La Rivitalizzazione Dei Borghi e Dei Centri Storici Minori Come Strumento Per Il Rilancio Delle Aree Interne
La Rivitalizzazione Dei Borghi e Dei Centri Storici Minori Come Strumento Per Il Rilancio Delle Aree Interne
di Antonella Sau
Ricercatrice di Diritto amministrativo
Università IULM di Milano
La rivitalizzazione dei borghi e dei centri storici minori come
strumento per il rilancio delle aree interne*
di Antonella Sau
Ricercatrice di Diritto amministrativo
Università IULM di Milano
Sommario: 1. Premessa. 2. Dal recupero al riuso degli spazi urbani. 3. La valorizzazione culturale e
paesaggistica dei borghi storici. 4. Infrastrutture e servizi: le risposte dell’ordinamento per le aree interne.
1. Premessa
Che il rilancio delle aree interne del Paese possa e debba passare per la rivitalizzazione di borghi e centri
storici minori è un sillogismo che sconta un problema di fondo, vale a dire la difficile elaborazione di
politiche pubbliche capaci di coniugare le legittime aspettative di sviluppo socio-economico del territorio,
sfruttandone i vantaggi competitivi naturali e secondari, con la salvaguardia della propria identità storico-
culturale.
L’estrema eterogeneità delle situazioni in cui versano i centri storici minori non agevola certo tale
compito.
Secondo la distinzione proposta da Pier Luigi Cervellati i c.d. “centri storici minori” si possono ricondurre
per lo meno a tre categorie, a loro volta suddivisibili in diverse articolazioni o situazioni che li fanno in
parte differire pur restando nella medesima schematica suddivisione: gli insediamenti storici “incapsulati”
nell’espansione edilizia e nell’agricoltura industrializzata; gli insediamenti storici “abbandonati” per
ragioni naturali, spesso catastrofiche, o per la realizzazione di nuovi insediamenti e gli insediamenti storici
“trasfigurati” dal recupero omologante del turismo1.
Si tratta di una distinzione, una delle tante possibili ovviamente, utile almeno in prima battuta ad isolare
alcuni dei problemi che caratterizzano i “centri storici minori” – deterioramento del patrimonio abitativo,
degrado ed incuria del patrimonio storico-artistico, impoverimento del tessuto produttivo, isolamento e
2 Nella “Strategia nazionale delle aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance” elaborata nel settembre 2014
dall’Agenzia per la coesione territoriale, nell’ambito dell’accordo di Partenariato per l’utilizzo dei fondi strutturali
assegnati all’Italia per il ciclo di programmazione 2014-2010, le c.d. aree interne sono suddivise in aree intermedie,
periferiche e ultra-periferiche individuate in base alla distanza in termini di minuti dal polo più prossimo.
3 Nelle aree interne rientrano il 53% circa dei comuni italiani (4.261) ai quali fa capo secondo l’ultimo censimento
ISTAT del 2011 il 23% della popolazione italiana (13,540 milioni di abitanti) residente in una porzione del territorio
che supera il 60%. Nelle aree periferiche i comuni di piccole dimensioni costituiscono l’86% del totale delle aree
urbane.
4 Ovvero dei comuni con popolazione residente fino a 5000 abitanti e di quelli istituiti a seguito di fusione tra
comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5000 abitanti (art. 1, co. 2) collocati in aree interessate da dissesto
idrogeologico, decremento della popolazione residente, disagio insediativo o inadeguatezza dei servizi sociali
essenziali (art. 1, co. 2, lett. a) – h)); appartenenti a unioni di comuni montani istituite ai sensi dell’art. 14, co. 28,
d.l. 31 maggio 2010, n. 78 o che comunque esercitino obbligatoriamente in forma associata, ai sensi del predetto
comma, le funzioni fondamentali ivi richiamate (art. 1, co. 2, lett. i)); compresi totalmente o parzialmente nel
perimetro di un parco nazionale o regionale o di un’area protetta (art. 1, co. 2, lett. l)); istituiti a seguito di fusione
(art. 1, co. 2, lett. m)) o infine rientranti nelle aree periferiche e ultra-periferiche individuate nella Strategia nazionale
per lo sviluppo delle aree interne del Paese (art. 1, co. 2, lett. n)). Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze,
possono ovviamente definire interventi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge n. 158/2017, anche al fine di
concorrere all’attuazione della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, prevedendo quindi ulteriori
tipologie di comuni rispetto a quelle indicate dall’art. 1, co. 2, che tengano conto della “specificità del proprio
territorio” (cfr. art. 1, co. 8).
5 Il Piano, adottato entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge, con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dei beni e delle
attività culturali e del turismo, con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro dell’interno, con il
Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare, previa intesa in sede di Conferenza unificata, ed aggiornato con le stesse modalità ogni tre anni sulla base
delle risorse disponibili nell’ambito del Fondo, definisce le modalità per la presentazione dei progetti da parte delle
amministrazioni comunali e quelle per la selezione dei progetti da finanziare da parte della Presidenza del Consiglio
(art. 3, co. 2, 4 e 5) assicurando priorità agli interventi di riqualificazione e manutenzione del territorio a rischio
idrogeologico, di riqualificazione ed accrescimento dell’efficienza energetica del patrimonio abitativo ed
infrastrutturale, al recupero dei centri storici, del patrimonio storico-artistico e dei pascoli montani (art. 3, co. 3).
6 Elaborato nella sentenza 17 dicembre 2003, n. 370, in cortecostituzionale.it, il criterio della c.d. prevalenza è stato
negli anni ampiamente utilizzato dalla Corte costituzionale come forma di riedizione post-riforma dell’“interesse
nazionale” (per usare le parole di F. BENELLI, La «smaterializzazione» delle materie, Milano 2006, p. 121 s.; F.
BENELLI - R. BIN, Prevalenza e “rimaterializzazione delle materie”: scacco matto alle Regioni, in Le Regioni, n.6/2009, p.
1185 ss.). Tra le molte pronunce si segnalano: Corte cost., 13 gennaio 2005, n. 50; Corte cost., 8 giugno 2005, n.
234; Corte cost., 19 novembre 2007, n. 401, con nota di R. BIN, Alla ricerca della materia perduta, in Le Regioni,
n.2/2008, p. 398 ss.; Corte cost., 3 dicembre 2008, n. 411; Corte cost., 18 maggio 2009, n. 168; Corte cost., 9 giugno
2015, n. 140, tutte in cortecostituzionale.it.
7 Giurisprudenza costante: Corte cost., 9 luglio 2015, n. 140, cit.; Corte cost., 13 marzo 2014, n. 44; Corte cost., 14
novembre 2013, n. 273; Corte cost., 7 marzo 2008, n. 50, tutte in cortecostituzionale.it.
8 Solo Puglia e Lombardia hanno introdotto una disciplina specifica dei programmi di rigenerazione urbana
rispettivamente con l.r. 29 luglio 2008, n. 21 «Norme per la rigenerazione urbana» e l.r. 28 novembre 2014, n. 31
«Disposizioni per la riduzione del consumo del suolo e per la riqualificazione del suolo degradato» di modifica della legge
urbanistica 11 marzo 2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio». Disciplinano interventi di rigenerazione urbana
anche l’art. 14, l. r. Piemonte, 14 luglio 2009, n. 20 «Snellimento delle procedure in materia di edilizia e urbanistica»; gli artt.
122-129, l.r. Toscana, 29 ottobre 2014, n. 65 «Norme per il governo del territorio» e l’art. 74, l.r. Umbria 21 gennaio 2015,
n. 1 «Testo unico governo del territorio e materie correlate».
Sulla rigenerazione urbana vedasi F. FONTANARI - G. PIPERATA (a cura di), Agenda re-cycle. Proposte per reinventare
la città, Bologna, 2017; F. DI LASCIO - F. GIGLIONI (a cura di), La rigenerazione di spazi e beni urbani. Contributo al
diritto delle città, Bologna, 2017; R. DIPACE, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in Giudizio
amministrativo e governo del territorio: la generazione dei piani senza espansione, (a cura di) P. Stella Richter, Milano 2016, p.
249 ss.
9 In questi termini R. DIPACE, La rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, cit., pp. 265-267.
10 Così l’art. 1, co. 2, l.r. Puglia n. 21/2008 che individua tra i principali ambiti di intervento i «contesti urbani storici
interessati da degrado del patrimonio edilizio e degli spazi pubblici e da disagio sociale; i contesti urbani storici
interessati da processi di sostituzione sociale e fenomeni di terziarizzazione».
11 La legislazione regionale da tempo incentiva il recupero ed il restauro conservativo degli immobili in disuso nei
borghi antichi e nei centri storici minori, anche abbandonati o parzialmente spopolati, per valorizzare la fruizione
turistica dei beni naturalistici, ambientali e culturali del territorio regionale rurale ed urbano, attraverso il modello
di ospitalità diffusa. Tra le regioni che hanno legiferato in materia si ricordano la Sardegna (l.r. 12 agosto 1998, n.
27), il Friuli Venezia - Giulia (l.r.16 gennaio 2002, n. 2), le Marche (l.r. 11 luglio 2006, n. 9), l’Umbria (l.r. 27
dicembre 2006, n. 18), la Liguria (l.r. 21 marzo 2007, n. 13), l’Emilia-Romagna (delibera di giunta regionale n.
916/2007), la Calabria (l.r. 5 aprile 2008, n. 8), la provincia autonoma di Trento (l.p.15 maggio 2002, n. 7), la Puglia
(l.r. 15 luglio 2011, n. 17 e regolamento regionale 22 marzo 2012, n. 6) e l’Abruzzo (l.r. 9 agosto 2013, n. 22).
12 Non a caso è alla disciplina regionale sulla rigenerazione urbana che rinvia l’unica legge regionale di un certo
spessore dedicata specificamente ai borghi storici, ossia la l.r. Puglia 17 dicembre 2013, n. 44, recante «Disposizioni
per il recupero, la tutela e la valorizzazione dei borghi più belli d’Italia in Puglia». Il legislatore regionale in realtà accosta
spesso la nozione urbanistica di “centro storico” a quella di “borgo”, “nucleo antico” o “insediamento storico”
estendendo a questi la medesima disciplina di tutela e valorizzazione dettata per il primo (per alcuni esempi sia
consentito rinviare a A. SAU, La rivitalizzazione dei centri storici tra disciplina del paesaggio, tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale, in Le Regioni, 2016, 5-6, p. 956 ss. ed in particolare p. 964 ss.).
13 Il «Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani»,
approvato a Bologna nel maggio del 2014, è stato successivamente adottato in 104 comuni (cfr. Rapporto Labsus
2016, in www.labsus.org), tra i quali si contrano anche diversi borghi e centri storici minori (come Castelnuovo di
Conza, Cavriana, Condove, Fontana Liri, Tissi, Macchiagodena ecc.), con alcune varianti che non snaturano il
modello bolognese come ben evidenziato da E. CHITI, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione
amministrativa?, in La rigenerazione di spazi e beni urbani. Contributo al diritto delle città, cit., p. 15 ss., in particolare p. 17
ss. e F. GIGLIONI, La rigenerazione dei beni urbani di fonte comunale in particolare confronto con la funzione di gestione del
territorio, ibidem, p. 209 ss.
14 Per una ricostruzione dei patti di collaborazione nell’ottica del principio di sussidiarietà si rinvia a G. ARENA,
Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Riv. trim. dir. pubbl., n.1/2017, p. 43 ss.
15 Secondo la definizione proposta dall’art. 2 del «Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura
comunità sociale rappresentano per E. CHITI, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione amministrativa?,
cit., pp. 18-20, la finalità peculiare della “funzione amministrativa di rigenerazione” riconducibile al modello di
azione pubblica di “enabling state” (31 -33).
17 Sulla natura giuridica dei “patti di collaborazione” vedasi F. GIGLIONI, I regolamenti comunali per la gestione dei beni
comuni urbani come laboratorio per un nuovo diritto delle città, in Munus, n.2/2016, p. 271 ss.; P. MICHIARA, I patti di
collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L'esperienza del Comune di Bologna, in Aedon,
n.2/2016; P. CALDERONI, I patti di collaborazione: (doppia) cornice giuridica, ibidem ed anche G. ARENA,
Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, cit., in particolare p. 53.
18 I cittadini possono infatti realizzare interventi di carattere occasionale (“cura occasionale”) o continuativo (dalla
“gestione condivisa” di spazi pubblici o privati ad uso pubblico e di edifici alla realizzazione di veri e propri
“interventi di rigenerazione urbana”). Con tutto ciò che ne consegue in termini di controllo pubblico: assente nella
prima ipotesi, dove non occorre nemmeno la stipula di un patto di collaborazione; presente ovviamente nella
seconda nel rispetto della disciplina statale e regionale di governo del territorio. Sugli obblighi in capo al soggetto
che ha assunto l’impegno alla rigenerazione del bene si sofferma R. TUCCILLO, Rigenerazione di beni attraverso i patti
di collaborazione e cittadinanza attiva: situazioni giuridiche soggettive e forme di responsabilità, in La rigenerazione di spazi e beni
urbani. Contributo al diritto delle città, cit., p. 89 ss.
19 E. CHITI, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione amministrativa?, cit., pp. 21-25 e p. 32.
20 La “causa”, ossia la funzione economico-sociale, dei patti andrebbe infatti ricercata nell’animus donandi dei
cittadini interessati a collaborare dal basso per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, così P.
MICHIARA, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L'esperienza del
Comune di Bologna, cit., che sottolinea come le agevolazioni fiscali previste dal regolamento siano del tutto eventuali
e non si pongano in rapporto di corrispettività con l’intervento privato.
21 Come osserva S. VILLAMENA, «Baratto amministrativo»: prime osservazioni, in Riv. giur. ed., n.4/2016, p. 379 ss., la
tendenziale corrispettività che caratterizza il baratto amministrativo consente di ricondurlo agli istituti della
sussidiarietà, ma non a quelli a “costo zero” per l’erario (389).
22 Quanto all’ampiezza dell’oggetto e alla corrispettività delle prestazioni dedotte negli accordi tra amministrazioni
e privati.
23 In questi termini G. PIPERATA, Rigenerare i beni e gli spazi della città: attori, regole e azioni, in Agenda re-cycle. Proposte
per reinventare la città, cit., p. 19 ss., pp. 33-34.
24 In virtù del principio della “possibile compresenza dei vincoli” l’amministrazione comunale può infatti “doppiare
ed allargare” le prescrizioni di tutela su un bene già soggetto a prescrizioni vincolistiche, introducendo ulteriori
prescrizioni o sottoponendo beni vincolati a forme aggiuntive di tutela (purché non incompatibili od inconferenti
con le prescrizioni dettate dall’autorità centrale). Ad essere preclusa è ovviamente la possibilità di imporre un
vincolo su un bene che non sia già stato vincolato dalla competenze autorità centrale (o che, addirittura, l’autorità
centrale abbia ritenuto di non dovere sottoporre a vincolo) o tutelare interessi paesaggistici agendo singulatim su un
singolo bene (il limite rimane, ovviamente, quello della zonizzazione urbanistica). Sul tema, ex multis: Cons. giust.
amm. sic., 30 giugno 1995, n. 246, in Foro amm., 1995, 10, 2308 ss.; Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734, in
Foro amm., 1998, 11-12, 3024 ss.; Cons. St., sez. IV, 20 settembre 2005, n. 4818 e Cons. St., sez. IV, 29 febbraio
2016, n. 844, in giustizia-amministrativa.it.
25 P. CARPENTIERI, Paesaggio e beni paesaggistici (tra Codice e Convenzione), relazione alla Giornata di Studi di Diritto
Amministrativo “I Beni Culturali e Paesaggistici” tenutasi in Gaeta il 10 maggio 2008, pp. 8-9; sulla differenza tra
paesaggio e beni paesaggistici vedasi inoltre, ex multis, G. SCIULLO, Il paesaggio fra la Convenzione ed il Codice, in
Aedon, n.3/2008.
26 Quanto al recepimento dei vincoli paesaggistici preesistenti al piano C. MARZUOLI - N. VETTORI, Paesaggio
e interessi pubblici: principi, regole e procedure, in La struttura del paesaggio. Una sperimentazione multidisciplinare per il piano della
Toscana, (a cura di) A. MARSON, Bari, 2016, p. 225 ss., sottolineano come il piano svolga una funzione “integrativa
e novativa” nei confronti delle prescrizioni contenute nei provvedimenti di vincolo in quanto questi “devono
entrare a far parte del corpo normativo dello strumento pianificatorio e dunque…adeguarsi alla chiavi interpretative
di carattere tecnico-scientifico che hanno guidato la lettura del territorio regionale e in base alle quali è stata
elaborata la relativa disciplina” (233-234); come osserva P. MARZARO GAMBA, Pianificazione paesaggistica e beni e
beni paesaggistici: la centralità del procedimento nella ‘duplicità del sistema, in Riv. giur. urb., n.1-2/2013, p. 68 ss. il contenuto
delle prescrizioni d’uso dettate dal piano sarà pertanto estremamente variabile: in parte dipenderà dalle
caratteristiche dei beni soggetti a tutela (beni dichiarati di notevole interesse pubblico oppure beni vincolati ex lege),
in parte dalla situazione di fatto in cui si trovano gli stessi beni (81).
27 Tra i quali ben potrebbero rientrare in tutto o in parte borghi storici non tutelati come beni paesaggistici stante
la genericità della formulazione usata dal legislatore. Per G.F. CARTEI, Autonomia locale e pianificazione del paesaggio,
in Riv. trim. dir. pubbl., n.3/2013, p. 703 ss., infatti, “il termine contesto allude ad aree che, seppur prive delle
caratteristiche tradizionali di pregio paesaggistico, risultano nondimeno degne di attenzione sotto il profilo della
preservazione e della fruizione ambientale” (736); per S. AMOROSINO, Piano paesaggistico e concetti giuridici
indeterminati: le “aree compromesse e degradate” e gli “ulteriori contesti” di paesaggio (oltre quelli vincolati) da tutelare, in Riv. giur.
ed., n.4/2014, p. 115 ss., invece, il loro inserimento nel piano è strettamente funzionale ad integrarne il “disegno
armonico unitario”, in altri termini “senza l’inserimento di tutti i contesti rilevanti il piano sarebbe, per qualche
aspetto, incompleto o non armonico, perché ometterebbe di considerare elementi di valenza identitaria” (124).
28 Che l’avvenuta edificazione di un’area immobiliare o le sue condizioni di degrado non costituiscano ragione
sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o culturali ad essa legati, poiché l’imposizione del
vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla
conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso,
è ribadito da costante giurisprudenza Cons. St., sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2430; Cons. St., sez. IV, 5 luglio 2010,
n. 4246; Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2010, n. 3556; Cons. St., sez. VI, 12 luglio 2011, n. 4196, tutte in giustizia-
amministrativa.it.
29 In linea con la riconosciuta natura generale di tale strumento (cfr. art. 135, co. 1 e 4, lett d del Codice).
Sul rapporto tra paesaggio, ambiente e governo del territorio vedasi G. PIPERATA, Paesaggio, in Diritto del patrimonio
culturale, (a cura di) C. BARBATI - M. CAMMELLI - L. CASINI - G. PIPERATA - G. SCIULLO, Bologna, 2017,
p. 243 ss., pp. 248-252.
30 Come osserva L. Casini, La valorizzazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., n.2/2014, p. 385 ss., il fine della
funzione di valorizzazione del paesaggio è proprio “ripristinare, aggiungere, far fruire: quindi trasformare” (390).
31 Così E. BOSCOLO, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali
e identitari, in giustamm.it, n.5/2016. Sul paesaggio quale realtà etico-culturale anche C. BARBATI, Il paesaggio come
realtà etico-culturale”, in Aedon, n.2/2007; R. FATTIBENE, L’evoluzione del concetto di paesaggio tra norme e giurisprudenza
costituzionale: dalla cristallizzazione all’identità, in federalismi.it, n.10/2016.
32 Per G. SCIULLO, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, cit., la valenza identitaria “in forma debole” richiamata
dal comma 1 dell’art. 131 è anche l’identità dei paesaggi della “vita quotidiana” cui fa riferimento il Preambolo della
Convenzione europea sul paesaggio (capoverso 6). Sull’evoluzione della nozione di paesaggio per effetto (anche)
del recepimento della Convenzione vedasi, per tutti, G.F. CARTEI, La Convenzione europea del paesaggio e governo del
territorio, Bologna, 2007.
33 Quelli che E. BOSCOLO, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori
culturali e identitari, cit., riconduce al “secondo strato” della nozione giuridica di paesaggio accolta dall’art. 131 del
Codice. Nel primo strato, secondo tale ricostruzione, sarebbero ascrivibili i beni paesaggistici individuati ex lege o
in via provvedimentale e gli ulteriori contesti di cui all’art. 143, co. 1, lett. e), per i quali si tratta di impedire
trasformazioni svalutanti e di imporre una maggiore qualità degli interventi; il terzo comprende invece i beni ed i
paesaggi compromessi o degradati (i c.d. “luoghi del paesaggio negato”) da sottoporre ad interventi di
riqualificazione.
34 Sui quali ci mette in guardia P.L. CERVELLATI, La sorte dei piccoli centri storici: abbandonati, trasfigurati, turisticizzati.
35 E. BOSCOLO, Le nozioni di paesaggio. La tutela giuridica di un bene comune (in appartenenza diffusa) tra valori culturali e
identitari, cit.
36 Definito da R. GAMBINO, Patrimonio e senso del paesaggio (riconoscere il patrimonio territoriale), in Habitare. Il paesaggio
nei piani territoriali, Milano, 2011, p. 133 ss., “non un giacimento inerte di cose eterogenee e slegate, da cui estrarre
di volta in volta ciò che serve, non già un insieme di risorse, dall’uso e dal destino imprevedibile, e neppure un
insieme casuale di ‘beni culturali’, di vario genere e di autonomo valore. Ma un insieme più o meno coerente e
interconnesso di eredità storiche, culturali e naturali, tangibili e intangibili, di appartenenza e reti di relazioni che
legano luoghi e formazioni sociali”.
37 Sulla pianificazione per progetti M.R. GISOTTI, Dal vincolo al progetto. Il quadro della pianificazione paesaggistica in
Italia e una proposta per un modello operativo, in La pianificazione paesaggistica in Italia. Stato dell’arte e innovazioni, (a cura di)
A. MAGNAGHI, Firenze, 2016, p. 1 ss. ed in particolare pp. 18-24.
38 Ad oggi solo Puglia, Toscana e Piemonte hanno redatto ed approvato un piano paesaggistico ai sensi del Codice
dei beni culturali e del paesaggio, mentre il piano paesaggistico della regione Sardegna del 2006 (in aggiornamento)
riguarda il solo ambito costiero. Sullo stato di attuazione della pianificazione paesaggistica in Italia vedasi i dati del
Rapporto sullo stato di attuazione delle politiche del paesaggio pubblicato dal Mibact il 24 ottobre 2017, 183 ss.
39 La Valorizzazione integrata dei paesaggi costieri ed il Patto città-campagna, due dei cinque progetti di rilevanza strategica
per il paesaggio regionale adottati dal piano paesaggistico territoriale regionale della Puglia (PTTR), sono stati
finanziati dal Fondo per lo sviluppo e coesione 2007-2013 con delibera CIPE n. 92/2012, “Accordo di Programma
Quadro, Settore Aree Urbane – Città”. Come emerge anche nella sintesi dell’intervista ad Angela Barbanente
(assessore alla qualità del territorio della regione Puglia) di M.R. GISOTTI, Allegato 4 in La pianificazione paesaggistica
in Italia. Stato dell’arte e innovazioni, cit., 127 ss, l’accesso dei progetti di paesaggio alla programmazione regionale o a
fondi statali e europei contribuisce ad una visione del piano come motore di sviluppo sostenibile e di ricchezza
durevole, anziché come vincolo (129).
40La direttiva si rivolge ai comuni italiani con popolazione non superiore a 5000 abitanti «caratterizzati da un
prezioso patrimonio culturale, la cui conservazione e valorizzazione sono fattori di grande importanza per il sistema
Paese in quanto rappresentano autenticità, unicità e bellezza come elementi distintivi dell’offerta italiana». In linea
con il Piano strategico del turismo 2017-2010 che individua nei borghi storici una delle destinazione turistiche
emergenti da valorizzare in forma integrata con altre risorse territoriali come l’agricoltura o la cultura materiale dei
luoghi (cfr. obiettivo A.2).
41 Ossia i programmi LEADER I (1989-93), LEADER II (1994-99), LEADER+ (2000-2006), LEADER-ASSE
IV (2007-13).
42 Struttura di supporto al Presidente del Consiglio dei ministri nell’esercizio delle funzioni di indirizzo e
coordinamento dell’azione strategica del Governo connesse al progetto “Casa Italia” istituita, con d.p.c.m. 3 luglio
2017, «al fine di sviluppare, ottimizzare e integrare strumenti finalizzati alla cura e alla valorizzazione del territorio
e delle aree urbane nonché del patrimonio abitativo, anche in riferimento alla sicurezza e all’efficienza energetica
degli edifici». Rientrano tra i compiti del neo Dipartimento la raccolta delle informazioni sui fattori di rischio delle
aree urbane, la promozione del coordinamento delle fonti informative esistenti e della loro accessibilità; il
monitoraggio dell’andamento dei finanziamenti pubblici nel settore e soprattutto l’elaborazione di proposte e la
gestione di specifici progetti (art. 12-bis, co. 2, d.p.c.m. 1 ottobre 2012 recante ordinamento delle strutture generali
della Presidenza del Consiglio dei ministri come modificato dal d.p.c.m. del 3 luglio 2017).
43 Cfr. Rapporto sulla Promozione della sicurezza dai Rischi naturali del Patrimonio abitativo, a cura della Presidenza del
Consiglio dei ministri-Struttura di Missione Casa Italia del giugno 2017.
44 Cfr. «Connettere l’Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture», deliberato dal Consiglio dei ministri l’11 aprile 2017, che
45 Classificati nell’Allegato Infrastrutture al Def 2017 tra i programmi e gli interventi “prioritari”.
46 Introdotto dall’art. 11, co. 1, del d.l. 31maggio 2014, n. 83 (c.d. decreto Art Bonus), conv. in l. 29 luglio 2014, n.
106.
47 Attraverso la concessione d’uso gratuito di cui all’art. 11, co. 3, d.l. n. 83/2014 e la concessione d’uso o locazione
di cui all’art. 3-bis, d.l. 25 settembre 2001, n. 351, conv. in l. 23 novembre 2001, n. 410.
48L’elenco completo degli itinerari storico-religiosi e dei percorsi ciclopedonali è consultabile al link:
http://www.agenziademanio.it/export/sites/demanio/download/agenzia_a_l/DOSSIER-_CAMMINI-E-
PERCORSI_maggio2017.pdf .
49 V. “Focus Aree interne” dell’Allegato Infrastrutture 2017, 79.
50 Con il superamento della c.d. Legge Obiettivo l’individuazione dei fabbisogni infrastrutturali contenuta
nell’Allegato Infrastrutture al documento di economia e finanza è il primo passo del processo di pianificazione e
programmazione delle opere pubbliche affidato dal Codice dei contratti pubblici al piano generale dei trasporti e
della logistica e al documento pluriennale di pianificazione (art. 201, d.lgs.18 aprile 2016, n. 50).
51 Il “piano per l’istruzione destinato alle aree rurali e montane” è adottato dal Presidente del Consiglio dei Ministri
su proposta del Miur di concerto con il Mef, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
52 Convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122 e modificato prima dalla l. 7 agosto 2012 n. 135 e poi dalla l. 7 aprile 2014,
n. 56 recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» (c.d. legge Delrio).
53 Sul tema vedasi quanto osservato da C. TUBERTINI, La razionalizzazione del sistema locale in Italia: verso quale
modello?, in Ist. del federalismo, n.3/2012, p. 365 ss. ed in particolare pp. 709-715 e G. PIPERATA, I poteri locali: da
sistema autonomo a modello razionale e sostenibile?, ibidem, p. 504 ss. ed in particolare pp. 516 ss.
54 La preferenza per il modello organizzativo dell’unione è resa evidente dai maggiori incentivi fiscali e dall’obbligo,
previsto dall’art. 14, co. 31-bis, della l. n. 122/2010, di procedere alla costituzione di un’unione qualora, scaduta la
convenzione, “non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia
ed efficienza nella gestione, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’Interno [cfr. d.m. 11 settembre
2013]”.
55 Il comma 31 dell’art. 14 individua il limite demografico minimo di convenzioni e unioni (10.000 abitanti ovvero
3000 se i comuni appartengono o sono appartenuti a comunità montane) e fissa a 3 il numero minimo di comuni
che devono aderire all’unione, salvi il diverso limite demografico o eventuali deroghe introdotte dalla legislazione
regionale.
56 Il comma 1120, lett. a), dell’art. 1 della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018) ha in ultimo prorogato
al 31 dicembre 2018 l’obbligo di gestione associata delle funzioni fondamentali dei comuni indicate nel comma 27
dell’art. 14 del d.l. n. 78/2010. Decorso tale termine scatterà il potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’art. 8
della l. 5 giugno 2003, n. 131.
57 Vale a dire dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti oppure fino a 3.000 abitanti se appartengono o
sono appartenuti a comunità montane. È invece stata abrogata dalla legge n. 54/2016 la previsione dell’art. 16, co.
1, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, che imponeva ai comuni con popolazione
fino a 1.000 abitanti l’esercizio obbligatorio in forma associata di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi
pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un’unione di comuni che derogava, sul piano
organizzativo e funzionale, alla disciplina ordinaria delle unioni di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 267/2000.
58 Su tali profili vedasi M. MASSA, L’esercizio associato delle funzioni e dei servizi comunali. Profili costituzionali, in
Amministrare, n.2/2013, p. 253 ss. Si segnala che il Tar Lazio, con ordinanza n. 1027 del 20 gennaio 2017, in giustizia-
amministrativa.it, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 26
ss., del d.l. n. 78 del 2010 per violazione, tra gli altri, proprio degli artt. 117, co. 6, 114 e 118 della Costituzione con
riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali e con riferimento all’art.
3 della Carta europea dell’autonomia locale.
59 In questi termini C. TUBERTINI, La razionalizzazione del sistema locale in Italia: verso quale modello?, cit., pp. 709-
710.
60 Per un’analisi degli incentivi e le misure di agevolazioni previsti dalla l. n. 56/2014 si rinvia a C. TUBERTINI,
Le norme in materia di unione e fusione, in Giorn. dir. amm., n.8-9/2014, p. 794 ss.
61 Come confermano i dati dell’ultimo quinquennio: se a settembre 2010 risultavano costituite 313 unioni con 1561
comuni associati (cfr. Lo Stato delle Unioni. Rapporto annuale sullo stato delle unioni 2010, in astrid-oline.it) a marzo 2017
se ne contano 535, con 3.105 comuni associati per un totale di 12.044.048 abitanti, il 60% delle quali si trovano al
nord mentre al centro, al sud e nelle isole le percentuali si assestano rispettivamente al 11,59%, 13, 08% e 15,33%
(dati pubblicati sul sito dell’Anci).
62 A partire dal 2014, anno dell’entrata in vigore della legge Delrio, le fusioni sono sensibilmente aumentate: se tra
il 2010 ed il 2013 se ne sono registrate appena 5 (2 nel 2010, 1 nel 2011 e 2 nel 2013), nel solo 2014 se ne contano
24 alle quali si aggiungono le 7 fusioni del 2015, le 29 del 2016 e le 14 del 2017 e risultano già avviati altri 23
procedimenti che dovrebbero concludersi tra il 2018 ed il 2019. È interessante rilevare come nell’ultimo
quinquennio le fusioni, concentrate quasi esclusivamente nel centro-nord, non abbiano riguardato solo piccoli o
piccolissimi comuni ma anche amministrazioni comunali con oltre 5.000 abitanti, con la conseguente istituzione di
comuni di medie o medio-grandi dimensioni (tra 20.000 e 30.000 abitanti) come Valsamoggia, Montoro e Figline
e Incisa Valdarno. Tale trend sembrerebbe trovare conferma nei procedimenti di fusione avviati tra i comuni
abruzzesi di Pescara Montelsilvano e Spoltore e tra i comuni calabresi di Corigliano Calabro e Rossano che
dovrebbero portare tra il 2018 ed il 2019 alla nascita di comuni, rispettivamente, di circa 200.000 e 77.000 abitanti
(cfr. http://www.tuttitalia.it/variazioni-amministrative/).
Per un’analisi puntuale dei procedimenti di fusione degli ultimi vent’anni si rinvia a A. PIRANI, Le fusioni di Comuni:
dal livello nazionale all’esperienza dell’Emilia-Romagna, in Dall’Unione alla fusione dei comuni, Quaderno Ist. del federalismo,
2012, p. 37 ss.
63 Previsione che, come osserva P. BARRERA, La riforma degli enti locali ai blocchi di partenza: con le funzioni associate,
finalmente si fa sul serio, in Astrid Rassegna, n. 166, ottobre 2012, deve fare i conti con le limitazioni alla costituzione
di circoscrizioni di decentramento comunale per comuni con popolazione inferiore a 250.000 abitanti previste
dall’art. 17 del d.lgs. n. 267/2000.
64 Come osserva anche C. TUBERTINI, Le norme in materia di unione e fusione, cit., p. 800.
65 Cfr. http://www.tuttitalia.it/variazioni-amministrative/ .
66 B. BALDI - G. XILO, Dall’Unione alla fusione dei Comuni: le ragioni, le criticità e le forme, in Dall’Unione alla fusione dei
comuni, Quaderno Ist. del federalismo, cit., p. 141 ss., p. 159.
67 Le “Grandi Unioni” di cui parla C. TUBERTINI, Nuove dinamiche territoriali e logiche metropolitane: spunti per le città
medie e le aree interne, in Ist. del Federalismo, n.4/2016, p. 857 ss., pp. 861-863, riferendosi alle unioni tra realtà comunali
che, almeno nell’esperienza emiliano – romagnola (cfr. Unione montana dei comuni del Mugello e Unione Bassa
Romagna), lasciano intravedere un possibile nuovo modello di governance territoriale ispirato alle “logiche
metropolitane” in territori non metropolitani.
68 Fronte sul quale si è registrato il maggiore fallimento delle unioni costituite ai sensi e ai soli effetti dell’art. 14
co. 28, del d.l. n. 78/2010, come ricordano anche B. BALDI - G. XILO, Dall’Unione alla fusione dei Comuni: le ragioni,
le criticità e le forme, cit., sottolineando come le unioni non abbiano “quasi mai portato a forme di governo unitario
dell’area sovracomunale di riferimento” e abbiano funzionato bene “per ottenere economie di scala e per
specializzare alcune funzioni di governo, ma non per integrare le politiche sviluppate dai singoli comuni, i quali
molto spesso mantengono modalità operative, costi e tariffe di servizio molto diverse tra loro” (148). Sugli
innegabili risparmi di spesa dovuti alla riduzione delle spese correnti (per personale e per prestazioni di servizi) dei
singoli comuni aderenti all’unione si vedano i dati contenuti nella Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali.
Esercizio 2015 della Corte dei Conti, deliberazione n. 4/SEZAUT/2017/FRG del 15 febbraio 2017, in
http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_autonomie/2017/delibera_4_201
7_Vol_I.pdf , pag. 173 ss.
69 Sull’“incerto” ruolo assegnato alle Unioni dal legislatore regionale vedasi: M. DE DONNO, Le politiche regionali
di riordino territoriale locale: unioni fusioni e altre forme associative tra comuni, in Territori ed autonomie. Un’analisi economica e
giuridica, (a cura di) F. BASSANINI - F. CERNIGLIA - A. QUADRIO CURZIO - L. VANDELLI, Bologna,
2016, p. 95 ss. ed in particolare p. 113 s.; C. TUBERTINI, L’attuazione regionale della legge 56/2014: verso un nuovo
assetto delle funzioni amministrative, in Le Regioni, n.1/2016, p. 99 ss. ed in particolare p. 117 ss., la quale osserva come
il loro ruolo assegnato alle unioni finisca per “riflettere, nelle diverse leggi regionali, l’impostazione che già in
passato aveva contraddistinto ciascuna regione in ordine al maggiore o minor favore verso i comuni e, soprattutto,
al maggiore o minore favore rispetto alle gestioni associate sovracomunali” (117) e W. GASPARRI,
L'associazionismo municipale. Esperienze nazionali e europee a confronto, Torino, 2017.
70 Su tali profili si sofferma E. CARLONI, Differenziazione e centralismo nel nuovo ordinamento delle autonomie locali: note a
margine della sentenza n. 50 del 2015, in Dir. pubbl., n.1/2015, p. 145 ss. ed in particolare p. 160 ss.
71 Per un’analisi delle principali linee di tendenza della legislazione regionale di attuazione della legge n. 56/2014 si
rinvia ancora a C. TUBERTINI, L’attuazione regionale della legge 56/2014: verso un nuovo assetto delle funzioni
amministrative, cit., la quale chiosa precisando che non appare chiaro se trattasi di tendenze provvisorie dovute
“all’impatto transitorio della trasformazione del livello provinciale (da un lato) e dell’effetto non immediato delle
politiche di intercomunalità (per cui i Comuni non sono ancora, allo stato attuale, in grado di esercitare
adeguatamente quasi nessuna delle funzioni prima svolte dalle Province)” o destinate a consolidarsi (121).