La Verità Giornalistica e I Suoi Surrogati
La Verità Giornalistica e I Suoi Surrogati
La questione della crisi di affidabilità del giornalismo è al centro delle discussioni da quando, alla fine
degli anni settanta, ero uno studente di Giornalismo presso il primo Istituto Universitario europeo,
fondato nel 1959 presso l'Università di Navarra (Spagna). Come sottolineato da un umorista francese,
Fourchadier, meno di un secolo fa, esistono due professioni che sembrano non richiedere alcuna
preparazione: i banchieri che manipolano il denaro altrui e i giornalisti che giocano con la reputazione
dei loro concittadini.
Al di là delle battute leggere sul giornalismo, che sono sempre presenti, è innegabile che il buon e il
cattivo giornalismo abbiano coesistito fin dai primi tempi della professione, indipendentemente dal
riconoscimento formale delle leggi, avvenuto solo nei primi anni del 1900 nei paesi occidentali. Non si
può applicare il detto che "la moneta buona scaccia quella cattiva" in questo contesto, e questa
negazione si estende ad entrambe le professioni, banchieri e giornalisti, come dimostrato
dall'esplosione della crisi economica nel 2008. Curiosamente, non è una coincidenza storica che le
sorti di entrambe le professioni procedano parallelamente. Certamente, questa connessione ha
contribuito ad accentuare i problemi di affidabilità del giornalismo, come evidenzierò di seguito:
a) Alcuni studi recenti, che cito senza entrare nel merito metodologico di ciascuno, dimostrano la
crescente preoccupazione riguardo all'uso delle notizie false come arma politica1. Secondo il Rapporto
Globale del Edelman Trust Barometer del 2019, il 73% degli intervistati è preoccupato per l'uso delle
notizie false a fini politici. Nel 2009, il 15% dei giovani italiani sotto i 30 anni si informava attraverso
Facebook, YouTube e altre reti sociali; nel 2019, questa percentuale è salita al 63%. Mentre il 56%
dubita della credibilità delle notizie su queste reti sociali, una percentuale inferiore (34%) dubita
dell'affidabilità delle notizie riportate dai media tradizionali2. Secondo Michael Haller, direttore del
Dipartimento di Ricerca della Hamburg Media School, queste sono le principali cause della perdita di
credibilità dei media europei: il declino della capacità di ricerca da parte dei giornalisti, l'eccesso di
opinioni rispetto ai fatti, la corsa agli introiti pubblicitari amplificata dalla facilità di catturare
l'attenzione del pubblico attraverso i clic e la mancanza di diversità rispetto ai media mainstream3.
b) Gli eventi politici del 2017 che hanno scatenato il dibattito sulle fake news non sono estranei
all'"esplosione della sfiducia" nei confronti dei mass media: il referendum sulla Brexit (23 giugno), il
referendum sul processo di pace in Colombia (2 ottobre) e le elezioni di Trump (8 novembre).
Curiosamente, va ricordata l'origine del termine diventato virale, "fake news", che riflette l'effetto
boomerang della propaganda politica: un'azienda non profit di comunicazione al servizio della
1
https://www.edelman.com/trust-barometer (ultima visita 11.11.2019)
2
“Come si informano le nuove generazioni italiane” (Demopolis per conto dell’Ordine dei
Giornalisti, 2019): www.odg.it/come-si-informano-le-nuove-generazioni-in-italia-presentati-i-
risultati-della-ricerca-demopolis/31835
3
Michael Haller. Dentro la crisi di credibilità dei media europei, in European Journalism
Observatory, 24.11.2015:it.ejo.ch/etica/dentro-la-crisi-di-credibilita-dei-media-europei (ultima visita
11.11.2019)
campagna del Partito Democratico nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti ha coniato il termine
per screditare il candidato Trump, il quale ha poi adottato con fervore per contrastare gli argomenti
che cercavano di screditarlo4. Internet e le reti sociali, in particolare Facebook, stanno diventando il
capro espiatorio del problema, come dimostrato dal caso di Cambridge Analytica5, anche se la colpa è
da attribuire a tutti i giganti di Internet.
c) Ma le avvisaglie della crisi erano già presenti prima, come evidenziò il fallimento della copertura
“informativa” della seconda Guerra del Golfo e gli effetti sulle ammiraglie del giornalismo
anglosassone. Le principali testate del giornalismo americano dovettero scusarsi dinanzi ai loro lettori
e riformare le linee guida editoriali allo scopo di rafforzare gli standard di buona prassi professionale
("The New York Times, Report of the Committee on Safeguarding the Integrity of Our Journalism",
28.07.2003; "Preserving Our Readers Trust. A Report to the Executive Editor", 9.05.2005; "The
Guidelines we Use to Report the News", Washington Post, 7.03.2004). Nello stesso anno, 2004, Lord
Hutton rese pubbliche le conclusioni di un'inchiesta parlamentare indipendente sull'operato della BBC
nei confronti delle azioni del governo Blair nel preparare l'opinione pubblica britannica per intervenire
nella guerra del Golfo: Kelly, consulente del Ministero della Difesa britannico e fonte principale di
Gillighan, il giornalista che accusò Blair di mentire all'opinione pubblica, si era suicidato. La BBC fu
accusata di parzialità e i suoi dirigenti si dimisero. Iniziò quindi un processo di riforma della Charter (la
prerogativa regale accordata fra il Governo e la BBC) dell'emittente pubblica britannica che si concluse
nel 20076.
In definitiva, e come affermato nel Report sullo stato di salute della stampa americana nel 2004, "la
maggior parte degli investimenti del giornalismo attuale viene destinata alla distribuzione delle
notizie, non alla raccolta", e, inoltre, "coloro che manipolano la stampa e il pubblico sembrano
accrescere la loro possibilità di influenza sui giornalisti" (The State of the News Media 20047). A
giudicare i risultati a distanza di 20 anni, sembra che la riforma delle linee guida abbia avuto l'effetto
di un lifting etico, un'operazione di pubbliche relazioni mal riuscita.
4
Debra Heyne. Sharyl Attkisson Explains the Origins of the 2016 'Fake News' Narrative in TedX
Talk, in “PJ Media”, 14.02.2018: https://pjmedia.com/video/sharyl-attkisson-explains-tedx-talk-
origins-2016-fake-news-narrative (ultima visita 11.11.2019)
5
Nel marzo 2018 il whistleblower Christopher Wylie ha denunciato una raccolta di dati che ha
interessato 87 milioni di utenti soprattutto statunitensi del social, dei quali più di duecentomila di
italiani, che sono stati venduti da un proprietario di un app "thisisyoudigitallife" alla società Cambridge
Analytica. Tali informazioni sono state utilizzate anche per attività di marketing politico per le elezioni
di Trump e quella pro-brexit. Facebook è stato ritenuto corresponsabile e il 24 luglio 2019 la Federal
Trade Commission ha emesso una sanzione civile di cinque miliardi di dollari, mentre la Securities and
Exchange Commission un'ulteriore sanzione di cento milioni. Fonte: Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_Facebook-Cambridge_Analytica (consultato 3.11.2023)
6
L’ultima riforma è del 2017 e le norme editoriali aggiornate, con una sezione speciale sugli
standards in situazioni di “guerra, terrorismo ed emergenze” si può consultare nel loro sito:
https://www.bbc.com/editorialguidelines/guidelines (ultima visita 13.11.2019). Per una storia della
crisi e del rinnovamento del servizio pubblico audiovisivo britannico, vedere: P. Smith. Renovación de
la Carta de la BBC y crisis del servicio público, in “Infoamerica”, 3-4, 2010. pp.155-171.
7
www.journalism.org
II. I surrogati della verità
Vi è un consenso quasi unanime fra i giornalisti - e fra i loro lettori come aspettativa di sentirsi
raccontare la verità - sull'obbligo di veracità che spetta ai giornalisti nell'adempiere il loro mestiere. Il
problema si pone quando si tratta di andare sul concreto, sul vissuto giornalistico di ogni giorno. E il
problema si pone soprattutto quando bisogna dettagliare su un Codice di Etica professionale che cosa
comporti "dire la verità", ancor di più quando si tratta di spiegarlo accademicamente, quindi di
insegnarla. La parola verità compare una sola volta nel Codice di Etica della Società Professionale dei
Giornalisti (EEUU), come titolo di uno dei quattro pilastri delle buone pratiche: "Seek Truth and Report
It". A sua volta, l'articolo IV delle Affermazioni di principio della ASNE mette assieme "verità" e
"precisione" (truth and accuracy). Quindi declinare il principio nella pratica comincia a diventare più
articolato e i contorni cominciano a sbiadirsi: "Occorre fare ogni sforzo per garantire che il contenuto
delle notizie sia accurato, privo di pregiudizi e contestualizzato, e che tutte le parti siano presentate
in modo equo". Come giustamente osserva Parcks: "La verità è quindi in linea di massima assicurata
con degli incrementi di fattualità come un test binario applicato a ciascuna asserzione: questa
affermazione è (verificabilmente) vera, questa affermazione è (verificabilmente) falsa"8. Siccome la
verità è stata sempre un problema filosofico e pratico, acuito nella Modernità con l'Illuminismo,
nell'insegnamento del giornalismo si è evitato in qualche modo di affrontarla di petto e ci si è
accontentati di "surrogati" meno problematici all'apparenza.
Questi surrogati, a mio avviso, possono accorparsi in tre grandi spiegazioni, tre “narrative”, come si
direbbe oggi: l’obiettivismo (obbiettività come mito), la verità come costrutto sociale e l’obbiettività
critica o il ritorno all’obbiettività in modo non ingenuo. Vediamone i contorni di queste “versioni
operative” della verità giornalistica:
a) Obiettività e obiettivismo
Ci sono due "regole d'oro" nella professione che hanno avuto una lunga storia di consenso e, dal 1972
in poi, una storia di polemica, prevalentemente accademica. Tale discussione non è giunta ai
giornalisti, con alcune eccezioni. Le regole, presenti sulla maggioranza dei testi di redazione
giornalistica insegnati nelle scuole di giornalismo, sono:
a) I fatti sono sacri, le opinioni sono libere ("facts are sacred, opinions are free")9.
8
Parks, Perry (2022). “Senses of Truth and Journalism Epistemic Crisis”, in Journal of Media
Ethics, 37, 3, 181. L’autore, nel suo tentativo di superare la crisi epistemologica del giornalismo – che
denuncia correttamente- propone sei sensi di verità: verità logica (quella che si segue delle premesse),
verità empirica (quella che corrisponde ai fatti dell’esperienza), verità affettiva (le emozioni forti dei
soggetti), verità ideologica (secondo lui, molte “evidenze” dei giornalisti altro non sono che luoghi
comuni culturali, consenso culturale inavvertito, per esempio, “la convinzione radicata fra i giornalisti
americani che il capitalismo è l’unico sistema economico che merita discussione), la verità autoritaria
(qualcosa è veritiera perché lo dice il leader al quale seguo ciecamente, come fanno i seguaci di Putin
e Trump -gli esempi sono suoi-) e la verità narrativa (“interpretive truth or framing, is a collective way
of making sense of a given sets of empirical facts”: La verità interpretativa, o framing, è un modo
collettivo di dare senso a un dato insieme di fatti empirici). A mio avviso, Parks non riesce a superare
il positivismo epistemologico.
9
La frase fu coniata da C.P. Scott, uno scienziato chimico diventato giornalista -indicazione
storico-biografica abbastanza significativa dall’altro- e apparve per la prima volta sul Manchester
Guardian il 26.05.1926.
b) Ogni informazione, ogni notizia, per meritare tale nome, deve rispondere ai seguenti quesiti: chi,
che cosa, dove, quando, come (il perché invece sarebbe una domanda che postula un'interpretazione,
la cui risposta esula dunque dalla mera informazione, cioè include un'opinione, un commento
"soggettivo").
La prima frase è un fatto oppure un'opinione? Non c'è dubbio che viene considerata come "fatto",
anzi come qualcosa di sacro, quasi un dogma professionale inviolabile. Ora, se formuliamo la frase
opposta -"I fatti non sono sacri, le opinioni non sono libere"-, sarebbe valida quanto la prima, poiché
se "le opinioni sono libere"... Quindi, ci troviamo di fronte a un'affermazione che rifiuta se stessa, che
si contraddice. Rimaniamo nel buio sul significato, sul valore della sentenza. Mostrare la
contraddizione della massima equivale a mostrare la carenza di logica; cioè non è "corretta". Ma
bisogna aggiungere che non è soltanto sbagliata, ma è soprattutto falsa. E un tale tentativo ci riporta
alla distinzione epistemologica tipica del positivismo, "fatti/giudizi di valore”.
10
James S. Ettema e Theodore L. Glasser (1994). The Irony in -and of- Journalism: A Case Study
in the Moral Language of Liberal Democracy, in “Journal of Communication”, 44 (2), pp. 5-28.
L'ironia pungente della contrapposizione è fin troppo ovvia e divertente. Nel seguente
paragrafo, i giornalisti frugano nella ferita:
"Fra quella data e la fine dell'anno, il comitato di Huel, con un preventivo di 107.044
$ di fondi pubblici, si riunì soltanto due volte e non approvò nessuna legislazione,
anche se undici regolamenti erano pendenti...
Gli acquisti del comitato di Huel rappresentano un esempio tipico di come i 5,3
milioni di dollari dei contribuenti stanziati per i diversi comitati comunali vengono
spesi dai consiglieri che presiedono i comitati".
La canzonatura non parla soltanto dello spreco dei soldi nei comitati, accenna anche che i
comitati non fanno altro che sprecare. Pochi paragrafi dopo i giornalisti portano l’ironia
all’estremo:
"Sembra che Burke fosse ignaro delle sue proprie predizioni circa le terribili difficoltà
finanziarie, il che, a quanto è stato dimostrato, si sono trovate esagerate.
Ad esempio, egli utilizzò un fondo di emergenza per pagare 6.000 $ di onorari agli
avvocati per difendersi da un’accusa di diffamazione. Autorizzò anche il suo comitato
al pagamento di 471,34 $ per il soggiorno del suo corpo di guardia nell’albergo di
lusso Mayfair Regent a New York..."
Vediamo quindi come dall'uso strategico della semplice giustapposizione di fatti -il deficit di
5 milioni $ nel preventivo comunale insieme alla spesa di qualche centinaio di dollari in
rifornimenti esorbitanti di ufficio e l’anticipato fallimento finanziario del comune, "proved
exagerated"- i giornalisti costruiscono un giudizio sarcastico stroncante. L'ironia, nel
giornalismo, offre un'ironia sul giornalismo, giacché trasfigura, trasforma le convenzioni
sull'obiettività in modo che i meccanismi testuali per assicurare le differenze fra fatti e valori
diventano il mezzo per esprimere la sua inesorabile unità.
Qual è l'epistemologia soggiacente alla distinzione tra fatti e valori, giudizi di fatto/ giudizi di valore?
Per un approfondimento sul significato e sulle implicazioni di questa distinzione epistemologica nel
giornalismo, mi richiamo in particolare all’opera più nota di MacIntyre, After Virtue, e a González
Gaitano11. Un esempio di come questa distinzione epistemologica abbia permeato le spiegazioni
accademiche abituali sull’operato dei giornalisti e anche nei codici deontologici la troviamo nell’ultima
Risoluzione del Consiglio d’Europa relativa all’Etica del Giornalismo:
"Il principio di base di ogni riflessione morale sul giornalismo deve partire dalla chiara
distinzione fra notizie e opinioni, prevenendo ogni possibile confusione. Le notizie sono
informazioni, fatti e dati, e le opinioni sono espressioni di pensiero, di idee, di convincimenti
11
Norberto González Gaitano (1998). La interpretación y la narración periodísticas. Un estudio
y tres casos: Croacia, drogas, mujer. Eunsa, Pamplona, pp. 13-41. Alasdair McIntyre (1984). After
Virtue. A Study in Moral Theory, University of Notre Dame Press, Indiana; trad. it. Dopo la virtù. Saggio
di teoria morale, Feltrinelli, Milano, 1988, pp. 17-51, 101-134. Vedere anche Gianfranco Bettetini e
Armando Fumagalli (1998). Quel che resta dei media. Idee per un’etica della comunicazione. Angeli,
Milano, pp. 38-44.
o giudizi di valore da parte dei mezzi di comunicazione sociale, degli editori o dei giornalisti”
12
.
Secondo tale affermazione, le opinioni non sono informative, non ci informano, il che contraddice
l’esperienza comune: spesso si trova più informazione in un commento che in una notizia. Non c’è
bisogno di approfondire il fatto che qui ci troviamo davanti a una confusione molto abituale fra
l’informazione in sé e i modi di presentarsi dell’informazione, vale a dire fra l’informazione e le versioni
testuali in cui essa appare. Sappiamo bene che la notizia è una delle possibili versioni testuali
dell’informazione. Ci possono essere notizie false, non possiamo mai parlare di un’informazione falsa.
Se andiamo a prendere l’aereo fiduciosi e inconsapevoli di un’informazione sbagliata, falsa anche se
non menzognera perché non c’è stata cattiva intenzione, veramente non siamo stati informati di nulla.
Certo ci è stato comunicato qualcosa, appunto un errore, o una bugia se fosse intenzionale. Infatti,
avremmo perso l’aereo e andremmo probabilmente all’ufficio informazioni a protestare o per lo meno
per notificare l’errore del servizio13.
Andiamo ora alla seconda massima, la regola d'oro delle 5 W's: Chi, come, quando, dove, cosa (da
aggiungere il perché, dicono gli standard giornalistici soltanto quando si vuole approfondire).
12
Risoluzione dell’Assemblea del Consiglio d’Europa n. 1003, 1° luglio 1993, relativa all’Etica
del Giornalismo, n.3. I testi aggiuntivi dei numeri 4 e 5 abbondano di più nella confusione
epistemologica che sottostà al codice: “Le notizie devono essere diffuse rispettando il principio di
veridicità, dopo aver costituito oggetto di verifica di rigore, e devono essere esposte, descritte e
presentate con imparzialità (...) L’espressione di opinioni può consistere in riflessioni o commenti su
idee generali o riferirsi a commenti su informazioni in rapporto ad avvenimenti concreti”. Qualcosa
però non “regge” in questa chiara separazione “operativa” del redattore del testo normativo ed egli
ne è confusamente conscio, poiché aggiunge di seguito: “Nonostante l’espressione di opinioni sia
soggettiva e non possa né debba pretenderne la veridicità, è tuttavia possibile richiedere che
l’espressione di opinioni sia effettuata in base a esposizioni leali e corrette dal punto di vista etico”.
Allora, assunto apoditticamente il “dogma” della separazione fra fatti e giudizi di valore, non si vede
come si possano invocare “correttezze etiche” vincolanti, che comunque, sul solco della
argomentazione sviluppata, dovrebbero appartenere al regno soggettivo, e quindi non verificabile,
delle opinioni. Difatti, di seguito lo stesso redattore riconosce implicitamente l’impossibilità reale di
separare fatti e giudizi di valore: “le opinioni sotto forma di commento su avvenimenti o azioni
riguardanti persone o istituzioni non devono tendere a negare o nascondere la realtà dei fatti o dei
dati” (n. 6). Come a dire, un giudizio, una valutazione può essere la conclusione logica e giusta di alcuni
fatti. Uno che ha tolto ad un altro una proprietà legittima, che commette frode, che non paga le tasse,
ecc. si può chiamare con tutto il rigore dei fatti, un ladro. Un conto diverso diviene quello di provarlo
in aula davanti al giudice, e mentre no ci sia la irrefutabilità della prova, si può parlare soltanto di
incolpato, accusato e così via.
13
Sulla verità come costitutivo essenziale dell’informazione e la distinzione fra informazione
e comunicazione, mi richiamo a Luka Brajnovic (1979). El ámbito cientifico de la información.
Pamplona, Eunsa. E sulla validità di questa distinzione che può, a sua volta, trovarsi in Aristotele con
una formulazione differente, vedere Antonio Vilarnovo Caamaño (1982), Sobre el tema lenguaje e
información, in “La responsabilidad pública del periodista”, Servicio de Publicaciones de la Universidad
de Navarra, Pamplona, pp. 439-447, oppure dello stesso autore e F. J. Sánchez Sánchez, Discurso, tipos
de texto y comunicación, Eunsa, Pamplona 1994. Si può trovare anche in Coseriu una spiegazione
simile: vid. Información y Literatura, in “Comunicación y Sociedad”, vol. 3, 1990, pp. 185-200.
Anzitutto occorre dire che le risposte alle domande chi, come, quando e dove non pongono, di solito,
particolari problemi di ordine morale e non mettono particolarmente in gioco l'obiettività. La risposta
al "cosa", invece, si dimostra più problematica: cosa, che è successo? Se la borsa è scesa o è salita, non
ci sono particolari problemi. Se si intende riportare azioni umane -contenuto più abituale dei giornali,
detto sia en passant-- allora la questione si complica: c'è stato un incidente oppure un omicidio?
Rendere "obiettivo" il titolo nella direzione di una pretesa neutralità comporterebbe affermare
qualcosa come, per esempio: "Due membri delle Forze dell'Ordine - ordine secondo lo Stato,
dell'oppressione secondo gli autori degli spari - sono scomparsi dal mondo dei vivi ad opera dei
membri del Fronte Rivoluzionario, come loro stessi si autonominano". La forzatura ironica è
intenzionale e mostra come l’obiettivismo porti inesorabilmente alla disinformazione, come
ampiamente dimostrato da Galdón López14 e Muñoz Torres15 tempo fa. Difatti, il presunto ideale di
obiettività spesso annebbia la verità, quando non la oscura: "l'obiettività come mera presentazione
dei due versanti di un tema distorce l'importanza di ognuno di essi"16.
La semplice scelta dei termini per descrivere l’azione compiuta dagli attori della notizia richiede
sempre un giudizio sul significato dell’azione. Il linguaggio non è mai neutro: omicidio (non colposo) /
assassinio (omicidio colposo); aborto (naturale o intenzionale) / interruzione volontaria della
gravidanza (aborto intenzionale depotenziato dalla sua valenza immorale); vittime civili / “danni
collaterali”; militante/terrorista; e via di pari passo.
Quindi, l'obiettività, così intesa, cioè come semplice anonimato valutativo dell'autore, un nascondersi
dietro l'impersonalità del narratore, altro non è che un surrogato della verità. E diviene in realtà un
sotterfugio della confusione e quindi della menzogna.
Dire che cosa è accaduto non è mai neutro, quando si tratta di parlare di azioni umane; implica sempre
il valutare, il giudicare. E il giudizio può essere conforme alla verità oppure no. Rinunciare a valutare
non è rinunciare a schierarsi, anzi è la rinuncia a pensare e ad informare con verità, cioè appunto
informare: "Dobbiamo tenere conto del fatto che fa parte del compito del giornalista una certa
14
Gabriel Galdón López (1999). Informazione e disinformazione: Il metodo nel giornalismo,
Roma: Armando. Si vedano in particolare le pagine 27-62 del capitolo sul “giornalismo oggettivista”. Il
libro di Galdón ha avuto un seguito, una attualizzazione posteriore: Infoética: El periodismo liberado
de lo políticamente correcto, Madrid, Ediciones CEU, 2019.
15
Muñoz Torres, J. R. J. R. 2012. “Truth and Objectivity in Journalism: Anatomy of an Endless
Misunderstanding.” Journalism Studies 2012 (4): 566–582
16
Wesley G. Pippert (1989). An Ethics for the Press. A Reporter’s Search for Truth, Georgetown
University Press, Washington, p. 5.
interpretazione dei fatti descritti (...) Per interpretazione non si intende un’arbitraria e capricciosa
modellazione del fatto secondo categorie esterne, forzate o astrattamente ideologiche” 17.
La fairness, la regola del bilanciamento dei fatti, delle versioni contrapposte dei fatti, è stata, e
continua a essere considerata una sorta di assioma “morale” per il giornalismo anglosassone di qualità,
specie quello americano. Tuttavia, come faceva notare Montanelli, si tratta di una mera tecnica per
far credere al lettore che siamo obiettivi, e consiste nel distacco dinanzi a ciò che si scrive, ed è una
tecnica che si impara facilmente. "Gli americani e gli inglesi - aggiungeva Montanelli - sanno molto
bene rendere un’apparenza di obiettività ai loro reportage, poiché non dicono mai "è accaduto tale o
quale". Precisano sempre: "secondo tale o quale fonte…", e di seguito citano le fonti che convengono
loro, per difendere le loro tesi, perché essi hanno sempre una tesi"18.
Il vecchio paradosso secondo il quale la selezione dei fatti comporta già un criterio di selezione è stato
brillantemente descritto da Dostoevskij nel suo romanzo "I Demoni". La protagonista, Lizaveta
Nikolaevna, propone con passione un'impresa letteraria all'editore Satov: una raccolta dei fatti più
caratteristici della vita russa di un intero anno.
“Si pubblica in Russia – argomenta la Lizaveta- una quantità di giornali della capitale e di
provincia e di altre riviste, e vi si dà ogni giorno, notizia di un gran numero di avvenimenti.
L’anno finisce e i giornali si ammucchiano ovunque negli armadi, o si sporcano, si stracciano,
o vengono usati come cartocci o copricapo…Molti fatti pubblicati fanno impressione e restano
nella memoria, ma poi con gli anni si dimenticano. Molti poi vorrebbero informarsi, ma quale
fatica cercare in quel mare di fogli”. La donna proseguì con calore e profusione di argomenti
nella difesa del suo progetto letterario e l’editore cominciò a capire: “Insomma verrebbe fuori
qualcosa di tendenzioso, una scelta di fatti visti in base a una certa tendenza”, mormorò Satov
senza sollevare il capo. “Niente affatto, non bisogna sceglierli secondo una tendenza e non ci
deve essere nessuna tendenza. La sola imparzialità, ecco la tendenza”. Satov le risponde: “Ma
la tendenza non è un male e non si può farne a meno se si opera una selezione qualsiasi. Nella
selezione dei fatti ci sarà sempre un’indicazione sul modo di interpretarli. La vostra idea non è
male”19
Il giornalista Jay Rosen, direttore di "Public Life and the Press" e sostenitore del "giornalismo
pubblico", respinge l'idea dell'obiettività giornalistica. Egli sostiene che i media hanno una natura
narrativa che non può essere asettica, e che la ricerca dell'obiettività può portare a un’elusione delle
responsabilità del giornalista20. Alcuni considerano addirittura l'obiettività come una patologia.
Christians sostiene a ragione che "l'obiettività non è solo impossibile, non è nemmeno desiderabile.
17
G. Betettini e A. Fumagalli. Quel che resta..., cit. p. 39. Per un’approffondimento sul
significato dell’interpretazione nel giornalismo, vedere Norberto González Gaitano, La narración y la
interpretación..., cit. pp. 30 e ss.
18
Intervista apparsa sul giornale spagnolo ABC, 30.3.97, p. 12.
19
Fiodor Dostoievski. I Demoni, p. 134. L’enfasi è mia.
20
Cit. in María José Canel e Santiago Fernández-Cubieda (1995). Cómo sobrevivir a una
campaña electoral demasiado larga in “Nuestro Tiempo”, nov. 1995, n. 497, p. 74.
Non si può separare il fatto dal valore, l'osservazione distaccata è irraggiungibile. L'obiettività è un
oxymoron"21.
Si sottolinea che l'obiettività come ideale giornalistico è stata messa in discussione già alla fine degli
anni '90, come dimostrano diverse fonti, tra cui l'opera di Mindich Just the Facts. How Objectivity Came
to Define American Journalism (1998) 22 e la rimozione del dovere di obiettività dai codici etici del
Society of Professional Journalists negli Stati Uniti (1996) e dalla Charter della BBC (2006). Un
editorialista del Wall Street Journal, Robert L. Bartley, ha persino affermato che i recenti scandali della
BBC e del New York Times dimostrano che l'obiettività è morta.
In seguito a questa perdita di obiettività, un nuovo paradigma ha preso forma, con la verità intesa
come "costruzione". Tuttavia, questa transizione varia a seconda dei paesi e degli ambienti culturali.
Analizzo di seguito sinteticamente questa versione.
L'analisi dell'evoluzione epistemologica della verità come "costruzione sociale" supera i confini di
questa lezione. In sintesi, si può affermare che la concezione della verità come costrutto sia il risultato
di un approfondito e persistente processo di decostruzione accademica della nozione di oggettività.
Questo processo segue la frattura operata da Nietzsche sulla grande narrazione dell'Illuminismo, come
evidenziato dagli eredi del genio tedesco del sospetto, tra cui costruttivisti, decostruzionisti e
sostenitori del relativismo.
Vorrei illustrare la mia tesi fornendo due esempi: la filosofia (i presupposti epistemologici) della
famosa ed utile enciclopedia digitale Wikipedia, e la copertura mediatica di un noto caso di cronaca in
Italia che ha suscitato un forte interesse nella stampa anglosassone.
Wikipedia incarna l'"ideologia dell'apertura", un principio cardine della cultura di Internet. Per questa
enciclopedia digitale, che si è affermata come una delle risorse più utilizzate su Internet, la verità è
una questione procedurale, ossia la verità procedurale. Mentre si rifiuta esplicitamente e
rigorosamente l'idea di una verità esterna, l'unico criterio per includere qualcosa in Wikipedia è la sua
verificabilità attraverso fonti, non la sua verità oggettiva e intrinseca [Wikipedia: Verifiability].
Wikipedia è essenzialmente un "sistema solido di affermazioni, la cui funzione principale è stabilire la
veridicità di una dichiarazione; una verità che deve essere neutrale, non originale, pubblica, affidabile
e sempre verificabile. È quindi un insieme di regole scritte che delineano le procedure corrette da
seguire, che sono alla base dell'intero progetto" (p. 110) 23. In altre parole, la verità è una costruzione
sociale di natura discorsiva e in continua evoluzione, ma non è qualcosa che si trova o si scopre.
21
Christians, Clifford; Ferré, John P. e Fackler, P. Mark (1993). Good News. Social Ethics and
the Press. Oxford Univeristy Press, p. 118.
22
David T. Z. Mindich (1998). Just the Facts. How Objectivty Came to Define American
Journalism, New York University Pres
23
Nathaniel Tkacz (2014). Wikipedia and the Politics of Openness. The University of Chicago
Press, p. 110.
Nathaniel Tkacz propone una critica acuta di Wikipedia, smantellando alcuni dei suoi principali pilastri
e principi: il principio di verificazione (una voce esiste solo se c'è una fonte verificabile da citare); il
principio della neutralità (in caso di conflitto tra più voci, tutte le versioni devono essere presentate e
si deve scegliere la versione più neutrale); il presupposto che una voce debba poter essere gestita in
modo collaborativo tra gli utenti (ad-hocracy, che è l'opposto di meritocrazia o burocrazia); e infine, il
principio di apertura dell'intero progetto (l'enciclopedia), inteso come la possibilità di replicare
l'impresa da parte di chiunque dissentisse dalla direzione di rotta in corso d'opera, avvalendosi del
lavoro fin lì compiuto, proprio perché l'impresa è collaborativa e quindi "di tutti".
Non bisogna trascurare l'importanza delle origini del pensiero filosofico dei fondatori di Wikipedia,
Jimmy Wales e Larry Sanders. Larry Sanders ha sviluppato la sua tesi di dottorato su "Circolarità
epistemologica: un saggio sul problema della meta-giustificazione", mentre la voce su Wikipedia di
Jimmy Wales, nella sezione "Il pensiero e le influenze", chiarisce che è un "oggettivista" e un convinto
discepolo di Ayn Rand.
Il caso di Meredith Kercher, un evento di cronaca italiana con impatto mediatico internazionale, vede
la studentessa inglese trovata morta nel novembre 2007 nella sua camera da letto a Perugia, dove era
in visita nell'ambito del progetto Erasmus presso l'Università di Perugia. L'omicidio è stato attribuito a
Rudy Guede con una condanna definitiva. Il processo è stato travagliato, con Amanda Knox e Raffaele
Sollecito inizialmente condannati in primo grado come concorrenti nell'omicidio, per poi essere assolti
e condannati nuovamente in iter giudiziario successivo, finendo infine per essere entrambi assolti nel
2015 dalla Corte di Cassazione. Questo caso ha attirato l'attenzione a livello internazionale,
soprattutto nel mondo anglosassone, a causa delle nazionalità coinvolte.
Silvano Petrosino commenta la "costruzione di una notizia" durante un servizio del telegiornale della
RAI 2 riguardante la prima sentenza assolutoria di Amanda Knox e Raffaele Sollecito:
“la ‘notizia’ d’apertura sulla sentenza, attesa per la serata, dura dodici minuti (…) Durante quei
lunghissimi minuti si è detto di tutto ma anche di niente; in effetti la notizia non c’era, non si
è data alcuna nuova, ma si annunciava, creando e incrementando l’attesa, una prossima
notizia (…) E parte la registrazione, con il risultato che il telegiornale non parla più dell’omicidio
di una ragazza, ma, annunciando che parlerà ancora quando si conoscerà la sentenza (futuro),
si mette a parlare (presente) di come aveva parlato (passato). In questo modo si saturano tutti
gli spazi e tutti i tempi…Informazione vorace, che vuole stare sempre sulla scena. All’interno
di questo gioco di prestigio Amanda Knox, Raffaele Sollecito ma soprattutto Meredith
Kerchner giocano un ruolo assolutamente secondario: non sono altro che un pretesto per la
redazione di una grande testo di magia” 24
Il primo dei surrogati della verità, l'obiettivismo, come correttamente identificato da Galdón in questa
distorsione del termine "obiettività", deve essere giustamente respinto, e l'obiettività deve essere
ripristinata nel suo vero significato. È un termine comune nel linguaggio quotidiano che indica
l'equanimità di giudizio derivata da uno sguardo aperto alla realtà, uno sguardo che non trascura alcun
dato a priori, anche quelli che potrebbero non essere graditi. Questa è fondamentalmente una
richiesta di onesta ricerca della verità.
24
Silvano Petrosino. Caso Meredith: come si “costruisce” una notizia, Avvenire, 11.10.2011.
L'obiettivismo riduce l'obiettività a un meccanismo di routine nell'attività giornalistica25, una mera
tecnica testuale che si impara rapidamente. Raggiungere quella "sostanziale adeguatezza di tipo
retorico-narrativo al fatto", come definito da Fumagalli e Bettetini26, va ben oltre una mera strategia
testuale.
In fondo, la comprensione giornalistica dell'obiettività si è sviluppata in due tendenze, due poli che
vengono talvolta scambiati come se fossero identici: la neutralità e l'imparzialità.
La neutralità significa e implica indifferenza verso i valori, considerando tutti i valori come uguali. La
conseguenza logica è che nessun valore è veramente tale, conducendo alla negazione di tutti, un
approccio che potremmo giustamente definire nichilismo. La conclusione è chiara: non si può mai
essere neutrali.
Va comunque fatta un'opportuna precisazione sul valore prudenziale della "fairness" nelle
controversie. Fino a quando non c'è un riscontro sulla verità di una delle parti, sembra prudente offrire
ad entrambe la possibilità di esprimere la propria versione. Tuttavia, è essenziale considerare questa
prudenza come una "clausola di stile etico", non come una garanzia automatica di obiettività o
veridicità. Invocare tale clausola può essere l'unico mezzo per esprimere la verità di una parte quando
non ci sono altre vie per far chiarezza. Questo va però distinto dalla sincerità. In questo contesto, si
collega un secondo concetto correlato agli altri due: il concetto di imparzialità.
Imparzialità: Il termine deriva dall'amministrazione della giustizia e si riferisce alla condizione del
giudice, colui che amministra la giustizia al di sopra delle parti. Si tratta quindi di un prerequisito per
l'amministrazione della giustizia, una garanzia che può consentire di raggiungerla. Tuttavia, alla fine,
il giudice emette una sentenza sulla pretesa che ritiene giusta, appartenente a una delle parti.
Da qui deriva il valore della virtù soggettiva dell'imparzialità, dell'essere equilibrati e equanimi.
L'imparzialità può essere acquisita o coltivata, e anzi, per cercare la verità è necessario essere e
mostrarsi imparziali.
Questa tensione tra i due poli spiega perché, dopo la demolizione accademica dell'oggettività
avvenuta due decadi fa e alla luce dei disastrosi risultati delle arbitrarietà "costruzioniste" delle notizie,
ci sia stato un tentativo di riabilitare l'obiettività. Un esempio è l'opera di Steven Maras: Objectivity in
Journalism27. Secondo Maras, che esamina gli argomenti a favore dell'oggettività, "ciò che è evidente
è che qualsiasi semplice rifiuto dell'oggettività è complicato".
25
Gaye Tuchman (1978). Making News. A Study in the Construction of Reality, MacMillan
Publishing Co., New York.
26
G. Bettetini e A. Fumagalli, cit., p. 38
27
Steven Maras: Objectivity in Journalism. Polity Press, Cambridge 2013
28
Ob. cit. pp. 206-207
chiara di cosa sia l'obiettività. È importante anche per gli studiosi, come sottolinea lo stesso Maras:
"[L'obiettività, tuttavia, è] una pietra di paragone etica impopolare".
Dopo un lungo e persistente lavoro di demolizione accademica della nozione di oggettività, in seguito
alla rottura di Nietzsche della grande narrativa dell'Illuminismo compiuta dagli eredi del genio tedesco
del sospetto (costruttivisti, decostruzionisti e relativisti vari...), qualcosa che punti al 'mondo esterno'
è ancora cercato dai giornalisti, come afferma l'ex direttore della BBC Thompson, citato da Maras:
La soluzione al problema, a mio avviso, non è il recupero dell'obiettività, anche se in una forma meno
"ingenua". La soluzione è tornare al realismo veritativo29, parlare senza ambagi né paure della verità,
della possibilità della mente umana di conoscerla e raccontarla. Altrimenti, non si esce dal vicolo cieco
di una epistemologia difettosa o insufficiente. Maras, coerentemente con le sue premesse
epistemologiche, afferma che "l'obiettività non deve essere legata all'idea di una realtà che esiste
indipendentemente dalla nostra mente" (l'enfasi è mia). Certamente, l'oggettività non ne ha bisogno;
la verità ne ha bisogno disperatamente. La questione è che l'oggettività era (ed è) un povero surrogato
della verità.
Dopo tanti anni di decostruzionismo, avremmo dovuto imparare la lezione. La domanda è se avremo
il coraggio di andare oltre, cioè di tornare alle fonti: Aristotele e il recupero dell'epistemologia
aristotelica negli autori del XX secolo, a cominciare dalla filosofia analitica, ciò che proprio manca nelle
spiegazioni di Maras: Anscombe, Searle, McIntyre, ecc. McIntyre in particolare non può essere
ignorato, poiché è il primo nella tradizione inglese a confutare la divisione epistemologica humeana
di Hume: la separazione fra "is-ought" judgements.
Certamente, la persona che conosce e la cosa conosciuta non costituiscono una coppia binomiale
semplicistica, ma sono correlate, intrecciate e si influenzano reciprocamente. Possono anche essere
differenziate, distinzione che applichiamo costantemente nella vita di tutti i giorni, specialmente
quando giudichiamo la comprensione dei fatti da parte degli altri o correggiamo la nostra
comprensione basandoci sulla mancanza di prove. Questo processo avviene spontaneamente nel
giornalismo, senza che sia necessario fare ricorso a regole epistemologiche o linee guida editoriali: è
la grammatica spontanea del giornalismo.
Riguardo alla mia critica precedente, il dibattito sull'obiettività è, in ultima analisi, un problema che
rientra nei confini del positivismo, nella matrice illuminista che ha caratterizzato il giornalismo dalla
sua nascita fino ad oggi. Galdón, più volte citato, aveva già dimostrato ciò prima dell'avvento di
Internet, e la sua diagnosi rimane valida, poiché la tecnologia ha semplicemente moltiplicato senza
limiti le possibilità di informare o disinformare da parte dei detentori del potere nei media.
29
Juan Ramón Muñoz Torres. “Objetividad y verdad. Sobre el vigor contemporáneo de la
falacia objetivista”, in Revista de Filosofía, 27 (1), (2002): 161-190
Maddalena e Gili30 (2017) hanno dimostrato a sufficienza che il recente dibattito sulla post-verità e
sulle fake news, scaturito da eventi inaspettati come Brexit, l'elezione di Trump e il referendum sulla
pace in Colombia, non è altro che la nuova veste di un vecchio problema.
Il dibattito sulle fake news e sulla post-verità, così come quello sull'obiettività, se vuole essere serio e
produttivo, e non una mera arma strumentale per delegittimare l'avversario con argomenti ad
hominem, deve tornare a concentrarsi sulla verità, sulla nostra capacità di raggiungerla e raccontarla,
sia essa filosofica o religiosa, sia la più minuta e umile verità giornalistica.
Il professore Brajnovic, un giornalista croato esiliato in Spagna nel 1944 perseguitato prima dai fascisti
e poi dai comunisti, e successivamente docente nella prima Scuola Universitaria di Giornalismo in
Europa, ha delineato il profilo del "sesto giornalista" in una celebre sua conferenza. Riproduco le sue
parole, in cui, in contrasto con i cinque aspiranti giornalisti, emergono le virtù e i vizi del giornalismo:
"Il sesto giornalista è colui che lotta per conquistare o conservare il suo posto. Esiste, lavora,
soffre ed è consapevole del proprio dovere. Si denomina giornalista indipendente, il che non
significa privo di criterio o di ideali. Al contrario, in realtà, lo si può semplicemente chiamare
giornalista, senza alcun particolare aggettivo. Non è trionfalista, né fanatico né egoista; è
invece un sognatore, ed anche un po' poeta, ed affonda le sue radici nei concetti proprio della
professione. Sa che in tutte le tappe e in tutte le sue dimensioni, il giornalismo ha molto di
valido e di buono, forse in grado maggiore che in altre professioni. Questo giornalista è
disposto a imparare, dai cinque che lo precedono, tutto il possibile e tutto ciò che può servire.
Talvolta, quanti ho definito conservatori, lo richiamano alla responsabilità; i progressisti lo
invitano allo sforzo, per non invecchiare tra carte e raccoglitori; gli anonimi – per contrasto –
gli chiedono di appoggiarli in un giustificabile e giustificato ottimismo, contrario all'astio e
all'indifferenza; i contestatori lo mettono in guardia contro l'assurdo rappresentato del neo
trionfalismo e dall'autocompiacimento; ed i clandestini lo incoraggiano ad essere tenace
quando sono in gioco i principi fondamentali e la libertà delle coscienze. Questo sesto
giornalista – conclude Brajnovic – è consapevole che il proprio lavoro deve servire a un diritto
universale, al progresso umano, alla creazione dei valori che si riferiscono alla cultura ed alla
convivenza di tutti i cittadini, per tutti gli uomini e le società. È un giornalista – in sintesi –
attrezzato dal punto di vista intellettuale e morale per svolgere il suo lavoro con onestà
indiscussa" (la sottolineatura è mia)."
30
G. Maddalena e G. Gili (2018). Chi ha paura della post-verità. Effetti collaterali di una
parabola culturale, Marietti, Bologna.
Questa modesta verità giornalistica non si identifica con la mera precisione (accuracy): sappiamo bene
che fatti accurati possono talvolta fuorviare e ingannare31 o che a certi fatti si possono contrapporre
altri fatti. Tale verità modesta è semplice e chiara, accessibile a tutti; è liberatrice, plasmando cittadini
emancipati; infonde fiducia e sicurezza, evoca certezza; è rivelatrice (nel senso originale del termine
greco "aletheia"), cioè illuminante; tocca il cuore, il nocciolo dell'argomento: durante la campagna
elettorale di Jimmy Carter, fino ad allora uno sconosciuto, un giornalista capì che poteva arrivare alla
Casa Bianca e disse: "Quest'uomo può diventare presidente. Dobbiamo presentarlo al popolo
americano."
Si potrebbero aggiungere altre annotazioni che rimandano ad altrettante virtù intellettuali e morali
del giornalista. Tuttavia, esse esulano da questa sede, pertanto mi richiamo a Galdón López nel libro
sopra menzionato32.
La verità giornalistica, minuta, umile e modesta, si scontra, come è evidente per chi si impegna a
scoprirla e raccontarla, con numerosi ostacoli e difficoltà, sia interne che esterne. Dal punto di vista
personale, richiede di liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi, di documentarsi, formarsi, di superare
la paura verso le figure di potere e di evitare imprudenze e eccessi di fiducia nel proprio giudizio. Dal
punto di vista esterno, impone di aggirare la censura, legale e di ambiente; di destreggiarsi fra la
disinformazione, le filtrazioni fuorvianti, le pressioni politiche ed economiche, anche quelle
provenienti dalla propria azienda; e di disattendere i cliché, tra altre sfide.
In sintesi, osserviamo che la verità, anche quella "piccola" e concreta giornalistica, è sempre una
scoperta che coinvolge non solo il giudizio ma l'intera persona.
31
In una conferenza sull’etica giornalistica, Marianne Jennings, giornalista e professoressa di
Etica nella Università statale dell’Arizona raccontava questa divertente storia sul proprio figlio Sam:
“Mio figlio Sam non direbbe mai una vera e propria menzogna, ma è disposto a dire meno di tutta la
verità. L'insegnante di seconda elementare scriveva il suo nome sulla lavagna se non rispettava le
regole. Io e mio marito gli chiedevamo ogni giorno, dopo la scuola: "Hanno messo il tuo nome sulla
lavagna?" e lui rispondeva con sincerità. Quando frequentava la terza elementare, facevamo la stessa
domanda e la risposta era sempre "No". Eravamo entusiasti del fatto che la sua condotta fosse
diventata così esemplare. Poi abbiamo saputo dalla sua insegnante che lei aveva cambiato “politica
educativa”; i nomi non venivano più scritti alla lavagna, ma su schede. Noi tornammo a casa
dall'incontro genitori-insegnanti per affrontare nostro figlio: "Sam, ci hai ci hai mentito. Ci hai detto
che eri bravo". Sam ha risposto con serietà, "No, non vi ho mentito. Mi avete chiesto se avevo il mio
nome sulla lavagna, e la risposta era sempre 'no'". Mio marito mi guardò e sospirò. "Cara", disse,
"stiamo crescendo un presidente". Marianne Jennings. “The Evolution—and Devolution—of
Journalistic Ethics”, in Imprimis, 28 (7), p.3
32
Galdón López, cit. pp. 173-200