La Grammatica Di Cristo Di Pier Damiani
La Grammatica Di Cristo Di Pier Damiani
La Vita Romualdi è stata oggetto di molteplici studi in quanto fonte storica e - per lo meno a
motivo della sua fortuna - in quanto pezzo esemplare di una tradizione agiografica; se ne sono
scandagliate le fonti dirette e indirette, le ispirazioni vicine e lontane, gli intendimenti
programmatici, il messaggio spirituale che vi è sotteso, quanto vi si possa attingere per ricostruire
un ritratto attendibile di un personaggio senza dubbio atipico quale fu Romualdo, e quanto essa
testimoni invece l'ideale monastico del giovane Pier Damiani1. L'edizione imminente di tutto il
dossier agiografico di Pier Damiani nel contesto della sua Opera Omnia ne offrirà un bilancio
aggiornato2. Meno attuale, anche se non mancano preziosi studi al riguardo 3, lo studio della
fisionomia lussureggiante dello stile - ancora ben carico della recente esperienza secolare e
intellettuale del suo autore, del resto mai dimentico della grammatica dei colores retorici anche
quando proclama a gran voce che la sua grammatica è Cristo 4 - e del ruolo che questo stile esercita
nell’orientare la lettura. Tutto sommato è abbastanza facile, con un occhio addestrato, reperire i
singoli artifici retorici sparpagliati ovunque nella prosa damianea, ed è probabile che l'autore
volesse suscitare l'interesse e l'attenzione del lettore del suo scritto proprio facendo leva su questa
singolarità, emergente spesso ad opera di veri e proprio effetti sorpresa; basti al riguardo ripetere
l'avvertimento, ovvio per chi conosca l'età antica e medievale, che il destinatario resta sempre
soprattutto un uditore di una lectio a voce alta, e che quindi i giochi retorici spesso consistono in (o
si connettono con) figure di suono: il cursus in primo luogo, poi in particolare allitterazioni e
assonanze5. Ma forse il livello di osservazione può essere approfondito.
Di fatto la Vita Romualdi costituisce - proprio perché "leggenda" agiografica, cioè racconto (con
andamento fondamentalmente diacronico) di una vita esemplare - primariamente un'opera
narrativa; in quanto tale ci si può chiedere se non abbia un suo impianto narrativo, con la sua
linearità di fabula e la sua struttura di intreccio, com'è caratteristico di ogni comunicazione
"diegetica" che voglia suscitare l'interesse attivo del suo destinatario. Ovviamente non si pretende
di attribuire al testo e al suo autore particolari intendimenti artistico-narrativi secondo le nostre
categorie e le nostre aspettative (cadde perfino il Tabacco in questa trappola, finendo
1
Basti qui il rimando alla Bibliografia di Pier Damiani curata da Ugo Facchini, in corso di stampa presso Città
Nuova, Roma.
2
Si fa rimando all'edizione diretta da G.I. Gargano edita da Città Nuova, di cui sono finora usciti i primi quattro
tomi del vol. I contenenti le Lettere (1-21, Roma 2000, 22-40, 2001, 41-67, 2002, 67-90, 2005), curati da I. Gargano,
N. D'Acunto e L. Saraceno, e il vol. IV, Poesie e preghiere (Roma 2007) curato da U. Facchini e L. Saraceno. Il
dossier agiografico sarà curato da Umberto Longo e dall'autore di queste note, che costituiscono un'anticipazione
dell'introduzione prevista per quel volume. Da ultimo è uscita la silloge I padri camaldolesi. Privilegio d'amore. Fonti
camaldolesi. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, a cura di C. Falchini, Qiqajon, Magnano 2007,
contenente anche la Vita Romualdi e la Vita quinque fratrum con traduzioni nuove o riviste e con aggiornati riferimenti
bibliografici.
3
Essi peraltro non assumono la Vita Romualdi come oggetto di analisi specifica. Cf. G. BERTONI, Lingua e
stile di S. Pier Damiani, in S. Pier Damiani. Atti del convegno di studi nel IX centenario della morte (Faenza, 1972),
s.d. [ma 1973], pp. 61-70, ma soprattutto A. CANTIN, Les sciences séculières et la foi. Les deux voies de la science au
jugement de S. Pierre Damien (1007-1072), Spoleto 1975, in part. le pp. 115-150; 296-374; dello stesso si vedano
anche le annotazioni stilistiche in PIERRE DAMIEN, Lettre sur la toute-puissance divine, a cura di A. CANTIN, Paris
1972 (SC 191), pp. 265-349. Mi sono cimentato in qualche esercizio di lettura in alcuni studi che hanno accompagnato
la preparazione dei volumi dell'Opera Omnia: cf. L. SARACENO Solitudine e comunione: la dimensione pneumatica e
il ruolo ecclesiale del carisma eremitico.Romualdo e Pier Damiani tra carisma e istituzione,«Sacris Erudiri»
43(2004), pp. 261-279; IDEM, L’amicizia spirituale: un tratto del carisma romualdino-camaldolese?, in Il carisma nel
secolo XI. Genesi, forme, dinamiche istituzionali, Atti del XXVII Convegno del Centro Studi Avellaniti, Fonte
Avellana 30-31 agosto 2005, S. Pietro in Cariano (VR), pp. 167-185.
4
Cf. Lett. 21, 2 (PIER DAMIANI, Lettere 1, cit. p. 375).
5
È anche in questo quadro che va spiegato, a mio avviso, il frequente ricorso alla paranomasia.
1
inevitabilmente per dichiarare che "una speciale cura nel comporre in unità tante cose non c'è", e
dunque che "La Vita Romualdi non è fra le cose migliori di Pier Damiani"6); ma è pur vero che
l'autore, il quale ha, come si è richiamato, una perfetta padronanza dello strumento espressivo e fa
di tutto per dimostrarlo, non può non essere preoccupato di sfruttare le sua competenza retorica per
attrarre il suo lettore verso il proprio soggetto, suscitare emozioni, richiami e suggestioni,
contemperando adeguatamente dispositio ed elocutio. Le note che seguono propongono qualche
itinerario di indagine formale7, che può forse risultare di qualche utilità anche per una valutazione
del significato e della finalità di quest’opera, la quale, non va dimenticato, fu a suo tempo celebre e
stimata, sia pure in termini contraddittori, anche da lettori prestigiosi ed esigenti quali il Petrarca8.
Al lettore anche meno smaliziato la Vita Romualdi appare, e vuole apparire, come narrazione della
vita di un santo "in movimento"9. Più volte il narratore si preoccupa di avvertire il lettore che i
viaggi e gli spostamenti ripetuti, quasi frenetici nel ritmo della lettura, non sono in contraddizione
con il principale impulso eremitico che anima Romualdo10: si sta raccontando cioè la vita di un
itinerante, che però non è girovago (genere di monaco da aborrire, come già avvertiva la Regula
Benedicti11) e dunque instabile, perché ciò che lo muove è l'aspirazione alla solitudine sempre più
radicale dello stare a tu per tu con Dio (è d'obbligo il riferimento alla Vita Antoni di Atanasio12),
unita all'impazienza di fronte alla possibile sterilità. Siamo a ben vedere di fronte al convivere di
due dimensioni antitetiche: la stabilitas, fino alla sua forma più radicale della reclusione, che fra
l'altro sigilla emblematicamente anche la conclusione della vita, una sorta di sepoltura anticipata
(cf. cap. 70), e la peregrinatio. Nel vario e inquieto spostarsi di Romualdo per l'Italia e l'Europa
nessun luogo risulta mai adeguato alla ricerca della santità estrema e perfetta, ma ogni luogo è
occasione di una solitudine purificatrice, da cui però emerge, come frutto quasi paradossale, la
fraternità dei discepoli: almeno nella forma della comunione di una sorta di laura semianacoretica,
se non in quella di un monastero vero e proprio. Per cui ogni peregrinatio volta alla solitudine
produce in realtà il doppio frutto del reclusorio e della fraternità.
All’opposizione stabilitas /peregrinatio, sia pure senza corrispondenze precisamente determinabili,
si sovrappone in questo modo l'altra opposizione cenobio/eremo; il cenobio d'altra parte a sua volta
implica spesso l'invidia o l'opposizione dei fratelli, o la cattiva guida di un abate, per cui nasce la
necessità di cercare altri luoghi in cui ritrovare la solitudine. Siamo insomma di fronte a una serie
di opposizioni polari che peraltro si innestano sull'antitesi fondamentale nella "teologia monastica"
di Pier Damiani, quella tra saeculum e sacra conversatio, o sacra religio: antitesi espressa fin
dall'incipit dell'opera, in cui ci si rivolge al "mondo immondo", in cui 'immondo', per la figura
retorica della paranomasia e del bisticcio, è da intendere non solo in senso di morale di 'impuro',
ma in quello di 'stravolto', 'non-mondo'13. Proprio per questo nel cuore di Romualdo (o forse più in
6
PETRI DAMIANI, Vita Romualdi, a cura di G. Tabacco, Roma 1977, pp. LVI e LVII (d'ora in poi citata come
VR).
7
A poco serve, nella prospettiva che abbiamo assunto, lo studio di A.CALAMONERI, San Pier Damiani
agiografo, in San Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972), IV, Cesena 1978, pp. 147-210 (sono
dedicate specificamente a Vita Romualdi le pp. 173-178).
8
Cf. F. PETRARCA, De vita solitaria, II,VIII, in IDEM, Prose, a cura di M. Martellotti e di P.G. Ricci, E.Carrara,
E. Bianchi, Milano-Napoli 1955, pp. 462-475.
9
Mutuo l'espressione da N. D'ACUNTO, Un eremita in movimento. Il Romualdo di Pier Damiani, in San
Romualdo. Storia Agiografia e Spiritualità, cit. pp. 97-129.
10
Cf. soprattutto VR 48, pp. 90-91; e ancora VR 33, p.71; 43, p. 85.
11
Cf. BENEDICTI Regula, rec.R. Hanslick, Vienna 1977, 1, 10-13, p. 20.
12
Cf. M.G. BIANCO, La Vita Romualdi e la Vita Antonii: motivi letterari tra continuità e innovazione, in Le
Abbazie delle Marche. Storia e arte. Atti del Convegno internazionale, Macerata 3-5 aprile 1990, Cesena-Macerata
1992 (Italia Benedettina 12), pp. 209-229.
13
Cf. VR, prol p. 9.
2
quello del suo agiografo?) tutto il mondo avrebbe dovuto idealmente trasformarsi in un monastero
(cf. cap. 37).
Il gusto dell'antitesi, che sta sotto tutte queste polarità, è peraltro la cifra predominante dello stile
letterario di tutta l'opera letteraria di Pier Damiani, se non anche del suo carattere spirituale. Certo
è artificio retorico che ha la sua radice negli scritti neotestamentari, impegnati a rappresentare
concettualmente l'umanità e la divinità di Cristo e tutto il mistero della redenzione che vi è
connesso (basti pensare a un testo cristologico paradigmatico come l'inno di Fil 2, 5-11); e a
partire di lì è forma classica di tutta la riflessione patristica teologica e spirituale14. Ma è indubbio
l'insistere compiaciuto del nostro autore, anche al di fuori di questo ambito, per esaltare le
potenzialità espressive che l'uso di questa figura può provocare, e attraverso ciò traspare l'animus
battagliero di chi scrive, che da questo punto di vista si specchia nelle dimensioni provocatorie
della santità del suo eroe15.
Un lettore appena più smaliziato, con qualche conoscenza delle opere agiografiche che circolavano
nella cultura dell'XI secolo, è poi sollecitato a richiamare alla mente una serie di risonanze,
esplicite ed implicite, con altri testi che costituiscono il modello di riferimento nei contenuti e nella
forma per Pier Damiani, neofita nel genere e più in generale (visto che l'opera è stata scritta nel
1042) nella scrittura di testi a carattere spirituale ed edificante. Un primo modello che deve
risultare evidente a qualsiasi lettore non digiuno di buone letture è quello dei Dialoghi di Gregorio
Magno16; un secondo modello, più sotterraneo, ma a mio avviso non meno attivamente presente a
Pier Damiani, forse non è identificabile in un'opera specifica, ma in un humus letterario e in un
clima spirituale diffuso, quello delle peregrinationes pro Christo dei monaci/asceti itineranti. Del
resto la cosa è ben prevedibile, visto il particolare rilievo che proprio in età ottoniana assumono
varie esperienze eremitiche con tale connotazione17. Sul piano più strettamente formale e narrativo,
di cui qui si viene discorrendo, penso che la compresenza dei due modelli abbia condotto ad
elaborare quella dialettica dei contrasti cui prima si faceva cenno: quella di Romualdo è
peregrinatio sì, ma sui generis: è una peregrinatio che è volta a trovare il luogo del suo fermarsi
nella stabilità della reclusione. Abbiamo come una sorta di diastole e sistole che costituiscono
come il ritmo secondo il quale leggere e interpretare il valore esemplare di una vita, probabilmente
già di per sé atipica nel suo reale svolgersi rispetto alle convenzioni agiografiche, e quindi
difficilmente riconducibile ad un'unica chiave espositiva.
Lo stesso modello dei Dialoghi di Gregorio agisce in modo che si direbbe dialettico: il vir sanctus
Romualdo è certamente presentato come emulo del vir Dei Benedetto, ma anche come altro
rispetto al padre del monachesimo occidentale. Benedetto è passato dall'eremo al cenobio;
Romualdo, potremmo dire, è passato dal cenobio, che nella sua esperienza risulta sempre quasi
inevitabilmente segnato dalla mediocrità, all'eremo, visto quasi come strumento di messa in crisi,
di riforma del cenobio. Da una parte abbiamo l'abate Benedetto, che nella paternità esercitata sui
monaci trova il più alto grado di espressione della sua maturità spirituale, dall'altra parte il maestro
Romualdo, che con disagio e solo eccezionalmente accoglie le responsabilità di governo, per
lasciarle quanto prima agli altri, e che ordinariamente, per conservare la sua libertà e il suo ruolo
profetico e di autorità spirituale, impone degli abati ai monasteri che fonda; i quali a loro volta,
finiscono tuttavia per smentire regolarmente l'insegnamento del maestro: e ciò ci ripropone, dal
14
Per le radici tardo-antiche di questo procedimento stilistico in ambito agiografico cf. M VAN UYTVANGHE, La
formation du langage hagiographique en Occident latin, “Cassiodorus” 5(1999). pp. 158-169.
15
Qualche osservazione intorno a questo aspetto applicato ad altri testi damianei nella mia introduzione alla sua
opera poetica in PIER DAMIANI, Poesie e preghiere, cit., pp. 101-102.
16
Forse solo a un secondo livello (cioè tenendo conto del termine medio costituito dal libro II dei Dialoghi) va
considerata la funzione di modello della Vita Atanasii, per cui cf. M.G. BIANCO, La Vita Romualdi e la Vita Antonii:
motivi letterari tra continuità e innovazione, cit.
17
Per un panorama complessivo del fenomeno rimando a P. GOLINELLI, Da san Nilo a san Romualdo. Percorsi
spirituali tra oriente e occidente e tra nord e sud intorno al mille, in San Romualdo. Storia Agiografia e Spiritualità, cit.
pp. 65-96.
3
punto di vista letterario, un nuovo gioco delle polarità, quella tra abbas e magister, la quale
potrebbe ricondurre a un’implicita dialettica tra istituzione e profezia18.
Dal punto di vista formale, rispetto al modello gregoriano esiste comunque una differenza
fondamentale di struttura narrativa: l'assenza dei dialoghi appunto tra il narratore di secondo grado,
Gregorio, personaggio fabulans, e il narratario di secondo grado, Pietro, un personaggio che solo
apparentemente è sbiadito nel suo ruolo, in quanto continuamente riflette su ciò che gli viene
narrato e suscita con le sue domande il procedere stesso e l'ordine della narrazione19.
Indipendentemente da altre osservazioni, questi dialoghi, che da un punto di vista narrativo
servono a introdurre, commentare, collegare i vari episodi, svolgono anche il ruolo di cerniere tra
le sequenze, formano insomma il primo livello della struttura del racconto e ne determinano il
ritmo. Nella Vita Romualdi l'assenza di dialoghi similari non può non imporre all'autore altri
artifici che facciano da ordito al proprio racconto, che creino altri ritmi. Ciò, anche in
considerazione della cultura stilistica di Pier Damiani, ci spinge a cercare elementi non solo
contenutistici, ma specificamente retorici20 che possano aiutarci a ricostruire una possibile struttura
dell'opera, quello che l'autore stesso, a conclusione del prologo chiama ordo narrationis21.
La pratica regolare del cursus a fine periodo sintattico ci spinge a concentrare proprio sulle
conclusiones, la nostra attenzione: quando queste figure ritmiche si connettono con altre figure
retoriche, possiamo pensare che lo sviluppo del discorso giunga a una sua tappa retoricamente
messa in rilievo. Inoltre si può osservare che proprio in queste occasioni più spesso si trovano le
intromissioni più evidenti del giudizio da parte del narratore. Propongo nella tabella che segue il
risultato di uno spoglio, certamente non completo e perfettibile, di alcuni artifici retorici utilizzati
da Pier Damiani a conclusione di capitolo (e in qualche caso di sequenze interne ai capitoli). Un
quadro complessivo potrà forse aiutare ad individuare itinerari di lettura più specifici22.
18
Ne discuto, sia pure in diversa prospettiva, nei mio saggi: Solitudine e comunione: la dimensione pneumatica e
il ruolo ecclesiale del carisma eremitico. Romualdo e Pier Damiani tra carisma e istituzione, cit. e in L’amicizia
spirituale: un tratto del carisma romualdino-camaldolese?, cit.
19
Per un esame degli artifici narrativi dei Dialoghi gregoriani cf. S. BOESCH GAJANO, «Narratio» e «expositio»
nei Dialoghi di Gregorio Magno, «Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per l’Alto Medioevo», 88 (1979), pp. 1-33,
ora ripubblicato con aggiornamenti in EAD., Gregorio Magno. Alle origini del Medioevo, Roma, Viella, 2004, pp. 231-
52, e allo status questionis sulle opinioni degli studiosi sul ruolo di Pietro nel contesto della narrazione ivi contenuto.
20
Procedimenti di analisi strutturale e narratologica utili per le indicazioni metodologiche che vi sono connesse
sono utilizzati da W. VERBAAL, Le saint et moi. Le «narrateur»: une donnée structurelle dans l’hagiographie
bernardine, «Hagiographica», IX (2002), pp. 19-44.
21
Cf. VR, prol., p. 12.
22
Si indicano con * le conclusioni retoriche con evidente valore conclusivo di sequenza o comunque di discorso
consequenziale; con # dove il narratore si intromette anche con il suo commento. Nella edizione imminente di VR nel
quadro del dossier agiografico damianeo alcune di queste conclusioni saranno analizzate più analiticamente.
4
6 dum agricolturam exercebant, pondus paradosso
ieiuni duplicabant
7* his igitur et eiusmodi verbis declarabat linguaggio figurato di tipo militare
se cum malignis spiritibus in atie semper
adsistere et fidei se armis accinctum
provocantibus hostibus in campum
protinus obviare
8 satage ut et ecclesiis Christi sua iura parallelismo
conserves et erga subditos…a iustitia
non declines
9 donec ipse qui voluntatem dedit tribuat parallelismi, richiami lessicali, paronomasie, con
etiam aliquando facultatem. relativi effetti fonici, e allitterazioni
Tantummodo orationis incensum mentis
intentio in Deum semel fixa custodiat,
quod exterius veniens cogitationum aura
perturbat. Ubi enim est intentio recta,
contra voluntatem cogitatio veniens non
est nimium formidanda.
10 unde contra Dei servum antitesi e simmetria in parallelismo
concupiscentiam carnis explere ad
saturitatem voluit, inde iusto Deo iudicio
carnalem vitam adhuc ieiunus amisit #
11 divino se servitio inrevocabiliter linguaggio figurato accentuato da replicazione
manciparet fonica di se
12 comitem…commisit; coppie semanticamente connesse; la prima con
subditos…oboedientiam effetto di paranomasia
abscederet…separaret
13 corpus eius perdomuit, donec eius parallelismo e coppia sinonimica
mentem…reduxit
14 postquam aeternam vitam…cernere antitesi
meruit a temporali mox vita defecit
15,a in fracto namque crure didicit quia fidem figure etimologiche, antitesi e allitterazioni
frangere peccatum fuit. Et quia ipse
rationis capax magistro inoboediens
extitit, ad incolomitatis suae custodiam
inrationale animal sessori oboedire
nescivit #
15* sagitta…repercussa…redundaret replicazione del suffisso re- con valore accentuativo
16 quae evidens vulneris inditium quamdiu allitterazione
vir sanctus vixit ostendit
17* quia ipse ab hoste superari minime antitesi e doppia litote
posset, vel ex aliis victoriam non
negaret#
18 uni…eorum oculus evulsus est, et merito chiasmo in antitesi (uni … divisionem … divisus …
divisionem corporeae lucis pertulit, qui etiam si alterum), ripreso dalla conclusione
divisus a proximo, etiam si alterum riassuntiva in parallelismo (geminae caritatis unum
haberet, geminae caritatis unum lumen lumen amisit)
amisit #
20 eatenus erat viridis, ut vix stellioni allitterazioni e assonanze
discolor pareret
22 deinde multis eum detractionum linguaggio figurato
susurrationibus lacerant et duris
scandalorum aculeis vexant
23 crudeliter offenso et crimen indulsit et opposizione offenso/incolumem
incolumem ad propria redire permisit
24* sic bona terra uberes fructus reddidit, linguaggio figurato
quae verbi semen ex ore Romualdi
multiplicatura suscepit #
25 cui innumeri mortales erant obnoxii, iam antitesi
ipse pauperculo Christo subiectus coepit
esse debitor sui
5
27* illum cum aliis Romualdi discipulis linguaggio figurato intorno alla "scola Romualdi", e
…memorare curamus, ut ex eorum laude allitterazione conclusiva
quam magnus vir gloriosus magister
eorum fuerit demonstremus, quatinus
dum celsitudo clientium auribus fidelium
insonat, quam excelsus doctor eorum
fuerit ex scola quam tenuit innotescat #
30* remearet … ieris … revocare … properat accumulo di verbi di movimento
… transfretrat … reverti
32 multis … armis instruxit / de omnibus replicazione che si conclude nell'antitetico heremum
… docuit / cum multa … alacritate ad
heremum remisit
34* prout cuique libuerat proprii sequebatur paranomasia e allitterazioni
libertatem
35 facilius possit Iudeus ad fidem converti, Adunaton e in fine l’allitterazione
quam hereticus latro plene ad
poenitentiam provocari23
36 modeste correptum et dulcibus verbis parallelismo di ossimori e allitterazione finale
ammonitum redire ad propria in pace
permisit
37* adeo ut putaretur totum mundum in chiasmo in antitesi nella prima frase, il cui sotiare
heremum velle convertere et monachico finale è a sua volta in antitesi con abstulit e divisit
ordini omnem populi multitudinem conclusivi
sotiare. Multos denique illic de seculo
abstulit, quos per plura sacra loca divisit
#
38 a Deo meruit honorari post mortem qui chiasmo in antitesi
pro eius amore, dum viveret, carnalium
parentum sprevit hereditatem
39,a qui secundum intentionem quidem suam antitesi
martirium subiit, iuxta vero divino
consilium pro salute eorum missus est
quos convertit
40* Sanctus…Spiritum, qui pectori eius assonanze (inerat/iniustis/divinitus/intentabat)
habitator inerat, hunc terrorem iniustis
divinitus intentabat24
42 suum Romualdum alumpna Italia paradosso iperbolico
recuperare promeruit
43 divina providentia servavit inlaesum ossimoro (la custodia affidata ad un assente)
quod in absentis Romualdi fuerat
custodia derelictum
44 puncto quo fures ad rem non custoditam cf. il parallelismo con custodia al cap. precedente
contigit pervenisse
45 alta Paradisi cedrus de terrenorum contrapposizione
hominum silvis eiecta est
46 alia multa in Dei laude vociferans, vix a allitterazione della v[?]25
beati viri discipulis tacere compulsus est.
Nam si talia verba ad Romualdi aures
qualibet occasione pertingerent,
gravissima cor eius indignatione ferirent
48* hinc iure perpenditur sancti viri meritum paranomasia
quantum apud Deum pondus habuerit, in
cuius conspectu gravissima arboris
moles pondus habere nescivit #
49 dignitatem cum vita, divina illum Allitterazione della d e assonanza della vocale
feriente sententia, perdidit chiusa i
23
La frase successiva conclude il capitolo, aggiungendo che da quelle parti Romualdo fondò anche un monastero
femminile, ma di fatto la sequenza narrativa termina qui.
24
Il capitolo termina con la frase successiva, che già appartiene alla nuova sequenza.
25
Resto incerto del ruolo conclusivo, perché in realtà ci si trova nella penultima frase.
6
50* sanum tamen sensum ubique servavit allitterazione
53* arbitror … vir sanctus hoc facere voluit, termini antitetici (presidere/effugare;
quia per Spiritum Sanctum, qui in eius effugare/immissor) e paranomasia (laudem/ludum)
corpore presidebat, effugandum esse
iniquissimum hostem doloris
immissorem credidit. Ad evitandam
vero propriam laudem, et ludum finxit et
sotios quaesivit. Nam et Redemptor
noster insufflasse legitur, cum Spiritum
sanctum apostolis dedisse perhibetur 26 #
54 ipsum…sinciput perflans, omnem paradosso: soffia per spegnere un fuoco, dove il
cerebri ardorem protinus effugavit. perflans fa eco con l'insufflare ripetuto nel cap.
precedente.
56 fracto reclusorio sine magistri licentia antitesi tra frangere e licentia oltre che al precedente
abiit in hoc reclusorio perseverare
57* quem Tedaldus non nisi per Romualdum chiasmo in antitesi e assonanza Romualdus/Tedaldus
abstulerat, iam Romualdus orando pro
illo cum omnibus simul fratribus reddat#
59 licentiam ulterius non negavit litote
60 postquam benedictio Romualdi male doppia antitesi in parallelismo
possessum corpus intravit, inde
confestim malignus spiritus cauteriatus
exivit
61 quodammodo scriptum reliquit in pariete antitesi
quod occultum gerebat in mente
62 miser ille qui olim preclarus fuisse antitesi
cognoscitur, nunc se in immundi specie
canis ostendere non veretur
63* Iure quippe auctor discordiae, composita catena di antitesi intorno all'opposizione
pace, compulsus est in fletum pace/discordia.
prorumpere, qui prius audiebatur
crescente rixa gaudere; et qui tunc
circulum vacui vasis abstrahere et partes
quibus compactum fuerat dissipare,
constrictis iam in vinculo pacis et
caritatis compage discipulis, tristis
abscessit #
64* volens abbatem spiritualiter vivere et Antitesi, ed allitterazione nel secondo membro della
rectitudinis viam tenere, multam ab eo stessa
passus est persecutionis iniuriam
65 ille quidem perferre patientissime potuit, figura etimologica ed allitterazione
nos referre…non valemus
66 qui Romualdo vitam insidiabatur eripere, antitesi in parallelismo
iam per eundem sanctissimum virum et
suam meruit conservare, et cui mortem
inferre studuit, per eum suae periculum
mortis evasit
67 beatum virum coelitus agnovisse replicazione
indubitanter agnoscunt
68* Deo scilicet servo suo providente antitesi e allitterazioni
convivium inventum est in saxoso et
arido monte velut in piscosa valle
vivarium27
69* nunc igitur inter vivos coelestis parallelismo sintattico di espressioni semanticamente
Hierusalem lapides ineffabiliter rutilat, equivalenti, con effetto di amplificazione.
cum ignitis beatorum spirituum turmis
exultat, candidissima stola inmortalitatis
26
Si noti che il capitolo e la sequenza terminano, dopo i giochi retorici, con il riferimento biblico, che rimanda
anche al capitolo successivo, e svolge dunque un ruolo di cerniera.
27
Il capitolo termina con la frase successiva, che già appartiene alla sequenza conclusiva sulla morte.
7
induitur, et ab ipso rege regum vibrante
in perpetuum diademate coronatur
70 qui talia absens exhibet, quid per antitesi
corporis presentiam non exercet? #
71 vaccam eodem loco dimisit, deinde doppia allitterazione della d e della p
domum perveniens protinus expiravit
72 regnante domino nostro Iesu Christo formula liturgica dossologica
cum Patre et Spiritu sancto vivit et
gloriatur per infinita secula seculorum.
Amen.
Un primo dato emerge con evidenza anche statistica: il gusto prevalente è per le figure di
significato, soprattutto, come già si è osservato, quelle giocate sull'opposizione (antitesi e
ossimoro). Spesso esse si collegano con figure di suono, talora in connessione con la paranomasia,
oppure con figure di sintassi, in particolare il chiasmo. Talvolta, come si è anticipato, esse sono
collegate a commenti del narratore: cf. 10, 15a, 18, 37, 38, 53, 57, 61, 63, 66, 70 (solo i commenti
conclusivi a 27 e 48 non sono legati a figure retoriche di opposizione). In queste formule
conclusive possiamo vedere il gioco retorico applicato allo schema morale/penitenziale del
contrappasso o a quello del paradosso della conversione. Sono allora forse proprio queste
conclusioni retoriche a meglio svolgere una funzione paragonabile a quella delle parti dialogate in
Gregorio; possiamo infatti osservare come tali commenti, ed è comprensibile, vengano a chiudere
in più di un’occasione delle sezioni narrative.
Connettendo le conclusioni retoriche e i commenti del narratore con gli elementi cronologici e
topici possiamo a questo punto cercare di individuare delle "zone narrative" (per non eccedere in
formalismi e in considerazione della natura particolare del genere agiografico è forse opportuno
usare un'espressione più generica di quella comunemente invalsa di "macro-sequenza") più definite
all'interno del libro.
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È strutturalmente un trittico compatto, che manifesta la pienezza dell'esperienza di santità e
l'autorevolezza del maestro, evidente soprattutto nell'azione di respingere l'opposizione dei
demoni. Al suo centro il cap. 17, ricco di artifici retorici, inizia con un climax complesso e si
conclude con un'antitesi, che nel loro insieme ribadiscono con forza l'alterità e l'inimicizia tra il
santo e le forze del male. Questa si riflette anche sui discepoli: cf. il cap. 18, dove l'opposizione
solitudo/congregatio si rovescia, negativamente, nel contrappasso reso tanto più forte dalla
parallela contrapposizione unus/divisus.
Capp. 19-21 Vari spostamenti di Romualdo e insediamento al Pereo
Sembra una sezione di transizione in cui non si rilevano segnali retorici particolarmente evidenti.
Capp. 22-30 Romualdo con Ottone e missione dei discepoli tra gli Slavi
È questa una delle sezioni più complesse ed elaborate nei contenuti e nelle forme narrative. Due
sono i personaggi principali: Romualdo stesso e il più illustre dei suoi discepoli, l'imperatore
Ottone28, i cui destini all'inizio si incontrano e alla fine si dividono, sanzionando così anche la fine
di un progetto originariamente condiviso. Intorno a loro si sviluppano più azioni, le principali delle
quali sono proprio le due passiones tra gli Slavi di Bruno Bonifacio di Querfurt (1008) e di
Benedetto da Benevento e Giovanni (1003), che sono cronologicamente narrate in prolessi rispetto
alla vicenda biografica della vita di Romualdo (giunta agli anni 1001/1002) e tra loro in ordine di
successione rovesciato. Centro di azione principale per Romualdo è il Pereo (località paludosa
nella zona a sud del delta del Po), anche se questo non è l'unico luogo di residenza del santo: siamo
dunque ancora attorno a Ravenna e vicini al riferimento topico finora sempre principale, costituito
dal monastero di Classe (al cap. 22 Romualdo è eletto per breve tempo abate dello stesso, per poi
rinunciarvi con atto plateale). Nei suoi numerosi contatti con Ottone si esprime il massimo grado
del prestigio spirituale. Un primo gruppo di capitoli mette soprattutto in evidenza la discretio di
Romualdo come abate a Classe e come maestro negli altri luoghi di residenza, al Pereo in
particolare, ma anche la severità profetica contro chi non accoglie il suo insegnamento; ciò è posto
retoricamente in rilievo nella conclusione/commento al cap. 25 mediante l'antitesi creata dalla
sottomissione di Ottone imperatore a “Cristo poverello” (pauperculi Cristo), espressa nella sua
promessa di farsi al più presto monaco, come frutto della penitenza compiuta per espiare la
violenza brutale che aveva esercitato nella punizione dell'antipapa Giovanni Filagato 29. È a questo
punto che sono collocate le due passiones; che l’autore ce le voglia presentare come un vero e
proprio dittico lo dimostra il fatto che esse sono narrate con strutture e conclusioni parallele:
missione, martirio, conversione degli aguzzini, miracoli sulla tomba, intorno alla quale è eretta una
basilica; che siano due digressioni, ma funzionali al resto della narrazione, ce ne avverte con una
esplicita dichiarazione il narratore stesso, il quale tra l'una e l'altra pone (alla fine del cap. 27) una
conclusione retoricamente elaborata e con funzione di cerniera tra i due episodi, che richiama
come questi martiri, per quanto estranei alla vicenda principale, siano frutto della scola Romualdi,
e quindi prova della sua santità30.
Capp. 31-38 Da Parenzo a Val di Castro
Narrativamente si presenta come sezione di transizione che si conclude con il primo insediamento
a Val di Castro, nuovo centro di irraggiamento dell'azione romualdina, d'ora in poi ormai sganciata
dal riferimento a Ravenna. In essa sembra prevalere l’intento di presentare la figura di Romualdo
come fondatore itinerante di eremi e monasteri. Retoricamente si conclude con il cap. 37, dove
28
Il suo successore Enrico invece sarà solo di sfuggita evocato nella seconda parte dell’opera, al cap. 65.
29
"Egli promise, inoltre, al beato Romualdo che, lasciato l’impero, avrebbe preso l’abito monastico; e colui al
quale numerosissimi mortali erano sottoposti, ormai sottomesso a Cristo povero, iniziò a diventare suo debitore" VR
25, p. 54. La traduzione qui e altrove è di chi scrive, e sarà pubblicata quanto prima nel già annunciato volume
dell'Opera omnia dedicata all'agiografia damianea.
30
"Ora, se è vero che il valore di Bonifacio meriterebbe lo spazio di una narrazione apposita, noi abbiamo cura,
tuttavia, di ricordarlo qui sommariamente assieme agli altri discepoli di Romualdo, per dimostrare, lodandoli, quale
uomo eccellente sia stato il loro glorioso maestro, sicché, se agli orecchi dei fedeli risuona l’eminenza dei seguaci, dalla
scuola che egli fece sia noto quanto eccelso sia stato il loro insegnante." VR, 27, pp. 60-61.
9
l'ansia riformatrice di Romualdo significativamente è espressa dal famoso riferimento all'intento di
fare del mondo intero un monastero: ancora una volta compare la tensione semantica antitetica tra
mundum/multitudo ed heremus/monachicus ordo. Il cap. 38, digressione agiografica sulla santa
morte del figlio del conte e sui miracoli che ne conseguono, svolge un ruolo di cerniera con il
seguito.
Capp. 39-42 Peregrinazioni missionarie
Al cap. 39 è narrata la missione sospesa in Ungheria. La conclusione retorica con commento è al
cap. 39a, dove si oppongono l'intentio di Romualdo e il consilium divino. Il capitolo in realtà
prosegue riprendendo il racconto delle peregrinazioni del santo, ma il termine intentio, già presente
all'inizio del cap. 38, se la mia analisi retorica è valida, continua a essere come un'armonica del
racconto fino alla conclusione del cap. 40 (cf. la paranomasia intentio/intentabat). Con il definitivo
ritorno in Italia si chiude la stagione "missionaria" dell'itineranza di Romualdo.
Capp. 43-48 La santità di Romualdo: azioni miracolose
La narrazione sfuma sempre più il suo carattere diegetico complessivo (diventano più secondarie le
indicazioni cronologiche e geografiche degli spostamenti di un Romualdo ormai vecchio) e sembra
più volta a descrivere, rappresentate nella loro singolarità, azioni esemplari, prevalentemente
miracoli, del santo. I legami interni soprattutto sono di natura formale: per es. i capp. 43-44 sono
collegati tra loro dal termine custodia; i cap. 47 e 48 costituiscono un dittico parlando entrambi di
un albero.
Capp. 49-63 La vecchiaia feconda di Romualdo intorno a Sitria
È una sezione composita, che ha per suo centro Sitria, la quale appare come il luogo prediletto da
parte del vecchio Romualdo, e sembra avere per certi aspetti lo stesso ruolo centripeto che aveva
Ravenna nella prima parte del libro, tanto da dar l’impressione che ci si trovi in una sezione del
libro parallela a quella già analizzata per i capp. 22-30. Anche qui la dimensione propriamente
diegetica è piuttosto ridotta. Possiamo invece vedere all’inizio e alla fine un parallelo ricordo delle
persecuzioni subite da Romualdo, che fa come da cornice al quadro descrittivo delle virtù del
santo: il che contribuisce indubbiamente a rafforzare il carattere paradossale del modello
agiografico romualdino. Si possono individuare all’interno alcune sequenze più ristrette.
Tematicamente in una prima parte (capp. 49-57) prevale la descrizione dell'homo spiritualis,
mentre in opposizione compare la dimensione carnale di coloro che rifiutano il magistero del santo
e lo umiliano, volendo vanificare la sua fama di santità (cf. capp. 49; 56); la conclusione retorica è
costituita dal consueto chiasmo in antitesi del cap. 57, che esalta la forza della comunione con
Romualdo da parte dei discepoli. All'interno della sottosequenza si può osservare che tra i capitoli
50 e 53 non si riscontrano formule retoriche di conclusione particolarmente evidenti; in realtà i
capitoli 52 e 53 non sono che l'esemplificazione della manifesta riconoscibilità della pienezza di
maturità spirituale in Romualdo, uscito vittorioso anche dalla prova più dura e umiliante descritta
ai capitoli 49-50 (la falsa accusa di pratiche omosessuali), e che è presentato nel cap. 51 come
uomo alla statura di Cristo; sono quindi ad esso connessi. Infine i capp. 53 e 54 sono tra loro
collegati dal tema della potenza dell'insufflare, in quanto espressione della pienezza spirituale del
santo.
Una seconda parte (capp. 58-63) è costruita intorno al tema della lotta contro i demoni, che si
conclude con la grande sfida tra potenza demoniaca e monaci tentati dalla discordia. Questo
episodio termina con una delle costruzioni retoriche più elaborate e raffinate di tutto il libro: il
demonio divisore è scacciato dalla comunità, infine stretta dal vincolo della pace e dalla
compagine della carità. Il capitolo 64 fa da suggello con l'elogium di Sitria e del saeculum aureum
che ivi conosce l'esperienza romualdina; è un capitolo il cui tono retoricamente elevato è ribadito
dal climax complessivo: dal parallelo tra Sitria e la Nitria dei Padri del deserto si passa a quello
1
0
con la Gerusalemme celeste, cui è assimilata una "città"31 di monaci. E tuttavia, sia pure con la
consueta conclusione retorica, il finale del capitolo ha un tono più dimesso, se non antitetico:
Romualdo si ritira ancora in solitudine a Biforco e subisce la persecuzione dell'abate del cenobio
locale. Il saeculum aureum si chiude con un apparente fallimento paradossale, così come si era
aperto al cap. 49.
Cap. 65 Enrico II e Romualdo
Forse in parallelo con l'incontro tra Romualdo e Ottone, l'imperatore Enrico II stesso riconosce il
prestigio del maestro. Certo anche qui si ribadisce il ruolo profetico del santo, difensore dei deboli,
dei diritti della chiesa e dei suoi monaci, ma la conclusione tende piuttosto a creare un legame
stilistico e contenutistico con il capitolo precedente, ricordando le persecuzioni subite da
Romualdo ad opera di un altro abate.
Capp. 66-68 Vecchiaia di Romualdo e ultime peregrinazioni
Anche da vecchio Romualdo non cessa nella sua itineranza. All'approssimarsi della morte le
conclusioni retoriche, in coerenza al contenuto narrativo dei miracula descritti, fissano l'attenzione
sulla manifestazione di vita che promana dalla persona e dagli atti del santo, per quanto ormai
fisicamente fragile.
Cap. 69 Morte di Romualdo
Alla semplicità della descrizione dei fatti corrisponde il solenne finale costruito con l'artificio
retorico dell'amplificazione.
Capp. 70-72 Miracoli dopo la morte
Secondo il canone agiografico, i miracoli attestano la santità del defunto, anche perché idealmente
ne prolungano i caratteri peculiari: si espelle un demonio e si restituisce la giustizia; infine la
mancata corruzione del corpo conferma definitivamente la santità.
Fin qui abbiamo individuato una struttura narrativa in sé non esplicita, che abbiamo definito
“ritmo”, ed alcuni indici formali che sembrano fare da trama alla narrazione, la quale tuttavia a
prima vista lascia ancora l'impressione di un disordine: forse il disordine di una vita per certi versi
tumultuosa, che come tale non può essere ridotto a ordito letterario? Anche perché si ricava
l'impressione che l'irregolarità della vita del protagonista forzi la mano al severo biografo, rigoroso
teorizzatore di una vita eremitica tendenzialmente stabile. È possibile che si possa qui individuare
un aspetto della dialettica a specchio tra santo e agiografo, ma a mio avviso questa non è risposta
completa e soddisfacente. A un livello più macroscopico i vari dati analitici proposti ci portano
almeno ad osservare che nella prima parte del testo (fino, grosso modo, al cap. 35), sembra
prevalere un criterio storico-biografico, mentre nella seconda il procedimento, più descrittivo ed
episodico sembra volto piuttosto ad accorpare, secondo criteri di somiglianza o di analogia alcuni
gruppi di exempla. Da un altro punto di vista si rileva che la prima parte ha il suo fulcro a Ravenna
e dintorni, città di prestigio imperiale, dalla quale si muove la esperienza ascetica romualdina, e su
cui converge la prima fase della sua vita fino al momento "magico" della comunanza di intenti tra
Romualdo e Ottone, ed è fortemente connotata dal prestigio profetico del protagonista; la seconda
ha il suo principale riferimento a Sitria, sperduto eremo dell'Appennino, posto a poca distanza di
Fonte Avellana, e sembra fissare la sua attenzione soprattutto sul taumaturgo e sul ruolo di
magister, più o meno fedelmente ascoltato.
31
Evidente il richiamo ad ATANASIO, Vita Antoni, 14-15; 44 (cf. Vita di Antonio, introduzione di Ch. Mohrmann
e cura di G.J.M. Bartelink, Milano 1974, alle pp. 36-40; 92), dove il deserto diventa una sorta di città ideale abitata da
asceti.
1
1
A tutto questo si aggiunge un’altra osservazione, che in parte si viene a sovrapporre a quelle
precedenti, e che a mio avviso è determinante: si può individuare con una certa evidenza un centro
nella narrazione, costituito anche materialmente (se si valutano i rapporti quantitativi a prescindere
dalla numerazione per capitoli) dai capitoli 27 e 28, che sono anche quelli più lunghi di tutto il
libro. Se essi dal punto di vista narrativo si configurano come degli excursus (il cap. 29 funge da
coda dei due precedenti, parlandoci delle reazioni di Boleslao), in quanto, appunto, parlano del
martirio di Bruno Bonifacio e dei cinque fratelli, nondimeno sembrano svolgere proprio la
funzione di cerniera tra la prima e la seconda parte. È vero che soltanto il cap. 30, secondo la
nostra analisi, segna la conclusione della sezione, ritornando a una successione cronologica
regolare, ma lo fa sigillando il racconto che precede con una serie di frasi retoricamente elaborate,
in cui fa spicco l'accumulo di verbi di movimento il quale pone in luce, mediante un gioco di
parallelismi e antitesi, l'esaurirsi di una stagione di grandi progetti:
" Romualdo, allora, visto che lì [al Pereo] non poteva operare secondo il suo ardente desiderio, si presentò
direttamente al re e, quale depositario della promessa, cominciò ad insistere con molta forza perché il re si
facesse monaco. Quest’ultimo dichiarò che sicuramente avrebbe attuato quanto richiesto, tuttavia prima egli
avrebbe assalito Roma che gli si era ribellata e, dopo averla vinta, sarebbe tornato a Ravenna con la vittoria.
Romualdo gli rispose: “Se tu andrai a Roma, non vedrai più Ravenna”. Rivelatogli apertamente che la
morte era vicina e non avendo potuto dissuaderlo, essendo certo al di là d’ogni dubbio della sua morte,
mentre il re si affretta verso Roma, Romualdo, imbarcatosi, raggiunge la città di Parenzo. Poi, il re, secondo
la profezia del santo uomo, proprio mentre stava per tornare da Roma, colpito da improvviso malore, morì
presso Paterno."32
Ottone dunque, perché non mantiene il proposito di farsi monaco, non può ritornare a Ravenna e
muore, Romualdo lascia Ravenna per rifugiarsi in Istria, e vi tornerà in seguito solo
episodicamente. Fino a questo momento era prevalso il carattere di racconto agiografico di un
santo cittadino ravennate; d'ora in poi le prospettive sembrano volgersi più alla presentazione dei
caratteri del santo itinerante (e non a caso è proprio in questa seconda sezione dell'opera che si
trovano le più argomentate giustificazioni del peregrinare del maestro sterilitatis impatiens33).
Eppure proprio da questo spegnersi di una stagione che tanto sembrava propizia è emerso, inatteso
ma rivelatore, il frutto della missione e del martirio dei discepoli.
Si è già osservata la curiosa inversione cronologica del martirio di Bruno e di quello dei cinque
fratelli. Questo dato potrebbe anche suggerire una sorta di concatenazione di questo genere: alla
stagione di Ottone, cui, se non cronologicamente, è ancora idealmente legata la missione di
Benedetto e Giovanni (prima parte di VR), si sovrappone la stagione di Enrico, cui è ormai legata
la missione di Bruno Bonifacio (seconda parte di VR). Le due vicende sono entrambe,
storicamente, dei fallimenti; esse tuttavia, in una lettura di fede, possono essere lette in una duplice
ottica: da una parte in quanto martirio, sono testimonianza della fecondità spirituale e delle
aspirazioni del vir Dei/magister Romualdo, ma dall’altra sono anche espressione del vanificarsi di
un progetto monastico missionario che in Romualdo sembra essere germinato dal contatto
influente con gli imperatori, ed essersi esaurito quando in essi sono prevalse le esigenze del potere.
Il tutto mi induce a proporre la seguente simmetria complessiva di tutta l'opera, per quanto
approssimativa:
32
VR 30, p. 67.
33
Cf. VR 35, p. 74.
1
2
Al centro della simmetria e delle due passiones, come già osservato, alla fine del cap. 27 si trova
l'osservazione che l'esemplarità di Romualdo si riscontra nelle virtù dei suoi discepoli. Romualdo,
il quale è alla continua, quasi eroica ricerca della solitudine, manifesta così la sua santità
suscitando intorno a sé una moltitudine di discepoli: ancora una volta compare la dialettica tra
solitudine e comunione, due poli della sua azione e del suo sentire, che nel momento "magico" del
breve periodo dell'impero di Ottone III sembrano dare al progetto monastico il carattere esemplare
di un ideale utopico riformatore più generale; soltanto in un secondo momento questo progetto
sembra assumere un carattere più ristretto, per così dire tutto interno alla realtà monastica 34. Ma
non è solo l'evoluzione storica e la successione dei fatti che interessa: ciò che sembra trasparire è
che la fecondità del magistero esercitato dell'eremita itinerante risulta tanto più evidente nell’aver
saputo suscitare dei martiri missionari. Anche in questo caso potremmo vedere un ulteriore gioco
di polarità: la fecondità del maestro si realizza nel momento alto della kenosi dei discepoli, ma del
resto tutta la stessa vita del maestro è come segnata da una serie continua di fallimenti inopinati, in
grado però, come seme che muore, di produrre altrove e altrimenti molti frutti35. Si pensi per
esempio al cap. 49, con l’accusa di omosessualità che Romualdo riceve proprio all’inizio della
esperienza di Sitria, che pure alla fine sarà presentata quasi come una nuova Nitria, una nuova
stagione di padri del deserto; ma anche all’esperienza mistica che conclude quel momento oscuro
di prova36.
Forse siamo qui in presenza di una vera e propria "struttura profonda" della narrazione, di cui tener
conto: comunione e solitudine, che modulano tutto il racconto, hanno il loro epicentro in quello
spendere e consumare la vita per Cristo nella missione, quella che in Bruno di Querfurt è definita
l'evangelium paganorum37, quasi a spostare l'attenzione non sulla persona di Romualdo in sé e
sugli strumenti da lui adottati per cercare di raggiungere la statura di Cristo (cf. cap 51), ma sul
fatto che, tacente lingua38 ma con la tensione di una vita, ha saputo condurre altri ad essere come il
Cristo, anzi "in Cristo"39 .
Ci ritroviamo così lungo uno dei “fili rossi” che percorre tutta la narrazione: quello del ruolo di
magister esercitato da Romualdo, cui, come si è più volte sopra osservato, sono collegate
semanticamente altre parole e figure stilisticamente significative. Il termine compare nel testo con
24 occorrenze complessive, sempre riferite a Romualdo. Quello di magister, di fatto, è un titolo in
cui sembra concentrarsi l’immagine agiografica che ci viene proposta da parte di Pier Damiani;
Romualdo vi appare come un personaggio singolare e libero nel suo porsi, ma efficace e fecondo
solo nel contesto di una schola di discepoli: è indicativo il fatto che fin dal cap. 9, proprio quando
si viene a concludere la fase di formazione del santo, ormai divenuto leader del gruppo di asceti
che si era concentrato a Cuxa, il narratore presenti una prima piccola summa di insegnamenti del
maestro spirituale per l’ascesi e per la preghiera.
34
Ciò vale in fondo anche per il rapporto con Enrico II, davanti al quale Romualdo non cerca di esercitare il suo
prestigio oltre la difesa dei diritti della Chiesa e dei bisogni dei poveri. Fra l'altro il capitolo è quello che in maniera
particolarmente esplicita riflette la visione di Pier Damiani più che quella di Romualdo, anticipando temi e formule
della riforma pregregoriana.
35
Ha studiato questo aspetto della VR G.M. CANTARELLA, La Vita Beati Romualdi specchio del monachesimo
nell’età di Guido d’Arezzo, in Guido d’Arezzo monaco pomposiano. Atti del Convegno di studi, Pomposa-Arezzo 1997-
1998, a cura di A. Rusconi, Firenze 2000. pp. 10-15
36
Cf. VR cap. 50, pp. 92-93.
37
Cf. Vita quinque fratrum eremitarum [seu] Vita vel passio Benedicti et Johannis sociorumque suorum, autore
BRUNONE QUERFURTENSI, edita in Monumenta Poloniae Historica (Pomniki Dziejiwe Polski), series nova, IV, 3,
Warszawa 1973, per la cura di J. Karwasinska, cap. II, p. 35.
38
Cf VR cap. 52, p. 94.
39
"I discepoli, una volta, gli chiesero: “Maestro, di che età si ritiene che sia l’anima e sotto quale aspetto si
presenta al giudizio? “. Egli rispose: “Io conosco un uomo in Cristo la cui anima fu portata davanti a Dio candida come
neve, in sembiante umano, nella statura dell’età perfetta”. Richiestogli, di nuovo, chi fosse quell’uomo, egli,
indignandosi e confondendoli, non volle rispondere. I discepoli, a vicenda tra loro, attribuiscono subito il fatto a lui,
com’era in realtà, e si rendono conto, da fonte sicura, che quell’uomo era lui stesso". VR, 51, pp. 93-94.
1
3
Ritornando alla centralità strutturale del martirio dei discepoli, la tensione missionaria da questo
punto di vista appare come la verifica della fecondità della ricerca interiore dell’assoluto di Dio e
della carità, ed è esemplificata, proprio perché frutto più alto di questa fecondità, non nel maestro -
che come ogni autentico pedagogo deve scomparire rispetto al bonum del suo insegnamento -, ma
nei discepoli. In fondo è un modo diverso e complementare di prospettare quei tria bona, che
proprio Bruno Bonifacio per vie diverse e probabilmente ignote a Pier Damiani aveva presentato
come formula sintetica del progetto monastico romualdino, nell'interpretazione che Ottone stesso,
discepolo tra i prediletti, ne avrebbe dato:
"Per questo motivo il glorioso imperatore pensò di mandare tra gli Slavi dei fratelli ardenti di spirito:
questo perché, dove una bella foresta consentisse di trovare un luogo appartato, in terra cristiana ma
ai confini delle terre pagane, costruissero un monastero, e fosse così possibile raggiungere il triplice
vantaggio che perseguono quelli che cercano Dio: per quelli che da poco sono venuti dal mondo, il
desiderato cenobio; per coloro che sono già maturi e hanno sete del Dio vivente l'aurea solitudine; per
coloro che aspirano a sciogliersi ed essere con Cristo, l'annuncio evangelico ai pagani."40
tel. 0457211390
e-mail: [email protected]
40
VQF, II, p. 35.
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4