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Luigi Pirandello

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Luigi Pirandello

Gli anni giovanili


Luigi Pirandello nasce il 28/06/1867 a Girgenti (dal 1927 Agrigento) da un’agiata famiglia borghese: il padre
era commerciante di zolfo, la madre proveniva da una famiglia antiborbonica e risorgimentale.

Dopo i primi studi tecnici, intraprende studi umanistici e si iscrive all’università di Palermo, dove frequenta,
contemporaneamente, la Facoltà di Lettere e quella di Legge.

Dal 1887 frequenta la Facoltà di Lettere all’Università «La sapienza» di Roma: in seguito a contrasti con un
docente, nel 1889 si trasferisce all’università di Bonn, dove nel 1891 si laurea con una tesi sul dialetto di
Girgenti.

Gli anni in Germania sono segnati dalla lettura degli autori romantici tedeschi e di Schopenhauer, che
risulteranno decisive per l’elaborazione della poetica pirandelliana, soprattutto della «poetica
dell’umorismo».

Nel 1894 sposa Maria Antonietta Portulano, con cui vive a Roma: pubblica racconti e il primo romanzo
(L’esclusa, nel 1901), scrive articoli e saggi su rivista, insegna lingua italiana alla Facoltà di Magistero.

Il dissesto economico
1903: allagamento della miniera di zolfo in cui il padre di Luigi ha investito tutto il suo patrimonio e gran
parte della dote della moglie: dissesto economico e insorgere della malattia mentale della donna:

� Pirandello deve intensificare la produzione di racconti, romanzi a puntate, articoli e saggi per riviste
e periodici. Nelle novelle e nei romanzi rappresentazione grigia del mondo borghese e rifiuto della
società, considerata un meccanismo alienante che soffoca le energie vitali.
� Pirandello assiste continuamente la moglie, colpita da nevrosi e da gelosia ossessiva nei suoi
confronti. Nelle novelle e nei romanzi rappresentazione della famiglia come una «trappola» che
soffoca l’uomo.

1904: pubblica, prima su rivista e poi in volume, Il fu Mattia Pascal (scritto in gran parte al capezzale della
moglie).

L’attività teatrale
Dal 1910 manifesta interesse per la scrittura teatrale: durante gli anni della Prima guerra mondiale, scrive e
rappresenta drammi che sperimentano un linguaggio teatrale innovativo, con reazioni sconcertate della
critica.

1921: rappresentato Sei personaggi in cerca d’autore, che rivoluziona le convenzioni teatrali: insuccesso di
pubblico nella «prima» a Roma e soltanto in seguito viene riconosciuto il valore dell’innovazione
pirandelliana.

1921: Pirandello riunisce la produzione teatrale di questi primi anni (1918-1921) nel volume Maschere
nude.

1924: fonda la compagnia del Teatro dell’Arte, di cui è anche direttore e che segue spesso nelle tournees
sia in Europa sia fuori dal continente.

1934: insignito del Premio Nobel per la letteratura.


10/12/1936: muore di polmonite a Roma, durante le riprese di un film tratto da Il fu Mattia Pascal.

Pirandello e il Fascismo
La nascita della compagnia del Teatro dell’Arte determina anche l’avvicinamento di Pirandello al Fascismo:

1924: prende la tessera del Partito Nazionale Fascista.

1925: firma il Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile.

Il rapporto tra Pirandello ed il regime fascista è una questione ancora aperta: al di là dell’evidente
opportunismo (finanziamenti per la sua compagnia teatrale), l’atteggiamento è infatti ambivalente:

− affascinato dallo spirito antiborghese del − lamenta l’artificiosità di diversi aspetti


Fascismo, che scambia per una genuina della retorica del Fascismo e dei suoi miti.
affermazione di energia vitale.

Non rompe mai apertamente col regime né prende esplicite posizioni contro di esso, ma atteggiamento
freddo.

Il superamento del Positivismo


Nato in Sicilia nel 1867, Pirandello matura la sua prima formazione entro il materialismo positivista e
verista. Già negli anni giovanili, però, il pensiero di Pirandello evolve, per ragioni storiche e geografiche:

− dalla fine degli anni ’80 del secolo, le certezze del Positivismo lasciano progressivamente il posto ad
una nuova visione del mondo, prima decadente e poi novecentesca
− completa gli studi in Germania, dove entra in contatto con una tradizione letteraria e filosofica da
sempre lontana dal razionalismo e dal materialismo e vicina all’idealismo Grazie ai frequenti viaggi
all’estero al seguito della sua compagnia teatrale, entra in contatto con le principali tendenze
culturali coeve (Espressionismo, Surrealismo…).

Una nuova visione del mondo


Pensiero e visione del mondo alla base dell’opera di Pirandello sono profondamente influenzati dai
fenomeni socioeconomici e dalle tendenze culturali che attraversano la società europea tra fine ’800 e
inizio ’900:

− l’industrializzazione e le sue conseguenze: meccanizzazione del lavoro, spersonalizzazione e


alienazione del lavoratore, omologazione delle merci, dei gusti e dei consumi, espansione delle
grandi metropoli e perdita dell’identità individuale al loro interno;
− la crisi della fiducia nell’esistenza di una realtà oggettiva, definibile ed interpretabile in maniera
univoca attraverso la ragione;
− i nuovi indirizzi della filosofia (es. Bergson) e delle cosiddette «scienze esatte», che mettono in
discussione il loro statuto tradizionale;
− l’evoluzione delle scienze che si occupano della psiche umana, che mettono in discussione l’unità
del soggetto, la sua immutabilità nel tempo e la possibilità di assumerlo come punto di riferimento
per indagare la realtà.
Pirandello assimila questi fermenti culturali e li rielabora in un pensiero originale, che porta all’estremo il
rifiuto delle certezze positiviste (già decadente) e si inserisce pienamente nel clima primo novecentesco di
relativismo e di assenza di punti di riferimento, dando espressione alle angosce ed ai turbamenti dell’uomo
contemporaneo.

La vita e la forma
Sulla scorta di Bergson, che pone alla base della realtà lo «slancio vitale», Pirandello elabora una
concezione VITALISTICA del mondo: l’essenza della realtà e dell’esistenza umana non è un «oggetto»,
un’entità definita e cristallizzata (materiale o spirituale), bensì un FLUSSO che scorre senza interruzione.

La realtà e l’esistenza umana sono fondate sul fluire e sul divenire ininterrotto di una «materia» indistinta,
pervasa da energia e che si crea e ricrea continuamente.

L’uomo è però incapace di «perdersi» all’interno di questo flusso, ma tende invece ad isolarne singole
porzioni, fissandole in una forma definita ed immutabile, che egli identifica con l’essenza della realtà: crede
che una delle infinite possibili manifestazioni del flusso vitale sia invece l’unica vera e possibile.

1922: il critico ADRIANO TILGHER definisce i termini di questa dialettica come VITA (= il flusso alla base della
realtà) e FORMA (=ciascuna delle infinite manifestazioni in cui il flusso viene «bloccato»); Pirandello stesso,
in seguito, adotterà queste definizioni, riconoscendone l’efficacia per definire i fondamenti del suo
pensiero.

Secondo Pirandello, l’uomo tende ad allontanarsi dalla VITA per identificare la propria esistenza con una
FORMA, convinto che questa sia la realtà: l’esistenza umana diventa dunque una successione di forme, che
sono:

− tutte vere, perché in ciascuna di esse è − tutte false, perché ogni forma è solo una
riconoscibile il flusso della vita parte circoscritta del flusso della vita

Identificare la realtà con una forma è una costruzione fittizia e corrisponde a «morire», perché significa
allontanarsi dalla vita, che non può essere una entità fissa ed immutabile, ma una continua, trasformazione:

− Forme che ciascuno impone a se stesso, identificando la propria personalità con tratti fissi, unitari e
coerenti, che sono invece parziali ed in continuo mutamento
− Forme imposte dall’esterno, dagli altri uomini, che sono diverse dalla forma che ciascuno impone a
sé, ma anche diverse tra loro.

La dissoluzione del sé
Secondo Pirandello, ciascuno si vede in una maniera specifica, convinto che questa sia l’unica oggettiva
immagine di sé e l’unica realtà, quando invece questa è soltanto una forma specifica che si dà di sé in
specifici momenti e condizioni; in altri momenti e condizioni, si avrebbe una diversa immagine di sé;
qualunque altro soggetto, in momenti e condizioni diversi, lo vedrebbe in una forma diversa.

Esempio: il soggetto, in determinate circostanze, si vede come un onesto lavoratore ed un buon padre di
famiglia, mentre in altre come un marito fedifrago ed un padre assente; contestualmente, gli altri uomini lo
vedono ora come una persona ambiziosa ed un cattivo padre, come un cattivo padre, ma non una persona
ambiziosa… Ciascuna di queste immagini ha un fondamento di verità, ma è anche, allo stesso tempo, solo
una immagine parziale: l’uomo non ha un’identità univoca e specifica, ma ne accoglie in sé una molteplicità
infinita.
Pirandello e Binet
Nella convinzione che la personalità dell’individuo non sia unitaria, bensì una molteplicità di stati che
mutano continuamente, nelle diverse condizioni, Pirandello è influenzato sia dall’esperienza autobiografica
della malattia della moglie sia dalla lettura dell’opera di ALFRED BINET, Le alterazioni della personalità
(1892).

La psiche umana è un insieme di stati e condizioni temporanee, che si manifestano in momenti diversi. Se
talvolta si ha l’impressione di una personalità unitaria, questa è dovuta alla presenza di uno stato egemone,
che soffoca gli altri e li relega nell’inconscio.

Da qui nascono l’interesse di Pirandello per i temi del doppio, della maschera, della scomposizione dell’io…
L’esistenza umana non è altro che una «ENORME PUPAZZATA» in cui ogni individuo non vive secondo la
propria spontaneità, bensì indossando le «maschere» che la società gli impone (convenzioni, ruoli,
obblighi…).

La vita e le «trappole»
Le «maschere» che soffocano la vita di ciascun individuo provengono soprattutto dalla FAMIGLIA e dalla
CONDIZIONE ECONOMICA, che Pirandello definisce vere e proprie «TRAPPOLE»:

− FAMIGLIA: la condizione e l’ambiente familiare impongono all’individuo di recitare un ruolo,


nascondendo odi e rancori e ricorrendo a menzogne ed ipocrisie.
− CONDIZIONE ECONOMICA: il lavoro impone di rispettare obblighi e gerarchie, convenzioni…

� Situazioni tipiche della società borghese di fine ’800 – inizio ’900, che fa da sfondo sia alle novelle
ed ai romanzi (ambiente piccolo borghese) sia alla produzione teatrale (mondo della grande
borghesia).

La critica di Pirandello, tuttavia, non è circoscritta alla società borghese contemporanea, ovvero ad una
specifica condizione storica e sociale, ma ha una valenza universale: non soltanto nella società borghese di
fine ’800 – inizio ’900, ma in qualunque condizione storica e sociale l’uomo è soffocato dalle «trappole» e
dalle forme.

Epifanie e follia
Talvolta l’individuo vive attimi casuali che gli rivelano la verità circa la propria condizione: sono EPIFANIE
(=rivelazioni), in cui le forme svelano la propria natura artificiosa e l’esistenza di un flusso vitale al di sotto di
esse.

Le epifanie spesso coincidono con la FOLLIA, che è condizione conoscitiva privilegiata per i personaggi
pirandelliani, perché è la condizione di chi coglie la falsità delle forme e la verità della vita al di sotto di esse
ed è perciò ritenuto folle da chi non vede tutto questo.

La rivelazione della verità attraverso le epifanie è una condizione irreversibile: i personaggi che la
sperimentano non possono più ritornare alla condizione precedente, ma soltanto vivere come personaggi-
filosofi:

� smarrimento e dolore di fronte alla constatazione della falsità delle maschere imposte dalla
famiglia e dalla società: MASCHERE NUDE, che vivono con angoscia la loro condizione
� rifiuto della vita sociale: scoperta la verità, gli eroi-filosofi pirandelliani si pongono al di fuori delle
forme e delle maschere e le osservano con sguardo distaccato e umoristico.
Una soluzione impossibile
Di fronte alla nuova consapevolezza acquisita attraverso le epifanie, non c’è però una soluzione positiva o
rassicurante: gli unici sbocchi sono la follia, l’isolamento e la solitudine, l’evasione fantastica.

Alla disgregazione dell’identità non si può sostituire una nuova interpretazione organica della realtà: le
vicende delle novelle, dei romanzi e delle opere teatrali di Pirandello spesso sono prive di conclusione, a
simboleggiare l’impossibilità di sostituire la verità andata perduta con una nuova verità rassicurante.

Non solo l’identità dell’individuo, ma anche la realtà esterna si disgrega: è impossibile ricondurla ad una
rappresentazione organica ed unitaria. Della realtà è possibile dare soltanto una rappresentazione
soggettiva, che ciascuno elabora dalla sua personale prospettiva, diversa da quella degli altri. Non esiste
una verità assoluta, ma ciascuno ha una propria verità, prodotto della sua visione soggettiva: da ciò
discendono l’incomunicabilità tra gli uomini e la solitudine in cui ciascuno vive.

Oltre il Decadentismo
Il Decadentismo rifiuta il materialismo ed il razionalismo positivista, tuttavia:

− ammette l’esistenza di una realtà oggettiva, esterna al soggetto: si colloca al di sotto della superficie
delle cose, è un mistero accessibile soltanto con le facoltà irrazionali ed ha una componente
mistica, però esiste;
− ripiega sull’io, che però è concepito come una entità unitaria ed un punto di riferimento da cui
osservare ed interpretare la realtà esterna.

Pirandello invece rifiuta l’idea di un ordine mistico e metafisico dietro l’apparenza, di una realtà univoca ed
oggettiva, dell’unità ed immutabilità del soggetto: ammette soltanto la possibilità della rappresentazione
soggettiva. Questa visione del mondo è alla base dell’estetica e della poetica di Pirandello, che si interroga
(come altri scrittori europei contemporanei) sulla possibilità e sulla funzione dell’arte nel mondo
contemporaneo, privo di certezze.

Comicità e umorismo
Alla vista di una vecchia truccata e vestita come una ventenne, l’uomo prova l’AVVERTIMENTO DEL
CONTRARIO (=percezione di essere di fronte a qualcosa che è contrario a ciò che ci si aspetta e che
dovrebbe essere) 🡪 questo genera la COMICITÀ, che è la condizione dell’arte tradizionale, che non affianca
al sentimento la riflessione.

La riflessione conduce a cogliere le reali motivazioni dietro questo comportamento apparentemente


assurdo (es. la paura di perdere il marito, attratto da una donna più giovane): è il SENTIMENTO DEL
CONTRARIO 🡪 questo genera l’UMORISMO: la riflessione permette alla creazione artistica di avere uno
sguardo critico sulla realtà e di coglierne «L’oltre».

Il passaggio dalla comicità all’umorismo è determinato dalla riflessione, che permette di svelare il carattere
molteplice e contraddittorio della realtà, nella quale non è possibile una verità univoca. Compito dell’arte
non è dare risposte certe, bensì svelare la pluralità di prospettive che pervade la realtà.

Pirandello afferma che l’umorismo è presente nella letteratura di ogni epoca, però gli esempi di arte
umoristica che fornisce nel saggio appartengono pressoché interamente alla letteratura moderna (es.
Amleto e Don Chisciotte). Pirandello implicitamente suggerisce che l’arte umoristica coincida con l’arte
moderna; d’altra parte, la poetica di Pirandello mostra diversi punti di contatto con le contemporanee
avanguardie storiche, come:
− la tendenza alla deformazione grottesca delle figure ed all’impiego non realistico ma simbolico dei
colori, vicine all’ESPRESSIONISMO TEDESCO
− l’attenzione ai dettagli, spesso ingranditi e deformati, che prevalgono sulla descrizione unitaria e
complessiva, come nella pittura CUBISTA.

Le novelle
La produzione novellistica attraversa per intero la vita di Pirandello, anche sotto la spinta di necessità
economiche, che giustificano anche che molti testi siano stati pubblicati inizialmente su rivista.

Sia nei contenuti sia nelle forme della scrittura, le novelle offrono un terreno di sperimentazione per i
romanzi e le opere teatrali, che da esse riprendono personaggi, fatti e situazioni.

Nel 1922, Pirandello concepisce il progetto di riunire le novelle in una raccolta in 24 volumi, dal titolo
Novelle per un anno; in realtà vengono pubblicati soltanto 14 volumi, oltre ad uno postumo (1936). Ogni
volume comprende 15 novelle ed il titolo della prima novella è anche il titolo del volume: scelte che
suggeriscono una ricerca di unità ed organicità, che, però, è soltanto apparente; nella raccolta, infatti, non è
ravvisabile alcun principio ordinatore né criterio che organizzi le novelle secondo un progetto complessivo.

Le novelle sono indipendenti e slegate, suggerendo l’impressione di una realtà caotica e molteplice, priva di
un principio ordinatore al suo interno. Il titolo stesso sembra alludere al trascorrere disordinato dei giorni
ed allo sperpero del tempo, senza scopo.

I denominatori comuni
Nonostante la varietà di personaggi, situazioni e fatti, nelle novelle è possibile riconoscere denominatori
comuni:

− la rappresentazione della routine quotidiana, che viene sconvolta da un fatto apparentemente


insignificante e del tutto casuale (es. il fischio di un treno in lontananza), che però rivela la «verità»,
svelando le forme e spingendo il personaggio a sottrarsi alle «maschere» delle convenzioni sociali;
− la scomposizione della realtà in singoli aspetti e dettagli (es. una smorfia), che vengono amplificati e
diventano rivelatori della «vita» al di sotto delle forme»;
− la scrittura «umoristica»; che accentua fino all’esasperazione gesti, espressioni e movimenti dei
personaggi;
− il ricorso a situazioni assurde, che svelano l’inattendibilità dei nessi causali suggeriti dal Positivismo
e dal Naturalismo;
− la rivelazione delle molteplici personalità nascoste dietro una identità apparentemente unitaria e
coerente;
− la commistione di riso e compassione di fronte alla miseria dell’esistenza umana.

I romanzi
La produzione romanzesca di Pirandello comprende sette romanzi, scritti tra il 1901 ed il 1926: L’esclusa, Il
turno, Il fu Mattia Pascal, I vecchi e i giovani, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Uno nessuno e
centomila.
Intreccio continuo tra romanzi, novelle e produzione teatrale: dalle novelle e dai romanzi, materiali
(personaggi, vicende, dialoghi, scene…) migrano ai testi teatrali.

I romanzi di Pirandello nascono dalla poetica dell’umorismo, come dimostra la dedica del saggio «alla
buon’anima di Mattia Pascal bibliotecario», e segnano il definitivo superamento del romanzo naturalista e
verista. L’attenzione ora non è più rivolta alla rappresentazione scientifica ed oggettiva della realtà, bensì
alla ricerca di ciò che si nasconde dietro le apparenze e allo svelamento delle molteplici forme del reale.

I romanzi maggiori
I romanzi maggiori di Pirandello sono Il fu Mattia Pascal, Quaderni di Serafino Gubbio operatore e Uno
nessuno e centomila, tra i quali possiamo riconoscere alcuni elementi comuni:

− Dissoluzione dell’unità della trama, con frequenti e lunghe digressioni saggistiche: andamento non
lineare del racconto, che segue invece l’ordine dato dalla soggettività e dalla coscienza del
personaggio narratore.
− Ricorso al soliloquio, a domande, esclamazioni, frasi sospese, appelli al lettore, che suggeriscono
l’assenza di una verità assoluta e la totale soggettività del racconto. Il narratore-protagonista filtra i
fatti attraverso la propria soggettività, si mostra incapace di dominare la realtà e di darne una
interpretazione univoca; mostra continui dubbi ed incertezza.
− La narrazione è condotta in prima persona dal protagonista, ora come racconto retrospettivo a
vicenda conclusa ora in forma di diario. Coinvolge il lettore nell’interpretazione dei fatti, ma senza
pervenire ad una verità.
− I protagonisti di questi romanzi scoprono l’inconsistenza delle forme tradizionali, ma anche
l’impossibilità di una alternativa. Sono «forestieri della vita»: guardano l’esistenza dall’esterno,
incapaci coinvolgimento in essa ma anche di ritornare alla condizione precedente. Possono solo
raccontare la propria vicenda ma senza pervenire ad alcuna verità.

Il fu Mattia Pascal
Scritto nel 1903 e pubblicato nel 1904, dapprima su la «Nuova Antologia», poi in volume.

Protagonista del romanzo è MATTIA PASCAL, un piccolo borghese che vive in una immaginaria cittadina
della provincia ligure (Miragno), soffocato dalle convenzioni familiari e sociali; quando il caso gli offre la
possibilità di liberarsi da queste forme, egli è però incapace di approfittarne, limitandosi a sostituire le
vecchie forme con altre.

La vicenda, che dura complessivamente sei anni, è narrata in prima persona dal protagonista, che, una volta
rientrato al paese natale, osserva la vita dall’esterno, ma con una nuova consapevolezza (narrazione
retrospettiva).

Il racconto vero e proprio è preceduto da una Premessa prima, una Premessa seconda e dall’Avvertenza
sugli scrupoli della fantasia: quest’ultima, aggiunta nella seconda edizione del romanzo, riferisce un fatto
di cronaca molto simile alla vicenda del romanzo, per ribattere alle accuse di scarsa verosimiglianza della
vicenda narrata. È l’occasione per una prima riflessione sul rapporto tra verità e finzione e sulla possibilità
che esista una realtà oggettiva.
Titolo, struttura e narratore
Titolo
Far coincidere il titolo del romanzo con il nome del protagonista è una situazione tipica del romanzo
ottocentesco, realista e naturalista.

Premettendo al nome del protagonista la parola «FU», l’autore però nega la validità di questa prassi e di ciò
che ne consegue. Fin dal titolo, il personaggio (e il romanzo) si pone al confine tra vita e morte, in una
posizione di incertezza.

Struttura
La struttura è apparentemente circolare, come in tanti romanzi ottocenteschi; in realtà, però, il
protagonista alla fine non ritorna alla situazione iniziale.

Nel finale del romanzo, Mattia Pascal non riconquista l’identità e la condizione precedente, ma può soltanto
contemplare il tutto dall’esterno, da estraneo. I dubbi non si sciolgono e non vengono riconquistate
certezze.

Narratore
Narratore interno, che coincide con il protagonista del romanzo; però è pieno di dubbi ed incertezze,
incapace di fornire una interpretazione oggettiva dei fatti narrati. Il protagonista-narratore riconosce la sua
condizione, dichiarando che, in passato, l’unica sua certezza era il nome, ora però venuta meno.

La Premessa seconda
Nella Premessa seconda, Pirandello si mostra conscio della distanza che lo separa del romanzo
ottocentesco:

− Mattia Pascal scarta tutti i modelli narrativi ottocenteschi

− Mattia Pascal dichiara che l’ordine dei fatti narrati (lineare, anche se retrospettivo) è puramente
convenzionale
− Mattia Pascal dichiara la costruzione organica dell’intreccio è stata possibile soltanto grazie alla
«distrazione» dalla coscienza dell’inconsistenza della vita.

Il racconto delle vicende del protagonista è dunque accompagnato da sguardo critico e riflessione su
quanto narrato: Pirandello introduce da subito il carattere UMORISTICO della narrazione, che mescola
comico e tragico. Il romanzo si propone da subito anche come una riflessione sulla scrittura letteraria e, in
particolare, sulle forme e sulla funzione del genere romanzesco nell’età moderna: romanzo-saggio.

Mattia Pascal
Fin dal nome, MATTIA PASCAL suggerisce alcuni temi centrali nel romanzo (e nel pensiero di Pirandello):

− Rimanda alla follia, condizione tipica degli eroi pirandelliani, che sono considerati folli perché
rivelano la falsità dell’esistenza
− BLAISE PASCAL: riflette sulle incertezze e sulla fragilità della ragione umana

− THEOPHILE PASCAL (citato nel cap. X del romanzo): teorico della teosofia, che crede nella
reincarnazione delle anime: quella del protagonista è una storia di reincarnazione.

Mattia Pascal è un piccolo borghese imprigionato nelle forme imposte dalle «trappole» della famiglia e
della condizione sociale: declassato dalla condizione giovanile di piccolo proprietario a quella di modesto
impiegato nella biblioteca di Miragno, è anche costretto ad un matrimonio riparatore che si rivela
soffocante. Il caso sembra offrirgli la possibilità di liberarsi da queste forme soffocanti: la vincita al Casinò di
Montecarlo lo libera dalla sua condizione economica, mentre la notizia della sua presunta morte lo libera
dagli obblighi familiari.

Da una forma all’altra


Liberatosi dalle forme passate, Mattia Pascal viaggia per due anni sia in Italia sia in Europa, completamente
libero da vincoli familiari e sociali: questa condizione, però, genera in lui un senso di precarietà e di
sofferenza.

Mattia Pascal è incapace di vivere all’interno delle forme originarie, ma anche incapace di vivere al di fuori
di una forma: è convinto che la causa della sua infelicità sia la specifica identità in cui è imprigionato, ma
che le cose possano cambiare semplicemente assumendo un’altra forma ed identità.

Mattia Pascal non comprende che la vera soluzione è la liberazione da qualsiasi forma, anzi passa da una
forma ad un’altra, convinto che la nuova forma sia più vera ed autentica della precedente. Non comprende
che qualunque identità, indipendentemente dal suo contenuto, è una costruzione artificiosa: pertanto,
liberatosi dall’identità originaria, se ne costruisce un’altra (aspetto fisico, nome, storia passata…). La nuova
identità, però, è peggiore di quella precedente, perché non solo è una forma (artificiosa), ma, in quanto
falsa, impedisce al personaggio di stabilire legami con altre persone.

Il ritorno impossibile
Liberatosi dalle forme originarie, Mattia Pascal ne assume di nuove: si trasferisce a Roma, dove vive in
affitto presso una famiglia borghese e si innamora della figlia del padrone di casa. L’eroe protagonista ha
constatato la vacuità delle forme, ma è ancora incapace di farne a meno: la nuova forma, però, si rivela
anch’essa soffocante, con i suoi obblighi e le sue convenzioni.

Mattia Pascal inscena un nuovo finto suicidio, per riprendere l’identità originaria e ritornare alla condizione
iniziale; tuttavia questo è impossibile, perché, tornato a Miragno, egli scopre che la moglie ha sposato il suo
migliore amico. La nuova condizione non lo soddisfa, ma il ritorno a quella vecchia non è più praticabile: si
chiude nella biblioteca di Miragno, da dove osserva la vita che gli scorre davanti e, contestualmente,
racconta la sua esperienza.

L’eroe pirandelliano, scoperta la verità, non può più ritornare alla condizione precedente, ma gli rimane
soltanto la possibilità di osservare la vita dall’esterno, contemplandone con distacco ironico l’assurdità.

Un nuovo eroe romanzesco


Nel romanzo e nel suo protagonista si possono rintracciare diversi temi del pensiero di Pirandello:

− la dialettica tra la vita e le forme

− le «trappole» che imprigionano la vita nelle forme

− la critica all’identità individuale

− la figura dell’eroe filosofo

Mattia Pascal è un nuovo eroe romanzesco, diverso da quelli del romanzo ottocentesco: prende coscienza
della falsità e dell’artificiosità delle forme che tradizionalmente governano l’esistenza umana e aspira a
liberarsene. Però non è ancora un «eroe-filosofo» completo, perché si limita a sostituire le forme
tradizionali con altre forme, senza rendersi conto che l’unica soluzione è la rinuncia a qualsiasi forma, per
fondersi col flusso della vita. Mattia Pascal è incompleto perché è cosciente soltanto della dissoluzione delle
proprie certezze, del venir meno dell’identità, di ciò che non è più, ma non è in grado di proporre una
alternativa positiva a tutto ciò.
“Il fu Mattia Pascal”
Nella conclusione del romanzo, il protagonista dichiara «Io sono il fu Mattia Pascal», dichiarando così:

− l’impossibilità di rinunciare alla certezza offerta da una forma (il nome)

− il riconoscimento di non potersi pienamente identificare con questa («fu»).

Il protagonista riconosce che la propria identità è soltanto una forma illusoria, ma, allo stesso tempo, non è
in grado di sostituirla con una alternativa positiva. L’evoluzione dell’eroe filosofo del romanzo pirandelliano
si completerà con Uno nessuno e centomila, il cui protagonista (Vitangelo Moscarda) riconosce la falsità di
ogni forma e giunge a fondersi col flusso della vita.

Uno nessuno e centomila


1910: lettera di Pirandello a Massimo Bontempelli, per annunciare un nuovo romanzo, «il più amaro e
umoristico di tutti».

1912: una nuova lettera annuncia l’uscita imminente del romanzo.

1915: pubblicazione a puntate del romanzo su «La fiera letteraria».

Uno nessuno e centomila: la lunga gestazione e la continua riscrittura si intrecciano con l’elaborazione delle
opere teatrali. Materiali (caratteri dei personaggi, monologhi…) del romanzo confluiscono nelle opere
teatrali.

Un mattino VITANGELO MOSCARDA si guarda allo specchio e la moglie Dida gli fa notare che il suo naso
pende a sinistra, quando lui aveva sempre pensato che fosse dritto. Questo avvia la crisi di IDENTITÀ del
personaggio, che scopre che l’immagine che egli si era costruito di sé non coincide con l’immagine che gli
altri, a partire dalla moglie, hanno di lui. Il protagonista si rende conto che non esiste un solo Vitangelo
uguale per tutti, ma infiniti Vitangelo, come infiniti sono gli osservatori e le loro prospettive: non esiste
un’unica identità, fissa ed immutabile, ma molteplici diverse identità, semplici MASCHERE prodotte dalla
soggettività di ciascun osservatore.

Il romanzo è costituito da 8 libri, a loro volta divisi in 63 capitoletti: riflesso della frammentazione
dell’identità.

La distruzione delle maschere


Caduta qualsiasi certezza, Vitangelo decide di distruggere sistematicamente le «centomila» maschere
attribuitegli.

Tutti lo considerano un inetto perdigiorno, privo di qualsiasi talento, che vive soltanto grazie alla rendita
assicuratagli dalla banca ereditata dal padre. Per liberarsi da queste maschere, caccia i due amici che da
sempre amministrano la banca e ne assume l’amministrazione in prima persona.

Tutti lo considerano un usuraio, poiché il padre con l’usura ha costruito la sua ricchezza. Sfratta un povero
squilibrato, di cui persino il padre aveva avuto compassione, suscitando il biasimo dei suoi concittadini.
Successivamente, però, rivela alla folla accorsa ad assistere allo sfratto che ha concesso allo sfrattato una
dimora ancora migliore.

L’intero romanzo è un susseguirsi di azioni bizzarre ed imprevedibili del protagonista per sfuggire a qualsiasi
forma.
La follia di Vitangelo
Le azioni di Vitangelo per sottrarsi a qualunque maschera impostagli spingono la moglie, il suocero ed i due
amministratori della banca a considerarlo FOLLE ed a cercare di farlo interdire.

Anna Rosa, un’amica della moglie di Vitangelo, lo avverte del rischio che corre e si offre di procurargli un
incontro con il vescovo, che, in cambio della donazione di tuti i suoi beni in opere di carità, lo può aiutare.
Durante gli incontri con Anna Rosa, Vitangelo le illustra i suoi ragionamenti sull’inconsistenza dell’identità e
sulle maschere: questi discorsi sconvolgono l’equilibrio psichico di Anna Rosa, che spara a Vitangelo senza
motivo.

Tutta la cittadinanza è convinta di una relazione tra i due e che Anna Rosa abbia sparato a Vitangelo per
difendersi da un tentativo di violenza: sul protagonista è imposta la maschera dell’ADULTERO. Vitangelo
non tenta nemmeno di difendersi dalle accuse, ma accetta la colpa attribuitagli e dona tutti i suoi beni per
fondare un ospizio per i poveri, dove lui stesso si ritira a vivere, da tutti considerato folle.

Non conclude… (XD)


Il romanzo in apparenza termina con la sconfitta di Vitangelo: dopo tutti gli sforzi fatti per liberarsi da ogni
maschera, è costretto a convivere con la maschera, peraltro immotivata, di adultero.

In realtà, proprio quando si ritira nell’ospizio ed è da tutti considerato folle, può finalmente vivere libero da
ogni forma di identità: può «morire» e «rinascere» ogni giorno, confondendosi così col flusso della vita.
Questa conclusione segna la distanza e la maggiore maturità di Vitangelo Moscarda rispetto a Mattia
Pascal:

− scoperta la «trappola» dell’identità, si limita a cercare una nuova forma, perché non è ancora
capace di vivere al di fuori dalle forme
− non ricerca una nuova forma, ma si sforza di sfuggire a qualsiasi forma, perché consapevole che
qualsiasi forma è falsa, frutto della prospettiva altrui. Il punto di arrivo della ricerca di Mattia Pascal
coincide con il punto di partenza di quella di Vitangelo, che, infatti, rifiuta anche il nome.

Da Mattia a Vitangelo
Uno nessuno e centomila presenta diversi punti di contatto con Il fu Mattia Pascal:

− la figura del protagonista-narratore

− la narrazione retrospettiva

− la presenza di digressioni filosofiche all’interno del racconto

− la dialettica tra forma e vita

− il tema dell’identità

In Uno nessuno e centomila, però, il pensiero di Pirandello approda ad una maggiore maturità, come
dimostrano:

− la maggiore frequenza e ampiezza delle digressioni filosofiche: si accentua la forma del romanzo-
saggio
− la critica più radicale all’identità e alle forme

− l’evoluzione della figura del protagonista.


La maschera dimenticata
Si tratta di una novella scritta da Luigi Pirandello appartenente alla raccolta “In silenzio”

La prima pubblicazione risale all’agosto del 1918, col titolo Come Cirinciò per un momento si dimenticò
d’esser lui, per poi passare a Il carnevale dei morti nel 1919 e infine con il titolo attuale.

RIASSUNTO

In seguito alle imminenti elezioni, alcuni uomini sono stati invitati a casa del candidato Laleva per una
sessione di strategia. Tutti i presenti rimangono stupiti nel veder arrivare don Ciccino Cirinciò, un uomo che
nel passato fu molto influente, nonché il precedente proprietario di una zolfara. Tuttavia egli si era ritirato a
vita privata a causa di diverse tragedie.

Don Ciccino in realtà è stato invitato dal padre di Laleva, un invito accettato come segno di gratitudine nei
confronti di colui che lo ha aiutato in precedenza con il processo della zolfara

Inizia la riunione e Don Ciccino ne prende parte attivamente, ottenendo anche il compito di condurre la
campagna politica nel comune di Borgetto dove egli non ha una storia. La sua maschera, in altre parole,
viene tolta, dimenticata.

Alla fine l’elezione viene vinta, grazie anche agli sforzi di don Cirinciò. Tuttavia durante i festeggiamenti, un
uomo riconosce Ciccino e con lui tutti i presenti. Ecco, così, che gli viene rimessa la sua maschera ed
attribuiti tutti gli aggettivi che fanno isolare di nuovo l’uomo.

analisi

La novella presa in analisi esalta senza dubbio il pensiero dello scrittore, facendo riferimento a molteplici
dei temi usualmente trattati da Pirandello. Inoltre, segue lo schema della novella tipica:

- inizia con l'avvenimento di un fatto imprevisto, in questo caso l'entrata in scena di Don Ciccino Cirinciò

- viene introdotto il disagio del protagonista, ovvero gli aggettivi a lui attribuiti e il suo aspetto fisico.
Pirandello infatti lo definisce “ zitto zitto e zoppicante con gli occhi chiusi…”

- l'arrivo con consapevolezza all'assurdità della vita

- Viene introdotta la tematica della maschera ovvero la convinzione di Pirandello che ognuno di noi
viene ricoperto da una maschera a seconda della situazione che si sta vivendo. Don Ciccino, infatti,
viene presentato come un uomo solo, che ha deciso di isolarsi dalla vita a causa di diverse sciagure.
Egli stesso sembra accorgersi della maschera che indossa, una maschera che cade, però, nel
culmine del racconto quando gli viene affidato l'incarico di Borgetto: in questo paese non è
conosciuto perciò nessuno ha dei pregiudizi

- Un altro dei temi ricorrenti di Pirandello è quello della trappola, ovvero la teoria che ognuno viva in
una trappola costruita da lui stesso e dalla società. L'uomo desidera fortemente uscirne e liberare
la sua vera indole. Tuttavia proprio come accade in questa novella ogni persona ha bisogno di
essere identificata e ciò la porta a vivere sempre la stessa condizione

La carriola
riassunto
Un uomo racconta, con fare molto misterioso, una mania che da qualche giorno ha e che lo tormenta
segretamente. È un avvocato e professore di diritto con gravosi impegni lavorativi e obblighi pubblici e
privati, che mantiene un rigoroso decoro e non si concede alcun tipo di distrazione. Un giorno, sul treno di
ritorno da Perugia, non riuscendo a concentrarsi sulle carte che si è portato appresso per continuare il
lavoro, l’avvocato ha contemplato per un istante, fuori dal finestrino, l’incantevole campagna davanti ai
propri occhi, senza realmente vedere nulla. Il suo sguardo ha infatti fissato ciò che c’è all’esterno restando
assorto in un’idea che gli si è affacciata alla mente, ovvero la percezione del “brulichio d’una vita diversa” e
il ricordo di “desiderii prima svaniti che sorti”.

Il protagonista, insomma, ha una sorta di visione della vita che, per la maschera 1 impostagli dal mondo e
dalla società, non ha mai vissuto. Una vita in cui lo spirito, ora schiacciato dalle incombenze della sua
posizione d’avvocato, “si sarebbe ritrovato; anche per soffrire, non per godere soltanto, ma di sofferenze
veramente sue” 2. Da qui, gli nasce una “atroce afa della vita”, che gli rende insopportabile l’esistenza
quotidiana sinora condotta.

Tornato a casa si ferma davanti alla porta di ingresso a osservare la targa con i titoli e il proprio nome e ne
rimane turbato, non riconoscendola più come sua. Lo invade tutt’a un tratto “la spaventosa certezza” di
essere ormai diverso dall’uomo che abita normalmente quella casa, e si vede come estraneo a se stesso,
come “un nemico”. Il moto di distruzione che lo prende lo fa quasi reagire violentemente contro gli oggetti
della casa, contro la moglie e i figli, ma un sentimento “strano, penoso, angoscioso, di loro” 3 lo fa desistere
per rientrare nella sua usuale ed impassibile esistenza. L’uomo non cambia abitudini e conserva la “forma”
4, ovvero la maschera falsa e inautentica che lo rappresenta di fronte agli altri. L’uomo si concede solo una
trasgressione: ogni giorno, quando è nel proprio studio ed è sicuro di non essere disturbato, si concede il
gesto apparentemente insensato di prendere la cagna che dorme lì per le zampe posteriori e di farle fare
“la carriola” per una decina di passi. Il terrore negli occhi dell’animale diventa, agli occhi dell’uomo, la
dimostrazione che non si può uscire dal ruolo che il mondo ci ha, in un modo o nell’altro, assegnato.

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