INTRODUZIONE
ALLA DOTTRINA
SOCIALE DELLA
CHIESA
Prefazione di Jorge Mejia
EDIZIONI •.
CERCATE
EDIZIONI
CERCATE
MICHEL SCHOOYANS
INTRODUZIONE
ALLA DOTTRINA
SOCIALE DELLA
CHIESA
Copyright: juin 1992, Editions de l'Emmanuel,
26 rue de l'abbé Grégoire, 75006 Paris.
LugUo 1995, Edizioni Cercate, Via T. Da Vico 14, - 37123 Verona.
Tutti i diritti riservati.
Traduzione dal francese di Enrico Bellavite
Editing: Maria Luisa Salvi
PREFAZIONE
A Santo Domingo, durante la quarta Conferenza
Générale delEpiscopato latinoamericano, un confra-
tello Vescovo mi parlava del bisogno cosï vivamente
sentito di avère a disposizione una sintesi, quanto
mai brève, délia Dottrina sociale délia Chiesa, corne
oggi la si deve insegnare e trasmettere ai proprifedeli.
E aggiungeva: una sintesi che sia teologicamente ben
salda, non puramente ripetitiva ma ragionata e
aperta, eper dipiù capace di ispirare nuovi svilup-
pi.
Sembrava la quadratura delcerchio.
E ' possibile, infatti, presentare Vinsegnamento
sociale délia Chiesa in meno di cento pagine? È 'vero
che si tratta di una "initiation ". Ma, se il Prof
Schooyans, ben noto per il suo lavoro difilosofo, teo-
logo nonchépolitologo dellVniversità di Louvain-la-
Neuve è riuscito in questa difficile impresa, cib si deve
anzitutto al suo dono e alla sua capacité di sintesi.
Solo chi domina davvero, eper cosi dire dalVinterno,
una disciplina, è in grado dipresentarla in maniera
coerente e compléta in pochepagine. Tantopiù, quan-
do si tratta di una disciplina cosi complessa e cosi
sviluppata soprattutto in questi ultimi anni, corne èil
caso délia Dottrina sociale.
77 libro si divide in tre capitoli, preceduti da una
Introduzione e corredati di una Conclusione.
Laformulazione dei titoli di ognuno dei tre capi-.
toit basterà per se stessa a dare un'idea dell1origina
lité corne dell'interesse dell'opera delProf. Schooyans.
Il primo capitolo s'intitola: "L'enracinement dog
matique de la doctrine sociale de lEglise", edè desti-
nato a farci vedere corne questo insegnamento presup-
pone una teologia délia Creazione, una teologia
dell'Incarnazione e una teologia délia Chiesa. Di
questo capitolo si deve cogliere con particolare cura
quanto viene detto sulla vocazione degli uomini al
"bonheur", anche in questo mondo; quanto vi si dice
sulpeccato e le strutture delpeccato, con la concezione
delpeccato corne "alienazione"; e, infine, la caratte-
rizzazione délia Dottrina sociale corne una "teologia
délia carità".
Il secondo capitolo enumera i "Thèmes centraux
de l'enseignement social de l'Eglise", e vi si trovano
per ognuno dei terni scelti degli spunti suggestivi e
infrequenti in questo tipo di pubblicazioni. Esempio
ne sia il brève ma cosi sostanziale paragrafo sul
lavoro dove questo viene messo in rapporto con il
bisogno per i cristiani di "inventare", ossia di costrui-
re ilfuturo, ingenerando più carità.
Il terzo capitolo ci illustra, dopo un opportuno
"préamble", "Les grandes étapes de l'enseignement
social de l'Eglise", tappe scandite soprattutto, ma
non esclusivamente, dalle grandi encicliche sociali,
dalla Rerum Novarum alla Centesimus annus,
cent'anni dopo. Se i limiti, specialmente déliaprima
tappa, non vengono passait sotto silenzio, mérita,
d'altra parte, doveroso rilievo ilfatto che il ruolo di
Papa S. Pio X nello sviluppo délia Dottrina sociale
délia Chiesa, ma anzitutto nella pratica sociale, sia
stato oggetto di particolare attenzione. Il riferimento
aile "surprises" che ci riserverebbe lo studio di quel
pontificato, a proposito per esempio "de l'engagement
syndical" , sembrerebbe un'allusione, tra l'altro,
all'Enciclica S ingulari Quadam indirizzata ai
Vescovi tedeschi, recentemente analizzata da Mons.
Franco Bifft sullepagine de L'Osservatore Romano
(24 settembre 1992). Da notare anche l'esattezza con
la quale ilprof. Schooyans descrive ilvero senso délia
libertà religiosa e délia sua relazione con la verità,
nei vari documenti di Giovanni Paolo II.
La Conclusione riprende gli sviluppi precedenti,
con particolare insistenza sulla metodologia di elabo-
razione délia dottrina sociale, "nutrita dall'incessan-
te viavai tra le situazioni concrète e gli insegnamenti
evangelici che ci consentono di giudicarli". A cui biso-
gna aggiungere l'originale deftnizione di questa dot
trina corne "une morale de Vengendrement de l'ave-
mr
Ottimaprécisa sintesi delcontenuto del libro.
Il libro del Prof. Schooyans resta comunque un
modello nel suo génère emérita una ben ampia diffu
sions
t JEORGE MEJIA
Segretario délia Congregazione
peri Vescovi
Città del Vaticano
8
PREMESSA
L'insegnamento délia Chiesa in materia sociale è
tutto fuorché una costruzione cérébrale e teorica. In
parte almeno, esso trae origine dall'operare e dal
compromettersi dei cristiani dentro la società. Tra i
principi teorici e l'azione pratica esiste una récipro
cité e un arricchimento costante. Quanto l'azione,
privata dei suoiprincipi dottrinaH, sarebbe empirica,
altrettanto sarebbe del tutto stérile un insegnamento
staccato dalla pratica.
Nelprimo capitolo metteremo in luce quelli che
sono i fondamenti dogmatici di questo insegnamento.
Lofaremo chiarendo innanzitutto che esso sifonda su
una teologia délia Creazione, su una teologia
dell'Incarnazione e su una teologia délia Chiesa.
In un secondo capitolo indicheremo quali sono i
temi centrait e ricorrentt che si trovano costantemente
nell'insegnamento délia Chiesa in materia sociale.
Infine, in un terzo capitolo, mostreremo corne que
sto insegnamento si è sviluppato, dopo la Rerum
novarum (1891) ftno alla Centesimus annus, pubbli-
cata da Giovanni Paolo II il 15 maggio 1991, esat-
tamente un secolo dopo lapubblicazione délia prima
grande enciclica sociale di Leone XIIL
M. S.
1.
I PRINCIPI DOGMATICI
DELL'INSEGNAMENTO
SOCIALE DELLA CHIESA
11
LA TEOLOGIA DELLA CREAZIONE
Si deve considerare innanzitutto che l'inser
gnamento sociale délia Chiesa si inserisce
nella dottrina délia creazione.
L'UOMO, IMMAGINE DI DIO
E' di fondamentale importanza richiamare
qui un tema su cui l'insegnamento sociale
délia Chiesa ritorna incessantemente: l'uomo è
immagine di Dio (cf. Gen. 9,6; 1 Cor 11,7; Gc
3,9). Più esattamente, l'uomo è stato creato da
Dio corne essere intelligente e dotato di libé
ra volontà. Ciô significa, innanzitutto, che
l'uomo è capace di riconoscere nella realtà
materiale il disegno di Dio, il suo progetto sul
mondo. Pertanto, la creazione non è l'ambito
dell'irrazionale; essa non è abitata da forze
magiche.
Tra la nostra intelligenza e le leggi che
governano il mondo esiste, per cosî dire, una
connaturalitâ, una familiarità. Ed è proprio
questa familiarità che rende possibile la cono-
scenza scientifica: Dio non ci inganna, non ci
tende tranelli. Corne dice il libro délia
Genesi, Dio ci ha dato la terra perché la domi-
niamo e la governiamo (cf. Gn 1, 26-30). Per
13
questo ci ha dato anche la capacità di pren-
derne conoscenza e di operare, a tal segno che
siamo in grado di realizzare in essa dei nostri
progetti.
Su questo punto è necessario soffermarsi,
perché è spesso occasione di malintesi. Si
tratta délia stretta connessione tra la libertà e il
determinismo. Si dice spesso che vi è contrad-
dizione tra i due termini. Tuttavia, se non ci
fosse determinismo nella materia, la libertà
dell'uomo non avrebbe nulla con cui scontrar-
si, perché la materia non sarebbe "arrendevo-
le". Non ci si potrebbe appoggiare su una
realtà oggi definita per prevedere quello che
potrà essere domani. Di conseguenza, l'uomo
non potrebbe utilizzare le conoscenze che
egli ha di un segmento délia natura per inscri
re in essa un piano di azione da esso libera-
mente definito.
IL LAVORO, COOPERAZIONE ALLA
CREAZIONE
Fin d'ora ci troviamo quindi di fronte ad un
fatto dei più importanti. Senza averne pro-
nunciato la parola, arriviamo a scoprire che
nel libro délia Genesi è già présente una teolo
gia del lavoro. Certamente, per l'uomo il lavo-
14
ro non è tutto: Dio stesso si è riposato dopo
aver terminato la sua opéra créatrice! (Gen. 2,
1-3). E! previsto quindi un tempo, dopo il
lavoro, per la contemplazione e il "riposo".
Secondo i piani di Dio, essere amministra-
tore délia natura non vuol dire esserne il sem-
plice custode o il testimone di un'opera che
Dio avrebbe fatto al principio délia creazione,
una volta per sempre. Essere amministratore
délia natura vuol dire lavorare, vuol dire
imprimere in essa un'impronta umana; ciô
significa porre l'attività dell'uomo sulla scia
dell'azione créatrice di Dio.
Strettamente parlando, Dio solo è creatore,
ma l'uomo, con il suo lavoro, coopéra alla
creazione divina. Più esattamente, l'uomo con
il suo lavoro è invitato a partecipare al proget
to di Dio sulla creazione che continua.
La creazione non è quindi un awenimento
determinato, che si sarebbe prodotto una
volta per tutte, all'origine del mondo. Essa è
un awenimento continuo. Noi siamo in situa-
zione di creazione permanente, e l'uomo, appun-
to perché razionale e libero, è associato, in
modo strettamente personale, all'attività créa
trice continua di Dio.
E' questo un aspetto particolarmente rile-
vante, perché è alla base di tutta la dottrina
sociale délia Chiesa sul tema del lavoro. In
15
realtà, il lavoro che noi facciamo non riguarda
soltanto noi, a titolo personale o individuale.
Ogni lavoro autenticamente umano è un'offer-
ta agli altri. Operando sulla natura, io vi impri-
mo qualcosa délia mia personalità; in ciô che
io ho fatto, gli altri possono riconoscere la mia
opéra e possono anche trarne benefîcio.
Allô stesso modo, ciô che gli altri fanno
costituisce per me ugualmente una fonte di
gioia, di arricchimento, nella misura in cui,
attraverso il lavoro degli altri, io m'incontro
con loro.
In conclusione, ciô che la Bibbia insegna
sull'uomo corne immagine di- Dio, ha un
immediato riflesso sul concetto di lavoro
umaho.
L'UOMO, RIFLESSO DI UN DIO
TRINITARIO
Tuttavia, quando si richiama la dottrina
délia creazione e si ricorda che l'uomo è
immagine di Dio, questi medesimi testi fon-
damentali délia Genesi devono essere riletti
alla luce del Nuovo Testamento.
Quando noi diciamo che l'uomo è stato
creato a immagine e a somiglianza di Dio,
dobbiamo aggiungere che egli è stato creato a
16
immagine e somiglianza di un Dio trinitario,
vale a dire di un Dio che è cômunità, che è
comunione (cf. Me 1,10; Le 10, 21s). Questo
concetto di comunione, di cômunità, è già
chiaramente affermato fin dal principio del
libro délia Genesi. Quando, in un passaggio
ben noto, la Genesi dice "Uomo e donna li
creô" (cf. Gn 1, 27), ciô signifîca che l'umanità
in se stessa è stata creata corne riflesso di un
Dio-comunione, di un Dio comunitario.
La creazione deU'uomo non è ne terminata
ne conclusa con la creazione di un individuo
chiamato Adamo. Secondo il progetto di Dio,
la creazione deU'uomo non è "perfetta", non è
fînita, se non con la creazione di una coppia.
Nella coppia, la differenziazione dei sessi
appare come il prototipo dell'alterità, vale a
dire délia differenza tra gli esseri umani e
délia unicità di ciascuno di essi. Questa diffe
renza - e lafecondità che ne è il corollario - è la
promessa di ciô che diventerà in seguito il
tessuto sociale dell'umanità.
La Bibbia ci propone pertanto, riguardo
all'altro, un messaggio essenzialmente ottimi-
stico. Fin dal libro délie Origini, l'uomo si
manifesta come un "animale politico", per
riprendere un'espressione usata più tardi da
Aristotele. E mérita di essere evidenziato che
questa condizione di "animale politico" trova
17
fondamento, nella Bibbia, non su considera-
zioni metafisiche, psicologiche o sociologiche,
ma su di un dato teologico.
IL PECCATO E' ALIENAZIONE
Tuttavia, nella dottrina délia creazione,
interviene un altro elemento: il peccato. E
quando si parla di peccato si è rinviati a ciô
che abitualmente si chiama alienazione.
Alienare un bene vuol dire farlo passare a un
altro padrone. Alienarsi significa divenire
estranei a se stessi. Un uomo alienato è un
folle, vale a dire uno che non è più padrone di
se stesso.
Il peccato è alienazione, nel senso che è,
prima di tutto, rifiuto délia dipendenza délia
creatura dal suo Creatore. E' il rifiuto di que
sta dipendenza di fronte all'atto stesso délia
creazione continua di Dio. Il peccato è una
frattura ed una appropriazione da parte del-
Tuomo dei doni di Dio, che sono l'intelligenza e
la volontà libéra.
L'uomo, con il peccato, si avvale délia sua
intelligenza e délia sua libéra volontà per stac-
carsi dalla radice esistenziale che lo unisce
all'Essere divino. Il peccato per eccellenza
per l'uomo consiste quindi nell'assumere se
18
stesso, in primo luogo come misura di se
medesimo, poi come misura degli altri, infine
come misura di Dio.
E' il peccato che viene evocato nei primi
capitoli del libro délia Genesi con diverse locu-
zioni, come: "Voi diventerete come Dio, cono-
scendo il bene e il maie" (Gn 3, 5). Ciô signifî-
ca che se l'uomo ha ricevuto da Dio la libertà,
egli puô usare questo dono contro Dio stesso.
Il dramma del cattivo uso délia libertà umana,
il dramma del peccato, sta nel fatto che io
posso usare délia mia libertà per fare cose
diverse da quelle per cui Dio me l'ha donata.
Dio mi ha dato la libertà perché io possa
amarlo e perché io possa corrispondere al suo
amore. Tuttavia posso fare uso di questa libertà
datami da Dio per separarmi da Dio, per pri-
varmi del mio riferimento a Lui.
Ed il peccato, che fondamentalmente è rot-
tura nei confronti di Dio e rifiuto del mio rap
porto esistenziale con il Creatore, porta con se
anche una frattura nei confronti degli altri
uomini.
ESTRANEO A DIO E AGLI ALTRI
Cosi ancora appare nei primi capitoli délia
Genesi: nel capitolo 3 troviamo Eva, che
19
Adamo ha ricevuto da Dio come dono gratui-
to, "un aiuto che gli sia simile". Ora questo
"altro se stesso" offerto da Dio ad Adamo, ben
presto diventerà una terza persona: "La donna
che tu mi hai dato...".
Eva diventa l'oggetto che si indica con il
dito: "E1 stata lei a darmi il frutto..." (cf. Gn
3,12). Cosî, al capitolo 11: gli uomini di
Babilonia vogliono "darsi un nome", ossia
usurpare la prerogativa di Dio, perché Dio
solo puô dare un nome.
Vogliono "darsi un nome" e per questo
intendono costruirsi una torre, la cui cima toc-
chi il cielo. Ma essi vengono abbagliati dal
loro progetto, al punto che non riescono più a
capirsi per la confusione délie lingue.
Divenuti estranei a Dio, gli uomini diventano
estranei gli uni agii altri.
Si comprende allora lo stretto rapporto che
intercorre tra la relazione deU'uomo con Dio e
la relazione degli uomini tra di loro. Se il rap
porto con Dio è compromesso, deteriorato, si
determinano immediatamente dalle ripêrcus-
sioni négative nel rapporto con gli altri.
Ne consegue che il peccato ha sempre una
doppia dimension?, è sempre offesa a Dio, ma è
sempre anche causa di ferita tra gli uomini,
immagine di Dio. Li ferisce nella persona e
nei loro mutui rapporti.
20
LE STRUTTURE DI PECCATO
Possiamo aggiungere che tutto quello che
oggi si dice in merito aile "strutture di pecca
to" si ritrova, alla radice, in ciô che si è detto a
proposito del peccato. Le strutture di peccato
derivano da una volontà di dominio messa in
atto da alcuni uomini, i quali rifiutano il loro
rapporto con Dio.
Ignorando il loro rapporto esistenziale con
Dio, creatore di tutti gli uomini, alcuni uomi
ni si attribuiscono il privilegio di sfruttare, di
manipolare i loro simili: essi si pongono allô
stesso livello dell'Altro, di tutto l'Altro.
21
LA TEOLOGIA
DELCINCARNAZIONE
Il secondo fondamentale punto da svilup-
pare riguarda XIncarnazione.
Il messaggio centrale, si potrebbe anche
dire l'unico, del Vangelo, è che il Figlio di
Dio, con la sua Incarnazione, "piantando la
sua tenda in mezzo a noi", ha divinizzato la
natura umana. Assumendo la carne nel seno
délia Vergine Maria, egli ha "innalzato" tutta
l'umanità.
E' ciô che san Ireneo esprime mirabil-
mente in una formula sintetica: "Se la natura
umana non avesse avuto bisogno di un salva-
tore, il Verbo di Dio non si sarebbe fatto
carne" {Contre les hérésies, libro V, 14, 1).
CHIAMATI ALLA FELICITA'
Questa verità essenziale è messa in evi-
denza da numerose parabole evangeliche, in
particolare da quelle in cui Gesù manifesta
la sua tenerezza per gli uomini sofferenti.
Gesù si prende cura dei Samaritani, dei
feriti, dei malati, dei prigionieri.
Ciô significa che Egli prende in grande
considerazione la nostra situazione umana.
23
Gli uomini sono chiamati alla félicita da
Gesù, non solo nell'aldilà, ma anche nella
vita terrena. Certamente, Gesù risana i corpi
e perdona i peccati, ma vuole anche che gli
uomini siano felici di vivere.
Tutto ciô ha riflessi diretti anche nei
riguardi dell'insegnamento sociale délia
Chiesa; in esso noi troviamo il principio che
sta alla base dell'impegno dei cristiani nel
tempo e nella società.
CARITA E LIBERAZIONE
Ciô che è ancora più fondamentale nella
teologia dell'Incarnazione è il fatto che il
Figlio di Dio, condividendo la nostra umanità,
ma conservando, come dice San Paolo "la sua
natura divina" (Fil. 2, 6), ha compiuto un atto
che gli uomini peccatori, con le loro sole
forze, mai possono sperare di poter fare.
Questo gesto, compiuto da Cristo, consiste,
come dice San Paolo, nella nostra giustificazio-
ne, ossia Egli si avvicina a noi e ci dice: "Tu
che sei peccatore, io ti rendo giusto". Per
mezzo di Gesù, Dio, condividendo totalmen-
te la nostra natura umana, compie un atto di
totale gratuità. Gesù compie un gesto di giusti-
ficazione, di liberazione e di amore, a benefi-
24
cio di ciascuno di noi, gesto che l'uomo non
puô compiere, a motivo délia sua condizione
di creatura e di peccatore.
Da ultimo, noi siamo invitati a imitare l'at-
teggiamento di Gesù. Quando noi siamo divi-
si dagli altri per il peccato, siamo anche noi
invitati ad accostarci ai fratelli dicendo loro
che, gratuitamente, alla maniera di Gesù, imi-
tando Gesù, e fortificati dalla grazia dataci
dallo spirito di Gesù, riconosciamo la loro ret-
titudine e la loro dignità come pari alla nostra.
Noi vogliamo che tutti siano liberi, di quella
libertà che solo il Cristo è in grado di proporre
a ciascuno di noi.
Tutto ciô Gesù ha sintetizzato nelle parole,
affidate per sempre a San Giovanni, "Amatevi
gli uni gli altri come io vi ho amato" (Gv 13,
34). Questo comandamento sarebbe privo di
senso se non fosse data a ciascuno di noi la
possibilità di realizzarlo, dal momento stesso
in cui Gesù lo ha pronunciato.
Cominciamo cosî ad individuare un altro
aspetto dell'originalità délia dottrina sociale
délia Chiesa, cioè che questa dottrina è una
teologia délia carità. L'insegnamento sociale
délia Chiesa non è solo questo, ma è innanzi
tutto questo. L'insegnamento sociale délia
Chiesa non è quindi principalmente una
riflessione teologica sui sindacati, i partiti
25
politici, le organizzazioni internazionali; è una
teologia che aiuta a chiarire gli aspetti teolo-
gali e spirituali relativi aile situazioni concrè
te. La Chiesa, alla luce del Vangelo, rivolge
un'attenzione particolare alla società degli
uomini; e questo particolare modo di guardare
attiene, evidentemente ed essenzialmente,
alla Rivelazione come taie.
L'EVENTO PASQUALE
Un terzo punto deve essere preso in consi-
derazione con riferimento all'Incarnazione.
Ed è, in realtà, il punto più importante, per
ché si tratta dcWevento pasquale. La
Resurrezione è l'evento soprannaturale che
garantisce che il sacrificio di Cristo è stato
accettato dal Padre. Questo è il centro délia
fede cristiana (1 Cor 15, 14-17). Il gesto di.
Cristo che si offre e si sacrifica per noi non
puô essere stato vano, come dice San Paolo.
L'opéra délia nostra salvezza, che Cristo ha
compiuto con la sua passione e morte sulla
croce, veramente è "riuscita". La prova che
Topera è "riuscita" è che il Figlio, che si è fatto
obbediente fino alla morte e alla morte di
croce, è esaltato nella gloria da suo Padre (Fil
2,6-11).
26
Le conseguenze dell'evento pasquale per
la dottrina sociale délia Chiesa appaiono subi
to chiare. La Resurrezione è il fondamento di
una speranza inaudita per tutta l'umanità, non
solo per ciascun uomo individualmente preso,
ma per Tintera cômunità degli uomini. Il
Cristo si è offerto per tutta l'umanità. Se l'uo
mo corrisponde all'offerta délia salvezza fatta
dal Figlio di Dio all'umanità, dipende solo
dagli uomini di accettare di essere salyati, non
solo ciascuno individualmente, ma insieme,
in quanto cômunità.
E' necessario insistere su questo punto per
ché in génère, quando si parla di insegna
mento sociale délia Chiesa, viene sottolineato
il dovere, per ogni cristiano, di impegnarsi
nelle istituzioni, di lavorare per mighorare le
condizioni di vita, ed è giusto farlo. Tuttavia,
l'insegnamento sociale délia Chiesa ha un
valore che va oltre gli individui e le strutture
istituzionali che li riguardano.
Questo insegnamento ha un rihevo comum-
tario, che bisognerebbe mettere in evidenza
molto più di quanto abitualmente si faccia. Il
richiamo alla salvezza e la proposta di una
nuova alleanza non sono semphcemente nvol-
te a ciascuna persona, ma sono offerte a tutta
la cômunità umana, come collettività. E que
sto un tema di riflessione che mérita di esse-
27
re, se non rinnovato, almeno âpprofondito
nella ricerca teologica di cui si nutre l'insegna
mento sociale délia Chiesa.
28
LA TEOLOGIA DELLA CHIESA
Il terzo grande punto da mettere in luce
riguarda l'ecclesiologia. Un primo aspetto deve
essere qui ricordato: la Chiesa è il prototipo
dell'umanità salvata.
ACCETTARE LE DIFFERENZE
Essa è il luogo dove ciascuno è accolto con
le sue peculiarità. E' il luogo dove gli uomini -
pur disuniti da diversità di cultura, lingua,
generazione - si riconoscono come fratelli e
dove sono accolti nella loro singolarità e nella
loro personalità (At 2, 6-11). Sotto questo
aspetto la Chiesa è in qualche modo l'anticipa-
zione di ciô che l'umanità è chiamata ad essere
(Ap 3,12; 21,1 -22,5).
In tutte le società totalitarie si correggono
le differenze, si uniformano gli uomini, si
riducono a un denominatore comune. Nella
Chiesa si verifica esattamente l'opposto,
anche se ci sono stati e ancora ci sono degli
abusi, ed anche se qualche volta si è pensato
alla universalità in termini di unificazione. La
Chiesa, che è "il Cristo diffuso e comunicato"
(Bossuet), deve accogliere nel suo seno tutti
gli uomini, con le loro singolarità e differenze.
29
Anche per la società umana la Chiesa puô rap-
presentare una luce, una specie di orizzonte,
verso il quale l'umanità puô tendere, se si
âpre alla grazia offerta da Dio. Sotto questo
aspetto, la Chiesa deve esercitare un ruolo
profetico, fin da ora, nei confronti délia società
degli uomini. In un certo senso, essa deve dar
corpo sulla terra al piano di Dio sulla cômunità
umana.
Pertanto, la Chiesa non è soltanto il luogo
dove i credenti s'incontrano tra di loro; essa è
anche l'assemblea di tutti coloro che sono
pronti a dare testimonianza dell'amore che
Dio offre a tutti gli uomini, a tutte le società,
a tutte le culture. Ne consegue non solo che
dobbiamo dare testimonianza cristiana, sul
piano personale e individuale, ma anche che vi
è un dovere di testimonianza cristiana comuni-
taria, ossia una testimonianza che la cômunità
come taie deve portare a tutta la società
umana. .
Ne dériva una conseguenza pratica: 1inse
gnamento sociale délia Chiesa ci dice che è si
necessario, ma non sufficiente per il cristiano
impegnarsi nell'una o nell'altra organizzazione
a favore délia giustizia e délia pace. Oltre a
questo dovere primario, essenzialmente per
sonale, bisogna mettere in rilievo anche il
dovere délia cômunità ecclesiale di rendere
30
palese l'attenzione che essa porta aile realtà
temporali e al benessere degli uomini, fin da
quaggiù (Mt 23, 23).
I SACRAMENTI DELLA COMUNITA
La seconda considerazione che si puô fare
sulla Chiesa riguarda i sacramenti.
L'insegnamento sociale délia Chiesa in realtà
c'invita a rivedere in qualche modo una con-
cezione, ancor troppo diffusa, che riguarda i
sacramenti, in particolare l'Eucarestia e la
Penitenza.
hlEucarestia, per esempio, non riguarda
solo, se cosî si puô dire, la vita personale di
ciascuno di noi; essa non sostiene soltanto le
relazioni immédiate e ristrette che ci unisco-
no agli altri; essa ha un significato per la
cômunità umana tutta intera.
Questa dimensione sociale dell'Eucarestia
meriterebbe di essere maggiormente eviden-
ziata nella stessa liturgia. La Santa Messa,
infatti, è il momento per eccellenza in cui
tutti gli uomini, provenienti da orizzonti spiri-
tuali e culturali molto differenti, rispondono
insieme alla stessa chiamata di Dio.
Nell'Eucarestia ci accostiamo, tutti insie
me, al Signore per rispondere, insieme, alla
31
sua chiamata. In realtà, è Lui che opéra la
nostra unità. E' ancora Lui che ci invia, singo-
larmente e come cômunità di fede, in missio-
ne nella società umana.
Lo stesso si puô dire délia Penitenza, di cui
sottolineiamo un solo aspetto. Quando ci pre-
pariamo a ricevere il Cristo e ci riconosciamo
peccatori, quando invochiamo l'Agnello di
Dio che toglie i peccati del mondo e che dà la
pace (Gv 14, 27), dobbiamo pensare che que
sta pace non ci è data perché noi ne facciamo
- se si puô dire cosï - un uso puramente indi-
viduale. Il perdono e la pace che ci vengono
offerti sono destinati a tutti gli uomini. A noi
è impossibile corrispondere aile richieste del
Signore se non comprendiamo di essere ope-
ratori di pace nella società degli uomini.
UN INSEGNAMENTO SPECIFICO
Si constata pertanto che l'insegnamento
sociale délia Chiesa si basa su deipresupposti di
natura dogmatica e sacramentale, che danno a
questo insegnamento la propria specifîcità cri
stiana. Prima di passare alla seconda parte,
possiamo riassumere quanto abbiamo detto
fin qui:
a) Nella teologia délia Creazione abbiamo
32
evidenziato la centralità del tema deU'uomo,
immagine di Dio. A questo tema deve essere
collegata la teologia biblica del peccato.
b) La teologia delYIncamazione ci ha fatto
comprendere come l'esistenza umana di
Cristo è "gratificante" e "dà valore" all'insieme
délia cômunità umana. La teologia
dell'Incarnazione ci ha fatto ritrovare la teolo
gia del peccato, ma anche scoprire la teologia
délia Resurrezione. La salvezza, portata dal
Cristo resuscitato, si identifica con la
"Redenzione".
c) Infîne, abbiamo messo in evidenza l'im-
portanza délia ecclesiologia. La Chiesa, in que
sto senso, appare come la primizia délia
società umana, come è desiderata da Dio. Per
rispondere al desiderio di Dio e per collabora-
re al suo progetto sull'umanità, dobbiamo
accogliere il dono che Dio fa di se stesso
nell'Eucarestia e nella Penitenza: due modi di
presenza attiva di Dio nella storia dell'uma-
nità. Dio non abbandona l'uomo nella costru-
zione del Regno che gli ha promesso.
33
2.
TEMI CENTRALI
DELL'INSEGNAMENTO
SOCIALE DELLA CHIESA
35
Nella seconda parte di questa esposizione
affronteremo insieme i terni che si ritrovano
in tutti i grandi documenti délia Chiesa in
materia sociale.
IL BENE COMUNE
Quando la Chiesa richiama la nécessita di
preoccuparsi del bene comune essa vuol
significare che la società deve essere organiz-
zata in modo taie da permettere ad ogni uomo
di realizzarsi al meglio délie sue possibilità.
L'uomo non puô né cercare né realizzare il
proprio benessere all'infuori di un ambiente
che sia, esso stesso, umano. Non possiamo
sognare di realizzare questo benessere alla
maniera di Robinson Crosuè, solo sulla sua
isola. Noi diamo alla società alcune cose e
questa a noi ne offre altre. La realizzazione
personale di ciascuno dipende infatti dalFim-
pegno di tutti nella ricerca del bene comune.
E1 per questo che dovere primario di tutti i
responsabili sociali, politici o sindacali è quel-
lo di preoccuparsi innanzitutto del bene
comune. Badare al bene comune per esempio
è fare esattamente l'inverso di quello che
fanno i politici corrotti, che badano al loro
proprio interesse particolare.
37
Curare il bene comune, per coloro che
hanno responsabilité pubbliche, che esercita-
no un potere, comporta Tesercizio di una giu-
stizia, che tenga conto délie diversità délie
persone e délie situazioni: una giustizia distri-
butiva.
Il bene comune, ad esempio, esige che gli
handicappati beneficino di una legislazione
che tenga conto del loro handicap. Né ci si
deve scandalizzare ma al contrario rallegrarsi
se i più dotati beneficiano anch'essi di parti-
colari condizioni, che consentano a loro di rea-
lizzarsi al meglio délie loro possibilità: la
comunità ne trarrà vantaggio. Il bene comune
deve quindi tener conto di un insieme assai
complesso di requisiti, i quali, tutti assieme,
qualifîcano moralmente la vita nella società.
38
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA'
Nella parola sussidiarietà è implicito il
significato di sussidio: in latino subsidium signi-
fica aiuto. Secondo il principio di sussidiarietà
è compito del potere pubblico aiutare gli indi-
vidui e i corpi intermedi ad assumere a proprio
carico quelle iniziative che sono perfettamen-
te in grado di prendere da soli. Si tratta quindi
per i pubblici poteri di non sostituirsi inoppor-
tunamente ai singoli o ai gruppi. La tentazio-
ne délie autorità costituite è spesso quella di
voler esercitare il potere in modo paternalisti-
co, se non addirittura di lasciarsi prendere
dalVabuso del potere. E' come se le autorità
dicessero agli individui, ai gruppi intermedi o
aile famiglie: "Voi non siete capaci di risolvere
quel problema da soli. Non vi preoccupate!
Lo risolviamo bene noi al vostro posto".
La Chiesa, ben a ragione, ha sempre insisti-
to e più che mai insiste ancora sul principio di
sussidiarietà, il cui campo di applicazione si
estende sempre più. La Chiesa sostiene che si
deve permettere a tutti gli uomini di realizzar-
si nella azione e che i poteri pubblici devono
aiutarli in questo compito. Non si puô volere il
bene di qualcuno suo malgrado; non si puô
imporre dall'alto una certa visione del bene,
che non corrisponde necessariamente al bene
39
reale délie persone o dei gruppi.
Il fondamento del principio di sussidiarietà
deve essere attentamente messo in luce. Sta
nel fatto che tutti gli uomini sono différend,
sono délie persone. Ogni uomo è una ricchez-
za insostituibile; ogni uomo è portatore di ori-
ginalità ed ha qualcosa da dare agli altri uomi
ni e alla comunità umana. Lungi dal soffocare
questa capacità di un apporto originale, è com
pito délie autorità di stimolarla, di invitare gli
uomini ad offrire alla società quel particolare
contributo che la società è in diritto di atten-
dersi da ciascuno di essi.
Il principio di sussidiarietà è tanto impor
tante che puô essere considerato come ïlpunto
nevralgico di tutto rinsegnamento délia Chiesa in
tema di democrazia. L'intero insegnamento
délia Chiesa su questo tema non fa che mettere
in chiaro questo principio. Quando si parla, ad
esempio, di partecipazione alla vita economica
o alla vita politica, non si fa che attuare questo
fondamentale principio: Tuomo, non solo ha
qualcosa da dare agli altri, ma ha anche il dirit
to di ricevere dagli altri qualcosa délia loro ric-
chezza. Noi non ci realizziamo affatto da soli;
ciascuno deve poter essere veramente se stes
so, sia per il più pieno personale vantaggio sia
a beneficio dell'intera comunità umana.
Giovanni Paolo II frequenteinente fa
40
appello al principio di sussidiarietà quando
parla di sviluppo. Bisogna permettere - egli
afferma - ai paesi del Terzo mondo di uscire
da se stessi dalla situazione in cui si trovano;
bisogna aiutarli a risolvere loro stessi i loro
problemi, senza imporre délie soluzioni dall'e-
sterno e, soprattutto, dai paesi ricchi. Bisogna
metterli nella condizione di uscire da questa
situazione e non sostituirsi ad essi in un com
pito da cui non possono essere estromessi.
41
LA DESTINAZIONE UNIVERSALE
DEI BENI
La legislazione romana regolamentava il
diritto di proprietà, ma conteneva una norma
che, in qualche modo, era Manti-cristianan
prima del tempo; essa conosceva lo jus uti et
abutendi, ossia il diritto di usare e di abusare
délia proprietà. Il proprietario di un bene
poteva, non solo usarlo, ma anche abusarne a
suo piacimento. Nulla è più anti-cristiano di
questo principio. Nell'insegnamento sociale
cristiano ciô che è prevalente è la destinazione
universale dei béni. Già lo sappiamo: il creato-
re ha messo l'insieme dei béni del mondo a
disposizione di tutta l'umanità, e noi siamo
semplicemente i gerenti o amministratori délia
Creazione.
Il diritto alla proprietà privata non si giusti-
fica che in una prospettiva sociale. Se io ho il
diritto di possedere una vettura, una casa, una
televisione, ecc. ciô non signifîca che l'uso che
io faccio di questi béni che ho in proprietà
non debba essere fînalizzato all'insieme délia
comunità umana. Pertanto, dei béni che io
possiedo a titolo privato devo fare un uso
sociale. Questi béni sono, per cosî dire, dei
mezzi che mi mettono in grado di manifestare
l'amore per il mio prossimo. L'appropriazione
43
egoistica e avara dei béni è quindi in totale
contrasto con la dottrina délia Chiesa, relativa
alla destinazione universale dei béni.
A partire dai XVI secolo, questa dottrina è
stata spesso oggetto di elaborazione per opéra
dei filosofi politici d'ispirazione cristiana;
qualche volta è stata anche alterata, in partico-
lari situazioni di intervenu di colonizzazione.
E1 accaduto quando ci si è richiamati abusiva-
mente al tema délia destinazione universale
dei béni per "giustifïcare" il saccheggio degli
indiani. Ciô che si diceva allora puô essere
cosï riassunto: "Gli Indiani da soli non utilizza-
no tutte le ricchezze; andiamo allora noi a
sfruttarle al loro posto".
Questo principio è tuttora molto attuale ed
è necessario interpretarlo correttamente, in
quanto esso sottolinea che. la dottrina délia
Chiesa sulla proprietà privata è nettamente
contraria all'idea délia inviolabilité di questa
proprietà: i béni posseduti a titolo privato
sono sempre finalizzati aU'insieme délia
comunità umana.
Si tratta di un principio costantemente
richiamato, come altri d'altronde, nei docu
ment di Giovanni Paolo IL II Papa vi ricorre
in particolare quando tratta il problema speci-
fico dcWambiente naturale. Le argomentazioni
che il Santo Padre sviluppa in merito al
44
"5 ^
rispetto délia natura ruotano attorno al tema
délia destinazione universale dei béni: non
possiamo gestire il mondo in cui ci troviamo a
vivere senza tener conto délie generazioni
future; di questo mondo noi siamo semplice
mente degli albergatori, degli amminastratori
e ne dovremo render conto aile generazioni
future.
Allô stesso modo, come i genitori non pos-
sono gestire i loro affari in funzione dei loro
soli interessi, cosî noi dobbiamo gestire oggi
la natura tenendo conto délie responsabilità
che noi abbiamo, non solo nei confronti dei
nostri contemporanei, ma anche délie genera
zioni future.
45
IL LAVORO
Il concetto che qui si vuole evidenziare è.
che l'uomo interviene in maniera creativa nella
natura, nella storia e nella società. Gli uomini
non sono una presenza passiva, capaci quasi
solo di limitarsi a constatare lo stato délia natu
ra o délia società. Sulla natura o sulla società
noi abbiamo fo possibilité d'intervenire; possiamo
umanizzarle; l'uomo è "essere lavoratore". Noi
siamo capaci di contestare la natura, di rinne-
garla nella sua attuale situazione, di fare dei
progetti, di migliorarla, di trasformarla, di supe-
rarla.
All'idea di lavoro appare qui correlata l'idea
di finalité. L'opéra dell'uomo è diretta e orien-
tata verso un determinato obiettivo. Per esem-
pio, se desideriamo che si formi una società più
giusta, sappiamo bene che dobbiamo sollecita-
mente assumere délie specifiche misure di
natura educativa, fiscale, politica. Se non si
fanno interventi di questa natura, il fine che ci
proponiamo, vale a dire una società più giusta,
non potrà essere perseguito.
D'altra parte sappiamo bene che le cose non
nascono spontaneamente e che la storia non è
determinata. A questo proposito bisogna rileva-
re che il cristiano si préoccupa dell'avvenire
molto meno di coloro che si appellano a certe
47
idéologie. L'avveriire per i cristiani deve essere
inventato, ideato in rapporto a precisi valori di
carità, di giustizia, di pace. L'azione sociale del
cristiano viene cosï animata dai desiderio d'in-
staurare maggiore giustizia e carità nella società
degli uomini. L'obiettivo principale del lavoro
non è soltanto quello di governare la terra\ ma
anche quello difar crescere la carità nella società
umana. Si tratta di far si che e il mondo abitato
e soprattutto la società umana diventino mag-
giormente degni délia salvezza, che ci è data in
Gesù Cristo. Come gli altri temi, anche quello
del lavoro - come abbiamo già ricordato a pro-
posito délia creazione - è estremamente ricco
per tutte le sue possibili applicazioni.
48
CENTRALITA DELLA PERSONA
UMANA
E' un tema présente fin dall'enciclica
Rerum novarum di Leone XIII, nei 1891, ma
che è stato messo in particolare rilievo da
Giovanni Paolo II nei suo insegnamento
sociale.
E ciô non ci deve stupire perché Karol
Wojtyla, ancor prima di salire alla Cattedra di
Pietro, si è impegnato nell'elaborazione di
un'antropologia ben strutturata. I particolari
aspetti di questa antropologia sono stati chia-
riti nei diversi settori délia catechesi pontifi-
cia, in particolare nella catechesi sociale. E'
alla luce di questa antropologia che il Papa
valuta le situazioni concrète, siano esse socia-
li, politiche, economiche, ecc.
L'essenza di questa antropologia è l'uomo,
colui che, essendo immagine del Dio trinita-
rio, è chiamato alla salvezza. Fin dai présente
l'uomo è chiamato ad una nuova alleanza con
Dio. E' un'alleanza che l'uomo non puô vivere
da solo; egli è chiamato a viverla con la comu
nità. Ancora una volta appare qui il riferimen-
to alla Chiesa: è in essa che si trova realizzata
in modo "esemplare" l'alleanza tra Dio e l'u-
manità.
Si ha qui la conferma che la persona non si
49
realizza mai da sola, ma che ha sempre biso
gno degli altri. Essa ha bisogno di una comu
nità per poter essere se stessa. Ciô è yero, non
solo neU'ordine naturale, ma anche in quello
soprannaturale.
50
w
L'OPZIONE PREFERENZIALE PER
I POVERI
E' forse necessario ricordare che questo
tema trova ogni suo iniziale chiarimento negli
atteggiamenti di Cristo, come ci sono stati
riportati dai Vangeli? Questo tema è stato
accolto esplicitamente da Giovanni Paolo II
nell'insegnamento sociale délia Chiesa. Non
si tratta di una opzione discriminante, ma prefe-
renziale: in forza délie esigenze délia giustizia
distributiva i poveri hanno diritto ad una par
ticolare attenzione.
Questo tema manifesta tutta la sua impor-
tanza nell'insegnamento délia Chiesa sullo
sviluppo. L'opzione preferenziale per i poveri
consiste nei risvegliare in loro il richiamo alla
coscienza unanime délia loro dignità umana,
con l'accesso alla possibilità di lavoro, la giusta
partecipazione ai béni materiali e immateriali
délia terra, la possibilità di portare il loro per-
sonale contributo al bene comune.
51
LA SOLIDARIETA'
Questo tema è stato ampiamente sviluppa-
to nella enciclica Sollicitudo rei socialis, pubbli-
cata da Giovanni Paolo II nei 1987. In una
certa misura esso riassume tutti gli altri.
Secondo il disegno di Dio la società umana
forma una grande famiglia. Noi, nell'Europa
occidentale, non possiamo essere veramente
felici se degli asiatici, dei latino-americani,
degli africani sono nella sofferenza.
Dobbiamo sentirci responsabili degli altri,
prendercene cura. E' assolutamente impossi
ble risolvere i problemi Nord-Sud, se tutti gli
uomini non si sentono mutualmente solidali,
qualunque sia la particolare comunità cui
appartengono.
Trattando il tema délia solidarietà Giovanni
Paolo II ne respinge una concezione molto
"laica". Si puô dire che l'insegnamento sociale
di Giovanni Paolo II è una teologia délia soli
darietà, ma questa teologia délia solidarietà in
realtà riprende, in una prospettiva sociale, la
teologia délia carità.
52
3.
LE GRANDI TAPPE
STORICHE
DELL'INSEGNAMENTO
SOCIALE DELLA CHIESA
53
r.
In questo capitolo ricorderemo molto sinte-
ticamente i principali documenti délia Chiesa
in materia sociale.
UNA QUESTIONE PRELIMINARE
Prima d'iniziare questa rapida lettura, dob-
biamo interrogarci su di una questione preli-
minare: Perché la Chiesa ha atteso il 1891 per
pubblicare una prima enciclica sociale?
Evidentemente questa domanda è un po'
"maliziosa" perché per noi il primo documen-
to in materia sociale è il Vangelo e tutto ciô
che ha costituito la vita e l'insegnamento délia
Chiesa. Essa non ha cessato, nei corso délia
sua storia, di manifestare il suo interessamen-
to per i più poveri, i malati, gli emarginati, gli
ignoranti, ecc. Tuttavia, nei contesto del XIX
secolo, bisogna riconoscere che i cristiani non
sempre hanno dato prova di molta chiaroveg-
genza in materia sociale. Anche l'enciclica
Rerum novarum ha degli aspetti che oggi pos-
sono sorprendere.
Ciô detto, devono essere fatti alcuni rilievi.
Il primo è che l'enciclica Rerum novarum è
stata in larga misura il frutto dell'azione di cri
stiani impegnati nelle questioni sociali del
XIX secolo. Tra le fonti di questo "manifesto"
55
cristiano si trovano innumerevoli esperienze o
realizzazioni, di cui fu teatro la Germania, la
Svizzera, la Francia (in particolare nella regio-
ne di Reims), il Belgio (in particolare nella
regione di Liegi), l'Inghilterra. Prima che
venisse definita una dottrina sociale cristiana,
dei credenti si erano impegnati in imprese
sociali, politiche, economiche. Questo non si
puô dimenticare, senza compiere una grave
ingiustizia, oltre ad un pesante errore storico.
Una seconda cosa che si tende a dimentica
re è che i movimenti d'ispirazione chiaramen-
te marxista incominciarono appena ad orga-
nizzarsi e ad assumere consistenza verso la
fine del XIX secolo. Il Manifesto comunista di
Carlo Marx porta, è vero, la data del 1848, ma
i movimenti politici e sindacali di massa d'i
spirazione marxista si sono veramente orga-
nizzati solo una trentina di anni dopo. Dire
che il Manifesto è stato pubblicato nei 1848 e
che la Rerum novarum lo fu nei 1891, è formal-
mente esatto in senso cronologico. Tuttavia,
non si deve trarre la conclusione che, durante
questo tempo, i socialisti ed i marxisti abbia-
no fatto délie cose straordinarie in materia
sindacale o politica, né, per di più, sostenere
che durante questo stesso periodo i cristiani
non abbiano fatto nulla. I movimenti socialisti
hanno cominciato a svilupparsi a partire dai
56
1880-85, e tra i movimenti socialisti i più
influenti a quell'epoca erano quelli socialisti,
non marxisti. E' necessario quindi guardare
bene alla situazione storica per attribuire il
giusto riconoscimento all'intervento délia
Chiesa.
Bisogna aggiungere una terza osservazione
preliminare, che è anche la più importante. Si
deve ricordare infatti che la Dichiarazione dei
diritti deWuomo e del cittadino del 1789 è avve-
nuta in un clima anticléricale e anticristiano.
Inoltre, questa Dichiarazione verte essenzial-
mente sui diritti dei borghesi e non sui diritti
di tutti gli uomini indistintamente. Gli storici
l'hanno ben chiarito: la rivoluzione francese è
stata una rivoluzione délia borghesia, a tal
punto che da essa è uscito lo stesso principio
del suffragio basato sui censo e l'abolizione
délie corporazioni.
Le osservazioni che precedono non chiari-
scono tutto, ne possono giustificare certi
silenzi, perfino certe complicità. Tuttavia, il
minimo che si puô fare, è tener conto di alcu-
ne circostanze attenuanti.
57
DA LEONE XIIIA BENEDETTO XV
RERUM NOVARUM
E veniamo al primo documento. Come si è
già detto si tratta délia Rerum novarum de]
1891. Si dimentica spesso di ricordare che
questa enciclica è solo uno dei molti docu-
menti pubblicati da Leone XIII sui problemi
politici e sociali. Prima délia Rerum novarum
infatti il Papa aveva pubblicato ben cinque
encicliche importanti su problemi politici.
sociali ed economici, compreso lo schiavismo.
Dopo il 1891 il Papa sarebbe ritornato ancora
su altri analoghi problemi, insistendo partico-
larmente sulla moralizzazione délia vita pub-
blica.
La rigorosa condanna del socialismo nella
Rerum novarum puô dare l'impressione di
essere unilatérale. Ci si attende infatti che
unitamente a questa condanna, venga enun-
ciata una energica presa di distanza dai libera
lismo. Ora, nell'enciclica, si parla certamente
del liberalismo ma, nei confronti del sociali
smo, il liberalismo dà l'impressione di essere
stranamente risparmiato. Purtuttavia è facile
trovare la spiegazione di questo apparente
squilibrio: il liberalismo era stato oggetto di
58
1
ripetute valutazioni morali, anche severe, nei
documenti pontifici precedenti.
Tenuto conto di queste precisazioni, l'inse
gnamento di Leone XIII in materia sociale è
sorprendentemente équilibrato. E' da rilevare
che nulla sembrava predisporre questo Papa,
proveniente dalla nobiltà italiana, ad essere
sensibile ai problemi sociali e, in particolare,
alla miseria immeritata degli opérai.
Umanamente parlando, Leone XIII non
aveva alcun motivo per avère un particolare
interesse verso il mondo operaio. Il vivo inte
resse per le questioni operaie che questo Papa
ha manifestato lungo tutto il suo pontifîcato,
segna quindi una svolta senza precedenti
nella storia del papato. E' quello che si vuole
significare quando si afferma che la Rerum
novarum mérita di essere considerata come un
faro.
Il pontifîcato di Pio X va dai 1903 al 1914.
San Pio X affronta i problemi sociali in occa-
sione di alcuni avvenimenti che segnano il
suo pontifîcato. Preoccupato soprattutto dalla
crisi del modernismo, egli non pubblica gran
di encicliche sociali. Ciononostante, a torto si
ritiene generalmente che il suo insegnamento
in questo settore presenti un minore interes
se. Il pensiero sociale di Pio X meriterebbe
certamente di essere maggiormente studiato,
59
e questo studio riserverebbe senza dubbio
qualche felice sorpresa, per esempio, a propo-
sito dell'impegno nei sindacati.
Benedetto XV governa dai 1914 al 1922.
Egli interviene più volte, durante la guerra
1914-18, per scongiurare i belligeranti a cessa-
re le ostilità. A parère dei migliori spécialisa,
Benedetto XV appare fin da allora come uno
dei grandi papi del XX secolo. Mentre ancora
durano le ostilità, egli dà prova di una larghez-
za di vedute straordinaria, taie da fare di lui
uno dei fondatori délia nuova morale interna-
zionale. Nei 1920 egli pubblica l'enciclica
Pacem Dei munus, ossia: la pace è un dono di
Dio. Benedetto XV con essa mette in eviden-
za la nécessita, per la società umana, di orga-
nizzarsi al fine di evitare e di prevenire le
guerre, come quella che era appena termina-
ta.
60
PIO XI E PIO XII
Pio XI viene eletto nei 1922. Il suo pontifî
cato è costellato da numerosi documenti, che
evidenziano la sua attenzione verso i grandi
problemi del suo tempo.
LE NUOVE SFIDE
Nei 1931, quarant'anni dopo la Rerum nova
rum, Pio XI pubblica l'enciclica Quadragesimo
anno.
In questa lettera, la riflessione morale tiene
conto dei mutamenti che si sono verificati nelle
imprese dopo la fine del XIX secolo. Le impre-
se, all'epoca di Leone XIII, erano ancora relati-
vamente piccole; erano ciô che oggi si chiame-
rebbero "piccole e medie imprese". Negli anni
f30 esse sono diventate non solo più grandi, ma
anche più eterogenee.
Questa evoluzione richiedeva una nuova
impostazione délia morale sociale. E' perciô che
Pio XI, nella Quadragesimo anno, raccomanda
l'organizzazione di associazioni operaie più effi-
caci, ossia, concretamente, dei sindacati. Egli
incoraggia i cristiani a entrare in politica perché,
egli dice, non si possono risolvere i problemi
sociali unicamente con un'azione associativa a
61
livello d'impresa.
Tuttavia, la notorietà di Pio XI è legata anche
al fatto che egli ha sollecitato la nascita
dell'Azione cattolica e ha dato impulso decisivo
a una grande varietà di movimenti.
Questi movimenti diventeranno lin vivaio di
laici, impegnati nei più diversi settori dell'azio-
ne sociale. Pio XI, attento ai problemi politici
del suo tempo, offre anche un insegnamento,
per cosî dire specializzato, sui tre grandi temi
dell'epoca, che sono altrettante sfide: il fasci-
smo, il nazismo, il comunismo. Da qui tre enci
cliche:
La prima si chiama Non abbiamo bisogno
(1931). E' scritta in italiano perché è indirizzata
agli italiani; tratta del fascismo. La seconda Mit
brennender Sorge, scritta in tedesco, perché
diretta ai tedeschi; tratta del nazismo. Il terzo
documento, Divini redemptoris, verte sui comu
nismo ateo. I due ultimi documenti portano la
data del 1937 e sono stati pubblicati a otto gior-
ni l'uno dall'altro.
A quell'epoca, quando molti cristiani non
avevano ancora intuito con chiarezza la situa
zione, il Papa denuncia i pericoli che nascon-
dono quei différend regimi e le idéologie che
li ispirano. Bisogna ricordare, tuttavia, che la
condanna del socialismo marxista era già stata
espressa nella Rerum novarum.
62
TRE RADIO-MESSAGGI
Pio XII viene eletto Papa nei 1939. Il suo
insegnamento è estremamente ricco e spazia
nei più diversi settori. Nei campo sociale è da
segnalare il radio-messaggio del Natale 1941,
che tratta délia ricostruzione délia società
internazionale dopo la guerra. Questo docu
mente si occupa, in particolare, délie condizio-
ni di lavoro nella società e del modo per preve-
nire sciagure, come quella che era allora in
corso. Un'altra pietra viene posta nella costru-
zione délia società umana con il radio-messag
gio del Natale 1942, che delinea una vera
dichiarazione dei diritti umani. Il terzo docu
mente che vogliamo citare è il radio-messaggio
del Natale 1944, che sviluppa il tema délia
democrazia. Anche in questo caso si tratta di
preparare il dopo-guerra. Il génère letterario
del radio-messaggio oggi puô sorprendere.
Tuttavia, bisogna pensare che durante la guer
ra era praticamente impossibile far circolare
délie lettere encicliche, per le difficoltà postali
e per la censura. Pur non avendo l'ampiezza
délie encicliche, i radio-messaggi di Pio XII
sono dei documenti dottrinali che godono tut-
tora di una grande autorevolezza.
63
L'EPOCA DEL CONCILIO
VATICANO
Nei 1958 ha inizio il pontificato di
Giovanni XXIII. Egli pubblica due celebri
encicliche.
LA PACE E LA GIUSTIZIA
La prima, Mater et Magistra (1961), afferma
che la Chiesa ha da svolgere un ruolo di
madré e di maestra nei processo per la costru-
zione délia società umana: la Chiesa non usur
pa le prérogative del potere civile quando si
préoccupa del benessere degli uomini.
L'enciclica seguente ha come titolo Pacem
in terris. E' del 1963 ed ha per obiettivo la
pace sulla terra. E1 la prima volta che un
documente pontificio viene esclusivamente
dedicato a questo tema. La pace è in pericolo
- dice il Papa - a causa dei contrasti intollera-
bili tra la povertà délie popolazioni del Terzo
mondo e la ricchezza, talvolta insolente, dei
paesi ricchi. Se vogliamo che una società
umana cresca in un clima di pace, bisogna che
vi sia più giustizia tra gli uomini.
64
GAUDIUM ET SPES
Prima di parlare dell'insegnamento di
Paolo VI, è opportuno ricordare il più célèbre
documente, e uno dei più importanti, del
Concilio Vaticano II. Ci riferiamo alla costitu-
zione pastorale Gaudium etspes (1965). Questa
costituzione è nota per diversi motivi.
Lo è, in particolare, per il paragrafo 36, che
verte sull'autonomia délie realtà terrene: "Se
per autonomia délie realtà terrene si vuol dire
che le cose create e le stesse società hanno
leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente
deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta
di un'esigenza di autonomia legittima: non
solamente essa è rivendicata dagli uomini del
nostro tempo, ma è anche conforme al volere
del Creatore". Vi è quindi una giusta autono
mia délie realtà terrestri e questa autonomia
deve essere rispettata.
Tuttavia la Gaudium et spes aggiunge: "Se
invece con l'espressione autonomia délie
realtà temporali s'intende dire che le cose
create non dipendono da Dio e che l'uomo
puô adoperarle senza riferirle al Creatore,
allora a nessuno che creda in Dio sfugge
quanto false siano tali opinioni. La creatura
infatti senza il Creatore svanisce. Del reste
tutti coloro che credono, a qualunque religio-
65
ne appartengano, hanno sempre inteso la
voce e la manifestazione di Dio nei linguag-
gio délie créature. Anzi, l'oblio di Dio rende
opaca la creatura stessa".
Questo documente ha avuto un destino
molto particolare, per il fatto che non insiste
affatto suU'importanza deU'insegnamento
sociale délia Chiesa. Infatti, in générale, il
Concilio Vaticano II ha sorpreso molti osser-
vatori per la relativa cautela con cui ha tratta-
to il tema délia dottrina sociale délia Chiesa.
Dette questo, la Gaudium et spes non ha cessa
to di rivelare la sua ricchezza dopo il 1965.
Tutti i grandi documenti délia Chiesa pubbli-
cati dopo di allora ad essa s'ispirano e si
richiamano.
66
PAOLO VI
E veniamo a Paolo VI. Uno dei primi docu-
menti importante del pontificato di Paolo VI è
stata l'enciclica Populorwn progressio del 1967.
Questo documento, dedicato allô sviluppo
dei popoli, si è avvantaggiato non solo di un
forte contributo délie scienze umane, ma
anche di tutti i documenti conciliari.
L'enciclica affronta il problema dello svilup
po, non tanto dal punto di vista dei paesi svi-
luppati, ma piuttosto da quello dei paesi del
Terzo mondo. Per Paolo VI, "lo sviluppo è il
nuovo nome délia pace". Paolo VI riprende
qui il problema del rapporto tra la giustizia e
la pace: la pace non è possibile senza la giusti
zia.
La célèbre enciclica Humanae vitae (1968)
ci intéressa qui per un aspetto particolare:
essa riconosce il diritto d'intervento dei pub-
blici poteri nel campo délia natalità. Tuttavia,
l'intervento dei pubblici poteri dovrà avvenire
nel rispetto délie persone e délie coppie: è
obbligante il principio di sussidiarietà. Lo
Stato in questo campo non puô vincolare né la
coscienza né il comportamento degli indivi-
dui. L'Humanae vitae riveste quindi un aspetto
sociale: la Chiesa interviene su problemi di
politica demografica.
67
LHumanae vitae ha provocato le reazioni
ben note, ed è l'ultima enciclica di Paolo VI.
Tuttavia, questo Papa pubblica ancora alcune
esortazioni apostoliche.
Ne citeremo due. La prima si chiama
Octogesima adveniens (1971) e viene pubblicata
in occasione dell'ottantesimo anniversario
délia Rerum novarum. Il punto centrale di
questo testo sta nell'insistenza del Papa sul
primato déliapolitica.
L'impegno temporale del cristiano non
deve limitarsi al campo sociale ed economico.
Quello che l'esortazione mette in luce è la
moralità délia politica, e l'importanza morale
dell'impegno dedicato nella società dagli
uomini politici.
La seconda esortazione è del 1975 e porta
il nome di Evangelii nuntiandi. Essa tratta
délia relazione tra evangelizzazione e sviluppo e
riprende un tema fréquente nella riflessione
teologica dopo il XVI secolo, circa i rapporti
tra la grazia e la natura, la trascendenza e l'im-
manenza.
68
GIOVANNI PAOLO II
Anche se ci manca una prospettiva storica,
tra tutti i Papi di questo secolo Giovanni
Paolo II è quello che ha maggiormente
approfondito l'insegnamento sociale délia
Chiesa. Ci limiteremo a ricordare tre dei sei
scritti esplicitamente dedicati all'insegnamen-
to sociale délia Chiesa.
IL LAVORO E IL DATORE DI LAVORO
La prima enciclica è la Laborem exercens del
1981. Essa è inquadrata sul lavoratore e non
sut lavoro umano, corne erroneamente sosten-
gono alcune edizioni francesi. Il tema è l'uo-
mo che lavora: l'uomo sta al centra di tutto.
In questo testo émerge una distinzione che
è divenuta immediatamente célèbre: quella
tra il datore di lavoro indiretto e il datore di
lavoro diretto. Che significato ha questa
distinzione? Quando un aspirante all'impiego
firma un contratto di lavoro con un imprendi-
tore (datore di lavoro diretto), né colui che
accetta il lavoro né l'imprenditore possono
concordare a loro discrezione le condizioni
del contratto. Le due parti contraenti devono
rispettare un certo numéro di norme, che
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sono chiaramente precisate nella legislazione
sociale. Queste norme vengono dettate dal
pubblico potere. E' a questo punto che lo
Stato interviene corne datore di lavoro indi-
retto, per definire a quali condizioni un con
tratto di lavoro puô essere sottoscritto tra un
datore di lavoro diretto, ossia un padrone, e
un salariato.
Il Papa, tuttavia, non si limita a considerare
l'applicazione di questa distinzione ai soli
rapporti tra il padrone e il salariato. Egli la
applica anche ai rapporti tra le organizzazioni
internazionali e i singoli Stati. Giovanni Paolo
II intende valorizzare in questo modo la pre-
senza di organizzazioni internazionali, quando
opportunamente intervengono per stimolare
gli accordi tra Stati. Alcune organizzazioni
internazionali possono intervenire corne dato-
ri di lavoro indiretti, per esempio in tema di
rispetto dei diritti dell'infanzia, di migrazioni,
del diritto al lavoro, dei diritti dell'uomo in
générale, ecc.
DUE REGIMI DA CORREGGERE
La seconda enciclica sociale di Giovanni
Paolo II, pubblicata nel 1987, ha per titolo
Sollicitudo rei socialis. Essa, al momento délia
70
sua presentazione, ha quasi "scandalizzato",
perché il Papa osava affermare che una délie
cause principali del malessere del mondo a
quell'epoca era Fesistenza di due regimi,
quello dell'Est e quello dell'Ovest, che ave-
vano ambedue bisogno di una profonda tra-
sformazione. Questi due regimi antagonisti
dovevano essere radicalmente corretti. Non si
tratta più quindi di sostenere che i regimi
occidentali di tradizione libérale sono fonda-
mentalmente buoni, anche se devono essere
costantemente corretti. Il Papa venuto
dall'Est non ha esitato ad affermare che
anche i regimi che governano la società occi
dentale "sviluppata" devono essere profonda-
mente corretti, in nome délie esigenze délia
morale sociale.
LA LIBERTA RELIGIOSA
E' facile provare corne la maggior parte dei
documenti pubblicati da Giovanni Paolo II
contengano numerosi contribua assai impor-
tanti per l'approfondimento dell'insegnamen-
to sociale délia Chiesa. Tuttavia, l'insegna-
mento sociale di Giovanni Paolo II nel campo
sociale è guidato da un tema specifïco, che in
parte si spiega con le radici culturali del Papa.
71
L'esame di questo tema chiave viene a con-
fermare e a illustrare ciô che si è già detto più
sopra a proposito délia centralità délia persona
neU'insegnamento sociale délia Chiesa. Quai
è questo tema chiave? E' la libertà religiosa.
In merito al posto che la libertà religiosa
occupa nella catechesi di Giovanni Paolo II,
le interpretazioni sono diverse. Alcuni riten-
gono che il Papa voglia restaurare la cristia-
nità: puô essere - pensano costoro - che egli
sogni di vedere il cattolicesimo diventare reli-
gione di Stato!... In ogni caso gli si attribuisco-
no moite intenzioni di questa natura. C'è
addirittura chi dice che, essendo egli polacco,
non puô capire nulla dei problemi délia
società occidentale secolarizzata... Qualche
volta il problema délia libertà religiosa viene
ridotto alla libertà di culto: il Papa rivendiche-
rebbe per i cattolici il diritto di esprimere
pubblicamente la loro fede. Ma la libertà di
culto non è che un aspetto che consegue alla
libertà religiosa: quella non è che la conse-
guenza di questa.
In realtà, quando il Papa insiste sulla
libertà religiosa, al punto di farne il cuore del
suo insegnamento in materia sociale, lo fa per
un motivo preciso e molto profonde Quai è
questo motivo? E' che, nell'atto di fede, la
persona umana si rafforza per il fatto che la
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relazione interpersonale, la più intima che si
possa allacciare, è quella che ci unisce a Dio,
al nostro Creatore e Salvatore. E' questo il
punto centrale délia nostra fede ed è anche il
cuore dell'insegnamento sociale di Giovanni
Paolo IL
Il Papa sa bene che se la libertà religiosa è
oppressa, se essa non è riconosciuta, se è
soffocata da regimi totalitari, l'uomo restera
atrofizzato nella sua stessa umanità, e la
medesima cosa accadrà per la società umana.
Giovanni Paolo II sa pure molto bene che l'o-
biettivo principale di ogni régime totalitario è
la distruzione di ciô che forma la personalità
di ciascuno. Al contrario il Papa sa bene che il
rapporto di fede è il rapporto più personaliz-
zante che un uomo possa vivere. Questi sono
i motivi per cui egli non cessa di parlare délia
libertà religiosa.
Per comprendere la fondatezza di questa
insistenza del Papa, è sufficiente far riferi-
mento aile testimonianze di prigionieri che
sono stati privati di contatti con altre persone,
che sono stati messi in prigione senza possibi
lité di dialogare con nessuno. Secondo la testi-
monianza di più d'uno, ciô che ha salvato
molti prigionieri è stata proprio la preghiera;
nella preghiera essi erano riconosciuti da
Qualcuno ed essi riconoscevano Qualcuno.
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Il Papa rileva che quando la libertà religiosa
è protetta e anche promossa, l'uomo e la sua
dignità godono di un baluardo inespugnabile.
Invece quando l'uomo è angariato nella sua
fede, allora egli rischia molto facilmente di
diventare un alienato, a beneficio di ogni spe-
cie di ideologia totalitaria. Il Papa sostiene
pertanto che la vita di fede è veramente il
miglior antidoto contro tutti i totalitarismi. La
vita religiosa autentica è il miglior lievito di
liberazione sociale e politica.
Il tema délia libertà religiosa è una délie
chiavi che permette di comprendere molti
degli avvenimenti attuali ed è quello che
chiarisce anche il motivo délia preoccupazio-
ne del Papa. Quando affronta questo tema, il
Papa si accalora, perché la libertà religiosa
riguarda l'essenza stessa dell'uomo. Con l'au-
silio délia ragione e délia sua libéra volontà,
l'uomo, nell'atto di fede, riconosce liberamen-
te un Dio-persona, il quale, a sua volta, lo
riconosce. L'atto di fede autentica libéra l'uo
mo da tutte le principali alienazioni ed è per-
ciô che il credente cristiano mette in crisi tutti
gli idoli délia società secolarizzata. Dal
momento in cui un rapporto di fede coscien-
te, libéra e razionale si è instaurato tra l'uomo
e Dio, l'uomo diventa potenzialmente perico-
loso per tutti i regimi totalitari e per tutti i
74
regimi di oppressione.
Noi dunque prevediamo che, a motivo
dello stretto rapporto tra verità e libertà, vi è
ancora un sicuro avvenire per la missione.
Ugualmente possiamo comprendere la con-
nessione che Giovanni Paolo II ha stabilito tra
dottrina sociale délia Chiesa e Nuova
Evangelizzazione.
I BENI DESTINATIA TUTTI
Il terzo testo è l'enciclica Centesimus annus,
dedicata al centesimo anniversario dell'enci-
clica Rerum novarum. Con questa lettera
Giovanni Paolo II valuta gli effetti degli avve-
nimenti accaduti all'Est, ossia lo sfaldamento
del sistema comunista.
Al centro di questa enciclica vi è un capito
lo molto importante che riguarda la dottrina.
II capitolo è intitolato La propriété privata e la
destinazione universale dei béni. E' noto che,
secondo l'insegnamento tradizionale délia
Chiesa, tutti i béni délia terra sono stati messi
dal Creatore a disposizione di tutta l'umanità.
La proprietà privata è certamente necessaria e
lecita, ma essa deve essere limitata, in vista
del bene comune, dal principio délia destina
zione universale dei béni.
75
Quando si discute di questo argomento,
che regola tra l'altro la posizione délia Chiesa
sul tema dello sviluppo, bisogna portare una
particolare attenzione ai paragrafi 31-39 di
questa enciclica.
In essi l'argomentazione del Papa è partico-
larmente stringente e rigorosa, ed è facile
seguirne lo svolgimento. Se "la terra è il primo
dono di Dio" questa stessa terra "non produce
i suoi frutti senza una specifica risposta del-
l'uomo al dono di Dio, vale a dire senza il
lavoro" (31 b). Ora, se "un tempo la naturale
fecondità délia terra appariva (...) il principale
fattore délia ricchezza (...), nel nostro tempo,
diventa sempre più rilevante il ruolo del lavo
ro umano, corne fattore produttivo délie ric-
chezze immateriali e materiali". E' da notare
qui l'ordine dell'enunciazione. Le ricchezze
immateriali sono ricordate per prime e subito
specificate: si tratta "...délia conoscenza, délia
tecnica e del sapere" (32 a).
Il Papa aggiunge ancora che "oggi più che
mai lavorare è un lavorare con gli altri e un
lavorare per gli altri". Egli prosegue "il lavoro
è tanto più fecondo e produttivo quanto più
l'uomo è capace (...) di leggere in profondità i
bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è
fatto" (31 c). In effetti "con la terra, il fattore
decisivo è sempre più l'uomo stesso " (38 a,
76
32 c).
Pertanto secondo il Santo Padre, il bene
per eccellenza che è destinato a tutti, quello
che è chiamato a formare la comunità nella
solidarietà, è l'uomo stesso: "Se un tempo il
fattore decisivo délia produzione era la terra
e, più tardi, il capitale, (...), oggi il fattore
decisivo è sempre più l'uomo stesso, è cioè la
sua capacità di conoscenza che viene in luce
mediante il sapere scientifico, la sua capacità
di organizzazione solidale, la sua capacità d'in-
tuire e di soddisfare il bisogno dell'altro" (32
d).
Da tutto ciô si possono dedurre due conse-
guenze pratiche:
La prima è che il compito principale, da cui
dipende tutto lo sviluppo dell'uomo, consiste
nel risvegliare l'uomo a se stesso con l'educa-
zione, perché possa fare un uso responsabile
délia sua libertà. Da qui l'insistenza del Papa
sulla diffusione del sapere e dell'informazione
e sui legami tra libertà e verità.
La seconda è che il dono soprannaturale di
Dio all'uomo è Gesù, che si è incarnato nella
vergine Maria e si è fatto uomo. Questa è la
peculiarità del nostro messaggio sociale. Di
qui l'insistenza del Papa sull'esperienza dei
cristiani dell'Est e, in particolare, délia
Polonia. Se il Papa pone la libertà religiosa al
77
centro del suo insegnamento sociale, è perché
l'atto di fede in Gesù Cristo libéra l'uomo
dalla menzogna e dalla maggiore alienazione,
che è l'ignoranza e il rifiuto di Gesù Cristo.
La fede unisce la persona umana al Dio trini-
tario e pone l'uomo nella sua verità.
All'Ovest corne all'Est, ciô che rende gli
uomini autentici non è l'ideologia marxista-
leninista, o l'ideologia materialista che sottin-
tende un certo capitalismo libérale; è la fede,
che libéra dalla menzogna e dalla violenza che
si vorrebbero legittimare.
Mettendo insieme insegnamento sociale e
nuova evangelizzazione, il Papa sembra voler
significare che gli effetti che la fede ha pro-
dotto all'Est li puô produrre dappertutto nel
mondo.
La potenza délia fede deve generare la
solidarietà e portare a una "civiltà dell'amore"
(cf. Ga 5, 6).
Di qui una conseguenza dogmatica e pasto
rale di capitale importanza: in definitiva, il
bene per eccellenza, che è destinato a tutti, è
la persona di Gesù Cristo, che i cristiani devo
no portare nel mondo, di cui Egli deve essere
l'epifania.
Questo è il centro del massaggio profonda-
mente originale délia Centesimus annus sul
tema délia destinazione universale dei béni.
78
~l
Ciô porta il papa a riassumere il duplice
comandamento dell'amore in una sola formula
di Sant' Ireneo, particolarmente densa e ido-
nea: "L'uomo è dato da Dio a se stesso". Una
formula con cui l'antropologia cristocentrica di
Giovanni Paolo II regola definitivamente il
suo conto, non solo con il collettivismo marxi-
sta, ma ugualmente con il naturalismo liberi-
sta. AU'alba del XXI secolo, Centesimus annus
appare quindi come un manifesto cristiano
per un nuovo ordine mondiale.
79
CONCLUSIONI
Il célèbre pianista Horowitz faceva notare un
giorno che uno spartito musicale è uno scheletro
al quale solo l'interprète puô dare vita. Si puô
dire la stessa cosa dell'insegnamento sociale
délia Chiesa. Questo insegnamento diventa
vitale solo per e con l'impegno del cristiano.
Nelle pagine che precedono abbiamo proposto
un'introduzione a questo insegnamento. Ma in
realtà esso si radica nell'esperienza cristiana,
quale è stata vissuta fin dalle origini e si manife
sta nell'azione dei cristiani nella società.
A dire il vero, quasi tutti i cristiani praticano
l'insegnamento sociale délia Chiesa, anche
prima di rendersi conto che esso forma un tutto
coerente che puô essere condotto a sistema. Noi
facciamo dell'insegnamento sociale délia Chiesa
come Monsignor Jourdain faceva délia prosa.
L'insegnamento dunque deve molto all'azione.
Il Cardinale Etchegaray, Présidente del pontifi-
cio Consiglio Giustizia e Pace, ripete spesso che
è con la loro azione che i cristiani preparano la
prossima enciclica sociale.
Tuttavia, la Chiesa non svolgerebbe bene la
sua missione evangelizzatrice se lasciasse l'azio-
ne sociale dei cristiani all'alea dell'empirismo e
81
dell'improvvisazione. E' questo il motivo per cui
nel XIX secolo ha incominciato a tradurre in
sistema il suo insegnamento. Questo si è accre-
sciuto e continua a crescere, perché è alimentato
da un incessante scambio tra le situazioni con
crète e i criteri evangelici che permettono di for-
mulare un giudizio su di esse. I principi fonda-
mentali di questo insegnamento devono tener
viva l'attenzione dei credenti di fronte ai segni
dei tempi. Essi devono aiutare i cristiani ad anti-
cipare l'emergenza di nuove sfide. In questo
senso, l'insegnamento sociale non potrà essere
ridotto ad una morale che permetta di giudicare
la situazione sociale di oggi o del passato. Esso è
anche questo, ma è soprattutto una morale délia
responsabilité di fronte aile generazioni future;
esso è una morale délia generazione che seguirà.
Questo insegnamento vuole liberare la creatività
storica del cristiano; non è una morale délia rea-
zione di fronte a cio che è, ma una morale che
esalta la creatività del cristiano nel tempo e
nello spazio.
E' per questo che l'insegnamento sociale
délia Chiesa non esita mai quando si deve met-
tere in discussione con il présente, in nome di
un avvenire più pieno di amore, avvenire che il
cristiano non puô costruire senza la grazia di
Dio.
La Chiesa non ha délie "terze vie" da propor-
82
1
re, ma i tesori di grazia di cui è depositaria nei
sacramenti. E in questo tempo di nuova evange
lizzazione, come al tempo del primo annuncio,
essa offre a tutti gli uomini di buona volontà la
Parola efficace di cui è la custode. E con San
Pietro, essa proclama la buona novella: "Non
possiedo né argento né oro, ma quello che ho te
lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno,
alzati e cammina! " (At 3, 6).
83
INDICE
Prefazione
Jorge Mejia Pa& 5
Premessa
Michel Schooyans Paê- ?
1.1 principi dogmatici dell'insegnamento sociale
délia Chiesa Paê- n
La teologia délia Creazione pag. 13
La teologia deirincamazione pag. 23
La teologia délia Chiesa pag. 29
2. Temi centrali dell'insegnamento sociale
délia Chiesa pag. 35
Il bene comune Paê- 37
Il principio di sussidiarietà pag. 39
La destinazione universale dei béni pag. 43
Il lavoro Paê- 47
La centralità délia persona umana pag. 49
L'opzione preferenziale per i poveri .pag. 51
La solidarietà Paê- 52
3. Le grandi tappe storiche dell'insegnamento sociale
délia Chiesa. pag. 53
Una questione preliminare pag. 55
Da Leone XIII a Benedetto XV pag. 58
Pio XI e Pio XII ...-Pag- 61
L'epoca del Concilio Vaticano II pag. 64
Paolo VI Pa&67
Giovanni Paolo II -Pa& 69
Conclusion! Pa& 81
85
~w
Luglio 1995
Realizzazione Studio Forma - Verona
T
In questo periodo di cambiamenti
repentira, ove vecchie idéologie
tramontano e nuove sorgono
gll'orizzonte; il messaggio délia Chiesa
in Campo sociale riveste una
bruciante attualità e un carattere
altamente profetico. Oggi é forse il
solo corpus dottrinale in grado di
orientareTumanità nella transizione.
Specialmente i laici, la cui vocazione
é di ragionare cristianamente nel
mondo in cui sono inseriti, hanno il
dovere di conoscere quello che la
Chiesa Insegna e perché lo insegna.
Quest'opera é una introduzione
eccellente alla dottrina sociale délia
Chiesa, molto utile anche per i lavori
di gruppo e introduzione ai corsi di
base. Essa potrà aiutare ad essere
testimoni délia novità eyangelica,
nelle sue implicazioni sociali,
economiche e politiche.
Michel Schooyans é professore aU'Università di
Lpvanio dove insegna Filosofia politica e Morale
sociale. E' Consultore del Pontificio Consiglio Giustizia
e Pace e del Pontificio Consiglio per la famiglia. Tra le
sue opère più recenti vi ricordiamo: Aborto e politica.
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991;
Bioctique et population: le choix de la vie, Fayard,
Parigi 1994; la dériva totalitar'uu Ares, Milano 1995.