Secondo Manzoni, nella storia opera il mistero e l’irrazionalità divina (es.
morte della moglie
Enrichetta Blondel). Perciò gli sforzi umani avvengono all’interno del disegno provvidenziale di
Dio.
Il male sembra derivare da Dio stesso, in un’ottica misteriosa (es. l’allegoria della vigna di Renzo).
L’episodio della madre di Cecilia rappresenta, invece, il ritorno alla dimensione salvifica, garantita
dalla fede. La Provvidenza pur agendo nella storia, non ne indirizza il senso in modo chiaro e
univoco. Tuttavia, essa offre la salvezza ultraterrena ai buoni e condanna chi agisce iniquamente. La
fiducia in Dio può trasformare i mali in qualcosa di utile per migliorare la vita.
Al di là di ogni impegno, mondo umano e divino non si compenetrano, perché il secondo agisce sul
primo in modo del tutto incomprensibile ed irrazionale: non guida il percorso della storia e non
giustifica la presenza del male.
Per Manzoni il male non rientra nella necessità storica, ma è un fatto della ragione nel momento in
cui esso deriva da un errore logico (dovuto a malafede o pigrizia). Da un errore può conseguire il
male nel momento in cui viene accettato senza critica, perciò Manzoni interpreta il compito dello
storico come impegno a contrastare la ripetizione acritica delle opinioni ricevute.
Manzoni concepisce la storia non solo come consecuzione di fatti (oggettività), ma come il
complesso di scritture e di opinioni attraverso cui noi accediamo al passato (soggettività). Il falso,
cioè l’errore storico, è generato da una contraddizione logica che la ragione si rifiuta di vedere,
accecata dall’amor proprio dell’uomo che non vuole umiliarsi e ammettere l’errore.
Manzoni evoca una sorta di concetto poetico della storia, paragonabile a quello che un anno prima
aveva esposto nel suo saggio Sul compito dello storico (1821) il filosofo Wilhelm von Humboldt,
secondo il quale lo storico deve descrivere gli eventi superando la difficoltà che caratterizza il
rapporto fra linguaggio e realtà, la quale appare solo in frammenti, mentre i nessi che legano i fatti
rimangono nascosti.
Nella teoria humboldtiana l’immaginazione dello storico non è libera come quella del poeta, ma
limitata a intuire i nessi nascosti che legano i fatti osservati. Perciò lo storico deve indagare
l’insieme dell’esistenza a partire dalle leggi che man mano emergono dai concatenamenti che lo
storico stesso intuisce.
Nell’ermeneutica (= interpretazione storica, esistenziale) di Humboldt il passato può essere
compreso solo a condizione di ricondurne la realtà frammentaria sotto un’idea, la quale però si
costituisce a partire dall’osservazione di quella realtà stessa e dall’intuizione interpretativa di nessi
plausibili.
La differenza fra l’idealismo di Humboldt e il moralismo manzoniano è che il tedesco presuppone
delle forze storiche come principio di ogni progressione storica, mentre per Manzoni questo
principio è la libertà subordinata al disegno della Provvidenza.
Manzoni attribuisce rispettivamente allo storico e al poeta i due compiti di descrivere la realtà e di
rappresentare la libertà come principio di unità dei particolari.
Humboldt affida entrambi i compiti allo storico, il quale, pur non prescindendo dall’imitazione della
natura, cerca la realtà.
Il punto di partenza dell’argomentazione di Manzoni è il problema della verosimiglianza, che
consiste nella rappresentazione di un seguito di avvenimenti legati tra loro, una realtà che scaturisce
dalla nostra stessa logica.
Una delle più importanti facoltà della mente umana è infatti quella di cogliere, fra gli avvenimenti, i
rapporti di causa e di effetto che li legano; di ricondurre a un punto di vista unitario molti fatti
separati dalle condizioni del tempo e dello spazio, scartando gli altri fatti che ad essi sono collegati
soltanto per coincidenze accidentali. E in questo consiste il lavoro dello storico secondo Manzoni. Il
quale opera negli avvenimenti, per così dire, la cernita necessaria per arrivare a questa visione
unitaria: lascia da parte tutto ciò che non ha alcun rapporto coi fatti più importanti, e accosta il più
possibile tali fatti tra loro, per presentarli in maniera ordinata alla mente.
Secondo Manzoni il poeta deve accostarsi al passato come uno storico, con la differenza che il suo
soggetto è limitato all’interiorità dell’individuo, alla sua coscienza morale. Lo storico, invece,
organizza il passato in modo ampio e compiuto sotto l’idea che se ne è fatto, il che rievoca ancora
un motivo humboldtiano: per l’occhio umano, che non può cogliere direttamente i piani del governo
del mondo, ma solo intuirli nelle idee mediante le quali si rivelano, ogni storia è perciò soltanto
realizzazione di un’idea, e nell’idea sono compresi la forza e il fine:
I rapporti politici erano per Humboldt una sfera di esperienza che stava in una relazione di interdipendenza con
altre sfere, comprese tutte in una totalità dell’esperienza cui egli intendeva accostarsi rintracciando una
complementarietà tra il singolo soggetto umano da un lato, la cui radice è la capacità di cogliere l’essenza dei
legami dell’universo, dall’altro la totalità stessa che è un continuo costituirsi di molteplici rapporti e in cui tutto è
effetto ed espressione dell’azione di forze individuali1.
Manzoni concepisce la storia come il processo attraverso il quale l’umanità si avvicina o si
allontana dal fine ideale della creazione. L’autore sostiene che i due opposti esiti dipendono
1
Merker N., Humboldt e il riformismo liberale in Marxismo e storia delle idee, Editori Riuniti, 1974, p. 226.
ugualmente dalla libertà. Giustificare il fine della storia significa partecipare della verità della
Provvidenza.
Manzoni sviluppa una sua filosofia della storia idealistico-religiosa abbandonando il mito del
progresso, o interpretandolo come svolgimento attraverso cui la ragione partecipa coi suoi mezzi
alla Provvidenza. Bisogna ricordare che le teorie della storia di Manzoni e di Humboldt presentano
delle somiglianze limitatamente alla descrizione concreta del lavoro dello storico, ma che le
rispettive premesse teoriche divergono.
Manzoni riconduce sostanzialmente la storia all’idea immutabile e trascendente di giustizia divina,
che esiste di là dall’uomo e dalla sua corruttibilità, che è argomento della filosofia e della morale,
ma che è solo attraverso la storia che può essere contemplata e indagata. Manzoni concepisce il
progresso come fiducia nella capacità del genere umano di volgersi al bene usando la ragione.
Il capitolo VII della Storia della colonna infame non è un corpo estraneo al testo iniziale de I
promessi sposi, al contrario è la sua chiave interpretativa principale, in quanto riassume una
concezione vichiana della storia come filologia morale, anch’essa esigenza di giustizia che nulla dà
per acquisito e tutto chiama alla resa dei conti.
Manzoni ha elaborato una sua personale teoria della storia come conflitto etico delle interpretazioni,
perché è nell’esercizio della critica che si realizza la possibilità di smascherare l’errore e di
correggerlo, senza dimenticare che fra passato e presente si frappongono intermediazioni, effetti e
deformazioni.
È su questa consapevolezza ermeneutica che Manzoni fonda il proprio metodo critico, che ha come
fine non l’abolizione del male, cosa impossibile essendo questo un fenomeno derivante dalla libertà
umana, ma la mitigazione dei suoi effetti. La lotta contro l’errore è un atto morale, un consapevole e
volontario emanciparsi dalla passione che costringe l’individuo a perseverare nell’errore.
L’approdo a un’escatologia (= dottrina della salvezza, del destino ultimo del singolo oppure
dell’intero genere umano) razionale che concepisce la storia come conflitto morale delle
interpretazioni: il male è ineliminabile ma non necessario, il che obbliga a presupporre da un lato la
Provvidenza e dall’altro il progresso morale della ragione.
Manzoni fu a suo modo coerente nel tentativo di formulare una risposta al problema del male nella
storia che non ricadesse nelle contraddizioni della teodicea né dell’utopia illuministica del progresso
e dell’ottimismo. Egli propose una concezione finalistica della storia, intendendola come figura
della Provvidenza, cioè come allegoria dell’ordine e della giustizia ultraterreni, i quali non
rispondono alla logica del potere e delle passioni ma a quella imperscrutabile, buona e saggia, di
Dio.
APPROFONDIMENTO SU HUMBOLDT (1767-1835)
Humboldt afferma la non omogeneità del processo storico, così come compaiono una serie di leggi
necessarie che permettono di fare delle previsioni, vi sono anche elementi contingenti connessi
all’imprevedibilità della libertà umana, non esauribile in uno sviluppo deterministicamente inteso.
Nell’ ottica humboldtiana esiste un piano provvidenzialistico-divino, un “ governo del mondo “, ma
tale ordine globale c’è nella misura in cui sussistono le singole individualità, a testimonianza di ciò,
noi possiamo pervenire a tale quadro unitario sempre e solo a posteriori: ponendo una frattura tra
ragione e realtà, Humboldt è critico verso la storiografia illuminista
Humboldt critica in maniera radicale tutte le teorie che hanno preteso di ricondurre tutti i fatti
particolari sotto un unico punto di vista, in sistemazioni astratte e intellettuali, Kant è il primo che si
fa portavoce di questo modo di concepire la storia, che finisce poi per soppiantare la storia stessa,
Humboldt critica ferocemente il teleologismo storico2 dei pensatori dell’Illuminismo.
2
La concezione propria di ogni dottrina che considera la realtà, in tutti i suoi aspetti, come rivolta necessariamente a un
fine