LA TRATTATISTICA RINASCIMENTALE
Dalla lezione precedente
IL RINASCIMENTO
Il Rinascimento raggiunge la sua maturità tra il 1492 e il 1527, con un’eccellenza nelle ar; e nella le<eratura,
ispirata a ideali di perfezione e armonia.
Durante il Rinascimento, nascono generi classici come commedia e tragedia e si riscoprono generi volgari come
la novella e la lirica. Il tra<ato (à opera scien0fica o tecnica, storica, le3eraria, che svolge metodicamente una
materia o espone i principî e le regole di una disciplina. Con valore più ampio, nel passato, studio o saggio su
qualsiasi argomento par0colare) assume una nuova importanza, con autori come Machiavelli che introducono
la saggis;ca moderna. Infine, il teatro laico diventa un’importante forma di intra<enimento sociale, con la
commedia che guadagna popolarità.
LA CENTRALITÀ DEL TRATTATO NEL CINQUECENTO
Nel Cinquecento, il tra4ato assume un ruolo centrale, poiché mira a stabilire modelli di
comportamento e di scri<ura basa; su norme (regole) precise. Questo genere le<erario, già
affermatosi nel Qua<rocento, u;lizza spesso la forma del dialogo, influenzato dalla tradizione
ciceroniana (Cicerone (106-43 a.C.) è stato un celebre oratore, poli;co e filosofo romano), e
dai dialoghi platonici. Questa impostazione rifle<eva il contesto culturale dei cenacoli, dove la
verità veniva elaborata in modo dialogico.
Il tra<ato filosofico e scien;fico si serviva principalmente del la=no, considerata la lingua
internazionale dei doU europei. Tu<avia, quando l’argomento tra<ato riguardava aspeU
concre; come la poli;ca, l’amore o il costume, si optava per il volgare, per raggiungere un
pubblico più ampio.
I tra<a; del periodo offrono tre principali modelli:
1. Comportamentali à riguardano la vita poli=ca, la vita cor=giana e il codice amoroso;
2. Ar=s=ci e le4erari à riguardano la definizione dei canoni classici delle diverse ar; e
generi le<erari;
3. Linguis=cià sopra<u<o con Bembo, puntano alla stru4urazione di un lessico e una
gramma=ca fonda; sui classici del Trecento, in par;colare su Petrarca e Boccaccio.
Si possono individuare due fasi dis=nte nella tra<a;s;ca cinquecentesca:
1. Un primo periodo (1492 - 1528) con una maggiore apertura e sperimentazione;
2. Un secondo periodo, a par;re dal 1530, più rigido e norma;vo.
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LA “QUESTIONE DELLA LINGUA”
Fino al Qua<rocento, mol; le<era; preferivano scrivere in la;no, lingua colta e universale,
u;lizzata nelle università di tu<a Europa. Tu<avia, il la;no era accessibile solo a un’élite
istruita, e l’uso del volgare per la le<eratura era un fenomeno ancora controverso. Già Dante,
Petrarca e Boccaccio avevano scri<o in volgare, dando dignità le<eraria a questa lingua, ma il
problema di trovare un modello unitario si pone con forza nel Cinquecento.
Nel Cinquecento, infaU, la “ques=one della lingua” diventa un tema centrale del dibaUto
culturale in Italia. I le<era; si trovano di fronte al problema di individuare una lingua comune
per la produzione le<eraria. La ques;one principale non era creare una lingua parlata
unificata, ma individuare una lingua le<eraria che potesse essere compresa e u;lizzata da tuU
i le<era; della penisola.
LE TRE PROPOSTE PRINCIPALI
1. Soluzione cor=giana: proposta da autori come Trissino e Cas;glione, prevedeva di
basarsi sulla lingua parlata nelle cor; italiane, perché le cor; erano i centri culturali e
sociali più importan; dell’epoca, e si riteneva, dunque, che la lingua parlata dai
cor;giani potesse cos;tuire un modello di eleganza. Tu<avia, la varietà delle cor;
italiane (da Napoli a Milano, da Palermo a Firenze) rendeva impossibile individuare
una lingua cor;giana unica;
2. Soluzione fioren=na contemporanea: sostenuta da Niccolò Machiavelli, si basava sul
fioren;no parlato nel Cinquecento, considerato vivo e capace di ada<arsi alle nuove
esigenze comunica;ve. Tu<avia, il pres;gio culturale di Firenze era diminuito rispe<o
al Trecento, e altre ci<à italiane avevano acquisito maggiore importanza, limitando
l’acce<azione di questa proposta;
3. Soluzione bembiana (Classicismo volgare): proposta da Pietro Bembo, questa
soluzione puntava a un canone linguis;co basato sui grandi autori del Trecento:
Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
PIETRO BEMBO E IL DIBATTITO SULLA LINGUA
Pietro Bembo, figura di rilievo nel panorama culturale dell’epoca, nacque a Venezia nel 1470
e morì a Roma nel 1547. Collaborò con Aldo Manuzio, noto umanista e ;pografo,
contribuendo alla diffusione di classici la;ni e volgari. Grazie alla collaborazione tra Bembo e
Manuzio, Petrarca e Dante vennero pubblica; in formato tascabile, acquisendo lo stesso
pres;gio dei classici la;ni.
Tra le opere più importan; di Bembo vi sono: Gli Asolani (1505), dialoghi che propongono una
discussione sull’amore a<raverso tre interlocutori che rappresentano “i dolori dell’amore”, “le
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sue gioie” e infine “l’amore platonico”, che viene considerato superiore, e Le Prose della volgar
lingua (1525), un esempio di prosa alta, modellata sullo s;le di Boccaccio, e rappresenta un
importante contributo alla le<eratura toscana da parte di un non toscano.
LE “PROSE DELLA VOLGAR LINGUA”
Nel 1525 Pietro Bembo pubblica un’opera molto importante per la lingua italiana: “Prose nelle
quali si ragiona della volgar lingua scri3e al cardinale de Medici, che poi è stato creato a
sommo pontefice e de3o Papa Clemente seFmo”, oggi chiamata semplicemente “Le Prose
della volgar lingua”. L’opera è scri<a in forma di dialogo, una conversazione immaginaria tra
personaggi illustri.
L’opera è divisa in tre libri:
1. Primo libro: Bembo spiega le origini del volgare e sos;ene che, per scrivere bene,
bisogna imitare i migliori autori del passato, come Petrarca e Boccaccio. Dante non
veniva considerato un modello adeguato a causa della sua varietà s;lis;ca e
sperimentazione linguis;ca;
2. Secondo libro: Bembo dà consigli su come usare al meglio la lingua, sia dal punto di
vista s;lis;co che retorico, seguendo le regole e gli s;li di Petrarca e Boccaccio;
3. Terzo libro: Bembo fa il primo tenta;vo di creare una gramma;ca per la lingua italiana.
Bembo spiega le regole per scrivere corre<amente in volgare, offrendo una guida
preziosa per gli scri<ori dell’epoca.
Le sue idee sul volgare avranno un grande impa<o sulla “ques;one della lingua”. La proposta
di Bembo si impone come soluzione dominante perché definisce un canone linguis=co basato
su autori di indiscu=bile pres=gio e propone una lingua le4eraria dis=nta e raffinata.
Petrarca e Boccaccio diventano i modelli di riferimento per la poesia e la prosa,
rispeUvamente.
La “ques;one della lingua” italiana è stata un dibaUto culturale lungo e complesso che trova
una soluzione defini;va solo nel Novecento. Tu<avia, nel Cinquecento si ge<ano le basi per
una lingua le<eraria comune, che influenzerà profondamente la tradizione le<eraria italiana
e la formazione di un’iden;tà culturale condivisa.
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TESTO (P. 686)
1. Non bisogna
seguire il parlato
nella sua
mutevolezza
1. Bembo sos;ene che la tesi del suo avversario è debole: non è infaU necessario
adeguarsi al cambiamento naturale delle lingue nel tempo. La lingua le<eraria,
secondo Bembo, non deve coincidere con quella parlata quo;dianamente dal popolo.
Al contrario, accostarsi troppo al linguaggio popolare significa sminuire il valore delle
opere classiche.
Per esempio, se si seguisse questa logica, il grande poeta la;no Virgilio sarebbe
considerato meno apprezzabile rispe<o ai cantastorie di piazza, solo perché usa una
lingua an;ca invece di quella corrente. Quindi, secondo Bembo, non si deve seguire il
parlato nella sua con=nua mutevolezza.
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2. I componimen= devono avere un’aspirazione di
eternità, quindi la lingua ha un bello immutabile.
3. Vengono pos= dei modelli:
Petrarca e Boccaccio.
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2. Bembo afferma che gli scri<ori non devono preoccuparsi di piacere soltanto ai
contemporanei, come suggerisce il suo avversario, ma sopra<u<o alle generazioni
future. La vera grandezza di uno scri<ore risiede infaU nella capacità di creare opere
che possano essere le<e e apprezzate nel tempo, per questo la lingua u;lizzata deve
avere una qualità di eternità. È necessario quindi che le composizioni siano realizzate
con una forma e uno s;le che possano piacere in ogni epoca e con;nuare a essere
apprezzate nei secoli.
Bembo so<olinea come il la;no di Virgilio e Cicerone o il greco di Omero siano ancora
oggi ammira;, dimostrando che anche il volgare italiano può avere una bellezza
stabile, che trascende il tempo e non si ada<a alla mutevolezza del linguaggio parlato.
3. A sostegno della sua tesi, Bembo chiede: “(parafrasi) Credete forse che se Petrarca
avesse scri3o le sue canzoni u0lizzando il linguaggio dei popolani, esse sarebbero
altre3anto belle e raffinate?” La risposta è nega;va: Petrarca non si è mai abbassato
al livello della lingua popolare, e lo stesso vale per Boccaccio.
Per concludere, Bembo propone come modelli di scri4ura per il volgare italiano Petrarca
e Boccaccio. Questo programma le<erario fu accolto dalla maggior parte degli scri<ori
italiani e rimase dominante per lungo tempo, subendo cri;che solo a par;re dal
Se<ecento.
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