LA RICERCA DEL SENSO
E DEL VALORE DEL RITO
Una problematica attuale
Matias Augé
Questo breve contributo non intende essere altro che una semplice
‘meditazione’, molto personale ma fatta a voce alta, su alcuni aspetti di
una problematica venuta a galla con una certa intensità in questi ultimi
tre decenninell’ambito della ricercaliturgica, e cioè la riflessione esplici-
ta sulla liturgia come culto rituale e la sua valenza teologica. L'Istituto di
Liturgia Pastorale dell'Abbazia di Santa Giustina di Padova, fedele al
noto motto di Tertulliano “caro salutis cardo”, scelto come programma
dell'Istituto, ha fatto nel settore della ricerca liturgica scelte epistemologi-
che ormai notea tuttii liturgisti. Gli studiosi della liturgia e delle scienze
umane che gravitano attorno all’Istituto padovano hanno prodotto in
questi ultimi anni una considerevole mole di studi, articoli e libri, che
meritano l’attenzione dei liturgisti e dei teologi in generale, anche di
quelli che, come me,si trovano magari con qualche difficoltà per forma-
zione culturale, struttura mentale e bagaglio linguistico, nel momento di
cogliere la densità di significato delle affermazioni di questi colleghi e di
instaurare con essi un dialogo. Ribadisco che qui intendo limitarmia fare
soltanto una breve ‘meditazione’ proprio perché riconosco la modestia e
l’incompiutezza delle mie osservazioni.
Una scommessa sul rito
Vorrei iniziare con un'affermazione dell’esponente padovano
Giorgio Bonaccorso, affermazione che possiamo considerare in qualche
modo programmatica: «La liturgia, indubbiamente, si autocomprende
entro l’orizzonte della teologia, ma, in questo orizzonte, non ha ancora
ricevuto una fondazione epistemologica che sia adeguata al ruolo che
essa svolge nell’intera economia di salvezza. Il fatto più determinante è
costituito dal fatto chela liturgia è debitrice di una nozionedi ‘prassi’ che
spesso sfugge alla teologia sistematica; in questo senso, potrebberivelarsi
più feconda una sua relazione con la teologia pastorale. [...] L'argomento
«LATERANUM», Anno LXVI, 2000, Fascicolo 2
374 Matias Augé
a cui è interessata una possibile scienza liturgica è la prassi liturgica della
Chiesa, ossia quella prassi in cui Dio santifica l’uomo e l’uomorende glo-
ria a Dio»!'. Lo stesso Autore, in un’altra parte aveva scritto un anno
prima: «Unaverità troppo sicura del proprio oggetto e dimentica delle
ragioni della propria credibilità, dimentica del senso delle proprie affer-
mazioni, conduce necessariamente alla riduzione essenzialistica della
liturgia e a una teoria del culto stabilita quasi tutta prima della celebra-
zione in atto»?. Questa attenzione alla prassiliturgica, alla celebrazione in
atto, al rito è una costantenegliscritti degli Autori padovani. Essi credo-
no chetra ricerca di carattere antropologico culturale che si occupa del
rito e ricerca teologica che si occupadiliturgia permanefino ad oggi una
fondamentale divaricazione.
Il noto antropologo Aldo Natale Terrin, in un recente e possente
volume sul rito, afferma nell’introduzione all’opera: «I liturgisti per lo
più — anche se nontutti, fortunatamente — ‘snobbano’ il rito in quanto lo
ritengono una categoria ‘minore’, ‘incompleta’, ‘non autentica’, legata al
mondo delle religioni non cristiane e dunque essi volgono volentieri lo
sguardo altrove e cioè verso la ‘liturgia’ che considerano invece l’unico
vero oggetto di riflessione del mondo teologico»’. Secondo il Terrin ed
altri nostri amici di Padova e dintorni, la ricerca liturgica, che ha tentato
una strada di ‘dematerializzazione’ a favore di contenuti, idee, pedagogie,
ecc., dovrebbe ora operare in controtendenza recuperando le modalità
primarie della ritualità! Stando all'opinione di Andrea Grillo, «l’incom-
prensione delrito è il problema chiave sotteso in generale alla ‘riscoperta’
moderna della liturgia»’. Si tratterebbe quindi di ripensare il rito come
primum ineludibile, avendo presente che la mediazione antropologicaè il
passaggio obbligatorio per ogni plausibile teoria del culto cristiano:
1 G. Bonaccorso, Latroduzione allo studio della liturgia, Messaggero- Abbazia di Santa Giustina
1990, 8.
“ Ip., “Le condizioni di ‘veritas’ della celebrazione: criteri per la loro elaborazione”, in AA.Vv., I/
Mistero celebrato. Per una metodologia dello studio della Liturgia. Atti della XVII Settimanadi Studio
dell'Associazione Professori di Liturgia, C.L.V.-Edizioni Liturgiche, Roma 1989, 193.
? A.N. TERRIN, // rito. Antropologia e fenomenologia della ritualità, Morcelliana, Brescia 1999, 11.
* Cf. A.N. TERRIN, “«Cardo salutis cardo» Liturgia e Incarnazione”, in ID. (ed.), Liturgia e
Incarnazione, Messaggero - Abbazia di Santa Giustina, Padova 1997, 8. Da parte sua, R. Tagliaferri
afferma: «il rito religioso oggiè in crisi perché si è in parte smarrito l'originario carattere ‘semiogene-
tico’ capace di introdurre nell'esperienza del sacro» (R. TAGLIAFERRI, “Il rito come ‘salto’ simbolico
nel sacro”, in A. CATELLA[ed.], Arzen Vestrum. Miscellanea distudi liturgico-pastorali in onore di P.
Pelagio Visentin 0.5.b., Messaggero-Abbazia di Santa Giustina, Padova 1994, 217).
> A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica. Approccio teorico alla liturgia e ai sacramenticri-
stiani, Messaggero - Abbazia di Santa Giustina, Padova 1999*272. Dello stesso Autore, vedi:
Teologia fondamentale e liturgia. Il rapporto tra immediatezza e mediazione nella riflessione teologica,
Messaggero - Abbazia di Santa Giustina, Padova 1995; “L'esperienza rituale come ‘dato’ della teolo-
gia fondamentale: ermeneutica di una rimozione e prospettive teoriche di reintegrazione”, in A.N.
TERRIN (ed.), Liturgia e Incarnazione, 167-224.
La ricerca del senso e del valore delrito 375
«L'oggetto della scienzaliturgica, indagato nel suo aspetto di mediazione,
sembra dunqueil rito, che si iscrive nel fondamentale dinamismo sacra-
mentale di Cristo e della Chiesa ma che mantiene una propria configura-
zione antropologico-culturale»*.
Possiamo quindi concludere queste battute iniziali affermando che
i nostri colleghi dell’Istituto padovano di Santa Giustina hanno scommes-
so sul rito, impegnandosi conseguentemente e a fondo nella riflessione
sullo statuto fondamentale della ritualità liturgica.
I/ processo disvalutazione del rito
Abbiamo già fatto cenno ripetutamente alla critica che i nostri
Autori di Padova fanno alla produzione teologica (e specificamente
anche a quella liturgica), la quale avrebbe sottovalutato il rito. Alcuni di
essi rilevano nella riflessione teologica ciò che chiamano un «pregiudizio
anti-ritualistico», che avrebbe caratterizzato per molto tempoil pensiero
cristiano, impedendo una adeguata valutazione di ciò che è strettamente
rituale. Non c'è dubbio che al prolungarsi di questo atteggiamento ha
contribuito la tendenza della teologia di scuola a strutturarsi su un’impo-
stazione speculativa, che ha procedutoil più delle volte per deduzione da
assiomi metafisici e non per la considerazione dell’esperienza credente.
«In verità — afferma A. Grillo — il rapportotrail rito e la teologia è sem-
pre esistito come presupposto dell’azione e del pensiero cristiano, ma in
epoca recente è stato largamente rizzzosso da parte della teologia, fino a
sentire il bisogno di essere reintegrato nel fondamentodella fede».
Per comprendere in che misura ci sia stato un pregiudizio anti-
ritualistico nell'epoca più vicina a noi, credo che siano molto utili le
riflessioni elaborate recentemente al riguardo da Andrea Bozzolo, docen-
te di teologia sacramentaria presso l’Università Pontificia Salesiana, sezio-
ne di Torino. Il nostro Autore si propone di fare un confrontocritico
delle posizioni più significative sul tema nell’ambito della più recente teo-
° R. TAGLIAFERRI, La violazione del mondo. Ricerche di epistemologia liturgica, C.L.V. - Edizioni
Liturgiche, Roma 1996, 168; cf. Ip., “Il progetto di una scienza liturgica”, in ASSOCIAZIONE
PROFESSORI DI LITURGIA (edd.), Celebrare il Mistero Cristiano, I, La celebrazione: Introduzione alla
liturgia cristiana, C.L.V.-Edizioni Liturgiche, Roma 1993, 45-120. In modosimile, Alceste Catella
afferma: «la teologia liturgica è costitutivamente orientata alla indagine dell'evento della rivelazione
sub specie celebrationis, sotto il profilo della ritualità e del simbolo, come modalità della presenza e
della storia del mistero. Essa è dunqueincline a prediligere la immediatezza sacramentale della
mediazione teologica [...]» (A. CATELLA, “Teologia della Liturgia”, in A.J. CHuPUNGCO[ed.],
Liturgia Fondamentale, Piemme, Casale Monferrato 1998, 34).
” A. GRILLO, Introduzione alla teologia liturgica, 13.
376 Matias Augé
logia sacramentaria*. La disattenzione alla dimensione rituale da parte
delia teologia più recente potrebbe essere ricondotta ad alcune prese di
posizione del pensiero teologico o a veri e proprifiloni di pensiero teolo-
gico che si sono manifestati nella seconda metà del Novecento. Cercherò
di riassumere quiin seguito alcune di queste idee.
Nomi noti della teologia sacramentaria della seconda parte del
secolo XX (Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Herbert Vorgrimler,
Louis-Marie Chauvet, ecc.) e, al loro seguito, la maggior parte dellalette-
ratura contemporanea sul sacramenti, parlano della sacramentalità come
di una dimensione trasversale a tutta la realtà cristiana. Con ciò si inten-
de, tra l’altro e giustamente, recuperare elementi e impostazioni proprie
della tradizione patristica. Si sono levate però delle voci le quali hanno
notato che un allargamento smisurato della nozione di sacramentalità
può arrivare a tal punto che questa finisca per diventare una generalità
astratta e vaga. Così la pensa, tra altri, Henri Bourgeois, il quale afferma
che un’estensione della nozione sacramentale oltre l'ambito del settena-
rio, pur avendoi suoi vantaggi, rischia in alcuni casi estremi di ridurre il
concetto di sacramentalità a designare «semplicemente la non-immedia-
tezza di Dio nella fede o ancora la forma simbolica che l’esperienza cri-
stiana assume»?. Lasciando in disparte altre problematiche con queste
teorie connesse, di cui non intendo occuparmi qui, vorrei sottolineare
che ad un allargamento, anche doveroso, della nozione di sacramentalità,
può far seguito in alcuni casi una svalutazione della ritualità specifica dei
sacramenti della Chiesa, la quale finisce per trovarsi talvolta diluita in una
visione indistinta e vagamente incarnatoria della salvezza. Il passaggio
che abbiamo fatto in questo nostro discorso dalla sacramentalità alla
ritualità è logico se ammettiamo chela ritualità è la categoria antropologi-
ca più adatta per far emergere il senso e la verità del sacramento.
La teologia secolarista o della secolarizzazione, che ha tenuto banco
soprattutto negli anni immediatamente posteriori al Vaticano II, ha avuto
un notevole influsso anche nella svalutazione del rito. Alcuni fautori di
questa corrente teologica hanno sottolineato con enfasi l'impatto desacra-
lizzante che il Nuovo Testamento rappresenta nella concezione del culto
e, al tempo stesso, hanno invitato la Chiesa a riconoscere che, nel corso
della sua storia è ricaduta spesso e volentieri in forme sacralizzanti esage-
rate, restaurando molti tabù e favorendo la divisione fra sacro e profano,
* Cf. A. BozzoLo, La teologia sacramentaria dopo Rabner. Il dibattito e i problemi, LAS, Roma
1999, 195-219.
? H. BOURGEVIS, “Positions du sacramentel aujourd'hui”, in Recherches de Science Religieuse 75
(1987) 179.
La ricerca del senso e del valore del rito 377
contraria alla visione neotestamentaria. I teologi secolaristi sottolineano
con forza la realizzazione «esistenziale» del culto cristiano, che non deve
conoscere margini di distinzione tra azione cultuale e impegno
mondano! Nella visione della liturgia che scaturisce da queste prese di
posizione, le forme rituali tendono ad essere ridotte sempre più ad un
valore puramente funzionale. Non c'è dubbio però che questi teologi
hanno favorito un ritorno al carattere specifico del culto neotestamentario
il quale, rispetto all'enorme impalcatura ritualistica del giudaismo, è da
considerarsi un culto intensamente esistenziale: l’esistenza cristiana è chia-
mata a prolungaree attualizzare il culto insito nell'esistenza del Signore.
La maggiorparte dei teologi che si occupanodiliturgia, quandosi
trovano a dover giustificare la ritualità cristiana lo fanno dando ad essa
un doveroso fondamento cristologico: non è possibile un’esistenza cul-
tuale senza una celebrazioneliturgica che attualizzi la presenza del miste-
ro di Cristo, la sua comunionevitale con i fedeli e il dono ineffabile dello
Spirito. In questo discorso però il rito non emerge sempre con la sua
valenza propria, ma è semplicemente presupposto. In molti di questicasi,
si direbbe che permaneancora in qualche modo la problematica sollevata
dall’ondata secolarista. Ci riferiamo ai teologi che, pur mostrando la con-
venienza antropologica e la necessità teologica del rito, sembrano ridurlo
ad una funzione didascalica o pedagogica. A. Bozzolo cita a questo pro-
posito l’opera di L.-M. Chauvet, il quale quandoaffronta la questione del
rapporto tra sacramenti ed etica, conserva una concezione didascalica del
rito, ridotto ad una «grande pedagogia» della carità, che risulterebbe
ancora debitrice del riduzionismo secolarista!'.
Unaltro filone teologico che ha caratterizzato la seconda parte del
Novecento è la teologia della liberazione, sorta e consolidatasi nella deca-
de degli anni ’70!*. Anche qui troviamo una certa tendenzaa svalutare il
rito. Tra le molteplici voci della teologia della liberazione, vorrei citare in
primo luogo quella di Victor Codina, un teologo quanto maiinserito
nella tradizione liberatoria e al tempo stesso buon conoscitore della tradi-
zione sacramentale della Chiesa. Si tratta di uno studioso autorevole e
non catalogabile tra gli sprovveduti e molto meno tra gli esaltati. Nella
breve sintesi sui sacramenti pubblicata nel possente volume Mysterium
liberationis, il Codina mette in rilievo la sacramentalità di tutta la prassi
cristiana: «La sacramentalità della Chiesa non è solo rituale, ma si esten-
!0 Per più dettagli, vedi l’opera di L. MALDONADO, Secolarizzazione della liturgia, Paoline, Roma, 1972.
ll Cf. A. BOZZOLO, Lateologia sacramentaria dopo Rabner, 199.
1: Cf. J.B. LIBANIO, “La teologia della liberazione nell'America Latina. La situazione nelle tre ulti-
me decadi”, in Russegna di Teologia 39 (1998) 645-681.
378 Matias Augé
de a tutta la prassi cristiana»!*. Egli parla inoltre di 4/trgesti sacramentali
«che arricchiscono la sacramentalità liturgica e la portano verso nuove
configurazioni di prassi cristiana»'*. Oltre a questa visione allargata della
sacramentalità, il nostro Autore sottolinea nell’aspetto sacramentale la
gratuità, il senso di festa e la dimensione simbolica!
Se vogliamo riassumere in poche parole la posizione dell’insieme
della letteratura di quest’ultimo filone teologico nei confronti delrito,
possiamo dire chevi si avverte una sottile critica della ritualità ‘ufficiale’ in
favore della esperienza liberatrice della festa. Ciò sembra abbastanzachia-
ro nell'opera di José Marfa Castillo!Il forte ridimensionamento della
qualità rituale del sacramento che alcuni fautori di questa teologia fanno è
basato su una riduzione della libertà alla spontaneità. Essi infatti contrap-
pongonoil rito, inteso come agire plasmato da una norma, e quindi ina
tentico, e l’esperienza intesa come immediata e spontanea, e quindi auten-
tica. Si noti però che ridurre la libertà alla spontaneità, oltre a presupporre
una notevole fragilità teoretica, non sembra che sia compatibile con il
messaggio cristiano. Caratteristica fondamentale della fede cristiana è l’es-
sere fondata su unarivelazione, su qualcosa che ci viene dato.
È nota poila posizione secolarista che tende alla contrapposizione
tra momento liturgico-sacramentale e momento etico-politico dell’espe-
rienza cristiana, giungendo talvolta fino alla dissoluzione del primo nel
secondo. In pratica si ragiona così: la liturgia offre la motivazione, l’impe-
gno attivo rende operativo per via di applicazione ciò chela liturgia moti-
va e illustra. A. Bozzolo ha mostrato la fragilità di questa posizione, alla
cui radice «sembra operare un’ingenuità antropologica, consistente nel
mancato riconoscimento del debito che l’identità soggettiva mantiene nei
confronti della cultura e dei suoiriti»!
Nella giusta volontà di far emergere la specifica dimensioneesisten-
ziale del culto neotestamentario,illustri studiosi fanno talvolta delle affer-
mazioni che sono per lo meno ambigue. Così, ad esempio, il sopra citato
L-M. Chauvet scrive: «la memoria rituale della morte e della risurrezione
di Gesù è cristiana solo se si verifica (verur facere) in una memoria est-
stenziale il cui luogo è il corpo stesso del credente»!8. Con parole simili,
!? V. CobINA, “Sacramenti”, in LI ELLACURIA - J. SOBRINO, Mysterium salutis. I concetti fondamen-
tali della teologia della liberazione, Borla, Roma 1992, 798.
4 Ibidem,7517.
Ibidem, 164.
Lé Cf. J.M. CastiLLO, Sorbolidilibertà. Analisi teologica dei sacramenti, Cittadella, Assisi 1983.
!7 Cf. A. BOZZOLO, La teologia sacramentaria dopo Rabner, 201. Vedi anche: G. BUSANI, “Liturgia
e carità”, in Credere oggi. Dossiers di orientamento e aggiornamento teologico, 17 (1997/2) 81-95; B.
CESCON, “Liturgia ed etica”, in A. CATELLA(ed.), Ayer Vestrum, 147-170.
18 L..-M. CHAUVET, Simbolo e sacramento. Una rilettura sacramentale dell'esistenza cristiana, LDC,
Leumann (Torino) 1990, 181.
La ricerca del senso e del valore delrito 379
Stanislas Lyonnet dice: un esercizio del culto «dissociato dalla vita cristia-
na di ogni giorno[...], non merita il nomedi ‘culto cristiano’»!°. Alla base
di queste affermazioni, che pure io ho condiviso nel mio recente saggio
sulla spiritualità liturgica?(senza sentire il bisogno di fare dei particolari
rilievi critici al riguardo), sembra che ci sia la convinzione seguente:il
senso della celebrazione liturgica consiste unicamente nel modificare il
comportamento del credente partecipante; se la vita non conosce poi un
rinnovamento non hasensoil celebrare. Pur essendo pacifico e sacrosanto
che il credente e celebrante è chiamato a tradurreil rito in vita concreta, si
direbbe che alla radice della suddetta mentalità stia la convinzione che la
celebrazione(il rito) non riposa in se stessa, non ha valore in sé, ma è solo
un momento intermediario per ottenere un fine che sta oltre la celebrazio-
ne stessa e che il solo ad aver una vera consistenza”'.
Infine, non si deve dimenticare che siamo eredi di una visione del-
l’uomo con tendenzedualistiche e figli di una cultura che ha privilegiato
nell'uomo la razionalità. Ci siamo allontanati da quella parte dell'umano
(affettività, poesia, estetica, gioco) che si trova alla base stessa dell’espe-
rienza simbolico-rituale. D'altra parte, il carattere istituzionale e ripetiti-
vo proprio del rito urta con l'emergere della soggettività che caratterizza
il momento culturale attuale. I riti, come gli atti più espressivi dell’esi-
stenza dell’uomo, vanno continuamente e ciclicamente ripetuti, confer-
mati affinché possano essere personalizzati.
Verso una rivalutazione del rito
Bisogna aver presente che abbiamo vissuto per molto tempo una
ritualità segnata dalle patologie del rubricismo, ritualismo, giuridicismo...
Nondi rado ancora oggi, quando uno dice ‘rito’ è comese l’interlocutore
sentisse ‘cerimonia’ o formalità vuota, senza vita. Ciò rende particolar-
mente difficile, e in alcuni ambienti anche ambigua, la giusta e doverosa
opera di rivalutazione della ritualità sia a livello di riflessione teologica sia
a livello di azione pastorale. Il rito (cristiano) non è qualcosa di inconsi-
* S. LYONNET, “La nature du culte dans le Nouveau Testament”, in J.-P. JOSSUA - Y. CONGAR
leddo La Liturgie après Vatican II. Bilans, Etudes, Prospective, Cerf, Paris 1967, 384.
20 C£. M. AUGÉ, Spiritualità liturgica. “Offrite i vostri corpi
pi gone sacrificio vivente, santo e gradito a
Dio”, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, 24. tb pronPie
21 Stefano Rosso, in un recente ed interessante saggiodi liturgia fondamentale, dopo aver distinto
tra «liturgia della vita»(la «liturgia che fa seguito alla liturgia») e culto rituale, afferma che la prima è
il fondamento che dà verità al secondo. Anche qui sembra cheil culto rituale non abbia una consi-
stenza in se stesso (S. Rosso, Ux popolo disacerdoti. Saggio di liturgia fondamentale, LAS, Roma
1999, 69).
380 Matias Augé
stente. Soltanto quando emerge in modo improprio una forza centripeta
che lo imprigiona in se stesso invece di lanciarlo verso l’evento di cui è
mediazione e la vita di cui è portatore, allora certamentela ritualità può
diventare il nemico più agguerrito della liturgia cristiana”.
Appena promulgata la Costituzione Sacrosanctun Concilium,
Romano Guardini affermava che il problema principale che si presentava
in quel dato momentoall’azione pastorale liturgica — agli inizi della rifor-
ma liturgica del Vaticano II — era il problemadell’atto di culto, intenden-
do con ciò la natura rituale della celebrazione e le sue leggi. E lo studioso
aggiungeva che questo doveva essere il compito principale dell’educazio-
ne liturgica”. Nella sua chiaroveggenza il Guardini ha saputo dare valore
all’azione rituale in quanto tale superandoil pregiudizio anti-ritualistico.
È stato notato che l’espressione rituale è messa in estremo risalto
dai nuovi ed eterogenei movimenti religiosi, i quali però peccano per
eccesso in quanto trascurano il contenuto religioso profondo. Il rituale
cristiano invece pecca forse per il difetto opposto?!. Come dicevamo
sopra, ciò si rispecchia nella riflessione dei liturgisti che si è concentrata
soprattutto sui contenutie sulle idee, trascurando inveceil rito in quanto
tale. In ogni caso, credo che stia emergendo sempre con più forza la con-
vinzione dell'importanza, anzi del ruolo primario dell’azione rituale nella
sua globalità (ritus ef preces [SC 48]). Però mancaforse ancora un meto-
do adeguato per inserire questa convinzione in un discorso corretto e
sistematicamente ricco. A questo proposito, non si dovrebbe dimenticare
cheil rito cristiano è un rito ‘dato’ e occorre quindi che mantengala sua
fedeltà al rito ‘fondante e primigenio’ attraverso sia l'obbedienza al fon-
datore sia la riproduzione del rapporto con il credente e celebrante, che
però è l’uomo d’oggi, ben diverso da quello diallora.
Tra coloro che si sono impegnati nella linea di rivalutazione del
rito, voglio ricordare G. Bonaccorso, giovane studioso ed esponente
padovano di spicco. Nel volume Intoduzione allo studio della liturgia,
sopra citato, partendo da unavisione interdisciplinare, la proposta meto-
dologica del Bonaccorso si muove nell’ambito della semiotica e dell’an-
tropologia del rito. Con questo metodo, il nostro Autore intende far sì
22 Cf. N. FANTINI - D. CASTENETTO, “Ritualità: autentica esperienza spirituale?”, in AA.Vv.,
Liturgia e spiritualità. Atti della XX Settimana di studio dell'Associazione Professori di Liturgia,
C.L.V. - Edizioni Liturgiche, Roma 1992, 143-148.
*? Cf. R. GUARDINI, “Lettera su «l'atto di culto e il compito della formazioneliturgica» (1964)”, in
Humanitas 20 (1965) 85 e 88.
24 C£. A.N. TERRIN, “Il rito tra razionale e irrazionale nella nuovareligiosità”, in ID. (ed.), Nuove
ritualità e irrazionale. Come far rivivere il "mistero" liturgico?, Messaggero - Abbazia di Santa
Giustina, Padova 1993, 269.
La ricerca del senso e del valore delrito 381
che la scienza liturgica, e in particolareil rito, acquisti nuova comprensio-
ne. In ogni modo, credo però che la questione teologica in quanto
momento fondante non abbiail rilievo che le compete.
Pochi annifa, il più volte citato G. Bonaccorso ha pubblicato una
nuova opera di carattere manualistico e di taglio in qualche modo divul-
gativo che merita la nostra attenzione. Il titolo del volumetto è Celebrare
la salvezza: Lineamenti diliturgia”. Si tratta di un concreto tentativo di
applicazione del metodo auspicato dall'Istituto di Padova ad un manuale
di liturgia. Il libro è diviso in tre parti secondo il seguente ordine: perché
si celebra, che cosa si celebra, come si celebra. Nell’ordine stesso della
trattazione emerge una novità non trascurabile. In genere, la riflessione
sulla liturgia ha cominciato dal come (con l’analisi della celebrazione), per
poi passare al che cosa (con il senso teologico della celebrazione), per
arrivare in alcuni casi — non sempre — al perché (riflessione filosofico-
antropologica sulla celebrazione rituale). A volte, quest’ultimo passaggio
è stato diluito all’interno dei due primi. Il nostro Autore ha scelto di pro-
porre un trattato di liturgia in modooriginale e coerente con la convin-
zione secondocuila liturgia della Chiesa prima di poter essere pensata o
teorizzata deve essere agita ritualmente.
L’opera del Bonaccorso è altamente stimolante per tutti coloro che
hanno a cuorela scienza liturgica. È un libro che pur usando un linguag-
gio semplice e a portata dei più, riesce a far pensare ed è capacediatric-
chire gli schemi mentali tradizionali di liturgisti di vecchia data come me.
Uno ritorna volentieri più volte sulle stesse pagine e scopre sempre qual-
cosa di interessante. Detto questo, però, nel mio ‘meditare’ emergono
degli interrogativi. Mi sono soffermato in modoparticolare sul capitolo 7
dedicato al tempo liturgico (pp. 187-204), tema di cui mi occupo nella
mia attività docente. In questo capitoletto, dopo aver affermato cheil
tempoliturgico nasce dall’incontro tra l'evento storico della salvezza e il
sacramento che celebra quell’evento, si dice che tale incontro avviene
secondo una dinamica che prevede tre livelli fondamentali: la liturgia
come momento del tempo(la liturgia appartiene al tempolineare storico-
salvifico); la liturgia come modo del tempo (temporipetitivo che crea la
circolarità liturgica); la liturgia come tempo della celebrazione (punto di
incontro tra il tempo circolare del rito e il tempolineare della storia). In
seguito, l'Autore, dopo aver parlato della domenica come centro della
dinamica del tempoliturgico, afferma: «Il ritmo ‘settimanale’ della dome-
nica declina il tempoliturgico: a) sia verso il tempo più ristretto del ritmo
‘infrasettimanale’ che, oggi, coincide con la preghiera quotidiana della
2 Il libro fa parte della collana “Strumenti di Scienze Religiose”, Messaggero, Padova 1996.
Matias Age
si
tu
K
Liturgia delle ore; b) sia verso il tempo più ampio del ritmo ‘supersettima-
nale’ che, oggi, coincide con l'annoliturgico».
À mio avviso, nello sviluppo dello schema — senza dubbio assai
logico + del capitolo analizzato viene coltoil particolare antropologico di
ogni situazione, ma non si riesce a saldare il tutto con la ricchezza del-
l'impianto storico e teologico. L'Autore non intende spiegare in queste
pagine il perché del temporituale, cosa che fa in qualche modoe breve-
mente nella prima parte del libro (cf. pp. 49-51), ma aftronta la comples-
sità del tema ‘tempoliturgico’ all'interno di uno schemaoriginale che pur
avendo una sua logica, è di una semplicità tale che non sembra possa
ottrire la possibilità di uno sviluppo adeguato delle complesse tematiche
del tempo liturgico. Così, ad esempio, nell’esporre «la dinamica del
tempoliturgico»si direbbe che rimanga nell'ombra la dimensionecristo-
logica del tempo. Pur apprezzandole stimolanti pagine del Bonaccorso,
credo che egli non riesca a superare ancora il più volte deplorato abisso
tra il momentoantropologico e quello specificamente teologico.
Alcuni interrogativi
Credoche i nostri colleghi padovani hanno sottolineato giustamen-
te che il rito ha un valore in sé. Condivido in gran parte questa volontà di
rivalutare il rito. Mi sembra però che non si possa dimenticare che il rito
è ‘relazione’, veicola cioè il momentodi salvezza. Per questo motivo ha
un impatto relazionale con l'uomo credente e celebrante. Tale impatto va
capito nella realta del rito primigenio.
D'altra parte, per chiarire concettualmente l’idea di celebrazione è
necessaria unariflessione di carattere antropologico. Il rito appartiene al
numero di quelle forme universali della religione, che la rivelazione stori-
ca di Dio suppone e per riferimento alle quali soltanto essa di fatto
dispiega il proprio senso. Afferma A. Grillo: «La mediazione antropolo-
gica è il passaggio obbligato per ogni plausibile teoria del culto
cristiano». Sembra quindi che i nostri interlocutori dell'Istituto di
Padova si battono per una riconciliazione tra teologia e antropologia,
perché sono convinti che la teologia ha perso il contatto col «culto rituale
come immediatezza di grazia»”'. Si tratta evidentemente di una questione
di metodoe, quindi, non marginale.
“SA. GrInLo, “Alla riscoperta del ruolo “fondamentale” della liturgia. Recenti contributi teologici
Ì 4 ‘
su un tema ‘classico. in Ecclesia Ordizs 16 (1999) 384.
“Ip. Teologia fondamentale è litursta, 262.
La ricerca del senso e del valore del rito 383
Il metodo che viene proposto dovrebbe essere interpretato come
qualcosa di integrativo e non sostitutivo del metodo o dei metodi per così
dire tradizionali. In questo contesto, credo che si possa apprezzare quan-
ro atterma G. Bonaccorso: «Se la celebrazione cristiana è la relazioneinti-
ma tra Dioe gli uomini, le indagini storica, teologica e pastorale dovran-
no essere pensate o ripensate, all'interno di una costante attenzione alle
scienze che studiano l’uomo, polo indispensabile della relazione; in altri
termini, la ricerca antropologica, soprattutto quella tesa a indagare le
azioni religiose, entrerà nella pertinenza della scienza liturgica» Nulla
da dire sul tatto che la ricerca antropologica entri nella pertinenza della
scienza liturgica, purché un tale metodo non riducail fatto liturgito ad
una semplice trasformazione del tatto antropologico 0, peggio ancora,
sottopongala comprensione del datoliturgico alle legyi antropologiche 0
culturali del momento.
Attrontando, in concreto, il metodo da seguire per realizzare l'au-
spicato incontro — riconciliazione tra liturgia c antropologia, mi sembra
giusto che siinsista sul fatto che è necessario evitare quelle cesure tra fon-
dazione e sviluppo che troppo spessoatflisgono le «riverniciature antro-
pologiche» dei concetti liturgici. Bisognerà però aggiungere che si
dovrebbe evitare anche di ridurre il discorso sulla liturgia ad una fonda:
zione antropologica alla quale non si aggiunga in modo armonico un ade-
guato sviluppo dei dati storici e dei concetti teologici. Secondo À.
Catella, «si tratta di superare la separazione tra antropologicoe teologico,
tra trascendentale e categoriale: si tratta di pervenire a scorgere la fonda-
mentale unità tra antropologia e teologia»?”. La proposta mi sembra giu-
sta. Credo però che il passaggio dall’antropologico al teologico-liturgico
dovrebbe essere mediato dal fatto cristologico. Un discorso sulla realtà
cristiana non può dimenticare che l'antropologia è mediata dalla cristolo-
gia. La consistenza antropologica del momentorituale, come tutto ciò
che è in rapporto con l’uomo, trova il suo fondamento nell’umanità di
Gesù e, conseguentemente, negli eventi della sua vita e nei misteri che in
essi si manifestano.
Giustamente atferma A. Grillo che la «forma rituale non puòesse-
re contrapposta al contenuto storico, ma ne sorregge il senso in modo
fondamentale e originario»”. In ogni caso, si ha l'impressione che il
metodo che predilige l’impostazione antropologica tende a svalutare il
valore della storia. Si avverte, in concreto, un silenzio problematico: l’o-
GG. Boxaccorso, Celcbrare da salvezza: 7.
) “n . n . . . “i . . . ue . - »
SA. CattLia. “Teologia della Liturgia”. in ALL CHiUpeno co ted, Liteergio Formdurientalo, 32.
CA. GriLLo. Teolozta fondamentale è liturzia, 263.
384 Matias Augé
smosi tra rito cristiano e fede-teologia-cultura cristiana. Se da una parte
la fede-teologia-cultura cristiana condiziona e plasmail rito cristiano, dal-
l’altra ancheil rito condiziona e plasmala fede-teologia-cultura.
La difficoltà di incontrare il metodo adeguato di cui stiamo parlan-
do è confermata da una recente pubblicazione dell’Istituto di Padova,fir-
mata da Alberto Dal Maso, sull’efficacia dei sacramenti a partire dall’an-
tropologia culturale?!. È stato denunciato dallo stesso A. Grillo che la
ricerca in questione non è del tutto convincente perché ‘ibrida’: il lavoro,
né puramente teologico né puramente antropologico, rischia di cadere in
un eccesso di genericità”*.
Il metodo auspicato dai colleghi padovani intende mettere in primo
pianoil valore e il senso del rito stesso. È un’operazione anzitutto antro-
pologica, che — ripeto — non dovrebbe sopraffare la specifica dimensionee
contenuti teologici della ritualità cristiana. Non sempre è chiaro cosa s’in-
tenda proporre quando, ad esempio, dopo aver affermato: «Il nostro
rituale cristiano è reso povero dal punto di vista espressivo, non è più
capace di metterci nell’onda dell’esperienza forte», si dice più avanti che si
deve creare «un'estetica cristiana’ che sia in grado di affascinare ancora il
popolo che crede»’. Di questa denuncia si possono fare diverse letture.
Se si tratta semplicemente di mettere in evidenza la povertà del vissuto
liturgico e la difficoltà che gli è congenita quando è chiamato a comunica-
re esperienza religiosa, non ho difficoltà alcuna nel sottoscrivere una tale
denuncia. Mi domandoperòse il problemasollevato è di natura antropo-
logica o/e teologica?; nell’eventuale ‘creazione’ di una ‘estetica cristiana’
quale ruolo avrebbe l'antropologia, la storia, la teologia...? Comesi inter-
secanoo si saldano questi diversilivelli della riflessione?
DILLO iv fedsia orans 4? (2002),333-246
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?! Cf. A. Dal Maso, L'efficacia deisacramenti e la “performance” rituale. Ripensare l' “ex opere ope-
rato" a partire dull’antropologia culturale, Messaggero-Abbazia di Santa Giustina, Padova 1999.
?è Vedi la recensione fatta da A. GRILLO, in Ecclesia Orans 16 (1999) 550-552.
3 A_N. TERRIN, “Il rito tra razionale e irrazionale nella nuova religiosità”, 268 e 270.