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Lezioni Psicologia Evoluzionistica Da Stampare

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Psicologia evoluzionistica

Lezione 04/10/2021
Premessa del libro
I sostenitori della psicologia evoluzionistica si propongono di impiegare i principi dell’adattazionismo
darwiniano (variazione, selezione, adattamento, ecc.) per spiegare la multiforme “architettura” della mente
umana. Questo approccio muove da una radicale critica al “modello standard”, secondo cui la mente è
come una “cassetta degli attrezzi” formata da pochi strumenti, rudimentali alla nascita, che poi si vanno
perfezionando durante lo sviluppo. Secondo gli psicologi evoluzionistici, tale visione della mente umana è
semplicistica: come il corpo è formato da vari organi, ognuno con specifiche funzioni, la selezione naturale
ha dotato la mente di una pluralità di moduli cognitivi specializzati, ognuno dei quali è programmato per
risolvere “istintivamente” un problema adattivo (mente=coltellino svizzero).

Concetti introduttivi
Evoluzione
• Processo graduale di cambiamento adattivo delle specie viventi
Filogenesi
• Storia evoluzionistica di gruppi di organismi tra loro geneticamente collegati
…da non confondere con
«sviluppo» o «ontogenesi»….
• tutte le trasformazioni che avvengono nello sviluppo individuale di un organismo dalla nascita alla
morte
Il ciclo di vita si svolge in pochi decenni, mentre l’evoluzione in molti millenni.

Concetti associati a evoluzione


Tutte le teorie dei processi evolutivi hanno utilizzato concetto come cambiamento, ordine, progresso e
perfettibilità.
i. Cambiamento
Lo stato attuale di un dato sistema è diverso dai suoi stati passati -> non è sufficiente, da sola, a
definire “evolutivo” un fenomeno.
ii. Ordine
Successione organizzata di stati (direzione temporale del cambiamento).
iii. Progresso (?)
Teorie dell’ottimizzazione (p.e. successo degli organismi nell’ottenimento di risorse vitali: successo
calcolato secondo il criterio massima resa/tempo minimo) -> idea che l’evoluzione sia una
successione di tappe filogenetiche tendenti al “miglioramento della specie”. Il mondo delineato
dalle teorie dell’ottimizzazione è alquanto idealizzato; infatti, molti prodotti dell’evoluzione hanno
tratti subottimali (es. occhio), delle imperfezioni/incompletezze. Inoltre, nel concetto di
“progresso” e “perfettibilità” c’è un implicito antrocentrismo.
iv. Perfettibilità (?)

• Raggiungimento di uno «stato finale» di equilibrio del sistema

Le attuali conoscenze non offrono alcuna giustificazione scientifica all’idea che l’evoluzione sia un processo
generale intrinsecamente e necessariamente indirizzato al progresso.

L’evoluzione umana
Sembra ormai corroborate l’iptesi, avanzata inizialmente da Darwin, secondo cui le origini dell’umanità si
trovano in Africa.
La teoria dell’origine singola (out of Africa) afferma che I primi umani moderni apparvero proprio in Africa,
da dove si diffusero nel resto del mondo rimpiazzando, senza alcuna rilevabile mescolanza, le specie di
ominidi preesistenti in Europa e in Asia. Meno attendibile è il modello alternativo secondo cui ci sarebbe
stata un’evoluzione simultanea di Homo sapiens in Europa e Asia.
La comunità scientifica condivide anche la tesi darwiniana di un antenato comune, a partire dalla quale si è
realizzata la distinzione fra scimpanzè e uomo, da non confondere con la diffusa opinione che l’uomo
discende dale scimmie, credenza del tutto infondata.
Inizialmente si credeva che l’evoluzione dell’uomo avesse seguito un percorso lineare (paradigma della
specie unica); tale idea è stata sostituita dal modello del percorso arborizzato, che comprende tre generi
diversi e una ventina di specie di ominidi. Varie specie di ominidi discendenti da un antenato comune si
diffusero in luoghi differenti lungo differenti percorsi evolutive, finché non si estinsero e prese il
sopravvento Homo sapiens.
• Varie specie di ominidi discendenti da un antenato comune si diffusero in luoghi differenti lungo
differenti percorsi evolutivi, finché non si estinsero e prese il sopravvento Homo sapiens
• Homo ergaster (Africa)
• Homo Neanderthalensis (Europa)
• Homo erectus (Oriente)
[Pievani 2010]
Il paradigma della specie unica…
• evoluzione lineare dal genere estinto delle scimmie australopitecine; Homo erectus;
Homo Neanderthalensis; Homo sapiens sapiens
…oggi non è più considerato scientificamente attendibile.

La distanza che si frappone tra noi e l’antenato comune da cui derivò la separazione tra primi ominidi e
scimmie è di 6 milioni di anni.
L’antropogenesi è il modo in cui si formò l’Homo sapiens (insieme di mutamenti tramite i quali Homo
sapiens emerge come specie a sé stante) ed è un processo ancora più recente.
Le nostre remote origini risalgono al Pleistocene, con la separazione dagli australopitechi avvenuta in Africa
circa 2 milioni di anni fa. Un’altra ipotesi (confutata) è che Homo sapiens comparve contemporaneamente
in diverse parti del pianeta (modello multiregionale).
Circa 150000 anni fa comparvero i primi veri rappresentanti di Homo sapiens.
Costi-benefici: essere onnivori ha sicuramente dei costi (es. essere avvelenati). Meccanismo adattivo
protettivo: quando assaggiamo un cibo nuovo, ne mangiamo una piccola quantità, per far sì che nel caso in
cui sia avvelenato non abbia effetti letali.

Con l’Olocene (11700 anni fa) nasce propriamente la civiltà umana.


Le prime città-stato erano degli agglomerati.
Il premio Nobel Paul Crutzen ha coniato il termine “Antropocene” per evidenziare come l’era geologica
attuale sia ormai caratterizzata dall’impatto ambientale e climatico planetario determinato dall’uomo e
dalle sue attività. Oggi siamo nell’olocene da un punto di vista geologico, ma in realtà siamo
nell’antropocene, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Quando si parla di evoluzione dell’uomo, bisogna sempre ricordare che non include solo l’evoluzione
biologica, ma anche quella culturale. L’intreccio tra evoluzione biologica e culturale è segnato dal
coevolversi di molteplici cambiamenti morfologici, fisiologici e cognitivi:
Cambiamenti associati all’evoluzione umana
• Locomozione bipede: emerge dopo un precedente adattamento alla vita arborea ed è il prodotto di
una cooptazione funzionale che ha liberato gli arti superiori dalle precedenti funzioni locomotorie e
ha reso la mano uno strumento di manipolazione degli oggetti;
• Encefalizzazione: aumento di volume del cervello, dagli 850-1100 cm³ di Homo erectus ai 1400 cm³
di Homo sapiens e specializzazione delle aree cerebrali;
• Evoluzione del sistema visivo
• Abilità di prensione, manipolazione, mano con pollice opponibile
• Ciclo mestruale femminile (formazione del legame di coppia)
• Linguaggio vocale articolato (cambiamenti nel sistema masticatorio, laringe e osso ioide ecc.)
• Costruzione di strumenti. Prime elaborazioni culturali, sociali e simboliche

Morfologico= la nostra configurazione; fenotipo= modo in cui il genoma si manifesta in tratti osservabili.
Fattori ambientali hanno modificato i fattori genetici, e quindi il fenotipo (ad esempio, l’altezza).

Lezione 05/10/2021
Rivoluzione ontogenetica
Durante il Pleistocene, sia il cervello sia il cranio dei nostri progenitori sono diventati sempre più
voluminosi. A questo punto si poneva il “problema evoluzionistico” di come far passare la grossa testa del
neonato attraverso il canale del parto, le cui dimensioni sono vincolate dalla struttura ossea del bacino, a
sua volta correlata alla locomozione bipede. La soluzione adattiva è stata quella di abbreviare i tempi di
gestazione, facendo nascere il bambino “prematuro” (se confrontato con i piccoli degli altri primati),
quando ancora il suo cervello è piccolo e il cranio molto elastico per le suture e le fontanelle ancora aperte.
Siamo una specie la cui evoluzione ha funzionato non solo in senso biologico.
Alla nascita il piccolo umano è “prematuro” (se confrontato con i piccoli degli altri primati):
• Cervello relativamente piccolo,
• Cranio molto elastico,
• Fontanelle ancora aperte
• Mielinizzazione fino almeno a 12 anni (nei macachi circa 3.5 anni).

Se il bambino nascesse già maturo, non ci sarebbe spazio per il parto (per il passaggio). La natura ha trovato
una sorta di compromesso (selezione): il cranio dei neonati è elastico, ci sono delle fontanelle. Con la
maturazione successiva, il sistema nervoso va a calibrarsi (si “formatta”). Metaforicamente parlando siamo
figli di due mamme: la mamma biologica che ci ha ospitati nel suo utero e l’ambiente, che nutre in senso
letterale e psicologico, fornendo sollecitazioni e vincoli e contribuisce a finire il lavoro che la mamma
biologica ha iniziato.
Gli altri animali nascono molto più maturi di noi, sono già “equipaggiati” con i repertori comportamentali
(es. volare) tipici della loro specie (es. gli uccelli dopo poche ore/settimane sono già in grado di badare a
loro stessi).
Lo sviluppo (ontogenesi) dell’essere umano è molto più lungo.
Trade-off: i benefici degli animali è che sono subito in grado di adattarsi e riprodursi, lo svantaggio è che le
specie animali sono molto più statiche.
Siamo “nutriti” da due mamme: quella biologica e quella culturale.
o Maturazione ritardata
o Eterocronia
- A differenza dalle scimmie, nello sviluppo umano funzioni differenti maturano a velocità
differenti. Ogni funzione (es. camminare) segue un proprio ritmo. Ciò fa sì che lo sviluppo umano
sia un processo distribuito e non concentrato.
- Plasticità adattiva, apprendimento culturale
Spitz studiava i bambini ospedalizzati: i bambini si ammalavano perché mancava loro l’attaccamento. Se
non ci fosse un ambiente predisposto ad accogliere il piccolo, permettendogli di adattarsi in modo
eterocronico, non potrebbe svilupparsi.
Neotenia: conserviamo per tutto il nostro ciclo di vita i nostri tratti infantili.
L’eterocronia è una caratteristica specie-specifica dell’homo sapiens, che non è riscontrabile negli altri
esseri viventi; dentro il fenomeno dell’eterocronia sappiamo poi che ci sono differenze, ad esempio quelle
di genere (es. linguaggio, più precoce per le bambine) e interindividuali (alcuni bambini maturano prima in
altre cose ed altri in altre). Le differenze individuali non sono cancellate, sono messe soltanto su uno sfondo
più ampio.
Facendo un esperimento mentale, immaginando un bambino cresciuto da altri animali, sicuramente alcune
funzioni sarebbero compromesse, ad esempio il linguaggio (non è linguaggio ad essere innato, ma la facoltà
di linguaggio).
La rivoluzione ontogenetica trasferisce a livello individuale degli adattamenti della specie.

I tratti infantili tra evoluzione e sviluppo


I tratti infantili che emergono nello sviluppo sono plasmati dalla selezione naturale, oltre che dalla cultura.
Essi hanno una funzione di preparazione alla condizione adulta (adattamenti differiti o ontogenetici, come il
gioco, il linguaggio, la deambulazione, la maturazione sessuale… caratteristiche che emergono in modo
ritardato). La vita pone durante l’intero ciclo di vita vari compiti evolutivi, e noi maturiamo queste funzioni
in parte naturalmente in parte culturalmente. I tratti infantili svolgono appropriati compiti adattivi
(developmental tasks) in momenti specifici dello sviluppo. La formazione del feto riproduce le tappe
biologiche della specie, ma ognuno di noi produce delle “novità” creative. Questo è interessante perché la
nostra traiettoria non è solo biologica ma aperta culturalmente. L’emergere di novità fenotipiche nello
sviluppo individuale può avere effetti sulle traiettorie evoluzionistiche della specie.
1) Hanno una funzione di preparazione alla condizione adulta -> adattamenti differiti o
ontogenetici (es. gioco)
2) 2) svolgono appropriati compiti adattivi (developmental tasks) in momenti specifici dello
sviluppo
L’emergere di “novità” fenotipiche nello sviluppo individuale può avere effetti sulle traiettorie
evoluzionistiche della specie.
Nel 1800 si diceva che lo sviluppo fosse una ricapitolazione dell’evoluzione, ma non è così. È vero che siamo
il prodotto di adattamenti ontogenetici che hanno una base evolutiva, ma è vero che l’individuo può
apportare novità. La traiettoria della nostra specie non è biologica come per gli animali, ma bio-culturale.

Great leap forward


L’evoluzione umana è, come abbiamo detto, anche culturale. Grazie alle innovazioni diffuse da Homo
sapiens, la cultura umana comincia a evolvere più velocemente, realizzando un grande salto in avanti che
coincide con il “big bang della cultura umana”.
Nascita della cultura Grande salto in avanti
Sepoltura dei defunti e deposizione di regali nelle Produzione di gioielli
tombe
Creazione di rituali Organizzazione degli spazi di vita
Confezione di indumenti Pittura rupestre
Uso di ganci per i pesci e altri strumenti (p.e. aghi Esplorazione di nuovi territori
d’osso, trappole ecc.)
Scambi sociali (baratto)

“Salto in avanti” rispetto agli altri animali -> sviluppo di tecnologie


In sintonia con i principi della psicologia storico-culturale di Vygotskij, è presumibile che tra l’invenzione
culturale di nuovi strumenti e lo sviluppo dell’intelligenza si sia innescato un processo circolare tale che, se
da un alto l’invenzione delle prime tecnologie è espressione di progressi intellettuali dei nostri progenitori,
dall’altro proprio l’uso di strumenti ha contribuito a innescare nuove abilità cognitive.

Big Bang della coscienza


Pensiero = possibilità di immaginare anche stimoli non presenti nell’ambiente. Grazie a queste capacità
cognitive può emergere la cultura, sia in senso materiale che simbolico e rituale.
Donald (1991) ha provato a ricostruire come avvenne il passaggio dalla mente dell’uomo primitivo all’homo
sapiens. Secondo Donald, la cognizione umana moderna inizia con la transizione da un funzionamento
“episodico” a uno “mimetico”.
I primi ominidi -> modo episodico:
-rappresentazioni mentali e codifica in memoria di eventi esterni (associava l’esperienza solo se l’oggetto
era presente: ad es. se il cactus era presente – dopo essersi punto);
-incapacità di accedere volontariamente ai proprio contenuti mentali.
Possibilità di pensiero molto frammentaria, episodica.
Con il passaggio ad homo sapiens il pensiero diventa molto più stabile, diventa mimetico -> modo
mimetico:
-attenzione diretta dal mondo esterno ai propri pensieri. Autocoscienza: capacità di distinguere il me dal
mondo, di prestare volontariamente attenzione al mondo esterno o ai propri pensieri.
Schematicamente parlando, gli ominidi avevano capacità di pensiero frammentarie; l’homo sapiens
acquisisce capacità di mentalizzazione.
-azioni pianificate
-prospettive temporali (passato, presente, futuro): siamo capaci di navigare dal passato al futuro
-comunicazione gestuale (pantomime) e conoscenze condivise: i gesti accompagnano moltissimo il
linguaggio.

Ingredienti della “modernità cognitiva”


La modernità cognitiva che ancora oggi ci caratterizza è formata da più meccanismi:
1. Teoria della mente (Baron-Cohen 2001):
-capacità di “leggere” gli stati mentali, le emozioni ecc. altrui (adattamento differito, non innato) ->
senza di questo non potremmo non potremmo goderci una serie tv o un romanzo. Bambini autistici ->
difficoltà <Sally teoria della mente scimmia dispettosa>
-atteggiamento intenzionale: capacità di distinguere fra azioni guidate da scopi e azioni accidentali
(Dennett 1987)

2. Apprendimento imitativo: noi apprendiamo socialmente, osserviamo gli altri e capitalizziamo


-Evoluzione culturale
Le 5 capacità umane (Bandura 1985) (il pensiero mimetico è la radice di queste 5 capacità umani essenziali):
• Capacità di simbolizzazione: che dà accesso al pensiero astratto e al linguaggio;
• Capacità vicaria: grazie alla quale i comportamenti sono appresi e modificati in funzione
dell’esperienza;
• Capacità di previsione: che consente di pianificare le azioni e di prevederne i risultati;
• Capacità di autoregolazione: che orienta e controlla le azioni per dirigerle verso un determinato
obiettivo;
• Capacità di autoriflessione: sulla quale si basano il senso di continuità di sé e i giudizi sul valore
delle azioni personali.
(Il prof ha dato per scontato che le conoscessimo -> da ripassare).

3. Fattore P (Stenhouse 1974)


Fattore P di sospensione o di posposizione delle risposte istintive: si tratta sostanzialmente di un
meccanismo che interviene per interrompere gli automatismi tipici delle condotte stereotipate, che si
attivano di fronte ai particolari stimoli naturali ai quali la specie è filogeneticamente programmata a reagire
(studio sulla spinarello, pesce che durante la stagione riproduttiva assume una brillante tonalità rossa ->
attacca automaticamente anche semplici sagome rosse -> modello fisso di azione, scatenato da un
meccanismo innato di emissione della risposta, che scatta automaticamente al presentarsi di uno specifico
segnale di rilascio).
Rendendo capace l’individuo di sospendere o controbilanciare le risposte istintive, dando spazio anche a
risposte “creative”, il fattore P dà la possibilità di “fermarsi a pensare”, di esplorare e generare corsi di
pensiero e azione alternativi.
• Teoria duali del pensiero
-thinking, reflecting
-self control, ego differentiation

L’evoluzione secondo l’evoluzionismo


Principali teorie dell’evoluzione
Una teoria è qualche cosa che cerca di spiegarmi un fenomeno.

Il trasformismo di Lamark
È una teoria che fu quasi subito riconosciuta come una teoria non valida, ma ha esercitato una strana
influenza sulla psicologia.
Libro -> Si deve a Lamark il primo tentativo di formulare una teoria evoluzionistica coerente, benché ancora
fortemente influenzata da idee prescientifiche. Ebbe il merito di riconoscere il dinamismo delle specie.
All’inizio del XIX secolo, iniziò ad elaborare la teoria della trasformazione delle specie.
Secondo Lamark, le specie non sono immutabili, ma si trasformano insieme alla Terra. Il trasformismo di
Lamark spiega l’evoluzione tramite due forze:
1. La forza vitalistica, che spinge gli organismi a diventare sempre più complessi;
2. Un fattore esterno, ovvero le variazioni ambientali che inducono cambiamenti nei “bisogni” nei
comportamenti di una specie, cui seguono cambiamenti nell’uso dei corrispondenti organi da
parte dei suoi membri. Ripetendosi e consolidandosi nel tempo, i cambiamenti di struttura
corporea giungono al punto di trasformare gradualmente la specie in una nuova. Sforzi adattivi
dell’organismo per adattarsi all’ambiente.
Lamark non si limita ad affermare che i viventi perdono le caratteristiche diventate inutili e ne sviluppano
altre più vantaggiose, ma introduce anche il principio dell’ereditabilità dei caratteri acquisiti (soft
inheritance), secondo cui i discendenti ereditano i tratti già acquisiti dai propri antenati. Quindi, i
cambiamenti fisiologici e morfologici prodotti nel singolo organismo dalle pressioni ambientali possono
trasmettersi direttamente ai suoi discendenti.
Lezione -> Ipotizzò che negli esseri viventi ci sia una tendenza a diventare sempre più complessi (la
complessità è un concetto relativo). Le pressioni ambientali producono dei cambiamenti che sono alla base
dell’evoluzione. Ad esempio, le giraffe: nella savana ci sono degli alberi molto alti che contengono del cibo,
le giraffe a furia di sforzarsi per raggiungere i rami molto alti -> questo sforzo fisico ha prodotto un
allungamento del collo. Il cambiamento morfologico (prodotto dallo sforzo fisico e dal conseguente
potenziamento dell’organo) si trasmette direttamente ai suoi discendenti.

La sua teoria si chiama ereditabilità dei caratteri acquisiti (soft inheritance).

Uno scienziato tagliò la coda a dei topolini: i discendenti non avevano la coda mozzata. È una teoria un po’
bizzarra ma affascinante. Ha molto influenzato gli psicologi: Pavlov, ad esempio, scoprì che c’erano dei cani
più facilmente condizionabili e cani più difficilmente condizionabili e ritenne che i discendenti dei cani più
facilmente condizionabili fossero a loro volta più facilmente condizionabili. Quando la scienza andò avanti, i
russi negarono queste cose. Anche Piaget fu influenzato da Lamark.
Sebbene la sua teoria fu confutata a favore di quella darwiniana, Lamark esercitò la sua influenza.
La teoria lamarkiana sicuramente dà conto dell’evoluzione culturale, non di quella biologica: un genitore
sicuramente può aprire delle possibilità di apprendimento (es. bravura al computer).

La teoria di Darwin

Secondo Darwin, bisogna considerare tre fenomeni:


1. Eccessiva fecondità delle specie: ogni specie, se fosse lasciata a sé stessa, si riprodurrebbe in modo
eccessivo. Così non è perché l’ambiente pone dei limiti alla proliferazione delle specie (difficoltà a
procacciarsi cibo, nemici naturali, competizione intraspecifica, ecc.);
2. Lotta per l’esistenza: lotta con i nemici, sistema immunitario; continua competizione per poter
sopravvivere e riprodursi. All’interno di ogni specie esistono delle differenze individuali: quegli
individui che sono casualmente portatori di tratti favorevoli (vantaggiosi) alla sopravvivenza e
all’evoluzione tendono a riprodursi in modo maggiore e a trasmettere i loro tratti ai discendenti (e
viceversa).
3. Variazioni ereditabili: i tratti ereditabili variano tra gli individui, portando a tassi differenzi di
sopravvivenza e riproduzione.
Il fatto che un tratto sia vantaggioso dipende dall’ambiente. Gli individui che hanno dei tratti
funzionalmente più vantaggiosi si riproducono di più, gli individui che hanno tratti più svantaggiosi si
riproducono di meno (e si estinguono, dopo moltissimo tempo).
I processi di variazione e di ereditarietà rinviano all’azione della selezione naturale: fra le mutazioni
genetiche casuali che generano la variabilità del genotipo e di manifestano nel fenotipo, sono le condizioni
ambientali a determinare a posteriori quelle più vantaggiose.
Causalmente l’evoluzione naturale ha prodotto giraffe con collo più lungo e giraffe con collo più corto; le
giraffe con collo più lungo sono state più adattive, mentre quelle con collo più corto si sono estinte. Alla
fine, il “collo lungo” è diventato il tratto prevalente e oggi noi vediamo soltanto giraffe con il collo lungo.
Mentre in Lamark è l’ambiente che modifica direttamente gli animali, in Darwin le differenze di tratto
esistono a priori
Per Lamark: prima ambiente -> poi collo.
Per Darwin: prima collo ->poi ambiente seleziona a posteriori quella determinata caratteristica. Non c’è una
caratteristica adattiva o disadattiva a priori.

Neo-darwinismo: la Sintesi Moderna

Teoria di Darwin + conoscenze moderne della genetica: neo-darwinismo.


Selezione naturale e altri processi evoluzionistici

Selezione naturale: processo attraverso cui l’ambiente decide in modo casuale se certi tratti siano o non
siano adattivi. Non ci sarebbe evoluzione se non ci fosse la variabilità. È importante che questa variabilità
sia ereditabile.
Ci sono altri meccanismi non spiegati dalla selezione naturale.

Effetti della selezione naturale


Adattamenti: prodotti diretti della selezione naturale; l’ambiente, con le sue caratteristiche casuali, ha
“premiato” o “punito” certe caratteristiche. La locomozione bipede è un adattamento; i primi protoumani
acquisirono vantaggi, finché poi è diventato un tratto caratteristico della nostra specie. Evidentemente
nell’ambiente muoversi su due piedi era vantaggioso.
Andare in monopattino o in bicicletta è un sottoprodotto dell’evoluzione, sono l’effetto indiretto degli
adattamenti.
La facoltà di linguaggio è quasi certamente un adattamento; la capacità di produrre linguaggio articolato è
diventata una caratteristica della nostra specie. Leggere e scrivere, invece, sono sottoprodotti
dell’evoluzione e dipendono dall’adattamento, ovvero dal linguaggio.
L’opponibilità del pollice è il prodotto della selezione naturale (vantaggioso); il fatto che noi usiamo il
pollice per digitare al telefono è un sottoprodotto.
Sono sottoprodotti perché se non esistesse il tratto naturale non potrebbe esistere quello culturale.
L’adattamento è naturale (linguaggio), frutto della selezione naturale, mentre il sottoprodotto è artificiale
(scrittura). Non tutto ciò che è culturale, però, è un sottoprodotto: ad esempio, dare del “lei” o del “tu” è
una convenzione culturale, non un sottoprodotto.
L’adattamento, inoltre, è qualcosa di più universale; mentre il sottoprodotto è un qualcosa di più ristretto.

Adattamento: fitness e trade-off

Fitness (=adattamento) è un concetto molto importante.


“A posteriori” perché se un tratto è svantaggioso dipende dall’ambiente in cui si trova l’individuo: non c’è a
priori un tratto che è più vantaggioso di altri. Non è causalità, ma casualità.
Alta o bassa fitness non sono qualità assolute, ma si determinano a posteriori in base all’interazione tra
individuo e ambiente. Un tratto adattivo, finché l’ambiente è favorevole, tenderà ad aumentare la propria
frequenza nella popolazione e viceversa.
Trade-off adattivi: ogni adattamento comporta un “compromesso” tra “benefici” e “costi”. Un tratto è
vantaggioso se i costi superano i benefici, è svantaggioso se i costi superano i benefici. Ad es. linguaggio ->
problemi nella deglutizione: linguaggio = tratto ad alta fitness). Correre di più, ad esempio, permette di
sfuggire ai predatori, ma come costo ha un maggiore consumo energetico: bisogna capire se in un
determinato ambiente ha maggior benefici correre di più oppure no.
Molteplici significati di “fitness”

Domanda di esame: Cosa intendeva esattamente per “fitness” Darwin? Tanto più è alta la fitness, quanto
più è alta è la possibilità di sopravvivere e riprodursi. Fitness per Darwin era sinonimo di successo
riproduttivo: quanto più alta è la fitness di un tratto, tanto più quel tratto si diffonde, i suoi portatori si
riproducono.
Fitness riferita agli organismi: abilità generale degli organismi nel competere con altri organismi per la
sopravvivenza e la riproduzione.

Lezione 11/10/2021
Ripassa le teorie della mente.
Natura e cultura si incontrano → il cervello del bambino continua a formarsi dopo il parto.
Processi di cambiamento che riguardano: lo sviluppo → individuo; evoluzione → specie. La maturazione è
un processo biologico, lo sviluppo riguarda anche l’apporto dei fattori ambientali. Nel corso dello sviluppo, il
bambino incontra i compiti evolutivi → questo lo fa non partendo da zero, ma partendo da una base, fornita
dalla filogenesi (es. legame di attaccamento è un comportamento specie-specifico).
L’antropogenesi non è un percorso lineare, ma arborizzato → un albero da cui tanti rami si separano → es.
gli scimpanzè, gli ominidi → tutti gli ominidi si sono estinti e siamo rimasti noi.
Rivoluzione ontogenetica: mentre gli altri animali lasciano già equipaggiati con apparati comportamentali
adatti alla loro nicchia biologica, in quanto l’apprendimento non è individuale, ma è quello che ha trasmesso
la specie; lo sviluppo dell’uomo, invece, è più lento ma eterocronico (funzioni sviluppano in tempi
differenti). Il nostro cervello è immaturo, è parzialmente formato alla nascita; va maturando nell’ambiente
culturale esterno. La nostra specie ha due forme di evoluzione: biologica e culturale → la nostra evoluzione
è bioculturale: certe funzioni non possono svilupparsi pienamente senza l’apporto dell’ambiente esterno
(es. linguaggio). Per quanto riguarda il cervello, la mielinizzazione è il processo di maturazione più noto e
avviene nell’arco di anni. La cultura è un elemento indispensabile per lo sviluppo mentale e sociale.
La nostra specie è una specie che accelera molto la tecnologia (“great leap forward”). Il nostro cervello
quanto riuscirà a star dietro a tutti i nuovi compiti adattivi che ci vengono posti da questa rivoluzione
tecnologica? Tutto ciò è stato possibile grazie a un processo di avanzamento cognitivo, ovvero il passaggio
dalla cognizione episodica a quella mimetica. Grazie alla mentalizzazione, il nostro pensiero diviene capace
di molte funzioni (assumere prospettive temporali, ad esempio).
Modernità cognitiva: la mente umana diventa ciò che tuttora utilizziamo; risale a migliaia di anni fa.
Il primo ingrediente della modernità cognitiva è la teoria della mente → esperimento: bambino assiste a
una scena (cioccolatino, scimmia) → scimmia sposta il cioccolatino: quando Sally torna, dove cercherà il
cioccolatino? I bambini più piccoli o affetto da autismo sbagliano questo compito. Senza questo
meccanismo non potremmo intenderci l’un l’altro, non potremmo dire bugie, non potremmo comprendere
storie. La teoria della mente è il fatto che ho io ho una mia rappresentazione nella mia mente della mente
dell’altro. L’autismo è stato interpretato come una difficoltà fondamentale di entrare in contatto con gli altri
perché manca un supporto chiave. I bambini più grandi con sviluppo tipico superano il compito. Un altro
aspetto è l’atteggiamento intenzionale, ovvero attribuire a tutto delle intenzioni → è una caratteristica
innata della nostra mente.
Il secondo ingrediente della modernità cognitiva è l’apprendimento imitativo (Bandura: teoria
dell’apprendimento sociale).
Il terzo ingrediente è il Fattore P: capacità di anticipare mentalmente l’esito delle nostre azioni.
Giraffe:
• Ereditabilità dei caratteri acquisiti: Lamark pensava che le giraffe non avessero inizialmente il collo
così lungo → a furia di esercitare questo sforzo adattivo, si è allungato il collo; poi questa
acquisizione individuale viene trasmesso direttamente alle discendenze. È l’ambiente che plasma le
differenze.
• Darwin invece diceva esiste in tutte le specie una variabilità individuale → quegli organismi che
CASUALMENTE hanno dei tratti favorevoli sopravviveranno e si riprodurrano di più mentre gli altri si
estingueranno. Oggi sono rimasti soltanto i discendenti delle giraffe con il collo lungo. L’ambiente a
posteriori funziona come un meccanismo che poi Darwin chiamò selezione naturale. Prima esiste
una variabilità della specie; alcune varianti fenotipiche sono ereditarie; questo fa sì che non tutti gli
individui della stessa specie si riproducono allo stesso modo: quelli che hanno dei tratti svantaggiosi
si riproducono di meno. In questo lunghissimo processo di trasformazione, si sono formati degli
adattamenti (locomozione bipede) e dei sottoprodotti (andare in bicicletta, in monopattino →
attività che se non ci fosse l’adattamento biologico non potrebbero esistere, ma che sono frutto di
apprendimento).
La fitness è un concetto completamente relativo: ciò che è adattivo oggi, potrebbe diventare
completamente disadattivo domani. È un meccanismo che funziona a posteriori, non c’è qualcosa che a
priori ci dice se un tratto è vantaggioso o meno. Un tratto ha sempre un trade-off, ovvero ha costi e
benefici; nel caso in cui un tratto sia vantaggioso, ha più benefici che costi (es. la locomozione bipede ha
come costi il mal di schiena). Sempre subottimale, non ottimale.
Fitness può significare:
• (riferita al tratto) una capacità tale per cui un individuo riesce ad avere più discendenti e quindi un
tratto comincia ad avere più frequenza nella popolazione rispetto ad altri;
• (riferita agli organismi) successo riproduttivo della specie, individuo o specie ad alta fitness → alta
capacità di riprodursi e propagare i propri geni; abilità relativa di un individuo o della popolazione a
sopravvivere, riprodursi e propagare i suoi geni.

Fitness inclusiva (Regola di Hamilton)


Esiste un’altra ulteriore
possibilità di ampliare il
concetto di fitness,
riguarda dinamiche più complesse. Un individuo di successo con le sue azioni cercherà di avvantaggiare i
suoi discendenti (es. genitori spendono risorse, energie e tempo per aiutare i figli); questa dinamica è estesa
anche ai parenti genetici, non soltanto ai figli → azioni che possano facilitare la sopravvivenza di altri
individui, non soltanto dei propri discendenti. La parentela può essere acquisita o genetica, in questo caso
stiamo parlando di parentela genetica. Hamilton ha allargato il concetto di fitness: inclusiva → perché la
fitness complessiva è risultato della somma tra la fitness classica e il fatto che l’individuo cercherà di
avvantaggiare i suoi discendenti. L’influenza della fitness inclusiva sarà tanto maggiore quanto più forte è il
legame genetico tra l’individuo e i beneficiari (es. maggiore tra fratelli che tra cugini primi.
• Successo riproduttivo dell’individuo (fitness classica) + effetto delle sue azioni sul successo
riproduttivo di individui con cui esso è geneticamente imparentato (fitness inclusiva)
Hamilton ipotizzò poi che la fitness inclusiva potesse essere la base dell’altruismo. Sicuramente quello che
ha favorito l’evoluzione della specie è stato il legame sociale. L’evoluzione favorisce il successo riproduttivo
dei discendenti di un organismo anche a costo della sopravvivenza e riproduzione di quell’organismo
(Darwin). es. la marmotta di fronte a un predatore, la preda anziché uccidere emette dei segnali di allarme
per avvisare il gruppo.
L’altruismo culturale è la tendenza ad aiutare gli altri.
Esperimenti: viene chiesto ai partecipanti di immaginare di essere un giudice e di giudicare o un parente o
un estraneo. Gli individui, quando era un parente, istintivamente davano pene inferiori e usavano più
giustificazioni.

Darwin non ha mai detto che sopravvive il più forte, ma la specie più adattivo: “Non è la specie più forte o la
più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio” → la capacità di adattarsi alle pressioni
ambientali.
La fitness inclusiva è biologica, è presente anche negli animali. Potrebbe essere l’origine di qualche cosa che
poi si è sviluppata e fa sì che noi tendiamo a sviluppare comportamenti altruistici.
L’altruismo è qualsiasi cosa implichi un costo per l’altruista e un vantaggio per l’altro.
L’altruismo implica la reciprocità → sì e no.
L’opposto dell’altruismo è l’egoismo → modello matematico che tratteremo più avanti.

Problemi adattivi e nicchie ecologiche


Problemi posti da un particolare ambiente esterno agli organismi spinti dall’evoluzione verso “soluzioni
ottimali” (Lewontin, Levins, 1978).
Relazione “scopo-specifica” di aderenza tra le caratteristiche delle specie e quelle del mondo (nicchia
ecologica) in cui essere vivono (Plotkin, 1997).

Altri processi adattivi


• Convergenza evolutiva: specie diverse, adattandosi alla stessa nicchia ecologica, sviluppano
strutture simili per rispondere a pressioni ambientali simili (es. delfino). Strutture simili in organismi
anche molto distanti a livello filogenetico per rispondere a pressioni ambientali simili. Tale
fenomeno si osserva per esempio in animali di classi diverse (pesci, balene, foche, pinguini) che si
muovono in acqua.
• Exaptation (cooptazione funzionale): cambiamento funzionale di strutture originariamente
evolutesi con altre funzioni (ali degli uccelli, nuove funzioni assunte dalla mano umana con
l’abbandono della vita arborea). In origine gli uccelli non volavano, le ali servivano per garantire il
mantenimento termico. A poco a poco (migliaia di anni) le ali cominciarono a cambiare funzione,
diventando uno strumento per il volo.

Altre teorie evoluzionistiche

Mentre la teoria di Darwin ha soppiantato completamente quella di Lamark, queste teorie hanno messo in
luce altri aspetti:
• Teoria neutrale: Darwin diceva che un tratto poteva essere adattivo o disadattivo, mentre queste
teorie dice che la maggior parte delle caratteristiche sono neutre; solo una minoranza dei tratti si
rivela adattiva o disadattivo. È interessante perché quando torneremo a parlare di personalità, le
differenze individuali sono veramente state rilevanti per l’adattamento o sono state irrilevanti?
Inizialmente si ritenevano che non fossero rilevanti, mentre in seguito si ritenne che i vari aspetti
della personalità avessero dei costi e dei benefici.
• Teoria degli Equilibri Punteggiati: Darwin sosteneva che ci volessero milioni di anni per sviluppare
dei tratti, mentre questa teoria sostiene che l’evoluzione funziona così: in periodi statici le specie
non cambiano molto, mentre in periodi relativamente brevi (migliaia di anni) cambiano molto
velocemente (es. Big Bang della coscienza).
La teoria darwiniana rimane sempre la teoria di riferimento.

L’evoluzionismo nella psicologia del XIX sec.


Nel secondo capitolo, il libro si sofferma sull’influenza che le idee darwiniane hanno esercitato sulla
psicologia tra il XIX e il XX secolo. Il diffondersi dell’evoluzionismo ha favorito la nascita della psicologia
scientifica, orientando l’interesse dei primi ricercatori verso l’indagine delle differenze individuali, del
comportamento animale, dell’istinto e delle emozioni.
Libro: nella seconda metà del XIX secolo, mentre Darwin elaborava la teoria dell’evoluzione, Spencer
adottava l’evoluzionismo nell’ambito del suo sistema filosofico. Nell’ottica associazionistica di quel periodo,
lo sviluppo individuale consiste, secondo Spencer, in un progressivo aumento delle associazioni fra le idee,
dove il cervello funge da “registro di esperienze”. L’accumulazione di esperienze non si esaurisce
nell’individuo, ma si estende alla specie: i riflessi innati e gli istinti sono abitudini apprese talmente bene da
entrare a far parte dell’eredità della specie. Di conseguenza, se i processi associativi funzionano allo stesso
modo in tutti i cervelli, le differenze tra le specie dipendono dalla quantità di associazioni di cui ogni cervello
è capace (-> Levy-Bruhl, pensiero prelogico dei popoli primitivi). La psicologia di Spencer si può definire una
psicologia comparata, cioè basata sul confronto fra i differenti livelli quantitativi raggiunti dalle specie lungo
la dimensione dell’intelligenza. Proprio per l’importanza attribuita allo studio comparativo dell’intelligenza,
Spencer indirizza una parte cospicua della psicologia sperimentale.
Darwin sostiene che la differenza tra le attività mentali degli animali e quelle dell’uomo sia puramente
quantitativa, non qualitativa; uomo e animale sono accomunati da una molteplicità di istinti.

Nonostante le critiche, la psicologia del XIX e XX secolo è stata ampiamente influenza da Darwin. Ecco le
principali influenze dell’evoluzionismo sulla psicologia:
• Galton utilizzò un approccio comparato e cercò di esplorare le differenze individuali per mezzo di
test mentali e tecniche statistiche di analisi dei dati; avendo sostenuto il ruolo dell’ereditarietà
biologica nel determinare le differenze nelle capacità mentali, avviò l’eugenetica, finalizzata a
favorire la riproduzione degli individui “più adatti”.
Il movimento eugenetico, diffusosi in USA e nella Germania nazista, assunse presto connotazioni
politiche razziste nei confronti di individui “socialmente indesiderabili”;
Lezione: Darwin era uno scienziato ottocentesco; la sua teoria fu utilizzata per scopi diversi, ad
esempio gli esperimenti dei nazisti. Quando si parla di darwinismo sociale ci si riferisce a ricadute
ideologiche che con Darwin non hanno nulla a che fare, ma che sono il frutto della
strumentalizzazione del suo pensiero.
Il darwinismo sociale è quell’ideologia che giustifica le differenze sociali sulla base biologica.
È una visione che si richiama a Darwin, ma che con Darwin non ha nulla a che fare.
L’eugenetica è una visione razzista di teorie che giustificano abusi.
C’è un lato oscuro che è bene richiamare anche storicamente.
• Spalding, Romanes, Morgan (per prove ed errori) -> psicologia animale; Thorndike, Skinner;
• Il funzionalismo accolse pienamente i principi darwiniani, in particolare quello di adattamento
(James, Piaget). L’approccio funzionalista colloca i processi psichici in una cornice biologica ed
evoluzionistica. Percezione, pensiero, emozioni, coscienza sono funzioni utilizzate dall’organismo
per adattarsi all’ambiente, cioè per superare gli ostacoli alla propria sopravvivenza.
Nell’ambito della psicoanalisi, Hartmann afferma che l’adattamento è una funzione regolativa
dell’Io.

La socialità in Darwin
Per Darwin, la principale radice della vita mentale è la socialità. Secondo Darwin, la socialità è istintiva
nell’uomo.
• L’imitazione, la ragione e l’esperienza hanno contribuito nei nostri progenitori all’incremento di
capacità intellettive di cui vi sono le prime tracce negli animali inferiori…
• Alla socialità è riconducibile l’istinto di compassione (sympathy) che ci spinge a dare aiuto a chi ne
ha bisogno. Sympathy vuol dire immedesimarsi nelle difficoltà altrui; Darwin diceva che nell’uomo è
previsto questo istinto di compassione verso gli altri se fanno parte del proprio gruppo.

L’interesse per le emozioni


Il più importante contributo di Darwin alla psicologia rimane “L’espressione delle emozioni negli uomini e
negli animali”, che raccoglie una serie di dati a sostegno della tesi del carattere universale, transindividuale,
delle espressioni facciali. In molti mammiferi, ci sono delle espressioni facciali che sembrerebbero
decodificabili universalmente → espressioni facciali universali.
Darwin evidenzia l’esistenza di una stretta associazione tra l’emozione e le sue manifestazioni fisiche e
identifica alcuni elementi espressivi che accomunano specie diverse. Dal punto di vista teorico, egli ritiene
che la funzione adattiva delle emozioni consista nel reagire in modo appropriato alle situazioni.
L’approccio darwiniano ha influenzato soprattutto le teorie differenziali, centrate sulla genesi biologica di un
certo numero di emozioni di base o primarie. La classificazione di queste emozioni è stata tuttavia molto
dibattuta perché i ricercatori non concordano su quali e quante siano.
Emozioni di base: paura, rabbia, gioia, disgusto, sorpresa, tristezza (Ekman).
Nonostante tali differenze, i sostenitori della concezione evoluzionistica suggeriscono che le emozioni
primarie sono il risultato della selezione filogenetica delle risposte comportamentali più adatte a
fronteggiare in modo veloce ed efficace le richieste dell’ambiente.
Secondo Ortony e Turner, esistono sottocomponenti espressive innate, anziché vere e proprie emozioni
primarie. Smith e Scott ritengono che tali sottocomponenti espressive possano operare come segnali
conversazionali con differenti significati secondo il contesto comunicativo.
Indipendentemente dalle diverse posizioni, l’espressione delle emozioni conferma l’inscindibile intreccio
dell’ evoluzione filogenetica con le regole comunicative dettate dalla cultura.

Lezione 12/11/2021
L’interesse per l’istinto
Libro: Dopo i funzionalisti, altri ricercatori si ispirarono all’evoluzionismo, rielaborando in vari modi il tema
dell’istinto. Darwin applicava questo costrutto non solo a comportamenti riproduttivi o ad attività
stereotipate, ma anche a disposizioni individuali o ai sentimenti di compassione. Va quindi attribuito a
Darwin il merito di aver riconosciuto che l’istinto è un importante elemento del comportamento umano
oltre che di quello animale.
Sulla stessa linea, James critica il luogo comune secondo cui l’uomo differisce dagli animali per la quasi
totale manca di istinti e afferma che anzi l’uomo è caratterizzato addirittura da un maggior numero di
impulsi, che compaiono variamente sin dalla nascita. Anche Freud parla di istinto di vita e istinto di morte.
Secondo McDougall (teoria apertamente razzista), l’istinto è la capacità innata o congenita di agire
intenzionalmente.
In psicologia, però, ben presto il tema declino, anche perché gli psicologi trovano più attraente lo studio
dell’apprendimento, mentre l’interesse per l’istinto veniva ripreso quasi esclusivamente dall’etologia,
disciplina centrata sullo studio dei comportamenti e delle abitudini delle specie animali (etogrammi).
Secondo Konrad Lorenz, ogni membro della specie sembra “riconoscere” facilmente e spontaneamente
determinate informazioni ambientali alle quali reagisce in modo automatico e stereotipato. Tale
predisposizione è dovuta al fatto che, durante l’interazione evoluzionistica tra la specie e l’ambiente, le
informazioni salienti per la sopravvivenza sono state raccolte e immagazzinate nel genoma della specie e
nei tipici “moduli comportamentali” tramite cui essa si adatta all’ambiente. L’istinto, in questa prospettiva,
è quindi il risultato adattivo della filogenesi, ma non esclude l’apporto dell’esperienza individuale di
apprendimento -> intreccio tra istinto e apprendimento (esperimento di privazione). Un modulo
comportamentale è istintivo, cioè frutto di una programmazione filogenetica – e non dell’apprendimento
ambientale da parte del singolo organismo – se tale comportamento si attiva ugualmente anche in un
animale che sia stato sperimentalmente allevato in condizioni di privazione delle corrispondenti
stimolazioni ambientali.
Gli etologi rimarcano anche che tali comportamenti non sono plasmabili a piacere tramite le influenze
ambientali (VS comportamentisti).
L’elaborazione della teoria dell’attaccamento (Bowlby, Ainsworth) è fortemente influenzata dall’approccio
etologico e, in particolare, dalla scoperta del meccanismo dell’”imprinting” (Bowlby: nei primi due mesi
l’attaccamento è fondato su processi istintivi che svolgono la funzione di costruire un legame).

Lezione: Si intende come istinto un insieme di comportamenti preformati specie-specifici, come


comportamenti legati all’appartenenza, alla filogenesi della specie, e non alla cultura. All’inizio degli studi a
riguardo si cercò di spiegare l’istinto in termini ambientalistici – l’essere umano è quasi privo di istinti, i suoi
comportamenti si spiegano tramite l’ambiente. Da qui iniziò l’interesse per l’etologia (studio di come le
specie viventi si comportano ognuno all’interno della propria nicchia ecologica). L’istinto diventa il bagaglio
di conoscenze automatiche che si attivano in presenza di certi stimoli ambientali all’interno della nicchia
ecologica della specie.

Esperimento di privazione (paradigma): Per studiare questi comportamenti, Lorenz prelevava le uova dal
nido di numerose specie di uccelli e le faceva schiudere in un’incubatrice: poteva così osservare giovani
uccelli che non erano mai stati a contatto con animali adulti, riconoscendo immediatamente i
comportamenti che si sviluppano in modo istintivo. Nel caso delle taccole, per esempio, Lorenz scoprì che il
modo di trattare e curare la prole dipende da un meccanismo innato: le taccole cresciute in un ambiente
artificiale, infatti, sanno accudire i piccoli in modo identico alle taccole osservate in natura. Questi stessi
animali però non sanno riconoscere i nemici, cioè gli animali che possono costituire un pericolo per loro,
come per esempio i gatti: quindi per le taccole la capacità di riconoscere i nemici non è un comportamento
innato, ma appreso.

Tra le teorizzazioni di Lorenz troviamo anche l’imprinting, un processo di apprendimento che avviene nei
primissimi istanti della vita; in particolare, le piccole oche appena nate seguono come madre il primo
animale che vedono. Ciò che è innato in questi uccelli è l’insieme degli stimoli usati per identificare la
madre: essi, infatti, scelgono come guida qualsiasi oggetto, purché sia in movimento (anche lo stesso
sperimentatore). Lorenz osservò inoltre che il fenomeno dell’imprinting è irreversibile: i piccoli nati
nell’incubatrice continuano a seguire il primo animale che hanno visto alla nascita, anche se subito dopo
vengono ricongiunti con la vera madre. Per queste scoperte Konrad Lorenz ha ricevuto il premio Nobel nel
1973. Secondo l’impostazione freudiana però l’attaccamento deriva esclusivamente da un soddisfacimento
dei bisogni dell’individuo, avrebbe pertanto una funziona esclusivamente “fisiologica”. Importante per
smentire questa impostazione è stato l’esperimento di Harlow (quello della scimmietta con due strutture,
una che eroga cibo e una in panno morbido). Il bambino si attacca alla madre per ciò che viene chiamato
“meccanismo da contatto”, che è istintuale e non dipende dall’erogazione di cibo o meno.
Altre influenze dell’evoluzionismo sulla nascente psicologia

Libro: Vygotskij, fondatore della Scuola storico-culturale, fu influenzato dalle idee di Darwin e approfondì la
questione delle differenze evoluzionistiche tra le capacità mentali dell’uomo e quelle dell’animale. Vygotskij
propone l’idea di organismo altamente plastico che interagisce con un ambiente storicamente e
culturalmente determinato in continua trasformazione; attraverso tale interazione, le prime strutture
elementari, biologicamente fissate, sono sottoposti a processi di “distruzione”, “ricostruzione” e
“transizione” da cui emergono strutture superiori, costruite tramite l’uso di segni e strumenti. Per
Vygotskij, le funzioni psicologiche superiori non consistono in una semplice sovrapposizione rispetto ai
processi elementari, ma rappresentano “nuovi sistemi psicologici”.
L’elemento cruciale che segna il passaggio da una dimensione biologica elementare a una storico-culturale
nell’evoluzione umana è la significazione, processo di mediazione cognitiva e culturale caratterizzato dalla
creazione e dall’uso di segni e strumenti.
Se Darwin poneva l’accento sulla continuità tra capacità cognitive dell’uomo e dell’animale, Vygotskij
sottolinea invece le differenze e la discontinuità.

Lezione: Anche James e Vygotsky furono influenzati dalle idee di Darwin.


Nel caso di Vygotsky, mentre Darwin riteneva che tra mente umana e animale ci fosse continuità e che
siamo “superiori” agli animali semplicemente per un fatto quantitativo (siamo dotati di più facoltà degli
animali, ma la nostra mente non è migliore qualitativamente), per Vygotsky – pur accettando le idee
darwiniane – esisteva una discontinuità tra le due menti, esistendo anche una differenza qualitativa:
proprio perché siamo una specie non solo biologica, ma anche culturale, è importante anche l’evoluzione
storico-culturale dell’uomo (scaffolding → ci arrampichiamo su impalcature, ovvero conoscenze di regole e
comportamenti, trasmesseci dalle generazioni precedenti). Scaffolding= tecnologie e strumenti
culturalmente diffusi sostengono lo sviluppo cognitivo e l’apprendimento.
James propone invece che la psicologia debba avere una visione funzionalista – pensiero (utile per il
problem-solving), percezione (utile per il controllo dell’ambiente), emozioni (riadattamento immediato
dell’organismo alle situazioni) e altre funzioni mentali sono adattive, aiutano la specie (proprio come gli
organi fisici hanno ognuno una propria funzione e si sono formati filogeneticamente, analogamente le
funzioni mentali hanno svolto una funzione di sopravvivenza e di adattamento). Per James questi sono
processi di plasticità, il sistema nervoso si modifica in base all’esperienza. Il prof ritiene che l’evoluzione
non sia un processo solo biologico, ma anche di apprendimento culturale (come Vygotskij). Le abilità umane
hanno bisogno di uno scaffolding (di un’impalcatura) entro cui formarsi (come direbbe Vygotskij).
Esperimento di Federico II: dice che volle allevare dei bambini con balie mute per scoprire quale lingua
parlassero spontaneamente (si pensava che il greco fosse la lingua madre).
Questi bambini morirono precocemente, magari perché mancavano degli stimoli o magari per le condizioni
igienico-sanitarie. Anche Spitz riferisce questo, ovvero che molti bambini andavano incontro al “marasma
infantile”, perché mancava loro quel legame di attaccamento.

Biologia e conoscenza nella teoria di Piaget


Libro: Piaget affrontò in modo esplicito e sistematico la questione delle relazioni tra adattamento biologico
e adattamento cognitivo. La visione di Piaget è interazionista e costruttivista: le influenze genetiche e quelle
ambientali non dominano l’organismo, ma, al contrario, questo si dimostra attivo.
Le 5 funzioni vitali più generali degli esseri viventi sono:
1. organizzazione
2. adattamento → assimilazione/accomodamento
3. anticipazione (esperimento di Pavlov: cane anticipa): meccanismo sia biologico sia psicologico
4. regolazione (→ cibernetica): la metacognizione quando eseguo un compito e mi accorgo di aver
fatto un errore è un esempio di autoregolazione
5. equilibramento,
e secondo Piaget si ritrovano tutte anche in campo cognitivo.
Per quanto riguarda il reciproco rapporto organismo-ambiente, la spiegazione di Piaget intende porsi come
“terza via” fra neolamarckismo e neodarwinismo. Secondo il punto di vista neolamarkiano, l’ambiente si
impone all’organismo, che trasmette per via ereditaria le modifiche acquisite a livello individuale. Secondo
la teoria neodarwiniana, il ruolo dell’ambiente è quello di selezionare a posteriori.
Rigettando entrambe le soluzioni, Piaget suggerisce l’esistenza d’interazioni multiple tra organismo e
ambiente, tali che entrambi esercitano influenza sull’altro.
È cruciale il processo di assimilazione (genetica), che Piaget riprende dal biologo e genetista Waddington,
secondo il quale nei processi evoluzionistici gioca un ruolo non soltanto la selezione naturale, ma anche
l’epigenesi, ovvero l’insieme di interazioni con l’ambiente attraverso cui, nel corso dello sviluppo
individuale, il genotipo dà origine ai caratteri fenotipici (fisici e comportamentali) osservabili. Essendo
influenzata da fattori esterni, l’epigenesi evidenzia una certa flessibilità o plasticità (un singolo gene può
manifestare diversi fenotipi in ambienti differenti). Waddington era convinto che la plasticità fenotipica
(che include anche i comportamenti appresi) potesse modificare gli effetti della selezione naturale in
funzione delle risposte date dall’organismo a specifiche condizioni ambientali.
Alcuni suoi esperimenti sembravano effettivamente dimostrare questa tesi (->).

Esperimenti sulle fenocopie


Waddington e Piaget condussero degli esperimenti molto simili.
Esperimenti di Waddington (1942) su esemplari di Drosophila: le mosche venivano allevate in una
condizione di anomalie ambientali, rimanevano delle macchie sulle ali. Se queste mosche si andavano a
riprodurre in condizioni normali, anche i loro discendenti manifestavano le macchie sulle ali.
Esperimento di Waddington: A Waddington si devono i termini Paesaggio Epigenetico e Assimilazione Genetica che
applicò nell’ambito dei suoi esperimenti compiuti nel 1935 sui moscerini del genere Drosophila.
Waddington mostrò che esponendo dei moscerini al gas di etere in un preciso momento del loro sviluppo embrionale
portava alla nascita di individui con una malformazione nota come Bithorax complex dovuta all’attivazione di un gene
normalmente inattivo. L’aspetto notevole della sua ricerca è che dopo aver selezionato gli individui mutanti e
applicato la sua procedura per 20 generazioni, i moscerini manifestavano il tratto mutante anche in assenza dello
stimolo condizionante.
Waddington definì fenocopie tali trasformazioni, le cui origini non erano genetiche ma ambientali, per
distinguerle dalle mutazioni genetiche spontanee.
Waddington spiegò le fenocopie con il meccanismo dell’assimilazione genetica, che aveva prodotto una
stabilizzazione delle risposte epigenetiche dei moscerini esposti ad alterazioni ambientali, determinandone
la trasmissione anche nei loro discendenti.

Piaget utilizza i concetti di “fenocopia” e di “assimilazione genetica” per interpretare i risultati delle
ricerche giovanili che aveva condotto nell’ambito della malacologia (ramo della zoologia che studia i
molluschi). Scoprì che queste conchiglie (Lymnaea stagnalis) potevano avere varie forme e scoprì che le
conchiglie che vivevano in laghi più tranquilli avevano forme più lunghe, mentre le conchiglie che vivevano
in acque più agitate avevano una forma più corta.
Piaget prese le conchiglie lunghe e le mise in acque agitate e quelle corte in acque tranquille → i
discendenti mantenevano la forma nonostante le condizioni ambientali fossero mutate.
Nella stabilità di tali cambiamenti, prodotti da un comportamento dell’organismo per adattarsi al proprio
Umwelt, Piaget vedeva la prova che variazioni individuali puramente fenotipiche (la contrazione della
conchiglia), possono più tardi innescare perturbazioni epigenetiche capaci di produrre effetti tanto
“profondi” da arrivare a coinvolgere lo stesso genotipo. Piaget pensava che perturbazioni epigenetiche
sufficientemente forti e duratore costringessero il genoma a “riorganizzarsi” e a “inventare” soluzioni
fenotipiche: se queste si dimostravano adattive, si stabilizzavano nella popolazione.

Tutto ciò ricorda molto Lamark e le giraffe.


Waddington ipotizzò che il fenotipo è derivato dall’interazione tra sistema genetico e condizioni ambientali.
Piaget disse che quando l’ambiente ha degli effetti così forti sul fenotipo dell’individuo, ciò ha degli effetti
sui discendenti. In modo più sofisticato, sembrano rivalutare le teorie di Lamark.

Grazie agli esperimenti di Waddington e alle osservazioni di Piaget sulle fenocopie, si giunse alla
conclusione che evoluzione e psicologia andassero studiate in maniera congiunta. Però, diversamente da
quanto pensavano Waddington e Piaget, l’assimilazione genetica è del tutto spiegabile con la teoria
darwiniana: gli effetti regolatori dell’epigenesi dipendono da riorganizzazioni interne del genoma, non
dovute al passaggio diretto dalla fenocopia al genoma (assimilazione genetica), ma dovute all’
accoppiamento selettivo di molte generazioni di individui portatori di alterazioni biologiche originate da
alterazioni ambientali (fattori di rischio) -> il prof ha detto che è come quello che artificialmente l’uomo con
le razze canine e con le rose. Quello che l’uomo fa artificialmente, la selezione naturale lo fa in modo
naturale: individui con fenotipici simili hanno più probabilità di dar luogo a individui con quel tipo di
fenotipo.
Tutto ciò però ha comunque lanciato l’idea che gli organismi non sono una passiva replica dell’evoluzione
naturale, le nostre caratteristiche genetiche sono frutto di un percorso epigenetico che attiene allo sviluppo
individuale, che ha effetti quindi sul fenotipo: esso non è quindi espressione diretta del genotipo. Plasticità
epigenetica significa quindi che non è detto che i nostri geni influenzino il nostro destino, poiché questi
sono influenzati dall’ambiente in cui ci troviamo. Può succedere che stessi genotipi possono portare a
differenti fenotipi: oggi sappiamo che gli appartenenti a una certa specie hanno una plasticità fenotipica
(→nuovi tratti o mutazioni possono essere indotti dall’ambiente, poiché la selezione naturale non agisce
direttamente sui genotipi, bensì sui fenotipi [West-Eberhard 2005]).

Lezione 18/10/2021
Epigenesi ed Epigenetica
Lezione: Il fenotipo non è la semplice espressione diretta del genotipo, ma c’è un meccanismo di epigenesi.
Plasticità epigenetica: nuovi tratti o mutazioni possono essere indotti dall’ambiente, poiché la selezione
naturale non agisce direttamente sui genotipi, bensì sui fenotipi.
Epigenetica = scienza che studia l’intreccio tra sviluppo ed evoluzione.
Vi è un superamento di Darwin in questo senso.

Libro: Come abbiamo detto, Piaget sembra avvicinarsi a una spiegazione neolamarckiana dell’assimilazione
genetica, ma in realtà egli respinge esplicitamente il modello lamarckiano, facendo invece appello ai
principi cibernetici di informazione e autocontrollo. Un sistema cibernetico è capace di autoregolarsi
perché viene “informato” sul risultato delle proprie azioni e può “correggerle”; in tale ottica, codice
genetico, sviluppo dell’organismo e ambiente sono collegati e vi sono reciproci scambi informativi.
Piaget spiega in questo modo le influenze reciproche tra genoma, epigenesi e fenotipo: il pool genetico
possiede proprie norme di reazione endogene; durante l’ontogenesi, le suddette norme di reazione
canalizzano l’epigenesi (passaggio dal genotipo al fenotipo) verso lo sviluppo di fenotipi che variano da un
individuo all’altro secondo le differenti possibili condizioni ambientali cui ogni organismo è sottoposto
(flessibilità fenotipica).
Interagendo con l’ambiente, l’epigenesi è influenzata dai “sostegni” o dagli “ostacoli” che va incontrando.
Di conseguenza, l’ambiente agisce selettivamente sui fenotipi e influenza la regolazione genetica, attivando
o inibendo l’espressione di quel carattere genetico. Con susseguirsi delle generazioni, ciò può dar luogo a
ricombinazioni del pool genetico che producono stabili fenocopie.
Inoltre, Piaget pone l’accento sul fatto che, in questo processo di scambio, l’adattamento dell’organismo
non è passivamente modellato dall’esterno, ma dipende anche dai comportamenti di scelta tramite cui
l’organismo, a sua volta, agisce sull’ambiente selezionando quali risorse sfruttare per la propria
sopravvivenza.
Egli riconosce anche che non sempre l’adattamento fenotipico agli stimoli ambientali si ripercuote sul
genotipo.
Parallelamente all’assimilazione genetica, sul piano mentale opera l’assimilazione cognitiva, che incorpora
nuove percezioni e conoscenze in strutture preesistenti. L’assimilazione può lasciare invariate le strutture
mentali oppure modificarle per adattarle alle novità (accomodamento).

Evoluzione e sviluppo secondo Piaget


Lezione: Piaget sosteneva che tutti gli esseri viventi hanno delle funzioni che sono contemporaneamente
vitali e cognitive. Ciò che è vivente a livello biologico e ciò che lo è a livello mentale hanno delle proprietà
comuni: l’organizzazione, l’adattamento (tramite le funzioni di assimilazione e accomodamento), la
conservazione, l’anticipazione e la regolazione. Per Piaget lo sviluppo è un “paesaggio epigenetico”, ovvero
può essere concepito come una conquista di conoscenze nuove che possono però essere raggiunte solo
perché vengono basate su strutture precedenti. Il paesaggio è invece l’insieme delle situazioni individuale
che uno vive nella vita: assume quindi la forma di una traiettoria individuale, diversa per ognuno.
Sviluppo come paesaggio epigenetico.
Epigenetico significa che lo sviluppo può essere concepito come una conquista di conoscenze nuove che
però possono essere raggiunte solo perché vengono basate su strutture precedenti.
Paesaggio epigenetico: insieme di tutti i contesti di vita e di esperienze che noi abbiamo incontrato nella
nostra vita, come una traiettoria che si intreccia tra le nostre strutture mentali e le esperienze che
realizziamo. Non c’è un automatismo per cui si passa automaticamente da uno stadio all’altro, ma il
passaggio da uno stadio all’altro, da una struttura all’altra, è epigenetico (=qualcosa che ha una genesi a
partire da qualcos’altro). Le conoscenze che andiamo formando non sono predeterminate e uniformi per
tutti gli individui, ma dipendono dalla traiettoria di sviluppo che ognuno di noi ha seguito.
Le strutture nuove presuppongono strutture precedenti, ma non nel senso che si vanno a formare → si
vanno a riorganizzare (es. aritmetica → algebra: l’algebra presuppone la conoscenza dell’aritmetica;
epigenetico perché uno potrebbe anche non studiare mai l’algebra). Dipende anche dal paesaggio
epigenetico, dagli ambienti sociali e di istruzione dove gli individui si è imbattuto. La nostra traiettoria
personale è influenzata, oltre che dalle nostre strutture mentali, dai paesaggi epigenetici in cui ci
imbattiamo.
Vita e mente sono intrinsecamente collegate.

Libro: nel modello di Waddington, condiviso da Piaget, lo sviluppo è un processo trasformativo e flessibile
che si dispiega all’interno di un paesaggio epigenetico, articolato secondo diverse possibili traiettorie
evolutive, suscettibili di essere influenzate da variabili interne all’organismo e/o ambientali. Tali traiettorie
evolutive riguardano sia l’ontogenesi sia la filogenesi. Il paesaggio epigenetico può quindi essere raffigurato
come una valle di partenza, che in seguito si dirama in due o più valli, le quali si diramano a loro volta e così
via.

Biologia e conoscenza dopo Piaget


La “terza via” cibernetica tra neolamarckismo e neodarwinismo non appare più sostenibile alla luce dei
recenti avanzamenti della biologia dello sviluppo (developmental biology) e della biologia evoluzionistica
dello sviluppo (evolutionary developmental biology).
Le scoperte di Waddington e Piaget precorrono l’emergente paradigma Evo-Devo (Evolutionary-
Developmental) in biologia e in psicologia: lo sviluppo individuale non è rigidamente regolato dal
programma genetico della specie.
La nostra per certi versi è psicologia evoluzionistica, dall’altra potremmo rinominarla psicologia
evoluzionistica dello sviluppo. Studia come l’ambiente influisca sulla plasticità adattiva, sulla plasticità
fenotipica.
Evo-Devo Biology Evo-Devo Psychology
Studia i cambiamenti nello sviluppo embrionale La selezione può favorire le differenze individuali
durante le singole generazioni in relazione ai tramite l’adaptive developmental plasticity.
cambiamenti evoluzionistici che si verificano tra le Lo sviluppo umano segue strategie di life history
generazioni. alternative in risposta alla variabilità ambientale,
piuttosto che seguire un modello di sviluppo tipico
della specie.

Molti studiosi ritengono che la flessibilità epigenetica sia pienamente conciliabile con meccanismi di tipo
darwiniano e non richieda regolazioni di natura cibernetica.
Diversamente da quanto pensava Piaget, gli effetti regolatori dell’epigenesi non implica un passaggio dalla
fenocopia al genoma, né un vero e proprio cambiamento genotipico per assimilazione genetica, ma
soltanto una riorganizzazione delle relazioni interne al genoma.
Ad esempio, per quanto riguarda l’esperimento dei moscerini della frutta, rare varianti di proteine naturali
si attivavano soltanto se gli individui che ne sono portatori sono allevati al calore. Selezionando da una
generazione all’altra i portatori di tali fattori, aumentano sempre più le probabilità che essi trasmettano lo
stesso tratto anomalo ai loro discendenti, finché questo non finisce con il prevalere nell’intera popolazione.
A differenza di quanto ipotizzato da Waddington e Piaget, non si determina quindi alcuna assimilazione
genetica di nuovi geni mutanti né alcun “assorbimento” dell’informazione fenotipica da parte del genoma.

Un esempio di interazione evoluzione-sviluppo-ambiente


Dal punto di vista psicologico cosa vuol dire che l’evoluzione e lo sviluppo e l’ambiente interagiscono
costantemente tra loro? Ci sono ad esempio studi che hanno preso in considerazione la suscettibilità in
relazione ad alcuni stimoli ambientali. Ci sono ad esempio degli individui (i resilienti) che anche dopo forti
traumi ambientali riescono a mantenere le proprie risorse, mentre ci sono altri individui che di fronte a
minime perturbazioni esperienziali manifestano grandi cambiamenti. Quindi sostanzialmente ci sono
individui caratterizzati da minore (la traiettoria evolutiva ha qualche piccola differenza, ma rimane stabile)
o maggiore suscettibilità (manifestano un grande cambiamento in questo secondo caso) ambientale.
Sembra che queste differenze, che possono sembrare solo psicologiche, abbiano basi nel modo in cui è
organizzato il sistema nervoso individuale (che si forma in parte nell’ambiente intrauterino, ma che grazie
all’evoluzione ontogenetica continua a formarsi nell’ambiente).
a. Suscettibilità differenziale. L'asse x indica la
variazione del fattore ambientale da negativo a
positivo; l'asse y indica l'esito da negativo a
positivo. Le linee raffigurano i due gruppi che
differiscono nel grado di suscettibilità.

b. Assenza di suscettibilità (la variazione del


fattore ambientale non influisce sul differente
risultato).

c. Effetti contrastivi (es. opposti effetti di una


dura disciplina).

d. Interazione “a ventaglio”. Individui


“vulnerabili” sono eccessivamente sensibili a
condizioni ambientali negative, ma non
altrettanto a condizioni positive.

Suscettibilità differenziale e attaccamento


Uno studio sugli effetti di intervento di parenting progettato per aumentare il tasso di attaccamento sicuro
in bambini entro il primo anno d’età ha rivelato che:
1. Nel gruppo di intervento, i bambini altamente irritabili avevano esiti significativamente migliori
rispetto a quelli moderatamente irritabili;
2. Nel gruppo di controllo, i bambini altamente irritabili non peggioravano più di quelli
moderatamente irritabili.
Quindi nello sviluppo l’individuo non reagisce in modo lineare agli eventi, perché c’è un meccanismo
epigenetico di flessibilità adattiva fenotipica che lo dimostra (in questo caso è il diverso livello di irritabilità,
che causa diverse reazioni nei bambini, sia in positivo che in negativo).
Queste differenze sono spiegate dall’unione di esperienze dello sviluppo e dalla variazione poligenica
(diversi gruppi di geni regolano il modo in cui ci adattiamo e/o rispondiamo all’ambiente). Sembra inoltre
che in tutti gli individui, in qualsiasi momento del ciclo di vita, le influenze ambientali fluttuino. Questo
dipende dal fatto che le esperienze esistenziali dello sviluppo possono attivare alcune reazioni
poligenetiche da parte di alcune reazioni piuttosto che di altre.
Pressioni selettive fluttuanti → producono differenti esiti nella fitness individuale in differenti contesti
sociali, fisici e storico-culturali.
[Recupera più avanti l’esempio da 1:46:20 a 2:18:20 della lezione del 12/10 perché in questo momento la
forza non esiste. Dura così tanto perché ha anche fatto il riepilogo di tutta la lezione fino a quel momento…]

Lezione 18/10/2021
Ricapitolazione: noi trattiamo la psicologia evoluzionista sempre in rapporto con lo sviluppo (che riguarda
l’intero arco di vita). Il punto di congiunzione è la cosiddetta rivoluzione ontogenetica, con cui il cervello
umano non matura interamente durante il concepimento, ma matura durante lo sviluppo e sulla base
dell’apprendimento sociale, sul nutrimento metaforico che dà l’ambiente. Questo rende gli umani esseri la
cui evoluzione è sia biologica sia cultura. Oltre ad essere ritardato, lo sviluppo è anche eterocronico.
Da un lato la filogenesi, dall’altro l’ontogenesi, che non è una ricapitolazione della filogenesi, come si
pensava in passato. Lo sviluppo è un processo epigenetico: ci sono degli adattamenti differiti e ontogenetici
(linguaggio, gioco, ecc.), che hanno una base evoluzionistica e filogenetica, ma ci sono degli adattamenti
individuali. Piaget parla di paesaggio epigenetico. Ci sono degli individui la cui traiettoria è stabile e
individui invece la cui traiettoria subisce molte fluttuazioni (suscettibilità ambientale). Non è una
caratteristica innata, anche a livello individuale, in diversi momenti della vita, la suscettibilità varia.
L’epigenesi è l’incontro tra genotipo e ambiente; il fenotipo è il risultato evidente. Qualcosa che inizia sopra
qualche altra cosa; forma di adattamento che presuppongono strutture precedenti, ma non come pensava
Piaget, ma in modo individualizzato, tramite una traiettoria individui.
La suscettibilità può essere un esempio di epigenesi, ma anche la Life History -> individui con genitori
accoglienti tendono a maturare più tardi e ad avere più tempo per raccogliere risorse sociali. Ogni individuo
è il frutto di un paesaggio epigenetico.
Accelerazione psicosociale: se una condizione traumatica da un lato può portare a forme di sviluppo
atipico, dall’altro l’altro però accelera la maturazione di questi bambini. Maturando precocemente anche le
proprie attività sessuali, si riproducono prima degli altri, alimentando chiaramente il circuito di svantaggio.
Gli individui che nascono in condizioni vantaggiose tendono a riprodursi più tardi, quindi hanno modo di
organizzare la propria vita, di accedere a risorse, status sociali, ecc.

Intraselezione ed effetto Baldwin


La flessibilità epigenetica non si manifesta solo attraverso i fenomeni studiati da Waddington e Piaget, ma
anche attraverso altri processi, quali l’intraselezione e l’effetto Baldwin.
Intraselezione: fu identificata dal darwiniano Weissman ed è descrivibile come l’influenza che alcuni
fenotipi esercitano sulla selezione di altri fenotipi. Meccanismo per cui i circuiti cerebrali subiscono un … i
circuiti si aggiornano di continuo, quelli più formati si mantengono. Questo vale per altri componenti del
nostro corpo, ad esempio il microbioma -> equilibrio che può essere rotto, ad esempio quando prendiamo
un’infezione intestinale.
Intraselezione perché avviene all’interno degli ambienti del corpo.
Ad esempio, il cervello letteralmente si adatta al corpo in cui si trova tramite meccanismi di “scoperta” e di
“selezione” non dissimili da quelli per mezzo dei quali le specie si adattano all’ambiente.
Molti cambiamenti neurali che intervengono durante l’epigenesi si possono così considerare come
fenocopie prodotte da quella plasticità fenotipica che interseca processi intraorganici e stimoli ambientali.
Un esempio di intraselezione a livello neurale è costituito dalle connessioni sinaptiche in una determinata
area cerebrale; si stabiliscono dinamiche competitive tra popolazioni di assoni, che subiscono influenze sia
interne sia dagli stimoli ambientali. Una notevole porzione di assoni è eliminata.

Altro meccanismo importante è l’effetto Baldwin, ipotizzato nell’Ottocento da questo psicologo dello
sviluppo -> determinate caratteristiche adattive di una specie non sempre hanno delle origini biologiche,
possono essere delle caratteristiche che all’inizio sono apprese, e che propagandosi diventano poi tratti
fissi. In particolare, quindi, esso richiama l’impatto evoluzionistico dell’apprendimento di nuove abilità e
comportamenti da parte degli organismi.
Un esempio di effetto Baldwin può riguardare il comportamento cooperativo: poiché la capacità di
cooperare con altri individui è vantaggiosa ai fini della sopravvivenza, essa si trasmette ai discendenti
reindirizzando la filogenesi e condizionando l’ereditarietà.
L’effetto Baldwin può spiegare l’evoluzione del linguaggio, l’utilizzo della mano, uso dei primi strumenti di
pietra, comportamenti alimentari (es. digerire il lattosio non è un fatto biologico, ma in origine dipende da
una pratica tecnologica di apprendimento), l’addomesticamento dei cani (iniziato circa 12000 anni fa:
potrebbero essere abilità umane inizialmente apprese che poi sono state assimilate e propagate
diventando fisse).

Come l’assimilazione genetica di Waddington-Piaget, anche l’effetto Baldwin è stato ampiamente criticato;
testarne empiricamente le dinamiche è infatti difficile.
Nonostante ciò, nell’ultimo decennio è riemerso nella comunità scientifica un interesse per l’idea di
Baldwin che l’apprendimento possa avere effetti evoluzionistici.
Nonostante i suoi aspetti controversi, l’effetto Baldwin aiuta a comprendere in modo più articolato le
complesse interazioni esistenti tra filogenesi, apprendimento e plasticità fenotipica, da cui può scaturire il
cambiamento evoluzionistico.
A prescindere dalle differenti posizioni teoriche, comincia oggi ad affermarsi la consapevolezza che
l’emergere di nuovi comportamenti in una specie o in un gruppo possa gradualmente ripercuotersi sulle
pressioni selettive cui è sottoposta la specie influenzandone la risultante traiettoria evolutiva. È anzi proprio
questo il quadro di riferimento del cosiddetto paradigma evo-devo.

Verso una biologia evoluzionistica dello sviluppo


Alcuni biologi del XIX secolo erano già consapevoli che evoluzione della specie e sviluppo individuale sono
due facce della stessa medaglia (“l’ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi”); tuttavia, il diffondersi
della teoria darwiniana aveva indotto i ricercatori a concentrarsi sempre più sulla selezione naturale e a
trascurare lo stretto legame esistente tra evoluzione e sviluppo. La recente ripresa di interesse per il tema è
riconducibile a varie ragioni, tra cui i progressi del paradigma evo-devo.
Il programma di ricerca evo-devo mira in generale a congiungere i temi dell’evoluzione e dello sviluppo e a
ottenere un’integrazione teorica dei processi che operano durante l’ontogenesi con quelli che interessano
la filogenesi.
La biologia evoluzionistica dello sviluppo ruota attorno ad alcune idee fondamentali:
• Modularità: proprietà per cui, fin dallo sviluppo embrionale, tutti gli esseri viventi sono organizzati
in parti anatomiche distinte; la modularità si presenta anche a livello cerebrale;
• Ruolo dei geni: non vi è una corrispondenza “uno a uno” tra geni e cellule; non funzionano come
un programma fisso nel quale tutti i geni sono sempre attivi, ma come un insieme di processi nel
corso dei quali alcuni geni possono essere selettivamente attivati o disattivati dall’azione
dell’ambiente o da quella di altri geni;
• Plasticità fenotipica: la relazione genotipo-fenotipo, nella formazione del fenotipo, è mediata da
input interni o esterni i quali funzionano secondo criteri “se…allora”.
L’idea che una determinata traiettoria evoluzionistica può essere indirizzata dall’intervento di
variabili condizionali ha l’importante implicazione che l’evoluzione anziché precedere, possa anche
conseguire dall’emergere di novità fenotipiche.
L’adattazionismo vede l’ambiente come preesistente alla specie e separato dagli organismi, mentre in
realtà l’adattamento è un processo co-evoluzionistico: ciò che co-emerge è un complesso di nicchie
ecologiche le cui caratteristiche sono forgiate dalle particolari caratteristiche e attività delle popolazioni di
organismi che le abitano.
I sostenitori della teoria della costruzione delle nicchie mostrano come gli organismi, attraverso il loro
metabolismo e le loro attività comportamentali, possano condizionare le proprie nicchie ambientali: la
cosiddetta “costruzione delle nicchie” consiste proprio nell'insieme dei cambiamenti che l'ambiente subisce
attraverso i molteplici cicli di feedback che esso riceve da parte degli organismi.
All' eredità biologica si affianca così quella che è stata chiamata eredità ecologica (ecological inheritance),
consistente nei cambiamenti nell’habitat causati dalle attività passate dei progenitori, che si trasmette da
una generazione all’altra.
Per il paradigma evo-devo è importante anche il concetto di fenogenotipi: si tratta della combinazione di
uno specifico genotipo con una particolare a particolare variante di un tratto culturale. Questo concetto
descrive la stretta connessione esistente nell'uomo fra trasmissione genetica e trasmissione culturale e le
differenze fra i gruppi.
L'evoluzionismo evo-devo ritiene che è la costruzione di nicchie sia un secondo di livello di selezione
funzionante in modo differente dalla selezione naturale, mettendo così in risalto alcuni aspetti
dell'evoluzione in precedenza trascurati dall’adattazionismo darwiniano.

Capitolo 4 – La psicologia evoluzionistica


L’adattazionismo nella psicologia evoluzionistica
Solo negli ultimi due decenni si è affermata in psicologia una forte corrente evoluzionistica, che ha assunto
ben presto specifiche e autonome connotazioni rispetto alle altre discipline. Il programma di ricerca della
psicologia evoluzionistica è finalizzato a comprendere come si siano evolute nel corso della filogenesi le
diverse funzioni adattive della cognizione umana. In un'accezione più critica, la psicologia evoluzionistica
visto come un'area definita dal tipo di interrogativi che si pone sulle origini della mente umana; in una
prospettiva più ampia, essa si presenta invece come un vero e proprio paradigma, che include elaborazioni
teoriche, norme metodologiche e risultati empirici, o addirittura come una metateoria, che ha l'ambizioso
programma di unificare l'intera psicologia.
La psicologia evoluzionistica lancia una sfida alla visione tradizionale, rappresentata dal modello standard
delle scienze sociali. Infatti, rivendica la necessità di applicare in modo documentato, concreto e
sistematico l’adattazionismo allo studio della mente umana.
La psicologia evoluzionistica utilizza l'approccio adattazionista per esplorare il programma adattivo
sottostante alle abilità cognitive tipiche della specie umana, le quali sono ritenute uno dei tanti prodotti
forgiati dalla selezione naturale.
Come sappiamo, l’adattazionismo sfrutta il principio della biologia evoluzionistica secondo cui ogni
struttura del vivente riflette la funzione adattiva che svolge: chiarire la funzione significa dunque
comprendere la corrispondente struttura fenotipica.
Sia in biologia sia in psicologia, trovare le relazioni causali remote che agirono in ere primordiali sul binomio
funzione-struttura, rientra fra le spiegazioni distali, a differenza di quelle prossimali, che fanno invece
appello alle cause immediate del comportamento.
Bisogna comunque tenere in conto che l'origine dei tratti di cui si compone il fenotipo non sempre dipende
direttamente dalla selezione naturale: infatti, determinate caratteristiche potrebbero essersi conservate
soltanto perché costituiscono un sottoprodotto prodotto collegato casualmente tratti già selezionati o
semplicemente perché fanno parte del rumore statistico riconducibile alla dimensione stocastica (=casuale)
dell'evoluzione biologica. Se è vero quindi che la selezione “sceglie” i tratti, ciò non significa che tutti i tratti
siano adattivi, né che lo sia per definizione qualsiasi comportamento (es. sapore dolce: vantaggioso in
passato, un potenziale pericolo oggi).

Metodi e fonti empiriche della psicologia evoluzionistica


La psicologia evoluzionistica si avvale di una pluralità di strategie metodologiche e fonti empiriche:
• Metodi comparativi: confronto fra specie diverse e/o fra individui diversi della stessa specie;
• Metodi cross-culturali: confronti fra culture diverse. A differenza dell’antropologia culturale che
cerca prevalentemente le differenze tra le culture, la psicologia evoluzionistica cerca le analogie tra
le culture dietro le diversità. Ad esempio, la facoltà di linguaggio è innata e universale, le lingue
sono diverse;
• Metodi fisiologici e genetici: neuroimaging, ricerca di alleli in determinate popolazioni ecc.;
• Metodo sperimentale: es. esperimenti sul ragionamento con regole condizionali, esperimenti di
Cosmides algoritmo cerca-truffatori;
• Indagini empiriche: questionari, interviste, archivi, ecc.;
• Confronti con altre discipline: es. archeologia cognitiva (branca della archeologia che cerca di capire
il processo mentale attraverso cui è stato costruito un certo strumento o oggetto).

La moderna psicologia evoluzionistica (lezione)

Oggi è diventata una disciplina con un vero e proprio paradigma; una prospettiva che più che guardare alle
differenze individuali, cerca di trovare delle leggi che provino a spiegare come dietro ai nostri
comportamenti moderni ci siano degli schemi antichi.
La psicologia evoluzionistica da un lato pone una critica al modello Standard delle Scienze Sociali, dall’altro
pone la chiave di lettura dell’Adattazionismo.
Questo approccio nasce da una critica nei confronti delle scienze sociali standard: non solo la psicologia, ma
anche sociologia, antropologia. Il difetto delle discipline sociali è l’idea che l’uomo nasce come una tabula
rasa. È un’idea molto diffusa, a partire dalla filosofia (empiristi), alla psicologia (Watson). Secondo questa
idea, l’uomo quando viene al mondo è sprovvisto di strumenti per affrontare le situazioni che gli si
presenteranno.
Piaget spiega questo fenomeno attraverso i concetti di assimilazione e accomodamento.
Skinner direbbe che l’individuo parte da zero e che sviluppa schemi comportamentali complessi attraverso
il condizionamento operante (rinforzo).
L’idea di base è che quindi si parta da zero e che poi tutto avviene dopo (socializzazione).
Queste spiegazioni non danno conto da un lato dell’estrema molteplicità di abilità che l’uomo sviluppa
(specificità per dominio della abilità). Noi abbiamo abilità comportamentali, ma anche mentali, che non
sono genericamente applicabili a tutto; noi in ogni contesto applichiamo forme di abilità qualitativamente
diverse. Tutte quelle abilità che l’uomo sviluppa spontaneamente non si possono spiegare con l’idea che il
neonato parta da zero; ci deve essere una base. La spontaneità, ad esempio, ci spinge a cercare amici, un
partner, ecc. C i sono delle patologie, come l’autismo, in cui certe abilità non sono sviluppate (es. teoria
della mente). Sono tutte abilità che non vengono insegnate da qualcuno, si sviluppano spontaneamente.
Ci sono tantissime cose che siamo capaci di fare; la domanda è: si possono spiegare come pensiero
operatorio, come legame di attaccamento? La socializzazione non è una chiave di lettura uniforme; con un
amico è una cosa, con un insegnante è un’altra, ecc. non si applicano sempre gli stessi schemi in tutti i
contesti.
La critica che gli psicologi evoluzionisti pongono è che queste idee sono semplicistiche; spiegano in modo
troppo semplice abilità e comportamenti che sono complessi e che sono prodotti spontaneamente
dall’uomo. Il modello standard non coglie la complessità, non coglie che le abilità sociali non sono abilità
dominio-generale (ovvero che una volta che ho imparato a socializzare in generale, riesco a farlo con tutti -
> la socializzazione, invece, è sempre diversa in base a con chi ho a che fare), ma invece la socializzazione è
un insieme di abilità specializzate per ogni contesto (dominio-specifico).
Per noi la cosa più ovvia, ad esempio, è il riconoscimento facciale (riconosciamo un volto familiare rispetto
ad uno non familiare) -> se ciò non avviene, si sviluppa una patologia chiamata prosopagnosia (individui
non riconoscono più il volto delle persone familiari). Questa abilità non è appresa; semplicemente stando a
contatto frequentemente con una persona, automaticamente riconosciamo quella persona come familiare.
Automaticamente riconosciamo anche una persona come estranea.
Ci sono, invece, patologie in cui l’individuo non sa nominare gli oggetti (però ad esempio sa utilizzarli
correttamente).
Noi diamo per scontato tutte queste abilità. Ci sono delle funzioni cerebrali altamente specializzate.
Il modello standard usa una spiegazione troppo generica per spiegare tutte queste abilità, non dà
importanza alle radici evoluzionistiche dello sviluppo cognitivo e trascura il fatto che l’architettura della
mente umana sia multimodulare, ovvero funziona come se fosse l’assemblaggio di diverse componenti (es.
memoria semantica, spaziale, ecc. -> anche la memoria è un insieme di moduli. Se perdiamo un modulo,
perdiamo quel tipo di memoria).
Ad esempio, un’altra spiegazione è quella di Bandura sull’apprendimento sociale, oppure l’apprendimento
associativo. L’apprendimento, in realtà, è un istinto: la propensione ad apprendere facilmente
dall’esperienza (che nell’uomo è molto forte rispetto agli animali).
La psicologia evoluzionista produsse una visione adattazionista (in inglese, ricordiamo che il termine usato è
“fitness”, che significa tante cose). L’idea è che gli esseri umani non usano sempre la stessa strategia in tutti
i contesti: socializzazione, attaccamento, ecc. non sono strumenti/attrezzi generali, secondo le varie
situazioni abbiamo specifici attrezzi che applichiamo. Ad esempio, per quanto riguarda gli amici, abbiamo
degli strumenti di analisi che ci portano a comportarci in modi diversi.
È stato dimostrato che la gelosia femminile e maschile hanno delle proprie caratteristiche, pur essendo un
sentimento universale: nei maschi la gelosia ha più un’accezione sessuale, nelle donne assume
connotazioni più emotive. Questi studi interculturali cercano di spiegare perché la gelosia funzioni così.
Ogni adattamento implica sempre un trade-off, ha sempre dei costi.
La psicologia evoluzionistica rivaluta il concetto di istinto, non in modo ingenuo come nell’Ottocento (il prof
fa l’esempio dell’esperimento della scimmietta che va dalla mamma in fil di ferro/in panno).
Per noi il lockdown è stata un’esperienza di deprivazione perché il contatto per noi è fondamentale.
Ovviamente, in alcune culture il bisogno di contatto è più accentuate e in altre di meno.
La spinta che ci induce ad abbracciare un amico o un partner non è uguale a quella verso la nostra figura di
attaccamento.

Libro: Al modello standard delle scienze sociali, gli evoluzionisti rimproverano di aver studiato l’architettura
della mente umana senza aver considerato la sua natura propriamente filogenetica.
Il modello standard ha adottato un semplicistico approccio basato su due assunti principali:
1. Esistono poche abilità cognitive che operano in modo uniforme;
2. L’attività mentale funziona in questo modo: le esperienze sono registrate tramite la percezione e
sono poi organizzate da pochi basilari meccanismi dominio-generali, che sono sempre gli stessi
(apprendimento, imitazione, ecc.).
Gli adattazionisti ritengono inadeguato e insufficiente tale modello: l’evoluzione non ha dotato la mente
umana di una “cassetta con pochi attrezzi buoni per tutte le occasioni”.
Per questi motivi, la psicologia evoluzionistica contrappone al modello standard l’”assunzione della
modularità massiva” (->).

Da quali meccanismi dipende l’adattamento?


Il Modello standard dà delle spiegazioni generali, ma appiattiscono la complessità dei comportamenti
umani.
La psicologia evoluzionistica propone una serie di adattamenti specializzati che sono frutto della storia
filogenetica (es. proteggere la prole, stabilire delle alleanze, gerarchie sociali, non fidarsi degli estranei,
capacità di distinguere ingroup e outgroup).
L’idea della psicologia evoluzionistica è quello di sostituire delle spiegazioni generali con lo studio di
adattamenti specializzati.

Il professore riprende l’esperimento dello spinarello presente nel libro. L’istinto degli animali si attiva
automaticamente: lo spinarello si attiva automaticamente contro un rivale.
Negli umani gli istinti non si attivano in modo così automatico, ma sono come “ricette” o “istruzioni per
l’uso”. Quando noi cuciniamo, ci facciamo dare una ricetta, che ci dà una serie di indicazioni che
modifichiamo e adattiamo alle nostre esigenze. “Ogni spritz può essere fatto in modo diverso” cit.
Non si seguono meccanicamente le istruzioni; si adattano le istruzioni al compito. L’istinto non va concepito
come l’esecuzione automatica di comportamenti, ma come una predisposizione, una serie di potenzialità
che ogni individuo in modo diverso, in base al contesto, applicherà alle varie circostanze.

Libro: il modello standard delle scienze sociali ha postulato l’esistenza di poche funzioni di base, ad ampio
spettro e applicabili a qualsiasi contenuto o dominio; funzioni quindi dominio-indipendenti, cioè utilizzabili
in qualsivoglia situazione.
La psicologia evoluzionistica fa notare invece come ogni attività biologica o comportamentale degli
organismi, lungi dal funzionare allo stesso modo in contesti diversi, sia necessariamente ancorata e
calibrata su particolari caratteristiche dell’ambiente. Le abilità sono quindi dominio specifiche.
Gli esseri umani non partono ogni volta da zero applicando lo stesso strumento a nuovi problemi: sono già
strutturalmente dotati di “appunti con le istruzioni”. Differenti problemi richiedono ovviamente “ricette”
differenti.
A lungo si è erroneamente ritenuto che l’evoluzione abbia rimpiazzato l’istinto con la cultura; in realtà,
anche il ragionamento e l’apprendimento sono abilità “istintive”. Le abilità istintive:
3. Sono abilità strutturate in modo complesso per risolvere specifici problemi adattivi;
4. Normalmente si sviluppano in tutti gli esseri umani;
5. Il loro sviluppo non richiede sforzi particolari né un’istruzione formale;
6. Sono utilizzate senza alcuna consapevolezza della sottostante logica computazionale neurale;
7. Sono abilità distinte da altre più generali.
Anziché chiedersi se un certo comportamento sia istintivo oppure appreso – secondo il luogo comune
secondo cui istinto e apprendimento si escludono a vicenda -, sarebbe meglio chiedersi “quali istinti
rendono possibile l’apprendimento?”.

Problemi adattivi di Homo Sapiens


Nonostante le diversità di climi, di risorse ecc., l’essere umano mediamente può vivere in tutti gli ambienti.
Quando parlava di “lotta per la sopravvivenza”, Darwin si riferiva a quelle forze ostili della natura che ogni
individuo doveva fronteggiare per sopravvivere e che, nel caso della specie umana, hanno prodotto
l’insieme di “problemi adattivi” che ricorrono in tutte le generazioni e in tutte le società lungo cui si è
dipanata la sua storia evoluzionistica.
• Sopravvivenza e crescita: capacità dell’uomo di conservarsi in vita; ora lo diamo per scontato,
prima non lo era;
• Accoppiamento (mating): possibilità di trovare un partner riproduttivo;
• Allevamento e cure parentali (Trivers): attività di allevamento finalizzate alla crescita della prole,
tali da assicurarne l’accesso al successivo ciclo riproduttivo;
• Aiuto nei confronti dei parenti genetici (fitness inclusiva): gli esseri umani si sono sempre trovati
entro reti parentali; Hamilton mostrò che la fitness non riguarda solo la sopravvivenza
dell’individuo, ma anche la tendenza che gli individui hanno a proteggere i parenti genetici;
• Competere per le risorse, per un adeguato status sociale, ecc.
• Cooperare con il gruppo, stabilire relazioni sociali o associazioni mutuamente vantaggiose con altri
membri del gruppo. La nostra specie, essendo debole rispetto alle pressioni della natura e rispetto
ad altre specie, ha dovuto inventare degli strumenti e cooperare con gli altri. Ad esempio, la caccia
è tipicamente un’attività di gruppo, non solitaria. Il gruppo ha sempre fornito protezione, la
possibilità di riprodursi e di acquisire uno status sociale.
A tale quadro di riferimento si collegano cinque principi centrali (->).
Da millenni a questa parte, si sono sempre susseguite le stagioni. Il fatto che ci sia questo susseguirsi è una
costante adattiva che tutti i popoli hanno incontrato e alla quale si sono adattati.
Ritmi circadiani: tutti gli esseri umani hanno bisogno di ore di riposo; l’alternanza buio-luce è presente in
tutti gli ambienti umani. Tendenzialmente gli esseri umani tendono a riposare nelle ore di buio.
Adattamenti per cui si sono formati degli istinti (delle “ricette”) -> quali sono stati le spinte selettive che
l’uomo ha dovuto fronteggiare?

Libro: La psicologia evoluzionistica avanza una precisa proposta metodologica: se si cercano le cause
necessarie del comportamento umano, bisogna prendere in considerazione il remoto passato filogenetico
della specie, anziché le nostre condizioni di vita attuali.
A proposito di ambienti, gli psicologi evoluzionistici utilizzano il concetto di “ambiente di adattabilità
evoluzionistica”, che non si riferisce a un concreto luogo preistorico (es. savana), ma racchiude l’insieme
delle varie forme di pressione selettiva che hanno prodotto la comparsa di un particolare adattamento. Ad
esempio, il ciclo luce-buio è un ambiente di adattabilità evoluzionistica rimasto relativamente costante per
centinaia di milioni di anni (fino alla moderna invenzione dell’illuminazione artificiale).

Noi riusciamo ad evolverci perché siamo una specie bio-culturale. Le tecnologie sono amplificatori. I social
media sono amplificatori del nostro bisogno di contatto sociale. Il nostro cervello è plastico; una volta che
viene costruito uno scaffolding (Vygotskij, impalcatura), vanno a costruirsi strutture sempre più complesse.
Psicologo francese, Le Bon, “Psicologia delle folle”: anche l’individuo più razionale, quando entra in una
folla perde l’uso della ragione. I social funzionano come degli amplificatori emotivi, proprio come la folla.
Aggressioni, emotività sono comportamenti ancestrali.
C’è anche un bisogno informativo, oltre a quello di contatto sociale. È un ambiente che
evoluzionisticamente è sorto negli ultimi momenti della storia umana, ma tutto sommato gli istinti che fa
emergere sono ancestrali. Antichi bisogni e nuove pressioni.

Lezione 19/10/2021
Selezione naturale: Quando si parla di ambiente si parla di nicchia ecologica. Ogni nicchia ecologica è
diversa. L’ambiente ha delle caratteristiche fisiche, chimiche, motorie e ogni specie differisce dall’altra e
all’interno di ogni specie gli individui hanno tratti fenotipici diversi (varianza fenotipica). Quegli individui
che hanno dei tratti fenotipici che funzionano dentro quel particolare ambiente hanno più possibilità di
sopravvivere e di riprodursi (alta fitness). Quegli individui con tratti svantaggiosi hanno più difficoltà a
sopravvivere e riprodursi. Gli individui con alta fitness propagano i tratti alle generazioni seguenti, mentre
quelli con bassa fitness gradualmente si estinguono e i tratti svantaggiosi si eliminano. È un processo cieco,
anche se il risultato finale sembra una progettazione. Se l’ambiente cambia, tratti ad alta fitness possono
diventare svantaggiosi e viceversa. Alcuni tratti possono essere silenti, neutri; ciò non vuol dire che non
conta nulla, ma che in quella circostanza ambientale non è rilevante; cambiando l’ambiente, potrebbe
diventare ad alta o bassa fitness. Bisogna comunque ricordare il meccanismo del trade-off, ovvero che ogni
tratto ha dei costi o dei benefici; non c’è mai una certezza assoluta.

Intraselezione: è esattamente lo stesso processo, ma in cui è una certa struttura che si trova nell’ambiente
interno del nostro organismo. Nell’ambiente interno ci deve essere un equilibrio (es. ambiente gastrico con
gli acidi, cervello: ci sono dei moduli che interagiscono tra di loro). Soprattutto a livello cerebrale, succede
che i circuiti neurali si interconnettono e si adattano all’ambiente. Si è visto che esiste un processo di _ , le
interconnessioni intraemisferiche e interemisferiche. Ognuno di questi collegamenti ha funzioni diversi,
comunicano tra di loro. Negli uomini prevalgono le connessioni intraemisferiche, mentre nelle donne quelle
interemisferiche. Queste connessioni che si vanno stabilendo anche grazie agli stimoli ambientali, non tutte
vengono mantenute. Quelle che poi nel percorso di adattamento ontogenetico si rivelano inutili a livello
filogenetico vengono eliminate e vengono mantenute quelle utili.
Il cervello del bambino nasce più ricco di connessioni -> avviene poi un processo di intraselezione.
Un altro processo di intraselezione è quello della flora batterica intestinale. I batteri assolvono a certe
funzioni di simbiosi nel nostro corpo. se prevalgono batteri “buoni” stiamo bene, se per un processo di
cattivo stile di vita prendono il sopravvento i batteri “cattivi”, che possono portare disfunzioni, ecc.

La selezione funziona quindi su più scale, non solo nell’ambiente esterno, ma anche all’interno del corpo.

Le modificazioni dell’ambiente intrauterino modificano lo sviluppo del feto, e questo è anche un esempio di
intraselezione.

Agnosticismo funzionale
La psicologia moderna è “agnostica”. Noi studiamo l’uomo così com’è oggi, non ci poniamo domande sul
come e il perché, attraverso quali percorsi funziona così.
Le neuroscienze studiano il cervello spesso senza tener conto dell’evoluzione, di come si è formato, da dove
viene la sua complessità, di quale sia la sua storia filogenetica.
Bisogna invece interrogarsi sulle origini delle caratteristiche che ci rendono tali oggi.
Agnosticismo funzionale: credere che i meccanismi cognitivi possano essere studiati a prescindere dal loro
significato evoluzionistico (professato dai cognitivisti).

Adattazionismo
Studiamo quello che siamo oggi attraverso gli adattamenti che si sono susseguiti nella nostra storia
filogenetica.

Dietro le diversità, la psicologia evoluzionistica cerca di trovare le cose in comune, le spinte che hanno
forgiato i nostri comportamenti (sopravvivere, crescere, ecc.).
Ogni stress adattivo implica delle abilità qualitativamente differenti l’una dall’altra. Ad esempio, come si
diventa genitori? L’ossitocina sembra predisporre a prendersi cura della prole.
Quando noi parliamo di istinti nel senso moderno, non parliamo di quello che gli individui fanno (es. cosa
fanno i genitori), ma della potenzialità ad assumere quel compito evolutivo.
Queste abilità, tutte diverse l’una dall’altra e non ottimali al cento per cento, emergono in modo spontaneo
(es. farsi degli amici).

Soluzioni “evoluzionistiche”

La psicologia evoluzionistica propone l’idea di un cervello che funziona come un tutto integrato, ma che è
un assemblaggio di varie componenti.
Dal 1800 in poi ci fu un dibattito tra globalisti-olisti (cervello come gestalt, il tutto è più della somma delle
parti) e locazionisti, (come Broca), che sostenevano che ogni area avesse una funzione diversa. È vero che il
nostro cervello manifesta una certa plasticità e integrazione e che funzione come un sistema unico, ma è
anche vero che ha una struttura modulare.
La network science è sostanzialmente una visione che guarda al cervello come un insieme di neuroni
interconnessi tra di loro (connessionismo).
Gli psicologi evoluzionistici sostengono con forza la tesi di un cervello multimodulare; sarebbero quindi più
d’accordo con i locazionisti che con gli olisti. Parallelamente alla visione modulare, quindi c’è una visione
connessionista.
Sicuramente il cervello ha una base modulare, però è anche vero che quando noi sottoponiamo un
individuo con disabilità o che ha subito un incidente a tecniche di riabilitazione neurocognitiva, di fatto
utilizziamo un approccio connessionista: se la tecnica funziona è perché il cervello è capace di ristabilire le
connessioni tra le aree neurali.

La metafora classica è quella del cervello come un coltellino svizzero, che ha tanti arnesi per funzioni
diverse.
Un’immagine più moderna è quella dello smartphone, un oggetto che ha tante app che svolgono funzioni
diverse. Noi usiamo le app in base all’attività che vogliamo svolgere. Noi utilizziamo il nostro smartphone in
base a quello che ci serve. Metaforicamente, utilizziamo il nostro cervello allo stesso modo.

Articolo di Michael Gazzaniga


La differenza del cervello umano con quello animale è l’arborizzazione dei neuroni nei lobi frontali (fattore P,
cioè le ramificazioni neuronali che permettono l’aumento delle connessioni. In realtà i neuroni non possono
(e non devono) essere tutti interconnessi: essi sono organizzati in moduli, dei circuiti locali specializzati per
funzioni specifiche.
Ogni struttura funziona come un modulo, che è integrato nel tutto ma svolge una determinata funzione. Ad
esempio, se nello smartphone un’app si blocca, tutte le altre continuano a funzionare.

Non solo: esistono moduli altamente specifici che sono innati e determinati geneticamente (es. area
preposta alla visione). L’analisi di pazienti con cervello diviso ha permesso di porre davvero il problema della
coscienza: come fa ad esserci l’apparente sensazione di unità del sé e della coscienza quando i due emisferi
sono divisi? E come mai non entrano in conflitto fra di loro sul comando delle decisioni del corpo.

Esistono nel nostro cervello molteplici sistemi mentali dinamici (moduli) a cui manca proprio un referente
centrale.

Come fa il nostro cervello da un lato a funzionare in modo specializzato e allo stesso tempo a farci vivere
un’esperienza unitaria?

Il senso dell’unitarietà della nostra coscienza è grazie ad un modulo localizzato nell’emisfero sinistro, che
“raccoglie tutti gli stimoli che arrivano al cervello e li restituisce sotto forma di narrazione”: il modulo
interprete, che fornisce le basi biologiche dell’identità e della coscienza.
L’illusione di avere una coscienza unitaria è molto potente... in realtà è il risultato di processi inconsapevoli
favoriti dalla selezione naturale perché più veloci e automatici del lavoro sulla coscienza.

Il nostro cervello è un organo adattivo. Il nostro cervello prima agisce a posteriori produce delle narrazioni
sul perché sono avvenute determinate cose.
Il nostro cervello prende decisioni molto velocemente; il modulo interprete poi integra queste decisioni in
una narrazione.

Esperimento: il soggetto doveva decidere quando abbassare un dito; lo sperimentatore registrava


l’attivazione delle aree cerebrali. Scoprì che prima si attivava l’area motoria e poi quella legata alla volontà.

Questo perché si è rilevato vantaggioso che il nostro cervello sia uno strumento per agire in modo rapido e
veloce; poi dopo l’azione rapida e veloce ci si può formare un pensiero. Teorie duali del pensiero: 1. Sistema
uno: ci fa prendere decisioni rapide, veloci; 2. Sistema due: parte analitica del pensiero, molto più lenta,
scatta quando ci troviamo di fronte a decisioni e compiti più impegnati.
Noi solitamente agiamo in modo più automatico.
Se uno è di cattivo umore, tende ad attivare di più il sistema analitico. Molti negozi mettono una musica
gradevole in modo tale che l’acquirente sia portato a comprare in modo più intuitivo.

La selezione naturale ha equipaggiato la mente umana con una pluralità di “istinti”. Istinto significa che c’è
un adattamento immediato, spontaneo (es. utilizzare la teoria della mente), non programmi automatici che
si attivano in tutti, ma delle predisposizioni di cui ci ha dotato la specie.
Gli esseri umani sono solutori evoluzionistici dei problemi di sopravvivenza della specie. Per affrontare i
problemi la specie ci ha dotato di questi istinti, che sono latenti rispetto agli animali.
Trama sottostante implicita di abilità che usiamo come istruzioni per l’uso.
Gli istinti sono forme di adattamento generate dalla specie usate in modo epigenetico (in modo diverso da
un individuo all’altro in base alla traiettoria).

La psicologia evoluzionistica cerca spiegazioni distali, per superare l’agnosticismo funzionale.

Teoria computazionale e analisi del compito


Teoria computazionale della cognizione (di Marr)
L’adattabilità della nostra specie dipende da sofisticati dispositivi neuro-cognitivi così articolati:
1. Meccanismi che definiscono l’obiettivo adattivo (per esempio cercare cibo, cercare un riparo,
cercare un compagno riproduttivo, ecc.)
2. Meccanismi che calcolano le azioni che hanno più probabilità di raggiungere l’obiettivo in una
data situazione
3. Meccanismi che attivano l’azione una volta che essa sia stata decisa

Da un punto di vista metodologico:


Analisi del compito (task analysis)
- Qual è il problema che il meccanismo gestisce?
- Perché esso è programmato per risolvere proprio quel problema?
Problema -> funzionamento -> programma -> struttura

Ingegneria inversa: osserviamo nel presente come sono le cose e poi risaliamo alla storia filogenetica di
quella struttura. Si parte dalla struttura del compito per capire come, dalla struttura, si possa ottenere una
funzione, e viceversa (esempio del pallottoliere e della calcolatrice).
Quando siamo di fronte ad un’abilità di cui vogliamo studiare struttura, funzione e origine, facciamo un
lavoro di ingegneria inversa (osserviamo il presente e risaliamo all’evoluzione filogenetica di quell’oggetto
nel passato).
L’ingegneria inversa consiste in una dettagliata analisi della funzione, della strutture e delle operazioni di un
determinato congegno, con lo scopo di ricostruire i principi fondamentali che guidarono la sua
fabbricazione.

Esempio sulla gelosia: se la gelosia fosse stata completamente disfunzionale, la selezione naturale l’avrebbe
“ostacolata”. Ma questo sentimento, nonostante i costi che ha, continua ad essere presente.
A cosa serve la gelosia, allora?
Ha due componenti:
1. gelosia sessuale: timore/sospetto che il proprio partner abbia potuto tradire fisicamente (prevale negli
uomini);
2. gelosia emotiva: timore che il nostro partner possa intrattenere un flirt/essere interessato a un’altra
persona (prevale nelle donne).
Serve a garantire la stabilità della coppia. In epoche in cui l’allevamento della prole era un compito molto
gravoso. L’attività prevalente era procurarsi cibo e acqua, quindi dedicare risorse, tempo ed energie ai
piccoli era impegnativo. Le minacce alla funzione genitoriale, dal punto di vista maschile, erano quelle di
dedicare risorse a una prole non propria; quindi, l’attenzione gelosa dei maschi si focalizza soprattutto
sull’aspetto sessuale; dal punto di vista femminile, “mater semper certa est”, quindi la minaccia era che, se
il compagno si fosse invaghito di un’altra donna, questo avrebbe potuto compromettere le risorse che il
maschio avrebbe dedicato alla propria prole, a favore di un’altra.
Il padre vorrebbe garantirsi che le risorse che dedica sono garantite da un punto di vista di discendenza
genetica, mentre la madre vorrebbe garantirsi che il padre continui a dedicarsi alla prole.
Sono meccanismi automatici, impliciti, su cui noi poi possiamo costruire le narrazioni che vogliamo.

Noi osserviamo quindi che la gelosia ha una struttura diversa negli uomini e nelle donne e che ha una
propria funzione. L’ingegneria funziona così: problema -> funzionamento -> programma -> struttura.
In biologia si cerca di ricostruire le origini degli organi tramite l’analisi congiunta della loro
struttura/funzione (ad esempio, la cooptazione funzionale).
Gli psicologi non hanno davanti degli oggetti fisici, ma dei comportamenti di cui vogliono ricostruire la
funzione; quindi, si chiedono quale sia il problema adattivo e come sarebbe stato risolto nell’ambiente
ancestrale in cui è sorto.
N.B.: il prof non chiede agli esami i livelli di analisi del compito.

Per fare un esempio di teoria computazionale, quando noi attraversiamo la strada il nostro cervello
automaticamente calcola la distanza dal marciapiede di fronte e la velocità dell’auto che sta passando e
questo calcolo è automatico e rapido. Se il calcolo è sbagliato, rischiamo di essere investiti.
Il nostro cervello produce delle computazioni che non sono coscienti, che ci mettono in grado di svolgere
un determinato compito. L’inconscio moderno è ancora più radicale di quello freudiano perché non è
recuperabile, è incapsulato.

Contesti adattivi e analisi del compito


Il prof da adesso in poi userà le parole istinto, adattamento e modulo in modo intercambiabile.
Istinto -> fa riferimento all’origine filogenetica.
Adattamento -> fa riferimento a cosa serve l’istinto.
Modulo -> fa riferimento alla parte neurale dell’istinto.
Noi possiamo ricostruire il contesto storico della selezione (filogenesi). Il primo adattamento è la
rivoluzione ontogenetica (canale del parto/cervello del bambino va maturando anche nell’ambiente
esterno). Possiamo guardare anche al contesto ontogenetico (Life History).
Studiamo anche gli stimoli situazionali immediati che attivano certi moduli.
Possiamo dare quindi delle spiegazioni prossimali, nel senso che riguardano l’arco di vita della persona.
Se risalgo alle spiegazioni distali, le colloco a un contesto filogenetico.
Non dobbiamo però contrappore i due livelli. Dietro le spiegazioni prossimali c’è sempre un contesto
filogenetico.
Come gli organi fisici adempiono a una specifica funzione, i nostri organi comportamentali (strutture
cognitive) obbediscono ognuna a una sua funzione vita.

Evolutionary Psichology: i 5 principi fondamentali

• Cervello: Il cervello è un sistema fisico il cui funzionamento è paragonabile al


computer. I suoi circuiti neurali sono stati plasmati dalla selezione naturale per generare
comportamenti appropriati alle circostanze.
Il cervello è una macchina computazionale (operazioni automatiche progettate dalla selezione
naturale per garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie). I circuiti del cervello (wet
computer) sono programmati per generare attività comportamentali e motorie appropriate a
rispondere ai flussi informativi provenienti dall’ambiente circostante.
I circuiti si sono formati gradualmente dietro la pressione dell’ambiente. Negli umani l’ambiente
non è solo la nicchia biologica (naturale), ma è anche quello modificato e prodotto dalla nostra
specie (artificiale). Alcuni circuiti neurali potrebbero essere dovuti al fatto che abbiamo inventato
degli strumenti. Ogni circuito svolge una specifica funzione adattiva, come gli organi del corpo.
Questo significa che i circuiti neurali sono specifici per dominio. Secondo gli psicologi
evoluzionisti, non esiste “la percezione”, una funzione generale, ma esistono la percezione visiva,
la percezione dei volti, ecc., ovvero tante funzioni specializzate che si attivano in presenza di uno
stimolo (dominio). Funzionano in modalità bottom-up (dal basso verso l’alto): se non c’è l’input,
quel modulo non si attiva. Se io voglio sapere se una persona soffre di prosopagnosia, devo
esporla allo stimolo, ovvero alla visione di volti.
• Programmi adattivi: i nostri circuiti neurali sono stati programmati dalla selezione naturale per
risolvere in modo appropriato i problemi ancestrali (ovvero problemi affrontati dai nostri
progenitori durante la storia evoluzionistica della specie).
Il significato di “adattivo” però non è generale, ma al contrario dipende dalle caratteristiche degli
organismi e delle loro nicchie biologiche. I programmi adattivi sono collegati a un determinato
Umwelt.
Umwelt [von Uexküll, 1930]: ambiente vitale. Il biologo von Uexküll postulò che ogni specie
incorpora caratteristici organi recettori capaci di analizzare l’informazione; essi traducono gli
stimoli del proprio Umwelt in segnali dotati di significato biologico specie-specifico, che portano
a mettere in atto specifici comportamenti.
Es. Nell’ambiente fisico, sono presenti gli escrementi. Noi di fronte a uno stimolo di questo tipo
reagiamo con disgusto. Assumere un’espressione di disgusto, chiudiamo le narici e quindi
riduciamo la quantità di sostanze tossiche aspirate. Gli escrementi potrebbero essere fonti di
infezioni.
Per le mosche, invece, gli escrementi sono un oggetto che attira perché vi depositano le uova,
quindi sono vitali per la specie.
Lo stesso oggetto chimico-fisico assume due valenze totalmente opposte: per le mosche è un
oggetto attraente, per l’uomo un oggetto aversivo.
Emerge il carattere relativistico e contestuale; noi siamo abituati a questo tipo di Umwelt. Il
concetto di fitness, quindi, diventa specie-specifico.
Come rimarcano Cosmides e Tooby, la differenza comportamentale tra uomini e mosche, a
fronte dello stesso stimolo fisico, dipende dal fatto che la selezione naturale ne ha progettato i
rispettivi circuiti neurali seguendo soluzioni specie-specifiche totalmente diversi per i
corrispondenti problemi.
Ogni specie affronta specifici problemi adattivi e, come tutte le altre specie, anche quella umana
si affida a remoti meccanismi programmati dalla selezione naturale per affrontarli. Ma allora si
potrebbe obiettare che noi oggi svolgiamo nuovi complicati tipi di attività (es. guidare auto), che
non sono “filogeneticamente programmate”. Dal punto di vista della psicologia evoluzionistica,
nemmeno queste nuove abilità sono del tutto “senza precedenti” rispetto al nostro passato
evoluzionistico: si tratta di sottoprodotti della selezione naturale. Ad esempio, andare in
bicicletta è un sottoprodotto del senso di equilibrio che si sviluppò per la locomozione bipede; le
abilità di scrittura e lettura sono un sottoprodotto della facoltà di linguaggio.

• Coscienza: La coscienza è la punta di un iceberg: molti processi mentali sfuggono alla nostra
coscienza. Dietro l’apparente semplicità di molte attività cognitive si nasconde il lavoro di circuiti
neurali molto complessi. Non è l’inconscio in senso freudiano, ma in senso neurocognitivo. Analogia
con il presidente degli USA (Cosmides e Tooby).

• Modularità massiva: a differenti compiti adattivi corrispondono differenti circuiti neurali


specializzati.
– Frame problem:
• Ogni sistema cognitivo a «finalità generali» non può operare senza regole a priori che
definiscono il dominio e la cornice del problema;
• è quindi necessario un bagaglio di conoscenze preliminari [«innate»] (Cosmides e Tooby, 1994).
Frame vuol dire cornice. Vista l’estrema complessità dei compiti che il nostro cervello gestisce
momento per momento, i moduli servono ad avere delle cornici automatiche che servono ad
adattarci.

Ogni contesto richiede specifiche abilità che si attivano in un contesto -> cornice che si attiva.
Il quarto principio richiama quindi l’esistenza di circuiti neurali distinti, ciascuno dei quali è
preposto a svolgere/risolvere uno specifico compito/problema adattivo. Come il nostro corpo è
suddiviso in organi, così la nostra mente è formata da molteplici circuiti specializzati, che non
mediano solo l’esperienza percettiva, ma anche molteplici tendenze e attività, quali le preferenze
per i cibi, quelle sessuali, i comportamenti sociali, ecc.

Noi interagiamo in modo apparentemente naturale in contesti in cui se dovessimo imparare caso
per caso “le regole del gioco” (es. se il bambino dovesse attaccarsi alla madre tramite rinforzo
sarebbe molto complicato; l’imprinting rende tutto più semplice, con un processo di co-
adattamento) sarebbe estremamente complicato. Abbiamo abilità innate che usiamo in modo
così ovvio che abbiamo quasi difficoltà a riconoscere quante cose sappiamo fare (cecità agli
istinti).
Un modulo è un meccanismo cognitivo distinto da altri, che si attiva in uno specifico ambito ed è
adibito ad operare soltanto su determinati contenuti e non su altri.

Fu Fodor a parlare per primo di modularità: la mente modulare è un sistema computazionale


simbolico; esiste una pluralità di specifici moduli che intervengono sia nell’analisi percettiva sia
nell’ambito del sistema visuo-motorio.
I moduli hanno precise caratteristiche:
1. Sono geneticamente associati a un’architettura neurale fissa;
2. Sono specifici per dominio (es. percezione dei volti è diversa da quella del colore);
3. Sono incapsulati (o “impenetrabili” a livello cognitivo), non essendo il loro funzionamento influenzato
da fattori quali le conoscenze, le aspettative, ecc.;
4. I moduli agiscono in modalità bottom-up.
Fodor circoscrive la modularità solo alla percezione.
Al contrario, gli psicologi evoluzionisti propongono una visione massiva della modularità: tutti i
processi neurocognitivi sono modulari. Esiste un’ampia pluralità di “meccanismi evoluzionistici”
innati progettati dall’evoluzione per risolvere ogni genere di problema adattivo.
Il punto di partenza per comprendere la modularità massiva è l’approccio computazionale di
Marr (<-). Dal punto di vista metodologico, è importante la task analysis coniugata con
l’ingegneria inversa (<-). La spiegazione della mente modulare è l’ingegneria inversa: i moduli
sono stati plasmati dalle pressioni selettive.

Modulo -> aspetto strutturale


Adattamento -> aspetto funzionale
Istinto -> filogenesi

La differenza tra Fodor ed evoluzionisti è quantitativa. La definizione di modulo,


concettualmente, è la stessa.
Esempio di “impenetrabilità cognitiva”:

6. Mente paleolitica: I nostri crani moderni ospitano una mente forgiata nell'età della pietra
[Pleistocene] – cfr. ingegneria inversa. La modernità cognitiva si è formata lungo migliaia di anni.
È improbabile che il nostro cervello si adatti alla velocità dei cambiamenti della nostra società, in
quanto noi reagiamo con schemi che risalgono a un passato lentissimo. Il funzionamento della
mente umana va cercato nei remoti problemi quotidianamente affrontati per milioni di anni dai
nostri progenitori cacciatori-raccoglitori, il mondo che conosciamo noi esiste soltanto da “pochi
istanti”. Un simile approccio spiega perché ci sentiamo a nostro agio con i piccoli gruppi o perché
la paura dei serpenti è più diffusa di quella delle prese elettriche o delle auto.

Lezione 25/10/2021
Ricapitolazione: Il modello standard sostiene che l’uomo nasca come una tabula rasa, mentre gli psicologi
evoluzionistici sostengono che nascano con una serie di abilità che predispongono durante il percorso
epigenetico e che sono talmente complesse, automatiche e universali che fanno pensare che siano frutto
della selezione naturale. Queste caratteristiche di Homo sapiens potrebbero avere un’origine come quella
ipotizzata da Baldwin: non solo tratti biologici, ma frutti di apprendimento. Come il nostro corpo, anche la
mente dispone di una serie di apparati predisposti per funzioni specifiche: possiede dei moduli -
adattamenti (facciamo riferimento all’aspetto funzionale: a cosa servono?) - istinti (facciamo riferimento
alla filogenesi). Ad esempio, la percezione ci serve per adattarci all’ambiente circostante, per captare gli
stimoli.
Il cervello ha una struttura multimodulare (questa visione di contrappone al modello standard). I moduli
(architettura neurocognitiva del cervello) hanno un’origine filogenetica (istinti) e hanno una valenza
funzionale (adattamenti).
Gli esseri umani hanno risolto “problemi” durante il corso del tempo (problemi adattivi di Homo sapiens -
>). Noi gestiamo questa complessità proprio grazie al patrimonio di istinti.

Epigenesi: Durante l’ontogenesi (sviluppo individuale), affrontiamo compiti di vita che, da un lato, sono
ricorrenti (sopravvivere, procacciarsi cibo, riprodursi, acquisire uno status sociale, ecc.), perché fanno parte
della nostra storia filogenetica (l’uomo ha da sempre dovuto affrontare questi compiti), ma dall’altro,
quando parliamo di traiettoria di sviluppo, ci riferiamo al fatto che dipende dall’epoca in cui è nato, dagli
incontri (dal paesaggio epigenetico in cui ognuno cresce) sono diversi per ognuno. Etimologia epigenesi:
origine che si sviluppa su qualcos’altro, abilità che si sviluppano sopra precedenti abilità ma che vanno
oltre. Le stesse funzioni ognuno di noi le porta avanti in modo diverso. Ciò che cambia è il modo in cui noi
affrontiamo i compiti evolutivi. Come gli individui si adattano all’ambiente in modo biologico (es. conchiglie
di Piaget), a livello più psicologico succede la stessa cosa: l’individuo possiede certe caratteristiche e man
mano che percorre la sua traiettoria di sviluppo si vanno manifestando in modo epigenetico. Noi abbiamo
fatto due esempi: 1. Vivere in un ambiente svantaggioso ha conseguenze psichiche e fa sì che l’individuo
sviluppi più precocemente in termini psicosessuali; questo è il frutto dell’interazione tra le caratteristiche di
Homo sapiens e le caratteristiche ambientali; 2. Suscettibilità all’ambiente: ci sono individui dotati di una
maggiore o minore suscettibilità all’ambiente; si tratta di epigenetica perché, nell’interazione con
l’ambiente, l’individuo reagisce con minore o maggiore suscettibilità e questa può variare anche a seconda
dell’epoca di vita in cui ci si trova.
Epigenesi, quindi, significa che ogni tappa dello sviluppo non è inclusa automaticamente nelle precedenti,
ma dipende da un lato dalle caratteristiche filogenetiche dell’individuo, dall’altro dalle caratteristiche
dell’ambiente nel quale l’individuo si imbatte (anche in base alla suscettibilità dell’individuo stesso).

Capitolo 5 - Origine ed evoluzione degli adattamenti modulari


Questo capitolo descrive le origini e l’evoluzione delle principali strutture che regolano la cognizione e il
comportamento umano.

Socialità: un problema adattivo fondamentale


• Homo sapiens: specie ipersociale (Pinker, 2003)
• Scambi sociali e “istinti del ragionamento”
• Il criterio di reciprocità e le sue violazioni
Uno degli istinti fondamentali dell’essere umano è la socialità, la socializzazione è poi frutto dell’epigenesi,
delle differenze individuali. C’è una piattaforma epigenetica che però ci spinge a socializzare. Durante il
lockdown, abbiamo sofferto tantissimo per la mancanza di socializzazione.
Pinker dice che siamo una specie ipersociale, abbiamo bisogno di contatto e di incontro, ma anche di
scontro.
Da dove è emersa questa socialità, come si spiega la storia filogenetica di questo istinto? Esistono specie di
animali fatte di cacciatori solitari, ad esempio l’orso, che è un esempio di organismi che si adattano in un
contesto di isolamento.
Quando scesero dagli alberi e acquisirono la postura eretta e la camminata bipede e tutta l’antropogenesi
che abbiamo descritto in precedenza, piccoli gruppi si spostavano insieme di continuo per cercare acqua,
cibo, ripari; la loro vita era molto dinamica. Il cibo non era così ovvio, potevano passare anche molti giorni.
Fisicamente gli umani non hanno quella struttura corporea di molti animali che li rende in grado di
difendersi da soli; è stato il gruppo a dare protezione e ha funzionato come amplificatore delle abilità.
Procacciavano il cibo attraverso le strategie della caccia e della raccolta. La caccia era molto più proficua da
un punto di vista energetico, ma era anche più pericolosa.
Come funzionava il gruppo? Attraverso il criterio della reciprocità, criterio istintivo di base, di fronte a cui
siamo ciechi, che ispira sostanzialmente tutte le società umane. Reciprocità significa che io ti offro un
beneficio, pagando un costo, e mi aspetto che tu a tua volta mi offri un beneficio, pagando un costo. Poi ci
sono le violazioni al criterio della reciprocità: tradimento, menzogna.

Libro: Lo scambio sociale, essenzialmente basato su regole di reciprocità tra costi e benefici, non avrebbe
potuto evolvere se non si fosse sviluppato un meccanismo tale da consentire agli individui di riconoscere e
di escludere dal futuro transazioni gli ingannatori, cioè lo coloro i quali violano la fondamentale regola di
reciprocità, secondo cui ogni scambio implica che l'ottenimento di un beneficio ha un corrispettivo costo
pagare. La pressione selettiva ha così provvisto la mente umana di un apposito modulo cognitivo
specificamente programmato per scoprire e neutralizzare l'imbroglio, ovvero l'algoritmo cerca-truffatori,
rappresentato formalmente sotto forma di regola condizionale di contratto sociale (Cosmides 1989).

Teoria dei contratti sociali


In base alla teoria dei contratti sociali, la socialità nei gruppi umani si fonda proprio sul principio di
reciprocità.
Nell’amicizia, nella vita di coppia vale la reciprocità, ma assume forme e contesti completamente diversi.
La reciprocità si può vedere anche come un sistema di aspettative del tutto automatiche, che però funziona
secondo il frame, secondo la cornice: con un collega funzionerà in un modo, con un amico funziona in un
altro modo, ecc.
Ad esempio, in amicizia funziona in questo modo: oggi io aiuto te, se domani sarò in difficoltà so che posso
contare su di te. Funziona in modo più indiretto.
Indipendentemente dal contesto, la socialità funziona in questo modo: se l’individuo si adatta un gruppo,
prende dei benefici da quel gruppo, ma deve dare anche dei benefici a quel gruppo.
Tutto ciò ha una storia millenaria filogenetica, non si spiega con noi e con la nostra storia. Questo
meccanismo si è formato lentamente, prima attraverso i piccoli gruppi.
• Istinti di ragionamento e contratto sociale
• Come l’evoluzione ha modellato la mutua cooperazione negli scambi sociali (Cosmides, 1989)?
Attraverso il bilanciamento trade-off.
• Trade-off costi/benefici della socialità: io prendo dei vantaggi e pago dei costi.

Il gruppo si può considerare il primo “ambiente selettivo” da cui dipende l’individuo, il quale vi si integra
tramite processi basati sul senso di appartenenza, sulla cooperazione, sulla reciprocità. La teoria del
contratto sociale (Cosmides e Tooby, 1992) scompone in 5 funzioni cognitive la capacità della mente
umana di orientarsi nell’intricata rete di scambi sociali:
• Possibilità di identificare e ricordare un ampio numeri di individui, in modo tale da essere meno
vulnerabili nei confronti di potenziali truffatori (riconoscimento dei volti);
• Memorizzazione delle storie di interazione;
• Saper comunicare agli altri le proprie richieste;
• Abilità di comprendere i bisogni e i desideri altrui: dare aiuto all’altro crea le condizioni per poter
essere contraccambiati;
• Rappresentazione dei costi e dei benefici inclusi in qualsiasi scambio sociale.

Reciprocità/reciprocazione
Il criterio di reciprocità non ci viene insegnato a scuola; è un meccanismo molto potente il quale funziona in
modo spontaneo.
Gli esseri umani utilizzano in modo naturale e spontaneo (istintivo) il criterio di reciprocità (regola
condizionale di contratto sociale).
• Se una persona prende il beneficio B, allora deve pagare il costo C. Logicamente, ci sono quattro
alternative:
1. La persona prende il beneficio (p)
2. La persona non prende il beneficio (non p)
3. La persona paga il costo (q)
4. La persona non paga il costo (non q)
Es. se una persona prende l’autobus (beneficio), deve pagare il biglietto (costo).
Se una persona non prende l’autobus, non deve pagare il biglietto.
Se una persona vuole guidare la macchina, deve avere la patente.

La reciprocità funziona attraverso un meccanismo circolare giving-receiving. La reciprocità viene


rappresentata formalmente dalle regola se…allora e questa regola viene violata solo se si prende il
beneficio e non si paga il costo (combinazione formalmente rappresentabile come p e non-q).

Noi usiamo inconsciamente questa regola “se…allora”.

Il compito delle 4 carte di Wason (1966)


Si riprodusse un compito che rispecchiasse questa regola.
Si vuole dimostrare che se questo meccanismo viene presentato attraverso un compito di logica, è difficile
risolverlo. Se viene presentato attraverso uno scambio sociale di reciprocità, allora viene facile e
automatico risolverlo.

Si presentavano queste 4 carte. Sono state costruite in base a questa regola: se da un lato c’è la lettera A,
dall’altro lato c’è il numero. Per sapere se questa regola è stata rispettata, quali carte devi girare?
A e 7.
Giro la carta con la A, per vedere se la regola è stata rispettata.
Giro la carta con il 7, per vedere se la regola è stata falsificata.
Il ragionamento razionale è stato sviluppato con Aristotele, mentre la regola “se…allora” nello scambio
sociale ha una storia di 600000 anni. Se viene usata in chiave logica non è automatica, trasferita in chiave
sociale è molto semplice.
Se lo stesso compito veniva presentato in termini di scambio sociale, era molto più semplice.
Codifica delle regole sociali
I risultati di un esperimento di Cardaci, Misuraca e Walker (2002) sono compatibili con l'ipotesi di un
funzionamento multi-modulare: la particolare formulazione della regola condizionale potrebbe
simultaneamente attivare più di un modulo.
Gli autori identificarono due sistemi condizionali: il primo era composto di regole a codifica univoca,
interpretabili cioè soltanto come contratti sociali o come permessi o soltanto in termini di prudenza; il
secondo insieme era invece costituito da condizionali a codifica multipla, che attivavano in parallelo più di
un’interpretazione: contratti sociali e/o permessi e/o regole di prudenza.
Gli sperimentatori osservarono che il livello di facilitazione dei contratti a codifica univoca era
significativamente superiore a quello dei condizionali a codifica multipla. Questi risultati suggeriscono la
possibilità che l'attivazione di un modulo per volta, richiedendo un minor “carico cognitivo” dell'attivazione
parallela di più moduli, faciliti maggiormente questo tipo di ragionamento condizionale.
Dati compatibili con questa supposizione provengono da uno studio di Ermer e colleghi condotto con
metodologia MRI (mappatura di aree cerebrali a risonanza magnetica). Gli autori hanno dimostrato che, pur
esistendo una certa sovrapposizione fra vari aspetti il ragionamento in forma di contratto sociale o di regola
di prudenza, i correlati neurali sono differenti. Infatti, quando i soggetti cercano la violazione di una regola
di prudenza oppure di un contratto sociale si attivano differenti aree cerebrali.
Regole a codifica univoca [più facili]
– interpretabili soltanto come contratti sociali o soltanto come permessi o soltanto come regole di
prudenza
Regole a codifica multipla [più difficili]
– Interpretabili in più modi contemporaneamente [Cardaci et al. 2002]
• A livello di aree cerebrali [imaging] vi è sovrapposizione fra vari aspetti del ragionamento in forma di
contratto sociale o di regola di prudenza, ma i loro correlati neurali sono differenti [Ermer et al. 2006]

Algoritmo cerca-truffatori
In ogni scambio sociale, ci sono sempre 4 alternative. Il contratto sociale è rispettato finché la persona
prende il beneficio e paga il costo. È violato se la persona prende il beneficio e non paga il costo. Il nostro
cervello è attrezzato per riconoscere ed escludere da future transazioni gli ingannatori (cheaters), ovvero
coloro i quali violano il criterio di reciprocità insito in ogni scambio sociale.
L’algoritmo cerca-truffatori una sorta di meccanismo neurale che si è formato nel corso della filogenesi e
che in modo abbastanza immediato e semplice riesce a scoprire se una persona che ci sta ingannando,
perché se ci avviciniamo a una persona ci sta ingannando si abbassa la nostra fitness perché paghiamo costi
senza avere benefici.

In caso di inosservanza della regola, entra in gioco l’istinto di ragionamento (algoritmo cerca-truffatori), la
cui immediatezza e naturalezza rendono molto difficile a tutti prenderne coscienza e portarne alla luce i
meccanismi interni.
Si tratta del fenomeno che Cosmides e Tooby definiscono cecità agli istinti: la spontaneità di un istinto ci
permette di mettere in atto in modo automatico un comportamento, ma paradossalmente ci impedisce di
comprenderlo.

Cheating (imbroglio)
Se nel gruppo tutti fossero ingannatori, il gruppo si sgretolerebbe immediatamente.
Gli algoritmi neurocognitivi sono naturalmente portati a scoprire se la persona o il gruppo si comportano in
modo tale da rispettare la regola.

Gli studi originari di Cosmides trattano in modo unilaterale la violazione del contratto sociale: prendere il
beneficio e non pagare il costo (unilateral cheating option). Nella bilateral cheating option si prende invece
in considerazione il fatto che ogni contratto sia per definizione stipulato da due parti:
• Promisor,
• Promisee,
e che il contratto può essere violato da entrambi.

Free rider problem


Tutti i gruppi umani contengono dei free riders, ovvero degli sfruttatori. Uno sfruttatore (profittatore) è
qualcuno che sfrutta risorse, vantaggi ecc. senza mai ricambiare o pagarne i costi.
Nell’organizzazione di un gruppo sociale, la presenza di uno o più profittatori comporta slealtà e inganni
che possono arrivare a compromettere il funzionamento e la sopravvivenza del gruppo.
Tutti i gruppi hanno creato soluzioni per alleviare questo problema. I sistemi punitivi funzionano proprio
per scoraggiare i free riders (es. ostracismo).
La punizione è legata alla volontà di contribuire a un bene pubblico infliggendo «costi» ai profittatori [ma in
certi casi anche ai punitori, punizione altruistica]. La punizione altruistica significa che paga il costo sia chi è
punito sia chi dà la punizione; aiuta chi viene punito a riadattarsi al gruppo. Anche chi punisce si sacrifica.

Domanda: l’algoritmo cerca-truffatori può essere applicato anche con l’altruismo? L’altruismo è una
sospensione della reciprocità, ovvero si paga un costo senza ricavare un beneficio. Serve comunque
all’adattamento dell’individuo/gruppo. Tranne nel caso limite (in cui l’individuo perde la vita), l’altruismo in
realtà può avere dei vantaggi (prestigio sociale, ecc.). Non è detto che sia sempre in perdita, possono
esserci dei ritorni.

Lezione 25/10/2021
Ricapitolazione: uno degli istinti più potenti della nostra specie, che poi a livello culturale si manifesta in
regole sociali e culturali completamente diverse, è la socialità; ha garantito la fitness dei nostri progenitori
per centinaia di migliaia di anni. Teoria dei contratti sociali: costi-benefici in ogni scambio sociale.
Formalmente, nello scambio sociale ci sono 4 possibilità logiche, che se vengono rappresentate in forma
astratta rendono abbastanza complicato il ragionamento (come nel compito di Wason), mentre se
traduciamo la regola in scambi sociali concreti, i soggetti “indovinano” più facilmente se ci si trova davanti a
un truffatore. Si è proprio sviluppata una struttura neurale per riconoscere i cheaters: noi cerchiamo di
adattare delle contromisure contro di essi perché potrebbero abbassare la nostra fitness. Queste regole
hanno una struttura generale, ma bisogna ricordarsi che sono “dominio-specifiche”. Questo algoritmo
cerca-truffatori opera in modo del tutto automatico, inconscio, non stiamo lì a pensarci, siamo ciechi agli
istinti (calcoliamo automaticamente costi, benefici, ecc.).
Nelle idee paranoiche, potrebbe esserci un malfunzionamento di questo algoritmo.
Come mai la selezione naturale non ha estinto i tratti psicopatologici? Ad esempio, questo meccanismo può
agire in modo eccessivo, portando a un quadro psicopatologico paranoico. Ovviamente è un’ipotesi del
professore da un punto di vista evoluzionistico.
A livello sociale, le società si proteggono attraverso istituzioni dai truffatori.

I moduli sono strutture:


• specifiche per dominio,
• incapsulate informazionalmente, ovvero funzionano indipendentemente dalla nostra volontà,
• associati a un’architettura neurale fissa, ovvero il cervello dispone di aree neurali in cui sono
incardinate una serie di funzioni che eseguono quel compito.
Il professore, a proposito dei moduli, ci fa vedere un video che estrae alcuni casi (esempi di moduli
percettivi). Il video ha lo scopo di far capire quanto la nostra vita relazionale e la nostra percezione del
mondo siano legate al funzionamento del cervello e a quelle aree che svolgono dei compiti che noi diamo
per scontati, quando funzionano bene.
Primo caso: signora che ebbe un ictus in un’area molto ristretta della corteccia occipitale e ha perso la
visione del movimento. Modulo che ha a che fare con il movimento.
Domanda del prof: gli esempi del video fanno riferimento ai moduli secondo Fodor o ai moduli secondo gli
psicologi evoluzionisti? Secondo Fodor, perché per Fodor soltanto determinate abilità, come la percezione,
era modulari, mentre altre che non presupponevano l’incontro con lo stimolo non erano modulari.
In questo video ci occupiamo di moduli prevalentemente di tipo percettivo.
Il nostro cervello, per elaborare la visione, ci metterebbe troppo tempo se ci fosse un unico meccanismo
preposto all’elaborazione dello stimolo visivo; la soluzione (evoluzionistica) che il nostro cervello ha trovato
è quella di organizzare tante piccole aree ognuna delle quali elabora un singolo aspetto dello stimolo.

Seconda parte del video: riconoscimento dei visi umani e prosopoagnosia. Il nostro cervello è allenato a
riconoscere i visi -> una parte del nostro cervello è preposta a questa funzione. Il signore del video non è in
grado di riconoscere i visi della gente (incidente con danni permanenti al cervello). “Per la gente vedere è
uguale a capire, ma non è così”. Non riesce a riconoscere nemmeno il viso della moglie. Gli viene
presentata un’immagine di Marylin Monroe e non riesce a riconoscerla, nemmeno a capire se è giovane o
anziana. Le facce gli non sembrano tutte uguali, ma non riesce ad associarle a nessuno, sono “facce senza
nome”: riesce a vedere gli elementi singolarmente, ma non riesce a vedere il viso nel suo insieme. Non
riesce a riconoscere nemmeno sé stesso. Quando guardiamo un altro essere umano, attiviamo un sistema
di riconoscimento altamente specializzato; un’intera sezione del cervello è dedicata a questa funzione. È un
modulo specializzato di altissima funzionalità adattiva. È un adattamento (processo neurocognitivo)
filogenetico che poi funziona in modo individuale in ognuno di noi: perdendo questo modulo, si abbassa la
fitness dell’individuo, peggiora nettamente la qualità della vita dell’individuo.

Terza parte del video: un incidente ha reso l’uomo incapace di riconoscere ciò che vede. Sa cosa sono gli
oggetti e conosce i loro nomi, ma le informazioni che vengono dal mondo circostante non vengono messe
in rapporto alle conoscenze. Change blindness: spesso non ci accorgiamo dei cambiamenti (esperimento
dei ragazzi che cambiano sotto la scrivania). I trucchi di magia si basano proprio su questo. Il nostro cervello
è una macchina selettiva, spesso seleziona porzioni dell’ambiente.

Secondo Fodor, le funzioni percettive hanno una base modulare e solo le funzioni che ci interfacciano con
l’ambiente sono modulari, perché il pensiero, l’immaginazione, i segni funzionano in modo interconnesso.
Secondo la visione massiva, i moduli si estendono anche a funzioni più complesse (es. scambio
sociale/algoritmo cerca-truffatori: modulo che in senso stretto non è percettivo, riguarda una
computazione, un’analisi automatica dei comportamenti/atteggiamenti/espressioni di una persona).

Gli psicologi evoluzionisti, oltre a dire che i moduli sono massivi (l’intera organizzazione del nostro cervello
è modulare), sostengono che la struttura modulare massiva del cervello può essere spiegata meglio con
un’ipotesi filogenetica, cercano una spiegazione distale del come e del perché si siano formati questi
moduli (es. spiegazione distale: i volti sono così importanti che si è sviluppato un modulo specializzato).

Altri adattamenti evoluzionistici


Una volta messo in funzione dai particolari input ambientali, il modulo trasforma l’informazione in una
procedura “decisionale”, regolando le risposte fisiologiche e comportamentali che permettono a un
determinato essere vivente di risolvere quel particolare problema adattivo.
Gli psicologi evoluzionisti si sono dedicati ad approfondite analisi dei numerosi aspetti del comportamento
umano che rivelano l’esistenza di sottostanti moduli istintivi.

Cooperazione e condivisione emozionale


La socialità non è l’unico adattamento evoluzionistico, l’unica pressione che abbiamo subito: ci sono tanti
altri aspetti, come ad esempio la condivisione emozionale (che passa anch’essa attraverso il
riconoscimento facciale): non ci limitiamo a identificare qualcuno come più o meno familiare, ma riusciamo
anche a decodificare le sue espressioni facciali. Darwin fu il primo a studiare le espressioni facciali. Questa
capacità serve a facilitare la cooperazione e la condivisione emozionale: in un gruppo in cui ci siano delle
relazioni interpersonali importanti entrare in empatia facilita la cooperazione sociale. Ad esempio, è
dimostrato che questo avviene nei gruppi di lavoro (entro certi limiti però altrimenti il gruppo non sarebbe
funzionale). Cos’è la cooperazione? Si tratta della condivisione di un obiettivo, si passa dallo sforzo del
singolo per raggiungerlo allo sforzo del gruppo con lo stesso fine; scambio collaborativo tra gli individui.
Un recente studio ha dimostrato che anche i bambini molto piccolo sanno dare un significato alle emoticon,
che sono una rappresentazione artificiale di espressioni facciali.

Cibo e preferenze alimentari


Un’altra importante forma di adattamento è data dalle preferenze alimentari, dato che la ricerca del cibo è
stata da sempre una priorità vitale (Ricerca di Buss, 2012 sulla caccia cooperativa). Anche qui c’è una
“contrapposizione” tra antropologia culturale e psicologia evoluzionistica.
Studiando gli usi e i costumi alimentari, l’antropologia culturale ha sostenuto l’ipotesi che tutte le culture
umano hanno costruito percorsi alimentari tendenzialmente diversi: ad esempio le cucine speziate
dipendono dal fatto che le spezie siano un antisettico naturale usato molto quando ancora non esistevano i
refrigeratori. Quindi ogni cultura ha sviluppato pratiche e rituali alimentari, usi e costumi, modi di mangiare
e di conservare il cibo totalmente diversi.
Per la psicologia evoluzionistica, la spiegazione è che la diversità di ogni popolo è data dal fatto che ognuno
di questi si è adeguato a nicchie ecologiche completamente diverse tra loro, e quindi dalla diversità delle
risorse presenti in ognuna di queste. Anche le pratiche di conquista e di conservazione del cibo
dipendevano dalle nicchie. Guardando alla filogenesi dell’homo sapiens (quindi alle radici che, oltre alle
diversità, ci accomunano), dietro queste diversità ci sarebbero degli universali che sembrano accumunare i
gusti di base dell’homo sapiens: ad esempio, in tutte le culture sembra essere apprezzato il sapore dolce.
Anche i neonati umani sembrano gradire il dolce e provare disgusto per le cose amare. Questo sembra
derivare dal fatto che nel corso dei suoi adattamenti l’homo sapiens ha scoperto che i cibi dolci sono più
calorici, cosa che per i nostri progenitori era indispensabile alla sopravvivenza (si trattava anche di cibi
molto energetici). Allo stesso tempo l’avversione istintiva che si ha per i cibi amari deriva dal fatto che essi
venivano associati a sostanze potenzialmente nocive o velenose. Inoltre, la nostra specie ha sviluppato una
strategia alimentare onnivora, con il vantaggio di ampliare la gamma delle possibili forme energetiche; il
rischio però è che si aumenta anche la probabilità di ingerire sostanze velenose (trade-off).
L’adattamento sviluppato è stata una tendenza istintiva, che quando diventa eccessiva viene chiamata
neofobia, che è la tendenza a mangiare cibi nuovi solo in piccole dosi e che estremizzata porta a provare
repulsione per il cibo non familiare. Mangiamo un cibo non familiare con più prudenza; proteggiamo il
nostro organismo da possibili sostanze nocive. Ci sono individui che hanno una repulsione per qualsiasi cibo
non familiare (neofobia), ma anche questo è un rischio per la salute, perché è importante seguire una dieta
variata, in quanto il nostro organismo è predisposto ad assumere una varietà di sostanze. Ci sono anche
degli studi che dimostrano che la neofobia possa avere una base genetica.
Anche il disgusto è un meccanismo protettivo (funzione adattiva di scoraggiare l’ingestione di sostanze
tossiche). È interessante il fatto che sembra esistere una differenza tra uomini e donne rispetto al disgusto,
che sarebbe maggiore nelle donne (soprattutto per la protezione della prole nelle fasi della gravidanza e
dell’allattamento).
La ricerca del cibo avveniva attraverso la caccia e la raccolta (Hunter-Gatherer Theory: prime forme di
divisione sociale del lavoro secondo il genere), prima dell’invenzione delle tecnologie. C’era una divisione
sessuale di compiti: le donne sembravano più propense alla raccolta di cibo, i maschi avevano più una
tendenza ad andare a caccia. Seguire animali metteva in gioco le capacità di orientamento e di navigazione
spaziale, mentre raccogliere frutti coinvolgeva invece il discernere e memorizzare sia le caratteristiche
visibili di determinati elementi sia la loro localizzazione. Conseguentemente, la teoria del cacciatore-
raccoglitore prevede che gli uomini siano più abili in compiti di navigazione, di lettura di mappe o nella
rotazione mentale necessaria a puntare e colpire il bersaglio, mentre le donne sarebbero invece più dotate
nella capacità di ricordare alle posizioni spaziali degli oggetti così come nella memorizzazione di oggetti non
familiari per i quali non esiste un'etichetta verbale.
La condivisione di cibo è un rituale universale ed è collegata all’idea di caccia cooperativa: questo accadeva
perché le probabilità di una buona caccia erano maggiori in gruppo, e perché nel caso di una caccia
particolarmente fortunata - anche per evitare lo spreco – questo veniva condiviso con i membri di uno
stesso gruppo sociale.
Alla necessità di condividere e distribuire nel gruppo i prodotti della caccia si accompagnarono, quindi, le
prime forme di altruismo e di scambio sociale: una volta raggiunta la sazietà, cedere ad altri membri del
gruppo ancora affamati carne che non poteva essere ulteriormente consumata era un'azione “a basso
costo”, la quale inoltre poteva essere ricambiata quando le parti si fossero rovesciate. In altre parole, non
essendoci ancora i mezzi per conservare fisicamente il cibo, esso veniva donato ad altri membri del gruppo,
in attesa di un'altra occasione in cui essi avrebbero potuto allora volta sdebitarsi allo stesso modo.

Il professore collega il tema del cibo all’effetto Baldwin. Baldwin sposava la tesi di Darwin, ma diceva che
oltre alle differenze di tratto dovute a origini naturali, biologiche, ci possono essere delle differenze che in
origine non sono biologiche, come pensava Darwin, ma sono apprese e poi finiscono col diventare un tratto
innato dell’intera specie. Secondo Baldwin, quindi, i tratti possono anche avere un’origine appresa, sociale,
non solo biologica. Abbiamo visto vari esempi che riguardano l’effetto Baldwin, ad esempio
l’addomesticamento dei cani: i cani hanno appreso l’addomesticabilità. Nel caso del cibo, abbiamo
applicato l’effetto Baldwin ad alcune pratiche alimentari, ad esempio la digestione del latte. La capacità di
digerire i latticini non è innata, tant’è vero che ci sono individui che non hanno questo enzima. Si pensa
quindi che il fatto che in alcuni gruppi umani vi sia questa tendenza non abbia una base biologica, innata,
naturale, come pensava Darwin, ma possa essere conseguenza di pratiche, frutto di un apprendimento
sociale. Quando gli umani cominciare ad allevare gli ovini, a prendere il latte, i loro discendenti si
adattarono a queste pratiche e quindi svilupparono questa capacità di digestione del latte, mentre in altri
popoli questa capacità non è presente.

Preferenze paesaggistiche
Ipotesi Savana
Perché ci piace tenere piante in casa, passeggiare tra i boschi? Perché secondo l’ipotesi Savana (Buss,
2012), i nostri antenati quando si trovavano in paesaggi ricchi di fonti e di risorse, con alberi frondosi, erba,
ecc. erano più a loro agio, poiché avevano più possibilità di adattamento all’ambiente. Ci piace viaggiare,
conoscere posti nuovi probabilmente perché i primi umani erano sempre in movimento, erano nomadi: è
questa la radice ancestrale del turismo.
Secondo l'ipotesi savana, quindi, la tendenza a scegliere luoghi con determinati requisiti paesaggistici ha
remote radici evoluzionistiche.
L’ipotesi savana distingue tre stadi nel processo di scelta degli habitat:
• Selezione: i nostri progenitori dovevano innanzitutto decidere se esplorare oppure no un ambiente;
• Racconta di informazioni: l’ambiente veniva esplorato per scoprirne sia risorse sia pericoli. Ancora
oggi noi siamo attratti da luoghi misteriosi (nell’epoca di Internet, l’antico fascino dell’esplorazione
si traduce in lunghe e sedentarie navigazioni in rete attraverso i suoi vari mondi digitali);
• Sfruttamento delle sue risorse.

Paure innate
Pavlov spiegava le paure con il condizionamento; con l’esperimento del piccolo Albert, Watson dimostrò
che il bambino non mostrava paura per il coniglietto inizialmente; dopo aver associato la visione dello
stimolo a un rumore forte, si stabilì questa associazione e il povero Albert acquisì questa paura appresa del
coniglio. I comportamentisti quindi puntano sull’idea ambientalista, quindi che tutte le nostre paure siano
frutto di un apprendimento (spiegazione prossimale).

In realtà, gli evoluzionisti sono andati a scoprire se esistano paure universali (spiegazione distale), che
hanno chiamato paure latenti (lurking fears); latenti perché è raro che ci imbattiamo in stimoli che possano
suscitare una reazione fobica, fanno parte del nostro repertorio comportamentale individuale ma hanno
radici filogenetiche e si attivano solo se è presente quel determinato input.
• serpenti o ragni (meno presenti e meno pericolosi nel nostro attuale habitat di auto o prese
elettriche) -> paure innate universali più diffuse.
Sebbene le fobie possano svilupparsi verso qualsiasi stimolo, è più raro che l’individuo sviluppo fobie verso
le auto o le prese elettriche, perché mentre le prese elettriche o le auto sono comparse molto
recentemente (sono apparse negli ultimi 150 anni), quindi il nostro cervello non ha avuto il tempo di
adattarsi a questi nuovi stimoli, i serpenti o i ragni o gli insetti sono esistiti da decine di migliaia di anni
accanto Homo sapiens. L’adattamento che Homo sapiens ha sviluppato è molto più forte verso questo tipo
di stimoli naturali.
Qual è l’ingegneria inversa? Perché esistono queste paure innate? Le fobie hanno avuto un ruolo adattivo
perché riducevano le probabilità che l’individuo potesse restare vittima di quella minaccia. Queste paure
sono latenti, spesso non abbiamo coscienza di averle, perché nel nostro Umwelt incontrare ragni velenosi o
serpenti è improbabile; se manca lo stimolo, quel modulo rimane latente. Probabilmente abbiamo molte
più fobie di quanto pensiamo.
La paura è un meccanismo mediato dal sistema nervoso autonomo, quello che regola tutte le funzioni vitali
al di là della nostra consapevolezza; non dipende dalla volontà.
La fobia è adattiva perché nel momento in cui scatta un comportamento aversivo, questo comportamento
serve a proteggere la sopravvivenza dell’individuo, il quale, se entrasse in contatto con quello stimolo,
potrebbe invece subire conseguenze nocive o addirittura mortali.
La funzione remota, ancestrale, filogenetica delle fobie innate era protettiva; quindi, erano funzionali alla
sopravvivenza della specie.

La paura dell’altezza è tendenzialmente universale, ha un ruolo adattivo, ha radici filogenetiche: serviva ad


evitare che l’individuo si esponesse eccessivamente alle altezze. Ovviamente ci sono le differenze
individuali e la storia epigenetica: ci sono persone più o meno esposte a questa paura.

Vi sono quattro possibili reazioni innate alla minaccia:


1. Congelamento (freeze): l’individuo viene paralizzato dalla paura; ha una funzione adattiva,
perché ad esempio quando i nostri progenitori subivano attacchi da nemici, il fingersi morti,
l’immobilità aumentava la probabilità di sfuggire alla minaccia;
2. Fuga (flight): l’organismo fugge. La fuga è un distanziamento spaziale da una minaccia;
3. Lotta (fight): l’individuo lotta, si oppone attivamente alla minaccia, con lo scopo di neutralizzarla;
4. Spavento (fright): noi urliamo di fronte a una paura o a una minaccia perché, sebbene urlare non
attenui il rischio, l’urlo ha una funzione di allerta per gli altri membri del gruppo, quindi può
attivare dei comportamenti diretti o indiretti di protezione.
Le possibili reazioni dipendono dalle caratteristiche individuali e dal tipo di contesto.

Paure più comuni (Buss, 2012)


• Serpenti
• Ragni
• Altezze
• Attacchi di panico
• Agorafobia
• Animaletti
• Malattie
• Ansia da separazione: ciò che ha garantito la fitness dei nostri antenati è proprio il vivere in gruppo;
• Paura dell’estraneo: nei piccoli gruppi nomadi, ogni incontro con un individuo esterno al gruppo
poteva essere fonte di ansia;
• Ansia sociale: la paura di parlare in pubblico è una di quelle più diffuse; essere giudicati dal gruppo
può portare ad essere ostracizzati;
• Ansia da accoppiamento: oggi ci sono i vari siti di incontro perché rispondono a un bisogno che
risale a una paura ancestrale, ovvero quella di rimanere soli, senza un partner.

Lezione 02/11/2021
Riflessione sulla giornata del 2 novembre: in tutte le società e in tutte le epoche storiche, sin dai tempi
ancestrali, c’è la sensazione di un contatto che continua ancora con le persone defunte. Ogni cultura ha
sovrascritto le proprie tradizioni, i propri usi e costumi.

Ricapitolazione: abbiamo cominciato ad esaminare quali adattamenti evoluzionistici hanno caratterizzato la


specie umana.
Gli adattamenti evoluzionistici sono l’applicazione in chiave psicologica della teoria darwiniana: come la
selezione ha plasmato i tratti di ogni specie, nel nostro caso ha plasmato meccanismi adattivi (=che
favoriscono la fitness) che si sono trasmessi fino a noi oggi. Sono meccanismi che hanno dato forma al
profilo cognitivo, emotivo, relazionale e che hanno una struttura modulare, ovvero si attivano in contesti
specifici davanti a input specifici, e durante la traiettoria individuale epigenetica rendono spontaneo e
semplice l’utilizzare una certa abilità, che sia legata all’alimentazione o ad aspetti relazionali, ecc.

L’ingegneria inversa è un metodo di pensiero: noi inevitabilmente osserviamo i comportamenti umani nel
presente; quindi, possiamo dare una spiegazione prossimale (che fa riferimento ad antecedenti che
possiamo osservare) di tali comportamenti (es. Maria è gelosa perché Giuseppe guarda le altre ragazze; il
bambino ha un attaccamento sicuro -> la psicologia ha descritto tutta una serie di fenomeni per i quali ha
elaborato delle teorie; descriviamo la psiche così come la psicologia la vede ora).
Prossimale non significa solo al qui ed ora; fa riferimento a tutte le spiegazioni che noi costruiamo, giuste o
sbagliate, senza ricostruire le origini filogenetiche.
Es. Big Five = modo di pensare prossimale; se fosse distale: ma perché ci sono le differenze di personalità?
Quali sono le origini?
Tutto il modello standard della psicologia è in qualche modo agnostico, non si pone il problema di risalire
alle origini (ad es. del cervello).
Ma se noi, partendo dalla struttura attuale, ci chiediamo perché, ad esempio, il cervello sia fatto così,
stiamo cercando di dare una spiegazione distale.
Se io studio usi e costumi alimentari di oggi, guardo ai comportamenti attuali; se mi chiedo perché noi
abbiamo comportamenti alimentari eccessivi e risalgo ad Homo sapiens, che quando trovava molto cibo si
rimpinzava, risalgo dal presente al passato.
L’ingegneria inversa collega comportamenti attuali alle radici ancestrali; dà una spiegazione distale. Noi
abbiamo fatto precedentemente l’esempio della gelosia.

Evo-devo sta per evolutionary-developmental. Noi stiamo cercando di studiare in questa prospettiva,
perché studiamo ciò che è distale cercando di vedere come ciò è implementato nel singolo individuo.
Gli sviluppi attuali della psicologia evoluzionistica sono evo-devo, disciplina che integra psicologia
evoluzionistica con sviluppo individuale (ontogenesi).
Riferimento a Piaget e Waddington: i due autori, attraverso i loro studi sull’adattamento fenotipico,
scoprirono come delle pertubazioni ambientali possano influire sull’adattamento della specie; loro diedero
una spiegazione un po’ lamarckiana, ma la loro importanza fu nel fatto di avere detto che la filogenesi fissa
una piattaforma comune, ma poi il paesaggio epigenetico può determinare diversi fenotipi.

Scelta del partner (mating)


È un altro aspetto molto importante nella nostra specie.
“Mating” letteralmente significa accoppiamento. Quando abbiamo parlato di antropogenesi, abbiamo visto
che il ciclo mestruale ha fatto sì che si rinforzassero legami di coppia.
La sessualità umana, in realtà, non è qualcosa di binario, ma è plurale. Per motivi didattici, noi ci atteniamo
agli studi di psicologia evoluzionistica che attengono al rapporto tra i due generi binari classici.
Inoltre, possiamo parlare di mating a breve e a lungo termine; noi ci occuperemo di quello a lungo termine.
Già Darwin, ponendosi in un’ottica naturalistica, riconobbe che le strategie sessuali seguono logiche un po’
diverse:
• selezione intersessuale: i maschi tendono ad avere un comportamento propositivi, sono
competitivi; c’è molta più aggressività/competitività per raggiungere il successo riproduttivo;
• nelle femmine, vi è una selezione che Darwin chiamò intrasessuale: è una strategia molto più
attenta, qualitativa; le donne tendono ad essere più selettive rispetto ai maschi.

Mating e differenze di genere


Criteri femminili Criteri maschili
Aspetto fisico: altezza, prestanza fisica, Bellezza fisica
mascolinità, simmetria e virilità del volto,
gradevole timbro di voce, ecc.
Uomini in posizione di potere Gioventù: fertilità, valore riproduttivo, salute
Indicatori di personalità (ambizione, dominanza, Tratti di personalità: sincerità, affidabilità, stabilità,
industriosità, diligenza, stabilità, maturità, ecc.) -> ecc.
potenziale successo nell’accesso e controllo delle
risorse

L’aspetto fisico o la bellezza fisica è un criterio che viene preso in considerazione in entrambi i sessi, ma
negli uomini viene preso molto più in considerazione.
In termini ancestrali, l’altezza, la prestanza fisica trasmettevano alla femmina segnali di fitness, importanti
per la sopravvivenza della famiglia. Sempre in termini ancestrali, la prestanza fisica era associata a una
potenziale capacità di garantirsi con la forza le risorse necessarie alla sopravvivenza.
Per quanto riguarda i maschi, la bellezza fisica sembra avere a che fare con segnali di salute fisica, di
maggiore potenzialità riproduttiva.
Anche la gioventù è collegata alla fertilità, al valore riproduttivo e alla salute. Per questo motivo, gli uomini
tendono a cercare donne più giovani di loro, mentre le donne sono più disponibili a cercare partner più
anziani, perché lo status sociale era qualcosa che si acquisiva nel tempo. L’ipotesi era che l’attrazione delle
donne per uomini più anziani fosse dovuta al fatto che gli uomini più anziani avevano già raggiunto un certo
status sociale e quindi avessero più accesso alle risorse, garantendo alla donna più possibilità di
sopravvivenza.
Le donne sono molto attratte da uomini in posizione di potere. Tra i tratti preferiti dalle donne vi sono
ambizione, dominanza, industriosità, diligenza, stabilità, maturità, ecc.: questi tratti garantiscono un
migliore status sociale e garantiscono quindi alla donna e alla prole una maggiore fitness.
Per l’uomo, invece, è importante la sincerità perché garantisce più probabilità di risorse a lungo termine da
investire nella prole.

Studio sperimentale di La Cerra (1995): indicatori comportamentali e attrattività di genere


Nella prima diapositiva, si vede una donna che accudisce un bambino; nella seconda, la donna è totalmente
indifferente al bambino; nella terza diapositiva, si vede un uomo che interagisce con il bambino, mentre
nella quarta è totalmente indifferente.
La Cerra chiese a dei gruppi di soggetti (maschi nel caso del personaggio femminile, femmine nel caso del
personaggio maschile) di valutare il grado di attrattività fisica del personaggio.
I risultati furono interessanti:
• il giudizio delle donne fu molto influenzato dal comportamento, ovvero vennero dati punteggi più
alti all’uomo quando interagiva con il bambino piuttosto che quando era indifferente. Il giudizio era
quindi molto influenzato dal comportamento dell’uomo;
• il giudizio maschile fu molto poco influenzato dal comportamento della donna: i punteggi non
differivano molto.
Questo esperimento vuole dimostrare che, nel valutare la bellezza fisica, la quale è un filtro che hanno sia
uomini che donne, le donne sono molto più influenzate dall’aspetto comportamentale, mentre negli uomini
il giudizio è decontestualizzato, non è influenzato dal comportamento.
Gli uomini tendono ad avere una strategia più quantitativa (selezione intersessuale), mentre le donne più
qualitativa (selezione intrasessuale), perché, quando arriva un figlio, il costo è più alto per la donna. Nel
trade-off riproduttivo, l’uomo ha meno costi in senso biologico. La donna ha, quindi, tutto l’interesse a
cercare istintivamente un partner più affidabile, mentre l’uomo ha meno interesse in questo senso.

Esiste un bimorfismo sessuale, una differente conformazione uomo-donna, e questo bimorfismo obbedisce
a strategie inter/intrasessuali; i costi riproduttivi sono sempre stati maggiori per la donna che per l’uomo.
Poi ci sono tutti aspetti culturali.

Differenze di genere nella gelosia (Buss, 2012)


La gelosia obbedisce a una logica adattazionista.
Negli uomini, nei quali ancestralmente predominava il timore dell’incertezza della paternità, vi era una
maggiore sensibilità alla infedeltà sessuale.
Le donne sembrano più sensibili all’infedeltà emotiva, perché mette in gioco il coinvolgimento maschile a
lungo termine verso potenziali rivali e la perdita delle risorse di sostentamento della prole.

Sollecitudine parentale discriminativa


Una volta trovato il partner, i genitori devono dedicarsi alla cura e all’allevamento della prole. Le nostre
condizioni sono radicalmente diverse da quelle dei nostri progenitori, ma le strategie rimangono
tendenzialmente le stesse. La maturazione del piccolo è eterocronica, nasce prematuramente (rivoluzione
ontogenetica).
La sollecitudine parentale discriminativa è in un certo senso un meccanismo che è un’eccezione che
conferma la regola; lo scambio sociale solitamente implica la reciprocità costo-beneficio, mentre la
sollecitudine è una forma di altruismo totale, si interrompe questa regola dello scambio sociale.
• Attenzione e risorse materiali nella cura dei figli da parte dei genitori;
• Atteggiamenti genitoriali più favorevoli verso figli con più alte probabilità di convertire le risorse
parentali in successo riproduttivo (Daly & Wilson, 1988).
Il favoritismo parentale opera in entrambi i genitori ed è culturalmente universale; implica che i genitori
tendano a fare di tutto per cooperare affinché la prole possa trovarsi nelle condizioni migliori per crescere e
riprodursi a sua volta.
A proposito, è stato studiato il Cinderella Effect: secondo questi studi, i maltrattamenti infantili sono
statisticamente molto più numerosi quando almeno uno dei due genitori è un genitore non biologico
(maltrattamenti da parte di genitori adottivi sono circa 100 volte più frequenti di quelli da parte di genitori
naturali – Daly e Wilson, 2007). Questo perché i genitori biologici avrebbero la tendenza naturale a favorire
i figli. Ovviamente questi studi sono da prendere sempre in modo relativo.

Altri adattamenti sociali


• Altruismo (-> Regola di Hamilton): esistono, in primo luogo, forme di altruismo biologico. Rinviando
alla nozione di fitness inclusiva, l’altruismo biologico comprende l’insieme di comportamenti di un
organismo i quali recano un beneficio ad altri e, al contempo, un costo per esso. Il modello di
fitness inclusiva prevede che un’azione altruistica di un individuo sia tanto più probabile quanto
maggiore è il suo grado di parentela genetica con coloro cui essa è rivolta.
Un secondo tipo di altruismo è invece strettamente collegato allo scambio sociale. L’altruismo
prospettico (Brown e Moore) è la capacità di cogliere negli altri genuine manifestazioni di
altruismo.
La teoria della reciprocità indiretta evidenzia un ulteriore aspetto dell’altruismo: chi agisce in modo
altruistico segnala agli osservatori che sarebbe a sua volta meritevole di aiuto (“buona pubblicità).
La teoria della segnalazione costosa mette in evidenza un altro aspetto ancora: è definito “costoso”
a causa del dispendio richiesto, ma il vantaggio adattivo è l’acquisizione di un’elevata reputazione
sociale.
• Amicizia: è una forma di scambio sociale sui generis. Oggi il ruolo degli amici è importante, ma è
limitato al tempo libero. Nei tempi ancestrali, un amico poteva anche essere una forma di
“assicurazione”: se si moriva, un amico assicurava alla prole non sua la sopravvivenza. L’amicizia ha
le sue radici in una condizione ancestrale, poi da cultura a cultura, assume modalità
completamente diverse.
«I veri amici si vedono proprio nel momento del bisogno»
…un amico nel momento del bisogno non è in grado di ripagare immediatamente l’aiuto ricevuto...
....è percepita come più genuina un’amicizia che non richiede di essere immediatamente
ripagata...ma l’amicizia realmente altruistica ha meno probabilità di essere ripagata. L’amicizia è
una speciale “forma di assicurazione” in caso di bisogno (paradosso del banchiere di Tooby e
Cosmides).

Ripasso
Il professore sta riprendendo su richiesta la regola di codifica multipla, ma non la chiederà agli esami!
Cosmides e altri colleghi mostrarono come se si traduce il compito delle 4 carte in termini di scambio
sociale, il compito risulta molto più semplice.
Altri autori dimostrarono che possono esistere altre regole di scambi sociali: regole di permesso, regole di
prudenza, obblighi.
Quando la regola può essere interpretata in modo univoco (codifica univoca), individuare la violazione è
molto più semplice. Quando una regola è suscettibile a più interpretazioni possibili, vi è molta più difficoltà
nello scoprire la violazione (codifica multipla).

Tutti gli adattamenti sociali che stiamo studiando (alimentazione, fobie, mating) hanno a che fare con la
dimensione fondamentale che abbiamo definito cecità agli istinti. Molte nostre azioni le agiamo in modo
automatico, implicito; non stiamo a ragionare sul da farsi, automaticamente mettiamo in moto quel
meccanismo. Ad esempio, l’amicizia è un bisogno umano istintivo, non la pianifichiamo razionalmente.
Funziona tutto in modo così spontaneo che ci rende difficile rendercene conto. Tutto ciò è fondamentale
per la sopravvivenza: se dovessimo fermarci a pensare ogni volta, non finiremmo più.
Sono potenzialità adattive talmente naturali e spontanee, universalmente presenti, che noi gestiamo in
modo automatico e servono all’immediata sopravvivenza dell’individuo.

Lezione 14/11/2021
Riflessione sull’ipotesi savana: il secondo stadio nel processo di scelta dell’habitat è l’esplorazione dell’ambiente;
anche noi siamo affascinati dai luoghi misteriosi. Il libro porta a riflettere sul fatto che noi oggi traduciamo l’antico
fascino dell’esplorazione in lunghe e sedentarie navigazioni in rete attraverso i suoi vari mondi digitali. Ciò mi ha
portato a riflettere anche a un altro modo attraverso cui noi soddisfiamo il nostro bisogno di esplorazione e
rimettiamo in atto comportamenti ancestrali che oggi non è più necessario mettere in atto, ovvero i videogiochi. In
moltissimi videogiochi bisogna esplorare nuovi posti misteriosi e pericolosi, bisogna cacciare o difendersi da predatori
come facevano i nostri progenitori, bisogna elaborare tattiche, trovare rifugio, acqua e cibo, sopravvivere a condizioni
difficili; tutti comportamenti che oggi non mettiamo più in atto perché non ce n’è più di bisogno, ma che si sono
reiterati per migliaia di anni. Come per le fobie, il mondo oggi è solo un attimo rispetto alla storia filogenetica. Quindi
mi sono chiesta: è possibile che noi, attraverso i videogiochi, rimettiamo in atto “virtualmente” comportamenti che
hanno avuto una lunga storia filogenetica, ma che oggi non mettiamo più in atto fisicamente, e che in un certo senso
tramite essi soddisfiamo ”bisogni ancestrali”?
Ed è possibile che, seguendo la teoria del cacciatore-raccoglitore, vi sia (generalizzando) una differenza di genere nella
scelta dei videogiochi proprio per questo?

L’evoluzione della facoltà di linguaggio


“Sottoprodotto” o “adattamento”?
Facoltà innata [Chomsky, 1959]
– Sottoprodotto evoluzionistico [Chomsky, 1988]
• Effetto indiretto di pressioni selettive dirette verso altri «bersagli»
– «deriva genetica» [genetic drift]; «trascinamento genetico» [genetic hitchhiking]; aumento della massa
encefalica ecc

Ipotesi di Hauser, Chomsky e Fitch [2003]


– Facoltà di linguaggio in senso lato: condivisa con gli animali
– Facoltà di linguaggio in senso stretto: solo umana, ma…
…potrebbe essersi evoluta tramite abilità diverse dal linguaggio [calcolo numerico, rappresentazione
spaziale ecc.]

Skinner, “Il comportamento verbale”: Skinner voleva estendere al linguaggio i principi da lui scoperti e in
questo libro sosteneva che quello che noi chiamiamo linguaggio, che rappresenta l’espressione massima
delle nostre capacità cognitiva, non è un processo mentale (mente=black box): lui parlava di
comportamento verbale. Io posso usare il linguaggio per parlare agli altri o per pensare tra me e me ->
Skinner direbbe che anche questo è un comportamento verbale, non osservabile ma implicito, nascosto.
Quella di Skinner è quasi una provocazione.
Anche Pavlov ha provato a spiegare il linguaggio tramite la reflessologia: il bambino associa il suono
“pappa” al cibo.
Ovviamente è un’ipotesi molto riduttiva.
Chomsky fece una recensione feroce contro Skinner. La facoltà di linguaggio, secondo Chomsky, è un’abilità
innata in tutti gli esseri umani: tutti i bambini normodotati messi nelle appropriate condizioni sviluppano il
linguaggio. Perché il linguaggio ha base innata e non appresa? Perché il bambino ha una capacità di
sviluppo linguistico impressionante, la lingua madre viene appresa in pochissimo tempo; il bambino piccolo
comprende in modo immediato il linguaggio delle persone che gli stanno accanto e poi impara a riprodurlo.
Il cervello de bambino ha la capacità di estrarre le regole grammaticale e di applicarle senza ascoltare tutte
le possibili frasi. Spesso applica delle regole in modo sbagliato (es. “facete); il bambino non apprende
meccanicamente ciò che ascolta, ma poi lo applica in modo creativo.
Chomsky ha condotto degli studi in grammatica universale, dimostrando che dietro le diversità tra le
culture vi sono delle regole universali.
L’input, nel caso del linguaggio umano, è fondamentale: serve per “accendere, attivare”.
Noi non riproduciamo il linguaggio, noi lo produciamo.
Quando impariamo la seconda lingua, facciamo un sacco di fatica: dobbiamo entrare nelle regole di quella
lingua; questo nel bambino avviene in modo automatico.
Quindi, per Skinner il linguaggio è appreso: funziona come se fosse un comportamento motorio; per
Chomsky, invece, la facoltà di linguaggio è innata. Se fosse come dice Skinner, il bambino dovrebbe ripetere
frasi perfette; mentre il linguaggio umano ha una caratteristica generativa. È spontaneo che il nostro
linguaggio sia generativo.
Chomsky sostiene che il linguaggio è sì innato, però ritiene che il linguaggio sia un sottoprodotto.
Cos’è un sottoprodotto? Ad esempio, andare in bicicletta: le stesse aree neurali che ci consentono di
andare in bicicletta sono le stesse che ci consentono di camminare su due piedi.
L’idea di Chomsky è che nel nostro cervello si formarono aree neurali di tipo spaziale, di teoria della mente
ecc., che furono usate poi per produrre suoni per scambiarsi informazioni.
Chomsky non è un evoluzionista in senso stretto; la sua ipotesi è che il linguaggio probabilmente si sia
evoluto da altre aree neurali (calcolo, teoria della mente, ecc.).
Nel parlare di linguaggio, Chomsky dice una cosa interessante che può essere sicuramente condivisa. Il
linguaggio è ciò che ci distingue dagli animali oppure no? Chomsky distingue due livelli del linguaggio: se lo
intendiamo in senso, ovvero la possibilità di scambiare informazioni con i propri simili, non siamo l’unica
specie ad avere la facoltà di linguaggio; nell’uomo, però, grazie alla complessità del cervello umano, vi è
stato un salto di qualità e si è costruita la facoltà di linguaggio in senso stretto (introdurre concetti astratti,
utilizzare regole sintattico-grammaticale, ecc.). Per esempio, Vygotskij, quando diceva che gli esseri umani
costruivano strumenti culturali tramite il linguaggio, ovviamente si riferiva al linguaggio in senso stretto,
non al linguaggio in senso lato.
Secondo Chomsky, la parte non verbale (postura, arrossire, ecc.) è un veicolo comunicativo che noi
condividiamo con gli animali; quindi, rientra nella facoltà di linguaggio in senso lato.
La capacità di utilizzare il metalinguaggio (capacità di costruire linguaggio sul linguaggio), la capacità di
utilizzare concetti astratti (es. matematica) caratterizzano la capacità di linguaggio in senso stretto.

Spiegazione evoluzionistica del linguaggio


Il linguaggio è stato direttamente plasmato dalla selezione naturale
– vantaggi adattivi che esso in quanto strumento comunicativo ha arrecato alla nostra specie [p.e. Pinker,
1994; 1997]
...sarebbe emerso gradualmente dopo la separazione della linea evolutiva umana da quella degli
scimpanzé,
• Autapomorfia – il linguaggio è un tratto specificamente umano [Pinker, 2003]

Il linguaggio ha comunque una forte componente biologica, anche maturativa (es. nelle bambine sembra
svilupparsi molto prima).
Gli evoluzionisti non sono d’accordo che il linguaggio sia un sottoprodotto della selezione naturale
(spiegazione saltazionista) e ritengono invece che sia uno dei principali adattamenti della selezione
naturale.
Secondo l’ipotesi darwiniana, i membri di una stessa specie hanno dei tratti diversi; quegli individui che a
posteriori avevano tratti più vantaggiosi si sono riprodotti sempre di più (e viceversa).
Secondo gli psicologi evoluzionisti, quegli individui che riuscirono in modo casuale a usare suoni articolati
per trasmettere informazioni ebbero una serie tale di vantaggi di tipo riproduttivo per cui questo tratto si è
diffuso in tutta la popolazione e oggi è un tratto caratteristico di Homo sapiens.
La capacità di riprodurre suoni articolati avvantaggiò a tal punto i primi esseri umani che si diffuse in tutta
la popolazione (collegamenti possibili: cambiamenti della laringe, effetto Baldwin -> potremmo ipotizzare
secondo l’effetto Baldwin che i primi esseri che produssero suono lo fecero quasi per apprendimento, però
poi questo tratto si diffuse in tutta la specie).
Quali sono i vantaggi del linguaggio a livello biologico? Se io pesco un pesce e lo devo condividere con altre
persone della mia tribù, se insegno come pescare il pesce rimane a me. Il linguaggio consente di duplicare
l’informazione senza che vi siano delle perdite per chi comunica quella determinata informazione. L’ipotesi
evoluzionistica è che quando i nostri antenati si separarono dall’antenato comune, si cominciarono a
verificare questi cambiamenti che portarono allo sviluppo del linguaggio.
Il termine che gli evoluzionisti usano è autapomorfia: il linguaggio è un tratto specificamente umano.

Vantaggi evoluzionistici del linguaggio


• Codifica e convoglia informazioni vitali da un individuo all’altro: riesce a trasmettere informazioni
vitali: nell’ambiente ostile dei nostri antenati, ne valeva proprio della sopravvivenza;
• L'informazione può essere duplicata senza perdite
– Se do a qualcuno un pesce ne rimango privo, ma se gli dico come pescare, non perdo la mia
conoscenza su come si pesca [Pinker, 2003]

Quali informazioni trasmettiamo?


• Chi fa qualcosa a chi;
• Che cosa è vero a proposito di qualcosa;
• Quando dove e perché.

Proprietà fondamentali del linguaggio


• Potere espressivo: le parole sono finite, le regole sono limitate, ma noi con il linguaggio riusciamo a
trasmettere informazioni, stati d’animo, emozioni; numero infinito di idee o informazioni passano
da un individuo all’altro attraverso un flusso strutturato di segnali sonori arbitrariamente collegati
ai concetti condivisi dai membri della comunità [Pinker 2003];
• Ricorsività: possiamo ricombinare in molti modi possibili gli elementi; il linguaggio è generativo: noi
generiamo ogni volta frasi nuove.
– Struttura del linguaggio simile alle «scatole cinesi»;
– Linguaggio umano ricorsivamente scomponibile in strutture più semplici contenute in altre più
complesse [periodi, frasi, parole].

Le varie lingue sono implementazioni storico-culturali di una capacità innata, ovvero la facoltà di
linguaggio.

Libro: è tra 200000 anni fa e 100000 anni fa che Homo sapiens inizia a manifestare quei cambiamenti
biologici (encefalizzazione, laringe, corde vocali, ecc.), cognitivi (passaggio dalla cognizione episodica a
quella mimetica) e culturali che rendono possibile l’emersione della comunicazione linguistica.
In epoche molto più recenti, avvenne l’invenzione di strumenti di scrittura (“sogno di permanenza”).

Approcci evoluzionistici alla personalità


Differenze individuali negli animali:
– Tratti di personalità comuni all’uomo e all’animale: esplorazione, audacia, predisposizione alla paura,
aggressione, attività generale, emozionalità, sicurezza, timidezza [Mehta, Gosling 2008].
Alcuni studiosi sostengono che anche gli animali condividono tratti con l’uomo. Anche Pavlov vedeva tratti
di personalità nei cani.
Inizialmente la psicologia evoluzionistica ignorava l’importanza delle differenze individuali; ha trascurato le
differenze individuali intraspecifiche.

Ipotesi evoluzionistiche sulle differenze individuali


1. «Neutralità selettiva»
• La selezione naturale tende a eliminare le differenze individuali ereditabili, perché i tratti che si
rivelano vantaggiosi tendono a propagarsi nel tempo nell’intera specie [Tooby, Cosmides 1990];
• Le differenze individuali sono «rumore» casuale e neutre dal punto di vista adattivo.
– Questa ipotesi è ormai ritenuta inadeguata alla luce dell’attuale genetica comportamentale
La teoria neutrale diceva che soltanto una piccola parte dei tratti aveva costi/benefici; tutto il resto
dei tratti era neutrale.
Il fatto che uno sia introverso/estroverso, socievole/non socievole è neutrale, non ha effetti sulla
sopravvivenza della specie. Ci si è accorti però che questa ipotesi non può essere sostenuta, in
quanto gli studi confermano che la differenza di tratti può avere avuto degli effetti nella
sopravvivenza della specie.

2. Bilanciamento dovuto alla selezione (balancing selection)


– la selezione stessa mantiene la varianza genetica favorendo in egual misura gli estremi di uno
stesso tratto in differenti contesti
➢ spiega la varianza genetica dei tratti di personalità
Essendosi la nostra specie adattata a vari contesti, a varie situazioni ecologiche, avere certe
caratteristiche di personalità in certi contesti può essere vantaggioso (es. introversione tratto
favorevole in contesti nordici di solitudine). I tratti di personalità vengono mantenuti, quindi,
perché sono favorevoli all’adattamento in diversi contesti.

3. Equilibrio mutazione-selezione (mutation-selection balance)


– La selezione neutralizza le mutazioni che emergono spontaneamente nella popolazione, ma non
riesce ad eliminarle tutte
➢ spiega la varianza genetica dell’intelligenza
La selezione naturale elimina tendenzialmente i tratti svantaggiosi, ma impiega molto tempo,
decine di migliaia di anni. I tratti, quindi, continuano a permanere nella popolazione. Secondo
questa ipotesi, l’intelligenza ha altri obiettivi rispetto ai tratti di personalità.

Lezione 16/11/2021
Adattazionismo: Idea che la maggior parte che le nostre caratteristiche dipendano dalle pressioni selettive
di migliaia di anni.
La personalità racchiude l’intero modo che noi abbiamo di reagire agli eventi, di relazionarsi, il nostro grado
di energia.
Ci possono essere differenze individuali che non riguardano la personalità, ma riguardano l’intelligenza.
La varianza genetica esiste, quindi non può essere neutrale.
L’intelligenza segue una logica differente: nel caso di differenze di intelligenza (curva di Gauss), perché la
selezione non elimina gli individui con bassa fitness? L’idea è che la selezione naturale in realtà operi in tal
senso, ovvero che a posteriori “elimini” gli individui con più bassa fitness.
Effetto Flynn: si sostiene che nelle generazioni che si sono susseguite dai primi del Novecento ad oggi vi sia
stato un aumento di intelligenza. È anche vero che però la curva di Gauss continua ad esistere. Questo
perché la selezione natura opera lentamente (posizione di Darwin è gradualista), tende ad eliminare quindi
le differenze intellettuali (“premia” la fitness più alta), ma lo fa talmente lentamente che la varianza
genetica tende a compensare tutto ciò. La varianza genetica spontanea procede talmente velocemente che
la selezione naturale non riesce a eliminare le differenze.
Per quanti riguarda i tratti di personalità, invece, i differenti tratti sono adattivi in differenti contesti. La
nostra personalità, quindi, rientra nel paesaggio epigenetico: noi, con i nostri tratti di personalità,
modifichiamo l’ambiente che ci sta intorno.
Si instaura quindi un meccanismo circolare, per cui i nostri tratti influenzano l’ambiente e l’ambiente
influenza i nostri tratti.

Paesaggi adattivi individuali e “norme di reazione”


• Personalità e differenze individuali contribuiscono a modellare il paesaggio adattivo [adaptive landscape]
[è paesaggio epigenetico, Piaget, 1967] -> insieme di problemi ricorrenti che influenzano le azioni, le
esperienze e le relazioni di ogni essere umano [Buss, 1995; 2009].

• Norme di reazione individuali a base genotipica


– Heritable response styles
– Manifestazioni fenotipiche dei genotipi attraverso gli ambienti, con conseguenze adattive differenti in
differenti nicchie (cfr. Differential Susceptibility Paradigm)

– Endofenotipi [Endophenotypes]
• Insieme di strutture e microprocessi fenotipici [p.e. i sistemi neurotrasmettitori o le cascate di ormoni]
che mediano tra i geni e i tratti -> modello dello spartiacque: molti microprocessi genetici e fisiologici
(regolazione delle migrazioni neurali, mielinizzazione degli assoni, i livelli di neurotrasmettitori) possono
interagire tra loro per confluire in specifici tratti di personalità. Ogni tratto interagirà con gli altri e tutto ciò
in definitiva determinerà il livello di fitness complessivo dell’individuo.
Differenti conformazioni interne -> endofenotipi. Teoria della suscettibilità ambientale. Gli endofenotipi
possono essere collegati al concetto di intraselezione; coniugano filogenesi e ontogenesi.

– Firme di personalità [personality signatures] [Mischel & Shoda 1995]

Nella prospettiva evoluzionistica, i nostri tratti vengono visti come norme di reazione, ovvero che i tratti
non sono caratteristiche fisse, innate e immutabili, ma quando noi nasciamo sono “potenzialità”.
Pool genetico = popolazione di geni; il paesaggio dal genotipo al fenotipo non è automatico, ma dipende dal
paesaggio epigenetico in cui ci andiamo trovando. Le norme di reazione governano l’espressione fenotipica
dei genotipi in interazione con gli ambienti.
Es. la depressione non è un “programma” che si attiva indipendentemente dall’ambiente; i tratti non sono
un “destino psicologico”.
Immaginiamo che ci sia una sorta di ventaglio di personalità, quindi, la predisposizione all’estroversione è
una personalità; poi il modo in cui si è allevati, gli ambienti che si incontrano, determineranno l’espressione
di un determinato tratto.
Significa che se tu sei estroverso ha una certa gamma relativamente limitata di possibilità di risposta
all’ambiente, ma non in un singolo modo preciso. Le esperienze di vita poi regoleranno il modo in cui
risponderai all’ambiente.
Ad esempio, se hai una predisposizione all’ansia, non significa che sarai ansiosi in qualsiasi momento e
contesto della tua vita. Non è detto che automaticamente diventerai un soggetto nevrotico ansioso; in base
alle tue esperienze di vita, la tua ansia si potrà esprimere anche in modi più “costruttivi”. Se vivi esperienze
ambientali e familiari negative, quella norma di reazione (ansia) assumerà una connotazione assolutamente
diversa. La norma di reazione, quindi, potrebbe anche non manifestarsi.
Es. predisposizione al diabete non determina il diabete -> dipende dallo stile di vita.
I tratti di personalità all’inizio sono potenzialità temperamentali, che determinano ciò che è “normale” per
l’individuo.
Queste predisposizioni endogene entrano poi nel fenotipo.
Anche i nostri tratti di personalità sono, quindi, epigenetici.

Firme di personalità: la firma è qualche cosa che ci identifica; la nostra firma non è mai identica, perfetta;
dipende se siamo frettolosi, dalla penna, ecc. -> la firma cambia.
L’idea della personalità come firma della personalità significa che i nostri tratti sono come una firma: si
manifestano anche in modi diversi propri in base alle circostanze, all’ambiente. La firma cambia anche
durante in base allo sviluppo.
Le firme di personalità sono l’espressione di schemi comportamentali stabili e mettono le reazioni
comportamentali caratteristiche della persona in una relazione di tipo “se…allora” con gli antecedenti
situazionali che le suscitano.

L’approccio ai tratti come norme di reazione recupera l’idea di Allport, secondo cui la personalità racchiude
veri e propri “sistemi psicofisici” che determinano il modo unico di adattamento dell’individuo all’ambiente.
Durante l’arco di vita, questi meccanismi (tratti, sistemi psicofisici, norme di reazione, firme di personalità)
regolano le esperienze cognitive e affettive che gli individui acquisiscono interagendo con l’ambiente.
In conclusione, possiamo dire che c’è un forte intreccio tra geni, norme di reazione e ambiente.
La psicologia evoluzionistica vuole ricostruire il contributo dei fattori genetici allo sviluppo biologico dei
modi individuali di adattamento all’ambiente.

Trade-off dei Big 5


MacDonald fu uno dei primi ricercatori a proporre un’interpretazione adattazionista del modello dei Big
Five, in cui egli vide una gamma alquanto articolata di strategie adattive, diversamente praticata secondo
nicchie ambientali, e considerò disadattivi entrambi gli estremi di ciascuna dimensione.
Sulla stessa linea di pensiero, Nettle ha proposto un’analisi costi-benefici di ognuno dei cinque grandi
fattori di personalità.
Trade-off: analisi costi/benefici. Se la selezione ha mantenuto questi tratti, vuol dire che il bilancio costi-
benefici è positivo; ma non vuol dire che non abbiano costi. I Big 5 sono bipolari, si dispongono su un
continuum. Per tutti i 5 fattori, la maggior parte degli individui si può collocare in punteggi intermedi.
Secondo l’ipotesi adattazionista, la selezione naturale ha favorito la permanenza di questi tratti.

• Estroversione (socievole, ottimista)


Vantaggi: sono più esplorativi, hanno più energia fisica, tendono a esporsi a stimoli più intensi;
maggiore successo nel mating.
Costi: molti incidenti fisici sono subiti da persone più estroverse, proprio perché sono più attivi
(sensation seekers); maggiore tendenza all’instabilità familiare.

• Nevroticismo (emotivo, instabile)


Vantaggi: alto livello di vigilanza, la persona nevrotica non si rilassa mai; nella vita dei nostri
progenitori, chi aveva un alto livello di vigilanza (es. chi in caso di aggressione notturna rispondeva
in modo più sollecito) veniva avvantaggiato.
Costi: disregolazione emotiva, eccesso di sofferenza soggettiva, nei rapporti interpersonali, ecc.

• Apertura mentale (curioso, originale)


Vantaggi: creatività, maggiore raffinatezza intellettuale, che rende anche più attraenti.
Costi: idee deliranti, psicosi.
• Coscienziosità (puntuale, scrupoloso)
Vantaggi: desiderabilità sociale.
Costi: non riuscire a carpire l’attimo; una persona sommersa dal senso del dovere rinuncia a
qualcosa che potrebbe essere gratificante; eccessiva rigidità.

• Gradevolezza (gentile, disponibile)


Vantaggi: buone relazioni interpersonali.
Costi: mettersi troppo al servizio degli altri, rinunciando alle proprie esigenze; diventare anassertivi.

I Big 5 come fonti informative


La personalità ha anche una valenza sociale, non soltanto individuale: noi tendiamo ad attribuire agli altri
individui tratti di personalità (processi di attribuzione), per cercare di individuarne comportamenti tipici,
pensieri, ecc. (teoria della mente).
I Big Five rappresentano, quindi, rappresentano anche “strumenti informativi” che si sono evoluti per la
necessità adattiva di conoscere e valutare gli altri. Nella prospettiva adattazionista, la capacità di valutare
gli altri è di grande importanza ai fini di un’efficacie gestione delle relazioni sociali.
Secondo Goldberg, tutti noi, quando entriamo in contatto con una persona nuova, ci poniamo
implicitamente delle domande, andiamo a cercare delle informazioni sulla potenziale personalità di questo
individuo:
o X è energico e dominante?
o X è gradevole (piacevole, amichevole, ecc.) o sgradevole (ostile, distaccato, ecc.)?
o X è affidabile (coscienzioso, responsabile, ecc.) oppure no (irresponsabile, negligente, ecc.)?
o X è pazzo (imprevedibile, lunatico, ecc.) o sano (stabile, calmo, ecc.)?
o X è mentalmente aperto?
Noi poi creiamo delle tassonomie interpersonali, che sono importanti nella scelta del partner, soprattutto
nelle donne (gentilezza, affidabilità, stabilità emotiva, intelligenza).
I tratti hanno quindi una valenza adattiva anche per quanto riguarda il gruppo sociale.
In proposito, Buss ha sostenuto che le due dimensioni di maggiore rilievo evoluzionistico nelle tassonomie
sono la dominanza (energia, estroversione), che consente di identificare chi occupa un alto grado nella
gerarchia sociale, e la gradevolezza, che permette invece di riconoscere interlocutori disponibili a
collaborare o a formare alleanze. È probabile che gli individui capaci di discernere questo tipo di differenze
abbiano conseguito più vantaggi riproduttivi.

All’indissolubile intreccio tra la valenza adattiva e quella informativa dei tratti fenotipici della personalità,
occorre aggiungere un ulteriore elemento: lo sviluppo. Dall’epoca primitiva continuano ad esistere
problemi adattivi che riguardano particolari età della vita: è ipotizzabile che per affrontare un compito
adattivo tipico di una certa età siano stati selezionati meccanismi che ancora oggi entrano in funzione
all’incirca nello stesso momento in cui furono originariamente programmati per attivarsi.

Evoluzione delle motivazioni umane


La motivazione è una spinta all’obiettivo o una spinta a soddisfare un bisogno, che può essere fisiologico o
sociale.
I bisogni fondamentali dell’essere umano sono da sempre da un lato l’autoconservazione, a un secondo
livello l’accoppiamento e la riproduzione, le cure parentali, l’estensione dei rapporti sociali anche ad altri
gruppi e, infine, l’esigenza di creare sistemi di valori (Maslow).
Secondo Bernard e colleghi, esistono adattamenti motivazionali che sono stati selezionati come prodotto
delle pressioni selettive determinatesi negli originari “ambienti di adattabilità evoluzionistica”. Partendo
dall’assunto adattazionista che il comportamento intenzionale abbia lo scopo ultimo di favorire la fitness
inclusiva, gli autori considerano la motivazione un adattamento modulare.
I processi sottostanti alla motivazione e ai suoi correlati emozionali e autoregolativi sono transconsci, nel
senso che operano su tre livelli – inconscio, conscio “instabile” e conscio “stabile” – che ne rispecchiano le
origini filogenetiche.
Bernard e altri hanno mostrato che il nostro cervello è filogeneticamente stratificato: strati più antichi
(sistema limbico, midollo allungato, sistema nervoso autonomo) e strati che si sono formati più
recentemente (es. neocorteccia).
Secondo questa ipotesi, le motivazioni sono strutturate in modo stratificato:
1. Inconscio: a livello più profondo vi sono processi prevalentemente inconsci (regolazioni fisiologiche e
metaboliche dell’organismo, proto-sé -> insieme di circuiti neurali che mappano, momento per
momento, le condizioni fisiche dell’organismo);
2. Conscio “instabile”: a un livello intermedio, abbiamo il conscio “instabile” (stati mentali variabili e
non verbalizzabili); stati mentali fluttuanti che non hanno accesso alla memoria di lavoro né ai centri
cerebrali del linguaggio;
3. Conscio “stabile”: infine, abbiamo la parte conscia “stabile”, attraverso cui accediamo ai contenuti
della nostra esperienza. I processi consci stabili hanno origini ancora più recenti e sono maggiormente
influenzati dall’apprendimento sociale e dalla cultura. Si tratta di meccanismi, strettamente collegati
alla memoria di lavoro, che svolgono il compito di costruire le peculiari “narrative” grazie alle quali
ogni individuo può attribuire un senso di coerenza e continuità alle proprie azioni e un significato alle
proprie esperienze personali (memoria autobiografica).

I processi consci stabili sottostanti alla motivazione hanno un qualche collegamento con l’articolo di Gazzaniga che
abbiamo letto in aula? Il senso dell’unitarietà della nostra coscienza è grazie ad un modulo localizzato nell’emisfero
sinistro, che “raccoglie tutti gli stimoli che arrivano al cervello e li restituisce sotto forma di narrazione”: il modulo
interprete, che fornisce le basi biologiche dell’identità e della coscienza. Risposta: sì.

Ricostruzione filogenetica delle varie componenti motivazionali.


Questa visione transconscia delle motivazioni ha una struttura neurale ben precisa.

L’autocontrollo è la capacità di esplorare gli scenari decisionali e la capacità di rinviare la gratificazione.


L’impulsività, invece, consiste nella tendenza ad arrestare subito l’anticipazione cognitiva degli eventi e a
cercare una gratificazione immediata senza tener conto delle conseguenze.
L’autocontrollo contribuisce a canalizzare comportamenti motivati verso scopi prosociali; in ogni individuo
le motivazioni si esprimono attraverso particolari motivi, che guidano le sue azioni. I motivi sono
riconducibili a 5 domini:
• Sopravvivenza individuale;
• Mating;
• Cure parentali;
• Formazione di alleanze;
• Sistemi simbolici.
-
Sistemi computazionali della motivazione umana
Nell’ottica della psicologia evoluzionistica, le motivazioni sono viste come sistemi computazionali, come
moduli. È come se il nostro apparato neuro-cognitivo in qualche misura determinasse un obiettivo,
un’intenzione. Essere spinti a fare qualcosa è un processo molto complesso. A causa della cecità agli istinti,
però, noi non ce ne rendiamo conto: funziona in modo talmente spontaneo e istintivo che non possiamo
essere consapevoli di tutti i calcoli che il nostro cervello fa quando fissiamo un obiettivo o un’intenzione.
Sono parametri computazionali perché implicano un calcolo, un’elaborazione delle informazioni.
Secondo gli evoluzionisti, le motivazioni umane di base sono sempre quelle (sopravvivenza, appartenenza al
gruppo, ecc.).
Quando noi ci troviamo a elaborare i nostri obiettivi, tutto ciò è possibile grazie a un sistema
computazionale.
Tooby in particolare si sofferma su due aspetti della motivazione, che studia proprio come un sistema di
calcolo, che ha lo scopo, nel caso di un fratello, di inibire la sessualità e aumentare la tendenza
all’altruismo, e di determinare, nel caso di un estraneo, una minore tendenza all’altruismo e una maggiore
tendenza alla sessualità.
Quindi, nell’ottica computazionale-evoluzionistica di Tooby, la motivazione consiste in un insieme di
“variabili regolatrici”, interne all’individuo, che operano a livello inconscio. Tali variabili presero forma nelle
società di cacciatori-raccoglitori e consistono in processi computazionali che, innanzitutto, valutano la
forza, attrattiva o repulsiva, esercitata da un certo elemento.

Sistema di riconoscimento di consanguinei [Kin Detection System] – Tooby et al. 2008


Indicatori indiretti
i. Associazione materna perinatale (Maternal Perinatal Association) è nei fratelli maggiori
ii. Durata della coabitazione (14÷18 anni circa) è nei fratelli minori e in quelli adottivi

Relazioni tra fratelli/sorelle [sibling]


➢ Fratello/sorella: avversione sessuale, maggiore tendenza all’altruismo (fitness inclusiva)
➢ Estraneo/a: attrazione sessuale, minore tendenza all’altruismo

Kin = fratellanza/sorellanza, essere consanguinei

Tra le motivazioni umane più importanti, gli evoluzionisti riconoscono la spinta riproduttiva e l’altruismo.
Immaginiamo di vedere una donna con due uomini e di cercare di capire che tipo di motivazioni vi siano
negli uomini.
Nel caso del fratello, scatterà un meccanismo di inibizione sessuale e possiamo immaginare scatti un
meccanismo di protezione; nell’estraneo, potrebbe scattare invece un meccanismo sessuale. Ma non
esistono segni fisici che manifestano l’appartenenza al proprio gruppo familiare.
Come scatta, quindi, la kinship? Vi sono degli indicatori indiretti:
• Se il fratello è il primogenito, l’indicatore della kinship è l’associazione materna perinatale: il
bambino viene imprintato (imprinting) osservando la madre che si occupa di un altro bambino/a.
• Nel caso di un fratello minore, scatta un altro meccanismo: la durata della coabitazione. Sembra
che convivere in modo stabile e durevole (dai 14 ai 18 anni) faccia scattare quello meccanismo della
kinship. Questo meccanismo presente sia nei fratelli minori biologici sia in quelli adottivi.
In realtà, la durata della coabitazione vale sia per i fratelli minori sia per i fratelli maggiori. Infatti, se i figli
nascono a breve distanza, non si può attivare l’associazione materna perinatale (se il fratello maggiore ha 1
anno non ricorderà la nascita del fratello minore).
Il sistema motivazionale che si attiva nella kinship da un lato tende a spingere all’inibizione sessuale,
dall’altro tende a spingere a un maggiore altruismo.
Il sistema motivazionale che si attiva invece nell’estraneo spinge da un lato all’attrazione sessuale, dall’altro
a una minore tendenza all’altruismo.
WTR (Welfare Trade-off Ratio)
Motivazioni “egoistiche” o “altruistiche” verso altri
Un aspetto molto importante per l’emergere dell’altruismo è la memoria: se ricordiamo che una persona si
è comportata bene con noi, tenderemo ad essere più altruisti.
Un comportamento altruistico è un comportamento che implica un costo per chi è altruista e un vantaggio
per chi riceve il comportamento altruistico.
Nello scambio sociale standard, non c’è altruismo, perché se io pago un costo prendo un beneficio.
Secondo le ipotesi degli evoluzionisti, il sistema di calcolo che ci porta ad essere altruisti (non soltanto verso
i nostri consanguinei) funziona attraverso un meccanismo computazionale che si chiama Welfare Trade-off
Ratio (meccanismo che calcola la proporzione di benessere reciproco).
Questo meccanismo si basa molto sulla memoria: se io ho ricordi positivi, tenderò ad essere più altruista, e
viceversa.

Immaginiamo il WTR come un continuum che va da 0 a 1.


• Più tende a 0 -> più l’individuo tenderà ad assumere un comportamento egoistico (pur di ottenere
un vantaggio è disposto a dare un costo all’altro);
• Più tende a 1 -> più l’individuo tenderà ad assumere un comportamento altruistico.

Azione di A a proprio beneficio e con costi per B


• Più WTR tende a 0, più l’individuo A agirà a proprio vantaggio, trascurando i costi per l’individuo B
• Più WTR tende a 1…più l’individuo A agirà a proprio vantaggio solo se i costi per l’individuo B saranno
inferiori ai vantaggi che A otterrà per sé stesso

Azione di A con costi per A e a vantaggio di B


• Più WTR tende a 0, più l’individuo A non intraprenderà alcuna azione a vantaggio di B (anche se i costi per
A saranno inferiori ai vantaggi per B)
• Più WTR tende a 1, più l’individuo A intraprenderà un’azione a favore di B (purché i costi per A siano
inferiori ai vantaggi per B)

Es. un collega mi chiede un passaggio in centro per andare a fare shopping -> WTR tende a 0 (i costi per noi
sono eccessivamente alti).
Un collega mi chiede un passaggio perché sua madre è stata ricoverata in ospedale -> WTR tende a 1.
Egoismo: due possibili tipi -> A prende un beneficio a scapito di B, che paga un costo; A non paga un costo e
non assicura un beneficio a B. Nel primo caso, voglio prendere un beneficio; nel secondo caso, non voglio
pagare un costo.

La selezione naturale ha consentito che il WTR possa essere modificato da vari fattori situazionali: ad
esempio, se l’altro è cooperativo, allora è probabile che il nostro WTR (riconoscimento del suo interesse)
aumenti, e viceversa.
L’influenza del WTR sul trade-off negli scambi sociali può essere regolata dalle emozioni, in particolare dalla
rabbia, la quale è un sistema neuro-computazionale che si è evoluto come uno strumento di negoziazione
finalizzato a risolvere il conflitto a favore dell’individuo arrabbiato, ricalibrando il bilancio costi-benefici per
ciascuna delle parti in gioco.

Lezione 17/11/2021
Ripasso
Fitness per Darwin: successo riproduttivo o riproduzione differenziale; la fitness si verifica a posteriori ed è
il risultato dell’adattamento della specie. Gli individui con maggiore successo riproduttivo hanno una più
alta fitness, i loro tratti si diffondono sempre di più (e viceversa). La fitness classica riguarda il successo
riproduttivo dai genitori ai discendenti diretti.
Fitness inclusiva (Hamilton): un individuo A è disposto a pagare un costo a vantaggio di un individuo B
quando esiste una parentela genetica; c’è una propensione ad “aiutare”, a pagare dei costi a vantaggio dei
propri parenti genetici. Hamilton la chiamò “inclusiva” perché includeva anche il fatto che i genitori
possono aumentare la fitness non soltanto dei figli, ma anche di parenti genetici. La fitness inclusiva è tanto
più intensa quanto più forte è il legame genetico tra individui. È alla base del meccanismo naturale
dell’altruismo (Kin Detection System). Ma per l’altruismo esiste anche il WTR, per quanto riguarda gli
estranei.

Psicopatologia evoluzionistica
I principi dell’evoluzionismo offrono alla psicopatologia la possibilità di scoprire, dietro la spiegazione
prossima, le cause remoto che risalgono alla storia evoluzionistica dell’uomo. L’orientamento
evoluzionistico in psicopatologia è abbastanza recente; solamente negli anni ’80 si iniziò a riconoscere
l’importanza della teoria dell’evoluzione per la psicopatologia e a manifestare interesse per l’ipotesi che i
meccanismi adattivi descritti dalla psicologia modulare di stampo evoluzionistico possano operare anche
nell’ambito dei disturbi mentali.
La psicologia evoluzionistica propone una visione adattazionista, che si ispira a Darwin, il quale diceva che
se una popolazione è portatrice di tratti a bassa fitness, gradualmente la selezione naturale elimina questi
tratti. Ciò che sappiamo, invece, dalla psicopatologia è che il funzionamento degli esseri umani è sub-
ottimale e che esistono una serie di disturbi, disfunzionalità, racchiuse ad esempio nelle varie edizioni del
DSM. Questo rappresenta concettualmente una sfida per la visione adattazionista: come mai la selezione
naturale non ha “eliminato” i disturbi? Come mai continuano ad esistere?

Grazie alla chiave di lettura del trade-off, possiamo dire che il coping e l’auto-coscienza hanno avuto
funzioni adattive molto importanti (le strategie di coping per difenderci, l’autocoscienza per permetterci di
usare le intuizioni di noi stessi per gestire le relazioni sociali) in termini di fitness sono stati molto utili;
hanno però anche avuto dei costi. Ogni tratto adattivo ha sempre dei costi a suo svantaggio.
L’autocoscienza e il coping implicano tutta una serie di costi, ad esempio la consapevolezza della propria
morte (autocoscienza).
Ogni funzionalità adattiva (e ogni disfunzionalità) non è semplicemente un dato di fatto psicobiologico, ma
è sempre riferibile a un ambiente sociale e storico culturale i cui giudizi normativi definiscono i concetti di
salute, normalità, malattia, ecc. In tal senso, la psicopatologia evoluzionistica sembra consentire di
collegare adeguatamente i disturbi interni (malfunzionamento dei moduli) alle condizioni sociali esterne.
Sul piano epistemologico, ciò implica in sostanza la possibilità di conciliare le concezioni di malattia mentale
di matrice biologica e naturalistica con quelle di matrice culturale e relativistica.

A livello generale, la psicopatologia si occupa di tutto ciò che è “anormale”. Ma cosa si intende per
“anormale”, per disfunzionale?
“Tipico” significa molto frequente nella popolazione, “atipico” significa poco frequenti nella popolazione.
Ad esempio, le dipendenze sono disfunzionali, però sono molto diffusi (es. Internet Addiction).
Un’accezione puramente quantitativo-statistica non è molto utile.
Come mai è possibile che esistono delle disfunzioni? “Sottoprodotto” -> autoconsapevolezza, spesso con
dei costi.
Il coping e l’auto-coscienza hanno funzioni adattive, ma sono esposte a «costi», «malfunzionamenti» o a
«fallimenti» delle funzioni adattive plasmate dalla selezione naturale. A tali disfunzionalità può associarsi
un «danno».
Analisi della disfunzione dannosa [Harmful Dysfunction Analysis] [Wakefield, 1992]
1. «Danno» • Criterio valoriale riferito a valori e standard sociali e storico-culturali
2. «Disfunzione» • Criterio fattuale riferito al malfunzionamento oggettivo di un certo meccanismo

Perché si possa parlare di una componente psicopatologica, Wakefield propone un criterio valoriale e uno
oggettivo. Quello valoriale è il danno, perché è riferito a valori che cambiano da società a società; molti
comportamenti che oggi sono ritenuti normali, in passato sarebbero stati etichettati come indesiderabili
socialmente, e viceversa. Il criterio valoriale è un criterio molto soggettivo. La psichiatria ha conosciuto
momenti di grande crisi (antipsichiatria, Basaglia), proprio perché si ragionava in termini valoriali.
Contemporaneamente a un criterio valoriale, proprio perché è così arbitrario e relativistico, va abbinato a
un criterio fattuale, cioè oggettivo.
Quando ci sono entrambe queste chiavi allora si può parlare di disfunzionalità e di psicopatologia.

Es. dislessia rientra in un criterio di danno valoriale (nella nostra società, basata sulla lettura, implica
ostacoli da superare; smartphone), ma anche in un criterio fattuale, in quanto vi sono dei fattori biologici
che spiegano perché il cervello delle persone dislessiche manchi di alcune funzioni. Questi due criteri vanno
messi insieme.
Pensiamo alle società tradizionali, che erano basate su una tradizione orale, non scritta. In queste società,
in cui il grado di alfabetizzazione era minimo, l’avere una potenziale dislessia rimaneva qualcosa di latente:
il criterio fattuale rimaneva, ma quello valoriale era nascosto.

Questo modello consente di evitare, da un lato, il relativismo tipico di quelli che si attengono solo a un
criterio valoriale, dall’altro supera i limiti di una visione prettamente positivistica che pensa che tutto ciò
che è patologico debba necessariamente essere soltanto qualcosa di organico e biologico.

Altro es. epilessia -> malfunzionamenti in alcune strutture neurali e contemporaneamente comporta una
serie di difficoltà adattive, ostacoli, disagi. In società antiche, l’individuo con epilessia poteva essere
considerato come un individuo più elevato, posseduto dalle divinità (mancava quindi il criterio valoriale).

Ipotesi sulle cause della psicopatologia (Murphy, 2005)


A sua volta Murphy aggiunge a questo discorso tre chiavi di lettura distali che non si escludono a vicenda;
tre spiegazioni del perché certi tratti continuano a manifestarsi a livello fenotipico:
1. Spiegazione fondata sul “guasto” (breakdown explanation): malfunzionamento di alcuni apparati
della mente/cervello nell’eseguire il compito cui l’evoluzione li ha indirizzati.
Affinché possiamo parlare di un guasto, dobbiamo mostrare l’esistenza di un meccanismo
psicobiologico che ha smesso di funzionare.
Autismo: in passato si riteneva avesse soltanto una causa psicologica; oggi, si ritiene che i bambini
autistici abbiano disfunzionalità nel modulo che regola l’emergere della teoria della mente.
Secondo questa ipotesi, quindi, l’autismo non è stato “eliminato” perché emergono casualmente nella
varianza genetica della popolazione casi di bambini che abbiano questo malfunzionamento.

2. Spiegazione fondata sulla “discrepanza” (mismatch explanation): un meccanismo adattivo


nell’ambiente ancestrale (Pleistocene), oggi non lo è più a causa dei cambiamenti ambientali.
Un tratto che oggi è disfunzionale non è detto che in passato lo fosse. La fitness non è immutabile, ma
varia a seconda del contesto. Un tratto che in passato poteva essere adattivo oggi ha cambiato
completamente il suo impatto.
- Ad esempio, oggi sappiamo la nostra propensione ad iperalimentarci ha ricadute negative sia
sulla salute fisica sia sulla salute mentale; ma perché siamo così attratti dalle cose dolci e
ipercaloriche? Oggi questo è un tratto disfunzionale, ma da un punto di vista di una spiegazione
distale, i nostri antenati vivevano in una condizione di totale carenza di cibo, quindi, trovare degli
alimenti che tenessero l’organismo in una buona condizione energetica era una questione di vita
o di morte. Per cui, quando ci si imbatteva in frutta matura o in abbondante selvaggina,
naturalmente si cercava di rimpinzarsi quando più potevano. Un tratto che allora poteva avere
una valenza adattiva, oggi, essendo cambiate completamente le condizioni, è diventato
disadattivo.
- Paura dei luoghi alti [acrofobia]: utile quando era probabile imbattersi in uno strapiombo; oggi
disfunzionale se impedisce di prendere un aereo, di lavorare in un grattacielo ecc.
- In epoche primordiali, la depressione era un segnale di perdita di status sociale che motivava
l’individuo a cercare una nuova nicchia vitale in cui inserirsi più vantaggiosamente. Oggi ha perso
questa funzione.
- Alcolismo: sottoprodotto disadattivo di una tendenza alimentare divenuta eccessiva, ma che in
origine era invece adattiva (frugivory by-product hypothesis) -> specie animali frugivore
preferenza per i frutti più maturi, contenenti zucchero e piccole quantità di alcol etilico.

3. Spiegazione fondata sulla “persistenza” (persistence explanation): alcuni tratti oggi ritenuti
patologici potrebbero costituire una forma sui generis di adattamento.
I portatori di un tratto che in passato aveva disfunzionalità sono riusciti a riprodursi; quindi, il tratto è
rimasto presente nella popolazione.
Ad esempio, i sociopatici -> James Fallon, il neuroscienziato che scoprì di essere uno psicopatico
(2013) – I’m obnoxiously competitive. I won’t let my grandchildren win games. I’m kind of an asshole,
and I do jerky things that piss people off,” he says. But while I’m aggressive, but my aggression is
sublimated. I’d rather beat someone in an argument than beat them up.
«Disturbo di personalità», «psicopatia», «sociopatia»
• Insincerità
• Affettività superficiale
• Scarsa empatia
• Impulsività
• Irresponsabilità
• Niente obiettivi lungo termine
• Episodi giovanili di delinquenza ecc.
Lezione 22/11/2021
L’evoluzione umana si è svolta lungo una dimensione cognitiva, culturale e tecnologica, oltre che
puramente biologica.
Il meccanismo con cui l’essere umano comincia ad essere anche un essere culturale è la rivoluzione
ontogenetica.
Il cervello del bambino, dovendo passare dal canale del parto, è un cervello elastico, non ancora maturato;
poi l’ambiente culturale e sociale esterno è la “seconda madre”. Il “grande salto in avanti” è stato
ricondotto all’eterocronia della crescita postnatale del cervello: nell’uomo le varie strutture cerebrali
maturano a velocità differenti, così da consentire ai piccoli della nostra specie le molteplici forme di
apprendimento culturale.
È un momento in cui si incontrano filogenesi e ontogenesi: è una caratteristica tipica della specie, ma si
intreccia poi con l’esperienza epigenetica di ogni individuo (adattamenti differiti).
La cultura ha una radice biologica; il modello standard delle scienze sociali, invece, ha sempre distinto tra
natura e cultura (la credenza è che gli elementi culturali e sociali siano antecedenti ed esterni all’individuo e
modellino la sua mente influenzane in modo decisivo lo sviluppo). Gli psicologi evoluzionisti dicono invece
che il fatto che l’essere umano produca cultura è dovuto proprio all’organizzazione delle strutture neurali;
se non ci fosse stata la rivoluzione ontogenetica, il “great leap forward”, l’uomo non potrebbe produrre
cultura. È proprio la sottostante programmazione biologica dell’uomo che rende possibile e predispone la
nostra specie alla sua peculiare “capacità di cultura”.

Metacultura [Tooby e Cosmides 1992]


• Sistema globale delle relazioni inter-umane
– evoluzione di caratteristiche comuni alla nostra specie
– Differenze culturali come adattamenti a condizioni locali [Tooby e Cosmides 1992; Buss 2005]
– Diffusione epidemiologica dei prodotti culturali
– Approccio adattazionista alla cultura
– Le differenze culturali sono dovute a differenti contesti ecologici, storici, economici, demografici, sociali
ecc.

Nella nostra specie natura e cultura si incontrano proprio perché a livello ontogenetico si richiede un lungo
periodo di maturazione al bambino (il cervello continua a maturare dopo la nascita); dall’incontro tra
l’evoluzione (filogenesi) e lo sviluppo, che determina i paesaggi epigenetici, scaturisce questo mix in cui
natura e cultura sono indissociabili. Da ciò deriva la complessità dell’essere umano.
Caratteristiche psicobiologiche e ambientali si incontrano, determinando la traiettoria di vita dell’individuo
(suscettibilità ambientale).
La cultura è un bisogno e una tendenza naturale dell’uomo a organizzarsi in modo sociale con regole,
pratiche, strumenti; caratteristica della nostra specie è quella di adattare l’ambiente ai propri bisogni, non
solo quello di adattarsi all’ambiente. Ogni cultura propone spiegazioni, interpretazioni e visioni del mondo;
ogni cultura propone regole comportamentali, su come interagire con gli altri. La cultura è un qualcosa di
cui siamo intrisi sin dalla nascita. È però un prodotto naturale perché riflette bisogni, motivazioni,
caratteristiche della mente umana.
C’è una dimensione generale che troviamo in tutte le culture; è l’altra faccia dell’evoluzione, che non è
soltanto darwiniana, ma anche culturale -> storico-culturale, come avrebbe detto Vygotskij.
Così come avviene per il linguaggio, c’è un livello generale (facoltà di linguaggio – in senso lato e in senso
stretto -> capacità autapomorfica - vs lingue), ovvero il sistema globale delle relazioni inter-umane, che poi
si differenzia nelle varie culture come adattamenti a condizioni locali (es. differenti climi). I vari popoli si
sono ambientati in nicchie ecologiche diverse. L’uomo ha sviluppato le culture come forme di adattamento
agli specifici contesti, alle nicchie in cui si andava a trovare.
Vi sono poi le sottoculture di una cultura. Ancora una volta, vi è una dimensione specifica, che è quella della
cultura, interesse dell’antropologia, la quale evidenzia proprio le differenze culturali; vi è poi una
condizione umana generale, ovvero il bisogno di produrre un significato, dei simboli, una visione della vita
generale.
Le scienze della cultura hanno sempre messo in evidenza gli aspetti differenziali della cultura.
Gli psicologi evoluzionisti propongono una visione adattazionista, distinguendo metacultura e cultura.
La metacultura è una tendenza generale della nostra specie, è un tratto filogenetico. Noi siamo esseri
culturali, che poi vivono all’intero di culture specifiche. Le culture differiscono l’una dall’altra.
La genesi della cultura è un fatto naturale per tutti gli individui. L’innovazione culturale può essere
introdotta anche da un individuo.
La natura è intrisa di cultura.

Es. componente culturale e metaculturale dell’amicizia: intanto l’amicizia ha una base biologica. Stare con il
gruppo, creare alleanze, selettività sono aspetti metaculturali; per quanto riguarda la componente
culturale, possiamo pensare alle attività che si svolgono insieme. In passato, i nonni andavano a fare
passeggiate con gli amici, mentre adesso si va insieme a fare aperitivo. Oppure il tipo di regalo che si sceglie
per l’amico.

Qual è la differenza tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale?


L’evoluzione biologica avviene secondo quella dinamica intuita da Darwin: ogni specie ha delle differenti
caratteristiche, all’interno ogni specie vi sono diversi tratti che hanno un gradiente di fitness diversi; i tratti
con più alta fitness favoriscono la riproduzione degli individui che li posseggono, che quindi poi li
trasmettono ai discendenti; pian piano così i tratti cominciano a propagarsi sempre di più e diventano
caratteristiche della specie (es. locomozione bipede, genesi del linguaggio). In base al principio
adattazionista, una specie è forgiata da una serie di tratti fenotipici che si sono rivelati vantaggiosi.
Darwin guardava alla dinamica che portava alla propagazione di tratti adattivi a livello genetico.
Anche nell’evoluzione culturale avviene la stessa cosa: ci sono delle abitudini, dei modi di parlare che
gradualmente si estinguono, si trasformano, e degli elementi che si propagano in tutto il mondo culturale e
sociale (es. festa dei morti: processo di trasformazione culturale dal passato a oggi, dovuto a trasformazioni
economiche, sociali, ecc.). Oggi è molto veloce l’evoluzione culturale rispetto al passato (più dell’evoluzione
biologica), a causa dell’accelerazione tecnologica, dei social, ecc. Vi è quindi una differenza tra tempi
dell’evoluzione naturale e tempi dell’evoluzione biologica (differenza di scale temporali).

Dawkins (1976) ha introdotto il concetto di meme, che sarebbe l’analogo culturale del gene. La
propagazione dei memi avviene attraverso il contatto sociale, attraverso l’apprendimento osservativo,
come direbbe Bandura. Mentre i geni sono degli elementi che il biologo può scomporre, misurare, i memi
non possono essere misurati, sono un qualche cosa di più sfuggente, in quanto la cultura contiene elementi
simbolici, cognitivi.
Il meme è un’unità di informazione cognitiva o rappresentazione culturale autoreplicante; sono delle
credenze (es. “non ti fare il bagno dopo aver mangiato”), dei luoghi comuni (“non ci sono più le mezze
stagioni”), oggetti fisici (cellulari), i proverbi, i modi di dire, i poemi, canzoncine e slogan pubblicitari, mode
e tendenze, giochi infantili, tradizioni orali, tendenze metropolitane. La riproduzione genetica avviene per
contatto sessuale, mentre la riproduzione memetica avviene per contatto culturale: quando un meme ha
un alta fitness comincia a propagarsi, caratterizzando il fenotipo culturale di un certo gruppo. Come i geni,
anche i memi sono caratterizzati da: riproduzione, variazione, mutazione, competizione.
Memetic drive: i memi che si propagano meno si estinguono, mentre quelli più efficaci nel riprodursi e
diffondersi sopravvivono.
Anche i memi non rimangono sempre gli stessi, proprio come i geni: variano, mutano, entrano anche in
competizione tra di loro. Anche i memi sono soggetti a una deriva memetica (memetic drive): come i geni,
man mano che si propagano, vanno mutando (es. virus SARS), anche i memi vanno propagandosi e sono
soggetti ad estinzione (es. macchina da scrivere -> anche i memi tecnologici hanno questo tipo di dinamica).
La variazione è un processo di trasformazione indotto da pressioni ambientali (es. la nostra pasticceria
include la cheesecake), mentre la mutazione è quando un meme subisce proprio una mutazione (es.
ingrediente aggiunta alla cheesecake).
Mutazioni genetiche -> “noise”, “rumore” -> possono rimanere silenti oppure diffondersi nella specie.
C’è chi ritiene che il nostro disagio (stress, depressione) sia dovuto che il cervello sia cablato per tempi
evoluzionisti molto più lunghi, mentre noi abbiamo accelerato i processi con la cultura.

La memetica è quella scienza che, applicando i principi della biologia alla cultura, ritiene che la cultura
funzioni per analogia come la vita. Anche nella cultura ci sono degli elementi replicanti, che si replicano per
contatto sociale. Diffondendosi questi memi, mutano, come i geni (deriva genetica/mutation load). Si
mantengono perché assicurano una fitness elevata ai portatori (anche le tecnologie, ad esempio, hanno
una linea evolutiva).

Evoluzione culturale e memi


Come abbiamo detto, i geni si propagano per via sessuale, mentre i geni si propagano per imitazione.
Blackmore sostiene che i memi apparvero nell’evoluzione umana quando i nostri progenitori svilupparono
la capacità di imitazione (o, come direbbe Bandura, apprendimento osservativo) -> passaggio dalla
cognizione episodica alla cognizione mimetica -> da allora i due replicatori (geni e memi) si sono co-evoluti.
Il cervello umano è programmato non solo geneticamente, ma anche per replicazione memetica, tramite
un meccanismo di imitazione selettiva (per acquisire memi e riprodurli attraverso i comportamenti sociali).

Lezione 23/11/2021
Psicologia evoluzionistica: controversie e dibattiti
Da sempre l’evoluzionismo suscita atteggiamenti contrastanti: da un lato, Darwin è stato per la biologia
quello che Einstein è stato per la fisica; dall’altro, le sue idee furono utilizzate per giustificare ideologie
come quella nazista. Ci sono settori culturali e sociali che diffidano da Darwin per motivi religiosi.
Quando la psicologia ha accettato i principi darwiniani ed è nato il paradigma della psicologia
evoluzionistica, che ha suscitato molte critiche. È importante guardare alle criticità di ogni disciplina.
Alcune controversie sono pretestuose, mentre altre sono state utili (es. critica alla modularità massiva).
Intanto bisogna fare piazza pulita di una serie di fraintendimenti:
1. La selezione naturale opera «per il bene delle specie» [finalismo] -> Falso, perché la selezione naturale
opera in modo casuale e non finalistico, e da sempre Darwin ha ribadito questo concetto. La psicologia
evoluzionistica non è finalistica.
2. Particolari cambiamenti fenotipici durante l’ontogenesi determinano variazioni nell’intera popolazione ->
Questo è un errore lamarckiano. Waddington e Piaget introdussero cambiamenti fenotipici alterando
l’ambiente, ma l’idea che si possano determinare variazioni introducendo cambiamenti fenotipici non è
stata mai un’idea dell’evoluzionismo.
3. L’evoluzione della specie conta più delle variazioni fenotipiche individuali -> Falso, perché la variabilità
individuale è un importante fattore dell’evoluzione. È vero che Darwin si interessò principalmente alla
filogenesi, ma se non avesse riconosciuto l’importanza della variabilità individuale non avrebbe sviluppato
la sua teoria. La variabilità individuale è importante perché attraverso un processo di accoppiamento
selettivo il tratto si propaga nella specie.

Psicologia evoluzionistica = darwinismo sociale?


No, perché le gerarchie sociali esistono anche negli animali e studiarle non significa giustificarle.
Inoltre, la psicologia evoluzionistica è un’indagine scientifica della natura umana e non propone principi
ideologici o morali (Hagen, 2004).
È un fraintendimento, una strumentalizzazione della teoria darwiniana.

Altri fraintendimenti della psicologia evoluzionistica


i. Tutto il comportamento umano è geneticamente determinato -> Falso perché la psicologia
evoluzionistica è genuinamente interazionista [Geni x Ambiente]. Abbiamo messo sempre in
evidenza come geni e ambiente, natura e cultura si intreccino -> es. norme di reazione.
ii. Ogni cosa è un adattamento -> Falso perché esistono anche fenomeni evolutivi di
malfunzionamento adattivo o cambiamenti dovuti al caso [noise] …inoltre i comportamenti
presentano per lo più un adattamento sub-ottimale.
iii. La psicologia evoluzionista è razzista… -> Falso perché la specie umana è una sola con la
medesima organizzazione corporea e cerebrale.
iv. …e sessista -> Falso perché le abilità cognitive maschili e femminili sono identiche, ma
differiscono in alcuni domini (es. mating) – Niente nella teoria evoluzionistica giustifica una
«superiorità» maschile, né prescrive ruoli sociali dominanti.

La psicologia evoluzionistica è storytelling…


Le fallacie della psicologia evoluzionistica [Buller, 2009]
Secondo Buller, la psicologia evoluzionistica “racconta storie”, non può avere dati oggettivi con cui
confrontarsi, come l’archeologia.
• «L’analisi dei problemi adattivi nel Pleistocene fornisce indizi sul modo in cui è programmata la
mente» -> I primordi della nostra vita sociale e psicologica sono in gran parte ignoti.
• «È possibile scoprire come e perché si sono evoluti tratti umani distintivi» -> I metodi comparativi
utili in biologia ben poco possono rivelare sulla storia evoluzionistica dei tratti psicologici.
• «Nei nostri crani vi è una mente forgiata nell’età della pietra» -> Molte funzioni cognitive
potrebbero essersi formate prima o anche dopo il periodo pleistocenico. È dubbio che dall’età della
pietra in poi siano avvenuti solo pochi cambiamenti genetici; secondo recenti scoperte, pressioni
ambientali rilevanti possono trasformare i tratti di una popolazione in meno di 18 generazioni (450
anni).
• «Esistono prove a sostegno della psicologia evoluzionistica» -> I dati empirici solitamente si basano
su questionari di autovalutazione a scelta forzata poco attendibili suscettibili anche di spiegazioni
alternative a quelle evoluzionistiche.

Lezione 24/11/2021
Fallacie: controargomentazioni
Per quanto riguarda la mente dei nostri progenitori, in qualche misura, sebbene la mente sia qualcosa di
ineffabile, si possono ricostruire alcune caratteristiche. Si ritiene sulla base di studi di genetica che una base
del loro genoma sia ancora presente in noi. Per cui, Combinando neuropsicologia cognitiva (es. forma del
cranio), antropologia, archeologia (anche cognitiva, dalla forma degli strumenti si cerca di ricostruire storia
e uso degli oggetti) ecc. possiamo ricostruire la mente dei nostri progenitori (→ p.e. la «mente esperta» di
Homo neanderthalensis [Wynn e Coolidge, 2004], articolo di riferimento per smentire le critiche di Buller,
spiegato prima).
Una vasta letteratura empirica trans-culturale e transdisciplinare offre dati empirici compatibili con gli
assunti della psicologia evoluzionistica. Per quanto riguarda un altro argomento, cioè il fatto che alcuni
adattamenti dal punto di vista filogenetico si formarono prima o dopo il pleistocene, non viene comunque
messo in discussione il fatto che la mente umana (e anche la mentalità) può essere frutto della selezione
naturale, e che questo ha comunque richiesto tempi estremamente tempi. Il dibattito comunque resta
ancora aperto su molti argomenti.

Oltre alle critiche di Buller, che sono di carattere generale e metodologico, un problema che va esaminato è
il modello della modularità massiva (ricorda che questo modello nasce come critica al modello standard
delle scienze sociali, la visione comune tipica a tutte le scienze sociali classiche, che non si sono mai poste il
problema di come l’individuo riesca in poco tempo a sviluppare abilità diverse adatte a contesti diversi). Da
qui il professore ha ripreso la modularità fodoriana e le caratteristiche dei moduli, rivedi quella parte. Gli
psicologi evoluzionisti ritengono che tutta la nostra mente sia organizzata in modo modulare, perché i
compiti evolutivi hanno coinvolto tutta la mente. Il nome delle cose dipende da ciò che vogliamo
evidenziare delle stesse, ad esempio:
Algoritmo→ voglio evidenziare il fatto che si riesca a elaborare particolati informazioni, calcolando la
probabilità che succeda una certa cosa (es. algoritmo cerca truffatori, riconoscimento facciale). Sono
adattamenti.
Tra le diverse critiche, abbiamo che non sono state ancora mappate aree cerebrali corrispondenti a specifici
comportamenti o forme di ragionamento sociale (connettonica→ scienza delle connessioni, studia come le
diverse parti del cervello comunicano tra loro). Quindi non ci sono prove che esistono moduli che
governano le funzioni psicologiche, proprio perché queste sono fluide, dobbiamo capire cosa fare
prevalere; poi non sono state mappate aree cerebrali corrispondenti a esperienze complesse come ad
esempio la gelosia. Il rischio è di cadere in una sorta di circolarità esplicativa: spieghiamo ciò che è nel
presente attraverso il passato e ciò che è successo in passato rifacendosi al presente.
Bisogna tenere conto del fatto che nel frattempo le neuroscienze vanno avanti, e che quindi molti principi
di 30-40 anni fa sono stati superati dalle conoscenze che abbiamo oggi.

Da un lato quindi il nostro cervello funziona in modo modulare, dall’altro si ha una riscoperta
dell'importanza di meccanismi cognitivi dominio-generali ai fini della flessibilità adattiva (faro
attenzionale→ possiamo orientare la nostra attenzione in base ai nostri interessi e situazioni). In questo
secondo senso l’attenzione diventa quindi dominio generale e spesso top-down (diversamente dai moduli).
Anche qui c’è stato un trade-off, una sorta di bilanciamento: una modalità eccessiva è altamente
specializzata, ma perderebbe di flessibilità, funzionando per compartimenti stagni. Sappiamo quindi che il
nostro cervello funziona sia in modo specialistico (bottom-up) sia in modo flessibile grazie agli schemi
mentali che guidano il nostro comportamento (top-down).
Esistono processi sia top-down che bottom-up, ad esempio la lettura= Bottom-up perché il bambino deve
riconoscere la lettera e la sua struttura, top-down perché una volta automatizzata la capacità di lettura le
parole vengono riconosciute e comprese grazie alla memoria semantica con un processo top-down.
La memoria di lavoro sorregge qualsiasi compito stiamo svolgendo, così come la metacognizione. Esistono
quindi funzioni trasversali dominio-generali.
L’altra faccia della medaglia del frame problem (tutte le forme di adattamento che affrontiamo nel corso
dello sviluppo ontogenetico sono talmente complesse che noi nasciamo già con degli algoritmi, ad esempio
algoritmo cerca-truffatori -> esistono delle cornici comportamentali, cognitive preprogrammate dalla
filogenesi) è il grain problem (problema della granularità=se ingrandiamo un’immagine, una fotografia,
l’immagine viene sgranata, eliminando il confine netto di un’immagine): le cornici non sono statiche, ma
dinamiche, i differenti problemi adattivi non sono nettamente separabili e possono essere segmentati in
molti modi possibili, secondo una «grana» più fine e precisa o più grossolana e approssimativa. Le pressioni
ambientali sono gerarchicamente scomponibili in una miriade di «sotto-problemi» (e di comportamenti
adattivi). Questo rende arbitrario qualsiasi criterio per isolare puntualmente sia il problema, sia il modulo.
Anche per questo diventa fondamentale sapersi adattare ed essere flessibili.
Nella vita reale i contesti sono dinamici, granulari, non vi sono cornici così definite. Ad esempio, l’algoritmo
cerca-truffatori potrebbe attivarsi con nostro fratello in modo granulare: da un lato l’algoritmo cerca-
truffatori, dall’altro il kin detection system.
Il concetto di frame è un concetto arbitrario, perché non vi sono confini netti. Ad esempio, nell’amicizia vi
sono tanti gradi di intimità, quindi non vi sono delle regole filogenetiche che determinano l’algoritmo che
sarà messo in atto.
Da un lato esistono degli universali adattivi, dall’altro questi universali non sono così rigidi e massivi come
ipotizzavano gli psicologi evoluzionisti.

Lezione 29/11/2021
Soluzione del grain problem
Non bisogna ritornare alla visione semplicistica del modello standard delle scienze sociali, ma sicuramente
non possiamo optare per una visione rigidamente modulare, perché non esiste un livello predefinito; il
nostro cervello non attiva in modo deterministico una cornice, proprio grazie alla plasticità adattiva e al
fatto che il cervello è un sistema dinamico.
I moduli sono componibili: ci sono delle funzioni più ristrette e più specifiche che poi possono essere
integrate formando funzioni più generali.
Lo sviluppo è epigenetico perché è una sintesi di ontogenesi ed epigenesi (accelerazione psicosociale, life
history).
La modularità va intesa in senso dinamico e componibile.
Modularità virtuale: il nostro cervello è in grado adi assemblare parti specialistiche per adattarsi.
Struttura “oceanica”: Come l’oceano, il nostro mente è in grado di organizzare in modo fluido. La mente è
un sistema cognitivo che, nell’insieme, opera come un sistema dominio-generale e, ciononostante, si
suddivide in unità modulari senza le quali essa non potrebbe funzionare adeguatamente. Le suddette unità
sono inoltre massivamente componibili, così da poter operare sia come parti di moduli più ampi che
confluiscono in una sorta di “struttura oceanica”, sia come componenti circoscritte e reciprocamente
separate.

Domanda: adattamento sociale amicizia, kin detection system, welfare trade-off ratio, algoritmo cerca-
truffatori, adattamento, condivisione emozionale, teoria della mente si attivano insieme?

Bandura sull’evoluzionismo
«La teoria social-cognitiva riconosce il ruolo influente dei fattori evoluzionistici sull’adattamento e sul
cambiamento umano, ma rifiuta l’evoluzionismo unidirezionale secondo cui il comportamento sociale è un
prodotto biologico […] a favore di una visione bidirezionale dei processi evoluzionistici, le pressioni
evoluzionistiche alimentarono i cambiamenti nelle strutture biologiche […] a loro volta, innovazioni
ambientali di crescente complessità crearono nuove pressioni selettive per l’evoluzione di sistemi biologici
specializzati per il funzionamento della coscienza, del pensiero, del linguaggio e della comunicazione
simbolica» [Bandura, 1999].

Bandura è l’alfiere dell’apprendimento sociale, un approccio che potremmo dire essere opposto
all’evoluzionismo.
Bandura sostiene che noi siamo esseri sociali; la ricchezza di conoscenze, esperienze, abilità è basata
soprattutto sull’apprendimento osservativo, ovvero osservando gli altri. Non riproduciamo in modo
imitativo, ma lo adattiamo a noi e al contesto.

Lezione 30/11/2021
Il professore riparte dai cinque principi fondamentali della psicologia evoluzionistica per commentare le
critiche.
La tendenza attuale è quella di integrare la psicologia dello sviluppo con quella evoluzionistica (evo-devo
psicology: una psicologia che non guardi più solo alla filogenesi, ma anche allo sviluppo).
Lamarck guardava soprattutto all’individuo quando parlava di ereditarietà delle caratteristiche acquisite
(centrava il tema dell’evoluzione esclusivamente sull’individuo); Darwin guardava soprattutto alle specie;
oggi si cerca di integrare questi due aspetti.
4. Partiamo dal primo principio, ovvero quello secondo cui il cervello è un sistema fisico il cui
funzionamento è paragonabile al computer e i suoi circuiti neurali sono stati plasmati dalla selezione
naturale per generare comportamenti appropriati alle circostanze.
Oggi non possiamo accettare questo principio in modo netto, perché è vero che i nostri circuiti
neurali sono stati plasmati, ma sono plastici, e se colleghiamo filogenesi e sviluppo individuale,
vediamo che lo sviluppo individuale è epigenetico (Bandura). Questa frase è improntata a un
sistema rigido, è come se ci fosse un circuito per ogni problema adattivo (grain problem). Non c’è
una corrispondenza biunivoca tra circuiti e funzioni (come nella metafora del coltellino svizzero), ma
c’è una granularità. Questa affermazione, posta in questi termini, è più adatta agli animali.
Se volessimo riscrivere questo principio, dovremmo dire che circuiti neurali sono stati plasmati dalla
selezione naturale e continuano a essere plasmati dallo sviluppo, dall’epigenesi, dalla cultura, per
cui il fenotipo è il prodotto dell’interazione tra geni, comportamento messo in atto e ambiente.
5. Anche il secondo principio, secondo cui i nostri circuiti neurali sono stati programmati dalla
selezione naturale per risolvere in modo appropriato i problemi ancestrali, richiede un
ragionamento simile al precedente. È valida l’idea dell’Umwelt, è vero che ogni specie è adattata a
una propria nicchia ecologica. Noi abbiamo modificato il nostro Umwelt: la nostra nicchia ecologica
è perlopiù artificiale. Tra l’altro, noi ci stiamo impadronendo dell’Umwelt di altri animali.
6. Il terzo principio (coscienza) è tutto sommato accettato da tutti gli psicologi. Non va aggiornato in
modo particolare. Se in questi circuiti albergano istinti, tutto quello che abbiamo chiamato WTR, kin
detection system sono assolutamente impenetrabili (cecità agli istinti).
7. Il punto più critico della psicologia evoluzionistica è il quarto principio, ovvero quello della
modularità massiva. Il frame problem sostiene che il nostro sistema cognitivo opera secondo
schemi, cornici; i frame esistono, il nostro cervello funziona grazie al fatto che esistono dei frame. La
maggior parte dei frame sono stati determinati attraverso l’adattamento della specie. Ci sono dei
frame ma c’è anche una granularità all’interno di questo frame, c’è una fluidità.
I moduli sono bottom-up, sono specifici per dominio, hanno un’architettura neurale fissa, sono
impenetrabili.
5. I nostri crani nascono nell’età della pietra, interviene quella bidirezionalità di cui parlava Bandura.

I moduli top-down, che sono generali, indipendenti dal dominio, sono abilità cognitive con finalità generali,
mentre i moduli bottom-up sono abilità cognitive dominio-specifiche.
Il fattore G di Spearman è la capacità generale di risolvere problemi.
Se noi accettassimo il principio della modularità massiva dovremmo accettare soltanto le abilità cognitive
con finalità specifiche; ma noi sappiamo che la nostra mente, da un lato, riesce ad utilizzare abilità con
finalità specifiche, ma, dall’altro, lato il nostro cervello riesce ad utilizzare anche abilità cognitive con finalità
generali.
Bottom-up -> guidate dai dati: ad esempio, distinguere la lettera E dal numero 3 dipende dai dati, non da
noi.

Questo è un esempio di elaborazione visiva top-down, perché si basa sulle nostre aspettative, il punto di
vista che noi possiamo adottare. Fodor, in fondo, si troverebbe d’accordo con questo discorso.
Misurare la vista, invece, è un esempio di elaborazione visiva bottom-up.
Noi, nella realtà, usiamo contemporaneamente processi top-down e bottom-up.
L’argomento di Lashley è completamente opposto alla modularità massiva (si può ricollegare alla network
science).
La visione ha sempre oscillato tra una visione globale e una visione modularista.
Il cervello, come l’abbiamo mappato oggi, è organizzato in aree, ognuna delle quali si occupa di
determinate funzioni.
Il nostro cervello sfrutta una gerarchizzazione di funzioni; combinando l’attività di diverse aree, il cervello
riesce a usare funzioni superiori.
La connettomica è la scienza che si occupa del mondo in cui le reti neurali comunicano tra di loro (network
science).

Ci possono essere connessioni più deboli e connessioni più forti.


La Developmental Connectomics
Grazie alla rivoluzione ontogenetica, il cervello continua a svilupparsi dopo la nascita.

Eterocronia: sviluppo di funzioni differenti in tempi differenti e con ritmi differenti.


La corteccia primaria si sviluppa prima delle regioni associative.
Lezione 01/12/2021
Oggi bisognerebbe parlare di “psicologia evoluzionistica dello sviluppo” (evo-devo), cioè lo studio della
filogenetica non in quanto tale, ma collegandola ai fenomeni della psicologia dello sviluppo perché, se ci
dedicassimo solo alla psicologia evoluzionistica cadremmo in quello che è stato chiamato “geno-centrismo”
(tutto ruota attorno ai geni). Alcuni autori sostengono in effetti questa teoria (Lickliter, 2008 → credeva che
l’umano fosse solo un veicolo per poter propagare i geni). È ovviamente una visione semplicistica, riduttiva
e assolutamente infondata (vedi eterocronia). Noi abbiamo adottato la prospettiva bidirezionale di Bandura
in cui geni e ambiente convergono nello sviluppo dell’uomo. Ormai c’è un intreccio tale che non si può
separare ciò che è biologico da ciò che è artificiale, dobbiamo sempre tener presenti questi due versanti.
Mentre nella psicologia evoluzionistica si parlava di evolved capacities (capacità evolute in seguito alla
selezione naturale), oggi la psicologia evoluzionistica dello sviluppo parla di capacità evolutesi in seguito alla
selezione naturale, ma anche di capacità apprese (evolved, learned and evolved learning capacities).
Queste nostre capacità di adattamento sono da un lato “evolved” (basate su una piattaforma filogenetica
legata alle esperienze meta-culturali della nostra specie), dall’altro sono anche capacità che implicano un
apprendimento- sia esso sociale o osservativo. Quindi ciò che viene prodotto dall’incontro tra evoluzione e
sviluppo sono fenotipi comportamentali (manifestazioni comportamentali tipiche di homo sapiens, es. il
gioco anche da adulti, ad esempio alcuni sport possono essere visti come gioco. L’uomo a volte è definito
specie “neotenica”, mantiene tratti infantili come la tendenza all’esplorazione), sociali (es. amicizia- c’è una
tendenza filogenetica perché sviluppare legami è una strategia che può rendere vincente la specie),
cognitivi (es. teoria della mente, la mentalità umana è particolare, ad esempio siamo sia curiosi sia
diffidenti verso ciò che è estraneo) e fisici (es. la maturazione eterocronica delle strutture neurali specie-
specifica, non è presente in altre specie).
L’intreccio di queste capacità ci spinge a sfruttare le risorse che abbiamo a disposizione per lo sviluppo
(developmental resouces). L’incontro tra evoluzione e sviluppo riguarda quindi il fatto che lo sviluppo è un
insieme di processi epigenetici: il cambiamento riguarda sia lo sviluppo dell’individuo che, in tempi più lenti,
quello della specie (il V principio non viene quindi smentito, quindi ha ragione Buller quando dice che
dovrebbe essere rivisto). Tutti i fenotipi hanno una loro specifica storia di sviluppo, che spiega come
maturano le strutture degli organismi.
La psicologia evoluzionistica così come è stata aggiornata ha tante potenzialità applicative (psicopatologia e
psicologia clinica, dello sport, dei consumi, del lavoro ecc.). [Da questo punto in poi ha fatto vedere una
serie di articoli come esempio, ma NON li chiederà di esami. Ha risposto anche a un intervento del DOTTOR
SALVATORE RAGUSA. Se ti interessa questa cosa, recupera dal minuto ’29 al minuto di registrazione fino
alla fine. Io probabilmente lo farò ma più avanti, perché non ho la forza ora. Se vuoi qualche giorno ci
organizziamo per recuperarli insieme così li commentiamo].

Lezione 06/12/2021

La psicologia nasce per affrontare tutto ciò che riguarda la mente umana; la seconda affermazione è più
sottile, fa riferimento a una caratteristica fondamentale degli esseri umani. L’individuo da solo avrebbe
avuto bassissime probabilità di sopravvivere, è dentro il gruppo che l’individuo è riuscito a trovare risorse
materiali, protezione, cure, guadagno di status sociale, partner, ecc. Questa affermazione significa che la
psicologia ha radici naturali; quella che noi studiamo è la forma istituzionale e raffinata. La psicologia è la
tendenza naturale dell’essere umano (teoria della mente: capacità di comprendere gli stati d’animi propri e
altrui, è una tendenza naturale). La psicologia è quindi la più naturale di tutte le scienze. Anche
l’apprendimento osservativo (Bandura), la cultura è una tendenza naturale: osservare gli altri, anticipare i
risultati arricchisce l’esperienza dell’individuo. L’apprendimento non avviene solo in prima persona, ma è
un apprendimento sociale. I sistemi di cui disponiamo ci consentono di agire in modo adattivi ben prima
che venisse creata la psicologia come la conosciamo oggi. La psicologia ha appena un secolo e mezzo di vita
forse proprio a causa della cecità agli istinti, che ha reso “cieco” l’individuo di fronte ai comportamenti.

Piaget fu il primo che tentò di collegare evoluzione e sviluppo; fondamentale è il tema dell’adattamento
individuale, più di quello del gruppo. Egoista è inteso in senso funzionalista. Le misure di prevenzione per il
covid sono un comportamento sia altruistico sia egoistico. Il professore fa l’esempio del volontariato.

Per “psicologia” qua si intende la psicologia naturale, non quella che stiamo studiando.

Terror Management Theory


Un approccio evoluzionista alla Mortality Salience
La Mortality Salience è proprio la salienza del tema della nostra mortalità. Che tipo di ricadute collettive ha
la salienza della morte?
Ricollegandoci alla motivazione, vediamo la gerarchia delle motivazioni in ordine di priorità. Nella parte
superiore, dove ci sono i motivi sociali, ben presto l’uomo ha elaborato una sua visione del mondo.

Visioni del mondo (Worldviews)


Un istinto naturale dell’uomo è proprio la visione del mondo. Uno dei maccanismi con cui gli uomini
rispondono all’angoscia è costruendo una visione del mondo. Pirrone (filosofo scettico, III sec a.C.) si è
chiesto:
• Qual è la struttura delle cose? (visioni del mondo): la visione del mondo è una forma di protezione
psicologica. Anche le più assurde teorie del complotto in qualche modo rassicurano e proteggono
l’individuo. Homo sapiens si è chiesto qual è la struttura delle cose, come funziona il mondo.
• Come dobbiamo comportarci? (atteggiamenti): Homo sapiens non si è chiesto solo come stanno le cose,
ma anche che atteggiamento dobbiamo avere nei confronti della realtà.
• Che cosa ci viene da questo atteggiamento? (valori): le implicazioni dei nostri atteggiamenti formano il
mondo dei valori. Ogni società, in base al contesto storico, ha affrontato il tema dei valori in modi diversi.
Una tendenza naturale che poi ha trovato diverse espressioni in base alla cultura e al contesto.
Rogers, Maslow sono autori che furono influenzati dalla visione esistenzialista. Viktor Franke, che scrisse
“Uno psicologo nei lager”, raccontava come gli esseri umani in una condizione di totale efferatezza
riuscivano a sopravvivere e a dare un senso a tutto ciò.
Tutto nasce dalla riflessione sull’esistenza; affrontiamo il nostro modo di esperire le cose. Essere gettato in
avanti.
Esploriamo quindi non la realtà, ma il nostro modo di essere, di esperire la realtà (l’essere umano è un
“progetto” nel senso letterale del termine- “gettare in avanti”). Cerchiamo di capire se stiamo vivendo una
vita autentica o se questa ci è stata imposta, ricercando un senso, un significato e delle connessioni che
legano insieme ciò che viviamo, in particolare rispetto a ciò che ci turba. Siamo sempre proiettati verso
qualche attività, ma la nostra vita è anche un insieme di possibilità. La percezione della nostra
autoconsapevolezza in questa realtà produce quindi angoscia, questa percezione di inevitabilità
(soprattutto rispetto alla mortalità).

La specie umana è bio-culturale. La selezione naturale abbia aiutato gli esseri umani a sviluppare
meccanismi protettivi. L’uomo ha sviluppato autoconsapevolezza.
Spiega come siano emersi come sottoprodotto alcuni meccanismi protettivi. Quando emersero la capacità
di autoriflessione, l’autoconsapevolezza, come ricaduta nociva ci fu l’angoscia e l’ansia esistenziale
(sottoprodotto).
Se noi entrassimo in contatto con la mortality salience, ne deriverebbe una fortissima ansia esistenziale,
legata alla consapevolezza della morte.
Paura dell’autoammutinamento: la mancanza di senso, la paura che tutto finisca.
L’anxiety buffer è un cuscinetto, un meccanismo che attenua questa percezione di ansia, non può
annullarla. Le componenti dell’anxiety buffer sono il supporto sociale, le visioni del mondo e l’autostima.
Il supporto sociale attenua l’angoscia e il dolore attraverso il ritrovarsi tutti insieme (questo a livello
immediato). Oltre a questo, ci sono altri due meccanismi: le visioni del mondo, storicamente determinate
(l’individuo poi aderisce o meno a queste visioni) e l’autostima (essere degno di far parte dell’ordine delle
cose).
Mentre i filosofi hanno un interesse verso altri orizzonti, qui l’impostazione è empirico-sperimentale.
Possiamo vedere l’anxiety buffer come un sottoprodotto dell’autoconsapevolezza. Dietro la modernità
cognitiva, sono affiorate paure ancestrali: si prende coscienza dell’essere mortali. Ciò causa un enorme
angoscia, che riusciamo a gestire attraverso meccanismi. L’angoscia attiva la mortality salience. L’ansia
esistenziale attinge a quei big five, a quelle preoccupazioni esistenziali di base, e che se eccessiva porta a un
senso di ammutinamento o anche a un senso di mancanza di senso (mancanza di comprensione degli
eventi e di controllo sugli eventi). Le teorie del complotto, per quanto assurde o ridicole, riescono a dare un
senso agli eventi.
Fondamentale è per gli umani dare un senso e un significato agli eventi e contemporaneamente controllarli
e prevederli in una certa misura.
L’anxiety buffer ha spinto gli esseri umani istintivamente, in modo naturale e metaculturale, a costruirsi una
visione del mondo, che è contemporaneamente collettiva e individuale: l’individuo assorbe in una certa
misura la visione del mondo dalla società, ma dall’altra parte la visione del mondo è una cosa strettamente
individuale. Nella visione del mondo c’è una parte collettiva e culturale, una parte personale e individuale.
La visione del mondo da sola non basta a funzionare per aiutarci a gestire quest’angoscia. L’altra
componente è l’autostima, ovvero sentirsi una persona dotata di qualità tali da poter inserirsi all’interno di
una società; tutto ciò che serve per facilitare questo senso di autoapprezzamento.
La terza componente è il supporto sociale: l’individuo non vive in isolamento.

Le visioni del mondo sono molteplici, hanno a che fare con ideali astratti, credenze, ecc.
Molte credenze cozzano con la realtà, ma le persone si attaccano ad esse (prevalgono le visioni del mondo
sui fatti) -> cintura epistemica: muro di cinta, abbiamo un bias all’autoconferma, quando abbiamo una forte
convinzione mentale, noi abbiamo un bias di conferma; ad esempio, ascoltiamo sempre e solo persone che
la pensano come noi, oppure minimizziamo e escludiamo i fatti che disconfermano la nostra visione. Ciò
richiama anche la teoria dissonanza cognitiva di Festinger. In condizione di stress sociale, la dissonanza
viene risolta principalmente escludendo i fatti che si contrappongono alla nostra visione.
Lo scopo ultimo di questi meccanismi (attaccamento, supporto, autostima, visioni del mondo) è attenuare
la mortality salience, l’angoscia.

La visione del mondo ci porta inevitabilmente a una visione della trascendenza, ovvero a cosa c’è dopo.
Ovviamente l’una non esclude l’altra.
Sentirci parte di una famiglia è sempre una forma indiretta del legame di attaccamento.
Il senso patriottico da noi non è particolarmente strutturato, ma in altre nazioni sì.

Lezione 07/12/2021
Politica in relazione sia alle visioni del mondo e al supporto sociale sia in relazione all’immortalità simbolica
-> le rivoluzioni a volte scuotono le visioni del mondo.

Meme visione del mondo -> le singole visioni del mondo diventano un meme (es. comunismo), in quanto
sono un insieme di principi che tutti conosciamo (ottica memetica). Se guardiamo a tutto ciò che sta dietro,
invece è un discorso metaculturale, perché è trasversale a tutte le culture umane.

L’importanza dell’autostima/supporto sociale dipende dal tipo di società?


Sì, però l’etichetta collettivismo/individualismo è convenzionale.

Le visioni del mondo consentono di elaborare l’angoscia di morte, perché aiutano a percepire il mondo
come qualcosa di prevedibile. Se io perdessi il legame significativo e relazionale tra gli eventi, vivrei in un
modo terribile.
Autostima: radici psicologiche e importanza esistenziale

Perché l’autostima ha un’importanza esistenziale (non serve solo per il benessere, per il rendimento, ecc.)?
esistenziale significa che aiuta a gestire e a vivere meglio la condizione umana, caratterizzata da una
vulnerabilità di base.
Il bambino inizialmente è dipendente dalle figure di attaccamento, che soddisfano tutti i suoi bisogni, da
quelli fisiologici a quelli di sicurezza. Inizialmente, c’è quindi una sorta di cintura protettiva da parte dei
caregivers.
In seguito, si prende coscienza del fatto che gli adulti non sono onnipotenti, che anch’essi sono mortali e
vulnerabili, e può entrare in atto una sorta di spaesamento esistenziale.
Grazie all’anxiety buffer, l’individuo è portato a una ricerca di senso; è l’individuo a dover dare un senso alle
cose e ad avere dei valori. Quindi il passo dopo (ovviamente il passaggio da una fase all’altro dipende
dall’epigenesi, da ciò che accade all’individuo) è elaborare una propria visione del mondo attingendo ai
paradigmi storico-culturali e capire qual è il proprio posto nel mondo: questo è un ulteriore aspetto
dell’autostima.

Tutti abbiamo angoscia della morte, ma vari studi di psicologia esistenziale dimostrano che se le persone
hanno vissuto una vita piena paradossalmente si sentono meno spaventate e più pronte alla morte. Mentre
le persone che credono di aver mancati appuntamenti esistenziali con la vita, hanno più paura di perderla.
Quindi, più sono soddisfatto della mia vita, meno paura ho di morire.
Ho citato Erikson, integrità dell’Io vs disperazione (compito evolutivo). Erikson delinea questi stadi
psicosociali; alla fine del ciclo, si ha questo compito evolutivo di autogiudizio.
Da un punto di vista empirico, si è scoperto che se noi abbiamo costruito delle strutture mentali che ci
aiutano a filtrare e a gestire l’ansia, questo fa sì che i nostri atteggiamenti positivi verso le mie strutture
mentali aumenteranno (ad es. se ho una fede religiosa molto forte, quando qualcuno mi ricorda della mia
mortalità, il mio atteggiamento positivo verso la mia visione del mondo aumenterà e, di contro, aumenta
l’atteggiamento ostile verso le visioni che si contrappongono). Quando noi prendiamo coscienza della
nostra mortalità, la nostra visione del mondo si rafforza. Ciò, ovviamente, può portare anche all’odio di chi
ha una visione del mondo diversa. Ogni volta che c’è un evento traumatico, aumenta l’atteggiamento di
adesione alla propria visione del mondo.
Quando ci fu l’attacco alle Torri Gemelle, vi fu un aumento del nazionalismo. Questo ebbe come ricaduta
l’aumento dell’intolleranza e degli atteggiamenti politicamente scorretti. Aumentò anche il desiderio di
vendetta, l’ostilità verso la diversità, il bisogno di eroi e il desiderio di aiutare.
Vennero fatti degli studi con persone con alta/bassa autostima; lo studio fu longitudinale (furono studiati
gli stessi individui nel tempo).
Sia elle persone con alta autostima sia nelle persone con bassa autostima nella prima settimana vi fu un
aumento dei pensieri consci di morte.
Nelle persone con alta autostima, però, nelle settimane dopo vi era un decremento di questi pensieri
angosciosi. Mentre negli individui con bassa autostima si constatò il contrario: durante la seconda
settimana vi fu una diminuzione, ma nella terza e quarta settimana vi fu un drastico incremento dei pensieri
consci di morte.
Questo evento ha scatenato reazioni sia in Francia sia in Europa. La visione del mondo del presidente
francese fu quella dei valori della repubblica francese (libertà, ugualità e fratellanza).
Il fatto di aver proposto dei valori positivi da un lato aumentò il sostegno ai valori francesi, dall’altro lato
imperdì l’emergere di atteggiamenti negativi verso gli immigrati.
Negli altri Paesi europei in cui si pose l’accento invece sul nazionalismo e i valori securitari, vi fu un
aumento di richiesta di restrizioni anti-immigrazione.
Questo fenomeno di massa è stato letto come qualcosa che corrobora la Terror Management Theory.

Le difese distali hanno radici più profonde rispetto alle difese prossimali.
Le difese prossimali possono essere la soppressione del pensiero, la distrazione, la razionalizzazione. Questi
meccanismi hanno una funzione autoriparativa (self-reparation).

È una teoria molto validata, in culture e Paesi diversi.


Rammentare la morte porta gli individui ad accrescere la fede nella propria visione del mondo e ad avere
atteggiamenti ostili nei confronti di altre visioni del mondo.

C’erano dei video neutrali e video di morte.


Ad alcuni soggetti si dava un feedback neutrali sulla propria personalità e ad alcuni soggetti feedback
positivi.
Quando si andò a studiare il punteggio di ansia manifestato dai soggetti sia quando vedevano video neutrali
sia quando vedevano video con contenuti mortali, si vide che l’ansia aumentava significamente guardando
video con contenuti mortali (feedback neutrale); nei soggetti che avevano ricevuti un feedback positivo
sulla personalità, l’ansia rimase pressoché identica.
Cybercondria: colui o colei che cerca sempre notizie mediche su Internet.

Il vaccino è una difesa prossimale.


Lezione 13/12/2021
Rivedi lezione 18 ottobre per riprendere la suscettibilità ambientale.
https://www.sciencedirect.com/

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