CONSERVATORIO DI MUSICA “G. B.
PERGOLESI” - FERMO
PERCORSI ABILITANTI 60 CFA
Anno accademico 2023-24
Metodologia dell’Educazione musicale
prof. Luca Bertazzoni
DIARIO DI BORDO
STUDENTE
Andrea Moretti
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Riflessioni sull’esperienza della metodologia della didattica. Riflettendo sul concetto base
“ esperienza - teoria - per poi tornare all’esperienza” è un concetto di base allargato al quale ho,
inconsciamente sempre aderito. Cioè, nei miei molti anni di esperienza nell’insegnamento dello
strumento ho sempre cercato di andare al nocciolo della situazione. E potrei tranquillamente
affermare che mi sono avvicinato molto a ciò di cui stiamo parlando. Partendo dal pensiero
RITMICO. Ho sempre sostenuto che una base ritmica solida, debba essere il punto di partenza.
O meglio una solidità ritmica su cui basare delle fondamenta, debba essere alla base
dell’insegnamento sia strumentale che teorico. Ovviamente e forse stupidamente, senza sapere e
senza sapere come approfondire” sono andato sempre “a braccio”. Comunque questo è il punto.
Ho sempre sostenuto che la musica debba avere un approccio pratico. Per così dire, senza troppe
parole. Suoniamo. E una volta che suoniamo, che sappiamo suonare , magari affrontiamo
discorsi da libro. Ora il concetto è più allargato. Affrontiamo la pratica, interiorizziamo ciò che
ne scaturisce attraverso la naturalità indotta, affrontiamo la teoria , diamo dei nomi
gradualmente e poi torniamo alla pratica, con consapevolezza .
Ovviamente è un concetto che sposo in pieno. Mi piace. Trovo congruo con i miei pensieri.
Illuminante il concetto delle cellule ritmiche. Pensare che debba essere come un vocabolario da
ampliare pian piano, lo trovo congruo. D’altronde lo studio di un qualsiasi genere musicale,
avendone passati tanti, e suonati tanti, posso affermare che è un discorso aderente. D’altronde
suonando generi musicali diversi ho capito che bisogna appropriarsi di un linguaggio che non è
fatto di segni , o di sola tecnica, ma soprattutto di “cellule”, di linguaggio. Il discorso è un pò
più ampio, ma essendo all’inizio di questo percorso cerco di accostare il discorso cellule
ritmiche ad un discorso musicale vissuto. E l’esperienza mi ha insegnato questo. Passare
attraverso “un vocabolario” da ampliare, vissuto attraverso l’esperienza corporea lo trovo
stimolante.

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La pulsazione d’altronde è insita in noi. Ricordo i miei vari insegnanti di origine
Americana, concordi tutti su un principio di base. Non si può suonare uno strumento senza il
movimento. Ecco questo riporta al discorso ritmico. La pulsazione è ciò che ci fa muovere, che
ci fa ballare.
Approfondimenti sul ritmo. Portando il discorso su di un aspetto meramente pratico, credo
di dover mettere bianco su nero. Cioè passare alla pratica. Come viene esplicitato nel libro,
Insegnare con la Musica, fare riferimento alle tre grandi macro aree. Sincronizzarsi con la
musica: la pulsazione. Come si “scopre la pulsazione” . Attraverso la motricità. Che deve essere
sentita con il corpo. Attraverso varie forme. La danza, il camminare , battere le mani, il piede,
ecc..E questa pulsazione viene individuata scoprendo un flusso, che può essere esplicitato o
meno. Non sempre nei brani c’è qualche strumento che tiene la pulsazione. Nelle conte, molto
utili per la semplicità (alcune) generalmente non è esplicitato. Ma, a parte casi, la si riesce
sempre a sentire ed affinare con l’esperienza corporea. Ovviamente la coordinazione motoria
deve essere alla base di questi discorsi.
Sarebbe buona norma, una volta individuata, cercare di rappresentarla graficamente, non
attraverso la notazione musicale, ma anche semplicemente con dei pallini.
Una volta interiorizzato il discorso pulsazione credo sia buona norma introdurre il concetto
di Agonica. Lavorare sull’ agogica una volta che si ha la pulsazione come base, credo sia facile.
Quindi rifare le conte o i giochi ritmici che si erano fatti in precedenza e riutilizzarli per
accelerare o diminuire la velocità.
⁃ Riferimenti periodici: il metro.
All’interno della pulsazione c’è un accento più forte che scandisce un ciclo di un tot di
pulsazioni. Questi sono cicli o meglio raggruppamenti. Sempre dopo aver individuato la

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pulsazione si possono provare a fare giochi dove si tengono le pulsazione con strumentario o
semplicemente con le mani e con altro strumentario o piede, nel caso si utilizzi il corpo. Questo
è l’accento metrico. Ovviamente non sono realmente presenti. Non si suona più forte, ma è più
una percezione. La mente ci porta ad organizzare in strutture (Gestalten).
⁃ Suddivisione.
Nei brani, non sempre, c’è una suddivisione. Qualcosa che sta al di sotto della pulsazione. Il
rapporto tra la pulsazione e la suddivisione se è un rapporto binario darà un metro semplice.
Mentre se la suddivisione si baserà su un rapporto uno a tre creerà un metro composto.
Riflettendo sui metodi storici posso fare diverse riflessioni sempre legate alla mia
esperienza personale durante i miei periodi di studio e nel mio lavoro.
Ho avuto la fortuna di incontrare nel periodo della mia formazione musicale un insegnate di
solfeggio che mi ha approcciato al mondo del canto e del dettato musicale con il metodo di
Roberto Goitre. Il metodo Goitre fonda le sue radici sul metodo Kodaly. Quindi posso parlare in
prima persona dei benefici che il metodo Kodaly può sviluppare nel musicista.
La solmisazione relativa (o do mobile) è un metodo di lettura, nato con Guido D’Arezzo e
utilizzato da Kodály. Il do mobile utilizza le sillabe convenzionali (do, re, mi ecc) per indicare i
suoni in base alla loro posizione nella scala e non in base alla loro altezza assoluta. Quindi si
parla di relativizzare la musica e non di assolutizzarla. Il riconoscimento di una melodia è legato
quindi alla relazione che si crea tra i singoli suoni e alla loro funzione all’interno del discorso
musicale.

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La lettura con il do mobile è molto più semplice di quella assoluta. In pratica, non si
studiano note ed intervalli in tutte le diverse tonalità, complicate da diesis e bemolli che
potrebbero confondere. Posso affermare che una volta capito il concetto, che può essere
inizialmente confuso, specialmente se si ha avuto una formazione “classica” di solfeggio, si
arriva ad avere facilità nel leggere e nell’ascoltare. Almeno questo è quello che è successo a me.
Tutto diventa semplice. Almeno a me è successo di visualizzare una scala. Parlando molto
superficialmente per rendere l’idea, è come se vedessi una scala dove le note vanno su e giù.
Quindi assolutizzare la musica mi ha reso tutto più semplice. Ricordo quando non avendo questi
concetti tutto mi sembrava complesso. Tutto era rivolto alla ricerca di qualcosa che non riuscivo
a capire perché cercavo la strada tra la tonalità, la nota assoluta, e vari aspetti che non riuscivo a
collegare. Per non parlare del dettato musicale o Comunque del cercare la musica ad orecchio. Il
beneficio è innegabile. Saper cantare internamente e saper riconoscere un andamento melodico,
o armonico senza lo strumento è una pratica essenziale. Tutta la musica è più semplice.
Ovviamente queste abilità sono state fondamentali anche sul mio percorso di studi compositori.
Affidarsi a ciò che si ha dentro, a ciò che si riesce a sviluppare internamente, dopo diventa solo
una questione di applicare allo strumento ciò che ci si è cantato dentro.
Il metodo Dalcroze non lo conoscevo se non per “sentito dire”, basato sul movimento del
corpo è un approccio interessante. Poter arrivare a sentire il “fatti” sonori attraverso il corpo è
un approccio che si lega molto al sincronismo ritmico. Il metodo necessita di un pianista abile
nell’esecuzione e nell’improvvisazione per poter far ballare e poter far cogliere i vari aspetti
musicali. Forse il limite di questo approccio. Ovviamente non molto praticato se non sei un
pianista e un improvvisatore. Non so se può avere la stessa efficacia con una chitarra. Da
studente ho avuto una esperienza simile. Ho studiato improvvisazione con un docente che ci
faceva ballare e cantare improvvisando, sopra invenzioni musicali estemporanee. Non so se in

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lui ci fosse una conoscenza del metodo Dalcroze e ne avesse sviluppato alcune parti, ma
sicuramente qualcosa di vicino. D’altronde la musica tutta, deve passare dal sentire corporeo. Ne
sono pienamente convinto. Quindi esperire anche con questo metodo ha molta importanza.
L’Orff è certamente interessante il concetto del far suonare fin da subito. Mi piace molto
l’esperienza che abbiamo fatto in classe di pedagogia musicale. Giovanni Piazza, uno dei primi
docenti che ha introdotto il metodo in Italia, ha sviluppato, basandosi sul metodo Orff, il libro,
“ Suoniamoci Su, sonorizzazioni di gruppo su playback”. Trovo meraviglioso questo modo di
poter fare musica in classe. Certo il limite è sempre lo strumentario. D’altronde le scuole
italiane, tranne rarissimi casi, sono prive di qualsivoglia oggetto per fare musica. Sperando in
una stabilità futura o addirittura adoperandomi da solo in autonomia è sicuramente uno spunto
che adotterò. Oltre a questo, ovviamente il mio approccio compositivo non può far altro che
trovare idee analoghe e cercare di creare qualcosa di simile partendo dal nulla.
Il metodo Willems, quello che meno conosco. L’approccio all’educazione musicale che si
basa sul gioco, il canto, la scoperta e la creatività, in base alle riflessioni pedagogiche che
abbiamo affrontato in questo corso abilitante, lo trova in linea. Ma una applicazione vera e
propria della metodologia, non l’ho mai sperimentata. Probabilmente ne sono inconsapevole,
avendo sempre cercato di sviluppare l’istintività dell’allievo che ho di fronte, ma non so fare
degli esempi veri e propri.
Ovviamente un metodo non può essere esaustivo, e non si può avere la pretesa di poter
avere una guida unica che ci possa portare al risultato finale, cioè quello di avere un musicista
formato a tutto tondo. Ovviamente gli aspetti musicali da sviluppare sono talmente tanti che
trovare tutto rinchiuso in un solo metodo è impossibile. Nella mia esperienza didattica ho notato
che sviluppare, al di là dello strumento, il saper cantare, il sapersi muovere, il saper ascoltare, il

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saper suonare assieme, porta sicuramente dei benefici. L’allievo più sviluppa queste macro
caratteristiche, più ha dei vantaggi generalizzati nell’approccio alla musica e allo strumento.
L’esperienza della didattica dell’ascolto, il dover disegnare ciò che abbiamo ascoltato è una
pratica coinvolgente. La nostra esperienza è stata quella dell’ascolto di due brani di musica
contemporanea, disegnare d’istinto qualcosa su due fogli distinti, analizzare i due disegni in
classe, cercando di capire tutti assieme quale potesse essere associato ad uno o all’altro brano.
Poi cercare di datarli, di assegnargli un autore, analizzarli dal punto di vista formale e musicale
in genere. Fino ad arrivare a poterne fare una lezione di storia della musica.
Ovviamente l’ho trovato talmente interessante che mi sono messo in gioco e ho
sperimentato. D’altronde insegnare è anche mettersi in gioco, sperimentare strade, valutare se
ciò che si è fatto ha portato a dei benefici. Ho voluto sperimentare direttamente a scuola. Ho
pensato a quale potesse essere un modo per spiegare la discriminazione strumenti musicali ai
ragazzi, cercando di utilizzare questo tipo di approccio. Parlo da supplente quindi la mia
esperienza non ha ancora avuto una continuità al di là dell’anno scolastico, quindi mi sono
sempre trovato a continuare un lavoro di altri. Nelle prime classi il programma chiede la
discriminazione degli strumenti e non avendo mai avuto un riscontro positivo con il “classico”
modo di insegnare l’argomento, vedendo costretti i ragazzi a memorizzare per le verifiche i
nomi e le classificazioni, per poi ritrovarsi nelle classi seconde a costatare che il lavoro fatto era
stato completamente vano, ho cercato di pensare ad altri modi e l’esperienza della didattica
dell’ascolto mi ha aperto ad una visione. Ho sperimentato attraverso l’ascolto della sequenza xiv
per violoncello di Luciano Berio. La consegna è stata di chiedere quali strumenti ci sentissero i
ragazzi. Stupefacente l’innumerevole numero di strumenti che ne risultano. Ora non entro nel

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merito del perché, ma con questo modo di fare riesco a tirare fuori conoscenze che in loro ci
sono e che poi posso spiegare più facilmente perché sono passato da un’esperienza. Il riscontro
pratico che ho ottenuto è molto stimolante, vedendo una classe attenta e incuriosita. Le
informazioni non vengono date. Sono le loro informazioni, che già hanno, che arrivano a me. Io
non faccio altro che fargliele vedere.