INTORNO ALLA CATTEDRALE DI AVERSA: CULTO LOCALE TRA NORMANNI E PAPATO
Author(s): Stefano Borsi
Source: Archivum Historiae Pontificiae , 2000, Vol. 38 (2000), pp. 15-21
Published by: GBPress- Gregorian Biblical Press
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/23564679
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Stefano Borsi
INTORNO ALLA CATTEDRALE DI AVERSA:
CULTO LOCALE TRA NORMANNI E PAPATO
Per la storia dell'architettura medievale il duomo di Aversa riveste un
ruolo di assoluto rilievo, in parte ormai riconosciuto dalla critica ma a
prezzo di molte incertezze. Numerose, infatti, restano le questioni irri
solte. È il caso di svolgere alcune considerazioni generali per meglio
inquadrare il problema, in attesa dei necessari approfondimenti. Spe
cialmente il significato attribuito alla nuova fabbrica merita particolare
attenzione. La singolarità della cattedrale aversana sta nella scelta, inno
vativa per l'Italia meridionale, di un ampio deambulatorio semicircolare
a cappelle radiali equivalenti (che in origine erano cinque), secondo il
tipico schema a carolle esperito con successo sul suolo francese. Con
durrebbe lontano approfondire l'origine e lo sviluppo di tale soluzione,
in genere legata a grandi chiese di pellegrinaggio, ο interrogarsi sui suoi
rapporti di più ο meno diretta derivazione dalla tradizione carolingia
delle cripte semianulari. Restringiamo pertanto le nostre considerazioni
all'ambito regionale. Aversa, è noto, è una città che deve la sua «fortu
na» medievale alla precoce istituzione della sede comitale normanna,
formalizzata nel 1030. La cittadina conosce una crescita rapida almeno
sino al 1140-1150, e già nel 1053 la classe dirigente normanna riesce a
ottenere la sede episcopale. L'antefatto è noto: i normanni devono fron
teggiare l'ostilità di papa Leone IX, sconfiggono l'armata pontificia a
Civitate sul Fortore, conducono il papa in una sorta di cautelata e ri
spettosa cattività a Benevento, ne implorano il perdono e si riconciliano,
a fine anno, con la Santa Sede. Un coup de théâtre che è un'abile mossa
politica, più volte sottolineata dagli storici. Essa getta le basi per una se
rie di incalcolabili conseguenze. È evidente che ognuna delle due parti
vi ha visto la propria convenienza. Ratificati a Melfi, altra piazzaforte
della penetrazione normanna nel Mezzogiorno, i patti prevedono il tra
sferimento del titolo episcopale dall'ormai spopolata Atella (e da Liter
num) alla nuova sede. È definitivamente istituzionalizzata, coll'assenso
dell'autorità ecclesiastica, la grande ridistribuzione demografica messa
in atto dall'insediamento normanno. Per il comes e i suoi barones nor
manni è la chiara testimonianza della consapevole aspirazione della
comunità alla dignità di civitas, secondo un principio ben espresso due
secoli dopo da Jacopo da Varagine: «civitas non dicitur nisi episcopali
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16 STEFANO BORSI
sede decoratur»1. Non
lo stimolo ο anche sol
munità normannno-aversana si è data un suo pastore e mira ad ac
crescere il prestigio cittadino attraverso strumenti collaudati: tra questi
l'edificazione di una nuova, imponente cattedrale è uno dei più vistosi.
È anche una sorta di pegno, offerto al pontefice in segno di riconcilia
zione. Secondo gli accordi di Melfi, il vescovo (normanno) di Aversa
dipenderà direttamente da Roma: si vuole accortamente evitare lo scon
tro con la sede metropolitana di Capua, con tutti i rischi di secolariz
zazione e strumentalizzazione politica comportati dal tradizionale re
clutamento dei vescovi capuani dalla famiglia dei principi longobardi
della città. È difficile stabilire se si tratti effettivamente del termine post
quem ο se i normanni non abbiano in qualche modo forzato la mano a
papa Leone imponendo il riconoscimento di uno stato di fatto: atteggia
menti indipendenti, da vera e propria «teocrazia ducale», non saranno
estranei alle pratiche della Normandia dell'XI secolo. In ogni caso la
data 1053 è difficilmente aggirabile nella ricostruzione della vicenda.
Sono anni importanti anche per il cenobio di Montecassino, la cui enor
me influenza sulla vita religiosa, e non solo, in Campania è superfluo
sottolineare. Nel 1057 l'abate, ovvero il duca Federico di Lorena, diviene
papa col nome di Stefano X. Già la sua rapida ascesa in seno all'ordine
era un segnale che implicava il chiaro indebolimento della componente
longobarda all'interno del monastero, che rafforzava invece la sua di
mensione sovranazionale (vista, ovviamente, coll'ottica di oggi). La ri
percussione immediata dell'elezione di Federico sul piano liturgico non
si dovrà attendere a lungo, coll'introduzione di forme d'origine transal
pina in sostituzione di quelle, consolidate da generazioni, cassinesi-be
neventane. La Langobardia minor è investita dall'imposizione del rituale
franco-romano. Il momento è dunque particolarmente favorevole per un
edificio nettamente francofono come il rinnovato duomo normanno di
Aversa. La sua novità d'impianto è altamente programmatica, ponendos
nella regione come un'architettura volutamente autre. Apertamente
esibito infatti il distinguo dalle sedi vicine di Capua, Napoli e Benevento
Nel giro di pochi anni la situazione si ripeterà con la cattedrale di Ace
renza, altra diocesi normanna di fresca istituzione, concorrenziale con
la longobarda Salerno. Anche in questo caso la cattedrale normanna
adotta lo schema sperimentato ad Aversa, ma la conquista di Salerno fa
ben presto venir meno le ragioni «politiche» della contrapposizione.
Anzi, il principe normanno di Capua e il Guiscardo figureranno tra i
grandi benefattori della cattedrale salernitana del vescovo Alfano. Sono
1 G. Monleone, Jacopo da Varagine e la sua cronaca di Genova, Roma 1941, II, p. 218.
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la «normannizzazione» del Mezzogiorno e i
confronti della Chiesa, nonché l'incontro
«gregoriana» a determinare le premesse p
costruttive (e liturgiche) così «sfrontatam
che il coro di Aversa e Acerenza sia replic
nell'incompiuta Trinità di Venosa, dove pe
to degli Hauteville a sostegno dell'iniziativ
vero e proprio pantheon dinastico-familia
Un momento decisivo, di autentica svolta, si ha nel 1071, altra data car
dine per gli sviluppi del cantiere aversano e di tutta l'architettura meri
dionale dell'epoca. E l'anno, è noto, della solenne consacrazione dell'ab
baziale di Montecassino, rinnovata da Desiderio dal 1066. L'abate è una
figura fondamentale per i delicati equilibri politici campani, con le sue
accorte mediazioni tra Chiesa romana e conti normanni, col suo soste
gno a Riccardo comes aversano e princeps capuano anche quando si
abbatte su quest'ultimo la scomunica di Gregorio VII. La solenne cele
brazione cassinese avviene alla presenza dei signori laici e dei vescovi
meridionali quasi al completo, e non c'è dubbio che si è trattato di un
evento memorabile, accortamente preparato al dettaglio e di enorme
portata programmatica. L'occasione è irripetibile per impostare qualco
sa che va al di là del significato occasionale originario. Una sorta di
spettacolarizzata expo delle istanze riformate, anche sul piano delle scel
te architettoniche. Da questo momento il mos edilizio cassinese cessa di
essere visto con estraneità ο addirittura con sospetto dall'alto clero nor
manno. Il segnale lo dà, tra i primi, il principe Riccardo di Capua, che
dona a Desiderio la chiesa di Sant'Angelo in Formis nel 1072, pur aven
dovi promosso lavori di restauro soltanto l'anno prima. È anche l'ade
sione a uno dei temi portanti della riforma, che osteggia la proprietà
privata laica delle chiese. Poco dopo il normanno Erveo, vescovo di Ca
pua, dà inizio (1073) alla ricostruzione della sua cattedrale secondo il
modello cassinese desideriano (e non aversano, il che ha il suo significa
to). Il cantiere della cattedrale aversana è a questa data ancora aperto,
molto è ancora da fare, ma è inevitabile che questo nuovo clima si
rifletta sulla fabbrica. Il vento proveniente da Montecassino non la ri
sparmia, come non risparmia la vicina abbaziale benedettina di San Lo
renzo ad Septimum. Il cenobio benedettino al settimo miglio dell'antica
via Campana (Capua antica-Pozzuoli), la cattedrale sul sito di una pre
cedente chiesa in octabo: tra i due luoghi sacri è un miglio di distanza,
che testimonia la preesistenza dei vici del pago romano e il sostanziale
rispetto della Chiesa verso l'antico limite giurisdizionale dei mille passus,
filtrato attraverso la giurisprudenza costantiniana e teodosiana. Un caso
esemplare. L'iscrizione superstite del portale del transetto sinistro del
duomo (rimurato successivamente e d'incerta collocazione originaria)
certifica che l'edificio viene fondato dal comes Riccardo (Quarrel, detto
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il Calvo) (m. 1078) e c
che a quest'ultimo (m
bile, se si considera c
nell'esercizio del principato. Molti studiosi hanno dato scarso peso a
questa testimonianza preziosa, che pure appare difficilmente controver
tibile. Essa fornisce gli estremi cronologici, purtroppo piuttosto indefi
niti e con ampi margini d'approssimazione, di buona parte della vicenda.
Il principato di Riccardo inizia nel 1048: la sua durata trentennale non
facilita certo il nostro compito. Giordano è de facto principe dal 1068:
anche in questo caso resta una forbice piuttosto ampia. Gli ultimi venti
anni del «grosso» della fabbrica, entro il 1090, si svolgerebbero all'inse
gna della continuità esibita - il senso stesso dell'epigrafe, che enfatizza
tale continuità haereditali, il vero nocciolo politico del principato che, in
fondo, è conquista recente - ma anche nel vivo del processo di «riawici
namento» in direzione romana e cassinese. L'ampliamento settecentesco
ci ha purtroppo privato di molte informazioni sulla cattedrale, ma qual
che indizio significativo di questo mutato clima sopravvive. Lo te
stimonia, in modo inequivocabile, l'uso di spolia romani. Tale carattere
è diffuso nel mondo longobardo e cassinese della regione. Di segno op
posto quello esibito dalla nuova costruzione normanna nelle prime fasi
del cantiere: di frammenti romani in vista nel deambulatorio non se ne
vedono, a riprova del suo carattere francofono e insulare, autonomo e
programmatico. Dopo la svolta del 1071 tale atteggiamento di chiusura
sembra venir meno, e il corpo longitudinale si sviluppa secondo modali
tà più prossime a quelle cassinesi, con colonne antiche in granitello e in
cipollino di recupero. Alcuni studiosi hanno pensato a una posteriorità
del coro rispetto al resto dell'edificio2, ma è un'ipotesi difficilmente
accettabile, e non solo per l'arcaismo delle soluzioni formali e costrut
tive ο per l'accennato mancato uso di spolia. Appare infatti inverosimile,
date le premesse qui sintetizzate, che un edificio di tale importanza ini
ziasse senza la sua parte più connotante, più carica di implicazioni sim
bolico-programmatiche, e oltre tutto liturgicamente più necessaria. Nel
campanile il ricorso a frammenti e a colonne antiche sarà ancor più sco
pertamente esibito, ma siamo già in pieno XII secolo. Ma il già ricorda
to portale coll'iscrizione dedicatoria dei due principi riutilizza due co
lonne romane a scanalatura spiroidale, a testimonianza che tale uso è
già moneta corrente al tempo di Giordano. Tanto richiamo alla romani
tas resterà certo più evidente a Capua che non ad Aversa. Eloquente pro
va ne darà nel XV secolo Ciriaco d'Ancona, che a Capua trascrive alme
2 In particolare W. Krônig, La Francia e l'architettura romanica nell'Italia meridionale,
in «Napoli nobilissima», VI, 1962, pp. 206 ss.
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no sei iscrizioni antiche e ad Aversa non l
secondo la testimonianza del suo biograf
saggio4 avevo sottolineato l'importanza de
etto come principale ingresso al «primo»
dell'ampliamento del corpo longitudinale.
vore dell'anteriorità della zona presbiterial
tamente al principale sistema viario della
anulare continuo all'interno del circuito difensivo contornato da un am
pio fossato. In origine doveva mancare uno spazio antistante la cattedrale,
e ne trovo una possibile indiretta conferma in un altro tratto distintivo
della liturgia normanno-aversana: la mancata produzione di Exultet, tanto
diffusi invece in ambito meridionale e soprattutto in Campania sul mode
lo, ancora una volta, cassinese. La lettura di questi grandi rotuli miniati s
svolgeva durante la cerimonia della solenne benedizione del cero pasqua
le, poi condotto in processione all'interno della chiesa. Tale rituale nece
sitava pertanto di un ampio spazio dinanzi all'edificio sacro: nel modello
dell'abbaziale di Montecassino si trattava di un quadriportico. C'è di che
sospettare che ad Aversa si dovesse rinunciare, in età desideriana, a que
sto tipo di rituale per la particolare conformazione del tessuto urbano.
Infatti i normanni si riveleranno tutt'altro che impermeabili al rito pas
quale d'ispirazione cassinese in molti altri centri meridionali. Anche da
questo punto di vista Aversa sembrerebbe fare caso a sé. D'altra parte è
verosimile pensare che un primo nucleo di case si fosse da tempo aggre
gato attorno alla primitiva chiesa di San Paolo, destinata a essere sosti
tuita dalla cattedrale normanna. L'eccezionalità di Aversa doveva pertan
to dipendere anche da ragioni contingenti. Alla fase di Giordano, forse
per influssi diversi tra cui non è escludibile quello del dotto Alfano di
Salerno, sembra riferibile un più insistito riferimento al modello salo
monico: non a caso l'iscrizione che ne ricorda l'intervento a favore del
duomo salernitano corrisponde alla «Porta dei leoni» anch'essa di for
richiamo gerosolimitano. E il probabile portato di una dilatazione de
orizzonti, di una visione più universalistica e penitenziale, tesa a fare
Aversa una vera e propria ville-étape sulla via di Gerusalemme (via
Roma, Montecassino, la Puglia). Addentrarsi in questa direzione però
condurrebbe molto lontano. Torniamo allora ai «paletti» cronologici
della vicenda costruttiva della cattedrale aversana. Dando credito all'i
3 F. Scalamonti, Vita di Ciriaco Anconitano scritta da Francesco Scalamonti tratta
codice trivigiano..., in G. Colucci, Delle antichità picene, XV, Fermo 1792, pp. XCVIII-C
H. Solin, Ciriaco e l'epigrafia dell'Italia meridionale, in Ciriaco d'Ancona e la cultura a
ria dell'Umanesimo, a cura di G. Paci e S. Sconocchia, Reggio Emilia 1998, pp. 185-
particolare ρ. 186.
4 Per le notizie e le relative indicazioni bibliografiche si fa riferimento al volu
S. Borsi, La Città normanna. Aversa e l'Europa XI-XVIII sec., Officina Ed., Roma 2000
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scrizione in situ (e non
dei lavori cadrebbe necessariamente entro il 1090, anno della morte del
principe Giordano. Ciò consente di abbreviare i tempi dei lavori e di eli
minare molti dei possibili modelli variamente proposti dalla critica, tipo
ad esempio Sant'Antimo a Castellabate (Siena), databile al 1118. Edifici
di questo tipo, peraltro piuttosto rari, evidenziano l'influsso cluniacense
ma datano al primo ventennio del nuovo secolo.
Ma questa data 1090 come termine post quem non ha anche altri mo
tivi d'interesse, e per brevità non ci addentriamo nella complessa rete de
gli scambi di influssi architettonici, che investe edifici dalla cronologia
continuamente rimessa in discussione. Una data che sembra escludere
da un ruolo importante nella fabbrica (come spesso attribuitogli) il
scovo Guitmondo, senz'altro la personalità di maggior spicco tra i v
vi normanni aversani dell'XI secolo, consacrato però verso la metà d
1088 da papa Urbano II. Lo stesso pontefice che nel 1090 riconosce u
cialmente il movimento canonicale, ispirato all'opera di Anselmo da
ca, e non è escluso che in tale processo non abbia avuto un ruolo l'a
revole Guitmondo, uno dei maggiori teologi del tempo. Aversa è all'e
già dotata di una congregatio canonicale collegata alla sede episcopal
canonici dispongono di un loro accesso indipendente all'interno dell
cattedrale, nella zona del capocroce. Ancora oggi sopravvive, forse d
un'intitolazione posteriore di probabile ascendenza benedettina, la p
detta «dei canonici ebdomadari». Anche in questo caso si configurer
un problema non da poco. Non sembrerebbe, infatti, esserci uno stre
rapporto con gli ebdomadarii (o decomani, ο officiâtes) documentati
lano dal IX secolo. Tuttavia è da segnalare che il termine individua un
palese distinzione rispetto ai canonici ordinarii. Secondo la testimon
za di Beroldo5 i canonici ebdomadarii (o peregrini) «extra chorum c
tant», collocandosi al di fuori degli spazi destinati agli ordinarii. M
probabile che l'ingresso alla zona presbiteriale fosse pertanto indipe
dente. La canonica ambrosiana fondata dal vescovo Ariberto nel 104
trebbe avere avuto qualche incidenza, riproponendo il problema di
tuali rapporti col mondo milanese, per certi versi estensibili anche
alcune soluzioni architettoniche all'interno della struttura aversana. Pro
blemi aperti e di vasta portata sui quali finora nessuno sembra essersi i
terrogato. Un probabile termine cronologico potrebbe essere il 1059, dat
della riforma canonicale imposta dal sinodo lateranense, post quem pe
iniziative affini in molti altri centri italiani.
5 L.A. Muratori, Diss. LVIII, in G. Mengozzi, La Città italiana nell'alto Medio Evo, Fi
renze 1931 e 1973, p. 202, nota 4. Per la diocesi aversana si rinvia a L. Orabona, I Norman
ni. La chiesa e la protocontea di Aversa, Napoli 1994. Indicazioni più estese nel già ricordato
volume dello scrivente (alla nota 4).
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Tale varco, nel duomo di Aversa, decorato da sculture del tardo XI se
colo, conferma l'influsso della tradizione cluniacense della processione in
terna (Cluny III, non a caso iniziata nel 1088) specialmente in occasione
della liturgia pasquale e dell'officio dei defunti, e potrebbe risalire agli
anni immediatamente a ridosso del 1090. La cattedrale campana si rivela,
anche da questo stretto punto di vista, un edificio di estremo interesse.
L'accesso dei canonici direttamente al presbiterio, ma all'innesto col brac
cio del transetto e del corpo longitudinale, configurerebbe una situazione
originale rispetto ai citati precedenti milanesi. Resta, tra i margini di in
certezza, da valutare l'esatta gerarchia originaria dei varchi, modificati
soprattutto dall'intervento settecentesco del Buratti. Il predecessore di
Guitmondo, Goffredo, era un benedettino proveniente dall'abbazia nor
manna di Bec, e si era formato a stretto contatto con i seguaci di Gugliel
mo da Volpiano, riformatore della regola agli inizi dell'XI secolo. È Gof
fredo a presenziare alla fatidica cerimonia cassinese del 1071: anche lui
deve aver avuto un ruolo importante nell'edificazione della cattedrale,
specie nel suo riallineamento alle posizioni papali e desideriane, ο per la
presenza di lombardismi nell'alzato della fabbrica. Difficilmente però può
essere chiamato in causa per il coro «alla francese», la cui impostazione ο
completamento non vengono rimessi in discussione neppure dopo l'incon
tro con Desiderio. Il che è assai eloquente, indiziando, a ulteriore confer
ma, l'anteriorità di questa parte dell'edificio. Per lo spettacolare deambula
torio del duomo devono essere considerati più indiziati il primo vescovo,
Hazelin/Hezelin, ο il successore Gualtieri ο Gualterio (m. 1063): i protove
scovi aversani, proprio i più enigmatici e sfuggenti per la quasi totale
carenza di dati documentari ma, verosimilmente, culturalmente più legati
al mondo normanno da cui provenivano. Anche senza addentrarsi nel det
taglio tecnico dell'analisi dell'edificio, che peraltro conferma la datazione
precoce del deambulatorio col suo importante e cautelato processo di
sperimentazione delle volte a crociera trapezoidale costolonata, emergono
da queste brevi considerazioni le coordinate storiche essenziali per meglio
inquadrare e comprendere i significati di questo singolare edificio, la cui
carica innovativa doveva apparire a suo tempo strabiliante, ma che presto
ci si premurò di attenuare sensibilmente. Ed è nell'attesa di una più medi
tata lettura analitica - e di un'adeguata indagine conoscitiva basata su ri
lievi moderni - che si è tentato qui, sinteticamente, di riproporre all'atten
zione la notevole importanza della pionieristica cattedrale di Aversa, e non
solo per lo storico dell'architettura. Nell'auspicio di un dialogo più serrato,
e ormai indispensabile, con la storia ecclesiastica ρ liturgica.
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