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ILIADE
DI OMERO
TRADOTTA
DA
VINCENZO MOΝΤΙ
VOL . II.
MILANO
Dalla Società Tipogr. de Classici Italiani
MDCCCXLU
ILIADE
LIBRO DECIMOTERZO
ARGOMENTO
Nettunno , mosso a compassione de' Greci , prende
la forma di Calcante e rincuora prima gli Ajaci , e
poi altri capitani. Idomenéo fa prove di valore ed
uccide Otrionéo ed altri. L'ala sinistra dei Trojani
è costretta a cedere , non ostante la resistenza di
Enea e di Deifobo. Ettore , che alla destra soste-
nevasi contro gli Ajaci , essendo tribolato dagli ar-
cieri locresi , raduna i suoi , e passando alla sini-
stra vi raddrizza la pugna. La mischia si fa terribile
d'ambe le parti.
Poichè Giove appressati ebbe alle navi
Con Ettore i Trojani , ivi in travaglio
Incessante lasciolli: e vôlti indietro
I fulgid' occhi a riguardar si pose
Del Trace di cavalli agitatore
La contrada e de' Misj a stretta pugną
Valorosi guerrieri e de' famosi
Ippomolghi , giustissimi mortali
Che di latte nudriti a lunga etade
Producono i lor dì : nè più di Troja
Dava un guardo alle mura , in sè pensando
Che nessun Dio discendere de' Teucri
O de' Greci in aíta oso sarebbe.
4 ILIADE 9. 14-46
Nè invan si stava alla vedetta intanto
Il re Nettunno che su l'alte assiso
Selvose cime della tracia Samo
Contemplava di là l'aspro conflitto ;
E tutto l' Ida e Troja e degli Achei
Le folte antenne si vedea davanti .
Ivi uscito dell'onde egli sedea,
E del cader de' Greci impietosito
Contro Giove fremea d'alto disdegno .
Ratto spiccossi dall'alpestre vetta
E discese. Tremâr le selve e i monti
Sotto il piede immortal dell'incedente
Irato Enosigéo. Tre passi ei fece ,
E al quarto giunse alla sua meta in Ege ,
Ove d'auro corruschi in fondo al mare
Sorgono eccelsi i suoi palagi eterni.
Qui venuto , i veloci oro-criniti
Eripedi cavalli al cocchio aggioga.
In aurea vesta si ravvolge tutta
La divina persona , ed impugnato
L'aureo flagello di gentil lavoro
Monta il carro , e leggier vola su l'onda.
Dagl' imi gorghi uscite a lui dintorno ,
Conoscendo il re lor, l'ampie balene
Esultano , e per gioja il mar si spiana.
Così rapide volano le rote
Che dell'asse nė pur si bagna il bronzo ;
E gli agili cavalli a tutto corso
Verso le navi achee portano il Dio.
Fra Ténedo e fra l'aspra Imbro nell' imo
S'apre dell'alto sale ampia spelonca.
Qui giunto il nume , i corridor sostenne ,
Edal temo gli sciolse , e ristorati
47-79 LIBRO XIII. 5
D'ambrosio cibo , gli allacciò di salde
Auree pastoje d'insolubil nodo ,
Onde attendan li fermi il redituro /
Re lor che al campo degli Achei sindrizza .
Una fiamma sembianti o una procella ,
Affollati , indefessi , e d'alte grida
L'aria empiendo i Trojani e furïando
Seguon d'Ettore i passi , il cor ripieni
Della speranza d'occupar le navi ,
E tra le navi sterminar gli Achei.
Ma di Calcante presa la sembianza
E la gran voce, raccendea Nettunno
Gli argolici guerrieri ; e pria rivolto
Agli Ajaci gridava : Ah vi ricordi
Che il campo achivo col valor si salva ,
Non col freddo timor. Non io de' Teucri ,
Che in folla superar l'alta muraglia ,
Le ardite mani agli altri posti or temo ,
Ove a tutti terran fronte gli Achei ;
Ma qui tem' io d'assai qualche sinistro,
Qui dove questo inviperito Ettorre ,
Che del gran Giove si millanta figlio,
Guida i Teucri , e s'avventa come fiamma.
Ma se in mente a voi pone un qualche iddio
Di contrastargli , e di dar core altrui,
Certo mi fo che lungi dalle navi
Respingerete il suo furor , foss' anco
Lo stesso Giove che gl' infonde ardire.
Cosi parla Nettunno , e collo scettro
Toccandoli ambidue , per le lor membra
Una divina vigoría diffuse ,
Che tutta alleggerendo la persona
Alle man' polso aggiunse, ed ali al piede,
6 ILIADE ν. 80-112
E ciò fatto , spari colla prestezza
Di veloce sparvier che nella valle
Visto un augello , da scoscesa rupe
Si precipita a piombo su la preda .
Ajace d'Oïléo s'accorse il primo
Del portento ; e al figliuol di Telamone
Di subito converso , Amico , ei disse ,
Colui che ne parlò non egli al certo
È l' indovino augurator Calcante ,
Ma qualche dell'Olimpo abitatore
Che ne prese le forme , e ne comanda
Di pugnar per le navi. Agevolmente
Si riconosce un nume , ed io da tergo
Lui conobbi all'incesso appunto in quella
Che si partiva , e me l'avvisa il core
Che di battaglia più che mai bramoso
Mi ferve in petto si , che mani e piedi
Brillar mi sento del desío di pugna.
E a me , risponde il gran Telamoníde,
A me pur brilla intorno a questa lancia
L'audace destra , e il cor mi cresce in seno ,
E l'impulso de' piè sento di sotto
Sì , che pur solo d'azzuffarmi anelo
Coll'indomito Ettorre.- Era di questi
Tale il discorso , e tal dell'armi il caldo
Desir che in petto avea lor posto il nume.
Nettunno intanto degli Achei ridesta
L'ultime file , che scorate e stanche
Dal marzial travaglio appo i navigli
Prendean respiro , e di gran duol cagione
Era loro il veder che l'alto muro
Avean varcato con tumulto i Teucri .
Piovea lor dalle ciglia a quella vista
.13-145 LIBRO XIII . 7
Un largo pianto , di scampar perduta
Ogni speranza. Ma col pronto arrivo
Le ravvivò Nettunno; e pria Leíto
E Teucro e Dëipíro e Peneléo
E Merïone e Antíloco e Toante ,
Tutti eroi bellicosi , inanimando ,
Oh vergogna ! esclamò , così combatte
Or dell'argiva gioventude il fiore ?
Nel valor delle vostre armi io sperava
Salve le navi : ma se voi la fiera
Pugna cessate , il di supremo è questo
Della nostra caduta. Oh cielo ! oh indegno
Spettacolo ch' io veggo , e ch'io non mai
Possibile credea ! fino alle navi
Irrompere i Trojani , essi che dianzi
Non eran osi nè un momento pure
Far fronte ai Greci , e ne fuggían la possa
Come timide cerve che vaganti
Per la foresta , e imbelli e senza core ,
Son di linci , di lupi e leopardi
L'ingorde canne a satollar serbate.
Or ecco che lontan dalla cittade
Fino alle navi la battaglia spingono ,
Colpa del duce Atride e noncuranza
De' guerrier' che con esso incolloriti ,
Anzi che a scampo delle navi armarsi ,
Trucidar vi si fanno. E nondimeno
Benché l'Atride eroe veracemente
Sia di ciò tutto la cagion , per l'onta
Ch'egli fece al Pelíde , a noi non lice
A verun patto abbandonar la pugna.
Via , s'emendi l'error : le generose
Alme i lor falli a riparar son preste ;
8 ILIADE v. 146-178
Nè voi , sendo i più forti , onestamente
Il valor vostro rallentar potete ;
Ned io col vile che pugnar ricusa
So corrucciarmi , ma con voi mi sdegno
Altamente , con voi che fatti or molli
Ed ignavi e codardi un maggior danno
Vi preparate. In sè ciascuno adunque
Il pudor svegli e del disnor la tema.
Grande è il certame che s'accese : il prode
Ettore è quegli che le navi assalta ,
E le porte già ruppe e l'alta sbarra.
Da questi di Nettunno acri conforti
Incoraggiate le falangi achee
Si strinsero agli Ajaci in sì bel cerchio ,
Che stupito n'avría Marte e la stessa
Minerva de' guerrieri eccitatrice.
Questo fior di gagliardi il duro assalto
De' Trojani e d'Ettór fermo attendea ,
Come siepe stipando ed appoggiando
Scudo a scudo , asta ad asta , ed elmo ad elmo
E guerriero a guerrier ; sì che gli eccelsi
Cimier su i coni rilucenti insieme
Confondean l'onda delle chiome equine.
Cosi densati procedean di punta
Contra il nemico questi forti , ognuno
Nella robusta mano arditamente
Bilanciando il suo telo , e di dar dentro
Tutti vogliosi. Fur primieri i Teucri
Stretti insieme a far impeto precorsi
Dall' intrepido Ettór , pari a veloce
Rovinoso macigno che torrente
Per gran pioggia cresciuto da petrosa
Rupe divelse e spinse al basso ; ei vola
9. 179-211 LIBRO XIII . 9
Precipite a gran salti , e si fa sotto
La selva risonar; nè il corso allenta
Finchè giunto alla valle ivi si queta
Immobile. Cosi pel campo Ettorre
Seminando la strage , infino al mare
Penetrar minacciava , e senza intoppo
Fra le navi cacciarsi e fra le tende .
Ma come a fronte ei giunse della densa
Falange s'arrestò , vano vedendo
Di spezzarla ogni mezzo : e di rincontro
L'appuntar colle lance e colle spade
Si fieri i figli degli Achei , che a forza
L'allontanar. Respinto ei diede addietro ,
Ed alto a' suoi gridò : Trojani , e Licj
E Dárdani , deh voi fermo tenete ,
Chè , benchè denso , lo squadron nemico
Non sosterrammi a lungo , e all'urto io spero
Della mia lancia piegherà , se invano
Non eccitommi il più possente Iddio ,
L'altitonante di Giunon marito.
Di ciascuno destâr la lena e il core
Queste parole. Allor di Priamo il figlio
Con grande ardir Deífobo si mosse ,
E davanti portandosi lo scudo
Che tutto il ricopriva , a lento passo
S'avanzò. Merïon di mira il prese
Colla fulgida lancia, e in pieno il colse
Nello scudo taurin ; ma di forarlo
Non gli successe , chè alla prima falda
L'asta si franse . Paventando il telo
Del bellicoso Merïon , dal petto
Discostossi Dëífobo il brocchiero ;
E l'argolico eroe vista spezzarsi
1*
10 ILIADE v. 212-244
La lancia , e tolta la vittoria , irato
Si ritrasse fra' suoi , quindi lunghesso
Le navi ei corse alla sua tenda in cerca
D'un riposto lancion. La pugna intanto
Cresce , ed immenso si solleva il grido .
Il Telamónio Teucro innanzi a tutti
Imbrio distese , acerrimo guerriero ,
Cui Méntore di ricche equestri razze
Possessor generò. Tenea costui
Pria dell'arrivo degli Achei suo seggio
In Pedéo, disposata la leggiadra
Medesicaste , del trojano Sire
Spuria figliuola. Ma venuti i Greci ,
Rivenne ad Ilio ei pure, e fra' Trojani
Distinto di valor nelle regali
Case abitava , e il re tenealo in pregio
Del par che i figli. A costui l'asta infisse
Sotto l'orecchio il buon Telamoníde ,
E tosto ne la svelse. Imbrio cadeo
A frassino simíl che su la cima
D'una montagna da lontan veduta
Reciso dalla scure al suolo abbassa
Le sue tenere chiome ; così cadde
Riverso , e l'armi gli sonår dintorno.
Di rapirle bramoso immantinente
Teucro accorse ; ma pronto in lui diresse
La fulgid'asta Ettór. L'altro che a tempo
Del colpo s'avvisò , scansollo alquanto,
Ed in sua vece lo raccolse in petto
Il figliuol dell'Attóride Cteato
Amfimaco , che appunto in quel momento
Entrava nella mischia. Strepitoso
Ei cadde , e sopra gli tonò l'usbergo.
v. 245-277 LIBRO XIII .
A levar del magnanimo caduto
Dalla fronte il bell'elmo Ettore vola ,
Ma d'Ajace l'aggiunse il fulminato
Splendido telo, che l'ettoreo petto
Non offese egli , no (chè tutto quanto
Era nel ferro orribilmente chiuso),
Ma di tal forza gli percosse il colmo
Dello scudo , che pur lo risospinse ,
Sì che scostarsi fu mestier dall'uno
Cadavere e dall'altro , ed agli Achivi
Abbandonarli . Amfimaco fra' suoi
Fu ritratto da Stichio e Menestéo
Atenéi condottieri ; Imbrio da' forti
Ajaci , simiglianti a due leoni
Che tolta al dente di gagliardi cani
Una capra talor, fra i densi arbusti
La portano del bosco alta da terra
Nell'orrende mascelle. A questa guisa
Sublime fra le braccia i due guerrieri
D'Imbrio la salma ne portaro , e a lui ,
Trattegli l'armi , il figlio d'Oïléo ,
Della morte d'Amfimaco sdegnoso ,
Mozza la testa fe' volar dal busto ,
Indi fra i Teucri la gittò rotata
Come lubrico globo , e al piè d'Ettorre
La travolse sanguigna nella polve.
Non fu senz'alto di Nettun disdegno
D'Amfimaco la morte al Dio nipote.
Risoluto in suo cor de Teucri il danno ,
Fra le navi e le tende il corruccioso
Nume avvïossi ad animar gli Achivi.
Scontrollo Idomenéo , che appunto in quella
Un amico lasciava a lui poc' anzi
12 ILIADE 0. 278-311
Fuor della pugna dai compagni addutto
E ferito al ginocchio. Ai medicanti
Commessane la cura , il re cretese
Da quella tenda si partía , pur sempre
Desideroso di battaglia. Ed ecco
(Preso il volto e la voce di Toante
D'Andrémone figliuol , che di Pleurone
E dell'eccelsa Calidon signore
Agli Etoli imperava , e al par d'un nume
Lo rivería la gente) , ecco Nettunno
Farglisi innanzi , e dire : Idomenéo
Consiglier de' Cretesi , ove n'andaro
Le minacciate ai Teucri alte minacce
Da' figli degli Achei ?- Nullo qui manca
Al suo dover , rispose il gnossio duce ,
Nullo , per mio sentire , e sappiam tutti
Pugnar. Nessuno da vil tema è preso ,
Nessun fiaccato da desidia fugge
L'affanno marzïal. Ma del possente
Giove quest' è la fantasía , che lungi
Dalla patria perire inonorati
Qui debbano gli Achei. Ma tu che fosti
Sempre un forte , o Toante , e altrui se' uso
Destar coraggio , se allentar lo vedi ,
Segui a farlo , e rinfranca ogni guerriero.
Possa da Troja , replicò Nettunno ,
Non si far più ritorno , e qui de' cani
Rim anersi sollazzo , ognun che cerchi
In questo giorno abbandonar la pugna.
Va , ti rïarma , e vieni , e tentereno ,
Benchè due soli , di far tale un fatto
Ch'utile torni . La congiunta forza
Pur degl' imbelli è di momento ; e noi
Ancor co' prodi guerreggiar sappiamo .
ν. 312-344 LIBRO XIII. 13
Disse, e mischiossi il Dio nel travaglioso
Mortal conflitto . Rïentrò veloce
Nella sua tenda Idomenéo , di belle
Armi vestissi tutto quanto , e tolte
Due lance s'avvio , simile in vista
Alla corrusca folgore che Giove
Vibra dall'alto a sgomentar le genti ,
E di lucidi solchi il ciel lampeggia ;
Cosi splendea l'acciaro intorno al petto
Del frettoloso eroe. Lungi di poco
Dalla tenda scontrollo il suo fedele
Merïon , che venía d'altr'asta in cerca.
Figlio di Molo , Idomenéo gli disse ,
Ove corri si ratto ? e perchè lasci ,
Diletto amico Merïon , la pugna ?
Se' tu forse ferito , e qualche punta
Ti tormenta di strale ? od a recarmi
Qualche avviso ne vieni ? Andiam , ch'io stesso
Non di riposi , ma di pugna ho brama.
Vengo , rispose Merïon , d'un'asta
A provedermi , Idomenéo , se alcuna
Te ne rimase al padiglion. La mia 1
Allo scudo la ruppi del feroce
Dëífobo. -- Non una , il re riprese ,
Ma venti , se le brami , alla parete
Ne troverai poggiate entro la tenda ,
Tutte belle e trojane e da me tolte
Ad uccisi nemici. Io li combatto
Sempre dappresso , e cosi d'aste io feci
E d'elmetti e di scudi ombelicati
E di lucidi usberghi un tanto acquisto.
Ed io pur nella tenda e nella nave
Ho molte spoglie de' Trojani in serbo ,
14 ILIADE ν. 345-377
Soggiunse Merïon ; ma lungi or sono.
E neppur io mi spero in obblïanza
Aver posto il valor, chè anch' io ne' campi
Della gloria so starmi in mezzo ai primi ,
Quando di Marte la tenzon si desta.
Forse al più degli Achei mal noto in guerra
È il mio valor, ma tu il conosci , io spero.
Sì , lo conosco , Idomenéo riprese ;
Ma che ridirlo or tu ? L'agguato è il campo
Ove in sua chiarità splende il coraggio ,
E dal codardo si discerne il prode.
Color cangia il codardo , e il cor mal fermo
Non gli permette di tenersi immoto
Un solo istante; mancagli il ginocchio,
Sul calcagno s'accascia , e immaginando
Vicino il suo morir, l'alma nel seno
Palpita e trema dibattendo i denti.
Ma collocato nell' insidia il forte
Nè cor cangia nè volto , e della zuffa
Il momento sospira. E a noi tenuti
Tra' più gagliardi , se l'andar ne tocchi
D'un agguato al periglio , a noi pur anco
E del tuo braccio e del tuo cor palese
Si faría la virtù. Se nella pugna
Fia che ti colga un qualche telo , al certo
Il tergo no ma piagheratti il petto ,
E diritto corrente all' inimico ,
E tra' primieri avvolto , e nel più denso
Della battaglia. Ma non più parole :
Onde a caso qualcun sopravvenendo
Di vanitosi cianciatori a dritto
Non ci getti rampogna. Orsù , t'affretta
Nella tenda , e una forte asta ti piglia.
ν. 378-410 LIBRO XIII. 5
Disse , e l'altro volò ; prese veloce
Una ferrata lancia , e la battaglia
Anelando , raggiunse Idomenéo.
Qual s'avanza al conflitto il sanguinoso
Nume dell'armi , e suo diletto figlio
L'accompagna il Terror che audace e forte
Anco i più fermi fa tremar; l'orrenda
Coppia , lasciati della Tracia i lidi ,
Va degli Efíri a guerreggiar le genti
O i magnanimi Flegj , e non ascolta
Più quei che questi , ancor dubbiando a cui
La vittoria invïar : tali nel ferro
Lampeggianti procedono alla pugna ,
Condottieri di prodi , Idomenéo
E Merïone , che primier dicea :
Da qual parte in battaglia entrar t'aggrada ,
O Deucalíde valoroso ? a destra
O pur nel centro ? o sosterrem più tosto
La sinistra ? Gli è quivi , a mio parere ,
Che di soccorso ai nostri è più inestiero.
Il centro ha buoni difensor' , rispose
Il re di Creta , ha l'uno e l'altro Ajace
E il più prestante saettier de' Greci
Teucro , gagliardo combattente insieme
A piè fermo. Daran questi ad Ettorre ,
Per audace ch'ei sia , molto travaglio
Nella fervida mischia , e costar caro
Gli faranno il tentar di superarne
L'invitta forza , e i minacciati legni
Colle fiamme assalir , se pur lo stesso
Giove non scenda colle proprie mani
A gittarvi gl' incendj. A mortal uomo
Che sia di frutto cereal nudrito ,
16 ILIADE
v. 41-443
E cui possa del ferro o delle pictre
Il colpo violar , non fia che mai
Il grande Ajace Telamónio ceda ,
Non allo stesso violento Achille
Che di corso bensì , ma fior nol vince
Nel pugnar di piè fermo. Or noi del campo
Rivolgiamci alla manca , e vediam tosto
Se darem gloria ad altri , od altri a noi.
Volár , ciò detto , alla prefissa meta.
I Trojani , veduto Idomenéo
Come vampa di foco alla lor volta
Col suo scudier venirne , orrendo ei pure
Di scintillanti arnesi , inanimando
Sè medesmi a vicenda , ad incontrarli
Mossero tutti di conserto . Allora
Surse avanti alle poppe aspro conflitto.
A quella guisa che ne' caldi giorni ,
Quando copre le vie la molta polve ,
S'alza turbo di vento che solleva
Sibilando di sabbia una gran nube ;
Tali ardendo nel cor di porsi a morte
Co' ferri acuti , s'attaccâr le schiere.
Irto era tutto il campo ( orrida vista ! )
Di lunghe aste impugnate, e il ferreo lampo
Degli usberghi , degli elmi e degli scudi
Tutti in confuso folgoranti e tersi
Facea barbaglio agli occhi ; e stato ei fôra
Ben audace quel cor che vista avesse
Tranquillo e lieto la crudel contesa.
Così divisi di favor li due
Possenți figli di Saturno , acerbe
Ordían gravezze ai combattenti eroi.
Di qua Giove ai Trojani e al forte Ettorre
ν. 444-476 LIBRO XIII. 17
La vittoria desia ; non ch'egli intero
Voglia lo scempio della gente achea ,
Ma sol quanto a innalzar del grande Achille
Basti la gloria ed onorar la madre :
Di là furtivo da' suoi gorghi uscito
Nettunno infiamma colla dia presenza
Degli Argivi il coraggio , e del vederli
Domi dai Teucri doloroso freme
Contro Giove di sdegno. Una è d'entrambi
L'origine divina e il nascimento :
Ma nacque Giove il primo , e più sapea.
Quindi il minor fratello alla scoperta
Oso non era d'aitarli , e solo
Celatamente ed in sembianza umana
Infondea loro ardire. A questo modo
L'un nume e l'altro agli uni e agli altri iniqua
D'aspre discordie ordiro una catena
Che nė spezzare si potea nè sciorre ,
E che stese di molti al suol la forza.
Quantunque sparso di canizie il crine ,
Con vigor fresco allora Idomenéo ,
Fatto ai Greci coraggio , i Teucri assalse ,
E sbaragliolli , ucciso Otrïonéo.
Di Cábeso poc'anzi era costui
Venuto al grido della guerra , e a sposa
La più bella chiedea , senza dotarla ,
Delle fanciulle prïamée , Cassandra ;
E l'alta impresa di scacciar da Troja
Lor malgrado gli Achivi impromettea.
Gli avea di questo intenzïon già data
Il re vecchio e l'assenso , ed animato
Dalle promesse il vantator pugnava
Arditamente , ed incedea superbo .
18 ILIADE v. 477-509
Colla fulgida lancia Idomenèo
L'adocchio , lo colpi , gl'infisse il telo
In mezzo all'epa dalle piastre invano
Del torace difesa. Alto fragore
Diè cadendo il guerriero , e l'insultando
Il vincitor sì disse : Otrïonéo ,
Se tutte che tu festi al re trojano
Alte promesse adempirai , su tutti
I mortali pur io terrotti in pregio.
Príamo la figlia ti promise, e noi
Altra sposa t'offriam , la più leggiadra
Delle figlie d'Atride, e lei qui tosto
Farem d'Argo venir, a questo patto
Che tu di Troja ad espugnar n'aiti
La superba città. Dunque ne segui ,
Onde alle navi contrattar le nozze ,
E suoceri n'avrai larghi e cortesi.
Si dicendo , per mezzo alla battaglia
Strascinollo d'un piede. A vendicarlo
Avanzossi pedon nanzi al suo carro
Asio, e anelanti al tergo gli guidava
Il fido auriga i corridor'. Mentr'egli
A ferir d'un bel colpo Idomenéo
Tutto intende il suo cor, questi il prevenne ,
E la lancia gli spinse nella gola
Sotto il mento , e passolla. Asio cadeo
Siccome quercia o pioppo od alto pino
Cui sul monte tagliar con raffilate
Bipenni i fabbri a nautic' uso. Ei giacque
Lungo a terra disteso innanzi al cocchio ,
E digrignava i denti , e colle mani
Strignea rabbioso la cruenta polve.
Smarri l'auriga il cor, nè per sottrarsi
v. 510-543 LIBRO XIII. 19
Alla man de' nemici addietro osava
Dar volta al cocchio. Il giunse in quello stato
Antíloco coll'asta , e in mezzo al ventre
Lo trivellò , chè nulla lo difese
L'interzata lorica. Ei dal bel carro
Riversossi anelante, ed ai cavalli
Dato di piglio il vincitor, dai Teucri
Li sospinse agli Achei. D'Asio caduto
Dëífobo dolente colla picca
Si strinse addosso al re di Creta , e trasse.
Previde il colpo , e curvo Idomenéo
Sotto il grand'orbe si raccolse tutto
Dello scudo taurin che di fulgente
Ferro il contorno e doppia avea la guiggia.
Riparato da questo egli la punta
Schivò dell'asta ostil che sorvolando
Veloce delibò nel suo trascorso
Lo scudo , e secco risonar lo fece.
Nè indarno uscì dalla man forte il telo ;
Ma l'Ippaside Ipsénore percosse
Sotto i precordj , e l'atterrò. Gran vanto
Si diè sul morto l'uccisor, gridando :
Asio non giace inulto , e alle tremende
Porte scendendo di Pluton mi spero
Fia del compagno , ch'io gli do, contento.
Contristo degli Achei quel vanto i petti ;
D'Antíloco su gli altri il bellicoso
Cor ne fu tocco ; nè lasciò per questo
In abbandon l'amico ; anzi accorrendo
Lo copri dello scudo , e lo protesse
Si che Alastorre e Mecistéo , due cari
Dell'estinto compagni , in su le spalle
Recarselo potero ed alle navi
Trasportarlo , mettendo alti lamenti.
20 ILIADE . 544-576
Non rallentava Idomenéo frattanto
Il magnanimo core , e vie più sempre
L'infiammava la brama o di coprire
Qualche Trojano dell'eterna notte ,
O far di sua caduta egli medesmo
Risonante il terren , sol che de' Greci
Allontani l'eccidio. Era fra' Teucri
Un caro figlio d'Esïéta , il prode
Alcatóo, già consorte alla maggiore
Delle figlie d'Anchise Ippodamía ,
Che al genitor carissima e alla madre
Onoranda matrona , ogni compagna
Vincea di volto e di prudenza , esperta
In tutte l'arti di Minerva ; ond'ella
D'un de' più chiari fra gli eroi fu sposa
Di quanti Ilio n'avea nel suo gran seno.
Ma sotto la cretense asta domollo
Nettunno; e prima gli annebbiò le luci ,
Poi per le belle membra gli diffuse
Tale un torpor, che nè fuggirsi addietro
Nè scansarsi potea , ma immoto e ritto
Come colonna o pianta alto chiomata
Stavasi ; e tale lo colpi nel petto
D'ldomenéo la lancia , e la lorica ,
Della persona inutile difesa ,
Gli traforò . Diè un rauco e sordo suono
Il lacerato usbergo ; strepitoso
Alcatóo cadde , e il battere del core
Fe' la cima tremar dell'asta infissa ,
Ch'ivi alfin tutta si quetd. Superbo
Del glorioso colpo Idomenéo
Alto sclamò : Dëífobo, ei ti sembra
Che ben s'adegui con tre morti il conto
v. 577-609 LIBRO XIII . 21
D'un solo ? Inane fu il tuo vanto, o folle.
Viemmi a fronte , e vedrai qual io mi vegna
Qui rampollo di Giove. Ei primo ceppo
Minosse generò giusto di Creta
Conservator, Minosse il generoso
Deucalione , e questi me nell'ampia
Creta di molto popolo signore ;
Ed ora a Troja mi portâr le navi
A te fatale e al padre e a tutti i Teucri .
Stette all'acre parlar fra due sospeso
Deífobo , se in cerca retroceda
D'un valoroso che l'ajuti , o s'egli
Si cimenti pur solo. In tal pensiero
< Ir d'Anchise al figliuol gli parve il meglio ,
E negli estremi lo trovò del campo
Stante e il cor roso di perpetuo cruccio ,
Perchè lui , che tra' prodi avea gran fama ,
Inonorato il re trojan lasciava.
Venne a lui dunque, e così disse: Enea,
Chiaro de' Teucri capitan , se cura
De' congiunti ti tocca , il tuo cognato
Esanime soccorri. Andiam , la morte
Vendichiam d'Alcatóo che un di marito
Di tua sorella t'educò bambino,
E ch'or d'Idomenéo l'asta ti spense.
Si commosse l'eroe racceso il petto
Del desío della pugna , ed alla volta
D'Idomenéo volò. Nè già si volse
Come fanciullo in fuga il re cretese ,
Ma fermo stette ad aspettarlo. E quale
Cinghial che sente le sue forze , aspetta
In solitario loco alla montagna
De' cacciator' la turba; alto sul dosso
22 ILIADE
ν. 610-642
Arriccia il pelo , e una terribil luce
Lampeggiando dagli occhi i denti arruota ,
Di sbaragliar le torme impazïente
Degli uomini e de' cani : in tal sembianza
Fermo si stava Idomenéo , l'assalto
Aspettando d'Enea. Pur volto a' suoi ,
Ascálafo chiamonne ed Afaréo
E Dëipíro e Merïone e Antíloco
Mastri di guerra , e gl'incitò con queste
Ratte parole : Amici , a darmi assalto
Corre il figlio d'Anchise : egli è di stragi
Operator gagliardo , e, ciò che forma
Il maggior nerbo , ha pur degli anni il fiore.
Io son qui solo, nè del par la fresca
Gioventù mi sorride . Ove ciò fosse ,
Con questo cor qui tosto glorïoso
O lui mia morte , o me la sua farebbe.
Disse , e tutti gli fur concordi al fianco
Con gl'inclinati scudi. Enea dall'altra
Parte eccitando i suoi compagni , appella
Deífobo a soccorso e Pari e il divo
Agénore , che tutti eran con esso
Condottieri de' Teucri , e li seguía
Molta man di guerrieri , a simiglianza
Di pecorelle che dal prato al fonte
Van su la traccia del lanoso duce ,
E ne gode il pastor; tale d'Enea
Pel seguace squadron l'alma gioisce.
Colle lungh'aste intorno ad Alcatóo
S'azzuffâr questi e quelli. Intorno ai petti
Orribilmente risonava il ferro
De' combattenti , e due guerrier' famosi ,
D'Anchise il figlio e il regnator di Creta ,
ν. 643-675 LIBRO XIII. 23
Pari a Marte ambedue con dispietato
Ferro a vicenda di ferirsi han brama.
Trasse primiero Enea ; ma visto il colpo ,
L'avversario schivollo , e tremolante
Al suol s'infisse la dardania punta
Invan fuggita dalla man robusta .
Idomenéo percosse a mezzo il ventre
Enómão. Spezzò l'asta l'incavo
Della corazza , e gl'intestini incise ,
Si ch'egli cadde nella polve , e strinse
Colle pugna il sabbion . Svelse dal morto
La lancia il vincitor, ma le bell'armi
Rapirgli non poteo ; chè degli strali
L'opprimea la tempesta , e non avea
Salde al correr le gambe e al ripigliarsi
L'asta scagliata , ed a schivar l'ostile.
Quindi a piè fermo ei ben sapea per anco
La morte allontanar, ma dal conflitto
Mal nel bisogno sottraealo il piede.
Deífobo che caldo il cor di rabbia
Sempre in lui mira , vistolo ritrarsi
A lenti passi , gli avventò , ma indarno
Pur questa volta, il telo che veloce
Via trasvolando Ascálafo raggiunse,
Prole di Marte , e all'omero il trafisse.
Ei cadde , e steso brancicò la polve :
Nè del caduto figlio allor veruna
Ebbe notizia il violento Iddio ,
Che dal comando di Giove impedito
Stava in quel punto su le vette assiso
Dell'Olimpo, e il copría d'oro una nube
Misto agli altri Immortali a cui vietato
Era dell'armi il sanguinoso ludo.
24 ILIADE
v. 676-708
Una pugna crudel sul corpo intanto
D'Ascálafo incomincia. Al morto invola
Dëífobo il bell'elmo ; e Merïone
Tale sul braccio al rapitor disserra
Di lancia un colpo, che di man gli sbalza
Risonante al terren l'aguzzo elmetto.
E qui di nuovo Merïon scagliossi
Come fiero avoltojo , e dal nemico
Braccio sconfitta dell'astil la punta
Si ritrasse tra' suoi. Corse al ferito
Il suo german Políte , e per traverso
L'abbracciando il cavo dal rio conflitto ,
Ed in parte venuto ove l'auriga
Lungi dall'armi co' cavalli il cocchio
In pronto gli tenea , questi il portaro
Gemente , afflitto e per la fresca piaga
Tutto sangue la mano , alla cittade.
Cresce intanto la pugna , e al ciel ne vanno
Immense grida. Enea, d'asta colpisce
Nella gola Afaréo Caletoríde
Che l' investía di fronte. Riversossi
Dall' altra parte il capo , e n'andar seco
L'elmo e lo scudo, e lui la morte avvolse.
Visto Toone che volgea le terga ,
Antíloco l'assalta ; e al fuggitivo
Netta incide la vena che pel dosso
Quanto è lungo scorrendo al collo arriva ;
Netta l' incide , e resupino ei casca
Nella sabbia stendendo a' suoi compagni
Ambe le mani. Gli fu ratto addosso
Antíloco , e dell'armi il dispogliando
Gli occhi ai Teucri tenea , che d'ogni parte
Serrandolo, il lucente ampio pavese
P. 709-741 LIBRO XIII . 25
Gli tempestan di dardi , e mai veruno
Di tanti teli disfiorar del figlio
Di Néstore il gentil corpo potea ;
Chè da tutti il guardava attentamente
L'Enosigéo Nettunno. Ed il guerriero ,
Non che ritrarsi dai nemici , sempre
Coll'asta in moto s'avvolgea fra loro
Pronto a ferir da lungi e da vicino.
Mentre in cor volge nuovi danni , il vede
L'Asïade Adamante , e in lui repente
Impeto fatto colla lancia il fere
Amezza targa. Preservo del Greco
La vita il nume dalle chiome azzurre ,
E spezzò la nemica asta che mezza
Rimase infissa nello scudo a guisa
D'adusto palo , e mezza giacque a terra.
Diede addietro a tal vista il feritore
Salvandosi fra' suoi . Ma Merïone
Spinse l'asta nel ventre al fuggitivo
Fra l'umbilico e il pube , ove del ferro
È mortal la ferita, e lo confisse.
Cadde il confitto su la lancia , e tutto
Si contorcea qual bue cui di ritorte
Funi annodato su pel monte a forza
Strascinano i bifolchi , e tale anch' egli
Si dibattea ; ma il suo penar fu breve ;
Chè tosto accorse Merïone , e svelta
L'asta dal corpo , l'acchetò per sempre.
Grande e battuta su le tracie incudi
Alza Eleno la spada , ed alla tempia
Dëípiro fendendo gli dirompe
L'elmo , e dal capo glielo sbalza in terra.
Kuzzolo risonante la celata
ILIADE , Vol. II. 2
26 ILIADE 9.742-774
Fra le gambe agli Achivi , e fu chi tosto
La raccolse : ma negra eterna notte
Dëípiro coperse. Addolorato
Del morto amico il buon minore Atride ,
Contro il regale eroe che a morte il mise ,
Minaccioso avanzossi , alto squassando
L'acuta lancia; ed Eleno a rincontro
L'arco tese. Affrontarsi ambo i guerrieri ,
Bramosi di vibrar quegli la picca ,
Questi lo strale. Saettò primiero
Di Príamo il figlio , e colpi l'altro al petto
Nel cavo del torace. Il rio quadrello
Via volò di risalto , e a quella guisa
Che per l'aja agitato in largo vaglio
Al soffiar dell'auretta ed alle scosse
Del vagliator sussulta della bruna
Fava o del cece l'arido legume;
Dall'usbergo così di Menelao
Resultò risospinto il dardo acerbo,
Di risposta l'Atride al suo nemico
Feri la man che il liscio arco strignea ,
E all' arco stesso la confisse . In salvo
Retrocesse fra' suoi tosto il ferito ,
Cui penzolava dalla man l' infisso
Frassíneo telo . Glielo svelse alfine
Il generoso Agénore , e la piaga
Destramente fasciò d'una lanosa
Fionda che pronta il suo scudier gli avea.
Al trionfante Atride si converse
Pisandro allor di punta , e negro fato
Acader lo spigneva in rio certame
Sotto i tuoi colpi , o Menelao. Venuti
Ambo all'assalto , gittò l'asta in fallo
v. 775-807 LIBRO XIII. 27
Il figliuolo d'Atréo . Colse Pisandro
Lo scudo ostil , ma non passollo il telo
Dalla targa respinto e nell'estrema
Parte spezzato ; nondimen gioinne
Colui nel core , e vincitor si tenne.
Tratto il fulgido brando , allor l'Atride
Avventossi al nemico , e questi all'ombra
Dello scudo impugnò ferrata e bella
Una bipenne , nel polito e lungo
Manico inserta di silvestre olivo .
Mossero entrambi ad un medesmo tempo.
Al cono dell'elmetto irto d'equine
Chiome sotto il cimier Pisandro indarno
La scure dechinò ; l'altro lui colse
Nella fronte , e del naso alla radice.
Crepitò l'osso infranto, e sanguinosi
Gli cascâr gli occhi nella polve al piede.
Incurvossi cadendo; e Menelao
D'un piè calcato dell'ucciso il petto ,
L'armi n'invola , e glorïoso esclama :
Ecco la via per cui de' bellicosi
Danai le navi lascerete alfine ,
Perfidi Teucri ognor di sangue ingordi.
Vi fu poco l'aver, malvagi cani ,
Con altra fellonía , con altre offese
Violati i miei lari , e del tonaute
Giove ospital sprezzata la tremenda
Ira che un giorno svellerà dal fondo
L'alta vostra città; poco il rapirmi
Una giovine sposa e assai ricchezza
Da nulla ingiuria offesi , anzi a cortese
Ospizio accolti e accarezzati. Or anco
Desío vi strugge di gittar nel mezzo
28 ILIADE ν. 808-840
Delle navi le fiamme , e degli achivi
Eroi far scempio. Ma verrà chi ponga
Vostro malgrado a furor tanto il freno.
Giove padre , per certo uomini e Dei
Di saggezza tu vinci , e nondimeno
Da te vien tutto si nefando eccesso ,
Da te de ' Teucri difensor, di questa
Sempre d'oltraggi e d'ingiustizie amica
Razza iniqua che mai delle rie zuffe
Di Marte non si sbrama. Il cor di tutte
Cose alfin sente sazietà , del sonno,
Della danza , del canto e dell'amore ,
Piacer' più cari che la guerra ; e mai
Sazi di guerra non saranno i Teucri ?
Tolse l'armi , ciò detto , a quell'estinto,
Di sangue asperse ; e come in man rimesse
L'ebbe de' suoi , di nuovo all'inimico
Volse la faccia nelle prime file.
Fiero l'assalse allor di Pileméne
Il figlio Arpalïon, che il suo diletto
Padre alla guerra accompagnò di Troja
Per non mai più redire al patrio lido.
S'avanzó , fulminò l'asta nel colmo
Dello scudo d'Atride ; e senza effetto
Visto il suo colpo, s'arretrò salvando
Fra' suoi la vita, e d'ogni parte attento
Guatando che nol giunga asta nemica.
Ed ecco dalla man di Merïone
Una freccia volar che al destro clune
Colse il fuggente , e sotto l'osso accanto
Alla vescica penetrò diritto.
Caduto sul ginocchio egli nel mezzo 1
De' cari amici spirando giacea
v. 841-873 LIBRO XIII . 20
Steso al suol come verme, e in larga vena
Il sangue sul terren facea ruscello.
Gli fur d'intorno con pietosa cura
I generosi Paflagoni , e lui
Collocato sul carro alla cittade
Conducean dolorando . Iva con essi
Tutto in lagrime il padre, e dell'ucciso
Figlio nessuna il consolò vendetta.
Pel morto Arpalion forte crucciossi
Paride, che cortese ospite l'ebbe
Fra' Paflagoni un tempo, e dalla cocca
Sfreno di ferrea punta una saetta.
Era un certo Euchenór, dell' indovino
Poliíde figliuol , uom prode e ricco
E di Corinto abitator, che appieno
Del reo suo fatto istrutto, avea di Troja
Veleggiato alle rive. A lui sovente
Detto aveva il buon veglio Poliíde
Che d'atro morbo nel paterno tetto,
O di ferro trojano egli morrebbe
Fra le argoliche navi : e più che morte ,
Di tetra infermità l'aspro martire
E degli Achei lo spregio, egli temette.
Di Paride lo stral colse costui
Sotto l'orecchio alla mascella, e tosto
L'abbandonò la vita , ed un orrendo
Perpetuo bujo gli coprì le luci .
In questa guisa ardea la pugna , e ancora
Il diletto di Giove alto guerriero
Ettore intesa non avea la strage
Chedi sue genti segue alla sinistra
Della battaglia , e che omai piega il volo
La vittoria agli Achei ; tale è l'impulso,
30 ILIADE ν. 874-906
Tale il nerbo e l'ardir di che furtivo
Li soccorre Nettunno. A quella parte
Stavasi Ettorre, ov'egli avea da prima
Le porte a forza superato e il muro,
E rotte degli Achei le dense file.
Ivi d'Ajace e di Protesilao
Coronavan le navi al secco il lido,
E perchè da quel lato era più basso
Edificato il muro, ivi più forte
De' cavalli e de' fanti era la pugna.
Fij , Beozi , Locresi , e colle lunghe
Lor tuniche gl'Ionj e i chiari Epéi
Ivi eran tutti , e tutti a tener lungi
Dalle navi d'Ettorre la rovina
Opravano le mani ; e tanti insieme
A rintuzzar dell'infiammato eroe
Non bastano la furia. Il fior d'Atene
Stassi alle prime file , ed il Petíde
Menestéo li conduce, ajutatori
Stichio, Fida e Bïante. È degli Epei
Duce Megete e Dracio ed Amfione ;
De' Ftj Medonte e il pugnator Podarce ,
Podarce nato del Filácio Ifíclo,
Medonte d'Oïléo bastarda prole
E d'Ajace fratel , che dal paterno
Suolo esultando in Fílace abitava,
Messo a morte il german della matrigna
Erïopíde d'Oïléo mogliera.
Degli eletti di Ftia questi alla testa
Giunti ai Beozi difendean le navi.
Ajace d'Oïléo mai sempre al fianco
Del Telamónio combattea. Siccome
Due negri buoi d'una medesma voglia
. 907-939 LIBRO XIII . 3г
Nella dura maggese il forte aratro
Traggono, e al ceppo delle corna intorno
Largo rompe il sudor, mentre da! solo
Giogo divisi per lo solco eguali
Stampano i passi , e dietro loro il seno
Si squarcia della terra : a questa immago
Pugnavano congiunti i duo guerrieri.
Molta e gagliarda gioventù seguiva
Il Telamónio ; e quando la fatica
E il sudor lo fiaccava , i suoi compagni
Il grave scudo ne prendean. Ma i Locri ,
A cui poco durar solea l'ardire
Nella pugna a piè fermo, d'Oïléo
L'audace figlio non seguían. Costoro
Non elmi avean d'equino crine ondanti ,
Nè tondi scudi , nè frassínee lance ,
Ma d'archi solo armati e di ben torte
Lanose fionde ad Ilio il seguitaro,
E da quest'archi e queste fionde in campo
Scagliavano la morte, e de' Trojani
Lefalangi rompean. Per questo modo,
Mentre gli Ajaci nella prima fronte
Di bell'arme precinti alla ruina
Del fiero Ettór fann'argine , al lor tergo
Nascosti i Locri saettando sempre
Efrombolando, le ordinanze tutte
Turban de' Teucri omai smarriti e rotti.
D'alta strage percossi allora i Troi
Da navi e tende si sarían ritratti
Al ventoso Ilïon, se non volgea
All'animoso Ettór queste parole
Polidamante : Ettorre, ai saggi avvisi
Tu mal presti l'orecchio. E perchè Giove
32 ILIADE v. 940-972
Alto ti diede militar favore,
Vuoi tu forse per questo agli altri ir sopra
Di prudenza e consiglio ? Ad un sol tempo
Tutto aver tu non puoi. Di Giove il senno
Largisce a questi la virtù guerriera,
L'arte a quei della danza, ad altri il suono
E il canto delle muse, ad altri in petto
Pon la saggezza che i mortai governa
E le città conserva ; e sânne il prezzo
Chi la possiede. Or io dirò l'avviso
Che mi sembra il miglior. Per tutto, il vedi ,
Ti cinge il fuoco della guerra. I Teucri ,
Con magnanimo ardir passato il muro ,
Parte coll'armi già dan volta , e parte
Pugnano ancor , ma pochi incontro a molti ,
E spersi tutti fra le navi. Or dunque
Tu ti ritraggi alquanto , e tutti aduna
Qui del campo i migliori , e delle cose
Consultata la somma , si decida
Se delle navi ritentar si debba
L'assalto , ove pur voglia un qualche iddio
Darne alfin la vittoria , o se più torni
L'abbandonarle illesi. Il cor mi turba
Un timor che non paghi oggi il nemico
Il debito di jeri. In quelle navi
Posa un guerrier terribile ; che all'armi
Per mia credenza desterassi in breve. -
Piacque ad Ettorre il salutar consiglio ,
E d'un salto gittandosi dal carro
Gridò : Polidamante , i più gagliardi
Tu qui dunque rattien , ch'io là ne vado
A raddrizzar la pugna , e dato ai nostri
Buon ordine , farò pronto ritorno.
v. 973-1005 LIBRO XIII . 33
Disse, e ratto parti con elevato
Capo , sembiante ad un' eccelsa rupe ,
E volando chiamava alto de' Teucri
E delle schiere collegate i duci ,
Che tosto , udita dell'eroe la voce ,
Alla volta correan del Pantoíde
Polidamante del valore amico.
Di Dëífobo intanto e del regale
Eleno e dell' Asïade Adamante
E dell'Irtacid' Asio iva per tutto
Qua e là tra i primi combattenti Ettorre
Dimandando e cercando. Alfin gli avvenne
Di ritrovarli , ma non tutti illesi
Nè tutti in vita , chè domati alcuni
Dal ferro acheo giacean nanti alle poppe
Cadaveri deformi , altri tra il muro
Languían feriti di diverso colpo.
Dell'orrendo conflitto alla sinistra
Vide egli poscia della bella Argiva
Lo sposo rapitor che i suoi compagni
Confortava alla pugna. Gli fu sopra ,
E acerbe gli tonò queste parole :
Ahi funesto di donne ingannatore ,
Chedi bello non porti altro che il viso ,
Deífobo dov'è? dove son l'armi
D'Eleno , d'Asio , d'Adamante? dove
Otrïonéo ? Dal sommo ecco giá tutto
Il grand' Ilio precipita , e te pure
L'ultimo danno , o sciagurato , aspetta.
E il bel drudo a rincontro : Ettore , a torto
Tu mi rampogni. In altri tempi io forse
Un trascurato mi mostrai , non oggi.
La madre un vile non mi fe' . Dal punto
2*
34 ILIADE μ. 1006-1038
Che il conflitto attaccasti appo le navi ,
Da quel punto qui fermo e senza posa
Con gli Achei mi travaglio. I valorosi
Di che tu chiedi , caddero. Due soli
Dëífobo ed Eléno ambi alla mano
Feriti si partîr , sottratti a morte
Certo da Giove. Or dove il cor ti dice ,
Guidami : io pronto seguirotti , e quanto
Potran mie forze , ti farò , mi spero ,
Il mio valor palese. Oltre sua possa ,
Benchè abbondi il voler , nessuno è forte.
Piegâr quei detti del fratello il core ,
Edi conserva entrambi ove più ferve
La mischia s'avviar. Pugnano quivi
E Cebrïone e il buon Polidamante
E il divin Poliféte e Falce e Ortéo ,
E i tre d'Ippozïon gagliardi figli
Palmi , Mori ed Ascanio , dal gleboso
Suol d'Ascania venuti il di precesso ,
Espinti all'armi dal voler de' numi.
Come di venti impetuosi un turbo
Dal tuon di Giove generato piomba
Su la campagna , e con fracasso orrendo
Sovra il mar si diffonde ; immensi e spessi
Bollono i flutti di canuta spuma ,
E con fiero mugghiar l'un l'altro incalza
Al risonante lido : a questa guisa
In ristretti drappelli, e gli uni agli altri
Succedenti i Trojani e scintillanti
Tutti nell'armi ne venían su l'orme
De' condottieri , e precorreali Ettorre
Non minor del terribile Gradivo .
Un tessuto di cuoi tondo brocchiero
*
.1039-1071 LIBRO XIII. 35
Di molte piastre rinforzato il prode
Tiensi davanti , ed alle tempie intorno
Tutto lampeggia l'agitato elmetto.
Sicuro all'ombra del suo gran pavese
Passo passo ei s'avanza , e d'ogni parte
Forar si studia le nemiche file ,
E sgominarle. Ma de' petti achei
Non si turba il coraggio , e mossi Ajace
I larghi passi a provocarlo il primo :
Acoóstati , gli disse : e che pretendi
Tu, fier spavaldo ? sgomentar gli Achivi ?
Non siam nell'arte marzïal fanciulli ,
E chi ne doma non se tu , ma Giove
Con funesto flagello. Se le navi
Strugger ti speri , a rintuzzarti pronte
E noi pur anco abbiam le mani , e tutta
Struggeremo noi pria la tua superba
Cittade. A te predíco io poi che l'ora
Non è lontana , che tu stesso in fuga
Manderai preghi a Giove e a tutti i Divi
Che sian di penna di sparvier più ratti
I corridori che , diffuse al vento
Le belle chiome , porteranti a Troja
Entro un nembo di polve .- Avea quel fiero
Ciò detto appena, che alla dritta in alto
Un'aquila comparve. Alzar le grida
Fatti più franchi a quell'augurio i Greci ,
Ma non fu tardo alla risposta Ettorre :
Stupida massa di carname , Ajace
Millantator , che parli ? Eterno figlio
Così foss' io di Giove e dell' augusta
Giuno, e onorato al par di Palla e Febo
Come m'accerto che funesto a tutti
36 ILIADE LIB . XIII. ν. 1072-1085
Vi sarà questo giorno : e tu fra' morti
Tu medesmo cadrai , se di mia lancia
T'avrai l'ardire d'aspettar lo scontro.
Rotto da questa e qui disteso il tuo
Vizzo corpaccio di sua pingue polpa
Gli augei di Troja farà sazi e i cani.
Così detto, s'avanza, e con immenso
Urlo animosi gli van dopo i Teucri.
Dall'altro lato memori gli Achivi
Della virtù guerriera , e del più scelto
Fiore di Troja intrepidi all' assalto ,
Misero anch'essi un alto grido ; e d'ambi
Gli eserciti il clamor fería le stelle
E i raggianti di Giove almi soggiorni .
ILIADE
LIBRO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO
Néstore , udito il fracasso de' combattenti , esce dalla
sua tenda e s'invia per consultare con Agamen-
none sul pericolo de' Greci. Agamennone è nuo-
vamente di parere che si tenti la fuga . Ulisse si
oppone. Diomede consiglia ai duci di mostrarsi ,
benchè feriti , ai guerrieri e sostenerne il coraggio.
Nettunno inanimisce i Greci . Frattanto Giunone,
ottenuto il cinto di Venere , presentasi a Giove
sull' Ida , ed invocata l' assistenza del dio Sonno
giunge ad addormentare il marito. Durante il sonno
di Giove , Nettunno soccorre i Greci , i quali fanno
orreuda strage dei Trojani. Ettore è ferito con un
sasso da Ajace Telamonio. L'eroe è portato semi-
vivo verso di Troja.
De' combattenti udi l'alto fracasso
Néstore in quella che una colma tazza
Accostava alle labbra ; e d'Esculapio
Rivolto al figlio : Oh , che mai fia , diss'egli ,
Divino Macaon ? Presso alle navi
Dell'usato maggiori odo le grida
De' giovani guerrieri. Alla vedetta
Vado a saperne la cagion. Tu siedi
Intanto , e bevi il rubicondo vino ,
Mentre i caldi lavacri t'apparecchia
38 ILIADE 0. 11-43
La mia bionda Ecaméde , onde del sangue ,
Di che vai sozzo , dilavar la gruma.
Del suo figliuol si tolse in questo dire
Il brocchier che giacea dentro la tenda ,
Il fulgido brocchier di Trasiméde
Che il paterno portava. Indi una salda
Asta d'acuta cuspide impugnata ,
Fuor della tenda si sofferma , e vede
Miserando spettacolo : cacciati
In fuga i Greci , e alle lor spalle i Teucri
Inseguenti e furenti , e la muraglia
Degli Achei rovesciata. Come quando
Il vasto mar s'imbruna , e presentendo
De' rauchi venti il turbine vicino ,
Tace l'onda atterrita , ed in nessuna
Parte si volve , finché d'alto scenda
La procella di Giove ; in due pensieri
Così del veglio il cor pendea diviso ,
Se fra i rapidi carri de' fuggenti
Dánai si getti , o se alla volta ei corra
Del duce Atride Agamennón . Lo meglio
Questo gli parve , e s'avviò . Seguía
La mutua strage intanto , e intorno al petto
De' combattenti risonava il ferro
Dalle lance spezzato e dalle spade.
Fuor delle navi gli si féro incontro
I re feriti Ulisse e Diomede
E Agamennón. Di questi a fior di lido
Stavan lungi dall'armi le carene.
L'altre , che prime lo toccâr, dedotte
Più dentro alla pianura , eran le navi
A cui dintorno fu costrutto il muro;
Perocché il lido , benchè largo , tutte
v. 44-76 LIBRO XIV. 39
Non potea contenerle , ed acervate
Stavan le schiere. Statuiti adunque
L'uno appo l'altro , come scala , i legni
Tutto empieano del lido il lungo seno
Quanto del mare ne chiudean le gole.
Scossi al trambusto , che s'udía , que'duci ,
Edi saper lo stato impazïenti
Della battaglia , ne venían conserti ,
Alle lance appoggiati , e gravi il petto
D'alta tristezza. Terror loro accrebbe
Del veglio la comparsa , e Agamennóne
Elevando la voce : O degli Achei
Inclita luce , Néstore Nelíde ,
Perchè lasci la pugna , e qui ne vieni ?
Temo ohime ! che d' Ettor non si compisca
La minacciata nel trojan consesso
Fiera parola di non far ritorno
Nella città , se pria spenti noi tutti ,
Tutte in faville non mettea le navi .
Ecco il detto adempirsi. Eterni Dei !
Dunque in ira son io , come ad Achille
A tutto il campo acheo , sì che non voglia
Più pugnar dell'armata alla difesa ?
Ahi ! pur troppo l'evento è manifesto,
Néstor rispose ; nè disfare il fatto
Lo stesso tonator Giove potrebbe.
Il muro , che de' legni e di noi stessi
Riparo invitto speravam , quel muro
Cadde; il nemico ne combatte intorno
Con ostinato ardire e senza posa:
Ne, come che tu l'occhio attento volga ,
Più ti sapresti da qual parte il danno
Degli Achivi è maggior , tanto son essi
40 ILIADE v. 77-109
Alla rinfusa uccisi , e tanti i gridi
Di che l'aria risuona. Or noi qui tosto ,
Se verun più ne resta util consiglio ,
Consultiamo il da farsi. Entrar nel forte
Della mischia non io però v'esorto ,
Chè mal combatte il battaglier ferito.
Saggio vegliardo , replicò l'Atride ,
Poichè fino alle tende hanno i nemici
Spinta la pugna, e più non giova il vallo
Nè della fossa nè dell'alto muro ,
A cui tanto sudammo , e inviolato
Schermo il tenemmo delle navi e nostro ,
Chiaro ne par che al prepossente Giove
Caro è il nostro perir su questa riva
Lungi d'Argo , infamati. Il vidi un tempo
Proteggere gli Achei ; lui veggo adesso
I Trojani onorar quanto gli stessi
Beati Eterni , e incatenar le nostre
Forze e l'ardir. Mia voce adunque udite.
Le navi , che ne stanno in secco al primo
Lembo del lido , si sospingan tutte
Nel vasto mare , e tutte sieno in alto
Sull' ancora fermate insin che fitta
Giunga la notte , dal cui velo ascosi
Varar potremo il resto , ove pur sia
Che ne dian tregua dalla pugna i Teucri .
Non è biasmo fuggir di notte ancora
Il proprio danno , ed è pur sempre il meglio
Scampar fuggendo , che restar captivo.
Lo guatò bieco Ulisse , e gli rispose :
Atride , e quale ti fuggì dal labbro
Rovinosa parola ? Imperadore
Fossi oh ! tu di vigliacchi , e non di noi ,
4. 110-142 LIBRO XIV. 4
Di noi, che Giove dalla verde etade
Infino alla canuta agli ardui fatti
Della guerra incitò , finchè ciascuno
Vi perisca onorato. E così dunque
Puoi tu de' Teucri abbandonar l'altera
Città che tanti già ne costa affanni ?
Per dio ! nol dire , dagli Achei non s'oda
Questo sermone , della bocca indegno
D'uom di senno e scettrato, e , qual tu sei,
Di tante schiere capitano. Io primo
Il tuo parer condanno. Arde la pugna ,
E tu comandi che nel mar lanciate
Sien le navi ? Ciò fôra un far più certo
De' Trojani il vantaggio, e più sicuro
Il nostro eccidio : perocchè gli Achivi
In quell'opra assaliti , anzi che fermi
Sostener l'inimico, al mar terranno
Rivolto il viso, a Teucri il tergo : e allora
Vedrai funesto, o duce, il tuo consiglio.
Rispose Agamennón : La tua pungente
Rampogna, Ulisse, mi feri nel core.
Ma mia mente non è che lor malgrado
Traggan le navi in mar gli Achivi ; e s'ora
Altri sa darne più pensato avviso ,
Sia giovine, sia veglio, io l'avrò caro.
Chi darallo n'è presso (il bellicoso
Tidíde ripigliò), nè fia mestieri
Cercarlo a lungo, se ascoltar vorrete,
Nė perchè d'anni inferior vi sono,
Con disdegno spregiarmi. Anch'io mi vanto
Figlio d' illustre genitor, del prode
Tidéo, di Cadmo nel terren sepolto.
Portéo tre figli generò dell'alta
42 ILIADE . 143-175
Calidone abitanti e di Pleurone,
Agrio, Mela ed Enéo, tutti d'egregio
Valor, ma tutti li vincea di molto
Il cavaliero Enéo padre al mio padre.
Ivi egli visse ; ma da' numi astretto
A gir vagando il padre mio, sua stanza
Pose in Argo, e d'Adrasto a moglie tolse
Una figlia ; e signor di ricchi alberghi
E di campi frugiferi per molte
File di piante ombrosi , e di fecondo
Copioso gregge , a tutti ancor gli Argivi
Ei sovrastava nel vibrar dell'asta .
Conte vi sono queste cose , io penso,
Tutte vere ; e sapendomi voi quindi
Nato di sangue generoso, a vile
Non terrete il mio retto e franco avviso .
Orsù , crudel necessità ne spinge.
Al campo adunque, tuttochè feriti ;
E perchè piaga a piaga non s'aggiunga,
Fuor di tiro si resti , ma propinqui
Si , che possiamo gl' indolenti almeno
Incitar coll'aspetto e colla voce.
Piacque il consiglio, e s'avvïâr precorsi
Dal re supremo Agamennón. Li vide
Nettunno, e tolte di guerrier canuto
Le sembianze , e per man preso l'Atride ,
Fe' dal labbro volar queste parole :
Atride , or si che degli Achei la strage
E la fuga gioir fa la crudele
Alma d'Achille, poichè tutto l'ira
Gli tolse il senno. Oh possa egli in mal punto
Perire , e d'onta ricoprirlo un Dio !
Ma tutti a te non sono irati i numi ,
. 176-208 LIBRO XIV. 43
E de' Teucri vedrai di nuovo i duci
Empir di polve il piano , e dalle tende
E dalle navi alla città fuggirsi.
Disse , e corse , e gridò quanto di nove
O dieci mila combattenti alzarse
Potría , nell'atto d'azzuffarsi , il grido :
Tanto fu l'orlo che dal vasto petto
L'Enosigéo mandò. Risurse in seno
Degli Achei la fortezza a quella voce ,
E il desío di pugnar senza riposo.
Su le vette d'Olimpo in aureo trono
Sedea Giuno, e di là visto il divino
Suo cognato e fratel che in gran faccenda
Per la pugna scorrea , gioinne in core.
Sovra il giogo maggior scorse ella poscia
Dell'irrigua di fonti Ida seduto
L'abborrito consorte ; e in suo pensiero
L'augusta Diva a ruminar si mise
D'ingannarlo una via. Calarsi all'Ida
In tutto il vezzo della sua persona,
Infiammarlo d'amor, trarlo rapito
Di sua beltà nelle sue braccia , e dolce
Nelle palpebre e nell'accorta mente
Insinuargli il sonno; ecco il partito
Che le parve il miglior. Tosto al regale
Suo talamo s'avvía , che a lei l'amato
Figlio Vulcano fabbricato avea
Con salde porte , e un tal serrame arcano
Che aperto non l'avrebbe iddio veruno.
Entrovvi ; e chiusa la lucente soglia ,
Con ambrosio licor tutto si terse
Pria l'amabile corpo, e d'oleosa
Essenza l'irrigò , divina essenza
ILIADE ν. 209-241
44
Fragrante sì che negli eterni alberghi
Del Tonante agitata e cielo e terra
D'almo profumo riempia. Ciò fatto,
Le belle chiome al pettine commise,
E di sua mano intorno all' immortale
Augusto capo le compose in vaghi
Ondeggianti cincinni. Indi il divino
Peplo s'indusse , che Minerva avea
Con grand'arte intessuto, e con aurate
Fulgide fibbie assicurollo al petto .
Poscia i bei fianchi d'un cintiglio a molte
Frange ricinse , e ai ben forati orecchi
I gemmati sospese e rilucenti
Suoi ciondoli a tre gocce. Una leggiadra
E chiara come sole intatta benda
Dopo questo la Diva delle Dive
Si ravvolse alla fronte. Al piè gentile
Alfin legossi i bei coturni , e tutte
Abbigliate le membra usci pomposa ;
Ed in disparte Venere chiamata,
Così le disse : Mi sarai tu, cara,
D'una grazia cortese ? o meco irata ,
Perch'io gli Achivi , e tu li Teucri aíti ,
Negarmela vorrai ? - Parla, rispose
L'alma figlia di Giove : il tuo desire
Manifestami intero, o veneranda
Saturnia Giuno. Mi comanda il core
Di far tutto (se il posso, e se pur lice)
Il tuo voler, qual sia. - Dammi , riprese
La scaltra Giuno, l'amoroso incanto
Che tutti al dolce tuo poter suggetta
I mortali e gli Dei. Dell'alma terra
Ai fini estremi a visitar men vado
9. 242-274 LIBRO XIV. 45
L'antica Teti e l'Oceán de' numi
Generator, che presami da Rea ,
Quando sotto la terra e le profonde
Voragini del mar di Giove il tuono
Precipito Saturno, mi nudrito
Ne' lor soggiorni , e m'educar con molta
Cura ed affetto . A questi io vado, e solo
Per ricomporne una difficil lite ,
Ond'ei da molto a gravi sdegni in preda
E di letto e d'amor stansi divisi .
Se con parole ad acchetarli arrivo
E a rannodarne i cuori , io mi son certa
Che sempre avranmi e veneranda e cara.
El'amica del riso Citeréa ,
Non lice , replicò, nè dèssi a quella
Che del tonante Iddio dorme sul petto ,
Far di quanto ella vuol niego veruno.
Disse ; e dal seno il ben trapunto e vago
Cinto si sciolse , in che raccolte e chiuse
Erano tutte le lusinghe. V'era
D'amor la voluttà , v'era il desire
Edegli amanti il favellío segreto,
Quel dolce favellío ch'anco de' saggi
Ruba la mente. In man gliel pose , e disse :
Prendi questo mio cinto in che si chiude
Ogni dolcezza , prendilo, e nel seno
Lo ti nascondi , e tornerai , lo spero,
Tutte ottenute del tuo cor le brame.
L'alma Giuno sorrise , e di contento
Lampeggiando i grand'occhi in quel sorriso ,
Lo si ripose in seno. Alle paterne
Stanze Ciprigna incamminossi : e Giuno
Frettolosa lasciò l' olimpie cime ,
ILIADE v. 275-307
46
E la Pieria sorvolando e i lieti
Emazj campi , le nevose vette
Varcò de' tracj monti , e non toccava
Col piè santo la terra. Indi dell'Ato
Superate le rupi , all'estuoso
Ponto discese , e nella sacra Lenno,
Di Toante città , rattenne il volo.
Ivi al fratello della Morte , al Sonno
N'andò , lo strinse per la mano, e disse :
Sonno, re de' mortali e degli Dei ,
S'unqua mi festi d'un desío contenta ,
Or n'è d'uopo , e saprotti eterno grado.
Tosto ch'io l'abbia fra mie braccia avvinto ,
M'addormenta di Giove , amico Dio,
Le fulgide pupille : ed io d'un seggio
D'auro incorrotto ti farò bel dono,
Che lavoro sarà maraviglioso
Del mio figlio Vulcan , col suo sgabello
Su cui si posi a mensa il tuo bel piede.
Saturnia Giuno, veneranda Dea ,
Rispose il Sonno, agevolmente io posso
Ogni altro iddio sopir, ben anche i flutti
Del gran fiume Oceán di tutte cose
Generatore ; ma il Saturnio Giove
Nè il toccherò nè il sopirò, se tanto
Non comanda egli stesso. I tuoi medesmi
Cenni di questo m'assennår quel giorno
Ch'Ercole il suo gran figlio, Ilio distrutto,
Navigava da Troja. lo su la mente
Dolce mi sparsi dell'Egíoco Giove,
E l'assopíi . Tu intanto in tuo segreto
Macchinando al suo figlio una ruina,
Di fieri venti sollevasti in mare
ν. 308-340 LIBRO XIV . 47
Una negra procella, e lui svïando
Dal suo cammin, spingesti a Coo, da tutti
I suoi cari lontano. Arse di sdegno
Destatosi il Tonante, e per l'Olimpo
Scompigliando i Celesti , in cerca andava
Di me fra tutti , e avría dal ciel travolto
Me meschino nel mar, se l'alma Notte,
De' numi domatrice e de' mortali ,
Non mi campava fuggitivo. Ei poscia
Per lo rispetto della bruna Diva
Placossi. E salvo da quel rischio appena
Vuoi che con esso a perigliarmi io torni ?
Di periglio che parli ? e di che temi ?
Gli rispose Giunon ; forse t'avvisi
Che al par del figlio, per cui sdegno il prese ,
Giove i Teucri protegga ? Or via, mi segui ,
Ch'io la minore delle Grazie in moglie
Ti darò , la vezzosa Pasitéa ,
Di cui so che sei vago e sempre amante.
Giuralo per la sacra onda di Stige ,
Tutto in gran giubilío ripiglia il Sonno;
E l'alma terra d'una man, coll'altra
Tocca del mar la superficie, e quanti
Stansi intorno a Saturno inferni Dei
Testimoni ne sian , che mia consorte
Delle Grazie farai la più fanciulla ,
La gentil Pasitéa cui sempre adoro.
Disse ; e conforme a quel desir giurava
La bianca Diva, e i sotterranei numi
Tutti invocava , che Titani han nome.
Fatto il gran sacramento, abbandonaro
D'Imbro e di Lenno le cittadi , e cinti
Di densa nebbia divorâr la via.
48 ILIADE ν. 341-373
D'Ida altrice di belve e di ruscelli
Giunti alla falda, uscîr della marina
Alla punta Lettéa. Preser leggieri
Del monte la salita, e della selva
Sotto i' lor passi si scotea la cima.
1 Ivi il Sonno arrestossi , e per celarsi
Di Giove agli occhi un alto abete ascese ,
Che sovrana innalzava al ciel la cima .
Quivi s'ascose tra le spesse fronde
In sembianza d'arguto augel montano
Che noi Cimindi , e noman Calci i numi.
Con sollecito piede intanto Giuno
Il Gárgaro salía . La vide il sommo
Delle tempeste adunatore, e pronta
Al cor gli corse l'amorosa hamma ,
Siccome il dì che de' parenti al guardo
Sottrattisi gustar commisti insieme
La furtiva d'amor prima dolcezza.
Si fece incontro alla consorte , e disse :
Giuno, a che vieni dall'Olimpo , e senza
Cocchio e destrieri ? - E a lui la scaltra : Iovado
Dell'alma terra agli ultimi confini
A visitar de numi il genitore
Oceano e Teti , che ne' loro alberghi
Con grande cura m'educar fanciulla.
Vado a comporne la discordia : ei sono
E di letto e d'amor per ire acerbe
Da gran tempo divisi. Alle radici
D'Ida lasciati ho i miei destrier' che ratta
Su la terra e sul mar mi porteranno .
Or qui vengo per te , chè meco irarti
Non dovessi tu poi se taciturna
Del vecchio iddio n'andassi alla magione.
ν. 374-406 LIBRO XIV. 49
Altra volta v'andrai , Giove rispose :
Or si gioisca in amoroso amplesso ;
Chè nè per donna nè per Dea giammai
Mi si diffuse in cor fiamma si viva ;
Non quando per la sposa Issïonéa ,
Che Piritóo, divin senno, produsse,
Arsi d'amor; non quando alla gentile
Figlia d'Acrisio generai Perséo,
Prestantissimo eroe; nè quando Europa
Del divin Radamanto e di Minosse
Padre mi fece. Nè le due di Tebe
Beltà famose Sémele ed Alcmena,
D'Ercole questa genitrice , e quella
Di Bacco de' mortali allegratore ;
Nè Cerere la bionda, nè Latona,
Né tu stessa giammai , siccome adesso,
Mi destasti d'amor tanto disío .
E l'ingannevol Diva : Oh che mai parli ,
Importuno ! Ascoltar vuoi tu d'amore
Le fantasíe qui d'Ida in su le vette
Dove tutto si scorge ? E se qualcuno
Degli Dei ne mirasse , e agli altri Eterni
Conto lo fésse, rientrar nel cielo
Con che fronte ardirei ? Ciò fôra indegno.
Pur se vera d'amor brama ti punge,
Al talamo n'andiam, che il tuo diletto
Figlio Vulcan ti fabbricò di salde
Porte; e quivi di me fa il tuo volere.
Nè d'uom mortale nè d'iddio veruno
Lo sguardo ne vedrà, Giove riprese.
Diffonderotti intorno un'aurea nube
Tal che per essa nè del Sol pur anco
La vista passerà quantunque acuta.
3
ILIADE, Vol. II.
50 ILIADE ν. 407-439
Disse, ed in grembo alla consorte il figlio
Di Saturno s'infuse: e l'alma terra
Di sotto germogliò novelle erbette ,
E il rugiadoso loto e il fior di croco
E il giacinto, che in alto li reggea
Soffice e folto . Qui corcârsi , e densa
Li ricopriva una dorata nube
Che lucida piovea dolce rugiada.
Sul Gárgaro così queto dormía
Giove in braccio alla Dea, preda d'amore
E del soave Sonno, che veloce
Corse alle navi ad avvisarne il nume
Scotitor della Terra ; e a lui venuto,
Con presto favellar, T'affretta , ei disse ,
A soccorrer gli Achivi , o re Nettunno;
E almen per poco vincitor' li rendi
Finchè Giove si dorme . Io lo ricinsi
D'un tenero sopor mentre ingannato,
Dalla consorte , in seno le riposa.
Sparve il Sonno , ciò detto, e de' mortali
Su l'altere città l'ali distese.
Allor Nettunno, d'aïtar bramoso
Più che prima gli Achei , diessi nel mezzo
Alle file di fronte, alto gridando:
Achivi , lascerem di Príamo al figlio
Noi dunque il vanto di novel trionfo,
E la gloria d'averne arse le navi ?
Ei certo lo si crede , e vampo mena,
Perchè d'Achille neghittosa è l'ira.
Ma d'Achille non fia molto il bisogno,
Se noi far opra delle man' sapremo,
E alternarci gli ajuti . Or su , concordi
Seguiam tutti il mio detto. I più sicuri
v.440-472 LIBRO XIV. 5
E grandi scudi , che nel campo siéno,
Imbracciamo, e copriam de' più lucenti
Elmi le teste, e le più lunghe picche
Strette in pugno, marciam : io vi precedo ,
Nè per forte ch'ei sia l'audace Ettorre ,
L'impeto nostro sosterrà. Chiunque
È guerrier valoroso, e di leggiero
Scudo si copre, al men valente il ceda ,
E allo scudo maggior sottentri ei stesso.
Obbedîr tutti al cenno, I re medesmi
Tidíde, Ulisse e Agamennón, sprezzate
Le lor ferite , in ordinanza a gara
Ponean le schiere , e via dell'armi il cambio
Per le file facean; le forti al forte ,
Al peggior le peggiori. E poichè tutti
Di lucido metallo la persona
Ebber coverta , s'avvïår. Nettunno
Li precorrea, nella robusta mano
Sguaïnata portandosi una lunga
Orrenda spada che parea di Giove
La folgore , e mettea nel cor paura.
Misero quegli che la scoutra in guerra !
Dall'altra parte il trojan duce i suoi
Pone ei pure in procinto, e senza indugio
L'illustre Ettorre ed il ceruleo Dio ,
L'uno i Greci incorando e l'altro i Teucri ,
Una fiera attaccâr pugna crudele.
Gonfiasi il mare , e i padiglioni innonda
E gli argivi navigli , e con immenso
Clamor si viene delle schiere al cozzo .
Non così la marina onda rimugge
Dal tracio soffio flagellata al lido ;
Non cosi freme il foco alla montagna
52 ILIADE v. 473-505
Quando va furibondo a divorarsi
L'arida selva; nè d'eccelsa quercia
Rugge si fiero fra le chiome il vento,
Come orrende de' Teucri e degli Achei
Nell'assalirsi si sentían le grida.
Contro Ajace , che voltagli la fronte ,
Scaglia Ettorre la lancia , e lo colpisce
Ove del brando e dello scudo il doppio
Balteo sul petto si distende ; e questo
Dal colpo lo salvò. Visto uscir vano
Ettore il telo , di rabbia fremendo
In securo fra' suoi si ritraea.
Mentr'ei recede , il gran Telamoníde
Ad un sasso, de' molti che ritegno
Delle navi giacean sparsi pel campo
De' combattenti al piè , dato di piglio,
L'avventò , lo rotò come paleo ,
E sul girone dello scudo al petto
L'avversario feri. Con quel fragore
Che dal foco di Giove fulminata
Giù ruina una quercia , e grave intorno
Pel grave zolfo si diffonde il puzzo ,
L'arator, che cadersi accanto vede
La folgore tremenda , imbianca e trema :
Così stramazza Ettór; l'asta abbandona
La man , ma dietro gli va scudo ed elmo ,
E rimbombano l'armi sul caduto.
V'accorsero con alti urli gli Achei ,
Strascinarlo sperandosi , e di strali
Lo tempestando ; ma nessun ferirlo
Poteo , chè ratti gli fér serra intorno
I più valenti , Enea , Polidamante ,
Agénore , e de' Licj il condottiero
v. 506-538 LIBRO XIV. 53
Sarpedonte con Glauco, e nullo in somma
De' suoi l'abbandonò , ch'altri gli scudi
Gli anteposero , e lunge altri dall'armi
L'asportar su le braccia a' suoi veloci
Destrier' che fuori della pugna a lui
Tenea pronti col cocchio il fido auriga .
Volar questi , e portar l'eroe gemente
Verso l'alta città ; ma giunti al guado
Del vorticoso Xanto , ameno fiume
Generato da Giove , ivi dal carro
Posârlo a terra , gli spruzzâr di fresca
Onda la fronte, ed ei rinvenne , e aperte
Girò le luci intorno , e sui ginocchi
Suffulto, vomitò sangue dal petto .
Ma di nuovo all'indietro in sul terreno
Riversossi ; e coll'alma ancor dal colpo
Doma oscurarsi all' infelice i lumi .
Gli Achei , veduto uscir del campo Ettorre ,
Si fèr più baldi addosso all'inimico ,
E primo Ajace d'Orléo d'assalto
Satnio feri , che Naïde gentile
Ad Enopo pastor lungo il bel fiume
Satnïoente partorito avea.
Locolpi coll'acuta asta il veloce
Oilfde nel lombo; ei resupino
Si versò nella polve, e intorno a lui
Più che mai fiera si scaldò la zuffa.
A vendicar l'estinto oltre si spinge
Polidamante , e tale a Protenorre ,
Figliuol d'Arëilíco un colpo libra ,
Che tutto la gagliarda asta gli passa
L'omero destro. Ei cadde , e il suol sanguigno
Colla palma ghermi. Sovra il caduto
54 ILIADE v. 539-571
Menò gran vanto il vincitor, gridando:
Dalla man del magnanimo Pantíde
Non uscì , parmi , indarno il telo , e certo
Lo raccolse nel corpo un qualche Acheo
Che appoggiato a quell'asta or scende a Pluto.
Feri gli Achivi di dolor quel vanto ;
Più che tutti feri l'alma del grande
Telamoníde , al cui fianco caduto
Era quel prode. E tosto al borïoso ,
Che indietro si traea , la folgorante
Asta scaglio. Polidamante a tempo
Schivò la morte con un salto obliquo ;
E ricevella (degli Dei tal era
L'aspro decreto) l'antenoréo figlio
Archíloco. Lo colse il fatal ferro
Alla vertebra estrema , ove nel collo
S'innesta il capo , e ne precise il doppio
Tendine. Ei cadde , e del meschin la testa ,
Colla bocca davanti e le narici ,
Prima a terra n'ando , che la persona.
Alto allora a quel colpo Ajace esclama :
Polidamante , oh ! guarda , e dinue il vero ,
Non val egli Proténore quest'altro
Ch'io qui posi a giacer ? Ned ei mi sembra
Mica de' vili , nè d'ignobil seme ,
Ma d'Anténore un figlio , o suo germano ;
Sì n'ha l'impronta della razza in viso .
Cosi parlava infinto, conoscendo
Ben ei l'ucciso. Addolorarsi i Teucri ;
Ma del fratello vindice Acamante
A Prómaco beózio , che l'estinto
Traea pe' piedi , fulminò di lancia
Tale un súbito colpo, che lo stese.
. 572-604 LIBRO XIV . 55
Alto allor grida l'uccisor superbo :
O voi guerrieri da balestra, e forti
Sol di minacce ! e voi pur anco , Argivi ,
Morderete la polve, e non såremo
Noi soli al lutto. Dalla mia man domo
Mirate di che sonno or dorme il vostro
Prómaco , e paga del fratello mio
Tosto lo sconto ! Perciò preghi ognuno
Di lasciar dopo sè vendicatore
Di sua morte un fratel nel patrio tetto.
Destò quel vanto negli Achei lo sdegno :
Sovra ogni altro crucciossi il bellicoso
Peneléo . Si scagliò questi con ira
Contro Acamante che del re l'assalto
Non attese ; ed il colpo a lui diretto
Ilionéo percosse , unica prole
Di Forbante che ricco era di molto
Gregge; e Mercurio , che d'assai l'amava ,
Di dovizie fra' Troi l'avea cresciuto.
Il colse Peneléo sotto le ciglia
Dell'occhio alla radice , e la pupilla
Schizzandone passar l'asta gli fece
Via per l'occhio alla nuca. Ilionéo
Assiso cadde colle man' distese :
Ma stretta Peneléo l'acuta spada ,
Gli recise le canne , e il mozzo capo ,
Coll'elmo e l'asta ancor nell'occhio infissa,
Gli mandò nella polve. Indi l'alzando
Languente in cima alla picca e cadente
Come lasso papavero, ai nemici
Lo mostra, e altero esclama: In nome mio
Dite , o Teucri , del chiaro Ilionéo
Ai genitor', che per la casa innalzino
56 ILIADE LIBRO XIV. .605-628
Il funebre ulular, da che nè pure
Di Prómaco, figliuol d'Alegenorre,
La consorte potrà del caro aspetto
Del marito gioir quando da Troja
Farem ritorno alle paterne rive.
Sì disse , e tutti impallidir di tema ,
E col guardo ciascun giva cercando
Di salvarsi una via. Celesti Muse ,
Or voi ne dite chi primier le spoglie
Cruente riportò , poi che agli Achivi
Fe' piegar la vittoria il re Nettunno.
Primiero Ajace Telamónio uccise
De' forti Misj il duce Irzio Girtíde :
Antíloco spogliò Falce e Merméro :
Da Merïon fu spento Ippozïone
Con Mori : a Protoone e Perifete
Teucro diè morte : Menelao nel ventre
Iperénore colse , e dalla piaga
Tutte ad un tempo uscir le lacerate
Intestina e la vita. Altri più molti
Ne spense Ajace d'Oïléo ; chè nullo
Ratto al paro di lui gli spaventati
Fuggitivi inseguia , quando ne' petti
Della fuga il terror Giove mettea.
ILIADE
LIBRO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO
Giove si risveglia. Egli vede i Greci che , ajutati
da Nettunno , mettono in rotta i Trojani . Garrisce
la consorte. Parole della Dea nel consesso dei Nu-
mi. Iride è mandata da Giove a richiamare Net-
tunno dalla battaglia. Apollo , per volere del pa
dre , scende a ravvivare le forze di Ettore. Lo
stesso Iddio precede l'eroe nel combattimento e
rovescia gli avanzi del muro. Terribile pugna in-
nanzi alle navi. Ajace colla sua lancia tiene lontani
Ettore ed i Trojani , che sono sul punto di met
tere il fuoco nelle navi medesime .
Ma poichè il vallo superaro e il fosso ,
Con molti di lor strage , i fuggitivi
Nel viso smorti di terror fermârsi
Ai võti cocchi ; e Giove in quel momento
Sull'Ida risvegliossi accanto a Giuno.
Surse , stette , e gli Achei vide e i Trojani ,
Questi incalzati , e quei coll'aste a tergo
Incalzanti , e tra loro il re Nettunno .
Vide altrove prostrato Ettore , e intorno
Stargli i compagni addolorati , ed esso
Del sentimento uscito , e dall'anelo
Petto a gran pena traendo il respiro
3*
,
58 ILIADE ν. 33-45
Nero sangue sboccar ; chè non l'avea
Certo il più fiacco degli Achei percosso.
Pietà sentinne nel vederlo il padre
De' mortali e de' numi , e con obliquo
Terribil occhio guatò Giuno , e disse :
Scaltra malvagia , la sottil tua frode
Dalla pugna cessar fe' il divo Ettorre ,
E i Trojani fuggir. Non so perch' io
Or non t'afferri , e col flagel non faccia
A te prima saggiar del dolo il frutto.
E non rammenti il dì ch'ambe le mani
D'aureo nodo infrangibile t'avvinsi ,
E alla celeste volta con due gravi
Incudi al piede penzolon t'appesi ?
Fra l'atre nubi nell' immenso vôto
Tu pendola ondeggiavi , e per l'eccelso
Olimpo ne fremean di rabbia i Numi ,
Ma sciorti non potean; chè qual di loro
Afferrato io m'avessi , già dal cielo
L'avrei travolto semivivo in terra .
Nè ciò tutto quetava ancor la bile
Che mi bollía nel cor , quando , commosse
D'Ercole a danno le procelle e iventi,
Tu pel mar l'agitasti , e macchinando
La sua rovina lo svïasti a Coo ,
Donde io salvo poi trassi il travagliato
Figlio , e in Argo il raddussi . Ora di queste
Cose ben io farò che ti sovvegna ,
Onde svezzarti dagl' inganni , e tutto
Il pro mostrarti de' tuoi falsi amplessi.
Raccapricciò d'orror la veneranda
Giuno a que' detti , e: Il ciel , la terra attesto
(Diessi a gridare) e il sotterraneo Stige ,
v. 46-78 LIBRO XV. 5g
Che degli Eterni è il più tremendo giuro ,
Ed il sacro tuo capo , e l'illibato
D'ogni spergiuro marital mio letto :
Se agli Achivi soccorse e nocque ai Teucri
Il re Nettunno , non fu mio consiglio ,
Madel suo cor spontaneo moto , e piéta
De' mal condotti Argivi . Esorterollo
Anzi io stessa a recarsi , ovunque il chiami ,
Terribile mio sire , il tuo comando.
Sorrise Giove , e replicò : Se meco
Nel senato de' numi , augusta Giuno ,
In un solo voler consentirai ,
Consentiravvi (e sia diversa pure
La sua mente) ben tosto anco Nettunno.
Or tu , se brami che per prova io vegga
Sincero il tuo parlar, rimonta in cielo ,
E qua m'invía sull'Ida Iri ed Apollo.
Iri nel campo degli Achei discesa
A Nettunno farà l'alto precetto
D'abbandonar la pugna , e di tornarsi
Ai marini soggiorni. Apollo all'armi
Ettore desterà , novello in petto
Spirandogli vigor, si che sanato
D'ogni dolore fra gli Achei di nuovo
Sparga la vile paurosa fuga ,
Egl'incalzi così che fra le navi
Cadan , fuggendo , del Pelíde Achille.
Questi allor nella pugna il suo diletto
Pátroclo manderà , che morta in campo
Molta nemica gioventù col divo
Mio figlio Sarpedon , morto egli stesso
Cadrà , prostrato dall'ettórea lancia.
Dell'ucciso compagno irato Achille
60 ILIADE *.79-118
Spegnerà l'uccisore , e da quel punto
Farò che sempre sian respinti i Teucri ,
Finchè per la divina arte di Palla
Il superbo Ilion prendan gli Achei.
Nè l'ire io deporrò , nè che veruno
Degli Dei qui l'argive armi soccorra
Sosterrò , se d'Achille in pria non veggo
Adempirsi il desío. Cosi promisi ,
E le promesse confermai col cenno
Del mio capo quel dì che i miei ginocchi
Teti abbracciando , d'onorar pregommi
Coll'eccidio de' Greci il suo gran figlio.
Disse , e la Diva dalle bianche braccia
Obbedïente dall' idéa montagna
All'Olimpo sali. Colla prestezza
Con che vola il pensier del vïatore ,
Che scorse molte terre le rïanda
In suo secreto, e dice : Io quella riva ,
Io quell'altra toccai : colla medesma
Rattezza allor la veneranda Giuno
Volò dall'Ida sull'eccelso Olimpo ,
E sopravvenne agl'Immortali , accolti
Nelle stanze di Giove . Alzârsi i numi
Tutti al vederla , e coll'ambrosie tazze
L'accolsero festosi. Ella , negletta
Ogni altra offerta , la man porse al nappo
Appresentato dalla bella Temi
Che primiera a incontrar corse la Dea ,
Così dicendo : Perchè riedi , o Giuno ?
Tu ne sembri atterrita. Il tuo consorte
N'è forse la cagion? - Non dimandarlo ,
Giuno rispose, Quell'altero e crudo
Suo cor tu stessa già conosci , o Diva.
1.112-144 LIBRO XV . 6г
Presiedi ai nostri almi convivj , e tosto
Qui con tutti i Celesti udrai di Giove
Gli aspri comandi che per mio parere
De' mortali fra poco e degli Dei
Le liete mense cangeranno in lutto .
Tacque, e s'assise. Contristarsi in cielo
I sempiterni; e Giuno un cotal riso
A fior di labbro apri , ma su le nere
Ciglia la fronte non tornò serena.
Ruppe alfin disdegnosa in questi detti :
Oh noi dementi ! Inetta è la nostr' ira
Contra Giove , o Celesti , e il faticarci
Con parole a frenarlo o colla forza
È vana impresa. Assiso egli sull'Ida ,
Nè gli cale di noi nè si rimove
Dal suo proposto , chè gli Eterni tutti
Di fortezza ei si vanta e di possanza
Immensamente superar. Soffrite
Quindi in pace ogni mal che più gli piaccia
Invïarvi a ciascuno. E a Marte , io credo,
Il suo già tocca: Ascálafo, il più caro
D'ogni mortale al poderoso iddio
Che proprio sangue lo confessa , è spento.
Si battè colle palme la robusta
Anca Gradivo , e in suon d'alto dolore
Gridò : Del cielo cittadini eterni ,
Non mi vogliate condannar, s' io scendo
L'ucciso figlio a vendicar, dovesse
Steso fra morti il fulmine di Giove
Là tra il sangue gittarmi e tra la polve .
Disse ; e alla Fuga impose e allo Spavento
D'aggiogargli i destrieri ; e di fiammanti
Armi egli stesso si vestiva. E allora
62 ILIADE μ. 145-178
Di ben altro furor contro gli Dei
Di Giove acceso si sarebbe il core ,
Se per tutti i Celesti impaurita
Non si spiccava dal suo trono, e ratta
Fuor delle soglie non correa Minerva
A strappargli di fronte il rilucente
Elmo e lo scudo dalle spalle ; e a forza
Toltagli l'asta dalla man gagliarda ,
La ripose , e il garri : Cieco furente ,
Tu se' perduto. Per udir non hai
Tu più dunque gli orecchi , e in te col senno
Spento è pure il pudor ? Dell'alma Giuno ,
Ch'or vien da Giove , non intendi i detti ?
Vuoi tu forse , insensato, esser costretto
A ritornarti doloroso al cielo,
Fatto di molti mali un rio guadagno ,
E creata a noi tutti alta sciagura ?
Perciocchè , de' Trojani e degli Achei
Abbandonate le contese, ei tosto
Risalendo all'Olimpo, in iscompiglio
Metterà gl'Immortali , ed afferrando
L'un dopo l'altro, od innocenti o rei ,
Noi tutti punirà. Del figlio adunque
La vendetta abbandona , io tel comando ;
Ch'altri di lui più prodi o già periro
O periranno. Involar tutta a morte
De' mortali la schiatta è dura impresa.
Si dicendo , al suo seggio il violento
Dio ricondusse. Fuor dell'auree soglie
Giuno intanto a sè chiama Apollo ed Iri
La messaggiera , e lor presta si parla :
Ite , Giove l' impon, veloci all' Ida ;
Arrivati colà fissate il guardo
In quel volto , e ne fate ogni volere.
. 179-211 LIBRO XV . 63
Ciò detto; indietro ritornò l'augusta
Giuno , e di nuovo si compose in trono.
Quei mossero volando , e su l'altrice
Di fontane e di belve Ida discesi ,
Di Saturno trovar l'onniveggente
Figlio sull'erto Gârgaro seduto;
E circonfusa intorno il coronava
Un'odorosa nube. Essi del grande
Di nembi adunator giunti al cospetto ,
Fermarsi : e satisfatto egli del pronto
Loro obbedir della consorte ai detti ,
Ad Iri in prima il favellar rivolto ,
Va , disse , Iri veloce , e al re Nettunno
Nunzia verace il mio comando esponi.
Digli che il campo ei lasci e la battaglia ,..
E al ciel si torni o al mar. Se il cenno mio
Ribelle sprezzerà , pensi ben seco
Se, benchè forte , s'avrà cor che basti
A sostener l'assalto mio : ricordi
Che primo io nacqui , e che di forza il vinco ,
Quantunque egli osi a me vantarsi eguale ,
A me che tutti fo tremar gli Dei.
Obbedi la veloce Iri , e discese
Dalle montagne idée. Come sospinta
Dal fiato d'aquilon serenatore
Dalle nubi talor vola la neve
O la gelida grandine : a tal guisa
D'Ilio sui campi con rapido volo
Iri calossi , e al divo Enosigéo
Fattasi innanzi , così prese a dire:
Ceruleo Nume , messaggiera io vegno
Dell' Egíoco signore. Ei ti comanda
D'abbandonar la pugna , e di far tosto
64 ILIADE ν. 212-245
O agli alberghi celesti o al mar ritorno.
Se sprezzi il cenuo , ed obbedir ricusi ,
Minaccia di venirne egli medesmo
Teco a battaglia. Ti consiglia quindi
D'evitar le sue mani ; e ti ricorda
Ch'ei d'etade è maggiore e di fortezza ,
Quantunque egual vantarti oso tu sia
A lui che mette agli altri Dei terrore.
Arse d'ira Nettunno , e le rispose :
Ch'ei sia possente il so ; ma sue parole
Sono superbe , se forzar pretende
Me suo pari in onor. Figli a Saturno
Tre germani siam noi da Rea produtti ,
Primo Giove , io secondo , e terzo il sire
Dell' inferno Pluton. Tutte divise
Fur le cose in tre parti, e a ciascheduno
Il suo regno sorti. Diede la sorte
L'imperio a me del mar, dell'ombre a Pluto,
Del cielo a Giove negli aerei campi
Soggiorno delle nubi. Olimpo e Terra
Ne rimaser comuni , e il sono ancora.
Non farò dunque il suo voler; si goda
Pur la sua forza , ma si resti cheto
Nel suo regno , nè tenti or colla destra
Come un vile atterrirmi. Alle fanciulle ,
Ai bamboli suoi figli il terror porti
Di sue minacce , e meglio fia. Tra questi
Almen si avrà chi a forza l'obbedisca.
Dio del mar , la veloce Iri soggiunse ,
Questa dunque vuoi tu che a Giove io rechi
Dura e forte risposta ? e raddolcirla
In parte almeno non vorrai ? De' buoni
Pieghevole è la mente ; e chi primiero
Nacque , ha ministre', tu lo sai , l'Erinni. -
♡. 246-278 LIBRO XV. 65
Tu parli , o Diva , il ver , l'altro riprese:
E gran ventura è messaggier che avvisa
Ciò che più monta. Ma di sdegno avvampa
Il cor quand' egli minaccioso oltraggia
Me suo pari di grado e di destino.
Pur questa volta porrò freno all' ira ,
E cederò. Ma ben vo ' dirti io pure
(E dal cor parte la minaccia mia ),
Se Giove, a mio dispetto e di Minerva
E di Giuno e d'Ermete e di Vulcano ,
Risparmierà dell'alto Ilio le torri ,
Nè atterrarle vorrà, nė darne intera
La vittoria agli Achei , sappia che questo
Fia tra noi seme di perpetua guerra.
Lasciò , ciò detto , il campo e in mar s'ascose,
E ne sentiro la partenza in petto
I combattenti Achei. Si volse allora
Giove ad Apollo , e disse : Or vanne , o caro ,
Al bellicoso Ettor . Lo scotitore
Della terra evitando il nostro sdegno
Fe' ritorno nel mar. Se ciò non era ,
Della pugna il rimbombo avría ferito
Anche l'orecchio degl' inferni Dei
Stanti intorno a Saturno. Ad ambedue
Me' però torna che schivato egli abbia ,
Fatto più senno , di mie mani il peso ;
Perchè senza sudor la non saría
Certo finita. Or tu la fimbriata
Egida imbraccia, e forte la percoti ,
E spaventa gli Achei . Cura ti prenda ,
O Saettante , dell' illustre Ettorre ,
E tal ne' polsi valentía gli metti ,
Ch'egli fino alle navi e all'Ellesponto
66 ILIADE ν. 279-311
Cacci in fuga gli Achivi. Allor la via
Troverò che i fuggenti abbian respiro.
Obbedi pronto Apollo , e dall' idéa
Cima disceso , simile a veloce
Di colombi uccisor forte sparviero
De' volanti il più ratto , al generoso
Prïamide n'andò. Dal suol già surto
E risensato il nobile guerriero
Sedea , ripresa degli astanti amici
- La conoscenza : perocchè , dal punto
Che in lui di Giove s'arrestò la mente ,
L'anelito cessato era e il sudore.
Stettegli innanzi il Saettante , e disse :
Perchè lungi dagli altri e sì spossato ,
Ettore siedi ? e che dolor ti opprime?
E a lui con fioca e languida ſavella
Di Príamo il figlio : Chi se' tu che vieni ,
Ottimo nume , a interrogarmi ? Ignori
Che il forte Ajace , mentre che de' suoi
Alle navi io facea strage , mi colse
D'un sasso al petto , e tolsemi le forze ?
Già l'alma errava su le labbra; e certo
Di veder mi credetti in questo giorno
L'ombre de' morti e la magion di Pluto.
Fa cor , riprese il Dio : Giove ti manda
Soccorritore ed assistente il sire
1
Dell'aurea spada, Apolline. Son io
Che te finor protessi e queste mura.
Or via , sveglia il valor de numerosi
Squadroni equestri , ed a spronar gli esorta
Verso le navi i corridori. Io poscia
Li precedendo spianerò lor tutta
La strada , e fugherò gli achivi eroi .
ν. 312-344 LIBRO XV. 67
Disse , ed al duce una gran forza infuse
Come destrier di molto orzo in riposo
Alle greppie pasciuto , e nella bella
Uso a lavarsi correntía del fiume ,
Rotti i legami , per l'aperto corre
Insuperbito , e con sonante piede
Batte il terren ; sul collo agita il crine ,
Alta estolle la testa , e baldanzoso
Di sua bellezza , al pasco usato ei vola
Ove amor d'erbe il chiama e di puledre :
Tale , udita del Dio la voce , Ettorre
Move rapidi i passi , inanimando
I cavalieri. Ma gli Achei , siccome
Veltri e villani che un cornuto cervo
Inseguono , o una damma a cui fa schermo
Alto dirupo o densa ombra di bosco ,
Poichè lor vieta di pigliarla il fato;
Se a lor grida s'affaccia in su la via
Un barbuto leon colle sbarrate
Mascelle orrende , incontanente tutti ,
Benchè animosi , volgono le terga :
Così agli Achei , che stretti infino allora
Senza posa inseguito aveano i Teucri
Colle lance ferendo e colle spade ,
Visto aggirarsi tra le file Ettorre ,
Cadde a tutti il coraggio. Allor si mosse
Toante Andremoníde , il più gagliardo
Degli etóli guerrieri . Era costui
Di saetta del par che di battaglia
A piè fermo perito , e degli Achivi
Pochi in arringhe lo vincean , se gara
Fra giovani nascea nella bell'arte
Del diserto parlar. - Numi ! qual veggo
68 ILIADE 9. 345-377
Gran prodigio ? (dicea questo Toante)
Dalla Parca scampato e di bel nuovo
Risurto Ettorre ! E speravam noi tutti
Che per la man d'Ajace egli giacesse.
Certo qualcuno de' Celesti i giorni
Preservò di costui , che molti al suolo
Degli Achivi già stese , e molti ancora
Ne stenderà , mi credo ; chè non senza
L'altitonante Giove egli sì franco
Alla testa de' Teucri è ricomparso.
Tutti adunque seguiamo il mio consiglio.
La turba ai legni si raccosti ; e noi ,
Quanti del campo achivo i più valenti
Ci vantiamo , stiam fermi , e coll'alzate
Aste vediam di repulsarlo. Io spero
Che quantunque animoso , ei nella calca
Entrar non ardirà di scelti eroi.
Disse , e tutti obbedîr volonterosi.
Ambo gli Ajaci e Teucro e Idomenéo
EMerïone e il marzïal Megéte
Convocando i migliori in ordinanza
Contro i Teucri ed Ettor poser la pugna.
Verso le navi intanto s'avvïava
De' men forti la turba. Allor primieri
E serrati fèr impeto i Trojani.
Li precede a gran passi camminando
L'eccelso Ettorre , e lui precede Apollo ,
Che di nebbia i divini omeri avvolto
L'irta di fiocchi , orrenda , impetuosa
Egida tiene , di Vulcano a Giove
Ammirabile dono , onde tonando
I mortali atterrir. Con questa al braccio
Guidava i Teucri il Dio contro gli Achei
1
9. 378-410 LIBRO XV . 69
Che stretti insieme n'attendean lo scontro .
Surse allor d'ambe parti un alto grido .
Dai nervi le saette , e dalle mani
Vedi l'aste volar , altre nel corpo
De' giovani guerrieri , altre nel mezzo ,
Pria che il corpo saggiar , piantarsi in terra
Di sangue sitibonde. Infin che immota
Tenne l'egida Apollo , egual fu d'ambe
Parti il ferire ed il cader. Ma come
Dritto guardando l'agitò con forte
Grido sul volto degli Achei , gelossi
Ne' lor petti l'ardire e la fortezza .
Qual di bovi un armento o un pieno ovile
Incustodito , all'improvviso arrivo
Di due belve notturne si scompiglia ;
Cosi gli Achivi costernârsi ; e Apollo
Fra lor spargeva lo spavento , i Teucri
Esaltando ed Ettorre. Allor turbata
L'ordinanza , seguía strage confusa.
Ettore Sticlco uccide e Arcesilao ,
Questi a' Beozi capitano, e quegli
Un compagno fedel del generoso
Menestéo. Per le man' poscia d'Enea
Jaso cade e Medonte. Era Medonte
Del divino Oïléo bastardo figlio
Ed'Ajace fratel ; ma morto avendo
Un diletto german della matrigua
Eriopíde d'Oïléo mogliera ,
Dalla paterna terra allontanato
In Filace abitava. Attico duce
Era Jaso, e figliuol detto venía
Del Bucolide Sfelo . A Mecistéo
Polidamante nelle prime file
70 ILIADE ν. 411-443
Tolse la vita ; ad Echïon Políte ,
Ed Agénore a Clónio. A Deijóco,
Tra quei di fronte in fuga võlto , al tergo
Vibra Paride l'asta e lo trafigge.
Mentre l'armi rapían questi agli uccisi,
Giù nell' irto di pali orrendo fosso
Precipitando i fuggitivi Achei
D'ogni parte correan, dalla crudele
Necessità sospinti , entro il riparo
Della muraglia : ed alto alle sue schiere
Gridava Ettorre di lasciar le spoglie
Sanguinolente , e sul navile a gitto
Piombar : Qualunque scorgerò ristarsi
Dalle navi lontan , di propria mano
L'ucciderò , nè morto il metteranno
Su la pira i fratei nè le sorelle ,
Ma innanzi ad Ilio strazieranlo i cani .
Si dicendo, sonar fe' su le groppe
De' cavalli il flagello, e li sospinse
Per le file , animando ogni guerriero .
Dietro al lor duce minacciosi i Teucri
Con immenso clamor drizzaro i cocchi.
Iva Apollo davanti ; e col leggiero
Urto del piede lo ciglion del cupo
Fosso abbattendo il riversò nel mezzo,
E ad imago di ponte un'ampia strada
Spianovvi , e larga come d'asta il tiro ,
Quando a far di sue forze esperimento
Un lanciator la scaglia. Essi a falangi
Su questa via versavansi ; ed Apollo
Sempre alla testa , sollevando in alto
L'egida orrenda, degli Achivi il muro
Atterrava con quella agevolezza
❤. 444-476 LIBRO XV. 71
Che un fanciullo talor lungo la riva
Del mar per gioco edifica l'arena ,
E per gioco co' piedi e colle mani
Poco poi la rovescia e la rimesce.
Tale tu, Febo arcier, l'opra in che tanto
Sudar gli Achivi , dispergesti , e loro
Del gelo della fuga empiesti il petto.
Così spinti fermarsi appo le navi ,
E a vicenda incuorandosi , e le mani
Ai numi alzando, ognun porgea gran voti .
Ma più che tutti , degli Achei custode ,
11 Gerénio Nestorre allo stellato
Cielo le palme sollevando orava :
Giove padre, se mai nelle feconde
Piagge argive o di tauri o d'agnellette
Sacrifici offerendo ti pregammo
Di felice ritorno, e tu promessa
Ne festi e cenno, or deh ! il ricorda , e lungi ,
Dio pietoso , ne tieni il giorno estremo ,
Nè voler sì da' Troi domi gli Achivi.
Cosi pregava. L'udi Giove , e forte
Tuond. Ma i Teucri dell'Egíoco Sire
Udito il segno si scagliar più fieri
Contro gli Achivi , ed incalzar la pugna.
Come del mar turbato un vasto flutto
Da furia boreal cresciuto e spinto
Kugge e sormonta della nave i fianchi ;
Tali i Teucri con alti urli saliro
La muraglia, e , cacciati entro i cavalli ,
Coll'aste incominciar sotto le poppe
Un conflitto crudel , questi su i cocchi ,
Quei sul bordo de' legni colle lunghe ,
Che dentro vi giacean , stanghe commesse ,
ILIADE
72 v. 477-509
Ed al bisogno di naval battaglia
Accomodate colle ferree teste .
Finchè fuor del navile intorno al muro
Arse de' Teucri e degli Achei la pugna ,
Del valoroso Eurípilo si stette
Patroclo nella tenda , e ragionando
Il ricreava , e sull'acerba piaga
Dell'amico, a placarne ogni dolore ,
Obblivïosi farmaci spargea.
Ma tosto che mirò su l'arduo muro
Saliti a furia i Teucri , e l'urlo surse
Degli Achivi e la fuga , in lai proruppe ,
E battendosi l'anca , Ohime! diss'egli
In suono di lamento , una feroce
Mischia là veggo. Non mi lice , Eurípilo,
All'uopo che pur n'hai , teco indugiarıni
Più lungamente : asisteratti il servo ;
Io ne volo ad Achille , onde eccitarlo
Alla pugna. Chi sa ? forse un propizio
Nume darammi che mia voce il tocchi ;
Degli amici il pregar va dolce al core.
Così detto , volò. Gli Achivi intanto
Fermi de' Teucri sostenean l'assalto;
Ma dalle navi non sapean , quantunque
Di numero minori , allontanarli ;
Nè i Trojani potean romper de' Greci
Le stipate falangi , e insinuarsi
Tra le navi e le tende. E a quella guisa
Che in man di fabbro da Minerva istrutto ,
Il rigo una naval trave pareggia ,
Così de' Teucri egual si diffondea
E degli Achei la pugna ; ed altri a questa
Nave attacca la zuffa, ed altri a quella.
. 510-542 LIBRO XV. 73
Ma contro Ajace dispiccato Ettorre ,
Intorno ad un sol legno ambo gli eroi
Travagliansi , nè questi era possente
A fugar quello e il combattuto pino
Incendere , nè quegli a tener lunge
Questo , chè un nume ve l'avea condotto.
Colpi coll'asta il Telamónio allora
Caletore di Clízio in mezzo al petto ,
Mentre alle navi già venía col foco.
Rimbombò nel cadere , e dalla mano
Cascogli il tizzo . Come vide Ettorre
Riverso nella polve anzi alla poppa
Il consobrino , alzò la voce , e i suoi
Anirnando gridò : Licj , Trojani ,
Dárdani bellicosi , ah dalla pugna
Non ritraete in questo stremo il piede!
Deh non patite che di Clízio il figlio ,
Da valoroso nel pugnar caduto,
Sia dell'armi dispoglio. - E si dicendo
Ajace saettò colla fulgente
Lancia , ma in fallo ; e Licofron percosse
Di Mastore figliuol che reo di sangue
Dalla sacra Citera esule venne
Al Telamónio , e v'ebbe asilo , e poscia
Suo scudiero il seguì. Lo giunse il ferro
Nella testa , da presso al suo signore,
Sul confin dell'orecchia , e dalla poppa
Resupino il travolse nella polve.
Raccapriccionne Ajace , e a Teucro disse :
Caro fratel, n'è spento il fido amico
Mastoride che noi ne' nostri tetti
Da Citera ramingo in pregio avemmo
Quanto i diletti genitor' : l'uccise
ILIADE , Vol. 11. 4
ILIADE v. 543-575
74
Ettore. Dove or son le tue mortali
Frecce , e quell'arco tuo, dono d'Apollo ?
L'udi Teucro , e veloce a lui ne venne
Coll'arco e la faretra , e via ne' Troi
Dardeggiando feri di Pisenorre
Clito illustre figliuol , caro al Pantíde
Polidamante , a cui de' corridori
Reggea le briglie. Or mentre che bramose
Di mertarsi d'Ettorre e de' Trojani
E la grazia e la lode , ove dell'armi
Lo scompiglio è maggior spinge i cavalli ,
Malgrado il presto suo girarsi il giunse
L'inevitabil suo destin ; chè il dardo
Lagrimoso gli entrò dentro la nuca.
Cadde il trafitto ; s'arretrar turbati
I destrieri scotendo il vôto cocchio
Orrendamente. Ma v'accorse pronto
Di Panto il figlio , che parossi innanzi
Ai frementi corsieri ; e ad Astinóo
Di Protaon fidandoli , con molto
Raccomandar lo prega averli in cura
E seguirlo vicin. Ciò fatto , il prode
Riede alla zuffa , e tra i primier' si mesce.
Pose allor Teucro un altro dardo in cocca
Alla mira d'Ettorre , e qui ſinita
Tutta alle navi si saría la pugna ,
Se al fortissimo eroe togliea l'acerbo
Quadrel la vita. Ma lo vide il guardo
Della mente di Giove , che d' Ettorre
Custodía la persona , e privo fece
Di quella gloria il Telamónio Teucro;
Chè il Dio, nell'atto del tirar, gli ruppe
Del bell'arco la corda , onde svïossi
v. 576-608 LIBRO XV . 75
Il ferreo strale , e l'arco di man cadde.
Inorridito si rivolse Teucro
Al suo fratello, e disse: Ohimè ! precise.
Della nostra battaglia un Dio per certo
Tutta la speme, un Dio che dalla mano
L'arco mi scosse, e il nervo ne diruppe
Pur contorto di fresco, e ch' io medesmo
Gli adattai questa mane , onde il frequente
Scoccar de' dardi sostener potesse.
O mio diletto, gli rispose Ajace,
Poichè l'arco ti franse un Dio, nemico
Dell'onor degli Achivi , al suolo il lascia
Con esso le saette ; e l'asta impugna
E lo scudo, e co' Teucri entra in battaglia ,
Ed agli altri fa core ; onde , se prese
Esser denno le navi , almen non sia
Senza fatica la vittoria. Ad altro
Non pensiam dunque che a pugnar da forti.
Corse Teucro alla tenda , e vi ripose
L'arco, e preso un brocchier che avea di quattro
Falde il tessuto , un elmo irto d'equine
Chiome al capo si pose ; e orribilmente
N'ondeggiava la cresta. Indi una salda
Lancia impugnata, a cui d'acuto ferro
Splendea la punta , s'avvïò veloce ,
E raggiunse il fratello. Intanto Ettorre ,
Viste cader di Teucro le saette ,
Le sue schiere incuorando , alto gridava :
Teucri , Dardani , Licj , ecco il momento
D'esser prodi , e mostrar fra queste navi
Il valor vostro , amici. Infrante ha Giove
D'un gran nemico (con quest'occhi il vidi)
Le funeste quadrella. Agevolmente
76 ILIADE ν. 609-641
Si palesadel Dio l'alta possanza ,
Sia ch'esalti il mortal , sia che gli piaccia
Abbassarne l'orgoglio , e l'abbandoni :
Siccome appunto degli Achivi or doma
La baldanza , e le nostre armi protegge.
Pugnate adunque fortemente , e stretti
Quelle navi assalite. Ognun che côlto
O di lancia o di stral trovi la morte ,
Del suo morir s'allegri . È dolce e bello
Morir pugnando per la patria , e salvi
Lasciarne dopo sè la sposa , i figli
E la casa e l'aver , quando gli Achei
Torneran navigando al patrio lido.
Fur quei detti una fiamma ad ogni core.
Dall'una parte i suoi conforta anch'esso
Ajace , e grida : Argivi , o qui morire ,
O le navi salvar . Se fia che alfine
Il nemico le pigli , a piè tornarvi
Forse sperate alla natía contrada ?
E non udite di che modo Ettorre
D'incenerirle tutte impaziente
I suoi guerrieri istiga ? Egli per certo
Non alla tresca , ma di Marte al fiero
Ballo gl'invita. Nè partito adunque
Nè consiglio sicuro altro che questo ,
Menar le mani , e di gran cor. Gli è meglio
Pure una volta aver salute o morte ,
Che a poco a poco in lungo aspro conflitto
Qui consumarci invendicati e domi
Per mano , oh scorno ! di peggior nemico.
Rincorossi ciascuno , e allor la strage
D'ambe le parti si confuse. Ettorre
Schedio uccide , figliuol di Perimede ,
v. 642-674 LIBRO XV. 77
Condottier de' Focensi. Uccide Ajace
Laodamante , generosa prole
D'Anténore , e di fanti capitano.
Polidamante al suol stende il cillenio
Oto , compagno di Megéte , e duce
De' magnanimi Epéi. Visto Megéte
Cader l'amico , scagliasi diritto
Su l'uccisor; ma questi obliquamente
Chinando il fianco andar fe' vôto il colpo ,
Chè in quella zuffa non permiseApollo
Del figliuolo, di Panto la caduta ;
E l'asta di Megéte in mezzo al petto
Di Cresmo si piantò , che orrendamente
Rimbombò nel cader. Corse a spogliarlo
Dell'armi il vincitor; ma gli si spinse
Contra il gagliardo vibrator di picca
Dolope, che di Lampo era germoglio ,
Di Lampo , prestantissimo guerriero
Laomedontíde. Impetuoso ei corse
Sopra Megéte , e lo feri nel mezzo .
Dello scudo ; ma il cavo e grosso usbergo
L'asta sostenne , quell'usbergo istesso
Che d' Efira di là dal Selleente
Un dì Fileo portò , dono d' Eufete ,
Ospite suo. Con questo egli più volte
Campò se stesso nelle pugne , ed ora
Con questo a morte si sottrasse il figlio
Che non fu tardo alle risposte. Al sommo
Del ferrato e chiomato elmo ei percosse
L'assalitor coll'asta , e dispicconne
L'equina cresta , che così com'era
Di purpureo color fulgida e fresca
Tutta gli cadde nella polve. Or mentre
78 ILIADE v. 675-707
Ei qui stassi con Dolope alle strette ,
E vittoria ne spera , ecco venirne
A rapirgli la palma il bellicoso
Minore Atride , che furtivo al fianco
Di Dolope s'accosta , e via nel tergo
I'asta gli caccia. Trapassògli il petto
La furïosa punta oltre anelando :
Boccon cadde il trafitto , e gli fur sopra
Tosto que' due per dispogliarlo. Allora
Il teucro duce incoraggiando tutti
I congiunti , si volse a Melanippo
D' Icetaon . Pasceva egli in Percote ,
Pria dell'arrivo degli Achei , le mandre.
Ma giunti questi ad Ilio, ei pur vi venne ,
E risplendea fra' Teucri , ed abitava
Col re medesmo che l'avea per figlio.
Lo punse Ettorre , e disse : E così dunque
Ci starem neghittosi , o Melanippo ?
E non ti senti il cor commosso al diro
Caso del morto consobrin ? Non vedi
Lo studio che color dansi dintorno
A Dolope per l'armi? Orsù vui segui :
Non è più tempo di puguar da lungi
Con questi Argivi. Sterminarli è d' uopo,
O veder Troja al fondo , ed allagate
Per lor di sangue cittadin le vie.
Cosi detto , il precede , e l'altro il segue
In sembianza d'un Dio. Ma volto a' suoi
Il gran Telamoníde : Amici , ei grida ,
Siate valenti , in cor v'entri la fiamma
Della vergogna, e l'un dell'altro abbiate
Tema e rispetto nella forte mischia.
De' prodi erubescenti i salvi sono
v. 708-740 LIBRO XV . 79
Più che gli uccisi. Chi si volge in fuga
Corre all' infamia insieme ed alla morte.
Si disse , e tutti per sè pur già pronti
Alla difesa , si stampâr nel core
Que' detti, e fer dell'armi un ferreo muro
Alle navi : ma Giove era co' Teucri.
Prese allor Menelao con questi accenti
D'Antíloco a spronar la gagliardía :
Antíloco , tu se' del nostro campo
Il più giovin guerriero e il più veloce ,
E niun t'avanza di valor. Trascorri
Dunque , e di sangue ostil tingi il tuo ferro.
Così l'accese e si ritrasse ; e quegli
Fuor di schiera balzando , e d'ogn' intorno
Guatandosi , vibrò l'asta lucente.
Visto quell'atto , si scansaro i Teucri ;
Ma il colpo in fallo non andò , chè colse
Melanippo nel petto alla mammella ,
Mentre animoso s'avanzava. Ei cadde
Risonando nell'armi , e ratto a lui
Antiloco avventossi. A quella guisa
Che il veltro corre al caprïol ferito ,
Cui , mentre uscía dal covo , il cacciatore
Di stral raggiunse , e sciolsegli le forze ;
Cosi sovra il tuo corpo , o Melanippo,
A spogliarti dell'armi il bellicoso
Antíloco si spinse. Il vide Ettorre,
E volò per la mischia ad assalirlo.
Non ardi l'altro , benchè pro guerriero ,
Aspettarne lo scontro , e si fuggio
Siccome lupo misfattor , che ucciso
Presso l'armento il cane od il bifolco ,
Si rinselva fuggendo anzi che densa
ILIADE .741-773
Lo circuïsca de' villan la turba.
Cosi diè volta sbigottito il figlio
Di Néstore per mezzo alle saette
Che alle sue spalle con immenso strido
I Trojani piovevano ed Ettorre ;
Nè diè sosta al fuggir , nè si converse
Che giunto fra' compagni a salvamento.
Qui fu che i Teucri un furioso assalto
Diero alle navi , ed adempîr di Giove
Il supremo voler , che vie più sempre
Lor forza accresce ed agli Achei la scema,
Togliendo a questi la vittoria , e quelli
Incoraggiando , perchè tutto s'abbia
Ettor l'onore di gittar ne' curvi
Legni le fiamme , e tutto sia di Teti
Adempito il desío. Quindi il veggente
Nume il momento ad aspettar si stava
Che il guardo gli ferisse alfin di qualche
Incesa nave lo splendor , perch'egli
Da quel punto volea che de' Trojani
Cominciasse la fuga , e degli Achei
L'alta vittoria. In questa mente il Dio
Sproni aggiungeva al cor d'Ettorre; e questi
Furïando parea Marte che crolla
La grand'asta in battaglia , o di vorace
Fuoco la vampa che ruggendo involve
Una folta foresta alla montagna.
Manda spume la bocca , e sotto il torvo (
Ciglio lampeggia la pupilla ; ai moti
Del pugnar , la celata orrendamente
Si squassa intorno alle sue tempie : e Giove
Il proteggea dall'alto, e di lui solo
Tra tanti eroi volea far chiaro il nome
v. 774-806 LIBRO XV. SI
A ricompensa di sua corta vita:
Perocchè già Minerva il di supremo ,
Che domar lo dovea sotto il Pelíde ,
Gl' incalzava alle spalle. Ove più dense
Egli vede le file , e de' più forti
Folgoreggiano l'armi , oltre si spigne
Di sbaragliarle impazïente , e tutte
Ne ritenta le vie ; ma tuttavolta
Gli esce vano il desío , chè stretti insieme
Resistono gli Achei siccome apríco
Immane scoglio che nel mar si sporge ,
E de' venti sostiene e del gigante
Flutto la furia che si spezza e mugge.
Tali a piè fermo sostenean gli Achei
L'urto de' Teucri. Finalmente Ettorre
Scintillante di foco nella folta
Precipitossi. Come quando un' onda
Gonfia dal vento assale impetuosa
Un veloce naviglio , e tutto il manda
Ricoperto di spuma; il vento rugge
Orribilmente nelle vele , e trema
Ai naviganti il cor; chè dalla morte
Non son divisi che d'un punto solo ;
Così tremava degli Achivi il petto ;
Ed Ettorre parea crudo lïone
Che in prato da palude ampia nudrito,
Un pingue assalta numeroso armento.
Ben egli il suo pastor vorría da morte
Le giovenche campar ; ma non esperto
A guerreggiar col mostro , or tra le prime
S'aggira ed or tra l'ultime ; alfin l'empio
Vi salta in mezzo, ed una ne divora ,
E ne van l'altre impaurite in fuga .
4*
82 ILIADE P. 807-839
Cosi davanti ad Ettorre ed a Giove
Fuggían percossi da divin terrore
Tutti allora gli Achei. Restovvi il solo
Micenéo Periféte , amata prole
Di quel Copréo che un giorno al grande Alcide
Venne dei duri d' Euristéo comandi
Apportatore. Di malvagio padre
Illustre figlio risplendea di tutte
Virtù fornito Periféte , ed era
E nel corso e nell'armi e ne' consigli
Tra' Micenéi pregiato e de' primieri .
Ed or qui diede di sua morte il vanto
Alla lancia d'Ettor ; chè mentre indietro
Si volta nel fuggir, nell'orlo inciampa
Dello scudo, che lungo insino al piede
Dalle saette il difendea. Da questo
Impedito il guerrier cadde supino,
E dintorno alle tempie in suono orrendo
La celata squilld. V'accorse Ettorre,
E l'asta in petto gli pianto ; nè alcuno
Aïtarlo potea de' mesti amici ,
Del teucro duce paurosi anch'essi.
Abbandonato delle navi il primo
Ordin gli Achivi , come ria gli sforza
Necessitade e l'incalzante ferro
De' Trojani , riparansi al secondo,
Alla marina più propinquo ; e quivi
Nanzi alle tende s'arrestâr serrati
Senza sbandarsi (chè vergogna e tema
Li ratteneano), e alzando un incessante
Grido a vicenda, si mettean coraggio.
Anzi a tutti il buon Néstore , l'antico
Guardian degli Achivi , ad uno ad uno
v. 840-872 LIBRO XV. $
3
Pe' genitor li supplica: Dehl siate,
Siate forti , o miei cari , e di pudore
Il cor v'infiammi la presenza altrui.
Della sua donna ognuno e de' suoi figli
E del suo tetto si rammenti ; ognuno
Si proponga de' padri , o spenti o vivi ,
I bei fatti al pensiero : io qui per essi
Che son lungi, vi parlo, e vi scongiuro
Di tener fermo e non voltarvi in fuga.
Rincorârsi a que' detti: allor repente
Sgombrò Minerva la divina nube ,
Che il lor guardo abbujava , e una gran luce
Dintorno balenò. Vider' le navi ,
Videro il campo e la battaglia e il prode
Ettore e tutti i suoi guerrier, si quelli
Che in riserbo tenea , sì quei che fanno
Pugna alle navi. Non soffri d'Ajace
Il magnanimo cor di rimanersi
Con gli altri Achivi indietro; ed im pugnata
Una gran trave da naval conflitto
Con caviglie connessa, e ventidue
Cubiti lunga, la scotea , per l'alte
De' navigj corsíe lestó balzando
A lunghi passi , simigliante a sperto
Equestre saltator, che giunti insieme
Quattro scelti destrier gli sferza , e spigne
ㅓ
Per le pubbliche vie ; maravigliando
Stassi la turba, ed ei securo e ritto
Dall'un passando all'altro, il salto alterna
Sui volanti cavalli. A tal sembianza
Alternava l'eroe gl' immensi passi
Per le coperte delle navi , e al cielo
La sua vocegiugnea sempre gridando
84 ILIADE v. 873-905
Terribilmente, e confortando i suoi
Delle tende e de' legui alla difesa.
E nè pur esso di rincontro Ettorre
Tra' Teucri in turba si riman ; ma quale
Aquila falba che uno stormo invade
O di cigni o di gru che lungo il fiume
Van pascolando ; a questa guisa il prode
Di schiera uscito avventasi di punta
Contra una nave di cerulea prora.
Lo stesso Giove colla man possente
Il sospinge da tergo, e gli altri incita ,
E un novello vi desta aspro certame.
Detto avresti che fresca allora allora
S'attaccava la mischia, e che indefesse
Eran le braccia : l'impeto è cotanto
De' combattenti con opposti affetti.
Nella credenza di perirvi tutti
Pugnavano gli Achei ; nella lusinga
Di sterminarli i Teucri , ed in faville
Mandar le navi : ed in cotal pensiero
Gli uni e gli altri mescean la zuffa e l' ire .
Ettore intanto colla destra afferra
D'una nave la poppa. Era la bella
Veloce nave che di Troja al lido
Protesilao guidò senza ritorno .
Per questa si facea di Teucri e Achei
Un orrido macello; e questi e quelli
D'un cor medesmo, non con archi e dardi
Fan pugna da lontan , ma con acute
Mannaje a corpo a corpo , e con bipenni
E con brandi e con aste a doppio taglio,
E con tersi coltelli di forbito
Ebano indutti e di gran pomo; ed altri
v. 906-938 LIBRO XV. 85
Ne cadean dalle spalle , altri dal pugno
De' guerrieri , e scorrea sangue la terra.
Dell'afferrata poppa Ettor tenendo
Forte il timone colle man, gridava :
Foco, o Teucri , accorrete, e combattete ;
Ecco il di che di tutti il conto adegua,
Il dì che Giove nelle man ci mette
Queste navi , a Ilion contra il volere
Venute degli Dei , queste che tanti
Ne recår danni per codardi avvisi
De' nostri padri che mi fean divieto
Di portar qui la guerra. Ma se Giove
Confuse alior le nostre menti , or egli ,
Egli stesso n' incalza all'alta impresa .
Disse , e i Teucri maggior contro gli Argivi
Impeto féro. Degli strali allora
Più non sostenne Ajace la ruina ,
Ma giunta del morir l'ora credendo,
Lasciò la sponda del naviglio , e indietro
Retrocesse alcun poco ad uno scanro
Sette piè di lunghezza. E qui piantato,
Osservava il nemico; e sempre oprando
L'asta , i Trojani , che di faci ardenti
Già s'avanzano armati , allontanava ,
E sempre alzava la terribil voce :
Dánai, di Marte alunni , amici eroi ,
Non ponete in obblío vostra prodezza.
Sperate forse di trovarvi a tergo
Chi ne soccorra , od un più saldo muro
Che ne difenda ? Non abbiam vicina
Cittàmunita che ne salvi , e nuove
Falangi ne fornisca. In mezzo a fieri
Inimici noi siam , chiusi dal mare ,
86 ILIADE. LIBRO XV. v. 939-946
Lungi dal patrio suol. Nell'armi adunque ,
Non nella fuga , ogni salute è posta.
Così dicendo , colla lunga lancia
Furioso inseguía qualunque osava
Da Ettore sospinto avvicinarsi
Collefiamme alle navi. E di costoro
Dodici dall'acuta asta trafitti
Pose a giacer davanti alle carene.
ILIADE
LIBRO DECIMOSESTO
ARGOMENTO
Achille , mosso dalle preghiere di Patroclo , gli con-
cede di vestirsi delle sue armi e di menare a bat-
taglia i Mirmidoni. Sue parole nella partenza di
Pátroclo. Questi si mostra ai Trojani , i quali ,
credendolo Achille , si volgono in fuga. Prodezze
dell'eroe. Sarpedonte , dopo avere ucciso Pédaso ,
uno dei cavalli d'Achille , è posto a morte da
Patroclo. Combattimento intorno al cadavere , che
finalmente per volere di Giove è trasportato pro-
digiosamente nella Licia. Pátroclo, volendo assa-
lire le mura di Troja , n'è impedito da Apollo.
Scontro di Ettore e di Patroclo. Morte di Ce-
brione scudiero di Ettore , e battaglia intorno ad
esso. Apollo disarma invisibilmente Patroclo , che
prima è ferito da Euforbo , e poscia ucciso ed in-
sultato da Ettore. Predizioni dell' eroe morente.
E così questi combattean la nave.
Presentossi davanti al fiero Achille
Patroclo intanto, un caldo rio versando
Di lagrime , siccome onda di cupo
Fonte che in brune polle si devolve
Da rupe alpestre. Riguardollo, e.n'ebbe
Pietà il guerriero piè-veloce , e disse :
Perchè piangi , Patróclo ? Bamboletta
88 ILIADE V. 9-41
Sembri che dietro alla madre correndo,
Torla in braccio la prega , e la rattiene
Attaccata alla gonna , ed i suoi passi
Impedendo piangente la riguarda
Finch'ella al petto la raccolga. Or donde
Questo imbelle tuo pianto ? Ai Mirmidóni
O a me medesmo d'una ria novella
Sei forse annunziator? Forse di Ftia
La ti giunse segreta ? E pur la fama
Vivo ne dice ancor Menézio, e vivo
Tra i Mirmidón l'Eácide Peléo,
D'ambo i quali d'assai grave a noi fôra
Certo la morte. O per gli Achei tu forse
Le tue lagrime versi , e li compiagni
Là tra le fiamme delle navi ancisi ,
E dell'onta puniti che mi fêro ?
Parla: m'apri il tuo duol; meco il dividi.
E tu dal cor rompendo alto un sospiro
Così , Patròclo, rispondesti : O Achille ,
O degli Achei fortissimo Pelíde ;
Non ti sdegnar del mio pianto . Lo chiede
Degli Achei l'empio fato. Oime!, che quanti
Eran dianzi i miglior, tutti alle navi
Giaccion feriti , quale di saetta ,
Qual di fendente: di saetta il forte
Tidíde Diomede, e di ſendente
L'inclito Ulisse e Agamennón ; trafitta
Ei pur di freccia Eurípilo ha la coscia.
Intorno a lor di farmaci molt'opra
Fan le mediche mani , e le ferite
Ristorando ne vanno. E tu resisti
Inesorato ancora ? O Achille ! oh mai
Non mi s'appigli al cor, pari alla tua ,
42-74 LIBRO XVI . 89
L'ira , o funesto valoroso ! E s'oggi
Sottrar nieghi gli Achivi a morte indegna ,
Chi fia che poscia da te speri aita ?
Crudel ! nè padre a te Peléo , nè madre
Tétide fu : te il negro mare o il fianco
Partori delle rupi , e tu rinserri
Cuor di rupe nel sen. Se doloroso
Ti turba un qualche oracolo la mente ;
Se di Giove alcun cenno a te la madre
Veneranda reco; me tosto almeno
Invía nel campo ; e al mio comando i forti
Mirmidoni concedi ; ond'io , se puossi ,
Qualche raggio di speme ai travagliati
Compagni apporti. E questo ancor mi assenti ,
Ch'io delle tue coperto armi le spalle ,
M'appresenti al nemico, onde ingannato
Dalla sembianza , in me comparso ei creda
Lo stesso Achille , e fugga , e l'abbattuto
Acheo respiri. Nella pugna è spesso
Una via di salute un sol respiro ;
E noi di forze intégri agevolmente
Ricaccerem la stanca oste alle mura
Dalle navi respinta e dalle tende.
Così l'eroe pregò . Folle ! chè morte
Perorava a sè stesso e reo destino.
E a lui, gemendo di corruccio Achille :
Che dicesti , o Patroclo ? In questo petto
Terror d'udite profezíe non passa ,
Nè di Giove alcun cenno a me la diva
Madre recò . Ma il cor mi rode acerba
Doglia, in pensando che rapirmi il mio
Un mio pari s'ardisce , e del concesso
Premio spogliarmi prepotente. È questo,
ILIADE
90 0.75-107
Questo il tormento, il dispetto, la rabbia
Onde l'alma è angosciata. Una donzella
Di valor ricompensa , a me prescelta
Da tutto il campo, e da me pria coll'asta
Conquistata per mezzo alla ruina
Di munita città , questa alle mie
Mani ha ritolta l'orgoglioso Atride ,
Come al vil vagabondo . Ma le andate
Cose sien poste nell'obblío ; chè l' ira
Viver non debbe eterna. Io certo avea
Fatto un severo nel mio cor decreto
Di non porla , se prima non giugnesse
Alle mie navi de' pugnanti il grido
E la pugna. Ma tu le mie ti vésti
Armi temute , e alla battaglia guida
I bellicosi Tessali ; chè fosco
Di Teucri e fiero un nugolo vegg'io
Circondar già le navi, e al lido stringersi
In poco spazio i Greci , e su lor tutta
Troja versarsi , audace fatta e balda
Perché vicino balenar non vede
Dell'elmo mio la fronte. Oh fosse meco
Stato re giusto Agamennón ! Ben io
T'affermo che costoro avrían fuggendo
De' lor corpi ricolme allor le fosse.
Or ecco che n'han chiuso essi d'assedio :
Perocchè nella man di Diomede ,
A tener lunge dagli Achei la morte ,
L'asta più non infuria , nè d'Atride
La voce ascolto io più dall'abborrita
Bocca scoppiante ; ma sol quella intorno
Dell'omicida Ettorre mi rimbomba.,
Animante i Trojani. E questi alzando
ν. 108-140 LIBRO XVI. 91
Liete grida guerriere, il campo tutto
Tengon già vincitori . E nondimeno
Va , ti scaglia animoso , e dalle navi
Quella peste allontana , nè patire
Che le si strugga il fuoco , e ne sia tolta
Del desïato ritornar la via.
Ma quale in mente la ti pongo , avverti
De' miei detti alla somma, e m'obbedisci ,
Se vuoi che gloria me ne torni , e grande
Dai Greci onore , e che la bella schiava
Con doni eletti alfin mi sia renduta.
Cacciati i Teucri , fa ritorno : e s'anco
L'altitonante di Giunon marito
Ti prometta vittoria , incauta brama
Di pugnar senza me con quei gagliardi
Non ti seduca; nè voler ch'io colga
Di ciò vergogna e disonor; nė spinto
Dall'ardor della pugna alle fatali
Dardanie mura avvicinar le schiere
Della strage de' Teucri insuperbito ;
Onde non scenda dall'Olimpo un qualche
Immortale a tuo danno. Essi son cari ,
Non obblïarlo, al saettante Apollo .
Posti in salvo i navili , immantinente
Dunque da volta , e lascia ambo a vicenda
Struggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!
E tu di Delo arciero Iddio , deh! fate
Che nessun possa, nè Trojan nè Greco,
Schivar morte , nessuno ; onde del sacro
Ilïaco muro la caduta sia
Di noi due soli preservati il vanto.
Mentre seguían tra lor queste parole ,
Ajace omai cedea l'arena oppresso
92 ILIADE
v. 141-173
Da gran selva di strali. Rintuzzava
Le sue forze il voler di Giove e il nembo
Delle teucre saette. Il rilucente
Elmo percosso un suon mettea che orrendo
Gl'intronava le tempie , ed incessante
Sopra i chiavelli il martellar cadea.
Langue spossata la sinistra spalla
Dall'assiduo maneggio affaticata
Del versatile scudo . E tuttavolta
Nè la calca premente , nè de' colpi
La tempesta il potea mover di loco.
Scuotegli i fianchi più affannato e spesso
L'anelito; il sudor discorre a rivi
Per le membra , nė puote a niuna guisa
Pigliar respiro il valoroso. Intanto
D'ogni parte l'orror cresce e il periglio.
Muse dell'alto Olimpo abitatrici ,
Or voi ne dite per che modo il primo
Fuoco alle navi degli Achei s'apprese.
Di frassino una grave asta scotea
Ajace. A questa avvicinato Ettorre,
Tal trasse un colpo della grande spada,
Che netta la tagliò la dove al tronco
Si commette la punta. Invan vibrava
Il Telamónio eroe l'asta, privata
Della sua cima , che lontan cadendo
Risono sul terren. Raccapricciossi
Il magnanimo , e vide ivi d'un nume
Manifesta la man ; vide che avverso
L'altitonante del pugnar le vie
Tutte gli avea precise , e decretata
De' Teucri all'armi la vittoria. Ei dunque
Lunge dai dardi si ritrasse ; e ratto
v. 174-206 LIBRO XVI . 93
I Troi gittaro nella nave il foco ,
Che tosto le si apprese , e d'ogni lato
L'inestinguibil fiamma si diffuse.
Si battè l'anca per dolore Achille ,
Vista la vampa divorante ; e : Sorgi ,
Mio Pátroclo , gridò : sorgi : alle navi
L'impeto io veggo della fiamma ostile.
Deh! che il nemico non le prenda , e tutti
Ne precluda gli scampi : su via , tosto
Armati ; chè i miei forti io ti raduno .
Disse: e Patróclo si vestía dell'armi
Folgoranti . Alle gambe primamente
I bei schinieri si ravvolse adorni
D'argentee fibbie. La corazza al petto
Poscia si mise del veloce Achille
Screzïata di stelle. Indi la spada
Di bei chiovi d'argento aspra e lucente
Dall'omero sospese. Indi lo scudo
Saldo e grande imbracció ; la valorosa
Fronte nell'elmo imprigiond , su cui
D'equine chiome orrendamente ondeggia
Una cresta. Alfin prese , atte al suo pugno ,
Valide lance; ed unica d'Achille
L'asta non prese , immensa , grave e salda ,
Cui nullo palleggiar Greco potea ,
Tranne il braccio achilléo : massiccia antenna
Sulle cima del Pélio un dì recisa
Dal buon Chirone , ed a Peléo donata ,
Perchè fosse in sua man strage d'eroi .
Comanda ei quindi che i cavalli al cocchio
Subito aggioghi Automedon , guerrièro
Cui dopo Achille rompitor di squadre
Sovra ogni altro ei pregiava: ed in battaglia
ILIADE v. 207-239
94
Nel sostener gl'impetuosi assalti
Del nemico , ad Achille era il più fido.
Rotti adunque gl'indugi , Automedonte
I veloci corsieri al giogo addusse,
Balio e Xanto che un vento eran nel corso,
E partoriti a Zefiro gli avea
L'Arpía Podarge un di ch'ella pascendo
Iva nel prato lungo la corrente
Dell'Oceán . Dall'una banda ei poscia
Pédaso aggiunse, corridor gentile ,
Cui seco Achille un di dalla disfatta
Città d'Eezïon s'avea condotto;
E quantunque mortale, iva del paro
Co' destrieri immortali. Intanto Achille
Su e giù scorrendo per le tende , tutti
Di tutto punto i Mirmidóni armava.
Quai crudivori lupi il cor ripieni
Di molta gagliardia , prostrato avendo
Sul monte un cervo di gran corpo e corna ,
Sel trangugiano a brani , e sozze a tutti
Rosseggiano di sangue le nascelle ;
Quindi calano in branco ad una bruna
Fonte a lambir colle minute lingue
Il nereggiante umor , carne ruttando
Mista col sangue ; il cor ne' petti audaci
S'allegra , e il ventre ne va gonfio e teso ;
Tali dintorno al bellicoso amico
Del gran Pelíde intrepidi si affollano
I mirmidonj capitani ; e in mezzo
A lor s'aggira il marzïale Achille ,
I cavalli animando e i battaglieri .
Cinquanta eran le prore che veloci
Avea condotte a Troja il caro a Giove
ν. 240-272 LIBRO XVI . 95
Tessalo prence , e carca iva ciascuna
Di cinquanta guerrieri. A cinque duci
N'avea dato il comando , ed ei la somma
Potestà ne tenea. Guida la prima
Squadra Menéstio , scintillante il petto
Di varïato ushergo. Era costui
Prole di Sperchio , fiume che da Giove
L'origine vantava ; e di Peléo
La bella figlia Polidora a Sperchio
Partorito l'avea , donna mortale
Commista con un Dio. Ma lui la fama
Nel popolo dicea prole di Boro ,
Di Perieréo figliuol , che tolta in moglie
L'avea solenne e di gran dote ornata.
Guidava la seconda il marzio Eudoro
Generato di furto , a cui fu madre
La figlia di Filante Polimela ,
Danzatrice leggiadra. Innamorossi
In lei Mercurio un di che alle cantate
Danze la vide della Dea che gode
Del romor delle cacce e d'aureo strale :
La vide ; e della casa alle superne
Stanze salito, giacquesi furtivo
Il pacifico Iddio colla fanciulla ,
E lei fe madre d'un illustre figlio ,
D'Eudoro , egregio nella pugna al pari
Che rapido nel corso. E poichè tratto
Fuor l'ebbe dal materno alvo Ilitía
Curatrice de' parti , e l'almo ei vide
Raggio del Sol , la genitrice al prode
Attóride Echecléo passò consorte ,
Di largo dono nuzïal dotata.
Nudri poscia il fanciullo ed allevollo
ILIADE
96 v. 273-305
L'avo Filante con paterna cura ,
E di figlio diletto in loco il tenne.
Capitan della terza era il valente
Memalide Pisandro, il più perito
De' Mirmidóni nel vibrar dell'asta
Dopo il compagno del Pelíde Achille.
La quarta il veglio cavalier Fenice ,
E conducea la quinta Alcimedonte ,
Di Laerce buon figlio. Or poichè tutti
Gli ebbe schierati co' lor duci Achille ,
Gravi ed alte parlò queste parole :
Mirmidoni , di voi nullo mi ponga
Le minacce in obblío, che , mentre immoti
Su le navi la mia ira vi tenne ,
Fêste a' Trojani , me accusando tutti ,
E dicendo: Implacabile Pelíde ,
Certo di bile ti nudrío la madre :
Crudel ! che tieni a lor dispetto inerti
Nelle navi i tuoi prodi. A Ftia deh! almeno
Redir ne lascia su le nostre prore ,
Da che nel cor ti cadde una tant'ira.
Questi biasmi in accolta a me sovente
Morinoraste , o guerrieri . Or ecco è giunto
Del gran conflitto che bramaste, il giorno .
All'arımi adunque; e chi cuor forte in petto
Si chiude , a danno de' Trojani il mostri.
Si dicendo, destò d'ogni guerriero
E la forza e l'ardir. Strinser più densa
Tosto le schiere l'ordinanza , uditi
Del lor sire gli accenti. E in quella guisa
Che industre architettor l'una su l'altra
Le pietre ammassa , e insieme le commette
Acconciamente a costruir d'eccelso
ل ν. 306-338 LIBRO XVI. 97
Palagio la muraglia all'urto invitta
Del furente aquilon ; non altramente
Addensati venían gli elmi e gli scudi .
Scudo a scudo, elmo ad elmo , e uomo ad uomo
S'appoggia ; e al moto delle teste vedi
L'un coll'altro toccarsi i rilucenti
Cimieri e l'onda delle chiome equine :
Sì de' guerrrier serrate eran le file .
Iva il paro d'eroi dinanzi a tutti
Pátroclo e Automedonte , ambo d'un core
E d'una brama di dar dentro ei primi.
Con altra cura intanto alla sua tenda
Avvïossi il Pelíde , ed un forziere
Apri di vago lavorío, cui Teti
Gli avea riposto nella nave e colmo
Di tuniche e di clamidi del vento
Riparatrici , e di vellosi strati .
Quivi una tazza in serbo egli tenea
Di pregiato artificio , a cui null'altro
Labbro mai non attinse il rubicondo
Umor del tralcio , e fuor che a Giove , ci stesso
Non libava con questa ad altro iddio .
Fuor la trasse dell'arca , e con lo zolfo
La purgò primamente ; indi alla schietta
Corrente la lavò. Lavossi eí pure
Le mani , e il vino rosseggiante altinse.
Ritto poscia nel mezzo al suo recinto
Libando , e gli occhi sollevando al cielo ,
A Giove , che il vedea , fe' questo prego :
Dio che lungi fra' tuoni hai posto il trono ,
Giove Pelasgo, regnator dell'alta
Agghiacciata Dodona , ove gli austeri
Selli che han l'are a te sacrate in cura ,
5
ILIADE , Vol. II,
98 ILIADE ν. 339-371
D'ogni lavacro schivi al fianco letto
Fan del nudo terreno , i voti miei
Già tu benigno un'altra volta udisti ,
Edalle piaghe degli Achei vendetta
Dell'onor mio prendesti. Or tu pur questa
Fïata , o padre , le mie preci adempi.
Io qui fermo mi resto appo le navi ;
Ma in mia vece alla pugna ecco spedisco
Con molti prodi il mio diletto amico.
Deh! vittoria gl'invía , tonante Iddio ;
L'ardir gli afforza in petto, onde s'avvegga
Ettore se pugnar sappia pur solo
Il mio compagno, o allor soltanto invitta
La sua destra infierir, quando al tremendo
Lavor di Marte lo conduce Achille .
Ma dalle navi achee lungi rimosso
L'ostil forore , a me deh! tosto il torna
Con tutte l'armi e co' suoi forti illeso .
Sì disse orando; e il sapïente Giove
Parte del prego udi , parte ne sperse:
Udi che dalle navi alfin respinta
Fosse la pugna, e non udiche salvo
Dalla pugna tornasse il caro amico.
Libato aGiove e supplicato, Achille
Rïentrò , rinserrò nell'arca il sacro
Nappo; e di nuovo della tenda uscito,
Ritto all'ingresso si fermò, bramoso
Di mirar de' Trojani e degli Achei
La terribile mischia. E questi al cenno
Dell'ardito Patróclo in ordinati
Squadroni , e tutti di gran cor precinti
Già piombano su i Teucri , e sidispiccano
Come rapide vespe , entro i lor nidi
v. 372-404 LIBRO XVI . 99
Lungo la strada stimolate all' ira
Da procaci fanciulli , a cui diletta
Travagliarle incessanti a loro usanza.
Stolti ! chè a sè fan danno ed all'ignaro
Passeggiero innocente. Le sdegnose
Che ne' piccioli petti han grande il core,
Sbucano in frotta , e alla difesa volano
De' cari parti. Coll'ardir di queste
Si versâr dalle navi i Mirmidóni.
N'era immenso il fracasso , e di Menézio
Confortandoli il figlio, alto gridava :
Commilitoni del Pelíde Achille ,
Siate valenti ; della vostra possa
Ricordatevi , amici , e combattiamo
Per la gloria di lui , forti campioni
Del più forte de' Greci. Il suo fallire
Vegga il superbo Atride , e dell'oltraggio
Fatto al maggiore degli eroi si penta.
Sprone alle forze e al cor di ciascheduno
Fur le parole, Si serrâr, scagliarsi
Sul nemico ad un punto; e si sentiva
Terribilmente rimbombar le navi
Al gridar degli Achei, Ma come i Teucri
Di Menézio mirar l'inclito figlio
Esso e l'auriga Automedonte al fianco
Folgoranti nell'armi , a tutti il core
Tremò : le schiere scompigliarsi , ognuna
Nella credenza che il Pelíde avesse
Deposta l'ira , e l'amista ripresa.
Studia ognuno la fuga , ognun procaccia
La sua salvezza. Allor Patróclo il primo
La fulgida vibró lancia nel mezzó,
Dove più densa intorno all'alta poppa
100 ILIADE
v. 405-437
Del buon Protesilao ferve la calca ;
E Pirecmo feri , che dalle vaste
Rive dell'Assio e d'Amidone avea
Seco i peonj cavalier condutti.
Gli mise il colpo alla diritta spalla ,
E quei riverso e gemebondo cadde
Nella polve. Si volse al suo cadere
Il peonio drappello in presta fuga ,
E tutto si sbandò , morto il suo duce
Prestantissimo in guerra. Repulsati
I nemici , l'eroe spense le vampe ;
Ma il navigio restò mezz'arso e monco.
E qui fuggire e sgominarsi i Teucri ,
E gli Achivi inseguirli , e via pe' banchi
Delle navi cacciarli in gran tumulto.
Siccome allor che dall'eccelsa vetta
Di gran monte le nubi atre disgombra
Il balenante Giove , appajon tutte
Subitamente le vedette e gli alti
Gioghi e le selve , e immenso s'apre il cielo ;
Così respinto l'ostil fiamma , aprissi
De' Dánai il core e respirò. Ma tregua
Non si fece alla zuffa ; ancor non tutti
Davan le spalle agl'incalzanti Achei
Gli ostinati Trojani ; e tuttavolta
Resistendo , cedean forzati e lenti
Gli occupati navigli. Allor diffusa
In maggior spazio la battaglia , ognuno
De' dánai duci un inimico uccise .
Fu Pátroclo il primier che con acuto
Cerro percosse Arëilíco al fianco
Nel voltarsi che fea. Lo passa il ferro ,
Frange l'osso ; e boccon cade il meschino .
k v.438-470 LIBRO XVI . 101
Trafisse Menelao Toante al petto
Scoperto dello scudo , e freddo il fece.
Il figliuol di Filéo , visto a rincontro
Venirsi Anficlo d'assaltarlo in atto ,
Il previen , lo colpisce ove più ingrossa
Della gamba la polpa. Infrange i nervi
La ferrea punta , e a lui le luci abbuja.
E voi l'armi d'ostil sangue non vile
Antíloco tingeste e Trasiméde
Valorosi Nestóridi. Coll'asta
Antíloco passò d'Antímio il fianco ,
E il distese boccon. Máride, irato
Per l'ucciso fratello, innanzi al caro
Cadavere si pianta , e contra Antíloco
La picca abbassa. Ma di lui più ratto
Trasiméde il prevenne , e non indarno
Volò la punta. All'omero lo giunse ,
I muscoli segò del braccio estremo ,
E netto l'osso ne recise. Ei cadde
Fragoroso , e l'avvolse eterna notte.
Da due germani i due germani uccisi
Così n'andaro a Dite , ambo valenti
Di Sarpedon compagni , ambo famosi
Lanciatori , figliuoi d'Amisodaro
Che la Chimera , insuperabil mostro
Di molte genti esizio , un di nudriva.
Ajace d'Oiléo sovra Cléobolo
Correndo impetuoso il piglia vivo
Nella calca impacciato , e via sul collo
L'enorme daga calando, lo scanna.
Si tepefece per lo sangue il ferro ;
E la purpurea morte e il violento
Fato le luci gli occupò per sempre.
102 ILIADE .471-503
S'azzuſfär Lico e Peneléo : ma in fallo
Trasser ambo le lance. Allor più fieri
Dier mano al brando. Del chiomato elmetto
Lico il cono percosse; ma la spada
Si franse all'elsa. All'avversario il ferro
Assestò Peneléo sotto l'orecchio ,
E tutto ve l' immerse . Penzolava
In giù la testa dispiccata , e sola
Tenea la pelle. Così cadde e giacque.
Merïon velocissimo correndo
Acamante raggiunge appunto in quella
Che il cocchio ei monta, eal destro omero il fere.
Ruinò quel percosso dalla biga ,
E morte gli tirò su gli occhi il velo.
Idomenéo la lancia nella bocca '
D'Erimanto cacciò. La ferrea cima
Apertasi la via sotto il cerébro
Riuscì per la nuca , spezzò l'osso
Del gorgozzule , e sgangherògli i denti ;
Talchè di sangue s'empir gli occhi , e sangue
Soffio dal naso e dalle fauci aperte :
Così concio il coprì l'ombra di morte.
E questi fûro i condottieri achei
Che spensero ciascuno un inimico.
Qual su capri ed agnelle i lupi piombano
Sterminatori , allor che per inospita
Balza neglette dal pastor si sbrancano ;
Appena le addocchiûr , che ratti avventansi
Alle misere imbelli e ne fan strazio;
Non altrimenti si vedeva i Dánai
Dar sopra i Teucri che del core immemori
Con orribile strepito fuggivano.
Nel folto della mischia il grande Ajace
0.504-536 LIBRO XVI . 103
Sempre ad Ettor volgea l'asta e la mira.
Ma quel mastro di guerra ricoperto
Il largo petto di taurino scudo
All'acuto stridor delle saette
E al sibilo dell'aste attento bada ,
Ben s'accorgendo alla contraria parte
Già piegar la vittoria : e tuttavolta
Teneasi saldo alla salvezza intento
Degli amati compagni . Alfin , siccome
Per l'etere sereno al cielo ascende
Su dal monte una nube allor che Giove
Tenebrosa solleva la tempesta;
Non altrimenti dalle navi i Teucri
Dier volta urlando, e non avea ritegno
Il ritrarsi e il fuggir. Lo stesso Ettorre ,
Via coll'armi dai rapidi destrieri
Trasportato in mal punto,la difesa
Abbandona de' suoi che la profonda
Fossa accalca e impedisce. Ivi sossopra
Molti destrier precipitando spezzano
E timoni e tirelle , e conquassati
Lascian là dentro co' lor duci i carri .
E Pátroclo gl' incalza ; ed incitando
Fieramente i compagni , alla suprema
Ruina anela de' Trojani. E questi
D'alte grida e di fuga empion già tutte
Sbaragliati le vie. Saliva al cielo
Vorticosa di polve una procella.
Spaventati i cavalli a tutta briglia
Correan dal mare alla cittade; e dove
Maggior vede l'eroe turba e scompiglio ,
Minaccioso gridando a quella volta
Drizza la biga. Traboccar dai coechi
104 ILIADE ν. 537-569
Vedi sotto le ruote i fuggitivi ,
Ei võti cocchi sobbalzando volano
Risonanti . Varcâr d'un salto il fosso
Gl' immortali destrieri oltre anelando ,
I destrier che a Peléo diero gli Dei
Preclaro dono: e tuttavia l'eroe
Contra Ettór li flagella , desïoso
Pur d'arrivarlo e di ferir. Ma lui
Traean già lunge i corridor veloci.
Come d'autunno procelloso nembo
Tutta inonda la terra, allor che Giove
Densissime dal ciel versa le pioggie,
Quando contra i mortali arma il suo sdegno ,
I quai , cacciata la giustizia in bando
E la vendetta degli Dei schernita ,
Violente nel fôro e nequitose
Proferiscon sentenze ; allor furenti
Sboccan ne' campi i fiumi ; giù dal monte
Precipitando le sonanti piene
Squarcian le ripe , e nel purpureo mare
Devolvonsi mugghiando , e del cultore
Corrompono la speme e la fatica;
Cosi gementi corrono e sbuffanti
I trojani cavalli. Intanto rotte
Le prime schiere , di Menézio il figlio
Le ricaccia , le stringe alla marina ,
Lor tagliando il ritorno al desïato
Ilio ; e tra il mare e il Xanto e l'alto muro
Incalzava , uccideva e vendicava
Molte morti d'eroi. E primamente
Feri d'asta Pronóo che mal di scudo
Copríasi il petto. Lo trafisse ; e quegli
Giù cadendo , nell'armi risono.
v. 570-602 LIBRO XVI . 105
Poi d'Enópo il figliuol, Téstore, assalse
Impetuosamente. Iva costui
Sovra elegante cocchio , la persona
Curvo ed in atto di raccor le briglie,
Che smarrito nel cor s'avea lasciato
Dalle mani fuggir. Gli si fe' sopra
L'eroe coll'asta , e tal gli spinse un colpo
Su la destra mascella , che la siepe
Sprofondogli dei denti. A questo modo
Infilzato nell'asta sollevollo
Dalla conca del cocchio , e il trasse a terra.
Quale il buon pescator sovra sporgente
Scoglio seduto colla lenza , armata
Di fulgid'amo , fuor dell'onda estragge
Enorme pesce ; a cotal guisa il Greco
Fuor del cocchio tirò colla lucente
Asta il confitto boccheggiante ; e poscia
Lo scrollò dalla picca, e lungi al suolo
Lo gittò sanguinoso e senza vita.
Quindi Eríalo , che contro gli venía ,
Giunge d'un sasso al mezzo della fronte ,
E in due , chiusa nel forte elmo, la spacca.
Boccon versossi nella sabbia , e morte
Lo si recinse e gli rapío la vita.
Indi Erimante , Anfótero ed Epalte
E il figliuol di Danástore Tlepólemo ,
L'Argéade Polimélo ed Echio e Piro
E con Evippo Iféo tutti in un mucchio
Rovesciò , rassegnò morti alla terra.
Ma Sarpedonte visto de' compagni
Per le man di Patróclo un tale e tanto
Scempio, i suoi Licj rincorando , e insieme
Rampognando , Oh vergogna ! o Liej , ei grida,
5*
теб ILIADE v. 603-635
Dove , o Licj , fuggite ? Ah per gli Dei
Rivolate alla pugna! Io di costui
Corre allo scontro, per saper chi sia
Questo fiero campion che vi diserta ,
Che si nuoce ai Trojani , e già di molti
Forti disciolse le ginocchia.- Disse ,
E via d'un salto a terra in tutto punto
Si lanciò dalla biga. Ed a rincoutro
Come Pátroclo il vide , ei pur nell'armi
Si spiccò dalla sua. Qual due grifagni
Ben unghiati avoltoi forte stridendo
Sovra un erto dirupo si rabbutfano ,
Tal vennero quei due gridando a zuffa.
Li vide , e tocco di pietade il figlio
Dell'astuto Saturno , in questi detti
AGiunon si rivolse : Ohimè , diletta
Sorella e sposa ! Sarpedon , ch' io m'aggio
De' mortali il più caro , è sacro a morte
Pel ferro di Patrócło. Irresoluta
Fra due pensieri la mia mente ondeggia :
Se vivo il debba liberar da questo
Lagrimoso conflitto , e a'suoi tornarlo
Nell'opulenta Licia ; o consentire
Che qui lo domi la tessalic'asta.
E a lui grave i divini occhi girando
L'alma Giuno così : Che parli , o Giove ?
Che pretendi ? Un mortale, un destinato
Da gran tempo alla Parca , or della negra
Diva ritorlo alla ragion ? Fa pure ,
Fa pur tuo senno ; ma degli altri Eterni
Non isperar l'assenso. Anzi ti aggiungo ,
E tu poni nel cor le mie parole :
Se vivo e salvo alle paterne case
. 636-668 LIBRO XVI . 107
Renderai Sarpedon , bada che poscia
Del par non voglia più d'un altro iddio
Alla pugna sottrarre il proprio figlio;
Chè molti sotto alle dardanie mura
Stan nell'armi a sudar figli di numi ,
A cui porresti una grand' ira in seno.
Chè s'ei t'è caro e lo compiagni, il lascia
Nella mischia perir domo dall'asta
Del figliuol di Menézio : ma deserto
Dall'alma il corpo , al dolce Sonno imponi
Ed alla Morte , che alla licia gente
Il portino. I fratelli ivi e gli amici
L'onoreranno di funereo rito
E di tomba e di cippo , alle defunte
Anime forti onor supremo e caro.
Disse; e al consiglio di Giunon s'attenne
Degli uomini il gran padre e degli Dei ;
E sangue piovve per onor del caro
Figlio cui lungi dalle patrie arene
Ne' frigj campi avría Pátroclo ucciso.
Già l'uno all'altro si fa sotto e sono
Alle prese. Patróclo a Trasimélo ,
Di Sarpedonte valoroso auriga ,
Trapassò l'anguinaglia , e lo distese.
Mosse secondo Sarpedonte , e in fallo
La grand'asta vibrò , che trasvolando
La destra spalla a Pédaso trafisse.
Si riversò sbuffando in su l'arena
Il trafitto cavallo , e dal ferino
Petto l'alma si sciolse gemebonda.
Visto il compagno corridor disteso
Gli altri due costernârsi ; e a calci , a salti
Diersi ; il timone cigolò , confuse
108 ILIADE v. 669-708
Implicârsi le briglie. Ma riparo
L'intrepido vi mise Automedonte ,
Che rapido insorgendo , e via dal fianco
Sguäinata la lunga acuta spada
Tagliò netto al giacente le tirelle ,
E fu l'opra d'un punto. Entrambi allora
Rassettârsi i corsieri, e raddrizzarsi
Al cenno della briglia obbedïenti.
E qui di nuovo alla crudel tenzone
Si spinsero i campioni ; e pur di nuovo
Errò dell'asta Sarpedonte il tiro ,
Che via sovresso l'omero sinistro
Di Pátroclo trascorse e non l'offese .
Gli fe' risposta il Tessalo : nè vano
Il suo telo volò ; chè dove è cinto
Da' suoi ripari il cor gli aperse il petto.
Qual rovina una quercia o pioppo o pino
Cui sul monte tagliò con affilata
Bipenne il fabbro a nautico bisogno ;
Tal Sarpedonte rovino. Giacea
Steso innanzi alla biga , e colle mani
Ghermía la polve del suo sangue rossa ,
E fremendo gemea pari a superbo
Tauro , onor dell'armento e d'aureo pelo ,
Che da lion , che il giunge alla sprovvista ,
Sbranato cade , e sotto la mascella
Del vincitore mugolando spira.
Tale del licio condottier prostrato
Dal tessalico ferro in sul morire
.
Era il gemito e l'ira. E Glauco, il suo
Dolce amico per nome a sè chiamato :
Caro Glauco , gli disse , or t'è mestieri
Buon guerriero mostrarti , e oprar le mani
. 702-734 LIBRO XVI . 109
Audacemente. Tu dell'aspra pugna ,
Se magnanimo sei , l'incarco assumi :
Corri , vola , e de' Licj i capitani
Alla difesa del mio corpo accendi.
Difendilo tu stesso, e per l'amico
Combatti : Infamia ti deriva eterna
Se me dell'armi mie spoglia il nemico,
Me per certame delle navi ucciso .
Tien saldo adunque e pugna , e di coraggio
Tutte infiamma le squadre.- In questo dire
Le narici affilò , travolse i lumi ,
E la morte il coprì. Col piede il petto
Calcògli il vincitor; l'asta ne trasse ;
Eil polmon la seguía , sì che dal seno
Il ferro a un tempo gli fu svelto e l'alma.
A' suoi sbuffanti corridori intanto
Scioltisi e in atto di fuggir, lasciando
Del lor signore il cocchio, i Mirmidóni
Pararsi innanzi , e gli arrestâr. Ma Glauco
Dell'amico alla voce il cor compunto
Di profondo dolor sospira e geme ,
Chè mal può dargli la richiesta aíta .
L'impedisce la piaga al braccio infissa
Dallo strale di Teucro , allor che Glauco,
De' suoi volando alla difesa , assalse
L'alta muraglia degli Achei. Compresso
Si tenea colla manca il braccio offeso
L'infelice; ed orando al saettante
Nume di Delo : O re divino , ei disse ,
O che di Licia o che di Troja or bei
Tua presenza le rive , odi il mio prego ;
Chè dovunque tu sia puoi d'un dolente
Qual , lasso! mi son io , la voce udire.
110 ILIADE . 735-767
Di che grave ferita e di che doglia
Trafitto io porti questo braccio, il vedi ;
Nè il sangue ancor mi si ristagna , e tale
Incessante m'opprime una gravezza
L'omero tutto, che dell'asta al peso
Mal reggo , e mal poss' io coll' inimico
Avventurarmi alla battaglia. Intanto
Di Giove il figlio Sarpedonte giace,
Fortissimo guerriero , e l'abbandona,
Ahi ! pure il padre. Ma tu , Dio pietoso ,
Quest'acerba mia piaga or mi risana :
Deh ! placane il dolor, forza m'aggiungi ,
Sì che i Licj compagni inanimando ,
Io gli sproni al conflitto, e a me medesmo
Pugnar sia dato per l'estinto amico.
Si disse orando; ed esaudillo il nume :
Della piaga sedò tosto il tormento ,
Stagnonne il sangue , e gagliardía gli crebbe.
Senti del Dio la man, fe' lieto il core
L'esaudito guerrier : de' Licj in prima
A incitar corre d'ogni parte i duci
Alla difesa dell'estinto; move
Quindi a gran passi fra Trojani , e chiama
Polidamante e Agénore , ed Enea
Anco ed Ettorre , e in rapide parole
Lor fattosi davanti : Ettore, ei grida ,
Tu dimentichi i prodi che per te
Dalla patria lontani e dagli amici
Spendono l'alma , e tu lor nieghi aíta.
Giace de' Licj il condottiero, il giusto
Forte lor prence Sarpedon. Gradivo
Sotto Patróclo l'atterrò : correte;
V'infiammi, amici , una giust'ira il petto;
. 768-800 LIBRO XVI . HH
Non patite , per dio! che i Mirmidóni
Lo spoglino dell'armi , e villanía
Facciano al morto vendicando i Dánai
Da noi spenti . -- Si disse ; e ricoperse
Dolor profondo le dardanie fronti ;
Chèungran sostegno, benchè stranio, egli era
D'llio, e molta seguía gagliarda gente
Lui fortissimo in guerra. Difilati
Mosser dunque e serrati i teucri duci
Contra il nemico; edEttore, fremente
Del inorto Sarpedon , li precorrea.
D'altra parte Patroclo , anima ardita ,
Sprona l'acheo valor. Gli Ajaci in prima ,
Giàper sè caldi di coraggio, infiamma
Con questi detti: Ajaci , ora vi caglia
Di far testa a costoro, e vi mostrate
Quali un tempo già foste , anzi migliori .
Il campion che primiero la bastita
Saltò de' Greci , Sarpedonte è steso.
Oh se fargli pur onta e strascinarlo
E spogliarlo dell'armi ne si désse !
E stramazzargli accanto un qualcheduno
De' suoi compagni a disputarlo accinti !
Disse; e diè nel desío de' due guerrieri.
Quinci e quindi le schiere inanimate
Trojani e Licj , Mirmidóni e Achei
Sovra l'estinto s'azzuffâr, mettendo
Orrende grida ; e con fragore immenso
Risonavano l'armi . Un fiero bujo
Su l'aspra pugna allor Giove diffuse ,
Onde costasse molta strage il corpo
Dell'amato figliuol. Primi i Trojani
Respinsero gli Achei , spento Epigéo.
112 ILIADE v. 801-833
Del magnanimo Agácle era costui
Illustre figlio, e fra gli audaci Tessali
Audacissimo . A lui di Budio un giorno
L'alma terra obbedía. Ma spento avendo
Un suo valente consobrino , ei supplice
A Peléo rifuggissi ed alla diva
Consorte : e questi a guerreggiar co' Teucri
D'Ilio ne' campi lo spedir compagno
Dell'omicida Achille. Or qui costui
Già l'animose mani al combattuto
Cadavere mettea ; quando d'un sasso
Ettore il giunse nella fronte , e tutta
In due gliela spezzò dentro l'elmetto .
Cadde prono sul morto l'infelice ,
E chiuse i lumi nell'eterna notte.
Addolorato dell'ucciso amico
Dritto tra' primi pugnator scagliossi
Di Menézio il buon figlio : e qual veloce
Sparvier che gracci paventosi e storni
Sparpaglia per lo cielo e li persegue ;
Tal nel denso de' Licj e de' Trojani
Irrompesti , o Patróclo , alla vendetta
Del caduto compagno. A Stenelao,
Caro figliuol d'Itemenéo , percosse
D'un rude sasso la cervice , e i nervi
Ne lacerò. Piegar, ciò visto, addietro
I combattenti della fronte; ei pure
Piegò l'illustre Ettorre ; e quanto è il tratto
Di stral che in giostra o in omicida pugna
Vibra un buon gittator, tanto i Trojani
Dier volta addietro dall'Acheo repulsi .
Il primo che converse ardito il viso
Fu de' Licj scudati il capitano,
ν. 834-866 LIBRO XVI . 113
Glauco; e a Batícle , di Calcon diletto
Magnanimo figliuol , tolse la vita.
In Grecia egli era possessor di molte
Splendide case , e per dovizia il primo
Fra i Tessali tenuto. A lui si volse
Il Licio all'improvvista , e il giavellotto
Gli ficcò nelle coste appunto in quella
Che costui l'inseguiva ed era in atto
Già d'afferrarlo. Ei cadde, e un fragor cupo
Dieder l'armi sovr'esso . Alla caduta
Dell'egregio guerriero alto dolore
Gli Achei comprese ed alta gioja i Teucri ,
Che stretti a Glauco s'avanzâr più baldi .
Nè si smarrîr gli Achivi , ma di punta
Si spinsero allo scontro . E Merïone
Laogono prostese , audace figlio
D'Enétore che in Ida era di Giove
Sacerdote , e qual nume il popol tutto
Lo riveriva. Merïon lo colse
Tra il confin dell'orecchio e della gota ,
E tosto l'alma uscì del corpo, e lui
Un'orrenda ravvolse ombra di morte.
Incontro all'uccisor la ferrea lancia
Enea diresse ; e a lui che sotto l'orbe
Del gran pavese procedea securo,
Assestarla sperò. Ma quei del colpo
Avvistosi , e piegata la persona
L'asta schivò che sibilante e lunga
Andò di retro a conficcarsi in terra.
Ne tremolò la coda, e quivi tutta
Perde l'impeto e l'ira che la spinse.
Come fitto nel suolo, e indarno uscita
Enea si vide dalla mano il telo ;
114 ILIADE v. 867-899
Per certo, o Merïon, disse rabbioso,
Un assai destro saltator tu sei :
Ma questa lancia mia, se t'aggiungea,
T'avría ferme le gambe eternamente .
E Merïone di rimando : Enea,
Forte sei , ma ti fia duro la possa
Prostrar d'ognuno che al tuo scontro vegna;
Chè mortal se' tu pure: e s'io con questa
In pieno ti corrò, con tutto il nerbo
Delle tue mani e la tua gran baldanza
La palma a me darai , lo spirto a Pluto.
Disse: e Patróclo con rampogna acerba
Garrendolo : Perchè cianci si vano
Tu che sei valoroso, o Merïone ?
Per contumelie , amico, unqua non fia
Che l'inimico quell'esangue ceda ,
Ma col far che più d'un morda il terreno.
Orsù ; lingua in consiglio, e braccio in guerra,
Tregua alle ciance , e mano al ferro. -E dette
Queste cose , s'avanza; e l'altro il segue.
Quale è il romor che fanno i legnajuoli
In montana foresta, e lunge il suono
Va gli orecchi a ferir; tale il rimbombo
Per la vasta pianura si solleva
Di celate , di scudi e di loriche,
Altre di duro cuojo , altre di ferro,
Ripercosse dall'aste e dalle spade.
Ned occhio il più scernente affigurato
Avría l'illustre Sarpedon: tant'era
Negli strali , nel sangue e nella polve
Sepolto tutto dalla fronte al piede.
Senza mai requie al freddo corpo intorno
Facean tutti barufſa; e quale è il zonzo
v. 900-932 LIBRO XVI. 115
Conche soglion le mosche a primavera
Assalir susurrando entro il presepe
I vasi pastorali , allor che pieni
Sgorgan di latte; di costor tal era
La giravolta intorno a quell'estinto.
Fissi intanto tenea nell'aspra pugna
Giove gli sguardi lampeggianti ; e seco
Sul fatodi Patróclo omai maturo
Severamente nell'eterno senno
Consultando venía , se il grande Ettorre
Là sul giacente Sarpedon l'uccida ,
Edell'armi lo spogli ; o se preceda
Al suo morire di molt'altri il fato.
E questo parve lo miglior pensiero:
Che del Pelíde Achille il bellicoso
Scudier ricacci col lor duce i Teucri
Alla cittade, e molte vite estingua,
Però d'Ettore al cor tale egli mise
- Una vil tema , che montato il cocchio
Ratto in fuga si volse , ed alla fuga
I Trojani esortò , chiaro scorgendo
Inclinarsi di Giove a suo periglio
Le fatali bilance. Allor piè fermo
Neppur de' Licj lo squadron non tenne ;
Ma tutti si fuggîr visto il trafitto
Re lor giacente sotto monte orrendo
Di cadaveri : tante su lui caddero
Anime forti quando della pugna
AGiove piacque esasperar gli sdegni.
Cosi le corruscanti arme gli Achivi
Trasser di dosso a Sarpedonte , e altero
Alle navi invïolle il vincitore .
Allor l'eterno adunator de' nembi
116 ILIADE . 933-965
Ad Apollo così : Scendi veloce ,
Febo diletto, e da quell'alto ingombro
D'armi sottraggi Sarpedonte , e terso
Dall'atro sangue altrove il porta , e il lava
Alla corrente , e lui d'ambrosia sparso
D'immortal veste avvolgi ; indi alla Morte
Ed al Sonno gemelli fa precetto
Che all'opime di Licia alme contrade
Il portino veloci , ove di tomba
E di colonna , onor de' morti , egli abbia
Da' fratelli conforto e dagli amici.
Disse; e al paterno cenno obbedïente
Calossi Apollo dall'idéa montagna
Sul campo sanguinoso; e in un baleno
Di sotto ai dardi Sarpedon levando,
E lontano il recando, alla corrente
Tutto lavollo, e l'irrigò d'ambrosia ,
E di stola immortal lo ricoperse.
Quindi al Sonno comanda ed alla Morte
D'indossarlo e portarselo veloci :
E quei subitamente ebber deposto
Nella licia contrada il sacro incarco .
In questo mentre di Menézio il figlio
I cavalli e l'auriga inanimando
Ai Licj dava e ai Dárdani la caccia.
Stolto! chè in danno gli tornò dassezzo.
Se d'Achille obbedía saggio al comando ,
Schivato ei certo della Parca avrebbe
Il decreto fatal ; ma più possente
È di Giove il voler, che de' mortali .
Arbitro della tema ei mette in fuga
I più forti a suo senno; e allor pur anco
Ch'egli medesmo a battagliar li sprona ,
v. 966-998 LIBRO XVI . 117
Lor toglie la vittoria ; e questo ei fece
D'audacia empiendo di Patróclo il petto .
Or qual prima , qual poi spingesti a Pluto,
Quando alla morte ti chiamar gli Dei ,
Magnanimo guerrier ? Fur primi Adresto,
Autonoo, Echeclo, ed Epistorre e Périmo
Prole di Mega , e Melanippo ; quindi
Elaso e Mulio con Pilarte ; e come
Stese questi al terren , gli altri non fûro
Lenti alla fuga. E per Patróclo allora
(Ch'ei dirotto nell'ira innanzi a tutti
Furïava coll'asta) avrían di Troja
Consumato gli Achei l'alto conquisto ;
Ma Febo Apollo lo vietò calato
Su l'erta d'una torre, alto disastro
Meditando al guerriero , e scampo ai Teucri.
Tre volte il cavalier dell'arduo muro
Su gli sproni montò ; tre volte il nume
Colla destra immortal lo risospinse ,
Forte picchiando sul lucente scudo.
Ma come più feroce al quarto assalto
L'eroe spiccossi , minacciollo irato
Con fiera voce il saettante iddio :
Addietro, illustre baldanzoso , addietro ;
Alla tua lancia non concede il fato
Espugnar la città de' generosi
Teucri , nè a quella pur del grande Achille
Sì più forte di te. - Questo sol disse ;
Ed il guerriero retrocesse , e l'ira
Schivò del nume che da lungi impiaga.
Avea frattanto su le porte Scee
De' suoi fuggenti corridori Ettorre
Rattenuta la foga , e in cor dubbiava
118 ILIADE ν. 999-1031
Se spronarli dovesse entro la mischia
Novellamente, e rinfrescar la pugna ,
O chiamando a raccolta entro le mura
L'esercito ridurre . A lui nel mezzo
Di questo dubbio appresentossi Apollo,
Tolte d'Asio le forme. Era d'Ettorre
Zio cotest'Asio ad Ecuba germano,
E nondimeno ancor di giovinezza
Fresco e di forze , di Dimante figlio,
Che del frigio Sangario in su le rive
Tenea suo seggio. La costui sembianza
Presa , il nume si disse: Ettor, perchè
Cessi dall'armi ? È d'un tuo pari indegna
Questa desidia. Di vigor vincessi
Io te quanto tu me ! ben io pentirti
Farei del tuo riposo. Orsù ; converti
Contra Patróclo que destrieri , e trova
D'atterrarlo una via : fa che l'onore
Di questa morte Apollo ti conceda.
Disse; e di nuovo il Dio nel travaglioso
Conflitto si confuse. In sè riscosso
Ettore al franco Cebrion fe' cenno
Di sferzargli i destrier alla battaglia ;
Ed Apollo per mezzo ai combattenti
Scorrendo occulto seminava intanto
Tra gli Achei lo scompiglio e la paura,
E fea vincenti col lor duce i Teucri.
Sdegnoso Ettorre di ferir sul volgo
De' nemici , spingea solo in Patróclo
I gagliardi cavalli; e ad incontrarlo
Diè il Tessalo dal cocchio un salto in terra
Coll'asta nella manca , e colla dritta
Un macigno afferrò aspro che tutto
v. 1032-1064 LIBRO XVI . 119
Empieagli il pugno, e lo scagliò di forza.
Falli la mira il colpo, ma d'un pelo :
Nè però vano uscì; chè nella fronte
L'ettoreo auriga Cebrïon percosse ,
Tutto al governo delle briglie intento,
Cebrïon che nascea del re trojano
Valoroso bastardo. Il sasso acuto
L'un ciglio e l'altro sgretolò, nè l'osso
Sostenerlo poteo. Divelti al piede
Gli schizzâr gli occhi nella sabbia ; ed esso,
Qual suole il nôtator, fece cadendo
Dal carro un tómo, e l'agghiacciò la morte.
E tu, Patróclo, con amari accenti
Lo schernisti così : Davvero è snello
Questo Trojano : ve' ve' come ei tombola
Con leggiadría ! Se in pelago pescoso
Capitasse costui , certo saprebbe
Saltando in mar, foss'anche in gran fortuna ,
Dallo scoglio spiccar conchiglie e ricci
Da saziarne molte epe : si lesto
Saltò pur or dal carro a capo in giuso.
Oh gli eccellenti notator che ha Troja !
Si dicendo, avventossi a Cebrïone
Come fiero lion che disertando
Una greggia, piagar si sente il petto,
E dal proprio valor morte riceve.
Ma ratto contro a quel furor si slancia
Ettore dalla biga ; e i due superbi
Incomincian col ferro a disputarsi
L'esangue Cebrïon. Qual due lïoni
Che per gran fame e per gran cor feroci
S'azzuffano d'un monte in su la cima
Perla contesa d'una cerva uccisa ;
120 ILIADE
ν. 1065-1097
Non altrimenti i due mastri di guerra ,
L'intrepido Patroclo e il grande Ettorre ,
Ardono entrambi del crudel desío
Di trucidarsi . Il teucro eroe la testa
Del cadavere afferra , e lo ghermisce
Il Tessalo d'un piede , e la sua presa
Né quei nè questi di lasciar fa stima.
Allor Trojani e Achivi una battaglia
Appiccâr disperata. E qual gareggiano
D'Euro e di Noto i forti fiati a svellere
Nelle selve montane il faggio e il frassino
Ed il ruvido cornio ; e questi all'aere
Dibattendo le lunghe e larghe braccia
Con immenso ruggito le confondono,
Finchè li vedi fracassarsi , e opprimere
Fragorosi la valle ; a questa immagine
L'un su l'altro scagliandosi combattono
Trojani e Dánai del fuggir dimentichi.
Dintorno a Cebrïon folta conficcasi
Una selva d'acute aste e d'aligeri
Dardi guizzanti dalle cocche; assidua
D'enormi sassi una tempesta crepita
Su gli ammaccati scudi ; ed ei nel vortice
Della polve giacea grande cadavere
In grande spazio , eternamente , ahi misero !
Dei cari in vita equestri studi immemore,
Finchè del sole ascesero le rote
Verso il mezzo del ciel , d'ambe le parti
Uscíano i colpi con egual ruina ,
E la gente cadea. Ma quando il giorno
Su le vie dechinò dell'occidente ,
Prevalse il fato degli Achei che alfine
Dall'acervo dei teli , e dalla serra
٥٠
1098-1130 LIBRO XVI . 128
De' Trojaní involar di Cebrïone
La salma , e l'armi gli rapîr di dosso.
Qui fu che pieno di crudel talento
Urto Patroclo i Troi . Tre volte il fiero
Con gridi orrendi gli assali , tre volte
Spense nove guerrier; ma come il quarto
Impeto fece , e parve un Dio , la Parca
Del viver tuo raccolse il filo estremo ,
Miserando garzon , chè ad incontrarti
Venía tremendo nella mischia Apollo.
Nè camminar tra l'armi alla sua volta
L'eroe lo vide , chè una folta nebbia
Le divine sembianze ricopría.
Vennegli a tergo il nume , e colla grave
Palma sul dosso tra le late spalle
Gli dechinò sì forte una percossa ,
Che abbacinossi al misero la vista
E girò l'intelletto. Indi dal capo
Via saltar gli fe' l'elmo il Dio nemico ;
E l'elmo al suolo rotolando fece
Sotto il piè de' corsieri un tintinnío ,
E si bruttaro del cimier le creste
Di sangue e polve : nè di polve in pria
Insozzar quel cimiero era concesso
Quando l' intatto capo e la leggiadra
Fronte copriva del divino Achille.
Ma in quel giorno fatal Giove permise
Che d'Ettore passasse in su le chiome
Vicino anch'esso al fato estremo . Allora
Tutta a Patroclo nella man si franse
La ferrea , lunga, ponderosa e salda
Smisurata sua lancia , e sul terreno
Dalla manca gli cadde il gran pavese
6
,
ILIADE , Vol. 11.
122 ILIADE 0.1131-1163
Rotto il guinzaglio. Di sua man l'usbergo
Sciolsegli altine di Latona il figlio ,
E l'infelice allor del tutto uscío
Di sentimento; gli tremaro i polsi ;
Ristette immoto , sbalordito ; e in quella
Tra l'una spalla e l'altra lo percosse
Coll'asta da vicin di Panto il figlio,
L'audace Euforbo , un Dárdano che al corso
E in trattar lancia e maneggiar destrieri
La pari gioveutù vincea d'assai .
La prima volta che sublime ei parve
Su la biga a imparar dell'armi il duro
Mestier , venti guerrieri al paragone
Riversò da'lor cocchi , ed or fu il primo
Che ti ferì , Patróclo , e non t'uccise.
Anzi dal corpo ricovrando il ferro
Si fuggì pauroso , e nella turba
Si confuse il fellon , che di Patróclo
Benchè piagato e già dell'armi ignudo
Non sostenne la vista. Da quel colpo
E più dall'urto dell'avverso Dio
Abbattuto l'eroe si ritirava
Fra' suoi compagni ad ischivar la morte.
Ed Ettore , veduto il suo nemico
Retrocedente e già di piaga offeso ,
Tra le file vicine gli si strinse ;
Nell'imo casso immerse l'asta e tutta
Dall'altra parte rïuscir la fece.
Risono nel çadere , ed un gran lutto
Per l'esercito achivo si diffuse.
Come quando un lione alla montagna
Cinghial di forze smisurate assalta ,
E l'uno e l'altro di gran cor fan lite
v. 1164-1196 LIBRO XVI. 123
D'una povera fonte, al cui zampillo
Veníano entrambi ad ammorzar la sete;
Alfin la belva dai robusti artigli
Stende anelo il nemico in su l'areña ;
Tal di Menézio al generoso figlio
De' Teucri struggitor tolse la vita
Il trojan duce; e al moribondo eroe
Orgoglioso insultando : Ecco , dicea ,
Ecco , o Patróclo , la città che dianzi
Atterrar ti credesti ; ecco le donne
Che ti sperasti di condur captive
Alla paterna Ftia. Folle ! e non sai
Che a difesa di queste anco i cavalli
D'Ettór son pronti a guerreggiar co'piedi ?
E che fra Teucri bellicosi io stesso
Non vil guerriero maneggiar so l'asta ,
E preservarli da servil catena ?
Tu frattanto qui statti orrido pasto
D'avoltoi. Che ti valse , o sventurato ,
Quel tuo si forte Achille ? Ei molti avvisi
Ti diè certo al partire: O cavaliero
Caro Patróclo , non mi far ritorno
Alle navi se pria dell'omicida
Ettór sul petto non avrai spezzato
Il sanguinoso usbergo... Ei certo il disse ;
E a te , stolto che fosti ! il persuase .
E a lui così l'eroe languente : Or puoi
Menar gran vampo , Ettorre , or che ti diero
Dimiamorte la palma Apollo e Giove.
Essi , nou tu , m'han domo ; essi m'han tratto
L'armi di dosso. Se pur venti a fronte
Tuoi pari in campo mi venían , qui tutti
Questo braccio gli avría prostrati e spenti.
124 ILIADE LIB. XVI. 9. 1197-1219
Ma me per rio destin qui Febo uccide
Fra gl'Immortali, e tra' mortali Euforbo ,
Tu terzo mi dispogli. Or io vo' dirti
Cosa che in mente collocar ben devi :
Breve corso a te pur resta di vita ;
Già t'incalza la Parca ; e tu cadrai
Sotto la destra dell' invitto Achille.
Disse e spirò. Disciolta dalle membra
Scese l'alma a Pluton , la sua piangendo
Sorte infelice e la perduta insieme
Fortezza e gioventù. Sovra l'estinto
Arrestatosi Ettorre : A che mi vai
Profetando , dicea , morte funesta ?
Chi sa che questo della bella Teti
Vantato figlio , questo Achille a Dite
Côlto dall'asta mia non mi preceda ?
Così dicendo , lo calcò d'un piede ;
Gli svelse il telo dalla piaga , e lungi
Lui supino gitto. Poi ratto addosso
All'auriga d'Achille si disserra ,
Di ferirlo bramoso. Invan ; chè altrove
Gl' immortali sel portano corsieri ,
Che in bel dono a Peléo diero gli Dei.
ILIADE
LIBRO DECIMOSETTΙΜΟ
ARGOMENTO
Menelao si pone a guardia del corpo di Pátroclo, ed
uccide Euforbo che voleva impadronirsene. So-
pravvengono i Trojani guidati da Ettore. Menelao
si ritira , ed Ettore s'impossessa delle armi d'A-
chille , delle quali si riveste. I Greci , chiamati
da Menelao per consiglio d'Ajace Telamonio , si
ristringono intorno al morto Patroclo. Qui arde
il conflitto maggiore , mentre un' improvvisa cali-
gine ricopre i combattenti che si azzuffano al bujo.
La nebbia è rimossa da Giove a' preghi d'Ajace.
Menelao manda Antiloco ad annunciare ad Achille
la morte di Pátroclo. Frattanto Menelao e Merio-
ne , levato il morto da terra , lo trasportano verso
il lido del mare protetti dai due Ajaci. Enea ed
Ettore cogli altri Trojani incalzano i Greci fug-
gitivi.
Visto in campo cader dai Teucri ucciso
Pátroclo, s'avanzò d'armi splendente
bellicoso Menelao. Si pose
Del morto alla difesa , e il circuiva
Qual suole mugolando errar dintorno
Ila tenera prole una giovenca,
Cui di madre sentir fe' il dolce affetto
Del primo parto la fatica. Il forte
126 1
ILIADE
Davanti gli sporgea l'asta e lo scudo,
Pronto a ferir qual osi avvicinarsi,
Ma sul caduto eroe di Panto il figlio
Rivolò , si fe' presso, e baldanzoso
All'Atride gridò : Duce di genti ,
Di Giove alunno Menelao, recedi ;
Quell'estinto abbandona , e a me le spoglie
Sanguinose ne lascia , a me che primo
Tra tutti e Teucri ed alleati in aspra
Pugna il percossi. Non vietarmi adunque
Quest'altagloria fra' Trojani ; o ch'io
Col ferro ti trarrò l'alma dal petto.
Eterno Giove , gli rispose irato
Il biondo Menelao , dove s'intese
Più sconcio millantar ? Nè di pantera
Nè di lion fu mai, nè di robusto
Truculento cinghial tanto l'ardire ,
Quanta spiran ferocia i Pantoídi.
Epur che valse il fior di gioventude
Aquel tuo di cavalli agitatore
Fratello Iperenór, quando chiamarmi
Il più codardo de' guerrieri achei ,
E aspettarmi s'ardi ? Ma nol tornaro
I proprj piedi alla magion , mi credo ,
Di molta festa obbietto ai venerandi
Suoi genitori, e alla diletta sposa.
Farò di te , se innoltri , ora lo stesso.
Ma t'esorto a ritrarti , e pria che qualche
Danno ti colga , dilungarti. Il fatto
Rende accorto, ma tardi , anche lo stolto.
Disse; e fermo in suo cor l'altro riprese:
Pagami or dunque , o Menelao, del morto
Mio fratello la pena e del tuo vanto.
7 .42-74 LIBRO XVII. 127
D'una giovine sposa , è ver, tu festi
Vedovo il letto , e d'ineffabil lutto
Fosti cagione ai genitor ; ma dolce
Farò ben io di quei meschini il pianto,
Se carco del tuo capo e di tue spoglie
In man di Panto e della día Frontíde
Le deporrò. Non più parole : Il ferro
Provi qui tosto chi sia prode o vile.
Feri , ciò detto, nel rotondo scudo,
Manol passò, chè nella salda targa
Si ritorse la punta. Impeto ſece,
Giove invocando, dopo lui l'Atride,
E al nemico, che in guardia si traea,
Nell'imo gorgozzul spinta la picca,
Ve l'immerge di forza, e gli trafora
Il delicato collo. Ei cadde , e sopra
Gli tonår l'armi ; e della chioma, a quella
Delle Grazie simíl , le vaghe anella
D'auro avvinte e d'argento insanguinarsi.
Qual d'olivo gentil pianta nudrita
In lieto d'acque solitario loco
Bella sorge e frondosa; il :nolle fiato
L'accarezza dell'aure, e mentre tutta
Del suo candido fiore si riveste ,
Un improvviso turbine la schianta
Dall'ime barbe , e la distende a terra :
Tal l'Atride prostese il valoroso
Figliuol di Panto , Euforbo, e a dispogliarlo
Corse dell'armi. Come quando un forte
Lion montano una giovenca afferra
Fior dell'armento, co' robusti denti
Prima il collo le frange, indi sbranata ,
Le sanguinose viscere n'ingozza ;
128 ILIADE
V. 75-107
Alto di cani intorno e di pastori
Komor si leva , ma nïun s'accosta,
Chè affrontarlo non osano compresi
Di pallido timor : così nessuno
Ardía de' Teucri al baldanzoso Atride
Farsi addosso ; e all'ucciso ei tolte l'armi
Agevolmente avría , se questa lode
Gl'invidïando Apollo, incontro a lui
Non incitava il marzïale Ettorre .
Di Menta , duce de' Ciconi , ei prese
Le sembianze e gridò queste parole:
Ettore , a che del bellicoso Achille ,
Senza speranza d'arrivarli , insegui
Gl'immortali corsieri ? Umana destra
Mal li doma, e guidarli altri non puote
Che Achille , germe d'una Diva. Intanto
Il forte Atride Menelao la salma
Di Pátroclo salvando, a morte ha messo
Un illustre Trojan , di Panto il figlio,
E ne spense il valor. - Ciò detto, il Dio
Ritornò nella mischia. Alto dolore
L'ettóreo petto circondò: rivolse
L'eroe lo sguardo per le file in giro,
E tosto dell'esimie armi veduto
Il rapitore, e l'altro al suol giacente
In un lago di sangue, oltre si spinse
Scintillante nel ferro come lingua
Del vivo fuoco di Vulcano, e mise
Acuto un grido. Udillo, e sospirando
Nel segreto suo cor disse l'Atride :
Misero che farò ? se queste belle
Armi abbandono e di Menézio il figlio
Per onor mio qui steso, alla mia fuga
v. 108-140 LIBRO XVII. 129
Gli Achei per certo insulteran ; se solo
Da pudor vinto, con Ettór mi provo
E co' suoi forti , io sol da molti oppresso
Cadrò, chè tutti il condottier trojano
Seco i Teucri ne mena a questa volta .
Ma che dubbia il mio cor ? Chi con avversi
Numi un guerrier, che sia lor caro , affronta ,
Corre alla sua ruina. Alcun non fia
Dunque de' Greci che con me s'adiri
Se davanti ad Ettorre, a lui che pugna
Per comando d'un nume , io mi ritraggo .
Pur se avverrà che in qualche parte io trovi
Il magnanimo Ajace, entrambi all'armi
Ritornerem allor, pur contra un Dio,
E a sollievo de' mali opra faremo
Di trar salvo ad Achille il morto amico .
Mentre tai cose gli ragiona il core ,
Da Ettore precorse ecco de' Teucri
Sopravvenir le schiere. Allora ei cesse ,
E il morto abbandonò, gli occhi volgendo
Tratto tratto all'indietro, a simiglianza
Di giubbato lïon cui da' presepi
Caccian cani e pastor con dardi ed urli .
Freme la belva in suo gran core, e parte
Mal suo grado dal chiuso: a tal sembianza
Da Pátroclo partissi il biondo Atride .
Giunto ai compagni, s'arrestò, si volse
Cercando in giro collo sguardo il grande
Figliuol di Telamone, e alla sinistra
Della pugna il miro, che alla battaglia
Animava i suoi prodi a cui poc'anzi
Febo avea messo nelle vene il gelo
D'un divino terror. Corse, e veloce
6*
130 ILIADE 9. 141-173
Raggiuntolo gridò: Qua tosto , Ajace,
Vola, amico, affrettiamci alla difesa
Di Patroclo; serbiamne al divo Achille
Il nudo corpo almen, poichè dell'armi
Già si fece signor l'altero Ettorre.
Turbâr la generosa alma d'Ajace
Queste parole : s'avvïò, si spinse
Tra i guerrieri davanti, in compagnía
Di Menelao . Per l'atra polve intanto
Strascinava di Pátroclo la nuda
Salma il duce trojano, onde troncarne
Dagli omeri la testa, e far del rotto
Corpo ai cani di Troja orrido pasto.
Ma gli fu sopra col turrito scudo
Il Telamonio: retrocesse Ettorre
Nella torma de' suoi , d'un salto ascese
Il cocchio, e le rapite armi famose
Dielle ai Teucri a portar nella cittade,
D'alta sua gloria monumento. Allora
Coll'ampio scudo ricoprendo il figlio
Di Menézio, fermossi il grande Ajace,
Come lion cui, mentre al bosco mena
I leoncini , sopravvien la turba
De' cacciatori ; si raggira il fiero,
Che sente la sua forza, intorno ai figli ,
E i truci occhi rivolve, e tutto abbassa
Il sopracciglio che gli copre il lampo
Delle pupille : a questo modo Ajace
Circuisce e protegge il morte eroe .
Dall'altro lato è Menelao cui l'alta
Doglia del petto tuttavia ricresce.
De' Licj il condottier Glauco, buon figlio
D'Ippóloco, ad Ettór volgendo allora
v. 174-206 LIBRO XVII. 131/
ས
Bieco il guardo, con detti aspri il garrisce :
O di viso sol prode, e non di fatto,
Ettore ! a torto te la fama estolle,
Te si pronto al fuggir. Pensa alla guisa
Di salvar la cittade e le sue vôcche
Quindi innanzi tu sol colla tua gente,
Chè nessuno de' Licj alla salvezza
D'llio co' Greci pugnerà, nessuno,
Da che teco nessun merto s'acquista
Col sempre battagliar contro il nemico.
Sciaurato ! e qual dunque avrai tu cura
De' minori guerrier, tu che lasciasti
Preda agli Argivi Sarpedon, che mentre
Visse, a Troja fu scudo ed a te stesso?
E ti sofferse il cor d'abbandonarlo
Allo strazio de' cani ? Or se a mio senno
Faranno i Licj , partiremci , e tosto;
E d'Ilio apparirà l'alta ruina.
Oh! s'or fosse ne' Troi quella fort'alma ,
Quell'intrepido ardir che ne' conflitti
Scalda gli amici della patria veri ,
Noi dentr' Ilio trarremmo immantinente
Di Pátroclo la salma. Ove un cotanto
Morto , sottratto dalla calda pugna ,
Strascinato di Priamo ne fosse
Dentro le mura , renderían gli Achei
Di Sarpedonte le bell'armi e il corpo
Pronti a tal prezzo; perocchè l'ucciso
Di quel forte è l'amico che di possa
Tutti avanza gli Argivi , e schiera il segue
Di bellicosi . Ma del fiero Ajace
Tu non osasti sostener lo scontro
Nè lo sguardo fra l'armi , e via ſuggisti ,
232 ILIADE
9. 207-239
Perchè minore di valor ti senti.
Con bieco piglio fe' risposta Ettorre :
Perchè tale qual sei , Glauco , favelli
Così superbo ? Io ti credea per senno
Miglior di quanti la feconda gleba
Della Licia nudrisce. Or veggo a prova
Che tu se' stolto , se affermar t'attenti
Che d'Ajace lo scontro io non sostenni.
Nè la pugna io , no mai , nè il calpestio
De' cavalli pavento , ma di Giove
L'alto consiglio che ogni forza eccede.
Egli in fuga ne mette a suo talento
Anche i più prodi , e ne' conflitti or toglie,
Or dona la vittoria . Orsù , vien meco ,
Statti , amico , al mio fianco , e vedi al fatto
Se quel vile sarò tutto quest'oggi
Che tu dicesti , o se saprò l'ardire
Di qualunque domar gagliardo Acheo
Che del morto s'innoltri alla difesa.
Quindi le schiere inanimando grida :
Teucri , Dardani , Liej , or vi mostrate
Uomini , e il petto vi conforti , amici ,
Dell'antico valor la rimembranza ,
Mentre l'armi d'Achille , da me tolte
All'ucciso Patróclo , io mi rivesto.
Disse , e corse e raggiunse in un baleno
Delle bell'arme i portatori , e date
A recarsi nel sacro Ilio le sue ,
Fuor del conflitto ed a' suoi prodi in mezzo
Le immortali si cinse armi d'Achille ,
Dono de' numi al genitor Peléo ,
Che poi vecchio le cesse al suo gran figlio :
Ma il figlio in quelle ad invecchiar non venne .
v. 240-272 LIBRO XVII . 133
Come il sommo de'nembi adunatore
Del Pelíde indossarsi le divine
Armi lo vide , crollò il capo , e seco
Nel suo cor favellò : Misero ! al fianco
Ti sta la morte , e tu nol pensi , e l'armi
Ti vesti dell'eroe che de' guerrieri
Tutti è il terrore , a cui tu il forte hai spento
Mansueto compagno , armi d'eterna
Tempra a lui tolte con oltraggio. Or io
D'alta vittoria ti farò superbo ,
E compenso sarà del non doverti
Andrómaca, al tornar dalla battaglia ,
Scioglier l'usbergo del Pelíde Achille.
Disse , e l'arco de' negri sopraccigli
Abbassando , d'Ettorre alla persona
Adattò l'armatura. Al suo contatto
Infiammossi l'eroe d'un bellicoso
Orribile furor , tutte di forza
Senti inondarsi e di valor le vene.
Degl' incliti alleati , alto gridando ,
Quindi avviossi alle caterve , e a tutti
Veder sembrava folgorar nell'armi
Del magnanimo Achille Achille istesso.
Ed'ogni parte ognun riconfortando ,
Mestle , Glauco , Tersiloco , Medonte ,
Asteropéo , Disénore , Ippotóo ,
E Crómio , e Forci , e l'indovino Ennómo ,
Con questi accenti li raccese : Udite ,
Collegati , non io dalle vicine
Cittadi ad Ilio ragunai le vostre
Numerose coorti , onde di gente
: Far molta mano , chè mestier non m'era ;
Ma perchè meco da' feroci Achei
134 ILIADE
. 273-305
Le teucre spose ne servaste e i figli
Con pronti petti, Di tributi io gravo
In questo intendimento il popol mio
Per satolarvi. Dover vostro è dunque
Voltar dritta la fronte all' inimico ,
E o salvarsi o perir , chè della guerra
Questo è il commercio. A chi di voi costringa
Ajace in fuga , e de' Trojani al campo
Tragga il morto Patróclo , a questi io cedo
La metà delle spoglie , e andrà divisa
Egual con esso la mia gloria ancora.
Al fin delle parole alzâr le lance
Tutti , e al nemico s'addrizzar di punta
Con grande in core di strappar speranza
Dalle mani del gran Telamoníde
Il morto: folli ! chè sul morto istesso
Quell'invitto dovea farne macello.
Allor rivolto Ajace al battagliero
Menelao , così disse : Illustre Atride ,
Caro alunno di Giove , assai pavento
Ch'or salvi usciamo dell'acerba pugna.
Nè sì tem'io per Patroclo , che parmi
Del suo corpo farà tosto di Troja
Sazi i cani e gli augei , quanto pel mio
E pel tuo capo un qualche sconcio : vedi
Quella nube di guerra che già tutto
Ricopre il campo ? D'Ettore son quelle
Le falangi , e su noi pende una grave
Manifesta rovina. Orsù de' Greci ,
Se udir ti ponno, i più valenti appella.
Non fe' niego il guerriero, e a tutta gola
Gridava : Amici , capitani achei ,
Quanti alle mense degli Atridi in giro
. 306-338 LIBRO XVII . 135
Propinate le tazze, ed onorati
Dal sommo Giove i popoli reggete ,
Nell'ardor della zuffa il guardo mio
Non vi distingue, ma chïunque ascolta
Deh corra, e sdegno il prenda che Patróclo
Ludibrio resti delle frigie belve.
Ajace , d'Oiléo veloce figlio,
Udillo, e primo per la mischia accorse ,
Idomeneo dop'esso e Merïone
In sembianza di Marte. E chi di tutti ,
Che poi la pugna rintegrar, potría
Dire i nomi al pensier ? Primieri i Teucri
Stretti insieme fèr impeto, precorsi
Dal grande Ettorre. Come quando all'alta
Foce d'un fiume che da Giove è sceso,
Freme ritroso alla corrente il flutto
Eruttato dal mar; mugghian con vasto
Rimbombo i lidi : simigliante a questo
Fu de' Teucri il clamor. Dall'altro lato
Totti d'un cor con assiepati scudi
Gli Achei fer cerchio di Menézio al figlio,
E il Saturnio dintorno ai rilucenti
Elmi un'atra caligine spandea ,
Chè d'Achille l'amico il Dio dilesse ,
Mentre fu vivo , e ch'egli or sia di fiere
Orrido cibo sofferir non puote.
A pugnar quindi per la sua difesa
I compagni eccitò. Nel primo cozzo
I Trojani respinsero gli Achivi
Che sbigottiti abbandonar l'estinto ;
Nè i Trojani però , benchè bramosi ,
Dieder morte a verun , solo badando
Apredar il cadavere ; ma presto
136 ILIADE ν. 339-372
Si raccostâr gli Achei , chè il grande Ajace ,
E d'aspetto e di forze il più prestante
Sovra tutti gli Achei dopo il Pelíde ,
Tostamente voltar fronte li fece.
Tra gl'innanzi l'eroe quindi si spinse ,
Pari ad ispido verro alla montagna ,
Che con subita furia si converte
Fra le roste , e sbaraglia de'gagliardi
Cacciatori la turba e de' molossi :
Cosi di Telamon l'esimio figlio
De' Trojani disperde le falangi
Che a Patróclo fan calca , e strascinarlo
Si studiano in trionfo entro le mura.
Illustre germe del Pelasgo Leto ,
Ippótoo gli avea d'un saldo cuojo
Ai nervi del tallon l'un piede avvinto ,
E di mezzo al ferir de' combattenti
Per la sabbia il traea , grato sperando
Farsi ad Ettorre ed ai Trojani ; ed ecco
Giungergli un danno che nessun , quantunque
Desideroso , allontanar gli seppe.
Fra la turba avventossi , e su le guance
Dell'elmo Ajace disserrògli un colpo
Che tutto lo spezzo : tanto dell'asta
Fu il picchio e tanto della mano il pondo.
Schizzár per l'aria le cervella e il sangue
Dall'aperta ferita , e tosto a lui
Quetársi i polsi; dalle man gli cadde
Del morto il piede, e sovra il morto ei pure
Boccon cadde e spirò lungi dai campi
Di Larissa fecondi : nè poteo
Dell'averlo educato ai genitori
Rendere il premio , perocchè d'Ajaee
La gran lancia fe' brevi i giorni suoi .
ν. 373-405 LIBRO XVII. 137
ال
Contro Ajace l'acuta asta allor trasse
Ettore ; e l'altro , visto l'atto , alquanto
Dechinossi , e schivolla . Era di costa
Schedio , d'Ifito generoso figlio ,
Fortissimo Focense che sua stanza ,
Di molta gente correttor , tenea
Nell'inclita Panópe. A mezza gola
Colpillo , e tutta al sommo della spalla
La ferrca punta gli passò la strozza.
Cadde il trafitto con fragore , e cupo
S'udi dell'armi il tuon sopra il suo petto.
Ajace di rincontro iu mezzo all'epa
Di Fenópo il figliuol Forci percosse ,
Forte guerrier che messo alla difesa
D' Ippótoo s'era. Il furïoso ferro
Kuppe l'incavo del torace , ed alto
Ne squarciò gl'intestini. Ei cadde, e strinse
Colla palma il terren. Dier piega allora
I primi in zuffa , ripiegossi ei pure
L'illustre Ettorre , e con orrende grida
D'Ippótoo e Forci strascinâr gli Argivi
Le morte salme , e le spogliar. Compresi
Di viltade i Trojani , e dalle greche
Lance incalzati allor verso le rôcche
Sarían d' Ilio fuggiti , e avrían gli Argivi
■ Contro il decreto del tonante Iddio
In lor solo valor vinta la pugna ,
Se Apollo a tempo la virtù d' Enea
Non ridestava. Le sembianze ei prese
aft Dell' Epitíde araldo Perifante ,
Che in tale officio a molta età venuto
Del vecchio Anchise nelle case , istrutta
Di fedeli consigli avea la mente .
138 ILIADE
e. 406-438.
Cosi cangiato , a lui disse il divino
Figlio di Giove : Enea , l'eccelsa Troja
Contro il volere degli Dei periglia :
Chè non la cerchi di salvar ? l'esemplo
Chè non imiti degli eroi ch'io vidi
D'ogni cimento trionfar , fidáti
Nel valor, nell'ardir, nella fortezza
Del proprio petto e delle molte schiere
Che li seguíano , invitte alla paura ?
Più che agli Achivi , a noi Giove per certo
Consente la vittoria ; ma chi fugge
Trepido e schiva di pugnar , la perde.
Fisse a tai detti Enea lo sguardo in viso
Al saettante nume , e lo conobbe;
E d'Ettore alla volta alzando il grido :
Ettore , ei disse , e voi degli alleati
Capitani e de' Teucri , oh qual vergogna
S'or per nostra viltà domi dal ferro
De'bellicosi Achei risaliremo
D'Ilio le mura ! Un Dio m'apparve , e disse
Che l'arbitro dell'armi eterno Giove
Ne difende. Corriam dunque diritto
All'inimico , e almen non sia che il morto
Pátroclo ei seco ne trasporti in pace.
Al fin delle parole innanzi a tutta
La prima fronte si sospinse , e stelte.
Si conversero i Teucri , ed agli Achei
Mostrar la faccia arditamente. Allora
Coll'asta Enea Leócrito figliuolo
D'Arisbante feri , forte compagno
Di Licomede che al caduto amico
Pietoso accorse , e fattosi vicino
Fermossi , e la fulgente asta vibrando
.439-471 LIBRO XVII. 139
D'Ippaso il figlio Apisaon percosse
Nell'epate di sotto alla corata ,
E l'atterrò. Venuto era costui
Dalla fertil Peonia , ed era in guerra
Il più valente dopo Asteropéo .
Senti pietade del caduto il forte
Asteropéo ; e di zuffa desïoso
Si scagliò tra gli Achei. Ma degli scudi
E dell'aste protese ei non potea
Rompere il cerchio che Patróclo serra .
E Ajace intorno s'avvolgendo , a tulti
Molti dava comandi , e non patía
Che alcun dal morto allontanasse il piede ,
O fuor di fila ad azzuffarsi uscisse ;
Ma fea precetto a ciaschedun di starsi
Saldi al suo fianco , e battagliar dappresso.
Tal dell'enorme Ajace era il volere ,
E tutta in rosso si tingea la terra.
Teucri , Argivi , alleati alla rinfusa
Cadon trafitti: chè neppur gli Argivi
Senza sangue combattono , ma n'esce
Minor la strage , perocchè l'un l'altro
Nel travaglio fatal si porge aíta .
Cosi qual vasto incendio arde il conflitto ;
E del Sol detto avresti e della Luna
Spento il chiaror : cotanta era sul campo
L'atra caligo che dintorno al morto
Pátroclo il fiore de' guerrier copría ,
Mentre l'un'oste è l'altra a ciel sereno ,
Libera altrove combattea. Su questi
Puro si spande della luce il fiume:
Nessuna nube al pian , nessuna al monte.
Cosi la pugna ha i suoi riposi , e molto
140 ILIADE ν. 472-504
Spazio correndo tra i pugnanti , ognuno
Dalle mutue si scherma aspre saette.
Ma cotesti di mezzo hanno travaglio
Dall'armi a un tempo e dalla nebbia , e il ferre
I più prestanti crudelmente offende.
Sol due guerrieri non avean per anco
Del buon Patróclo la ria morte udita ,
Due guerrier glorïosi , Trasiméde
E Antíloco ; ma vivo e tuttavolta
Alle mani il credean co' Teucri al centro
Della battaglia. E intanto essi la strage
De' compagni veduta e la paura ,
Pugnavano in disparte , e come imposto
Fu lor dal padre , dalle negre navi
Tenean lontano le nemiche offese .
Ma il conflitto maggior ferve dintorno
Al valoroso del Pelíde amico ,
Terribile conflitto , e senza posa
Fino al tramonto della luce. A tutti
Dissolve la stanchezza e gambe e piedi
E ginocchia; il sudore a tutti insozza
E le mani e la faccia , e quale , allora
Che a robusti garzoni il coreggiajo
La pingue pelle a rammollir commette
Di gran tauro ; disposti essi in corona
La stirano di forza; immantinente
L'umidor ne distilla , e l'adiposo
Succo le fibre ne penétra , e tutto
A quel molto tirar si stende il cuojo:
Tale in piccolo spazio i combattenti
Gareggiando traean da opposti lati
Il cadavere ; questi nella speme
Di strascinarlo entro le mura , e quelli
1
v. 505-537 LIBRO XVII. 141
Alle concave navi . Ognor più fiera
Sull'estinto sorgea quindi la zuffa ,
Tal che Marte dell'armi eccitatore
Nel vederla e Minerva anche nell' ira
Commendata l'avría. Tanta in quel giorno
Di cavalli e d'eroi Giove diffuse
Sul corpo di Patróclo aspra contesa.
Nè ancor del morto amico al divo Achille
Giunt'era il grido : perocchè di molto
Dalle navi lontana ardea la pugna
Sotto il muro trojan ; nè in suo pensiero
Di tal danno cadea pure il sospetto.
Spera egli anzi che dopo aver trascorso
Fino alle porte , ei torni illeso indietro :
Nè ch'ei possa atterrar d' Ilio le mura
Senzasè nè con sè punto s'avvisa ,
Chè del contrario l'alma genitrice
Fatto certo l'avea quando in segreto
A lui di Giove rifería la mente ;
E il fiero caso occorso , la caduta
Del suo diletto amico ora gli tacque.
In questo d'abbassate aste lucenti
Edi cozzi e di stragi alto trambusto
Su quell'esangue , dalla parte achea
Gridar s'udía : Compagni , è perso il nostro
Onor se indietro si ritorna. A tutti
S'apra piuttosto qui la terra; è meglio
Ir nell'abisso , che ai Trojani il vanto
Lasciar di trarre in Ilio una tal preda.
E di rincontro i Troi : Saldi , o fratelli ,
Niun s'arretri , per dio ! dovesse il fato
Qui su l'estinto sterminarci tutti.
Cosi d'ambe le parti ognuno infiamma
142 ILIADE v. 538-570
Il vicino , e combatte. Il suon de' ferri
Pe' deserti dell'aria iva alle stelle .
D'Achille intanto i corridor , veduto
Il loro auriga dall'ettórea lancia
Nella polve disteso , allontanati
Dalla pugna piangean. Di Dioréo
Il forte figlio Automedonte invano
Or con presto flagello , ora con blande
Parole , ed ora con minacce al corso
Gli stimola. Ostinati essi nè vonno
Alla riva piegar dell'Ellesponto ,
Nè rïentrar nella battaglia. Immoti
Come colonna sul sepolcro ritta
Di matrona o d'eroe , starsi li vedi
Giunti al bel carro colle teste inchine ,
E dolorosi del perduto auriga
Calde stille versar dalle palpebre.
Per lo giogo diffusa al suol cadea
La bella chioma , e s'imbrattava. Il pianto
Ne vide il figlio di Saturno , e tocco
Di pietà scosse il capo , e così disse :
O sventurati ! perchè mai vi demmo
Ad un mortale , al re Peléo , non sendo
Voi né a morte soggetti nè a vecchiezza ?
Forse perchè partecipi de' mali
Foste dell'uomo di cui nulla al mondo ,
Di quanto in terra ha spiro e moto , eguaglia
L'alta miseria ? Ma non fia per certo
Che da voi sia portato e da quel cocchio
Il Priamide Ettorre : io nol consento.
E non basta che l'armi ei ne possegga ,
E gran vampo ne meni ? Or io nel petto
Metterovvi e ne'piè forza novella ,
v. 571-603 LIBRO XVII . 143
Onde fuor della mischia a salvamento
Adduciate alle navi Automedonte; :
Ch'io son fermo di far vittorïosi
Per anco i Teucri insin che fino ai legni
Spingan la strage , e il Sol tramonti , e il sacro
Velo dell'ombre le sembianze asconda.
Così detto , spirò tale un vigore
Ne'divini corsier , che dalle chiome
Scossa la polve , in un balen portaro
Fra i Teucri il cocchio e fra gli Achei. Sublime
Combatteva su questo Automedonte ,
Benchè dolente del compagno ; e a guisa
D'avoltojo fra timidi volanti
Stimolava i cavalli. Ed or lo vedi
Ratto involarsi dai nemici , ed ora
Impetuoso ricacciarsi in mezzo ,
E le turbe inseguir : ma di lor nullo
Nel suo corso uccidea , chè solo in cocchio
Assalir colla lancia e de' cavalli
Reggere a un tempo non potea le briglie.
Videlo alfine un suo compagno , il figlio
Dell'Emónio Laerce , Alcimedonte ,
Che dietro al cocchio si lanciò gridando :
Automedonte , e qual de' numi il senno
Ti tolse , e il vano t'ispirò consiglio
D'assalir solo de' Trojan la fronte?
Iltuo compagno è spento , e l'esultante
Ettore l'armi del Pelíde indossa .
Ea lui di Dioréo l'inclita prole :
Alcimedonte , l'indole di questi
Sempiterni corsieri , e di domarli
L'arte, chi meglio tra gli Achei l'intende
Di te dopo Patroclo in sin che visse ?
144 ILIADE v. 604-636
Or che questo de' numi emulo giace ,
Tu prenditi la sferza e le lucenti
Briglie , ch' io scendo a guerreggiar pedone.
Spiccò sul cocchio un salto a questo invito
Alcimedonte , ed alla man diè tosto
Il flagello e le guide , e l'altro scese.
Avvisossene Ettorre , ed al propinquo
Enea rivolto : I destrier scorgo , ei disse ,
Del Pelíde tornar nella battaglia
Con fiacchi aurighi. Enea , se mi secondi
Col tuo coraggio , que' destrier son presi .
Non sosterran costoro il nostro assalto ,
Nè di far fronte s'ardiran.- Si disse ,
Nè all' invito fu lento il valoroso
Germe d'Anchise. S'avvïâr diretti
E rinchiusi ambiduo nelle taurine
Aride targhe che di molto ferro
Splendean coperte. Mossero con essi
Crómio ed Aréto di beltà divina ,
Con grande entrambi di predar speranza
Que' superbi corsieri , e al suol trafitti
Lasciarne i reggitor. Stolti ! chè l'asta
D'Automedonte sanguinosa avría
Lor preciso il ritorno. Egli , invocato
Giove, nell' imo si senti del petto
Correr la forza e l'ardimento. Quindi
All'amico drizzò queste parole :
Alcimedonte , non tener lontani
Dal mio fianco i destrier : fa ch' io ne senta
L'anelito alle spalle. Al suo furore
Ettore modo non porrà , mi penso ,
Se pria d'Achille in suo poter non mette
I chiomati destrier , noi due trafitti ,
637-669 LIBRO XVII . 145
E sbaragliate degli Achei le file ;
O se tra' primi ei pur freddo non cade.
Agli Ajaci , ciò detto , e a Menelao
Ei grida , Ajaci , Menelao , lasciate
Ai più prodi del morto la difesa ,
E il rintuzzar gli ostili assalti; e voi
Qua correte a salvar noi vivi ancora .
I due più forti eroi trojani , Ettorre
Ed Enea , furibondi a lagrimosa
Pugna vér noi discendono. L'evento
Su le ginocchia degli Dei s'asside.
Sia qual vuolsi , farò di lancia un colpo
Io pur : del resto avrà Giove il pensiero.
Si dicendo , e la lunga asta vibrando ,
Feri d'Aréto nel rotondo scudo ,
Cui tutto trapassò speditamente
La ferrea punta , e traforato il cinto ,
L'imo ventre gli aperse. A quella guisa
Che robusto garzon , levata in alto
La tagliente bipenne , fra le corna
Di bue selvaggio la dechina , e tutto
Tronco il nervo , la belva morta cade :
Tal , dato un salto, supin cadde Aréto ,
E tra le rotte viscere l'acuta
Asta tremando gli rapì la vita.
Fe' contra Automedonte Ettore allora
La sua lancia volar ; ma visto il colpo ,
Quegli curvossi , e la schivo. Gli rase
Le terga il telo , e al suol piantossi ; il fusto
Tremonne , e quivi ogn' impeto consunto ,
La valid'asta s'acchetò. Qui tratte
Le fiere spade a più serrato assalto
Idue prodi venían , se quegli ardenti
ILIADE, Vol. 11. 7
146 ILIADE v. 670-702
Spirti repente non spartían gli Ajaci
D'Automedonte accorsi alla chiamata.
Venir li vide fra la turba Ettorre ,
E con Crómio di nuovo e con Enea
Paventoso arretrossi , il lacerato
Giacente Aréto abbandonando . Corse
Sull'esangue il veloce Automedonte ,
Dispogliollo dell'armi , e glorïando
Gridò : Non vale costui certo il figlio
Di Menézio ; ma pur del morto eroe
Questo ucciso mi tempra alquanto il lutto.
Si dicendo , gittò le sanguinose
Spoglie sul carro, e tutto sangue ei pure
Mani e piè , vi salía pari a lione
Che , divorato un toro , si rinselva.
Affannosa , arrabbiata e lagrimosa
Sovra la salma di Patróclo intanto
Si rinforza la pugna, e la raccende
Palla Minerva , ad animar gli Achivi
Dall'Olimpo discesa ; e la spedía
Cangiato di pensiero il suo gran padre.
Come quando dal ciel Giove ai mortali
Dell' Iride dispiega il porporino
Arco , di guerra indizio o di tempesta ,
Che tosto de' villani alla campagna
Rompe i lavori , e gli animai contrista :
Tal di purpureo nembo avviluppata
Insinuossi fra gli Achei la Diva
Eccitando ogni cor. Prima il vicino
Minore Atride a confortar si diede ,
E la voce sonora e la sembianza
Di Fenice prendendo , così disse :
Se sotto Troja sbraneranno i cani
4. 703-735 LIBRO XVII. 147
Dell'illustre Pelíde il fido amico ,
Tua per certo fia l'onta , o Menelao ,
E tuo lo scorno. Orsu tien forte , e tutti
A ben le mani oprar sprona gli Achei .
Veglio padre Fenice , gli rispose
L'egregio Atride , a Pallade piacesse
Darmi forza novella , e dagli strali
Preservarmi ; e farei per la tutela
Di Patroclo ogni prova. Il cor mi tocca
La sua caduta: ma l'ardente orrenda
Forza d'Ettor n'è contra ; ei dalla strage
Mai non rimansi , e d'onor Giove il copre.
Gioi Minerva dell'udirsi , pria
D'ogni altro iddio , pregata ; ed alla destra
Polso gli aggiunse e al piede , e dentro il petto
L'ardir gli mise dell' impronta mosca
Che , ognor cacciata , ognor ritorna e morde
Ghiotta di sangue. Di cotal baldanza
Pieno il torbido cor , ratto a Patróclo
Appressossi , e scagliò la fulgid'asta .
Era fra' Teucri un certo Pode , un ricco
D'Eezione valoroso figlio
In alto onor per Ettore tenuto ,
E suo diletto commensal. Lo colse
Il biondo Atride nella cinta in quella
Ch'ei la fuga prendea. Passollo il ferro
Da parte a parte , e con fragor lo stese.
Mentre vola sul morto, e a' suoi lo tragge
L'altero vincitor, calossi Apollo
D'Ettore al fianco; ed il sembiante assunto
Dell'Asíade Fenópo, a lui diletto
Ospite un tempo e abitator d'Abido ,
Questa rampogna gli drizzò : Chi fia
148 ILIADE ν. 736-768
Che tra gli Achivi in avvenir ti tema ,
Se un Menelao ti fuga e ti spaventa ,
Un Menelao finor tenuto in conto
Di debile guerriero , ech'or da solo
Di mezzo ai Teucri via si porti il fido
Tuo compagno da lui tra i primi ucciso,
Pode, io dico, figliuol d'Eezïone ?
Un negro di dolor velo coperse
Aquell'annunzio dell'eroe la fronte.
Corse ei tosto e cacciossi innanzi a tutti
Folgorante nell'armi. Allor, di nubi
Tutta fasciando la montagna idéa ,
Giove in man la fiammante egida prese ,
La scosse ; e, fra baleni orrendamente
Tonando, ai Teucri di vittoria il segno
Diè tosto , e sparse fra gli Achei la fuga.
Primo a fuggir fu de' Beoti il duce,
Peneléo , di leggier colpo di lancia
Ferito al sommo della spalla , mentre
Tenea volta la fronte; il ferro acuto
Lo graffiò fino all'osso, e il colpo venne
Dalla man di Polídama che sotto
Gli si fece improvviso. Ettore poscia
Al carpo della man colse Leíto ,
Germe del prode Alettrïone , e il fece
Dalla pugna cessar. Si volse in fuga,
Guatandosi dintorno sbigottito,
Il piagato guerrier, nè più sperava
Poter, col telo nella destra infisso,
Combattere co' Troi. Mentre si scaglia
Contra Leíto il feritor, gli spinge
Idomenéo dappresso alla mammella
Nell'usbergo la picca; ma si franse
ν. 769-801 LIBRO XVII . 149
Alla giuntura della ferrea punta
Il frassino, e n'urlar di gioja i Teucri.
Rispose al colpo Ettorre , e il Deucalíde
Stante sul carro saettò. D'un pelo
Lo falli ; ma Ceran , scudiero e auriga
Di Merïon , colpío. Venuto egli era
Dalla splendida Litto in compagnía
Di Merïone, che di questa guerra
Al cominciar, sue navi abbandonando,
- Venne ad Ilio pedone , e di sua morte
Avría qui fatto glorïosi i Teucri ,
Se co' pronti destrieri in suo soccorso
Non accorrea Cerano . Ei del suo duce
Campò la vita , ma la propria perse
Per le mani d' Ettór. L'asta al confine
Della gota lo giunse e dell'orecchia ,
E conquassògli le mascelle , e mezza
La lingua gli taglio, Cadde dal carro
Quell' infelice : abbandonate al suolo
Si diffuser le briglie , che veloce
Curvo da terra Merïon raccolse ,
E volto a Idomenéo : Sferza , gli grida ,
Sferza , amico, i cavalli , e al mar ti salva ;
Chè per noi persa , il vedi , è la battaglia.
Si disse , e l'altro, costernato ei pure,
Verso le navi flagellò le groppe
De' chiomati destrier' . Scôrsero anch'essi
Il magnanimo Ajace e Menelao,
Che Giove ai Teucri concedea l'onore
Dell'alterna vittoria; onde proruppe
In questi accenti il gran Telamoníde :
Anche uno stolto , per mia fè , vedría
Che pe' Teucri sta Giove : ogni lor strale,
50 ILIADE v. 802-834
Sia vil , sia forte il braccio che lo spinge ,
Porta ferite , e il Dio li drizza . I nostri
Van tutti a vôto. Nondimen si pensi
Qualche sano partito, un qualche modo
Di salvar quell'estinto , e di tornarci
Salvi noi stessi a rallegrar gli amici ,
Che con gli sguardi qua rivolti e mesti
Stiman che lungi dal poter le invitte
Mani d' Ettorre sostener, noi tutti
Cadrem morti alle navi. Oh fosse alcuno
Qui che ratto portasse al grande Achille
Del periglio l'avviso! A lui , cred' io ,
Ancor non giunse dell'ucciso amico
La funesta novella ; e tra gli Achei
Ancor non veggo al doloroso officio
Acconcio ambasciator ; tanta nasconde
Caligine i cavalli e i combattenti.
Giove padre, deh ! togli a questo bujo
I figli degli Achei ; spandi il sereno;
Rendi agli occhi il vedere ; e, poichè spenti
Ne vuoi, ci spegni nella luce almeno .
Cosi pregava. Udillo il padre ; e , visto
Il pianto dell'eroe , si fe' pietoso,
E , rimossa la nebbia , in un baleno
Il bujo dissipò . Rifulse il Sole ,
E tutta apparve la battaglia. Ajace
Disse allora all'Atride : Or guarda intorno ,
Diletto Menelao ; vedi se trovi
Di Néstore ancor vivo il forte figlio
Antíloco , e di volo al grande Achille
Nunzio del fato del suo caro il manda.
Mosse pronto a quei detti il generoso
Atride , e s'avvïò come lione
D. 835-867 LIBRO XVII . 151
Che il bovile abbandona lasso e stanco
D'azzuffarsi co' veltri e co' pastori
Tutta la notte vigilanti , e il pingue
Lombo de' tori a contrastargli intesi :
Avido delle carni egli di fronte
Tuttavolta si slancia , e nulla acquista ;
Chè dalle ardite mani una ruina
Gli vien di strali addosso e di facelle,
Dal cui lustro atterrito egli rifugge ,
Benchè furente , finchè mesto alfine
Sul mattin si rimbosca. A questa guisa
Di mal cuore da Pátroclo si parte
Il bellicoso Menelao , la tema
Seco portando che gli Achei , compresi
Di soverchio terror, preda al nemico
Nol lascino fuggendo. Onde con molti
Preghi agli Ajaci e a Merïon rivolto :
Duci argivi, dicea , deh ! vi sovvenga
Quanto fu bello il cor dell'infelice
Pátroclo , e come mansueto ei visse.
Ahi ! visse; e in braccio alla ria Parca or giace.
Parti , ciò detto , riguardando intorno
Com'aquila che sopra ogni volante
Aver acuta la pupilla è grido,
E che , dall'alte nubi infra le spesse
Chiome de' cespi discoperta avendo
La presta lepre, su lei piomba, e ratto
La ghermisce e l'uccide. E tu del pari ,
O da Giove educato illustre Atride ,
D'ogni parte volgevi i fulgid'occhi
Fra le turbe de' tuoi , vivo spïando
Di Néstore il buon figlio. Alla sinistra
Alfin lo vide della pugua in atto
152 ILIADE
v. 858-900
Di far cuore ai compagni e rinfiammarli
Alla battaglia. Gli si fece appresso,
E con ratto parlar : Vieni, gli disse ,
Vieni , Antíloco mio : t'annunzio un fiero
Doloroso accidente ; e oh ! mai non fosse
Intervenuto. Un Dio, tu stesso il senti ,
I Dánai strugge , e i Teueri esalta : è morto
Un fortissimo Acheo ch'alto ne lascia
Desiderio di sè ; morto è Patróclo.
Corri ; avvisa il Pelíde , e fa che voli
A trarne in salvo il nudo corpo : l'armi
Già venute in balía sono d' Ettorre .
All'annunzio crudel muto d'orrore
Antíloco restò: di pianto un fiume
Gli affogò le parole ; e nondimeno ,
L'armi in fretta rimesse al suo compagno
Laódoco , che fido a lui dappresso
I destrier ' gli reggea , corse d'Atride
Il cenno ad eseguir. Piangea dirotto,
E volava l'eroe fuor della pugna,
Nunzio ad Achille della rea novella.
Del dipartir d'Antíloco dolenti
E bramose di lui le pilie schiere
In periglio restâr ; nè tu potendo
Dar loro aita , o Menelao, mettesti
Alla lor testa il generoso duce
Trasiméde , e di nuovo alla difesa
Del morto eroe tornasti ; e, degli Ajaci
Giunto al cospetto , sostenesti il piede ,
E dicesti : Alle navi io l'ho spedito
Verso il Pelíde : ma ch'ei pronto or vegna,
Benchè crucciato con Ettór, nol credo ;
Chè per conto verun non fia ch'ei voglia
*. 901-933 LIBRO XVII, 193
Pugnar co' Teucri disarmato . Or dunque
La miglior guisa risolviam noi stessi
Di sottrarre al furor dell' inimico
Quell'estinto, e campar le proprie vite.
Saggio parlasti , o Menelao, rispose
Il grande Ajace Telamónio. Or tosto
Tu dunque e Merïon sotto all'esangue
Mettetevi , e sul dosso alto il portate
Fuor del tumulto : frenerem da tergo
Noi de' Trojani e d' Ettore l'assalto,
Noi che pari di nome e d'ardimento
La pugna uniti a sostener siam usi .
Disse; e quelli da terra alto levaro
Il morto tra le braccia . A cotal vista .
Urlò la troica turba, e difilossi
Furibonda , di cani a simiglianza
Che, precorrendo i cacciator' s'avventano
A ferito cinghial , desiderosi
Di farlo in brani ; ma se quei repente
Di sua forza securo in lor converte
L'orrido grifo, immantinente tutti
Dan volta , e per terror piglian la ſuga
Chi qua spersi , chi là : tali i Trojani
Inseguono attruppati il fuggitivo
Stuol , coll'aste il pungendo e colle spade.
Ma come rivolgean fermi sul piede
Gli Ajaci il viso, di color cangiava
L' inseguente caterva , e non ardía
Niun farsi avanti , e disputar l'estinto,
Che di mezzo al conflitto audacemente
Venía portato da quei forti al lido,
Benchè fiera su lor crescea la zuffa .
Come fuoco che involve all' improvviso
1
2*
154 ILIADE LIBRO XVII. v. 934-965
Popolosa cittade , e ruinosi
Sparir fa i tetti nella vasta fiamma ,
Che dal vento agitata esulta e rugge ;
Tale alle spalle dell'acheo drappello
De' guerrieri incalzanti e de' cavalli
Rimbombava il tumulto. E a quella guisa
Che per aspero calle giù dal monte
Traggon due muli di robusta lena
O trave o antenna da volar sull'onda ,
E di sudore infranti e di fatica
Studian la via: del par que' due gagliardi
Portavano affannati il tristo incarco,
Difesi a tergo dagli Ajaci. E quale
Steso in larga pianura argin selvoso
De' fiumi affrena il violento corso,
E respinta devolve per lo chino
L'onda furente che spezzar nol puote ;
Così gli Ajaci l' irruente piena
Rispingono de' Troi che tuttavolta
Gl' inseguono ristretti , Enea tra questi
Principalmente , e il non mai stanco Ettorre.
Con quell'alto stridor che di mulacchie
Fugge una nube, o di stornei vedendo
Venirsi incontro lo sparvier che strage
Fa del minuto volatío ; con tali
Acute grida innanzi alla ruina
De' due trojani eroi fuggía dispersa
La turba degli Achei , posto di pugna
Ogni pensier. Di belle armi , cadute
Ai fuggitivi , ingombra era la fossa ,
E della fossa il margo : e il faticoso
Lavor di Marte non avea respiro .
ILIADE
LIBRO DECIMOT TAVO
ARGOMENTO
Antiloco annuncia ad Achille la morte di Pátroclo .
Disperazione dell'eroe. Tetide esce del mare per
consolarlo. Egli vuol correre al campo per vendi-
care l' amico. La madre lo esorta a soprassedere
finchè ella non gli abbia recata una nuova arma-
tura. 1 Greci sono in procinto di perdere il corpo
di Pátroclo. Achille, consigliato da Giunone, che
a lui spedisce Iride, si mostra inerme sul margine
della fossa, ed i Trojani sono compresi diterrore.
Il cadavere è posto in salvo. La notte mette fine
alla pugna. Parlamento dei Trojani, che risolvono
di rimanere sul campo. Lamenti d'Achille. Tetide
si presenta a Vulcano, e lo supplica di fabbricarle
un'armatura pel figlio. Descrizione dello scudo.
Tetide discende dall' Olimpo portando ad Achille
le armi.
Tutta così qual fiamma arde la pugna.
Veloce messaggier correa frattanto
Antíloco ad Achille. Anzi all'eccelse
Sue navi il trova , che nel cor già volge
L'accaduto disastro, e, nel segreto
Della grand'alma sospirando, dice :
Perchè di nuovo , ohimė! verso le navi
Fuggon gli Achivi con tumulto, e vanno
156 ILIADE 4.9-48
Spaventati pel campo? Ah! non mi cómpia
L'ira de' numi la crudel sventura
Che un di la madre profetò, narrando
Che , me vivente ancor, de' Mirmidóni
Il più prode guerrier dai Teucri ucciso
Del Sol la luce abbandonato avría.
Ah ! certo di Menézio il forte figlio
Mori . Infelice ! E pur gl' imposi io stesso
Che risospinta la nemica fiamma,
Ritornasse alle navi , e con Ettorre
Cimentarsi in battaglia oso non fosse .
In questo rio pensier l'aggiunse il figlio
Di Néstore, piangendo ; e , Ohime ! gli disse ,
Magnanimo Pelíde ; una novella
Tristissima ti reco, e che nel fosse
Oh piacesse agli Dei! Giace Patróclo ;
Sul cadavere nudo si combatte ;
Nudo ; chè l'armi n'ha rapito Ettorre.
Una negra a que' detti il ricoperse
Nube di duol ; con ambedue le pugna
La cenere afferrò ; giù per la testa
La sparse , e tutto ne brutto il bel volto
E la veste odorosa. Ei col gran corpo
In grande spazio nella polve steso
Giacea, turbando colle man' le chiome
E stracciandole a ciocche. Al suo lamento
Accorsero d'Achille e di Patróclo
L'addolorate ancelle , e con alti urli
Si fèr dintorno al bellicoso eroe,
Percotendosi il seno ; e ciascheduna
Sentía mancarsi le ginocchia e il core.
Dall'altra parte Antíloco pietoso,
Lagrimando dirotto, e di cordoglio
.42-74 LIBRO XVIII . εδη
Spezzato il petto, rattenea d'Achille
Le terribili mani , onde col ferro
Non si squarciasse per furor la gola.
Udi del figlio l'ululato orrendo
La veneranda Teti che del mare
Sedea ne' gorghi al vecchio padre accanto.
Mise un gemito , e tutte a lei dintorno
Si raccolser le Dee , quante ne serra
Il mar profondo , di Neréo figliuole,
Glauce , Talía , Cimódoce, Neséa
E Spio vezzosa e Toe ed Alie, bella
Per bovine pupille, e la gentile
Cimótöe ed Attéa : quindi Melíte
E Limnória e Anfitóe , Jera ed Agave ,
Doto, Proto, Ferusa e Dinamena
E Desamena ed Amfinóma, e seco
Callïanira e Dori e Panopéa ,
E sovra tutte Galatea famosa .
V'era Apseude e Nemerte e con Janira
Callianassa ed Ianassa ; alfine
L'alma Climene , e Mera ed Oritía
Ed Amatéa dall'auree trecce, ed altre
Nereidi dell'onda abitatrici .
Tutto di lor fu pieno in un momento
Il cristallino speco , e tutte insieme
Batteansi il petto, allorchè Teti in mezzo
Tal diè principio al lamentar : Sorelle ,
M'udite , e quanto è il mio dolor vedete.
Ohimė misera! ohimè madre infelice
Di fortissima prole ! Io generai
Un valoroso incomparabil figlio,
Il più prestante degli eroi : lo crebbi ,
Lo coltivai siccome pianta eletta
158 ILIADE
0.75-1107
In fertile terren; poscia ne' campi
D'Ilio lo spinsi su le navi io stessa
A pugnar co' Trojani. Ahi che m'è tolto
L'abbracciarlo tornato alla paterna
Reggia ! e finch'egli all'amor mio pur vive,
Fin che gli è dato di fruir la luce ,
Di tristezza si pasce; ed io, comunque
A lui mi rechi , sovvenir nol posso.
Nondimeno v'andrò ; del caro figlio
Vedrò l'aspetto, e intenderò qual duolo
Dalla guerra lontano il cor gl' ingombra.
Usci , ciò detto, dallo speco, e quelle ,
Piangendo, la seguîr : l'onda ai lor passi
Riverente s'apría. Come di Troja
Attinsero le rive , in lunga fila
Emersero sul lido ove frequenti
Le mirmidonie antenne in ordinanza
Facean selva e corona al grande Achille.
A lui, che in gravi si struggea sospiri,
La diva madre s'appressò, proruppe
In acuti ululati ; ed abbracciando
L'amato capo , e lagrimando, disse :
Figlio, che piangi ? Che dolore è questo?
Nol mi celar, deh parla. A compimento
Mandò pur Giove il tuo pregar: gli Achivi
Son pur, siccome supplicasti , astretti
Ripararsi alle navi , e del tuo braccio
Aver mestiero, di sciagure oppressi.
Con un forte sospir rispose Achille :
O madre mia, benGiove ame compiacque
Ogni preghiera : ma di ciò qual dolce
Me ne procede , se il diletto amico,
Se Pátroclo è già spento ? Io lo pregiava
ν. 108-140 LIBRO XVIII. 159
Sovra tutti i compagni ; io di me stesso
Al par l'amava , ahi lasso ! e l'ho perduto :
L'uccise Ettorre , e lo spogliò dell'armi ,
Di quelle grandi e belle armi , a vedersi
Maravigliose , che gli eterni Dei ,
Dono illustre , a Peléo diero quel giorno
Che te nel letto d'un mortal locaro.
Oh fossi tu dell'Oceán rimasta
Fra le divine abitatrici , e stretto
Peléo si fosse a una mortal consorte !
Chè d'infinita angoscia il cor traûtto
Or non avresti pel morir d'un figlio
Che alle tue braccia nel paternotetto
Non tornerà più mai ; poichè il dolore
Nè la vita , nè d'uom più mi consente
La presenza soffrir, se prima Ettorre
Dalla mia lancia non cade trafitto,
E di Patróclo non mi paga il fio.
Figlio, nol dir (riprese lagrimando
La Dea), non dirlo, chè tua morte affretti :
Dopo quello d'Ettór pronto è il tuo fato.
Lo sia (con forte gemito interruppe
L'addolorato eroe); si muoja, e tosto ,
Se giovar mi fu tolto il morto amico.
Ahi che lontano dalla patria terra
Il misero perì , desideroso
Del mio soccorso nella sua sciagura !
Or poichè il fato riveder mi vieta
Di Ftia le care arene , ed io crudele
q Nè Pátroclo aïtai nè gli altri amici ,
De' quai molti domò l'ettórea lancia ,
Ma qui presso le navi inutil peso
Della terra mi seggo, io fra gli Achei
160 ILIADE v. 141-173
Nel travaglio dell'armi il più possente ,
Benchè me di parole altri pur vinca ;
Pera nel cor de' numi e de' mortali
La discordia fatal , pera lo sdegno
Ch'anco il più saggio a inferocir costrigne,
Che dolce più che miel le valorose
Anime investe come fumo e cresce.
Tal si fu l'ira che da te mi venne ,
Agamennón . Ma su l'andate cose ,
Benchè ne frema il cor, l'obblío si sparga ,
E l'alme in sen necessità ne domi.
Del caro capo l'uccisore Ettorre
Or si corra a trovar ; poi quando a Giove
E agli altri Eterni piacerà mia morte ,
Venga pur, ch'io l'accetto. Il forte Alcide ,
Dilettissimo a Giove e suo gran figlio ,
Alcide stesso vi soggiacque , domo
Dalla Parca e dall'aspra ira di Giuno .
Così pur io, se fato ugual m'aspetta ,
Estinto giacerò. Questo frattanto
Tempo è di gloria. Sforzerò qualcuna
Delle spose di Dárdano e di Troe
Ad asciugar con ambedue le mani
Giù per le guance delicate il pianto,
E a trar dal largo petto alti sospiri .
Sappiano alfin che il braccio mio dall'armi
Abbastanza cesso ; nè dalla pugna
Tu , madre, mi svïar; chè indarno il tenti .
E a lui la Diva dall'argenteo piede :
Giusta , o figlio , è l'impresa e d'onor degna ,
Campar da scempio i travagliati amici .
Ma le tue scintillanti armi divine
Son fra' Trojani ; ed Ettore , quel fiero
v.174-206 LIBRO XVIII . 261
Dell'elmo crollator, sen fregia il dosso,
E dell' incarco esulta. Ma fia breve ,
Lo spero, il suo gioir; chè negra al fianco
Già l'incalza la Parca. Or tu di Marte
Per anco non entrar nel rio tumulto,
Se tu qua pria venir non mi riveggia .
Verrò dimani al raggio mattutino,
E recherotti io stessa una forbita
Bella armatura, di Vulcan lavoro.
Così detto, dal figlio alle sorelle
Kipiegò la persona ; e : Voi, soggiunse,
Rïentrate del mar nell'ampio grembo,
E del marino genitor canuto
Rendetevi alle case, e tutto dite
Che vedeste ed udiste. Al grande Olimpo
Io salgo a ritrovar l' inclito fabbro
Vulcano, e il pregherò che luminose
Armi stupende al figlio mio conceda.
Disse; e quelle del mar tosto nell' onde
Discesero, e la Dea dal piè d'argento
Avvïossi all'Olimpo a procacciarne
Al diletto figliuolo armi divine.
Mentr'ella al ciel salía , con urlo immenso
Dal sanguinoso Ettór cacciati in fuga
Giunser gli Achivi delle navi al vallo
E al mugghiante Ellesponto. E non ancora
Del compagno achilléo la morta spoglia
Al nembo degli strali avean sottratta
Gli argólici guerrieri. Un'altra volta
Fiero assalto le dava una gran serra
Di cavalli e di fanti , e innanzi a tutti
Di Príamo il figlio, l' indefesso Ettorre
Che una fiamma parea. Tre volte il prode,
162 ILIADE v. 207-239
Per gli piedi il cadavere afferrando,
Provò di trarlo, e con orrenda voce
I Trojani chiamò : tre volte i due
Impetuosi e vigorosi Ajaci
Respinserlo dal morto. E nondimeno
Saldo e securo in sua fortezza or dentro
Nella turba ei s'avventa , ed or s'arresta ,
E con gran voce tuttavia pur grida ,
Nè d'un passo s'arretra. E qual di notte
Vigilanti pastori alla campagna
Da preso tauro allontanar non ponno
Affamato lion ; così de' forti
Ajaci la virtù da quell'esangue
Dispiccar non potea l'ardito Ettorre.
E l'avría tratto alfine e conseguita
Immensa gloria , s' Iride veloce ,
AGiove occulta e a ogni altro iddio, dall'alto
Olimpo non correa col vento al piede
Messaggiera ad Achille ; e la spedía ,
Per eccitarlo alla battaglia , il cenno
Dell'augusta Giunon. Gli parve al fianco
Improvvisa la Diva , e questi accenti
Fe' dal labbro volar : Sorgi , Pelíde,
Terribile guerriero, e di Patróclo
Il cadavere salva. Intorno a lui
Ferve avanti alle navi orrida pugna
Con mutue stragi. In sua difesa i Greci
Fan che puossi : per trarlo in Ilio i Teucri
S'avventano di punta. Il fiero Ettorre
Innanzi a tutti di rapirlo agogna ,
Bramoso di mozzar dal dilicato
Collo il bel capo , e d'un infame tronco
Conficcarlo alla cima. Alzati , e pigro
ν. 240-272 LIBRO XVIII . 163
Più non giacer. Ti tocchi il cor vergogna
Che de' cani di Troja il tuo diletto
Debba le sanne trastullar. Se offesa
Ne riceve la salma , è tuo lo smacco.
Rispose Achille : E quale a me de' numi
Ti manda ambasciatrice , Ini divina ?
Mi manda , replicò la Dea veloce ,
Giunon , di Giove glorïosa moglie ;
Nè Giove il sa , nè verun altro iddio
De' sereni d'Olimpo abitatore.
Come al campo n'andrò, soggiunse Achille,
Se in mano di color venner le mie
Armi , e che d'armi or io mi cinga il vieta
La cara madre , se lei pria non veggio
Da Vulcano tornar, come promise,
Di leggiadra armatura apportatrice ?
Di qual altra famosa or mi vestire
Al bisogno non so, tranne lo scudo
Dell'egregio figliuol di Telamone.
Ma pur egli , mi spero, in questo punto
Sta combattendo pel mio spento amico.
E a lui di nuovo la taumánzia figlia :
Noto è ben anco a noi che le tue belle
Armi or sono d'altrui. Ma su la fossa
Anco inerme ti mostra all' inimico.
Lascerà spaventato la battaglia
Solo al vederti , e respirar potranno
I travagliati Achei. Salute è spesso
Nel calor della pugna un sol respiro.
Così disse ; e disparve. In piedi allora
Rizzossi Achille, amor di Giove , e tutto
Coll'egida Minerva il ricoperse.
D'un'aurea nube gli fasciò la fronte ,
164 ILIADE v. 273-305
Ed una fiamma dalla nube uscía,
Che d'intorno accendea l'aria di luce.
Siccome quando al ciel s' innalza il fumo
D' isolana città , cui d'aspro assedio
Cinge il nemico ; con orrendo marte
Combattono dal muro i cittadini
Finchè gli alluma il Sol; poi quando annotta,
Destan fuochi frequenti alle vedette ,
E al ciel ne sbalza uno splendor che manda
Ai convicini del periglio il segno,
Se per sorte venir con pronte antenne
Volessero in aita; a questo modo
Dalla testa d'Achille alta alle stelle
Quellafiamma salía. Varcato il muro,
Sul primo margo s'arresto del fosso,
Nè mischiossi agli Achei ; chè della madre
Al precetto obbedía. Li stando, un grido
Mise , e d'un altro da lontan gli fece
Eco Minerva , ed un terror ne' Teucri
Immenso suscitò . Come sonoro
D'una tuba talor s'ode lo squillo,
Quando, d'assedio una città serrando,
Armi grida terribile il nemico ;
Cosi chiara d'Achille era la voce.
N'udiro i Teucri il ferreo suono, e a tutti
Tremaro i petti ; si rizzâr sul collo
Ai destrieri le chiome , e d'alto affanno
Presaghi addietro rivolgean le bighe.
Gli aurighi sbigottîr, vista la fiamma
Che da Minerva di repente accesa
Orrenda e lunga su la fronte ardea
Del magnanimo eroe. Tre volte Achille
Dalla fossa gridò : tre volte i Teucri
. 306-338 LIBRO XVIII. 165
E i collegati sgominârsi ; e dodici
De' più prestanti fra i riversi cocchi
Trafitti vi perîr dal proprio ferro.
Pronti intanto gli Achei , di sotto ai densi
Strali sottratto di Menézio il figlio ,
Il locâr nella bara , e gli fèr cerchio,
Lagrimando, i compagni. Anch' ei veloce
V'accorse Achille , e si disciolse in pianto ,
Nel feretro mirando il fido amico
D'acuta lancia trapassato il petto.
Egli stesso con carri , armi e destrieri
L'avea spedito alla battaglia , e freddo
Lo rïebbe al ritorno e sanguinoso.
Costrinse allor la veneranda Giuno,
Suo malgrado, a calar nelle correnti
Dell'Oceano l'instancabil Sole.
Ei si sommerse , e dal crudel conflitto
Ebber tregua gli Achei. Dier posa all'armi
Di rincontro i Trojani ; i corridori
Sciolser dai cocchi , e pria che a cibo alcuno
Volger la mente , convocâr consiglio.
Ritti in piedi aprir essi il parlamento ;
Nė verun di sedersi ebbe fidanza ,
Perchè d'Achille la comparsa orrenda
Facea loro tremar le vene e i polsi ;
Chè da lunga stagion ne' lagrimosi
Campi di Marte non l'avean veduto.
Prese tra lor Polidamante il primo
A ragionar. Di Panto era costui
Prudente figlio, e de' Trojani il solo
Che le passate e le future cose
Al guardo avea presenti . Egli d' Ettorre
Era compagno, e una medesma notte
166 ILIADE
ν. 339-371
Li produsse ambedue : l'un di parole ,
L'altro d'asta valente. Ei dunque in mezzo
Con saggio avviso così tolse a dire :
Librate , amici , la bisogna; ir dentro
Alla cittade , e tosto, è mio consiglio,
Senz'aspettar davanti a queste navi
L'alma luce del dì. Troppo siam lungi
Qui dalle mura. Finchè l' ira in petto
Arse a questo guerrier contra l'Atride ,
Pur lieve er'anco il debellar gli Achivi ,
Ed io pure vegliar godea le notti
Presso le navi , nella dolce speme
D'occuparle. Or tremar fammi il Pelíde.
L'ardor che il mena non vorrà ristretto
Contenersi nel campo, ove l'acheo
Col trojano valore in generose
Prove la gloria marzïal divise ;
Ma per Ilio a pugnar e per le mogli
Ne sforzerà . Nella cittade adunque
Ripariamo, e si segua il mio sentire ;
Chè le cose avverran com'io v'assenno.
L'alma notte or sopito in dolce calma
Tien d'Achille il furor; ma se dimani
All'assalto prorompe , e qui ne trova ,
Certo talun conoscerallo, e quanti
Dar potranno le spalle , e dentro il sacro
Ilio camparsi , si terran beati ;
Ma pria ben molti rimarran pastura
Di voraci avoltoi. Deh ch'io non oda
Si rio caso giammai ! Se al mio ricordo,
Benchè non grato, obbedirem, la notte
Spenderem ne' rinforzi e ne' consigli.
E le torri e le porte e i contrafforti
v. 372-404 LIBRO XVIII . 167
De' ben commessi tavolati intanto
Faran sicura la città. Poi tutti
D'arme orrendi domani al nuovo Sole
Starem su i merli. E s'ei , lasciato il lido,
Verrà nosco a pugnar sotto le mura ,
Duro affar troveravvi ; e poichè stanca
In vane giravolte avrà la foga
De' suoi superbi corridor', gli fia
Forza alle navi ritornar confuso ;
Nè di scagliarsi dentro alla cittade
Daragli il cuore; e pria che porla al fondo ,
Ei farà sazi del suo corpo i cani.
Qui tacque ; e bieco gli rispose Ettorre :
Tu non mi fai gradevole proposta ,
Polidamante , no , quando n'esorti
A serrarci di nuovo entro le mura.
E non vi noja ancor di quelle torri
La prigionía ? Fu tempo, in cui le genti
Di vario favellar tutte a una voce
Dicean ricca di molto auro e di bronzo
La città prïameja. Or dalle case
Dileguarsi i tesori. Alle contrade
Dell'amena Meonia e della Frigia
Molta ricchezza ne passò venduta
Da che l' ira di Giove i Teucri oppresse.
Ed or che Giove innanzi a questi legni
D'alta vittoria mi fe' lieto, e diemmi
Che al mar chiudessi le falangi achee ,
Non far palese , o stolto , ai cittadini
Questo consiglio ; chè nessuno avrai
Fra i Trojani si vil che lo secondi ,
Nė patirollo io mai. Teucri , obbediamo
Tutti al mio detto. Ristorate i corpi
68 ILIADE 0.405-437
Al suo posto ciascuno, e vi sovvegna
Delle scolte per tutto e delle ronde .
Qualunque de' Trojani in pensier stassi
Di sue ricchezze , le raguni , e poscia
Largo ai soldati le spartisca. È meglio
Che alcun nostro ne goda , e non l'Acheo.
Sull'aurora dimani in tutto punto
Assalirem le navi : e se il divino
Achille all'armi si svegliò davvero,
Gli fia la pugna , se la vuol , funesta.
Non fuggirollo io, no, nell'affannoso
Ballo di Marte , ma starogli a fronte
Con intrepido petto. Uno de' due
D'un' illustre vittoria andrà superbo :
Il cimento è cómune, ed avvien spesso
Che morte incontra chi di darla ha speme.
Disse ; e i Teucri levâr d'applauso un grido.
Stolti ! chè Palla avea lor tolto il senno.
Tutti assentîr d'Ettorre al pazzo avviso ;
Nessuno al saggio del figliuol di Panto.
Mentre col cibo a rivocar le forze
Intendono i Trojani , in alti lai
L'intera notte dispendean gli Achivi
Sovra il morto Patróclo, e prorompea
Fra loro in pianti sospirosi Achille ,
La man tremenda sul gelato petto
Dell'amico ponendo, e cupi e spessi
I gemiti mettea , come talvolta
Ben chiomato lïone , a cui rapío
Il cacciator nel bosco i lïoncini.
Crucciato il fiero del suo tardo arrivo,
Tutta scorre la valle , e l'orme esplora
Del predator, se mai di ritrovarlo
ν. 438-470 LIBRO XVIII. 169
In qualche lato gli riesca ; e orrenda
Gli divampa nel cor la rabbia e l'ira :
Tal si cruccia il Pelíde , e con profondi
Sospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama :
Oh mie vane parole il dì ch' io diedi
A Menézio il conforto, e la promessa
Che in Opunta gli avrei carco di gloria
E di gran preda ricondotto il figlio
Dall'atterrata Troja ! Ahi che non tutti
Giove i disegni de' mortali adempie !
Sotto Troja il destino ambo ne danna
A far vermiglia una medesma terra ;
Chè me neppure abbraccerà tornato,
Il buon vecchio Peléo nel patrio tetto ,
Nè Teti genitrice ; ma sepolcro
Mi darà questo lido. Or poi che deggio
Dopo te , mio fedel , scender sotterra ,
Tu, no, sul rogo non andrai , lo giuro,
Se non t'arreco in prima io qui d' Ettorre ,
Del tuo crudo uccisor, l'armi e la testa ;
E dodici d' illustri ilíaci figli
Troncheronne davanti alla tua pira.
Giaci intanto così , caro compagno ,
Qui presso alle mie navi ; e le trojane
Ele dardanie ancelle il largo seno
Tutte discinte intorno al tuo ferétro
Notte e di faran pianto, e ploreranno.
Esse ne fur comun fatica e preda,
Quando noi colla forza e colle lunghe
Aste domando le nemiche genti ,
L'opiwe n'atterrammo ampie cittadi.
Ciò detto, comando l'almo Pelíde
Che dai compagni al fuoco si ponesse
8
ILIADE, Vol. 11.
ILIADE Γν. 471-503
170
Sul tripode un gran vaso , onde veloci
Di Pátroclo lavar la sanguinosa
Tabe. E quelli sul fuoco in un baleno
Atto ai lavacri collocaro un bronzo,
E v'infusero l'onda , e di stecchiti
Rami di sotto alimentar la fiamma.
Abbracciavan le vampe mormorando
Del vaso il ventre , e rotto in sottil fumo
Scaldavasi l'umor. Poichè nel cavo
Rame la linfa al suo bollor pervenne ,
Diersi il corpo a lavar : l'unser di pingue
Felice oliva , e le ſerite empiero
Di balsamo novenne. Indi al funébre
Letto renduto, dalla fronte al piede
In sottil lino avvolserlo, e superno
Un bianco panno vi spiegar. Ciò fatto,
Tornaro ai pianti , e intorno al mesto Achille
Tutta in lamenti consumâr la notte.
Giove in questo alla sua moglie e sorella
Si volse e disse : Veneranda Giuno ,
Ecco pieni alla fine i tuoi desiri ;
Ecco all'armi tornato il grande Achille.
Di te nacque , cred' io, (cotanto l'ami)
L'argiva gente. - E Giuno a lui : Che parli ,
Tremendo figlio di Saturno ? All'uomo
Povero d'alma e di consigli è dato
Il dannaggio tramar del suo simile ;
Ed io che incedo degli Dei reina ,
Perchè saturnia prole e perchè sposa
Son dell'alto de' numi imperadore ,
Contra i Trojani co' Trojani irata
Macchinar qualche offesa io non dovea ?
Mentre seguían tra lor queste contese ,
v. 504-535 LIBRO XVIII . 171
Teti agli alberghi di Vulcan pervenne ;
Stellati eterni rilucenti alberghi ,
Fra i celesti i più belli , e dallo stesso
Vulcan costrutti di massiccio bronzo.
Tutto in sudor trovollo affaccendato
De' mantici al lavoro. Avea per mano
Dieci tripodi e dieci , adornamento
Di palagio regal. Sopposte a tutti
D'oro avea le rotelle , onde ne gisse
Da sè ciascuno all'assemblea de' numi ,
E da se ne tornasse onde si tolse :
Maraviglia a vederli ! Omai compiuto
L'ammirando lavor, solo restava
Ch'ei v'adattasse le polite orecchie ,
E appunto all'uopo n'aguzzava i chiovi.
Mentre venía tai cose elaborando
Con egregio artificio, entro la soglia
L'alma Teti mettea l'argenteo piede.
La víde , e le si fe? Cárite incontro,
Ornata il capo d'eleganti bende ,
Dell'inclito Vulcan moglie vezzosa :
Per man la strinse ; e, il roseo labbro aprendo,
Qual , le disse , cagione , o bella Teti ,
Ti guida inaspettata a queste case ?
Rado suoli onorarle ; e nondimeno
Sempre cara vi giungi e riverita.
Inóltrasi , perch' io pronta t'appresti
Le vivande ospitali. - E , si dicendo,
a bellissima Dea l'altra introdusse ,
in un bel seggio collocolla , ornato
Pargentee borchie a lavorío gentile
ol suo sgabello al piede. Indi a chiamarne
172 ILIADE v. 536-568
Corse l'esimio fabbro , e si gli disse :
Vieni , Vulcan ; chè ti vuol Teti.-Ed egli :
Venerevole Diva e d'onor degna
Nella casa mi venne. Ella malconcio
E afflitto mi salvò, quando dal cielo
Mi feo gittar l'invereconda madre ,
Che il distorto mio piè volea celato :
E mille allor m'avrei doglie sofferto,
Se me del mar non raccogliean nel grembo
Del rifluente Océano la figlia
Eurínome e la dea Teti. Di queste
Quasi due lustri in compagnía mi vissi ,
E di molte vi feci opre d'ingegno ,
Fibbie ed armille tortuose e vezzi
E bei monili , in cavo antro nascoso,
A cui spumante intorno ed infinita
D'Oceán la corrente mormorava ;
Nè verun di mia stanza avea contezza ,
Nè mortale nè Dio, tranne le belle
Mie servatrici. Or poichè Teti è giunta
Alla nostra magion , piena le voglio
Render mercè del benefizio antico.
Tu dinanzi sollecita le poni
Il banchetto ospital, mentr' io veloce
Questi mantici assetto e gli altri arnesi.
Disse; e dal ceppo dell'incude il mostro
Abbronzato levossi , zoppicando.
Moveansi sotto a gran stento le fiacche
Gambe sottili. Allontanò dal fuoco
I mantici ventosi : ogni fabbrile
Istrumento raccolse , e dentro un'arca
Li ripose d'argento. Indi con molle
Spugna ben tutto stropicciossi il volto
ν. 569-601 LIBRO XVIII. 173
Affumicato ed ambedue le mani
Ed il duro collo ed il peloso petto.
Poi la tunica mise ; ed il pesante
Scettro impugnato, tentennando uscío.
Seguían l'orrido rege , e a dritta e a manca
Il passo ne reggean forme e figure
Di vaghe ancelle , tutte d'oro, e a vive
Giovinette simíli , entro il cui seno
Avea messo il gran fabbro e voce e vita
E vigor d'intelletto, e delle care
Arti insegnate dai Celesti il senno.
Queste al fianco del Dio spedite e snelle
Camminavano ; ed egli a tardo passo
Avvicinato a Teti , in un lucente
Trono s'assise ; e, la sua man ponendo
Nella man della Dea , così le disse :
Qual mia sorte t'adduce a queste soglie ,
O sempre cara e veneranda Teti ,
In quell'ampio tuo peplo ancor più bella ?
✓ Troppo rado ne fai di tua presenza
Contenti e lieti. Or parla , e il tuo desire
Libera esponi. A soddisfarlo il grato
Cor mi sospinge , se pur farlo io possa ,
E il farlo mi s'addica. - E a lui , suffusa
Di lagrime i bei rai , Teti rispose :
Delle Dive d'Olimpo e qual sofferse
Tanti , o Vulcano, tormentosi affanni ,
e Quanti in me Giove n'adunò ? Me sola
Frale Dive del mar suggetta ei fece
Ad un mortale , al re Peléo. Ritrosa
Nesostenni gli amplessi ; ed egli or giace
Logro dagli anni nel regal suo tetto.
Nè il tenor qui restò di mie sventure:
174 ILIADE ν. 602-634
Mi nacque un figlio ; io l'educai gelosa ,
E come pianta ei crebbe , e mi divenne
Il maggior degli eroi. Questo germoglio
Di fertile terren , questo diletto
Unico figlio su le navi io stessa
Spedíí di Troja alle funeste rive
A guerreggiar co' Teucri . Avverso fato
Gli dinega il ritorno ; ed io non deggio
Nella peléa magion madre infelice
Abbracciarlo più mai. Nè questo è tutto.
Fin ch'ei mi vive , e la ria Parca il raggio
Gli prolunga del Sole , ei lo consuma
Nella tristezza , nè giovarlo io posso.
Dagli Achivi ottenuta egli s'avea,
Premio di sue fatiche una fanciulla :
Agameunón gliela ritolse ; ed esso,
Dell'onta irato e nel dolor sepolto ,
Si ritrasse dall'armi. I Teucri intanto
Alle navi rinchiusero gli Achei ,
Nè permettean l'uscita. Umíli allora
I duci argivi gli mandar preghiere
E d'orrevoli doni ampie profferte.
Egli fermo negò la chiesta aita ;
Ma cinse di sue stesse armi l'amico
Pátroclo, e al campo l'invïò seguíto
Da molti prodi. Su le porte Scee
Tutto un giorno durò l'aspro conflitto.
E il di stesso Ilion saría caduto ,
S'alta strage menar visto il gagliardo
Di Menézio figliuol , non l'uccidea
Tra i combattenti della fronte Apollo,
Esaltandone Ettorre. Or io pel figlio
Vengo supplice madre al tuo ginocchio,
ν. 635-667 LIBRO XVIII, 175
Onde a conforto di sua corta vita
Di scudo e d'elmo provveder tu il voglia ,
E di forte lorica e di schinieri
Con leggiadro fermaglio. A lui perdute
Ha tutte l'armi dai Trojani ucciso
Il suo fedel compagno ; ed egli or giace
Gittato a terra , e dal dolore oppresso.
Tacque; e il mal fermo Dio così rispose :
Ti riconforta , o Teti , e questa cura
Non ti gravi il pensier. Così potessi
Alla morte il celar quando la Parca
Sul capo gli starà , com'io di belle
Armi fornito manderollo, e tali
Che al vederle ogni sguardo ne stupisca.
Lasciò la Dea , ciò detto, e impazïente
Ai mantici tornò, li volse al fuoco,
E comandò suo moto a ciascheduno .
Eran venti che dentro la fornace
Per venti bocche ne venían soffiando ;
E al fiato, che mettean dal cavo seno,
Or gagliardo or leggier, come il bisogno
Chiedea dell'opra e di Vulcano il senno,
Sibilando prendea spirto la fiamma.
In un commisti allor gittò nel fuoco
Argento ed auro prezioso e stagno
Ed indomito rame. Indi sul toppo
Locò la dura risonante incude;
Di pesante martello armò la dritta ,
Di tanaglie la manca ; e primamente
Un saldo ei fece misurato scudo
Di dédalo rilievo , e d'auro intorno
Tre bei fulgidi cerchi vi condusse ;
Poi d'argento al di fuor mise la soga.
ILIADE v. 668-700
176
Cinque dell'ampio scudo eran le zone ;
E gl'intervalli , con divin sapere,
D'ammiranda scultura avea ripieni.
Ivi ei fece la terra , il mare , il cielo
E il Sole infaticabile , e la tonda
Luna , e gli astri diversi onde sfavilla
Incoronata la celeste võlta ,
E le Pléjadi , e l' Ťadi , e la stella
D'Orion tempestosa , e la grand'Orsa
Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
Ella si gira ed Orïon riguarda ,
Dai lavacri del mar sola divisa.
Ivi inoltre scolpite avea due belle
Popolose città. Vedi nell'una
Conviti e nozze. Delle tede al chiaro
Per le contrade ne venían condotte
Dal talamo le spose ; e : Imene, Imene ,
Con molti s'intonava inni festivi.
Menan carole i giovinetti in giro
Dai flauti accompagnate e dalle cetre,
Mentre le donne sulla soglia ritte
Stan la pompa a guardar maravigliose.
D'altra parte nel foro una gran turba
Convenir si vedea. Quivi contesa
Era insorta fra due che d'un ucciso
Piativano la multa : un la mercede
Già pagata assería ; l'altro negava.
Finir davanti a un arbitro la lite
Chiedeano entrambi , e i testimon' produrre.
In due parti diviso era il favore
Del popolo fremente , e i banditori
Sedavano il tumulto. In sacro circo
Sedeansi i padri su polite pietre ;
: 701-734 LIBRO XVIII. 157
É, dalla manodegli araldi preso
Il suo scettro ciascun , con questo in pugho
Sorgeano, e l'uno dopo l'altro in piedi
Lor sentenza dicean. Doppio talento
D'auro è nel mezzo da largirsi a quello
Che più diritta sua ragion dimostri.
Era l'altra città dalle fulgenti
Armi ristretta di due campi in due
Parer' divisi , o di spianar del tutto
L'opulento castello, o che di quante
Son là dentro ricchezze in due partito
Sia l'ammasso. I rinchiusi alla chiamata
Non obbedían per anco, e ad un agguato
Armavansi di cheto. In sú le mura
Le care spose, i fanciulletti e i vegli
Fan custodia e corona; è quelli intanto
Taciturni s'avanzano . Minerva
Li precorre e Gradivo entrambi d'oro ,
E la veste han pur d'oro, ed alte e belle
Le divine stature , e d'ogni parte
Visibili: più bassa iva la torma.
Come in loco all' insidie alto fur giunti
Presso un fiume , ove tutti a dissetarse
Venían gli armenti , s'appiattar que' prodi
Chiusi nel ferro, collocati in pria
Due di loro in disparte, che de buoi
Spïassero la giunta e delle gregge .
Ed eccole arrivar con due pastori
Che, nulla insidia suspicando, al suonơ
Delle zampogne si prendean diletto .
L'insidiator drappello alla sprovvista
Gli assalía , ne predava in un momento
De' buoi le mandre e delle bianche agnelle ,
Ed uccidea crudele anco i pastori .
8
*
178 ILIADE . 735-767
Scossa all'alto rumor l'assediatrice
Oste , a consiglio tuttavia seduta ,
De' veloci corsier' subitamente
Monta le groppe , i predatori insegue ,
E li raggiunge. Allor si ferma , e fiera
Sulfiume appicca la battaglia. Entrambe
Si ferían coll'acute aste le schiere.
Scorrea nel mezzo ła Discordia , e seco
Era il Tumulto e la terribil Parca
Che un vivo già ferito e un altro illeso
Artiglia colla dritta , e un morto afferra
Ne' piè coll'altra, e per la strage il tira.
Manto di sangue tutto sozzo e rotto
Le ricopre le spalle : i combattenti
Parean vivi , e traean de' loro uccisi
I cadaveri in salvo alternamente.
Vi sculse poscia un morbido maggese
Spazïoso, ubertoso e che tre volte
Del vomero la piaga avea sentito.
Molti aratori lo venían solcando ,
E sotto il giogo in questa parte e in quella
Stimolando i giovenchi. E come al capo
Giungean del solco, un uom, che giva in volta ,
Lor ponea nelle man' spumante un nappo
Di dolcissimo bacco ; e quei, tornando
Ristorati al lavor, l'almo terreno
Fendean , bramosi di finirlo tutto .
Dietro nereggia la sconvolta gleba :
Vero arato sembrava ; e nondimeno
Tutta era d'or : mirabile fattura !
Altrove un campo effigïato avea
D'alta messe già biondo. Ivi, le destre
D'acuta falce armati, i segatori
ν. 768-800 LIBRO XVIII . 179
Mietean le spighe ; e le recise manne
Altre in terra cadean tra solco e solco ,
Altre con vinchi le venían stringendo
Tre legator' da tergo , a cui festosi
Tra le braccia recandole i fanciulli
Senza posa porgean le tronche ariste.
In mezzo a tutti colla verga in pugno
Sovra un solco sedea del campo il sire ,
Tacito e lieto della molta messe .
Sotto una quercia i suoi sergenti intanto
Imbandiscon la mensa, e i lombi curano
D'un immolato bue , mentre le donne ,
Intente a mescolar bianche farine ,
Van preparando ai mietitor' la cena.
Seguía quindi un vigneto oppresso e curvo
Sotto il carco dell'uva. Il tralcio è d'oro,
Nero il racemo, ed un filar prolisso
D'argentei pali sostenea le viti.
Lo circondava una cerulea fossa
E di stagno una siepe. Un sentier solo
Al vendemmiante ne schiudea l'ingresso.
Allegri giovinetti e verginelle
Portano ne' canestri il dolce frutto,
E fra loro un garzon tocca la cetra
Soavemente. La percossa corda
Con sottil voce rispondeagli ; e quelli ,
Con tripudio di piedi sufolando
E canticchiando, ne seguiano il suono.
Di giovenche una mandra anco vi pose
Con erette cervici. Erano sculte
In oro e stagno , e dal bovile usciéno
Mugolando e correndo alla pastura
Lungo le rive d'un sonante fiame
180 ILIADE μ. 801-833
Che tra giunchi volgea l'onda veloce.
Quattro pastori , tutti d'oro, in fila
Gían coll'armento, e li seguían fedeli
Nove bianchi mastini . Ed ecco uscire
Due tremendi lioni , ed avventarsi
Tra le prime giovenche ad un gran tauro ,
Che abbrancato, ferito e strascinato,
Lamentosi mandava alti muggiti.
Per rïaverlo , i cani ed i pastori
Pronti accorrean ; ma le superbe fiere,
Del tauro avendo già squarciato il fianco ,
Ne mettean dentro alle bramose canne
Le palpitanti viscere ed il sangue.
Gl' inseguivano indarno i mandrïani ,
Aizzando i mastini . Essi co' morsi
Attaccar non osando i due feroci ,
Latravan loro addosso , e si schermivano.
Fecevi ancora il mastro ignipotente
In amena convalle una pastura
Tutta di greggi biancheggiante , e sparsa
Di capanne , di chiusi e pecorili.
Poi vi sculse una danza a quella eguale
Che ad Arïanna dalle belle trecce
Nell'ampia Creta Dédalo compose.
V'erano garzoncelli e verginette
Di bellissimo corpo, che saltando
Teneansi al carpo delle palme avvinti .
Queste un velo sottil , quelli un farsetto
Ben tessuto vestía , soavemente
Lustro qual bacca di palladia fronda.
Portano queste al crin belle ghirlande ,
Quelli aurato trafiere al fianco appeso
Da cintola d'argento . Ed or leggieri
ν.834-854 LIBRO XVIII . 181
Danzano in tondo con maestri passi ,
Come rapida ruota che, seduto
Al mobil torno, il vasellier rivolve ;
Or si spiegano in file. Numerosa
Stava la turba a riguardar le belle
Carole , e in cor godea. Finían la danza
Tresaltator', che in varj caracolli
Rotavanisi , intonando una canzona.
Il gran fiume Oceán l'orlo chiudea
Dell'ammirando scudo . A fin condotto
Questo lavoro, una lorica ei fece
Chedella fiamma lo splendor vincea ;
Poi di raro artificio un saldo e vago
Elmoalle tempie ben acconcio, e sopra
D'auro tessuta v' innestò la cresta.
Fur l'ultima fatica i bei schinieri
Di pieghevole stagno. E terminate
L'armi tutte , il gran fabbro alto levolle ,
E al piè di Teti le depose. Ed ella ,
Co' bei doni del Dio , come sparviero
Ratta calossi dal nevoso Olimpo .
i
ILIADE
LIBRO DECIMΟΝΟΝΟ
ARGOMΕΝΤΟ
Achille rimira le armi a lui recate dalla madre , e
se ne compiace. Tétide sparge d'ambrosia il corpo
di Pátroclo per conservarlo dalla corruzione. Achille
convoca il parlamento de' Greci ; si riconcilia con
Agamennone. Vuol condurre senza indugio le schiere
a battaglia, Rimostranze d' Ulisse. L'eroe accon-
sente che i guerrieri si ristorino col cibo. Agamen-
none gli rende Briséide coll'aggiunta dei doni pro-
messi . Giuramento del re e solenne sacrifizio . La-
menti di Briséide sopra il morto Pátroclo. I Greci
s'uniscono a banchettare , ma Achille ricusa qua-
lunque alimento : Giove spedisce Minerva che gli
stilli néttare ed ambrosia nel seno. Egli si arma :
monta sul carro: sue parole ai cavalli : risposta di
Xanto, uno di questi, e replica dell'eroe.
Uscía del mar l'Aurora in croceo velo ,
Alla terra ed al ciel nunzia di luce;
E co' doni del Dio Teti giungea.
Singhiozzante da canto al morto amico
Trovò l'amato figlio, a cui dintorno
Ploravano i compagni. Apparve in mezzo
L'augusta Diva ; e, strettolo per mano :
Figlio, disse , poichè piacque agli Dei
La sua morte , lasciam , benchè dolenti ,
v. 10-42 ILIADE, LIBRO XIX . 183
Che questi qui si giaccia ; e tu le belle
Armi ti prendi di Vulcan , che mai
Mortal non indosso.- Così dicendo,
Le depose al suo piè. Dier quelle un suono
Che terror mise ai Mirmidóni : il guardo
Non le sostenue , e si fuggîr. Ma come
Le vide Achille , maggior surse l'ira ,
E sotto le palpebre orrendamente ,
Gli occhi qual fiamma balenar. Godea
Trattarle , vagheggiarle ; e, dilettato
Del mirando lavor, si volse , e disse :
Madre , son degne del divino fabbro
Quest'armi , ne può tanto arte terrena.
Or le mi vesto ; ma timor mi grava
Che nelle piaghe di Patroclo intanto
Vile insetto non entri , che di vermi
Generator' la salma (ahi ! senza vita ! )
Ne guasti sì che tutta imputridisca .
Pensier di questo non ti prenda , o figlio,
Gli rispose la Dea : l'infesto sciame
Divoratore de' guerrieri uccisi
Io ne terrò lontano. Ov'anco ei giaccia
Intero un anno, farò sì che il corpo
Incorrotto ne resti , e ancor più bello.
Or tu raccogli in assemblea gli Achivi ;
E, placato all'Atride , árınati ratto
Per la battaglia , e di valor ti cingi.
Disse ; e spirto audacissimo gl' infuse.
Indi ambrosia all'estinto, e rubicondo
Néttare , a farlo d'ogni tabe illeso ,
Nelle nari stillò. Lunghesso il lido
L'orrenda voce intanto alza il Pelíde ;
Nè soli i prenci achei , ma tutte accorrono
184 ILIADE .43-59
Le sparse schiere per le navi ; e quanti
Di navi han cura , remator', piloti
E vivandieri e dispensier', van tutti
Aparlamento, di veder bramosi
Dopo un lungo cessar l'apparso Achille.
Barcollanti v'andaro anco i due prodi
Diomede ed Ulisse , per le gravi
Piaghe all'asta appoggiati , e ne' primieri
Seggi adagiarsi . Ultimo giunse il sommo
Atride , in forte mischia ei pur dal telo
Di Coon Antenóride ferito.
Tutti adunati , Achille surse e disse :
Atride , a te del par che a me saría
Meglio tornato che tra noi non fusse
Mai surta la fatal lite che il core
Si ne rôse a cagion d'una fanciulla.
Dovea Diana saettarla il giorno
Ch'io saccheggiai Lirnesso , e mia la feci ;
Chè tanti non avrían trafitti Achivi ,
Mentre l'ira io covai, morso il terreno .
Ettore e i Teucri ne gioîr; ma lunga
Rimarrà tra gli Achei , credo , ed amara
De' nostri piati la memoria. Or copra
Obblío le andate cose , e il cor nel petto
Necessità ne domi. lo qui depongo
L'ira , nè giusto è ch'io la serbi eterna.
Tu ridesta le schiere alla battaglia.
Vedrò se i Teucri al mio venir vorranno
Presso le navi pernottar. Di gambe ,
Spero, fia lesto volentier chïunque
Potrà sottrarsi in campo alla mia lancia.
Disse ; e gli Achivi giubilar, vedendo
Alfinplacato il generoso Achille.
ν. 76-108 LIBRO XIX. 185
Surse allora l'Atride , e dal suo seggio,
Senza avanzarsi , favellò : M'udite ,
Eroi di Grecia , bellicosi amici ,
Nè turbate il mio dir, chè lo frastuono
Anche il più sperto dicitor confonde.
E chi far mente , chi parlar potrebbe
In cotanto tumulto, ove la voce
La più sonora verría meno ? Io volgo
Le parole ad Achille , e voi porgete
Attento orecchio. Con rimprocci ed onte
Spesso gli Achivi m'accusar d'un fallo
Cui Giove e il Fato e la notturna Erinni
Commisero, non io. Essi in consiglio
Quel di la mente m'offuscâr, che il premio
Ad Achille rapíi. Che farmi ? Un Dio
Così dispose , la funesta a tutti
Ate , tremenda del Saturnio figlia.
Lieve ed alta dal suolo ella sul capo
De' mortali cammina , e lo perturba ,
E a ben altri pur nocque. Anche allo stesso
Degli uomini e de' numi arbitro Giove
Fu nocente costei quando ingannollo
L'augusta Giuno il dì che in Tebe Alcmena
L'erculea forza partorir dovea.
Detto ai Celesti avea Giove per vanto :
Divi e Dive , ascoltate ; io vo del petto
Rivelarvi un segreto : oggi Ilitía,
Curatrice de' parti, in luce un uomo
Del mio sangue trarrà , che su le tutte
Vicine genti stenderà lo scettro.
Mentirai , nè atterrai la tua parola ,
Giuno riprese, meditando un frodo .
Giura , o Giove , il gran giuro, che nel vero
186 ILIADE v. tog-141
Fia de' vicini regnator' l'uom ch'oggi
Di tua stirpe cadrà fra le ginocchia
D'una madre mortal. Giurollo il nume
Senza sospetto, e ne fu poi pentito ;
Chè Giuno, dal ciel ratta in Argo scesa ,
Del Perseide Sténelo all' illustre
Moglie sen venne. Avea grav' ella il seno
D'un caro figlio settimestre . A questo ,
Benchè immaturo, accelerò la luce
Giuno, e d'Alcmena prolungando il parto,
Ne represse le doglie. Indi a narrarne
Corse al Saturnio la novella ; e disse :
Giove , t'annunzio che mo' nacque un prode
Che in Argo impererà , lo Stenelíde ,
Tua progenie , Euristéo d'Argo re degno .
D'alto dolor ferito infurïossi
Giove ; e, tosto ai capelli Ate afferrando,
Per lo Stige giurò che questa a tutti
Furia dannosa non avría più mai
Riveduto l'Olimpo . E, sì dicendo,
La rotò colla destra , e fra' mortali
Dagli astri la scaglio. Per la costei 1
Colpa veggendo di travagli oppresso
Il diletto figliuol sotto Euristéo,
Adiravasi Giove . E a me pur anco,
Quando alle navi Ettór struggea gli Achivi ,
Lacerava il pensier la rimembranza
Di questa Diva che mi tolse il senno .
Ma poichè Giove il volle , io vo' del pari
Farne l'emenda con immensi doni .
Sorgi , Achille, alla pugna , e gli altri accendi.
Tutto, che jeri nella tenda Ulisse
Ti promise , io darotti : e, se t'aggrada ,
v. 142-174 LIBRO XIX. 187
L'ardor sospendi che a pugnar ti sprona ;
E dal mio legno farò tosto i doni
Recar, che, visti, placheranti il core.
Duce de' prodi, glorioso Atride,
Rispose Achille , il dar que doni a norma
Di tua giustizia o ritenerli , è tutto
Nel tuo poter. Ma tempo non è questo
Da parole : sia d'armi ogni pensiero,
Nė più s'indugi ; chè il da farsi è assai.
Uop' è che Achille in campo rieda e sperda
Le trojane falangi , e ch'altri il vegga ,
E l'esempio n'imiti. Illustre Achille ,
Soggiunse allor l'accorto Ulisse , è grande
Il tuo valor; ma non menar digiuni
Contro i Teucri gli Achei. Venuti al cozzo
Una volta gli eserciti , e infiammati
Quinci e quindi da un Dio , non fia si breve
L'aspro certame. Nelle navi adunque
Comanda che di cibo e di bevanda ,
Fonte di forza , si ristaurin tutti ;
Chè digiuno soldato un giorno intero
Fino al tramonto non sostien la pugna.
Sete , fame , fatica a poco a poco
Dóman anco i più forti , e dispossato
Casca il ginocchio. Ma guerrier, cui fresche
Tornò le forze il cibo, il giorno tutto
Intrepido combatte , e sua stanchezza
Sol col finirsi del conflitto ei sente.
Dunque il campo congeda , e fa che pronte
Mense imbandisca. Agamennón frattanto
Qua rechi i doni ; onde ogni Acheo li vegga ,
E il tuo cor ne gioisca. Indi nel mezzo
Del parlamento il re si levi , e giuri
188 ILIADE ν. 175-207
Che mai non giacque colla tua fanciulla ;
E questo giuro il cor ti plachi. Ei poscia ,
Perchè nulla si fraudi al tuo diritto,
Di lauto desco nella propria tenda
Ti presenti e t'onori . E tu più giusto
'Móstrati , Atride , in avvenir; chè bello
Regal atto è il placar, qual sia , l'offeso.
A questo il sire Agamennón : M'è grato ,
Ulisse , il saggio e acconciamente espresso
Tuo ragionar. Io giurerò dall' imo
Cuor, nè dinanzi al Dio sarò spergiuro.
Ma tempri Achille del pugnar la foga
Sino che giunga il donativo ; e il sangue
Della vittima fermi il giuramento,
Qui presenti voi tutti. Or tu medesmo
Vanne, Ulisse ; e, trascelto, io tel comando,
De' primi achivi giovinetti il fiore ,
Reca i doni promessi e le donzelle ;
E Taltíbio mi cerchi e m'apparecchi
Un cinghial da svenarsi a Giove e al Sole.
Inclito Atride , gli rispose Achille ,
Serbar si denno queste cose al tempo
Che dall'armi avrem posa, e che non tanto
Sdegno m'infiammi . Giacciono squarciati
Nella polve gli eroi che spense Ettorre
Favorito da Giove , e voi ne fate
Ressa di cibo ? Io, qual si trova , all'armi
Senza ritardo il campo esorterei ;
E, vendicato l'onor nostro, allegre
Cene abbondanti appresterei la sera.
Non verrà cibo al labbro mio nè beva ,
S'ulto pria non vedrò l'estinto amico.
D'acuto acciar trafitto egli mi giace
v. 208-240 LIBRO XIX. 189
Nella tenda co' piè volti all'uscita ,
E gli fan cerchio i suoi compagni in pianto.
Non altro è dunque il mio pensier che strage
E sangue , e il cupo di chi muor sospiro.
E Ulisse a lui : Fortissimo Pelíde ,
Tu nell'asta me vinci , io te nel senno,
Perchè pria nacqui , e più imparai. Fa dunque
Di quetarti al mio detto . Umano core
Presto si sazia di conflitti in cui
Molto miete l'acciar, poco raccoglie
Il mietitor, se Giove , arbitro sommo
Di nostre guerre , le bilance inclina.
Pianger col ventre non si dee gli estinti.
E qual respiro il pianto avría , se mille
Fa caderne la Parca ogni momento ?
Intero un sole al lagrimar si doni ;
Poi con coraggio chi morì s'intombi :
E noi che vivi dalla mischia uscimmo,
Confortiamci di cibo, onde più fieri ,
D'invitto ferro ricoperti il petto ,
Alla pugna tornar, senza che sia
Mestier novello incitamento. E guai
A chi terrassi su le navi inerte ,
Mentre gli altri animosi ad acre assalto
Contra i Teucri dal vallo irromperanno !
Disse ; e compagni i due figliuoi si prese
Di Néstore , e Toante e Merïone
E il Filíde Megéte e Melanippo
E Licomede di Creonte. Andaro
D'Atride al padiglion ; presti il comando
N'adempîro, e arrecâr le già promesse
Cose : sette treppiè , venti lebeti ,
Dodici corridori ; indi prestanti
ILIADE
190 0.241-273
D'ingegno e di beltà sette captive.
La figlia di Briséo, guancia rosata ,
Ottava ne venía . Li precedea
Con dieci di buon peso aurei talenti
Ulisse , e lo seguían con gli altri doni
Gli altri giovani achei. Deposto il tutto
Nell'assemblea , levossi Agamennóne ;
E Taltíbio, di voce a un Dio simíle,
Irto cinghial gli appresentò. Fuor trasse
Il sospeso del brando alla vagina
Trafier l'Atride ; e , della belva i primi
Peli recisi , alzò le palme , e a Giove
Pregò . Sedeansi tutti in riverente
Giusto silenzio per udirlo ; ed egli ,
Guardando al cielo e supplicando , disse :
Il sommo ottimo Iddio, la Terra , il Sole ,
E l' Erinni laggiù gastigatrici
Degli spergiuri , testimon mi sieno
Che per desío lascivo unqua io non posi
Sopra la figlia di Briséo le mani ,
E che la tenni nelle tende intatta .
Mi mandino , s'io mento, ogni castigo
Serbato al falso giurator gli Dei.
Disse , e l'ostia scannò ; poscia ne' vasti
Gorghi marini la scaglio l'araldo,
Pasto de' pesci. Allor rizzossi Achille
E sclamò : Giove padre , oh di che danni
Tu ne gravi ! Non mai m'avría l'Atride
Mosso all'ira , nè mai per farmi oltraggio
Rapita a mio mal grado egli la schiava ;
Ma tu il volesti , Iddio, tu che di tanti
Achei la morte decretavi . Or voi
Itene al cibo, e all'armi indi si voli .
. 274-307 LIBRO XIX.
Disse; e, sciolto il consesso, alla sua nave
Si disperse ciascun. Ma co' presenti
I Mirmidóni s'avvïâr d'Achille
Verso le tende , e li posâr, schierando
Su bei seggi le donne ; e nell'armento
Fur dai sergenti i corridor' sospinti.
Di beltà simigliante all'aurea Venere
Come vide Briseide del morto
Pátroclo le ferite , abbandonossi
Sull'estinto, e ululava, e colle mani
Laceravasi il petto e il delicato
Collo e il bel viso, e si dicea plorando :
Oh mio Patróclo ! oh caro e dolce amico
D'una meschina ! Io ti lasciai qui vivo
Partendo ; e ahi quale al mio tornar ti trovo !
Ahi come viemmi un mal su l'altro ! Vidi
L'uomo a cui diermi i genitor' , trafitto
Dinanzi alla città ; vidi d'acerba
Morte rapiti tre fratei diletti ;
E quando Achille il mio consorte uccise
E di Minete la città distrusse ,
Tu mi vietavi il piangere , e d'Achille
Farmi sposa dicevi , e a Ftia condurmi
Tu stesso, e m'apprestar fra' Mirmidóni
Il nuzïal banchetto. Avrai tu dunque ,
O sempre mite eroe , sempre il mio pianto.
Cosi piange : piangean l'altre donzelle
Pátroclo in vista , e il proprio danno in core.
Stretti intanto ad Achille i seniori
Lo confortano al cibo, ed egli il niega
Gemebondo : Se restami un amico
Che mi compiaccia , non m'esorti , il prego,
A toccar cibo in tanto duol : vo' starmi
Fino a sera , e potrollo, in questo stato.
192 ILIADE ν. 308-340
Tutti , ciò detto, accomiato ; ma seco
Restâr gli Atridi e Néstore ed Ulisse,
E il re cretese e il buon Fenice , intenti
A stornarne il dolor: ma il cor sta chiuso
Ad ogni dolce, finchè l'apra il grido
Della battaglia sanguinosa. Or tutto
Col pensier nell'amico alto sospira
E prorompe così : Caro infelice !
Tu pur ne' giorni di feral conflitto
Degli Achivi co' Troi m'apparecchiavi
Con presta cura nelle tende il cibo.
Or tu giaci , e digiuno io qui mi struggo
Del desío di te sol ; nè più cordoglio
Mi gravería, se morto il padre udissi
(Misero ! ei forse or per me piange in Ftia ,
Per me fatto campione, in stranio lido,
Dell'abborrita Argiva ), o morto il mio
Di divina beltà figlio diletto,
Che a me si edúca , se pur vive , in Sciro.
Ahi ! mi sperava di morir qui solo ;
Sperava che tu, salvo a Ftia tornando
Su presta nave , un dì da Sciro avresti
Teco addutto il mio Pirro, e mostri a lui
I miei campi , i miei servi e l'alta reggia ;
Perocchè temo che Peléo pur troppo
O più non viva , o di dolor sol viva ,
Aspettando ogni dì, veglio cadente,
L'amaro annunzio della morte mia.
Così geme : gemean gli astanti eroi ,
Ricordando ciascun gli abbandonati
Suoi cari pegni. Di quel pianto Giove
Impietosito, a Pallade si volse
Immantinente , e sì le disse : O figlia ,
ν. 341-373 LIBRO XIX. 193
Perchè lasci l'uom prode in abbandono ?
Pensier d'Achille non hai più ? Nol vedi
Là seduto alle navi e lagrimoso
Pel caro amico ? Andar già tutti al desco;
Ei sol ricusa ogni ristor. Va dunque ,
Edolce ambrosia e néttare nel petto ,
Onde non caggia di languor, gl'instilla.
Sprone aggiunse quel cenno alla già pronta
Minerva , che d'un salto, con la foga
Delle vaste ali di stridente nibbio,
Calò dal cielo , e néttare ed ambrosia
Stillò d'Achille in petto, onde le forze
Il suo fiero digiun non gli togliesse ;
Indi agli eterni del potente padre
Soggiorni rivolò . Gli Achivi intanto
Tutti in procinto dalle navi a torme
Versavansi nel campo ; e a quella guisa
Che fioccano dal ciel , spinte dal soffio
Serenatore d'aquilon , le nevi ,
Cosi dai legui uscir densi allor vedi
I lucid'elmi , i vasti scudi , e i forti
Cóncavi usberghi e le frassínce lance.
Folgora ai lampi dell'acciaro il cielo,
E ne brilla il terren, che al calpestio
Delle squadre rimbomba. In mezzo a queste
Armasi Achille. Gli strideano i denti ,
Gli occhi eran fiamme , di dolore e d'ira
Rompeasi il petto ; e tale egli dell'armi
Vulcanie si vestía. Strinse alle gambe
I bei stinieri con argentee fibbie ;
Pose al petto l'usbergo, e di lucenti
Chiovi fregiato agli omeri sospese
Ilforte brando ; s'imbracciò lo scudo ,
IDIADE , Vol. 11. 9
194 ILIADE v. 374-407
Che immenso e saldo di lontan splendea
Come luna , o qual foco ai naviganti
Sovr'alta apparso solitaria cima ,
Quando lontani da' lor cari il vento
Li travaglia nel mar : tale dal bello
E vario scudo dell'eroe saliva
All'etra lo splendor. Stella parea
Su la fronte il grand'elmo, irto d'equine
Chiome , e fusa sul cono tremolava
L'aurea cresta. In quest'armi il divo Achille
Tenta se stesso , e vi si vibra , e prova
Se gli son atte; e gli erano qual piuma
Ch'alto il solleva . Alfin dal suo riservo
Cavò l'immensa e salda asta paterna ,
Cui nullo Achivo palleggiar potea
Tranne il Pelíde , frassino d'eroi
Sterminatore , da Chiron reciso
Su le pelíache vette , e dato al padre.
Alcímo intanto e Automedonte aggiogano,
Di belle barde adorni e di bei freni ,
I cavalli ; e, allungate ai saldi anelli
Le guide e tolta nella man la sferza ,
Salta sul cocchio Automedón. Vi monta
Dopo, raggiante come Sole , Achille
Tutto presto alla pugna , e con tremenda
Voce ai paterni corridor sì grida:
Xanto e Bálio, a Podarge incliti figli ,
Sia vostra cura in salvo ricondurre
Sazio di stragi il signor vostro ; e morto
Nol lasciate colà come Patróclo .
Chinò la testa l'immortal corsiero
Xanto : diffusa per lo giogo andava
Fino a terra la chioma; ed ei, da Giuno
Fatto parlante , udir fe' questi accenti :
ν. 408-424 LIBRO XIX . 195
Achille , in salvo questa volta ancora
Ti trarremo noi , sì ; ma ti sovrasta
L'ultim'ora, nè fia nostra la colpa ,
Ma di Giove e del Fato . Se dell'armi
Spogliar Patroclo i Troi , non accusarne
Nostra pigrizia e tardità , ma il forte
Di Latona figliuolo. Ei nella prima
Fronte l'uccise , e dienne a Ettór la palma.
Noi Zefiro sfidiamo , il più veloce
De' venti , al corso; ma nel Fato è scritto
Che un Dio te domi ed un mortal ... Troncaro
L'Erinni i detti . E a lui l'irato Achille :
Xanto , a che morte mi predir ? Non tocca
Questo a te. Qui cader deggio lontano,
Lo so, dai cari genitor' ; ma pria
Trarrò tutta di guerre a' Troi la voglia.
Disse; e gridando i corridor' sospinse.
ILIADE
LIBRO VENTESIMO
ARGOMENTO
Giove raguna a concilio gli Dei , e loro impone di
prender parte nella battaglia. Giunone , Pallade ,
Mercurio, Nettunno, Vulcano discendono in ajuto
de' Greci ; stanno dalla parte de' Trojani Marte ,
Apollo, Latona , Diana, Venere e lo Scamandro.
Enea, venuto alle prese con Achille, è circondato
di nebbia e salvato da Nettunno . Achille mette a
morte molti de' nemici, fra' quali Polidoro, figlio
di Príamo. Ettore , avendo assalito Achille, viene
sottratto da Apollo. Prodezze di Achille che fa
strage de Trojani.
Così dintorno a te , marzio Pelíde ,
Gli Achei metteansi in punto appo le navi,
E i Troi del campo sul rïalto. A Temi
Giove allor comandò che dalle molte
Eminenze d'Olimpo a parlamento
Convocasse gli Dei. Volò la Diva
D'ogui parte , e chiamolli alla stellata
Magion di Giove. Accorser tutti, e, tranne
Il canuto Oceán , nullo de' Fiumi
Nè delle Ninfe vi mancò , de' boschi
E de' prati e de' fonti abitatrici .
Giunti del grande adunator de' nembi
Alle stanze , si assisero su tersi
. 14-46 ILIADE . LIB. XX. 197
: Troni che a Giove con solerte cura
Vulcano fabbrico. Prese ciascuno
Cheto il suo posto; ma dal mar venuto
Obbedïente ei pure il re Nettunno ,
Tra i maggiori sedendosi , la mente
Di Giove interrogò con questi accenti :
Perchè di nuovo, fulminante Iddio,
Chiami i numi a consiglio ? Alfin decisa
De' Trojani vuoi forse e degli Achei,
Pronti a zuffa mortal, l'ultima sorte ?
Ben vedesti , o Nettunno, il mio pensiero,
Giove rispose ; del chiamarvi è questa
La cagion : benchè presso al fato estremo
E gli uni e gli altri, in cor mi stanno. Assiso
Su le cime d'Olimpo io qui mi resto
L'ire mortali a contemplar tranquillo.
Voi sul campo scendete , e a cui v'aggrada
De' Teucri e degli Achei recate aita.
Se pugna Achille ei sol , nol sosterranno
Nè pur tampoco i Teucri , essi che jeri
Solo al vederlo ne tremaro. Ed oggi ,
Che d' ira egli arde per l'amico, io temo
Non anzi il dì fatal Troja rovini .
Disse ; e di guerra un fier desire accese
De' Celesti nel cor, che in due divisi
Nel campo si calâr : verso le navi
Giuno e Palla Minerva, e coll'accorto
Util Mercurio s'avvïò Nettunno .
Li seguía zoppiccando, e truci intorno
Gli occhi volgendo, di sua forza altero,
Vulcano, ed il sottil stinco di sotto
Gli barcollava. Alla trojana parte
N'andar dell'elmo il crollator Gradivo,
198 ILIADE .47-79
L'intonso Febo colla madre e l'alma
Cacciatrice sorella e Xanto e Venere ,
Dea del riso . Finchè dalle mortali
Turbe i numi fur lungi , orgoglio e festa
Menavano gli Achei , perchè comparso
Dopo lungo riposo era il Pelíde ,
E corse ai Teucri un freddo orror per l'ossa,
Visto nell'armi lampeggiar, sembiante
Al Dio tremendo delle stragi , Achille.
Ma quando le celesti alle terrene
Armi fur miste , una ineffabil surse
Di genti agitatrice aspra contesa.
Terribile Minerva , or sull'estremo
Fosso volando ed or sul rauco lido ,
Da questa parte orribilmente grida :
Grida Marte dall'altra, a tenebroso
Turbin simile; ed or dall'ardue cime
Delle dardanie torri , ed or sul poggio
Di Colone lunghesso il Simoenta
Correndo , infiamma a tutta voce i Teucri.
Così l'un campo e l'altro inanimando
Gli Dei beati gli azzuffâr, commisti
In conflitto crudel. Dall'alto allora
De' mortali e de' numi orrendamente
Il gran padre tuono : scosse di sotto
L'ampia terra e de' monti le superbe
Cime Nettunno . Traballar dell' Ida
Le falde tutte e i gioghi e le trojane
Rocche e le navi degli Achei. Tremonne
Pluto, il re de' sepolti , e spaventato
Diè un alto grido e si gitto dal trono ,
Temendo non gli squarci la terrena
Vôlta sul capo il crollator Nettunno,
v. 80-112 LIBRO XX . 199
Ed, intromessa colaggiù la luce,
Agli Dei non discopra ed ai mortali
Le sue squallide bolge , al guardo orrende
Auco del ciel : cotanto era il fragore
Che dal conflitto de' Celesti uscía .
Contra Nettunno il re dell'arco Apollo,
Contra Marte Minerva , e contra Giuno
Sta delle cacce e degli strali amante
| La sorella di Febo, alma Diana ;
Contra il dator de' lucri e servatore
Di ricchezze, Mercurio, era Latona ;
Contra Vulcano il vorticoso fiume ,
Dai mortali Scamandro, e dagli Dei
Xanto nomato. E questo era di numi
Contro numi il certame e l'ordinanza .
Ma di scagliarsi fra le turbe in cerca
Del Priamide Ettorre arde il Pelíde ;
Chè innanzi a tutto gli comanda il core
Di far la rabbia marzïal satolla
Di quel sangue abborrito . Allor, destando
Le guerriere faville, Apollo spinse
Contro il tessalo eroe d'Anchise il figlio ;
E, presa la favella e la sembianza
Del Prïamejo Licaon, gl' infuse
Ardimento e valor con questi accenti :
Illustre duce Enea , dove n'andaro
Le fatte tra le tazze alte promesse
Al re de' Teucri , che pur solo avresti
Contro il Pelíde Achille combattuto ?
Prïamíde , e perchè , contro mia voglia ,
Enea rispose , ad affrontar ini sproni
Quell'invitto guerrier ? Gli stetti a fronte
Pur altra volta , ed altra volta in fuga
200 ILIADE v. 113-145
La sua lancia dall' Ida mi sospinse ,
Quando, assaliti i nostri armenti , ei Pédaso
E Lirnesso atterrò. Giove protesse
Il mio ratto fuggir : senza il suo nume
M'avría domo il Pelíde , esso e Minerva
Che, il precorrendo, lo spargea di luce ,
E de' Teucri e de' Lélegi alla strage
La sua lancia animava. Alcun non sia
Dunque che pugni col Pelíde. Un Dio
Sempre va seco che il difende , e dritto
Vola sempre il suo telo, e non s'arresta
Finchè non passi del nemico il petto.
Se della guerra si librasse eguale
Dai Sempiterni la bilancia , ei certo,
Fosse tutto qual vantasi di ferro ,
Non avría meco agevolmente il meglio.
E tu pur prega i numi , o valoroso,
Rispose Apollo ; chè tu pure , è fama ,
Di Venere nascesti , ed ei di Diva
Inferïor; chè quella a Giove , e questa
Al marin vecchio è figlia. Orsù, dirizza
In lui l'invitto acciaro, e non lasciarti
Per minacce fugar dure e superbe.
Fatto animoso a questi detti il duce ,
Processe, di lucenti armi vestito,
Tra i guerrieri di fronte. E, lui veduto
Per le file avanzarsi arditamente
Contro il Pelíde, ai collegati numi
Si volse Giuno e disse : Il cor volgete ,
Tu , Nettunno, e tu, Pallade , al periglio
Che ne sovrasta. Enea tutto nell'armi
Folgorante s'avvía contro il Pelíde,
E Febo Apollo ve lo spinge. Or noi
9. 156-178 LIBRO XX . 201
Oforziamlo a dar volta , o pur d'Achille
Vada in ajuto alcun di noi , che forza
All'uopo gli ministri , onde s'avvegga
Ch'egli ai Celesti più possenti è caro ,
E che di Troja i difensor' fann'opra
Infruttuosa. Vi rammenti , o numi ,
Che noi tutti scendemmo a questa pugua,
Perchè nullo da' Teucri egli riceva
Questo di nocumento. Abbiasi dopo
Quella sorte che a lui filò la Parca
Quando la madre il partorío . Se istrutto
Di ciò nol renda degli Dei la voce ,
Temerà nel veder venirsi incontro
Fra l'armi un nume : perocchè tremendi
Son gli Eterni veduti alla scoperta.
Fuor di ragione non irarti , o Giuno,
Chè ciò sconvienti ; rispondea Nettunno.
Non sia che primi commettiam la pugna
Noi che siamo i più forti. Alla vedetta
Di qualche poggio dalla via remoto
Assidiamci piuttosto, ed ai mortali
Resti la cura del pugnar. Se poscia
Cominceran la zuffa o Marte o Febo,
E, rattenendo Achille, impediranno
Ch'egli entri nella mischia , e noi pur tosto
Susciteremo allor l'aspro conflitto ;
E presto, io spero , dal valor del nostro
Braccio domati , per le vie d'Olimpo
Ritorneranno all' immortal consesso .
Li precorse , ciò detto , il nume azzurro
Verso l'alta bastía che pel divino
Ercole un giorno con Minerva i Teucri
Innalzár, perchè a quella egli potesse
9*
202 ILIADE 9. 179-211
Riparato schivar della vorace
Orca l'assalto allor che furibonda
L' inseguisse dal lido alla pianura.
Qui co' numi alleati il Dio s'assise
D'impenetrabil nube circonfuso.
Sul ciglio anch'essi s'adagiar dell' erto
Callicolon gli opposti numi intorno
A te , divino saettante Apollo,
E a Marte di cittadi atterratore.
Così di qua , di là deliberando
Siedono i Divi ; e niuna parte ardisce ,
Benchè Giove gli sproni , aprir la pugna.
E già tutto d'armati il campo è pieno,
E di lampi che manda il riforbito
Bronzo de' cocchi e de' guerrieri , e suona
Sotto il fervido piè de' concorrenti
Eserciti la terra. Ed ecco in mezzo
Affrontarsi, di pugna desïosi,
Due fortissimi eroi , d'Anchise il figlio
Ed Achille. Avanzossi Enea primiero
Minacciando e crollando il poderoso
Elmo ; e, proteso il forte scudo al petto,
La grand'asta vibrava. Ad incontrarlo
Mosse il Pelíde impetuoso, e parve
Truculento lïone , alla cui vita
Denso stuol di garzoni , anzi l'intero
Borgo si scaglia : incede egli da prima
Sprezzatamente ; ma se alcun de' forti
Assalitor ' coll'asta il tocca , ei fiero,
Spalancando le fauci, si rivolve
Colla schiuma alle sanne ; la gagliarda
Alma in cor gli sospira , i fianchi e i lombi
Flagella colla coda, e sè medesmo
9. 212-244 LIBRO XX. 203
Alla battaglia irrita ; indi repente
Con torvi sguardi avventasi ruggendo,
Di dar morte già fermo o di morire.
Tal la forza e il coraggio incontro al franco
Enea sospinser l'orgoglioso Achille ;
E, giunti a fronte , favellò primiero
Il gran Pelíde : Enea , perchè tant'oltre
Fuor della turba ti spingesti ? Forse
Meco agogni pugnar perchè su i Teucri
Di Príamo speri un di stender lo scettro ?
Ma s'egli avvegna ancor che tu m'uccida ,
Ei non porrallo alle tue mani , ei padre
Di più figli , e d'età sano e di mente.
O forse i Teucri , se mi metti a morte ,
Un eletto poder bello di viti
Ti statuiro e di fecondi solchi ?
Ma dura impresa t'assumesti , io spero ;
Ch'altra volta , mi par, ti pose in fuga
Questa mia lancia. Non rammentiil giorno
Che soletto ti colsi ; e con veloce
Corso dall' Ida ti cacciai lontano
Dalle tue mandre ? Tu volavi , e , mai
Non volgendo la fronte , entro Lirnesso
Ti riparasti. Col favore io poi
Di Giove e Palla la città distrussi ,
E ne predai le donne , e, tolta loro
La cara libertà , meco le trassi .
Gli Dei quel giorno ti scampâr; non oggi
Lo faranno , cred'io, come t'avvisi .
Va , ritírati adunque, io te n'assenno ;
Rïentra in turba , nè mi star di fronte ,
Se il tuo peggio non vuoi ; chè dopo il fatto
Anche lo stolto dell'error si pente.
204 ILIADE v. 245-277
Me co' detti atterrir come fanciullo
Indarno tenti , Enea rispose ; anch'io
So dir minacce ed onte , e l'un dell'altro
I natali sappiamo , e per udita
I genitori ; chè nè tu conosci
Per vista i miei , ned io li tuoi. Te prole
Dell'egregio Peléo dice la fama ,
E della bella equórea Teti. Io nato
Di Venere mi vanto , e generommi
Il magnanimo Anchise. Oggi per certo
O gli uni o gli altri piangeranno il figlio ;
Chè veruno di noi di puerili
Ciance contento non vorrà , cred'io ,
Separarsi ed uscir di questo arcingo.
Ma se più brami di mia stirpe udire
Al mondo chiara , primamente Giove
Dárdano generò , che fondamento
Pose qui poscia alle dardanie mura;
Perocchè non ancora allor nel piano
Sorgean le sacre ilíache torri , e il molto
Suo popolo le Idée falde copriva .
Di Dárdano fu nato il re, d'ogni altro
Più opulente, Erittónio. A lui tre mila
Di teneri puledri allegre madri
Le convalli pascean. Innamorossi
Borea di loro; e, di destrier morello
Presa la forma , alquante ne compresse ,
Che sei puledre e sei gli partoriro.
Queste, talor ruzzando alla campagna,
Correan sul capo delle bionde ariste
Senza pur sgretolarle ; e se co' salti
Prendean sul dorso a lascivir del mare ,
Su le spume volavano de' flutti
9. 278-310 LIBRO XX. 203
Senza toccarli . D'Erittónio nacque
Tröe, re de' Trojani , e poi di Troe
Generosi tre figli Ilo ed Assáraco,
E il deiforme Ganimede , al tutto
De' mortali il più bello, e dagli Dei
Rapito in cielo, perchè fosse a Giove
Di coppa mescitor per sua beltade ,
Ed abitasse con gli Eterni . Ad Ilo
Nacque l'alto figliuol Laomedonte ;
Titone a questo e Príamo e Lampo e Clízio
E l'alunno di Marte, Icetaone :
Assáraco ebbe Capi , e Capi Anchise ,
Mio genitore , e Príamo il divo Ettorre.
Ecco il sangue ch'io vanto. Il resto scende
Tutto da Giove che ne' petti umani
Il valor cresce o scema a suo talento,
Potentissimo iddio. Ma tregua omai
Fra l'armi a borie fanciullesche. Entrambi
Possiam d'ingiurie aver dovizia e tanta
Che nave non potría di cento remi
Levarne il pondo. De' mortai volubile
È la lingua, e ne piovono parole
D'ogni maniera in largo campo, e quale
Dirai motto, cotal ti fia rimesso .
Ma perchè d'onte tenzonar, siccome
Stizzose femminette che nel mezzo
Della via si rabbuffano, col vero,
Spinte dall'ira , affastellando il falso ?
Me qui pronto a puguar non distorrai,
Colle minacce, dal cimento, Or via;
Alle prove dell'asta. E, così detto ,
La ferrea lancia fulminò nel vasto
Terribile brocchier che dell'acuta
206 ILIADE ν. 31-343
Cuspide al picchio rimugghiò. Turbossi
Il Pelíde , e dal petto colla forte
Mano lo scudo allontano, temendo
Nol trafori la lunga ombrosa lancia
Del magnanimo Enea . Di mente uscito
Eragli , stolto ! che mortal possanza
Difficilmente doma armi divine .
Non ruppe la gagliarda asta trojana
Il pavese achilléo ; chè la rattenne
Dell'aurea piastra l'immortal fattura ,
E sol due falde ne forò di cinque
Che Vulcano v'avea l'una sull'altra
Ribattute : di bronzo le due prime ;
Le due dentro di stagno , e tutta d'oro
La media che il crudel tronco represse.
Vibrò secondo la sua lunga trave
Il Pelíde , e colpi dell'inimico
L'orbicolar rotella all'orlo estremo,
Ove sottil di rame era condotta
Una falda , e sottile il sovrapposto
Cuojo taurino. La pelíaca antenna
Da parte a parte lo passò. La targa
Rimbombò sotto il colpo : esterrefatto
Rannicchiossi e scostò dalla persona
Enea lo scudo sollevato ; e l'asta,
Rotti i due cerchi che il cingean , sul dorso
Trasvolò furïosa, e al suol si fisse.
Scansato il colpo, si ristette, e immenso
Duol di paura gli abbujò le luci ,
Sentita la vicina asta confitta.
Pronto il Pelíde allor, tratta la spada,
Con terribile grido si disserra
Contro il nemico. Era nel campo un sasso
0. 344-376 LIBRO XX . 207
D'enorme pondo che soverchio fôra
Alle forze di due quai la presente
Età produce. Diè di piglio Enea
A questo sasso, e, agevolmente solo
L'agitando, si volse all'aggressore ;
E nel vulcanio scudo o nell'elmetto
Avventato l'avría, ma senza offesa;
E a lui per certo del Pelíde il brando
Togliea la vita, se di ciò per tempo
Avvistosi Nettunno , ai circostanti
Celesti non facea queste parole :
Duolmi , o numi , d'assai del generoso
Enea che domo dal Pelíde all'Orco
Irne tosto dovrà, dalle lusinghe
Mal consigliato dell'arciero Apollo .
Insensato ! chè nulla incontro a morte
Gli varrà questo Dio. Ma della colpa
Altrui la pena perchè dee patirla
Quest'innocente, liberal di grati
Doni mai sempre agl'Immortali ? Or via;
Moviamo in suo soccorso, e s'impedisca
Che il Pelíde l' uccida, e che di Giove
L'ire risvegli la sua morte. I fati
Decretar ch'egli viva, onde la stirpe
Di Dárdano non péra interamente,
Di lui che Giove, innanzi a quanti figli
Alvo mortal gli partorío, dilesse ;
Perocchè da gran tempo egli la gente
Di Príamo abborre, e su i Trojani omai
D' Enea la forza regnerà con tutti
De' figli i figli e chi verrà da quelli .
Pensa tu teco stesso, o re Nettunno,
Giuno rispose, se sottrarre a morte
a08 ILIADE ν. 377-409
Enea si debba, o consentir, malgrado
La sua virtude, che lo domi Achille.
Quanto a Pallade e a me, presenti i numi ,
Noi giurammo solenne giuramento
Di non mai da' Trojani la ruina
Allontanar, no, s'anco tutto in cenere
Troja cadesse tra le fiamme achee .
Udito quel parlar, corse per mezzo
Alla mischia e al fragor delle volanti
Aste Nettunno ; e, giunto ove d'Enea
E dell'inclito Achille era la pugna,
Una subita nube intorno agli occhi
Del Pelíde diffuse, e dallo scudo
Del magnanimo Enea svelto il ferrato
Frassino, al piede del rival lo pose.
Indi spinse di forza, e dalla terra
Levo sublime Enea, che preso il volo
Dalla mano del Dio, varcò d'un salto
Molte file d'eroi , molte di cocchi ,
E all'estremo arrivò del rio conflitto ,
Ove in procinto si mettean di pugna
De' Cáuconi le schiere. Ivi davanti
Gli si fece Nettunno, e così disse :
Sconsigliato ! qual Dio contra il Pelíde
Ti sedusse a pugnar, contra un guerriero,
Di te più caro ai numi e più gagliardo ?
S'altra volta lo scontri , ti ritira,
Onde anzi tempo non andar solterra.
Morto Achille, combatti audacemente ;
Chè nullo Acheo t' ucciderà . Disparve
Dopo questo precetto, e alle pupille
Del Pelíde sgombrò la portentosa
Caligine : tornår tutto ad un tempo
ν. 410-442 LIBRO XX . 209
Chiari al guardo gli obbietti , onde , fremendo
Nel magnanimo cor , Numi , diss'egli ,
Quale strano prodigio ? Al suol giacente
Veggo il mio telo, ma il guerrier non veggo
In cui , bramoso di ferir, lo spinsi .
Dunque è caro a' Celesti ei pur davvero
Questo figlio d'Anchise ! ed io stimava
Falso il suo vanto. E ben , si salvi. Andata
Gli sarà, spero, di provarsi meco
In avvenir la voglia, assai felice
D'aver posta in sicuro oggi la vita.
Orsù , l'acheo valor riconfortato,
Facciam degli altri Teucri esperimento.
Si dicendo, saltò dentro alle file
E tutti rincorò : Prestanti Achei ,
Non vogliate discosto or più tenervi
Da' nemici : guerrier contra guerriero
Scagliatevi , e pugnate ardimentosi.
Per forte ch'io mi sia, m'è dura impresa
Sol con tutti azzuffarmi ed inseguirli.
Nè Marte pure, immortal Dio, nè Palla
A tanti armati reggerían. Ma quanto
Queste man', questi piedi e questo petto
Potranno, io tutto vel consacro, e giuro
Di non posarmi un sol momento. Io vado
A sfondar quelle file ; e non fia lieto
Chi la mia lancia scontrerà, mi penso.
Cosi gli sprona ; e minaccioso anch'esso
Ettore i suoi conforta, e contro Achille
Ir si promette: Del Pelíde, o prodi ,
Non temete le borie ; anch'io saprei
Pur co' numi combattere a parole,
Coll'asta, no; ch'ei son più forti assai.
210 ILIADE ν. 443-475
Nè tutti avran d'Achille i vanti effetto :
Se l'un pieno gli andrà, l'altro gli fia
Tronco nel mezzo. Ad incontrarlo io vado,
S'anco la man di fuoco egli s'avesse ;
Sì , di fuoco la man , di ferro il polso.
Da questo dire accesi , alto levaro
L'aste avverse i Trojani , e con immenso
Romor le forze s'accozzâr. Si strinse
Allora Apollo al teucro duce, e disse :
Ettore, non andar contro il Pelíde
Fuor di fila ; ma tienti entro la schiera,
E dalla turba lo ricevi , e bada
Che di brando o di stral non ti raggiunga.
Udi del Dio la voce, e sbigottito
Nella turba de' suoi l'eroe s'immerse .
Ma di gran forza il cor vestito Achille,
Con gridi orrendi si balzò nel mezzo
De' Trojani , e prostese a prima giunta
Di numerose genti un condottiero,
Il prode Ifizïon che ad Otrintéo,
Guastator di città, nell'opalento
Popolo d'Ide sul nevoso Tmolo
Näide Ninfa partori. Venía
Costui di punta a furia. Il divo Achille
Coll'asta a mezzo capo lo percosse,
E in due lo ſésse. Rimbombando ei cadde ;
Ed orgoglioso il vincitor sovr'esso
Esclamò : Tremendissimo Otrintíde,
Eccoti a terra: e tu sepolcro umile
In questa sabbia avrai , tu che superba
Cuna sortisti alla gigéa palude
Ne' paterni poderi appo il pescoso
Illo e dell' Ermo il vorticoso flutto .
v. 476-508 LIBRO XX. 211
Cosi l'oltraggia ; della morte il bujo
Copri gli occhi al meschino, e de' cavalli
L'ugna e li chiovi delle rote achee
Il lasciar nella calca infranto e pesto.
Feri dopo costui Demoleonte,
D'Anténore figliuolo e valoroso
Combattitore ; lo feri sul polso
Della tempia , nè valse alla difesa
La ferrea guancia del polito elmetto.
L'impetuosa punta spezzò l'osso,
Sgominò le cervella, che di sangue
Tutte insozzársi : e così giacque il fiero.
Gittatosi dal carro, Ippodamante
Dinanzi gli fuggía . L'asta d'Achille
Lo raggiunse nel tergo. L'infelice
Esalava lo spirto, e mugolava
Come tauro che a forza innanzi all'are
D'Elice è tratto da garzon' robusti ,
E ne gode Nettunno : a questa guisa
Muggía quell'alma feroce , e spirava.
S'avventò dopo questi a Polidoro.
Era costui di Príamo un figlio : il padre
Gli avea difeso di pugnar, siccome
Il minor de' suoi nati e il più diletto,
Che tutti al corso li vincea. Di questa
Sua virtute di piè con fanciullesca
Demenza vanitoso, egli tra' primi
Combattenti correa senza consiglio,
Finchè morto vi cadde. Il colse a tergo
In quei trascorsi Achille ove la cinta
Dall'auree fibbie s'annodava, e doppio
Scontravasi l' usbergo. Il telo acuto
Riuscì di rimpetto all'ombilico :
212 ILIADE ν. 509-541
Ululò quel trafitto, e su i ginocchi
Casco ; curvato colla man compresse
Le intestina, e mortal nube lo cinse.
Come in quell'atto miserando il vide
Il suo germano Ettorre, una profonda
Nube di duolo gl' ingombrò le luci ,
Nè gli sofferse il cor di più ristarsi
Dentro la turba ; ma, crollando immensa
Una lancia, volò contro il Pelíde
Come fiamma ondeggiante. A quella vista
Saltò di gioja Achille ; e, baldanzoso,
Ecco l'uom , disse, che nel cor m'aperse
Si gran piaga, colui che il mio m'uccise
Caro compagno : or più non fuggiremo
L'un l'altro a lungo pei sentier' di guerra.
Disse ; e al divino Ettór bieco guatando,
Gridò : T'accosta, chè al tuo fin se' giunto.
Non pensar, gli rispose imperturbato
L'eroe trojano , non pensar di darmi
Per minacce terror come a fanciullo ;
Chè oprar so l'armi della lingua io pure,
E conosco tue forze, e mi confesso
Men valente di te : ma in grembo ai numi
Sta la vittoria ; ed avvenir può forse
Ch'io, men prode, dal sen l'alma ti svelga :
Affilata ha la punta anche il mio telo.
Disse, e l'asta scagliò ; ma dal divino
Petto d'Achille la svïò Minerva
Con levissimo soffio. Risospinta
Dall'alito immortal , l'asta ritorno
Fece ad Ettorre, e al piè gli cadde. Allora
Con orribile grido disserrossi
Furibondo il Pelíde, impazïente
v. 542-574 LIBRO XX. 213
Di trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo,
Lieve impresa ad un Dio, tutto coprendo
Di folta nebbia Ettór. Tre volte Achille
Coll'asta l'assali , tre volte un vano
Fumo trafisse ; e con furor venendo
Il divino guerriero al quarto assalto,
Minaccioso tuonò queste parole :
Cane trojan , di nuovo ecco fuggisti
L'estremo fato che t'avea raggiunto ;
E Febo ti scampò, quel Febo a cui
Tra il sibilo dei dardi alzi le preci.
Ma s'altra volta mi darai nell' ugna,
E se a me pure assiste un qualche iddio,
Ti finirò. Di quanti in man frattanto
Mi verranno de' tuoi farò macello .
Così dicendo, a Drïope sospinse
Sotto il mento la picca, e questi al piede
Gli trabocco . Così lasciollo; e, ratto
Scagliandosi a Demúco, un grande e prode
Di Filétore figlio, alle ginocchia
Lo feri , l'arresto ; poscia col brando
L'alma gli tolse. Dopo questi Dárdano
E Laógono assalse, illustri figli
Di Bïante ; e, travolti amko dal cocchio,
L'un di lancia atterrò, l'altro di spada.
Poi distese il trojano Alastoríde
Che, a' suoi ginocchi supplice cadendo,
Chiedea la vita in dono, ed ai conformi
Suoi verd'anni pietà. Stolto ! chè vano
Il pregar non sapea, nè quanto egli era
Mite no, ma feroce. In umil atto
Gli abbracciava i ginocchi , ed altro dire
Volea pure il meschin ; ma quegli il ferro
ILIADE v. 575-607
214
Nell'épate gl' immerse, che di fuori
Riversossi , e di sangue un nero fiume
Gli fe' largo nel seno. Venne manco
L'alma, e gli occhi copri di morte il velo.
Indi Mulio investendo; entro un'orecchia
Gli fisse il telo, e uscir per l'altra il fece .
Ad Echeclo d'Agénore un fendente
Calò di spada al mezzo della testa,
E la spaccò ; si tepefece il grande
Acciar nel sangue, e la purpurea morte
E la Parca possente i rai gli chiuse.
Colse dopo di punta nella destra
Deucalion là dove i nervi vanno
Del cubito ad unirsi. Intormentito
Nella mano, il guerrier vedeasi innanzi
La morte, e passo non movea. Gli mena
Un mandritto il Pelíde alla cervice ;
Netto il capo gli mozza, e via coll'elmo
Lungi il butta. Schizzâr dalle vertébre
Le midolle, e disteso il tronco giacque.
Rigmo poscia aggredi , Rigmo, dai pingui
Tracj campi venuto, e di Piréo
Generoso figliuol. Lo colse al ventre
Il tessalico telo, e giù dal cocchio
Lo scosse . Allor die volta ai corridori
L'auriga Arëitóo ; ma del Pelíde
L'asta il giunge alle spalle, e capovolto
Tra i turbati cavalli lo precipita.
Quale infuria talor per le profonde
Valli d'arido monte un vasto fuoco
Che divora le selve, e in ogni lato
L'agita e spande di Garbino il soffio;
Tale in sembianza d'un irato iddio
v. 608-624 LIBRO XX . 215
D'ogni parte si volve furibondo
Il Pelíde, ed insegue e uccide ę rossa
Fa di sangue la terra. E come quando
Nella tonda e polita aja il villano
Due tauri accoppia di ben larga fronte
Di Cerere a trebbiar le bionde ariste ;
Fuor del guscio in un subito saltella
Di sotto al piede de' mugghianti il grano :
Del magnanimo Achille in questa forma
Gl'immortali cornipedi sospinti
I cadaveri calcano e gli scudi.
L'orbe tutto del cocchio e tutto l'asse
Gronda di sangue dalle zampe sparso
De' cavalli a gran' sprazzi e dalle rote.
Desío di gloria il cuor d'Achille infiamma,
E l'invitte sue mani tutte sozze
Son di polve, di tabe e di sudore.
ILIADE
LIBRO VENTESIMOPRIMO
ARGOMENTO
Achille incalzando i Trojani , parte ne spinge nella
città e parte nello Scamandro. Fa prigioni dodici
giovani per sacrificarli all'ombra di Pátroclo. Morte
di Licaone e di Asteropéo. Lotta dell'eroe collo
Scamandro. Nel punto di esser sopraffatto dal fiume
è salvato per opera di Giunone , la quale fa dis-
seccare da Vulcano col fuoco le correnti dell'acqua.
Pugna degli Dei fra loro. Agénore assale Achille
ed è salvato da Apollo. Il Nume, presa la figura
di Agénore, delude l'eroe, che, tenendogli dietro
si disvia dal combattimento. Frattanto i Trojani
si gettano nella città.
Ma divenuti i Teucri alle bell'onde
Del vorticoso Xanto, ameno fiume
Generato da Giove, ivi il Pelíde
Intercise i fuggenti; e parte al muro
Per lo piano ne incalza, ove testeso
Davan le spalle al furibondo Ettorre
Scompigliati gli Achei (per l'orme istesse
Or dispersi si versano i Trojani ,
E a tardarne il fuggir densa una nebbia
Giuno intorno spandea), parte negli alti
Gorghi si getta dell'argenteo fiume
v. 12-44 ILIADE. LIBRO ΧΧΙ. 217
Con tumulto. La rotta onda rimbomba,
Ne gemono le ripe; e quei , mettendo
Cupi ululati , nuotano dispersi
Come il rapido vortice li gira.
Qual cacciate dall' impeto del fuoco
Alzan repente le locuste il volo
Sul margo del ruscello ; arde veloce
L'inopinata fiamma, e quelle in fretta
Spaventate si gettano nel rie :
Tal dinanzi al Pelide la sonante
Corsía del Xanto riempiasi tutta
Di guerrieri e cavalli alla rinfusa.
Su la sponda del fiume allor poggiata.
Alle miríci la pelíaca antenna,
Strinse l'eroe la spada, e dentro il flutto
Come demón lanciossi , rivolgendo
Opre orrende nel cor. Menava a cerchio
Il terribile acciar; s'udía lugubre
Dei trafitti il lamento, e tinta in rosso
L'onda correa. Qual fugge innanzi al vasto
Delfin la torma del minuto pesce,
Che di tranquillo porto si ripara
Nei recessi atterrito , ed ei n' ingoja
Quanti ne giunge ; paurosi i Teucri
Cosi ne' greti s'ascondean del fiume.
Poichè stanca d'ucciderli il Pelíde
Senti la destra, dodici ne prese
Vivi e di scelta gioventù , che il fio
Dovean pagargli dell'estinto amico.
Stupidi per terror come cervetti
Fuor degli antri ei li tira, e co' politi
Cuoi di che strette avean le gonne, a tutti
Dietro annoda le mani , e a' suoi compagni,
ILIADA, Vol. 11. 10
318 ILIADE v. 45-78
Onde trarli alle navi, li commette.
Vago ei poscia di stragi in mezzo all'acque
Diessi di nuovo impetuoso, e il figlio
Del dardánide Príamo, Licaone,
Gli occorse in quella che fuggía dal fiume.
Ne' paterni poderi un'altra volta,
Venutovi notturno, egli l'avea
Sorpreso e seco a viva forza addutto
Mentre inaccorto con tagliente accetta
I nuovi rami recidendo stava
Di selvatico fico, onde foggiarne
Di bel carro il contorno : all'improvvista
Gli fu sopra in quell'opra il divo Achille,
Che, trattolo alle navi, in Lenno il cesse
Per prezzo al figlio di Giasone, Eunéo.
Ospite poi d' Eunéo con molti doni
Ne fe' riscatto l' imbrio Eezïone,
Che in Arisba il mandò. Di là fuggito
Nascostamente, alle paterne case
Avea fatto ritorno : e già la luce
Undecima splendea, che con gli amici
Si ricreava di servaggio uscito ;
Quando di nuovo il dodicesmo giorno
Un Dio nemico tra le mani il pose
Del terribile Achille, onde inviarlo,
Suo malgrado, alle porte atre di Pluto,
Riguardollo il Pelíde: e siccom'era
Nudo la fronte (chè celata e scudo
E lancia e tutto avea gittato oppresso
Dalla fatica nel fuggir dal fiume,
E vacillava di stanchezza il piede),
Lo riconobbe, e irato in suo cor disse :
Quale agli occhi mi vien strano portento ?
Che sì che i Teucri dal mio ferro ancisi
4.79-111 LIBRO XXΙ . 319
Tornan dall'ombre di Cocito al giorno !
Come vivo costui ? come, venduto
Già tempo in Lenno, del frapposto mare
Potè l'onda passar che a tutti è freno ?
Or ben , dell'asta mia gusti la punta.
Vedrem s'ei torna di là pure, ovvero
Se l'alma terra, che ritien costretti
Anche i più forti , riterrà costui.
Queste cose ei discorre in suo segreto
Senza far passo . Sbigottito intanto
Licaon s'avvicina, desïoso
D'abbracciargli i ginocchi , e al nero artiglio
Della Parca involarsi . Alza il Pelíde
La lunga lancia per ferir ; ma quello
Gli si fa sotto a tutto corso, e chino
Atterrasi al suo piè. Divincolando .
L'asta sul capo gli trapassa , e in terra
Sitibonda di sangue si conficca.
Supplichevole allor coll' una mano
Le ginocchia gli stringe il meschinello,
Coll'altra gli rattien l'asta confitta,
Nè l'abbandona ; e tuttavía pregando:
Deh ferma, ei grida ; umilemente io tocco
Le tue ginocchia, Achille : ah ! mi rispetta ;
Miserere di me ! pensa che sacro
Tuo supplice son io ; pensa, o divino
Germe di Giove, che nudrito fui
Del tuo pane quel di che nel paterno
Poder tua preda mi facesti , e tratto
Lungi dal padre e dagli amici in Lenno,
Di cento buoi ti valsi il prezzo, ed ora
Tre volte tanti io ti varrò redento.
È questa a me la dodicesma aurora
220 ILIADE v. 112-144
Che dopo molti affanni in Ilio giunsi ,
Ed ecco che crudel fato mi mette
In tuo poter: ciò chiaro assai mi mostra
Che in odio a Giove io sono. Ah ! chea ben corta
Vita la madre a partorir mi venne .
La madre Laotóe , d'Alte figliuola ,
Di quell'Alte che vecchio ai bellicosi
Lélegi impera , e tien suo seggio al fiume
Satnïoente nell'eccelsa Pédaso.
Di questo ebbe la figlia il re trojano
Fra le molte sue spose , e due nascemmo
Di lei , serbati a insanguinarti il ferro .
E l'un tra i fanti della prima fronte
Già domasti coll'asta , il generoso
Mio fratel Polidoro, ed or me pure
Ria sorte attende; chè non io già spero ,
Poichè nemico mi vi spinse un Dio,
Le tue mani sfuggir. E nondimeno
Nuovo un prego ti porgo, e tu del core
La via gli schiudi. Non volermi , Achille ,
Trucidar: d'uno stesso alvo io non nacqui
Con Ettor che t'ha morto il caro amico.
Cosi pregava umíl di Príamo il figlio;
Ma dispietata la risposta intese :
Non parlar, stolto, di riscatto, e taci .
Pria che Patróclo il di fatal compiesse ,
Erami dolce il perdonar de' Teucri
Alla vita , e di vivi assai ne presi ,
Ed assai ne vendetti : ora di quanti
Fia che ne mandi alle mie mani Iddio,
Nessun da morte scamperà ; nessuno
De' Teucri , e meno del tuo padre i figli.
Muori dunque tu pur. Perchè si piangi ?
v. 145-177 LIBRO XXI . 221
Morì Patróclo che miglior ben era.
E me, bello qual vedi e valoroso,
E di gran padre nato e di una Diva ,
Me pur la morte ad ogni istante aspetta ,
E di lancia o di strale un qualcheduno
Anche ad Achille rapirà la vita.
Senti mancarsi le ginocchia e il core
A quel dir l'infelice ; e, abbandonata
L'asta , accosciossi coll'aperte braccia.
Strinse Achille la spada , e alla giuntura
Lo percosse del collo. Addentro tutto
Gli si nascose l'affilato acciaro,
E boccon egli cadde in sul terreno,
Steso in lago di sangue. Allor, d'un piede
Presolo Achille , lo gitto nell'onda,
E con acerbo insulto : Or qui ti giaci ,
Disse , tra' pesci che di tua ferita
Il negro sangue lambiran securi.
Nè te la madre sul funereo letto
Piangerà , ma del mar nell'ampio seno
Ti trarrà lo Scamandro impetuoso;
E là qualcuno del guizzante armento
Ti salterà dintorno , e sotto l'atre
Crespe dell'onda l'adipose polpe
Di Licaon si roderà. Possiate
Cosi tutti perir finchè del sacro
Ilio sia nostra la città , voi sempre
Fuggendo, e io sempre colle stragi al tergo ;
Nè gioveranvi i vortici di questo
Argenteo fiume a cui di molti tori
Fate sovente sacrificio , e vivi
Gettar solete i corridor' nell'onda.
Nè per questo sarà che non vi tocchi
222 ILIADE 4. 178-218
Di rio fato perir, finchè lamorte
Di Pátroclo sia sconta e in un la strage
Che , me lontano, degli Achei faceste.
Dagl'imi gorghi udi Xanto d'Achille
Le superbe parole, e, d'alto sdegno
Fremendo, divisava in suo pensiero
Come alla furia dell'eroe por modo ,
E de' Teucri impedir l'ultimo danno.
Intanto il figlio di Peléo, brandita
A nuove stragi la gran lancia , assalse
Asteropéo, figliuol di Pelegone ,
Di Pelegon cui l'Assio ampio-corrente
Genero Dio commisto a Peribéa ,
D'Acessaméno la maggior fanciulla.
A costui si fe' sopra il grande Achille ;
' E quei, del fiume uscendo, ad incontrarlo
Con due lance ne venne, Animo e forza
Gli avea messo nel cor lo Xanto, irato
Pe' tantiin mezzo alle sue limpid' onde
Giovani prodi dal Pelíde uccisi
Spietatamente . Avvicinati entrambi ,
Disse Achille primiero : Chi se' tu
Ch'osi farmiti incontro, e di che gente?
Chi m'attenta, è figliuol d'un infelice.
E a lui di Pelegon l'inclita prole :
Magnanimo Pelíde , a che mi chiedi
Del mio lignaggio ? Dai remoti campi
Della Peonia qua ne venni ( è questo
Già l'undecimo sole), e alla battaglia
Guido i Peonj dalle lunghe picche.
Del nostro sangue è autor l'Assio di larga
Bellissima corrente , e genitore
Del bellicoso Pelegon. Di questo
Io nacqui , e basta. Or mano all'armi , o prode.
ν. 212-244 LIBRO XXI , 223
All'altere minacce alto solleva
Il divo Achille la pelíaca trave.
Fassi avanti del par con due gran' teli
L'ambidestro campione Asteropéo.
Coglie col primo l'inimico scudo ,
Ma nol giunge a forar; chè l'aurea squama
Lo vieta , opra d'un Dio : sfiora coll'altro
Il destro braccio dell'eroe , di nero
Sangue lo sprizza , e dopo lui si figge,
Di maggior piaga desïoso, in terra.
Fe' secondo volar contro il nemico
La sua lancia il Pelíde , intento tutto
A trapassargli il cor; ma colse in fallo:
Colse la ripa , e mezzo infitto in quella
Il gran fusto restò. Dal fianco allora
Trasse Achille la spada , e furibondo
Assalse Asteropéo che invan dall'alta
Sponda si studia di sferrar d'Achille
Il frassino: tre volte egli lo scosse
Colla robusta mano , e lui tre volte
La forza abbandonò. Mentre s'accinge
Ad incurvarlo colla quarta prova
E spezzarlo, d'Achille il folgorante
Brando il prevenne, arrecator di morte.
Lo percosse nell'epa all'ombelico ;
N'andar per terra gl' intestini; in negra
Caligine ravvolti ei chiuse i lumi ,
E spirò. L'uccisor gli calca il petto ,
Lo dispoglia dell'armi , e sì l'insulta :
Statti così , meschino ; e, benchè nato
D'un fiume , impara che il cozzar co' figli
Del Saturnio signor t'è dura impresa.
Tu dell'Assio, ehe larghe ha le eorrenti,
224 ILIADE . 245-277
Ti lodavi rampollo, ed io di Giove
Sangue ini vanto, e generommi il prode
Eácide Peléo che i numerosi
Mirmídoni corregge , e discendea
Eaco da Giove. Or quanto è questo Dio
Maggior de' fiumi che nel vasto grembo
Devolvonsi del mar, tanto sua stirpe
La stirpe avanza che da lor procede.
Eccoti innanzi un alto fiume , il Xanto :
Di' che ti porga , se lo puote , aita.
Ma che puot'egli contra Giove, a cui
Nè il regale Achelóo nè la gran possa
Del profondo Oceáno si pareggia ?
E l'Oceán , che a tutti e fiumi e mari
E fonti e laghi è genitor, pur egli
Della folgore trema , e dell'orrendo
Fragor che mette del gran Giove il tuono.
Si dicendo , divelse dalla ripa
La ferrea lancia , e su la sabbia steso
L'esanime lasciò. Bruna il bagnava
La corrente , e famelici dintorno
Affollavansi i pesci a divorarlo.
Visto il forte lor duce Asteropéo
Cader domato dal Pelíde, in fuga
Spaventati si volsero i Peonj
Lungo il rapido fiume , flagellando
Prontamente i corsier'. Gl'insegue Achille,
E Tersíloco uccide e Trasio e Mneso ,
Enio , Midone , Astípilo, Ofeleste ;
E più n'avría trafitti il valoroso ,
Se irato il fiume dai profondi gorghi
Non levava in mortal forma la fronte
Conquesto grido : Achille , tu di forza
LIBRO XXI. 225
ν. 278-310
Ogni altro vinci , è ver, ma il vinci insieme
Di fatti indegni , e troppo insuperbisci
Del favor degli Dei che sempre hai teco.
Se ti concesse di Saturno il figlio
Di tutti i Troi la morte , dal mio letto
Cácciali , e in campo almen fa tue prodezze.
Di cadaveri e d'armi ingombra è tutta
La mia bella corrente , ed impedita
Da tante salme aprirsi al mar la via
Più non puote; e tu segui a farle intoppo
Di nuova strage. Orsù , desisti , o fiero
Prence , e ti basti il mio stupor.- Scamandro
Figlio di Giove , gli rispose Achille ,
Sia che vuoi ; ma non io degli spergiuri
Teucri l'eccidio cesserò, se pria
Dentr' Ilio non li chiudo, e corpo a corpo
Non mi cimento con Ettór. Qui deve
Restar privo di vita od esso od io .
Si dicendo , coll' impeto d'un nume
Avventossi ai Trojani. Allor si volse
Xanto ad Apollo: Saettante iddio,
Giove fatto t'avea l'alto comando
Di dar soccorso ai Teucri insin che giunga
La sera , e il volto della terra adombri .
E tu del padre non adempi il cenno ?
Mentr'egli sì dicea , l'audace Achille
Si scagliò dalla ripa in mezzo al fiume .
Il fiume allor si rabbuffò, gonfiossi ,
Intorbidossi , e furïando sciolse
A tutte l'onde il freno : urtò la stipa
De' cadaveri opposti , e li respinse ,
Mugghiando, come tauro, alla pianura ,
Servati i vivi ed occultati in seno
10*
226 ILIADE ν. 311-343
A' suoi vasti recessi. Orrenda intorno
Al Pelíde ruggía la torbid' onda ,
E gli urtava lo scudo impetuosa
Si ch'ei fermarsi non potea su i piedi.
A un eccelso e grand'olmo alfin s'apprese
Colle robuste mani ; ma, divelta
Dalle radici, ruinò la pianta ,
Seco trasse la ripa , e coi prostrati
Folti rami la fiera onda rattenne,
E le sponde congiunse come ponte.
Fuor balza allor l'eroe dalla vorago,
E, messe l'ali al piè , nel campo vola
Sbigottito . Nè il Dio perciò si resta ,
Ma, colmo e negro rinforzando il flutto,
Vie più gonfio l'insegue , onde di Marte
Rintuzzargli le furie , e de' Trojani
L'eccidio allontanar. Die un salto Achille
Quanto è il tratto d'un'asta, ed il suo corso
Somigliava il volar di cacciatrice
Aquila fosca che i volanti tutti
Di forza vince e di prestezza. Il bronzo
Dell' usbergo gli squilla orribilmente
Sul vasto petto; con obliqua fuga
Scappar dal fiume ei tenta, e il fiume a tergo
Con più spesse e sonanti onde l' incalza.
Come quando per l'orto e pe' filari
Di liete piante il fontanier deduce
Da limpida sorgente un ruscelletto,
E, la marra alla man , sgombra gl'intoppi
Alla rapida linfa che, correndo,
I lapilli rimescola, e si volve
Giù per la china gorgogliando, e avanza
Pur chi la guida; così sempre insegue
. 344-376 LIBRO XXΙ . 327
L'alto flutto il Pelíde, e lo raggiunge
Benchè presto di piè ; chè non resiste
Mortal virtude all'immortal. Quantunque
Volte la fronte gli converse il forte,
Mirando se giurati a porlo in fuga
Tutti fosser gli Dei , tante il sovrano
Fiotto del fiume gli avvolgea le spalle.
Conturbato nell'alma, egli non cessa
D'espedirsi e saltar verso la riva;
Ma con rapide ruote il fiero fiume
Sottentrato gli snerva le ginocchia,
E di costa aggirandolo, gli ruba
Di sotto ai piedi la fuggente arena.
Levò lo sguardo al cielo il generoso,
Ed urlò : Giove padre, adunque nullo
De' numi aita l'infelice Achille
Contro quest'onda ? Ah ch'io la fugga ; e poi
Contento patirò qualsia sventura.
Ma nullo ha colpa de' Celesti meco,
Quanto la madre mia che di menzogne
Mi lattò , profetando che di Troja
Sotto le mura perirei trafitto
Dagli strali d'Apollo. Oh foss' io morto
Sotto i colpi d' Ettorre, il più gagliardo
Che qui si crebbe ! Avría rapito un forte
D'un altro forte almen l'armi e la vita.
Or vuole il Fato che sommerso io pera
D'oscura morte, ohime ! come fanciullo
Di mandre guardian cui ne' piovosi
Tempi il torrente, nel guadarlo, affoga.
Accorsero veloci al suo lamento,
E appressarsi all'eroe Palla e Nettunno
In sembianza mortal : lo confortaro,
228 ILIADE v. 377-409
Il presero per mano, e della terra
Sì disse il grande scotitor: Pelíde,
Non trepidar : qui siamo in tua difesa
Due gran' Divi , Minerva ed io Nettunno,
Nè Giove il vieta, nè dal Fato è fisso
Che ti conquida un fiume ; e tu di questo
Vedrai tra poco abbonacciarsi il flutto.
Un saggio avviso porgeremti intanto,
Se obbedirne vorrai : dalla battaglia
Non ti ristar, se pria dentro le mura
Dell'alta Troja non rinserri i Teucri
Quanti potranno dalla man fuggirti ,
Nè alle navi tornar, che spento Ettorre :
Noi ti daremo di sua morte il vanto .
Disparvero, ciò detto , e ai congiurati
Numi tornár. Riconfortato Achille
Dal celeste comando, in mezzo-al campo
Precipitossi. Il campo era già tutto
Una vasta palude in cui disperse
De' trafitti nuotavano le belle
Armature e le salme . Alto al Pelíde
Saltavano i ginocchi , ed ei diretto
La fiumana rompea, che a rattenerlo
Più non bastava ; perocchè Minerva
Gli avea nel petto una gran forza infuso.
Nè rallentò per questo lo Scamandro
Gl'impeti suoi ; ma, più che pria sdegnoso,
Contro il Pelíde sollevossi in alto,
Arricciando le spume, e al Simoenta,
Destandolo, gridò queste parole :
Caro germavo, ad affrenar vien meco
La costui furia, o le dardanie torri
Vedrai tosto atterrate, e tolta ai Teucri
μ. 410-442 LIBRO XXI . 229
Di resister la speme. Or tu deh ! corri
Veloce in mio soccorso ; apri le fonti ;
Tutti gonfia i tuoi rivi , e con superbe
Onde t' innalza, e tronchi aduna e sassi ,
E con fracasso ruotali nel petto
Di questo immane guastator che tenta
Uguagliarsi agli Dei. Ben io t'affermo
Che nè bellezza gli varrà, nè forza,
Nè quel divin suo scudo, che di limo
Giacerà ricoperto in qualche gorgo
Voraginoso. Ed io di negra sabbia
Involverò lui stesso ; e tale un monte
Di ghiaja immenso e di pattume intorno
Gli verserò , gli ammasserò, che l'ossa
Gli Achei raccorne non potran : cotanta
La belletta sarà che lo nasconda .
Fia questo il suo sepolcro ; onde non v'abbia
Mestier di fossa nell'esequie sue.
Disse; ed alto insorgendo e d'atre spume
Ribollendo e di sangue e corpi estinti ,
Con tempesta piombo sopra il Pelíde.
E già la sollevata onda vermiglia
Occupava l'eroe , quando, temendo
Che vorticoso nol rapisca il fiume,
Diè Giuno un alto grido, ed a Vulcano,
Sorgi , disse, mio figlio ; a te si spetta
Pugnar col Xanto : non tardar ; risveglia
Le tremende tue fiamme. Io di Ponente
E di Noto a destar dalla marina
Vo le gravi procelle, onde l'incendio,
Per lor cresciuto, i corpi involva e l'arme
De' Trojani , e le bruci. E tu del Xanto
Lungo il margo le piante incenerisci ;
230 ILIADE .443-475
Fa che avvampi egli stesso ; e non lasciarti
Nè per minacce nè per dolci preghi
Svolger dall'opra, ne allentar la forza,
S'io non ten porga con un grido il segno.
Frena allora gl'incendj , e ti ritira.
Ciò detto appena, un vasto foco accese
Vulcano, e lo scaglio. Si sparse quello
Prima pel campo, e i tanti , di che pieno
Il Pelíde l'avea, morti combusse.
Si dileguar le limpid'acque, e tutto
Seccossi il pian , qual suole in un istante
D'autunnale aquilon sciugarsi al soffio
L'orto irrigato di recente, e in core
Ne gode il suo cultor. Seccato il campo,
E combusti i cadaveri , și volse
Contro il fiume la vampa. Ardean stridendo
I salci e gli olmi e i tamarigi , ardea
Il loto e l'alga ed il cipéro in molta
Copia cresciuti su la verde ripa.
Dal caldo spirto di Vulcano afflitti ,
E qua e là per le belle onde dispersi
Guizzano i pesci. Il cupo fiume istesso
S'infoca, e in voce dolorosa esclama :
Vulcano, al tuo poter nullo resiste
De' numi : io cedo alle tue fiamme . Ah cessa
Dalla contesa : immantinente Achille
Scacci pur tutti di cittade i Teucri ;
Di soccorsi e di risse a me che cale?
Così rïarso dalle fiamme ei parla.
Come ferve a gran fuoco ampio lebete
In cui di verro saginato il pingue
Lombo si frolla ; alla sonora vampa
Crescon forza di sotto i crepitanti
v. 476-508 LIBRO XXΙ. 231
Virgulti , e l'onda d'ogni parte esulta :
Si la bella del Xanto acqua infocata
Bolle, nè puote più fluir, consunta
Ed impedita dalla forza infesta
Dell'ignifero Dio. Quindi a Giunone
Quell'offeso pregò con questi accenti :
Perchè prese il tuo figlio, augusta Giuno,
Su l'altre a tormentar la mia corrente ?
Reo ti son forse più che gli altri tutti
Protettori de' Troi ? Pur, se il comandi ,
Mi rimarrò ; ma si rimanga anch'esso
Questo nemico, e non sarà, lo giuro,
Mai de' Teucri per me conteso il fato,
No, s'anco tutta per la man dovesse
De' forti Achivi andar Troja in faville.
La Dea l'intese ; ed a Vulcan rivolta,
Férmati , disse, glorïoso figlio ;
Dar cotanto martír non si conviene
Per cagion de' mortali a un Immortale.-
Spense Vulcano della madre al cenno
Quell' incendio divino, e ne' bei rivi
Retrograda tornò l'onda lucente.
Domo il Xanto, quetársi i due rivali;
Chè così Giuno comandò, quantunque
Calda di sdegno : ma tra gli altri numi
Più tremenda risurse la contesa.
Scissi in due parti s'avanzâr sdegnosi
L'un contro l'altro con fracasso orrendo :
Ne muggì l'ampia terra, e le celesti
Tube squillár ; sull'alte vette assiso
Dell'Olimpo n' udi Giove il clangore,
E il cor di gioja gli ridea mirando
La divina tenzone : e già sparisce
232 ILIADE ν. 509-541
Tra gli eterni guerrieri ogn' intervallo.
Truce di scudi forator die Marte
Le mosse, e primo colla lancia assalse
Minerva , e ontoso favellò : Proterva
7 Audacissima Dea, perchè de' numi
L'ire attizzi così ? Non ti ricorda
Quando a ferirmi concitasti il figlio
Di Tidéo, Diomede, e, dirigendo
Della sua lancia tu medesma il colpo,
Lacerasti il mio corpo ? Il tempo è giunto
Che tu mi paghi dell'oltraggio il fño .
Si dicendo, avventò l'insanguinato
Marte il gran telo, e ne feri l'orrenda
Egida che di Giove anco resiste
Alle saette . Si ritrasse indietro
La Diva, e ratta colla man robusta
Un macigno afferrò, che negro e grande
Giacea nel campo, dalle prische genti
Posto a confine di poder. Con questo
Colpi l' impetuoso Iddio nel collo,
E gli sciolse le membra. Ei cadde, e steso
Ingombrò sette jugeri ; le chiome
Insozzârsi di polve, e orrendamente
L'armi sul corpo gli tonår. Sorrise
Pallade, e altera l'insultò : Demente !
Che meco ardisci gareggiar, non vedi
Quant'io t'avanzo di valor? Va, sconta
Di tua madre le furie, e dal suo sdegno
Maggior castigo, dell'aver tradito
Pe' Teucri infidi i giusti Achei , t'aspetta .
Così detto, le lucide pupille
Volse altrove . Frattanto al Dio prostrato
Venere accorse, per la mano il prese,
v. 542-574 LIBRO XXI . 233
E lui, che grave sospira e a fatica
Rïaver può gli spirti , altrove adduce.
L'alma Giuno li vide, ed a Minerva,
Guarda, disse, di Giove invitta figlia,
Guarda quella impudente : ella di nuovo
Fuor dell'aspro conflitto via ne mena
Quell'omicida. Ah vola, e su lor piomba.
Volò Minerva, e gl'inseguì. Di gioja
Il cor balzava ; e, fattasi lor sopra,
Colla terribil mano a Citeréa
Tal diè un tocco nel petto che la stese :
Giaceano entrambi riversati , e altera
Su lor Minerva glorïossi , e disse :
Fosser tutti così questi di Troja
Proteggitori , a disfidar venuti
I loricati Achei ! Fossero tutti
Di fermezza e d'ardir pari a Ciprigna
Di Marte ajutatrice e mia rivale .
E noi , distrutte d'Ilïon le torri ,
Già poste l'armi da gran tempo avremmo.
Udi la Diva dalle bianche braccia
Il motteggio, e sorrise. A Febo allora
Disse il sire del mar: Febo, già sono
Gli altri alle prese ; e noi ci stiamo in posa ?
Ciò del tutto sconviensi ; onta saría
Tornar di Giove ai rilucenti alberghi
Senza far d'armi paragon. Comincia
Tu minore d'età ; chè non è bello
A me, più saggio e antico, esser primiero.
Oh povero di senno e d' intelletto !
Non ricordi più dunque i tanti affanni
Che noi, da Giove ad esular costretti ,
Intorno ad Ilio sopportammo insieme,
234 ILIADE ν. 575-607
Noi soli e numi , allor che all'orgoglioso
Laomedonte intero un anno a prezzo
Pattuimmo il servir ? Duri comandi
Il tiranno ne dava. Ed io di Troja
L'alta cittade edificai , di belle
Ampie mura la cinsi e di securi
Baluardi ; e tu , Febo, alle selvose
Idée pendici pascolavi intanto
Le cornigere mandre. Ma condotta
Dalle grate Ore del servir la fine,
Ne frodò la mercede il re crudele,
Eminaccioso ne scacciò, giurando
Che te di lacci avvinto e mani e piedi
In isola remota avría venduto,
E mozze inoltre ad ambeduo l'orecchie.
Frementi di rancor per la negata
Pattuita mercede, immantinente
Noi ne partimmo. È questo forse il merto
Ch'or le sue genti a favorir ti move,
Anzi che nosco procurar di questi
Fedífraghi Trojani e de' lor figli
Edelle mogli la total ruina ?
Possente Enosigéo, rispose Apollo,
Stolto davvero ti parrei, se teco
A cagion de' mortali io combattessi ,
Che miseri e quai foglie or freschi sono,
Or languidi e appassiti . Usciamo adunque
Del campo, e sia tra lor tutta la briga.
Ciò detto, altrove s'avvïò, nè volle
Alle mani venir, per lo rispetto
Di quel Nume a lui zio. Ma la sorella
Dı belve agitatrice aspra Diana
Con acri motti il rampognò : Tu fuggi ,
v. 608-641 LIBRO XXI . 235
Tu che lungi saetti? e tutta cedi
Senza contrasto al re Nettun la palma ?
Vile! a che dunque nelle man' quell'arco ?
Ch'io non t'oda più mai nella paterna
Reggia tra' numi , come pria, vantarti
Di combattere solo il re Nettunno .
Non le rispose Apollo ; ma sdegnosa
Si rivolse alla Dea di strali amante
La veneranda Giuno, e sì la punse
Con acerbo ripiglio: E come ardisci
Starmi a fronte, o proterva ? Di possanza
Mal tu puoi meco gareggiar, quantunque
D'arco armata. Gli è ver che fra le donne
Ti fe' Giove un lïone, e qual ti piaccia
Ti concesse ferir. Ma per le selve
Meglio ti fia dar morte a capri e cervi ,
Che pugnar co' più forti. E se provarti
Vuoi pur, ti prova, e al paragone impara
Quanto io sono da più. - Ciò detto, al polso
Colla manca le afferra ambe le mani ,
Colla dritta dagli omeri le strappa
Gli aurei strali , e, ridendo, su l'orecchia
Gli sbatte alla rival che d'ogni parte
Si divincola ; e sparse al suol ne vanno
Le aligere saette. Alfin di sotto
Le si tolse, e fuggì come colomba
Che, da grifagno augel per venturoso
Fato scampata, ad appiattarsi vola
Nel cavo d'una rupe. Ella piangendo
Così fuggía, lasciate ivi le frecce.
Parlò quindi a Latona il messaggiero
Argicída : Latona, io non vo teco
Cimentarmi ; il pugnar colle consorti
Del nimbifero Giove è dura impresa.
236 ILIADE . 642-675
Va dunque, e franca fra gli eterni Dei
D'avermi vinto per valor ti vanta.
Così dicea Mercurio ; e quella intanto
Gli sparsi per la polve archi e quadrelli
Raccogliea della figlia, e la seguía ;
Chè all'Olimpo salita entro l'eterne
Stanze di Giove avea già messo il piede.
Su i paterni ginocchi, lagrimando,
La vergine s'assise, e le tremava
L'ambrosio manto sul bel corpo. Il padre
La si raccolse al petto, e con un dolce
Sorriso dimandò : Chi de' Celesti
Temerario t'offese, o mia diletta,
Come côlta in error ? - La tua consorte,
Cinzia rispose, mi percosse, o padre,
Giunon che sparge fra gli Dei le risse.
Mentre in cielo seguían queste parole,
Febo entrava nel sacro Ilio a difesa
Dell'alto muro; perocchè temea
Nol prendesse in quel di pria del destino,
Degli Achivi il valor. Ma gli altri Eterni
All'Olimpo tornaro, irati i vinti ,
Festosi i vincitori ; e ognun dintorno
Al procelloso genitor s'assise.
Il Pelíde struggea pel campo intanto
I Trojani , e stendea confusamente
Cavalli e cavalier' . Come fra densi
Globi di fumo, che si volve al cielo,
Un gran fuoco, in cui soffia ira divina,
Una cittade incende, e a tutti arreca
Travaglio e a molti esizio ; a questa immago
Dava Achille ai Trojani angoscia e morte.
Stava sull'alto d' una torre il veglio
Príamo ; e, visti fuggir senza ritegno,
ν. 676-709 LIBRO XXI . 237
Senza far più difesa, i Troi davanti
Al gigante guerrier, mise uno strido,
E calò dalla torre, onde ai custodi
■ Degl'ingressi lasciar lungo le mura
Questi avvisi : Alle man' tenete, o prodi ,
Spalancate le porte insin che tutti
Nella città sien salvi i fuggitivi
Dal diro Achille sbaragliati . Ahi , giunto
Forse è l'ultimo danno ! Come dentro
Siensi messe le schiere, e ognun respiri ,
Riserrate le porte, e saldamente
Sbarratele ; ch'io temo non irrompa
Fin qua dentro il furor di questo fiero.
Al comando regal schiusero quelli
Tosto le porte, e ne levar le sbarre ;
Onde una via s'aperse di salute.
Fuor delle soglie allor lanciossi Apollo
In soccorso de' Troi che dritto al muro
Fuggían da tutto il campo arsi di sete,
Sozzi di polve. E impetuoso Achille,
Come il porta furor, rabbia, ira e brama
Di sterminarli , gl' inseguía coll'asta ;
Ed era questo il punto in che gli Achei
Dell'alta Troja avrían fatto il conquisto,
Se Febo Apollo l'antenóreo figlio,
Agénore, guerrier d'alta prestanza,
Non eccitava alla battaglia. Il Dio
Gli fe' coraggio, gli si mise al fianco,
Onde lungi tenergli della Parca
I gravi artigli ; ed appoggiato a un faggio,
Di caligine tutto si ricinse.
Come Agénore il truce ebbe veduto
Guastator di città, fermossi , e, molti
Pensier' volgendo, gli ondeggiava il core,
238 ILIADE ν. 710-743
Edicea doloroso in suo segreto :
Misero me ! se dietro agli altri io fuggo
Per timor di quel crudo, egli , malgrado
La mia rattezza, prenderammi , e morte
Non decorosa mi darà . Se mentre
Ei va questi inseguendo, io d'altra parte
M'involo, e d' Ilio traversando il piano,
Dell' Ida ai gioghi mi riparo, e quivi
Nei roveti m'appiatto, indi la sera
Lavato al fiume, e rinfrescato a Troja
Mi ritorno ... Oh ! che penso ? Egli non prote
Non veder la mia fuga, e arriverammi
Precipitoso con più presti piedi.
E allor dall'ugna di costui , che tutti
Vincedi forza, chi mi scampa ? Or dunque ,
Poichè certa è mia morte, ad incontrarlo
Vadasi in faccia alla cittade. Ei pure
Ha corpo che si fora, e un'alma sola ;
E benchè Giove glorioso il renda,
Mortal cosa lo dice il comun grido.
Verso Achille, in ciò dir, volta la fronte,
E desïoso di pugnar l'aspetta.
Come da folto bosco una pantera
Shucando affronta il cacciator, nè teme
I latrati , nè fugge, e s'anco avvegna
Ch'ei l'impiaghi primier, la generosa
Il furor non rallenta, innanzi ch'ella
O gli si stringa addosso, o resti uccisa ;
Così ricusa di fuggir l'ardito
D'Antenore figliuol , se col Pelíde
Pria non fa prova di valor. Protese
Dunque al petto lo scudo, e nel nemico
Tolta la mira, alto gridò : Per certo
De' magnanimi Teucri , illustre Achille,
. 744-777 LIBRO XΧΙ . 239
Atlerrar ti speravi oggi le mura.
Stolto ! n'avrai penoso affare ancora;
Chè là dentro siam molti e valorosi ,
Che ai cari padri , alle consorti , ai figli
Difendiam la cittade; e tu , quantunque
Guerrier tremendo, giacerai qui steso.
Si dicendo, lanciò con vigoroso
Polso la picca, e nello stinco il colse
Sotto il ginocchio. Risonò lo stagno
Dell' intatto stinier; ma il ferro acuto,
Senza forarlo, rimbalzò respinto
Dalle tempre divine. Impetuoso
Scagliossi Achille al feritor; ma ratto,
Gl'invidïando quella lode, Apollo
Involò l'avversario alla sua vista ,
L'avvolgendo di nebbia , e queto queto
Dal certame lo trasse , e via lo spinse.
Indi tolta d'Agénore la forma ,
Diessi in fuga , e svïò con quest' inganno
Dalla turba il Pelíde che veloce
Dietro gli move , e incalzalo, e piegarne
Ver lo Scamandro studiasi la fuga,
Nol precorre il fuggente a tutto corso,
Ma di poco intervallo ; e colla speme
Sempre l'alletta d'una pronta presa ,
E sempre lo delude. Intanto a torme
Spaventati si versano i Trojani
Dentro le porte. In un momento tutta
Di lor fu piena la città; chè nullo
Rimanersene fuori non sostenne ,
Nè il compagno aspettar, nè dei campati
Dimandar, nè de' morti. Ognun, che snelle
A salvarsi ha le piante , alla rinfusa
Dentro si getta , e dal terror respira.
ILIADE
LIBRO VENTESIMOSECONDO
ARGOMΕΝΤΟ
Essendosi i Trojani rinchiusi nella città, il solo Et-
tore rimane sotto le mura ad attendere Achille di
piede fermo. Timore e parole di Priamo e di Ecu-
ba. Ettore si pone in fuga alla vista d' Achille ,
che , riconosciuto l'inganno di Apollo , ritorna
verso Troja. Giove pesa le sorti dei due capitani.
Minerva sotto la figura di Deifobo instiga Ettore
a cimentarsi con Achille. Combattimento degli eroi.
Ettore, ferito a morte , supplica il nemico di ren-
dere il suo cadavere ai genitori. Dura risposta di
Achille . Parole e morte di Ettore. Insulti d'Achille
sull'estinto e vana baldanza dei Greci. Achille, di-
spogliato il cadavere e legatolo dietro il suo car-
ro , lo fa girare intorno alle mura della città.
Costernazione e lamenti di Ecuba , di Priamo e
d'Andrómaca.
Così quai cervi paurosi , i Teucri
Nella città fuggían confusamente ,
E davano, appoggiati agli alti merli ,
Al sudor refrigerio ed alla sete ,
Mentre gli Achei con inclinati scudi
Si fan sotto alle mura. Ma la Parca
Dinanzi ad Ilio su le porte Scee
Rattenne immoto, come astretto in ceppi,
v. 9-41 ILIADE. LIB. XXII. 241
Lo sventurato Ettór. Fece ad Achille
L'arciero Apollo allor queste parole :
Perchè mortale un Immortal persegui ,
O figlio di Peléo ? Non anco avvisi ,
Cieco furente , che un Celeste io sono ?
Dei fugati Trojani e nel riparo
D'Ilio già chiusi ogni pensier ponesti,
E qua svïasti il tuo furor. Che speri ?
Uccidermi ? Son nume. - E nume infesto,
E di tutti il peggior (rispose acceso
Di grand'ira il Pelíde). A questa parte
M'hai deviato dalle mura , e tolto
Che molti , prima d'arrivar là dentro ,
Mordessero la polve. Ah ! mi rapisti
Un gran vanto, e quei vili in salvo hai messe,
Perchè non temi la vendetta mia;
Ma la farei ben io, se la potessi .
Tacque; e drizzossi alla città volgendo,
Terribili pensieri , e il piè movea
Rapido come vincitor de' ludi
Animoso destrier che per l'arena
Fa le ruote volar. Primo lo vide
Precipitoso correre pel campo
Priamo, e da lungi folgorar; siccome
L'astro che cane d' Orïon s'appella ,
E precorre l'Autunno ; scintillanti
Fra numerose stelle in densa notte
Manda i suoi raggi : splendidissim' astro,
Ma luttuoso e di cocenti morbi
Ai miseri mortali apportatore.
Tal del volante eroe sul vasto petto
Splendean l'armi. Ululava , e colle mani
Alto levate si battea la fronte
ILIADE , Vol. II.
242 ILIADE v. 42-74
Il buon vecchio, e chiamava a tutta voce
L'amato figlio, supplicando : e questi
Fermo innanzi alle porte altro non ode
Che il desío di pugnar col suo nemico.
Allor le palme il misero gli stese ,
E questi proferi pietosi accenti :
Mio diletto figliuolo, Ettore mio ,
Deh! lontano da' tuoi da solo a solo
Non affrontar costui, che di fortezza
D'assai t'è sopra. Oh fosse in odio il crudo
Agli Dei quanto a me ! Pasto di belve
Ei giacería qui steso (e del mio petto
Avría fine l'angoscia), ei che di tanti
Orbo mi fece valorosi figli ,
Quale ucciso, qual tratto alle remote
Rive e venduto. Ed or fra i qui rinchiusi
Teucri i due figli , ahi lasso ! ancor non veggo,
Che l'esimia consorte Laotóe
A me produsse, Polidoro, io dico,
E Licaon . Se prigionieri ei sono,
Con auro e bronzo ne farem riscatto ;
Ch'io n' ho molte conserve , e molto avere
Diè l'egregio vegliardo Alte alla figlia.
Se poi ne' regni già passar di Pluto ,
Alto sarà su la lor morte il pianto
Della madre ed il mio, ma brevi i lutti
Del popolo, ove spento tu non cada
Dal Pelíde, tu pur. Rïentra adunque ,
Mio dolce figlio, nelle mura , e i Teucri
Conservane e le spose. Al diro Achille
Non lasciar sì gran lode: abbi pensiero
Della cara tua vita ; abbi pietade
Di me meschino a cui non tolse ancora
. 75-107 LIBRO XXII .
243
La sventura il sentir, di me che misi
Già nelle soglie di vecchiezza il piede ,
Dall'alta condannato ira di Giove
Di ria morte a perir, vista di mali
Prima ogni faccia , trucidati i figli ,
Rapite le fanciulle , i casti letti
Contaminati , crudelmente infranti
Contro terra i bambini , e strascinate
Dall'empio braccio degli Achei le nuore.
Ed ultimo me pur su le regali
Porte trafitto e spoglia abbandonata
Voraci i cani sbraneran , que' cani
Che custodi io nudría del regio tetto
Alla mia mensa io stesso ; e allor, da ingorda
Rabbia sospinti, disputar vedrausi,
Il mio sangue , e di questo alfin satolli
Ne' portici sdrajarsi. Ah , bello è in campo
Del giovine il morir ! Coperto il petto
D'onorate ferite, onta non avvi ,
Non offesa che morto il disonesti.
Ma che ludibrio sia degli affamati
Mastini il capo venerando e il bianco
Mento d'un veglio indegnamente ucciso,
Che sia bruttato il nudo e verecondo
Suo cadavere , ah! questo, è questo il colmo
Dell'umane sventure. - E, sì dicendo,
Strappasi il veglio dall'augusto capo
I canuti capei ; ma non si piega
L'alma d' Ettorre. Desolata accorse
D'altra parte la madre ; e, lagrimando,
E nudandosi il seno , la materna
Poppa scoperse; e, A questa abbi rispetto ,
Singhiozzante sclamava, a questa , o figlio ,
244 ILIADE 4. 108-140
Che calmò , lo ricorda , i tuoi vagiti .
Rïentra , Ettore mio; fuggi cotesto
Sterminatore ; non istargli a petto ,
Sciaurato ! Non io, s'egli t'uccide ,
Non io darti potrò , caro germoglio
Delle viscere mie , su la funébre
Bara il mio pianto, nè il potrà l'illustre
Tua consorte : e tu lungi appo le navi
Giacerai degli Achivi , esca alle belve.
Questi preghi di lagrime interrotti
Porgono al figlio i dolorosi , e nulla
Persuadon l'eroe che fermo attende
Lo smisurato già vicino Achille.
Quale in tana di tristi erbe pasciuto
Fero colúbro il viandante aspetta ,
E gonfio di grand' ira , orribilmente
Guatando intorno, nelle sue latébre
Lubrico si convolve ; e tale il duce
Trojan , di sdegni generosi acceso,
Appoggiato lo scudo a una sporgente
Torre , sta saldo ; e nel gran cor rivolge
Questi pensieri : Che farò ? Se metto
Là dentro il piè , Polidamante il primo
Rampognerammi acerbo, ei che la scorsa
Notte esortommi alla città ritrarre ,
Comparso Achille , i Teucri ; ed io nol feci :
E si quest'era il meglio. Or che la mia
Pertinacia fatal tutti li trasse
Nella ruina , sostener l'aspetto
Più non oso de' Troi nè dell'altere
Trojane ; e parmi già i peggiori udire ;
Ecco là quell'Ettór, che di sue forze,
Troppo fidando, il popolo distrusse.
0. 141-173 LIBRO XXII. 245
Così diranno, e meglio allor mi fia
Combattere , e reddir, prostrato Achille,
Nella cittade , o per la patria mia
Aver qui morte gloriosa io stesso.
Pur se deposto e scudo e lancia ed elmo,
Io medesmo mi fessi incontro a questo
Magnanimo rivale , e la spartana
Donna cagion di tanta guerra , e tutte
Gli promettessi le con lei portate
Da Paride ricchezze , ed altre ancora
Da partirsi agli Achei , quante ne chiude
Questa città; se con tremendo giuro
Quindi i Trojani a rivelar stringessi
I riposti tesori , ed in due parti
Dividendoli tutti ... Oh che vaneggia
Mai la mia mente ! Io supplice , io dimesso
Presentarmi ? Il crudel , nulla m'avendo
Nè pietà nè rispetto (ov' io dell'armi
Nudo a lui vada), disarmato ancora ,
Qual donna imbelle , metterammi a morte ;
Ch'ei non è tale da poter con esso
Novellar dal querceto o dalla rupe
Come amanti garzoni e donzellette.
A donzellette adunque ed a garzoni
Le dolci fole; a me la pugna : e tosto
Vedrassi cui darà Giove la palma.
Così seco ragiona , e fermo aspetta.
Ed ecco Achille avvicinarsi , al truce
Dell'elmo agitator Marte simile.
Nella destra scotea la spaventosa
Pelíaca trave ; come viva fiamma , 1
O come disco di nascente Sole
Balenava il suo scudo. Il riconobbe
246 ILIADE P. 174-206
Ettore , e freddo corsegli per l'ossa
Un tremor ; nè aspettarlo ei più sostenne ;
Ma, lasciate le porte , a fuggir diessi
Atterrito . Spiccossi ad inseguirlo
Fidato Achille ne veloci piedi.
Qual ne' monti sparvier che , de' volanti
Il più ratto , si scaglia impetuoso
Su pavida colomba ; ella sen fugge
Obbliquamente , e quei, doppiando il volo,
Vie più l'incalza con acuti stridi ,
Di ghermirla bramoso ; a questa guisa
L'ardente Achille difilato vola
Dietro il trepido Ettór che in tutta fuga
Mena il rapido piè, rasente il muro.
Trascorsero veloci la collina
Delle vedette ; oltrepassar, lunghesso
La callaja , il selvaggio aëreo fico
Sempre sotto alle mura ; e già venuti
Son dell'alto Scamandro alle due fonti.
Calida è l'una , e qual di fuoco acceso
Spandesi intorno di sue linfe il fumo;
Fredda come gragnuola o ghiaccio o neve
Scorre l'altra di state : ambe son cinte
D'ampj lavacri di polita pietra ,
A cui , pria che l'Acheo venisse i giorni
Della pace a turbar, solean de' Teucri
Liete le spose e le avvenenti figlie
I bei veli lavar. Da questa parte
Volano i due campion', l'uno fuggendo ,
L'altro inseguendo. Il fuggitivo è forte ;
Ma più forte e più ratto è chi l'insegue ,
E d'un tauro non già , nè della pelle
Si gareggia d'un bue, premio a veloce
4. 207-239 LIBRO XXII . 247
Di corsa vincitor, ma della vita
Del grande Ettorre. E quale a vincer usi
Giran le mete corridori ardenti ,
A cui proposto è di gentil donzella
O d'un tripode 'l premio, ad onoranza
D'alcun defunto eroe ; così tre volte
Dell' ilíaca città fèr questi il giro
Velocemente. A riguardarli intento
Stava il consesso de' Celesti , e Giove
A dir si fece : Ahi sorte indegna ! io veggo
D' Ilio intorno alle mura esagitato
Un diletto mortal; duolmi d' Ettorre
Che su l'idée pendici e sull'eccelsa
Pergámea rocca a me solea di scelte
Vittime offrire i pingui lombi , ed ora
Del minaccioso Achille il presto piede
L'incalza intorno alla città. Pensate ,
Vedete , o numi , se per noi si debba
Dalla morte camparlo , o pur, quantunque
Cosi prode , il domar sotto il Pelíde .
Procelloso Tonante , oh ! che dicesti ?
Gli rispose Minerva , e che t'avvisi ?
Alla morte involar uom sacro a morte ?
E tu l'invola. Ma non tutti al certo
Noi Celesti tal fatto assentiremo . 1
T'accheta , o figlia , replicò de' nembi
L'adunator ; ch'io nulla ho fermo ancora ,
E nulla io voglio a te negar. Fa tutto,
Senza punto ristarti , il tuo desire.
Spronò quel detto la già pronta Diva
Che dall'olimpie cime impetuosa
Spiccossi , e scese. Alla dirotta intanto
Incalza Achille il fuggitivo Ettorre.
248 ILIADE 4. 240-272
Come veltro cerviero alla montagna
Giù per convalli e per boscaglie insegue
Dalla tana destato un caprïuolo ;
Sotto un arbusto il meschinel s' appiatta
Tutto tremante , e l'altro ne ritesse
L'orme , e corre e ricorre irrequïeto
Finchè lo trova ; così tutte Achille
Del sottrarsi ad Ettór tronca le vie.
Quante volte sfilar diritto ei tenta
Alle dardanie porte , o delle torri
Sotto gli spaldi , onde co' dardi aita
Gli dian di sopra i suoi , tante il Pelíde
Lo previene e il ricaccia alla pianura ,
Vicino alla città. Come nel sogno
Talor ne sembra con lena affannata
Uom che fugge inseguir, nè questi ha forza
D'involarsi , nè noi di conseguirlo ;
Così nè Achille aggiunger puote Ettorre ,
Nè questi a quello dileguarsi . E intanto
Come schivar potuto avría la Parca
Di Príamo il figlio, se l'estrema volta
Nuovo al petto vigor non gli porgea
Propizio Apollo, e nuova lena al piede ?
Accennava col capo il divo Achille
Alle sue genti di non far co' dardi
Al fuggitivo offesa , onde veruno,
Ferendolo, l'onor non gli precida
Del primo colpo. Ma venuti entrambi
La quarta volta alle scamandrie fonti ,
L'auree bilance sollevò nel cielo
Il gran Padre , e due sorti entro vi pose
Di mortal sonno eterno : una d'Achille ,
L'altra d' Ettorre : le librò nel mezzo ,
#. 273-305 LIBRO XXII. 249
E del duce trojano il fatal giorno
Cadde , e vér l'Orco dechinò. Dolente
Febo allora lasciollo in abbandono ;
Ed al Pelíde fattasi vicina ,
Sì Minerva parlò : Diletto a Giove,
Inclito Achille, or sì che giunto io spero
Il momento in che noi su queste rive ,
Spento alla fine il bellicoso Ettorre ,
D'alta gloria andrem lieti . Ei più non puote
Scapparne ei , no, quand'anche il Saettante ,
Ai piè prostrato dell'Egíoco Padre ,
Di liberarlo s'argomenti. Or tu
Qui sóstati, e respira. Andronne io stessa
Al tuo nemico, è metterògli in core
Di venir teco a singolar conflitto.
Obbedi , s'appoggiò lieto al ferrato
Suo frassino il Pelíde ; e dipartita
Da lui la Diva , al volto, alla favella
Dëifobo si fece , e all'anelante
Ettor venuta , O mio german , dicea ,
Troppo costui dintorno a queste mura
Con piè ratto t'incalza e ti travaglia.
Or via restiamci, e difendiamci a fermo.
Rispose Ettor : Dëifobo, di quanti
Mi diè fratelli Prïamo ed Ecúba ,
Sempre il più caro tu mi fosti , ed ora
Lo mi sei più che prima , e più mi traggi
Ad onorarti ; perocchè tu solo
Da quelle mura osasti a mia difesa ,
Tu solo uscir, veduto il mio periglio.
Fratello amato, replicò la Diva ,
I venerandi genitori , e tutti
Stringendosi gli amici a' miei ginocchi,
11*
250 ILIADE ν. 306-338
Di non uscire mi pregar, cotanto
Terror gl' ingombra : ma l'interno vinse ,
Che per te mi struggea , ficro dolore .
Combattiam dunque arditamente , e nullo
Sia più d'aste risparmio; onde si vegga
S'egli , noi spenti , tornerà di nostre
Spoglie onusto alle navi , ose piuttosto
Qui cadrà per la tua lancia trafitto.
Si dicendo, la Diva ingannatrice
Precorse ; e quelli , l'un dell'altro a fronte
Divenuti , primier l'armi crollando,
Fe' questi detti l'animoso Ettorre :
Più non fuggo, o Pelíde. Intorno all'alte
Ilíache mura mi aggirai tre volte,
Nè aspettarti sostenni . Ora son io
Che intrepido t'affronto, e darò morte ,
O l'avrò . Ma gli Dei , fidi custodi
De' giuramenti , testimon' ne siéno ,
Che se Giove l'onor di tua caduta
Mi concede , non io sarò spietato
Col cadavere tuo, ma renderollo,
Toltene solo le bell'armi , intatto
A' tnoi . Tu giura in mio favor lo stesso.
Non parlarmi d'accordi , abbominato
Nemico, ripiglio torvo il Pelíde :
Nessun pafto tra l'uomo ed it lione ,
Nessuna pace tra l'eterna guerra
Dell'agnello e del lupo, e tra noi due
Nè giuramento nè amistà nessuna ,
Finchè l'uuo di noi steso col sangue
L'invitto Marte non satolli. Or bada ,
Chè n'hai mestiero , a richiamar la tutta
Tua prodezza , e a lanciar dritta la punta.
. 339-371 LIBRO XXII . 251
Ogni scampo è preciso, e già Minerva
Per l'asta mia ti doma. Ecco il momento
Che dei morti da te miei cari amici
Tutte ad un tempo sconterai le pene.
Disse; e forte avventò la bilanciata
Lunga lancia. Antivide Ettorre il tiro,
E, piegato il ginocchio e la persona ,
Lo schivo. Sorvolando il ferreo telo
Si confisse nel suol ; ma ne lo svelse
Invisibile ad Ettore Minerva ,
E tornollo al Pelíde.- Errasti il colpo,
Gridò l'eroe trojan; nè Giove ancora ,
Come dianzi cianciasti , il mio destino
Ti fe' palese. Dëiforme sei ,
Ma cinguettiero, che con vani accenti
Atterrirmi ti speri , e nella mente
Addormentarmi la virtude antica.
Ma nel dorso tu, no, non pianterai
L'asta ad Ettorre che diritto viene
Ad assalirti , e ti presenta il petto :
Piantala in quello se t'assiste un Dio.
Schiva intanto tu pur la ferrea punta
Di mia lancia. Oh si possa entro il tuo corpo
Seppellir tutta quanta , e della guerra
Ai Teucri il peso allevïar, te spento,
Te lor funesta principal rovina !
Disse ; e, l'asta di lunga ombra squassando,
La scagliò di gran forza , e del Pelíde
Colpi senza fallir lo smisurato
Scudo nel mezzo. Ma il divino arnese
La respinse lontan. Crucciossi Ettorre ,
Visto uscir vano il colpo ; e , non gli essendo
Pronta altra lancia, chino mesto il volto ,
252 ILIADE v. 372-405
E a gran voce Dëifobo chiamando ,
Una picca chiedea ; ma lungi egli era.
Allor s'accorse dell' inganno , e disse :
Misero ! a morte m'appellår gli Dei.
Credeami aver Dëifobo presente ;
Egli è dentro le mura , e mi deluse
Minerva. Al fianco ho già la morte, e nullo
V'è più scampo per me. Fu cara un tempo
AGiove la mia vita , e al saettante
Suo figlio , ed essi mi campâr cortesi
Ne' guerrieri perigli. Or mi raggiunse
La negra Parca. Ma non fia per questo
Che da codardo io cada: periremo ,
Ma glorïosi , e alle future genti
Qualche bel fatto porterà il mio nome.
Ciò detto, scintillar dalla vagina
Fe' la spada che acuta e grande e forte
Dál fianco gli pendea. Con questa in pugno
Drizza il viso al nemico , e si disserra
Com'aquila che d'alto per le fosche
Nubi a piombo sul campo si precipita
A ghermir una lepre o un'agnelletta :
Tale, agitando l'affilato acciaro,
Si scaglia Ettorre. Scagliasi del pari,
Gonfio il cor di feroce ira, il Pelíde
Impetuoso. Gli ricopre il petto
L'ammirando brocchier; sovra il guernito
Di quattro coni fulgid'elmo ondeggia
L'aureo pennacchio che Vulcan v'avea
Sulla cima diffuso . E qual sfavilla
Nei notturni sereni in fra le stelle
Espero, il più leggiadro astro del cielo ;
Tale l'acuta cuspide lampeggia
Nella destra d'Achille che l'estremo
. 406-439 LIBRO XXII . 255
Danno in cor volge dell' illustre Ettorre ,
E tutto con attenti occhi spïando
Il bel corpo , pon mente ove al ferire
Più spedita è la via. Chiuso il nemico
Era tutto nell'armi luminose
Che all'ucciso Patroclo avea rapite :
Sol , dove il collo all'omero s'innesta ,
Nuda una parte della gola appare ,
Mortalissima parte. A questa Achille
L'asta diresse con furor: la punta
Il collo trapassò, ma non offese
Della voce le vie sì , che precluso
Fosse del tutto alle parole il varco.
Cadde il ferito nella sabbia , e altero
Sclamò sovr'esso il feritor divino :
Ettore , il giorno che spogliasti il morto
Pátroclo, in salvo ti credesti , e nullo
Terror ti prese del lontano Achille .
Stolto! restava sulle navi al mio
Trafitto amico un vindice , di molto
Più gagliardo di lui : io vi restava ,
Io, che qui ti distesi. Or cani e corvi
Te strazieranno turpemente , e quegli
Avrà pomposa dagli Achei la tomba.
E a lui così l'eroe languente : Achille ,
Per la tua vita , per le tue ginocchia ,
Per li tuoi genitori io ti scongiuro,
Deh ! non far che di belve io sia pastura
Alla presenza degli Achei: ti piaccia
L'oro e il bronzo accettar che il padre mi
E la mia veneranda genitrice
Ti daranno in gran copia : e tu lor rendi
Questo mio corpo, onde l'onor del rogo
Dai Teucri io m'abbia e dalle teucre donne .
254 ILIADE .440-473
Con atroce cipiglio gli rispose
Il fiero Achille : Non pregarmi, iniquo ;
Non supplicarmi nè pe' miei ginocchi,
Ne' pe ' miei genitor' . Potessi io, preso
Dal mio furore, minuzzar le tue
Carni , ed io stesso, per l'immensa offesa
Che mi facesti , divorarle crude.
No, nessun la tua testa al fero morso
De' cani involerà: nè s'anco dieci
E venti volte mi s'addoppii il prezzo
Del tuo riscatto ; nè se d'altri doni
Mi si faccia promessa ; nè se Príamo
A peso d'oro il corpo tuo redima :
No , mai non fia che sul funereo letto
La tua madre ti pianga. Io vo' che tutto
Ti squarcino le belve a brano a brano .
Ben lo previdi che pregato indarno
T'avrei , riprese il moribondo Ettorre.
Hai cor di ferro, e lo sapea. Ma bada
Che di qualche celeste ira cagione
Io non ti sia quel dì che Febo Apollo
E Paride , malgrado il tuo valore ,
T'ancideranno su le porte Scee.
Così detto, spirò. Sciolta dal corpo
Prese l'alma il suo vol verso l'abisso,
Lamentando il suo fato ed il perduto
Fior della forte gioventude. E a lui ,
Già fredda spoglia , il vincitor soggiunse :
Muori ; chè poscia la mia morte io pure ,
Quando a Giove sia grado e agli altri Eterni ,
Contento accetterò . Così dicendo,
Svelse dal morto la ferrata lancia ,
In disparte la pose , e dalle spalle
L'armi gli tolse insanguinate. Intanto
0.474-507 LIBRO XXII. 255
D'ogn' intorno v'accorsero gli Achivi,
Contemplando d'Ettor maravigliosi
L'ammirande sembianze e la statura;
Nè vi fu chi di fargli una ferita
Non si godesse , al suo vicin dicendo :
Per gli Dei , che a toccarsi egli s'é fatto
L'iù tenero che quando arse le navi :
E in questo dir coll'asta il ripungea.
Spoglio ch'ei l'ebbe , fra gli astanti Achei
Ritto Achille parlò queste parole :
Amici e prenci e capitani, udite :
Poichè diermi gli Dei che domo alfine
Costui ne fosse , che d'assai più norque
Che gli altri tutti insieme , alla cittade
Volgiam l'armi , e vediam se , spento Ettorre ,
Fanno i Teucri pensier d'abbandonarla ,
O, benchè privi di cotanto ajuto,
Coraggiosi resistere .... Ma quale
Vano consiglio mi ragiona il core ?
Senza pianto sul lido e senza tomba
Giace il morto Patróclo. Insin che queste
Mie membra animerà soffio di vita ,
Ei fia presente al mio pensiero ; e s'anco
Laggiù nell'Orco obblivion scendesse
Della vita primiera , anco nell'Orco
Mi seguirà del mio diletto amico
La rimembranza. Or via , dunque si rieda
Alle navi , e costui vi si strascini.
E voi frattanto, giovinetli achivi , 1
Intonate il peana ; alto è il trionfo
Che riportammo : il grande Ettór, dai Teucri
Adorato qual nume , è qui disteso.
Disse; e, contra l'estinto opra crudele
Meditando , de' piè gli fora i nervi
256 ILIADE μ. 508-541-
Dal calcagno al tallone, ed un guinzaglio
Insertovi bovino, al cocchio il lega ,
Andar lasciando strascinato a terra
Il bel capo. Sul carro indi salito
Con l'elevate glorïose spoglie ,
Stimolò col flagello a tutto corso
I corridori che volar bramosi.
Lo strascinato cadavere un nembo
Sollevava di polve, onde la sparta
Negra chioma agitata e il volto tutto
Bruttavasi , quel volto in pria sì bello,
Allor da Giove abbandonato all'ira
Degl'inimici nella patria terra.
All'atroce spettacolo si svelse
La genitrice i crini ; e , via gittando
Il regal velo, un ululato mise ,
Che alle stelle n'andò. Plorava il padre
Miseramente , e gemiti e singulti
Per la città s'udían , come se tutta
Dall'eccelse sue cime arsa cadesse.
Rattenevano a stento i cittadini
Il re cauuto, che, di duol scoppiando,
Dalle dardanie porte a tutto costo
Fuor voleva gittarsi. S'avvolgea
Il misero nel fango, e tutti a nome
Chiamandoli e pregando , Ah ! vi scostate ,
Lasciatemi , gridava; è intempestivo
Ogni vostro timor; lasciate, amici ,
Ch'io me n'esca , ch'io vada tutto solo
Alle navi nemiche. Io vo' cadere
Supplichevole ai piè di quell'iniquo
Violento uccisor. Chi sa che il crudo
Il mio crin bianco non rispetti, e senta
Pietà di mia vecchiezza ? Ei pure ha un padre
0.542-575 LIBRO XXI. 257
D'anni carco, Peléo, che generollo
E de' Teucri nudrillo alla ruina ,
Soprattutto alla mia, tanti uccidendo
Giovinetti miei figli : nè mi dolgo
Si di lor tutti , ohimè ! quanto d'un solo,
Quanto d'Ettór, di cui trarrammi in breve
L'empia doglia alla tomba. Ob fosse ei morto
Tra le mie braccia almen ! cosi la madre ,
Che sventurata partorillo , e io stesso
Sfogo avremmo di pianti e di sospiri.
Questo ei dicea piangendo ; e co' lamenti
Facean eco al suo pianto i cittadini.
Dalle Tröadi intanto circondata ,
In alti lai rompea la madre : Oh figlio !
Tu se' morto, ed io vivo ? io giunta al sommo
Delle sventure te perdendo, ahi lassa !
Te che in ogni momento eri la mia
Gloria e il sostegno della patria tutta,
Che t'accogliea qual nume. Ahi ! ne saresti ,
Vivo, il decoro ; e ne sei , morto , il lutto.
Seguía questo parlar di pianto un fiume.
Ma del fato d'Ettór nulla per anco
Andrómaca sapea; chè nullo a lei
Del marito rimasto anzi alle porte
Recato avea l'avviso. Nell' interne
Regie stanze tessendo ella si stava
A doppie fila una lucente tela
Di diverso rabesco ; e per suo cenno
Avean frattanto le leggiadre ancelle
Posto un tripode al fuoco, onde al consorte
Pronto fosse , al tornar dalla battaglia ,
Caldo un lavacro. Non sapea , demente !
Che da' lavacri assai lungi domato
L'avea Minerva per la man d'Achille.
258 ILIADE . 576-609
Ma come dalla torre un suon confuso
D'ululi intese e di lamenti , tutte
Le tremaro le membra ; al suol le cadde
La spola ; e, volta alle donzelle , disse :
Accorrete sollecite , seguitemi
Due di voi tosto : vo veder che avvenne.
Dell'onoranda suocera la voce
Mi percuote l'orecchio, e il cor mi balza
Con sussulto nel petto, e manca il piede.
Çerto, qualche gran danno, ohimè ! sovrasta
Di Príamo ai figli. Allontanate , o numi ,
Questo presagio ; ma ben forte io temo
Che il divo Achille all'animoso Ettorre
Non abbia del salvarsi entro le mura
Già tagliata la strada , ed or pel campo
Lo m'insegua da tutti abbandonato,
E la bravura esizïal non domi
Che il possedea : restarsi egli non seppe
Mai nella folla , e sempre oltre si spinse ,
A nessun prode di valor secondo .
Cosi dicendo, della reggia uscío
Qual forsennata, e le tremava il core.
La seguivan le ancelle ; e fra le turbe
Giunta alla torre, s'arrestò, girando
Lo sguardo intorno dalle mura. Il vide,
Il riconobbe da corsier' veloci
Strascinato davanti alla cittade
Verso le navi indegnamente . Oscura
Notte i rai le coperse, ed ella cadde
All' indietro svenuta. Si scomposero
I leggiadri del capo adornamenti
E nastri e bende e l'intrecciata mitra
E la rete ed il vel che dielle in dono
L'aurea Venere il dì che dalle case
μ. 610-642 LIBRO XXI . 259
D'Eezióne Ettor la si condusse
Di molti doni nuziali ornata.
Affollarsi pietose o lei dintorno
Le cognate che smorta tra le braccia
Reggean l'afflitta di morir bramosa
Per immenso dolor. Come in se stessa
Alfin rivenne , e l'alma al cor s'accolse,
Fe' degli occhi due fonti , e così disse :
Oh me deserta ! oh sposo mio ! noi dunque
Nascemmo entrambi col medesmo fato :
Tu nella reggia del tuo padre, ed io
Nella tebana Ipóplaco selvosa,
Seggio d'Eezïón che pargoletta
Allevommi , meschino una meschina !
Oh non m'avesse generata ! Ai regni
Tu di Pluto discendi entro il profondo
Sen della terra , e me qui lasci al lutto
Vedova in reggia desolata. Intanto
Del figlio , ohime ! che fia ? Figlio infelice
Di miserandi genitor' , bambino
Egli è del tutto ancor; nè tu puoi, morto,
Più farti suo sostegno, Ettore mio,
Ned egli il padre vendicar ; chè dove
Pur sia che degli Achei la lagrimosa
Guerra egli sfugga , nondimen dolenti
Trarrà sempre i suoi giorni , e a lui l' avaro
Vicin mutando i termini del campo
Spoglierallo di questo. Abbandonato
Da' suoi compagni è l'orfanello ; ei porta
Ognor dimesso il volto, e lagrimosa
La smunta guancia. Supplice indigente
Va del padre agli amici ; e all'uno il sajo ,
Tocca all'altro la veste. Il più pietoso
260 ILIADE. LIBRO XXII . ν. 643-674
Gli accosta alquanto il nappo, e il labbro bagna,
Non il palato. Ed altro tal che lieto
Va di padre e di madre , alteramente
Dalla mensa il ributta , e lo percote ,
E villano gli grida : Sciagurato !
Esci il tuo padre qui non siede al desco.
Torna allor, lagrimando, Astïanatte
Alla vedova madre , egli che dianzi
D'eletti cibi si nudría , scherzando
Sul paterno ginocchio. E quando ei, stanco
D'innocenti trastulli, al dolce sonno
Chiudea le luci alla nudrice in grembo,
Dentro il suo letticciuol su molli piume ,
Sazio di gioja il cor, s'addormeutava.
E quanti or, privo dell'amato padre ,
Ahi quanti affanni soffrirà! nė punto
D'Astïanatte gioveragli il nome
Che gli posero i Troi ; perchè le porte
Tu sol ne difendevi e l'ardue mura .
Or te sul lido fra le navi , e lungi
Da chi vita ti diè , lubrici i vermi
Roderan , come sazio avrai de' veltri
Nudo le gole; ahi nudo ! e nella reggia
Tante avevi leggiadre ed esquisite
Vesti , lavoro dell'esperte ancelle.
Or, poichè vane a te son fatte, e tolto
N'è il coprirti di queste in sul ferétro ,
Tutte alle fiamme gitterolle io stessa ;
Onde al cospetto de' Trojani almeno
Questo segno d'onor ti sia renduto.
Così dicea, piangendo; ed al suo pianto
Co' sospiri facean eco le donne.
ILIADE
LIBRO VENTESIMOTERZO
ARGOMENTO
Lamento dei Mirmidoni sul corpo di Pátroclo. Achille
strascina vicino al morto amico il cadavere di Ει-
tore. I Mirmidoni sono a banchetto sulla nave d'A-
chille. Questi acconsente di sedere a mensa nella
tenda d'Agamennone. Dopo il convito sdrajasi sulla
spiaggia del mare : visione dell'eroe addormentato.
Rogo di Pátroclo e cerimonie funebri. Giuochi in
onore del morto.
Mentre in Troja si piange , all'Ellesponto
Giungon gli Achivi , e spargesi ciascuno
Alla sua nave. Ma l'andar dispersi
Non permise il Pelíde ai bellicosi
Suoi Mirmidóni , da cui cinto disse :
Miei diletti compagni e cavalieri ,
Nou distacchiamo per ancor dai cocchi
I corridori : procediam con questi
A piangere Patróclo, a tributargli
L'onor dovuto ai trapassati. E quando
Avrem del pianto al cor dato il diletto,
Sciolti i destrieri , appresterem le cene.
Disse; e tutti innalzar ristretti insieme
Il fúnebre lamento, Achille il primo.
Corser tre volte colle bighe intorno
262 ILIADE 4. 16-48
All'estinto, ululando, e ne' lor petti
Destò Teti di pianto alto desio.
Si bagnava di lagrime l'arena ,
Di lagrime gli usberghi : cotant' era
Il desiderio dell' eroe perduto .
Ma fra tutti piagnea dirottamente
Achille; e, poste le omicide mani
Dell'amico sul cor, Salve , dicea ;
Salve , caro Patróclo, anco sotterra.
Tutto io voglio compir che ti promisi .
D'Ettore il corpo al tuo piè strascinato
Faró pasto de' cani , e alla tua pira
Dodici capi troncherò d'eletti
Figli de' Teucri , di tua morte irato.
Disse ; ed opra crudel contra il divino
Ettor volgendo in suo pensiero, il trasse
Per la polve boccon presso al ferétro
Del figliuoldi Menézio : e gli altri intanto
Scinsero le corrusche armi , e, staccati
Gli annitrenti corsier' , folti sull'alta
Capitana d'Achille a lauto desco
S'assisero . Muggían sotto la scure
Molti candidi buoi , molte, belando,
Cadean capre scannate e pecorelle ;
E molti di pinguedine fiorenti
Cinghiai sannuti alle vulcanie vampe
Venían distesi a brustolarsi. Il sangue
Scorrea dintorno al morto in larghi rivi.
Al sommo Atride intanto i prenci achei
Scortar, vinto da' preghi e per l'amico
Sempre d'ira infiammato, il re Pelide.
Giunti i duci alla tenda , immantinente
Ai pronti araldi Agamenuón comanda
ν. 49-81 LIBRO XΧΙΙΙ . 263
Che alle fiamme un gran tripode si metta ,
Onde il Pelíde indur, se gli rïesca ,
A lavarsi del sangue ogni sozzura.
Recusollo il feroce , e fermamente
Giurò: Non sia per Giove ottimo e sommo
Che lavacro mi tocchi anzi ch'io ponga
L'amico mio sul rogo, e gli consacri
Sull'eretto sepolcro il crin reciso.
Ah! mai pari dolor, fin ch'io mi viva ,
In questo petto non cadrà , giammai.
Nondimeno si segga all' abborrita
Mensa : ma tu, supremo Atride , imponi
Alla tua gente che doman per tempo
Molta selva qua porti ; e qual conviensi
Ad illustre defunto che nell'atra
Notte discende , le cataste appresti ,
Onde rapido il foco lo consumi ;
E, tolto agli occhi il doloroso obbietto,
Tornin le schiere ai consueti offici .
Obbedîr tutti al detto; e prontamente
Poste le mense , a convivar si diero,
E vivandò ciascuno a suo talento .
Del cibarsi e del ber spenta la voglia ,
Tutti sbandarsi alle lor tende , e al sonno
Cesser le membra. Ma del mar sonante
Lungo il lido si stese in mezzo ai folti
Tessali Achille su la nuda arena ,
Di cui l'onda gli estremi orli lambía.
Ivi stanco di gemiti e sospiri
E della roolta in perseguendo Ettorre
Sostenuta fatica , il dolce sonno
Alleggiator dell'aspre cure il prese ,
Soavemente circonfuso. Ed ecco
264 ILIADE v. 82-114
Comparirgli del misero Patróclo
In vision lo spettro, a lui del tutto
Ne' begli occhi simíle e nella voce,
Nella statura , nelle vesti ; e tale
Sovra il capo gli stette , e così disse :
Tu dormi , Achille , nè di me più pensi :
Vivo m'amasti , e morto m'abbandoni.
Deh ! tosto mi sotterra , onde mi sia
Dato nell'Orco penetrar. Respinto
Io ne son dalle vane ombre defunte ,
Nè meschiarmi con lor di là dal fiume
Mi si concede. Vagabondo io quindi
M'aggiro intorno alla magion di Pluto.
Or deh ! porgi la man ; chè teco io pianga
Anco una volta: perocchè, consunto
Dalle fiamme del rogo, a te dall'Orco
Non tornerò più mai. Più non potremo
Vivi entrambi , e lontan dagli altri amici
Seduti in dolci parlamenti aprire
I segreti del cor : chè preda io sono
Della Parca crudele a me nascente
Un dì sortita. E a te pur anco, Achille ,
A te che un Dio somigli , è destinato
Il perir sotto le dardanie mura .
Ben ti prego, o mio caro, e raccomando
Che tu non voglia , se mi sei cortese ,
Dal tuo disgiunto il cener mio. Noi fummo
Nella tua reggia allor nudriti insieme
Che Menézio d'Opunte a Ftia menommi
Giovinetto quel di che per la lite
Degli astragali irato e fuor di senno
D'Anfidamante a morte misi il figlio ,
Mio malgrado. M'accolse il re Peléo
v. 113-147 LIBRO XXIII . 265
Ne' suoi palagi umanamente , e posta
Nell'educarmi diligente cura ,
Mi nomò tuo donzello. Una sol'urna
Chiuda adunque le nostre ossa , quell'urna
Che d'or ti diè la tua madre divina.
A che ne vieni , o anima diletta ?
Gli rispose il Pelíde ; e a che m'ingiungi
Partitamente queste cose ? Io tutto
Che comandi farò : ma deh ! t' appressa ;
Ch' io t'abbracci , che stretti almen per poco
Gustiam la trista voluttà del pianto.
Così dicendo, coll'aperte braccia
Amoroso avventossi , e nulla strinse ;
Chè stridendo calò l'ombra sotterra ,
E svani come fumo. In piè rizzossi
Sbalordito il Pelíde; e, palma a palma
Battendo, in suono di lamento disse :
Oh ciel ! dell'Orco gli abitanti han dunque
Spirito ed ombra, ma non corpo alcuno ?
Del misero Patroclo in questa notte
Sovra il capo mi stette il sospiroso
Spettro piangente , tutto desso al vivo,
E più cose m'ingiunse ad una ad una.
Ridestår delle lagrime la brama
Queste parole ; raddoppiossi il lutto
Sul miserando corpo : e l'Alba intanto
Col roseo dito l' Orïente apría.
Da tutte parti allor fece l'Atride
Dalle trabacche uscir giumenti e turbe
Per lo trasporto del funereo bosco,
Duce il valente Merïon , del prode
Idomenéo scudier. Givan costoro
Di corde armati e di taglienti scuri,
12
ILIADE , Vol. 11.
266 ILIADE ν. 148-181
Co' giumenti dinanzi. E per distorti
Aspri greppi montando e discendendo
E rimontando, agli erti boschi alfine
Giunser dell' Ida che di fonti abbonda.
Qui dier subita man con affilate
Bipenni al taglio dell'aëree querce
Che strepitose al suol cadeano, e poscia
Legavansi spaccate in sulla schiena
De' giumenti , che , ratte orme stampando,
Scendean, bramosi d'arrivar pe' folti
Roveti alla pianura : e li seguiéno
Carchi il dosso di ciocchi i tagliatori ;
Chè tal di Merïon era il precetto.
Giunti sul lido, scaricâr le some ,
Ne fèr catasta al luogo ove il Pelíde
Un tumulo sublime al morto amico
Ed a se stesso disegnato avea .
E tutta apparecchiata in questa guisa
L'immensa selva , riposar seduti ,
Nuovi cenni aspettando. Intanto Achille
Ai bellicosi Mirmidón' comanda
Di porsi in armi , ed aggiogar ciascuno
Alle bighe i destrier'. Sursero quelli
Frettolósi , e fur tutti in tutto punto .
Montan su i cocchi aurighi e duci , e danno
Alla pompa principio. Immenso un nembo
Di pedoni li segue, e, a questi in mezzo,
Di Patroclo procede il cataletto
Da' compagni portato, che sul morto
Venían gittando le recise chiome ,
Di che tutto il coprían. Di retro Achille
Colla man gli reggea la tremolante
Testa , e plorava sui funebri onori ,
Conche all'Orce spedía l' illustre amico.
v. 182-214 LIBRO XXІІ . 267
Giunti al luogo lor detto, il mesto incarco
Deposero, e a ribocco intorno a quello
Adunâr pronti la funerea selva.
Recatosi in se stesso, un altro avviso
Fece allora il Pelíde : allontanossi
Dal rogo alquanto, e il biondo si recise ,
Che allo Sperchio nudría , florido crine ;
E, al mar guardando con dolor, sì disse :
Sperchio , invan ti promise il padre mio
Che, tornando al natío dolce terreno,
Io t'avrei tronco la mia chioma , e offerto
Una sacra ecatombe , ed immolato
Cinquanta agnelli accanto alla tua fonte
Ov'hai delubro ed odorati altari.
Del canuto Peléo fu questo il voto :
Tu nol compiesti. Poichè dunque or tolto
N'è alla patria il ritorno, abbia il mio crine
L'eroe Patróclo, e lo si porti seco.
Così detto, alla man del caro amico
Pose la chioma, e rinnovossi il pianto
De' circostanti: e tra gli omei gli avría
Côlti il cader della dïurna luce ,
Se non si fea davanti al grande Atride
Il figlio di Peléo con questi accenti :
Agamennón , di lagrime potremo
Satollarci altra volta. Or tu , cui tutti
Obbediscon gli Achei , tu li congeda
Da questa pira , e a ristorar li manda
Colla mensa le membra. Avrem del resto
Noi la cura; chè nostro innanzi a tutti
Dell'esequie è il pensiero, e rimarranno
Nosco, a tal uopo di pietade , i duci.
Udito questo, Agamennon disperse
268 ILIADE ν. 215-247
Tosto le schiere per le tende , e soli
Vi restaro i deletti al ministero
Dell'esequie e del rogo. Essi una pira ,
Cento piedi sublime in ogni lato,
Innalzâr primamente , e sovra il sommo,
D'angoscia oppressi , collocar l'estinto.
Poi davanti alla pira una gran torma
Scuojar di pingui agnelle e di giovenchi :
E, traendone l'adipe , il Pelíde
Copríane il morto dalla fronte al piede ,
E le scuojate vittime dintorno
Gli accumulo. Da canto indi gli pose
Colle bocche sul féretro inclinate
Due di miele e d'unguento urne ricolme.
Precipitoso ei poscia e sospiroso
Sulla pira gittò quattro corsieri
D'alta cervice , e due smembrati cani
Di nove che del sir nudría la mensa.
Preso alfin da spietata ira , le gole
Di dodici segò prestanti figli
De' magnanimi Teucri , e, sulla pira
Scagliandoli , destò del fuoco in quella
L'invitto spirto struggitor, che il tutto
Divorasse , e chiamò con dolorosi
Gridi l'amico : Addio, Patróclo, addio
Ne' regni anche di Pluto. Ecco adempite
Le mie promesse : dodici d'illustre
Sangue Trojani si consuman teco
In queste fiamme ; ed Ettore fia pasto
Delle fiamme non già , ma delle belve.
Queste minacce ei fea ; ma gl'incitati
Mastin' la salma non toccar d' Ettorre ;
Chè notte e di sollecita la figlia
ν. 248-280 LIBRO XXIII . 260
Di Giove , Citeréa, gli allontanava ,
E il cadavere ugnea d'una celeste
Rosata essenza che impedía del corpo
Strascinato l'offesa. Intanto Apollo
Sul campo indusse una cerulea nube
Che tutto intorno ricopría lo spazio
Dal cadavere ingombro , onde alle membra
E de' nervi al tessuto innocua fosse
Dell' igneo Sole la virtute attiva.
Ma del morto Patróclo il rogo ancora
Non avvampa. Allor prende altro consiglio
Il divo Achille. Trattosi in disparte ,
Ai due venti Ponente e Tramontana
Supplicando , solenni ostie promette ;
E in aurea coppa ad ambedue libando,
Di venirne li prega , e intorno al morto
Si le fiamme animar, che in un momento
Lo si struggano tutto, esso e la pira.
Udito la veloce Iride il prego,
Ai venti lo recò , che, accolti insieme
Nella reggia di Zefiro, un festivo
Tenean convito . S'arrestò la Diva
Su la marmorea soglia , e alla sua vista
Sursero tutti frettolosi : ognuno
A sẻ chiamolla , ognun le offerse il seggio ,
Ma ricusollo la Taumanzia , e disse:
Di seder non è tempo : alle correnti
Deli Oceáno ritornar mi deggio
Nell'etíope terreno ove s ' appresta
Agl' Immortali un'ecatombe , e bramo
Ne' sacrifici aver mia parte io pure.
Ma il Pelíde te , Borea , e te, sonoro
Zefiro, prega di soffiar nel rogo
270 ILIADE v. 281-313
Su cui giace di Pátroclo la spoglia
Dagli Achei tutti deplorata ; e molte
Vittime ei v'offre , se avvampar lo fate.
Così detto , disparve ; e quei levârsi
Con immenso stridor, densate innanzi
A sè le nubi. Si sfrenår soffiando
Sulla marina , sollevaro i flutti ,
E di Troja arrivati alla pianura ,
Ruinâr su la pira ; e strepitoso
Immane incendio si destò. Dai forti
Soffj agitata divampò sublime
Tutta notte la fiamma , e tutta notte
Il Pelíde da vasto aureo cratere
Il vino attinse con ritonda coppa ,
E spargendolo al suol devotamente ,
N'irrigava la terra , e l'infelice
Ombra invocava dell'estinto amico.
Come un padre talor piange , bruciando
L'ossa d'un figlio che mori già sposo,
Emorendo lasciò gli sventurati
Suoi genitori di cordoglio oppressi ;
Così dando alle fiamme il suo compagno ,
Geme il Pelíde , e crebri alti sospiri
Traendo, intorno al rogo si strascina.
Come poi nunzio della luce al mondo
Lucifero brillò , dopo cui stende
Sul pelago l'Aurora il croceo velo ,
Morì la vampa sul consunto rogo,
E per lo tracio mar, che rabbuffato
Muggía, tornaro alle lor case i venti.
Stanco allora il Pelíde, e dalla pira
Scostatosi , sdrajossi, e dolce il sonno
L'occupò. Ma il tumulto e il calpestio
ν. 384-346 LIBRO XXIII. 271
De' capitani , che all'Atride in folla
Si raccogliean , destollo ; ei surse, e assiso
Cosi loro parlò : Supremo Atride ,
E voi primati degli Achei , spegnete
Voi tutti or meco con purpureo vino
Di tutto il rogo in pria le brage ; e poscia
Raccogliam di Patróclo attentamente
Le sacrate ossa ; e scernerle fia lieve ,
Imperocchè nel mezzo ei si giacea
Della catasta , e gli altri all'orlo estremo
Separati , fur arsi alla rinfusa
E uomini e cavalli. Indi d'opimo
Doppio zirbo ravvolte , in urna d'oro
Leriporremo, finchè vegna il giorno
Ch'io pur di Pluto alla magion discenda.
Non vo' gli s'erga una superba tomba ,
Ma modesta. Potrete ampia e sublime
Voi poscia alzarla , o duci achei , che vivi
Dopo me rimarrete a questa riva.
Del Pelíde al comando obbedïenti
Con larghi sprazzi di vermiglio bacco
Di tutto il rogo ei spensero alla prima
Le vive brage , e giù cadde profonda
La cenere. Adunar quindi, piangendo,
Del mansueto eroe le candid'ossa;
Le composer nell'urna avvolte in doppio
Adipe , e, dentro il padiglion deposte ,
Di sottil lino le coprir. Ciò fatto ,
Disegnar presti in tondo il monumento;
Ne gittaro dintorno all'arsa pira
I fondamenti ; v'ammassâr di sopra
Lo scavato terreno ; e a fin condotta
La tomba , si partían. Ma li rattenne
272 ILIADE ν. 347-379
Il Pelíde; e li fatto in ampio agone
Il popolo seder, de' ludi i premj
Fe' dai legni recar : tripodi e vasi
E destrieri e giumenti e generosi
Tauri e captive di gentil cintiglio
E forbite armature. E primamente
Alla corsa de' cocchi il premio pose :
Una leggiadra in bei lavori esperta
Donzella a chi primier tocca la meta ,
Con un tripode a doppia ansa , e capace
Di ventidue misure. Una giumenta
Che al sest' anno già venne , ancor non doma
E il sen già grave di bastarda prole,
Al secondo. Un lebete intatto e bello
E di quattro misure , al terzo auriga ;
Al quarto un doppio aureo talento; e al quinto
Una coppa dal foco ancor non tocca.
Surto in piedi allor disse : Atride , Argivi ,
Gioventù bellicosa , a voi dinanzi
Ecco i premj che attendono nel circo
Degli aurighi il valor. S'altra cagione
Questi ludi eccitasse, i primi onori
Miei per certo sarían ; chè la prestezza
De' miei destrieri non ha pari , e voi
Lo vi sapete; perocchè son essi
Immortali , e donolli il re Nettunno
Al mio padre Peléo, che a me li cesse:
Queto io dunque starommi , e queti insieme
I miei cavalli. I miseri perduto
Hanno il lor forte condottiero e mite,
Che lavarne solea le belle chiome
Alla chiara corrente , ed irrorarle
Di liquid'olio rilucente ; ed ora
0. 380-412 LIBRO XXII . 279
Piangonlo immoti , colle meste giubbe
Al suol diffuse, e il cor di doglia oppresso.
Chïunque degli Achei pertanto ha speme
Ne' cocchi e ne' destrier', si metta in punto.
Ciò disse appena, che animosi e pronti
Presentarsi gli aurighi : Eumelo il primo,
Regal germe d'Admeto e delle bighe
Perito agitator. Mosse secondo
Il gagliardo Tidíde Diomede
Co' destrieri di Troe tolti ad Enea,
Cui da morte campò l'opra d'Apollo .
Il biondo Menelao, sangue di Giove ,
Levossi il terzo ; e sotto al giogo addusse
Due veloci cavalli , il suo Podargo,
Ed Eta, del fratello una puledra,
Dell'aringo bramosa a meraviglia.
Donata al rege Agamennón l'avea
L'Anchisíade Echepólo, onde francarsi
Dal seguitarlo a Troja, e neghittoso
Nell'opulenta Sicïon sua stanza
Rimanersi a fruir le concedute
Dal Saturnio Signor molte ricchezze.
Del magnanimo Néstore buon figlio
Antíloco aggiogò quarto i crinitá
Suoi cavalli di Pilo, ancor del cocchio
Buoni al tiro . Si trasse il vecchio padre
A lui già saggio per se stesso, e un saggio
Utile avviso gli porgea , dicendo :
Antiloco , te amar Giove e Nettunno
Giovane ancora , e t'erudîr di tutta
L'arte equestre; perciò poco fia l'uopo
D'ammaestrarti , perocchè sai destro
Girar la meta ; ma son tardi al corso
*
12
274 ILIADE .413-445
I tuoi destrieri , e qualche danno io temo.
Destrier' più ratti han gli altri , ma non arte
Nè scïenza maggior ! Dunque , o mio caro ,
Tutti richiama al cor gli accorgimenti ,
Se vuoi che il premio da tue man' non fugga.
L'arte più che la forza al fabbro è buona ;
Coll'arte in mar da venti combattuto
Regge il piloto la sua presta nave ,
" E coll'arte il cocchier passa il cocchiero.
Chi sol del cocchio e de' corsier' si fida ,
Qua e là s'aggira senza senno; incerti
Divagano i cavalli , ed ei non puote
Più governarli. Ma l'esperto auriga ,
Benchè meno valenti i suoi sospinga ,
Sempre ha l'occhio alla meta , e volta stretto ,
E sa come lentar, sa come a tempo
Con fermi polsi rattener le briglie ,
Ed osserva il rival che lo precede.
Or la meta , perchè tu senza errore
La distingua , dirò : sorge da terra
Alto sei piedi un tronco di laríce
O di quercia che sia , secco e da pioggia
Non putrefatto ancor. Stan quinci e quindi ,
Dove sbocca la vía , due bianche pietre ,
Da cui si stende tutto piano in giro
De' cavalli to stadio. O che sepolcro
Questo si fosse d'un illustre estinto ,
O confin posto dalla prisca gente ,
Meta al corso lo fece oggi il Pelíde .
1
Tu fa di rasentarla , e vi sospingi
Vicin vicino il cocchio e i corridori ,
Alcun poco piegando alla sinistra
La persona , e flagella e incalza e sgrida
♡. 446-478 LIBRO XXIII . 275
Il cavallo alla dritta , e gli abbandona
Tutta la briglia; e fa che l'altro intanto
Rada la meta sì che paja il mozzo
Della ruota volubile toccarla;
Ma vedi , ve', che non la tocchi; infranto
N'andrebbe il carro, offesi i corridori ,
E tu deriso e di disnor coperto.
Sii dunque saggio e cauto. Ove la meta
Trascorrer netto ti riesca , alcuno
Non fia che poi t'aggiunga o ti trapassi ,
No, s'anco a tergo ti venisse a volo
Quel d'Adrasto corsier nato d'un Dio,
Il veloce Arïone , o quei famosi
Che qui Laomedonte un di nudría.
Divisate al figliuol distintamente
Queste avvertenze , si raccolse il veglio
Nell'erboso suo seggio. Ultimo intanto
Con bella coppia di corsier' superbi
Merïon nella lizza era venuto.
Montati i carri , si gittâr le sorti.
Agitolle il Pelíde , e uscì primiero
Antíloco; indi Eumelo ; indi l'Atride ;
Fu quarto Merïon; quinto il fortissimo
Diomede. Locârsi in ordinanza
Tutti ;ed Achille mostrò lor lontana
Nel pian la meta , a cui giudice avea
Posto del padre lo scudier, Fenice,
Venerando vegliardo, onde notasse
Le corse attento, e riferisse il vero.
Stavano tutti colle sferze alzate
Su gli ardenti destrieri ; e, dato il segno ,
Lentar tutti le briglie , e co' flagelli
E co' gridi animaro i generosi
276 ILIADE
.479-511
Corsier' che ratti si lanciar nel campo,
E dal lido spariro in un baleno .
Sorge sotto i lor petti alta la polve
Che, di nugolo a guisa o di procella,
Si condensa, ed al vento abbandonate
Svolazzano le giubbe. Or vedi i cocchi
Rader bassi la terra , ed or sublimi,
Balzarsi , nè perciò perde mai piede
Degli aurighi veruno, e batte a tutti
Per desiderio della palma il core;
E in un nembo di polve ognun dà spirto
A' suoi volanti alípedi . Varcata
La meta, e preso il rimanente corso
Di ritorno alle mosse , allor rifulse
Di ciascun la prodezza , allor si stese
Nello stadio ogni cocchio. Innanzi a tutti
Le puledre volavano veloci
Del Ferezíade Eumelo; e dopo queste ,
Ma di poco intervallo, i corridori
Di Troe , guidati dal Tidíde , e tanto
Imminenti che ognor parean sul carro
Montar d'Eumelo , a cui co' fiati ardenti
Già scaldano le spalle , e già le toccano
Colle fervide teste. E oltrepassato
Forse l'avrebbe, o pareggiato almeno,
Se al figlio di Tidéo Febo la palma
Invidïando, non gli fea sdegnoso
Balzar dal pugno la lucente sferza .
Lagrime d' ira e di dolor le gote
Inondâr dell'eroe, vista d'Eumelo
Lontanarsi più rapida la biga ,
E per difetto di flagel più lenta
Correr la sua. Ma Pallade, d'Apollo
ν. 512-544 LIBRO XXIII. 277
Scorta la frode e del Tidíde il danno,
Presta a lui corse; e, alla sua man rimessa
La sferza , aggiunse ai corridor' la lena.
Indi al figlio d'Admeto avvicinossi
Irata , e il giogo gli spezzò . Turbate
Si svïâr le cavalle ; andò per terra
Il timon ; riversossi il cavaliero
Presso alla ruota , e il cubito e la bocca
Lacerossi e le nari , e su le ciglia
N'ebbe pesta la fronte : le pupille ,
S'empîr di pianto, s'arrestò la voce;
E Diomede il trapassò sferzando
Gli animosi destrier', che innanzi a tutti
Scappan di molto, perocchè Minerva
Gli afforza , e vincitor vuole il Tidíde.
Vien dopo questi Menelao, cui preme
Di Néstore il figliuol che, confortando
:
I paterni destrier', grida: Correte ,
Stendetevi prestissimi : non io
Già vi comando gareggiar con quelli
Del forte Diomede, a' quai Minerva
Diè l'ali al piede , e a lui la palma : solo
Raggiungete l'Atride , e non soffrite ,
Restando addietro, ch' Eta , una giumenta ,
Vi sorpassi di corso e disonori.
Che lentezza s'è questa ? ov'è l'antica
Vostra prestanza ? Io lo vi giuro, e il giuro
S'adempirà : se pigri un premio vile
Riporterem , negletti , anzi trafitti
Da Néstore sarete. Or via , volate.
Ch'io, di astuzia giovandomi, senz'erro
Trapasserò l'Atride nello stretto.
Antíloco sì disse ; e quei, temendo
278 ILIADE
ν. 545-577
Le sue minacce, rinforzaro il corso:
Ed ecco dopo poco il passo angusto
Del concavo cammin. V'era una frana
Ove l'acqua invernal , raccolta in copia,
Dirotta avea la strada , e tutto intorno
Affondato il terren. Per quella parte
Si drizzava l'Atride , onde il concorso
Ischivar delle bighe. Ivi si spinse
Antíloco pur esso : e devïando
Dalla carriera un cotal poco , e forte
Flagellando i corsier , lo stringe , e tenta
Prevenirlo. Temettene l'Atride ,
E gridò : Dove vai , pazzo? rattieni ,
Antíloco, i destrier : stretta è la via.
Aspetta che s'allarghi , e trapassarmi
Potrai : qui entrambi romperemo i cocchi.
Antíloco non l'ode , e, stimolando
Più veemente i corridor', s'avanza.
Quanto è il tratto d'un disco da robusto
Giovin scagliato per provar sue forze ,
Tanto trascorse la nestórea biga.
Iscansossi l'Atride , e volontario
I suoi destrieri rallentò, temendo
Che da quegli altri urtati in quello stretto
Non gli versino il cocchio , e al suol stramazzino
Essi medesmi nel voler per troppo
Amor di lode accelerarsi. Intanto
Dietro al figlio di Néstore l'Atride
Gridar s'udiva: Antíloco, non avvi
Il più tristo di te ; va pure : a torto
Noi saggio ti tenemmo; ma tu premio
Non toccherai , per dio ! se pria non giuri.
Quindi, animando i suoi corsier', dicea:
v. 578-610 LIBRO XXIII. 279
Non v'impigrite , non mi state afflitti;
Pria di voi perderan quelli la lena ,
Ch'ei son vecchi ambidue.-Cosi lor grida ;
E docili i destrieri alla sua voce
Doppiaro il corso, e tosto li raggiunsero.
Nel circo assisi intanto i prenci achei
Stavansi attenti ad osservar da lungi
I volanti cavalli che nel campo
Sollevavan la polve. Idomenéo
Re de' Cretesi gli avvisò primiero ,
Che fuor del circo si sedea sublime
A una vedetta. E di lontano udita
Del primo auriga, che venía , la voce ,
Lo conobbe , e distinse il precorrente
Destrier che tutto sauro in fronte avea
Bianca una macchia , tonda come luna.
Rizzossi in piedi , e disse : O degli Achei
Prenci amici , m'inganno , o ravvisate
Quei cavalli voi pure ? Altri mi sembrano
Da quei di prima , ed altro il condottiero.
Le puledre che dianzi eran davanti
Forse sofferto han qualche sconcio. Al certo
Girar primiere le vid' io la meta;
Or come che pel campo il guardo io volga ,
Più non le scorgo. O che scappâr di mano
All'auriga le briglie , o ch'ei non seppe
Rattenerne la foga, e non fe' netto
Il giro della meta. Ei forse quivi
Cadde , e infranse la biga , e le cavalle
Devïår furïose. Or voi pur anco
Alzatevi e guardate : io non discerno
Abbastanza; ma parmi esser quel primo
L'étolo prence argivo, Diomede.
280 ILIADE v.611-643
Che vai tu vaneggiando ? aspro riprese
Ajace d'Oïléo. Quelle che miri
Da lungi a noi volar son le puledre.
Più non sei giovinetto, o Idomenéo:
La vista hai corta , e ciance assai ; nè il farne
Molte t'è bello ov'altri è più prestante.
Quelle davanti son, qual pria , d' Eumelo
Le puledre , e ne regge esso le briglie.
E a lui cruccioso de' Cretesi il sire :
Malédico rissoso , in questo solo
Tra noi valente , ed ultimo nel resto,
Villano Ajace , deponiam, su via,
Un tripode o un lebete , e Agamennóne
Giudichi e dica che corsier' sian primi ;
E, pagando, il saprai. Sorgea parato
A far risposta con acerbi detti
Lo stizzito Oïlíde , e la contesa
Crescea; ma grave la precise Achille :
Fine , o duci , a un ontoso ed indecoro
Parlar che in altri biasmereste. In pace
Sedetevi e guardate : i gareggianti
Corridori son presso, e voi ben tosto
Chi sia primo saprete , e chi secondo.
Fra questo dire, a furia ecco il Tidíde
Avanzarsi , e le groppe senza posa
Tempestar de' cavalli che sublimi
Divorano la via. Schizzi di polve
Incessanti percuotono l'auriga.
D'or raggiante e di stagno si rivolve
Dietro i ratti corsier si lieve il cocchio
Che appena vedi della ruota il solco
Nella sabbia sottil. Giunto alle mosse ,
Fra le plaudenti turbe il vincitore
v. 644-676 LIBRO XXΙΙΙ. 281
Fermossi . Un rivo di sudor sul collo
E dal petto scorrea degli anelanti
Corsieri ; ed esso dal lucente carro
Leggier d'un salto al suol gittossi , e al giogo
Lo scudiscio appoggiò . Nè stette a bada
Sténelo, il forte sno scudier, che pronto
Il tripode si tolse e la donzella
Premio del corso; e, consegnato il tutto
Ai prodi amici, i corridor' disciolse.
Secondo giunse Antíloco che avea
Non per rattezza di destrier precorso
Menelao , ma per arte; e nondimeno
Questi a tergo gli è sì, che quasi il tocca.
Quanto si scosta dalla ruota il piede
Di corsier che pel campo alla distesa
Tragge sul cocchio il suo signor, lambendo
Co' crini estremi della coda il cerchio
Del volubile giro che diviso
Da minimo intervallo ognor si volve
Dietro i rapidi passi ; iva l'Atride
Sol di tanto discosto allor dal figlio
Di Néstore , quantunque egli da prima
Fosse rimasto un trar di disco indietro .
Ma dell'agamennonia Eta fu tale
La prestezza e il valor, che tosto il giunse :
E l'avría pure oltrepassato, e fatta
Non dubbia la vittoria , ove più lunga
Stata si fosse d'ambedue la corsa.
Seguía l'Atride Merïon, preclaro
Scudier d' Idomenéo, distante il tiro
D'una lancia , perchè belli , ma pigri
I corridori egli ebbe , e perchè desso
Era il men destro nel guidar la biga.
282 ILIADE v. 677-709
Ultimo ne venía d'Admeto il figlio ,
A stento il cocchio traendo, e dinanzi
Cacciandosi i destrieri. Lo compianse,
Come lo vide , Achille , e, circondato
Dagli Achei , proferi queste parole :
Ultimo giunge il più valente. Or via ,
Diamgli il premio secondo ; egli n'è degno:
Ma il primo al figlio di Tidéo si resti .
Lodâr tutti il decreto; e fra gli applausi
Degli Achei sull'istante egli donata
La giumenta gli avría, se, posta in campo
La sua ragione, Antíloco al Pelíde
Non si volgea dicendo : Achille , io teco
Mi corruccio davver, se il tuo disegno
Metti ad effetto. Perchè un Dio gli offese
I cavalli ed il cocchio , e non gli valse
La sua prodezza, mi vorrai tu dunque
Il mio premio rapir ? Chè non pors'egli
Prima ai numi i suoi voti ? ei non saría
Ultimo giunto nell' illustre aringo .
Chè se di lui pietà ti move, e questo
Al cor t'è grato , nella tenda hai molte
D'auro e bronzo conserve , hai molto gregge ;
Hai fanciulle e cavalli. E tu il presenta
Di queste cose , e sian maggiori ancora ;
Ma in altro tempo, o, se il vuoi , pure adesso,
Onde ten vegna degli Achei la lode.
Ma questa io non vo' darla , e dovrà meco
Sperimentarsi ogni uom che la pretenda.
Delle franche d'Antíloco parole
Compiaciuto, sorrise il divo Achille ,
Cui caro amico egli era ; e gli rispose :
Antíloco, tu vuoi che s'abbia Eumelo
v. 710-743 LIBRO XXIII . 283
Di ciò che in serbo io tengo, altro presente ;
E l'avrà. Gli darò d'Asteropéo
La di bronzo lorica , a cui dintorno
Scorre un bell'orlo di fulgente stagno ;
Lavoro di gran pregio. - E, così detto,
Al suo fedele Automedonte impose
Di recar dalla tenda la lorica.
Volò quegli , e recolla al suo signore ,
Che in man la pose dell'allegro Eumelo.
Contro Antíloco allor surse, il cor pieno
Di doglia e d'ira, Menelao. L'araldo
Misegli tosto nelle man' lo scettro,
E silenzio intimò. Quindi l'eroe
Così a dir prese : O tu, che per l'innanzi
Grido avevi di saggio, che facesti ?
Disonestasti , o Antíloco , la mia
Gloria , e cacciati per inganno avanti
Li tuoi corsieri assai da meno, i miei
Sconciamente offendesti. Or voi qui fate ,
Prenci achivi , ragione ad ambedue
Senza rispetti; ch'io non vo' che poi
Dica qualcuno degli Achei: l'Atride
Colle menzogne Antíloco aggravando
Via la giumenta si menò, vincendo
Di cavalli non già, ma di possanza
E di forza. Ma che ? Senza paura
Di biasmo io stesso finirò la lite ,
E fia retto il giudizio. Orsù , t'accosta ,
Prode alunno di Giove ; e, giusta il rito,
Statti innanzi alla biga , e d'una mano
Impugnando la sferza agitatrice ,
E si coll'altra i corridor' toccando,
Giura a Nettunno non aver volente
Nè con frode impedito il cocchio mio.
284 ILIADE 744-776
Re Menelao, mi compatisci , accorto
L'altro rispose : giovinetto ancora
Son io : tu d'anni e di virtù mi vinci ,
E dell'etade giovanil ben sai
I difetti : cuor caldo e poco senno.
Siimi dunque benigno. Ecco a te cedo
L'ottenuta giumenta ; e s'altro brami
Del mio, darollo di cuor pronto, e tosto,
Anzi che l'amor tuo per sempre , o prence,
Perdere e farmi ai sommi iddii spergiuro.
Si dicendo, di Néstore il buon figlio
La giumenta condusse , ed alle mani
La ponea dell'Atride , a cui di gioja
Intenerissi il cor. Siccome quando
Su i sitibondi culti la rugiada
Spargesi e avviva le crescenti spighe ;
A te del pari , o Menelao , nel petto
Si sparse la letizia , e dolcemente
Gli rispondesti : Antíloco, a te cedo ,
Deposta l'ira , io stesso. Unqua non fosti
Nè leggier nè bizzarro. Oggi fu vinto
Da sconsigliata giovinezza il senno.
Ma il ben guardarsi dagl'inganni è bello
Co' maggiori . Nessun m'avría placato
Sì facilmente degli Achei ; ma molto
Coll'egregio tuo padre e col fratello
Per mia cagion tu soffri , e molto sudi ;
Perciò m'arrendo al tuo pregare : e questa ,
Ch'è mia , ti dono, a fin che ognun si vegga
Che nè fier nè superbo ho il cor nel petto.
Diè , ciò detto, d'Antíloco al compagno
Noemón la giumenta ; indi si tolse
Il fulgido lebete ; e Merïone ,
.777-809 LIBRO XXIII . 285
Che quarto giunse , i due talenti d'oro.
Restava il quinto guiderdon , la coppa .
La prese Achille , e, traversando il pieno
Circo, accostossi al buon Nestorre , e lieto
Presentolla all'eroe con questi accenti :
Tieni , illustre vegliardo, e questo dono
Ricordanza ti sia delle funébri
Pompe del nostro Patroclo, cui , lasso !
Non rivedrem più mai. Questo vogl' io
Che gratuito sia , poichè del cesto ,
E dell'arco il certame e della lotta ,
E del corso pedestre a te si vieta
Dalla triste vecchiezza che ti grava.
Tacque ; e la coppa fra le man' gli mise.
Lieto il veglio accettolla , e sì rispose:
Ben parli , o figlio : le mie forze tutte
Sono inferme , o mio caro; il piè va lento ;
Dispossato mi pende dalle spalle
L'un braccio e l'altro. Oh ! giovine foss'io
E intero di vigor siccome il giorno
Che in Buprasio gli Epèi diero al sepolcro
Il rege Amarincéo, proposti i ludi
Dai regali suoi figli ! Ivi nessuno
Nè degli Epéi nè de' medesmi Pilj
Pari mi stette di valor, nè manco
De' magnanimi Etóli. Io vinsi al cesto
Il figliuolo d'Enópe Clitoméde ,
Alcéo Pleuronio, nella lotta a cui
M'avea sfidato : superai nel corso
L'agile Ificlo , e nel vibrar dell'asta
Polidoro e Filéo. Soli all'equestre
Lizza innanzi m'andar d'Attore i figli ,
Che due contr' un gelosi invidïârmi
286 ILIADE v. 810-842
Una vittoria d' infinito prezzo .
Indivisi gemelli , uno reggeva
Sempre sempre i destrier', l'altro di sferza
Li percotea. Tal fui già tempo : or lascio
Siffatte imprese ai giovinetti , e forza
M'è l'obbedire alla feral vecchiezza.
Ma tra gli eroi fui chiaro anch' io. Tu segui
Del morto amico ad onorar la tomba
Co' fúnebri certami . Il tuo bel dono
M'è caro, e il prendo. Mi gioisce il core
Al veder che di me , che t'amo, ognora
Sei memore , e sai quale al mio canuto
Crine si debba dagli Achivi onore :
Di ciò ti dien gli Dei larga mercede.
Tutta udita di Néstore la lode ,
Entrò il Pelíde nella calca , e il duro
Pugilato propose. Addur si fece
Ed annodar nel circo una gagliarda
Infaticabil mula , a cui già il sesto
Anno fioría , non doma , ed a domarsi
Malagevole : premio al vincitore.
Pel vinto pose una ritonda coppa.
Indi surse , e parlava : Atridi , Achei ,
Ecco i premj alli due che valorosi
Vorranno al cesto perigliarsi. Quegli
Cui doni amico la vittoria il figlio
Di Latona , e l'affermino gli Achei ,
S'abbia la mula, e il perditor la coppa.
Disse; e un uom si levo forte , membruto,
Pugilatore assai perito, Epéo,
Di Panope figliuol. Stese alla mula
Costui la mano, e favellò : S'accosti
Chi vuol la coppa; chè la mula è mia.
v. 843-875 LIBRO XXIII . 287
Niun degli Achivi vincerammi , io spero,
Nel certame del cesto, in che mi vanto
Prestantissimo. E che? forse non basta
Che agli altri io ceda in battagliar ? Non puote
A verun patto un solo esser di tutte
Arti maestro. Io vel dichiaro, e il fatto
Proverà ciò che dico : al mio rivale
Spezzerò il corpo e l'ossa. Abbia vicino
Molti assistenti a trasportarlo pronti
Fuor della lizza da mie forze domo.
Tacque ; e tutti ammutiro. Eravi un figlio
Del Taleónio Mecistéo , di quello
Che un dì nell'alta Tebe ai sepolcrali
Ludi venuto del defunto Edippo ,
Tutti vinse i Cadméi. Costui, di nome
Eurïalo, e guerrier di divo aspetto ,
Fu il solo che s'alzò . Molto d' intorno
Gli si adoprava il grande Diomede ,
E co' detti il pungea , lui desïando
Vincitore. Egli stesso al fianco il cinto
Gli avvinse , e il guanto gli forni di duro
Cuojo, già spoglia di selvaggio bue.
Come in punto si fûro, ambi nel mezzo
Presentarsi gli atleti ; e, sollevate
L'un contra l'altro le robuste pugna ,
Si mischiar fieramente. Odesi orrendo
Sotto i colpi il crosciar delle mascelle ,
E da tutte le membra il sudor piove.
Il terribile Epéo con improvvisa
Furia si scaglia all'avversario ; e mentre
Questi bada a mirar dove ferire ,
Epéo la guancia gli tempesta in guisa ,
Che il meschin più non regge, e, balenando,
288 ILIADE v. 876-908
Con tutto il corpo si rovescia in terra.
Qual di Borea al soffiar l'onda sul lido
Gitta il pesce talvolta , e lo risorbe ;
Tale l'invitto Epéo stese al terreno
Il suo rivale , e tosto generosa
La man gli porse , e il rïalzò. Pietosi
Accorsero del vinto i fidi amici ,
Che fuor del circo lo menâr gittante
Atro sangue , e i ginocchi egri traente
Col capo spenzolato ; ed in disparte
Condottolo, il posar de sensi uscito ;
Ed altri intorno gli restaro, ed altri
A tor ne giro la ritonda coppa.
Tronco ogn'indugio, Achille il terzo giuoco
Propose, il giuoco della dura lotta ,
E de' premj fe' mostra : al vincitore
Un tripode da fuoco, e a cui di dodici
Tauri il valore dagli Achei si dava ;
Ed al perdente una leggiadra ancella ,
Quattro tauri estimata , e che di molti
Bei lavori donneschi era perita.
Rizzossi Achille; e, a quegli eroi rivolto ,
Sorga , disse , chi vuole in questo ludo
Del suo valor far prova. Immantinente
Surse l'immane Telamonio Ajace ,
E il saggio mastro delle frodi Ulisse.
Nel mezzo della lizza entrambi accinti
Presentarsi ; e, stringendosi a vicenda,
Colle man' forti s'afferrár, siccome
Due travi che valente architettore
Congegua insieme a sostener d'eccelso
Edificio il colmigno, agli urti invitto
Degli aquiloni. Allo stirar de' validi
v. 909-941 LIBRO XXII . 289
Polsi intrecciati scricchiolar si sentono
Le spalle , il sudor gronda , e spessi appajono
Pe' larghi dossi e per le coste i lividi
Rosseggianti di sangue. Ambi del tripode
A tutta prova la conquista agognano ;
Ma nè Ulisse può mai l'altro dismuovere
E atterrarlo, nè il puote il Telamonio ;
Chè del rivale la gran forza il vieta.
Gli Achei nojando omai la zuffa , Ajace
All'emolo guerrier fe' questo invito :
Nobile figlio di Laerte , in alto
Sollevami , o sollevo io te : del resto
Abbia Giove la cura. E così detto,
L'abbranca , e l'alza. Ma di sue malizie
Memore Ulisse col tallon gli sferra ,
Al ginocchio di retro ove si piega ,
Tale un subito colpo, che le forze
Scioglie ad Ajace , e resupino il gitta
Con Ulisse sul petto. Alto levossi
De' riguardanti stupefatto il grido.
Tento secondo il sofferente Ulisse
Alzar da terra l'avversario ; e alquanto
Lo mosse ei sì , ma non alzollo. Intanto
L'altro gl'impaccia le ginocchia in guisa
Che sossopra ambedue si riversaro
E lordársi di polve. E già risurti
Saríano al terzo paragon venuti ,
Se il figlio di Peléo, levato in piedi,
Non l'impedía, dicendo : Oltre non vada
La tenzon , nè vi state , o valorosi ,
Aconsumar le forze. Ambo vinceste ,
E v'avrete egual premio. Itene ; e resti
Agli altri Achivi libero l'aringo.
ILIADE , Vol. 11. 13
290
ILIADE v. 942-974
Obbedîr quegli al detto ; e, dalle membra
Tersa la polve , ripigliâr le vesti.
Pose , ciò fatto, i premj alla pedestre
Corsa : al primo un cratére ampio d'argento,
Messo a rilievi , contenea sei metri ,
Ne al mondo si vedea vaso più bello,
Era d'industri artefici sidonj
Ammirando lavoro, e per l'azzurre
Onde ai porti di Lenno trasportato
L'avean fenicj mercatanti, e in dono
Cesso a Toante. A Pátroclo poi diello
Il Giasónide Eunéo, prezzo del figlio
Di Príamo, Licaone: ed or l'espose
Premio il Pelíde al vincitor del corso
In onor dell'amico. Un grande e pingue
Tauro al secondo; all'ultimo d'or mette
Mezzo talento, e ritto alza la voce :
Sorga chi al premio delle corse aspira,
E sursero di súbito il veloce
Ajace d' Oïléo, lo scaltro Ulisse ,
E il Nestóride Antíloco, il più ratto
De' giovinetti achei. Posti in diritta
Riga alle mosse , additò lor la meta
Il Pelíde , e diè il segno. In un baleno
S'avventar dalla sbarra , e innanzi a tutti
L'Oïlíde spiccossi : Ulisse a lui
Vicino si spingea quanto di snella
Tessitrice al sen candido la spola ,
Quando presta dall'una all'altra mano
La gitta, e svolge per la trama il filo,
E sull'opra gentil pende col petto :
Così l'incalza Ulisse , e col seguace
Piè ne preme i vestigi anzi che s'alzi
v. 975-1007 LIBRO XXIII. 291
Il polverío d'intorno ; e, sì correndo,
Gli manda il fiato nella nuca. Un grido
Sorge di plauso d'ogni parte , e tutti
Gli fan cuore alla palma a cui sospira.
Eran del corso omai presso alla fine ,
Quando a Minerva l' Itaco dal core
Mandò questa preghiera : Odimi , o Dea ,
E soccorri al mio piè. - La Dea l'intese ;
Gli fe' lievi le membra, i piè , le braccia;
E come fur per avventarsi entrambi
Ad un tempo sul premio, l'oïlíde,
Da Minerva sospinto, sdrucciolò
In lubrico terren sparso del fimo
De' buoi mugghianti, dal Pelide uccisi
Di Patroclo alla pira. Ivi il caduto
Nari e bocca insozzossi. Il precorrente
Divo Ulisse il cratére ampio si prese ,
E l'Oïlíde il bue. Della selvaggia
Fera il corno impugnò l'eroe doglioso ,
La lordura sputando, e fra la turba
Ruppe in questo lamento : Empio destino !
Per certo i piedi mi rubò la Dea
Che da gran tempo va d'Ulisse al fianco,
E qual madre sel guarda. - Accompagnaro
Tutti il suo cruccio con un dolce riso.
Ultimo giunto Antíloco, si tolse
L'ultimo premio; e, sorridendo, disse :
Amici , i numi , lo vedete , onorano
I provetti mortali . Ajace innanzi
Mi va di poca etade : Ulisse al tempo
De' nostri padri è nato ; e nondimeno
Egli è rubizzo e verde , e nullo al corso
Superarlo potría , tranne il Pelíde.
ILIADE 9. 1008-1040
292
Questo sol disse; e l'esaltato Achille
Cosi rispose : Antíloco, non fia
Detta invan la tua lode : Eccoti d'oro
Altro mezzo talento. - E, si dicendo,
Gliel porse, e quegli giubilando il prese.
Dopo cid , fe' recarsi , e nell'arena
Depose Achille una lunghissim'asta ,
Uno scudo ed un elmo, armi rapite
Già da Patroclo a Sarpedonte ; e, ritto
Nel mezzo degli Achei , Vogliamo, ei disse ,
Che per l'esposto guiderdone armati
Due guerrier' de' più forti con acuto
Tagliente acciar davanti all'adunanza
Combattano . Chi pria punga la pelle
Dell'avversario, e, rotte l'armi , il sangue
Ne tragga , avrassi questo brando in dono
Di tracia lama , e bello e tempestato
D'argentei chiovi. Di quest'arme io stesso
Asteropéo spogliai. L'altre saranno
Premio comune. Ai combattenti io poscia
Nelle tende farò lauto banchetto .
Surse subitamente al fiero invito
Lo smisurato Telamonio Ajace ;
Surse del par l'invitto Diomede ,
E, armatisi in-disparte, ambo nel campo
Pronti alla pugna s'avanzar gli eroi
Con terribili sguardi. Alto stupore
Tutti occupava i circostanti Achei.
L'uno all'altro appressati, a fiero assalto
Si disserrâr tre volte , e tre alla vita
Impetuosi s'investir. Primiero
Ajace traforò di Diomede
Il rotondo brocchier, ma non la pelle
4. 1041-1073 LIBRO XXIII. 293
Dall'usbergo difesa. Indi il Tidíde
Sopra la penna dello scudo all'altro
Spinse rapido l'asta , e nella strozza
Gliel' appunto. D'Ajace al fier periglio
Spaventarsi gli Achivi ; e della pugna
Gridar la fine , e premio ugual. Ma il brando
Col bel cinto l'eroe diello al Tidíde.
Grezzo, qual già dalla fornace uscío,
Un gran disco il Pelíde allor nel mezzo
Collocò. Lo solea l' immensa forza
Scagliar d'Eezïone ; a costui morte
Diè poscia il divo Achille , e nelle navi
Con altre spoglie si portò quel peso.
Ritto alzossi , e gridò : Sorga chi brama
Così bel premio meritarsi. In questo
Il vincitor s'avrà per cinque interi
Giri di Sole di che all'uopo tutto
Provveder de' suoi campi anche remoti :
Nè suoi bifolchi nė pastori andranno
Per bisogno di ferro alla cittade ;
Chè questo ne darà quanto è mestiero.
Levossi il bellicoso Polipete ;
Levossi Leontéo, forza divina ;
Levossi Ajace Telamonio, e seco
Il muscoloso Epéo. Locârsi in fila ;
E primo Epéo scagliò l'orbe rotato,
Ma sì mal destro , che ne rise ognuno.
Il rampollo di Marte, Leontéo,
Fu secondo a lanciar, terzo il gran figlio
Di Telamone , che con man robusta
Ogni segno passo ; quarto alla fine
Con fermo polso Polipete il disco
Afferrò. Quanto lungi un pastorello
294 ILIADE ν. 1074-1105
Gitta il vincastro che, rotato in alto,
Vola sopra l'armento ; andò di tanto
Fuor del circo il suo tiro. Applause tutto
Il consesso : affollarsi i fidi amici
Del forte Polipete , e alla sua nave
Portår del disco la pesante massa.
Invitò quindi i saettieri , e in mezzo
Dieci bipenni espose e dieci accette :
E piantato lontano nell'arena
Un albero navale , avvinse a questo
Con sottil fune al piede una colomba ,
Segno alle frecce. Le bipenni prenda
Chi l'augel coglie , e le si porti. Quello
Che il fallisca, e a toccar vada la fune,
Essendo inferior, s'abbia l'accette.
Ciò detto appena , presentossi il forte
Re Teucro, e Merïon d'Idomenéo
Prode sergente; e, in un sonoro elmetto
Agitate le sorti , uscì primiero
Teucro, e tosto lo stral tirò di forza.
Ma perchè non avea votata a Febo
Di primo-nati agnelli un'ecatombe ,
Sfalli Paugello (chè tal lode il Dio
Gl'invidïò ) ; sol colse al piè la fune
Che legato il tenea. Tagliolla il dardo;
Libera la colomba a volo alzossi
Per lo cielo , e fuggì ; cadde la fune ,
E di plausi sonar s'udía l'arena.
Ratto allora di mano a Teucro tolse
Merïon l'arco, e ben presa la mira
Colla cocca sul nervo, al saettante
Nume promise un'ecatombe ; e in alto
Adocchiata la timida colomba,
ν. 1107-1333 LIBRO XXIII . 295
Che in vario giro s'avvolgea , la colse
Sotto l'ala. Passolla il dardo acuto ,
E ricadde , e s'infisse alto nel suolo
Di Merïone al piè. Ma la ferita
Colomba si posò sovra l'antenna ;
Stese il collo, abbassò l'ali diffuse ;
E dal corpo volata la veloce
Alma , dal tronco piombò. Stupefatte
Guardavano le turbe. Allor si tolse
Le scuri Merïon , Teucro l'accette.
Produsse Achille all'ultimo nel mezzo
Una lunga lunga asta , ed un lebete
Non violato dalle fiamme ancora ,
Del valore d'un tauro, e sculto a fiori ,
Premio alla prova delle lance. Alzossi
L'ampio-regnante Atride Agamennóne
E il compagno fedel del re cretese
Merïon . Ma levatosi il Pelíde ,
Trasse innanzi , e parlò : Figlio d'Atréo ,
Sappiam noi tutti come tutti avanzi
E nel vibrar dell'asta e nella possa.
Prenditi dunque questo premio, e il manda
Alla tua nave. A Merïon daremo,
Se il consenti , la lancia : ed io ten prego.
Acconsenti l'Atride. A Merïone
Diede Achille la lancia , ed all'araldo
D'Agamennón lo splendido lebete.
ILIADE
LIBRO VENTESIMOQUARTO
ARGOMENTO
Achille prosegue a fare strazio del corpo di Ettore.
Parole dei Numi . Teti è mandata da Giove per-
chè imponga all' eroe di acconsentire la restitu-
zione del cadavere. Iride , spedita da Giove me-
desimo, scende in Troja e comanda a Priamo che
si rechi alle navi de' Greci e riscatti da Achille
coi doni il corpo del figlio. Priamo, non curando
le rimostranze della moglie, si accinge alla parten-
za. Mercurio , presa la figura di un giovanetto ,
gli si fa incontro fucri di Troja , e salito sul suo
carro gli è di scorta fino all' alloggiamento d' A-
chille. Priamo è al cospetto dell'eroe. Loro collo-
quio. Il corpo di Ettore è consegnato al padre.
Ritorno di Priamo. Lamenti di Andromaca , di
Ecuba e di Elena. Funerali di Ettore.
Finiti i ludi , s'avviär le sciolte
Turbe alle navi per diverse vie ;
E, preso il cibo , a placido riposo
S'abbandonar. Ma memore il Pelíde
Dell'amato compagno, in nuovo pianto
Scioglieasi , nè serrar poteagli il sonno,
Di tutte cure domator, le ciglia.
Di qua , di là si rivolgea, membrando
Il valor di Patróclo, e la grand'alma ,
v. 10-42 ILIADE . LIB . XXIV . 297
E le comuni imprese , e i tollerati
Guerrieri affanni insieme , e i perigliosi
Trascorsi flutti. E in queste ricordanze
Dirottamente lagrimava , ed ora
Giacea su i fianchi , or prono , ora supino ;
Poi di repente in piè balzato errava
Mesto sul lido . E quando i campi e l'onde
Illumina l'Aurora , egli di nuovo,
Aggiogati i corsier' , di retro al cocchio
Ettore avvince ; e, trattolo tre volte
Di Pátroclo dintorno al monumento,
A riposar si torna entro la tenda ,
Boccon lasciando nella polve steso
L'esangue corpo. Ma del morto eroe
Impietosito Apollo ogni bruttura
Ne tien rimossa , e tutto coll'aurata
Egida il copre , perchè nulla offesa
Lo strascinato corpo ne riceva.
Visto del divo Ettór lo strazio indegno,
Pietà ne venne ai fortunati Eterni ,
E il vegliante Argicida ad involarlo
Incitando venían. Questo di tutti
Era il vivo desío, ma non di Giuno,
Nè di Nettunno, nè dell'aspra vergine
Dall'azzurre pupille. Alto riposta
Nella mente sedea di queste Dive
Di Paride l'ingiuria , e la sprezzata
Lor beltade quel dì che a lui venute
Nel suo tugurio, ei preferi lor quella
Che di funesto amor contento il fece.
Quindi l'odio immortal delle superbe
Contro le sacre iliache mura , e Príamo
E tutta insieme la dardania gente.
13
*
298 ILIADE
ν. 43-75
Ma il duodecimo Sole apparso al mondo ,
Febo agli Eterni cosi prese a dire :
Numi crudeli , che vi fece Ettorre?
Forse che su gli altari a voi non arse
Edi mugghianti e di lanosi armenti
Vittime elette ei sempre ? Ed or che fiera
Morte lo spense , che furor s'è questo
Di non renderne il corpo alla consorte ,
Alla madre , al figliuolo, al genitore ,
Al popol tutto, acciò che tosto ei s'abbia
L'onor del rogo é della tomba ? E tante
Onte a qual fine? Per servir d'Achille
Alle furie; d'Achille, a cui nel seno
Nè amor del giusto nė pietà s'alberga ,
Ma cuor selvaggio di lion che, spinto
Dall'ardir, dalla forza e dalla fame,
Il gregge assalta a procacciarsi il cibo .
Tale il Pelíde gitto via dal petto
Ogni senso pietoso, e quel pudore
Che l'uom castiga co' rimorsi e il giova.
Perde taluno ancor più cari oggetti ,
Il fratello od il figlio : e nondimeno,
Finito il pianto, al suo dolor dà tregua;
Chè nell'uom pose il Fato alma soffrente.
Ma non sazio costui della già spenta
Vita d'Ettorre , al carro il lega, e morto
Pur dintorno alla tomba lo strascina
Dell'amico. Non è questo per lui
Nè utile nè bello e badi il crudo
Che , quantunque si prode , egli le nostre
Ire non desti infurïando, e tanta
Onta facendo a un' insensibil terra.
Tacque ; e irata Giunon così rispose :
v. 76-108 LIBRO XXIV . 299
Se d'Ettore e d'Achille a una bilancia
L'onor dee porsi , e cosi piace ai numi ,
S'adempia , o re dell'arco, il tuo discorso.
Ma di padre mortale Ettore è figlio,
E mortal poppa l'allattò. Divino
Germe è il Pelíde , ed io nudría la Diva
Sua madre , io stessa l'educava , e sposa
La concessi a Peléo, diletto ai numi.
Voi tutti a quelle nozze , o Dei , scendeste ,
E tu medesmo, o disleal compagno
De' malvagi , toccasti allor la cetra ,
E misto agli altri banchettasti allegro.
Contro gli Dei non adirarti , o Giuno ,
L'interruppe il Tonante. Eguale onore
Dar non vuolsi , no certo, ai due guerrieri ;
Ma carissimo ai numi era pur anco
Tra i Teucri tutti Ettorre , è a Giove in prima.
Ostie elette mai sempre egli m'offerse ,
Nè l'are mie per esso ebber difetto
Mai di convivj , nè di pingui odori ,
Nė di tazze libate ; onor che solo
Ai Celesti è sortito. Ma si ponga
Ogni pensiero d'involar l'offeso
Cadavere ; e sottrarlo ora di ſurto
Al fiero Achille non si può, chè Teti
Notte e di gli è dintorno e tutto osserva.
Pur se alcuno di voi Teti a me chiami ,
lo tale un motto le farò discreto,
Che tutti accetterà di Príamo i doni
Placato Achille , e renderagli il figlio.
Disse; ed Iri col piè che le tempeste
Nel corso adegua , si spiccò. Fra Samo
E l'aspra Imbro calò sovra le brune
300 ILIADE v. 109-141
Onde del mare , e il mar sotto le piante
Della Diva muggía. Quindi s'immerse
Come ghianda di piombo che a bovino
Corno fidata a disertar giù scende
I crudivori pesci ; e in cavo speco
Teti trovò che, dalle sue sorelle
Circondata , piagnea la già vicina
Morte del figlio che ne' frigj campi
Perir lungi dovea dal patrio lido .
Le parve innanzi all'improvviso , e disse:
Sorgi , o Teti : il gran padre a se ti chiama.
E che vuole da me l'Onnipotente ?
Teti rispose . Afflitta , come sono,
Di mischiarmi arrossisco agl' Immortali.
Pur vadasi e s'adempia il suo volere.
Ciò detto, si copri l'augusta Diva
D'un atro vel', di che null'altro il nero
Color lugúbre eguaglia , e in via si mise.
Iva innanzi la presta Iri , e sonora
Intorno a lor s'apría l'onda marina .
Sul lido emerse , al ciel volaro ; e Giove
Trovår seduto tra gli accolti Eterni.
Qui Teti accanto al sommo Iddio s'assise
(Cesso a lei da Minerva il proprio seggio) :
Un aureo nappo in man Giuno le pose
Con dolci accenti di conforto ; ed ella
Vôtollo, e il rese graziosa. Allora
Il gran padre dicea queste parole :
Teti , malgrado il tuo dolor (ch'io tutto
Ben conosco e so quanto il cor t'aggrava) ,
Tu salisti all'Olimpo ; ed io dirotti
La cagion del chiamarti. È questo il nono
Giorno che in cielo si desto tra i numi
v. 142-174 LIBRO XXIV. 301
Pel morto Ettor gran lite e per Achille.
Voleano i più che l'Argicida il corpo
N'involasse di furto . Io non v'assento
E per l'onor d'Achille , e pel rispetto
E per l'amor ch'io t'aggio e aver ti voglio
Eternamente. Frettolosa adunque
Scendi , o Diva , sul campo , e al figlio porta
I miei precetti. Digli che adirati
Son con esso gli Dei ; ch' io stesso il sono
Sovra tutti , da che si furibondo
Agli strazj ei rattien l'ettórea salma ,
E per riscatto non la rende ancora.
Ma renderalla , se il mio cenno ei teme.
A Priamo intanto io spedirò di Giuno
La messaggiera , ond'egli immantinente
Ito alle navi degli Achei , co' doni
Plachi il Pelíde , e il figlio suo redima.
Obbedïente a quel parlar la Diva
Mosse i candidi piedi , e dall ' Olimpo
Scese d'un salto al padiglion d'Achille.
Il trovò sospiroso ; affaccendati
A lui dintorno i suoi diletti amici
Apprestavan la mensa , ucciso un grande
E lanoso arïéte. Entrò, s'assise
Dolce al suo fianco la divina madre ,
Accarezzollo colla destra , e disse :
E fino a quando, o figlio, in pianti e lutti
Ti struggerai , immemore del cibo,
E deserto nel letto ? Eppur di cara
Donna l'amplesso il cor consola : il tempo,
Ch' a me vivrai , gli è breve , e violenta
Già t'incalza la Parca. Or via , m'ascolta ;
Ch'io di Giove a te vengo ambasciatrice.
302 ILIADE ν. 175-207
I numi , ed esso primamente , sono
Teco irati , perchè nel tuo furore
Ostinato rițieni appo le navi
D'Ettore il corpo, e al genitor nol rendi.
Rendilo , e il prezzo del riscatto accetta.
E ben , rispose sospirando Achille ,
Venga chi lo redíma e via sel porti ,
Se tal di Giove è l'assoluto impero.
Mentre in questo parlar stassi col figlio
La genitrice Dea dentro la tenda ,
Giove alla sacra Troja Iri spedía .
Su , t'affretta , veloci Iri , e dal cielo
Vola in Ilio, ed a Priamo comanda
Che alle navi si tragga e seco apporti
A riscatto del figlio eletti doni ,
Onde si plachi del Pelíde il core.
Ma solo ei vada; nè verun lo scorti
De' Teucri , eccetto un attempato araldo
Che d'un plaustro mular segga al governo ,
Su cui la salma dal Pelíde uccisa
Alla cittade trasportar : nè tema
Di morte il cor gli turbi o d'altro danno .
Gli darem l'Argicida a condottiero ,
Che fin d'Achille al padiglion lo guidi.
L'eroe vedrallo al suo cospetto, e lungi
Dal porlo a morte , terrà gli altri a freno ;
Ch'ei non è stolto nè villan nè iniquo,
E benigno farassi a chi lo prega .
Ratta, come del turbine le penne ,
Parti la Diva messaggiera ; e, a Príamo
Giunta , il trovò tra pianti e grida. I figli
Dintorno al padre dolorusi accolti
Inondavan di lagrime le vesti.
ν. 208-240 LIBRO XXIV . 303
Stavasi in mezzo il venerando veglio
Tutto chiuso nel manto, ed insozzato
Il capo e il collo dell' immonda polre ,
Di che bruttato di sua mano ei s'era,
Sul terren voltolandosi . La turba
Delle misere figlie e delle nuore
Empiea la reggia d'ululati , e quale
Ricordava il fratel , quale il marito,
Chè valorosi e molti eran caduti
Sotto le lance degli Achei. Comparve
Improvvisa davanti al re canuto
La ministra di Giove ; e a lui, che tutto
Al vederla tremo, dicea sommesso :
Príamo, fa core , nè timor ti prenda .
Nunzia di mali non vengh'io, ma tutta
Del tuo meglio bramosa . A te mi manda
L'Olimpio Giove che lontano ancora
Su te veglia pietoso. Ei ti comanda
Di redimere il figlio, e recar molti
Doni ad Achille per placarlo. A lui
Vanne adunque , ma solo, e che nessuno
T'accompagni de' Troi , salvo un araldo
D'età provetta , reggitor del plaustro
Che il corpo trasportar del figlio ucciso
Ti dee qua dentro: nè temer di morte
O d'altra offesa . Condottiero avrai
L'Argicida che te fino al cospetto
D'Achille scorterà. Lungi l'eroe
Dal trucidarti , terrà gli altri a freno .
Ei non è stolto ne villan nė iniquo,
E benigno farassi a chi lo prega .
Disse , e sparve. Riscosso il re dolente ,
Senza punto indugiarsi , ai figli impone
304 ILIADE 9. 241-274
D'apprestargli il mular plaustro veloce ,
E di legar su quello una grand'arca.
Indi salito ad un'eccelsa stanza
Odorosa di cedro, ov'egli in serbo
Tenea di molti prezïosi arredi ,
Chiamò dentro la moglie Ecuba , e disse :
Infelice , m'ascolta : la celeste
Messaggiera recommi or or di Giove
Un comando. Egli vuol che degli Achei
M'incammini alle navi , ed al Pelíde
Il prezzo io porti del diletto figlio.
Che ne senti ? A quel campo, a quelle tende
Certo mi spinge fortemente il core.
Ululò la consorte , e gli rispose :
Misera ! ahi dove ti fuggi quel senno
Che alle tue genti e alle straniere un giorno
Glorioso ti fea? Solo alle navi
Inimiche avvïarti ? esporti solo
Alla presenza di colui che tanti
Figli t'uccise ? oh cuor di ferro ! e quale ,
S'ei ti scopre , se cadi in suo potere ,
Qual mai pietade o riverenza speri
Da quell'alma crudele e senza fede ?
Deh! piangiamlo qui soli. Era destino
Dalle Parche filato all'infelice ,
Quand'io meschina il partorii , che lungi
Dai genitori satollar dovesse
D'un barbaro i mastini. Oh potess' io
Stretto tenerne fra le mani il core ,
E strazïarlo, divorarlo ! Allora
Del mio figlio saría sconta l'offesa ;
Ch'ei da codardo non mori , ma in campo
Per la patria pugnando, e fermo il piede,
Senza smarrirsi o declinar la fronte.
v. 275-307 LIBRO XXIV. 305
Cessa , il vecchio riprese : il mio partire
È risoluto ; non mi far ritegno ;
Non volermi tu stessa esser funesta
Auguratrice : il distornarmi è vano.
Se mi desse un mortal questo comando ,
O aruspice o indovino o sacerdote ,
Lo terremmo menzogna , e spregeremmo ;
Ma vidi io stesso, io stesso udii la Diva.
Dunque si vada, ed obbediam. Se il Fato
Vuol che fra' Greci io pera , io pure il voglio.
Morrò trafitto, ma stringendo il figlio,
E tutto il dolce esaurirò del pianto.
Apri , ciò detto, i bei forzieri, e fuora
Dodici ne cavo splendidi pepli,
Ed altrettante clamidi e tappeti
E tuniche ed ammanti , e dieci insieme
Anrei talenti , due forbiti tripodi ,
Quattro lebeti , e finalmente un nappo
Bellissimo, dai Traci avuto in dono
Quando andovvi orator, raro presente :
E nondimen di questo pure il veglio
Si fe' privo : cotanto al cor gli preme
Il riscatto del figlio. Uscito ei quindi ,
Tutto discaccia de' Trojani il vulgo
Ai portici raccolto, e acerbo grida:
Via , perversi , di qua : forse vi manca
Domestico dolor, chè qui venite
Ad aggravarmi il mio ? forse n'è poco
L'alto affanno in che Giove mi sommerse ,
Il più forte togliendomi de' figli ?
Ma voi medesmi vel saprete in breve ,
Voi che senza difesa , or ch'egli è morto,
Sotto le spade degli Achei cadrete.
306 ILIADE ν. 308-340
Ma deh ! pria che veder Troja distrutta,
Deh ! ch'io discenda alla magion di Pluto .
Cosi grida il tapino ; e con lo scettro
Fuor ne mette la turba che sommessa
Si dileguava. Irrequïeto poscia
I suoi figli bravando li rampogna ,
Eleno e Pari e Antífono e Pammone
E l'illustre Agatone e il prode in guerra
Buon Polite e Dëíſobo ed Agávo,
Di divina sembianza giovinetto,
Ed Ippotóo . Si volge a questi nove
Con acerbi rabbuffi il doloroso ;
E , Studiatevi , grida : a che vi state ,
Nequitosi infingardi ? oh foste tutti
Spenti in vece d' Ettorre ! Oh me infelice !
Re dell'eccelsa Troja io generai
Fortissimi figliuoli , e nullo in vita
Ne rimase . Caduto è il dëiforme
Mio Méstore ; caduto è il bellicoso
Tróilo, di cocchi agitatore ; ed ora
Ettore cadde, quell'Ettor che un Dio
Fra' mortali parea ; no , d'un mortale
Figlio ei non parve , ma d'un Dio. La guerra
Mi tolse i buoni , e mi lasciò cotesti
Vituperj ; sì voi , prodi soltanto
Alle danze , agl' inganni , alle rapine.
Su , che si tarda ? Apparecchiate il carro ;
Ponetevi que' doni , e vi spedite,
Onde senza più starmi io m'incammini.
Rispettosi al garrir del genitore
Corser quelli, e dier ſuora incontanente
L'agile plaustro tutto nuovo e bello ,
E una grand'arca vi legår di sopra.
v. 341-373 LIBRO XΧΙV. 307
Indi un giogo mulin di bosso, ornato
D'un umbilico con anel ben messo,
Dal pïuoło spiccâr : poscia di nove
Cubiti tratta la giogal gombina ,
Al capo accomodar del liscio temo
Acconciamente il giogo ; e, sovrapposto
Alla caviglia del timon l'anello ,
Con triplicato giro all'umbilico
L'avvinghiar quinci e quindi ; e, fatto un nodo,
Della gombina ripiegar la punta
Nella parte di sotto. Ciò finito,
Giù recar dalla stanza i destinati
Doni al riscatto dell'ettórea testa ,
Immensi doni ; e sul pulito plaustro
Gl'imposero , e del plaustro al giogo addussero
Senza ritardo due gagliarde mule ,
De' Misj illustre dono al re trojano.
Quindi allestiti, presentaro al padre
Del regale suo cocchio i corridori ,
Cui Príaino stesso governar solea
Ne' nitidi presepj ; ed or gli accoppia
Ei medesmo alla biga il mesto veglio
Sotto i portici eccelsi, esso e il suo fido
Araldo, entrambi pensierosi e muti.
Féssi allor la dolente Ecuba incontro
Al re marito, nella man tenendo
Di soave licore un aureo nappo ,
Onde ai numi libasse anzi il partire.
Stette avanti ai corsieri ; e, Tien, gli disse ;
Liba a Giove , e lo prega che ti voglia
Dai nemici tornar salvo al tuo tetto ;
Poichè, malgrado il mio dissenso, hai ferma
La tua partenza. Or tu la supplicante
308 ILIADE v. 374-406
Voce innalza all'idéo Giove nemboso,
Che d'alto guarda la cittade, e chiedi
Che messaggier ti mandi alla diritta
Quel fortissimo suo veloce augello
Sovra tutti a lui caro, onde tal vista
Il tuo viaggio affidi al campo acheo.
Se il Dio ricusa d'invïarti questo
Suo propizio messaggio, io ti scongiuro
Di non rischiar tuoi passi a quelle navi ,
E di dar bando al fier desío che porti .
Facciasi , o donna , il tuo voler, rispose
Il nobile vegliardo : ai numi è buono
Alzar le palme ed implorar mercede.
Disse; e all'ancella dispensiera impose
Di versargli una pura onda alle mani ;
E l'ancella apprezzossi ; e, colla manca
Sostenendo il bacin , versò coll'altra
Da tersa idria l'umor. Lavato, ei prese
L'offerta coppa , e ritto in piè nel mezzo
Dell'atrio, in atto supplicante alzati
Gli occhi al cielo, libò con questi accenti :
Giove massimo Iddio, che glorioso
Dall' Ida imperi , fa che grato io giunga
Ad Achille , e pietà di me gl' inspira.
Mandami a dritta il tuo veloce e caro
Re de' volanti, e ch'io lo vegga: e certo
Per lui del tuo favore, alle nemiche
Tende i miei passi volgerò sicuro.
Esaudi Giove il prego ; e il più perfetto
Degli augurj mandò, l'aquila fosca ,
Cacciatrice, che detta è ancor la Bruna.
Larghe , quanto la porta di sublime
Stanza regal, spiegava il negro augello
0. 407-439 LIBRO XXIV. 309
Le sue vaste ali, dirigendo a destra
Sulla cittade il volo . Esilarossi
A tutti il core nel vederla. Il veglio
Montò il bel cocchio frettoloso, e fuora
Dei risonanti portici lo spinse.
Traenti il plaustro precedean le mule
Dal saggio Idéo guidate , e lo seguiéno
Della biga i corsier' che il re canuto
Per l'ampie strade colla sferza affretta.
L'accompagnan piangendo i suoi più cari ,
Come se a morte ei gisse. Alfin venuti
Alle porte , lasciarsi. Il re discese
Verso il campo nemico, e lagrimosi
Nella cittade ritornarsi i figli.
Vide Giove dall'alto i due soletti
Pellegrini inoltrarsi alla pianura.
Pietà gli venne dell'antico sire ,
E a Mercurio parlò : Diletto figlio,
Tu che guida ai mortali esser ti piaci,
Epietoso gli ascolti, va veloce,
Ed alle navi achee Príamo conduci
Occulto in guisa che nessuno il vegga
De' vigilanti Argivi e se n'accorga ,
Pria che d'Achille alla presenza ei sia.
Mercurio ad obbedir tosto s'accinge
I precetti del padre. E prima ai piedi
I bei talari adatta. Ali son queste
D' incorruttibil auro, oud'ei, volando,
L'immensa terra e il mar ratto trascorre
Collo spiro de' venti . Indi la verga ,
Che dona e toglie a suo talento il sonno,
Nella destra si reca , e scioglie il volo.
In un batter di ciglio all'Ellesponto
310 ILIADE P. 440-472
Giunge e al campo trojan. Qui prende il volto
Di regal giovinetto a cui fioría
Del primo pelo la venusta guancia ;
E, cosi fatto, il nume s' incammina.
Già Príamo con Idéo d' Ilo la tomba
Avea trascorsa , e qui sostato alquanto,
Alla chiara corrente abbeverava
E le mule e i destrier' . L'ombra notturna
Sulla terra scendea , quando l'araldo
Del nume s'avvisò che alla lor volta
Già s'appressava , e sbigottito disse :
Bada , o re ; qui si vuol tutta prudenza.
Veggo un nemico, e siam perduti. O ratto
Diamci in fuga, o abbracciam le sue ginocchia
Implorando pietà. - Smarrissi il veglio ;
Il terror gli arricciò su le canute
Tempie le chiome ; il brivido gli corse
Per le tremule membra ; e stupidito
S'arresto. Ma si fece innanzi il nume ,
E, presolo per mano , interrogollo :
Dove, o padre, dirigi esti corsieri
Così pel bujo della dolce notte
Mentre gli altri han riposo ? E non paventi
I furibondi Achei , che ti son presso ,
Fieri nemici ? Se qualcun di loro
Per l'ombra oscura portator ti coglie
Di quei tesori , che farai ? Garzone
Tu non sei , nè cotesto che ti segue ,
Onde far petto a chi t'assalti infesto.
Ma di me non temer; ch'io qui mi sono
In tuo danno non già, ma in tua difesa ;
Perocchè come padre a me sei caro .
E Príamo a lui : La va, come tu dici ,
v. 473-505 LIBRO XXIV . 311
Mio dolce figlio. Ma propizio ancora
Tien su me la sua mano un qualche iddio,
Che tal mi manda della via compagno
Ben augurato, come te , di corpo
Bello e di volto, e di mirando senno,
E di beati genitor' germoglio.
Gli è ver, ti guarda un Dio, siccome avvísi
(Ripiglia il nume ) ; ma rispondi , e schietto
Parlami il vero : in region straniera
Porti tu forse , per salvarli , questi
Preziosi tesori ? O forse tutti
Di spavento compresi abbandonate
La città , da che spento è il tuo gran figlio
Che a nullo Achivo di valor cedea?
Oh ! chi se' tu ? riprese intenerito
L'esimio rege ; chi se' tu che parli
Del mio morto figlmol così cortese ?
E chi son dunque i tuoi parenti , o care ?
Allor Mercurio : Tu mi tenti , o veglio,
Col tuo dimando. Or ben : nella battaglia
Onoratrice de' guerrieri io vidi
Con quest'occhi più volte il divo Ettorre ,
Massimamente il dì che degli Achei
Strage egli fece col fulmineo ferro,
Cacciandoli alle navi. Ad ammirarlo
Noi fermi ci stavam ; chè irato Achille
Col sommo Atride a noi non consentía
L'entrar dentro alla mischia. Io suo soldato
Qua ne venni con esso in una stessa
Nave : di schiatta Mirmidóne io sono;
Polítore m'è padre : a lui son molte
Ricchezze e molta età pari alla tua,
E settimo de' figli io fui sortito
312 ILIADE ν. 506-538
A questa guerra. Esplorator del campo
Or qui ne venni ; perocchè dimani
Di buon tempo gli Achivi alla cittade
Daran l'assalto. Di riposo ei sono
Tutti sdegnosi , e contenerne il fiero
Desío di pugna più non ponno i ducí.
Udito questo, replicò de' Teucri
L'augusto sire : Se davver soldato
1
Del Pelíde tu sei , tutto deh ! fanmi
Palese il vero. Il mio figliuol giac'egli
Per anco intero nelle tende , o fatto,
Misero ! in brani , lo gittò pastura
De' suoi mastini l'uccisor ? - No, pronto
L'Argicida rispose : ei giace intatto
Tuttavía dalle belve appo la nave
Capitana d'Achille entro la tenda
Senza segno d'onor. La dodicesra
Luce rifulse sul giacente , e ancora
Il suo corpo è incorrotto , ed il vorace
Morso de' vermi, che gli estinti in guerra
Tutti consuma , il figlio tuo rispetta .
Vero gli è ben che dell'amico intorno
Alla tomba , col sorgere dell'alba ,
Spietatamente Achille lo strascina ;
Nè per ciò giunge a deturparlo ; e quando
Tu medesmo il vedessi , maraviglia
Ti prenderebbe nel trovarlo tutto
Mondo dal tabo e fresco e rugiadoso,
In ogni parte intégro , e le ferite ,
Che molte ei n'ebbe , tutte chiuse : tanto
Gl'iddii beati , a cui diletto egli era ,
Dell'estinto tuo figlio ebber pensiero .
Gioinne il vecchio , e replicò : Per certo
v. 539-571 LIBRO XXIV. 313
Torna in gran bene agl'Immortali offrire
Ogni debito onor, nè il mio figliuolo,
Finchè si visse , degli Dei gli altari
Dimentico. Quind'essi alla sua morte
Ricordarsi di lui. Ma tu ricevi ,
Deh ! ricevi da me questo bel nappo ;
Custodiscilo, e, fausti i sommi Dei ,
Del Pelíde alla tenda m'accompagna .
Buon vecchio , replicò con un sorriso
L'Argicida , tu tenti l'inesperta
Mia giovinezza , ma la tenti in vano .
Inscio Achille , non fia che doni io prenda,
Temo il mio duce , e più il rubar ; nė voglio
Che guajo me n'incolga. Io scorterotti
Cosi pur senza doni e di buon grado,
E per terra e per mar, come ti piace ,
Auche d'Argo alle rive , nè veruno
Su te le mani metterà , me duce.
Cosi detto, balzò sopra la biga ;
E alle man' date col flagel le briglie
Ne' cavalli trasfuse e nelle mule
Una gagliarda lena. Eran già presso
Delle navi alle torri ed alla fossa ,
E davano le scolte opra alle cene .
Tutte Mercurio addormentolle; e tosto,
Levatene le sbarre , apri le porte ,
E di Príamo la biga , e de béi doni
L'onusto carro v'introdusse. Il passo
Drizzar quindi d'Achille al padiglione ,
Che splendido e sublime i Mirmidóni
Gli avean costrutto di robusto abete .
Irsuto e spesso di campestri giunchi
Il culmine s'estolle : ampio di pali
ILIADE, Vol. II. 14
314 ILIADE v. 572-604
Folto steccato lo circonda , e sola
Una trave la porta n'assicura ,
Trave immensa , abetina , che a levarsi
E a riporsi di tre chiedea la forza ,
Ed il Pelíde vi bastava ei solo .
L'aperse il nume ; ed intromesso il vecchio
Co' recati ad Achille incliti doni ,
Scese d'un salto a terra , e così disse :
O Príamo, io sono il sempiterno iddio
Mercurio ; il padre mi spedi tua guida ,
E qui ti lascio; chè il menarti io stesso
Del Pelíde al cospetto , e tanto innanzi
Favorire un mortale , a un Immortale
Disconviensi . Tu entra ; ed , abbracciando
Le sue ginocchia , per la madre il prega
E pel padre e pel figlio, onde si plachi .
Sparve, ciò detto ; ed all'olimpie cime
Risali. Priamo scese, ed alla cura
De' cavalli lasciato e delle mule
L'araldo, s'avvio dritto d'Achille
Alle stanze riposte . Avea di Giove
L'eroe diletto in quel medesmo punto
Dato fine alla cena. I suoi sergenti
In disparte sedean . Soli al guerriero
Ministravano in piedi Automedonte
Ed Alcimo, di Marte almo rampollo.
Tolta non era ancor la mensa , e ancora
Sedeavi Achille. Il venerando veglio
Entro non visto da veruno; e tosto
Fattosi innanzi , tra le man' si prese
Le ginocchia d'Achille , e , singhiozzando,
La tremenda baciò destra omicida
Che di tanti suoi figli orbo lo fece.
. 605-637 LIBRO XXIV. 315
Come avviene talor se un infelice
Reo del sangue d'alcun del patrio suolo
Fugge in altro paese , e ad un possente
S'appresentando, i riguardanti ingombra
D'improvviso stupor ; tale il Pelíde
Del deiforme Priamo alla vista
Stupi. Stupiro e si guardaro in viso
Gli altri con muta maraviglia ; e allora
Il supplice così sciolse la voce :
Divino Achille, ti rammenta il padre ,
Il padre tuo da ria vecchiezza oppresso,
Qual io mi sono. In questo punto ei forse
Da' potenti vicini assedïato,
Non ha chi lo soccorra , e all'imminente
Periglio il tolga. Nondimeno, udendo
Che tu sei vivo, si conforta , e spera
Ad ogn'istante riveder tornato
Da Troja il figlio suo diletto. Ed io,
Miserrimo , io, che a tanti e valorosi
Figli fui padre , abi ! più nol sono, e parmi
Già di tutti esser privo. Di cinquanta
Lieto io vivea de' Greci alla venuta.
Dieci e nove di questi eran d'un solo
Alvo prodotti ; mi veníano gli altri
Da diverse consorti , e i più ne spense
L'orrido Marte. Mi restava Ettorre,
L'unico Ettorre , che de' suoi fratelli
E di Troja e di tutti era il sostegno ;
E questo pure, per le patrie mura
Combattendo, cadeo dianzi al tuo piede.
Per lui supplice io vegno, ed infiniti
Doni ti reco a riscattarlo . Achille !
Abbi ai numi rispetto, abbi pietade
316 ILIADE ν. 638-670
Di me : ricorda il padre tuo : deh ! pensa
Ch'io mi sono più misero, io che soffro
Disventura che mai altro mortale
Non soffri , supplicante alla mia bocca
La man premendo che i miei figli uccise.
A queste voci intenerito Achille ,
Membrando il genitor, proruppe in pianto ;
E preso il vecchio per la man , scostollo
Dolcemente. Piangea questi il perduto
Ettore ai piè dell'uccisore , e quegli
Or il padre , or l'amico, e risonava
Di gemiti la stanza . Alûn, satollo
Di lagrime il Pelíde , e ritornati
-
Tranquilli i sensi, si rizzò dal seggio,
E colla destra sollevo il cadente
Veglio, il bianco suo crin commiserando
Ed il mento canuto. Indi rispose :
Infelice! per vero alte sventure
Il tuo cor tollerò. Come potesti
Venir solo alle navi ed al cospetto
Dell'uccisore de' tuoi forti figli ?
Hai tu di ferro il core? Or via , ti siedi ,
E diam tregua a un dolor che più non giova.
Liberi i numi d'ogni cura al pianto
Condannano il mortal. Stansi di Giove
Sul limitar due dogli : uno del bene ;
L'altro del male. A cui d'entrambi ei porga ,
Quegli mista col bene ha la sventura .
A cui sol porga del funesto vaso ,
Quei va carco d'oltraggi , e lui la dura
Calamitade su la terra incalza ,
E ramingo lo manda é disprezzato
Dagli uomini e da' numi. Ebbe Peléo
ν. 671-703 LIBRO XXIV. 317
Al nascimento suo molti da Giove
Illustri doni. Ei ricco, egli felice
Sovra tutti i viventi, il regno ottenne
De' Mirmidóni, e una consorte Diva
Benchè mortale. Ma lui pure il nume
D'un disastro gravò . Nell'alta reggia
Prole negògli del suo scettro erede ,
Nè gli concesse che di corta vita
Un unico figliuolo: ed io son quello ;
Io che di lui già vecchio esser non posso
Dolce sostegno, e negl'ilíaci campi
Seggo lontano dalla patria , infesto
A' tuoi figli e a te stesso. E te pur anco
Udimmo un tempo, o vecchio , esser beato
Posseditor di quanta hanno ricchezza
Lesbo, sede di Mácare , e la Frigia
Ed il lungo Ellesponto. All'opulenza
Di queste terre numerosi figli
La fama t'aggiungea. Ma poichè i numi
In questa guerra ti cacciâr, meschino !
Ch'altro vedesti intorno alle tue mura
Che perpetue battaglie e sangue e morti ?
Pur datti pace, nè voler ch'eterno
Ti consumi il dolor. Nullo è it profitto
Del piangere il tuo figlio ; e pria che in vita
Richiamarlo, ti resta altro soffrire.
Deh ! non far ch'io mi segga, almo guerriero,
L'antico sire ripigliò : là dentro
Senza onor di sepolcro il mio diletto
Ettore giace : rendilo al mio sguardo ;
Rendilo prontamente, e i molti doni
Che ti rechiamo, accetta, e ne fruisci,
E díati il ciel di salvo ritornarti
318 ILIADE . 704-736
Al tuo loco natío, poichè pietoso
E la vita mi lasci e i rai del Sole.
Non m'irritar co' tuoi rifiuti, o veglio,
Bieco Achille riprese. Io stesso avea
Statuito nel cor che alfin renduto
Ti fosse il figlio ; perocchè la diva
Neréide mia madre a me di Giove
Già fe' chiaro il voler. Nè si nasconde
Al mio vedere, al mio sentir, che un nume
Ti fu scorta alle navi, a cui veruno
Mortal non fôra d'inoltrarsi ardito,
Nė le guardie ingannar, nè delle porte
Avría le sbarre disserrar potuto
Neppur di tutto il suo vigor nel fiore.
Con querimonie adunque il mio corruccio
Non rinfrescarmi , se non vuoi ti metta ,
Benché supplice mio, fuor della tenda,
E del Tonante trasgredisca il cenno.
Tremonne il vecchio, ed obbedi. Balzossi
Fuor della tenda allor come lione
Il Pelíde con esso i due scudieri
Automedonte ed Alcimo , cui, dopo
Il morto amico, tra' compagni egli ebbe
In più pregio ed amor. Sciolsero questi
I corsieri e le mule ; ed, intromesso
L'antico araldo, l'adagiaro in seggio.
Poscia dal plaustro i preziosi doni
Del riscatto levâr; ma due pomposi
Manti lasciarvi , ed una ben tessuta
Tunica all'uopo di mandar coperto
Il cadavere in Ilio. Indi, chiamate
Le ancelle, comando che tutto fosse
E lavato e di balsamo perfuso
v. 737-769 LIBRO XXIV. 319
In disparte dal padre ; onde il meschino,
Veduto il figlio, in impeti non rompa
Subitamente di dolore e d'ira
Sì che la sua destando anche il Pelíde
Contro il cenno di Giove nol trafigga.
Lavato adunque dall'ancelle ed unto
Di balsami odorati , e di leggiadra
Tunica avvolto, e poi di risplendente
Pallio coperto, il gran Pelíde istesso
Alzandolo di peso, in sul ferétro
Collocollo ; e, composto, i suoi compagni
Sul liscio plaustro lo portar. Dal petto
Trasse allora l'eroe cupo un sospiro;
E il diletto chiamando estinto amico,
Sclamò : Patróclo, non volerti meco
Adirar, se nell'Orco udrai ch' io rendo
Ettore al padre. In suo riscatto ei diemmi
Convenevoli doni, e la migliore
Parte a te sarà sacra, anima cara.
Rïentrò quindi nella tenda, e sopra
Il suo seggio col tergo alla parete
Sedutosi di fronte a Príamo, disse :
Buon vecchio,il tuo figliuol,siccome hai chiesto
È in tuo potere, e nel ferétro ei giace.
Potrai dell'alba all'apparir vederlo,
E via portarlo . Si rivolga adesso
Alla mensa il pensier ; ch'anco l'afflitta
Níobe del cibo ricordossi il giorno
Che dodici figliuoi morti le fûro,
Sei del leggiadro e sei del forte sesso,
Tutti nel fior di giovinezza. Ai primi
Recò morte Diana, ed ai secondi
Il saettante Apollo, ambo sdegnati
320 ILIADE . 770-802
Che Níobe ardisse all' immortal Latona
Uguagliarsi d'onor; perchè la Dea
Sol di due parti fu feconda , ed essa
Di ben molti di più. Ma i molti fûro
Dai due trafitti. Nove volte il Sole
Stesi li vide nella strage, e nullo
Fu che di poca terra li coprisse ,
Perchè converso in dure pietre avea
Giove la gente. Alfin lor diero i numi
Nella decima luce sepoltura.
Stanca la madre del suo molto pianto,
Non fu schiva di cibo. Or poi fra i sassi
Del Sipilo deserti, ove le stanze
Son delle Ninfe, che sul verde margo 1
Danzano d'Acheléo, cangiata in rupe
Sensibilmente ancor piagne, e in ruscelli
Sfoga l'affanno che gli Dei le diero .
E noi pure, o divin vecchio, pensiamo
Al nutrimento. Ritornato poscia
Col figlio a Troja, il piangerai di nuovo ;
Chè molto è il pianto che ti resta ancora.
Così detto, levossi frettoloso,
Eun'agnella sgozzò di bianco pelo.
La scuojaro i compagni , e acconciamente
L'apprestar minuzzandola con molta
Perizia; e infissa negli spiedi , e quindi ,
Ben rosolata, la levâr dał foco.
Da nitido canestro Automedonte
Pose il pan su la mensa, ed il Pelíde
Sparti le carni. La man porse ognuno
Alle vivande apparecchiate ; e, spento
Del cibarsi il desío, Príamo si pose,
Maravigliando, a contemplar d'Achille
4. 803-835 LIBRO XXIV . 31
Le divine sembianze, e quale e quanto
Il portamento . Stupefatto ei pure
Sul dardanide eroe tenea le luci
Fisse il Pelíde, e il venerando volto
N'ammirava e il parlar pieno di senno .
Come fur sazj del mirarsi , ruppe
Príamo il tacer : Preclaro ospite mio,
Mettimi or tosto a riposar ; ch'io possa
Gustar di dolce sonno alcuna stilla.
Dal di che sotto la tua man possente
Il mio figlio spiro, mai non fur chiuse
Queste palpebre, mai ; ch'altro non seppi
Da quel punto che piangere, ululare,
Voltolarmi per gli atrj nella polve,
Mille ambasce ingojando. Dopo tanto
Fiero digiuno, or ecco che gustato
Ho qualche cibo alfine e qualche sorso.
Questo udendo, ai compagni ed all'ancelle
Pronto il Pelíde comandò di porre
Nel padiglione esterior due letti
Con distesi tappeti , e porporine
Belle coltrici , e vesti altre vellose
Da ricoprirsi. Obbedïenti al cenno
Uscîr le ancelle colle faci in mano ,
E tosto i letti apparecchiar. Di lui
Sollecito il Pelíde, allor gli punse
Di tema il cor, dicendo : Ottimo padre,
Dormi qua fuor. Potría de' prenci achivi ,
Che qui son per consulte a tutte l'ore,
Recarsi a me talun , siccome è l'uso,
E vederti , e ridirlo al sommo duce
Agamennóne, e farsi impedimento
Al riscatto d'Ettorre. Or mi dichiara
15
*
322 ILIADE ν. 836-868
Veracemente : a' suoi funebri onori
Quanti vuoi giorni ? Io terrò l'armi in posa
Per altrettanti , e frenerò le schiere.
Se ne consenti (Priamo rispose)
Placide esequie al figlio mio, per certo
Mi fai cosa ben grata, o generoso.
Siam rinchiusi , lo sai , dentro le mura ;
Sai che n'è lungi il monte, ove la selva
Tagliar pel rogo, e sai quanto de' Teucri
È lo spavento. Nove giorni al pianto
Consacreremo nelle case ; al decimo
Arderemo la pira, e imbandirassi
Per la cittade il funeral banchetto .
Gli darem tomba nel seguente ; e l'armi
Nell'altro piglierem, se stremo il chiede.
Buon vecchio, sia così , soggiunse Achille :
Tanto l'armi staran quanto tu brami.
Così dicendo, la sua destra pose
Nella destra di quello, onde sgombrargli
Ogni temenza. Priamo e l'araldo
Nell'atrio coricarsi ; entro i recessi
Della tenda il Pelíde ; ed al suo fianco
La bella figlia di Briséo si giacque.
Tutti dormían sepolti in dolce sonno
I guerrieri e gli Dei , ma non l'amico
De' mortali, Mercurio, che venía
Pur divisando in suo pensier la guisa
Di trarre, dalle guardie inosservato,
Fuor del dorico vallo il re trojano.
Stettegli adunque su la fronte, e disse :
Re, così dormi fra' nemici ? e nulla
Ti cal del rischio in che ti trovi , uscito
Dagli artigli d'Achille? A caro prezzo
1. 869-901 LIBRO XXIV. 323
Redimesti l'amato estinto figlio.
Ma per te che sei vivo, Agamennone
Se qui sapratti , e tutto il campo acheo,
Tre volte tanto chiederanno ai figli
Che rimasti ti sono. E più non disse .
Destasi il vecchio sbigottito, e sveglia
L'araldo : aggioga l'Argicida istesso
I cavalli e le mule, e presto presto
Spinti i carri , invisibile traversa
Gli accampamenti. Alla corrente giunti
Del genito da Giove ondoso Xanto
Nell'ora che sul mondo il suo vermiglio
Velo dispiega di Titon l'amica,
Volò Mercurio al cielo, e i due canuti
Con gemiti e lamenti alla cittade
Celeravan la via. Grave del caro
Cadavere davanti iva il carretto ,
Nè d'uomo orecchio, nè di donna ancora
Il fragor ne sentía. L'udi primiera
La vergine Cassandra ; e, su la rocca
Di Pérgamo salita, il suo diletto
Padre e l'araldo riconobbe eccelsi
Sovra i carri , e la spoglia inanimata
Che sul plaustro giacea. Mise a tal vista
Alti gridi e ululati ; e per le vie :
Troi , Trojane , gridava , eccone Ettorre ;
Accorrete, vedetelo , gli è quello
Che ritornando dalla pugna empiea
Tutti , un tempo, di gioja i vostri petti.
Nè verun nè veruna a questo annunzio
Nella cittade si restò ; ma tutti,
D'intollerando duolo il cuor compresi,
Si versar dalle porte , e fersi incontro
324 ILIADE v. 902934
Al lugubre convoglio. Ivi primiere,
Lacerandosi i crini, la diletta
Sposa e l'augusta genitrice al carro
S'avventår furïose , e sull'anata
Pallida fronte abbandonar le bocche ,
Tutta dintorno piangendo la turba.
E le lagrime , i gemiti , le grida
Sul deplorato Ettorre avrían l'intero
Giorno consunto su le meste porte ,
Se Priamo dal cocchio, all inondante
Turba rivolto , non dicea : Sgombrate
Al carro il varco : pascervi di pianto
Su quel corpo potrete entro la reggia.
S'apri la folta , passò il carro , e giunse
Negl' incliti palagi. Ivi deposto
Il cadavere in regio cataletto,
Il lugubre sovr'esso incominciaro
Inno i cantori de' lamenti , e al mesto
Canto pietose rispondean le donne ;
Fra cui plorando Andrómaca, e strignendo
D'Ettore il capo fra le bianche braccia,
Fe' primiera sonar queste querele :
Eccoti spento, o mio consorte , e spento
Sul fior degli anni ! e vedova me lasci
Nella tua reggia, ed orfanello il figlio,
Di sventurato amor misero frutto,
Bambino ancora, e senza pur la speme
Che pubertade la sua guancia infiori;
Perocchè dalla cimaAlio sovverso
Ruinerà tra poco or che tu giaci ,
Tu che v'eri il custode, e gli servavi
I dolci pargoletti e le pudiche
Spose , che tosto ai legni achei n'andranno
4.935-967 LIBRO XXIV. 325
Strascinate in catene, ed io con esse.
E tu, povero figlio, o ne verrai
Meco in servaggio di crudel signore
Che ad opre indegne danneratti , o forse
Qualche barbaro Acheo dall'alta torre
Ti scaglierà sdegnoso, vendicando
O il padre , o il figlio, od il fratel dall'asta
D'Ettor prostrati ; chè per certo molti
Di costoro per lui mordon la terra.
Terribile ai nemici era il tuo padre
Nelle battaglie ; e quindi è il duol che tragge
Da tutti gli occhi cittadini il pianto.
Ineffabile angoscia , Ettore mio,
Tu partoristi ai genitor'; ma nulla
Si pareggia al dolor dell' infelice
Tua consorte. Spirasti , e la mancante
Mano dal letto, ohimè ! non mi porgésti;
Non mi lasciasti alcun tuo savio avviso,
Ch'or giorno e notte nel fedel pensiero
Dolce mi fora richiamar piangendo.
Accompagnar co' gemiti le donne
D'Andrómaca i lamenti, e li seguiva
Il compianto d'Ecúba in questa voce :
O de' miei figli, Ettorre, il più diletto !
Fosti caro agli Dei mentre vivevi ,
E il sei, qui morto, ancora. Il crudo Achille
Di Samo e d' Imbro e dell' infida Lenno
Su le remote tempestose rive
Quanti a man gli venían , tutti vendeva
Gli altri miei figli ; e tu dal suo spietato
Ferro trafitto, e tante volte intorno
Strascinato alla tomba dell'amico
Che gli prostrasti ( nė per questo in vita
326 ILIADE v. 968-1000
Lo ritornd), tu fresco e rugiadoso
Or mi giaci davanti, e fior somigli
Dai dolci strali della luce ucciso .
A questo pianto rinnovossi il lutto,
Ed Elena fe' terza il suo lamento :
O a me il più caro de' cognati , Ettorre ,
Poichè il Fato mi trasse a queste rive
Di Paride consorte ! oh morta io fossi
Pria che venirvi ! Venti volte il Sole
Il suo giro compi da che lasciato
Ho il patrio nido : e una maligna o dura
Sola parola sul tuo labbro io mai
Mai non intesi. E se talvolta o suora
O fratello o cognata , o la medesma
Veneranda tua madre (chè benigno
A me fu Príamo oguor) mi rampognava ,
Tu mansueto, con dolce ripiglio
Gli ammonendo, placavi ogni corruccio.
Quind' io te piango e in un la mia sventura;
Chè in tutta Troja io non ho più chi m'ami
O compatisca, a tutti abbominosa .
Così sclamava lagrimando , e seco
Il popolo gemea. Si volse alfine
Príamo alla turba, e favellò : Trojani ,
Si pensi al rogo. Andate, e dalla selva
Qua recate il bisogno, nè vi prenda
Timor d' insidic. Mi promise Achille ,
Nel congedarmi , di non farne offesa
Anzi che spunti il dodicesmo Sole .
Disse; e muli e giovenchi in un momento
Sotto il giogo fur pronti, e dalle porte
Proruppero . Durò ben nove interi
Giorni il trasporto delle tronche selve.
ν. 1001-1026 LIBRO XXIV . 327
Come rifulse su la terra il raggio
Della decima aurora, lagrimando
Dal feretro levâr del valoroso
Ettore il corpo; e, postolo sul rogo,
Il foco vi destår. Rïapparita
La rosea figlia del mattiv, s'accolse
Il popolo dintorno all'alta pira,
E pria con onde di purpureo vino
Tutte estiuser le brage. Indi, per tutto
Queto il foco, i fratelli e i fidi amici,
Pieni il volto di pianto e sospirosi,
Raccolsero le bianche ossa, e composte
In urna d'oro, le coprir d'un molle
Cremisino. Ciò fatto, in cava buca
Le posero, e di spesse e grandi pietre
Un lastrico vi fèro, e prestamente
Il tumulo elevâr. Le scolte intanto
Vigilavan dintorno, onde un ostile
Non irrompesse repentino assalto
Pria che fosse al suo fin l'opra pietosa.
Innalzato il sepolcro, dipartirsi
Tutti in grande frequenza , e nella vasta
Di Priamo adunati eccelsa reggia
Funebre celebrar lauto convito.
Questi fûro gli estremi onor' renduti
Al domatore di cavalli Ettorre.
FINE
TAVOLA
DELLE COSE PIÙ NOTABILI
CHE SI CONTENGOΝΟ
NELL' ILIADE
Il numero romano indica il libro ,
l'arabico il verso .
Abante, figliuolo d'Euridamante: è ucciso da Dio-
mede. V, 1gr.
Abanti , popoli. II, 707. IV, 577.
Abarbaréa, ninfa Najade , madre d'Esepo e Péda-
so. VI , 29.
Abido , città. II , 16. XVII , 734.
Ablero , ucciso da Antiloco. VI , 41 .
Acamante,figliuolo d'Anténore e fratello d'Archí-
loco, capitanode' Dárdani. II , 1100. Uccide Pró-
maco. XIV , 569.
Acamante, figlio d'Eussoro , capitano de' Traci. II,
1126. Ucciso da Ajace. VI , 11.
Acamante ,figlio d'Asio. XII , 163.
Acessameno , padre di Peribéa. XXI , 191.
Acheloo re. XΧΙ , 256,
Achille , figliuolo di Peléo : parla al popolo. 1 , 76.
Persuade Agamennone a render Criseide , 171.
Gli risponde sdegnato , 198. Vuol ucciderlo , e
gli è impedito da Minerva , 258. Rampogna di
nuovo Agamennone , 299. Si protesta di non gli
cedere , 387. Lascia condur via Briséide, 441 .
Conta a Teti sua madre la cagione del suo do
330 TAVOLA
lore, 462. Comanda a cinquanta navi. II , 916.
Accoglie cortesemente i deputatı a placarlo. IX,
248. Risponde a Fenice, 773. Risponde ad Aja-
ce , 820. Manda Pátroclo alla tenda di Néstore.
XI, 815. Manda Pátroclo , vestito delle sue ar-
mi, a condur i Mirmidoni in soccorso de' Greci.
XVI , 88. Fa preghiera a Giove perla vittoria,
335. Ha la nuovadella morte di Pátroclo. XVIII,
24. Viene a consolarlo Teti , 96. Ha un'amba-
sciata da Iride , 222. Minerva lo arma prodigio-
samente , 271. Mette col grido spavento ne'
Trojani , 289. Fa lavare il cadavere di Pátroclo,
469. Teti gli reca l'armi lavorate da Vulcano.
XIX , 8. Fa la pace con Agamennone , 55. Gli
è resa Briseide con molti regali , 242. Fa un la-
mento sopra Pátroclo , 315. Minerva lo ristora
conambrosia e néttare , 351. Si veste l'armi fab-
bricate da Vulcano , 365. S'incontra conEnea.
XX, 195. Nettunno glielo toglie di vista , 384.
Uccide lfizione , figlio d' Otrintéo, 462. Uccide
Demoleonte , Ippodamante e Polidoro figlio di
Priamo, 479 e seg. S'affronta con Ettore, e re-
sta deluso da Apollo : e di poi fa grande strage
de'Trojani , 539. Uccide Licaone figlio di Pria-
mo. XXI , 46. Uccide Asteropéo , che lo avea
leggermente ferito , 228. In pericolod'annegare
si raccomanda a Giove, 357. E soccorso da Net-
tunno e da Minerva , 374. E colpito da Agénore
in una gamba , ed è ingannato da Apollo, 750.
Dà dietro a Ettore che fugge. XXII , 177. Vien
seco a battaglia , e l' uccide , 329 e seg. Ne stra-
scina il cadavero dietro al suo cocchio, 506.
Piange co' Mirmidoni Pátroclo. XXIII , 6. Non
vuol lavarsi prima d'averlo sepolto , 53. Gli ap-
parisce in sogno l'ombra di Patroclo, 81. Ac-
compagna Pátroclo alla sepoltura , 167. Si recide
la chioma, 186. Fa l'esequie a Pátroclo , 257.
Lo fa seppellire , 310 e seg. Celebra gli spetta-
coli inonoredel medesimo , 346. Rende il cada-
vero d'Ettore con molti onori. XXIV , 742 e seg.
Admeto , padre d'Eumelo. II , 956.
Adrastea, città. I1 , 1107.
Adrasto , figliodi Merope , capitano de' Trojani.
11, nog.
DELLE COSE NOTABILI 331
Adrasto, preso da Menelao e ucciso da Agamen-
none. VI, 58.
Afaréo , capitano delle guardie. IX , 106.
Agácle , padre d'Epigéo. XVI , 801.
Agaménnone, figliuolo d'Atréo e fratello di Me-
nelao : nega di rilasciar Criseide. I , 33. Risponde
sdegnato a Calcante , 141. Risponde ad Achille,
175. Lo minaccia di torgli Briseide , 246. Ri-
sponde a Néstore , 379. Rimanda Criseide al pa-
dre , 407. Fa torre Briseide ad Achille, 422. Ha
un sogno mandatogli da Giove. II , 7. Lo rac-
conta in consiglio, 78. Parla al popolo, e lo ten-
ta , 414. Risponde a Néstore , 488. Fa sacrifizio
a Giove , 533. Ha seco cento navi , 752. Fa giu-
ramento solenne. III ,364. Giura di vendicare il
tradimento fatto a Menelao. IV, 185 e seg. Va
animando i suoi capitani alla pugna, 279. Uccide
Hodio. V, 50. Conforta i suoi alla pugna , 699.
Uccide Elato. VI , 42. Uccide Adrasto fatto pri-
gione da Menelao , 48 e seg. Distoglie Menelao
dalduello con Ettore. VII , 126. Fa sacrifizio in
ringraziamento della vittoria d'Ajace , 389. Ri-
sponde a Idéo araldo de Trojani , 496. Rinfac-
cia a' suoi la loro viltà. VIII , 301. Riceve da
Giove un buono augurio , 328. Anima con pro-
messe Teucro , 381. Propone di partirsi da Troja,
IX , 22. Consente di richiamare Achille , 147 e
seg. Manda Menelao a svegliare Ajace e Idome-
néo. X , 6r . Sveglia Néstore , 89. Si arma alla
battaglia. XI , 18. Fa grande strage de' Trojani ,
130. Uccide Ifidamante e Coone , figliuoli di An-
ténore , 314 e seg. Ferito da Coone si parte dal
campo , 358. Nettunno gli parla in sembianza di
vecchio. XIV, 167. Fa la pace con Achille.XIX ,
76 e seg. Gli fa portare i regali promessi , e giura
di non aver tocca Briseide , 256.
Agapenorre re , ſiglio d'Ancéo , capitano degli Ar-
cadi. II , 820.
Agastene d'Augeja , padre di Polisseno. II, 834.
Agastrofo, figlio di Peone, ucciso da Diomede. XI ,
456.
Agatone , figlio di Príamo. XXIV, 315.
Agave, ninfa Neréide. XVIII , 55.
Agávo, figlio di Priamo. XXIV, 316,
332 TAVOLA
Agelao, figlio di Fradmone. VIII , 347. XI, 405.
Agénore, figlio d'Anténore , uccide Elefenorre. IV,
582. Suoi fatti in guerra. XI , 81. Capitano in-
sieme con Paride e Alcatoo. XII, 108. Compa-
gno d'Enea. XIII, 630. Uccide Clonio. XV, 412.
S'oppone solo ad Achille. XXI , 707 e seg. Lo
colpisce invano , e Apollo lo libera dal pericolo,
749.
Aglaja, moglie di Caropo e madre di Niréo. II,900.
Ajace, figlio di Telamone , maggiore dell'altro Aja-
ce. 11, 735. Uccide Anfio. V, 809. Uccide Aca-
mante. VI , 6. È tratto a sorte per far duello
con Ettore. VII , 225. Viene con esso alle ma-
ni , 268. Si dividono amici , 374. Uno de depu-
tati da Néstore per andar a placare Achille. IX
213. Ambasciata di detti deputati , 235. Gli e
messo addosso lo spavento da Giove. XI , 727.
Va con Teucro in soccorso di Menestéo. XI ,
433. Uccide Epicle , compagno di Sarpedonte ,
467. Gli appare Nettunno sotto sembianza di Cal-
cante , e lo incoraggia. Xill , 57. Sfida Ettore ;
e veduta volare un'aquila , prende a suo favore
quell' augurio, 1047 e seg. Colpisce Ettore con
un sasso. XIV, 485. Uccide Archiloco , 544 e
seg. Uccide Irzio , 616. Uccide Caletore. XV,
516. Accorre nella morte di Pátroclo, e difende
il suo cadavere. XVII , 154. Uccide Ippotoo,
che strascinava il detto cadavere , 352 e seg. Uc-
cide Forci , 384. Giuoca alla lotta con Ulisse.
XXIII , 899. Giuoca alla lancia con Diomede,
1029. Giuoca al disco , 1064.
Ajace, figlio d'Oiléo, capitanode Locri, minore del-
l'altro Ajace. II, 691. Gli appare Nettunno sotto
sembianza di Calcante , e lo incoraggia. XII ,
57. Ferisce Satnio. XIV, 525. Prende vivo Cleo-
bolo , e l ' uccide. XVI , 464. Riprende Idome-
néo. XXIII , 611. Giuoca al corso con Antilo-
co , figlio di Néstore , 960.
Alastore, ucciso da Ulisse. V, 902.
Alastore, compagno di Mecistéo. VIII , 455. XIII,
540. Padre di Troe. XX , 567.
Alcandro , ucciso da Ulisse. V, 902.
Alcatóo, figlio d'Esieta, genero d'Anchise e marito
d'Ippodamia, capitano insieme con Paride eAgé
DELLE COSE NOTABILI 333
nore. XII , 109. Ucciso da Idomenéo. XIII , 571 .
Si consulta di vendicare la sua morte , 598.
Alcesti , figliuola di Pelia , moglie d'Admeto e ma-
dre di Eumelo . 11 , 958.
Alcimedonte , figlio di Laerce, e capitano de' Mir-
midoni. XVI , 280. XVII , 592.
Alcimo, scudiere . XXIV, 724.
Alcmena , madre d'Ercole. XIV, 385. ΧΙΧ, 118.
Alcmeone , figliuolo di Testore. Xil , 488.
Alegenore , padre di Prómaco. XIV, 606.
Alejo , luogo. VI , 250.
Alesio, luogo. XI , 1016.
Alessandro, l'istesso che Paride , figlio di Priamo,
capitano de' Trojani : s'incontra in Menelao, e
ritirandosi per temenza , è da lui oltraggiato. III ,
20. Risponde ad Ettore , e propone di venir a
duello con Menelao per la contesa d'Elena , 76.
Si accetta da' Greci e da' Trojani la sua propo-
sta , e si depongono l'armi , 147. Si fa solenne
giuramento per detto duello, 364. Tratto a sorte
il primo , si veste l'armi , 431. Si batte , 453.
È salvato da Venere , e quindi , rapito,dal cam-
po , è posato nel talamo , 491 e seg. E sgridato
da Elena , 567. Le risponde , 577. Promette a
Ettore di tornare al campo. VI, 425 e seg. Trova
Ettore per istrada , 680. Non consente che si
renda Elena. VII , 473 e seg. Ferisce un cavallo
di Néstore. VIII, 101. Ferisce Diomede nel piede
sinistro. XI , 490. Ferisce Macaone , 679. Feri-
sce Euripilo , 779. Uccide Euchenore. XIII , 853.
Uccide Deijoco. XV , 412. Rammentato da Elena
nel piangere Ettore. XXIV, 973.
Alettrione , padre di Leito. XVil , 759.
Alféo , fiume. 11 , 787. V, 723.
Aliarto , luogo. 11 , 659.
Alibe , luogo. 11 , 1144.
Alie, ninfa Neréide. XVIII , 54.
Alio , ucciso da Ulisse. V, 904.
Alisio , città. II , 828 .
Alizoni , popoli. 11 , 1144. V, 52.
Alo , città. 11 , 912.
Aloéo , padre d'Oto e d'Efialte. V, 502.
Alope , città . 11 , 912.
Alte, re de Lelegi e padre di Laotóe moglie di
Priamo. XXII , 64.
334 TAVOLA
Amarincéo, re degli Epéi e padre di Diore. II ,
833. Sue esequie. XXIII , 797.
Amatéa , ninfa Nereide. XVIII , 63.
Amazzoni . III , 251. Uccise da Bellerofonte. VI ,
229.
Amfidamante , figlio di Citero. X, 345.
Amicle , luogo. II , 775.
Amidone , città. II , 33. XVI , 407.
Amintore, figlio d'Ormeno. IX , 577 .
Amisodaro , padre d'Atimio e di Maride. XVI ,
461 .
Amopaone , figlio di Poliemone , ucciso da Teucro.
VIII, 374.
Ancéo, padre d'Agapenorre. II , 820.
Anchialo, ucciso da Ettore. V, 806.
Anchise , padre d'Enea. II , 1096. V, 410.
Andrémone , padre di Toante. II , 855. XV, 338.
Andrómaca , figliuola d'Eezione e moglie d'Ettore.
VI , 50g. Prega Ettore che non torni nel cam-
po, 523. Piange per la morte del marito. XXI ,
618. Fa il lamento sopra il suo cadavero. XXIV,
925.
Anemoria, città. II , 684.
Anficlo , figlio di Filéo. XVI , 440.
Anfigenia , luogo. II , 789.
Anfimaco , figlio di Cteato , capitano. 11 , 829.
Anfimaco, figlio di Nomione , capitano. 11 , 1163.
Anfinoma , ninfa Neréide. XVIII , 57.
Anfio , figliuolo di Selago , ucciso da Ajace Tela-
monio. V, 812.
Anfio, 6gliodi Merope , capitano. 11 , 1109.
Anfitóe , ninfa Nereide. XVIII , 55.
Anfitrione , padre d'Ercole. V, 512.
Anfotero, ucciso da Pátroclo. XVI , 594.
Antéa, moglie di Preto. VI , 197.
Antéa , città. IX , 191.
Antédone , luogo. II , 666.
Antemione , padre di Simoesio. IV, 590.
Anténore , padre d'Archiloco e d'Acamante. II ,
1100. Iride prende la sembianza di Laodice , mo-
glie del suo figliuolo, III , 159. Uno de' più saggi
fra' Trojani , 195. Alloggia in sua casa Ulisse e
Menelao , 269. Si parte dal campo con Priamo
per non vedere il duello tra Alessandro e Mene-
DELLE COSE NOTABILI 335
lao, 411. Padre di Laódoco. IV, 103. Padre di
Pedéo. V, 86. Teano sua moglie. VI , 377. Ar-
ringa a' Trojani. VII , 430.
Antifo , figliuolo di Pilemene , capitano. II , 1155.
Antifo , figliuolo di Tessalo , capitano. 11 , 908.
Antifo, figlio di Príamo : uccide Leuco. IV, 6.6.
Antifono , figlio di Priamo. XXIV, 314.
Antifonte , ucciso da Leontéo, XII , 233.
Antiloco , figliuolo di Néstore : uccide Echépolo.
IV, 571. Soccorre Menelao. V, 751. Colpisce con
un sasso Midone , 766. Uccide Ablero. VI , 41 .
Uccide il cocchiere d'Asio. XIII , 511. È confor-
tato alla battaglia da Idomenéo , 617. Uccide
Toone , 705. Spoglia Falce. XIV , 618. Confor-
tato da Menelao, uccide Melanippo . XV, 725.
È assaltato da Máride , é difeso da Trasimede.
XVI , 449. Reca la novella della morte di Pá-
troclo ad Achille. XVIII , 20. Giuoca al corso
delle carrette. XXIII, 402. Giuora al corso , 962 .
Antimaco , padre di Pisandro e d'ippoloco. XI, 1720
Antínaco , padre di Leontéo. XII , 227.
Antrone , luogo. II , 934.
Apesio , città. 11 , 1107.
Apia , terra. 1 , 358.
Apisaone , figlio d'ippaso. XVII , 439.
Apisaone , figliuolo di Fausia , ucciso da Euripilo.
XI , 775.
Apollo , figlio di Giove e di Latona : perchè sde-
gnato co' Greci . 1, 1o. Protettore di Crisa , di
Cilla e di Ténedo , 47. Detto Smintéo , 48. Pu-
nisce i Greci colla peste , 65. È placato da essi
coll' ecatombe , 415. Conforta i Trojani a non
fuggire . IV, 640. Difende Enea da Diomede. V,
574. Propone a Pallade di far sospender la guerra
col duello d'Ettore. VII, 23. E mandato da Giu-
none a Giove. XV , 173. Giove lo manda in soc-
corso d'Ettore e de' Trojani , 262. Risana Et-
tore , e gli infonde nuova lena , 303. Marcia alla
testa de Trojani , 371. Spaventa i Greci coll' e-
gida , 440. Riempie il fosso , e abbatte il muro
de' Greci , 442. Allontana Patroclo dal muro di
Troja, e consigliaEttore a tornare in battaglia.
XVI, 979. Mette scompiglio nei Greci , 1022.
Percuote Pátroclo sul dosso , e gli fa cader tutle
336 TAVOLA
l'armi , 1115. Chiama Ettore a difendere il ca-
davere d'Euforbo. XVII , 82. Conforta Enea alla
battaglia , 400. Instiga Ettore a vendicar la morte
di Pode, 731. Muove Enea contra Achille. XX ,
99. Fa avvertito Ettore di non combattere , 450.
Fa che Agénore s'opponga ad Achille. XXI, 700.
Inganna Achille sotto sembianza d'Agénore , 755.
Copre di nebbia il cadavere d'Ettore. XXIII ,
251. Fa cader di mano la frusta a Diomede , 511.
Prega gli Dei a far rendere a' Trojani il cada-
vero d'Ettore. XXIV, 45.
Apseude , ninfa Neréide. XVIII , 60.
Aquilone , vento. V, 695 .
.
Arcadi , popoli. II , 801. VII , 164.
Arcesilao , capitano de Beozj. 11 , 645. Ucciso da
Ettore. XV, 397 .
Archepólemo , auriga d'Ettore. VIII , 428.
Archiloco , figlio d'Anténore , capitano de Troja-
ni. II , 1100. Ucciso da Ajace, XIV, 553.
Areilico, padre di Protenorre. XIV, 535.
Areitóo, padre di Menestio, re d'Arna , portatore
di clava. VII , 11 , 168.
Arene , città. II , 786.
Aretaone , ucciso da Teucro. VI, 40.
Aretiréa , città. II , 758 .
Areto , ucciso da Automedonte. XVII , 665.
Argissa , città. II , 987 .
Argo. 11 , 137 .
Argo , città. 1, 37 , e altrove più volte.
Arisba , città. 11 , 1117. VI, 16. XXI , 62.
Arisbante , padre di Leócrito. XVII , 434.
Arma , luogo. II , 652 .
Armónide , padre di Fereclo. V, 73.
Arna , e Arne , città. 11 , 663. VII , ro.
Arpalione , figlio di Pilemene. XIII , 827.
Arpía. XVI , 213.
Arsinóo , padre d'Ecaméde. XI , 838 .
Ascálafo , figliuolo di Marte e d'Astioche , capita-
no. 11,671. Va alla battaglia. IX , 105. E con-
fortato a combattere da Idomenéo. XIII , 616.
È ucciso da Deifobo, 666.
Ascania , terra. 11, 1153.
Ascanio , capitano de Trojani. 11 , 1152. Figlio
d'Ippozione. XIII , 1023 .
Asepo, fiume. 11 , 1104.
DELLE COSE NOTABILI 337
Asine,
Asine città. 11 , 739.
Asio, figlio d'irtaco , capitano de Trojani. II ,
1118. Xil , 111.
Asio , luogo. 11 , 603.
Asopo ,fiume. IV, 476.
Aspledone , città. 11, 670.
Assáraco, figliuolo di Troe , padre di Capi ed avo
di Anchise. XX , 280 .
Asséo , capitano, ucciso da Ettore. XI , 403.
Assilo , figlio di Teutrane , ucciso da Diomede .
VI, 17.
Assio, fiume. II , 1133. Di lui e di Peribéa nacque
Pelegóne. XXI , 188.
Asteropéo, figlio di Pelegóne, capitano. XII , 119.
Ha compassione d'Apisaone ferito. XVII , 444.
È investito da Achille. XXI , 215. Ferisce leg-
germente Achille , ed è ucciso da lui , 218. Sua
corazza rapita da Achille. XXIII , 711 .
Astialo , ucciso da Polipéte. VI , 37.
Astianatte, figliod'Ettore: perchè così detto.VI, 520.
Astinoo , ucciso da Diomede. V, 185.
Astinóo, figlio di Protaone. XV, 561 .
Astioche: di lei e di Marte nacquero Ascálafo e
Jalmeno. 11 , 673 .
Astiochéa : di lei e d'Ercole nacque Tlepolemo.
11 , 878 .
Ate. IX, 657. Figliuola di Giove. XIX , 92. Pre-
cipitata giù dal cielo , 125.
Atene , città. II , 721.
Atimio , figlio d'Amisodaro , ucciso da Antíloco.
XVI, 448.
Ato, monte. XIV, 278.
Attéa , ninfa Nereide. XVIII , 54.
Attore , figlio d'Azéo e padre de due Molioni e
d'Echecléo. 11 , 673. ΧΙ, 1005. XVI, 270.
Aulide , città. 11, 398, 648.
Autólico: rubò ad Amiutore la celata che Merione
dono ad Ulisse. X , 342 .
Automedonte , cocchiere d'Achille. XVI , 204. La-
scia il cocchio ad Alcimedonte per combattere.
XVII , 594. Uccide Areto , 625 e seg. Segue
Achille. XIX , 396.
Autonoo, capitano ucciso da Ettore. XI , 404.
Autonoo, ucciso da Pátroclo. XVI , 971 .
ILIADE , Vol. 111. 15
338 TAVOLA
Bacco: sue nutrici, perseguitate da Licurgo. VI ,
164. Spaventato si tuffa nel mare , ed è raccolto
da Teti , 167. Figlio di Semele. XIV, 385.
Bálio, cavallo d'Achille , figlio di Podarge . XIX ,
400.
Batiéa , collina. 11 , 1088 .
Bebe, città. II, 953.
Bebéo, stagno. II, 953.
Bellerofonte , figlio di Glauco: chi fosse e ciò che
fece. VI , 191.
Bellona , dea della guerra. V, 436.
Beozia , provincia. XVII , 752.
Beozj e Beoti , popoli. 11 , 645 , 690. XIII , 884.
Bessa , città. 11 , 699.
Bianorre , ucciso da Agamennone. XI , 131.
Biante , padre di Laógono e di Dárdano XIII, 893.
XX , 565.
Boagrio,fiume. II , 703 .
Bórea, vento. S'innamora delle cavalle d'Erittonio.
XX , 269 .
Boro , padredi Festo. V, 57. Figlio di Perieréo.
XVI , 251.
Briaréo, gigante di cento mani , detto dagli uomini
Egeone : soccorre Giove. I , 527.
Brisée , luogo. II , 773.
Briséide , figlia di Briséo e schiava d'Achille , pre-
tesa da Agamennone , per aver dovuto rendere
Criséide. I , 247. Agamennone manda a richie-
derla , 424. Achille commette a Pátroclo che la
consegni , 44r . Per cagione di lei Achille lamen-
tasi , piangendo, alla madre , 458. Piange Pátro-
clo morto. XIX, 281. Dorme a lato d'Achille.
XXIV, 857 .
Briséo, padre di Briseide. 1 , 5st .
Bucolione , figlio di Laomedonte, padre di Esepo e
Pédaso. VI , 28.
Bucolo, padre di Sfelo. XV, 409.
Budio, luogo. XVI , 803.
Buprasio , città. 11, 825. XI, 1019. XXIII , 797-
DELLE COSE NOTABILI 339
Cábeso , luogo. XIII , 467.
Cadméi , popoli. IV, 478. V, 1076. XXIII , 857.
Caistro , Gume. II , 604.
Calcante, figliodi Téstore , indovino. I , 91. Mo-
stra ai Greci che Apollo abbia mandato loro la
peste, per avere Agamennone negato a Crise il
riscatto della figliuola , 122. E maltrattato con
parole da Agamennone , 141. Spiega l'augurio
del drago e de' passerotti. II , 428. Sotto sua
sembianza sono incoraggiati da Nettunno i due
Ajaci . XIII , 57.
Calcide , città. 11 , 708, 858.
Calcodonte, padre d'Elefenorre. 11, 714. IV, 578.
Calconte , padre di Baticle. XVI , 834.
Calesio, servo d'Assilo, ucciso da Diomede. VI, 23.
Caletore, figlio di Clizio , ucciso da Ajace. XV,
517.
Calidne , isole. II , 907.
Calidone , città. II , 857. IX , 731 .
Callianassa , ninfa Neréide. XVIII , 61.
Callianira , ninfa Neréide. XVIII , 58.
Calliaro, città. II , 698.
Calone, luogo. XI , 1016.
Camiro, luogo. 11 , 877 .
Capanéo , padre di Sténelo. II , 746. IV, 496. V,
318.
Capi, figlio d'Assáraco e padre d'Anchise. XX, 289.
Cardámile , città. IX , 190.
Careso, fiume. XII , 20.
Caria, provincia. 11 , 1159. IV, 168. Χ , 533.
Cárite,moglie di Vulcano. XVIII, 522.
Caristo , città. II , 712.
Caropo , figlio d'Ippaso e fratello di Soco , ferito
da Ulisse. XI , 574.
Caropo , padre di Niréo, capitano. II , 900.
Caso, città. II , 905.
Cassandra , figlia di Priamo . XXIV, 888.
Castianira , madre di Gorgizione. VIII , 415.
Cástore , fratello di Polluce. III , 314.
Canconi , popoli. X , 534 .
340 TAVOLA
Cavalle d'Admeto Fereziade allevate da Apollo. II ,
1019. D'Erittonio amate da Bórca. XX, 268.
Cavalli d'Enea di qual razza fossero. V, 346. D'A-
chille : Xanto e Bálio , figliuoli di Zefiro e del-
l'arpía Podarge. XVI , 211. Piangono la morte
di Patroclo. XVII , 540. Xanto predice la morte
d'Achille. XIΧ , 408.
Cebrione , fratello d'Archepolemo , auriga d'Etto-
re. Vill , 434. Ucciso da Pátroclo. XVI , 1035.
Cefaleni , popoli. II , 846. IV, 409.
Cefisio, lago. V, 946.
Cefiso, fiume. I1, 685.
Celadonte , fiume. VII, 163.
Cenéo. 1, 35r. Padre di Corone. II, 998.
Ceo, padre di Trezeno. II, 1130.
Cerano, ucciso da Ulisse. V, 902.
Cerano , cocchiere di Merione , ucciso da Ettore.
XVII , 773.
Cerere. 11 , 932.
Cerinto , castello. 11 , 710.
Chersidamante , ucciso da Ulisse, XI, 569
Chimera , uccisa da Bellerofonte. VI , 225. XVI,
462.
Chirone: avea donato a Peléo l'asta che usava Achil-
le. XVI , 201. ΧΙΧ, 390.
Ciconi , popoli. II , 1128. XVII, 84.
Cifo, luogo. II 1000.
Cilici, popoli. VI, 538.
Cilla, città. 1 , 48 , 598.
Cillene , montagna. II , 802.
Cimindi, uccello. XIV, 351 .
Cimódoce, ninfa Nereide. XVIII, 5r .
Cimotoe, ninfa Nereide. XVIII, 54.
Cinira regala una corazza ad Agamennone. XI, 23.
Cino, luogo. I1, 6.98.
Cinto di Venere. XIV, 260.
Ciparissente. 11, 789.
Ciparisso, luogo. il, 682.
Cipri e Cipro, isola e città. XI, 25.
Cisséo , padre di Teano. VI, 376. XI, 304.
Citera , città. XV, 532.
Citero, padre d'Amfidamante. Χ, 345.
Citoro, luogo. 11, 1139.
Cleúbolo, ucciso da Ajace d'Oiléo. XVI, 464.
DELLE COSE NOTABILI 341
Cleopatra, figliuola di Marpissa. IX, 719.
Climene, damigella d'Elena. III, 189.
Climene, ninfa Neréide. XVIII, 02.
Clitennestra, moglie d'Agamennone. 1, 151.
Clito , figliodi Pisenore e padre di Dolope. XI ,
404. Ucciso da Teucro. XV, 545.
Clizio, padre di Caletore. III, 193. XV, 517.
Clonio. II , 647. Ucciso da Agénore. XV, 412.
Contesa, personificata e descritta. IV, 546.
Coo, città. II, 906. XV, 37 .
Coone , figlio d'Anténore: ferisce Agamennone , e
da lui è ucciso. XI , 337. Si rammemora la detta
ferita. XIX , 53.
Copréo , padre di Perifete e ambasciadore d'Euri-
stéo ad Ercole , XV, 811 .
Corazza , regalata da Cinira ad Agamennone : sua
descrizione. XI , 22.
Corinto , città. 11 , 756.
Corone , figliodi Cenéo. II , 998.
Coronéa , luogo. 11 , 658.
Crápato , città. II , 905.
Crenéa , isola. III, 587.
Creonte , padre di Licomede. IX , 107.
Cresmo, ucciso da Megete. XV, 653.
Creta , isola di cento città. 11 , 869 .
Cretensi e Creti . 11, 864. 111, 306. IV, 303, 321 .
Cretone , figlio di Diocle. V, 720.
Crisa, città. I , 47, 133, 568, 597.
Crise, padre di Criseide e sacerdote d'Apollo : of-
fre a' Greci di riscattar la figliuola , e non l'ot-
tiene. I, 15. Domanda vendetta ad Apollo , ed
è esaudito, 47. Gli è rimandata da Agamenno-
ne ,407. Gli è ricondotta da Ulisse, 568. Prega
Apollo a far cessare la peste, 596.
Criséide , figliuola di Crise e schiava d'Agamenno-
ne: è richiesta a lui dal padre, ed egli non gliela
vuol rendere. I , 15. È consegnata ad Ulisse per
ricondurgliela , 407. Restituita al padre , 584.
Crisotemi , figlia di Agamennone. IX , 185.
Crissa , luogo. 11, 682.
Cromi , capitano de Trojani. II , 1147.
Cromio, figlio di Priamo. V, 208 .
Crómio di Licia, ucciso da Ulisse. V, 903.
Crómio, ucciso da Teucro. VIII , 373.
342 TAVOLA
Crómio, confortato da Ettore alla battaglia. XVII ,
266.
Cromna, luogo. II , 1142.
Cteato, padre d'Anfimaco. II, 829. XIII , 241 .
Cureti , popoli. IX , 702.
Damástore, padre di Tlepólemo. XVI , 595.
Dánae, figlia di Acrisio, amata da Giove, onde ne
nacque Perseo. XIV, 381 .
Dardánia , città fondata da Dardano, XX, 262.
Dárdano, figlio di Biante, ucciso da Achille. XX,
563.
Darete, sacerdote di Vulcano, e padre di Fegéo e
Idéo. V, 34.
Daulide , città . II , 683.
Dédalo: lavorò un ballo di fanciulle ad Arianna .
XVIII , 822.
Deicoonte, figlio di Pérgaso e compagno d'Enea ,
ucciso da Agamennone. V, 710.
Deifobo, figlio di Priamo. E colpito da Merione.
XIII , 201. Uccide Ipsenore, 529. Conforta Enea
ad unirsi seco per vendicare la morte d'Alcatoo,
595. Uccide Ascálafo, 662. E ferito da Merio-
ne , 677. Sotto la sua sembianza Minerva con-
siglia fraudolentemente Ettore a battersi con
Achille: XXII , 290. È chiamato in soccorso da
Ettore, nel vedersi perdente ; e si discuopre l' in-
ganno , 369. È sgridato dal padre. XXIV, 316.
Deijoco , ucciso da Paride. XV, 412.
Deiopite , ucciso da Ulisse. ΧΙ , 567.
Deipilo : riceve in consegna i cavalli d'Enea , ru-
bati da Sténelo. V, 417.
Deipiro, capitano delle guardie. IX, 106. XIII, 617.
Deinocoonte , figlio bastardo di Priamo, ucciso da
Ulisse. IV, 628.11
Demoleonte , figlio d'Anténore, ucciso
٠١
da Achille.
XX , 480.
Demúco,
560.
figlio di Filetore, ucciso daAchille. XX,
Desamena , ninfa Neréide. XVIII , 57.
Dessio, padre d'Ifinoo. VIL, 18.
DELLE COSE NOTABILI 343
Diana : non iscampa dalla morte Scamandrio cac-
ciatore. V, 63. Uccide Laodamia. VI , 253. Sde-
gnata con Enéo, manda un cignale a danneggiare
il suo terreno. IX, 684. Insorge contra a Giu-
none. XXI , 605. È battuta vergognosamente da
lei , 626.
Dinamena , ninfa Neréide. XVIII, 56.
Dio, luogo alpestre. 11, 711 .
Diocle , padredi Cretone e d'Orsiloco. V, 721.
Diomede , figlio di Tidéo , detto Tidide , capitano
degli Argivi. 11 , 745. Favorito da Pallade. V,
1. Uccide Fegéo , figlio di Darete, 21. E ferito
da Pándaro, 121. Fa prego a Pallade , 148. Fa
grande strage de' Trojani , 184. Risponde a Sté-
nelo, che lo consiglia a ritirarsi , 330. Uccide
Pándaro, 379. Colpisce d'un sasso Enea , 395.
Ferisce Venere, 438. Tenta di uccidere Enea,
560. Ha paura d'Ettore , 788. Scusa a Minerva
il suo timore , 1084. Va con essa ad assalire Mar-
te , 1096. Lo ferisce, 1137. Uccide Assilo. VI,
15. S'affronta con Glauco, e l'interroga chi sia
154. Lo riconosce suo ospite antico, e cambia
seco l'armi , 264. Soccorre Néstore e lo fa mon-
tare sul suo cocchio. VIII , 136. Uccide Eniopéo
auriga e scudiere d'Ettore, 156. Risponde a Né-
store, che lo consiglia a fuggire, 192. S'oppone
al consiglio d'Agamennone. IX, 41. Lo consiglia
a far senza Achille, 883. Si offerisce di spiare
gli andamenti de' Trojani. X, 282. Elegge per
compagno Ulisse, 311. Ambidue fanno preghi a
Minerva, 358. Uccide Dolone, 565. Uccide Reso
con
dodici Traci , 607. Avvertito da Minerva
torna al campo, 637. Colpisce d'una lancia Et-
tore. XI, 469. E ferito in un piede da Paride,
496. Si fa portare alle navi , 536. Risolve di
tornare cogli altri feriti nel campo. XIV, 159.
Giuoco al corso delle carrette. XXIII, 387. Aju-
tato da Minerva vince il giuoco, 634. Si batte
con Ajace, 1029.
Diomedéa , figlia di Forbante. IX , 848.
Diona , madre di Venere : consola la figliuola feri-
ta. V., 497.
Diore, figliuolo d'Amarincéo, capitano degli Epéi .
II, 832. IV, 655.
344 TAVOLA
Dioréo, padre dAutomedonte. XVII, 543.
Disénore, confortato da Ettore a combattere. XVII,
265.
Dodona, luogo dedicato a Giove. II , 1003. XVI ,
336.
Dolone, figlio d'Eumede : chi fusse. X, 403. S'ef-
ferisce di spiare gli andamenti de' Greci ,408. È
fatto prigione da Diomede e da Ulisse , e con-
fessa la cagione di sua venuta, 495. Narra le
stato dell' esercito trojano, 516. E ucciso da Dio-
mede , 565.
Dólope, figlio di Clito, capitano. XI , 404.
Dólope , figlio di Lampo: assale Megete , ed è uc-
ciso da Menelao. XV, 660.
Dolopione , padre d'Ipsenore. V, 96.
Dori , ninfa Neréide. XVIII, 58.
Dóriclo, figlio di Priamo. XI , 658.
Dorio , luogo. 11 , 790.
Doto , ninfa Neréide. XVIII , 56.
Drago , veduto mangiare otto passerotti e la m
dre: suo augurio spiegato da Calcante. 11, 404.
Dreso, ucciso da Euríalo. VI , 26.
Driante , compagno di Néstore, 1 , 349. Padre di
Licurgo. VI , 162.
Driope , ucciso da Achille. XX, 557.
Duello fra Paride e Menelao. Ill, 448.
Dulichio, luogo. II, 836.
Eaco, figlio di Giove e padre di Peléo. XXI, 247.
Ebe: mesce il néttare agli Dei. IV, 3. Attacca le
ruote al cocchio di Giunone. V, 961.
Ecaméde , figliuola d'Arsinoo e schiava di Néstore.
XI , 837. Bagni preparati da lei. XIV, 10.
Ecalia, città. I1, 793, 977.
Ecatombe. I, 416, ed altrove più volte.
Echecléo, figlio d'Attore. XVI, 270.
Echeclo, ucciso da Pátroclo. XVI , 971.
Echemone , figlio di Priamo. V , 208.
Echépolo , figlio di Talisio , ucciso da Antiloco.
IV , 571.
Echépolo : aveva donato ad Agamennone una ca
DELLE COSE NOTABILI 345
valla per nome Eta , di cui Menelao si serve
nella corsa . XXIII , 396.
Echinadi , isole. 11 , 836.
Echio , ucciso da Pátroclo. XVI , 596.
Echione, padre di Mecistéo. VIII , 455. Ucciso da
Polite. XV , 411 .
Ecuba, moglie di Priamo : incontra Ettore venuto
dal campo. VI , 315. Porta il peplo al tempio
di Pallade , 361. Scongiura Ettore a non com-
battere con Achille. XXII , 103. Madre di Der-
fobo , 296. Piange la morte di Ettore , 52r. Con- 1
siglia Priamo che non vada a riscattare Ettore.
XXIV, 254. Fa il lamento sul cadavero del fi-
glio , 958.
Eezione , re di Tebe e padre d'Andrómaca. VI ,
540.
Eezione , ucciso da Achille. XXIII , 1051 .
Efialte , figlio d'Aloéo : lega Marte. V, 502.
Efira. Il , 881. VI , 188 , 261.
Efiri , popoli. XIII , 386.
Egelipe , città. II , 849 .
Egéo , padre di Teséo. I, 352.
Egeone, altro nome di Briaréo. 1, 528.
Egialéa , figlia d' Adrasto. V, 535.
Egiálo , luogo. 11 , 1142.
Egina , città. II , 743.
Egio , luogo. II , 761.
Eionéo , ucciso da Ettore. VII , 13.
Elaso , ucciso da Pátroclo. XVI , 972 .
Elato , ucciso da Agamennone. VI, 42.
Elefenorre , figlio di Calcodonte , capitano. II, 713.
IV , 577.
Eléi, popoli d'Elide, domati da Néstore. XI, 901.
Elena : lamento di Giunone a Minerva perchè i
Greci la lascino a Trojani. I1 , 209. Lo stesso
lamento fatto da Minerva con Ulisse , 228. Né-
store consiglia che si vendichi il suo ratto , 466.
Menelao desidera questa vendetta , 778. Paride
propone di far duello con Menelao per questa
contesa. III , 111. È avvisato da Iride di questo
duello , 158. Va a vederlo , 188. Mostra a Priamo
per nome i capitani greci , 233. È condotta da
Venere a Paride , 161. Lo rimprovera , 567. Si
seusa con Ettore suo cognato d' esser ella la ca-
15
346 TAVOLA
gione di tanti mali. VI , 443. Achille si lagna
che per lei debba guerreggiare in paese stranie-
ro. XIX , 322. Fa lamento sul cadavero d' Et-
tore. XXIV, 973.
Eleno , figlio di Priamo , augure : dà ordine per la
guerra ad Enea ed Ettore. VI , 97. Consiglia
Ettore a sfidare i Greci a duello. VII , 50. Uc-
cide Deipiro , ed è ferito da Menelao. XIII, 737.
Eleno , figlio d' Enope , ucciso da Ettore. V , 942.
Eléo , paese che prende il suo nome da Elide, cit-
tà. II , 838. XI , gor .
Elicaone , re . 111 , 162.
Elice , città. 11 , 763. XX , 493.
Ellade. II , 913. ΙΧ , 511 .
Elleni ,popoli. 11 , 916.
Ellesponto. II , 1128 , e altrove.
Elmo di Plutone. Di esso si copre Minerva per
celarsi alla vista di Marte. V , 1124.
Elo, luogo. II , 776.
Elona , città. I1 , 987..
Emazia , luogo. XIV, 276.
Emone , padre di Meone. IV, 486.
Emone , padre di Laerce. XVII, 592.
Enea , figlio d' Anchise e di Venere , capitano de'
Dardani. 11 , 1096. Esorta Pándaro a combattere
con Diomede. V, 223. Gli offerisce il suo coc-
chio , 295. Colpito d'un sasso , è salvato da Ve-
nere, 400. E difeso da Apollo , 563. Fa grande
strage de' Greci , 719. Deifobo lo invita a veu-
dicare la morte d'Alcatoo. XIII , 595. Uccide
Afaréo , 694. Uccide Medonte e Jaso. XV, 400.
Uccide Leócrito figliuolo d' Arisbante. XVII ,
433. Apollo l'istiga ad andare contro ad Achil-
le. XX , 105. Racconta ad Achille la sua origi-
ne , 245. Nettunno lo salva dalle mani d'Achil-
le , 384.
Enéo , padre di Tidéo. V, 1083. Alloggia e regala
Bellerofonte. VI , 268.
Enéo , re de' Calidoni e padre di Meleagro. II ,
861. Per non avere offerto le primizie a Diana ,
ella mandò un cignale a danneggiare i suoi ter-
reni , il quale fu poi ucciso da Meleagro, IX, 684.
Eneti , popoli . II , 1136.
Enieni, popoli. 11 , 1001.
DELLE COSE NOTABILI 347
Eaiéo , re di Sciro. IX , 852.
Enio , ucciso da Achille. XXI , 273 .
Eniopéo , figlio di Tebéo , auriga e scudiero d' Et-
tore , ucciso da Diomede. VIII , 158.
Enispe , luogo. 11 , 800.
Ennomo , capitano de Trojani. II , 1147.
Eno , monte. IV, 660.
Enómao : esorta alla difesa gli Achei . XII , 164.
Enómao : è ucciso da Idomenéo. XIII , 649.
Enope , città. IX , 190.
Enopo, padre d' Eleno. V, 942. Di Satnio. XIV,
526. Di Testore. XVI , 570. Di Clitomede.
XXIII , 803 .
Eolo , padre di Sisifo. VI , 190
Epalte , ucciso da Pátroclo. XVI , 594.
Epéa , città . IX , 192 .
Epéi , popoli. 11 , 824. IV, 682. XIII , 893 .
Epco,figlio
figlio di Panopéo : giuoca al pugilato. XXIII,
830. Giuoca al disco , 1066.
Epi , luogo. II , 788.
Epicle , compagno di Sarpedonte , ucciso da Ajace.
XII ,467.
Epidauro , luogo. II , 741 .
Epigéo , figlio di Agácle. XVI , 800.
Epistrofo , figlio d' Ifito , capitano. 11 , 679.
Epistrofo, figliod' Eveno,capitano. 11, 928, 1146.
Epito : sua tomba. II , 803.
Eptáporo , fiume. XII , 20.
Ercole e Astiochéa , genitori di Tlepolemo. II, 878.
Padre di Tessalo , 909. Ferisce Giunone nella
mammella. V , 511. Suoi travagli . XIX , 130.
Erebo , Inferno. VIII , 508.
Eretria , luogo. 11 , 708 .
Erettéo , allievo di Minerva . II , 722.
Ereutalione , ucciso da Néstore. IV , 394. Fu scu-
diere di Licurgo. VII , 185.
Erialo , ucciso da Pátroclo. XVI , 590.
Eribéa , matrigna di Marte. V, 507 .
Erimante , ucciso da Pátroclo. XVI , 594.
Erinni. XIX , 87 .
Eriopide , matrigna di Medonte. XIII , 901. XV,
404.
Eritini , monti. II, 1143.
Eritre , luogo. II , 653.
348 TAVOLA
Erittonio , figlio di Dardano. XX , 266. Padre di
Troe ,, 278.
Ermione , città. II , 739.
Ermo , Gume. XX , 475.
Esculapio , padre di Macaone. II , 978. IV, 247.
Esepo , ucciso da Eurialo. VI , 27.
Esepo , fiume. XII , 20.
Esieta : sua tomba. II , to63. Padre d'Alcateo.
XIII , 551.
Esima , città. VIII , 414 .
Esimno, capitano. XI 405. ,
Essadio , capitano. 1 , 351.
Eta , cavalla donata da Echépolo ad Agamennone.
ΧΧΙΙ , 396.
Etéocle: in sua casa trova Tidéo molti Cadméi ,
gli sfida e li vince. IV, 479.
Eteono, città. 1 , 650.
Eticesi , popoli. II , 995.
Etilo , città. II , 776 .
Etiopi , popoli. XXIII , 276 .
Etoli , popoli. II , 854. IV, 668. ΙΧ , 680.
Etra,figliadiPittéo , damigella d'Elena. 111 , 191.
Ettore , figlio di Priamo : mentovato da Achille.
1,324. Riceve ambasciata da Iride. 11, 1081.
Riprende la viltà di Paride. III , 47. Propone
a' Greci il duello di Paride con Menelao , 1 .
Si ritira . IV , 637. Conforta i Trojani alla bat-
taglia. V, 648. Fa paura a Diomede , ed uccide
Meneste ed Anchialo , 806. Fa grande strage di
Greci , 918. Uccide molt'altri Greci , 937. Parte
dal campo. VI , 145. Arriva in Troja , 296. Or .
dina alla madre di placar Minerva con voti, 332.
Va a ritrovar Paride , e lo sgrida , 395. Si li-
cenzia da Elena , 466. Ritrova Andrómaca alla
porta Scea col suo figliuolo Astianatte , 503. Si
scusa con essa di non poter abbandonar la guer-
ra , 574. Si separa da lei , 654. Disfida i Greci
a duello. VII , 77. Lo fa con Ajace , 298. Si
partono amici , 373. Gli è ucciso l'auriga da
Diomede. VIII, 158. Rinfaccia a Diomede la sua
paura , 211. Conforta i suoi , 226. Colpisce d'un
sasso Teucro , 446. Parla ai Trojani , 685. Ha
un' ambasciata da Giove. XI , 257. Stimola i
Trojani alla pugna, e fa grande strage de' Gre
DELLE COSE NOTABILI 349
ei, 382. Colpito da Diomede vien meno , 479.
Non si cura degli augurj . XII , 289. Uccide Am-
fimaco. XIII , 241. È colpito d'un sasso da Ajace
Telamonio. XIV, 485. È ricondotto tramortito
alla città , 512. Apollo lo conforta , e lo fa tor-
nare a combattere. XV, 291. Uccide Stichio e
Arcesilao,397. Assale la nave d'Ajace, 511. Anima
i Trojani alla pugna , 523. Uccide Licofrone scu-
diero d'Ajace , 530. Uccide Epigéo figlio d'Agá-
cle . XVI , 800. Uccide Pátroclo , 1154. Si veste
J'armi d'Achille. XVII , 232. Uccide Schedio fi-
glio d'Ifito , 375. È istigato da Apollo a vendi-
care la morte di Pode , 730. Ferisce Leito figlio
d' Alettrione , 758. Uccide Cerano cocchiere di
Merione, 773. Si oppone al consiglio di Polida-
mante, e fa restare i Trojani alle navi. XVIII,
384. Avvertito da Apollo ſugge di combattere
con Achille. XX , 450. Gli va contro per vendi-
car la morte del fratello , 512. Apollo lo sottrae
dal pericolo , 542. Risolve di combattere con
Achille. XXII , 164. In vederlo ha paura , e si
dà a fuggire , 173. Ingannato da Minerva vien
con esso a battaglia , 314. E ferito da lui nella
gola , 414. Prima di morire predice la morte ad
Achille , 456. Suo cadavero strascinato da que-
sto eroe dietro al suo cocchio , 506. Apollo lo
preserva dalla corruzione. XXIII , 251. Príamo
lo riscatta , e lo conduce a Troja. XXIV, 614.
È onorato coll'esequie e colla sepoltura , 1001.
Eubéa. II , 700.
Euchenore , figliuolo di Poliide , ucciso da Paride.
XIII , 853.
Eudoro , figlio di Mercurio e di Polimela , capita-
no. XVI, 254.
Eufemo, nipote di Ceo, capitano. 11, 1129.
Eufete: dona un usbergo a Filéo. XV, 662.
Euforbo, figlio di Panto: tien Menelao lontano dal
corpo di Pátroclo. XVII , 1. È ucciso da Me-
nelao, 68.
Eumede , padre di Dolone. X, 403.
Eumelo, figlio d'Admeto , capitano. II, 956. Giuoca
al corso de cocchi. XXIII , 385. Maneggia le
cavalle d'Admeto, ch'erano velocissime , 494.
Eunéo, figlio di Giasone e d'Issipile. VII, 580.
ΧΧΙ , 59.
350 TAVOLA
Euríalo, figlio di Mecistéo, capitano. II , 748. Uc-
cide Dreso , Ofelzio , Esepo e Pédaso. VI , 26.
Giuoca al pugilato XXIII , 857.
Euribate, araldo d'Agamennone. 1, 421. II , 242.
IX, 215.
Euridamante, interprete di sogni, e padre di Abaute
e Poliide. V, 193.
Eurimedonte, figlio di Toloméo Piraide. IV, 274.
Eurimedonte , auriga di Néstore. XI, 830.
Eurinome , figliuola dell' Oceano : salvò Vulcano
quando fu precipitato dal cielo. XVIII, 545.
Euripilo, figlio d' Evemone. 11 , 985. Uccide Ipsé-
nore. V, 100. Uccide Melanzio. VI, 45. Uccide
Apisaone, ed è ferito da Paride. XI , 779. Pá-
troclo si ferma nel suo padiglione. XV, 481.
Euristéo, figlio di Sténelo. XΙΧ , 122 .
Euristéo: dalle sue forze è liberato il figlio di Gio-
ve, Ercole , da Minerva. VIII , 501 .
Eurito, re d'Ecalia. 11 , 794 , 977-
Eurito , figlio d'Attore e padre di Talpio. II , 831 .
Euro, vento. 11, 190.
Eussoro, padre d'Acamante. VI , 1.
Evemone , padre d'Euripilo. 11 , 985. V, 99.
Eveno, figliodi Selepio e padre di Minete e d'E-
pistrofo. 11 , 927.
Evippo, ucciso da Pátroclo. XVI , 597.
Faggio presso alle mura di Troja. VI , 296 , e al-
trove.
Falce. XIII , 1021. Spogliato da Antiloco. XIV,
618.
Faone , figlio di Fenopo , ucciso da Diomede. V,
197.
Fari , città. II , 774.
Fausia, padre d'Apisaone. XI , 775 .
Favonio, vento. 11, 193 , e altrove.
Fea , città . VII , 165.
Fegéo, figlio di Darete : investe Diomede , ed è
ucciso da lui. V, 19 .
Fenéo, luogo. 11 , 806.
Fenice, uno de' deputati a placare Achille. IX,
DELLE COSE NOTABILI 35
211. Lo scongiura a deporre lo sdegno , 636.
Resta a dormire nel suo padiglione , 792. Uno
de' capitani de' Mirmidoni. XVI , 279. Resta
con Achille , per consolarlo della morte di Pá-
troclo. XIX , 310. È posto giudice alla meta del
corso de cocchi. XXIII , 471 .
Fenopo, padre di Xanto e di Faone. V, 197.
Fenopo , padre di Forci. XVII , 385.
Fenopo , figlio d'Asio : Apollo sotto la sua sem-
bianza instiga Ettore a vendicare la morte di
Pode. XVII , 731 .
Fere , città . II , 953. V, 722. IX , 192.
Feréa , montagna. 11 , tr09 .
Fereclo , ucciso da Merione. V, 73.
Fereziade , cioè Admeto: sue cavalle velocissime.
XXIII , 494.
Ferusa , ninfa Nereide. XVIII , 56.
Festo , città. IH , 807.
Festo, figlio di Boro , ucciso da Idomenéo. V, 57.
Fida , capitano. XIII , 893.
Fidippo, figlio di Tessalo e nipote d'Ercole , capi-
tano de Greci . 11 , 908 .
Figliuolidi Priamo : quanti fossero. XXIV , 625.
Filáce , città. II , 938. XIII , 899. XV, 407.
Filaco, padre d'Ificlo. 11, 945. Ucciso da Leito.
VI , 46.
Filante, padre di Polimela. XVI , 256.
Filéo, padre di Megete. 11 , 839. X , 223. XV ,
665. ΧΙΧ , 235 .
Filétore , padre di Demúco. ΧΧ , 56r .
Filomedusa , moglie d'Areitoo. VII , 12.
Filottete , uno de' capitani greci lasciato piagato
in Lenno. 11 , 966 .
Flegj , popoli. XIII , 387 .
Focensi , popoli. 11 , 678.
Forbante , padre di Diomedea. IX , 847. D' Ilionéo.
XIV, 587.
Forci , capitano. 11 , 1152 .
Forci, figlio di Fenopo, ucciso da Ajace. XVII, 384.
Fradmone , padre d'Agelao. VIII , 347.
Frigia. III , 245. ΧΧΙV, 686.
Frigj , popoli. II , 1153. III , 253.
Frontide, moglie di Panto e medre d'Euforbo.
XVII , 47.
352 TAVOLA
Ftia, eittà. I , 207 , 226. II , 913. ΙΧ, 334. ΧΙΧ ,
322.
Ftj , popoli. XIII , 884.
Ftiri , luogo. I1, 1161.
Galatea , ninfa Nereide. XVIII , 59.
Ganimede , figlio di Troe. V, 349. Rapito dagli
Iddii per farlo coppiere di Giove. XX , 281 .
Gárgaro, luogo. Viii , 61. XIV, 415. XV, 184.
Gerénio, titolo di Néstore. VIII, 101.
Giapeto con Saturno chiusi nel Tartaro. VIII, 660.
Giasone, marito d' Issipile e padre d'Eunéo. VI ,
580. ΧΧΙ, 59.
Gigéa , palude. II , 1156. XX , 473 .
Giove, figliodi Saturno , difeso da Briaréo, quando
Giunone, Nettuuno e Minerva lo volevano le-
gare. 1 , 527. Va al convito degli Etiopi , 558.
Pregato da Teti a favorire Achille , le promette
esaudirla , 662. Riprende la curiosità di Giuno-
ne , 721. Manda un sogno malefico ad Agamen-
none. II, 7. Motteggia Giunone. IV, 7. Le re-
plica sdegnato perch' ella perseguiti i Trojani ,
39. Invia Minerva al campo de' Trojanı , 85.
Risponde a Marte ferito. V, 1177. Risponde sde-
gnato a Nettunno. VII , 563. Raduna il conci-
lio degli Dei. VIII3, 3. Pone sulle bilance il ca-
fato de Trojani ede' Greci , 87. Fulmina i
valli di Diomede , 181. Manda un buono augu-
rio ad Againennone , 328. Manda un'ambasciata
a Giunone e a Minerva , 553. Parla ad esse ,
618. Manda la Discordia nel campo de' Greci.
XI , 3. Spedisce Iride ad Ettore, 255. Mette lo
spavento in Ajace , 727. S'addormenta sull' Ida
a lato di Giunone. XIV, 407. Le rammemora
un castigo datole da lui. XV, 23. Le impone
che gli mandi Apollo e Iride , 56. Manda Iride
a Nettunno, 190. Invia Apollo a dar soccorso
ad Ettore ed a' Trojani , 262. Pensa di preser-
vare Sarpedonte dalla morte , ma Giunone nol
consente. XVI , 616. Fa portare il suo cadavero
in Licia dal Sonno e dalla Morte , 932. Manda
DELLE COSE NOTABILI 353
Minerva a ristorare Achille digiuno. XIX , 3400
Ordina a Temi che chiami gli Dei a consiglio.
XX, 3. Dà loro licenza di prender parte nella
guerra , 24. Mette sulle bilance il fato d'Ettore
ed'Achille. XXII , 267. Manda Iride a chiamar
Teti. XXIV, 102. La prega a persuadere ad
Achille che renda il cadavero d'Ettore , 137 .
Manda Iride a Priamo a dirgli che riscatti Et-
tore , 185. Pregato da Priamo , gli manda un
buono augurio , 402. Manda Mercurio che lo
guidi sicuro alle navi, 421.
Girtone , luogo. 11 , 987.
Girzio, padre d'Irzio. XIV, 617.
Giunone: spedisce Pallade che plachi Achille. I,
261. Si duole con Giove che non le, comunica
tutti i suoi segreti , 717. Spedisce Minerva ad
impedire la fuga de Greci. 11 , 209. Contende
con Giove. IV, 32. Vien con Pallade in soccorso
de' Greci . V, 948. Chiede licenza a Giove di
scacciar Marte , 1013. Rimprovera a Greci la
Joro viltà. 104). Prega Nettunno a soccorrere i
Greci. VIII , 261. Ne prega Pallade, 484. Scende
con essa dal cielo in loro ajuto , 544. Torna in-
dietro per paura di Giove , 600. Chiede a Ve-
nere il cinto. XIV, 237. Prega il Sonno che fac-
cia addormentare Giove , 284. Gli promette per
moglie Pasitéaa , una delle Graziee , 323. Si co-
rica sull' Ida a lato di Giove , 407. Come fosse
una volta da lui punita. XV , 23. Manda Apollo
ed Iride a Giove, 173. Fa nascere Euristéo prima
d'Ercole. XIX , 123. Fa parlare uno de' cavalli
d'Achille, 406. Manda Vulcano a bruciare le
rive del Xanto. XXI , 434. Batte Diana , 626.
Giuochi de' cocchi. XXIII , 364. Del pugilato e
del cesto, 838. Della lotta , 889. Del corso, 944.
De' gladiatori , 1017. Del disco, 1048. Del trarre
a segno, 1080.
Giuoco degli astragali , cagione della morte del fi-
glio d'Anfidamante. XXIII , 108.
Giuramento: comedato da Agamennoue e da Pría-
mo. III , 364. Altro da Agamennone, XIX, 256.
Glafira , città. 11 , 954.
Glauce, ninfa Nereide. XVIII , 5r .
Glauco, figliod'Ippoloco e compagno di Sarpedon-
354 TAVOLA
te, capitano de Licj . 11 , 1173. S'affronta con
Diomede. VI , 152. Gli racconta la sua stirpe,
178. Cambia le sue armi con quelle di Diomede ,
292. Uccide lfinoo. VII , 16. E ferito da Teucro
in un braccio. XII , 478. E risanato da Apollo.
XVI , 751. Chiama i Trojani a vendicar la morte
di Sarpedonte, 757.
Glissa, luogo. 11, 659.
Gnosso, città. 11 , 864.
Gonoessa , luogo. 11 , 761.
Gorgizione, figlio di Priamo. VIII , 414.
Gorgone: sua testa. V, ggo.
Gortina città. 11 , 866.
Granico, fiume. XII, 19.
Grea , città. II , 651 .
Gunéo , capitano. 11, 1000.
Hodio , capitano degli Alizoni. II , 1146. Ucciso da
Agamennone. V, 50.
ladi , stelle. XVIII , 675.
lalmeno , figlio di Marte e fratello d'Ascalafo, ca-
pitano. 11 , 67г .
Icetaone , uno de' seniori de' Trojani. III , 194.
Padre di Melanippo. XV, 685. Figlio di Laome-
donte . XX , 288 .
Ida , monte. II , 1097.
Idéo , figlio di Darete : fugge ed è salvato da Vul-
cano. V, 25.
Idéo , uno degli araldi , mandato a far cessare il
duello fra Ettore ed Ajace. VII , 345. Espone
l'ambasciata nel parlamento de Greci , 468. Ас-
compagna Priamo alle navi. XXIV , 412. Trova
per la strada Mercurio , 444.
Idomenéo, proposto per ricondurre Criseide al pa-
dre. I , 193. Invitato da Agamennone al sacrifi-
cio co'principali de' Greci. II , 536. Capitano
DELLE COSE NOTABILI 355
de' Cretesi , 863. Lodato da Agamennone , gli
risponde. IV, 321. È esortato da Nettunno a
combattere. XIII , 288. Uccide Otrionéo , 464.
Uccide Asio , 498. Uccide Alcatoo, 550. Uccide
Enomao ,649. Uccide Erimanto. XVI , 485. Re-
sta a consolare Achille afflitto per la morte di
Pátroclo. XIX , 310. Osserva quali cavalli vin-
cano al corso. XXIII , 586.
Ifianassa , figlia di Agamenuone. IX , 185.
Ificlo , figlio di Filaco e padre di Podarce. II , 945.
Ifidamante , figlio d'Antenore XI , 298. Ucciso da
Agamennone , 314.
Ifinoo , figlio di Dessio. VII, 17.
Ifito, figlio di Naubolo e padre di Schedio e d'E-
pistrofo. 11 , 680.
16zione , figlio d'Otrintéo , ucciso da Achille. XX ,
462.
Ilesio , luogo. II , 653 .
Hio, l'istesso che Troja. V, 268 , e altrove.'
Ilionéo, figlio di Forbante , ucciso da Peneléo.
XIV, 596.
Hitia, raccoglitrice de parti : l'istesso che Luci-
na. XVI , 267.
Hitie, figliedi Giunone. XI , 365.
Illo, fiume. XX , 475 .
Ilo, figlio di Troe e padre di Laomedonte. XX ,
280.
Imbraso, padre di Piro. IV, 659.
Imbro , città. XIV , 339. XXIV, 108 , 961 .
Inarime , monte. II , 1048.
Ionj , popoli . XIII, 885.
Ipénore , ucciso , da Diomede. V, 185.
Iperéa , luogo. VI , 599.
Iperénore , ucciso da Menelao. XIV, 621 .
Iperésia , luogo. 11 , 760.
Iperoco, padre d'itimoréo. XI, 904.
Ipiroco , ucciso da Ulisse. XI , 450.
Ipocoonte , consigliere de Traci. X , 645.
Ipoplacia , soprannome di Tebe. VI , 512.
Ipóplaco , luogo. VI , 511. XXII , 625 .
Ipotebe , castello.
ca 11 , 660. 7
Ippaso, padre di Caropo , di Soco , d'Apisaone e
d'Ipsenore. XI , 574.
Ippodamante , ucciso da Achille. XX , 488.
356 TAVOLA
Ippodamia , moglie di Piritóo e madre di Polipete.
11, 992.
Ippodamo , ucciso da Ulisse. XI , 450.
Ippóloco, figliod'Antimaco e padre diGlauco.VI,
152. XI , 172. S'incontra in Agamennone , ed
è ucciso da lui , 201.
Ippóloco , figlio di Bellerofonte. VI, 178 , 245.
Ippómaco: è colpito da Leontéo. XII , 230.
Ippomolghi , popoli giustissimi. XIII , 8.
Ippotóo, figlio di Leto , capitano de Trojani. II,
123. XVII , 265. Ucciso da Ajace , 353.
Ippotoo, figlio di Priamo. XXIV , 318.
Ippozione,padre d'Ascanio, Mori e Palmi. XIII ,
1023. XIV, 619.
Ipsenore,sacerdote figlio di Dolopione uccisoda
Euripilo. V, 96.
Ira , città. IX , 191.
Iria , luogo. II , 648.
Iride , mandata da Giove ambasciatrice a Trojani.
11, 1053. Ambasciatrice ad Elena. III , 158. Ac-
compagna Venere ferita in cielo. V, 461. Fa
l'ambasciata di Giove a Giunone e a Minerva.
VIII, 570. È spedita da Giove ad Ettore. XI,
255. E mandata da Giunone a Giove. XV, 174.
Da Giove a Nettunno, 190. Da Giunone ad
Achille. XVIII, 246. Va a chiamare i Venti per
ardere il rogo di Patroclo. XXIII , 266. Va a
chiamar Teti , e la conduce a Giove. XXIV, 106.
E mandata da Giove a dire a Priamo che riscatti
il cadavero d'Ettore , 185.
Irmino , luogo. II , 827.
Irtaco, padre d'Asio. II, 1118. XII , 112.
Irzio , figlio di Girzio , uccisoda Ajace. XIV, 617.
Isandro, figlio di Bellerofonte , ucciso da Marte.
VI, 244, 252.
Iso, figlio bastardo di Priamo , ucciso da Agamen-
none. XI , 144.
Issionéa , sposa (cioè sposa d'Issione) , madre di
Piritóo. XIV, 378 .
Issipile, moglie di Giasone e madre d'Eunéo.
VII , 581.
Istiéa , luogo. 11 , 709.
Itaca , isola. 11 , 847. III, 267.
Itemenéo,padre di Stenelao . XVI , 824.
DELLE COSE NOTABILI 357
Itimonéo, figliod'Ipéroco, ucciso da Néstore. X1,904.
Itome , luogo. 11 , 976.
Itone , luogo. 11 , 933.
Jaliso , città. II , 876.
Jameno , cavaliere. XII , 164. Ucciso da Leontéo,
227.
Jampoli , luogo. Il , 684.
Janassa , ninfa Nereide. XVIII , 61 .
Janira , ninfa Neréide. XVIII , 60.
Jaolco , città. 11 , 955 .
Járdano , fiume. VII , 166.
Jaso, figliodi Sfelo , capitano. XV, 408.
Jera , ninfa Neréide. XVIII , 55.
Laa , luogo. II , 776.
Lacedémone , città. II , 773.
Laerce , padre d'Alcimedonte . XVI , 280. Figlio
d'Emone. XVII , 592.
Laerte , padre d'Ulisse. IV, 441. XXIH , 919.
Lampo , uno de' seniori de' Trojani. 111, 193. Fi-
glio di Laomedonte. XX , 287.
Laodamia, figliuola di Bellerofonte e madre di Sar-
pedonte, uccisa da Diana. VI , 253.
Laodice , figlia di Agamennone e sorella di Criso-
temi e Ifianassa. IX , 185.
Laodice , figliuola di Priamo : Iride si fa simile a
lei. III , 160. Più bella delle altre figliuole di
Ecuba. VI , 317 .
Laodoco, figlio d'Anténore. IV, 103.
Laogono , figlio di Biante. XX , 564.
Laomedonte , padre di Priamo. 111 , 331. Anchise
gli ruba la razza d'alcuni cavalli. V, 352. Padre
di Bucolione. VI, 30. Figlio d' llo e padre di
Titone , di Priamo , di Lampo , di Clizio e d'l-
cetaone. XX , 285. Nega la mercede a Nettunno
e ad Apollo . ΧΧΙ , 576.
Lautoe , figliuola d'Alte , moglie di Priamo e ma-
dre di Licaone e Polidoro. XXI , 117.
358 TAVOLA
Lapiti , popoli. XII , 151.
Larissa , luogo. 11 , 1122. XVII , 369 .
Latona , madre d'Apollo. 1 , 11 , 46. XXI , 628 .
Leito, figlio d'Alettrione , capitano. 11, 646. Uc-
cide Filaco. VI , 46. È ferito da Ettore. XVII,
58.
Lélegi , popoli . X , 534.
Lenno , isola. 1 , 788. VII , 579. VIII , 305. XXI,
81. XXIV, 961 .
Leocrito , figlio d'Arisbante, ucciso da Enea. XVII,
434.
Leontéo, figlio di Corone, capitano. 11, 997. Giuoca
al disco. XXIII , 1063 .
Leontéo, figlio d'Antimaco, compagno di Polipete.
XII , 153. Investe Ippomaco ed altri, 227.
Lesbo , isola. IX , 166.
Leto, 6glio di Teutamo e padre d' Ippotóo e di
Piléo,capitano. II , 1125.
Leuco , compagno d'Ulisse , colpito da Antifo. IV,
618.
Licaone , padre di Pándaro. 11 , 1105. Fratello di
Paride. 111, 437. Figlio di Priamo : a lui s'as-
somiglia Apollo, volendo parlare ad Enea. XX,
102. Si scontrá con Achille. XXI, 48. È ucciso
da lui , e gettato nel fiume , 158. Priamo si
duole non lo poter vedere . XXII , 58. Cratere
dato da Eunéo a Pátroclo pel suo riscatto.
XXIII , 945 .
Licasto , luogo. Il , 866.
Licia , paese. 11 , 1172.
Liej , popoli. 11, 1172. VI , 232. Χ, 536.
Licinnio , zio materno d'Ercole , ucciso da Tlepo-
lemo. II , 887.
Lico, ucciso da Peneléo . XVI , 471 .
Licofonte, figlio di Autofano , capitano , ucciso da
Diomede. IV, 487 .
Licofonte , ucciso da Teucro. Viil , 374.
Licofrone , figlio di Mástore. XV, 530.
Licomede , figlio di Creoute, duce delle scolte. IX,
107. Uccide Apisaone. XVII , 436. E preso per
compagno da Ulisse. XIX , 236 .
Licurgo : percuote le nutrici di Bacco. VI , 163.
Liléa , città. II , 686.
Limnoria , ninfa Nereide. XVIII , 55.
DELLE COSE NOTABILI 359
Lindo , città di Rodi. 11 , 876 .
Lirnesso , città. II , 924. XIX. 60. ΧΧ, 115, 234.
Lisandro, ucciso da Ajace. XI, 660.
Litto, città. 11, 865.
Locri o Locresi, popoň. II , 691. X111 , 884 .
Macaone , figlio d' Esculapio , capitano de Greci.
!! , 980. Medica la ferita di Menelao. IV, 256.
E ferito da Paride , ed è ricondotto alle navi da
Néstore. XI , 681 .
Mácare , re di Lesbo. XXIV, 686.
Magnesia , paese. 11 , 1012 .
Mantinéa , città . 11 , 810.
Máride , figlio d'Amisodaro e fratello d' Atimnio,
ucciso da Trasimede. XVI , 449.
Marpissa , madre di Cleopatra. IX , 719.
Marte, Dio dell' armi. V, 543. Palladelo fa
desistere dall' ajutare i Trojani. V, 45. Sta av-
vinto tredici mesi in un carcere di ferro per
opera d'Oto e d'Efialte , 502. Stimola i Trojani
contra i Greci , 597. Rimette nel campo Enea,
742. È ferito da Diomede , 1136. Ne chiede ven-
detta a Giove , 1155. È medicato da Peone ,
1195. Uccide Isandro figliuolo di Bellerofonte.
VI , 251. Vuol vendicare la morte d' Ascálafo.
XV, 131. E sconsigliato da Minerva , 153. È da
lei colpito d' un sasso. XXI , 523 .
Masete , luogo. 11 , 744 .
Mástore , padre di Licofrone. XV, 530.
Meandro , fiume. II , 1161 .
Mecistéo , figlio d'Echio. VIII , 455.
Mecistéo , figlio di Talajone re , e padre d'Euria-
lo. 11 , 748. VI , 37.
Mecistéo , ucciso da Polidamante. XV, 409.
Medeone , castello. 11 , 656.
Medesicaste , figliuola bastarda di Priamo. XIII ,
223.
Medonte, figliuolo bastardo d'Oiléo , capitano. II,
974. Ucciso da Enea. XV , 401 .
Mege o Megete , figlio di Filéo , capitano. II , 830.
Uccide Pedéo. V, 86. Mentovato da Néstore per
360 TAVOLA
andar contra ad Ettore. X , 223. Va contro i
Trojani. XV, 364. Uccide Cresino , 653. Si batte
con Dólope , 658. E preso per compagno da Ulis-
se. XIX , 235.
Melanippo, ucciso da Teucro. VIII , 375.
Melanippo , confortato a combattere da Ettore.
XV , 683. Ucciso da Pátroclo. XVI , 972.
Melanippo , preso per compagno da Ulisse. ΧΙΧ,
235.
Melanzio , ucciso da Eurípilo. VI , 45.
Meleagro , figlio d'Enéo . 11, 862. Uccide il cin-
ghiale di Calidonia. IX, 694 .
Melibéa , città. II , 960.
Melite , ninfa Nereide. XVIII , 54.
Mémalo,padre di Pisandro. XVI , 276.
Menelao , figlio d'Atréo , fratello d'Agamennone e
marito d'Elena : desidera che si vendichi il ratto
della sua moglie. 11 , 778. Va incontro a Pari-
de. III , 35. Accetta di far seco il duello , 123,
Si battono , e vince, 483. Gli è tratto dalle mani
Paride da Venere , 499. E ferito a tradimento
da Pándaro. JV, 123. Conforta Agamennone a
non temere per lui , 223. E medicato da Ma-
caone , 256. Uccide Scamandrio. V, 62. Uccide
Pilemene , 761 , Fa prigione Adrasto , VI , 48.
Vuole accettare il duello con Ettore; ma Aga-
mennone nol consente. VII, 121. È mandato
da esso a svegliare Ajace. X , 61. Soccorre Ulis-
se. XI , 621. Ferisce Eleno. XIII , 762. Uccide
Pisandro , 775. Uccide Iperénore. XIV, 621. Uc-
cide Toante. XVI, 438. Uccide Euforbo. XVII,
68. È confortato da Minerva a difendere il ca-
davero di Pátroclo , 698. Urcide Pode , 723.
Manda Antiloco ad Achille ad avvisarlo della
morte di Pátroclo , 870. Insieme con Merione
porta il suo cadavero alle navi , 906. Giuoca al
corso de' cocchi. XXIII , 391.
Meneste , ucciso da Ettore. V, 806.
Menestéo ,figlio di Petéo, capitano degli Ateniesi.
11, 729. E trovato ozioso da Agamennone , ed
è sgridato da lui. IV, 418. Compagno d'Arcesi-
lao. XV, 397.
Menestio, figlio d' Areitóo , ucciso da Ettore e da
Paride. VII , 9.
DELLE COSE NOTABILI 361
Menestio, figlio del fiume Sperchio, capitano delle
navi. XVI , 244.
Menézio, padre di Patroclo. XI , 813. È mento-
vato da Néstore , 1028. Conduce il figlio a Ftia.
XXIII , 110 .
Menone , ucciso da Leontéo. XII , 234.
Meone , figlio d'Emone , capitano. IV, 486.
Meonia , provincia. III , 528. XVIII , 394 .
Meonj , popoli. II , 1157.
Mera , ninfa Neréide. XVIII , 62 .
Mercurio : dona a Pélope lo scettro che gli era
stato regalato da Giove. II, 138. Cede la vitto-
ria a Latona . XXI , 638. È mandato da Giove
a condur Priamo con sicurezza alle navi de Gre ..
ci. XXIV, 424. Gli guida il cocchio , 557. Se
glı manifesta , 580. Lo esorta a lasciare il campo
greco , 866.
Merione , figlio di Molo , capitano. 11 , 872. Com-
pagno d' Idomenéo , capitano de' Cretesi. IV,
306. Uccide Fereclo. V, 73. Capitano delle guar-
die. IX , 106. Investe Deifobo . XIII , 204. Lo
ferisce in un braccio , 678. Uccide Adamante ,
726. Uccide Arpalione , 835. Uccide Mori e lp-
pozione. XIV, 619. Uccide Acamante. XVI ,
480. Uccide Lacgono , 848. Insieme conMene-
lao porta alle navi il cadavero di Patroclo. XVII,
906. E preso per compagno da Ulisse. XIX, 234.
Giuoca al corso de cocchi. XXIII , 468. Ha in
premio due talenti , 776. Giuoca con Teucro a
tirare a segno colle frecce , 1090. Ha in dono
un'asta da Achille, 1129.
Mermero , ucciso da Antiloco. XIV, 618 .
Merope , padre d'Adrasto e d'Anfio. 11, 1111.
Messa , città. II , 774.
Messide , fontana in Argo. VI , 599.
Mestle , figliodi Pilemene , capitano de Trojani.
II , 1155. XVII , 264 .
Metone , città. I
' , 960.
Micale , monte. 11, 1162.
Micalesso, città. 11 , 651.
Micene, città. 11 , 755. IV, 466.
Midéa , luogo. 11 , 664.
Midone, ucciso da Antiloco . V, 763 .
ILIADE. Vol. II. 16
362 TAVOLA
Migdone di Frigia : in suo soccorso ando Príame,
quando combatte colle Amazzoni. III , 247.
Mileto , città. II , 865 , 1160.
Minerva : impedisce ad Achille d'uccidere Aga-
mennone . i , 261. Insieme con Giunone e Net-
tunno volle legar Giove , 522. Prega Ulisse che
s'opponga alla fuga de' Greci. II , 228. Instiga
Pándaro a ferir Menelao . IV , 109. Si ritira con
Marte dalla battaglia. V, 36. Conforta Diomede,
59. Motteggia con Giove sulla ferita di Vene-
re , 543. Va con Giunone in soccorso de' Gre-
ci , 1006. Rimprovera la sua paura a Diomede,
1066. Monta sul cocchio e va con questo eroe
ad assalire Marte , 1116. Non accetta il voto delle
donne trojane. VI , 394. S'accorda con Apollo
a far sospendere la guerra. VII , 38. Risponde a
Giove nel parlamento degli Dei. VIII , 38. Ri-
sponde a Giunone , 492. Va a soccorrere i Greci
insieme con lei , 532. Son fatte tornare indietro
da Iride , 570. Trattiene Marte che non si ven-
dichi della morte d'Ascálafo. XV, 149. E man-
data da Giove in soccorso de' Greci. XVII , 688 .
In sembianza di Fénice conforta Menelao a di-
fendere il cadavero di Pátroclo , 696. Ristora
Achille con ambrosia e néttare. XIX , 348. Lo
difende da un colpo d'Ettore. XX, 535. Lo soc-
corre in pericolo d'annegare. XXI , 374. Colpi-
sce Marte con un macigno , 523. Percuote Ve-
nere nel petto, 549. In sembianza di Deifobo
persuade Ettore a combattere con Achille. XXII,
290. Ajuta Diomede a vincere il giuoco de coc-
chỉ. XXIII , 511. Ajuta Ulisse a vincere Ajace
nel corso
Minete , 980.
, figlio d'Eveno. II , 928.
Minete , re della patria di Briseide. XIX , 294.
Miriona : suo monumento. 11 , 1089.
Mirmidoni, popoli. 1 , 430. II, 915. VII , 152 ,
altrove.
Mirsino , città. II, 827.
Misj , popoli. II , 1147. Χ , 536. XIII , 6.
Mneso , ucciso da Achille. XXΧΙ , 272 .
Molione , ucciso da Ulisse . XI , 431 .
Molioni ,due figliuoli d'Attore , investiti da Né-
store e salvati da Nettunno. ΧΙ , 1005.
Molo, padre di Merione . X , 346.
DELLE COSE NOTABILI 363
Mori , figlio d' Ippozione. XIII , 1022. Ucciso da
Merione . XIV, 619.
Morte : insieme col Sonno suo fratello porta il ca-
davero di Sarpedonte in Licia. XVI , 951.
Mosca : sua importunità. XVII , 718.
Mulio , ucciso da Néstore. XI , 988 .
Mulio, ucciso da Pátroclo. XVI , 973.
Mulio, ucciso da Achille. XX , 579.
Muse , figliuole di Giove : puniscono Tamiri , che
s'era vantato di superarle nel canto. 11 , 792.
Naide e Najade. V. Ninfa.
Naste , figliodi Nomione , capitano de' Carj . II ,
1163.
Naubolo, padre d'Ifito. II , 680.
Nemerte , ninfa Neréide. XVIII , 60
Nerito , isola. II , 847.
Neséa , ninfa Nereide. XVIII , 51.
Néstore , re de' Pilj , figlio di Neléo e padre d'An-
tiloco: esorta Agamennone ed Achille a far la
pace. 1 , 338. Esorta i capitani a render l'ar-
mi. 11, 106. Parla al popolo, e consiglia a ven-
dicare il ratto d'Elena , 466. Sollecita Agamen-
none alla battaglia , 571. Comanda novanta navi,
784. Conforta i Greci a fare strage de' Trojani.
VI , 84. Anima i Greci ad accettare il duello
con Ettore. VII, 147. Fa estrarre a sorte a chi
debba toccare , 209. Propone la tregua per dar
sepoltura a morti, 399., Gli è ferito un cavallo
da Paride. VIII, 101. E soccorso da Diomede ,
1.31. Lo consiglia a fuggire , 184. Parla in con-
siglio. IX, 67. Persuade ad Agamennone di pla-
care Achille , 116. Elegge i deputati a questo
affare , 205. Sveglia Ulisse. X , 172. Sveglia
Diomede , 202. Cerca in consiglio chi voglia
spiare gli andamenti de Trojani , 360. Accoglie
Diomede e Ulisse tornati da spiare il campo de'
Trojani , 677. Conduce alle navi Macaone feri-
to. XI , 687. Prega Pátroclo che muova Achille
alla difesa de Greci , 881. Da giovane uccise
Itimonéo figlio d' Ipéroco , 903. Uccise Mulio ,
364 TAVOLA
988. Resta incompagnia d'Achille dopo la morte
di Patroclo. XIX , 309. Instruisce Antiloco nel
giuoco de cocchi . XXIII , 408.
Nettunno insieme con Giunone e Minerva vuole
legar Giove. 1 , 521. Protettore d'Onchesto. II,
662. Si duole con Giove de' Greci. VII , 549.
Nega a Giunone di opporsi a Giove. VIII, 273.
In persona di Calcante parla a' due Ajaci , e
infonde loro nuove forze. XIII , 57. Va inco-
raggiando altri Greci, 106. In persona di Toante
parla a Idomenéo, 287. In sembiante di vecchio
parla ad Agamennone , XIV, 170. Conforta i
Greci , 428. Giove gli invia Iride. XV, 191.
Ubbidisce a Giove , ed abbandona i Greci , 251 .
Scuote la terra. XX, 71. Salva Enea dalle mani
d'Achille , 384. Soccorre Achille in pericolo
d' annegare. XXI , 375. Provoca Apollo a com-
batter seco , 563 .
Ninfa Najade, detta Abarbaréa, madre di Esepo e
Pédaso. VÍ, 29. Altra ninfa , madre di Satnio.
XIV, 527. Altra , madre d'Ifizione. XX, 465.
Ninfe Neréidi : riangono sopra ad Achille insieme
con Teti , la quale dipoi accompagnano a Troja.
XVIII , 49.
Ninfe loro abitazione in Sipilo. XXIV, 781 .
Niobe : sua favola. XXIV, 770.
Niréo, figlio del re Caropo e d'Aglaja. II , 900.
Nisa, luogo. 11 , 664 .
Nisiro, città. II , 905.
Nissejo , luogo. VI , 164.
Noemone, ucciso da Ulisse. V, 903.
Nomione , padre di Naste e d'Anfimaco. II , 1164.
Noto , vento. II , 190. XXI , 438.
Notte: salva il Sonno dall' ira di Giove. XIV,
314.
Ocaléa , luogo. III, 654.
Ochesio, padre di Perifante. V, 1122.
Ofeleste, ucciso da Teucro. VIII , 372 .
Ofeleste , ucciso da Achille. XXI , 273 .
Ofeltio, ucciso da Ettore. XI , 405.
Ofulzio, ucciso da Eurialo. VI, 26.
DELLE COSE NOTABILI 365
Oiléo, padre d'Ajace e di Medonte. II, 692, 974 .
XV, 402. XXIII , 612.
Olenia , rupe. 11 , 828. Oleno , luogo , 856. Ole-
nio, sasso, lo stesso. XI , 1015.
Olimpo. 1, 56 e altrove più volte.
Olizone , città. 11 , 961.
Onchesto , luogo consacrato a Nettunno. II , 663.
Opite , ucciso da Ettore. XI , 404.
Opunte , luogo. 11 , 698. XXIII , 110.
Orcomeno, luogo. 11 , 669, 807. IX, 405.
Ore, custodi delle porte del Cielo. V, 1002. VIII,
601.
Oresbio, ucciso da Ettore. V, 944.
Oreste, ucciso da Ettore. V, 940.
Oreste, cavaliere. XIII , 163. Ucciso da Leontéo ,
234.
Orione , costellazione. XVIII, 675. XXII , 33.
Oritia , ninfa Neréide. XVIII , 62.
Ormenio , luogo. 11, 982.
Ormeno, ucciso da Teucro. VIII , 372.
Ormeno , padre d'Amintore. X , 343.
Ormeno , ucciso da Polipete. XII , 226.
Ornée , luogo. II , 757.
Oro , ucciso da Ettore. XI , 405.
Orsa , costellazione detta anche Plaustro. XVIII ,
676.
Orsiloco, figlio di Diocle , ucciso da Enea. V ,
720.
Orsiloco , ucciso da Teucro. VIII , 371.
Orte , luogo. 11 , 987.
Ortéo , cavaliere de Trojani. XIII 1021.
Oto, figliod'Aloéo: lega Marte. V, 503.
Oto cillenio, capitano e compagno di Megete, spo-
gliato dell'armi da Polidamante. XV, 645.
Otréo , soccorso da Priamo , quando andò in Fri-
gia , nella guerra colle Amazzoni. III , 247.
Otrintéo , padre d'Iſizione. XX , 462.
Otrionéo, ucciso da Idomenéo. XIII , 466.
Paflagoni ,popoli. II
Pallade. V. Minerva., 1139.
366 TAVOLA
Pammone , figlio di Priamo. XXIV, 314.
Pándaro, figlio di Licaone , capitano de Trojani.
II , 1105. Instigato da Pallade , ferisce Menelao,
contro la fede data. IV , 123. Ferisce Diomede.
V, 121. Risponde ad Enea, 234. Accetta di mon-
tare sul suo cocchio , 300. È ucciso da Diome-
de, 379.
Pandione , scudiere di Teucro. XII , 459.
Pandoco, ferito da Ajace. XI , 659.
Panope , luogo. II , 683. XVII , 379.
Panope , padre d'Epéo. XXIII , 839.
Panopéa , ninfa Neréide. XVIII , 58 .
Panto , padre di Polidamante. XV, 652. XVIII ,
334. Padre d'Euforbo . XVI , 1137 .
Pantoo , uno de' seniori de' Trojani. III , 194.
Parca. II , 395. ΧΙΧ , 222.
Paride. V. Alessandro.
Parlamento. 1 , 70 , 649. VII , 402 , 430. XX, 3.
Parrasia , regione. II , 812.
Partenio , fiume. Il , 1141 .
Pasitéa , una delle Grazie , promessa da Giunone
per moglie al Sonno. XIV, 325 .
Pátroclo , figlio di Menézio : per ordine d'Achille
consegna Briséide agli araldi d'Agamennone. I,
452. Giove accenna a Giunone il combattimento
che seguirà per causa della sua morte. VIII ,
647.. Apparecchia il convito a deputati che an-
darono per tentare di placar Achille. IX , 264.
È mandato da Achille ad intendere chi sia il
ferito portato fuori del campo da Néstore. XI,
819. S'incontra in Euripilo ferito , 1079. Lo
medica , 1125. Chiede ad Achille di condurre ,
vestito delle sue armi , i Mirmidoui in soccorso
de' Greci . XVI, 55. Attacca i Trojani , 390.
Uccide Pirecmo , 402. Uccide Areilico , 435.
Uccide Pronoo , 567. Uccide Téstore ed Erzalo
con molti altri de Trojani , 570. Uccide Trasi-
melo , 657. Uccide Sarpedonte , 679. Uccide
Stenelao
967. , 823.perFaimpadronirsi
Essendo grande stragedelle
de Trojani
mura di,
Troja , è rigettato tre volte da Apollo , 982.
Uccide Cebrione , 1054. S'affronta con Ettore ,
1066. Apollo lo percuote , e gli fa cader l'armi,
1131. È ferito da Euforbo , 1138. È ucciso da
DELLE COSE NOTABILI 367
Ettore , 1154. Il suo cadavero è portato alle na-
vi. XVI , 913. È pianto da Briseide . XIX ,
280. Apparisce in sogno ad Achille. XXIII , 81 .
Achille gli fa fare l'esequie , 167. Spettacoli in
suo onore , 346 .
Peana . XXII , 503.
Pédaso , figlio di Bucolione , ucciso da Eurialo.
VI , 27.
Pédaso, cavallo d'Achille. XVI , 216. Ucciso da
Sarpedonte, 662.
Pédaso ,luogo. IX , 192. XXI , 120.
Pedéo , luogo. XIII , 222.
Pedéo , figlio bastardo d'Antenore , ucciso da Me-
ge. V, 86.
Pelagone , compagno di Sarpedonte. V, 925.
Pelasgi, popoli. X , 534 .
Pelegone , figlio del fiume Assio e padre d' Aste-
ropéo. XXI , 188.
Peléo, figlio d'Eaco e padre d'Achille. I , 1. IX ,
562. ΧΙΧ , 332. XXII , 542. XXIV, 670.
Peléo , padre di Polidora. XVI , 247 .
Pélia padre d'Alcesti. 11 , 959.
Pélio monte. Il , 995.
Pellene , luogo. 11 , 761.
Pelope , auriga. II , 138.
Péneléo , capitano de' Beozj. II , 646. Uccide, Ilio-
neo. XIV, 596. Uccide Lico , XVI , 475. E fe-
rito da Polidamante. XVII , 753.
Penéo , fiume. II , 1013.
Peone , medico . V, 520 .
Peoni. II , 1138. Χ, 533. XVI , 408. XXI, 269.
Percopa , luogo. XI , 310.
Percote , luogo. 11 , 1116.
Perebj , popoli. II, 1001.
Pérgaso, padre di Deicoonte. V, 71
Peribéa , figliuola d'Acessameno. ΧΧΙ , 190.
Perieréo , padre di Boro. XVI , 251 .
Perifante, figlio d'Ochesio , ucciso da Marte, V,
1120.
Perifante , figlio d'Epito , araldo. XVII , 402.
Perifete , ucciso da Teucro , XIV, 620.
Perimede , padre di Schedio. XV, 641 .
Perseo , padre di Sténelo. XIX, 114.
Peso, luogo. V, 813.
368 TAVOLA
Petéo , padre di Menestéo. II , 729. IV, 405 , е
altrove.
Peteone , città. II , 654.
Pitide , ucciso da Ulisse. VI, 39.
Pieria , regione. 11 , 1024. XIV, 275 .
Pilarte , ucciso da Ajace. XI , 660.
Pilemene , padre di Mestle e d'Antifo , capitano
de' Paflagoni. II , 1155 .
Pilene , città. II , 856.
Piléo , figlio di Leto , capitano de Trojani. II ,
1124
.
Pilia, terra. V, 724.
Pilj , popolo. 1 , 331. VII , 163. XXIII , 800.
Pilo , città. I , 335 , 357.
Pilone , ucciso da Polipete. XII , 226.
Piraso , ucciso da Ajace. XI , 660 .
Pirecmo, capitano de' Peonj. 11 , 131. È ucciso
da Pátroclo. XVI , 406.
Piréo , padre di Rigmo. XX, 596.
Piritóo , compagno di Teseo. 1 , 350 .
Piritóo , padre di Polipete. II , 990.
Piro , figlio d'Imbraso. IV, 659.
Piro , ucciso da Pátroclo. XVI, 596.
Piróo , capitano de' Traci. II , 1126.
Pirraso, luogo II , 931.
Pirro , iglio d'Achille. XIX , 330.
Pisandro , figlio d'Antimaco. XI, 172. S'incontra
in Agamennone , 177. È ucciso da lui, 198.
Pisandro , figlio di Mémalo, capitano de' Mirmi-
doni . XVI , 277 .
Pisenore , padre di Clito. XV, 547.
Pitiéa, luogo. 11 , 1108.
Pito, città. II, 682.
Pittéo, padre d'Etra. III , 190.
Platéa , città . II , 659.
Pléjadi , stelle. XVIII , 675.
Pleurone , città. II , 856. XIII , 284. XIV, 143.
Patria d'Alcéo. ΧΧΙΙΙ , 804.
Plutone : Minerva si mette in capo la sua celata
per non esser veduta da Marte. V, 1123. Figlio
di Saturno e di Rea. XV, 223.
Podalirio , figlio d'Esculapio , medico e capitano.
11 , 980. XI , 1111 .
Podarce , figlio d'Ificlo e fratello di Protesilao ,
capitano de' Greci. II , 944.
DELLE COSE NOTABILI 300
Podargo , cavallo di Menelao. XXIII , 393 .
Pode , figlio d'Eezione. XVII , 723.
Pólibo , figlio d'Antenore. XI , 81 .
Polidamante : suo savio consiglio. XII, 70. Sua
spiegazione d'un augurio , 260. Persuade adEt-
tore che aduni il consiglio. XIII , 955. Uccide
Proténore . XIV, 534. Uccide Mecistéo. XV, 409.
Uccide Oto , 645. Ferisce Peneléo. XVII, 752.
Consiglia i Trojani a ritirarsi nella città. XVIII,
342.
Poliemone , padre d'Amopaone. VIII , 374.
Poliide , padre d'Euchenore, indovino. XIII, 853.
Polido, figlio d'Euridamante, ucciso da Diomede.
V, 191 .
Polidora , figlia di Peléo , moglie del fiume Sper-
chio , e madre di Menestio. XVI , 248.
Polidoro , figliuolo minore di Priamo , ucciso da
Achille. XX , 496. Rammemorato. XXI , 126.
XXII , 60. XXIII , 807.
Polifemo , capitano. 1, 351.
Polimela , figliuola di Filante : da Mercurio ebbe
Eudoro. XVI , 256.
Polimelo , figlio d'Argéo , ucciso da Pátroclo. XVI ,
596.
Polinice , compagno di Tidéo . IV, 465.
Polipete , figlio di Piritoo e d'Ippodamia , uno de
capitani greci. 11 , 990. Uccide Astialo. VI, 38.
Uccide Damaso. XII , 221. Giuoca al disco, ed
è vincitore. XXIII , 1072 .
Polisseno , figlio del re Agastene , capitano degli
Ερéi. II , 834.
Polite, figlio di Priamo. II , 1059. Conduce via
Deifobo ferito. XIII , 686. Uccide Echione. XV,
411. E sgridato dal padre. XXIV, 320 .
Politore: Mercurio, avendo presa sembianza di gio-
vinetto , fa credere a Priamo che questo sia il
nome di suo padre. XXIV , 503.
Polluce , fratello di Cástore. III , 315.
Ponente , vento . XXI , 437.
Prazio , luogo. 11 , 1116.
Preci , figliuole di Giove , come sieno. IX, 644.
Preto , re , marito d'Antéa. VI , 194.
Priamo , re di Troja : si fa dire da Elena i nomi
de' capitani greci. III , 217. Va nel campo per
16*
370 TAVOLA
dare il giuramento , 344. Ritorna in Troja, 408.
Manda un araldo a' Greci. VII , 456. Fa aprir
le porte per ricovero a' fuggitivi. XXI , 674.
Scongiura Ettore che non combatta con Achille.
XXII , 48. Lo piange morto , 524. Ha ordine
da Iride di riscattarlo. XXIV, 220. Si dispone
ad eseguirlo , 239. Ne chiede a Giove l'auspi-
cio , e l'ottiene, 395. Incontra Mercurio , 454.
É condotto da lui alla tenda d'Achille, 557. Ri-
scatta il cadavero d'Ettore, 614. Cena e dorme
nella tenda d'Achille, 799. Mercurio lo consiglia
alasciare il campo , 866. Arriva in Troja , 915.
Fa l'esequie al figliuolo , 991.
Pritani , ucciso da Ulisse. V, 903.
Prómaco, ucciso da Acamante. ΧΙV, 568.
Pronóo , ucciso da Pátroclo . XVI , 566.
Protaone, padre d'Astindo. XV, 561 .
Proténore , capitano. II , 647.
Proténore, figlio d'Areilico, ucciso da Polidamante.
XIV, 534.
Protesilao, figlio d' Ificlo, ucciso nello sbarco. II,
936. Sua nave. XVI , 404.
Prote , ninfa Neréide. XVIII, 56.
Protóo , figlio di Tentredone, capitano de' Magnesi .
II , 1012.
Protoone , ucciso da Teucro. XIV, 620.
Pteléo , luogo. 11 , 790 , 934.
Radamanto , figlio di Giove. XIV, 383.
Rassegna dell'armata greca. 11 , 645. Dell'esercito
trojano , 101.
Rea , moglie di Saturno e madre di Giove, di Net-
tunno e di Plutone. XV, 224.
Rena , madre di Medone. II , 974.
Reso , re de Traci : è ucciso da Diomede. X, 592.
Minerva gli aveva fatto apparire in un sogno que-
sto eroe , 618.
Reso , fiume. XII119.
Rigmo , figlio di Piréo. XX, 595.
Ripe, luogo. I1 , 807 .
Rizio, città. II , 867.
i
DELLE COSE NOTABILI 371
Rodi , isola. II , 874 , 894.
Rodiani , popoli . II , 875.
Rodio , fume. XII , 20.
Sacrifizio : d'un toro di cinque anni. I1 , 533. D'un
cinghiale. XIX, 249. A venti. XXIII , 279.
Salamina, città. II , 734. VII , 240.
Samo , isola. 11 , 848. XXIV , 107 .
Sangario ,fiume. III , 248. XVI , 1008.
Sarpedoute , capitano de' Licj . II , 1172. Stimola
Ettore con pungenti detti. V, 612. È ferito da
Tlepolemo , 878. Figlio di Giove e di Laodamia
VI , 245. Anima Glauco alla pugna . XII , 384 .
Uccide Alcmeone , 487. Compagno di Atimuio e
di Maride. XVI , 458. Combatte con Patroclo ,
e resta ucciso, 677. Giove fa portare il suo ca-
davero in Licia dal Sonno e dalla Morte, 932.
Sue armi poste da Achille per premio ne' giuo-
chi. XXIII , 1013 .
Satnio, figlio d'Enope. XIV, 526 .
Satnioente , fiume. VI , 45. XXII , 119.
Saturno , marito di Rea e padre di Giove, di Net-
tunuo e di Plutone. XV, 223.
Scamandrio , figlio di Strofio , cacciatore , ucciso da
Menelao. V, 62.
Scamandrio ,fiume. II, 609. V, 48. XII , 21 .
Scandéa , città. X , 345.
Scarfe , luogo. II, 701.
Scea, portadi Troja. VI , 206 , e altrove.
Schedio , capitano de' Focensi , figlio d' Ifito. II,
679. Ucciso da Ettore. XVII , 375.
Schedio , figlio di Ferimede , ucciso da Ettore, XV,
640.
Scheno , città. 11 , 649.
Sciro , città. IX , 852. ΧΙΧ , 326.
Scolo , città. II , 649.
Sélago, padre d'Anfio. V, 802.
Selleente ,fiume. 11 , 881 , 1121. XII , 113.
Selve sacre a Nettunno. II , 662.
Sémele , madre di Bacco. XIV, 385.
Sésamo , luogo. 11 , 1139.
372 TAVOLA
Sesto , città . II , 16.
Sfelo , padredi Jaso. XV, 408.
Sicione , città. II , 759.
Sidonie , femmine : loro lavori storiati. VI , 366.
Sidonj , popoli. XXIII, 948.
Sima , luogo. 11 , 899.
Simoenta ,fiume. XII , 21, e altrove. Fratello del
fiume Xanto. XXI , 405.
Simoesio, figlio d'Antemione , ucciso da Ajace. IV,
589.
Sinzj , popolo. 1 , 789.
Sipilo , fiume. XXIV, 782 .
Sisifo, figlio d' Eolo e padre di Glauco. VI, 189.
Soco, figlio d' Ippaso e fratello di Caropo. X1,575.
Sogno , mandato da Giove ad Agamennone. 11, 7.
E raccontato da lui in consiglio, 78 .
Solimi , popoli vinti da Bellerofonte. VI , 227 .
Sonno: abita in Lenno, XIV , 282. Giunone lo
prega a fare addormentar Giove , 284. Gli pro-
mette per moglie Pasitéa una delle Grazie, 323.
Si parte di Lenno con Giunone , 338. Fa sapere
a Nettunno che Giove dorme a canto di Giuno-
ne , 417. Porta colla Morte , sua sorella , il ca-
davero di Sarpedonte in Licia. XVI , 938.
Sparta , città. II , 773. III , 321. IV, 68.
Sperchio , fiume di Tessaglia , marito di Polidora
e padre di Menestio. XVI , 244.
Spio , ninfa Neréide. XVIII , 52.
Stenelao, figlio d' Itemenéo , è ucciso da Pátroclo.
XVI, 823 .
Sténelo , figlio di Perseo e padre d'Euristéo. ΧΙΧ,
114.
Sténelo, figlio di Capanéo, capitano degli Argivi.
11 , 746. Compagno di Diomede. IV, 452. Gli
cava lo strale dalla ferita. V, 144. Lo consiglia
a ritirarsi , 326. Scende dal cocchio , acciocchè
vi monti Minerva , 1109. Prende il premio vinto
da Diomede nel giuoco de' cocchi. XXIII , 649.
Stentore : aveva voce di ferro e sclamava per cin-
quanta uomini; Giunone preude le sue sembian-
ze. V, 1047.
Stichio, capitano degli Ateniesi. XIII , 256. Uccise
da Ettore . XV, 397 .
Stige, fiume. II, 1009. Grandissimo giuramento de-
gli Iddii. XV, 45.
DELLE COSE NOTABILI 373
Stinfalo , luogo. II , 811 .
Stira , luogo . 11 , 712.
Strazia , luogo. 11 , 808 .
Strofio , padre di Scamandrio. V, 62.
Talajone , padre di Mecistéo. II , 748.
Talia , ninfa Neréide. XVIII , 51 .
Talisio , padre d'Echépolo. IV, 571 .
Talpio , figlio d' Eurito , capitano degli Epéi. II ,
830.
Taltibio , araldo d'Agamennone : è mandato da
lui insieme con Euribante al padiglione d'Achille
a ripigliareBriséide. I , 421. Senza esporre l'am-
basciata , è loro consegnata , 454. Va per Ma-
caone , acciocchè venga a medicare Menelao . IV,
235. Insieme con Idéo araldo de Trojani fa fer-
mare il duello fra Ettore ed Ajace. VII , 34r.
Agamennone gli ordina di preparare un cinghiale
pel sacrifizio. XIX. 193. Scaglia nel mare il cin-
ghiale sacrificato , 264. Achille gli consegna il
premio per Agamennone. XXIII , 132.
Tamiri di Tracia, cantore , punito dalle Muse per
la sua presunzione. II , 792.
Tarfa , luogo. II , 701 .
Tarne , luogo. V, 56.
Toumacia , città. If , 960.
Teano , figliuola di Cisséo e moglie di Anténore,
sacerdotessa di Minerva . VI, 376.
Tebe , città. II , 926 , e altrove.
Tebéo , padre d'Eniopéo. VIII , 158 .
Tegéa , città . II, 808.
Telamone , padre d'Ajace. II , 1027.
Telémaco , figlio d'Ulisse. II , 339.
Temi , presenta il nappo a Giunone , e le parla.
XV, 103. Chiama gli Dei a consiglio. XX , 3 .
Ténedo , isola 1 , 48 , 598 .
Terrore, seguace di Marte. XIII , 382.
Tersiloco , compagno d'Ettore. XVII , 264. Ucciso
daAchille . ΧΧΙ , 272.
Tersite. Si descrive il suo carattere. II, 274. Ram-
pogna Agamennone, 293. E ripreso ebattuto da
Ulisse,320.
374 TAVOLA
Teséo , figlio d'Egéo. 1, 352.
Tespia , città. I1, 650.
Téssalo, figliod'Ercole e padre di Filippo e d'An-
tifo. II , gog.
Téstore , padre d'Alcmeone. XII, 488. Figlio d'E-
nopo. XVI , 570.
Teti : apparisce ad,Achille suo figliuolo. I , 472.
Chiama Briaréo in soccorso di Giove , 526. Ri-
sponde ad Achille , 542. Sale in cielo, e lo rac-
comanda a Giove , 658. Giunone ha gelosia di
questo fatto , 711. Si rammenta da Giove. XV,
86. Consola Achille afflitto per la morte di Pá-
troclo . XVIII, 97. Va in cielo a chiedere a Vul-
cano un'armatura per Achille , 193. Arriva alla
casa di Vulcano , 504. Reca l'armi ad Achille.
XIX, 3. Preserva dalla corruzione il cadavero di
Pátroclo, 24. Chiamata in cielo da Giove . XXIV,
119. Persuade Achille a rendere il cadavero d'Et-
tore , 168.
Teucro: uccide Aretaone. VI , 40. Figlio di Tela-
mone : fa grande strage de Trojani . VIII, 359.
Risponde ad Agamennone, che l'allettava colle
promesse, 298. Uccide l'auriga d'Ettore, 422. È
colpito dal medesimo d'un sasso , 446. Va con
Ajace in soccorso di Menestéo. XII , 458. Feri-
sce Glauco , 478. Colpisce Sarpedonte, 498. Uc-
cide Imbrio. XIII, 217. Uccide Protoone e Pe-
rifete. XIV, 620. Uccide Clito figlio di Pisenore.
XV, 545. Giove gl'impedisce di ferire Ettore,
570.Giuocacon Merione a tirare a segno. XXIII,
1090.
Teutamo , padre di Leto. II , 1125.
Teutrante,padre d'Assilo. V, 939. VI , 15.
Tidéo , figlio d' Enéo e padre di Diomede , chi
fosse. IV, 455. Si nomina , 459. V, 161, 365,
1046 , 1067.
Tieste: lascia adAgamennone lo scettro che aveva
ricevuto da Atréo. II , 139 .
Tiféo , sepolto sotto il monte Inarime. II , 1048.
Timbra , luogo. X , 536 .
Timbréo , ucciso da Diomede. XI , 433.
Timete , uno de'seniori de' Trojani. III, 194.
Tirinto , città. II , 738.
Titani. XIV, 337 .
DELLE COSE NOTABILI 375
Titano , luogo. II , 983 .
Titaresio , fiume : nasce da Stige. II , 1005.
Titone , marito dell'Aurora. XI , τ.
Titone , figlio di Laomedonte. XX , 287 .
Tlepolemo , figlio d'Ercole , capitano de' Rodiani.
II , 878 .
Tlepolemo , figlio di Damástore , ucciso da Pátro-
clo. XVI , 595.
Tmolo , monte. II , 1158. XX , 464.
Toante , figlio d'Andrémone, capitano degli Etoli.
11 , 854. Uccide Piro. IV, 668. Parlamenta agli
Achei . XV, 344. Ucciso da Menelao. XVI, 438.
Toante , compagno d'Ulisse. XIX , 234. Cratere
maraviglioso donato a lui dai Sidonj . XXIII ,
952.
Toe , ninfa Nereide. XVIII , 52
Toloméo , figlio di Pirao. IV, 275.
Toone , ucciso da Ulisse. XI, 567.
Trachine. 11 , 913 .
Traci , popoli. IV, 659, 677. X , 534 , e altrove.
Tracia. XX, 596.
Trasimede , figlio di Néstore. IX , 104. Dà a Dio-
mede una spada a due tagli. XX , 325. Uccide
Máride figlio d'Amisodaro. XVI , 449.
Trasimelo , ucciso da Pátroclo. XVI , 657.
Trasio ,ucciso da Achille. XXI , 271 .
Treco, ucciso da Ettore. V, 941 .
Trezene , città. II , 740.
Trezeno , avo di Eufemo. II , 1129.
Tricca , città. II , 976. IV, 2440
Trioessa , città. XI , 953.
Troe , figlio d' Erittonio e padre d' llo , d'Assá-
raco e di Ganimede. XX , 278 .
Troja , città. 1 , 95, e altrove molte volte.
Tronio , luogo. II , 702.
Ucalegonte, uno de' seniori de' Trojani. III , 195.
Ulisse. Agamennone minaccia di portar via il suo
premio. 1 , 185. Deputato a ricondurre Criseide
al padre , 409. Gliela consegna , 583. Ritorna
all' armata , 642. S'oppone alla fuga de' Greci.
376 TAVOLA
II , 247. Riprende Tersite, 320. Lo batte, 343.
Parla al popolo, 369. Comanda dodici navi, 850.
Uccide molti Licj. V, 900. Uccide Pidite. VI ,
39. Presenta il nappo ad Achille, e lo prega a
placarsi . IX , 203. Porta la risposta d'Achille
ad Agamennone , 862. E scelto da Diomede per
suo compagno. X , 311. Si partono insieme , с
fanno preghi a Minerva , 357. Sospende in voto
a Pallade le spoglie di Dolone , 578. Conduce
via i cavalli di Reso , 621. Conforta Diomede
alla pugna. XI, 420. Uccide molti Trojani, 450.
Ferito da Soco , l'uccide , 599. È soccorso da
Menelao, 654. Porta ad Achille i regali d'Aga-
mennone. XIX, 236. Giuoca alla lotta con Aja-
ce. XXIII , 899. Giuoca al corso , e vince , 961 .
Venere : scampa Paride dalle mani di Menelao. III,
499. Chiama Elena che venga a trovar Paride,
511. Scampa Enea dalla morte. V, 411. E ferita
da Diomede , 441. Chiede in presto i cavalli a
Marte , 469. Narra alla madre chi sia stato il
feritore, 492. Presta il suo cinto a Giunone.
XIV, 259. E colpita nel petto da Minerva. XXI,
549. Salva il cadavero d'Ettore dai cani. XXIII ,
245.
Venti: pregati da Iride , per parte d'Achille , ad
andare a far ardere la pira di Patroclo , mentre
essi erano a convito in casa di Zefiro. XXIII ,
266.
Vulcano : compone l'ire insorte fra Giove e Giu-
none. I , 759. E precipitato da Giove nell'isola
di Lenno , 787. Mesce il vino agli Dei , 792.
Lo scettro di Agamennone era suo lavoro. II ,
135 ; e l'usbergo di Diomede. VIII , 254. Fu
da lui fabbricato il talamo di Giunone. XIV ,
200. Giunone promette al Sonno una sedia ſab-
bricata da lui, 289. Fece egli l'egida di Giove.
XV , 374. E salvato da Eurinome e da Teti.
XVIII , 545. Lavora l'armi per Achille , 649.
Brucia le rive del fiume Xanto. ΧΧΙ , 448.
DELLE COSE NOTABILI 377
Xanto, figlio di Fénopo, uccisoda Diomede. V, 197 .
Xanto , fiume , figliuolo di Giove , detto anche
Scamandro. II , 609. Xit , 38). Parla ad Achil-
le. XXI , 277. Si gonfia per rintuzzare la furia
dell'eroe , 323. Gli son bruciate le rive da Vul-
cano,448. Egli prega Giunone perchè faccia ces-
sare l' incendio , 482. Due sue fonti. XXII , 192 .
Xanto , cavallo. XIX , 400.
Zacinto , isola. II , 848 .
Zefiro , vento. XXIII , 268.
Zeléa , città. II , 1103 , IV, 120.
O
MT
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