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RELIGIONE E MITO NEL MONDO ANTICO

A.A 2020/2021

IL CONCETTO DI RELIGIONE
La nozione di religione, così come noi la conosciamo, deriva dalla tradizione cristiana che a sua volta
mutua il termine dai latini, cioè dalla tradizione letteraria latina.

Il termine religio deriva da relegere, ovvero “rileggere, riconsiderare o considerare attentamente”.


Tuttavia, non tutti gli autori attribuivano a questo termine lo stesso significato, come per esempio
Lucrezio, Cicerone o Sant’Agostino, che fanno invece un mezzo utilizzo del termine.
Sant’Agostino in particolare sostiene che il termine religio deriverebbe da re-eligere, nel senso di
“scegliere nuovamente”.

Tertulliano invece, nato a Cartagine e vissuto nel tardo II secolo d.C., scrive due opere: ad nationes e
apologeticum, due saggi in cui egli fa menzione della religione Cristiana (non definita come tale) che
descrive come “la nostra religio”, della religione romana (cioè quella pagana) e cita anche la religione
ebraica. Dunque l’autore riporta tre contesti storici differenti.

Arnobio poi sarà tra i primi autori cristiani ed il primo ad utilizzare il termine Cristiano.

Per quanto riguarda la visione contemporanea, Brelich e Gasparro ci forniscono la loro definizione di
religione:

❖ «Complesso di istituzioni, credenze, azioni, forme di comportamento e organizzazione mediante


la cui creazione, conservazione e modifiche adeguate a nuove situazioni, singole società umane
cercano di regolare e di tutelare la propria posizione in un mondo inteso come essenzialmente
non-umano, sottraendone, investendo di valori e includendo in rapporti umani quanto ad esse
appare d’importanza esistenziale» (A. Brelich);
❖ «Complesso organico di credenze, istituzioni, pratiche rituali e comportamenti etici che
riguardano il rapporto dell’uomo con Dio ovvero, un’accezione più ampia e meno qualificata in
senso cristiano, con il livello sovrumano, divino» (G. Sfameni Gasparro).
RELIGIONI DEL MONDO ANTICO

Si tratta di un blocco compatto e omogeneo che ha limiti geografici e cronologici piuttosto definiti:

➢ I limiti geografici si estendono in un territorio che va dalla Mesopotamia al Mediterraneo


(quindi Grecia, Roma ed Etruria) fino ad arrivare all’Europa Centrale e Settentrionale (andando
ad abbracciare anche la religione celtica);
➢ I limiti cronologici si sviluppano a partire dal IV millennio a.C., cioè nel periodo della nascita
della scrittura a Oriente, fino ad arrivare al 380 d.C., l’anno dell’editto di Teodosio (trattato
secondo il quale il Cristianesimo diviene la religione ufficiale dell’Impero). Questa è una data
convenzionale perché, in realtà, i fenomeni storici non sono fenomeni che possono essere
racchiusi in uno specifico anno, ma anzi sono fluidi, cioè il processo è graduale.
Costantino, ad esempio, pur essendosi convertito al Cristianesimo, rivestirà comunque il ruolo
di Pontefice Massimo.

CARATTERI COMUNI
I. Innanzitutto sono religioni etniche: questo vuol dire che sono il prodotto di quei popoli che
hanno contatti culturali reciproci, che siano essi commerciali, politici oppure sociali e bellici;
II. Politeismo: la maggior parte delle popolazioni basa la loro nascita o il loro sviluppo sul
politeismo, eccezione fatta per il caso del Giudaismo, che anzi influenzerà anche il
Cristianesimo e l’Islam.

POLITESIMO

È un termine moderno che viene utilizzato dal XVI secolo, ma con precedenti nel mondo antico, che
ammette la presenza di più dèi verso i quali si pratica un culto.

Il termine viene considerato espressione di civiltà evolute che conoscono la scrittura e hanno dunque
elaborato una loro nozione di “divinità”.

Le divinità del pantheon vengono rappresentate come immortali, hanno una loro genealogia e
diventano protagoniste di vicende vissute e narrate, di amori, di conflitti, guerre e pacificazioni. Queste
vicende che interessano le divinità e gli eroi prendono il nome di Mitologia: ad esempio la mitologia
greca rappresenta il modello eccellente, talmente ricca nell’intersecare i racconti.
MONOTEISMO

Anche questo è un termine abbastanza moderno che nasce ora nel XVII secolo nell’ambito della scuola
platonica di Cambridge. Henry More sarà il primo a coniare il termine e utilizzarlo in un suo saggio del
1660 (An explanation of the grand mystery of godliness), e lo conia perché voleva sostenere la sua verità che è
quella di un dio unico, dio che egli oppone al politeismo.

Dunque il politeismo equivarrebbe ad una molteplicità falsa perché ignora l’unicità del Dio dei cristiani.

ENOTEISMO

Termine coniato da Max Müller per indicare una forma religiosa che, pur ammettendo l’esistenza di
più divinità, ne celebra invece una, come nelle religioni dell’Arabia preislamica. Anche nel Corano sono
presenti nozioni di più divinità: pur essendo politeista, l’Arabia dava importanza ad un solo dio, che si
consoliderà con l’Allah di Maometto.

DEISMO

Nasce nel periodo illuminista ed è una dottrina razionalista, filosofica che ammette e riconosce
l’esistenza di un principio supremo nell’universo, ma nega qualsiasi intervento di questo principio nella
storia. Si nega cioè la sua provvidenza.

PANTEISMO

Concezione che persegue una visione secondo cui tutto ciò che è visibile e concreto nel mondo allora è
divino. Questo vuol dire che la divinità si identifica con il mondo, tutto è divinità.
LA RIVOLUZIONE NEOLITICA
A partire dall’VIII millennio si verifica un rapido sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, sviluppo
che comporta per l’uomo l’abbandono del nomadismo e la formazione di insediamenti stabili. Proprio
in questi insediamenti si sviluppa quella che potremmo definire “vita associativa” e che va a costituire
società proto-urbane, note grazie alla documentazione archeologica dato che la prima
documentazione scritta apparirà solamente dopo il IV millennio a.C.

Le principali forme religiose del Neolitico si basavano sicuramente sulla pratica religiosa, sul Culto degli
Antenati (cioè il morti del nucleo tribale e successivamente di un clan gentilizio come accade in Grecia,
a Roma o in Etruria) e sul Culto della terra.

ÇATAL HÜYÜK

Insediamento del Neolitico che va dal 7400 al 6000 a.C. ritrovato nell’odierna Turchia (antica Anatolia
centrale).

Toponimo moderno: parliamo di un sito che si colloca


tra due ambienti naturali, ovvero il prato (utile
all’allevamento) e terreni irrigati e fertili fondamentali
per l’agricoltura; sono dunque degli ambienti che
favoriscono l’abbandono del nomadismo.
All’interno del villaggio si praticavano caccia e
commercio, come ci testimoniano i ritrovamenti di
ossidiana, ma anche la lavorazione metallurgica, quindi
lavorazione di rame e piombo.

Dal punto di vista religioso sono state ritrovate tracce evidenti, come ad esempio testimonianze di un
culto gentilizio degli antenati che continuano ad agire nella quotidianità, nella tutela di tutte le attività:
gli antenati garantivano in qualche modo che i terreni irrigati producessero frutti o che l’allevamento
fosse fecondo. Questo è un culto che veniva praticato da un clan famigliare che poteva abitare 3/4 case.

In foto possiamo notare la planimetria di un insediamento che comprendeva 3 o 4 case che si affacciano
su un cortile, dunque abitazioni di questo clan famigliare. Gli spostamenti avvenivano sui tetti, infatti le
entrate sono poste in alto e ci si spostava tramite delle scale.
All’interno di questo insediamento sono stati ritrovati dei bucrani, cioè teste di bovini che avevano una
funzione religiosa e che nell’ambito sacro hanno una lunga storia.
CULTO FUNERARIO

Tra le scoperte, ci sono anche dei dipinti che hanno aiutato


archeologi e antropologi a capire quali fossero gli usi funerari di chi
abitava questo insediamento. Essi si ritrovarono davanti a questa
rappresentazione: due torri di legno alla cui sommità è presente un
corpo, una testa che viene mangiata dagli avvoltoi.

Gli esperti deducono che, nel momento in cui avveniva una morte, anche violenta dato che gli abitanti
dovevano difendersi sia da animali ma anche da altri clan vicini (ricordiamo inoltre che chi muore di
morte violenta nel mondo antico avrà un destino diverso anche nell’aldilà), il corpo del defunto veniva
esposto su queste torri, non integro ma con la testa da una parte e il corpo dall’altra; dunque la
consumazione dei rapaci avveniva su luoghi diversi. Gli scheletri invece venivano posti sotto i letti delle
abitazioni, di cui ci testimoniano i ritrovamenti archeologici.

Perché? → Gli antenati, o comunque i morti del clan, devono continuare ad agire nella vita quotidiana
e continuare a garantire la continuità del clan, della propria stirpe.

Ancora oggi possiamo ritrovare forme funerarie


analoghe a quelle praticate a Çatal Hüyük. In foto, ad
esempio, possiamo osservare la Torre del silenzio
(Bombay) che ospita ancora oggi i resti di morti che
fanno parte del popolo dei Parsi, un’etnia originaria
della Persia che si è spostata in India a partire dall’VIII
secolo d.C. e che pratica il mazdeismo (o zoroastrismo).
In questa religione il fuoco è considerato sacro e
pertanto il corpo non può essere bruciato perché, essendo questo impuro, andrebbe ad intaccare la
purezza del fuoco (la stessa cosa vale per il terreno, dunque anche l’inumazione è vietata). Il costume
funerario in questo caso prevede di mettere i morti in queste torri affinché ci sia una consumazione da
parte degli avvoltoi; tuttavia oggi questo culto sta andando sempre più in disuso a causa della mancanza
di avvoltoi e del sovraffollamento, inoltre in molti scelgono di venire meno al credo.

Una torre del silenzio è presente anche a Yazd, in Iran, e in questo caso possiamo osservare la presenza
di tre anelli con al centro un pozzo. I resti dei defunti venivano posti proprio all’interno di questo
pozzo.

Tra gli altri ritrovamenti abbiamo anche una figura femminile in trono che mette in evidenza il pube e i
seni e oltre ad essere seduta è affiancata da due animali. Questa statua ci dice che siamo di fronte ad una
figura tutelare che ha rapporti con la fertilità ed esprime una sorta di dominio sugli animali. Una di
queste “dee” neolitiche ha dato vita a quello che chiamiamo “culto della dea madre” che è un mito
scientifico.
IL CULTO DELLA DEA MADRE

Marija Gimbutas, nota etnografa, nasce in Lituania e vive lì fino alla giovinezza dato che sarà costretta
a spostarsi negli USA. Ella si occupò dello studio delle religioni dell’Europa antica (identificata con
l’Europa del neolitico) e affrontò anche il tema di queste “dee viventi”.

Le cosiddette veneri paleolitiche presentano caratteristiche che spaziano dal


gioco di volumi, caratteri femminili ipertrofizzati e una rappresentazione più
simbolica che naturalistica. Queste sono figure che esaltano la fertilità e le
capacità generative femminili.
Basti pensare, per esempio, alla celebre Venere di Willendorf la cui figura
sembra mettere in evidenza il ventre e i seni molto ampi, mentre volto e piedi
sono assenti, un fatto che noi non riusciamo a capire ma che sicuramente
doveva essere rilevante.

L’uomo invece ha una funzione guerriera, della caccia (un’attività che comunque prepara alla guerra) e
poi, quando la società si evolve, a lui spetta la funzione politica ed istituzionale. Uomini e donne hanno
un solo momento di incontro: quello delle nozze, affiancato da un rituale importante.

Tuttavia, quando si parla di culto della dea madre, dobbiamo tenere presente che si tratta di un mito
scientifico, ma comunque attestato dai ritrovamenti di statuine di terracotta che riproducono figure
femminili. Sarebbe più corretto parlare di culto della Terra Madre, finalizzato a garantire la fertilità
della terra e la fecondità umana.

DOLMEN, MENHIR E CROMLECH

Il culto funerario viene attestato, nelle società neolitiche, da tutta un’altra serie di evidenze
archeologiche su cui si è creata una “fantarcheologia”.

I dolmen (dal bretone “tavola di pietra”), ad


esempio, sono dei veri e propri tavoli realizzati con
lastre lative secondo uno schema del triliton (due
orizzontali e una verticale) e furono trovate anche
in Sardegna, Turchia…. Questi dolmen erano
residui di elementi funerari (all’inizio non si
riuscivano a vedere poiché coperti da un tumulo di
terra).
I menhir (dal bretone “tavola lunga”) possono
essere organizzati in allineamenti, in insiemi molto
estesi di queste pietre e sono verosimilmente
testimonianze di un culto funerario. Quando si
parla di questi elementi si parla anche di
collegamenti coi cieli, gli astri (anche se è difficile
dimostrarne i collegamenti). Uno dei più antichi si
trova a Karnak, in Bretagna.
I menhir rappresentano inoltre delle immagini aniconiche, la pietra rappresenta cioè il defunto e questo
è evidente osservandone l’evoluzione: prendendo ad esempio la Corsica possiamo osservare che qui da
un momento in avanti si iniziano a decorare, antropomorfizzare e rendere le pietre simili a delle figure
umane.

Parlando invece di cromlech (dal bretone “cerchio


di pietre”) il più noto è sicuramente quello di
Stonehenge, ancora permeato di dubbi
interpretativi. Ma perché ancora oggi vi sono dei
dubbi? Perché quello che noi vediamo oggi è frutto
di restauri di qualche decennio fa e quindi queste
pietre potrebbero essere state rialzate in un modo
non corretto. Inoltre vi sono stati una serie di studi
che si sono contraddetti e quasi ogni anno, in maniera enfatica, vengono presentate nuove scoperte che
sembrano quasi sempre risolutive anche se poi così non si rivela.
Noi possiamo pensare che questo sito avesse una funzione religiosa, in primo luogo per la sua forma
circolare e poi per la scoperta di un percorso “processionale”, ovvero: per arrivare a Stonehenge si
praticava un percorso che aveva finalità rituali.
Intorno a questo cromlech sono inoltre state ritrovate delle sepolture che ci confermano l’importanza
del culto funerario nella religione.

Questa circolarità gli archeologi l’hanno identificata


anche a Gobekli Tepe, un insediamento neolitico
risalente al 9600-8000 a.C., che ci testimonia un
complesso circolare avanzato, quattro recinti circolari
con all’interno delle steli, alcune decorate a rilievo.
Il complesso di Gobekli Tepe ci fa capire
l’importanza dell’Anatolia che non a caso si trova tra
Oriente e Occidente e funge da collegamento tra i
due territori. Chiaramente Stonehenge è più recente rispetto all’insediamento anatolico e dunque,
quest’ultimo, viene considerato il primo e più antico insediamento e luogo di culto in Occidente.
MESOPOTAMIA E VICINO ORIENTE
La Mesopotamia, letteralmente “terra tra due fiumi”, vede attorno alla metà del V millennio a.C. la
nascita della prima grande civiltà della storia e, nel IV millennio, la produzione della prima scrittura.
Questo è un grande territorio da cui forme, caratteri e strutture si diffonderanno lentamente nei paesi
vicini, sviluppandosi e raffinandosi portando alla nascita dei più grandi popoli e dinastie che abbiano
mai occupato questa terra fertile: Sumeri, Accadi, Babilonesi e Assiri.

Le civiltà mesopotamiche sono accumunate da un apparato religioso omogeneo e che si conserva nel
tempo senza subire particolari modifiche. Inoltre, essendo queste civiltà che si basano sulla religione, si
tende a parlare spesso di città-tempio per quanto riguarda la sfera urbana.

LA ZIQQURAT

Quando si parla di tempio non possiamo non citare la Ziqqurat (dal verbo accadico “zaqaru” che vuol
dire “essere elevato”), una struttura che si sviluppa in altezza tramite terrazze, torri sovrapposte e rampe
di collegamento, considerata casa del dio e luogo di comunicazione tra il mondo celeste e il mondo
terreno. Essa è inoltre comparabile ad una montagna, che nella tradizione viene associata al luogo di
epifania della divinità, ovvero il luogo in cui la divinità si è manifestata per la prima volta essendo
questo il punto più vicino alla dimensione celeste.
Sempre in relazione alla ziqqurat possiamo distinguere due
parti:

➢ Tieftempel, la parte alla base;


➢ Hochtempel, la sommità.

Testimonianze di questo antico tempio ci arrivano sin dai


tempi antichi:

❖ Erodoto, nelle Storie, descrive la ziqqurat di Babilonia come un edificio costituito da torri
sovrapposte e con alla sommità un maestoso tempio con all’interno un letto riccamente
decorato. Nessuno vi passa la notte, tranne una donna scelta dal dio in persona;
❖ Genesi, 11, 1-9: in questo passo si narra di una migrazione che dall’Oriente si stabilirono nel
paese di Sennaar. Qui iniziarono a costruire una città e una torre la cui cima toccasse il cielo e
decisero di farsi un nome per non disperdersi su tutta la terra ma il Signore scese a vedere la città
e la torre che gli uomini stavano costruendo e decise di confondere a loro lingua affinché non
comprendessero più le parole dell’altro. Egli inoltre li disperse su tutta la terra; da qui viene il
nome della Torre di Babele.
Sappiamo che questi edifici erano costruiti con mattoni e materiali deperibili, come ad esempio canne,
mattoni crudi e bitume, e che ospitavano magazzini per la conservazione del raccolto. Questo significa
che la gestione dell’economia passava attraverso il santuario e, allo stesso modo, i raccolti, posti sotto la
tutela divina che ne garantiva la conservazione.
Ben presto la ziqqurat prenderà piede in tutti i più importanti centri della Mesopotamia, quali Eridu,
Uruk, Ur, Nippur, Assur, Mari, Babilonia e Borsippa. A tal proposito ricorderemo sicuramente:

→ Ur dei Caldei: situata nei pressi di Nassiriya, secondo la Bibbia è il luogo d’origine di Abramo e
dal quale sarebbe partito. Ad oggi la struttura è stata completamente ristrutturata con materiali
moderni conservandone però la tradizionale forma;

→ Tempio ovale di Khafaja: risalente al 2500 a.C., questa struttura è composta da due recinti,
una terrazza templare e una rampa di collegamento. Il tempio ovale caratterizza l’urbanizzazione
della città-tempio, ciò vuol dire che la città si sviluppa proprio intorno al santuario;

RAPPORTO TRA ZIQQURAT E PIRAMIDI

Le ziqqurat e le piramidi sono accumunate dalla tensione


verso il cielo e il volersi distaccare dalla dimensione
terreno per fondersi con quella celeste. La loro funzione
però è differente: se da una parte la ziqqurat ha la
funzione di tempio, dall’altra la piramide è pensata come
un mausoleo, cioè doveva accogliere le spoglie del
faraone e, pertanto, il luogo è inaccessibile.

Si potrebbe dire che un’idea analoga alla ziqqurat è


rappresentata dalle piramidi mesoamericane, le quali,
proprio come gli edifici mesopotamici, prevedevano un
tempio alla sommità. Ovviamente si tratta pur sempre di
prodotti differenti e totalmente indipendenti tra loro, ma
ci fanno capire come l’uomo ragioni sempre allo stesso
modo, indipendentemente dal luogo e dal tempo.

Un altro esempio simile all’idea di una ziqqurat è infine rappresentato dai santuari prenuragici che si
trovano in Sardegna, di cui ricorderemo sicuramente il Santuario di Monte d’Accoddi, nell’attuale
provincia di Sassari.
La struttura qui ci presenta terrazze sovrapposte con alla sommità un edificio, una struttura che
potremmo identificare con un tempio. Sono poi presenti altri dettagli significativi:
➢ Non possiamo dire con certezza se intorno ci sia
un recinto;
➢ A sinistra della rampa è collocato un menhir, un
dettaglio importante considerando che in
Sardegna vi sono molte testimonianze megalitiche;
dunque, non stupisce trovare un menhir proprio
qui;
➢ Un altro elemento è la lastra circolare piatta a destra che sicuramente ha un suo significato
anche se noi non possiamo saperlo. Possiamo dedurre che si tratti di un segno del sacro, un
sacro che si sta evolvendo sempre di più rispetto al passato.

Tutti questi luoghi, inoltre, sono recintati, delimitati e questo è un elemento che troveremo in tutti i
luoghi sacri; questo perché lo spazio sacro è uno spazio dedicato alla divinità e deve essere ben separato
dallo spazio laico che è invece proprietà dell’uomo.
LA SOCIETÀ MESOPOTAMICA

Come sappiamo, le società mesopotamiche prevedono il concetto di divinità,


indicate con il segno cuneiforme sumerico del Dingir, che significa “stella”. Le
divinità, infatti, si trovano in una dimensione celeste e si identificano con gli astri.
Quando nelle tavolette troviamo questo segno significa che vicino vi sarà scritto
anche il nome della divinità. Un esempio lo abbiamo grazie a questa tavoletta del
III millennio a.C. che presenta il Dingir con a fianco proprio il nome della divinità.

Al vertice della società mesopotamica c’era il Lugal (“uomo grande”, “re”, “signore”)e la regalità non è
autonoma alla sfera religiosa, ma anzi è considerata di origine divina: ciò vuol dire che il re ha
prerogative sacerdotali ed è il rappresentante terreno della divinità.
In questa prima fase il lugal è ancora il vicario della divinità, ma arriverà un momento in cui diventerà
esso stesso un dio, proprio come avviene in antico Egitto con il faraone.

IEROGAMIA

La ierogamia (ovvero le nozze sacre) è il rito principale della religione mesopotamica. Questo è un
rituale che avveniva nel tempio che, come abbiamo detto, si trovava alla sommità della ziqqurat; il letto
descritto da Erodoto, infatti, era proprio funzionale a questo rituale: una sacerdotessa, una prescelta del
popolo che rappresentava la massima divinità femminile (Inanna-Ishtar), si accoppiava con il re
all’interno del santuario.

MA PERCHÉ IN MESOPOTAMIA, A PARTIRE DAL III MILLENNIO, SI


CONCEPISCE QUESTO RITO?
L’accoppiamento della divinità con il re aveva la funzione di
legittimare il ruolo del sovrano e di garantire fertilità all’intero
popolo e alla terra che il popolo occupa e coltiva. Tutto questo
produce la continuità di vita per l’intero regno: quando il re viene
rilegittimato annualmente, quando attraverso questo accoppiamento
si cerca di garantire continuità alla terra (i frutti venivano addirittura
conservati all’interno del tempio) e fertilità al popolo → tutto questo
era premessa per dare al regno continuità di vita. Ed è proprio per
questo che la festa avveniva in occasione del nuovo anno, cioè in
occasione di Akitu (l’equinozio di primavera).
PROSTITUZIONE SACRA

Espressione moderna, contemporanea che è entrata in maniera convenzionale in una parte degli studi
che riguarda non solo la società mesopotamica, ma anche la religione greca, egizia e italiana. Questa
avveniva anche nei santuari di Afrodite e in alcuni santuari in Magna Grecia e Italia tirrenica (Etruria e
Lazio antico).

PERCHÉ SI DEFINISCE PROSTITUZIONE SACRA?


Perché è un tipo di prostituzione che avveniva all’interno dei santuari. Le sue origini sono in
Mesopotamia, dunque subirà uno spostamento da Oriente a Occidente. L’Afrodite dei greci, infatti,
deriva proprio dalla signora del cielo, dunque per poter comprendere la figura della dea greca si deve
innanzitutto capire la sacerdotessa mesopotamica.

PERCHÉ AVVENIVA?
In alcuni casi per questioni economiche, nel senso che i visitatori entravano nel santuario, consumavano
rapporti con le prostitute e il guadagno andava al santuario. Tuttavia, da fonti greche, sappiamo che vi
sono anche motivi religiosi e molte donne venivano spinte a prostituirsi.

Importanti testimonianze:

→ Erodoto: non a caso cita Cipro, dato che qui si trova uno dei santuari più importanti di
Afrodite; egli la riteneva una legge vergognosa dato che le donne non potevano sottrarsi alla
prestazione se pagate;

→ Strabone: testimonianze di questa pratica le troviamo in altre città, come ad esempio a Corinto;
qui Strabone ci descrive il tempio di Afrodite e sosteneva che l’edificio fosse così ricco da poter
ospitare mille prostitute sacre;

→ Giustino: parla della città di Locri durante l’assedio del tiranno Leofrone e di come i suoi
cittadini fecero voto che se avessero vinto avrebbero fatto prostituire le loro figlie nel giorno
sacro di Afrodite;

→ Deuteronomio, 23, 18-19: asserisce che nessuna donna e nessun uomo d’Israele saranno dediti
alla prostituzione sacra, in quanto è abominio per Dio.

FENOMENO DELLE DEVADASI

Il termine “Devadasi” (“schiava di dio”) indica quelle fanciulle giovanissime che si considerano sposate
alla divinità ed entrano al servizio di santuari indù. Esse danzavano e garantivano servizi al tempio,
come ad esempio la pulizia e la prostituzione, spinte per lo più dalla loro famiglia.
LA DIVINIZZAZIONE DEL LUGAL
Lugal caratterizzato da un copricapo raffigurato nell’intento di
donare un capretto.
In basso la rappresentazione di una processione con il lugal che
offre un sacrificio alla divinità Inanna-Ishtar, corrispondente alla
Venere dei romani. Vi sono due maniere per rappresentare
questa divinità: nude o vestite. In questo caso è completamente
vestita, proprio come l’Afrodite greca, la quale può a sua volta
essere rappresentata nuda o vestita: Prassitele ad esempio la
rappresenta nuda, ma può anche essere raffigurata armata.
Tutti questi aspetti iconografici derivano da Inanna-Ishtar, è una
cosa che la Grecia ha assorbito dall’Oriente, proprio come la
prassi della ierogamia e la prostituzione sacra. Lo stesso
simposio nasce a Oriente e i greci lo hanno ripreso piegandolo
alle loro esigenze.

Per un certo momento il lugal si conferma come un vicario in terra tra l’uomo e la divinità.

QUANDO AVVIENE QUESTA DIVINIZZAZIONE?


Sappiamo che il primo sovrano divinizzato è Naram Sin, che stava al potere tra il 2254 e il 2218 a.C..
Gli archeologi sanno che fu il primo perché vicino al suo nome hanno trovato il denominativo dingir,
simbolo che caratterizza i nomi delle divinità, dunque ci troviamo di fronte ad un nome divino. Non è
un caso che in questa fase si sia organizzato un pantheon mesopotamico, nel quale ha un ruolo
fondamentale la Scuola Teologica di Nippur.

L’intervento della scuola di Nippur arriva in un momento importante perché si comincia a capire che il
numero delle divinità era talmente alto che ci doveva essere inevitabilmente una organizzazione del
pantheon, addirittura si era arrivati ad un numero di 2000 divinità.
Queste vengono quindi organizzate e suddivise in liste o gruppi fondati su vincoli di parentela oppure
su competenze teologiche affini, cioè divinità che hanno ambiti di intervento o competenza analoghi.
Notiamo inoltre che i legami di parentela li ritroveremo nel pantheon greco, ma anche quello latino.
IL PANTHEON MESOPOTAMICO

Al vertice del pantheon mesopotamico vi sono due triadi divine: la Triade Cosmica e la Triade Astrale.
L’organizzazione delle divinità in triadi in realtà riguarda anche altri panthea, altre religioni, come ad
esempio la Triade Greca composta dai fratelli Zeus, Poseidone e Ade o la Triade Capitolina costituita
da Giove, Giunone e Minerva.

TRIADE COSMICA

Comprende divinità che rappresentano l’intero cosmo:

❖ An: dio celeste garante della regalità e del potere del lugal;
❖ En-lil: dio del cielo meteorico, dei fenomeni (pioggia, vento…) di un cielo più vicino alla terra.
Esso è considerato anche dio dei destini;
❖ En-ki: dio del sottosuolo e delle acque sotterranee. Considerato anche dio dei riti e dei
sacerdoti.

TRIADE ASTRALE

Comprende divinità che rappresentano il rapporto molto stretto con la dimensione celeste:

❖ Nanna: il dio luna;


❖ Utu: il dio sole;
❖ Inanna: rappresentante la stella, dea dell’amore e dell’eros con un’iconografia simile a quella
della greca Afrodite. Essa è la divinità femminile principale del pantheon.

Ancora una volta questo ci mostra come in queste società sostanzialmente la religione abbia un rapporto
stretto con ciò che sta nella dimensione celeste. Da ciò, infatti, deriva questa concezione del cosmo nel
mondo mesopotamico (prendendo ad esempio il pantheon greco, Urano rappresenta a sua volta il cielo,
Gea la terra, sono dunque elementi primordiali e cosmici divinizzati).

→ Cielo: rappresentato da An;


→ Terra/vento: En-lil;
→ Sottosuolo: En-ki;
→ Inferi: rappresentati da Ereshkigal, sorella di Inanna. Qui ci troviamo in una dimensione che
ha una diretta relazione con la morte, con gli aspetti funerari e tutto ciò che riguarda la fine,
dunque con l’escatologia.
Nelle tavolette possiamo ritrovare le raffigurazioni delle sorelle: Inanna sulla sinistra, portatrice di
generazione e rigenerazione ed Ereshkigal sulla destra, dominatrice degli Inferi. Le differenze nella
rappresentazione sono minime: entrambe sono rappresentate in quasi completa nudità e con delle ali;
entrambe dominano gli animali, sono in completa frontalità (un elemento interessante considerando
che per un primo periodo solamente le divinità saranno rappresentate frontali, mentre l’uomo di
profilo) ed hanno le braccia aperte, segno dell’epifania (“manifestazione”, è la divnità che si mostra
all’uomo, e quando si mostra ha questa postura con le braccia aperte).

IL CONCETTO DI CREAZIONE

Legata alla concezione del cosmo è la creazione e, grazie alla documentazione scritta, possiamo vedere
che le diverse scuole delle città avevano concezioni diverse:

➢ A Nippur si riteneva che il creatore fosse En-lil e che avesse creato il mondo tramite l’aria.
Sempre En-lil avrebbe creato l’uomo per emersione dalla terra, proprio come una pianta;

➢ A Eridu si pensava che fosse En-ki e che avrebbe creato il mondo attraverso l’acqua (adesso
quindi cambia il processo di creazione e la divinità). Secondo i sacerdoti di Eridu sarebbe stato
sempre En-ki ad aver creato l’uomo modellando l’argilla con l’acqua. Questa concezione di
plasmare l’uomo non può non ricordare la nascita del primo uomo come descritta nel libro della
Genesi, il quale fu plasmato da Dio con la polvere del suolo. L’idea dell’uomo che nasce dalla
terra e alla terra ritorna la ritroviamo costantemente nell’Antico Testamento, tant’è che lo stesso
nome di Adamo deriva da “Adamah”, ovvero “terra rossa”.
EPOPEA DI GILGAMEŠ

Considerato il primo poema epico in assoluto nella storia, esso narra del re sumero di Uruk, per 2/3
divino e per 1/3 umano anche se è divino solo leggermente visto che la parte umana pesa molto. Di lui
si innamora Inanna-Ishtar, la quale viene però respinta dal re che si inimica la dea ma anche buona
parte delle divinità. Dietro questo amore si può leggere un chiaro rifiuto alla ierogamia.
Dunque Gilgamesh respinge Inanna e gli dèi gli oppongono un guerriero, Enkidu, un essere che
incarna tutto ciò che lui non è: Gilgamesh è un re ed è colto, mentre Enkidu è primitivo e selvaggio.
Nonostante le diversità i due diventano amici ed alleati contro le divinità, anche se il guerriero morirà
per volere degli dèi. Dopo aver sperimentato la morte, il re decide di percorrere il mondo alla ricerca
della pianta della vita, dell’immortalità, ma, quando la trova, essa verrà divorata da un serpente per
rinnovare la pelle.

Un elemento importante di questa epopea è che Gilgamesh può essere considerato quello che viene
chiamato “eroe culturale”: gli eroi culturali sono figure della mitologia che hanno una funzione di
progresso, che fanno progredire una città o un popolo. Ad esempio, pensando alla mitologia greca,
Eracle è un eroe culturale, come anche Diomede o Ulisse.
Quando però parliamo dell’epopea di Gilgamesh parliamo di un mito di regalità, centrato
sull’ineluttabilità della morte, perché l’uomo non sfugge alla morte (e questa è una prima differenza tra
gli uomini e gli dèi) e sull’inevitabile destino dell’uomo.

Nel mito viene narrata anche la nascita del guerriero Enkidu che è opposto a Gilgamešh: la dea madre
Aruru lo creò da un grumo di creta piantato nella steppa; tutto il suo corpo era ricoperto di peli, aveva
la chioma fluente e indossava pelli di animale. Non conosce la società civilizzata ma vive insieme agli
animali.

Un altro aspetto di questi eroi culturali è il tema del viaggio. Nonostante questi uomini siano legati ad
un popolo, ad un’entità in realtà viaggiano e si spostano per compiere il proprio destino: pensiamo ad
esempio ad Ulisse o ad Eracle, il quale si sposta da Oriente ad Occidente, esplora i limiti del mondo
(non a caso lo stretto di Gibilterra conserva ancora il nome di “Colonne d’Ercole”).

Sempre all’interno dell’epopea sono presenti:

→ Il tema del diluvio: un elemento che ritroviamo nella tradizione biblica o nella mitologia greca
con il mito di Deucalione e Pirra;
→ Il tema del buon re: Gilgamesh vuole infatti condividere la pianta con gli anziani della città;
→ Il tema della pianta e del serpente: anche questi presenti nella Bibbia.
DIVINAZIONE

Già dal III millennio a.C. abbiamo di questa pratica


testimonianze scritte dato che moltissime delle tavolette
che sono state trovate nei santuari mesopotamici
costituiscono le principali testimonianze di pratiche
divinatorie.
In una fase più recente, invece, Cicerone scrive il De
Divinatione, incentrato sulle pratiche divinatorie, in
particolare su quelle in uso tra i Romani e gli Etruschi.
All’inizio di questo trattato egli ci dà una definizione:

«È un’opinione antica, risalente ai tempi leggendari e corroborata dal consenso del popolo romano e di tutte le genti, che vi siano
uomini dotati di una sorta di divinazione - chiamata dai Greci mantiké -, cioè capaci di presentire il futuro e di acquisirne la
conoscenza. Capacità magnifica e salutare, se davvero esiste, grazie alla quale la natura di noi mortali si avvicinerebbe il più possibile
alla potenza degli dèi! E come in altri casi noi Romani ci esprimiamo molto meglio dei Greci, così anche a questa straordinaria dote i
nostri antenati dettero un nome tratto dalle divinità, mentre i Greci, come spiega Platone, derivarono il nome corrispondente dalla
follia ».

Non sono gli uomini ad essere destinatari di queste prerogative, ma donne o bambini. Cicerone fa
riferimento al genere umano, ma di solito chi ha capacità divinatorie sono di solito le donne, come ad
esempio la pizia dell’Oracolo di Delfi, oppure i bambini.

Il fine della divinazione è cercare di sottrarre l’esistenza umana dal caso (chiaramente ci riferisce
anche a singoli individui), pensiamo ad esempio al ruolo dell’Oracolo di Delfi nella colonizzazione
greca. Dunque, quando parliamo di divinazione, parliamo di una pratica ispirata, basata
sull’interpretazione di eventi o segni che possono essere sia naturali che casuali.

Di seguito alcune forme di divinazione:

o Astrologia: praticata ancora oggi ma non nelle stesse forme. Essa consiste nell’anticipare il
futuro attraverso l’osservazione di astri celesti;

o Bibliomanzia: (manzia da mantika) fatta attraverso libri che vengono aperti casualmente alla
ricerca di segni che devono aiutare chi agisce a sottrarre la propria esistenza dal caso;

o Cartomanzia: interpretazione dei segni attraverso le carte;

o Chiromanzia: interpretare i segni attraverso i segni interni delle mani;


o Cleromanzia: tirare a sorte, cercare di leggere il futuro attraverso la caduta casuale di oggetti o
attraverso l’estrazione casuale di oggetti; nel mondo antico, per esempio, si utilizzavano delle
placchette di metallo o lignee con dei responsi scritti su questi supporti. L’estrazione era
praticata spesso proprio dai bambini;

o Estispicina: pratica caratteristica dell’antichità. Gli ecsta sono interiora di animali, cioè quelli
sacrificati e, attraverso la lettura delle viscere, si cercava di interpretare la volontà degli dèi e di
agire di conseguenza. Molto diffusa tra gli Etruschi, maestri di questa pratica;

o Epatoscopia: sempre molto famosa tra gli Etruschi, si concentra sull’esame del fegato delle
vittime sacrificali;

o Lecanomanzia: testimonianze ci arrivano già dalla Mesopotamia. In questo caso parliamo


dell’esame, dell’osservazione di liquidi (come acqua e olio) che vengono fatti scivolare all’interno
di contenitori, recipienti di bronzo per capire se ci fossero tracce di maleficio o per cercare segni;

o Oniromanzia: cercare di capire il futuro attraverso i sogni. Ci sono tante forme di oniromanzia
e possono essere ispirate o istituzionalizzate: in quest’ultimo caso i fedeli dormono all’interno
del santuario e aspettano di ricevere istruzioni per la propria guarigione attraverso il sogno; nel
mondo greco e romano questa pratica si svolgeva nel santuario di Asclepio;

o Ornitomanzia: osservazione degli uccelli, attraverso la quale si cercava di comprendere la


volontà degli dèi; ricorderemo ad esempio la storia della fondazione di Roma: Romolo e Remo
si mettono sul Palatino e l’Aventino per osservare gli uccelli, perché in base a questa
osservazione si deciderà chi dei due dovrà fondare la nuova città.
Dunque l’auspicio è una forma di ornitomanzia e ce ne sono tante altre forme: per esempio i
Romani, ma anche i Greci, traevano gli auspici attraverso l’osservazione dei polli che beccavano;

o Ittiomanzia: di origine orientale, possiamo pensare abbia origini in area mesopotamica.


Consiste nell’osservare i pesci, anche se in realtà anche in questo caso si parla di lettura delle
viscere; la differenza sta nel fatto che non si tratta di pesci pescati, ma pesci allevati nei santuari
in apposite piscine, dunque venivano pescati, aperti e le carni consumate. A Veio, infatti, è stata
trovata una piscina all’interno del tempio di Apollo che era proprio collegata a questa pratica.
Quindi nasce ad Oriente ma si diffonde anche nella nostra penisola;

o Tasseomanzia: ibrido tra francese e greco, da tasse=tazza fa riferimento alla lettura dei fondi di
caffè o tè;
o Teratologia: da teras che vuol dire “mostruoso”, deriva dal fatto che quando nell’antichità
nasceva un individuo con caratteristiche diverse, veniva considerato un prodigium e veniva
interpretato come un segno divino da comprendere (in questo caso non un segno favorevole).

GLI ORACOLI

L’oracolo è una forma di divinazione ispirata e istituzionalizzata, ci riferiamo cioè ad una divinazione
riconosciuta dalle istituzioni, come ad esempio l’Oracolo di Delfi, riconosciuto da tutto il mondo
greco e che dunque è legata ad un luogo di culto, si svolge cioè in un santuario.
L’oracolo è tipico del politeismo e avviene mediante il consulto di una divinità ma non solo, anche di
eroi (come Eracle, il quale poteva avere delle prerogative oracolari) o defunti. Il responso tra divinità e
uomo non è sempre comunque chiaro, la pizia spesso si divertiva a dare responsi ambigui, responsi che
potevano essere interpretati dai sacerdoti del santuario in aiuto al devoto.

Per capire come operava l’Oracolo di Delfi possiamo servirci dell’archeologia: sappiamo che lo spazio
del santuario era ben delimitato, di proprietà della divinità. Nel sottosuolo vi era un’apertura, all’interno
della cella del tempio, dunque la parte più importante del santuario, e che i greci chiamavano ges
(“apertura nella terra”). Non è un caso che il tempio venne costruito proprio in quel punto: solitamente
un santuario viene costruito in un certo luogo perché quello è il punto in cui la divinità si è mostrata.
Dunque da questa apertura nel sottosuolo saliva un soffio sacro e, sopra la fessura, veniva posto il
tripode (contenitore a tre piedi) sul quale prendeva posto la pizia: ella, prima di dare il responso a chi si
recava a Delfi, doveva bere l’acqua dalla fonte Cassotis (alla quale venivano attribuite delle qualità
particolari, e masticare foglie d’alloro, pianta sacra ad Apollo. Successivamente la Pizia va in trance e dà
il suo responso.

Il Santuario di Apollo comprendeva anche altri elementi:

→ Un’area per i fedeli;


→ Oltre al chasma ges abbiamo l’alloro sacro;
→ C’era anche la Tomba di Dioniso che ci fa capire che Apollo non era la sola divinità di Delfi,
ma soprattutto, il fatto che ci sia una tomba di Dioniso ci dice anche una cosa non scontata
(ricordiamo che gli dèi sono tali perché immortali) ovvero che anche le divinità muoiono,
proprio come Adone, il quale muore e risorge; ovviamente anche la morte di Dioniso è
temporanea, alla quale segue una rinascita.
→ L’altare di Poseidone
→ Il Focolare di Estia, divinità collegata al fuoco che era per lo più un elemento domestico, ma
che in questo caso possiamo trovare anche in un contesto panellenico; dunque può essere un
luogo di culto collegato alla dimensione domestica.
L’ANTICO EGITTO
L’Egitto ha caratteri che si conservano a lungo nel tempo, anche nell’ambito dell’Impero Romano, dopo
la conquista dell’Egitto, questo, anche per motivi culturali e religiosi, costituirà un’eccezione rispetto ad
altre aree dell’Impero.

Elemento fondamentale per la conoscenza della religione e della storia dell’Antico


Egitto è la Stele di Rosetta (scoperta appunto a Rosetta, una località del Nilo),
rinvenuta e decifrata dall’archeologo francese Champollion. Questa è una stele
trilingue, scritta in demotico (parlato in Egitto quotidianamente dal popolo), in
geroglifico (il linguaggio della casta sacerdotale) e in greco, scrittura che ne ha
permesso la decifrazione nel 1822.

L’Egitto era diviso in due parti: l’area nord e l’area sud,


definite “le due terre” e “i due paesi”. L’area nord, definita
Basso Egitto, si estende lungo il delta del Nilo e
comprende una serie di importanti centri, tra cui Menfi,
Eliopoli, Busiris, Bubasti, Naucrati… mentre invece l’area
sud è definita Alto Egitto che si estende lungo il corso del
fiume e che comprende altrettanti centri importanti come
Il Cairo, sede delle antiche piramidi.
Ogni regno aveva una sua corona che, in seguito
all’unificazione dell’Egitto, venne fusa formando la doppia
corona. Una rappresentazione di questo importante evento
la ritroviamo in un rilievo presente nel Tempio di Horus:
qui l’imperatore Tolomeo VIII viene incoronato con la
doppia corona da Wadjet, dea del Basso Egitto, e
Nekhbet, dea dell’Alto Egitto.

ANTICO REGNO

Periodo che va dalla III alla IV dinastia, cioè dal 2700-2192 a.C., periodo delle piramidi e delle grandi
opere. L’Antico Regno è caratterizzato da una centralità del centro di Heliopolis per quanto riguarda la
religione: qui assistiamo alla divinizzazione del re, del faraone e grazie alla documentazione scritta delle
piramidi sappiamo che l’aldilà felice era riservato solamente al sovrano.
NUOVO REGNO

Periodo che va dal 1540 al 1076 a.C., questa è una fase di tensioni tra i sacerdoti e il faraone che
sfociano in una vera e propria eresia che vede coinvolto il faraone Amenhotep IV, dedito ad Aton.
Aton è il dio visibile del disco solare, opposto al culto antico di Amon-Ra, il dio nascosto, che porta
alla tensione con la casta tebana. Dagli studiosi, la centralità di Aton è stata vista quasi come un
monoteismo; secondo Müller si potrebbe interpretare come un enoteismo con al centro la figura del dio
Aton. Il faraone cambiò il proprio nome in Akhenaton, che significa gradito ad Aton; tutto ciò porterà
maggior potere al Faraone, che diviene mediatore diretto tra Aton e il popolo, eliminando la centralità
religiosa tebana. Nella celebre Stele di Hannover, si può
osservare Akhenaton, in forma di sfinge, che rende omaggio al
disco solare, quindi ad Aton. Il disco solare è presente anche nella
Stele di Berlino, dove sono rappresentati il Faraone e Nefertiti.
Questa eresia religiosa termina con la salita al trono di
Tutankhamon; Akhenaton muore in maniera violenta e subisce
la damnatio memoriae. Tutankhamon significa immagine vivente
di Amon, il faraone restaura gli antichi culti e la centralità del
clero.

IL MITO DI OSIRIDE

Fondamentale per la prospettiva escatologica e per l’ideologia dinastica egizia. Gli egizi erano
ossessionati dal tema della morte, molto probabilmente per esorcizzarne la paura. Nel mito, Osiride
viene contrapposto al fratello e rivale Seth, il quale lo uccide con lo stratagemma del sarcofago, perché
ambisce al trono. Qui vengono sottolineate le dinamiche dinastiche e in più, il sarcofago, è un elemento
molto importante per la pratica funeraria ed etimologicamente significa “mangiatore di carne”. Seth, in
seguito, smembra il cadavere, e la sorella sposa Iside intraprende un peregrinaggio per ricomporre le
membra di Osiride, con cui poi si unisce per generare Horus, che combatte e uccide Seth ottenendo il
trono d’Egitto. Quindi il faraone in vita si identificherà con la figura di Horus, mentre, da morto con
quella di Osiride, autorità massima dell’oltretomba.

ALTRI SIGNIFICATI DEL MITO


Osiride si identifica con le acque fecondanti del fiume; Iside con la terra; Seth con la siccità e
sterilità, visto che lontano dal Nilo vige il deserto. Non a caso, il rito del seppellimento di Osiride
veniva celebrato nell’ultimo mese della stagione dell’esondazione, a novembre, quando gli egizi
seminavano. Ne parla anche Plutarco nel De Iside et Osiride : in Egitto, Osiride è il Nilo che si
unisce alla terra, simboleggiata da Iside: mentre Seth è il mare, l’acqua sterile, in cui il Nilo si getta e si
disperde. I sacerdoti sono convinti che Osiride rappresenti il principio e la natura dell’elemento umido,
quindi l’origine della vita e della sostanza fecondante. Seth, invece, si identifica con tutto quanto è
arido, o sterile, qualsiasi elemento che porti siccità, e contrario all’elemento umido.

IL TEMA DELLO SMEMBRAMENTO PRESSO ALTRE CULTURE

Questo è un mito agrario diffuso universalmente a livello etnologico, che con l’evoluzione della civiltà
può assumere importanti significati in relazione alle dinamiche della trasmissione di potere.
Di seguito alcuni esempi:

➢ Dioniso (Orfeo e Penteo): nel mito viene smembrato, e anche le altre due figure sempre
collegate a questa divinità;
➢ Romolo: Plutarco nella Vita di Romolo racconta di come anche lui venne smembrato, forse
dai senatori che lo uccisero nel santuario del dio Vulcano e poi nascosero le membra tra le
pieghe della veste. Si tratta di una sorta di allegoria del passaggio di potere da quello monarchico
a quello senatorio.
➢ Purusha (uomo primordiale/primo essere): il sacrificio primordiale da cui nascono gli animali, i
versi del Rg Veda e le melodie del Sama Veda, fino alle caste.
IL PANTHEON EGIZIO

Comprende numerose divinità, molte a carattere locale, cioè relative ai singoli centri. Un ruolo
fondamentale lo ricopre la Scuola teologica di Eliopoli, che mette al vertice del pantheon Ra, il dio Sole,
contrapposta alla Scuola Teologica di Menfi che pone al vertice Ptah, divinità creatrice.

Il pantheon egizio si divide in due Enneadi, due raggruppamenti di 9 divinità:

❖ Grande Enneade: comprende gli elementi cosmici primordiali come l’acqua, l’aria, il cielo e
la terra per quanto riguarda la prima generazione: Aton-Ra, Tefnut, Shu, Nut e Geb. La
seconda generazione comprende gli elementi quali il Nilo, l’Oltretomba, il deserto, la fertilità e
le divinità sono: Osiride, Iside, Seth e Nephtys, divinità piangente rappresentante l’aldilà. In più
vi è Horus, figlio di Iside e Osiride e divinità celeste dalla testa di falco;
❖ Piccola Enneade.

A queste divinità principali vengono affiancate un numero svariato di altre divinità:

o Apis: divinità che si identifica con un bue. Elemento


significativo che ci testimonia zoolatria, ovvero il venerare
una divinità sotto un aspetto animale; questa è una
caratteristica della religione egizia, ma la ritroviamo anche in
altre: nella religione greca, per esempio, Poseidone in origine
veniva venerato sotto forma di cavallo, tant’è che il culto era
conosciuto come Poseidon Hippios;

o Anubi: dio sciacallo, talvolta è rappresentato con le braccia


aperte, un gesto che, come sappiamo, simboleggia la
preghiera;

o Bastet: dea gatto, venerata principalmente nella città di


Bubastis;

o Maat: raffigurata con una piuma sulla testa, rappresenta


l’ordine cosmico mentre la piuma la giustizia;
PRATICHE FUNERARIE

MUMMIFICAZIONE E VASI CANOPICI

Una delle pratiche funerarie più importanti della religione egizia è sicuramente la mummificazione.
Questo è un processo in cui il cadavere subisce una disidratazione massiccia, tanto che i tessuti
sembrano quasi “fissati”. In Egitto in particolare gli imbalsamatori, che univano conoscenze di anatomia
umana e chimica a rituali religiosi, dovevano agire con rapidità per evitare che il cadavere iniziasse a
decomporsi a causa de, clima caldo del paese. Dunque il lavoro era affidato a specialisti che lavoravano
in laboratori appositamente attrezzati, in prossimità del Nilo o dei suoi canali (a causa dei diversi lavaggi
che subiva il corpo durante le fasi di lavoro).

Durante il processo di mummificazione venivano estratte le viscere del defunto e poste all’interno dei
cosiddetti vasi canopici: espressione moderna, questi contenitori dovevano appunto ospitare i visceri
trattati del defunto, tranne il cuore, l’unico organo che resta all’interno del corpo.
Dunque questi vasi venivano poi inseriti all’interno di una cassetta e orientati in base ai quattro punti
cardinali, ciascuno poi protetto da un dio/dea.

o Qebehsenuf: testa di falco posta ad ovest che


rappresentava Senuf, al suo interno era conservato
l’intestino;
o Duamutef: testa di sciacallo ad est, conteneva lo stomaco;
o Hapi: vaso con testa di scimmia posto a nord e
contenente i polmoni;
o Amset: l’ultimo vaso con testa di uomo veniva posto a
sud e conteneva il fegato.

Vasi Canopici della Tomba di Tutankhamon: qui ci


troviamo intorno al 1323 a.C., possiamo vedere qui che
ogni contenitore è tutelato da divinità diverse:

→ Iside tutela il vaso contenente il fegato;


→ Neith tutela lo stomaco;
→ Nephtys tutela i polmoni;
→ Selkis infine tutela l’intestino.
PSICOSTASIA

Abbiamo detto in precedenza che il cuore rimaneva all’interno del corpo del defunto, questo perché
doveva subire il processo della psicostasia, cioè il momento di pesatura dell’anima. Il defunto, prima di
essere ammesso e diventare tutt’uno col dio dell’aldilà, deve superare una prova e il suo cuore deve
essere pesato: attraverso questa pesatura si ha prova che il defunto abbia operato con giustizia durante la
vita e, se lo dimostra, è degno di incontrare Osiride.
Per poter superare la prova, il defunto poteva servirsi del cosiddetto Libro dei Morti, testi magici
religiosi che facevano da guida nell’aldilà. Sicuramente, quando parliamo di libro dei morti, ci riferiamo
al Nuovo Regno, quindi alla fase più recente, ma ci sono, prima di questi testi, anche testi nelle
piramidi e nei sarcofagi risalenti al Medio Regno che venivano scolpiti sulla superficie.

Testimonianze importanti di questi libri le


abbiamo innanzitutto nel Papiro di Ani,
risalente al 1275 a.C. ca, durante la XIX
dinastia. La raffigurazione mostra Ani
mentre affronta la pesatura del cuore e una
sua rappresentazione sotto forma di
volatile, mentre vicino alla bilancia si trova
Anubi e sull’altro piatto una piuma,
simbolo della giustizia.
Sono poi presenti altre figure che intervengono: in alto possiamo trovare un consesso divino che vede
partecipanti anche Iside e Osiride, questo perché la pesatura avveniva sotto la presenza delle divinità, le
quali devono assistere al momento fondamentale del percorso del defunto. Altra figura è Thot, dio della
scrittura che si occupa proprio di registrare e scrivere l’esito della pesatura dell’anima. Infine Ammit,
una figura fantastica ma feroce; la sua funzione è quella di divorare il cuore del defunto in caso l’esito
fosse negativo.

Un altro libro dei morti ci arriva da Tebe,


contemporaneo al papiro precedente: qui
il defunto rappresentato è Hunefer,
mentre al centro dell’immagine ritroviamo
di nuovo Anubi, il quale, a differenza del
precedente in cui il defunto era
accompagnato dalla consorte, sta proprio
accompagnando il defunto. Anche qui è
presente Thot, ma in questo caso il papiro racconta della fine del viaggio del defunto, quindi il suo
incontro con Osiride, affiancato da Iside e Nephtys. A concludere la rappresentazione troviamo quattro
piccoli vasi, cioè i canopi.
Il Libro dei Morti viene chiamato in egiziano “uscire alla luce del giorno” perché è una sorta di rinascita
quella che vive il defunto dopo aver superato i passaggi.

L’idea della pesatura delle anime è un’idea che vediamo nell’Antico Egitto, ma in realtà la ritroviamo
anche nel Cristianesimo, con un esito che anche qui può essere positivo o negativo. Un ritratto
dell’arcangelo Michele lo raffigura con una bilancia: sul piatto di destra vi è l’anima giusta che tende
verso il Paradiso; in quello di sinistra un’anima corrotta che viene afferrata da un demone e viene spinta
verso il basso.

La scoperta più celebre per quanto riguarda la civiltà egizia è, molto probabilmente, il ritrovamento
della tomba del Faraone Tutankhamon: egli aveva un corredo incredibilmente ricco e vasto, con
tutto il necessario alla vita nell’Aldilà e, visto che in vita aveva avuto servitori, questi gli necessitavano
anche nella vita dopo la morte. Questo gli veniva assicurato attraverso gli Ushabti, ovvero delle statuine
replicate in sequenza che avevano la funzione di eseguire ogni sorta di lavoro eseguibile nell’Aldilà, come
il lavoro nei campi, l’irrigazione, l’allevamento, servitù, ecc. Essi iniziano a comparire dal Medio Regno.
Esistono casi in cui gli ushabti venivano rappresentati in maniera splendidamente realistica, come nel
caso dei modellini della Tomba di Meketre: si tratta di modellini in legno databili all’inizio del II
Millennio, e rappresentano la servitù impegnata in una serie di attività, dal lavoro nel granaglio, nel
birrificio, fino alla costruzione di una barca per il defunto.

GLI ELEMENTI DELL’ESISTENZA

o Nome: elemento estremamente significativo, poiché sostanzialmente un individui non è se


prima non ha un nome. L’essere umano esiste fino a quando il suo nome viene pronunciato;
o Ombra: gli egizi elaborano anche l’idea di ombra, chiamata Sheut, una sorta di doppio
immateriale dell’uomo che viene appunto immaginato come un’ombra;
o Akh: principio solare che esprime la forza sia delle divinità che dei defunti e viene rappresentato
come un ibis;
o Ba: principio spirituale che appartiene sia alle divinità, sia ai vivi che ai defunti e che abbandona
il corpo nel momento della morte. Questo elemento viene rappresentato come un uccello dal
volto umano e trova somiglianze con le sirene di Ulisse: anche le sirene, soprattutto in una fase
molto antica della cultura greca, hanno a loro volta significati funerari, liminali, che riguardano
cioè il limes, il confine. Questi esseri vengono rappresentati ibridi perché sono ai limiti della
dimensione umana convenzionale;
o Ka: forza vitale di ogni essere in grado di moltiplicarsi (Ra ne possiede 14).
Vi sono infine alcune divinità del pantheon egizio che usciranno dai confini dell’Egitto diventando
popolari in altri paesi:

➢ Il culto di Iside, per esempio, era il più diffuso rispetto a quelle di altre divinità, arrivando
anche nel pantheon romano. In più, a Pompei, dopo il sisma, il primo tempio ad essere stato
ricostruito fu quello di Iside, a testimonianza di come essa sia stata una delle divinità maggiori
della città; sappiamo anche che era una delle più apprezzate tra i ceti sociali, anche i più bassi, al
pari della dea Venere;
➢ Meno diffuso è il culto di Anubi, anche se la sua figura
avrà sicuramente qualche devozione al di fuori dei
confini dell’Egitto in età romana;
➢ Serapide è poi una divinità particolare, nata in una fase
più recente nel momento in cui Grecia ed Egitto si
incontrano (Egitto ellenistico).
➢ Infine Arpocrate, di origini egizie, viene adorato anche
nelle società greche e romane. Arpocrate è colui che è
patrono e precettore dell’umana attività di
comprensione del divino, usando le parole di Plutarco.
È colui che protegge le dinamiche attraverso cui l’essere
umano cerca di capire il divino e, caratterizzando un
concetto immaturo, viene rappresentato come un
fanciullo che fa il gesto del silenzio. Questo perché
davanti alla divinità è meglio tacere; l’uomo deve
rimanere nei limiti umani.
GLI INDOEUROPEI
Il termine “indoeuropeo” indica una
serie di popoli dalle cui migrazioni
sarebbero poi nate altre popolazioni.
Una delle maniere che gli studiosi
hanno utilizzato per ricostruire le
vicende degli Indoeuropei è il
trifunzionalismo, il quale coinvolge
anche la sfera del sacro.

Sostanzialmente, le popolazioni che si


sono formate dagli indoeuropei
mostrano nella società tre funzioni
interattive:

• I funzione: sacro/potere/giustizia;
• II funzione: guerra/difesa;
• III funzione: economia/produzione.

Questa triade si rifletteva anche nei vari pantheon di quelle popolazioni che discendono dagli
indoeuropei, come ad esempio quello romano, ma anche in India, Iran o nel pantheon dei Germani.
Riassumendo, si potrebbe dire che ogni divinità ricopriva una di queste funzioni.
Prendendo ad esempio la Grecia, la funzione sacra e della giustizia è ricoperta da Zeus o da Apollo, la
seconda funzione da Ares e la funzione economica dai Dioscuri. Altrettanto per il pantheon romano
abbiamo Giove per la prima funzione, Marte per la funzione bellica (ma anche Romolo) e Quirino per
la terza (il quale rappresenta Romolo stesso).
LA CIVILTÀ MINOICA

Il termine “minoico” è una denominazione moderna adottata dagli studiosi per identificare quel
popolo dell’isola di Creta guidato dal sovrano Minosse. Le origini del popolo minoico sono tuttora
oscure, come anche la conoscenza della loro lingua dato che allora non era presente una vera e propria
scrittura; si potrebbe pensare che derivino dal Vicino Oriente.

Nella cultura occidentale, il personaggio di Minosse era comunque considerato in maniera positiva,
ovvero un sovrano giusto e rivoluzionario come ci testimonia la rappresentazione di Michelangelo.
Dai tempi antichi ci arriva invece una testimonianza di Tucidide, nella Guerra del Peloponneso: egli
scrive che Minosse ebbe una flotta e fu signore del mare, estendendo il suo dominio anche nelle Isole
Cicladi. Egli fu inoltre il primo fondatore di colonie e, secondo la tradizione, arrivò anche ad Atene.

CARATTERI PRINCIPALI DELLA SOCIETÀ MINOICA

➢ Innanzitutto la società minoica era organizzata su dinastie locali: vi è un re che ha una


funzione di raccordo tra una serie di sovrani che si spartiscono i territori dell’isola;
➢ L’isola basa la sua ricchezza sull’agricoltura, ma ben presto sfocerà anche nel commercio;
➢ La società è organizzata nei palazzi, ognuno dei quali era occupato da queste dinastie;
➢ La cultura minoica ci mostra chiaramente delle influenze orientali: soprattutto influenze
egiziane ma anche dall’area mesopotamica e vicino orientale.

L’aspetto sacro, la religione della società minoica prevede due luoghi principali: innanzitutto all’interno
dei palazzi, poi c’è una religione che si sviluppa in relazione alle grotte e alle alture, che potremmo
definire all’inizio come “religione della natura” anche se col tempo si svilupperà.

SACRALITÀ ALL’INTERNO DEI PALAZZI

Gli studi riguardanti la sacralità palaziale li dobbiamo grazie agli archeologi, ma soprattutto ad Arthur
Evans, colui che riuscì a portare alla luce il celebre Palazzo di Cnosso. Grazie agli studi di Evans
sappiamo che la società aveva una scrittura sillabica, chiamata Lineare A, anche se ad oggi non è ancora
stata decifrata;
SACRALITÀ ATTORNO ALLE GROTTE

Per quanto riguarda invece le grotte sacre, tra le più celebri ricorderemo sicuramente la grotta di
Kamares, situata sul monte Ida. Secondo il mito Zeus sarebbe stato allevato su questa montagna,
luogo che quindi è collegato sia all’infanzia che alla crescita del dio.

MA PERCHÉ LE GROTTE VENGONO, IN DIVERSE CULTURE, CONSIDERATE SACRE?


Perché molto spesso le grotte sono considerate punti di collegamento con la realtà sotterranea, oppure
con l’oscurità o l’eco. Questi sono tutti elementi che potrebbero farci pensare, soprattutto nelle società
arcaiche, a delle epifanie, a manifestazioni degli dèi.

La grotta di Kamares in particolare ha poi dato il nome ad un tipo di ceramica i cui frammenti
sarebbero proprio stati rinvenuti al suo interno. Evidentemente in molti si recavano lì per portare degli
oggetti in offerta agli dèi.

Del monte Ida abbiamo anche altre testimonianze: Dionigi di Alicarnasso, ad esempio, scrive che lo
stesso Minosse di Creta sostenesse di avere familiarità con Zeus e di incontrarlo sulla montagna; sul
monte egli scriveva delle leggi e poi dichiarava di avere ricevute dal dio in persona.
Strabone invece racconta che Minosse facesse passare ogni sua decisione e ogni sua legge come una
volontà di Zeus. Questo ci fa capire che in qualche modo Zeus dava validità alle leggi che promulgava
Minosse e dunque è la divinità che garantisce la validità delle leggi.

SANTUARI D’ALTURA

Gli archeologi, in un sito che si chiama Anemospilia, hanno rinvenuto questo santuario di altura
tripartito con all’interno un idolo, un’immagine divina: di questo idolo sono stati conservati bene i
piedi e le caviglie.
A confermare che si trattasse di un luogo di è stato ritrovato un cadavere che doveva essere stato vittima
di una morte traumatica che gli studiosi identificano con un forte terremoto che abbatté l’edificio.
Vicino al cadavere sono stati rinvenuti una sorta di tavola in pietra con sopra uno scheletro di un
fanciullo e un pugnale sacrificale. Ma la cosa che ha attirato l’attenzione è il fatto che le ossa trovate al di
sopra della tavola e vicino al coltello mostrassero delle tonalità di colore diverse; tutto questo venne
interpretato così: in quel periodo Creta stava subendo dei terremoti, quindi si decide di sacrificare un
giovane all’interno del santuario, ma mentre si sta celebrando il sacrificio una grande scossa determina la
distruzione del santuario e la morte sia del fanciullo che del sacerdote che stava sacrificando la vittima.
Le ossa di colore diverso, dunque, sono così perché una parte del corpo aveva già perso sangue e l’altra
invece no; quindi, il sacrificio era stato compiuto da pochissimo tempo.
IL PALAZZO DI CNOSSO

Identificato con il Labirinto del Minotauro, parola che deriva da labrys, ovvero la scure bipenne
simbolo più evidente della sovranità minoica e dunque attribuita esclusivamente al sovrano. Questo
palazzo si sviluppa attorno ad un cortile centrale nel quale, probabilmente, il sovrano si mostrava agli
ospiti e dove venivano ospitati una serie di rituali.

Tipiche della civiltà minoica sono le divinità femminili rappresentate con le braccia alzate: come la
famosa Dea dei Serpenti, una divinità che si mostra come signora degli animali, e con i seni in mostra
a evidenziare la sfera della fecondità e della fertilità

Il palazzo è quindi la sede del sovrano e della regalità, una regalità che si basa sul sacrificio del toro,
l’atto finale di una festa religiosa che prevedeva la tauromachia (combattimenti con i tori). Con
l’uccisione del toro la regalità minoica veniva nuovamente ristabilita essendo il toro simbolo di
continuità e di rinascita dinastica.

IL MITO DEL MINOTAURO

Minosse non era ben visto dalla popolazione cretese in quanto il suo
vero padre non era il re precedente, bensì Zeus. Il re disperato pregò
Poseidone, il dio del mare, di inviargli un toro come simbolo di
legittimazione della sua regalità, promettendo al dio di sacrificarlo
in suo onore. Poseidone acconsentì e gli donò un bellissimo e
possente toro bianco di gran valore. Vista la bellezza dell'animale,
Minosse decise di tenerlo per le sue mandrie e ne sacrificò un altro,
ma Poseidone, per punirlo, fece innamorare perdutamente Pasifae,
moglie di Minosse, del toro stesso. Ella riuscì a soddisfare il proprio
desiderio carnale nascondendosi dentro una giovenca di legno costruita per lei dall'artista di corte
Dedalo. Dall'unione mostruosa nacque il Minotauro, termine che unisce, appunto, il prefisso minos
ovvero "re" con il suffisso taurus ovvero "toro": la bestia aveva il corpo umanoide e bipede, ma aveva
zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro; era di carattere selvaggio e feroce, perché la sua mente era
completamente dominata dall'istinto animale, avendo la testa di una bestia.
Dunque Minosse, per impedirgli di nuocere, fece rinchiudere il violento e crudele Minotauro nel
Labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo.
Ma Quando Androgeo, figlio di Minosse, morì ucciso dagli ateniesi, infuriati perché aveva vinto
troppo ai loro giochi, disonorandoli, Minosse decise, per vendicarsi della città di Atene (sottomessa
allora a Creta) che questa dovesse inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto al
Minotauro, che si cibava di carne umana. In seguito, la creatura venne uccisa dall’eroe Teseo, grazie
anche al celebre filo di Arianna. Dopo l’uccisione, la città di Atene non sarà più tributaria verso Creta.
IL SARCOFAGO DI HAGHIA TRIADA

Ad Haghia Triada è presente un villaggio


minoico in cui gli archeologi hanno individuato
una necropoli, dalla quale è venuto poi fuori
questo sarcofago. Sul manufatto vengono
rappresentati dei personaggi, alcuni con la pelle
scura, altri con la pelle più chiara: i personaggi
con la pelle chiara vengono identificati come
donne. Questo ci fa capire che la donna ha un
ruolo fondamentale nell’ambito della religione
minoica, a differenza del mondo greco in cui
non ha ruolo significativi nell’ambito sociale e religioso.

Nel sarcofago vengono rappresentati innanzitutto un edificio con davanti quello che potrebbe essere il
defunto, al quale si avvicinano degli uomini con in braccio degli animali e una barca (simile a quella di
Meketre). In un altro settore dell’immagine notiamo l’ascia bipenne, simbolo di regalità e sovranità, con
al di sopra degli uccelli.
Le fanciulle, invece, stanno trasportando dei contenitori che vengono vuotati all’interno di un
contenitore più grande, probabilmente pieno di sangue, come possiamo intuire dalla raffigurazione di
un sacrificio che si sta tenendo sull’altro lato: in particolare si tratta del sacrificio del toro.

Al centro del lato lungo è raffigurata una tavola sacrificale con al di sopra il toro e sotto degli animali
probabilmente destinati anch’essi al sacrificio. Vicino una figura femminile e dietro il toro una figura di
suonatore: la musica è un elemento fondamentale nelle cerimonie sacre, in particolare in quelle del
sacrificio dato che essa tace nel momento in cui il sacerdote inferte il colpo all’animale.
Questo è un tipo di rappresentazione che ritroviamo anche in Antico Egitto.
GLI ALBORI DELLA CIVILTÀ MICENEA

Ad un certo punto della storia la civiltà minoica smette di esistere (terremoti? Catastrofi naturali?) e
Creta, così come il Palazzo di Cnosso, diventa possesso dei Micenei.

Quando parliamo di miceneo chiaramente ci riferiamo a tutti quegli aspetti della cultura greca più
antica connessa con l’eredità minoica, aspetti che si sono manifestati particolarmente a Micene o per lo
meno per la prima volta in maniera chiara. I vari centri più importanti sono: Argo, Micene, Tirinto e
Atene stessa.

Heinrich Schliemann, imprenditore e archeologo tedesco, si appassionò ad Omero ed inizia ad


esplorare non solo Micene, ma intraprende anche un viaggio in Anatolia che lo porterà a scavare una
collina in cui identificherà la città di Troia. Egli rinviene anche delle tavolette incise in Lineare B,
decifrate poi da Michael Ventris, che riportano il nome di alcune divinità del pantheon greco, tra cui
Era, Poseidone e Dioniso.

CARATTERISTICHE DELLA CITTÀ DI MICENE

Una caratteristica costante dei centri micenei è il palazzo posto alla sommità che domina queste
cittadelle fortificate.
Sappiamo inoltre che nell’antichità le case dei morti sono sempre ben distinte da quelle dei vivi, ma qui
a Micene in particolare ci troviamo di fronte sia a delle tombe che si trovano al di fuori le mura, ma
anche di fronte a circoli funerari che stanno all’interno. Questo perché le sepolture interne erano
destinate a figure illustri, quasi divine, ma ci possono essere anche altre ragioni: per esempio, se un
uomo fosse stato colpito da un fulmine, questo avrebbe dovuto essere sepolto nel punto esatto in cui era
stato colpito dato che si tratta evidentemente di una manifestazione divina. Ovviamente si tratta
comunque di casi eccezionali.

L’accesso alla città di Micene era garantito dalla celebre Porta dei Leoni, risalente al 1250 a.C. ca. Gli
archeologi a lungo hanno discusso sul significato da attribuire alla colonna: un’ipotesi vuole che questa
sia l’immagine aniconica di una divinità, un’idea elaborata osservando quelle immagini che raffigurano
la divinità al centro circondata da due animali. Probabilmente questa di Micene voleva rappresentare la
dea Atena.

CULT CENTER DI MICENE : centro di culto costituito da più ambienti. Quella in foto gli archeologi la
definiscono Room with the Fresco, raffigurante una divinità che ha in una mano una spada e nell’altra
una spiga e che dunque potrebbe rappresentare un’arcaica forma di Demetra.
Sempre all’interno di questo Cult Center è stata esplorata un’altra stanza chiamata Room with the
Idols, chiamata così perché sono state rinvenute delle statuine rappresentanti delle divinità: una di loro è
raffigurata nel gesto di alzare le braccia con i seni in evidenza (simile a quelle degli scavi minoici).
Sempre in questa stanza sono infine state ritrovate delle riproduzioni di serpenti che dovevano avere dei
significati religiosi peculiari.
Anche per quanto riguarda la religione micenea possiamo parlare di una religione che avviene al di fuori
delle città e di una che si mostra all’interno del palazzo.

IL PALAZZO DI PILO

Palazzo di Nestore nella tradizione omerica, questo edificio presenta due ambienti all’ingresso e una
grande sala con una piattaforma circolare al centro, scandita e monumentalizzata da quattro colonne.
Questa grande sala aveva la funzione di ambiente di rappresentanza e la piattaforma chiaramente una
funzione rituale; queste cerimonie religiose ovviamente coinvolgevano anche il sovrano.

Il wanax, così come il signore minoico, ha una natura sacerdotale e quindi sovrintende a offerte,
sacrifici e al culto del fuoco sacro. La piattaforma all’interno del Mègaron serviva proprio ad ospitare un
fuoco che non doveva essere estinto e che evidentemente aveva una sua sacralità.
In conclusione c’è quindi una stretta connessione tra potere politico e religioso in quella che è la Tarda
Età del Bronzo della civiltà greca.

L’architettura di questi palazzi, o comunque del Mègaron, sarà la base del futuro tempio greco:
l’architettura del tempio, che sarebbe l’abitazione della divinità, deriva da quella che era la residenza del
sovrano.
La parola Naos, infatti, che è la parte che custodisce la statua divina, deriva da naien, ovvero “abitare”.
Anche la cella, parte centrale della struttura, col tempo verrà poi monumentalizzata dalle colonne.

IL TESORO DI ATREO

Databile al 1250 a.C. ca, queste tombe ci dimostrano l’attenzione per l’ambito funerario. Qui è stata
rinvenuta la celebre Maschera di Agamennone, re di Micene famoso anche grazie ai poemi omerici.
LA GRECIA ANTICA
PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA GRECA

A. Periodo di formazione: va convenzionalmente dal 1050 al 650 a.C., chiamato anche


Medioevo greco a causa di capitoli bui della storia. Sta di fatto che di questo periodo mancano
molte testimonianze, quindi molti aspetti della vita greca in questa fase restano un po’
enigmatici;
B. Periodo Arcaico e Severo: va dal 650 al 450 a.C.;
C. Periodo Classico: va dal 450 al 323 a.C.;
D. Periodo Ellenistico: dal 323 al 31 a.C., un periodo che dura fino alla conquista romana
dell’Egitto.

LA RELIGIONE GRECA E IL PANTHEON

La religione greca non ha dogmi né libri, non ha fondatori né caste sacerdotali, nemmeno quelli di
Delfi potevano essere definiti tali nonostante avessero un ruolo fondamentale. Essa apparirà nella sua
forma definitiva solo nel Medioevo greco, tra IX e VIII secolo a.C., in un processo che inizia con la
religione minoica e si consolida con la religione micenea.

CARATTERI PRINCIPALI DELLE DIVINITÀ

o Grazie ai poemi omerici possiamo vedere con chiarezza che uno dei caratteri principali di queste
divinità è l’antropomorfismo: gli dèi sentono e pensano come gli uomini, hanno i loro stessi
problemi e la loro stessa forma. Tra di loro, inoltre, ci sono rapporti di collaborazione ma anche
di conflitto; la guerra di Troia che ci descrive Omero, infatti, non è solo una guerra di uomini,
ma anche di divinità che patteggiavano e proteggevano una delle due fazioni;

o La religione greca è un eccellente esempio di politeismo, per la sua complessità e per la forza
che ha la mitologia. Oltre alle principali divinità, nel pantheon greco figurano concezioni che i
greci sono stati maestri nel divinizzare.
LE ORIGINI

Le divinità greche hanno origine dal Mito di Urano e Gea, raccontato nella Teogonia di Esiodo:
Urano, sposo di Gea, non permetteva ai figli che generava con lei di venire alla luce, ma li sprofondava
tutti nel ventre materno, il Tartaro. Gea spinge i propri figli, i Titani, a ribellarsi contro il padre:
Crono, il più giovane dei figli di Urano, evira il padre con un falcetto e, così facendo, permette l’entrata
dell’inganno e della violenza nel creato. Il fallo cade in mare e genera la dea Afrodite.

TEMI PRINCIPALI DEL MITO DI URANO E GEA :

→ L’unione cosmica primordiale del cielo con la terra;


→ La separazione violenta del cielo dalla terra;
→ La lotta dinastica;
→ Caduta del fallo di Urano nel mare;
→ Conseguenza della colpa per l’atto della separazione.

IL TAGLIO DEL MEMBRO


L’evirazione placa Urano, mette fine alla procreazione e garantisce la stabilità di quanto già procreato.
Questo atto violento separa per sempre il cielo dalla terra, generando un nuovo spazio cosmico e,
quindi, permettendo ad altri esseri di venire alla luce. Il tema mitico si collega alla separazione
cosmogonica tra cielo e terra e alle dinamiche di trasmissione del potere, come ad esempio nel Mito di
Osiride, dove il membro del dio cade nel Nilo, nella Cosmogonia hittita, dove il cielo e la terra
costituivano in origine un’unica massa, separata da un elementare strumento di taglio. O infine nel
Mito di Kumarbi, nel quale la divinità celeste hurrita subentra al padre Anu nella regalità dopo averlo
evirato a morsi. Kumarbi poi genera altri figli dal suo stesso corpo, così come Atena e Dioniso vengono
generati dal corpo di Zeus.

CRONO
Anche questo titano, a sua volta, è destinato ad essere spodestato
da uno dei suoi figli, il contrappasso per aver usato la violenza
contro il padre Urano. Nella Teogonia, Esiodo parla di come
Crono mangiasse i suoi figli proprio per timore di essere
spodestato. La compagna Rhea decise di partorire l’ultimo figlio,
Zeus, di nascosto da Crono e consegnò al titano una pietra
avvolta in fasce per nascondere l’inganno. Crono trangugiò la
pietra, non accorgendosi dell’inganno e quindi Zeus può restare
in vita e dare origine ad una nuova genealogia di dèi.
GENEALOGIA DEGLI DÈI

ZEUS
padre degli dèi, padre celeste e dio del tempo atmosferico, Zeus è la
principale divinità del pantheon greco e la sua epifania è il fulmine, il
quale si manifesta principalmente sui monti. Infatti il suo animale è
l’aquila perché vive sulle alture e può guardare senza problemi la luce
del sole.

Ogni forma di sovranità umana e di giustizia proviene da Zeus,


oltre che un’intensa potenza sessuale, come ci testimoniano le fonti,
le quali parlano di unioni non solo con altre divinità, ma anche con
eroine e mortali. Zeus è l’unico che ha come figli divinità principali,
tra cui Apollo, Artemide, Ermes, Persefone, Dioniso, Atena, ecc.
Ha anche figli mortali straordinari, come Eracle, Dioscuri, Minosse,
Elena, ecc. Per raggiungere i suoi scopi di accoppiamento utilizza la
metamorfosi in aquila, toro o cigno.

Egli viene celebrato in molti luoghi del mondo greco, ma esistono santuari con delle prerogative
speciali, come quello di Olimpia, il più famoso santuario di Zeus in tutto il Mediterraneo.

ERA
Regina degli dèi, secondo la tradizione può essere sia sorella che sposa
di Zeus e il suo connubio col padre degli dèi (chiaramente mitologico)
è considerato l’archetipo di ogni matrimonio. Non a caso ella è dea
delle nozze e del rapporto coniugale fedele, contrapposta dunque ad
Afrodite, dea della seduzione che, non a caso, tradisce Efesto proprio
con Ares.

Era è inoltre la dea delle fasi biologiche della donna e viene raramente
invocata come madre. I suoi figli legittimi sono Ares ed Efesto, con i
quali non ha un rapporto pacifico, in più viene rappresentata come
una moglie litigiosa e matrigna di molte divinità ed eroi.
POSEIDONE
Divinità tellurica dei terremoti, delle acque sotterranee e marine,
Poseidone rappresenta le forze della natura considerate elementari e in
origine era raffigurato sotto forma di cavallo.

A Poseidone vengono celebrati sacrifici di sprofondamento, come il


gettare i cavalli in mare oppure nei crepacci o nelle fessure telluriche,
ma egli è anche signore e protettore della navigazione, dei marinai e
dei pescatori. Il dio si manifesta sotto forma di terremoti o tempeste
marine.

Dal mito sappiamo che Poseidone si scontra con Atena per il possesso di Atene e dell’Attica: egli genera
un cavallo e domina sui mari, ma è Atena che inventa le briglie e costruisce una nave. Dunque
potremmo dire che Poseidone rappresenta la forza più elementare, mentre la dea è ragione ed ingegno.
Questa contesa è proprio raffigurata nel frontone del Partenone: qui possiamo notare Atena che dona
all’Attica l’ulivo, mentre Poseidone fa scaturire sull’acropoli una sorgente di acqua non dolce; alla fine
sarà Atena a vincere la contesa.

ATENA
Dea fanciulla e vergine, Atena è la protettrice della città di Atene e dell’acropoli. È rappresentata
armata e con una corazza chiamata egida, questo perché ella è considerata intoccabile, un elemento che
sicuramente è collegato anche alla sua verginità.

La dea è protettrice delle splendide opere e dei carpentieri: fu lei ad


inventare la prima nave, il carro, l’imbrigliatura e aiutò il suo popolo nella
costruzione del celebre Cavallo di Troia.
Oltre ad essere inventrice, Atena è patrona della lavorazione della lana e della
tessitura, quindi di tutti i processi e le fasi di trasformazione.

LA NASCITA DI ATENA E IL MITO DI ERITTORIO


Nasce dalla testa di suo padre Zeus: Efesto scaglia un colpo d’ascia alla testa
del re degli dèi e viene fuori Atena, già fanciulla. Questa nascita è caratterizzata
dall’assenza di maternità, dal rifiuto del femminile da parte della dea fin
dalla nascita (Burkert sostiene che la saggezza civilizzatrice è separata alla base
della vita). La nascita di Atena è rappresentata sul frontone orientale del
Partenone.
Ma Atena non è l’unica divinità che, secondo il mito, viene al mondo in
questo modo: anche il dio egizio della saggezza Thot nasce dalla testa di Seth.
L’utilizzo dell’ascia per farla venire al mondo è una probabile analogia con il sacrificio violento essendo
l’ascia un’arma sacrificale.

Sebbene la figura di Atena sia caratterizzata dall’assenza di femminilità e maternità vi è, però, una
tradizione che la descrive nella funzione di allevatrice, ovvero nel mito di Erittorio, dalla Biblioteca
dello Pseudo-Apollodoro: la storia racconta che la dea si recò da Efesto per farsi fabbricare delle armi e
il dio fu preso dal desiderio verso Atena, che però gli sfuggiva. Inseguendola, Efesto eiaculò sulla gamba
della dea, la quale asciugò lo sperma con della lana e dal seme caduto a terra nacque Erittorio, re di
Atene, che venne allevato dalla dea nel suo santuario.
Il re dunque istituì la festa delle Panatenee, ovvero delle feste panelleniche celebrate ogni quattro anni
in onore della dea Atena per commemorare la sua nascita. Si svolgevano alla fine di agosto e
prevedevano gare ginniche, musicali, letterarie e corse con i carri e i cavalli e si concludevano con una
solenne processione che culminava sull’acropoli. La cerimonia si chiudeva con l’offerta ad Atena del
peplo, tessuto in suo onore dalle giovani fanciulle aristocratiche di Atene.

APOLLO
Divinità efebica, cioè giovane e fanciulla, Apollo è sicuramente una
divinità che ha tutta una serie di connotazioni solari: la visione del sole
nel mondo greco è collegata al fatto che il sole saliva e scendeva, dunque si
credeva che questo astro avesse sia una dimensione celeste sia una
dimensione sotterranea.

Per questo motivo esiste anche un Apollo nero a cui vengono attribuiti
significati sepolcrali e collegamenti con la morte. Questa sua caratteristica
di dio oscuro è collegata anche ad una delle competenze di Apollo, ovvero
quelle oracolari dato che è appunto collegato all’Oracolo di Delfi.
Egli è inoltre un dio medico dalla funzione terapeutica e purificatrice, ma può essere anche un male
impalpabile (funzione apotropaica): nel mondo antico, chiaramente, quando si diffondevano le
pestilenze, si pensava che all’origine di queste ci fossero dei castighi divini; dunque la funzione
terapeutica di Apollo si collega a quella apotropaica.

Un’altra competenza di Apollo è legata alla musica e alla poesia. Le Muse sono protagoniste nel
corteggio apollineo.
Esiste anche un collegamento tra musica ed astri: fin da Pitagora si è parlato di armonia delle sfere (gli
astri) e si credeva che la musica contribuisse a questa armonia, che l’universo stesso fosse armonizzato da
una musica propria. Non a caso Apollo viene spesso rappresentato con la lira perché contribuisce
all’armonia cosmica. Questa è una filosofia che arriva anche a Roma.
Infine, quando pensiamo ad Apollo, lo pensiamo come un dio che esprime uno spirito di saggezza, di
etica e di misura, valori ben visibili scritti su una pietra all’ingresso del tempio di Delfi, in cui vi erano
due massime diventate celebri in tutto il mondo occidentale: “nulla di troppo” e “conosci te stesso”,
quest’ultimo riferito al fatto che l’uomo conosce sé stesso quando ammette la sua distanza dalla divinità.

ARTEMIDE
Divinità fanciulla e vergine, anche se a differenza di Atena non è
asessuata, Artemide è considerata la dea della caccia e della
natura selvaggia, anche se, prima di essere signora degli animali,
essa è la dea del “fuori” ovvero di tutto ciò che è al di fuori della
civiltà, quindi anche al di fuori della città. Non a caso, la maggior
parte dei templi dedicati ad Artemide in età antica, si trovano
proprio fuori dalla città.

Essendo dea del fuori, Artemide è anche dea del margine, del
confine, cioè quella linea che divide ciò che sta fuori da ciò che sta
dentro: non a caso, una figura divina come Artemide è collegata alle
iniziazioni delle fanciulle, iniziazione che prevede un soggiorno al di
fuori della civiltà e il rientro con uno status diverso.
Sappiamo che nel santuario di Brauron la dea viene invocata durante il parto, un momento di
passaggio. Dunque non ci sorprende che Artemide sia anche collegata alle nozze, un altro momento di
passaggio fondamentale di una fanciulla.

Tra i santuari più importanti c’è l’Artemision di Efeso, situato in Asia Minore: questo è un tempio
gigantesco considerato una delle sette meraviglie del mondo antico, secondo Antipatro di Sidone.
Parliamo dunque di un culto mediterraneo e non solo di Atene o comunque del mondo greco.
All’interno del santuario è presente un’iconografia particolare della dea, raffigurata con una veste che
presenta dei bovini e numerose sacche sul petto, elementi su cui sono state fatte delle ipotesi: alcuni
pensano si tratti di mammelle, ma secondo uno studioso svizzero sarebbero dei testicoli di tori sacrificati
e offerti in dono alla divinità stessa. Ci troviamo comunque nell’ambito della fertilità.

Un altro santuario molto importante collegato alla dea è quello di Brauron, costituito da un grande
cortile e da una serie di sale adibite per i banchetti rituali. Esiste una tradizione mitica collegata a questo
santuario, ovvero il Mito dell’Orsa: un’orsa entra nel santuario di Artemide e lì viene allevata; in
seguito, una fanciulla, recatasi per celebrare la dea e i riti di passaggio, si mette a giocare con l’animale e
viene uccisa e i fratelli, per vendetta, uccidono l’orsa. Artemide, essendo l’orsa un suo animale sacro,
lancia un morbo che colpisce la città di Atene e gli abitanti della città, disperati, cercano una soluzione;
un oracolo consiglia loro di istituire la festa degli Arkteia (da Ark = orso) per espiare l’uccisione dell’orsa
e far cessare la pestilenza, dunque i rituali andrebbero compiuti dalle fanciulle prima delle nozze, tra i 5
e i 10 anni. Le fonti ci dicono che esse dovevano mimare l’orsa, ovvero compiere un rituale iniziatico
teriomorfico, e di consacrarsi ad Artemide, una morte rituale che indica l’uscita da uno status per
rinascere in altro nuovo. Le fanciulle divenivano pronte per le nozze, si formavano ai bisogni della
comunità (il principale bisogno di una fanciulla era quello di essere sposa e madre feconda) e
manifesteranno la loro disponibilità matrimoniale dopo essere riammesse ad Atene, dopo aver trascorso
del tempo nel mondo selvaggio rappresentato da Artemide.

I riti di passaggio vengono teorizzati, secondo uno schema, da Van Gennep:

→ Separazione (fase pre-liminale): momento in cui le fanciulle vengono allontanate da Atene e


lasciate nel santuario dove soggiornano e vengono educate alla sponsalità;
→ Transizione (fase liminale): momento del rito teriomorfico, quando mimano l’orsa;
→ Re-integrazione (fase post-liminale): il ritorno nella città di Atene.

Questo schema è applicabile ad una miriade di riti di passaggio, anche presso culture differenti. Venne
comunque molto criticato perché rigido, essendo costituito da tre fasi.
Al museo di Brauron, inoltre, sono conservate una serie di manufatti del santuario: Artemide
rappresentata con l’arco secondo le proporzioni gerarchiche, con un toro per il sacrificio e un corteo
processionale, composto dai genitori che accompagnano le fanciulle per il rito di passaggio. In più vi
sono delle statue votive in terracotta che rappresentano degli ex-voto alla dea per ringraziarla di aver
preparato le fanciulle alle nozze

ERMES
Nella tradizione greca è considerato un creatore, ed è un
creatore di cultura perché le competenze di Ermes si esprimono
su campi diversi. Oltre a questo, egli è ricordato soprattutto per
essere il messaggero degli dèi, competenza che deriva dalla sua
capacità di saper viaggiare attraverso dimensioni cosmiche
diverse: egli può andare nell’aldilà o anche in una dimensione
celeste, anche se difficilmente una divinità scende nell’aldilà
essendo un mondo ben distinto.

Questa sua caratteristica la rivediamo perfettamente nella sua


iconografia: Ermes è spesso rappresentato con sandali alati, un
copricapo a falde larghe tipico dei viaggiatori e un bastone.
Non a caso, Ermes è anche protettore dei pastori (viaggiatori),
degli araldi (messaggeri) e dei ladri (che scappano velocemente).

Oltre a questo, egli è anche protettore dei sepolcri grazie alla sua
capacità di entrare nell’aldilà, una capacità che lo rende un dio
“psicopompo”, cioè colui che accompagna le anime nell’Ade, proprio come il dio Anubi accompagna
per mano il defunto durante la psicostasia.

DEMETRA E PERSEFONE
Madre e figlia, corrispondenti alle latine Cerere e Proserpina,
sono divinità collegate all’agricoltura e protagoniste di miti
emblematici che esprimono significati prevalentemente agricoli.

IL MITO
Persefone viene rapita da Ade, dio dell’Oltretomba, e condotta
nell’aldilà compiendo la catabasi, una sorte di morte che consiste
nella discesa agli Inferi dell’anima. La madre, Demetra, si dispera e
parte alla ricerca della figlia, che alla fine torna dagli Inferi. Core,
però, dovrà trascorrere una parte dell’anno nell’aldilà, diventando
sposa di Ade. Si crea uno stato d’eccezione nel tempo di assenza di
Core e del lutto di Demetra: nulla germoglia e nulla cresce,
un’allegoria della natura, la morte del seme sottoterra e la nascita di
un nuovo frutto. Un’altra interpretazione è quella che vede l’assenza
di Persefone come la rappresentazione della scomparsa
dell’accumulo di granaglie nei silos sotterranei durante i mesi estivi.
Un’altra interpretazione ancora è quella che prevede il ratto nuziale da parte di Ade e la morte iniziatica
di Persefone, che perde lo status di fanciulla per acquisire quello di sposa. Un’interpretazione secondaria
è la legittimazione dell’esistenza del mondo dei vivi e del mondo dei morti, la dimensione mortale della
vita e quella vitale della morte.

Un comparativismo si può svolgere relativo alla catabasi nella religione sumerica e babilonese, ovvero la
dea Inanna-Išhtar che compie un viaggio negli Inferi e per tornare deve affrontare una serie di prove,
sottomettendosi a tutte le regole dell’aldilà e pagando una sorta di riscatto per tornare nella dimensione
dei vivi. Durante la sua assenza, il suo posto viene preso da un pastore.
In più, anche nella cultura ittita esiste un mito analogo, quello di Telipinu, dio dell’agricoltura, che
scompare dagli uomini perché adirato e provoca l’infertilità dei campi. In più anche il mito di
Trittolemo è collegato a Demetra, figlio del re di Eleusi, Celeo: durante la ricerca della figlia, Demetra
viene ospitata dal re e durante il suo soggiorno educa il figlio all’arte dell’agricoltura. Trittolemo dovrà
diffondere questa ars in tutto il mondo greco.

Il ratto di Persefone viene rappresentato molto spesso in storia dell’arte: nei pynakes di Locri, al
santuario della Mannella, ovvero delle tavolette in terracotta a funzione votiva che venivano appesi nel
tempio e in cui viene rappresentato il momento del rapimento di Core da parte di Ade. Egli la prende
in braccio nel tradizionale gesto dello sposo con la sposa, mentre in basso vi era rappresentato un cesto
di vimini rovesciato dal quale fuoriescono gomitoli di lana, rovesciato in quanto simboleggia il
passaggio dallo status di fanciulla a quello di sposa dato che la tessitura era l’attività delle fanciulle. La
tessitura poteva anche essere offerta alla divinità durante il passaggio di status.

Anche nella cultura pop troviamo simboli che si ricollegano a questo mito, è il caso della Bella
Addormentata che viene rappresentata con il cesto ricollegabile a quello di Persefone, visto che Aurora
è ancora una fanciulla in quel momento, fanciulla che poi passerà di status sposandosi con il principe.

Il tema del ratto nella dimensione matrimoniale si ritrova anche nella storia di Roma, ovvero nel
cosiddetto Ratto delle Sabine: quando Romolo fonda Roma non vi sono donne e quindi i romani non
si possono sposare, dunque il re organizza dei giochi dedicanti alla divinità secondaria dell’agricoltura
Conso. Durante i giochi, ai quali vengono invitati i sabini, i romani rapiscono le loro donne per potersi
sposare e continuare la stirpe. Vi è, quindi, la finalità matrimoniale nel ratto.
Festo racconta di come nel I secolo si fingesse di rapire la sposa dal grembo della madre per mimare il
Ratto delle Sabine. Plutarco racconta di come lo sposo prendeva in braccio la sposa nel momento in cui
doveva essere condotta nell’abitazione dopo il matrimonio, evocando il ratto delle sabine.

Legati alla figura di Demetra erano i Misteri Eleusini, religioni misteriche, ovvero quelle religioni
collegate ad una sapienza che potremmo definire “sapienza religiosa esoterica”: il termine esoterico
etimologicamente vuol dire “dentro” ed era quindi una sapienza solitamente riservata ad un gruppo di
individui, ad una cerchia ristretta.
Questi Misteri li ritroviamo anche nel mito di Eracle: nella dodicesima fatica l’eroe doveva scendere
nell’aldilà, ma quando un vivente si reca nel mondo dei morti è sempre un momento di crisi, dunque
Eracle si recò ad Eleusi prima della sua discesa per poter essere purificato. Qui venne iniziato ai Misteri.
Non sappiamo con certezza perché prima di andare nell’aldilà Eracle si inizia ai Misteri Eleusini, le fonti
non ne parlano in maniera chiara essendo qualcosa di riservato. Possiamo presupporre che la loro
funzione fosse quella di preparare i vivi per il viaggio nell’Oltretomba.
ADE
Fratello di Zeus e dio dell’Oltretomba, Ade è una figura del
tutto dicotomica, opposta rispetto al padre degli dèi: se Zeus
è la massima divinità del regno celeste, Ade lo è del regno
sotterraneo, tanto che nelle fonti letterarie viene chiamato
anche “altro Zeus” o “Zeus infero”.

Il regno di Ade è orrido, putrido e odiato dalle stesse


divinità, vi è assenza di consolazione e di speranza; per
accedervi c’è una porta, un elemento concreto che esprime un
passaggio tra una dimensione e l’altra, una divisione
sottolineata ulteriormente dalla presenza del fiume
Acheronte: Caronte ha proprio la funzione di trasportare i
dannati da una dimensione all’altra. Cerbero, invece, si trova
subito dopo la porta e opera appena dopo l’ingresso.

Questa geografia dell’aldilà è presente anche nella Divina Commedia, ma possiamo ritrovarla
(restando sempre in epoca antica) sia nella religione etrusca e sia nella religione romana, in quest’ultimo
caso ovviamente viene trasformata.
La concezione del Regno dei Morti cambia nel tempo, tanto che si arriverà alla distinzione tra Tartaro
e Campi Elisi: il Tartaro si oppone ai Campi Elisi, cioè il posto dedicato agli eletti, a coloro che hanno
operato onorevolmente nel corso della loro vita. Nell’Ade invece troviamo tutta una serie di figure che
chiamiamo penitenti: Dante, per esempio, nella sua commedia li attualizza, mentre nella tradizione
greca i più famosi penitenti sono sicuramente Sisifo e Tantalo.
DIONISO
Avevamo detto in precedenza che Atena nasce dalla testa di Zeus,
mentre Dioniso nasce dalla sua coscia in presenza di Ermes.
Sappiamo che egli è dio del vino, dell’estasi, dell’ebrezza,
momenti di coesione sociale che, nella società aristocratica,
avveniva nel simposio, al cui centro vi sono proprio Dioniso e il
vino.

Gran parte della sostanza di questo dio parte da un concetto


molto semplice: chi si abbandona a Dioniso si trasforma e perde
la propria identità. Non a caso, egli è dio del “tutt’altro”, da cui
possiamo capire bene che era anche dio del teatro: questo perché
l’attore interpreta un personaggio che non è lui, una metamorfosi
scenica che ha come segno esteriore la maschera.

Un altro elemento che caratterizza questo dio è che può essere


descritto e rappresentato come un bambino, un fanciullo o anche
un uomo barbato.

Dioniso è un dio che nasce, muore e rinasce, i suoi Misteri


hanno dunque un valore escatologico e preparano il defunto al
suo viaggio ultramondano.
La sua morte chiaramente non è come quella umana, ma appunto ne segue una rinascita e non a caso
viene spesso venerato insieme ad Apollo nei santuari, di cui ricorderemo sicuramente quello di Delfi
(Apollo conosce la morte e il regno dell’Oltretomba, lo stesso quindi vale per Dioniso).

Il suo corrispondente latino è Bacco.


EFESTO
Attraverso la mescolanza di acqua e fuoco riesce a lavorare i
metalli, dunque è considerato dio metallurgo e fabbro. Efesto
è figlio di Era e una tradizione vuole che sia stato partorito
senza il concepimento da parte di Zeus, per vendicarsi dei suoi
continui tradimenti. Sempre un altro racconto vuole che egli
sia stato buttato da Era giù dall’Olimpo, quindi per vendicarsi
decide di realizzare un trono d’oro che immobilizzasse la
madre. Sarà poi Dioniso, facendolo ubriacare, a convincerlo a
tornare sull’Olimpo promettendogli in sposa Afrodite.

ALCUNE CREAZIONI DI EFESTO : arco e frecce d’oro di Apollo e


della sorella Artemide; elmo e sandali di Ermes; scettro, egida e
scudo di Zeus; cintura di Afrodite; arco e frecce di Eros; carro
di Helios; Pandora, la prima donna, e il suo vaso; armi e scudo
dell’eroe Achille.

Efesto è descritto con piedi deformi e zoppicante, ma esistono


anche altri personaggi di matrice greca e non che sono
caratterizzati e descritti come zoppi:

o Ermes: dio degli spostamenti, esiste una tradizione che


ce lo descrive come zoppo;
o Teseo, mitico re di Atene;
o Giasone;
o Edipo: re di Tebe, il suo nome vuol dire letteralmente “piede gonfio”;
o Melampo: “piede nero”;
o Filottete: nella tradizione viene ferito ad una gamba, ferita che lo renderà zoppo;
o Orazio Coclite: figura della mitologia romana, oltre ad essere zoppo era anche “coclite” cioè
con un occhio solo;
o Volund: di tradizione germanica, anch’egli è un dio fabbro caratterizzato da zoppia.

Dunque, in molte tradizioni antiche la deformazione fisica o l’asimmetria vengono compensate da


poteri e virtù particolari: chi è caratterizzato da zoppia, secondo Cordano, era destinato ad entrare in
mondi speciali, mentre invece le figure colpite da monoftalmia (vista da un occhio solo) sono legate
alla dimensione solare, perché il sole è uno ed è l’occhio del cielo: alcune tradizioni associano al sole la
capacità di vedere tutto, anche quello che l’uomo non riesce a percepire, come ad esempio la congiura di
Nerone che, secondo la tradizione, fu sventata perché il sole riuscì a vederla.
AFRODITE
Nata dal membro di Urano reciso da Crono e gettato in mare. Una
tradizione vuole che l’abbia gettato all’indietro, con la consapevolezza
di Crono di aver commesso un atto violento, quindi un gesto
apotropaico. Con la divisione tra cielo e terra nasce anche il
congiungimento amoroso/sessuale. Vi è anche un legame con l’acqua
e il fuoco.

L’Afrodite greca ha origine dalla grande dea semitica Išhtar, avendo


anche caratteri comuni, cioè: divinità urania; ierogamia; androginia;
prostituzione sacra; divinità armata; venerazione della dea ad ogni
livello sociale.
Un ruolo fondamentale per il passaggio del culto di Afrodite da
Oriente a Occidente è dato dall’Isola di Cipro: la dea viene spesso
collegata all’isola, anche come luogo di nascita, e viene appellata come
“cipria”.

Afrodite è sposa di Efesto e amante di Ares. È madre di Eros, il


bisogno di amore, e di Himeros, il desiderio d’amore, rappresentati
come giovinetti alati, inoltre nell’Eneide Virgilio la rappresenta come la
madre di Enea.

Esiodo, nella sua Teogonia, racconta la nascita di Afrodite: dopo che Crono tagliò il membro di Urano e
l’ebbe gettato in mare, questo fu portato al largo dalle onde e tutt’intorno si formò una bianca schiuma,
dalla quale venne fuori la dea già fanciulla che si recò sia a Citera che a Cipro. Prese il nome Afrodite
perché nata dalla schiuma, ma fu chiamata anche Citerea, dalla bella corona e anche Ciprogenia
perché nacque a Cipro; ma ancora Filommede, per essere nata dai genitali. Si accompagnava con i figli
Eros e Himeros.

Afrodite va letta come la divinità delle unioni, mescolanza di elementi anche primordiali. Questo lo
vediamo bene in un frammento di Empedocle (fr.22), che descrive Afrodite come dea dello splendore
del sole, della terra, del cielo e del mare, forze che la dea mescola.
Di Varrone ci è rimasto invece il De Lingua Latina, in cui egli definisce Venere la forza che favorisce
l’unione del fuoco con l’acqua.

Un altro elemento che abbiamo messo in luce è il suo essere una figura ambigua, androgina e bisessuale.
A dimostrazione di ciò abbiamo una fonte archeologica e una fonte letteraria:

➢ In una tavoletta proveniente da Ebla, sede di un palazzo, è stato ritrovato un rilievo


rappresentante Ishtar, divinità mesopotamica corrispondente ad Afrodite; qui la figura
femminile è rappresentata barbata, ma anche con dei seni;
➢ Macrobio, nel Saturnalia, scrive che a Cipro è presente una statua di Afrodite con la barba,
con forme e abbigliamento da donna, ma con lo scettro e la statura da uomo, ritenuta dunque
sia maschio che femmina. Aristofane, per esempio, la chiama Aphroditos, dunque al maschile; ad
essa gli uomini celebrano un sacrificio in abiti femminili e le donne in abiti maschili perché
appunto è considerata sia maschio che femmina.

IL TRONO LUDOVISI (PRIMA METÀ V SECOLO A.C.) : in un rilievo situato nella parte frontale è
rappresentata la nascita di Afrodite, nel momento in cui viene tratta dalle acque; in questo caso, però,
la dea non è una bambina ma è già adulta.
Sui lati del trono vengono poi rappresentati:

❖ A destra una donna completamente vestita (rimangono nudi solo il viso e l‘avambraccio) che
sta bruciando incenso, offerta tipica del culto di Afrodite;
❖ Dall’altro lato un’immagine di una donna nuda che sta suonando il doppio flauto e con
indosso un particolare copricapo, già visto nelle tavolette mesopotamiche raffiguranti prostitute
sacre. In questo caso potrebbe trattarsi di un’etera, figura che possiamo ritrovare in scene di
simposio e che dovevano chiaramente intrattenere gli uomini.

Il senso di questa doppia rappresentazione femminile in un monumento che celebra la nascita di


Afrodite è che essa è sia la dea della donna di destra, pudica nell’atto di offrire profumi, sia della donna
di sinistra, la quale ricopre tutt’altro ruolo sociale.
La stessa Afrodite viene spesso rappresentata in due modi: prendendo ad esempio l’opera di Prassitele,
la dea viene raffigurata nel momento del bagno, dunque completamente nuda, colta nell’atto pudico di
coprirsi il pube; nel trono vediamo invece una donna vestita con solo il viso, le mani e i piedi scoperti,
questo perché l’Afrodite del trono ha delle valenze funerarie.

L’ipotesi più plausibile è che questo trono avesse la funzione di ospitare la statua della dea in
un’occasione particolare: tramite delle fonti, sappiamo dell’esistenza di un rituale che avveniva con la
presenza della statua di Afrodite; la statua veniva infatti portata al di fuori del tempio, veniva lavata,
decorata ed ingioiellata e infine poggiata su un basamento decorato proprio da questi rilievi.
ARES
Spesso descritto con aggettivi assolutamente emblematici come
potentissimo, insaziabile, distruttore e massacratore, Ares è padre
di Phobos, la paura, e di Deimos, il terrore, entrambi avuti con
Afrodite.

Per i greci la guerra non era qualcosa di nobile, ma qualcosa di


necessario, una cosa che capiamo anche dal fatto che i figli di Ares
sono paura e terrore. Guarda caso non abbiamo testimonianze
evidenti di templi di Ares realizzati all’interno delle città, un elemento
molto significativo che ci testimonia il fatto che i greci avevano paura
di metterlo all’interno delle mura cittadine. Non a caso, la patria di
Ares non si trova in Grecia, ma è la Tracia, una terra barbara.

Nella Guerra di Troia Ares e Afrodite si contrappongono, ma


esistono anche dei miti in cui le divinità si alleano e combattono
insieme, come nelle gigantomachie, conflitti tra divinità e giganti:
secondo la tradizione, questi ultimi cercano di conquistare l’Olimpo
per rivendicare il potere degli dèi; in questo caso va da sé che le
divinità collaborino tra di loro contro un nemico comune.
Gigantomachie famose le ritroviamo nell’Altare di Pergamo.

Le divinità possono essere rappresentate in gruppo anche in momenti


festivi, tra cui i cosiddetti Concilia Deorum, un’assemblea divina che
trova confronto con i rilievi di psicostasia egizia, un momento nel quale vengono raffigurate tutta una
serie di divinità.

EROI DIVENUTI DÈI

Nella cultura greca esistono moltissimi eroi che rimangono tali, in uno status intermedio tra la sostanza
terrena e quella divina, ma esistono dei casi in cui gli eroi diventano divinità:

1. Eracle, divenuto dio dopo aver compiuto le Dodici Fatiche imposte dal padre;
2. I Dioscuri Castore e Polluce, figli di Zeus;
3. Asclepio, definito dio greco della medicina che, prima di diventare divinità, ha avuto una sorta
di percorso: inizialmente infatti Asclepio era un medico, poi, gradualmente, arriva ad essere eroe
e infine dio.
ASCLEPIO
Il primo santuario dedicato ad Asclepio fu fondato vicino al
teatro di Dioniso, proprio in occasione della pestilenza del 430
a.C. che portò alla morte Pericle e che colpì Tucidide. Il primo
sacerdote fu proprio Sofocle, colui che ha accolto Asclepio.

Egli è dio della guarigione, non soltanto fisica, ma anzi,


proprio come Apollo, è una divinità che ha in generale più delle
competenze apotropaiche, cioè capacità di allontanare il male sia
fisico che spirituale. Il suo culto si diffonde relativamente in una
fase recente, infatti nelle tavolette rinvenute in Lineare B il nome
di Asclepio non era ancora presente, tant’è che in Omero è
appunto rappresentato come un medico e non ancora un dio.
Dalle fonti sappiamo inoltre che egli è marito o padre di
Hygieia.

I principali centri di culto nel mondo greco si trovano ad


Epidauro, Pergamo, Atene e sull’isola di Kos, quest’ultima
anche sede della Scuola di Ippocrate. Ciò che accomuna tutti
questi templi è la presenza dell’acqua, perché attraverso essa si
cercava di guarire i malati; ovviamente si parla di un’acqua alla
quale si attribuivano dei poteri di guarigione.

Un’altra è quella dell’incubazione: i santuari di Asclepio rappresentano l’esempio migliore di queste


pratiche oniromantiche: essa consiste nel dormire all’interno del santuario e, dopo che i malati facevano
un’offerta, essi potevano ricevere durante la notte, attraverso il sogno, dei consigli o delle pratiche che
avrebbero portato alla guarigione.

L’animale legato ad Asclepio è il serpente, simbolo dell’eroe diventato dio, mentre quelli che gli
venivano sacrificati erano galli e capre poiché si credeva fossero in grado di liberare dal male. Questo ce
lo testimonia anche Platone nel Fedone, che scrive “siamo debitori di un gallo ad Asclepio”.

A Roma il culto di Asclepio si trasforma in quello di Esculapio, il cui santuario è stato eretto sull’Isola
Tiberina. Questo culto viene importato a Roma dopo una terribile pestilenza e il luogo, secondo il
mito, è stato scelto perché venne fatto arrivare dalla Grecia un serpente che scese dalla nave e arrivò fino
all’isola. Venne considerato un prodigium e quindi venne costruito il santuario ad Esculapio proprio in
quel punto. Oggi è conservato sotto la Chiesa di San Bartolomeo, dove davanti all’altare vi è un pozzo
che è collegato alla sorgente che in origine veniva utilizzata nel santuario.
I SANTUARI

Agli inizi dell’VIII secolo a.C. si assiste allo sviluppo di


una nuova concezione dello spazio sacro, uno spazio
delimitato di proprietà della divinità a cui dedicato, quindi
la sua casa.

Temenos: parola più indicata per definire il santuario, lo


spazio delimitato, deriva dal greco “tagliare”. Lo spazio
sacro deve essere ben distinto da quello della polis, questo
perché ciò che avviene all’interno del santuario è diverso da
ciò che regola la polis, dunque anche le regole riguardanti i
due spazi saranno diverse tra loro.

Questa idea dello spazio delimitato è un’idea molto antica,


addirittura abbiamo una testimonianza risalente al 2500-
2000 a.C., un modellino di arte cipriota: particolare è la
circolarità di questo modellino che probabilmente deriva
dall’osservazione degli astri.
Osservando, per esempio, la planimetria di Delfi ci accorgeremmo della presenza di un peribolo, cioè il
muro di temenos; altro esempio ci è dato dal santuario di Demetra a Selinunte: osserviamo
innanzitutto il santuario extraurbano, delimitato da un muro che lo ben distingueva dalla polis.

I santuari solitamente venivano edificati nel luogo in cui era avvenuta la manifestazione di una
divinità, cioè l’epifania, la quale può continuare a manifestarsi anche dopo la fondazione dell’edificio.
Apollo in effetti continua a manifestarsi a Delfi attraverso gli oracoli; parlando di Delfi, inoltre, Omero
ci racconta di una contesa tra Apollo e Pitone che combattono per il dominio del santuario: Apollo
ne esce vittorioso e diventa dio di Delfi.
Anche la storia della fondazione dell’acropoli vede il conflitto tra divinità, in questo caso tra Atena e
Poseidone.

I santuari possono essere dedicati a più divinità, spesso affiancate da personaggi mitici, eroici o anche
tombe di eroi, una caratteristica che ci fa capire che in qualche modo gli eroi siano mortali; chiaramente
la loro sarà una mortalità peculiare.
Ad esempio, è possibile trovare queste tombe all’interno di santuari panellenici: il termine tecnico per
identificarle è heroon o heroa; ricordiamo la Tomba di Pelope ad Olimpia, la Tomba di Palemone a
Isthmia o quella di Ofelte a Nemea. Questo ci fa capire che esiste un culto olimpico, celeste affiancato
da un culto eroico: ricorderemo per esempio Pitone, il quale diventa eroe del santuario di Delfi dopo
aver combattuto contro il dio Apollo.
IL SACRIFICIO

Deriva dal latino “rendere sacro”, ovvero rendere il luogo proprietà della divinità attraverso l’offerta,
che poteva essere un animale, dei liquidi o primizie come frutti della terra che vengono sacralizzati.

Burkert spiega che i dettagli del rituale sacrificale cambiano a seconda dell’usanza dei padri, ciò vuol
dire che ogni città e ogni santuario aveva delle proprie tradizioni per quanto riguarda i sacrifici, ma,
nonostante queste differenze, la struttura è sempre abbastanza simile e chiara.
Per esempio, il sacrificio cruento, cioè quello che prevede l’offerta animale, prevede un’uccisione
ritualizzata della vittima con un successivo banchetto: il sacrificio non termina con l’uccisione
dell’animale, ma con la condivisione delle carni tra gli uomini che partecipano e le divinità; dunque il
momento in cui la bestia viene uccisa è solamente il momento culminante.
Sempre Burkert ci spiega che il rito consiste nella preparazione e nel banchetto, nell’iniziare da una
parte e nel riordinare dall’altra: da una parte abbiamo allora una sacralizzazione (che passa proprio dal
sangue) e una desacralizzazione.

Burkert parala anche del sacrifico che prevede di lasciar libero l’animale, di restituirlo al mondo
selvatico. Pratica simile a quella del “capro espiatorio”, ovvero un capro utilizzato anticamente dagli
ebrei per chiedere il perdono dei propri peccati nel Tempio di Gerusalemme. Questo rito veniva
eseguito nel giorno dell’espiazione, il kippūr, quando il sommo sacerdote caricava tutti i peccati del
popolo su un capro che poi veniva liberato nel deserto.

PRINCIPALI TIPOLOGIE DI SACRIFICIO/OFFERTA :

o Sacrificio cruento: prevede l’uccisione di un


animale con successivo banchetto;
o Sacrificio di primizie: potevano essere il
primo grappolo d’uva, il primo grano o il
vino nuovo. Quest’ultimo, prima di essere
fatto entrare in città, doveva essere consacrato
a Dioniso, dunque prima del consumo da
parte dei cittadini bisognava donare libagioni
agli dèi che avevano permesso la crescita di
quelle vite;
o Libagioni: si parla in questo caso di liquidi,
come vino e olio, versati sugli altari, ma sono
anche elementi che facevano parte dei rituali
celebrati in onore dei defunti.
I GIOCHI PANELLENICI

I giochi panellenici coinvolgevano tutto il mondo greco, ciò vuol dire che quando si celebravano
questi giochi si arrivava ad esempio fino a Olimpia o fino a Delfi da tutto il mondo greco.

I più celebri sono i Giochi Olimpici che si svolgevano nella città di Olimpia in onore di Zeus e Pelope.
La prima edizione risale al 776 a.C., considerato l’anno zero del mondo greco. Durante questo periodo
si svolgevano rituali, vere e proprie ecatombi, e nell’ambito dei giochi si svolgevano agoni atletici e agoni
ittici, cioè corse di carri.

Diversi sono i Giochi Pitici di Delfi, chiamati così in riferimento a Pitone, eroe del santuario. Qui si
svolgevano agoni musicali e poetici, tant’è che a Delfi era proprio presente un teatro che serviva per
questa funzione. Anche questi, come i Giochi Olimpici, si svolgono ogni 4 anni.

I Giochi Istmici si svolgevano invece nell’istmo di Corinto ogni 2 anni, erano in onore di Poseidone e
Palemone, l’eroe del santuario. Questi giochi comprendevano agoni atletici e corse di carri e cavalli.

I Giochi di Nemea si svolgevano invece in Argolide, in onore di Zeus e dell’eroe Ofelte. Anche questi
si svolgono ogni 2 anni e comprendono agoni atletici e musicali, corse di carri e di cavalli.

IL CULTO FUNERARIO

→ Scene di Prothesis: esposizione del defunto attorniato da figure piangenti che si portano le
mani alla testa in gesto di disperazione;
→ Ekphora: scene di trasporto del defunto, alcune volte seguito da un corteo piangente;
→ Banchetto funerario (perìdeipnon): celebrato in onore del defunto vicino alla sua tomba;
→ Agone funebre: corse di carri, in onore soprattutto di un eroe del santuario dato che è il
protagonista mortale;
→ Culto del sepolcro: un culto che chiaramente si svolge nel
corso degli anni, nei giorni anniversari, cioè quei giorni
dell’anniversario della morte di un defunto;
→ Sacrifici funerari eccezionali: per i defunti più illustri, a
volte, venivano compiuti sacrifici umani sulla tomba.
Nell’Iliade, la principessa troiana Polissena viene sacrificata
sulla tomba dell’eroe greco Achille. Questi sacrifici erano
indirizzati alle divinità dell’Oltretomba che devono
accogliere il defunto, essendo Achille una figura di rango
molto giovane. Quindi, in una fase della storia greca si
hanno testimonianze di sacrifici umani.
GLI ETRUSCHI
CARATTERI GENERALI DELLA RELIGIONE

Livio, nel tardo I secolo a.C., scrive degli Etruschi e di come questi fossero “gente dedita alle pratiche
religiose”, un’idea perfettamente evidenziata nella concezione dei Romani.

Della loro lingua e scrittura si sa ben poco, i documenti a noi pervenuti sono in scarso numero ed
estremamente rari, per questo la maggior parte delle cose le sappiamo proprio grazie alle testimonianze
latine, tra cui quelle di Seneca o Cicerone.

Quando parliamo di religione etrusca, parliamo innanzitutto di una


religione politeista: ovviamente esiste un pantheon formato,
secondo le fonti latine, da dèi involuti e opertanei, cioè inesplicabili
e segreti. Questo pantheon si plasma in base a due fenomeni:

1. Fenomeno di latinizzazione: Etruschi e latini sono


costantemente in contatto, grazie anche alla vicinissima
posizione geografica, dunque anche dal punto religioso si
sono verificati degli scambi, quindi molte divinità del
pantheon etrusco sono di matrice latina;
2. Fenomeno di ellenizzazione in una fase più recente: ad un
certo punte, sulle coste dell’Etruria, oltre al commercio greco
arriva la cultura greca e il pantheon si riempie anche di queste
nuove divinità orientali.

Come detto prima, sappiamo che gli Etruschi erano estremamente


attenti nelle pratiche sacrali, un’attenzione evidente nelle fonti
letterarie.
La loro religione, inoltre, è un sistema che nasce già in epoca protostorica, ma che giunge fino in età
romana: i Romani, infatti, si servivano degli Etruschi per identificare ed interpretare alcuni fenomeni, la
cosiddetta Disciplina etrusca, un insieme di scienze e conoscenze religiose.

LA DISCIPLINA ETRUSCA

Seneca, nel suo Naturales Questiones, un saggio che parla di fenomeni naturali correlati a fenomeni
religiosi, si interroga sulla differenza tra i Romani e gli Etruschi: se dovesse verificarsi un’eclissi o dovesse
cadere un fulmine, secondo gli Etruschi si tratterebbe di un fenomeno di natura divina, quindi un
fenomeno che deve essere interpretato; per i secondi si tratterà invece di un fenomeno naturale.
Cicerone, nel De Legibus, scrive che i Romani, per interpretare i prodigi, dovessero affidarsi agli
Etruschi e che la scienza non debba essere perduta, ma invece trasmessa ai principes, i rampolli della
cultura etrusca.

Lo scopo della Disciplina etrusca è quello di comprendere la volontà occulta delle divinità e
l’incidenza di questa volontà sui destini umani. I sacerdoti cercavano di interpretare questa volontà
attraverso:

❖ Gli organi: attraverso l’osservazione degli organi degli animali sacrificati (estispicina);

❖ Folgori, cioè fulmini e tuoni: esisteva un vero catalogo di folgori dato che sono tutte diverse e
avevano ognuna un significato diverso;

❖ Segni celesti: comete, stelle cadenti, eclissi…;

❖ Segni terrestri: come i terremoti.

L’ARUSPICE

Colui che osservava le viscere e interpretava da esse la volontà divina, egli si distingueva chiaramente
grazie al suo abito: di antichissima origine e rimasti fissi nel tempo, gli abiti consistevano in un cappello
a punta, che sappiamo essere di lana e fermato sul mento, ed una veste frangiata fissata sul petto grazie
ad una fibula.

Testimonianza di questo sacerdote ci arriva, per esempio, dallo Specchio inciso con Calcante, in cui è
rappresentata una scena particolare: innanzitutto Calcante sappiamo essere il sacerdote per eccellenza
nella cultura greca, anche se poi gli Etruschi lo hanno un po' trasformato; qui ad esempio è raffigurato
con delle ali, la gamba sinistra alzata che poggia sopra una roccia (dettagli messi lì non a caso) e nell’atto
di osservare il fegato di un animale sacrificato.

Riferendoci all’epatoscopia non possiamo non citare il


celebre Fegato di Piacenza, testimonianza per
eccellenza: questo è una riproduzione di fegato bovino
diviso in più aree, ognuna con una serie di iscrizioni che
starebbero ad indicare le sedes degli dèi, in tutto 16.
Ma la lettura del fegato in base a cosa avveniva?
L’aruspice osservava le malformazioni dell’organo o dei piccoli difetti, come per esempio il modo in
cui la fibra del fegato si presentava in alcune zone; in base a queste osservazioni egli interpretava.
Per quanto riguarda la datazione, essa è stata molto dibattuta, anche se si pensa risalga al II-I sec. a.C..
CLEROMANZIA

Molto in voga nella cultura etrusca, consiste nel divinare attraverso il tirare a
sorte: grazie alla documentazione archeologica, sappiamo che avveniva tirando dei
dadi, piccole barrette che potevano essere in metallo o in legno e con sopra scritto
il responso. In foto possiamo osservare proprio una barretta circolare con
iscrizioni che i latini chiamavano sortes, in alcuni casi forate per aggiungere un
filo che ne permetteva il lancio.

L’AUSPICIO

Questa è una pratica diffusa sin dall’Età del Bronzo in Italia e che consisteva nell’osservare il volo degli
uccelli per interpretare una volontà divina. L’auspicio, solitamente, avveniva in occasione di una
partenza per la guerra o in occasione delle fondazioni delle città, quando si doveva sottoporre
l’investitura di un regnante al giudizio degli dèi.

Esso veniva praticato dagli auguri, sacerdoti che avevano il compito di mediare tra il mondo umano e
quello divino: questi erano provvisti di lituo, un bastone ricurvo con cui l’augure trasferiva
simbolicamente gli spazi del cielo in terra, tracciando le aree della città o del tempio che si andava a
fondare.

Parlando di fonti letterarie, Livio ci narra proprio di un auspicio


riguardante chi dovesse regnare tra Romolo e Remo: sappiamo già
che entrambi si posizionano rispettivamente sul Palatino e
sull’Aventino per osservare il cielo (i due rappresentano
sostanzialmente due auguri dato che, attraverso il cielo, devono
interpretare i segni); Livio, tuttavia, ci ricorda chiaramente che il
governo di una città si stabiliva in base alla nascita, quindi il
primogenito avrebbe dovuto regnare la città di Roma, cosa che qui
non avvenne dato che i due erano gemelli.
Dunque il primo presagio toccò a Romolo, il quale riuscì ad
individuare 6 uccelli, ma contemporaneamente il fratello ne avvista
il doppio e furono dunque proclamati entrambi re. Scoppiò una
lotta che portò alla morte di Remo da parte del fratello, che si
impossessò del potere e della città di Roma.
LUOGHI DI CULTO

o Santuari primitivi: legati alla natura e chiamati


così poiché le funzioni venivano celebrate
all’interno delle caverne;
o Altare: ritenuto il centro del culto;
o Tempio: anche in questo caso vale il concetto di
temenos e anche per gli Etruschi il tempio si
identifica con la casa del dio.

Non dimentichiamo che il più grande tempio di Roma, ovvero il Tempio di Giove Capitolino, è stato
voluto proprio dagli Etruschi, e non dimentichiamo che i primi 7 re di Roma erano di origine etrusca.

Significativo è anche il Tempio del Portonaccio a Veio, edificio che ci ha restituito il più grande ciclo
di terrecotte decorative, ovviamente restaurate. In particolare ricorderemo la statua di Apollo e quella di
Eracle, entrambe posizionate sulla sommità del tetto e che dovevano avere evidentemente una funzione
devozionale e apotropaica.

L’IMMAGINE DEL DIO (HERAM)

La religione etrusca prevedeva anche l’idolatria, il culto dell’immagine della divinità, chiamata heram.

Ricordiamo il culto di Culsans, dio delle porte che presenta delle affinità con
il romano Giano: egli viene rappresentato bifronte, poiché il doppio volto
vuole rappresentare il passaggio attraverso la porta, ovvero un passaggio sia
fisico ma anche simbolico e religioso.
Oppure il caso di Selvans, dio dell’esterno che guardava fuori dalle città, verso
la campagna.

La documentazione archeologica ci ha poi restituito testimonianze di doni


votivi, tra cui la celebre Chimera di Arezzo, un ex voto dedicato a Zeus, o
meglio Tinia, oppure un busto aperto dal quale sono visibili le viscere,
probabilmente donato da un malato guarito da una serie di problemi.

Abbiamo anche testimonianze di preghiera, come nel caso della statuetta di


un devoto che viene rappresentato con le braccia aperte, simbolo di preghiera
alla divinità.
LA RELIGIONE FUNERARIA

Fonti greche e latine ci parlano di una religione della morte, un culto che è possibile comprendere
osservando le Necropoli: sappiamo che le tombe etrusche non erano solo destinate al singolo
individuo, ma spesso accoglievano tutti i membri della famiglia, la gens, e che non venivano chiuse,
permettendo così agli altri membri della famiglia di rientrarvi. In quest’ultimo caso, quando si rientrava
all’interno della tomba, gli Etruschi entravano in contatto con gli aspetti che più sconvolgono della
morte: ad esempio la carne che si decompone, i cadaveri che si trasformano. È proprio questo tipo di
esperienze che portano gli Etruschi ad arricchire l’immaginario funerario, che ha dei riscontri che
partono da quella che è la fisicità della morte.

Dunque, la tomba, per il popolo etrusco, è il punto di passaggio, l’area, la zona fisica con evidenti
riscontri simbolici che fa sì che il defunto passi dalla sua realtà terrena ad una dimensione diversa.

Una delle tombe più importanti si trova a Cerveteri ed è la Tomba Regolini-Galassi (670-650 a.C.).
Qui gli archeologi hanno rinvenuto dei manufatti che ci testimoniano la grande ricchezza delle
aristocrazie che evidentemente potevano permettersi tali oggetti di prestigio: l’elemento più particolare è
l’altare rinvenuto, testimone di una ritualità che avveniva all’interno della tomba che consisteva nel
deporre delle offerte all’interno di cavità circolari predisposte proprio a questa funzione, offerte che
erano anche dedicate ai defunti.

Altra tomba molto celebre è quella delle Cinque Sedie


(650-630 a.C.), nella quale sarebbero state trovate, in
uno dei lati della camera, cinque sedie scolpite. Davanti
a queste sedie sono state poste cinque tavole, due troni
all’ingresso, una sorta di colonna e un blocco con tre
cavità circolari che dovrebbe avere la stessa funzione del
precedente altare. Interessante è che su queste sedie sono
state trovate delle statuette in terracotta con vesti
decorate: si tratta, molto probabilmente, degli antenati
della famiglia, raffigurati con piedi nudi, un gesto molto significativo che simboleggia il distacco dalla
vita terrena. Due di questi antenati, inoltre, recano in mano degli oggetti peculiari, uno il lituo e l’altro
uno scettro, elementi che ci fanno capire che ci troviamo di fronte a due figure sacerdotali.
I tavoli rinvenuti, invece, servirebbero per un banchetto ultramondano, celebrato per attendere i defunti
sepolti nella tomba, in questo caso moglie e marito, destinatari dei due troni rimasti vuoti.

A Tarquinia, nella Tomba degli Auguri (530 a.C.), vi è raffigurata una porta che simboleggia quella
degli Inferi, e rappresenta la fisicità del passaggio; un’interpretazione simbolica della morte che sta
molto a cuore alla cultura etrusca: secondo loro, il defunto non moriva nel senso più stretto del termine,
ma passava ad un’altra vita, in un’altra dimensione.
Il culto funerario etrusco comprende anche delle figure demoniache, racchiuse nella cosiddetta
demonologia. Un esempio è rappresentato da Charun, figura del Caronte etrusco rappresentato con
una carnagione cerulea, perché egli opera in una dimensione posteriore alla morte, quando appunto le
carni diventano bluastre (di nuovo torna il concetto di decomposizione).
Ma il Caronte etrusco non è raffigurato con la barca come accade nell’immaginario greco, bensì con un
altro oggetto: il martello, con il quale egli probabilmente apriva e chiudeva la porta dell’aldilà.

Nella cultura pop vi è un riferimento alle carni bluastre, ne La Sposa Cadavere, film d’animazione di
Tim Burton in cui la protagonista viene, appunto, raffigurata con la pelle blu poiché rappresenta una
dimensione intermedia tra la vita terrena e quella ultramondana, una sorta di limbo.
I ROMANI
CRONOLOGIA, PERIODIZZAZIONE E CARATTERI GENERALI

I. Età del Bronzo;

II. Età del Ferro: caratterizzata, nel Lazio


e nell’attuale Toscana, da
manifestazioni della cultura
villanoviana, considerata la prima
manifestazione della cultura etrusca. È
un periodo che va dal 1000 al 750 a.C.;

III. Età Regia: una nuova era che inizia nel 753 a.C., data convenzionale per la fondazione di
Roma, e finisce nel 509 a.C., anno di caduta di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma;

IV. Età Repubblicana: arriva fino al 27 a.C., data in cui Ottaviano Augusto riceve il titolo di
imperatore. Questa epoca viene distinta in tre fasi:
→ Alta Repubblica (509-306 a.C.): periodo in cui Roma conquista Veio e inizia un
progressivo lavoro di conquista della penisola;
→ Media Repubblica (396-218 a.C.): periodo delle Guerre Puniche e della conquista del
Mediterraneo;
→ Tarda Repubblica (218-27 a.C.).

V. Età Imperiale: periodo che va dal 27 a.C. al 476 d.C., anno della caduta dell’Impero Romano
d’Occidente.

LA RELIGIONE ROMANA NELLA FONDAZIONE (SULCUS PRIMIGENIUS)

Festo, nel I secolo a.C., scrive in relazione


alla tradizione letteraria etrusca e di come
la religione romana dipenda da questa:
dunque, anche il famoso rituale della
fondazione di Roma dipenderebbe dalla
religione etrusca, più precisamente dalla
famosa Disciplina etrusca.
Secondo un’altra fonte letteraria, un passo dell’Eneide commentato da Catone e ripreso da Servio,
Catone narrerebbe di come i fondatori di Roma dovessero vestirsi in una certa maniera, secondo la
tradizione di Gabii, un piccolo centro a sud della capitale. Egli accenna poi ad un rito particolare che si
eseguiva durante la fondazione di una città: la stiva dell’aratro doveva essere piegata, in modo tale
che la terra cadesse all’interno; le zolle sacralizzate dovevano essere sollevate in prossimità delle porte, dei
varchi dai quali chiaramente si doveva poter entrare ed uscire. Chiaramente ci troviamo nell’VIII secolo
a.C., quindi in una società legata alla protostoria; potremmo dire di trovarci nell’ambito di una
tecnologia delle origini.

Per confermare che questo rituale di


fondazione venisse celebrato per tutte le città
di nuova fondazione (per lo meno fino alla
Tarda Repubblica), la documentazione
archeologica ha rinvenuto un rilievo
proveniente da vicino le mura di Aquileia
raffigurante proprio una scena di fondazione
della città: vediamo i due bovini che tirano
l’aratro e i magistrati che si occupano di dirigere il lavoro.

LE MURA

Quando pensiamo a delle mura cittadine ci viene subito in mente la loro funzione difensiva, anche se in
realtà in antichità queste avevano un’importanza eccezionale, poiché, oltre ad avere la funzione di difesa,
questa si univa a dei valori ideologici e simbolici.

Si può dire che esse costituissero una linea magica che segna il passaggio tra ciò che è città e ciò che è
campagna, rispettivamente urbs e ager, tra chi è cittadino e chi no e tra i vivi e i morti, dato che questi
ultimi venivano sepolti, in genere, al di fuori.

Sesto Pomponio fa riferimento alla storia di Remo, il quale sarebbe stato ucciso per aver tentato di
scavalcare le mura e di come questo gesto fosse considerato di cattivo augurio. Altre tradizioni, però, ci
dicono che Remo tentò di scavalcare proprio il solco sacralizzato.

Ultima testimonianza ci arriva dal Vangelo Secondo Giovanni: si parla di una metafora tra un recinto
delle pecore e la città e di come scavalcare il recinto senza passare per la porta fosse considerato il gesto
di un ladro, allo stesso modo lo scavalcamento delle mura.
HOMINES SACRI

➢ Sanctus: significa letteralmente “sanciti”, cioè sancito dalla legge. Quando i latini parlavano di
qualcosa di santo si riferivano NON a persone, ma ad oggetti e luoghi: questi sono inviolabili e
da tutelare, una tutela che viene conferita attraverso le leggi.
DUNQUE QUAL È IL RAPPORTO TRA LA DIVINITÀ E LA SANTITÀ?
Ciò che è santo NON è di proprietà divina, anche se deve essere tutelato. Pertanto, chi profana
questi luoghi/oggetti, sarà soggetto a sanzioni;

➢ Sacer: derivato dal lessico giuridico riguardante la proprietà;

➢ Profano: ciò che sta fuori dal santuario, opposto al sacro.

Esiste un’accezione particolare di sacro, cioè quella degli homines sacri.


Partiamo innanzitutto da un contesto archeologico: a Roma è stato
scoperto un recinto con delle lastre nere, un ritrovamento che ha
fatto pensare subito ad un passo di Festo che narra di una Lapis
Niger situata all’interno del comizio romano. Questo è considerato
un luogo funesto, poiché, secondo la tradizione, è proprio qui che a
un certo sarebbe scomparso Romolo.

Anche Plutarco narra del luogo di scomparsa di Romolo e aggiunge


congetture sul fatto che fosse stato smembrato nel Santuario del
dio Vulcano e di come i senatori abbiano nascosto le sue membra
sotto le vesti. Ritorna quindi il tema dello smembramento che
allude al passaggio di potere tra quello monarchico e quello
senatorio.

Tornando alla Lapis Niger, gli archeologi avrebbero scavato anche la parte di sotto e avrebbero
individuato un piccolo santuario proprio dedicato al dio Vulcano, contenente un altare, una colonna e
una statua di culto; inoltre, grazie a degli scavi del 2020, è stato trovato un sarcofago vicino alla zona,
descritto come quello di Romolo.

Vicino all’altare e alla colonna è stato rinvenuto un cippo databile al 575-550 a.C. con un iscrizione in
latino che recita: “Qui hunc (locum violaverit) sacer sit […]”, cioè “chiunque violerà questo luogo
sia maledetto”. Interessante notare che il verbo utilizzato qui è sacer, che assume un significato negativo,
di maledizione.

Il termine homines sacri si riferisce proprio a quegli uomini maledetti che hanno violato delle leggi sacre.
Sempre Festo ci dà una definizione di uomo sacro, che sarebbe colui che il popolo ha giudicato per un
delitto, una figura che non può essere sacrificata alla divinità e che, se ucciso da un uomo, quest’ultimo
non sarà condannato per omicidio: egli dunque è un uomo al di fuori di qualsiasi forma di legge, sia
umana che divina.
Proprio da questo passo di Festo, Giorgio Agamben scriverà il suo libro intitolato “Homo Sacer”: egli
sostiene che questo uomo appartiene alla divinità nella forma dell’insacralità (non può essere
sacrificato) ed è incluso nella comunità nella forma dell’uccidibilità (non può essere condannato, ma
può essere ucciso). Una figura di questo genere esula dalla legge umana tanto quanto da quella divina.

Questi individui hanno, tuttavia, una sorta di via d’uscita, ovvero quello che noi definiamo “diritto
d’asilo”, un’idea antica che in qualche modo era legata alla divinità.

ASYLIA-IUS AUSYLII

Secondo la tradizione sarebbero stati istituiti da Romolo: il racconto narra che, dopo la fondazione di
Roma, egli ebbe delle difficoltà a farla prosperare e a gestirla, dunque istituì questo luogo sul
Campidoglio che avrebbe accolto una massa di individui che potrebbero aver infranto leggi. Oltre a
questo ricordiamo anche l’espediente del ratto delle Sabine.

Dai passi di Livio e Plutarco riusciamo a capire che questo statuto era al di fuori delle leggi umane,
dunque chiunque richiedesse asilo sarebbe poi diventato intoccabile, intangibile, tutelato proprio dalla
divinità dell’asylum.

Sappiamo anche, sempre secondo Livio,


che l’asylum era recintato e circondato da
boschi, mentre, secondo Ovidio (Fasti),
esso sarebbe stato delimitato da alte
mura di pietra e che all’interno venissero
celebrati riti in onore di Veiove, la
divinità tutelante del diritto d’asilo.

ASYLUM DI ROMA
Collocato nella depressione tra le due cime del colle Capitolino, luogo in cui è stato ritrovato il tempio
di Veiove Capitolino. All’interno del santuario sarebbe stata rinvenuta una statua dai caratteri
apollinei, ma mutilata, quindi senza mani, braccio destro e testa.
Aulo Gellio ci descrive proprio la figura di Veiove, e di come questa avesse nelle mani delle frecce
(infatti egli veniva spesso identificato con Apollo): evidentemente anche Veiove doveva avere una sorta
di funzione apotropaica, cioè quella di scacciare il male. In effetti la funzione del dio è proprio quella di
purificare ed eliminare dall’umanità ogni sorta di male.
La capra ha un ruolo importante, poiché è una vittima considerata in
grado di assorbire il male, sia fisico che spirituale; da qui deriva il
termine di “capro espiatorio”.
Esiste inoltre la possibilità (un’ipotesi) che a Roma si verificassero
sacrifici umani prima di venire sostituiti con le capre, un fatto a cui
fa riferimento Aulo Gellio.

La figura del capro espiatorio era utilizzata anche in Grecia: in questo


caso si parlerà di pharmakoi, da cui proviene il termine “farmaco”.
René Girard, compie una riflessione sui meccanismi del capro
espiatorio: ad Atene, in occasione di calamità naturali, veniva
sacrificato un individuo, ovvero il pharmakos, un personaggio
penoso, spregevole e persino colpevole, ma anche una figura che è in
grado di assorbire il male dalla comunità per far tornare pace e
fecondità. In greco, il termine pharmakon indica il veleno ma
anche l’antidoto, una droga magica che devono adoperare coloro che
hanno conoscenze eccezionali e non del tutto naturali.

Infine, il capro espiatorio lo ritroviamo anche nel Giudaismo: dal Levitico, si narra che due capre
vennero impiegate per un sacrificio espiatorio e un ariete per l’olocausto. Sarà il Signore a mostrare
quale della due capre appartenga a lui e quale ad Azazel, una figura che non è ancora chiaro se si può
definire divina o demone, ma sicuramente è un’entità che si trova nel deserto ed è opposta a Yahweh.
Proprio per questo motivo la sua capra non viene uccisa ma espulsa dalla comunità degli israeliti e
lasciata andare nel deserto, in modo da allontanare il male dalla comunità.

Tornando all’asylum, un altro luogo che garantiva asilo è il Santuario di Cerere sull’Aventino, un
luogo circondato da porte aperte dato che, come cita Nonio Marcello, chiunque si rifugiasse lì veniva
tutelato e dunque le porte non dovevano mai essere chiuse. Anche Plutarco sostiene che esisteva una
sorta di legge che impediva che le porte venissero chiuse, le quali dovevano invece rimanere aperte
giorno e notte come rifugio per i bisognosi.

Una zona di diritto d’asilo venne addirittura istituita dai triumviri Ottaviano, Marco Antonio e
Lepido nel Tempio del Divo Giulio, fondato nel 42 a.C. nel luogo in cui venne cremato.
MA PERCHÉ VENNE FONDATO UN TEMPIO IN ONORE DI CESARE?
Quando ci riferiamo alle divinità olimpiche Giove, Marte e Afrodite, è giusto parlare di deus e dea. In
questo caso, però, è giusto parlare anche di divus: Cesare era infatti un uomo, un mortale che subisce
un passaggio ad uno status differente, viene cioè divinizzato.
LA FIGURA DEL REX NEMORENSIS E IL RUOLO DI DIANA

Il Rex Nemorensis è una figura sacerdotale del santuario di Diana ad Ariccia, più precisamente in un
bosco che si trova nei pressi del lago di Nemi. Questo sacerdote in realtà è uno schiavo fuggitivo
caratterizzato da una precarietà assoluta, come lo è il suo ruolo dato che poteva esercitare l’incarico di
sacerdote fino a quando un rivale lo avrebbe sfidato in un duello mortale.

Colui che sfidava il rex Nemorensis poteva essere altrettanto uno schiavo fuggitivo e doveva strappare un
ramo da un albero sacro presente proprio all’interno del santuario. Il vincitore ovviamente avrebbe
guadagnato il titolo.

La figura del rex Nemorensis è radicale per negatività ed è anche caratterizzata da inversione dato che
parliamo comunque di uno schiavo che diventa re. Egli però rappresenta anche una sorta di modello
esemplare per tutti coloro che aspiravano al diritto d’asilo, non a caso Diana, nella religione romana, è
proprio collegata all’asilo: essa è una divinità che vive ai margini e che si caratterizza per estraneità,
alterità ed esclusione rispetto alla società “delle istituzioni della città”; queste sue peculiarità la rendono
una divinità ideale per tutte quelle dinamiche di integrazione, per tutti i riti di passaggio.

A Roma in particolare, Diana è collegata alla sfera nuziale, ma anche alla liberazione degli schiavi e
l’immissione nella cittadinanza romana: quando uno schiavo veniva liberato, nel mondo romano,
veniva immesso nella cittadinanza, cioè diventava automaticamente un cittadino romano; da qui egli
acquisiva vari diritti, come il diritto di voto.
Dunque, la libertà coincide con la cittadinanza, un concetto che spiega bene anche Cicerone
quando parla della città di Roma.

Il termine con cui si indicava la liberazione degli schiavi è manumissio, perché lo schiavo veniva preso
per la mano destra dal padrone e veniva eseguita una piroetta verso sinistra, un gesto che poteva
comprenderne anche altri più ambigui quali il taglio dei capelli oppure uno schiaffo. Infine gli veniva
donato un particolare cappello, il pilleus, dalla forma a punta e di lana bianca.
IL GIURAMENTO

Una garanzia per Roma è il giuramento, cioè coloro che ottengono la cittadinanza romana sono
chiamati a giurare ad una divinità. esso è un atto magico-sacrale con il carattere di un auto-
imprecazione; il giurante, in caso di spergiuro, chiama su di sé la punizione divina.

Quando si stipula un giuramento vi sono degli elementi ricorrenti:

1. Deve essere menzionata chiaramente la divinità per cui si giura. La maggior parte delle volte
erano divinità della luce (non a caso), ma si poteva giurare anche per divinità del cielo come
Giove o per una divinità degli Inferi: in quest’ultimo caso il giurante sta molto attento a
rispettare il giuramento essendo queste le divinità più temute;
2. Formulazione della verità che il dio è chiamato a confermare;
3. Esplicita menzione della punizione che la divinità riverserà in caso di spergiuro.

Tutti questi elementi andavano espressi in maniera chiara, a voce alta non in un prato, in una campagna
o comunque uno spazio qualsiasi, ma proprio nei santuari, poiché è in questi luoghi che la divinità si fa
garante dei termini del giuramento.

Insieme all’oralità il giuramento presupponeva anche una gestualità: la formula orale era
accompagnata da un gesto della mano destra che, nella maggior parte dei casi, veniva rivolta verso l’alto.
Dalle testimonianze sappiamo che spesso la mano destra poteva essere appoggiata su una pietra sacra
oppure sull’altare: nel caso delle pietre sacre parleremo di litolatria.

Virgilio, nell’Eneide ad esempio, ci descrive il giuramento di un re del Lazio antico, un latino che
guarda il cielo, tende la mano destra alle stelle e prega Giove, colui che sancisce i patti con il fulmine:
quest’ultimo diventa la manifestazione dell’ira divina in caso di spergiuro.

Quando un fulmine cadeva su un edificio danneggiandolo o colpiva una persona, i Romani si


affidavano alla cultura etrusca per interpretare questi fenomeni ed è in questo momento che accade
un’operazione affascinante: si eseguiva una cerimonia, una sorta di seppellimento del fulmine, o meglio,
di tutti quegli oggetti che il fulmine aveva colpito e danneggiato. Il caso più eccezionale documentato è
il caso di una statua in bronzo risalente alla fine del II secolo a.C. che rappresentava Ercole, più
precisamente Ercole Mastai. Sappiamo che si tratta di un seppellimento sacro perché il manufatto non
è stato trovato casualmente sotto la terra, ma è stato ritualmente sepolto.
Questo rituale di seppellimento di oggetti e statue si chiama Fulgur Conditum.

Tornando a Giove, sono presenti a Roma dei templi dedicati proprio al Giove Folgoratore:

❖ Sull’Isola Tiberina, la quale ospita il tempio di Iuppiter Iurarius contenente un’iscrizione che
fa riferimento al Giove del Giuramento;
❖ Sul Campidoglio: nel tempio di Giove Feretrio sono state ritrovate le lapides silices, pietre
antichissime considerate esito delle cadute dei fulmini. Infatti qui si praticava proprio un
giuramento a Iove Lapidem, che consisteva nel lanciare la pietra con la mano destra e nel
frattempo pronunciare la formula rituale. Di nuovo tornano i concetti di oralità e gestualità.

IL CULTO DOMESTICO

Il culto domestico romano di epoca storica è indirizzato verso gruppi di divinità che fanno parte di una
dimensione escatologica e animista dell’aldilà, non distante dalla concezione reale nella vita dei romani.
Queste divinità domestiche erano molto temute:

o Penates: o Penati, erano una coppia di divinità a cui era affidata la cura del penus, cioè la
parte della capanna, e in seguito della domus, in cui venivano conservate le derrate; dunque,
avevano funzione di tutela di uno spazio fondamentale per la sussistenza.
Essi sono di origine antichissima, pre-protostorica.
Testimonianze ne ritroviamo nell’Ara Pacis, più precisamente in uno dei pannelli dei lati brevi
in cui vi è la rappresentazione del sacrificio che Enea offre ai suoi Penati dopo essere sbarcato
nel Lazio a seguito della guerra di Troia;

o Lares: o Lari, termine che proviene da “lar” da connettere con “largus” che significa
“abbondante” e “largiri” che significa “dispensare”. Questi erano gli antenati della casa con
funzione dispensatrice, anche in questo caso una coppia di antenati divinizzati che hanno la
funzione di assicurare la ricchezza al nucleo familiare.
Ne esistevano di due tipi:
→ I Lares familiares, venerati in un’unica famiglia e protettori di essa;
→ I Lares compitales, da “compitum”, cioè l’incrocio delle città, il confine tra i diversi
quartieri. Questi erano i lari delle famiglie del quartiere, dunque venerati in una
dimensione collettiva, cittadina, di quartiere.
A Pompei sono stati ritrovati i larari, ovvero delle piccole
edicole, luoghi di culto in cui si svolgevano delle offerte
come cibo e primizie, che venivano posti in un punto preciso
della casa, solitamente nell’atrio; nelle case più grandi
potevano esserci anche due larari, uno per la famiglia e uno
per i servi essendo un culto che riguardava ogni ceto sociale.
Sempre a Pompei sono stati ritrovati anche alcuni luoghi di
culto per i lares compitales, ne è un esempio il sacello
compitale, posto in corrispondenza di un incrocio insieme ad
un altare per offerte e sacrifici;
o Manes: o Mani, da “manus” che vuol dire “buono”. Questi sono gli antenati morti e
divinizzati dal carattere benevolo e di numero indefinito.
Non abbiamo nessuna testimonianza iconografica dei manes, ma solo letteraria: Ovidio, per
esempio, fa riferimento ad un rituale celebrato ai Mani della famiglia che prevede una
celebrazione di notte, in assoluto silenzio; esso è suddiviso in vari momenti, uno in cui si sta in
piedi, uno in cui si schioccano le dita, il lavaggio delle mani, volteggi e lancio di fave nere, un
colore non scelto a caso, ma che invece simboleggia l’offerta ad una divinità dell’aldilà o ad
antenati divinizzati. Successivamente viene compiuta una nuova purificazione, a causa del
contatto tra le due dimensioni, un rituale compiuto a piedi nudi perché non deve essere
presente nessun elemento legato, essendo le calzature romane provviste di nodi;

o Lemures: o Lemuri, un termine che ancora oggi viene utilizzato per identificare le anime
inquiete. Contrapposti ai mani, essi sono anime delle morti violente, morti minacciose
estranee alla comunità pericolose e temute dai Romani. Lo stesso Remo era considerato un
lemure perché ucciso prima del tempo in maniera violenta dal fratello, caratteristiche che lo
rendono un’anima inquieta e minacciosa.
Porfirione poi, commentando l’Epistola II di Orazio, parla di uomini che vagano, morti prima
del tempo e per questo motivo sono da temere.

RITUALI APPLICATI ALLA SFERA BELLICA

I romani sono stati un popolo fondato sulla conquista e l’Impero aveva un’estensione straordinaria, resa
possibile grazie alla loro abilità bellica, di conseguenza molti rituali della religione romana erano proprio
dedicati alla sfera bellica.

IL TRIONFO
Ricordiamo innanzitutto il Trionfo, il più importante dei rituali bellici, celebrato sia in Età
Repubblicana che in Età Imperiale. Questo era il cerimoniale massimo per celebrare un’importante
vittoria militare, celebrata non sul campo di battaglia, ma a Roma, nel momento in cui il condottiero e
le legioni tornavano in città.
Il termine deriva dal greco “thriambos”, l’esclamazione rituale che veniva fatta in occasione di rituali,
corteggi e processioni celebrati in onore a Dioniso, un evento che i romani chiamavano Liber;
effettivamente, già in Grecia Dioniso veniva rappresentato come un dio che trionfa.

La cerimonia del Trionfo ha molti significati militari: in una fase originaria si intreccia al potere regale,
quando Roma era una monarchia ed era il re che conduceva alla vittoria; negli anni dei re etruschi
subisce una trasformazione grazie agli analoghi cerimoniali etruschi, che vengono presi a modello.
Durante la sfilata viene mostrato il bottino conquistato, spesso comprendente anche di prigionieri di
guerra.

Il dio del Trionfo romano è Giove Capitolino e non Dioniso, quindi la processione trionfale romana
termina presso il Capitolium: durante il rituale, il trionfatore era assimilato a Giove con un habitus
particolare, cioè delle vesti attribuite al dio; il viso era dipinto con il minio rosso, un metallo d’argento,
caratteristico del simulacro di Giove, e in più aveva una corona di quercia, albero sacro al dio, ma anche
di alloro. Un’altra pianta collegata alle dinamiche di guerra era il mirto pianta sacra alla dea Venere
collegata alla deposizione delle armi.

Varrone, nel I sec. a.C., una fonte autorevolissima e una delle menti più alte che meglio conosceva le
tradizioni romane, conferma l’etimologia del verbo e della sua derivazione greca. Conferma anche che i
soldati e il generale compivano una processione verso il Campidoglio e che terminava davanti al tempio
della triade capitolina.

La Tazza da Boscoreale, tazza d’argento di Età Augustea


raffigurante il trionfo di Tiberio, è un esempio perfetto che
testimonia la celebrazione di questo rituale. La scena rappresenta
l’imperatore su una quadriga con dietro un personaggio, un servo che
sostiene sulla testa del trionfatore una corona di alloro/quercia.

Altra testimonianza ci arriva da Festo, il quale parla di soldati coronati con il laurus quando sfilano in
trionfo: questa è la pianta sacra ad Apollo, quindi ha competenze apotropaiche e purificatorie.
PERCHÉ C’È LA NECESSITÀ DI PURIFICARE IL TRIONFANTE?
Questo concetto si lega alla consapevolezza di aver ucciso qualcuno, quindi al timore che l’anima
dell’uomo ucciso sul campo di battaglia, il lemure, si vendicasse e rendesse la vita del trionfatore
maledetta. Per questo motivo egli necessita di essere purificato attraverso le fumigazioni di alloro al di
fuori delle mura cittadine; a quel punto egli può rientrarvi.

Infine Plinio il Vecchio ci parla di Venere Cloacina, la Venere purificatrice che soprintende le unioni,
unisce e purifica. Poi parla dell’Ovatio, un altro cerimoniale di vittoria diverso dal trionfo in cui l’alloro
purifica dal sangue nemico versato e si celebra una battaglia vinta; nell’ovatio si usa il mirto, non vi è
sangue versato e si stipula una pace.

CONCESSIONE DEL TRIONFO : in Età Repubblicana viene concesso dal Senato a causa del rischio che
alcuni condottieri non riportassero racconti veritieri; dunque, ad un certo punto vengono stabilite delle
leggi e il trionfo viene celebrato solo se si hanno determinati requisiti.
A questo proposito, Valerio Massimo scrive che fu varata una legge secondo cui si otteneva il Trionfo
solo dopo aver ucciso più di cinquemila uomini in battaglia. In seguito, fu varata un’altra legge che
minacciava sanzioni nei confronti dei generali che avevano osato riportare falsi messaggi sul numero di
nemici uccisi, quindi li obbligava, appena rientrati a Roma, di giurare in presenza dei pretori urbani.
L’EVOCATIO
Un rituale militare praticato da un dittatore o da un generale. Il termine evocare significa “chiamare
fuori”, in questo caso “chiamare fuori una divinità di una città”.
Esso viene praticato in occasione di un assedio presso una città che non si riesce a conquistare:
l’obiettivo dell’evocatio è quello di privare la città nemica della sua divinità tutelare, si chiede cioè alla
divinità tutelare di “passare dalla propria parte”. Il beneplacito della divinità veniva espresso,
eventualmente, tramite un esame delle viscere di un animale sacrificato alla divinità, dopodiché si
tentava un altro assalto alla città nemica: in caso di conquista, alla divinità verrà dedicato un tempio a
Roma.

Abbiamo due casi di evocatio attestati:

➢ Giunone Regina di Veio: durante l’assedio della città, nel 396 a.C., i romani praticano
un’evocatio alla dea e riescono a conquistare Veio. In seguito, ereggono un tempio a Giunone
Regina a Roma.
➢ Giunone Celestis di Cartagine, chiamata Tanit: Cartagine, massima nemica di Roma, cade
dopo un lunghissimo assedio nel 146 a.C. e, dopo la conquista, viene dedicato un tempio alla
Tanit cartaginese e viene compiuta una maledizione verso la città, che viene rasa al suolo.
Questa fu un’eccezione particolare e contraria all’ordinaria mentalità delle religioni, che
solitamente sono ostili nei confronti delle divinità altrui; i romani credono veramente a queste
divinità, facendole passare nel loro pantheon.

LA CONSECRATIO
Dopo che la città nemica era stata espugnata, si poteva praticare una consecratio, da “sacer”, che sta sia per
“sacro” che “maledetto”. Fare una consecratio significa maledire una città, come nel caso di Cartagine.
IL PANTHEON ROMANO

Il pantheon romano si formò dopo un lungo percorso ed è stato prodotto da due spinte:

• La spinta innovativa: una graduale introduzione di divinità esterne al mondo italico, cioè quelle
egizie, greche e orientali;
• La spinta logica del mos maiorum: la volontà da parte dell’aristocrazia senatoria di chiudersi
alle novità in fatto di religione. Quindi, una forte riaffermazione delle divinità tradizionali.

Dal mondo greco ci arrivano:

→ Apollo: arriva a Roma come una divinità medica, infatti arriva l’Apollo medicus, colui che
guarisce. Una divinità tipicamente greca che resta greca;
→ Demetra: a partire dal VI secolo viene identificata col nome di Cerere;
→ Ermes: a Roma diviene Mercurio e diviene più strettamente legato ai commerci e ai guadagni,
una competenza che aveva anche quello greco, anche se in quel caso era secondaria.

Dal mondo orientale arriva Cibele, divinità di origini anatoliche che arriva a Roma alla fine del III
secolo, quando vengono integrate alcune divinità appartenenti ai pantheon orientali.

Dal mondo egizio vengono introdotte divinità come Iside o Serapide, che già avevano superato i
confini dell’Egitto ed erano entrate nel mondo ellenistico, ad Atene, a Delo e anche in Macedonia.

Durante il passaggio delle divinità orientali presso il pantheon romano avviene un processo graduale di
antropomorfizzazione delle divinità romane che diventano sempre più simili all’essere umano, sia
nella sostanza che nella forma. Addirittura, in origine alcune venivano rappresentate come feticci, senza
aspetto umano, ma gradualmente, anche sotto spinte greche ed etrusche, le figure romane cominciarono
a diventare antropomorfe.

Il Pantheon romano privilegia l’organizzazione in triadi, non escludendo i rapporti genealogici tra le
divinità:

Triade Arcaica → composta da Giove, Marte e Quirino.


Triade Capitolina → composta da Giove, Giunone e Minerva, raffigurati con Giove al centro,
Minerva sulla sinistra e Giunone alla destra del suo sposo. Queste divinità erano accompagnate da
animali sacri, collegati ad ognuna di esse: Giove collegato all’aquila, Minerva alla civetta e il pavone a
Giunone.

Vi è assenza di teogonia o di cosmogonia, nessuna fonte romana parla di cosmo o di elementi


primordiali, neanche della nascita degli dèi, per questo motivo la religione romana non viene
considerata un modello eccellente di politeismo avendo un approccio alla religione molto più concreto
ed elementare rispetto alla religione greca. Le uniche fonti romane che parlano di teogonia o di
cosmogonia lo fanno alla luce delle tradizioni greche.

Sul mito romano vi è un discorso complesso: sono stati compiuti numerosissimi studi da parte degli
storici della religione per riuscire a capire se la tradizione romana avesse o meno un patrimonio mitico
proprio. Una certa corrente di studio parla della demitizzazione del patrimonio mitico: il mito,
secondo una definizione elementare, è un insieme di racconti tradizionali, dove l’attributo tradizionale
sta a significare che questi racconti vengono tramandati, prodotti di una tradizione precedente che
ancora operano nella storia e nella cultura. Le fonti presentano le figure mitiche come personaggi storici,
come ad esempio la figura di Romolo.

CULTO FUNERARIO ROMANO

Secondo le fonti, tra cui Plinio e Cicerone, i costumi funerari romani hanno subito varie trasformazioni
nel corso del tempo, come l’incenerimento e l’inumazione, che sono state pratiche dominanti in
determinati momenti della storia romana, a volte praticate anche contemporaneamente.
Vi erano credenze diverse alle spalle della scelta:

o Per la cremazione si credeva che attraverso la distruzione della materialità del corpo, l’anima
fosse libera di raggiungere l’Aldilà;
o Per l’inumazione si credeva che attraverso la sepoltura del corpo il defunto venisse in contatto
diretto con la terra, con il corpo integro.

In entrambi i rituali vi è la presenza del corredo che accompagna il defunto, elemento comune a quasi
tutte le religioni antiche.
In un rilievo di fine I secolo a.C. vi è una chiara testimonianza di un trasporto funebre in epoca romana:
il defunto, al centro, non assume una posa di un morto, ma quella di un banchettante, forse un attore
che lo personifica o una statua che lo ritrae. Ai lati del defunto vi sono dei piangenti, sia uomini che
donne; sono presenti anche dei suonatori insieme a quelli che trasportano il cadavere.

Le finalità dei monumenti funerari erano quella di segnalare il luogo di sepoltura; tramandare la
memoria del defunto; propagandare lo status e l’attività terrena del defunto. Ancora oggi sono presenti
dei monumenti funerari testimoni di grandi segni nell’urbanistica della città romane, ma anche
sepolture dedicate ai ceti più bassi della società: in quest’ultimo caso le sepolture potevano prevedere
l’inumazione e la presenza di un tubulo di terracotta che permetteva di onorare il defunto facendo
scendere delle offerte nella tomba.

Quando pensiamo ai monumenti imperiali, dobbiamo tenere presente che questi avevano una estrema
importanza: Augusto, per esempio, comincia a pensare al suo Mausoleo già nei primi anni in cui salì al
potere; questo era un luogo di manifestazione del suo status e delle sue gesta e lo capiamo bene dalle
iscrizioni presenti all’entrata contenenti le res gestae militari di Augusto, imprese che in un certo modo
completano l’eroizzazione e la divinizzazione dell’imperatore. Ricordiamo che le vicende della vita
terrena giocavano un ruolo fondamentale nell’aldilà.

Tuttavia, le res gestae non sono prerogativa solo dell’imperatore. Ad esempio, davanti alla Porta Maggiore
è stato ritrovato un monumento funerario dedicato al fornaio Eurisace. Evidentemente egli doveva
essere un fornaio molto famoso e ricco, forse distribuiva il suo pane anche all’esercito; dunque il
monumento vuole rappresentare le res gestae sociali di un fornaio che vuole nel suo piccolo mostrarle.

Sappiamo che le sepolture avvenivano all’esterno della città, dunque trovare una tomba all’interno delle
mura cittadine rappresenta sicuramente un caso eccezionale. È il caso, ad esempio, dell’imperatore
Traiano, il quale addirittura concepisce la sua sepoltura al di sotto della Colonna Traiana, proprio
all’interno del foro.
Adriano invece predilige una posizione periferica rispetto al predecessore, un mausoleo che oggi
ricordiamo col nome di Castel Sant’Angelo.
I MONOTEISMI
EBRAISMO

Il termine “Giudaismo” deriva dal termine “Giudei”, ma non è solamente riferito alla religione del
popolo ebraico poiché abbraccia più significati: è una parola che indica sia l’appartenenza al popolo
ebraico sia alla comunità religiosa.

La storia degli Ebrei è molto lunga e si distingue principalmente in tre fasi:

➢ Israele Antico: fase che abbraccia il VI secolo a.C., dal 587 al 538. Questo è un periodo
antecedente l’esilio babilonese, è il periodo di Salomone, di David e dei profeti;

➢ Epoca del Secondo Tempio: una lunga fase che dura 6 secoli, dal 515 a.C. al 70 d.C.. Essa
inizia quando, a seguito della distruzione del primo Tempio di Salomone, gli Ebrei tornano
dall’esilio dando inizio alla costruzione di un nuovo tempio;

➢ Giudaismo Rabbinico o Grande Diaspora: fase che va dal 70 d.C. fino ai nostri giorni.
Questo nuovo periodo inizia subito dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di
Tito; dal punto di vista religioso è un momento che rappresenta un cambiamento significativo
negli aspetti religiosi poiché viene meno il luogo di culto sacrificale degli Ebrei.

Oggi i Giudei non praticano più un culto sacrificale, ma un culto in sinagoga con caratteri diversi:
innanzitutto all’interno delle sinagoghe non vi sono altari, poiché questo è un luogo di riflessione e della
memoria e non un luogo di sacrificio.
Il Muro del Pianto rappresenta sicuramente il modello eccellente di luogo di culto degli Ebrei: esso fa
parte dei resti del tempio distrutto nel 70 d.C., ancora oggi ben visibile vicino all’originario sancta
sanctorum (cella dell’antico tempio).

PERCHÉ SI UTILIZZANO I TERMINI GIUDEI E GIUDAISMO?


Il primo in particolare si usa per identificare quel popolo ebreo costituito da discendenti della tribù di
Giuda, la cui vita è regolata da una serie di norme di origine divina.
Ma esso deriva anche da Giudea, la terra promessa ad Abramo che attualmente si trova tra Israele e
Palestina.

Il Giudaismo si basa sul “monoteismo etico”, un’etica basata sull’osservanza della legge, identificata
con la Torah, presa alla lettera. La legge giudaica si basa sull’idea secondo cui Dio è solo ed
onnipotente, creatore del Cielo e della Terra, colui che interviene nella natura e nella storia; l’azione
divina nel mondo è finalizzata ad un disegno salvifico che si realizzerà compiutamente nell’epoca
messianica, il momento in cui apparirà il Messia. Durante l’attesa sono tenuti al rispetto della Legge,
rivelata da Dio a Mosè.

L’Ebraismo è invece una religione che non esige fede in credenze rivelate o dogmi, dunque è diversa
dal Cristianesimo. Piuttosto si può parlare di ortoprassi (dal greco “pratica perfetta”), cioè impegna
l’ebreo giusto all’osservanza della Legge.
Il nome del dio ebreo è Yahweh, ma nella tradizione biblica viene indicato anche con altri nomi:
Adonai, Elohah/Elohim e Sabaoth.

CIRCONCISIONE

La circoncisione è un taglio del prepuzio che caratterizza il popolo ebraico anche nella carne, non a
caso essi vengono definiti anche “i circoncisi”.
Essa dunque rappresenta l’identità del popolo ebraico, simbolo di un ebreo osservante dell’alleanza con
Dio.

Secondo la tradizione, Isacco, primo figlio di Abramo e Sara, fu circonciso all’età di 8 giorni in un
rituale che si chiama Brit Milah.

LA BIBBIA EBRAICA

Dal greco biblia/byblos che vuol dire “papiro”, la Bibbia Ebraica è un insieme di libri rivelati o
divinamente ispirati, dunque sono sacri e venerabili.
Essi sono 39 e divisi in 3 parti:

o Torah: 5 libri tra cui Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio;


o Profeti: divisi in anteriori, quali Giosuè, Giudici, Samuele, Re, e posteriori, tra cui Isaia,
Geremia, Ezechiele; 12 profeti minori;
o Scritti: tra cui Salmi, Giobbe, Proverbi, Cantico dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Daniele…

Quindi, la Bibbia Ebraica non corrisponde perfettamente al canone delle Bibbie Cattoliche,
contendendo queste ultime molti più libri.

Una delle scoperte archeologiche più importanti per lo studio della Bibbia Ebraica è stato il
ritrovamento dei rotoli di Qumran, dei documenti sigillati e nascosti prima del 70 d.C., cioè poco
prima dell’arrivo dei Romani in Palestina. Queste pergamene sarebbero state nascoste in giare di
terracotta poste nelle grotte per proteggere la documentazione, e proprio per questo motivo si sono
conservate in maniera straordinaria, anche in aggiunta al clima secco.
Tuttavia, lo studio dei testi è stato molto travagliato a causa di incomprensioni, conflitti tra studiosi e il
parziale smembramento; ancora oggi rimangono molti interrogativi. Sappiamo però che il contenuto
delle pergamene si riferiva a testi biblici, documentazione sulla vita della comunità di Qumran: tra i
testi più importanti vi è il Great Isaiah Scroll, un intero libro di Isaia con pochissime lacune.

I TEMPLI

Il tempio era il principale luogo di culto degli Ebrei. Descrizioni accurate ne troviamo anche nei libri
del Re e delle Cronache, dunque sappiamo che innanzitutto abbiamo 3 parti principali:

1. Debir: Sancta sanctorum, punto più interno accessibile solo al sommo sacerdote una volta
l’anno durante la festa dello Yom Kippur. Secondo la leggenda doveva contenere l’Arca
dell’Alleanza con le 10 tavole ricevute da Mosè;
2. Echal: luogo sacro posizionato appena davanti al debir, è uno spazio rettangolare contenente
una serie di arredi dal significato simbolico, come la tavola con i piani o il candelabro a 7 braccia
(Menorah, non doveva mai spegnersi);
3. Ulam: vestibolo d’ingresso al tempio, poteva ospitare camere, cortile del sacerdote, grande
corte…

I SACRIFICI

Avevamo detto che all’interno dei templi non si praticavano sacrifici, essendo luoghi di riflessione,
dunque gli altari avranno un diverso utilizzo: quelli all’interno venivano utilizzati per bruciare incensi,
mentre quelli all’esterno venivano usati per i sacrifici.

Dal Levitico sappiamo che ci sono cinque tipi principali di offerta/sacrificio:

→ Olocausto: che vuol dire dal greco “tutto bruciato”, consisteva nel bruciare appunto la vittima;
→ Sacrifici di comunione: parte della vittima sacrificata e l’altra parte consumata a banchetto;
→ Oblazione: offerta di prodotti della terra;
→ Sacrifici espiatori: potevano essere collettivi o individuali, spesso accompagnati da confessione;
→ Sacrifici di riparazione: spesso accompagnati da una restituzione o un indennizzo.
FESTIVITÀ

YOM KIPPUR
Giorno dell’espiazione, della purificazione che si celebra tra settembre e ottobre. Questo è il giorno più
sacro dell’anno ebraico e prevede diversi momenti: innanzitutto si pregava, si praticava un digiuno di
24 ore e non si potevano eseguire altre attività quotidiane; poi prevedeva anche una confessione
pubblica dei peccati accompagnata da un pentimento sia individuale che collettivo.

La cerimonia termina con il suono dello shofar, uno strumento legato alla tradizione biblica del
sacrificio di Isacco, nel momento in cui, dopo che Dio ferma la mano di Abramo, si intravede un
montone con le corna impigliate nel cespuglio.
Di nuovo torna la funzione apotropaica del capro.

SUKKOT
Festa delle capanne o dei tabernacoli. Questa è una festa autunnale celebrata sette mesi dopo la Pasqua
e della durata di 7 giorni.
In questa occasione gli Ebrei osservanti costruiscono capanne con tetti di foglie, che durante la festa
diventeranno abitazione primaria di ogni ebreo e nella quale dovranno passare il più tempo possibile.

PASQUA EBRAICA
Detta anche Festa degli Azzimi, essa dura 7 giorni e ha come momento centrale la cena pasquale, un
momento in cui ci si ciba di pane non lievitato e altre vivande dal significato simbolico: la zampa di
agnello arrosto, simbolo degli agnelli sacrificati durante il periodo delle Sette Piaghe; l’uovo sodo
simbolo di distruzione del tempio; erbe amare e lattuga simbolo della durezza della schiavitù;
charòset, simbolo della malta con cui venivano costruiti mattoni per le costruzioni dei faraoni.

Anche nella consumo del vino durante cena della Pasqua ebraica si segue un’etichetta ben precisa: si
pongono sulla tavola 4 coppe, sorbite in momenti precisi della cena ricordando le piaghe d’Egitto e la
funzione salvifica dell’agnello:
1. Coppa di benedizione: con cui si inizia la cena del Séder;
2. Coppa delle piaghe: si beve nel momento in cui si riflette sulla tragedia delle piaghe d’Egitto;
3. Coppa della redenzione: riferimento al sangue salvifico dell’agnello;
4. Coppa della lode: ringraziamento e lode a Yahweh, vengono cantati i Salmi 115 e 118, significativi
per questo;
Si ha un’ultima coppa che non si beve, la coppa di Elia, molto bella e lavorata e sempre piena di vino;
metaforicamente la coppa dell’attesa, messa sul tavolo per Elia (il profeta che secondo Malachia
annuncia il tempo messianico).

Dunque la Pasqua è anche un momento per riflettere sull’attesa del Messia.

SHAVUOT
Festa delle settimane o delle primizie, viene celebrata 50 giorni dopo il primo giorno di Pasqua.
Essa commemora il dono della Torah sul Sinai e, in questa occasione, si richiede una purificazione.

HANUKKAH
Corrispondente al nostro periodo natalizio, dura 8 giorni ed è un momento critico per il sole, un
momento di fine e inizio anno.
Durante la festa in ogni casa vengono accese delle luci vicino alle finestre per una questione di
rievocazione storica: si vuole perpetuare il ricordo di un miracolo dell’olio avvenuto nel tempio di
Gerusalemme in occasione della conquista da parte dei Seleucidi.

BAR/BAT MITZVAH
Momento fondamentale in cui i figlie delle famiglie diventano responsabili delle proprie azioni: per i
maschi avviene a 13 anni, per le femmine a 12.
Durante questa celebrazione, i membri uomini della famiglia portano il fanciullo nella sinagoga che
porterà con sé i rotoli della Torah, protagonista di uno dei momenti fondamentali in cui il fanciullo
dovrà recitarne alcuni passi.
CRISTIANESIMO

Insieme di chiese, comunità, gruppi che si fondano sulle concezioni e sulle idee della predicazione di
Gesù di Nazareth, figlio dell’unico Dio, Signore e Creatore fondatore della religione cristiana. Gesù è
inoltre identificato con il Messia o Cristo, “unto” ovvero consacrato.
Il cristianesimo viene considerato una religione dalla fondazione storica: non vi è nessun dubbio che
Gesù sia storicamente esistito, sia fonti cristiane che pagane ne parlano.

Fonte principale della religione cristiana è il Nuovo Testamento, un insieme di 27 scritti tra cui:

❖ 4 Vangeli Canonici: Matteo, Luca, Marco e Giovanni;


❖ Atti degli Apostoli;
❖ 13 lettere di Paolo di Tarso: indirizzate alle comunità greche;
❖ Lettere di Pietro, Giacomo, Giovanni, Giuda Taddeo;
❖ Apocalisse: ultimo libro attribuito a Giovanni.

Tra le fonti non cristiane, invece, figurano i Vangeli “apocrifi”, non riconosciuti autentici dalla
Chiesa, ma anche gli storici li ritengono poco attendibili, dato che sono stati scritti molto dopo i fatti
raccontati. Nonostante ciò, questi documenti hanno avuto influenza nella tradizione e nell’iconografia:
ad esempio, la presenza del bue e dell’asino nella grotta in cui nacque Gesù, il nome dei genitori di
Maria, ce li racconta proprio il Vangelo dell’infanzia di Giacomo, il più famoso tra i Vangeli apocrifi.

GESÙ

Vi sono molti studi sull’anno della sua nascita: ancora non si è arrivati con certezza all’anno preciso ma
si può ipotizzare sia nato tra il 4 a.C. e il 6 d.C..
I Vangeli parlano di “epifania”: la manifestazione di Gesù alle comunità e al mondo sarebbe avvenuta
attraverso un incontro con i Magi venuti da Oriente, questi ultimi presentati come astrologi, dotti che
avevano seguito una stella come annuncio della nascita di Gesù.

INFANZIA E ADOLESCENZA
Egli trascorse una vita tranquilla in un piccolo centro della Palestina, ovvero Nazareth, oggi centro di
rilievo cresciuto con i pellegrinaggi in Terra Santa. Per molto tempo, soprattutto nella prima metà del
‘900, si è negata l’esistenza della Nazareth dei Vangeli visto che nell’Antico testamento non era
menzionata e nemmeno Giuseppe Flavio ne parla; tuttavia, nel 1962, venne fatta una scoperta molto
importante: fu ritrovata la cosiddetta Lapide di Cesarea, contenente frammenti di un’iscrizione che
elencava una serie di famiglie sacerdotali, tra cui una proveniente proprio da Nazareth, a conferma della
sua esistenza.
Secondo i Vangeli, Cristo compie anche dei miracoli, tra cui, i più celebri: la trasformazione delle
acque in vino, la moltiplicazione dei pani e dei pesci o la resurrezione di Lazzaro.

GRUPPI SOCIALI DELLA PALESTINA AL TEMPO DI GESÙ

o Farisei: coloro che osservavano in modo rigoroso la legge di Mosè scritta e orale, dunque diversi
dai Sadducei che davano autorevolezza solo alla versione scritta; per questo motivo si
scontrarono spesso con Gesù e la sua predicazione, scontri in cui quest’ultimo li accusava di
esteriorità e di ipocrisia e consigliava di fare quello che insegnavano senza imitare ciò che
facevano;

o Sadducei: appartenevano alla ricca classe dirigente e costituivano la maggioranza del Sinedrio
(tribunale religioso ebraico). Erano avversari dei Farisei, non credevano nella resurrezione dei
morti e furono loro i diretti responsabili della condanna di Gesù. Tolleravano i Romani;

o Samaritani: presero il nome dalla regione della Samaria. Gli altri ebrei li consideravano
separatisti perché non riconoscevano il Tempio di Gerusalemme come il luogo di culto più
importante, per questo considerati degli eretici dai Giudei. Pensavano ad un Messia simile a
Mosè;

o Zeloti: a questo gruppo appartenevano contadini, ex schiavi, gente modesta. Non erano disposti
ad attendere l’intervento liberatorio di Dio, ma volevano ribellarsi ai Romani con le armi.
ISLAM

Letteralmente “sottomissione” “dedizione” (a Dio) in arabo, l’Islam è una tradizione religiosa ma anche
una civiltà e comunità politica.

Figura centrale dell’Islam è Maometto, considerato il fondatore della religione, nonché messaggero di
Allah e profeta. A differenza di Gesù, Maometto è privo di poteri sovrumani ed è lontano da qualsiasi
fora di divinizzazione.

IL CORANO

Libro sacro dell’Islam, in arabo Qur’an che significa “recitazione” “messaggio”: esso infatti non viene
letto, ma recitato secondo regole precise.
È composto da 114 capitoli chiamati sure ed è scritto in arabo. Il Corano, secondo i musulmani,
raccoglie le rivelazioni che Allah, attraverso l’arcangelo Gabriele, ha inviato sotto forma di visioni a
Maometto (dal 610 al 632 d.C.).
Esso contiene leggi civili e precetti liturgici, storie e leggende, esortazioni e preghiere.

Allah è un dio concepito in maniera non diversa dal Dio ebreo e cristiano: queste tre grandi religioni
monoteiste infatti, sono basate proprio sull’idea di un Dio unico creatore del cosmo. La differenza è che
nel Corano Allah assume ben 99 nomi.

All’interno del libro sacro compaiono anche delle figure intermedie tra Allah e l’uomo:

➢ Angeli: le figure più vicine ad Allah, di una dimensione ultraterrena;


➢ Demoni: opposti agli angeli;
➢ ‘Ginn: spiriti della natura, venerati e temuti già in età preislamica. Essi sono fatti di fiamma
purissima e possono assumere forma umana;
➢ Profeti: uomini considerati discendenti di Abramo.

SUNNAH
“Tradizione”, “consuetudine”, “costume”, è un codice di comportamento, un insieme di regole di
vita derivate dal Corano e dalle azioni di vita esemplari di Maometto (nel Corano e negli Adith).
Comprende tutti gli aspetti della vita del credente:

• Prassi religiosa: riti, preghiere, pellegrinaggi…;


• Vita famigliare: nozze, ripudio, adulterio…;
• Vita sociale: vendita, locazione, contratti, prestiti, donazioni, testamenti…
SHĀRI’A
Letteralmente “strada battuta”, è un complesso di regole di vita e di comportamento dettato da Dio.
Distinzione tra:

▪ Shāri’a metafisica: si occupa della gestione dei rapporti dell’uomo con Dio. Attività interiore
dell’uomo (mente e cuore);
▪ Shāri’a pragmatica: gestione dei rapporti giuridici con altri uomini.

Nella Shāri’a è prevista la pena di morte in 4 casi: omicidio (di un musulmano), adulterio, bestemmia,
apostasia (rinnegamento della fede).

‘GIHĀD
letteralmente “sforzo”, è una lotta contro gli infedeli da parte dei fedeli, incitati anche dal Corano a
metterla in pratica.

‘Gihād interiore: sforzo che compie ogni musulmano per obbedire a Dio e osservare i suoi
precetti;
‘Gihād esteriore: da esercitare in caso di attacchi esterni per la difesa della fede (non attacco).

I CINQUE PILASTRI DELL’ISLAM

Consistono in cinque pratiche fondamentali:

1. TESTIMONIANZA O PROFESSIONE
Si afferma davanti a testimoni l’unicità di Allah: “non c’è altro Dio fuorché Dio e Muhammad è il suo
profeta”. Chi si converte da un’altra religione deve manifestare la sua fede oralmente in Moschea
davanti a testimoni musulmani.

2. CINQUE PREGHIERE RITUALI QUOTIDIANE


La chiamata alla preghiera viene annunciata dal muezzin. Sono cinque poiché abbracciano tutti i
momenti della giornata: l’alba, mezzogiorno, il pomeriggio, il crepuscolo e la notte; particolarmente
importante è il mezzogiorno del venerdì.
Ci si rivolge verso La Mecca per pregare in una posizione che mette il cuore più in alto del cervello,
poiché si prega con il cuore.
3. PAGAMENTO DELL’IMPOSTA CORANICA/ELEMOSINA RITUALE
Prelievo sui beni superflui che gradualmente diventa una tassa percentuale sulla ricchezza, dunque
diversa dall’elemosina volontaria.

4. DIGIUNO DEL MESE DEL RAMADAN


Per tutti gli adulti in buona salute c’è l’obbligo di digiunare dall’alba al tramonto per 30 giorni.
Questo digiuno avviene nel mese lunare del Ramadan, ovvero il IX mese nel calendario islamico.
Esso è anche momento di purificazione, riflessione e astensione. Sono però esentati minorenni, malati,
viaggiatori, donne con ciclo mestruale, in gravidanza o persone anziane; in quest’ultimo caso ci si può
astenere o operare in modo diverso.

5. GRANDE PELLEGRINAGGIO A LA MECCA


Prassi di origine preislamica, l’ultimo pilastro prevede l’obbligo, per i musulmani in possesso di mezzi
fisici ed economici, di recarsi a La Mecca almeno una volta nella vita. Alla fine del pellegrinaggio le
persone acquisiscono il titolo di Haij se il pellegrino è un uomo e di Haija se si tratta di una donna.
Capita spesso di sentire giovani educati che si rivolgono a persone anziane che non conoscono,
chiamandoli Haij o Haija, dando per scontato che, data la loro età, abbiano già compiuto il viaggio e
dunque riservando loro un trattamento reverenziale.

Chi compie questo pellegrinaggio deve indossare una veste particolare e fare sette volte il giro della
Kaaba, un gigantesco cubo in muratura ricoperto da un drappo di velluto nero decorato in oro con
versetti del Corano. Secondo la tradizione, fu costruito dal Profeta Abramo per conservare la “pietra
nera”, un frammento di roccia incastonato in una cornice d’argento.

MOSCHEE

L’edificio del culto islamico è la Moschea, strutturata principalmente in tre parti:

a) Minareto: torre da cui il muezzin annuncia la chiamata alla preghiera per i fedeli;
b) Sala con vasche per abluzioni: qui avviene il Sadirvan, il lavaggio per la purificazione;
c) Grande sala ipostila con un pulpito e una nicchia per la preghiera che indica la direzione de La
Mecca. Questa sala è adibita alla preghiera del mezzogiorno del venerdì e alle discussioni.

Caratteristica fondamentale delle moschee è che sono tutte orientate verso La Mecca, così come le
sinagoghe ebraiche sono orientate verso Gerusalemme. Al loro interno sono vietate immagini (islam
religione aniconica) quindi l’arte islamica si basa principalmente sulla creazione di motivi
fitomorfi/vegetali di incredibile bellezza.

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