di non trovare il
<<pa ? (2) State zitta, magnerete, beverete e starete in
(1) La palma si dà alle vergini; cfr. l'uso del vescovo di Como,
nel capitolo del primo libro che s'intitola : Ricambio di doni nu-
ziali.
(2) Il padre, il babbo.
PRIMA DELLE SACRE FUNZIONI 137
< santa pace. » Meno cortese invece il paraninfo
Greco (1), alla piangente dice in nome dello sposo
« se piange, lasciatela » ; al che la sposa prontamente
soggiugne « menatemi via, ma lasciatemi piangere. »
La sposa deve inevitabilmente piangere , e il perchè
lo vedremo, come pure perchè, mentre la sposa stava
intenta al suo piagnisteo , lo sposo indiano mandasse
un grido d'evviva .
IV.
Prima delle sacre funzioni.
Nell' India antica , era la suocera quella che faceva
gli onori allo sposo venuto per portarle via la figlia ;
ma gli onori avevano per lo sposo assai poco di at-
traente ; la suocera di lui lo picchiava, con un pe-
stello da mortaio, e lo tirava in casa pel naso. Il primo
uso del picchiare lo sposo è pure Germanico; ma, come
il Weber (2) avverte, non la suocera, ma la comitiva
nuziale fa in Germania, un tale sgarbo allo sposo. Lo
suocero invece più onestamente offriva allo sposo in-
diano un miscuglio di miele e gli preparava da sedere
sovra l'erba kuça. Presso i Tartari di Kazan è lo sposo
che si fa precedere dal miele, ch'egli manda con uova
e burro in dono alla sposa. Anche nella valle d'An-
dorno in Piemonte, lo sposo, di primo mattino, manda,
(1 ) Cfr. TOMMASEO. Canti greci .
(2) Op. cit.
138 PRIMA DELLE SACRE FUNZIONI
entro un paniere, tutta una colazione allestita in casa
della sposa; poich'è uso che innanzi d'andare in chiesa
gli sposi e compagni e parenti loro, in casa della sposa,
facciano il primo spuntino.
Rifocillata , la compagnia si dispone a partire, i suo-
natori accordano i loro istrumenti e le campane in-
cominciano con lo suonare a festa. La madre benedice
la figliuola, che in Ungheria s' inginocchia e riceve sul
capo l'acqua benedetta (1). È una specie di sacramento
domestico .
Cosi, presso i brettoni , quando lo sposo è entrato
in casa , il capoccia gli consegna una cinghia da ca-
vallo, che lo sposo passa alla cintura della sua fidan-
zata. Mentre egli affibbia e sfibbia la cinghia, il breu-
taer intuona un canto che incomincia : Ho veduto in
un prato una giovine cavalla gioiosa, ecc.; dopo il che,
s ' invocano le benedizioni del cielo ; il breutaer fa scam-
biare gli anelli agli sposi e giurarsi di rimanere uniti
sulla terra come il dito all'anello, per durare uniti nel
cielo. La sposa esce quindi dalla casa col paraninfo
(che non è il bazvalan), il quale ha tante liste d'ar-
gento sull'abito quante migliaia di lire porta la sposa
(1) Cfr. SZTACHOVICZ, Braut- Sprüche und Braut-Lieder auf dem
Heideboden in Ungern . - Anche ne ' Sassoni Siebenbürgen si ac-
compagnano gli sposi che lasciano la casa della sposa, per re-
carsi in chiesa, con alcuni versetti di benedizioni. Cfr. SCHUSTER.
Siebenbürgisch-sächsische Volkslieder, Sprichwörter, Räthsel, Zau-
berformeln und Kinder-Dichtungen , Hermannstadt, 1865. - Leggo
poi in una vita di Buddha (The life or Legend of Gaudama the
Buddha of the Burmese , by the rev. P. Bigandet) come, per le
nozze di lui, i Pounhas abbiano pure versato acqua benedetta so-
pra la testa degli sposi . L'uso dell'acqua benedetta versata sul
capo degli sposi è pure vedico. Cfr. WEBER, Indische Studien, v.
PRIMA DELLE SACRE FUNZIONI 139
in dote (1). Segue il fidanzato con la donzella d'onore;
il bazvalan fa salire lo sposo tenendo la briglia al suo
cavallo , il breutaer solleva di peso la sposa , ponen-
dola dietro lo sposo , e compiendo così l'ufficio del
dr'idhapurusha o uomo forte del cerimoniale indiano che
sollevava di peso la sposa sopra la pelle di toro di-
stesa presso il fuoco sacrificale e forse la portava
pure sopra il carro come nell'odierno uso germanico.
Messi a cavallo gli sposi , tutta la comitiva , pure
a cavallo, parte di galoppo verso la chiesa ; e il primo
che arriva si guadagna un montone e il secondo al-
cuni nastri (2).
In Russia, gli sposi vanno invece alla chiesa in due
carri distinti , tirati da tre cavalli, dopo che la sposa
ha raccomandato il suo giardino al padre, col canto
che segue :
Per la campagna, il cigno gridava,
Nel gineceo Annetta piangeva :
Dio giudichi il padre mio !
Consegnano la fanciulla a gente straniera,
Rimane il verde giardino senza di me,
Si seccheranno tutti i fiori del giardino.
Il mio roseo, il mio bianco fiore,
L'azzurro, il celeste fiordaliso .
Io farò questa raccomandazione al padre mio :
Alzati , o babbo, di buon'ora,
Innaffia, di frequente, ogni mio fiore,
All'aurora ed al tramonto,
E più ancora con la tua mesta lacrima.
Ma il lasciare la soglia della casa, per muovere alla
chiesa non è sempre senza cerimonie ; in Germania,
(1) In Piemonte, suole la stessa sposa portare tanti giri di
dorini (ghiandette d'oro) intorno al collo quante sono le mi-
gliaia di lire ch'essa ha di dote.
(2) Cfr. VILLEMARQUÉ , Op. cit.
140 PRIMA DELLE SACRE FUNZIONI
la giovine coppia gitta sulla soglia che deve attraversare
un tizzone acceso (1), quasi, per avvertire sè stessa
come il passo che sta per fare vuol essere difficile , od a
purificarsi. In Sardegna, mentre la sposa esce dalla casa
paterna , le viene presentata una cestina piena di tor-
tore, a ciascuna delle quali essą deve dare la libertà (2) .
Anche la Venus sponsa de' latini rappresentavasi con
una colomba in mano ; e nei sarcofagi de ' primi tempi
della chiesa , a simboleggiare la fedeltà coniugale, si
rappresentano talora tortore , talora delfini (3). Nella
campagna d'Alba, fino all'anno 1848, nella vigilia del
giorno in cui si festeggiano i due santi della città ,
per la qual festa si dà il fuoco ad una colomba, che
dà cosi principio ai fuochi d'artifizio , perfettamente
come la colombina di casa Pazzi che, in Firenze, per
la settimana santa si brucia , affinchè i contadini ti-
rino gli augurii per la raccolta dell'anno ; nella cam-
pagna d'Alba, io dico, fino all'anno 1848, era l'ultima
sposa fattasi prima della festa, che doveva dare il fuoco
alla colomba. Ora queste tortore e queste colombe
✓ compagne della sposa , di ottimo augurio anche nelle
nozze de ' brettoni , che cosa significano ? Sono esse
simbolo d'innocenza o d'amore o di fecondità o di
tutto questo insieme ? E le tortore che la sposa sarda
mette in libertà non potrebbero essere segno della
1 innocenza che la fanciulla è prossima a perdere ? o
pure, come parmi più probabile, non simboleggiereb-
(1) Cfr. KUHN UND SCHWARZ. Op. cit.
(2) Cfr. DOMENECH. Op . cit.
(3) Cfr. MARtigny. Dictionnaire des antiquités chrétiennes.
GLI SPOSI INCORONATI 141
bero esse la libertà che la fanciulla , sottratta all'au-
torità paterna , va cercando nella gioia delle nozze ?
Comunque ciò sia , ecco gli sposi in istrada , per
non tornare indietro, divisi per lo più, finchè il prete
non li abbia uniti in chiesa, e sostenuti ciascuno dai
proprii parenti , mentre i suonatori , le campane , lo
sparo de' mortaletti e degli schioppi e gli evviva della
folla accompagnano la marcia più solenne che festosa
di tutta la comitiva nuziale, la quale quanta fosse, in
passato, possiamo raccogliere da una prova negativa,
io voglio dire presso gli Statuti Fiorentini del 1415 (1),
ove si pone il divieto che il corteggio nuziale possa
comporsi di oltre duecento persone , cioè cento per
parte. Nè alcun vocabolo potrebbe essere qui più pro-
prio di corteggio , per esprimere la comitiva nuziale ,
poichè dove son principi, ivi è corte; e che gli sposi
siano principi lo vedremo nel capitolo seguente. Noto
intanto, come, nel Canavese, quando un uomo s'avvia
per pigliar parte ad alcuna comitiva nuziale, sia solito
a dire ch'ei va a far onore, o sia, a far la corte.
V.
Gli sposi incoronati.
Se non è una corona, sarà una ghirlanda; se la co-
rona non è d'oro , sarà di un altro metallo ; se non
si adopera corona , saranno fiori ; ma sempre usò e
sempre usa ricingere di un serto il capo degli sposi.
(1) Libro 1v.
142 GLI SPOSI INCOROΝΑΤΙ
Poiché gli sposi son principi , e principi , perchè il
primo degli sposi, lo sposo mitico, il sole è il sommo
principe. Al sole fanno corona i suoi raggi ; gli sposi
della terra , nel difetto di raggi solari , immaginarono-
cingersi il capo di oro o metallo che all'oro somigli
o di vaghi fiori. Il principato degli sposi dura, in Rus-
sia, quanto le nozze, o sia per lo più otto giorni ; e
un resto del culto agli sposi come a'principi mi sem-
bra l'uso da pochi anni scomparso nella campagna
d'Alba ove un picchetto militare presentava le armi
agli sposi che passavano, mentre l'ufficiale di guardia
offeriva un mazzo di fiori alla sposa.
Ora è interessante il vedere come l'uso della co-
rona o ghirlanda nuziale sia popolare a quasi tutti i
popoli indo-europei. Per l'India, sappiamo che lo sposo
muove tuttora incoronato alla dimora della sposa ; per
la Russia, che i due paraninfi tengono levata sul capo
degli sposi per tutto il tempo del sacro rito una co-
rona metallica, d'oro per i ricchi, indorata o di ottone
per i poveri (1) ; per la Grecia, che i due sposi portano
una ghirlanda, la quale serbano di poi sopra il letto ;
per l'Albania , che allude alla corona nuziale un gra-
zioso canto popolare, ove si dice , fra l'altro :
Quando passano il parentado con lo sposo
Prendi i pampini della bianca vite ,
Si prendi i pampini della vite bianca,
E ne intessi due corone (2) ;
(1) Cfr. nel primo capitolo di questo libro, l'uso delle antiche
spose veneziane.
(2) Presso la Raccolta di Canti popolari Siciliani fatta da LEONARDO
VIGO .
GLI SPOSI VELATI 143
per i Latini che si coronava la nuova sposa con ver-
bene ed erbe scelte da lei medesima, e che Imene si
cingeva le tempia coi fiori della fragrante maggiora-
na (1) ; per i primi cristiani , che entrambi gli sposi
si incoronavano (2).
Nell'uso moderno europeo, generalmente, s'incorona
invece solo più la sposa (3); e come le antiche spose,
per memoria di Suida, dedicavano il cinto nuziale a
Diana, le nostre dedicano la loro ghirlanda nuziale alla
Vergine, che ne ha preso il posto e ne compie, presso
le donne, i più delicati uffici (4).
VI.
Gli sposi velatı.
/ Il velo può avere un doppio simbolo , o di legare
materialmente gli sposi o di rappresentarne la inno-
(1) Cfr. FESTO, sotto la voce corolla; e CATULLO, In Nuptias
Julieet Manlii :
Cinge tempora floribus
Suaveolentis amaraci.
(2) Jam quidem virgo tradita est, jam Corona sponsus, jam pal-
mata consularis , jam cyclade pronuba, jam , toga Senator honora-
tur . » Cfr. pure i vetri del Garucci ove appare lo stesso Gesù
Cristo ad incoronare gli sposi .
(3) Da un disegno presso il Lamarmora, entrambi gli sposi
sardi appaiono incoronati .
(4) Uso di Sinigaglia, nelle Marche. - Dalla risposta di Ni-
colò I, papa, ai Bulgari, cap. II, presso il Muratori. Antiquitates
italicæ , dissertatio vigesima, de actibus mulierum, rilevo come gli
sposi bulgari dovessero portar corona e come gli sposi italiani
fossero soliti ad assumere le due corone in chiesa << .... Post hæc
autem de Ecclesia egressi Coronas in capitibus gestant, quæ semper
in Ecclesia ipsa sunt solitæ reservari. » Forse dette corone erano
metalliche .
144 GLI SPOSI VELATI
cenza; il fatto che le vedove non solevano , passando
a seconde nozze, ripigliare il velo nuziale (1) può con-
venire per la dichiarazione cosi d'un simbolo come
dell'altro . E il pudore naturale alle vergini dovette loro
farlo più accetto e contribuire a perpetuarne l'uso' ;
se bene, per verità, anche a tal pudoré vi siano state
{ e vi siano eccezioni (2). Il velo che ora vediamo per
lo più bianco sul capo delle spose , come desiderato
segno di candore , in origine era un color rosso di
fuoco ; e però flammeum lo chiamavano i latini ; io
inclino quindi a credere che il desiderio di fargli sim-
boleggiare la innocenza fosse in origine il minimo , e
che il colore del velo simboleggiasse piuttosto la prima
unione maritale. Per i latini , il flammeum doveva es-
sere simbolo d'unione sempiterna, se dobbiamo atte-
nerci alla sola interpretazione che, sotto questa voce,
ne dà Festo (3), il quale nota come la moglie del fla-
(1) Nella risposta sopra citata del papa Nicolò I: « Velamen il-
lud non suscipit, qui ad secundas nuptias migrat. »
(2) Tertulliano si lagnava già delle cristiane che non voleano
velarsi, mentre le arabe si coprivano tutta la faccia : De Virg.
vel. 17 : « Indicabunt vos arabiæ ethnicæ, quæ non caput sed faciem
quoque ita totam tegunt, ut uno oculo liberato contentæ sint dimi-
diam frui lucem quam totam faciem prostituere. » Che l'uso di ve-
larsi poi presso le donne che si maritano o maritate, fosse pure
indiano, lo argomentiamo da una prova negativa, presso il
Lalita- Vistara, secondo la versione che dal Tibetano ne fece il
Foucaux : • Cependant Gopa, la jeune femme de la famille de
» Çâkya, en présence de son beau-père, et de sa belle mère, et
>> des gens de la maison quelqu'ils fussent, ne voilait pas son
>> visage. Et ceux-ci se disaient, en la blamant avec sévérité :
> Ne conviendrait-il pas de reprendre cette jeune femme qui
>> n'est jamais voilée ? >>
(3) Flammeo amicitur nubens ominis boni causa, quod eo assidue
utebatur Aaminica, id est laminis uxor, cui non licebat facere di-
GLI SPOSI VELATI 145
mine alla quale non era lecito il far divorzio portasse
di continuo il flammeum; ma non è impossibile che
la flaminica portasse il flammeum ossia il velo color
fiamma per l'unica ragione che si chiamava flaminica.
Si noti tuttavia come il velo nuziale si converte ordi-
| nariamente anche per le donne maritate moderne in
cuffia : la qual cuffia, come il velo, rappresenta non
tanto l'innocenza che si ha , quanto quella che si è
perduta , come mi sembra provarlo l'usanza della
piccola Russia da me ricordata, per la quale si copre
il capo con un fazzoletto a modo di cuffia, anche
alla fanciulla che, senza maritarsi, ha peccato.
Il velo si metteva nelle antiche nozze sul capo
dello sposo non meno che della sposa; e sappiamo
che, velati , nella cerimonia sacrificale, solevano pure
mostrarsi gli sposi romani. I cristiani adottarono l'uso
( del velo nuziale solamente verso il terzo o quarto
secolo dell'era volgare , poichè in odio del flammeum
pagano , parve loro assai tempo empia consuetudine ;
e forse d'allora in quà , non volendosi o non poten-
dosi sopprimere il velo , se ne muto il color rosso
in bianco. Durò l'uso del velo nuziale per tutto il
medio evo in chiesa , nè solo per la sposa, ma anche
per lo sposo. Quattro uomini tenevano i quattro angoli
del velo sospeso sopra le due teste incoronate degli
sposi, sempre che non si trattasse di vedovi (1). E un
1
testimonio oculare mi scrive aver notato in una ceri-
vortium. - Lo sposo indiano vela oggi egli stesso la sposa ap-
pena terminate le funzioni.-In Tessaglia, la sposa tiene il velo
fino alla casa dello sposo..
(1) Cfr. MURATORI . Antiquitates italice, Diss. xx.
DE GUBERNATIS . 10
146 IL TAPPETO DEGLI SPOSI
monia nuziale a Parigi , nel tempio della Madeleine ,
or sono appena nove anni, come, ad un certo punto
della messa, si distendesse da due parenti sul capo
degli sposi un velo oblungo.
VII.
Il tappeto degli sposi.
Quello che il velo sul capo, esprime il tappeto nuziale
disteso sotto i piedi degli sposi e sopra i sedili uniti
ov'essi siedono ; è simbolo, cioè, del primo materiale
congiungimento (1). Gli sposi russi, per quanto dura
la sacra funzione, restano in piedi sovra un tappeto di
raso color rosa. Gli sposi indiani rimanevano sopra
uua rossa pelle di toro. Gli sposi romani siedevano
sopra scanni fra loro congiunti con una pelle della
vittima sacrificata, la quale, come si rileva da certi
basso-rilievi , era una vacca. Noto, per incidente, come
nel sacrificio nuziale degli antichi finni si sacrificava
pure un toro (2). Ora, una reminiscenza di cosiffatti
usi simbolici mi sembra di certo ancora il tappeto
o cuscino rosso sopra il quale , nell'agro Tuderte ,
innanzi la soglia della casa, la suocera fa inginocchiare
la sposa (3).
(1) In Germania, gli sposi devono stare tanto vicini , mentre
il matrimonio si celebra, che nessuno possa fra loro vedere.
Cfr. KUHN UND SCHWARZ, Op. cit.
(2) Cfr. KALEVALA. 20 runo, versione di Léouzon Le Duc, Pa-
ris, 1868.
(3) L'uso è alquanto somigliante ; ma ignoro di qual colore
sia il tappeto che copre lo scanno e il tavolo, sopra i quali è
fatta discendere in Sardegna la sposa, presso la soglia della
casa maritale.
GLI SPOSI INANELLATI 147
VIII .
Gli sposi inanellati.
Altri son gli anelli della promessa, altro l'anello che
si mette, in presenza del prete, solennemente in chiesa.
In Russia, in Albania, sul Pindo, gli sposi scambiano i
loro anelli tre volte. Scambio di anelli tra gli sposi
notiamo pure nelle Edda, fra i germani e fra i brettoni .
Rosso dovea essere l'anello nuziale scandinavo, e d'oro
lo mantenne generalmente l'uso nuziale indo-europeo,
forse in memoria del c'akra o circolo o disco del sole,
il primo degli sposi.
Questo anello si mette, com' è noto al quarto dito,
chiamato perciò anulare, cui nel medio-evo si reputava
corrispondere una vena del cuore. Secondo un rituale
della chiesa di Reims, il prete provava l'anello sulle
tre prime dita, recitando per ciascun dito una formola
ripetuta dal fidanzato, e al quarto dito si fermava con
un'altra formola (1). Ma conviene che lo sposo abbia
alcuna avvertenza nel mettere in chiesa l'anello alla
sposa; poichè la sposa trae pronosticidalla maggiore
o minor violenza con cui lo sposo l'inanella ; se lo
sposo canavesano e il perugino introduca , per esem-
(1) Ecco il formulario :
Al pollice : << Par cet anel l'Église enjoint
All'indice : « Que nos deux coeurs en un soient joints
Al medio : << Par vrai amour et loyale foy
All'anulare: << Pour tant je te mets en ce doy. »
Cfr. CHÉRUEL. Op. cit.
148 COMMUNIONE DI CIBI E DI BEVANDE
pio, l'anello al di là della seconda congiuntura nel
dito della sposa, questa deve rimanere avvertita che
lo sposo sarà un tiranno domestico e che la bastonerà.
Grande sventura poi il perdere l'anello nuziale ; in
Germania, de' due sposi morrà primo quello che avrà
perduto l'anello ; e , nel Perugino, si dice che starà
tanti anni nel purgatorio colui che avrà perduto l'anello
nuziale.
IX.
Communione di cibi e di bevande.
Vi ha un proverbio francese che dice: Boire e man-
ger, coucher en semble, c'est mariage ce me semble. Que-
sto proverbio si riferisce evidentemente all' uso di far
bere e mangiare gli sposi insieme, uso che diede luogo
nel medio evo a parecchi abusi (1).
Nell'India vedica, si versava sopra le mani de' due
sposi unite una doppia manata di grano arrostito.
Fra i parsi, mentre gli sposi si danno la mano , il
maubad versa loro sopra le mani unite riso e fru-
mento .
(1) Lo Statutum Synodale Nicolai EpiscopiAndegavensis, ann. 1277,
cap. III, (presso il Du Cange, Op. cit.) : “ Intelleximus nonnullos
volentes et intendentes matrimonium ad invicem contrahere, nomine
matrimonii potare, et per hoc credentes se ad invicem matrimonium
contraxisse , carnaliter se commiscent. Verum cum per hoc nullum
matrimonium contrahatur, et ob hoc quoniam plures jam fuerint
decepit, vobis firmiter injungimus, quod frequenter et in publice
Eclesiis parochialibus vestris dicatis, quod per prædicta ejusmodi
matrimonium nec sponsalia contrahantur. »
COMMUNIONE DI CIBI E DI BEVANDE 149
La romana confarreatio , che consacrava le nozze ,
doveva avere il medesimo significato, ossia rappresen-
tare la communione di ogni bene fra gli sposi.
In alcuni cantoni della Brettagna, il prete taglia una
fetta di pane bianco e lo spezza fra gli sposi ; quindi
versa vino in una tazza d'argento , che lo sposo beve
in parte , passando il resto alla sposa.
In Russia, gli sposi si scambiano tre volte in chiesa
il calice contenente vino ; l'ultima goccia dev' essere
bevuta dalla sposa, la quale intende cosi di volere, in
seguito, vuotare rassegnata il calice delle amarezze (1) .
Ne' dintorni di Bolzano ( Trentino) , due ragazzi
sostengono due vasi pieni di vino ; il prete versa da
bere allo sposo e alla sposa , che bevono allo stesso
bicchiere ; quindi si fanno bere tutti gli astanti .
Tutto ciò fa parte del cerimoniale sacro ; ma vi sono
usi , i quali, anche non presente il sacerdote , restano
sacri , tenendo le parti del sacerdote il padre. Cosi ,
se gli sposi non divisero i cibi e le vivande in chiesa,
lo faranno, appena giunti a casa.
Nella valle di Susa , gli sposi mangiano allo stesso
piatto e bevono allo stesso bicchiere (2).
Lo stesso uso vive in Sardegna (3) e presso il La-
gomaggiore.
L'indiano Gobhila scrive d'un cibo sacrificale che ,
(1) Nella cena, che si fa la vigilia delle nozze, in Russia (go-
verno di Mosca) i convitati bevono vino e dicono : è amaro. Al-
lora i due sposi si abbracciano come a provare che l'amaro di-
viso diventa dolce.
(2) Cfr. REGALDI. La Dora.
(3) Cfr . LAMARMORA. Op. cit.
150 INTORNO ALL'ALTARE
nel secondo giorno delle nozze , gli sposi dovevano
mangiare insieme, e il Weber (1) annota come nell'an-
tiche usanze del settentrione, e in Colonia , e ne' Sie-
benbürgen gli sposi bevono allo stesso bicchiere.
Nell'Indo Cina (2), al banchetto nuziale gli sposi man-
giano allo stesso piatto; cosi, generalmente, nell'India
odierna , al banchetto che si fa nel quarto giorno
delle feste nuziali .
Marco Cralievic', l'eroe de' Serbi , fra gli altri doni
ch' egli reca alla sposa, ha pure una ciotola , nella
quale egli deve bere con essa; e sappiamo da Quinto
Curzio (3) come, presso i Macedoni, gli sposi spartis-
sero con la spada lo stesso pane , ed insieme lo gu-
stassero .
Χ.
Intorno all'altare .
A simboleggiare il viaggio della vita che i due sposi
insieme faranno , l'antico sposo indiano pigliava per
mano la sposa e le faceva fare tre giri intorno all'al-
tare, dicendo: « Vieni, sposiamoci, facciamo figli. Uniti
d'amore, gloriosi, contenti, viviamo cento anni. » Gli stessi
giri intorno all' altare compievano gli sposi romani ,
mentre innanzi alla sposa , per augurio di fecondità ,
si portava il farro. Nelle nozze russe , i due sposi
(1) Op. cit.
(2) SYMES, Op . cit.
(3) VIII, 4, 27 « hoc erat apud Macedones sanctissimum coeuntium
pignus, quem divisum gladio uterque libabat.
OVE LE NOZZE SI CELEBRANO 151
tengono da una mano una candela, e, pigliandosi per
l'altra mano , fanno pure tre giri intorno all'altare ;
quindi si baciano. Un'altra cerimonia somigliante era
quella de'sette passi della sposa indiana verso il nord
o nord-est, per ciascuno de' quali lo sposo faceva un
augurio ; all'ultimo , egli diceva: « fa l'ultimo passo
come amica; siimi affezionata ; possiamo noi aver molti
figli e questi diventino vecchi. » Il che detto, come gli
odierni sposi russi , così gli indiani accostavano volto
a volto. Al Weber (1 ) i sette passi indiani richiamano
pure in mente i sette salti dell'uso nuziale germanico.
Quest'ultimo uso, meglio che il viaggio in comune de-
gli sposi, può forse indicare soltanto che la sposa sta
per fare il gran passo. Il salto della sposa ebraica ha
forse il medesimo significato, se pure non è un sem-
plice salto di gioia, come quello di Bigio , nello Stu-
faiolo del Doni (2).
ΧΙ .
Ove le nozze si celebrano.
Nel recinto domestico si celebravano le nozze in-
diane , slave , germaniche , greche e latine , sia che il
(1) Op . cit. « Cfr. Die sieben Schritte beim Ordale und vor Al-
lem Kuhn's Angaben über den Siebensprung. Vestphäl. Sagen, wo-
nach dieser Brauch bereits der indogermanischen Urzeit anzugehören
scheint. "
(2) Scena ultima ; il vecchio. Nicolò dà in isposa al famiglio
Bigio la serva Caterina :
Bigio : Io voglio tôr qui la vostra fante di cucina.
Caterina : Vedi, balordo, di' madonna Caterina.
Bigio : La signora Caterina, e copularmi come comanda la legge.
Nicold : Fa prima un salto.
Bigio : Ecco fatto.
152 OVE LE NOZZE SI CELEBRANO
solo padre della sposa sacrificasse , sia ch' egli chia-
masse ancora , per la cerimonia, un sacerdote sacri-
ficatore .
Nell'India meridionale, le nozze si fanno ancora sotto
padiglioni sostenuti da colonne in legno molto eleva-
te (1). Nel medio evo, in Francia , si celebravano le
nozze sulla soglia della chiesa. E che in Toscana, fino
al secolo decimoquinto si consacrassero pure nozze
fuori di chiesa lo argomentiamo da un divieto degli
Statuti Fiorentini del 1415 (2) perchè un tale scandalo
non si rinnovi. Nella introduzione del marchese Cam-
pori agli Statuti di Modena (3), a proposito di un ma-
trimonio civile celebrato nel 1289 , trovo poi queste
parole : « Ritornando in sul dire della celebrazione di
quel matrimonio , troviamo avesse luogo non in una
chiesa , ma bensi nel cortile della casa di Lanfranco
Rangoni, dove, benchè fosse il verno, oltre a duecento
persone , tra nobili e popolani , erano convenute. Un
Caretti, senza più uom laico e che vent'anni più tardi
apparisce notato nella matricola de' giudici , richiese
entrambi i giovani se ad unirsi in matrimonio accon-
sentissero; alla qual dimanda affermativamente risposero ;
dopo di che, i padri degli sposi innanzi a lui il con-
senso loro prestarono. « Allora, dice il documento no-
(1) Quindi Citranguy, nella tragedia Tamulica, sopra Saranga:
« Regina, voi siete capace di legare e scuotere una montagna
> con un pugno di capelli; di innalzare un padiglione nuziale,
> senza aiuto di colonne. >>
(2) Lib. Iv « intrare debeant in unam ecclesiam ordinatam pro li-
bito voluntatis et in eadem ecclesia sponsalitia huiusmodi debeant
celebrari et non alibi sub poena, etc. n
(3) Modena, 1864.
LA PARTE DEL PRETE 153
stro, Tobia Rangoni sposó coll'anello la figlia sua ad
Aldrobandino , e poscia nella camera stessa di lui fu
ad essi apprestato il letto nuziale.
Nè allora, nè in altra circostanza, che ci sia nota,
questa forma di matrimonio civile che era, al dire del
Caretti medesimo, secondo le consuetudini della città,
porse luogo a protestazione del clero, che pure in tante
altre circostanze ciò che stimava di pertinenza sua
alacremente contro l'autorità laicale soleva propu-
gnare. »
XII .
La parte del prete.
Il concilio di Trento (1) stabilisce la nullità del ma-
trimonio se non sia contratto in presenza del parroco
e di testimonii ; il qual decreto della chiesa, preso alla
lettera, dovea poi, nell'opinione del secolo decimoset-
timo, far parere legittime le nozze, come quelle di Lucia
Mondella con Lorenzo Tramaglino (2).
Il prete suppli il padre, nelle funzioni di combina-
tore e consecratore di nozze ; e in qualche caso sup-
pli la pronuba, o, come il feudatario medievale, anche
lo stesso marito .
(1 ) Sessione 24, c. I.
(2) Cfr. MANZONI, I promessi sposi : cap. VI. « Il signor curato
» va cavando fuori certe ragioni senza sugo, per tirare in lungo
> il mio matrimonio ; e io invece vorrei spicciarmi . Mi dicon di
>> sicuro che, presentandosegli davanti i due sposi, con due te-
> stimoni , e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia : questo
» è mio marito, il matrimonio è bell'e fatto. >>
154 LA PARTE DEL PRETE
Nel compiere tali ufficii e ancora nel rinunciare ai
medesimi, il prete si fa pagare ; raro è che il parroco
Isi contenti, come nell'Abruzzo Teramano, che gli sposi
gli bacino le mani. Egli vuol doni, e la gallina che si
dà nell'Arpinate al parroco e il bicchier di birra , la
candela e il ramo di rosmarino involto in un filo sfi-
lacciato di seta rossa che ricevono il pastore ed il sa-
grestano, nell'Havelland (1 ), sono gli infimi doni che gli
sposi possano rilasciare alla chiesa. Il prete indiano
richiedeva, senz'altro, una vacca, e, per di più , rice-
veva in dono i panni sudici della sposa ch'ei solo
avrebbe , secondo la credenza inspirata al volgo , po-
tuto purificare.
In Francia , nel medio evo , il prete soleva pure
intervenir al banchetto nuziale ; ma fosse pudore, fosse
malizia, esso preferi, in seguito, convertire il suo di-
ritto in denaro .
Io inclino tuttavia a credere che il pudore tratte-
nesse assai pochi dal partecipare al banchetto nuziale,
per lo più indecentissimo, riflettendo come le frequenti
lagnanze de' primi scrittori della chiesa contro i preti,
diaconi e sottodiaconi che assistevano ai banchetti nu-
ziali, provino soltanto il piacere della recidiva. La spe-
culazione potè invece più presto decidere il prete a
privarsi di doni e vantaggi incerti , per assecurare ai
suoi ozii una rendita fissa. Cosi troviamo ora che il
prete per lo più, nelle cerimonie nuziali, riceve sola-
mente danaro. Nel Pesarese, lo sposo dava al prete un
(1) Cfr. KUHN UND SCHWARZ, Op. cit.
LA PARTE DEL PRETE 155
papetio o un testone, o un mezzo scudo (1) ed al sagre-
stano uno zapparin (2). La qual conversione del dono
in danaro, premeva tanto al nostro prete ch'ei la volle
pur consegnata, come legge, negli Statuti municipali (3).
Gioverà ora vedere , per merito di quali ufficii, il
prete riceve la sua mercede nella cerimonia nuziale.
Ai sacrificii antichi, ne' quali si sacrificavano o si fin-
gevano di sacrificare, il simbolico toro , ed altri ani-
mali fecondatori, come la porca romana , con grande
spargimento di grano, riso, farro, simboli di fecondità,
e di acqua purificatrice, sottentrò presso i cristiani la
cosi detta Messa degli sposi, nella quale si finge di sacrifi-
care in corpo e sangue ed anima il fécondatore per eccel-
lenza, la bellissima tra le figure del sole, il Cristo. Poco su
poco giù, sono gli stessi inchini, le stesse benedizioni, le
stesse preghiere, lo stesso spettacolo. Se non che, il
prete indiano accompagnava gli sposi nella camera nu-
ziale , e continuava a dirigerne e benedirne ogni mo-
vimento e recitar formole molto espressive, finchè non
vedesse il matrimonio intieramente consumato (4) ; il ,
prete cristiano si fermò sulla soglia della chiesa. Tut-
tavia è notevole come anche in Francia, e particolar-
mente in Brettagna il prete cristiano abbia cercato di
(1) Lire 1 , o 150, 0 2 50.
(2) Centesimi 25 .
(3) Cfr. Statuta Castri Fidardi (Castelfidardo), Maceratae, 1588,
lib. quartus : Item statuimus et ordinamus quod in sponsalitiis
ipsis, vel postea quacumque ipsorum occasione, nullus audeat ce-
reos vel cereum seu fatioletta apportare, sed pecuniam tantum sol-
vatet offerat ad Altare; et qui contrafecerit, etc.
(4) Cfr. , nel terzo libro, i capitoli che s'intitolano : La pronuba,
e Il Jus primæ noctis .
156 AUGURII DI FECONDITÀ ALLA SPOSA
protrarre l'uso antico, recandosi nel medio evo a be-
nedire il letto nuziale , sopra il quale stavano gli sposi
(sedentes vel jacentes , come dice il cerimoniale) (1 ) ;
con le seguenti parole: « benedite questi cari giovani
come voi avete benedetto Tobia e Sara ; degnatevi bene-
dirli così, o Signore, affinchè nel nome vostro essi vivano
e invecchino e si moltiplichino lungamente , pet Cristo
Signor Nostro. Così sia. » Altre formole di benedizione
del letto nuziale si trovano ne' rituali della Francia
medievale.
XIII .
Augurii di fecondità alla sposa.
Quasi tutta la cerimonia nuziale è simbolica del con-
giungimento degli sposi e della fecondità loro augurata.
Ma vi sono, fra l'altre, alcune cerimonie più signifi-
cative , che meritano di fermare la nostra attenzione .
1
Il grano che la folla getta ancora sopra gli sposi che
passano, in Sardegna, (2) in Sicilia e ad Ortonuovo in
Lunigiana, ricorda il grano sparso a piene mani nelle
cerimonie nuziali indiane e latine, il grano che soleva
portarsi innanzi alla sposa latina , affinch'ella diven-
tasse feconda, il grano che l'odierna suocera indiana
versa sul capo della nuora. Il cestino di pulcini che,
nella campagna di Bra si fa abbracciare alla sposa ed i
bambini che presso i Brettoni si mettevano nel letto
(1) Cfr. VILLEMARQUÉ. Op. cit.
(2) Cfr. DOMENECH. Op. cit.
AUGURII DI FECONDITÀ ALLA SPOSA 157
nuziale degli sposi, ricordano l'uso vedico di mettere
un bel bambino sopra il seno della sposa, per lo stesso
augurio di fecondità.
I Romani facevano sedere la sposa sopra una pietra
Priapea; ed un senso fallico aveva pure la pietra so-
pra il letame , ed altre pietre alle quali lo sposo in-
diano , a più riprese, faceva accostare la sposa, dalla
quale scongiuravasi-pertanto Viçvavasu il genio della
verginità. Le zuppe di tutta carne che si mangiano
nell'Altmark , in Germania (1) dagli sposi , affinchè il
loro bestiame s' accresca, ricordano i numerosi inni e
riti vedici, i quali con la fecondità degli sposi, augu-
ravano la prosperità alla casa. A tutti questi atti au-
gurali , aggiungansi i frequenti augurii di numerosa
figliuolanza fatti, per ogni verso, con smorfie e parole
agli sposi ; e, dopo avere tutto notato ed esserci per-
suasi che le credenze più antiche sono le più tenaci,
e che il mondo non minaccia spopolarsi , per difetto
d'augurii alle spose affinchè si fecondino, diamoci pure
un po' di spasso e permettiamoci pure di ridere, alla
volta nostra coi versi inesorabili di Tito Lucrezio, ri-
petendo al credulo volgo il suo eloquente nequid-
quam (2).
(1) Cfr . WEBER. Op. cit.
(2) De Rerum natura, IV :
Nec divina satum genitalem numina quoiquam
Absterrent, pater a natis ne dulcibus unquam.
Appelletur , et ut sterili Venere exigat aevom ;
Quod plerumque putant, et multo sanguine moesti
Conspergunt aras, adolentque altaria donis,
Ut gravidas reddant uxores semine largo.
Nequidquam Divom numen, sorteisque fatigant.
158 ALLEGREZZE PERCHÈ SI FA LA SPOSA
XIV.
Allegrezze perchè si fa la sposa.
In Germania, la vigilia delle nozze, i ragazzi rompono
tutte le vecchie stoviglie della casa, levando grida di
gioia. A Gallarate e Turbigo, in Lombardia, il più ar-
dito vicino entra di soppiatto nella stanza ove la com-
pagnia nuziale festeggia, e getta in mezzo ad essa una
scodella di terra, che naturalmente va in pezzi ; dalla
strada allora i ragazzi fanno strepitosamente evviva alla
sposa. Nel Fanese, la suocera presenta alla sposa una
pentola piena di cenere e di cattive erbe ; la sposa la
butta in terra ; e quanto più minuti pezzi se ne fanno ,
più il matrimonio sarà felice e fecondo. In generale ,
per tutta Italia, si ha per buon augurio che, in giorno
di nozze si rompa qualche cosa. Ed è troppo evi-
dente di quali guasti sia simbolo , una tal cerimonia,
perchè io abbia bisogno di interpretare il malizioso
proverbio Perugino: « se si rompe qualche cosa è male
per la sposa. »
Ai ragazzi che fanno festa agli sposi, soglionsi an-
cor gettare confetti, ciambelle e noci, che ricordano le
nuces juglandes de' romani. Allora i ragazzi se ne vanno
via contenti e le loro grida risuonano soltanto di lun-
ghi evviva. Ma guai se si tardi o si neghi ai gridatori
il dono ; le grida si fanno insolenti ; non si rompono
più cocci , ma vetri e tetti, e si fa ingiuria alla sposa,
come se questa nell'unirsi ad un uomo , abbia incon
ALLEGREZZE PERCHÈ SI FA LA SPOSA 159
trato la massima tra le vergogne. Già Astolfo re dei
Longobardi poneva una multa per impedire in Italia
l'abuso di gettare immondizie sopra la sposa (1). Gli
Statuti di Firenze del 1415 (2) proibiscono che si get-
tino sassi contro o sopra la casa , dove le nozze si
fanno ; gli Statuti di Città di Castello (3) vietano che
si gettino pietre, o immondizie o si faccia strepito alla
casa di chi fa nozze; un decreto finalmente della Re-
pubblica Veneta del 1562 (4) ha quanto segue: « Nelle
feste che si faranno di nozze, come di compagnie, et di
cadauna altra, siano del tutto prohibiti li festoni si a
porte et fenestre come in ogni altro loco , nè possano
usarsi tamburi, trombe squarzade, et simili instrumenti,
nè meno alcuna sorta di codette , o altra artiglieria. »
Pure lo sparo di mortaletti , schioppi e pistole e il
suono di campane continua ad accompagnare la festa
nuziale in molti luoghi d'Italia, come pure in Germania;
ma non in segno di dispregio alla sposa si bene di
festa. I giocolieri o troctingi medievali sono sostituiti
dai presenti torottotela subalpini e buffoni marchigiani,
e montenegrini (5), i quali accompagnano il suono e
(1) « Pervenit ad nos, quod dum quidam homines ad suscipiendam
sponsam cujusdam sponsi cum Paranympha et Troctingis (specie di
giocolieri che saltano) ambularent, perversi homines aquam sor-
didam et stercora super ipsam jactassent, etc. n
(2) Lib . III : « Si quis proiecerit lapides ad domum, vel super do-
mum alicuius tempore quo ibi fierent nuptiæ, etc. "
(3) Editi a Città di Castello, 1538 : « Statuimus et ordinamus quod
nullus audeat vel presumat projicere lapidem vel petrudinem (sic )
aliquam vel facere aliquem rumorem ad domum alicuius nuptias
celebrantis de die vel de nocte, ›
(4) Cfr. MUTINELLI. Lessico Veneto.
(5) Cfr. MICKIEVIC'. Canti Illirici.
160 ALLEGREZZE PERCHÈ SI FA LA SPOSA
il canto di movimenti assai grotteschi ; anzi presso
Novi Ligure, il buffo è lo sposo medesimo , il quale
precede la comitiva, spiccando salti meravigliosamente
bizzarri, fra gli evviva della folla. Il violino e la viola
sono poi gli ordinarii strumenti coi quali si rallegra
ora la marcia nuziale ne' contadi d'Italia, se bene dei
tamburi accennati nel decreto della repubblica veneta
vi siano ancora vestigia tra noi (1) .
Nella marcia romana e greca, le tede o fiaccole ,
simboliche del fuoco domestico e del fuoco generatore
acceso dalle madri, ornavano la pompa nuziale. Nell'uso
moderno, gli sposi non portano la candela fuori della
chiesa, gli slavi , e i tedeschi che ne fanno uso , avendo
per costume di donarli al prete, come gli Italiani del
medio evo (2) . È singolare tuttavia l'uso di Civita di
Penne, ove, all'uscire degli sposi della chiesa, si pre-
senta un uomo con una grande paniera , adorna di
dolci e nocciuole infilate, sul capo , e in mezzo alla
paniera, un grosso lume.
All'uso delle tede nuziali vuolsi evidentemente ascri-
vere l'origine della burlesca espressione italiana far
lume .
Nell' India ancora, si porta una lampada accesa, men-
tre la sposa muove alla dimora dello sposo, qualunque
sia l'ora del giorno , non volendosi, di certo , soppri-
mere al fuoco il suo simbolo, che, in questo caso, non
è tanto d'illuminare quanto di augurare alla sposa vi-
(1) Tale, per esempio, è il tamburello a sonagli che usa negli
Abruzzi .
(2) Cfr. di sopra il capitolo che intitolai : La parte del prete.
IL RAPIMENTO DELLA SPOSA 161
gilanza e fecondità ; cosi, nell'India vedica, gli sposi si
facevano precedere dal fuoco nuziale che non doveva
estinguersi mai ; e una formola conservata dall'Athar-
vaveda (1 ), da recitarsi, mentre la sposa entrava in casa,
le raccomanda il fuoco e l'acqua, come l'uso romano
voleva che la nuova sposa fosse accolta con acqua e
fuoco. Quanto all'origine della cerimonia è possibile che
sia mitica ; l'aurora, la prima delle spose, la sposa del
sole, ci presenta anch'essa alle sue nozze un fenomeno
di fuoco ed acqua, ossia di luce e rugiada.
XV.
Il rapimento della sposa.
Risaliamo qui ancora al mito, ed all'epopea che ne
deriva. In questa prima tra le creazioni dell'umano in-
telletto, il Dio o l'eroe si conquista la sposa, sottraen-
dola al suo guardiano, che la tiene occulta. La giovine
sposa, allieva delle fate, cresce nelle tenebre ; il giovine
sposo, altro allievo delle fate, esce anch'esso dalle acque
tenebrose (2). Il giovine sposo sottrae alle tenebre la
giovine principessa, ossia la rapisce ai draghi, ai de-
monii ; e in altre parole più brevi e intelligibili , il
sole sposa l'aurora , la figlia della notte. Questo è il
più frequente motivo mitico ed epico. Ed a questo
motivo, a quest'unico motivo io riferisco la cerimonia
del rapimento che occorre talvolta nell'uso nuziale indo-
(1) Cfr. WEBER. Op. cit.
(2) Cfr. i miei Studi sull'Epopea Indiana.
DE GUBERNATIS . 11
162 IL RAPIMENTO DELLA SPOSA
europeo. Gli scrittori romani, notando l'uso , vollero
spiegarlo come una reminiscenza dell'antico ratto delle
Sabine; e trovarono, a' dì nostri molti critici, che ri-
peterono senz'altro quelle stesse origini dell'uso. Ma
chi consideri come il ratto delle Sabine sia un avveni-
mento del mito , e non della storia, e come Romolo
sia l'eroe dell' epopea latina , e però stia fuori degli
avvenimenti terrestri (1) e chi consideri ancora come,
presso altri popoli , i quali non ricordano nella loro
storia alcun ratto di Sabine lo stesso uso si conserva,
non vorrà confermare un pregiudizio che nacque in
tempo in cui il cielo mitologico era chiuso alla cri-
tica quanto e più forse dell'astronomico.
Il principe degli sposi, lo sposo visibile d'ogni giorno ,
lo sposo celeste , lo sposo alle nozze del quale con
Süryà è dedicato un intiero inno vedico, i cui versetti
servirono poi nell'antichità indiana di formole per il
cerimoniale delle nozze , il sole, insomma , servi di
modello agli sposi. Egli sposa l'aurora e la rapisce dai
genii della notte ; l'aurora versa la rugiada ; la sposa
rapita deve necessariamente piangere. Ma il sole ra-
sciuga la rugiada; lo sposo non piange, ma rasciuga
il pianto della sposa. L'uso ed il fenomeno celeste, a
vicenda, si dichiarano.
Vediamo ora come quest'uso siasi mantenuto. Dio-
nigi d'Alicarnasso lo chiama greco ed antico (2), ed è
(1) In uno studio speciale sovra l'Epopea latina, pubblicato nel
Libero Pensiero di Parma , ho tentato mostrare come la vera e
sola epopea latina sia nella vita di Romolo , personaggio emi-
nentemente mitico .
(2) Ἑλληνικόν τε καὶ ἀρχᾶιον ἔθος.
IL RAPIMENTO DELLA SPOSA 163
noto come a Sparta la cerimonia nuziale fosse un vero
rapimento che lo sposo faceva d'accordo coi parenti.
Nel rito romano, ai tempi di Catullo (1) il marito fin-
geva di rapire dalle braccia della madre la sposa. La
stessa finzione si rinnova nell'uso nuziale sardo ; e a
Casalvieri , nell'Arpinate , la forma del rapimento è
questa :
« Lo sposo accompagnato dai parenti trova chiusa
la casa della sposa; nè, per picchiar ch'ei faccia, alcuno
lo sente ; onde, tutto smanioso, ne domanderà i vicini
che rispondono di non saperne nulla. Allora egli si
aggira per quei dintorni ed, in un fosso, troverà una
scala a piuoli rotta in qualche parte; egli, racconcia-
tala, con questa sale per una finestra nella casa della
sposa. Dopo molto cercare trova la sposa nascosta in
qualche cantuccio, e con essa egli discende ad aprire
la porta della casa tutto festante ed allegro. Allora il
padre e la madre della sposa gli dicono : « Or che
l' hai ritrovata , l'hai meritata » , ed il padre di lui
presenta innanzi la porta della casa ai genitori della
sposa una coscia di pecora , dicendo : « ecco la carne
morta e dateci la viva (2) . » Dopo di ciò, la sposa viene
benedetta e consegnata allo sposo, che la mena verso
la sua dimora .
La stessa cerimonia del rapimento è nell'uso Tura-
(1) Il Carmen nuptiale ci offre un'idea di tali contrasti :
At tu ne pugna cum tali coniuge virgo.
Non aequum est pugnare, pater quai tradidit ipse,
Ipse pater cum matre, quibus parere necesse est,
Virginitas non tota tua est, etc.
(2) Da lettera del prof. Ferdinando Santini.
164 IL SERRAGLIO
nico. Per l'Ungheria, me lo fa supporre la consuetu-
tudine che vi si mantiene del serraglio (1 ); per i tur-
comanni , il Boqueville attesta come , dopo una viva
lotta simulata fra gli amici dello sposo e i parenti
della sposa, questa, resistente, viene portata via, di fuga
sopra un tappeto ; per i finni è ancora il Kalevala
che ci istruisce. Lo sposo finnico come l'indiano e
lo slavo viene o manda a pigliar la sposa con un carro
tirato da cavalli. La sposa piange a lungo e non sa
decidersi ; la madre le rimprovera quell'abbandono ; un
fanciullo la consola; le comari la consigliano intorno
ai doveri ; alfine lo sposo mena via la sposa ed i ra-
gazzi cantano : « Un uccello nero è venuto dal fondo della
foresta fino a noi, e ci ha rapito una bell'oca. »
XVI .
Il serraglio .
Allo sposo rapitore è naturale che parenti , amici ,
vicini, conterranei contrastino la sposa rapita; quindi,
per la sposa rapita, si armano le guerre epiche ; e dal
mondo epico-mitico l'uso popolare ha derivato, fra gli
altri impedimenti nuziali , la cerimonia del serraglio ,
con la quale s'impedisce l'allontanamento della sposa.
Nell'India antica , parecchie ragazze cercavano trat-
tenere con varii scherzi lo sposo mentre egli veniva a
pigliare la sposa; e lo sposo le placava con doni.
Cosi, in Russia , sono ancora le fanciulle che arre-
(1) Cfr. il capitolo seguente.
IL SERRAGLIO 165
stano lo sposo prima ch'egli arrivi alla chiesa ; e lo
sposo le manda via contente con moneta spicciola e
pan pepato.
Quando lo sposo, nell' Heideboden in Ungheria (1),
conduce via la sposa, la gioventù del villaggio con un
nastro di seta impedisce la via ; gli sposi si riscattano
con un bicchiere di vino e un po' di pane, se bene,
alla prima , il procuratore della brigata dimandi as-
sai più.
Questa cerimonia è chiamata generalmente in Italia
fare il serraglio , in Corsica , far la travata o far la
spallera, nel Pistoiese, far la parata , nella Valtellina
far la serra, nel Tarentino fare lo steccato (2) od anche
fare la parata (3) e in parecchi luoghi del Piemonte,
fare la barricata.
In generale, stimasi poco onorata la sposa di quei \
nostri contadi ove l'uso vige, se gli amici non arre-
stano gli sposi, mentre partono ; arrestando lo sposo,
si prova di stimare la sposa; perciò le spose si mo-
strano sempre liete di un tale contrasto, il quale con-
siste, per lo più, in un semplice nastro che la sposa
stessa deve tagliare , e talora pure in una vera bar-
ricata.
Del serraglio nuziale trovo già ricordo per la To-
scana , nella decima novella di Agnolo Firenzuola (4)
(1) Cfr. SZTACHOVICZ. Op. cit.
(2) « Staccatu. >>>
(3) « Apparatu. >>
(4) « Costui adunque (un tal di Prato) sapendo ch'un suo amico
« menava moglie, pensò subito, come è usanza di queste con-
<< trade, di farle un serraglio.>>>
166 IL SERRAGLIO
e in uno scritto, forse inedito , del Rinuccini , che ,
per quanto spetta le nozze, io riferisco per intiero, in
nota, da un manoscritto della Magliabecchiana (1).
(1) Dico forse inedito, perchè non vorrei che qualche erudi-
tissimo e gentilissimo bibliofilo mi venisse tosto, se io pubblico
per inedito ciò che forse non lo è più, a dare accusa di falso,
come avviene tanto spesso in queste care controversie de' no-
stri letterati ; quasi che ci fosse così gran merito a scoprire un
manoscritto, quando questo manoscritto si trova inscritto a ca-
talogo ; quasi che provenga molta più gloria a chi copia da un
manoscritto che a chi copia da un libro; quasi che ogni copiator
di manoscritti diventasse un Angelo Mai. Io do per inedito lo
scritto che segue ; se non lo è, poco male ; io lo ripubblico per-
chè nessuno lo conosce, o tanto pochi ne hanno notizia da non
riuscire superflua una nuova edizione. Per dare poi il suo a chi
spetta, debbo ancora soggiugnere come fu una indicazione del
dotto bibliotecario della Magliabecchiana cav. Canestrini, che
mi pose il manoscritto fra le mani. È una inezia per la quale
parrà che io spenda troppe parole ; ma poichè sovra tali inezie
si spacciano e si pretendono, in giornata, diplomi d'immortalità,
è bene avvertire il lettore che io non vi pretendo affatto.
Considerazioni sopra l'usanze mutate nel presente secolo del 1600
cominciate a notare da me, cav. Tommaso Rinuccinj, l'anno 1665 e
con pensiero d'andar seguitando fino a che Dio benedetto mi darà
vita, trovandomi nell'età d'anni 69.
Nozze .
Concluso che era un Parentado, gl'interessati dell'una e del-
l'altra banda, ne davano conto, o in persona alli più prossimi
parenti, o per mezzo d'un servitore ai più lontani ; poi per il
giorno stabilito a uscir fuori la fanciulla in abito di sposa s'in-
vitavano le parenti fino in terzo grado ad accompagnarla alla
messa ; è nell'uscir di casa s'incontravano alla porta una mano
di giovani, che facevano il serraglio, che era un rallegrarsi con
la sposa de ' suoi contenti , e mostrare di non volerla lasciar
uscire, se non donava loro qualcosa, al che rispondeva la sposa
con cortesia, e dava loro, o anello, o smaniglio, o cosa simile,
et allora quello che haveva parlato (che era sempre uno de più
giovani e riguardevoli della truppa) ringraziava, e pigliava a
servire la sposa, con darli di braccio sino alla carrozza o per
tutta le strada se s'andava a piedi, come per lo più seguiva, e
IL SERRAGLIO 167
Quando la sposa va fuor di paese, il serraglio si fa
agli sposi sulla porta del paese ; ed ordinariamente è
la sposa quella che con le forbici taglia il serraglio,
al ritorno a casa restavano a banchetto tutti quei parenti e
parente che erano stati invitati, e quelli del serraglio restavano
licenziati . L'anello si dava poi in altro giorno, nel quale si fa-
ceva una colizione grande di confettura bianca, et un festino
di ballo, dove era sala capace, o pure si giuocava a Giulé, se
era stagione da vegliare. Nel mettersi a tavola ai banchetti,
c'era un uomo in capo alla sala che con una listra, che haveva
in mano, chiamava per ordine de gradi di parentela ciascuno ;
e così senza confusione andava ciascuno al suo luogo, le donne
da una banda, e gli huomini dall'altra. Mentre erano a tavola
al banchetto delle nozze, soleva ordinariamente comparire con
mandato di quello, che haveva parlato nel serraglio, che ripor-
tava alla sposa in un bacile di fiori, o con guanti d'odori il re-
galo che haveva havuto da lei, e lo sposo rimandava il bacile
con 30-40, e fino in 60, e 100 scudi, secondo le facoltà,de quali
se ne serviva poi quello con gli altri compagni in una cena tra
loro, o in fare una mascherata, o altra festa simile.
Si dismesse poi il far il serraglio, perchè cominciarono alcuni
a servirsi del denaro in uso proprio ; onde questo costume non
si riconosce adesso se non in Corte, che quando una delle dame
della Ser.ma Gran Duchessa se ne va sposa a casa sua, i paggi
del Gran Duca vi fanno il serraglio e la servono sino alla porta
del palazzo, é fanno poi del denaro un banchetto tra di loro.
Si dismesse ancora ne' banchetti il chiamare i parenti nel
mettersi a tavola con l'ordine del grado del parentado, onde
pare ne siano nati due disordini, cioè, che non tutti gl'invitati
sanno in riguardo degli altri il loro grado, e si mettono a fare
insieme tante cerimonie, per voler mandare in su gli altri, che
genera confusione, e disagio per chi è di già al suo posto. E
l'altro, 'che in vece di molti parenti s'invitavano degli amici,
che si pongono a tavola mescolati tra quelli e qualche volta
questi amici sono tanti, che escludono dall'invito molti parenti
(per non esser la sala capace di tante persone) che si va per-
dendo quella famigliarità, che dovrebbe essere tra i parenti.
S'è anco dismesso il dar conto del parentado ai parenti in
persona o per mezzo d'altri, ma s'è introdotto di farlo per po-
lizza, scrivendosi in un quarto di foglio. N. da conto a V. S. Ill.
che ha maritata la N. sua figliola o sorella al sig. N. in via tale
168 IL SERRAGLIO
se pur questo serraglio è solamente un nastro o cor-
doncino da potersi tagliare con le forbici , quasi vo-
glia la sposa mostrare con tale atto ch'essa va via
volentieri e che non le importa di perdere quello
che perderà. Se invece si tratti di un serraglio im-
possibile a tagliarsi con forbici , provvedono la ron-
chetta del marito e le braccia di lui e della brigata
soddisfatta ne' doni , occorrendo talora di rovesciare
una vera barricata composta di parecchi attrezzi da
campagna.
Pure alcuna volta accade che la brigata de' giovani,
ricevuta , per rispetto alla consuetudine , una piccola
moneta, regali invece essa stessa con lauti cibi e be-
vande gli sposi.
L'uso del serraglio dura, per quanto è pervenuto a
mia notizia, quantunque si vada ora sensibilmente per-
dendo, nel Monferrato, nell'alto Canavese, nell'Ossola,
presso il Lagomaggiore, nella Valtellina, nel Trentino
(Valle di Non) , nel Fanese , nel Pesarese , in alcuni
contadi della Toscana, in Corsica , nell' Abbruzzo Te-
ramano e nel Tarentino .
L'uso è de' più caratteristici nelle nostre cerimonie
e si consegnano ad un servitore o altra persona domestica di
casa, che le porta dove vanno, lasciandole in casa di ciascuno .
E perchè molti hanno cominciato , per meno briga, a fare stam-
pare queste polizze, par che si possa credere, che l'usanza s'in-
troduce comunemente.
La funzione dell'anello s'è fatta quasi sempre in casa, se bene
qualch'uno l'ha voluto, per devozione, dare in chiesa, e le spose
vestivano quel giorno di bianco , e con una veste che aveva le
maniche aperte fino in terra, ma poi s'è dismesso, e il colore, e
la foggia, vestendosi ciascheduna sposa all'uso dell'altre donne ,
e di che colore più li piace.
PER ISTRADA 169
nuziali, e può servire di lucido commento alla più bella
pagina dell'epopea. Lo sposo, sia che tolga la sposa
stessa , sia che tolga alla sposa quello ch'essa custo-
disce più gelosamente, è sempre un rapitore ; ora le
cose vietate non ottenendosi senza difficoltà, allo sposo
rapitore, che pur finisce col trionfare, si oppone , per
via , qualche ostacolo ; il serraglio è figura evidente
di ostacoli siffatti che lo sposo rapitore incontra.
XVII.
Per istrada.
La maggior solennità delle antiche nozze romane
era la cosi detta deductio ; il popolo affollavasi alla
porta, onde la sposa doveva essere condotta alla casa
maritale tra le fiaccole, i suoni (1), i motti Fescennini
od osceni, gli auguri, e gli evviva al Dio Talassio, una
specie di Fallo latino. I parenti , gli amici intimi , la
pronuba erano della comitiva; cosi pure un puer ca-
milles col vaso cumerum , e tre patrimi et madrimi
pueri praetextati , l'uno de' quali precedeva con una
fiaccola di spina bianca, di ottimo augurio nelle nozze,
gli altri due guidavano le sposa .
La stessa pompa si nota nelle antiche e moderne
nozze di tutto l'oriente, ove il massimo lusso di vesti,
bardature e carri è sfoggiato. Nell'India poi, lungo il
viaggio, gli sposi solevano recitar varie formole di au-
(1) Plauto, nella Casina, IvV. 3 :
Age, tibicen ; dum illam educunt huc novam nuptam foras,
Suavi cantu concelebra omnem hanc plateam hymenaeo.
170 DANZE NUZIALI
gurio per la fecondità e felicità e di scongiuro contro
le malattie e contro i ladri che si potessero incon-
trare per via. Tali formole ci sono, nella massima parte,
conservate dall'Atharvaveda. Cosi gli sposi Romani in
viaggio si raccomandavano alla Iuno domiduca o iterduca .
Secondo gli Statuti di Modena , sopra citati , la de-
ductio in pubblico era il vincolo vero del matrimonio ;
cosi la traduttione, che vale il medesimo, secondo gli
Statuti di Lucca (1). Forse per questa ragione, e per
evitare maggiori scandali , gli Statuti di Narni e di
qualche altra città italiana stabiliscono che la sposa
non possa essere menata via di notte.
È uso ancora in alcune parti d'Italia (2) che la co-
mitiva nuziale , nel tornar dalla chiesa , faccia il giro
alle case de'prossimi parenti ed amici, ov'è rallegrata
di cibi e di bevande. A Riva di Chieri, talora, innanzi a
tali case, s'improvvisano le danze, al suono degli istru-
menti portati dai musici che precedono la comitiva.
XVIII.
Danze nuziali.
Come non mancano il canto e il suono, raro è che
manchi la danza ad una festa nuziale. Lo stesso Buddha,
(1) « Et se (lo sposo) menerà la ditta donna, fatta la festa delle
<<<nozze dal di della ditta traduttione, guadagni i frutti , le ren-
<<<dite e l'entrate de' beni di essa donna. Et dal di della ditta
<<< festiva e pubblica traduttione, tutti i beni della ditta donna,
<<<posti nell'inventario, si intendino e siano per auttorità del
<<<presente Statuto assegnati et dati per dote allo sposo, sia, o
<<<non sia seguita la copula carnale, o che la ditta donna sia
<< pubere, ovvero che la sia impubere. "
(2) Per esempio, nel Piemonte e nel Trentino.
DANZE NUZIALI 171
che dichiara di non amare nè la musica, nè i profumi ,
nè i banchetti, nè le danze, nè il vino, nelle sue pro-
prie nozze , per operare secondo gli usi del mondo (1),
si lascia vedere in mezzo ad ottantaquattro mila donne
e si abbandona ai giuochi , ai piaceri , ai suoni e ai
canti.
Nell'India vedica , secondo l'Atharvaveda , appena la
sposa era partita , le sue sorelle e compagne , nella
casa paterna, intrecciavano le danze, le quali dovevano
aver carattere molto somigliante a quello delle danze
funebri. La danza era dell'uso e non capricciosa ; e tale
è rimasta nell'uso moderno , se bene si vada pure
perdendo . Nell'Heideboden, in Ungheria, l'uno de'due
paraninfi suol dire : « Siamo noi pure qui , io ed il mio
compagno, e non vogliamo lasciar cadere quest'uso, anzi
più tosto promuoverlo (2). » Il paraninfo invita , per
conto dello sposo, la sposa alla danza, e le danze son
tre , la prima con lo sposo ; ma gli sposi non si toc-
cano ; essi toccano soltanto, l'uno da una parte l'altro
dall'altra il lembo d'uno stesso fazzeletto ; e cosi dan-
zano ; le altre due danze sono della sposa coi due pa-
raninfi .
Noi vedemmo il caso di Riva di Chieri, in Piemonte,
ove, mentre si mena via la sposa, si danza ; lo stesso
avviene nella pompa nuziale dell'India odierna; a Tem-
plin si danzava alla mezzanotte del primo giorno di
festa dalla sposa con uomini travestiti da donna. Ma
( 1) Histoire du Buddha Sakya Mouni traduite du tibétain par
Foucaux. 1
(2) Sztachovicz. Op. cit.
172 DANZE NUZIALI
per lo più le danze sono l'ultima cerimonia della festa
e, dove la festa dura tre o più giorni , si rimandano
all'ultimo giorno. In Grecia, al terzo giorno « le pa-
renti e le amiche vanno con la sposa alla fonte , ed
ella attinge in brocca nuova ch'ha seco e butta nella
fonte cose da mangiare e minuzzolini di pane ; poi
ballano in tondo ; e quella è l'ultima festa » (1). Il ballo
tondo usa pure in Sardegna per le nozze; e forse ci
viene descritto in questi versi concitati , coi quali si
conchiudono le nozze della Tancia e della Cosa , nella
dotta commedia rusticale del Buonarotti :
Il ballo s'intrecci
Braccia con braccia ;
Mentre un s'allaccia ,
L'altro si strecci ;
Qualch'un si scoppi ,
Chi si raddoppi ;
Poi ciascun pigli per mano
La sua dama, e andiam pian piano.
Nei dintorni di Bolzano, si balla dagli sposi, prima
di aprire le danze, quello che, nel Trentino, si chiama
la tudeschina , e consiste in una serie di movimenti
graziosi fatti a piacere, ma, a tempo di musica, per i
quali lo sposo insegue danzando la sposa , e le si av-
vicina, ma non la raggiunge mai.
La danza nuziale tra il popolo si fa all'aperto ; tra
la gente che ha nome di civile, invece , entro sale
splendidamente illuminate. Il popolo danza per lo più
di giorno ; la gente civile di notte ; ond'è per essa il
divieto di prolungare le danze oltre le tre di sera, che
( 1 ) TOMMASEO. Canti greci.
SULLA SOGLIA 173
s'incontra negli Statuti di Firenze del 1415 (1). Esso
finisce veramente le feste nuziali con le danze, ed è,
dalla sala delle danze quando si danza, che, secondo
il Codice del Cerimoniale Francese, gli sposi che sanno
vivere, devono, inosservati, scivolare, l'uno dopo l'al-
tro, al talamo (2).
ΧΙΧ.
Sulla soglia.
Le soglie della porta, nella dimora dello sposo, si
ornavano pel ricevimento della sposa. In Grecia , se-
condo Plutarco , le si coprivano di rami d'ulivo e di
alloro ; in Roma, con bende di lana e fiori, dopo averle
unte con grasso di lupo o di porco. Lo sposo indiano
giunto con la sposa alla casa maritale, le diceva : • Io
sono IL, e tu sei LA, io sono il Saman e tu sei la Ric',
io il cielo, tu la terra; uniamoci e facciamo figliuoli (3). »
Presso i romani , già notammo come la sposa con la
formola : ubi tu Gajus , ibi ego Gaja , che recitava
pure alla soglia della casa maritale, intendesse signi-
(1) Lib . IV : « In domo nuptiarum nocte sequenti post dictam diem
nuptiarum post tertium sonum campanae, quæ pulsatur de sero
alle tre, non possit danzari, sonari, carolari, vel (tripudiari, et
quod contra fecerit puniatur, etc. »
(2) Code du Cérémonial par Mme la comtesse de Bassanville.
Paris , 1867 : « La mariée se retire de bonne heure avec sa mère,
>> en évitant d'être vue; c'est manquer de savoir-vivre, que pa-
>> raître s'apercevoir qu'elle se dispose à s'en aller. Le marié
>>quitte la soirée peu de temps après la mariée. Il choisit le
>> moment où l'on dans pour ne pas être remarqué. »
(3) Cfr. Atharvaveda, lib. XIV, presso gli Indische studien di
Weber, v.
174 SULLA SOGLIA
ficare la sua parte di dominio; e si cita presso la
Zeitschrift del Wolf (1), l'antica formola tedesca, che di-
ceva « Dove io sono l'uomo, là tu sei la donna, e dove
tu sei la donna là io sono l'uomo. » È notevole poi
l'uso comune fra Roma antica e l'India, che lo sposo
'o chi per lui sollevasse di peso sopra il limitare della
casa la sposa, la quale non doveva nè toccare le soglie,
nè esserne toccata. Per l'India vedica, ricordano que-
st'uso l'Atharvaveda e il Kauçikasutra; per Roma an-
tica, Plauto (2), Catullo (3), Lucano (4).
Non ripetendosi la medesima cerimonia per le ve-
dove, parrebbe quasi che le soglie toccate dalla sposa
dovessero toglierle quello che le rimaneva di più pre-
zioso; gli antichi tuttavia preſerivano vedere in tale
cerimonia un nuovo simbolo del rapimento ; e ad essi
si accosta Augusto Rossbach, il dotto illustratore de-
gli usi nuziali di Roma antica (5).
( 1 ) Zeitschrift für Deutsche Mythologie .
(2) Casina :
Sensim super attolle limen pedes, nova nupta.
(3) In Nuptias Juliæ et Manlii :
Transfer omine cum bono
Limen aureolos pedes ,
Rasilemque subi forem .
(4) De bello Pharsalico :
Turritaque premens frontem matrona corona
Translata vitat contingerelimina planta.
(5) Cfr. ROSSBACH. Untersuchungen über die Römische Ehe, Stutt-
gart, 1853.
LA SUOCERA 175
XX.
La suocera .
Le suocere hanno nell'opinione popolare quel posto
medesimo che le matrigne : son tristi. Quindi nel Pe-
sarese, chiamano bacio di Giuda quello che la suocera
dà alla nuora ; nell'Umbria dicono : suocera e nuora ,
tempesta e gragnuola ; nella Fiera del Buonarotti (1),
un tale, volendo far sacramento per qualcosa di spia-
cevole, grida : orbè, suocera mia ! E, nella novella 227
di Franco Sacchetti , il piacevole motto di una nuora
diventa proverbio « Buon per te, passera, che nou avesti
suocera . »
Nella bocca della suocera, suonano sempre rampo-
gne per la nuora ; e la stessa veneranda madre di Et-
tore , presso l'Iliade (2), non fa eccezione , ne' lamenti
di Elena.
Una delle pretese della suocera è di dormir più
della nuora, o almeno quanto questa . La nuora, se-
condo il precetto di Buddha, deve andar l'ultima a
dormire e levarsi la prima (3); Draupadi , presso il
(1) Giornata terza, atto secondo, scena 18.2.
(2) XXIV :
E se talvolta o suora
O fratello o cognata, o la medesma
Veneranda tua madre (chè benigno
A me fu Priamo ognor) mi rampognava,
Tu mansueto, con dolce ripiglio,
Gli ammonendo, placavi ogni corruccio.
(3) Cfr. FOUCAUX, Histoire du Bouddha Sakya Mouni.
176 LA SUOCERA
Mahabharata, volendo assicurare Satyabhama com' ella
compia i suoi doveri verso la suocera osserva che il
sonno suo e quello della suocera durano del pari .
È interessante ora l'udire dal nostro Regaldi (1),
come, nella Valle di Susa, la suocera accolga la nuora :
« Quando la brigata giunge alla casa dello sposo trova
chiusa la porta ; la nuora picchia tre volte ; al terzo
picchio si apre, e in sulla soglia si affaccia la suocera
burbera nel volto , colla mestola appesa alla cintura ,
e comincia questo dialogo con la nuora : -
<< Che
cosa volete ? -
Entrare in vostra casa e obbedirvi in
quanto vi piaccia di comandarmi. -
Eh ! voi altre ra-
gazze leggiere e capricciose ben altro avete in capo
che l'assetto della casa. -
Lasciatemi provare e ve-
drete. -- Ma qui si tratta di pascolare e mugnere gli
armenti, di tagliare il fieno e lavorare i campi. -Ed
io taglierò il fieno e lavorerò i campi. - Di alzarsi
la prima e coricarsi l'ultima perchè la vecchia suo-
cera possa alzarsi l'ultima e coricarsi la prima. - Ed
io farò anche questo. - Ma voi verrete meno a tante
fatiche . Iddio e vostro figlio mi ajuteranno. » A que-
-
ste affettuose parole, la suocera smette l'aria burbera
e stringendosi amorevolmente fra le braccia la nuora :
-
Vieni, figlia mia, le dice, vieni e possa tu non mai
scordarti delle fatte promesse . - Poi, levandosi la me-
stola dalla cintura, la consegna alla sposa che da quel-
l'istante fa gli onori della casa e invita tutta la com-
pagnia a prender posto al banchetto di nozze. »
(1) La Dora.
LA SUOCERA 177
In Calabria , segue il Regaldi , la suocera, all'en-
trare nella casa, avvolge un lungo nastro color di rosa
dietro alle spalle degli sposi e congiungendone i capi
innanzi al petto, trae seco la desiderata coppia , rap-
presentando cosi uno stretto vincolo d'amore. Poscia
i parenti e gli amici, insieme con gli sposi, stendono
le mani, intrecciandole a modo di corona nello spia-
nato innanzi alla porta della casa e a suono di mu-
siche cominciano una ridda lietissima, cantando ad un
1
tempo in lor favella consigli e ammonimenti alla sposa.
Gli onori del ricevimento alla sposa li fa la suocera,
ma prima ella vuole assicurarsi che la nuora sarà be-
nevola ; perciò in Lunigiana, nell' Umbria, nell'Arpinate,
le domanda se porti guerra o pace ; la sposa risponde
pace; allora le due donne si abbracciano; a un tale
dialogo si riferiscono pure due versi di un canto po-
polare umbro, che dicono :
Te benedico colla palma dell'ulia (olivo),
Possi portà la pace a casa mia.
Al che la sposa risponde : « Cosi speriamo. » Ma
non sempre la suocera vede bene le nozze e però al-
cuna volta si astiene pure dai complimenti. A Pine-
rolo, quando essa è contraria alle nozze, se ne rimane
in casa, per apprestare la cena. Lo sgarbo prenunzia
evidentemente grandi battaglie fra le due donne. Cosi
negli usi de' Brettoni , quando la madre di famiglia
vede arrivare il bazvalan per trattar nozze che non le
vanno, finge non vederlo e gli volta le spalle , occu-
pandosi del fuoco.
Ma, se la suocera accetta le nozze, assicuratasi coi
DE GUBERNATIS . 12
) 178 LLA SUOCERA
dialoghi sovra descritti che la nuora le viene osse-
quente, mette il suo amor proprio nel bene riceverla
ed ospitarla. Da un capitolo antecedente rilevammo
l'uso di accogliere la sposa col grano per augurio di
fecondità ; la grazia de' sardi , i confetti , gli zucche-
rini che si gettano alla sposa contengono il medesimo
simbolo. Simbolo di fecondità e di ospitalità era il
pane e il vino che anticamente gli sposi trovavano
preparati sulla porta della loro dimora; nei dintorni
di Ciamberi, in Savoia, la suocera attende alla soglia
gli sposi con un pane e del sale; in Russia, mentre
lo suocero presenta agli sposi la sacra immagine , la
suocera solleva pure sopra le loro teste un pane con
un cavo nel mezzo ripieno di sale. La suocera sarda
riceve la sposa con grano e sale. La polpetta della
suocera perugina e la schiacciata della suocera abruz-
zese suppliscono evidentemente il pane ed il grano.
In Corsica, la suocera presenta alla sposa un tinedru
di caghiatu (1) ; losimana un boccale di vino. Nel
Tarentino, fino al secolo decimosesto , era l'uso che
la sposa, al suo ingresso nella casa, fosse imboccata
con una cucchiaiata di miele , cibo sovra ogni altro
accetto, nelle nozze tartare.
È notevole ancora come l'uso indiano e romano di
versar l'acqua ai piedi della nuova sposa che entrava
in casa siasi mantenuto in alcune parti della Sardegna,
ove la suocera accoglie ancora la sposa con un bic-
chier d'acqua che versa innanzi alla sposa , mentre
questa passa la soglia della camera nuziale. La suo-
(1) Un tinello di quagliata; cfr. TOMMASEO, Canti Corsi,
IL DOMINIO DELLA SPOSA 179
cera deve essere dalla nuora considerata come la sua
padrona e il suocero come il suo padrone ; perciò
messere (msé), ossia mio signore, chiamano le nuore
piemontesi lo suocero , e madonna, ossia mia signora,
la suocera ; il qual onore reso alla suocera rilevo pure
da un canto popolare toscano :
Quando sarà quel benedetto giorno
Che le tue scale salirò pian piano ?
I tuoi fratelli mi verranno intorno,
Ad uno ad un gli toccherò la mano.
Quando sarà quel di, cara colonna,
Che la tua mamma chiamerò madonna ?
ΧΧΙ .
Il dominio della sposa.
La suocera è la padrona vecchia, la nuora è la pa-
drona giovine della casa. Perciò , nell'entrare la casa
maritale, essa suole ricevere alcuni simboli del suo
nuovo dominio. Presso i germani del settentrione ap-
pendevano al fianco della sposa le chiavi (1) ; e nel
poemetto su Rig, presso l'Edda di Soemund, troviamo
Snoer , la fidanzata di Karl, portarsele al fianco. La
sposa romana riceveva anch'essa le chiavi , e , acca-
dendo divorzio, le restituiva (2); nel Ducange (3), si
aggiugne come nel medio evo le vedove solessero get-
tare le chiavi e il cinto nuziale sopra il cadavere del
(1) Cfr. MITTERMAIER, Grundsätze des gemeinen deutschen Pri-
vatrechts. Cfr. la formola tedesca nel XII capitolo del primo li-
bro di quest'opera.
(2) Sant'Ambrogio, Epistola 47 a Syagrio : Quo mulier offensa,
claves remisit, domum revertit. »
(3) Ed. Henschel, 1840-1850 .
180 CIBI E BANCHETTI NUZIALI
marito. Un altro simbolo popolare del dominio della
sposa nella casa è la mestola, che la suocera, ed ove
questa manca, lo suocero le presenta. L'uso vigeva
nella Germania settentrionale (1) : e vive ancora nei
dintorni di Ciamberi in Savoia , a Riva di Chieri , a
Pinerolo in Piemonte e a Lugnacco nell'alto Canavese.
A Castelnuovo di Magra in Lunigiana la sposa entra
in casa con due grembiali; la suocera ne slaccia uno
e lo porta sopra il letto matrimoniale, intendendo con
ciò di darne a lei il possesso .
La rocca che in molti luoghi d'Italia la suocera
presenta alla nuora è simbolo del lavoro che l'aspetta ;
la granata che talora le attraversa l'ingresso nella
casa maritale è simbolo dell'ordine e della pulizia con
cui ella dovrà tenere la casa.
XXII.
Cibi e banchetti nuziali.
Nelle nozze si dà al mangiare tanta importanza, che
nozze e banchetto da sposi vennero a significare il
medesimo (2). La novellina piemontese, che finisce ordi-
(1) Cfr. KUHN UND SCHWARZ, Op . cit.
(2) Abbastanza singolare è l'uso ne' conviti nuziali della co-
lonia tedesca di Val Formazza nell' Ossola , e poichè il libro
onde lo rilevo ci offre un intiero capitoletto interessante rela-
tivo a quegli usi nuziali , lo riferisco qui nella sua integrità.
Il libro porta questo titolo: Peregrinazioni d'uno zingaro per laghi
ed alpi, di Valentino Carrera (Torino, 1861), e alle carte 249, 250,
251, 252 leggiamo il capitoletto seguente : « Stamane per tem-
pissimo che appena la cuspide dello Sternehorn s'indorava ai
primi raggi del sole , ed ancora soffiava nella valle la notturna
CIBI E BANCHETTI NUZIALI 181
nariamente in un matrimonio dell'eroe con l'eroina
conchiude con questo ritornello : « A l'an fait tante nosse
e tanti spatüss ; e mi i j'era daré d'l'üss ; a l'an gnanca
brezza , uscito dalla capanna per godere il sempre nuovo spet-
tacolo dell' aurora e bagnarmi in quella frescura , ecco a capo
del ponte di Wald un drappello di questi buoni montanari che
recano a battesimo un neonato. Il padrino coperta la testa d'un
cappello di feltro tutto ornato di lunghi nastri svolazzanti e la
persona d'un lungo mantello qualunque sia la stagione -
porta al tempio il pargoletto per esservi battezzato , tenendolo
nascosto sotto le falde del pallio : sicchè il Formazzese al
primo uscire alla libera luce dei campi non ha le molli don-
nesche carezze , ma cammina sotto quei ruvidi panni ad edu-
carsi ad una vita tutta laboriosa e parca .
E di tanto mi fu cortese la sorte che mentre io me ne sto
quassù badaluccando s'ammogliasse il gallo della Checca del
villaggio di Zumsteg.
Tutti gli amici ed i vicini sono concordi a festeggiarne le
nozze con incondite canzoni, con moltissimi spari d' archibugio
e di pistola, onde tutti gli spechi montani e valloncelli attorno
ne echeggiano lungamente. Al partire della sposa dal natio ca-
sale nessuno compare a far evviva : un canto , un colpo di ca-
rabina sarebbe un insulto. Così gli sposi s'avviano coi pochi
più stretti di sangue al tempio. Appena usciti, ecco loro incon-
tro una frotta di giovani stranamente mascherati che li saluta
con fragoroso tuonare delle armi . Uno di questi, coperto d'una
sottile maglia le vive carni , malgrado la brezza quasi invernale
del mattino , precede gli altri e dalle penne , ond' ha ornato il
capo, appare quale caraibo. Egli tiene spiegata nella destra una
piccola bandiera bianca orlata di fettuccie rosse, quasi simbolo
di pace e d'amore. A parte le antitesi dell'abito colla tempera-
tura , il nostro giovinotto fa bella mostra di tarchiate membra
e di sporgente petto , quale scolpiva Spartaco il Vela. Questo
altro che inchina sul bastone la gibbosa persona, ti rappresenta
al vivo un vecchierello di cent'anni fa , coll'abito rosso , le
scarpe fibbiate , il cappello a tre punte e lo sparato della cami-
cia trinato , tutto splendente di cento bottoni che non hanno
pari se non lo scudo d'Achille.
Questi dalla persona sottile , dritta ed alta come un pino , si
è travestito da donna con non poca ingiuria al bel sesso.
Alto là ! Ecco una cricca di furfantelli ha sbarrato la strada :
182 CIBI E BANCHETTI NUZIALI
dame na ftta d'prüss (1). » Qui la parola nozze vale
evidentemente banchetto nuziale; cosi, a quanto pare
nel Bestiaire francese :
Et feroit pour nous grant mangier,
Et grans noces et gran convi.
E nozze si chiamano veramente in Toscana i ban-
chetti nuziali , ma più specialmente poi certe cialde
che si fanno in occasione di nozze , onde probabilmente
l'adagio : pan di nozze. Cosi ad uno che sia allegro
suolsi domandare se egli venga da nozze , dove si
mangia bene e si beve meglio, come ci lascia indovi-
nare il procolo Nencione, nel Mogliazzo del Berni :
E' sarà buon che noi beiano un tratto ,
Ch'io voglio a queste nozze scorporare !.
gli sposi non oltrepasseranno la barriera se non distribuiscono
ad ognuno un fazzoletto. Durante il cammino gli amici conti-
nuano allegramente ad assordare collo sparo delle armi , i po-
veri sposi gongolanti per tanta festa. Al giungere al casolare
dello sposo la strada è nuovamente barricata con una tavola
imbandita di ciotole e di boccali : nuovi evviva : nuove libazioni,
nuovo fragore.
Pagato anche qui il dazio e sgombrato il passo , essi si re-
cano all'abituro dello sposo, ove nella stufa li attende un desco
tutto carico di caci , di carni salate. La sposa s'assiede a capo
del tavolo , mentre lo sposo fa da coppiere : mesce ad ogni
istante ai convitati, pago dei loro evviva ; in quel giorno la sua
casa è di tutti , chiunque ha diritto di cioncare a sua posta
quando ha fatti voti per la felicità della sposa.
Accade qualche volta, mi si disse da un burlone, che soprav-
venuta la notte , lo sposo è ancora a digiuno , poichè nessuno
ha pensato a lui ed egli solo ebbe a pensare a tutti . >>>
(1) " Hanno fatto tante nozze e tanta allegria ; ed io ero dietro
<< l'uscio; non mi hanno neanche dato una fetta di pera (pe-
« ruzzo) >
CIBI E BANCHETTI NUZIALI 183
Nella Tancia del Buonarroti, al conchiudersi di un
doppio matrimonio, si canta :
Andiam di brigata
Intanto a bere
E a godere
Una 'nsalata.
E doman cialde
Faremo a falde,
Berlingozzi e bastoncelli
Per le nozze di duo' anelli .
Le cialde, le ciambelle, le schiacciate, le polpette (1),
i confetti , gli zuccherini, la grazia (2), gli spinnagghi (3),
gli uccelli (4), i trionfi (5), i pemmata (6), i lunghetti (7),
i tortelletti, i ravioli (8), accompagnano ogni festa nu-
ziale nell'uso indo-europeo. Il miele di terra d'Otranto
si ritrova nelle nozze tatare ed indiane. Le noci delle
nozze albanesi sono supplite nell'India da quelle di
coco. L'uso romano del distribuir nelle nozze le noci
ai fanciulli , come segno di abbandonare i pensieri
fanciulleschi, ci è reso popolare dai versi di Virgilio (9)
(1) Perugino.
(2) Sardegna.
(3) Sicilia.
(4) Tal nome si dà ad una specie di pasticcietti abbruzzesi ,
intrisi nel mosto .
(5) Trentino.
(6) Grecia antica. Cfr. BECKER. Charikles, III .
(7) Cfr. Musso . Chronicon Placentinum, presso il Muratori, R. It.
Ser. XVI : Secunda die in nuptiis dant primo longetos de pasta
cum caxeo et croco et zibibo et speciebus. Et post, carnes vituli as-
satas ; et post, lotis manibus, antequam tabulae leventur, dant bi-
bere et confectum zuchari et post dant bibere. »
(8) Antico uso fiorentino ; cfr. gli Statuti di Firenze del 1415,
lib. Iv.
(9) Sparge, marite, nuces ; jam deserit Hesperus Oetam
184 CIBI E BANCHETTI NUZIALI
e di Catullo (1) . E il citato proverbio piemontese
conferma ancora tal uso :
Pan e nus
Vita da spus. (2)
Simbolo fallico sembrano gli uccelletti vivi che presso
il Lagomaggiore e nell'Arpinate portano ancora in ta-
vola, sotto un coperchio, agli sposi. E un altro sim-
bolo fallico contiene certamente il tacchino ornato di
nastri rossi, che a Riva di Chieri in Piemonte, nella
campagna d'Alba Monferrina e in Ispagna (3), si ri-
serva per l'ultimo giorno del banchetto nuziale, ban-
chettandovisi tre giorni. L'arrivo del tacchino in ta-
vola viene anzi accolto a Riva di Chieri con singolari
dimostrazioni d'onore, e il buffone o torotottela, prima
che lo si mangi , ne recita un testamento in versi ,
(1) In Nuptias Julicæ et Manlii:
Neu nuces pueris neget
Desertum domini audiens
Concubinus amorem .
Da nuces pueris, iners
Concubine. Satis diu
Lusisti nucibus. Lubet
Jam servire Thalassio .
Concubine, nuces da.
Sordebant tibi villuli,
Concubine, hodie atque heri
Nunc tuum cinerarius
Tondet os. Miser, ah miser
1
Concubine, nuces da.
(2) Pane e noci , Vita da sposi .
(3) Cfr. CABALLERO. Cuentos y poesias populares andaluces, nel
cuento che s'intitola : La suegra del diablo : « Siendo para Pan-
<<<fila el pelar la pava una perspectiva mas halagüeña que la
<<<caldera de la lejía, dejó que se degañotase su madre, y acudió
« à la reja. »
CIBI E BANCHETTI NUZIALI 185
1
rozzo componimento, in dialetto, di qualche moderno
poetastro (1 ). Oltre il buffone, appare ne'banchetti nu-
ziali il musico . Terenzio, negli Adelfi , ci ricorda i suo-
(1) Lo riferisco in nota per la sua stranezza :
Che bel piasì ch' l'è p'r mi
Esse si tant bin vesti.
Im ved propi a sté bin
In grassia d'l spus Giuvanin.
S'era bütame a t'rmolé,
Quand la cüsinera l'è vnüme a ciapé ;
Ma, avend senti che, p'r mia mercede,
Am fasìu vnì a pusséde
Tüta la bela cumpagnia
D' sta spusiña tant'alegra e ardia,
Sübit sunt vultame in alegria.
Oh ! am pias pi esse an mes a ste spusiñe
Ch'andé tüt ' I dì cun cule galiñe.
An sissì i god üna perfeta tranquilità
Suvra sta taula tan bin paria.
Pitu l'é 'l me nom e sun ün nubilass,
L'ai mai fait nen autr che mangié e andé a spass.
Oh ! l'ai propi sempre mangia e beivü alegrament
A vnì fin adess che või fe me testament.
Mi või pa fé cum a fan certi fasöi
Ch'as fan d'tuiru fin an s'y öi,
Pöi a fan nen testament p'r nen discürhì i so anbröi .
'L fatt me l'è franc e liber ; d'nans e drè l'é tüt me.
A j'é pa ün ch'a pössa ciameme i me dui dné .
Andé dunque dal nudar ; i või agiüsté bin i me afé,
P'r ch'ai sia pöi nen da litighé .
Sì a j'é i testimoni ch'a sun Simon Gervas e Peru
Carlin Bastian Giüspin e Toni 'I gneru .
Chiel, sur nudar, ch'a scriva vuluntré ; che lu või cuntentó
P'r l'ultima scritüra che i l'ai da fé .
Lass i me oss a ün can bel gross.
La mia carn la lass a la cüsinera e quand a sia bin agiüstà,
A smijrà bin buña à tüta quanta la taula.
Tüta la mia piüma pi fiña
Ch'a serva a fé la pajas'tta p'r büté ant cula cün'tta.
E arivand la necessità,
A sarà pöi già parià.
Oh ! adess a j'é 'ncura 'l nudar .
Või pa passê da avar .
I lass dal bech an sü e dal pnass an giü :
E se a n'a pa pru, ch'as grata 'l cü .
186 CIBI E BANCHETTI NUZIALI
natori di Tibia (1). A Riva di Chieri , in Piemonte ,
un suonator di violino e un individuo che porta un
vassoio pieno difiori , s'introducono in fin di pranzo,
nella sala del banchetto, e quello che porta i fiori ,
canta cosi :
Oh ! vui, pare d' la spusa, iv presentruma la piüma d'oca :
Adess chi eve mariá la fia venta pagaje la dota.
Oh ! vui, pare d' 'I spus, iv presentruma la fiur d'ürtia,
Chi la teñe nè pes nè mei cum a füssa vostra fia .
Oh ! vui, signura spusa, chi sei tant bin vestia,
Ne smie la nostra mándula quand l'è si bin fiuria ;
Oh ! vui, signur spus, chi sei tant bin vesti,
I smie nost persi quand l'è si bin fiuri.
Oh ! vui, signura spusa, iv presentruma 'I branc,
E se l'omu l'é nen bel sarà tant pi galant.
Oh! vui , signur spus, iv daruma d'intende
Che l'uma purtà ste fiur p'r chi n'y e fasse vende. (2)
Dopo questa tirata alla borsa dello sposo , i due
vanno intorno distribuendo mazzi di fiori. Dicono ma-
liziosamente alla sposa ch'essi le presentano una ghianda
bucata, e la consigliano, se lo sposo voglia batterla ,
a pigliare la valle de' prati :
(1) Missa haec face,
Hymenacum, turbam, lampadas, tibicinas.
(2) « O voi, padre della sposa, vi presenteremo la penna d'oca ;
<<< ora che avete maritata la figlia conviene pagarle la dote. O
<< voi, padre dello sposo, vi presenteremo il fior d'ortica, affin-
<<
« chè non la teniate nè peggio nè meglio che se fosse vostra
<< figlia . O voi, signora sposa, che siete si ben vestita, ci sem-
<<<brate il nostro mandorlo quand'esso è si bene fiorito. O voi,
<<< signore sposo, che siete sì bene vestito, voi sembrate il no-
<<< stro pesco quando è sì bene fiorito . O voi, signora sposa, vi
<<< presenteremo il ramo, e se l'uomo non è bello sarà tanto più
<< gentile, O voi, signore sposo, vi daremo da intendere che ab-
<< biamo portati questi fiori, perchè ce li facciate vendere. >>
CIBI E BANCHETTI NUZIALI 187
Vui, signura spusa, iv presentruma ün giandus furà ;
Quand l'om a veña a batve, pié la val di prà.
Se chila as tröva lesta,
As campa giü d' la fnesta,
S'as tröva d'sgagià,
A pia la val di pră. (1)
Questo tra i canti che suonano alle mense nuziali
è de' più decenti; ma le caste orecchie della musa non
potrebbero tollerare certi sguaiati strambotti che si
permettono oggi ancora nelle campagne marchigiane
i buffoni alle nozze ; come neppure certe uscite smo-
datamente allegre, con le quali la compagnia tentata
dai fumi del vino, promuove in ogni rustico banchetto
il rossore sul volto alla giovine sposa. Tempo di nozze,
tempo di ciarle, dice un proverbio piemontese (2) ; ma
poichè la ciarla è di rado innocente, poichè la procax
fescennina locutio evocata da Catullo (3) non si tace ,
poichè invano gli Statuti comunali italiani , a correg-
gere gli scandali , vollero ridurre il numero de' con-
vitati permessi ne' banchetti nuziali (4) a proporzioni
modeste, la madre addolorata e le vergini sorelle e pa-
renti e compagne della sposa se ne astengono sempre,
(1 ) « Voi , signora sposa, vi presenteremo una ghianda bucata ;
<<quando l'uomo venga per battervi, pigliate la valle de' prati.
<< S'ella si trova lesta, si butta giù dalla finestra ; se si trova
<< snella, essa piglia la valle de' prati . "
(2) Dintorni di Fenestrelle.
(3) In Nuptias Juliae et Manlii.
(4) Gli Statuti di Modena pubblicati e illustrati dal Campori,
prescrivevano che sole 12 persone, oltre la famiglia, potessero
intervenire al banchetto nuziale ; e lo stesso Campori cita il
banchetto di un Rossi con una Sanvitale, al quale presero parte
1214 uomini , 386 donne e 300 servi ; egli è vero che si trattava
in questo caso di nobili, i quali si mettevano quasi sempre so-
pra la legge.
188 CIBI E BANCHETTI NUZIALI
più per naturale pudore, che per obbedienza al pre-
cetto degli antichi padri della chiesa , i quali non si
stancavano di predicare contro l'indecenza de' ban-
chetti nuziali. Fin dai tempi di Varrone solevano
i ragazzi soffiare alle orecchie della sposa novella i
motti più insolenti ed osceni (1) ; chè, se i doni dello
sposo li facevano spesso tacere, a quel comprato si-
lenzio, non di rado seguiva il pianto della povera sposa
oltraggiata e delle stesse compagne che le erano date
per farle coraggio .
(1) Cfr . De Habitu Virginum, opera, 1726, p . 179 : “ Quasdam vir-
gines non pudet nubentibus interesse, et in illa lascivientium li-
bertate sermonum colloquia incesta miscere, audire quod non licet
dicere, observare et esse præsentes inter verba turpia et temulenta
convivia, quibus libidinum fomes accenditur, sponsa ad patientiam
stupri, ad audaciam sponsus animatur. »
Varrone, presso Nonio Marcellino : « Pueri obscoenis novae nup-
tulae aures restaurant . >>
Nè si risparmiavano le pronube; quindi San Gerolamo nel-
l'Epistola a Geronzia : « Responde mihi, carissima in Christo Alia.
Inter ista nuptura es ? Quem acceptura virum ? Cedo ? fugitivum;
an pugnaturum ? Quid utrumque sequatur intelligis; et Fescennino
carmine terribilis tibi rauco sonitu buccina concrepabit, ut quas
habeas pronubas, habeas forte lugentes . >>
1
LIBRO TERZO
IL MATRIMONIO SI CONSUMA
I.
Si prendono gli augurii .
Nell'uso nuziale indo-europeo , il matrimonio è un
sacramento , assistito da una caterva di iddii. Essi ,
come primi sposi , ammaestrano e proteggono i mor-
tali che si avviano alla vita coniugale. L'inno vedico
ci descrive un matrimonio solare, e la compagnia di
quelle nozze celesti diviene quindi la proteggitrice
delle nozze terrene. In Grecia, a Roma, in Germania,
negli stessi usi cristiani, ove Cristo e la Madonna fi-
gurano talora ad incoronare i novelli sposi, il medesimo
intervento della divinità, auguratrice di lieti e fecondi
connubii. Ma il maggior lusso di iddii o genii evocati
a render propizie le nozze si osserva nell'antico uso
romano. Quanto più l' olimpo romano appare povero
per sé , tanto maggiore fu ne' romani lo studio di
popolarlo , con esseri al tutto immaginarii ed allego-
rici. Lasciando stare Talassio , Giunone e Diana, dio
e dee agli sposi popolari ed accettissimi , si finse un
iddio per ogni funzione del rito nuziale, come gli an-
tichi indiani per ciascuna di tali funzioni aveano una
190 SI PRENDONO GLI AUGURII
propria formola; onde i lamenti di Sant'Agostino, nella
sua Città di Dio (1).
Tuttavia i più solenni sacrificii nuziali erano in
onore di Giunone ; in essi, toglievasi alla vittima il
fiele e lo si buttava via , per significare come ogni
amarezza dovesse star lontana dalle nozze (2). Quanto
agli auspicii, presieduti dagli dei Pilumno e Picumno,
secondo l'autorità di Varrone presso Nonio Marcellino,
e all'ufficio degli auspici, nelle nozze, abbiamo alcun
indizio presso Plinio (3).
Il nome loro veniva dall' osservazione degli uccelli ,
e fra gli uccelli una specie di sparviere, zoppo da un
piede, ritenevasi come sommamente propizio. A Roma
era ancora considerato come di buon augurio il ful-
mine pèr le nozze, probabilmente per la stessa ca-
gione che faceva ai germani preferire il giovedi o
donnerstag , giorno del fulmine, per la celebrazione del
1
matrimonio . Ma il fulmine dovrebbe, a quanto sembra,
non menar pioggia, poichè un proverbio tedesco dice:
se il giorno delle nozze piove , la sposa non ha nutrita
(1) De Civitate Dei, lib. 6, cap. IX : « Cum mas et femina conjun-
gantur, adhibetur deus JUGATINUS. Sit hoc ferendum. Sed domum
est ducenda que nubit; adhibetur deus DOMIDUCUS ; ut in domo
sit, adhibetur deus Domitius ; ut maneat cum viro, additur dea
MANTURNA. Impletur cubiculum turba numinum, quando et para-
nymphi inde discedunt. Adest dea VIRGINENSIS et deus pater Su-
BIGUS et dea mater PREMA et dea PERTUNDA et VENUS et PRIAPUS .
Virginensis quidem ad hoc ut virgini zona solvatur; Subigus ut viro
subigatur; Prema, ut subacta, ne se commoveat, comprimatur. »
(2) Cfr. NIEUPORT, De ritibus Romanorum.
(3) x, 8, 9 : « Accipitrum genera sexdecim invenimus, ex iis ægi-
thum claudum altero pede prosperrimi augurii nuptialibus nego-
tiis. Cfr. RoSSBACH. Op. cit. È noto essere lo sparviere una
delle forme che assume nella mitologia vedica, Agni, il dio del
fuoco; il raggio solare, il fulmine.
SI PREPARANO GLI AUGURII 191
bene la gatta. Altre superstizioni vivono ancora circa
lé nozze in Italia e fuori .
A Mineo, in Sicilia, per esempio, gli sposi inginoc-
chiati all'altare devono levarsi insieme , poichè morrà
prima quello che prima si leverà. Altro uso simigliante,
che vigeva già sotto forma poco diversa a Roma (1),
si osserva nell' Umbria, a Novi Ligure, a Lomello, e
nelle Langhe di Alba Monferrina, ove gli sposi entrano
nella camera nuziale ciascuno con una propria can-
dela accesa ed insieme la spengono , o la fanno spe-
gnere dalla madre dello sposo o della sposa , perchè
il pregiudizio è ancora diffuso, che morrà prima quello
il cui lume si sarà spento prima. A Novi .Ligure ,
stanno ancora attenti gli sposi alla prima persona che,
l'indomani delle nozze, viene a visitarli ; l'augurio è
tristo, se questa persona sia un vecchio od un prete.
A questi incontri per via in nessun luogo si dà non-
dimeno tanta importanza quanto presso gli indiani ed
i brettoni. Nell'India, se il padre dello sposo, mentre
va a fare la chiesta, si abbatte in un gatto, o in un
serpente, o in uno sciacallo, forse pure in un corvo,
che sappiamo essere anco per gli indiani uccello di
sinistro augurio, torna indietro e rinuncia o pure elegge
altro giorno più fortunato. Cosi , tra i brettoni , se il
bazvalan , mentre va a fare la chiesta , incontra una
pica od un corvo ritorna sopra i suoi passi; egli pro-
(1) Cfr. HOTMAN, De veteri rilu nuptiarum : « rapi solebat fax
nuptialis, qua prælucente nova nupta deducta fuerat ab utrisque
amicis, ut ait Festus, ne aut uxor sub lecto viri, aut vir in se-
pulchro comburendam curaret, quo utraque mors propinqua alte-
rius captari putabatur. »
192 GIORNI PER LE NOZZE E LORO DURATA
cede invece lieto innanzi se ode il grido della tortora,
la quale abbiamo già veduto di sopra (1), accompagnare
spesso gli sposi.
II.
Giorni per le nozze e loro durata.
Nel capitolo intorno ai cibi e banchetti nuziali, ve-
demmo come a Riva di Chieri e nell' Albese si ban
chetti tre giorni, ma al terzo giorno soltanto si mangi
il tacchino. Con ciò s'intende che la giornata vuol
essere grassa ; grassi i cibi, grassi i discorsi , grasse
le opere ; lo spirito è vinto dalla carne; o, in una
parola più esplicita , il matrimonio si consuma. Ma ,
perchè tre giorni d'attesa ? Perchè l'uso indo-europeo
è questo. E perchè sia tale l'uso indo-europeo, Gobhila,
antico autore indiano , ci mette in via d'indovinarlo .
« Dopo tre notti, egli scrive, ha luogo la copula, di-
cono gli uni ; tempo opportuno per la copula è il
momento in cui alla sposa che si trova nel mese è
appena cessato il sangue. » Il mese lunare e il mese
delle donne facendosi corrispondere, si comprende an-
cora perchè dagli antichi si preferisse per la celebra-
zione de' matrimonii il plenilunio e il novilunio, e la
luna o Lucina ne fosse la proteggitrice. Celebrandosi poi
i primi matrimonii, appena la fanciulla divenisse ma-
tura, si capisce perchè si ponesse tanta attenzione a
que' tre giorni famosi, e all' indomani soltanto de' tre
giorni le nozze si consumassero .
(1) Cfr. il cap. Iv del secondo libro .
GIORNI PER LE NOZZE E LORO DURATA 193
Col tempo, serbandosi l'uso , se ne dimenticó la
ragione ; l'uso medesimo , per questo stesso obblio
della sua origine, a capriccio de' preti si abusò , qual
mezzo di penitenza, imposto agli sposi. Cosi, nell'India
stessa, secondo il commentatore Paraskara , si danno
già, oltre all'astinenza delle tre prime notti, astinenze
di sei, di dodici notti ed anche di un anno . Cosi il
professor Cristoforo Baggiolini mi scrive che un certo
parroco del Vercellese imponeva per ordinaria peni-
tenza ai nuovi maritati di astenersi per dieci, quindici
ed anche venti giorni dal far letto comune ; a Gallarate
e Turbigo gli sposi rimangono divisi per otto giorni ;
in Valtellina usano fare omaggio alla Vergine de'gaudii
maritali ritardati per tre notti. Cosi una misura sem-
plicemente igienica, al modo stesso che il divieto asso-
luto di ogni carne nell' India e della carne porcina
presso gli Ebrei, e pel venerdi e sabato , della carne
grassa presso i Cristiani , divenne un comandamento
religioso. Nel medio evo, in Italia, era generale l'uso
tra gli sposi di fare un po' di astinenza , ma , come
rilevo dal Muratori, non tanto per conformarsi all'uso
oramai invecchiato , quanto per obbedire al precetto
della chiesa (1). In Grecia , passavano pure general-
mente tre giorni prima che gli sposi consacrati si
(1) Antiquitates Italice, diss xx. De actibus mulierum. Gli sposi
« a sacerdote monebantur, ut ob reverentiam Sacramenti eo die et
sequenti nocte a commercio carnali abstinerent. Immo erant, qui
per biduum et triduum subsequens observandam indicerent conti-
nentiam . »
DE GUBERNATIS . 13
194 GIORNI PER LE NOZZE E LORO DURATA
unissero (1 ) ; e lo stesso avveniva in Roma (2); il
cristianesimo vi mise di suo una nuova superstizione ;
lasciò credere, cioè, come in Germania (3) si crede ,
che le tre notti di astinenza siano necessarie per
iscacciare il Diavolo e salvare la povera anima. Nelle
Edda, « Gerd piglia tempo nove notti prima d'acco-
starsi a Frey. Frey risponde al messaggio : una notte
è lunga ; due son più lunghe; come passarne tre ? >>>
È noto come, nelle Edda, il numero simbolico nove ,
tiene quasi sempre il posto del tre. Nel Belgio la
stessa usanza ; e presso i Turchi ancora, lo sposo si
unisce con la sposa solamente il quarto giorno (4).
In Italia, noto la presenza di quest'uso a Riva di
Chieri , ad Alba Monferrina , nel Milanese , nella Val-
tellina, nel Pesarese, nel Fanese, nell'Osimano, nell'Um-
bria, nel Teramano, e nell'Arpinate. Nel Genovesato lo
osservava fin dal secolo decimoquarto il Sacchetti (5) .
Ma, se gli sposi acconsentono a darsi tanta mortifi-
cazione, cercano poi la via di alleviarla, occupando i
tre giorni di astinenza con feste. Ed ecco, per qual
(1) Cfr. BECKER, Op. cit.
(2) Cfr. HOTMAN, Op. cit. - Macrobio, lib. 1, c. 15 : « Primus
nuptiarum dies verecundiæ datur. -Ricordo poi ancora l'ordine
che dà Romolo, presso Dionigi d'Alicarnasso, II, ai giovani ro-
mani che rapiscono le Sabine di serbarle caste per una notte,
quindi menarle : « καὶ φυλάττειν ἀγνὰς ἐκείνην τὴν νύκτα, τῇ δ΄ ἐζῆς
ἡμερᾳ πρὸς ἀυτὸν ἄγειν. »
(3) In Allgäun e Bettringen ; Cfr. WEBER. Op. cit.
(4) Cfr. UBICINI. La Turquie actuelle.
(5) Cfr. novella 154 « essendo le nozze di Genova di que-
....
<< st'usanza ch'elle durano quattro di e sempre si balla e canta,
<<mai non si proffera nè vino, nè confetti, perocchè dicono che
<<<profferendo il vino, e' confetti, è uno accomiatare altrui ; e
<< l'ultimo di la sposa giace col marito e non prima. »
GIORNI PER LE NOZZE E LORO DURATA 195
motivo le feste nuziali sogliano in parecchi paesi du-
rare più giorni; ecco, per qual motivo, se incominciano
il lunedi, finiscono il giovedi , se incominciano il gio-
vedi , finiscono la domenica , se incominciano il sab-
bato, finiscono il lunedi; esse hanno a durare da tre
a quattro giorni ; ma non è caso che alcuna festa nu-
ziale s ' incominci in Italia di mercoledi o di venerdi .
Il venerdi essendo giorno di magro, non è possibile.
che in detto giorno si pensi ad un connubio; per il
mercoledi , alle Langhe di Alba Monferrina, corrono
due proverbi : sposa mercorina è peggiore della brina, e
sposa mercorina fa andare il marito in rovina. Il lunedi
in vece, ossia giorno sacro alla luna , il giovedì ossia
giorno sacro a Giove tonante, e la domenica o giorno
del Signore , giorno del sole, sono considerati come
propizii. Quanto al venerdi , sembra sia stato escluso
dal solo ricordo cristiano della passione di Cristo, in
memoria della quale si impose il digiuno; poichè , al
contrario, come giorno sacro a Venere dovea esso
preferirsi nelle nozze; e di qui spieghiamo perchè il
venerdi , o giorno di Freia, sia ancora in Germania
uno de' giorni prescelti per le nozze (1), ed anzi pre-
cisamente il giorno in cui gli sposi si uniscono (2).
Detto de' giorni , può giovare il conoscere quali
stagioni l'uso indo-europeo preferisca per la celebra-
zione delle nozze. E qui pure è sorprendente come la
razza indo-europea palesi la sua unità. Nell'India, in
Grecia, in Germania si designava come tempo propizio
(1) Cfr. KUHN UND SCHWARZ. Op. cit.
(2) Cfr. SIMROCK. Op . cit.
196 GIORNI PER LE NOZZE E LORO DURATA
alle nozze quello che passava fra l'equinozio d'au-
tunno e quello di primavera, ma specialmente l'inverno .
Nella Francia medievale, si celebravano i matrimonii
dopo il Natale (1).
In Italia, il maggior numero di matrimonii si fa in
carnovale, o sia nell'inverno. Tra gli altri mesi del-
l'anno , si sfugge particolarmente il maggio , per il
proverbio siciliano che dice : « La spusa majulina nun
si godi la curtina » variante del proverbio latino che
diceva : maio nubunt mala (2).
In Sicilia, si evita ancora il mese d'agosto , come
nefasto per le nozze ; uso superstizioso oggi , ma in
origine , fondato , senza dubbio, sovra alcuna ragione
naturale .
Sovra i quali usi particolari nondimeno corre spesso
l'uso generale del buon senso, il quale permette nozze
a qualsiasi stagione dell'anno, ove la necessità lo porti;
e vi è necessità , osserva l' indiano commentatore di
İçvalayana e pecca anzi quel padre che non riconosca
una tale necessità, ogni qual volta ei « non mariti la
figliuola, appena è diventata donna . »
(1) Cfr. un contratto di matrimonio del 1462, presso il Du Cange.
Op. cit. « Convenerunt ulterius dicti domini de Altoforti et de Ulmo ,
patres dictorum sponsi et sponsæ futurorum, facere sollempnisari
dictum matrimonium de dictis sponso et sponsa in primo sponsalio,
post festum nativitatis Domini proxime venturum . ”
(2) Cfr, OVIDIO. Fast. V :
Si te proverbia tangunt,
Mense malas Maio nubere vulgus ait.
IL JUS PRIME NOCTIS 197
III.
Il jus primæ noctis .
Dalle notizie de' viaggiatori italiani nelle Indie orien-
tali raccogliamo come l'erede, nelle famiglie, non fosse
già il primogenito, ma il secondogenito. Che il mede-
simo uso vivesse nèl medio-evo germanico lo racco-
gliamo dal Du Cange (1). Quest'uso trae la sua origine
dalla costumanza presso certi popoli, certe caste, certe
famiglie di concedere il godimento della sposa per la
prima notte non allo sposo , ma ad uno straniero ; e
questo straniero era un viaggiatore qualsiasi a Tar-
nassari , e un brahmano nel Malabar (2). In origine,
dovea considerarsi come una pena l'esercizio di un
tale diritto, poichè troviamo che nell'India il viaggia-
tore e il brahmano non solo ne venivano pregati come
di un favore, ma specialmente ricompensati .
Il figlio che ne nasceva, come spurio, non poteva
ereditare ; e, per lo più, se ne faceva un prete, come
(1) Op. cit. , ultima edizione, sotto la voce Burghenglish : « Bur-
ghenglish, Rastallo vetus est Consuetudo in Burgo veteri, in quo,
si pater relictis Pluribus filiis decedat, secundogenitus ei solummodo
succedit in terris et tenementis, quibus saisitus erat in burgo , cum
decessit, vi istius consuetudinis; quam etiam locum habuisse in fa-
milia Hæstratam auctor est Ludovicus Guicciardinus in Descr. Belgii.
Ea autem Lex obtinet in Comitatu et urbe Nottinghamensi, ut habet
Christoforus de S. Germano in Dialogo de Legibus Angliæ cap. VI :
NATU MINIMUS DOMICILIUM PRINCIPALE HABEBIT, in Leg . Hoeli
Boni ed. Wotton. pag. 316 Quem usum in pluribus locis viguisse
testantur Mittermaier, princip. Jur . Germanici .
(2) Cfr. la mia. Memoria sui viaggiatori Italiani nelle Indie orien-
tali. Firenze, 1867.
198 IL JUS PRIME NOCTIS
negli usi nostri , si fa ordinariamente prete o frate il
figlio di nobile che abbia poca sostanza da eredare. 1
È da notarsi come nell'antica credenza vedica si sup-
poneva che un demonio si nascondesse nella vergine,
il quale ne venisse via col sangue (1) ; è da ricordarsi
ancora come i panni insanguinati si davano al prete,
il quale solo , dicevasi , aveva ancora virtù di purifi-
carli (2) ; quindi si comprenderà , parmi, perchè lo
sposo cedesse volentieri ad altri il suo posto per la
prima notte.
Lo stesso uso viveva ancora in Europa nel medio-
evo; ma quello che , in Asia, facevasi dai preti ,
come per grazia e per mestiere , in Europa si conti-
nuò a fare dai medesimi e dai feudatarii , come per
diritto, finchè la pazienza de' sudditi potè reggere al
sopruso. L'idea di purificare la sposa, essendo scom-
parsa , rimaneva soltanto più la cura di pregustarla ;
gli sposi resi accorti dell' inganno, e riconosciuta la
iniquità della gravezza , si levarono contro i loro ti-
ranni che in parte spensero , in parte obbligarono a
desistere dalle loro nefande pretese, od a convertirle,
almeno, in un tributo di danaro o di doni o di cibi .
Non potendo il signore partecipare al banchetto nu-
ziale, delegava qualche suo servo e due cani (3).
Presso il Du Cange (4), troviamo numerosi esempii
(1) Cfr. l'inno 85.º del 10.0 libro del Rigveda.
(2) Cfr. ib . e il lib. 14.º dell'Atharvaveda , presso gli Indische Stu-
dien di Weber, v.
(3) Cfr. CHÉRUEL. Op. cit.
(4) Op cit. - « Sciendum est (così nelle Leges Scotica, lib. Iv,
cap. 31) quod secundum asisam terræ, quæcumque mulier fuerit,
IL JUS PRIME NOCTIS 199
di feudatarii ed anche di vescovi che si usurparono
nel medio-evo un tale diritto, e si nota pure sull'au-
torità dell'Historia Sabaudiæ, come la stessa consuetu-
sive nobilis , sive servu, sive mercenaria, Marcheta sua erit una
juvenca, vel 3 solidi , et rectum servientis 3 denarii. Et si filia li-
beri sit, et non domini ville, Marcheta sua erit una vacca, vel 6 80-
lidi; et rectum servientis 6 denarii. Item Marcheta filiæ Thani vel
Ogetharii, 2 vaccae vel 12 solidi... Item Marcheta filiæ Comitis, est
Reginae, 12 viccae. » In quem locum sic Skeneus (l'editore delle
Leges Scoticae) : « March equum significat prisca Scotorum lingua.
Hinc deducta metaphora ab equitando, Marcheta mulieris, dicitur
virginalis pudicitiæ prima violatio et delibatio, quæ ab Eveno rege,
dominis capitalibus fuit impie permissa , de omnibus novis nuptis,
prima nuptiarum nocte. Sed et pie à Malcolmo III sublata fuit, et
in hoc capite certo vaccarum numero et quasi pretio redimitur. »
" Nemo (cosi le Leges Hoeli Boni Regis Valliae cap. 21 ) feminam
det viro, antequam de mercede domino reddenda Adejussorem acci-
piat. Puella dicitur esse desertum Regis et ob hoc Regis est de ea
amachyr (pretium virginitatis) habere » - « Scribit præterea vir do-
ctissimus Daniel Pabebrochius ad Vitam S. Foranni Abbatis Wal-
ciodorensis, eam præstationem pro redemptione prime noctis nuptia-
rum a servis glebae exigi etiamnum a praediorum dominis in Belgii,
Frisiae ac Germaniae aliquot tractibus : ad quam etiam consuetu-
dinem referendum illud videtur , quod olim Ambianensis Episcopus
in suos dioecesanos jus sibi competere asserebat, videlicet ut iis qui
noviter nuptias inierant, tribus prioribus noctibus post earum ce-
lebrationem una non liceret, nisi certa pecuniæ summà ei persoluta;
quod quidem (prohibitum Litter. Philippi VI anni 1336 et Caroli VI
ann. 1388) tandem penitus abrogatum fuit Abbavillensium petitione
Aresto Parlamenti Parisiensi 19 Martii anno 1409; nisi forte id ju-
ris sibi arrogarit Episcopus, quod Concilio Carthaginiensi IV, can. 13
« sponsus et sponsa, cum benedictionem acceperint eadem nocte pro
reverentia ipsius benedictionis in virginitate permanere › jubeantur
-
Obtinuit et in Galliis nostris pessima Marchetae consuetudo sub
nomine Cullage vel Culliage, ut in hac voce observat D. De Laurière
in Gloss. juris Gallici ex Instrum. ann. 1507 cap. de Reditu Baro-
niæ S. Martini le Gaillard: “ Item a le dit seigneur (le comte d'Eu)
audit lieu de Saint Martin droit de Cullage quand on se marie . »
Singulare autem factum hoc de re refert Boerius Decis . 297 num. 17 :
« Ego vidi in curia Bituricensi coram Metropolitano processum ap-
pellationis in quo rector seu curatus parochialis prætendebat ex
200 IL JUS PRIMÆ NOCTIS
dine sotto il nome di cazzagio esisteva anche in Pie-
monte. Era mio debito adunque il rintracciare nelle
nostre storie la presenza dell'uso ; ed ecco quanto
pervenni a raccogliere in proposito.
Quello che il Du Cange riferisce da Lattanzio in-
torno a Massimiano Galerio, pregustatore delle vergini
spose, può essere un caso isolato di arbitrio sovrano,
somigliante a quello di re Giovanni d'Aragona, il quale
tuttavia dopo aver desiderata la vergine sposa del conte
di Prata si decise a farla sua legittima moglie (1 ). Ma
ricorda un uso feudale inveterato la lega offensiva e
difensiva fatta dalla comunità di Pergine con la co-
munità e città di Vicenza contro i signori di Castel
di Pergine ed altri loro collegati, nell'anno 1166. Il be-
nemeritissimo delle patrie storie, Tommaso Gar, in una
sua dotta memoria, che gli piacque modestamente inti
consuetudine primam habere carnalem sponsae cognitionem, quæ con-
suetudo fuit annullata, et in emendam condemnatus. Et pariter dici
audivi, et pro certo teneri, nonnullos Vasconiæ dominos habere fa-
cultatem prima nocte nuptiarum suorum subditorum ponendi unam
tibiam nudam ad tatus neogamae cubantis, ant componendi cum ipsis . »
Eamdem hanc consuetudinem extitisse apud Pedemontanos, quam
CAZZAGIO vocabant testis est HISTORIA SABAUDIE . - Huius moris
appendix est quod legitur in Pacto ann. 1318 inter Joan. de Berbigny
dom. de Dercy et habitatores ejusdem villæ ex Reg. 59 Chartoph.
reg. 150: < Se aucuns de mourans en ladite ville de Dercy, il de-
voit et estoit tenut à amener sa famme de au giste en la devant
dite ville de Dercy, la nuit que il s'esposoit, et se famme de Dercy
se marioit à aucun de dehors, elte devoit et estoit tenue à gesir a
Dercy la nuit qu'elle esposoit. » Mi sembra finalmente un resto
del jus primæ noctis il tributo di una moneta d'oro che presso
il Chronicon Poloniæ di Boguphalus , il tedesco , figlio del re ,
reclama da Walther, il robusto che porta via Ildegonda (Helde-
gund) e da quanti altri passeranno con una vergine.
(1) Cfr. BANDELLO, p . terza, nov. 54.ª.
IL JUS PRIME NOCTIS 201
tolare : Episodio del medio-evo trentino (1), lo ha già ri-
levato: « Cotesto stupido e ferino abuso, egli scrive ,
che offende la dignità umana nel sentimento più de-
licato, era stato assunto a quei tempi fra i diritti re-
gali e non solamente si esercitava di fatto o nei casi
più favorevoli redimevasi per danaro , ma figurava
bruttamente anche nel gius pubblico di qualche estra-
neo principato ecclesiastico. »
Quanto al Piemonte, mi aiutano a riscontrarlo al-
cune utili notizie che trovo sparse qua e là in un'opera
di amena ed istruttiva lettura che va pubblicando ad
Ivrea il signor Antonio Bertolotti (2). Le cerimonie
con le quali si compie tuttora il carnevale d'Ivrea,
il più caratteristico fra quelli dell'alta Italia, alludono
evidentemente ad una festa, per la morte di un feu-
datario, che voleva deflorare una vergine sposa, o sia
riserbarsi il jus primae noctis. La tradizione fa del
tiranno un marchese di Monferrato, il quale si rap-
presenta oggi ancora per mezzo d'un fantoccione, che
viene fatto ardere, sovra un terreno zappato, ogni anno,
dai più recenti sposi della parrocchia. Oltre i mar-
chesi di Monferrato, sembrano avere usato del jus
primae noctis, che il popolo oggidi stranamente chiama
il diritto del fodro, forse per esprimere il diritto so-
vrano, il diritto del signore, anche i conti di San Mar-
(1) Trento, 1856 ; il documento, a 'proposito de' diritti abusivi
assunti dal tiranno Gundebaldo e suoi antecessori si esprime
cosi : << Item quod hangarias et honera ab ipso Patre et Avo suis
sibi factis in totum tollantur et cassentur uti sunt... et fruictiones
prime noctis de sponsabus. »
(2) Passeggiate nel Canavese.
202 IL JUS PRIME NOCTIS
tino a Vische, i conti Valperga a Castellamonte , i Tiz-
zoni a Crescentino ed i Biandrate a san Giorgio. Per
i Biandrate mi sembra una prova eloquente l' udire,
per relazione del signor Bertolotti, come nella storia
manoscritta di San Giorgio di Vitale Priè, l'autore ,
segretario comunale, ed anche, per qualche tempo della
stessa casa Biandrate, si adoperi a combattere la tra-
dizione vigente in paese, secondo la quale anche quei
feudatarii si usurpavano il diritto della prima notte.
Il popolo pazienta, ma non dimentica. Quei di Feletto
poi sono oggi ancora canzonati per l'antico barbaro
diritto che pesava sopra di loro, per la tirannide dei
conti di San Martino di Rivarolo; e, pel nome di Feletto,
sebbene filologicamente non sia da tenersene alcun
conto , merita nota l'etimologia che il popolo gli at-
tribuisce da flere, piangere. Le etimologie che il po-
polo trova per i suoi villaggi e le sue città, per quanto
ridicole, rispetto al linguaggio, si attaccano pure quasi
sempre ad una tradizione storica, che ha un valore (1).
Il popolo sostiene che Feletto si chiamò dal pianto,
perchè il feudatario usurpava ai mariti la sposa per
la prima notte ; nè io posso trovar più accettabile
(1) Così, per esempio, è noto che Federico Barbarossa distrusse
Chieri ; il popolo chierese, memore di quel terribile avvenimento
dice che il nome della città proviene dall'avere il Barbarossa,
dopo averla distrutta, esclamato : non sei più chi eri. - La tra-
dizione, perfettamente conforme alla storia, fa discendere An-
nibale dal Cenisio , per Val di Susa, Giaveno, Avigliana. A Gia-
veno il rozzo popolo ritiene che Annibale passando di là abbia
detto in latino jam veni, onde sia venuto il nome della città.
Tali etimologie provano al tempo stesso la ignoranza del po-
polo e la tenacità della sua memoria tradizionale.
IL JUS PRIME NOCTIS 203
l'etimologia del signor Bertolotti, che fa piangere Fe-
letto, per i danni recati dal fiumicello Orco. Io mi
fido assai più , in questo caso, alla tradizione del volgo ,
quantunque persuasissimo che Felectum non abbia niente
di comune con flere. Nella memoria del popolo rima-
neva un triste ricordo che la occupava tutta; per quel
ricordo, volendo spiegarsi la sua origine , non seppe
principiare altrimenti che da esso. Ed a chi consideri
la monotonia della vita ne' villaggi non parrà strano
che vi si rammentino per secoli le violenze patite, per
causa d'insolenti signori , che vennero un giorno a
turbare l'ordine e la pace uniforme delle famiglie .
Le vendette del popolo , quando pure esso riesca
a vendicarsi , proporzionandosi ordinariamente al ri-
cevuto insulto, noi possiamo dalla natura della vendetta
argomentare quella dell' insulto. Molti de' feudatarii
venivano dal popolo indignato offesi ne' genitali ; è
lecito arguire che, per quelli, i tiranni avessero pec-
cato. Un simigliante caso trovo ricordato, come avve-
nuto a Vische , ove i testimonii , secondo gli atti di
quell' archivio comunale , e consultati dalla diligenza
del signor Bertolotti, deponevano per un orrendo sfre-
gio fatto ad una giovine sposa, ed ove il popolo rese
al suo signore la pariglia (1). E, secondo ogni pro-
(1) « Posuerunt, ut vidi, bigliam unam iu foramine culi per vim
Joanninae De Rege, et ipsam per vim nudam ire et deambulare fa-
ciebant per locum Vischarum ponendo ignem in vulvam ipsius . » I
popolani di. Vische alla loro volta " illustrem Dominum Jacobum
nihilomine suspicantem, dum venaretur armata manu circonvenerunt
et multis illatis vulneribus misere occidunt et quod inauditum est
et calamum a scribendo estrahit ob atrocitatem rei, membrum ejus
virile abscindunt et in os inserunt. »
204 IL JUS PRIME NOCTIS
1
babilità, la rivolta canavesana detta il tuchinaggio o
tusinaggio (1), che quanto ci rimane ancora oscura ,
tanto merita di venire illustrata, ebbe principio dalla
stancata pazienza de' mariti, sebbene più cause abbiano
forse contribuito a riscaldarla. Chè, se la mediazione
di Amedeo VI e VII di Savoia, salvò dall' ira popolare
molti signori , non consta che , sopita la ribellione,
(1) Il solo che, a mia notizia, abbia discorso un po' lunga-
mente del tusinaggio è il Durandi (Della Marca d'Ivrea. Torino, 1804,
p. 118, 119) ; ma non ha di certo risoluta la questione, che me-
riterebbe, ci sembra di fermare l'attenzione speciale di alcuno
tra i più sapienti investigatori delle nostre storie. Ecco in quali
termini il Durandi si esprime : Alla relazione de Bello Canepi-
« ciano, che Pietro Azario fini di scrivere nel gennaio del 1363 ,
<<< si potrebbero aggiugnere altri accidenti occorsi di poi, se
<<< stesse bene continuar la storia degli orsi e delle tigri. Ma le
<<<popolazioni del Canavese stanche di soffrire, fecero alla fine
<< ciò che pur sogliono far i popoli stracchi e angarieggiati da
<<<troppe gravezze, ruppero ogni freno e si concertarono insieme
<<<per resistere ai loro signoretti e spegnerli. Dinominarono tu-
<< sinaggio cotesta loro unione o lega e tusino o tuchino ciascun
<<< de' collegati . Intendeano d'indicar con siffatto nome una sola
<< volontà în tutti di scuotere il giogo e vendicarsi . Assai ucci-
<<< sioni vi seguirono, e mali gravissimi . Il conte di Savoia s'in-
<< terpose più volte tra il popolo e que' nobili e con la generosa
<<<sua moderazione gli riuscì di metterli d'accordo massima-
<<<mente nel 1385. Ma coloro poi ritornavano ad affliggere il po-
<< polo e ne' primi anni del secolo decimoquinto, e n'era fre-
<<<schissima la memoria di quello, allorchè in un contratto di
<<< affrancamento a pro de' terrazzani d'Agliè de' 20 giugno 1423
<<< si scrivea che « Tempora dicti tusinaggii omnes homines Cana-
pitii erant multum dominis rebelles, et dominos suos tradiderant
oblivioni, nec in servitiis eorum dominorum ambulabant, sed potius
in destructionem personarum et bonorum. » « Da più altri documenti
<< di quella età ho pur raccolto che il mentovato tusinaggio ve-
<<<niva a dire una cospirazione di tutti i popolani contro de'
<<<feudatari dirizzata a liberarsi da mille gravezze e molestie, e
<<< a distrugger quelli ed usurparné i beni , per rifarsi de' mali
<<< insino allora patiti. Ma non è chiaro donde cotal nome de-
< rivi ... »
IL PARANINFO E LA PRONUBA 205
siansi dai signori rinnovati gli scandali antichi ; ed i
San Martino e i Tizzoni di Vische e Crescentino che
sul principio del secolo decimosesto, probabilmente il
tentarono, fecero misera fine tra le mani del popolo
risollevato .
IV.
Il paraninfo e la pronuba.
Il paraninfo assiste lo sposo , la pronuba la sposa.
Il paraninfo è spesso una sola cosa col compare (cum
patre) e procolo, per lo più, o il padre dello sposo, o
un vecchio suo parente , o il prete ; la pronuba , che
adempie spesso gli ufficii della comare (cum matre) e
mezzana è per lo più una suocera od una vecchia pa-
rente. Stando cosi le cose , non è meraviglia che gli
sposi sopportino testimonii al compimento delle loro
nozze ; sono padri e maestri, madri e consigliere, non
già indiscreti curiosi i loro assistenti. Gli inni vedici
ci lasciano vedere chiaramente come il prete guidasse
gli sposi inesperti fino all'ultimo ; e il prete francese
che nel medio evo benediceva ancora il letto nuziale,
e il malossé o mezzano vogherese che riceve tuttora
in dono una camicia , ricordano, parmi, il dono delle
camicie che gli sposi dell' età vedica rilasciavano al
loro assistente presso il talamo, e l'uso germanico, che
il Weber (1) cita dal Weinhold , per cui allo sposo ,
l'indomani delle nozze , sono messi innanzi al letto
abiti nuovi .
(1) Op. cit., V.
206 GLI SPOSI SOLI
Dagli usi italici non pare che siasi mai ricevuto fra
noi il testimonio maschio ad assistere gli sposi sul
talamo, nè forse alcuna donna; Catullo dice soltanto
alle donne : collocate puellulam; dopo il che sembra la
pronuba si ritirasse. Cosi la pronuba turca è man-
data via dagli stessi sposi , quando loro paia di non
avere più bisogno di lei.
Nell' uso odierno italiano , la pronuba è una delle
suocere ; essa tuttavia , mentre la romana innanzi di
guidarla al lectus genialis, sparso di rose , faceva se-
dere la sposa sul fallo d'un Priapo (1), si contenta
di allestire il letto , spogliare la sposa , dare consigli
di moderazione e spegnere modestamente il lume.
Nell'Arpinate, anzi, il padre e la madre dello sposo
vanno primi a letto, e dal letto ricevono gli sposi; e
dato loro il permesso di dormire insieme, li lasciano
andar liberi e soli al nido .
V.
Gli sposi soli.
Alfine! -
Ma essi devono stare attenti al letto. A
Pernate , nel Novarese , è costume che la compagnia
nuziale , prima d'andarsene, salti sopra il letto degli
sposi e lo guasti. Nel Canavese, usano assodarlo e ren-
derlo scomodo col mettere sotto i lenzuoli e i mate-
(1) Cfr . SANT'AGOSTINO. De Civitate dei, VII: Sed quid hic
dicam ? cum ibi sit et Priapus nimis masculus ; super cujus imma-
nissimum fascinum sedere nova nupta jubebatur , more honestissimo
ac religiosissimo matronarum » .
EPITALAΜΙΟ 207
rassi patate, rape , pannocchie di meliga. Assicuratisi
del letto, devono guardare al solaio, se questo sia di
legno ; poichè , in quella notte ci ha da piovere ; la
brigata, a Quassolo, nell'alto Canavese, prepara, quando
può, agli sposi una simile sorpresa ; e se il solaio non
è di legno , gli sposi devono turarsi gli orecchi , per
non udire il suono di pifferi e tamburi che si farà
sotto le loro finestre , per non lasciarli aver pace. È
una rozza reminiscenza dell'antico epitalamio ,
VI.
Epitalamio.
Dopo che la sposa ha mangiato la sua mela codo-
gna , secondo il precetto di Solone (1), dopo che la
sposa ha battuto lo sposo, col ramo di ulivo benedetto,
secondo il rito andaluso (2), dopo che gli sposi hanno
spenti i lumi , non resta a noi altri che unirci alla
lieta brigata, che fuori della porta, o per non lasciarli
dormire, o per coprirne lo strepito che si suppone
vogliano fare, o per impedire che le compagne inten-
(1) Presso Plutarco.
(2) Cfr. CABALLERO, op. cit. , cuento della Suegra del diablo :
<<Cuando los novios se iban a retirar a la camara nupcial, llamò
<<< la tia Holofernes a su hija y la dijo : Cuando estàn Vds. re-
<<< cogidos en su aposento, cierra bien todas las puertas y ven-
<< tanas ; tapa todas las rendijas, y no dejes sin tapar sino unica-
<<<mente el agujero de la llave. - Toma en seguida una rama de
<<< olivo bendito, y ponte a pegar con ella a tu marido hasta que
<< yo te avise ; esta cerimonia es de cajon en todas las BODAS y
<< significa que en la alcoba manda la mujer ».
208 EPITALAΜΙΟ
dano il grido della vergine che passa , ha già intuo-
nato il libero epitalamio : 1
Su, giovinetti, ai ludi
D'amor ! su, a chi più sudi ;
Come colombe, al murmure ;
Com'edera, ai tenaci
Amplessi ; e conche, ai baci (1).
Il di più che si può dire, si può anche meglio che
dire, immaginare (2).
(1) Questo è l'epitalamio di Gallieno, presso Trebellio Pollione ,
tra gli Scriptores historiæ Augusta : « Fuit autem Gallienus (quod
negari non potest) oratione, poemate atque omnibus artibus clarus.
Huius est illud epithalamium, quod inter centum poetas precipuum
fuit . Nam quum fratrum suorum filios coniugaret, et omnes poetæ
græci latinique epithalamia dixissent, idque per dies plurinos, quum
ille manus sponsorum teneret, ut quidam dicunt, sæpius ita dixisse
fertur :
Ite, ait, o pueri, pariter sudate medullis
Omnibus inter vos : non murmura vestra columbae,
Brachia non hederae, non vincant oscula conchae .
(2) Gli eleganti Fescennini di Claudiano, per le nozze di Onorio
imperatore con Maria, possono essere un saggio dell'arditissimo
genere di poesia :
Et labris animam conc liantibus,
Alternum rapiat somnus anhelitum.
Amplexu calcat purpura regio :
Et vestes Tyrio sanguine fulgidas
Alter virgineus nobilitet cruor .
Tum victor madido prosilias toro,
Nocturni referens vulnera praelii.
Ducant pervigiles carmina tibiae,
Permissisque iocis turba licentior
Exultet, tetricis libera legibus.
Passim cum ducibus ludite, milites ;
Passim cum pueris ludite, virgines .
IL GIORNO DOPO 209
VII .
Il giorno dopo.
Gli sposi essendo cosi definitivamente fatti (1) il
giorno dopo, la madre dello sposo arriva , nel Paler-
mitano , col cioccolatto , per ridar le forze agli sposi.
La sposa presenta alla suocera i panni insanguinati, af-
finchè ella riceva una soddisfazione , o sia si convinca
che la sposa era novizia ; e le due suocere, al primo
loro incontro, si mostrano, con reciproci rallegramenti,
gli stessi panni. L'uso è antico e sparso non pure tra
gli Indo-Europei , ma anche tra i Semiti e gli Egizii.
Il marchese Orazio Antinori mi assicura d'aver visto
l'indomani della consumazione d'un matrimonio, a Ma-
ratona, in Grecia, spiegati sulla finestra della camera
nuziale, i panni insanguinati. Nella Piccola Russia que-
sti venivano portati processionalmente pel villaggio ; e
da pochi anni soltanto vennero sostituiti da una sim-
bolica bandiera rossa, come può rilevarsi da un qua-
dro di Sukoloff, che rappresenta una festa nuziale. Se
la pubblica allegrezza per la sposa deflorata è tanta ,
non può recar meraviglia che lo sposo abbia potuto
per la contentezza della trovata e tolta verginità , dare
talora in premio alla sposa tutta o quasi la sua for-
tuna. Questa liberalità dello sposo chiamavasi col nome
(1) Meritano, in proposito, di venire ricordati due proverbiite-
deschi ed uno francese. I primi dicono : « Ist das Bett beschritten,
so ist das Recht erstritten » e « Wenn die Decke über dem Kopf ist,
so sind die Ehegatten gleich reich " ; e nei Coutumes francesi :
« au coucher gagne la femme son douaire » .
DE GUBERNATIS.. 14
210 IL GIORNO DOPO
di morgincap o morgengabe o dono del mattino, poichè
nel mattino che succedeva alla notte del consumato
matrimonio soleva, nel medio evo, lo sposo germanico,
spogliarsi di una parte delle sue sostanze , in favore
della fanciulla ch'egli avea fatto diventar donna. Nel
codice dell'imperator Lodovico (XII , 134) il morgengabe
è definito « un regalo fatto alla donna pel massimo
de' pregi ch' ella abbia ricevuto da Dio (1) » e di cui
ella fa sacrificio al marito. Il diritto Longobardico (2)
stabilisce già tuttavia che il regalo dello sposo non
possa eccedere la quarta parte del suo avere ; ma che
l'ordine fosse male osservato si può rilevare dalla ven-
tesima dissertazione del Muratori (3) e dalla preoccu-
pazione di quasi tutti i nostri Statuti comunali per
impedire le eccessive donazioni per parte de' mariti.
Che l'uso poi non fosse esclusivamente germanico, ci
consta dal sapere come la sposa greca, dopo la prima
notte nuziale (νυζμυστική) fosse pure , oltre che dai pa-
renti , come negli usi nostri , generosamente regalata
dal marito .
La sposa indiana, dopo la prima notte, per dieci giorni
non usciva dalla casa maritale; la sposa nostra, gene-
(1) Cfr. MITTERMAIER, Op. cit.
(2) Cfr . Edicta Regum Longobardorum, ed. Baudi di Vesme, e par-
ticolarmente l'editto di Luitprando, art. 7.0 « Si quis Longobardus
morgincap conjogi suæ dare voluerit quando eam sibi in coniugio
sociaverit, ita decernimus , ut alia die ante parentes et amicos suos
ostendat per scriptum a testibus rovoratun , et dicat, quia ECCE
QUOD CONJUGI MEÆ MORGINCAP DEDI, ut in futuro pro hac causa
perjurio non percurrat. Ipsum autem morgincap nolamus ut amplius
sit, nisi quarta pars de ejus substantia qui ipsum morgincap fecit. "
(3) Ont. It., De actibus mulierum.
IL GIORNO DOPO 211
ralmente, vi si trattiene per otto ; il pudore la nasconde
alle ciarle indiscrete del mondo , il pudore, per rispetto
al quale lo sposo del Lagomaggiore è sollecito ad al-
zarsi il mattino per levare i puntelli che la brigata ,
volendo far vergogna alla sposa, pose nella notte alla
casa , come se il ludus Veneris , per troppa energia ,
avesse potuto farla crollare. L'antica formola indiana
invita la sposa a salire lieta sul talamo, ma a destarsi
col primo raggio del mattino ; e questa è pure la sol-
lecitudine continua delle spose pudiche e prudenti ; ma
la brigata maligna non lo permette sempre. Nel Tren-
tino essa ha cura di mettere assi alle finestre o di
chiuderne le esterne imposte, affinchè il primo raggio
del mattino indicato dal poeta indiano non risvegli gli
sposi, e la vergogna li sorprenda quando accade che
fra le risate del volgo si levino a giorno avanzato. Così
nemmeno la luna di miele, che è pur tanto invidiata
e tanto fuggitiva , può dirsi priva delle sue amarezze ;
le cure della fanciulla non son finite ; quelle della
donna hanno già principiato ; e, fra le une e le altre ,
si agitano speranze miste di timori, ed illusioni piene
di disinganni. La giovine sposa ha sempre fretta di
divenir madre per togliersi a tanta smaniosa incer-
tezza ; così all' uccello non sembra mai suo il nido ,
finch' esso non vi abbia covata , nudrita e addestrata
al volo una novella prole.
LIBRO QUARTO
LE NUOVE NOZZE .
I.
Quando le nozze vanno a monte.
Vi sono tre casi di nuove nozze; il primo, per causa
di rifiuto e divorzio, il secondo, per causa di morte,
il terzo, per causa di vecchiaia. Ne' due primi casi vi
è separazione, nel terzo, confermazione degli sposi.
Il rifiuto suppone la suprema autorità nel marito ,
che rinvia la moglie, il divorzio suppone una separa-
razione consentita tra le due parti , che non si ac-
cordano. Ma diverse le cerimonie, se le nozze vanno
a monte innanzi di essere consacrate o dopo la loro
consecrazione. In Germania allo sposo o alla sposa in
fallimento si dava un corbello vuoto; in Piccola Russia,
una zucca, equivalente a cosa vuota, e in Francia noc-
ciuole, per indicar forse al pretendente o alla fanciulla
respinta che per loro è ancora tempo da inezie in-
fantili, come il marito romano spargeva ai fanciulli le
noci, per significare com'egli rinunciava ai loro giuo-
chi (1). In Toscana, d'uno sposo fallito si dice ch'egli
(1) L'uso invece delle nocciuole nella valle d'Andorno citato
al sesto capitolo del primo libro sembra invece contenere un
opposto significato. Cfr. pure una nota del nono capitolo nel
primo libro.
214 QUANDO LE NOZZE VANNO A MONTE
ebbe la stincata o gambata, presso il Lagomaggiore,
ch'egli ha preso la tela del sacco (1) , nel Canavese
ch'egli ha cavato un ceppo (2) o che venne buttato giù .
Essendosi poi anticipato dallo sposo qualche pegno od
arra, si restituisce o si ritiene secondo l'uso romano (3)
e statutario (4), per rispetto alla colpabilità del disertore .
Per quasi tutta l'Italia, poi, corre l'uso di spargere
crusca o segatura o cenere fra la casa della chiesta
fanciulla e quella dello sposo fallito, come a dimostrare
ch'egli fece una cosa inutile, o sia come si dice, un
buco nell' acqua. Per ragione analoga , in Germania,
si sparge la via di paglia trita alla fanciulla che, re-
candosi a marito, non si trova più vergine (5) .
(1) Tolt sü el drapún, ossia preso il sacco vuoto, o sia che fu
messo nel sacco .
(2) Cfr. l'uso abbruzzese del chiedere la sposa, per mezzo d'un
серро . А Сеppo di Natale, come ho già avvertito, incominciano
generalmente tra noi a fervere gli amori che conducono a nozze.
(3) Cfr. Hotmann, Op. cit. « Quod, si a pactione sponsus et sponsa
discederent, repudiumquefieret, multabatur is qui causam praebuerat;
si sponsa, arrhas in duplum reddere debebat ; si sponsus, non re-
petebat ... Quod si neuter præbuisset causam dissolvendorum spon-
saliorum, cessabat huiusmodi pæna " .
(4) Cfr. Sanctionum ac provisionum inclitæ civitatis studiorumque
matris Bononiæ, t . II , Bononiæ 1569 ‹ statuimus et ordinamus quod
aliquis vel aliqui dictorum patrum, fratrum, patruorum et aliorum
auctoritatem seu curam vel gubernationem habentium domicellaram
postquam in sponsas promiserint , seu destinaverint, non audeant
vel præsumant ipsas alicui alteri in sponsas promittere vel destinare
vel in matrimonio collocare , sub pœna cuilibet prædictorum con-
trafacienti ducentarum librarum Bon. in quam ipso iure et facto in-
currant . »
(5) Cfr. KUHN N. SCHWARZ, Op. cit.
NOZZE DI VEDOVE 215
II.
Nozze di vedove .
La moglie ripudiata o che separavasi dal marito
soleva restituirgli le chiavi dal marito confidatele, sim-
bolo di domestico dominio (1). Il marito nella casa è so-
vrano, e a lui spetta il diritto di perdonare e di pu-
nire ; quindi allora che, per caso, la moglie battesse
lui, o lo picchiasse , egli viene sottoposto alla pena
dell'asino, o sia a cavalcare un asino con la faccia
rivolta verso la coda di esso, la quale, svergognato ,
egli deve pure tenere in mano (2). Una pena simile
fu, non ha molto ancora, inflitta nella valle di Stura ad
un marito che si lasciava picchiare dalla propria
moglie (3) .
(1) CHÉRUEL, Op. cit.
(2) Cfr. DU CANGE, Op. ed. cit., s. v. Asinus .
(3) Per relazione del prof. Cr. Baggiolini. - E, a motivo della
sua singolarità, riferirò pure l'aneddoto di un marito piemontese
che la moglie avea battuto in pubblico. Nel 1858, alla Chiusa
di Cuneo, certo M. , per soprannome B. , panattiere , si lasciò
pubblicamente schiaffeggiare dalla moglie. I comuni di Chiusa ,
Peveragno , Beinette e Boves danno ricetto ad una società di
cenciosi, per appartenere alla quale, ognuno deve provare di non
avere alcuna camicia, che il cappello sia bucato in quattro punti
almeno, i calzoni e l'abito a più repezzi di colori diversi, e che
siano privi del necessario per campare . Questa società , che ha
i suoi statuti e un proprio capo addimandato il re e residente
a Boves , capitando qualche caso di cui facciano cenno i suoi
statuti, e quello sopra descritto ne è uno , si raduna tutta nel
paese dove il caso avvenne. Nel 1858, si portarono essi pertanto
alla Chiusa , in numero di circa quattrocento , sulla piazza del
Pallone, e vi si accamparono e attendarono colle loro marmitte.
Allora il re, dopo averli arringati, li invito a fare il debito loro,
216 NOZZE DI VEDOVE
Ma non basta : muore il marito : e la casa deve farsi
deserta; e la moglie ha da seguirlo nella tomba: la
moglie che sopravvive, sopravvive soltanto per la sua
infamia, e la vedova che si rimarita viene dai testi-
monii dello scandalo perseguitata. Questo è, pur troppo ,
l'uso indo-europeo diventato barbaro. Ora con tale uso,
che trasse certamente le prime origini da un senti-
mento lodevole, non reca meraviglia il racconto delle
migliaia e de' milioni forse di vedove indiane che pe-
rirono miseramente sul rogo , per scellerato impulso
di que' sacerdoti, i quali convertirono l'uso eccessivo
in un comandamento religioso , affidati a certe mo-
struose apparenze del mito. In Grecia , lo sposo non
si degnava di menare esso stesso la vedova; se la
faceva, in vece, condurre da un amico, o parente, il
· νυμφαγωγός. A Roma, nessuna cerimonia si compieva pel
matrimonio delle vedove. In Germania , oltre alla pa-
glia trita che si spargeva e si sparge per la via per-
corsa dalla vedova sposa, pretendevasi pure in qualche
luogo, dai parenti del primo sposo un' ammenda in
danaro (1 ) ; in Francia usava il barbaro charivari (2),
chiudere cioè, prima, la bottega del M. , apporvi i sigilli ed in-
nalzarvi davanti come una barricata di letame. Messe poi le
guardie, perchè non fosse distrutta l'opera loro, gli altri si fa-
cevano regalare dagli abitanti il vitto, promettendo restituzione.
Ma questa non venne mai, ed il M. , dopo otto giorni d'inferno,
non aiutato punto dalla polizia, che, per rispetto alle consuetu-
dini , lascia fare, dovette discendere a patti col re , sborsargli
una grossa somma di danaro , e consegnargli molti ettolitri di
grano e di vino, senza del che non avrebbe potuto liberarsi. »
Per relazione di mio fratello Luigi, in quegli anni, esattore alla
Chiusa.
(1) Cfr. MITTERMAIER, Op. cit.
(2) Cfr. CHÉRUEL, Op. cit. Vi si cita pure il caso di Carlo V
NOZZE DI VEDOVE 217
di cui il solo nome vi si conservò ; in Italia, sotto il
nome di scampanata (Toscana) o tucca (Pesaro) o facio-
reso (Novi), vive ancor la cosa, per rimediare forse
alla quale, od allo scandalo supposto nel matrimonio
delle vedove , a Perugia, secondo Angelo Degli Ubaldi,
giureconsulto del secolo decimoquinto , le vedove si
sposavano solamente di notte. Era antichissima opi-
nione in Italia che l'anima dell' estinto marito dovea
rattristarsi per le nuove nozze della vedova già sua
sposa (1) ; il titolo di univira, che troviamo dato nelle
antiche iscrizioni alle mogli d'un solo marito, era, di
certo, per ragione di encomio (2) ; e le penitenze che
i sacerdoti de' primi secoli cristiani imponevano alle
vedove che si rimaritavano mostrano che la chiesa
stessa cristiana le disapprovava (3). Nel Napoletano la
che prese parte ad uno di tali baccani nel 1392 , e , per la pece
che aveva addosso, corse rischio di bruciar vivo. Del charivari,
o chiarivarium , chalvaricum francese così parlavano (presso il
Du Cange, Op. cit.) , gli Statuti Sinodali della Chiesa d'Avignone
nel 1337 : « Cum sponsæ ad eorum traducuntur hospitia de ipsorum
domibus bona more prædonum rapiunt violenter, pro quibus pecunia-
rias ab invitis redentiones extorquent , quas expendunt in scurrili-
tatibus et comessationibus inhonestis , quae Malprosiech damnabi-
liter appellant... faciunt ludos obnoxios, quos ut eorum verbis contra
honestatis labia utamur in placidis nominant Chalvaricum » « Qui
dum contingit viros aut mulieres ad secunda vota pertransire et
matrimonialiter conjungi, et dum in Ecclesiis matrimonia fidelium
et benedictiones nubentium celebrantur sponsum et sponsam circum-
stantes vociferando percutiunt... quod ipsi tales derisores, raptores
divini, perturbatores officii et sacramentorum officia contemnentes,
Chalvaritum in vulgari facientes seu fieri procurantes, a prædictis
excessibus penitus et omnino desistant sub pœna excommunicationis » .
( 1 ) Cfr . MURATORI, Op. cit.
(2) Cfr. MARTIGNY, Op . cit.
(3) Cfr. FLEURY, Les moeurs chrétiens .
218 NOZZE DI VEDOVE
vedova dovea tagliarsi i capelli , e farne sacrificio al
marito estinto ; ed oggi , ancora, a Mineo, in Sicilia ,
essa deve andare alla chiesa coi capelli arruffati (1 ) .
Cosi la chiesa segue le superstizioni e le feconda con
novello apparato; le superstizioni secondate menano
quindi allo scandalo ; la chiesa allora interviene per
farlo cessare ; ma nè il suo veto, nè quello di alcuni
Statuti comunali (2), valsero a far cessare l'indecente
abuso che la inerte indifferenza de ' governi italiani ha
fino a' di nostri tollerato . Esso disturba tuttora molte
nozze di vedove nelle campagne del Vercellese , di
Cuneo e di Pinerolo in Piemonte, di Novi Ligure, della
Valtellina, del Comasco, del Trentino, del Pistoiese, del
Pesarese, dell' Umbria e dell'Abruzzese teramano ; dura
spesso tre sere, e non ha limite, e cagiona talora av-
venimenti assai luttuosi, se gli sposi non si affrettano
a placare l'insolente brigata, invitandola a copiose ed
elette libazioni, e licenziandola quindi con volto festivo
e quasi riconoscente. Il volgo è una bestia selvaggia
(1) Ma, al ritorno, tre amiche comari l'attendono ; l' una di-
stende e liscia i capelli, un' altra li intreccia, la terza li annoda
e fa su.
(2) Cfr. gli Statuti di Gallese , lib. II , Gallese 1576. " Volendo
« noi obviare a molti scandali e romori che potrebbono nascere
" per il far delle travate e scampanate alle vedove statuimo et
" generalmente ordinamo che nessuno tanto Gallesano come
" anche forestiero di qual si vogli grado o conditione ardischi
" sotto qual si voglia pretesto far campanate , ne travate alle
" vedove o vedovi che si rimaritano nella nostra Città di Gal-
" lese nè tanpoco alle case loro farci alcuno impedimento, sotto
" la pena di scudi tre per chiasche persona e volta, non ostante
« altro abuso che in contrario de questo per l'addietro fosse
stato tollerato " .
NOZZE D'ARGENTO E NOZZE D'ORO 219
che non rinuncia agevolmente alle sue vecchie abitu-
dini ; e quella delle scampanate per le vedove è una
tra le più bestiali.
III.
Nozze d'argento e nozze d'oro.
Di argento si chiamano in Russia le nozze che si
rinnovano da sposi vissuti insieme d'accordo per ven-
ticinque anni ; d'oro le seconde nozze degli sposi ,
dopo cinquant'anni di felice unione.
Queste ultime , per essere più rare , riescono pure
più commoventi .
Esse si usano anche in Piemonte, ove la cerimonia
principale consiste nell'andata in chiesa.
Procedono a due a due , e la processione viene
aperta dai due bambini più piccoli dell'ultima gene-
razione ; seguono gli altri , per ordine di età, fino ai
due vecchi che la chiudono .
Il prete benedice le nozze , ma naturalmente non
dà più l'anello, per la stessa ragione che non permette
di ridarlo alle vedove. Si torna dalla chiesa nello stesso
ordine con cui vi si è andati , e i parenti si raccol-
gono a banchetto intorno ai loro due vecchi ; si mangia,
si beve e si ride più che la gravezza degli anni ai due
vecchi non conceda ; e si balla anche , aprendosi e
rinnovandosi dai vecchi sposi le danze antiche. Ma la
troppa allegrezza , ne' vecchi , fa paura ; l'indomani
220 NOZZE D'ARGENTO E NOZZE D'ORO
della festa è spesso giorno di lutto , e, con lo stesso
ordine, la medesima comitiva ritorna spesso alla chiesa ;
ma nessuno più ride ; le nozze d'oro hanno lasciato
ai vivi un'eredità di lugubri gramaglie, simili a quelle
del sole che indossa i suoi abiti più belli, quando ,
dal remoto occidente , lancia alla terra l'ultimo suo
sorriso .
FINE .
INDICE
PREFAZIONE Pag . V
INNANZI DI ENTRARE IN MATERIA
SCOPO DEL MATRIMΟΝΙΟ > 13
LIBRO PRIMO
Prima delle nozze
I. Mentre la fanciulla è bambina » 17
II . Mentre la fanciulla cresce » ivi
III . Pronostici • » 23
IV. Come si fa l'amore » 32
V. Il messaggiero d'amore • » 48
VI. Il matrimonio per libera elezione > 50
VII. Gli sposi si provano • • > 56
VIII . L'autorità del padre e del fratello nelle nozze > 63
IX. Nozze per ordine superiore » 66
X. Nozze per procura > 70
XI. Monogamia, poligamia e poliandria > 71
XII. Nozze fra parenti > 76
XIII . Come la fanciulla si domanda . • > 82
XIV. La sposa si accaparra • • • > 93
XV. Ricambio di doni nuziali . • » 95
XVI . La dote • . • > 104
XVII . Il corredo • > 110
XVIII. Mentre la sposa si prepara • • > 117
XIX. Il bagno ; la sposa si veste • » 121
LIBRO SECONDO
Le nozze
1. Come sono vestiti gli sposi • > 127
II. Lo sposo arriva > 130
III. Il pianto della sposa . > 135
IV. Prima delle sacre funzioni . > 137
V. Gli sposi incoronati • • . > 141
222 INDICE
VI . Gli sposi velati • •
Pag. » 143
VII. Il tappeto degli sposi. • > 146
VIII. Gli sposi inanellati > 147
IX. Comunione di cibi e di bevande » 148
X. Intorno all'altare. • • > 150
XI . Ove le nozze si celebrano. • > 151
XII. La parte del prete • > 153
XIII. Augurii di fecondità alla sposa > 156
XIV. Allegrezze perchè si fa la sposa » 158
XV. Il rapimento della sposa » 161
XVI. Il serraglio • • • » 164
XVII . Per istrada • » 169
XVIII . Danze nuziali • » 170
XIX. Sulla soglia > 173
XX . La suocera • » 175
XXI . Il dominio della sposa » 179
XXII . Cibi e banchetti nuziali » 180
LIBRO TERZO
Il matrimonio si consuma
I. Si prendono gli augurii » 189
II . Giorni per le nozze e loro durata • » 192
III. Il jus primæ noctis •
> 197
IV. Il paraninfo e la pronuba. > 205
V. Gli sposi soli • > 206
VI . Epitalamio • • > 207
VII. Il giorno dopo •
> 209
LIBRO QUARTO
Le nuove nozze
I. Quando le nozze vanno a monte • • • > 213
II. Nozze di vedove . : » 215
III . Nozze d'argento e nozze d'oro. • •
> 219
-
Bibl
io
१
E.
NAPO
LI
Naz
ion
575039
1
[
Legatoria IERVOLINO
Via Margherita di Savoia, 10
S. GIORGIO a CREMANO (Napoli)