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I Mille ANNI DEL Medioevo
Istituzioni di storia medievale (Università di Pisa)
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I MILLE ANNI DEL MEDIOEVO
CAPITOLO 1 - ALLE ORIGINI DEL MEDIOEVO
1.1 Medioevo: la parola, il tempo, lo spazio, la gente
La parola Medioevo, con la quale indichiamo l’arco di quasi mille anni di storia d’Europa, per
convenzione si fa cominciare con la disgregazione della parte occidentale dell’impero romano (V sec
a.C , è composta di due parti che ne determinano il significato complessivo di età di mezzo. Questi
secoli li identifichiamo come un periodo storico nel quale l’organizzazione della società assunse
caratteri diversi. Ovviamente il concetto di medioevo venne definito molto più tardi, fu infatti
intorno al XV e XVI secolo che la storia della civiltà fu immaginata come divisa in tre fasi, per
ognuna delle quali veniva formulato un giudizio di valore:
- luminosa l’età classica
- oscura e decadente quella seguita dalla caduta dell’impero romano
- piena di nuove promesse quella che si stava vivendo
Tra due epoche che si somigliavano era esistita un’età intermedia dai tratti molto diversi, iniziata con
l’irruzione dei non romani, i barbari, nello spazio Europeo. I secoli del medioevo sono stereotipati
come secoli bui, secoli di decadenza di oscurità e barbarie, interpretazione recuperata più volte. E’
stato periodicamente rivisitato da parte della cultura occidentale, finendo per essere interpretato sia in
maniera assolutamente negativa sia, meno spesso, in maniera positiva (ad esempio dai romantici).
Quando si parla di medioevo si fa riferimento soprattutto all’Europa, soprattutto se si considera che i
punti di riferimento- cronologici e soprattutto concettuali- per la nascita del medioevo furono
rappresentati dalla trasformazione del mondo romano e dallo sforzo di recuperare la cultura
dell’antichità classica, mille anni dopo. Ciò vuol dire che quando utilizziamo il termine medioevo ci
stiamo riferendo allo spazio sul quale si dispiegò la civiltà latina e che, dunque, può essere utilizzato
correttamente solo quando si parla della storia del continente europeo. Data la complessità dei
processi è ovvio che l’inizio di questa fase non può essere fissata in un anno, ma va ricercato in una
fascia di almeno tre secoli, dal IV al VII, quanti ne occorsero perché si realizzasse una serie di
importanti cambiamenti, affinché quelle popolazioni si stabilissero in forma sedentaria nello spazio
europeo, dando luogo ad una nuova società mista latino-barbarica, in cui lo stile di vita dei romani si
fuse con quello dei nuovi venuti ecc…
I primi anni del medioevo sono quelli che conosciamo di meno, perché le culture tribali,
prevalentemente orali, dei popoli penetrati, non solo ci hanno lasciate poche testimonianze scritte di
tipo letterario, ma determinarono anche la scomparsa del documento scritto, invece largamente
utilizzato nel contesto romano. Sappiamo però che la popolazione diminuì, le popolazioni barbariche
erano inadeguate a colmare i vuoti demografici, non erano per nulle numerose: possiamo dire che la
popolazione seguì un trend negativo fino al VII secolo, presentò una stagnazione ai livelli più bassi
tra VII e VIII secolo; dette segni di ripresa tra VIII-IX, seguì un trend positivo dal X in poi
(abbiamo indizi coincidenti che ci confermano l’aumento demografico: ex→ cerebbe la media dei
figli in matrimonio, ci fu un aumento della speranza di vita ecc …).
Ripartizione del medioevo:
- Alto medioevo→ si fa riferimento ai seicento anni che vanno dal V secolo fino al X secolo,
sono quelli in cui prima la popolazione diminuì e poi ristagnò, i popoli germanici giunsero a
impiantarsi nel suolo europeo mescolandosi con le popolazioni che già lo occupavano, molte
città si spopolarono e nacque una nuova figura di contadino stanziale, ben radicato alla terra;
sono gli anni della propagazione cristiana, dell’affermazione progressiva della chiesa come
istituzione;
- Basso medioevo→ sono i secoli più vicini a noi che vanno dall’ XI al XV secolo, si tratta di
quelli nei quali la popolazione prima raggiunse il massimo e poi nuovamente diminuì e la
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società, articolata, assunse molti dei caratteri che sarebbero stati propri dell’età moderna. Si è
soliti poi definire “crisi” quell’arco di 200 anni, tra XIV-XV secolo, che furono necessari
affinché la civiltà europea avviasse un processo di trasformazione;
- In mezzo a queste due fasi sta un blocco di secoli non completamente assimilabile nè al basso,
nè all’alto medioevo e chiamato pieno medioevo o secoli centrali del medioevo (XI-XIII)
1.2 La crisi del mondo romano (III-IV secolo)
Durante l’Alto medioevo, provenienti dall’area germanica e dall’Europa centro-orientale, si
affacciarono e si insediarono poi in Europa tutte quelle etnie di non romani, i barbari. La storiografia
ha cominciato a valutare i barbari in modo non del tutto negativo, cominciando a riflettere sul fatto
che i popoli barbari non furono del tutto uguali per cultura e civiltà, come forse apparivano agli occhi
di un cittadino romano, che vedeva il loro riversarsi sui territori europei come qualcosa di terribile. Lo
scontro tra la civiltà romana e i mondi barbarici stette sia nelle armi, ma anche nella vita quotidiana.
Le migrazioni dei popoli germanici nello spazio romano e la propagazione del cristianesimo in Europa
sono i due più appariscenti eventi di quei secoli e gli storici si sono chiesti a lungo che peso essi
abbiano avuto sulla fisionomia della città medievale. Gli storici si sono chiesti a lungo, anche, se
l’impero romano finì per cause esterne o consumato da crisi interne, se la nuova epoca fu improntata
sulla diffusione del cristianesimo o sulla migrazione dei barbari o su nessuna delle due. L’impero era
stata la principale forma di organizzazione del mondo antico. Quello romano che fu comunque sempre
chiamato res publica anche quando fu retto da un imperatore, era un territorio molto vasto, giunto a
estendersi in gran parte dell’Europa, dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, fu raggiunto solo
dopo secoli di guerre di conquista e di annessioni da una sorta di confederazione di regni, province e
tribù, che con differenti stati giuridici e diverse forme di sottomissione avevamo accettato la
supremazia di Roma. Era un’entità territoriale molto vasta con una molteplicità di culture, religioni
e lingue, caratterizzata da economie profondamente diverse l’una dall’altra che era stata tenuta
insieme da alcuni elementi:
- l’amministrazione, che faceva sentire la presenza di Roma anche nelle regioni più lontane.
- le circa duemila città, che erano poli di consumo, di aggregazione territoriale e sociale.
- la produzione sottoposta ad un forte controllo statale.
- le aristocrazie locali.
- l’organizzazione in province.
- il latino che rappresentava un linguaggio compreso e parlato da tutti i cittadini dell’Impero.
- l’accettazione della professione di tutte le religioni.
- il sistema di comunicazione stradale che metteva in contatto Roma con gli accampamenti militari e
le principali città.
Intorno al 700 a.C avevano raggiunto il Reno i germani, provenienti dal bacino della Vistola, Cesare
nel de bello gallico, aveva individuato sul Reno la linea di demarcazione fra il mondo germanico e
quello celtico. E proprio il corso del Reno insieme a quello del Danubio sarebbe rimasto fino alla fine
dell’impero il limes, la linea di frontiera che separava la romanitas dalla barbaritas. Le spinte
migratorie da nord non erano mai venute meno, fin dalle epoche più remote, tanto da determinare
delle presenze barbariche all’interno del territorio durante il mondo romano, prima quindi della
stagione delle invasioni. La convivenza per un lungo periodo fu bilanciata, ai barbari non era
permesso navigare lungo il corso del Reno e del Danubio, ed erano stati anche vietati i matrimoni
misti. Modesti contingenti venivano accolti prima come mercenari, poi come foederati o come
inquilini. Roma adotta anche l’istituto dell’hospitalitas, in base al quale ai soldati acquartierati in
una data località veniva attribuita una quota delle case e delle terre lavorate dai coloni romani o
dei loro frutti. Fra i romani e i barbari era stato quindi possibile mantenere a lungo l’equilibrio,
quindi quella che in genere si tende a descrivere come una violenta mutazione dell’occidente è in
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realtà solo il risultato di una lenta fusione di popoli; quando i barbari cominciarono ad insediarsi in
occidente erano stati già abbondantemente latinizzati.
-L’età della crisi e delle riforme
L’impero di Roma soprattutto dopo le conquiste di Traiano aveva messo in moto una potente
macchina da guerra, necessaria per la difesa di un territorio così vasto. Nel 224 una prima minaccia si
era presentata, quando una famiglia del Fars aveva conquistato l’impero persiano, dando vita alla
dinastia sassanide con capitale Ctesifonte, sul Tigri. L’imperatore Valeriano per riprendere le province
orientali che erano state attaccate era stato costretto ad una guerra che lo aveva sconfitto. I barbari
intanto avevano attraversato il limes con sempre maggiore frequenza e violenza, l’imperatore Decio
era caduto in battaglia lottando contro i goti che avevano saccheggiato città importanti come Atene,
Corinto, Argo e Sparta, nel 271 l’imperatore Aureliano aveva fatto cingere di mura Roma. Con questa
crescente insicurezza l’esercito si era installato in accampamenti distribuiti lungo le frontiere e nelle
città, diventando un elemento di fondamentale importanza, nelle mani dei generali in cui
concentravano molti più potere che nel passato. In ogni parte dell’impero c’erano legioni pronte a
nominare imperatore il proprio generale. Ma la crisi non era dipesa solo dalla spiccata
militarizzazione del potere politico, molte difficoltà le aveva incontrate il sistema annonario delle
città:
-la spesa pubblica era costantemente in crescita,
-il metallo prezioso cominciava a diminuire rendendo sempre più difficile i commerci
-molti cittadini si erano spostati a vivere nelle città che di conseguenza si erano allargate, così che in
esse vi era una popolazione troppo numerosa rispetto alla possibilità che offriva.
-Nei latifondi a conduzione schiavistica il territorio era stato sfruttato oltre le capacità, con il risultato
di un impoverimento dei raccolti (avere la possibilità di manodopera a basso costo non aveva di certo
stimolato i latifondisti a introdurre nuove tecniche nell’agricoltura).
Carestie, epidemie, rivolte contadine e pirateria avevano travagliato la storia dell’impero durante gli
anni delle sanguinose guerre civili tra i generali che si contendevano il titolo imperiale. Le cose
avevano iniziato a cambiare con Diocleziano (284-305) che nonostante fosse stato proclamato
imperatore dall’esercito aveva avviato l’ultima riforma del mondo romano, egli aveva proibito lo
spostamento dei contadini che divenivano dipendenti della terra che lavoravano e lo stesso
valeva per i loro figli (passaggio del lavoro da padre in figlio, questo valeva anche per gli altri
mestieri), importante è anche una riforma strutturale per controllare l’impero, il rilancio della figura
dell’imperatore e l’introduzione di un rigido controllo dello stato su tutte le articolazioni della società.
Aveva fatto una nuova riforma costituzionale basata sulla tetrarchia cioè la divisione della carica
imperiale in quattro figure mantenendo comunque intatta l’unità dell’impero, due augusti e due
cesari. Ma il sistema della tetrarchia fallì quando i figli dei tetrarchi portarono di nuovo alla guerra
civile. Infine Costantino (306-367) era rimasto unico imperatore che aveva spostato la capitale a
Bisanzio, sulle rive del Bosforo, creando poi Costantinopoli la nuova Roma. Il 30 Maggio 330 vi era
inaugurata la sede del governo, da allora Costantinopoli fu arricchita di palazzi, chiese e tesori d’arte e
dotata di un sistema imponente di fortificazioni che la rese pressoché inespugnabile. Da lui
dipendevano l’esercito e i quattro prefetti a capo delle quattro prefetture in cui era stato diviso
l’impero; dipendeva da lui il consiglio della corona che radunava i più alti funzionari e i due prefetti
delegati per Roma e per la stessa Costantinopoli. Il senato era stato retrocesso ad una sorta di
consiglio locale, prima aveva la delega su tutto il territorio; infine fece una riforma monetaria basata
sul trimetallismo, la circolazione contemporanea di monete di bronzo, d’argento e d’oro.
-Il Cristianesimo, religione di Stato
Il cristianesimo non era l’unica religione orientale ad essere entrata nel mondo romano (guardiamo ad
esempio i culti misterici, come quello di Mithra che era diventato famoso tra i legionari), ma il suo
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intransigente monoteismo l’aveva reso inassimilabile con le altre. Diocleziano l’aveva avvertito come
una minaccia all’integrità. Era perciò mutata quella tolleranza che contrassegnava la politica romana
nei confronti delle religioni straniere. Il rifiuto dei cristiani di sacrificare agli dei e all’imperatore
aveva portato alla ribellione. Costantino aveva intuito che il cristianesimo era compatibile con il suo
dirigismo teocratico, poteva rafforzare la teocrazia e dare una legittimazione al potere imperiale. Nel
313 l’editto di Milano aveva liberalizzato la professione del cristianesimo, restituendo alle comunità
cristiane le proprietà confiscate, il cristianesimo tra l’altro andava diffondendosi proprio tra quei ceti
dirigenti e quelle élite culturali. Da quel momento, escluso il breve tentativo di Giuliano l’Apostata di
ritornare ai culti pagani, il cristianesimo aveva assunto un ruolo crescente nei progetti religiosi
dell’impero. Nonostante la chiesa paleocristiana non avesse ancora basi solide, né la sua dottrina fosse
ancora ben definita, l’appoggio dello stato le avrebbe attribuito forza, aiutandola nell’espansione.
Costantino aveva accentuato i privilegi della chiesa dei cristiani che si avviava a diventare uno dei
pilastri dell’impero. Il cristianesimo si allargò negli ambienti colti che chiedevano riflessioni
approfondite, appena un anno dopo l’editto di milano, nel 314 con l’Editto di Arles tutti coloro che
avrebbero rifiutato di servire in armi l’imperatore avrebbero preso la scomunica. A poco a poco
i sacerdoti furono esentati dai tributi e dalle prestazioni personali di guerra o di lavoro, alle chiese fu
riconosciuto il diritto di concedere asilo, le comunità cristiane ebbero personalità giuridica e con essa
il diritto di ricevere eredità, beni e affrancare schiavi. Gli interrogativi che più assillavano gli
intellettuali erano relativi ad una coesistenza nella figura di Cristo di una natura umana e una
divina. Era esplosa una disputa intorno all’interpretazione del cristianesimo sostenuta dal prete Ario e
che da lui prese il nome di arianesimo secondo cui il Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del
Padre ed era a lui subordinato. Questo era l’esempio della diversità tra tutte le dottrine teologiche di
quel tempo, si trattava quindi di diverse chiese locali e non di un'unica universale. Costantino nel 325
in veste di pontifex maximus riunì il concilio di Nicea, formato da 300 vescovi, considerato il primo
dei ventuno concili ecumenici della chiesa. I rappresentanti dell'élite dei sacerdoti definì il dogma
della Trinità mettendo in minoranza Ario, la sua dottrina era stata definita eretica anche se aveva
continuato a diffondersi tra i popoli germanici, gravitando ancora all’interno dell’impero. Il concilio di
Nicea ebbe anche un significato politico. Teodosio (379-95), imperatore orientale, intervenne ancora
una volta a favore della chiesa proibendo tutte le fedi non cristiane e l’arianesimo con l’editto di
Tessalonica del 380, e nel 391 proclamò il cristianesimo religione ufficiale dello stato, chiudendo
l’oracolo di Delfi e distruggendo i templi delle antiche divinità, poco dopo anche l’occidente fu
coinvolto in questo processo di cristianizzazione. Solo nei villaggi più isolati della campagna (pagi)
rimasero vivi culti pagani, legati al ciclo della fertilità dei campi e a monti, sorgenti e boschi. La
diffusione della nuova religione non era stato un processo trionfale e indolore ma un graduale
processo di acculturazione che conobbe segni di resistenza e di attaccamento alla tradizione.
-Fine annunciata di un impero (V secolo)
Già tra il III e il V secolo, lo spostamento massiccio di alcune popolazioni, dal nord all’est, aveva
messo in crisi tutte le civiltà dell’Europa e dell’Asia. Da alcuni secoli tribù di nomadi di origine non
indoeuropea e dai tratti fisici mongolici, in grado di combattere a cavallo con un armamento leggero si
erano spostate dai luoghi di origine lungo la muraglia cinese o a nord del deserto del Gobi. Alcuni
gruppi di questi invasori, unendosi ad altri gruppi mongolici avevano dato vita a delle federazioni
dalle quali si erano sviluppate alcune tribù unne. Erano divisi in due grandi gruppi, gli Unni bianchi e
gli Unni neri, si erano spostati da oriente verso occidente arrivando fino ai confini dell’impero
romano. Gli Unni bianchi nel 484 erano arrivati fino al cuore dell’impero persiano dei Sassanidi,
mentre gli Unni neri erano comparsi al di qua degli Urali nel 370, spingendo in avanti i goti, i vandali
e gli avari. Battuti nel 415 in Gallia nella battaglia dei campi Catalaunici gli Unni comandati da
Attila nel 452 erano scesi in Italia, saccheggiando numerose città, fino a quando non furono fermati
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sul Mincio. Da quel momento si erano ritirati perché intimoriti dalla sacralità del pontefice Leone
Magno che come narra la leggenda, ma in realtà il loro slancio era arrivato al punto massimo.
Rapidamente gli Unni scomparvero probabilmente assorbiti dalle popolazioni locali. l’avanzata degli
Unni aveva comunque avuto un effetto dirompente, in quanto aveva spinto i germani all’interno dei
confini nel tentativo di trovare scampo. Le popolazioni germaniche cominciarono a chiedere di essere
stanziate entro i confini dell’Impero come federate, quindi alleate e non più mercenarie. All’inizio del
V secolo la pressione dei barbari si faceva sempre più pesante. Nel 401 i Visigoti saccheggiarono
Milano, nel 406 gli Ostrogoti arrivarono in Toscana, tra il 408 e il 410 ancora una volta i Visigoti
guidati da Alarico assediarono Roma e la saccheggiarono. Nel 455 Roma fu nuovamente saccheggiata
da Genserico e dai sui Vandali. L’idea che fosse in atto lo smembramento del mondo è visibile dalla
testimonianza di alcuni scrittori dell’epoca: ad esempio San Girolamo. La distruzione dell’impero
indusse molti uomini di cultura a ritirarsi dalla vita civile per dedicarsi alla costruzione di un mondo
interiore fatto di preghiera, come fece sant’Ambrogio che abbracciò la vita ecclesiastica. La
considerazione che anche la Roma creduta eterna stava per distruggersi era stata alla base delle
riflessioni di sant’Agostino. Le guerre contro le popolazioni che invadevano il suo territorio avevano
creato dei grossi problemi per i successori di Costantino: combattendo contro i persiane era morto
Giuliano l’Apostata, nel 363; contro gli Alemanni e i Goti avevano combattuto Valentiniano I e suo
fratello Valente ; nel 349 era rimasto unico imperatore Teodosio, ma alla sua morte l’impero era stato
diviso tra i suoi figli l’oriente ad Arcadio e l’occidente ad Onorio, da questo momento le due parti
dell’impero si mossero in maniera autonoma. Fu la fine dell’impero romano d’occidente che
scomparve nel 476, ma quello d’oriente rimase in vita per altri mille anni con il nome di impero
bizantino fino al 1453, quando Costantinopoli fu espugnata dai turchi. Quindi non si può parlare di
fine dell’impero romano ma solo di una delle sue parti. La centralità dell’impero d’oriente era sempre
più evidente, Teodosio aveva promulgato un codice di leggi il Codex Theodosianus all’interno del
quale raccoglieva tutti gli editti degli imperatori cristiani, gettando le basi per la nuova giurisprudenza
imperiale. Costantinopoli fu circondata di una nuova cinta muraria: le mura teodosiane. L’imperatore
firmò una pace con i persiani, 422, garantendo un lungo periodo di stabilità alle sue frontiere.
L’impero d’occidente sopravvisse ancora solo per ottant’anni, sotto imperatori sempre più deboli. Il 5
settembre 476 un generale romano di stirpe barbarica Odoacre, capo delle milizie mercenarie, depose
ed esiliò Romolo Augustolo, innalzato al trono tredicenne dal padre Oreste, capo dei mercenari
germanici, che aveva deposto il legittimo imperatore. Odoacre non volle assumere il titolo di
imperatore d’occidente, ma si limitò a riconsegnare le insegne imperiali all’imperatore d’oriente
Zenone, riconoscendogli la sovranità sull’intero impero. L’impero infatti veniva percepito ancora
come unitario, e questo faceva sì che in mancanza del titolare da una parte, automaticamente quello
dell’altra parte fosse investito dell’autorità intera. Odoacre si propose come legittimo interlocutore di
Costantinopoli in Italia e fu nominato da Zenone, patrizio dei romani. In Italia si costituì così un regno
autonomo, governato da un re non di un territorio ma dei gruppi etnici riuniti sotto la sua guida, era
stato capo delle truppe barbariche. Per il regno d’Italia il rapporto con l’imperatore d’Oriente era
fondamentale, poiché la popolazione romanoitalica accettava di essere governata da un solo
imperatore, per una più forte tradizione. Gli scrittori della Roma imperiale avevano interpretato le
cause della decadenza generale dell’impero, nella perdita delle antiche virtù repubblicane e nella
modifica delle istituzioni e delle tradizioni. Gli intellettuali del medioevo erano più indirizzati sul fatto
che dalle ceneri di un impero pagano ne era nato uno cristiano. A queste cause nell’ottocento se n’era
inserita una terza, secondo gli storici marxisti la causa della caduta del mondo romano fu la
trasformazione del sistema di produzione, da quello schiavista fondato sullo sfruttamento del lavoro
dei prigionieri a quello feudale, basato sul rapporto tra i contadini che lavoravano la terra e coloro che
ne erano proprietari e signori. Oggi il cristianesimo e le barbarie vengono messi in secondo piano, si
punta di più su altri fattori, come l’inadeguatezza della produzione agricola, l’incapacità di svincolare
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la produzione artigianale da un sistema rigido controllato dallo stato, gli effetti negativi della
situazione di pericolo dovuta al continuo stato di guerra, infine una forte decadenza economica dovuta
alla pressione fiscale che gravava sui cittadini per sostenere il peso della guerra. Il passaggio dalla
tarda antichità al medioevo inizia con una ruralizzazione crescente delle civiltà e delle economie
europee. Intimoriti dai saccheggi i membri dell'aristocrazia romana lasciarono la città e si spostarono
nelle campagne, dove successivamente si insediarono anche i nuovi proprietari immigrati di stirpe
germanica che non avevano una tradizione di vita urbana.
1.3 L’europa dei romani e dei barbari
-Sulle rovine dell’impero un’Europa multietnica
Nel V secolo i romani abbandonarono poco a poco ai barbari i territori dell’impero d’occidente:
● 408→ lasciarono la Britannia
● 425→ cominciano a ritirarsi dalla Pannonia, poi dalla penisola iberica e, sotto la spinta di
Visigoti e Svevi, dalla Gallia sud-occidentale
● 435→ i vandali conquistano la Mauritania e la Numidia
● 486→ clodoveo, primo re merovingio, allargò il suo controllo alla Gallia nord-occidentale e
sud-occidentale alla testa dei franchi salii
L’Europa medievale fu multietnica, originata dalla fusione di immigrati diversi per tradizioni etniche e
livelli culturali dalle popolazioni latine. Quello che era stato il territorio di Roma adesso era una serie
più piccole formazioni politiche, unificate dalla storiografie come regni romanobarbarici o
latino-germanici, latini perché l’amministrazione resto quella romana, ma barbarici perché fondati
sul predominio di elitè guerriere germaniche. Il numero dei nuovi arrivati era inferiore a quello della
popolazione romana che viveva sulle terre dell’ex impero, ed è anche per questo che man mano
penetravano entro i confini, le popolazione barbare, subivano l’influenza della popolazione romana,
tanto che alcuni loro caratteri comuni come per esempio la mobilità sul territorio, scomparvero e
divennero popolazioni stanziali; altri continuarono invece a distinguerli come il fatto di essere popoli
guerrieri. La fusione fu rallentata dal fatto che queste popolazioni erano state cristianizzate da
missionari ariani, così l’arianesimo tanto combattuto dai concili ecumenici fu la fede germanica.
Secondo gli storici dell'ottocento e del novecento, Roma avrebbe portato in eredità alla nuova Europa
la tradizione culturale, il senso dello stato, il diritto, l’unità civile dell’occidente e la lingua comune, i
germani invece avrebbero avuto in comune la mancanza di una tradizione legislativa e di
organizzazione statale (erano infatti organizzati in tribù). Oggi gli storici affermano che gli scambi
umani tra romani e barbari erano stati già intensi prima della fine dell’impero.
-I nuovi regni latino-germanici
Il regno fu l’unica istituzione che gli invasori riuscirono ad elaborare per le proprie bande di
emigranti che avevano come punto di riferimento le tribù, all’interno della quale avevano avuto
sempre molto peso i legami e le organizzazioni della parentela, le famiglie e i clan. Anche in questo
campo ci furono delle differenze: i visigoti concepivano il regno come un’entità separata dal re,
mentre i franchi lo consideravano proprietà personale del monarca. Il regno barbarico non conobbe, o
conobbe solo in forma ridotta, la separazione dei poteri, concentrati tutti nelle mani del re, che li
aveva acquisiti per diritto di conquista, al punto che la cosa pubblica tendeva a confondersi con la
sua proprietà personale. Quella dei popoli germanici era stata a lungo una patria in movimento, la
loro monarchia non fu territoriale, ma nazionale, rappresentava chi era nato nelle tribù. Tutti i nuovi
regni furono vulnerabili e in qualche caso anche molto piccoli. Alcuni come quello dei burgundi o
degli svevi vennero assimilati dai vicini, altri come quelli del vandali o degli ostrogoti non lasciarono
traccia, crollando sotto l’offensiva di Bisanzio. Quelli dei visigoti in Spagna e dei franchi furono
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quelli che procedettero rapidamente sia all’integrazione con i popoli residenti che alla collaborazione
con la chiesa e con esponenti del mondo intellettuale latino.
-I sette regni anglosassoni in Inghilterra
Testimonianze archeologiche dimostrano che un flusso di popolazioni germaniche si era diretto verso
le isole britanniche: angli, sassoni e juti alla metà del secolo occuparono la maggior parte dell’isola.
L’amministrazione romana scomparve definitivamente e la tradizione vuole che nascessero tre regni
di fondazione sassone (Essex, Sussex, Wessex) sulla costa meridionale, tre di fondazione angla
(Mercia, Anglia orientale, Northumbria) e uno di fondazione juta (Kent). Intorno a questa lontana
epoca si svilupparono tantissimi leggende e tradizioni che parlavano soprattutto delle scontro etnico
tra gli occupanti e gli occupati. La memoria della resistenza degli invasori emerse poi nella leggenda
di re Artù, condottiero della Britannia romanizzata, uno dei capi dell’opposizione romano-bretone
alla pressione dei sassoni. È stata avanzata anche un’ipotesi che il nome di Artù sia la deformazione
leggendaria di Artorius, un generale romano rimasto sull’isola che per il suo coraggio e la sua
determinazione sarebbe stato chiamato re dagli abitanti.
-La penisola iberica e l'unità politica visigota
I visigoti erano, tra i popoli germanici, i più fedeli alleati di Roma, e furono loro a salvare l’occidente
dagli unni di Attila. Dopo il sacco di Roma avevano ottenuto dall’imperatore Onorio di stanziarsi
come federati in Aquitania, ma avevano dimostrato subito un notevole dinamismo espansivo. In
Spagna nel 585 assorbirono il regno degli svevi ed espulsero i vandali verso l’Africa creando un
nuovo regno con capitale Toledo, dove cercarono subito di instaurare una convivenza con la chiesa e
con l’elemento romano della popolazione. I re visigoti applicarono il principio della personalità del
diritto, secondo cui ogni etnia veniva giudicata secondo le proprie leggi, anche se la base giuridica per
entrambi i popoli era costituita sulla base del diritto romano, del cosiddetto codice di Teodosio, che
prese il nome di lex romana Visigothorum o breviarium Alaricianum.
-La Gallia dei visigoti ai franchi
Al momento della caduta dell’impero d’occidente la Gallia era passata sotto il dominio dei popoli
germanici: i visigoti raggruppati intorno alla capitale, Tolosa; i burgundi che controllavano la valle
del rodano, i franchi, e in un piccolo territorio c’era ancora la dominazione romana. L’unificazione
politica del territorio fu opera dei franchi. Nel V-VI secolo furono loro che con il loro re Clodoveo
occuparono la maggior parte della Gallia, estendendo poi la maggior parte della dominazione dalle
regioni renane fino ai pirenei. Clovedo cacciò i visigoti in Spagna e scelse come capitale del suo regno
Parigi. Il re costruì la più solida delle monarchie romano-barbariche e la propose come sede delle
tradizioni romane, proprio per questa aspirazione era necessaria la conversione al cristianesimo.
Clovedo quindi si convertì, coinvolgendo in questa scelta prima l’aristocrazia e poi lentamente l’intero
popolo dai franchi. Il battesimo di Clodoveo, avvenuto a Reims per mano di Remigio, venne narrato
da Gregorio Vescovo di Tours. L’aspirazione imperiale della Gallia come avvertita da Gregorio di
Tours fu più esplicita quando Teodeberto I dopo aver conquistato il regno dei burgundi nel 534 si fece
ritrarre con la corona e il titolo di Augusto. Non era una pretesa illegittima in quanto la Gallia come
prima provincia romana, doveva attribuirsi dopo la caduta dell’impero, una funzione vicaria del potere
imperiale.
-Il regno dei vandali in Africa
I vandali dopo aver lasciato la Spagna nel 429 sbarcarono in Africa. Nel 435 i vandali erano stati
riconosciuti come federati dell’impero, Cartagine ne fu il centro. Il loro dominio in Africa si basò
soprattutto sulla loro forza militare, poiché non riuscirono a aggregare le popolazioni intorno al loro
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capo, ci furono anche le persecuzioni contro i cristiani, con il risultato che il loro regno fu l’unico che
non realizzò nessuna forma di collaborazione tra popoli germanici e locali. Furono anche l’unico
popolo germanico a darsi una flotta con la quale si mossero verso le linee del Mediterraneo, in
particolare la Sardegna. Nel 455 saccheggiarono Roma ma nel 533 furono travolti dal processo di
riconquista bizantina della parte dell’impero occidentale messa in atto dall’imperatore Giustiniano, i
vandali scomparvero senza lasciare traccia.
-Il caso italiano: gli ostrogoti e la politica di convivenza
Il regno barbaro d’Italia, quello degli ostrogoti, ebbe caratteristiche particolari. Il loro re Teodorico era
stato condotto da bambino a Costantinopoli come ostaggio, dove aveva vissuto dieci anni, educato
come un principe romano. Era stato proprio l’imperatore Zenone a mandarlo in Italia per contrastare il
potere di Odoacre e sottomettere la penisola in nome dell’impero. Teodorico dopo essersi impadronito
della penisola a nome dell’imperatore (488-489), tentò addirittura di ricreare l’impero d’occidente.
Per raggiungere il proprio sogno egli cercò di imparentarsi con tutti i più importanti re barbarici.
Incontrò però resistenze sia nel mondo latino che germanico. Teodorico appare ritratti in un mosaico
di Sant’Apollinare Nuovo incoronato e abbigliato come un imperatore bizantino. Egli si circondò di
amministratori romani e il suo primo consigliere fu Cassiodoro, cercò di recuperare all’agricoltura
terre che erano state abbandonate e di creare punti di raccolta grado contro le carestie, riformò il
sistema fiscale e quello monetario. Pur facendo di Ravenna la capitale del regno, egli si impegnò
anche nella ricostruzione di Roma, e i suoi amministratori continuavano a formarsi con la tradizione
classica, anche il senato romano rimase in piedi fino al VI secolo. Tra goti e latini i compiti furono
divisi, l’esercito era formato solo da goti mentre i romani si occupavano dell’amministrazione. Tra i
due popoli non si ci fu un’integrazione, ma ci fu una chiara politica di convivenza. Questa politica
fallì per la non integrazione, per lo scontro con Bisanzio quando Teodorico cercò di conquistare la
Pannonia (504) e per quello con i franchi che mossero guerra agli alemanni, alleati degli ostrogoti
(506). La difesa dell’arianesimo infine alienò a Teodorico le simpatie della classe senatoria latina. I
tentativi di Teodorico di salvare l’Italia non furono sufficienti, il commercio non riuscì a riprendersi,
la produzione artigianale rimase a livelli bassissimi e le terre rimasero incolte. Il frumento che era
stato la coltivazione prevalente dei romani, fu integrato con cereali inferiori, che rendevano più
raccolto ma erano meno nutrienti e il pane era sempre più scuro: ciò che si voleva era una sicurezza
contro le carestie e dunque non si curavano la bontà e la finezza del prodotto, ma soltanto la quantità e
la facilità della produzione.
Teodorico designa come successore il nipote Atalarico, figlio di sua figlia Amalasunta; alla morte del
re Atalarico era ancora un bambino e il regno fu retto quindi dalla madre, dal 526 al 534. Morto
prematuramente anche Atalarico la regina si trovò in una condizione di debolezza istituzionale dalla
quale tenta di uscire associandosi il cugino Teodato, un ricco aristocratico goto. Il re e la regina
scelsero politiche divergenti:
-Teodato→ linea nazionalista gota
-Amalasunta→ voleva un incontro tra goti e romani, si poneva sotto la protezione dell’imperatore
Giustiniano, pagando poi con la vita questo atto. Giustiniano in seguitò manderà l’esercito in Sicilia
con lo scopo di porre fine alla dominazione ostrogota in Italia.
La guerra tra bizantini e ostrogoti, detta comunemente greco-gotica, per contendersi i territori
italiani, si protrasse per 18 anni con risultati alterni. I successori di Teodorico accentuarono la politica
di predominio gotico; con la morte poi di Teia, ultimo re ostrogoto, la guerra si concluse con la
vittoria dei bizantini.
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-Le chiese e la chiesa
Già dal IV secolo la chiesa aveva avviato la costruzione del proprio ordinamento, il punto di
riferimento dell’organizzazione della comunità dei fedeli erano i vescovi, dal greco episcopos, che
garantivano l’unità d’intenti e la disciplina liturgica dei territori sotto la loro giurisdizione, coincidente
spesso con il municipio romano, la diocesi, circoscrizione nella quale vivevano i fedeli che facevano
capo al proprio vescovo per ricevere il sacramento del battesimo. Il vescovo era l’unico a poter
ordinare i sacerdoti e ad autorizzare la costruzione di monasteri, fu sempre un membro di prestigio del
clero locale e fu eletto a vita. Non doveva aver commesso crimini, non doveva essere bigamo né
bestemmiatore, né avere incarichi pubblici o militari, doveva essere giuridicamente un uomo libero. Il
vescovo delle metropoli di ogni provincia fu detto arcivescovo e acquisì un ruolo di preminenza sugli
altri vescovi della stessa provincia. In Italia i rapporti tra i vescovi e Roma furono mediati attraverso
tre sedi metropolitane Milano, Aquileia e Ravenna, mentre fu più diretto il rapporto tra Roma e i
vescovi dell’Italia centrale e meridionale. Le sedi vescovili più importanti presero il nome di
patriarcati e furono Roma in occidente e Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli in
oriente. Nel V secolo l’episcopato di Roma, si attribuì una maggiore autorità morale rispetto agli altri,
autoproclamandosi sede apostolica per eccellenza, per aver conservato le spoglie di Pietro, il solo che
aveva ricevuto da Gesù il “potere delle chiavi”. Secondo una tradizione i vescovi dovevano recarsi a
Roma per far visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Il vescovo di Roma quindi rivendicava un
ruolo di preminenza rispetto agli altri vescovi, attraendo verso di sé il tradizionale legame tra Roma e
la tomba degli apostoli: fu papa, una parola greca che significa “padre”. Roma era già prestigiosa per
essere stato il centro del vecchio universo latino, adesso ricavava ancora più autonomia da quando le
preferenze residenziali dell’imperatore si era spostate in oriente, questo spostamento faceva sì che il
vescovo fosse la massima autorità della città, infatti nel 452 papa Leone Magno si presentò davanti
agli unni per rappresentare il potere politico che non c’era. La chiesa quindi come istituzione, si
propose come erede dell’impero scomparso, nasceva quindi dalla dispersione delle forze politiche. Si
può dunque sostenere che la scomparsa dell'impero in Occidente segnasse il punto di partenza ed
accelerazione di quel forte ruolo che la Chiesa acquisì progressivamente nella vita politica europea.
Del resto, più in generale, rafforzò il ruolo della Chiesa in tutto l'Occidente cristiano, il fatto che molti
altri vescovi ricoprissero il ruolo di protettori della popolazione romana nei vari regni nati dalle
invasioni, patteggiando con gli invasori.
-Nuovi ideali di vita: il monachesimo cristiano
L’espansione del cristianesimo trovò potenti alleati nei monaci, che riuscivano ad interessare tramite
la conversione dei loro capi molte popolazioni. Il monaco, dal greco monachos, significa solitario,
infatti il monaco è quel cristiano che desiderava ritirarsi in solitudine spirituale per intraprendere un
cammino di perfezione. Vi erano due possibilità, poteva fare la scelta radicale degli eremiti, isolandosi
totalmente dal mondo che si riteneva corrotto, oppure poteva entrare in una comunità. La vita
cenobitica, ovvero quella dei monasteri, ruotava attorno ad un chiostro, uno spazio chiuso, simbolo
della chiusura nell’interiorità personale. Questo fu il modello più diffuso in occidente, mentre quello
eremitico fu più diffuso in oriente e nell’Italia meridionale. L’Italia fu la culla di un’esperienza
monastica molto importante, quella fondata da Benedetto. Contemporaneamente alla diffusione del
cristianesimo un giovane di nome Antonio, aveva abbandonato il suo villaggio sul corso del Nilo e si
era rifugiato nel deserto, mettendo a punto una serie di esercizi ascetici che lo tenevano lontano dalle
tentazioni, dando vita ad ideali di vita ascetici. Un altro personaggio di rilievo fu il vescovo di
Cesarea, Basilio, che aveva dato vita a un regime monastico in Cappadocia. Sulle origini del
monachesimo occidentale, prebenedettino, troviamo già consolidata l’esperienza di uomini-guida in
Gallia con Martino vescovo di Tours, in Spagna con Isidoro vescovo di Siviglia, in Italia con
Cassiodoro e in Africa con Agostino vescovo di Ippona. Emersero due correnti monastiche sulle altre:
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-quella celtica → ebbe origine in Irlanda, la diffusione del cristianesimo fu lenta e si basò su
monasteri sorti intorno alle più importanti famiglie che si impegnavano nella conversione dei pagani.
Tra i pionieri del cristianesimo celtico i più conosciuti sono Brindano, che come narra la leggenda si
lasciò trasportare per sette anni dalle correnti marine tra Irlanda e Scozia; e Colombano, fondatore di
numerosi monasteri. Il cristianesimo celtico ebbe una diversa organizzazione, come le formule del
battesimo o la datazione della Pasqua, che lo tennero distante dalla chiesa di Roma. Cosi quando
Colombano cercò di diffondere le sue regole al di fuori dell’isola, la chiesa organizzò una difesa
attraverso la diffusione del monachesimo benedettino,
-quella benedettina→ esprimeva forme più moderate di vita cenobitica e non metteva in discussione
il potere dei vescovi. La tradizione racconta che Benedetto nascesse a Norcia da una famiglia
benestante, e che fondasse il monastero di Montecassino. Alcuni storici hanno dubitato della sua
esistenza reale. Quello di Benedetto era un modello di monachesimo che limitava i rigori della
disciplina orientale, evitando i pericoli della solitudine e accanto alla preghiera valorizzava il lavoro
manuale e intellettuale, infatti molti monasteri benedettini divennero centri importanti dello
sfruttamento delle risorse agricole e di trasmissione culturale attraverso l’attività di copiatura dei libri
(scriptorium).
Talvolta i monasteri, dipendevano dal vescovo e furono alcuni costruiti in luoghi sacri precristiani e
anche questa sovrapposizione, confermando la sacralità, finì per annullare la memoria pagana. Il
monaco benedettino rispettava l’autorità di un abate, che aveva il completo governo sia degli aspetti
spirituali che materiali, e rispondeva solo a Dio e al suo ministero. I monasteri benedettini
rappresentarono per la chiesa uno strumento fondamentale per allontanare i culti pagani. Con
Ludovico il Pio nell’871 renderà obbligatoria per tutti monaci dell’impero carolingio un’impronta
benedettina. Il monachesimo eremitico rimase forte in Italia meridionale. In Italia alcuni monasteri
furono molti attenti a ricercare l’appoggio dei potenti e l’aiuto del potere politico, alcuni furono
fondati su possessi regi.
1.4 Bisanzio: un impero latino dai tratti orientali
-La parte orientale dell’impero romano
Dal giorno in cui le insegne imperiali, nel 476, furono accolte a Costantinopoli, parte orientale
dell’impero romano viene chiamata dalla storiografia moderna Impero bizantino, anche se all’epoca
questo termine non fu mai utilizzato. L’impero bizantino fu l’area orientale dell’impero romano, fu
romano nella formazione istituzionale e cristiano per religione, anche se greco per cultura. I
bizantini infatti fino alla fine volevano chiamarsi romaioi per il loro convincimento di continuare lo
stato e la civiltà di Roma antica. Da Roma, Bisanzio ereditava la struttura politico-amministrativa
accentrata intorno all’imperatore e articolata in prefetture, divise in diocesi, a loro volta divise in
province Ereditava anche lo spazio geografico e i problemi connessi alla difesa dei confini. Sul basso
Danubio le popolazioni germaniche e slave premevano contro i confini, in Siria e in Armenia
occorreva fronteggiare le ambizioni della Persia. In Egitto e in Siria emergevano violenti dissidi anche
di carattere teologico sempre più forti, a mano a mano che l’impero sosteneva i vescovi e la loro
attività di cristianizzazione. Tema centrale del dibattito teologico era la natura di Cristo e del
rapporto tra sua umanità e divinità. Una serie di concili (di Efeso nel 431 e di Calcedonia nel 451),
segnò la prima sconfitta dei nestoriani, che furono banditi dall’impero e si rifugiarono in Persia.
-Giustiniano
Giustiniano contribuì a portare l’impero bizantino a uno dei punti più alti del suo sviluppo.
L’imperatore impegno i primi anni di governo a garantire la pace esterna e produrre tranquillità
all’interno. Nel 532 siglò la pace con la Persia, nello stesso anno fece soffocare la rivolta della Nika
scoppiata per protestare contro l’inasprimento fiscale. Sottrasse l’Africa ai vandali, l’Italia agli
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ostrogoti, il sud della penisola iberica ai visigoti, infine riorganizzò le province conquistate con il
modello romano. Questo tentativo di ricostruzione fu possibile solo grazie alla collaborazione della
quale l’imperatore si circondò, sua moglie Teodora prima di tutto, ma anche i giuristi, i generali
cronisti. Tra il 528 e il 535 fece riordinare da una commissione di esperti, il diritto romano, nel
Corpus iuris civilis, raccogliendo in 4 testi:
- Istituzioni: un trattato ad uso di chi imparava il diritto;
- Digesto o pandette: raccoglieva in cinquanta libri le opere dei giuristi della classicità, dunque
tutta la giurisprudenza romana;
- Codice: la raccolta delle leggi, la costituzione dell’impero di varia origine, editti, decreti,
rescritti
- Novelle: tutte le nuove leggi emanate dopo il 534
L’amministrazione di Bisanzio si era basata soprattutto sulla consuetudine e il costume, invece la
tradizione della codifica delle leggi veniva dai romani. La produzione e il commercio furono elementi
primari per la vita dell’impero bizantino. L’economia si basò sull’agricoltura, sul commercio e sulla
manifattura, controllati dallo stato e che rifiorirono con Giustiniano. Alla fine del VII secolo fu
promulgata la legge agraria, che garantiva l’esistenza di comunità di liberi contadini. L’impiego degli
schiavi si ridusse dunque notevolmente nel mondo bizantino. Costantinopoli rappresentò il maggior
centro industriale e commerciale e numerose attività si svilupparono intorno al porto. Una delle
principali produzioni della città fu quella dei tessuti di seta, una materia prima inizialmente
proveniente dalla Cina. Si lavoravano poi l’oro e l’argento e si producevano profumi. Il commercio
come l’industria era controllato dallo stato, che esercitava il monopolio e vigilava sulle imprese
private. Il commercio era fortemente controllato dallo stato che disciplinava, comprava e vendeva,
esercitava il monopolio e vigilava sulle imprese private. Per la prosperità dell’economia bizantina fu
decisiva l’esistenza di una moneta d’oro forte, equivalente al solidus aureus antico, che gli
occidentali chiamavano bisante, impiegata nel commerci mediterrano per i successivi ottocento anni
-Alla riconquista della parte occidentale
Giustiniano voleva ricostruire la perduta unità dell’impero, ricostruendo gli antichi confini
occidentali. Così fra il 535 e il 553 si impegnò nella guerra di riconquista dell’occidente, si tratto di
una vasta campagna militare combattuta nell’Africa settentrionale occupata dai vandali, nella Spagna
meridionale e, soprattutto, contro i goti in Italia. Tutte quelle terre erano appartenute all’impero
romano e in seguito alla sua dissoluzione erano passate ai barbari, ma venivano ancora considerate
dipendenti dall’imperatore d’oriente che le aveva affidate ai loro re. I bizantini non erano invasori,
quella verso l’occidente non era una guerra di conquista ma di riconquista: nel 540 Belisario, il
generale di Giustiniano, entrò a Ravenna, designata come sede della prefettura d’Italia. Giustiniano
restituì ai grandi proprietari e alla chiesa i beni confiscati durante la guerra, ma l’Italia ne uscì
depressa sul piano demografico ed economico. A guerra finita a Ravenna venne rappresentato
Giustiniano in prestigiosi mosaici accanto alla figura di Cristo trionfante in terra.
-Il ripiegamento
La guerra per quanto vittoriosa può essere considerata il peggiore errore gi Giustiniano, che non capì
che per affrontare un simile sforzo militare, lo stato avrebbe dovuto sborsare somme colossali,
dilapidando le riserve d’oro accumulate. La guerra l’aveva costretto a sguarnire i confini con la Persia
e con i territori slavi del nord-est e le conseguenze non si fecero attendere. Nel 617 gli slavi
avanzarono nei Balcani, i persiani nel 612 conquistarono la Cappadocia e l’Armenia e negli anni
successivi Damasco, Gerusalemme e l’Egitto. L’Italia simbolo della restaurazione imperiale venne
affidata dai bizantini ai longobardi e solo la fascia costiera adriatica e la Sicilia in tutto l’occidente
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appartenevano all’impero. Il greco divenne la lingua ufficiale della cancelleria imperiale. Il titolo di
imperator fu mutato in quello di basileus.
1.5 Nascita di Due Italie
-I longobardi: un popolo in marcia
Fra il 568 e il 569 arrivarono in Italia i longobardi, un popolo di guerriero di lingua germanica,
proveniente dalla Pannonia, e dalla quale si era allontanato alla fine del V secolo, spinto da una
carestia. La migrazione di questo popolo si concluse in Italia. Per la penisola fu la prima esperienza di
dominazione da parte di un popoli germanico. I longobardi giunsero in Italia attraverso le Alpi
orientali sotto la guida di Alboino. Non si trattava di una spedizione militare, poiché in viaggio si
misero anche famiglie. Non erano moltissimi, ma si trattava in ogni caso di un popolo in marcia. Il
loro viaggio fu lento senza un vero e proprio piano di conquista. Senza incontrare difficoltà
occuparono il Friuli, il Veneto (con eccezione di Venezia), la Lombardia, il Piemonte e la Toscana.
Crearono i ducati di Spoleto e di Benevento. Tra la fine del VI e la metà del VII secolo i re Agilulfo e
Rotari avrebbero preso Mantova, Parma e Modena e la Liguria. Nel 577 durante la loro marcia
distrussero il monastero di Montecassino e i monaci benedettini si salvarono in fuga verso Roma.
-I romani e gli occupanti
L 'occupazione longobarda rappresentò una delle prove più impegnative che il popolo della penisola
avesse mai affrontato. Per tradizione i longobardi sono stati considerati una popolazione più barbara e
più feroce e meno assimilabile di altre. In realtà non è proprio così, in quanto una parte della
popolazione prima di arrivare in Italia aveva già conosciuto il cristianesimo nella forma ariana, aveva
avuto già con i bizantini un’esperienza al soldo. I longobardi non erano più feroci di altri, erano solo
una tribù guerriera con i suoi costumi particolari, che si scontrano facilmente con quelli di una civiltà
sedentaria. Lo stesso simbolo tradizionale delle loro barbarie, l’episodio del re Alboino che pretese di
far bere la moglie Rosmunda dal cranio del padre ucciso, è da liberare dall’alone romantico che lo ha
circondato e da riporre all’interno di una cultura guerriera comune a molte civiltà indoeuropee di
tradizione nomade. Tagliare la testa al nemico ucciso e bere dal suo cranio, era un rituale di omaggio
verso il vinto del quale, simbolicamente, si bevevano il coraggio, la forza e la virtù. L’offerta fatta a
Rosmunda, figlia del re ucciso, era un’offerta di riconciliazione fra vinti e vincitori. Il rifiuto di
Rosmunda non fu altro che il rifiuto di riconciliazione, tanto che fece poi assassinare Alboino e si
rifugiò a Ravenna, amministrata dai bizantini. Al momento dell’occupazione colpisce il silenzio dei
documenti sulla sorte dei romani. Non si è certi che la popolazione indigena sia stata ridotta in uno
stato di servitù “volgo disperso che non ha” come dice Alessandro Manzoni, che interpretava la storia
dei latini come quella di un popolo oppresso da un popolo germanico, con una chiara allusione alla
recente annessione del regno lombardo-Veneto all’impero austro-ungarico. In realtà i longobardi si
disinteressarono alla capacità giuridica dei latini, che furono lasciati a se stessi, purchè versassero un
contributo agli occupanti. Nell’VIII secolo la vecchia classe dirigente romana era stata annientata
perché colpita nelle proprietà terriere, e il nuovo ceto dirigente era tutto germanico, in quel momento
ormai quello che viveva su suolo italiano era un unico popolo che non poteva definirsi ne del tutto
latino ne del tutto longobardo, il risultato della lenta fusione tra le due componenti. Il lento processo
di fusione era cominciato nel VII secolo, l’elemento principale che aiutò questo processo fu quello
religioso. Il re Autari aveva proibito il battesimo con rito cattolico a tutti i figli dei longobardi
riservando per loro il rito ariano, ma i matrimoni misti erano già una frequente possibilità. Autari
cercò anche di trovare un elemento di convivenza ra le due popolazioni, e un passo importante fu
proprio la sua conversione al cattolicesimo, avvenuta grazie all’influenza della regina Teodolinda.
Ebbe un ruolo importante anche il sostegno che dal VII secolo, i longobardi, dettero al culto
dell’arcangelo Michele sul Gargano, attraverso il quale la tradizione guerriera ricevette un’impronta
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più cristiana, confermata dall’introduzione della sua immagine sulle monete. La trasformazione da
cristiani ariani a cristiani cattolici fu un fenomeno progressivo, che si realizzò un matrimonio dopo
l’altro, nomi romani venivano dati ai figli dei longobardi e viceversa. Nel VIII secolo i longobardi non
parlavano nemmeno più la loro lingua.
-L’Italia fra i longobardi e i bizantini
L’Italia con l’occupazione longobarda era stata divisa in due, per la prima volta una vasta area della
penisola era uscita fuori dal sistema imperiale, i bizantini aveva mantenuto l’Istria, il Veneto, la
Liguria, l’Esarcato, la Pentapoli (provincia bizantina formata da Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e
Ancona), Perugia, il Lazio, Napoli, la Puglia, la Calabria e le isole. Nel 584 i bizantini organizzarono i
loro domini in Italia intorno ad un ufficiale superiore, capo dell’esercito e governatore dell’Italia in
nome dell’impero, l’esarca, di stanza a Ravenna. Il potere assoluto si concentrò in mano ai
rappresentanti imperiali che oltre a detenere il comando supremo dell’esercito, nominavano tutte le
cariche della città, anche quelle ecclesiastiche. Al vescovo fu riconosciuta la funzione di supplenza a
capo del governo cittadino. L’Italia dominata dai bizantini cambiò la propria fisionomia, le città
accentuarono i tratti militari, e al loro interno i poteri dei capi dell’esercito sovrastavano quelli civili.
Molte parole del linguaggio militare entrarono a far parte del linguaggio comune. Intorno al 584 fu
costituito l’esarcato d’Italia con capitale Ravenna, composto da tutte le province bizantine. Il regno
longobardo invece stabilì la sua capitale a Pavia, dove risiedette il re, si configurò come una struttura
di ducati, ciascuno dei quali aveva il proprio margine di autonomia. Il regno longobardo ebbe
difficoltà ad assestarsi a causa delle lotte tra i duchi, e fra questi e i re che inviarono nelle sedi
periferiche propri fiduciari, i gastaldi, incaricati di amministrare le terre pubbliche. Con Rotari venne
fatto ancora un tentativo di dare un ordine giuridico ai rapporti tra longobardi e latini. Ne scaturì una
raccolta di leggi di diritto privato e penale che viene chiamata editto di Rotari. I longobardi fino a quel
momento avevano espresso le leggi oralmente, e nel 643 per la prima volta il re decise di farle mettere
per iscritto. L’editto scritto 75 anni dopo il loro arrivo in Italia è la lingua latina, la lingua dei “vinti”,
inoltre risentì anche dell’influenza del diritto romano. L’editto è fondamentale per conoscere la loro
organizzazione, sappiamo così che la loro forza risiedeva nella struttura tribale, che identificava
ciascun uomo libero come un guerriero, arimanno, che aveva il diritto e il dovere di combattere e di
partecipare alle decisioni politiche. Gli arimanni erano inquadrati in famiglie allargate, fare, composte
da più nuclei imparentati tra loro. Le case delle fare erano inviolabili e senza il permesso del capo
famiglia nessuno poteva entrare. I gruppi di fare erano agli ordini dei duchi. La faida era la
possibilità di vendicare un torto subito, rifacendosi sui parenti del colpevole, ed ebbe lunga vita nel
medioevo. Dal punto di vista penale l’editto si basava su una serie di multe che finivano nelle casse
del re. Le leggi di Rotari inoltre proteggevano il guerriero. Dal punto di vista amministrativo,
nell’editto compaiono per la prima volta i gastaldi, funzionari incaricati di rappresentare il re nel
territorio. Rotari infine si proponeva come protettore degli elementi più deboli della società, tra queste
le donne. Ogni donna aveva un mundio cioè un prezzo di cui era proprietario il capo famiglia e il
marito lo riscattava nel momento del matrimonio. I longobardi diffidavano delle città latine tanto da
concentrare il loro potere nei castelli e negli insediamenti fortificati che erano stati dei bizantini.
Questi secoli rappresentarono anche per l’Italia longobarda il momento culminante del disfacimento
dell’edilizia pubblica di età romana. Dopo l’età di Rotari l’Italia conobbe un miglioramento, e in tutta
l’Europa si videro i primi segni di miglioramento, cominciava a crescere la popolazione, le città e le
campagne davano segno di riprendere un po 'di vitalità economica. Il re Liutprando cercò a espandere
il territorio longobardo a parti dell’impero che erano ancora dei bizantini, a temere di questa
espansione fu a Roma il papa Gregorio II, che non si tranquillizzò nemmeno quando Liutprando gli
donò una serie di castelli nel Lazio, la cosiddetta donazione di Sutri considerata il primo nucleo di
potere temporale della chiesa. Contemporaneamente a questo miglioramento, anche nella parte
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d’Italia dei bizantini si accentuarono le spinte autonomistiche, ci furono ribellioni in Sicilia. Venezia
rimase invece sempre un ducato bizantino, anche se si mosse sempre in una sostanziale autonomia.
-Approfondimento→ I longobardi peste d’Italia? Il dibattito storiografico
Il dibattito storiografico riguardante l’effetto dei longobardi nella penisola si è fatto particolarmente
acceso nell’800, anche se già in precedenza gli storici si erano posti degli interrogativi in merito. Il
primo ad affrontare il problema fu Paolo Diacono, monaco longobardo, vissuto nel VIII secolo. Egli
sosteneva che i longobardi sarebbero stati chiamati in Italia dal generale bizantino Narsete, come
truppe federate contro i goti. Anche se l’ipotesi è verosimile, il fatto che lo storico la sostenga con
forza testimonia la volontà di voler creare un collegamento tra i longobardi e l’ufficiale bizantino.
Quindi non una rottura, ma un legame. Molti secoli dopo il tema fu ripreso da Niccolò Machiavelli,
che individuava nella politica di collegamento tra il Papato e i Carolingi, l’origine di tutti mali
successivi dell’Italia. Machiavelli riteneva direttamente responsabili i longobardi del frammento della
penisola. Nell’800 agli albori del risorgimento italiano, questa polemica si riaccese. I neoguelfi
ritenevano che era stato merito dei pontefici aver chiamato i Carolingi in Italia e aver salvato il paese
dalle barbarie longobarde. I neoghibellini, seguivano le orme di Machiavelli, sostenendo che la
politica dei papi aveva portato alla conquista franca, segnando l’inizio della servitù italiana allo
straniero. Oggi le chiavi di interpretazione del periodo longobardo sono ancora discordanti. Alcuni
storici come Roberto Sabatino Lopez hanno visto nella dominazione longobarda la nullificazione dei
miglioramenti che si erano intravisti nel periodo goto. Altri invece hanno visto un periodo di
continuità con il periodo classico. Secondo Gina Fasoli invece il peggioramento non fu così
catastrofico. Studi recenti ci consentono di aggiungere che senza dubbio l’Italia era già in profonda
crisi, era stata travolta da un’epidemia di peste, da tremende carestie e da inondazioni. A questo sono
da aggiungere i vent’anni della guerra tra goti e bizantini. Dunque non furono i longobardi da soli a
provocare la decadenza dell’Italia. Inoltre questo giudizio non può essere lo stesso per tutti e due i
secoli di dominazione.
-La chiesa di Roma lega il suo destino al regno dei franchi
L’impero bizantino era ormai da qualche secolo lontano dall’occidente. In Italia così la chiesa si era
proposta come mediatrice fra romani e germanici, divenendo uni dei pochi punti di riferimento
solidi in una penisola divisa tra un regno longobardo frammentato e una dominazione bizantina che
mostrava alla popolazione romana la sua presenza attraverso gli esattori fiscali. Già nel V secolo, con
il concilio di Calcedonia, la chiesa di Costantinopoli, aveva rivendicato pari dignità a quella di Roma.
Alla fine del V secolo, papa Gelasio I aveva seguito una linea intransigente nei confronti
dell’imperatore d’oriente Anastasio, sostenendo che papa e imperatore erano due figure importanti,
ma con diverse funzioni: l’imperatore era stato incaricato da Dio di mandare in esecuzione ciò che
Dio avrebbe deciso per l’umanità, e si esprimeva tramite il papa. Gelasio proclamava la separazione
tra i due poteri, contro ogni forma di cesaropapismo dell’imperatore bizantino. Su questa linea si
mossero altri papi, negli anni della dominazione longobarda. Tra essi primeggia la figura di Gregorio
Magno, con lui il papato rinunciò al diritto di dirigere l’intera chiesa cristiana e legò il proprio destino
all’Europa occidentale. I principali popoli germanici insediati in Europa erano ormai tutti cristiani.
Gregorio mantenne intensi i contatti con i re della dinastia merovingia della Gallia e con quelli dei
visigoti della Spagna e impresse un forte impulso all’evangelizzazione dell’Inghilterra. Bizantini,
longobardi e Papato si erano dunque divisi l’autorità nella penisola dopo il 569. Il papa risiedeva a
Roma, in una fascia di territorio italiana che faceva riferimento all’impero bizantino, con i longobardi
che lo attorniavano, con i quali i rapporti erano rimasti tesi anche quando essi si avvicinarono al
cattolicesimo. Nel 666 l’imperatore di Bisanzio aveva concesso alla chiesa di Ravenna l’autonomia da
quella di Roma (autocefalia). Il timore del pontefice si accentuò durante il regno di Astolfo. Il primo
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passo che portò i franchi in Italia non lo fece il papa da solo, ma insieme al rappresentante
dell’imperatore di Pavia che in precedenza aveva chiesto aiuto ai popoli germanici per salvare l’unità
dell’impero romano. Il papa si recò in Francia.
-La fine del regno longobardo
Il re dei franchi, Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello, intravedendo una nuova fase di espansione
scesa in Italia nel 755. Ma già l’anno precedente aveva stretto un accordo con papa Stefano II in base
al quale i suoi armati doveva accorrere in aiuto del pontefice ogni volte che egli fosse minacciato. Da
parte sua il papa aveva confermato Pipino re, ungendolo con l’olio santo, il quale non era più un re
guerriero che primeggiava tra i guerriere, ma un personaggio al di sopra degli altri membri
dell’aristocrazia. Con l’unzione inoltre il papa aveva aggiunto una novità, da quel momento il poi la
dignità regale franca si sarebbe tramandata per via ereditaria. Pipino allora conquistò l’Esarcato come
gli era stato chiesto e lo consegnò al papa. Furono inutile le proposte del re di Bisanzio per riavere ciò
che era legittimamente suo. La chiesa di Roma ricevette oltre l’Esarcato, l’Emilia, la Pentapoli e
Roma, che furono alla base del potere temporale dei papi. Il Papato aveva tradito l’impero che non si
era rivelato capace di proteggerlo. Tuttavia il modo in cui si concluse la guerra dell’Esarcato era solo
il segno visibile dell’antico conflitto tra la chiesa di Roma e la chiesa di Costantinopoli. Fu anche il
primo concreto atto di alleanza tra Papato e franchi. Così come suo padre Carlo Magno nel 773 fu
invocato da papa Adriano I a contrastare le incursioni del re longobardo Desiderio. Carlo Magno
sconfisse i longobardi e ne incorporò i territori. Desiderio fu fatto prigioniero e suo figlio Adelchi
fuggì in esilio presso i bizantini. Finiva così il regno longobardo in Italia, ma i tratti dell’influsso che
ebbero sulla società italiana si mantennero per secoli. Il territorio della Longobarda maior conservò
una propria identità, tanto che Carlo Magno si diede il titolo di re dei franchi e dei longobardi. Nella
Longobardia minor, Arechi III continuò a considerarsi rappresentante della gens e della patris
longobarda anche dopo la sconfitta. I bizantini rientrarono in gioco all'inizio del X secolo grazie ad
iniziative diplomatiche militari, restaurando la propria autorità sulla Puglia, sulla Lucania e sulla
Calabria.
CAP 2- COMPARE L’ISLAM. L’EUROPA SI RIORGANIZZA
2.1 Fra Bisanzio e l’islam
-Il mondo nel quale sopraggiunsero gli arabi
All’inizio del VII secolo una nuova religione fece la sua comparsa nel vicino oriente, ai margini dei
grandi imperi bizantino e sassanide; si trattò di uno tra i più grandi eventi dei secoli dell’anno Mille.
La missione storica del suo fondatore Maometto, nato nel 570 in una città dell’Arabia occidentale, La
Mecca, fu quella di riunire intorno a una religione monoteista le tribù arabe disperse, opponendo al
loro politeismo quindi questa nuova religione di radice giudaica che si chiamò islamica.
-L’area mediterranea
Per molti secoli l’area mediterranea aveva fatto parte dell’impero romano e perno su Roma, nel IV
secolo il centro imperiale si era trasferito in oriente a Costantinopoli. Da allora i re barbari aveva
governato i territori, anche se non si era del tutto esaurito il senso di appartenenza all’impero romano,
la quale memoria sarebbe poi resuscitata con Carlomagno. Negli ultimi secoli anche nell’area
mediterranea si era prodotto un cambiamento religioso di vasta portata, dato che l’impero romano era
divenuto cristiano non solo per decreto dell’imperatore, ma, soprattutto per una lenta conversione
della popolazione a tutti i livelli sociali.
-L’impero sasanide
A oriente dell’impero bizantino, si estendeva l’impero sassanide, abitato da differenti gruppi etnici,
separati da steppe e deserti che rendevano difficile la comunicazione. All’interno dell’impero
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sassanide si era diffusa un’antica religione iranica, secondo la quale l’universo è un campo di battaglia
in cui si affrontano spiriti buoni e malvagi sotto lo sguardo di Dio.
-Sulle rive del mar rosso
L’impero romano e sassanide comprendevano le principali regioni di vita sedentaria e di cultura
avanzata. Ma più a sud sulle rive del mar Rosso si erano sviluppate altre due civiltà, nell’Etiopia e
nello Yemen.
-Arabia preislamica
Era costituita da steppe e deserti, con rare oasi, era un mondo frammentato e disorganico. Popolato
soprattutto da beduini, dediti alla pastorizia di cammelli, pecore e capre e organizzati in tribù. Nel
deserto arabo viveva un altro tipo umano, il mercante carovaniero, anche questo vagabondo. Il
mercante e il beduino erano affiancati da un minoranza di popolazione stanziale di contadini e di
artigiani che viveva nelle città. L’equilibrio tra questi popoli era precario, i nomadi erano una
minoranza dal punto di vista numerico, ma erano anche gli unici che vivevano armati, aveva quindi il
predominio sui contadini. I loro modelli di vita erano prevalenti, così come lo era la loro religione che
era fondata su molte divinità locali, identificate con corpi celesti e ritenute incorporate nelle pietre,
negli alberi e negli animali ecc… La Mecca era il punto di partenza della via commerciale delle
spezie, che andava dal sud al nord dell’Arabia. Governata da un’aristocrazia mercantile, la città
rappresentava un autentico centro politico e la sua autorità era accresciuta dalla presenza di un
santuario, la Ka’ba, la meta di pellegrinaggio più importante della penisola. Nel VII secolo avvenne
l’incontro decisivo di tutte queste culture e si assistette alla nascita di un nuovo ordine politico. Il
gruppo dominante del nuovo ordine fu costituito dagli Arabi dell’ovest. Questo gruppo dirigente si
richiamò alla rivelazione che Dio, aveva fatto discendere sotto forma di un libro santo, proprio su di
loro un cittadino della Mecca di nome Maometto.
-Maometto e l’islam
Le fonti arabe che narrano della vita di Maometto e la formazione di una comunità intorno alla sua
persona sono di epoca molto tarda, risalgono ad almeno un secolo dopo la sua morte. Il maggiore tra i
suoi biografi dei primi secoli fu Abu Gia’far Muhamma, che nei suoi annali dei profeti e dei califfi,
raccolse tutte le tradizioni sulla vita del profeta, sottraendole ai rischi di alterazioni leggendarie.
I biografi ci dicono, dunque, che Maometti nacque alla Mecca, presumibilmente intorno al 570 a.C, in
una famiglia di mercanti che avevano relazioni di affari con le tribù di pastori dei dintorni della
città. Maometto stesso sarebbe stato mercante, un giorno mentre se ne andava solitario per il deserto
avrebbe avuto un contatto soprannaturale conosciuto come la “notte del destino”, un angelo di nome
Gabriele l’avrebbe esortato a diventare messaggero di Allah. Nel 610 Maometto cominciò a
comunicare, prima ai suoi familiari e poi a quanti si univano a lui, una serie di messaggi profetici che
considerava rivelatigli da Dio. Dio che aveva creato gli essere umani li avrebbe giudicati. Queste
rivelazioni sarebbero poi entrate a far parte del corano. Un po’ alla volta intorno a Maometto si
raccolse un piccolo gruppo di credenti, ma man a mani che in consenso cresceva, le relazioni più
importanti con le famiglie di Mecca andarono guastandosi. Nel 622 il profeta fu costretto alla fuga a
Yathrib, un’oasi distante duecento miglia più a nord che per questo episodio prese il nome di Medina.
In questa città travagliata da contese tribali, Maometto s’impose, oltre che come uomo di religione,
anche come capo politico. Divenuto personaggio di punta della società di Medina concentrò nelle sue
mani un potere che dall’oasi si propagò nell’area circostante. Ben presto fu coinvolto il lotte armate,
forse per il controllo di vie commerciali, fu nel corso di questi primi scontri che la fisionomia della
comunità di fedeli si fece più chiara. Intorno a Medina si era costituito uno stato il cui capo supremo
era Allah stesso che si esprimeva per bocca del suo inviato. Nel 629 i suoi membri si recarono in
pellegrinaggio alla Mecca, poi nel 630 conquistarono la città con le armi e la consegnarono al loro
capo. I vecchi idoli furono distrutti e fu stabilito il culto di un unico Dio. La Mecca divenne un punto
di riferimento. Maometto morì a Medina nel 632, e lì fu sepolto.
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- L’islam (pag 61-63 approfondimento libro)
-Gli arabi dilagano fuori dalla penisola
Il profeta aveva dato forma a una comunità e ad un'organizzazione politica, centrata su Medina, ma
non aveva pensato alla sua successione. Fu così che alla sua morte, nel 632, si aprì una crisi, risolta da
un gruppo di seguaci che nominarono Abu Bakr, parente del profeta, come “successore dell’inviato di
Dio” , califfo. Dunque il califfo era il successore del profeta, ma non era il profeta, era a capo della
comunità, ma non un messaggero di Dio. Tuttavia attorno ai primi califfi continuò ad aleggiare
un’aura di santità. La guerra di conversione all’Islam (gihad) cominciò gia con Abu Bakr, ma fu
soprattutto Omar a costruire una sorta di impero teocratico, dove fede religiosa e amministrazione e
potere militare si fondevano nella mani di un’unica persona. Iniziata come guerra, civile, la conquista
militare dilagò fuori dall’Arabia. Alcuni storici cercando di spiegare l’espansione dell’Arabia solo con
l’entusiasmo religioso, che avrebbe spinto gli arabi a diffondere l’Islam in territorio infedele, convinti
dopo i primi successi di godere del sostegno di Allah, e di essere i solo rappresentati della vera
religione. Ma spiegare l’espansione tramite il fanatismo musulmano è un errore, in quanto i beduini
avevano ancora una conoscenza superficiale dell’Islam quindi la religione non era il motivo
dominante. Erano davvero pochi quelli che dopo la conquista si convertivano alla nuova religione.
-Il califfato elettivo e la dinastia di Omayyade (661-750)
Con il 661 aveva termine la serie di califfi legati da vincoli familiare con Maometto. Con la nuova
dinastia chiamata Omayyade, La Mecca e Medina furono sostituite da Damasco, nella funzione di
centro coordinatore degli eventi politici e religiosi. Damasco si trovava al centro regione agricola,
capace di mantenere una corte, un governo e un esercito ed era situata in un punto da cui era facile
controllare le coste del Mediterraneo. La Siria diventava quindi il centro del califfato, che nel periodo
omayyade si allargò ancora. I soldati musulmani avanzarono verso Maghreb, conquistando l’ex
provincia romana d’Africa, poi si estesero fino alla costa atlantica del Marocco. Arrivarono fino a
Costantinopoli e in Armenia, fino al cuore dell’Asia e cominciarono ad avanzare nel nord-ovest
dell’India. In Spagna gran parte della popolazione, stanza dell’amministrazione visigota, accolsero
con favore l’arrivo dei musulmani, rimasero cristiano solo alcuni focolai, da dove sarebbe poi partito
l’attacco cristiano che prende in nome di riconquista. La capitale dell’emirato fu Cordova.
-La complessità geografica del mondo musulmano
Si è soliti generalizzare con il termine arabi, tutti i musulmani, ma i musulmani che passarono nella
penisola iberica, che conquistarono la Sicilia, venivano dall’Africa, perciò non erano arabi. Il vasto
spazio del mondo musulmano, si estendeva su una serie di paesi, che si possono raccogliere in re
grandi aree di produzione
-Le aree di coltivazione sedentaria
Erano quelle dove coltivare era sempre possibile, le fasce costiere dove prosperava l’olio, pianure a
fondovalle dove si coltivavano i cereali, oasi ricche di palmizi. In queste zone si producevano anche
frutta e verdure.
-Le aree dell’allevamento nomade
Erano quelle dove acqua e vegetazione era sufficienti solo per allevare cammelli o altri animali che
migravano stagionalmente su grandi distanze. Le aree più importanti di questo tipo erano il deserto
arabico e il Sahara.
-situazione intermedia
Erano quelle che si realizzavano ai margini delle altre, soprattutto attorno ai deserti dove erano
possibili precarie coltivazione e l’allevamento animale. Contadini sedentari e pastori nomadi
convivevano in queste zone e si dividevano l’uso della terra
-L’elaborazione dell’Islam (pag 66-68)
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-L’impero bizantino si ritrae ancora
Le difficoltà per Bisanzio erano cominciate già prima dell’espansione islamica: nel 558 gli avari,
giunti dal Caucaso e insediati sulla costa del mar nero, avevano continuato la loro marcia, stabilendosi
lungo il corso del Danubio; nel 568 erano arrivati i longobardi e i bizantini in breve avevano perso il il
controllo di gran parte dell’Italia; nel VII secolo era stata la volta della guerra con la persia e dei
continui contatti diplomatici con i popoli slavi che si avvicinavano. Sotto l’avanzata dei musulmani,
l’impero bizantino arretrò ulteriormente i suoi confini. La penisola balcanica fu abbandonata dagli
slavi, Costantinopoli dovette difendersi dalle incursioni fra il 674 e il 678, subì un assedio tra il 717 e
il 718, e subito dopo la guerra si spostò in Anatolia, dove fu assediata Nicea e occupata Cesarea.
Furono anni anche di forte stabilità interna, dalla quale emerse una nuova dinastia di imperatori, di
origine siriana, che fronteggiarono la minaccia araba, riuscendo a contenerla. Nel 740 Leone III
Isaurico riportò sugli arabi una vittoria ad Akroinos. La dinastia Isaurica aumentò l’ellenizzazione
dell’impero bizantino. Leone III propose la traduzione in greco delle leggi di Giustiniano. Nel
frattempo vi era un accentuarsi della crisi dei rapporti tra Roma e Costantinopoli. La dinastia degli
imperatori Isaurici si contraddissi soprattutto perché combattè contro il culto delle immagine sacre. Lo
scontro fra iconoclasti ( i fedeli che rifiutavano le immagini sacre) e iconoduli (quelli che invece si
opponevano alla loro rimozione) riguardava un aspetto molto sentito della sensibilità religiosa della
popolazione bizantina. Le immagini era stato usate nei primi tempi del cristianesimo a scopo
didattico, per insegnare i principi della fede a chi non sapeva leggere, poi i pittori bizantini aveva
cominciato a dipingere anche su pannelli più piccoli che le persone potevano tenere a casa propria, a
questi era stato cominciato ad attribuire una funzione miracolosa, fino ad arrivare a sostenere che non
erano atti da mani umane. La devozione alle immagine sacre aveva giunto così a dei livelli che
iniziavano a preoccupare una parte della classe dirigente. Gli imperatori isaurici avevano imposto di
sostituire i personaggi con le croci e motivi stilizzati, ma la maggior parte dei monaci aveva preso la
difese della icone e delle reliquie. L’opposizione al culto delle icone era forte soprattutto nelle regioni
più orientali dell’impero, dove la propaganda islamica, che accusava di idolatria l’adorazione delle
immagini sacre, aveva influenze più marcate. Leone III Isaurico voleva liberare la religione dalle
superstizioni ereditate dal paganesimo, divenendo così sempre più impopolare nelle regioni europee,
Costantinopoli si allontanò ancora di più da Roma.
-Il califfato degli Abbasidi, una dinastia di riformatori
Non fu tutto merito degli imperatori isaurici, se Costantinopoli sfuggì alla conquista musulmana, a
metà del VIII secolo lo slancio travolgente di conquista dell’Islam si era ampiamente esaurito. Il
califfato era in difficoltà, travagliato da problemi interni, sciiti e karigiti due sette che non avevano
mai voluto riconoscere la legittimità dei successori del Profeta, appoggiati via via da gruppi diversi,
incoraggiavano rivolte contro la dinastia. Chi continuava a professare la propria fede in cambio di un
tributo fu spinto a convertirsi e venne equiparato ai musulmani dal punto di vista fiscale, producendo
una crisi nelle entrate del califfato. Nel 750 le popolazioni musulmane della Persia, sotto la guida di
Abul-Abbas, rovesciarono la dinastia Omayyade, gli ultimi superstiti si rifugiarono in Spagna dando
vita all’emirato di Cordova. Con la nuova dinastia persiana Abbaside, si affermava un’idea di
eguaglianza per tutti i musulmani, e diminuiva il predominio arabo. Gli Abbasidi ridussero
drasticamente il potere dei ceti dirigenti arabi e spostarono il nuovo centro del califfato da Damasco a
Baghdad. La città divenne la più grande del tempo. Accanto a Baghdad sorsero altre città. Il punto
forte degli Abbasidi furono le riforme fiscali e in quello dell’agricoltura, le due riforme erano
strettamente funzionali l’una all’altra. Le terre incolte erano affidate ai contadini disposti a metterle a
frutto in cambio di sgravi fiscali e i tributi versati erano rimborsati a chi migliorava i sistemi di
irrigazione del terreno e a chi introduceva nuove coltivazioni nei propri campi. In questo modo si
otteneva un maggior numero di prodotti commercializzabili. Questo però non significava che la
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condizione dei contadini cambiasse di colpo, ma comunque la riforma abbaside produsse
miglioramenti. La situazione di prosperità fu rafforzata anche dalla moneta d’oro, favorita dalla
grande quantità di questo metallo accumulato durante la conquista della Siria, della Persia e
dell’Egitto, accresciuto anche con lo sfruttamento delle miniere delle zone aurifere. Le città abbasidi
conobbero un notevole incremento del commercio e della produzione artigianale, grazie anche alle
conoscenze tecniche acquisite dai musulmani attraverso le conquiste. Attraverso il Caucaso si
aprirono vie commerciali tra il califfato e i paesi russi, attraverso il Golfo Persico passavano le vie del
commercio con la Cina e con l’India. Tra il VIII e il IX secolo risalgono le storie delle Mille e una
notte trascorse da Shahrazàd a narrare allo scià, diffuse in Europa nel XIII secolo, intrise della
passione araba per il viaggio continuo, con i suoi labirinti che sospingono i protagonisti di regno in
regno. Mentre Shahrazàd, racconta Sindibàd e il Marinaio, con eterna fatica e insaziabile fame di
conoscere, attraversa paesi fantastici dove si concentra tutto il meraviglioso dell’universo, i mercanti
continuano a camminare a vendere le loro merci e a cambiare le monete, nel susseguirsi interminabile
delle notti e dei giorni. Spuntano e spariscono le carovane, i porti, i mercati, le navi e i mercanti e
intercalati con essi, i cavalli che sanno volare, i tappeti magici che annullano distanza e fatica. È così
che si riempiono di sogni le notti di Shahriyàr, scià della Persia.
-I musulmani in Sicilia (IX secolo)
La dinastia abbaside governò fino al 1258 quando Baghdad venne distrutta dai mongoli. Le uniche
imprese militari di rilievo furono quelle verso Creta e la Sicilia. La conquista della Sicilia fu
soprattutto ad opera di berbari o saraceni e accrebbe la diversità tra queste regione e il resto della
penisola. L’invasione cominciò nell’872, e tra 830 e 831 Palermo fu conquistata. Nel 843 con l’aiuto
dei cristiani di Napoli conquistarono Messina, e nell’859 Castrogiovanni (Enna). Nell’878 la caduta di
Siracusa, la più importante città dell’isola, rappresentò per Bisanzio il segnale che la Sicilia era
diventata indifendibile. Taormina fu presa nel 902. Siracusa non riuscì a riprendere dal saccheggio,
cominciò così l’ascesa di Palermo, che l’avrebbe ben presto sostituita come capitale dell’isola. Oltre a
Palermo cominciarono l’ascesa anche altre città come Agrigento. Si trattò per l’isola intera di un
momento di particolare benessere. I musulmani introdussero in Sicilia la coniazione del tarì, moneta
d’oro. Portarono innovazioni colturali (cotone, gelso, nuovi tipi di cereali) e diffusero la produzione di
tessuti. Dettero impulso alla pesca del tonno.Dal punto di vista dell'insediamento rurale, molti villaggi
formatisi durante la tarda antichità, nelle colline e pianure siciliane, furono abbandonati. La Sicilia
divenne un nodo importante del traffico commerciale fra il mondo musulmano e l’occidente. I
musulmani si spinsero anche in Puglia e occuparono Brindisi, e diedero vita all’emirato di Bari,
impiantarono le loro basi sotto Cassino, spingendosi da qui entro i muri di Roma.
-La fine del califfato
Dalla seconda metà del IX al X secolo il califfato si disintegrò in formazioni politiche distinte,
rimanendo a controllare direttamente solo il territorio della Mesopotamia. Nell’869 esplose la rivolta
degli schiavi neri, reclutati in Africa orientale, per farli lavorare in condizioni pesantissime, per
prosciugare le valli del Nilo e trasformarle in terre adatte alla coltivazione della canna da zucchero. La
rivolta finì nell’882, quando i rivoltosi aveva costruito un vero e proprio contropotere in alcune
regioni. Il califfato uscì a pezzi dallo sforzo che aveva dovuto affrontare per controllare la rivolta,
inoltre approfittando della situazione Siria e Egitto si erano resi indipendenti. Intanto l’Islam fu scosso
da un’altra insurrezione, la rivolta dei karmati testimonianza del malcontento degli strati più umili
della società. Era un movimento eretico di beduini, fortemente religioso che attirava la speranza dei
contadini senza terra, schivi e mercenari. Attaccarono Damasco nel 903, nel 906 saccheggiarono la
Palestina e nel 930 conquistarono La Mecca, solo nel 939 strinsero una pace con il califfato. Molti
governatori abbasidi finirono per acquisire maggiore autonomia, arrivando a creare vere e proprie
dinastie locali in Egitto, nello Yemen ecc. Così l’unità islamica risultò compromessa. La Persia, le
regioni dell’Africa, la penisola iberica i staccarono le une dalle altre
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2.2 L’europa Carolingia
-L’ascesa verso il potere della famiglia dei pipinidi
Carolingi è il nome che diamo ai re della dinastia germanica che governò gran parte dell’Europa
occidentale tra VIII e IX secolo. Il merovingio Clodoveo (481-511) aveva trasformato l’insieme delle
tribù dei franchi nella più solida delle monarchie romano-germaniche, senza però lasciare un regno
unito, che fu diviso dai figli alla sua morte, in base al principio barbarico che non distingueva tra beni
di proprietà del re e beni pubblici, la concezione patrimoniale del regno franco era proprietà del capo
guerriero vittorioso. Si erano configurati tre regni autonomi che si reggevano secondo legislazioni
diverse:
-l’Austrasia con capitale Reims,
- la Neustria con capitale Parigi
-la Borgogna con capitale Orléans.
Successive divisioni territoriali accelerarono la crisi della dinastia merovingia, e avevano aumentato i
poteri dell’aristocrazia delle singole regioni a danno della monarchia. Nel corso dell’VIII secolo
all’interno dell’aristocrazia di palazzo d’Austrasia si fecero spazio i membri della famiglia Arnolfingi
(quella che poi sarebbe stata chiamata dei Pipinidi e poi Carolingi). Dopo un tentativo fallito di
prendere il trono, gli Arnolfingi avevano avuto il loro momento quando Pipino II di Heristal, aveva
sconfitto il maestro dell’aristocrazia della Neustria e della Borgogna, comportandosi come un re che
ricomponeva sotto di sé l'unità del regno.
-Bisanzio si ritrae, il papa sceglie i franchi come protettori- Carlo Martello e Pipino il breve
Carlo Martello figlio di Pipino, mantenne il potere costruito dal padre, con una più marcata difesa
della cristianità. Sottomise alamanni e turingi, dichiarò guerra ai sassoni e fece perdere l’indipendenza
alla Baviera. La battaglia di Poitiers del 732 fu il simbolo della resistenza cristiana contro i
musulmani, contribuì al prestigio dei Pipinidi e al crollo parallelo dei merovingi (re fannulloni). Carlo
Martello diede dimostrazione di considerarsi ormai un re, quando spartì il regno tra i propri figli
Carlomanno e Pipino il Breve. I due avviarono la riorganizzazione istituzionale del regno acquisito e
ingrandito con le mani del padre e per prima cosa si occuparono del buon funzionamento dell’ordine
ecclesiastico. Tuttavia non erano ancora re di diritto, poiché sul trono continuava a sedere un re
legittimo merovingio. Nel 743 Childerico III fu deposto. Pipino spinse il fratello a ritirarsi in un
monastero e tutto il potere restò nelle sue mani, ma non ancora il titolo legittimo. Fu con l’alleanza col
Papato che Pipino si ripromise di ottenere la legittimazione per la sua elezione regale. Egli già al
momento della deposizione del re merovingio aveva chiesto al papa Zaccaria se si dovesse dare il
titolo di re a chi deteneva il potere o lasciarlo a chi aveva il titolo legale ma non il potere. Il papa
aveva risposto che il potere spettava a chi aveva l’autorità. Così la lunga marcia della sua famiglia
finiva vittoriosa. Il longobardo Astolfo si era impadronito delle terre bizantine dell’Esarcato e della
Pentapoli. Pipino riconquisto l’esarcato e ne fece dono al papa. Il papa in cambio si era messo in
viaggio verso la Francia e ungendolo con olio santo, aveva consacrato Pipino re dei franchi. L’unzione
lo poneva al di sopra del potere terreno e il papa la estendeva alla moglie e ai figli Carlo e
Carlomanno vietando ai franchi di scegliere re al di fuori di questa famiglia. L’imperatore bizantino
non ebbe la forza di opporsi all’accordo tra i Pipinidi e il papa, anzi conferì a Pipino il titolo di
patrizio dei romani. Anche perché Bisanzio non era più nemmeno in grado di controllare i territori
italiani. Questa alleanza portò i franchi in Italia e creò le condizioni per l’affermazione del dominio
temporale dei papi. Da allora il territorio della chiesa solido e ben difeso rese possibile ogni tentativo
di unificazione della penisola. Fu redatto un chierico romano il Constitutum Constantini, la
cosiddetta donazione di Costantino, la cui falsificazione fu dimostrata da Niccolò Cusano e Lorenzo
Valla, nella quale si voleva far credere che Costantino avesse donato al papa Silvestro I il palazzo
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lateranense, la città di Roma con tutte le province d’Italia e la potestà imperiale dell’occidente intero.
Nasceva così nell’VIII secolo lo “Stato della Chiesa”.
-L’espansione militare di CarloMagno
Dagli anni settanta dell’VIII secolo Carlo, figlio di Pipino, poi detto Magno il Grande (768-814),
procedette a una serie di conquiste che quasi raddoppiarono i confini del regno franco. Egli conquistò
il regno longobardo d’Italia, creò così una marca-cuscinetto con il confine della Spagna longobarda e
infine conquistò i territori dell’attuale Germania centrale e meridionale per sottomettere i Sassoni, una
confederazione di popoli germanici mai stata romanizzata. Espandendo il suo regno, Carlo dette vita a
un Impero cristiano che coprì gran parte dell’Europa. - la conquista franca delle terre dei sassoni andò
dal 772 all’804, ci furono durissime campagne accompagnate da missioni religiose. La popolazione
venne cristianizzata con forza e costretta a battezzarsi in massa. Dopo la conquista i franchi
realizzarono in quei territori una serie di reti episcopali, e ai vescovi venne affidato il controllo
politico. - il regno longobardo fu annesso nel 774, dopo che Carlo era stato chiamato in Italia dal papa
Adriano I allo scopo di contenere i longobardi che volevano riunificate sotto di se tutta la penisola,
nonostante il re dei longobardi Desiderio tentò un’alleanza dando in sposa a Carlo sua figlia
Ermengarda. - la marca di Catalogna, fu istituita in seguito a una disastrosa campagna contro i
musulmani della penisola iberica, terminata con la cosiddetta rotta di Roncisvalle, immortalata dalle
Chanson de geste: la Chanson de Roland, composta tra il 1060 e il 1100 celebra la resistenza del suo
comandante.
-Il regno d’Italia
L’azione di Carlo verso il regno longobardo aveva determinato la coesistenza di almeno quattro Italie,
che vivevano storie parallele, bloccando in modo definitivo l’aspirazione dell’unificazione della
penisola.
-Un’Italia franca, corrispondeva al regno longobardo;
-un’Italia della Chiesa, corrispondente al territorio controllato dal papa;
-un’Italia bizantina che comprendeva le aree costiere, Venezia, la Calabria e la Sicilia;
-i ducati di Spoleto e Benevento, nel Mezzogiorno, tentarono di mantenere la loro autonomia e
divennero teatro di conflitti tra filo longobardi e filofranchi.
Questo conflitto si risolse a favore di Carlomagno, ed è testimoniato dalle vicende del monastero
molisano di San Vincenzo al Volturno, oggetto di un corposo scavo archeologico. Al momento della
conquista franca il monastero fu al centro di uno scontro aspro tra monaci longobardi fedeli al proprio
duca e monaci favorevoli invece ai franchi, fino a quando l’intervento diretto di Carlo Magno non
fece prelevare questi ultimi che s’impegnarono nel potenziamento del cenobio e nella costruzione di
una grande chiesa. I primi anni della dominazione franca, non portarono alcuna radicale
trasformazione. Carlo dopo la conquista aveva abbandonato l’Italia, per impegnarsi nelle spedizioni
contro i sassoni. Dal Friuli partirono tentativi di sollevazione antifranca e filolongobarda, che furono
velocemente repressi con le armi, e convinsero Carlo ad aumentare la presenza franca in Italia, che
ridimensionò il ruolo della aristocrazie longobarde e si adoperò contro i movimenti di resistenza nel
ducato di Benevento, finiti con l’annessione del ducato. Carlo separò la corona d’Italia da quella
franca. Suo figlio Carlomanno ricevette dal papa l’unzione di re d’Italia.
-CarloMagno imperatore
La fine degli anni ottanta dell’VIII secolo fu il momento di maggiore tensione tra i franchi e i
bizantini. Nel 797, durante lo scontro religioso fra iconoclasti e iconoduli che stava allontanando la
chiesa di Roma da quella di Costantinopoli, l’imperatrice Irene fece accecare il figlio, e il papa
dichiarò lei usurpatrice e il trono vacante per la sua indegnità alla corona. In quello stesso anno il papa
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cominciò a lavorare perché fosse Carlo a rimpiazzare in occidente il potere screditato in oriente. Carlo
così colse il momento per colpire il potere bizantino, intraprendendo una serie di campagne militari.
Si mosse contro Benevento, l’Istria e la Croazia, si espanse a est contro gli slavi e infine contro gli
avari del medio Danubio. Questa politica di espansione costrinse Bisanzio a trovare un accordo in
base al quale Benevento e l’Istria diventavano terre franche. La politica filocarolingia dei papi, ebbe
successo quando nell’800 papa Leone III, aggredito e accusato di immoralità dai suoi avversari, si
rifugiò presso il re dei franchi, si fece scortare fino a Roma, si discolpò davanti a un’assemblea con
Carlo in posizione di giudice e da lui fu assolto. Pochi giorni dopo, nel giorno di Natale in San Pietro,
Leone III incoronò Carlo imperatore dei romani. L’incoronazione di Carlomagno è stata molto
amplificata dalla leggenda, si trattava infatti soprattutto di un atto di propaganda che poco cambiava
sul piano politico. Ma è vero che dopo 324 anni dalla deposizione di Romolo Augustolo, tornava a
esistere l’Impero romano d’Occidente, o per lo meno un regno sovranazionale che ad esso faceva
riferimento. Il nuovo impero nasceva come cristiano, perché come sostenevano i teorici imperiali al
regno di Dio nei cieli corrispondeva quello di Carlo sulla terra. L’imperatore costruì il suo palazzo con
una cappella che ricalcava il modello del Santo Sepolcro. Il nuovo impero era quindi sacro per il
particolare legame con il cristianesimo, e romano negli intenti politici. L’impero di Carlo si proponeva
come restaurazione dell’impero romano. Non a casa Eginardo per scrivere la biografia di Carlomagno,
si ispirò alle Vite dei dodici Cesari di Svetonio, in particolare a quella di Augusto. L’idea di
restaurazione in occidente provocava l’ostilità dei bizantini, poco disposti ad accettare che esistesse un
altro impero cristiano e romano con pretese di universalità. Nell’812 l’imperatore d’oriente Michele I
riconobbe a Carlo il titolo di imperatore, anche se non quello di imperatore dei romani che gli era
stato attribuito dal papa. Si creò una sorta voluta di gioco di equivoci, secondo i bizantini Carlo fu
capo dell’occidente tacitamente subordinato all’imperatore d’oriente che rimaneva unico titolare
legittimo dell’eredità di Roma, per Carlo e i suoi successori l’incoronazione dell’800 fu una
resurrezione dei due imperi.
-L’organizzazione amministrativa dell’impero carolingio
L’impero che si era formato sotto il governo dei Pipinidi era cresciuto poi con le campagne militari di
Carlo. I franchi erano ancora un popolo guerriero e lo avevano dimostrato con la loro capacità di
espansione militare, che aveva prodotto un’organizzazione politica concentrata nella mani di un re,
una società gerarchica con al vertice i membri della nobiltà, ricchi di proprietà fondiarie. Carlomagno
organizzò l’impero con un forte dirigismo centrale e utilizzando le aristocrazie delle regioni
sottomesse. Le regioni furono rette da una serie di deleghe ai conti, funzionari di fiducia del re che
amministravano territori non troppo ampi detti comitati o contee, che facevano spesso capo a una
città. I conti erano in genere remunerati con le entrate delle pene pecuniarie inflitte nell’amministrare
la giustizia e con parte dei pedaggi. Carlo cercò di non riunire eccessivi poteri su di loro, e per questo
si limitò ad assegnare una sola contea per ciascuno (facendo eccezione per quelle di confine). Di fatto
però nelle mani dell’aristocrazia amministrativa si andò concentrando un potere vastissimo. I conti
erano agenti del re, che eseguivano gli ordini ricevuti, convocavano l’esercito, presiedevano i tribunali
per le cause penali e potevano essere chiamati ad incarichi speciali. I loro compiti erano complessi al
punto che fu necessario organizzare una rete di ausiliari. I missi dominici erano ufficiali itineranti che
si spostavano da una contea all’altra soprattutto per far applicare le leggi, per sorvegliare il patrimonio
regio e per contrastare i tentativi autonomistici delle aristocrazie locali. A poco a poco gli aristocratici
iniziarono a considerare di proprietà le terre che erano stati chiamati ad amministrare, fino a lasciarle
ai propri eredi.
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-Fedeltà vassallatiche e funzionari pubblici
Carlo Magno aveva bisogno di garantirsi la fedeltà dei funzionari regi e per far questo ricorse a dei
rapporto che chiamiamo vassallatico-beneficiari: si tratta di quell'insieme dei rapporti che più
comunemente viene chiamato sistema feudale o feudalesimo. Il consolidarsi di tali rapporti
perfezionava l’esperienza di governo dei suoi predecessori. Chi deteneva l’autorità a vari livelli
(sovrani, conti, marchesi ecc…) poteva fare riferimento in caso di necessità a una rete di queste
fedeltà personali. Il sistema vassallatico aveva però i suoi antenati, aveva tratto origine da due
tradizioni simili:
- quella germanica
- quella romana dei clienti dell’amministratore delle province
L’uso del capo barbaro di circondarsi di fedeli aveva avuto un chiaro sviluppo nell’età merovingia,
quando intorno alal figure del re si era formato un gruppo di guerrieri che gli prestava servizio
militare e che per questo i collocava su un piano più alto della scala sociale: chi per esempio uccideva
o feriva uno di loro pagava un indennizzo, il guidrigildo. Sia nel mondo romnao ch in quello
germianico chiunque fosse circondato da una cerchia di fedeli doveva in qualche modo ricompensarli.
Gli storici scrivono che l’europa del medioevo era feudalizzabile, ciò lo aveva favorito anche
un’economia poco monetarizzata, per cui il re non disponeva di denaro liquido ma di terre. Il sistema
delle fedeltà vassallatiche fu una forma di organizzazione del potere e della società che i costruì e che
si basò sul rapporto fra due persone di stato giuridico libero, uno delle quali concedeva protezione e
beni in cambio di fedeltà di servizi. Carlo magno impegnato dunque ad organizzare l'impero su un
territorio vastissimo (Germania, Italia e la Francia), utilizzando le aristocrazie delle regioni sottomesse
applico il vassallaggio ai propri rapporti con i funzionari pubblici ecc.. l’aiuto non divenne solo aiuto
militare ma una vera e propria carica pubblica. A loro volta costoro si dotavano di proprie clientele
armate che ne accrescevano potere e prestigio. Il termine vassallo deriva da gwas che significa uomo
→ il vassallaggio sul quale si basava il rapporto era appunto di fedeltà di un uomo verso un altro
uomo. Anche la terminologia in lingua latina lo conferma, diventa un uomo di un altro uomo. Suoi
compiti erano di prestare servizio al superiore; di assisterlo nell’amministrazione della giustizia, di
pagare le taglie per il riscatto se fosse stato prigioniero di guerra o per aiutarlo a sostenere ingenti
spese per l'acquisizione di nuove terre. La cerimonia solenne dell’investitura, che si svolgeva quando
veniva stretto il contratto, comportava un codice simbolico: il vassallo metteva le mani giunte fra
quelle del signore, a ribadire la protezione richiesta e concessa, e il giuramento veniva sottolineato
dallo scambio reciproco del bacio. In cambio di fedeltà il sovrano o il signore si impegnava a
mantenere il vassallo concedendogli una fonte di reddito, i provenienti dell’esercito della
giurisdizione pubblica o, sempre più spesso, una terra da sfruttare a vita il beneficio. Feohu era in
tedesco, un oggetto prezioso, anzi questo termine aveva identificato a lungo il bene prezioso per
eccellenza per popolazioni non stanziali, e non dedite all’agricoltura, il bestiame; la parola in seguito
prese il significato di dono obbligante. il termine beneficio ebbe lo stesso significato, indicando i beni
che il superiore concedeva al vassallo. In origine qualsiasi tipo di bene poteva essere un feudo o un
beneficio: armi, cavalli, vestiti ecc… con la concessione di terre la cerimonia dell’investitura si
arricchì di una nuova simbologia, quando il signore metteva nelle mani del vassallo una zolla di terra
a significare il beneficio fondiario che veniva concesso. Questo non significava che il feudo fosse
sempre in ogni caso costituito da concessioni di terre: nella Lotaringia della fine del X secolo e in altre
regioni della Germania, della Francia e della Fiandre del X secolo e in altre regioni della Germania era
possibile incontrare il feudo e bursa, un beneficio costituito dal diritto di ricevere una rendita in
denaro. In talune regioni si potevano incontrare tipi di feudo che prevedevano soltanto il servizio di
albergaria, cioè l’obbligo di alloggiare il signore e il suo seguito in transito per le terre del vassallo.
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-Un nuovo sistema monetario
Carlo intervenne anche nel settore monetario, stabilendo che battere moneta era prerogativa del re e
non dei monetieri privati. Riformò il sistema basandosi solo su monete d’argento.La riforma
prevedeva che la lira o libbra si tagliasse in 20 soldi, ciascuno dei quali a sua volta si tagliava in 12
denari. Per fare un libbra ci volevano quindi 240 denari. Il denaro d’argento si diffuse nelle aree
conquistate da Carlo e in qualche caso anche all’esterno e l’uso di coniare in oro non fu più praticato
in Europa fino alla metà del XIII secolo.
-Approfondimento: Maometto e CarloMagno (pag 88)
-Dopo Carlo Magno
Alla morte di Carlomagno gli succedette il figlio Ludovico il Pio. Ludovico capì l’importanza
dell’unità dell’impero, ed essendo solo ebbe l’opportunità di metterla in pratica. Uno dei suoi primi
atti fu la Ordinatio imperii nella quale affermava che in quanto voluto da Dio e consacrato dal papa,
l’impero era res sacra e non era scomponibile se non a rischio di commettere sacrilegio. Si iniziava a
concepire lo stato come qualcosa che potesse durare anche dopo la morte del re, e si svincolava
dall’idea barbarica che il regno fosse di proprietà del capo vittorioso. Ludovico cercò di attuare una
riforma legislativa per unificare i vari diritti dei popoli sottomessi. Non riuscì, anche se il suo tentativo
si era dimostrato un’idea più avanzata di unità statale. Per combattere la divisione, attuò anche un
cambio all’interno dell’aristocrazia che si era formata sotto il padre, finendo per alienarsene le
simpatie. Sancì la centralità dello stato rispetto al pontefice con la Constitutio dell’824, nella quale
dichiarava che non poteva essere incoronato papa chi non aveva prima giurato fedeltà all’imperatore.
Quest’atto indusse la chiesa a guardare con preoccupazione l’impero nato pochi anni prima. Adesso i
due poteri, l’impero romano e la chiesa dovevano decidere come dividersi il potere in occidente. Il
successore di Carlo Magno suscitò maggiori ostilità rispetto al padre, anche se ebbe un senso dello
stato molto più sviluppato. Ludovico voleva che l’impero fosse uno solo, ma sapeva bene che i suoi
primi nemici sarebbero stati i suoi stessi eredi. Pensò dunque ad organizzare la successione ereditaria
in modo coerente con il suo progetto politico-istituzionale. Divisi quindi il regno tra i due figli Pipino
(Aquitania) e Ludovico (Baviera) e il nipote Bernardo (l’Italia), tutti e tre sarebbero stati sottoposti al
potere del maggiore di loro, Lotario che avrebbe ereditato anche la dignità imperiale (Austria),
assumendo la funzione di re dei re. Distinse i loro compiti con una serie di cose che i tre non potevano
fare: non potevano seguire politiche estere autonome, non potevano stringere paci, ne dichiarare
guerre e non avrebbero potuto né ricevere né inviare ambascerie.
-Si avvia la frammentazione
Il quadro di Ludovico andò in crisi con la nascita di un quarto figlio dalle sue seconde nozze, Carlo
anche lui inserito nel testamento, ricevendo dei territori prima appartenuti a Lotario, che si ribellò.
Ludovico diseredò Lotario e si avviò quindi una lunga fase di guerra tra il padre e i figli. Alla morte di
Ludovico il Pio la guerra continuò tra i figli Ludovico e Carlo che sconfissero il fratello Lotario a
Fontenoy (841), facendo un anno dopo un’alleanza a Strasburgo. Il giuramento di Strasburgo del
14 febbraio 842 è considerato l’atto di nascita del volgare francese e di quello tedesco e prevedeva
la spartizione dell’impero; Ludovico il Gremanico giurò in lingua franca, Carlo il calvo in lingua
germanica, le truppe a loro volta giurarono nella propria lingua di non dare aiuto al re se questi non
avesse rispettato il patto. Così l’impero carolingio finiva:
- a Carlo, detto il calvo→ parte occidentale, la Neustria, Fiandre ed Aquitania
- a Ludovio, detto il Germanico→ le regioni germaniche, l’Austrasia orientale, l’Alemannia,
la sassonia, una parte dell’Attuale Austria, la marca boema
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- a Lotario, insieme al titolo di imperatore andò la fascia centrale dei territori dell’impero
bizantino: dalla foce del reno alle montagne svizzere, la Borgogna, la provenza, la
Linguadoca, la Longobardia fino al ducato di benevento, che era escluso.
La spartizione attribuiva ad ognuno dei
fratelli una quantità di terre più o meno
uguale→ ad esempio alle regioni di
Ludovico il Germanico vennero aggiunte
alcune terre per una questione che riguardava
la coltivazione della vite; si cercò sempre di
rispettare anche un criterio per quanto
riguarda le caratteristiche linguistiche delle
popolazioni, anche se si ebbero un po’ più di
complicazioni per il territorio di Lotario. . La
spartizione ebbe due conseguenza, la prima
fu che l’impero di Carlomagno non esisteva
più e la seconda che ciascuna delle tre parti
dell’ex impero carolingio intraprese un
percorso autonomo, e ognuna da allora ebbe
la propria storia. Alla morte di Lotario si
assiste a una nuova spartizione tra i figli, al
primogenito Ludovico II andarono il titolo
imperiale e la conferma del regnum Italiae e
gli altri figli Lotario e Carlo ricevettero l’uno
i territori più settentrionale dei domini paterni e l’altro la Provenza. Ma proprio l’imperatore Ludovico
II si dimostrò il più debole tra i sovrani e il papa si rivolse altrove per trovare alleanze politiche che lo
aiutassero a difendersi dalle incursioni saracene che nell’846 erano arrivate a Roma. Il processo di
disgregazione andò avanti nonostante il piccolo tentativo dell’ultimo imperatore della dinastia di
Carlomagno, Carlo il Grosso nel 884, di riunificate Francia, Italia e Germania. Alla fine del IX secolo
in molti paesi si affermarono dei vasti principati territoriali, non si determinarono mai formazioni
tanto estese in Italia, sottoposta a nuovi smembramenti sulla base delle successioni ereditarie e delle
pressioni di alcune fra le più potenti casate aristocratiche, che mano a mano costruivano veri e propri
principati regionali di più ridotte dimensioni. Nelle città la popolazione cominciava a pensare di
organizzarsi autonomamente intorno ai propri vescovi, a molti dei quali gli imperatori andavano
concedendo importanti prerogative come costruire fortificazioni, istituire mercati e riscuotere dazi. La
debolezza dell’impero quindi dava il via agli sconti tra alcune delle più grandi casate aristocratiche, i
signori di Spoleto, del Friuli, di Toscana e di Ivrea. Per tutto il X secolo si affermarono anche donne
aristocratiche molto potenti come, a Roma Marozia, a Lucca la duchessa di Toscana Berta, a Ivrea
Ermengarda. Tra il IX e il X secolo scoppiò un violento conflitto per il possesso della parte
corrispondente all’antico regno longobardo, fra Berengario marchese del Friuli e nipote di Ludovico il
Pio e Guido marchese di Spoleto. A conclusione con l’appoggio del papa, Berengario poté cingere la
corona di re d’Italia e di imperatore. Ma Berengario fu assassinato nel 924 e il regno d’Italia divenne
ingovernabile a un livello centrale, uscendo dall’anarchia solo con le dinastie tedesche. Le
vicissitudini della Francia e dell’Italia del X e XI secolo sono senz’altro dovute alla debolezza del
potere centrale, dovuto anche al vassallaggio. Non si trattò di vera e propria anarchia, ma di una
dislocazione del potere che in Francia passò nelle mani della grande aristocrazia, in Italia nelle mani
delle grandi casate aristocratiche.
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-Il sistema vassallatico si trasforma: l’ereditarietà dei feudi (877-1037)
Con la crisi dell’impero carolingio, già dalla seconda metà del IX secolo i grandi feudatari avevano
iniziato ad acquisire in modo permanente i feudi che erano stati loro assegnati. La stessa tendenza a
rendersi autonomi dal proprio signore, si era fatta sentire anche tra i vassalli dei livelli più bassi. Carlo
il Calvo emise un secondo capitolare nell’877 a Quierz-sur-Oise con il quale riconobbe il diritto a
lasciare i feudi ai propri discendenti. Per rafforzare la propria autonomia, molti vassalli
cominciarono a giurare fedeltà a più signori contemporaneamente, in modo da eludere gli obblighi di
fedeltà verso ciascun di loro con un gioco di precedenze incrociate. A loro volta i signori
introdussero l’omaggio ligio: il vassallo poteva prestare servizio a più signori ma doveva dichiarare a
chi di quelli a cui prestava giuramento dava la precedenza. Fu inutile, i vassalli approfittarono anche
di questa situazione. Il peso dei feudatari maggiori si accrebbe, i conti smisero di organizzare
l’esercito in nome del re per esigere più spesso prestazioni militari a titolo personale. Con la
dissoluzione dell’impero carolingio, alcuni conti, facendo leva sui possessi fondiari, sulle fedeltà
vassallatiche e sui vincoli di parentela, riuscirono a imporre il proprio controllo su vari distretti e
costituire dei veri e propri principati territoriali che riconoscevano al re solo un omaggio. alcuni
ebbero più potere dello stesso re (Borgogna, Aquitania ecc…).
-I feudalesimi (approfondimento pag 96)
2.3 Le ultime invasioni e l’impero degli Ottoni (IX-X secolo)
-L’attacco da nord, da est, da sud
Tra il IX e il X secolo sull’Europa si versarono altre ondate migratorie, da nord i vichinghi, da est gli
ungari e da sud i saraceni. Erano attirati da tutti i luoghi dove si erano accumulate ricchezze, li
spingeva più quindi la speranza del bottino che quella della dominazione politica. Infatti non c’erano
altre spiegazioni, non erano stati spinti dal sovrappopolamento, nel dal clima ne dall’idea
dell’espansione politica. L’avvio dell’attacco all’Europa pur condotto vari punti e con mezzi e
tecniche diversi, fu quasi simultaneo. Era l’agosto dell’864 quando a Ostia sbarcò un corpo di
spedizione composto da saraceni, bande di pirati proveniente dalla Siria, dall’Egitto e dall’Africa. Nel
giro di pochi giorni giunsero alle porta di Roma, penetrarono al suo interno e saccheggiarono San
Pietro, provocando l’allarme in tutto l’occidente. Nell’875 gli ungari passavano i Carpazi e si
stanziavano in Pannonia cacciandone i contadini sedentari e i missionari cristiani. I vichinghi
attaccarono da nord, dalla Scandinavia (erano già comparsi durante il regno di Carlomagno). Dagli
anni 30 e 40 del IX secolo le loro spedizioni furono sempre meno scorrerie si bande armate e
assunsero sempre più la caratteristica di vere conquiste militari. La loro forza stava soprattutto nelle
imbarcazioni, drakkar per l’effigie del drago che decorava la prua, erano leggere e veloci e adatte
alla navigazione dei mari e dei fiumi. Depredarono l’Irlanda, l’Inghilterra e le coste della Francia, il
Portogallo, le coste provenzali e quelle italiane. A poco a poco cominciarono a insediarsi nei territori
che avevano saccheggiato. Dall’860 cominciarono a colonizzare l’Islanda, spostandosi in seguito in
Groenlandia da dove raggiunsero le coste americane. Nel 896 si stabilirono lungo il corso interiore
della Senna, dando origine al primo nucleo della Normandia. Gli ungari attaccarono da est,
provenivano dall’Asia. Si stanziarono nelle pianure della Pannonia nell’895 e dall’898 avviarono una
serie di spedizioni contro le campagne e i monasteri tedeschi. Attaccarono la Baviera, la Sassonia,
l’Italia padana, la Borgogna e la Provenza. Nel 955 furono sconfitti dall’imperatore Ottone I e da
quella data ebbe inizio il processo che li trasformò da popolo migrante a popolo sedentario. Le
incursioni cessarono e si stanziarono sul corso del Danubio, formando l’embrione del regno
ungherese. Nel 996 l’Ungheria divenne un regno cristiano con la conversione al cattolicesimo di re
Stefano che si legò con la chiesa di Roma tagliando i ponti con quella di Bisanzio. . I saraceni
attaccarono da sud. Colpirono le coste tirreniche soprattutto italiane e provenzali, e le isole. Dal 710 la
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Sardegna fu assalita cinque volte in 100 anni. L’effetto più importante delle loro scorrerie fu la
conquista della Sicilia e l’insediamento in Puglia. S’impiantavano nei territori che avevano
saccheggiato e con spedizioni fulminanti saccheggiavano nuovi villaggi. Nell’846 saccheggiarono San
Pietro, nell’881 attaccarono l’abbazia di San Vincenzo e nel 883 quella di Montecassino. Un altro
contingente si stabilì in Provenza nei pressi di Saint Tropez, le incursioni si spinsero per 80 anni in
Provenza, in Piemonte, in Liguria e in Svizzera, fino a quando nel 973 furono cacciati dalle forze
congiunte del marchese di Torino e del conte di Provenza. Il pericolo portò alla fortificazione di molti
villaggi, chiese e monasteri, che misero in sesto le loro difese, mentre sorsero ovunque nuovi castelli
per la protezione delle popolazioni. In Francia, nelle contee, che diventarono i veri centri di resistenza
contro gli invasori, i conti ricevettero in delega il potere militare Alcuni signori fondiari organizzarono
la difesa, controllavano e difendevano la giustizia. Il sistema politico mutò, ebbe meno bisogno delle
partecipazione del re, una figura debole rispetto a certe famiglie di signori ben più forti di lui.
Scomparve il giuramento di fedeltà militare. In Germania il ruolo centrale della monarchia non fu più
messo in discussione, anche quando nel 911 morì senza eredi l’ultimo re tedesco della stirpe
carolingia, Ludovico il Fanciullo. L’aristocrazia chiamò al trono Corrado di Franconia, che continuò a
tenersi su un piano più alto rispetto all’aristocrazia. Enrico I di Franconia, suo successore, ebbe modo
di riaffermare la forza del re a conclusione di una lotta contro i duchi.
-L’impero rinasce come Germanico: gli Ottoni
La Germania in questa situazione ne usciva come il regno più solido, ed era anche l’unico a mantenere
viva la memoria di Carlomagno, attraverso la tradizione di consacrare i re nella cappella palatina di
Acquisgrana, inaugurata nel 936 per incoronare Ottone I, detto il Grande, come re di Germania. La
dinastia sassone che da lui prese vita è detta ottoniana. La sua opera fu di stile carolingio e il suo
programma di espansione in Borgogna e in Italia si ripropose come una continuità di quello di Carlo,
al quale egli guardava come modello. Ottone il Grande, alla morte del re di Borgongna, intervenne
nella successione per difendere il legittimo erede, ma in realtà voleva assicurarsi il controllo su quelle
regioni. In Italia il progetto ottoniano corrispondeva perfettamente con quello del papa, diffidente
della piega che andava prendere lo scontro fra le casate. Ottone all’inizio andò incontro alla sua
volontà cercando di fare da arbitro da Ugo di Provenza e Berengario marchese d’Ivrea. Quando il
primo morì il secondo fu eletto re d’Italia, ma Ottone scese in Italia e si fece nominare al suo posto.
L’anno successivo Berengario dovette fare un atto di omaggio verso di lui in modo da ribadire la
sottomissione, solo allora recuperò l’investitura del regno d’Italia. In questo modo l’Italia diventava
un feudo del re di Germania e Berengario era capo del regno come suo vassallo. L’opera di Ottone in
Italia si interruppe quando nel 953 scoppiò una rivolta in Germania che lo costrinse a tenersi lontano
dagli affari italiani per alcuni anni. Fu ancora una volta il papa, Giovanni XII a chiamarlo perché
Berengario aveva recuperato troppo potere. Ottone tornò in Italia ed eliminò completamente dalla
scena Berengario e l’anno dopo fu unto e incoronato dal papa “imperatore del Sacro Romano
Impero delle nazioni tedesche”. Il regno d’Italia fu allora unito a quello di Germania. Il papa in
cambio della consacrazione ottenne di mantenere la signoria della città di Roma, s’impegnò a un forte
legame di fedeltà con l’imperatore, da allora ogni papa appena eletto doveva giurare fedeltà
all’imperatore. Non appena ripartito Ottone nel tentativo di allentare questo legame troppo stretto, il
papa si alleò con quelli che erano stati i suoi nemici, prima di tutti con Berengario. Di fronte a questo
tradimento Ottone tornò in Italia, e impose al clero e all’aristocrazia romana di accettare che da ora in
poi nessun papa non solo non poteva essere consacrato, me nemmeno eletto senza prima aver giurato
fedeltà. Cosi papa Giovanni XII fu deposto e venne eletto Leone VIII. L’imperatore cercò di estendere
il controllo a tutta l’Italia, compreso il Mezzogiorno (esclusa la Sicilia musulmana). Costrinse i duchi
di Capua e di Benevento a giurargli fedeltà e cercò anche di conquistare i territori bizantini in Puglia e
in Calabria, e raggiunse un accordo con Bisanzio che lo riconosceva imperatore. Secondo la
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Translatio imperii, il pontefice da allora avrebbe ruotato tra Roma la Germania. La Germania dette
potere ai vescovi che dipendevano dagli imperatori, così che la chiesa in questo paese fu il primo
strumento della politica imperiale. Dovette poi però limitare il loro potere contrapponendogli alcune
famiglie dell’aristocrazia discendenti dai longobardi. Nonostante gli sforzi l’impero ottoniano fu
debole. Ottone II non riprese il tentativo del padre di assoggettare all’impero le terre bizantine e
musulmane dell’Italia. Ottone III era bambino, perciò resse l’impero la madre bizantina. In Germania
scoppiò una rivolta, Ottone III fu dichiarato maggiorenne ma non riuscì a riprendere la situazione.
Lasciò a se stessa la Germania, visse solo a Roma con il sogno di restaurare l’impero e di controllare
il Papato. L’aristocrazia romana fece fallire i suoi progetti. Una rivolta costrinse alla fuga papa
Silvestro II e l’imperatore. Alla loro morte Enrico II re di Germania dovette impegnarsi contro le
popolazioni slave, in Italia fu eletto re il marchese d’Ivrea Arduino. Nel 1004 Enrico II scese in Italia,
sconfisse Arduino e si fece incoronare re. Ma la sera stessa scoppiò a Pavia una rivolta. Domati i
ribelli Enrico ripartì, e Arduino restò il punto di riferimento per chi non voleva Ottone re d’Italia.
Enrico tornò in Italia e nel 1014 fu incoronato imperatore, Arduino rinunciò alla lotta e si ritirò in un
monastero.
-Gli imperi medievali e la memorie di Roma antica
Tutti gli imperi che conobbe il medioevo avevano in comune il fatto di ritenersi in qualche modo una
continuazione di quello di Roma. Le due parti in cui era stato diviso l’impero romano ebbero storie
differenti. In occidente l’idea imperiale morta nel 476 ero tornata a rivivere con Carlomagno.
L’impero degli ottoni fu sacro perché si dava come funzione principale quella di difendere la chiesa e
romano perché idealmente si collegava con la grandezza di Roma. Non comprendeva tutto l’occidente
e la sua giurisdizione si esteso solo alla Borgogna all’Italia e alla Germania. L’impero germanico
dell’Europa medievale era costituito da un gruppo di regni, uniti con patti diversi a un “re dei re” che
si chiamava imperatore. La differenza tra le due figure era che l’imperatore a differenza del re aveva
anche il potere legislativo. Il titolo imperiale non era ereditario ma teoricamente veniva affidata a chi
ne sembrava più degno, e veniva consacrato dall’unzione del papa.
-La Francia dai Carolingi ai Capetingi
Delle trasformazioni si stavano avviando anche nella Francia carolingia. Alla morte di Carlo il Calvo
(887) il regno aveva cominciato di nuovo a disgregarsi in più piccole unità e la Bassa Borgogna e
l’Alta Borgogna si erano staccate diventando regni autonomi. Nell’888 il suo successore Carlo il
Grosso era stato deposto ed era stato sostituito dal conte di Parigi Oddone I. Da allora e per un secolo
i conti di Parigi furono i veri re della Francia, anche se la dignità regale rimase dei carolingi. Nel 987
la corona passò a Ugo Capeto e con lui cominciò la casata dei capetingi. L’affermazione completa di
questa famiglia si avrà con Luigi VI, che ridurrà il potere ai conti, si assicurerà l’alleanza del
pontefice e creerà le basi per l’amministrazione centrale.
-L’inghilterra
La resistenza in Inghilterra contro le invasioni danesi ebbe un protagonista, Alfredo il Grande, che
costruì insediamenti fortificati per sconfiggere le mire degli invasori. Alfredo promosse raccolte
legislative e la sua opera di riorganizzazione della cultura si baso sulla traduzione di autori latini e
sull’istituzione della scuola pubblica. Il problema principale dei suoi successori, fu sempre quello di
contenere i danesi. Finchè nel 1016 il re danese Canuto il Grande conquistò l’isola, si convertì al
cristianesimo e fece dell’Inghilterra il fulcro del suo potere nel mare del Nord. La convivenza fra
conquistatori e conquistati fu possibile grazie alle istituzione di Canuto che assegnò terre a inglesi e
danesi senza espropriare i vecchi proprietari. L’organizzazione pubblica fu affidata a esponenti di
entrambi i popoli
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-A ovest: la Spagna musulmana
Intorno alla Spagna musulmana si muovevano i focolai della resistenza cristiana, intenzionati a
riconquistare le terre che i loro antenati aveva perduto. Il regno delle Asturie e Leòn fu per due secoli
il punto centrale dell’azione di reconquista. A metà del X secolo il suo posto fu preso dalla contea di
Castiglia, che dotò il proprio territorio di una struttura difensiva antimusulmana. La Catalogna si rese
indipendente mantenendo lingua e cultura diversa dal resto della penisola.
-A est: Ungheria, Boemia, Polonia
In questi anni l’Europa orientale fu molto in movimento. L’Ungheria divenne un regno cristiano con
re Stefano. La Boemia fu cristianizzata e si organizzò come un ducato, assoggettata formalmente
all’imperatore tedesco, mantenne un certo margine di autonomia. La Polonia nel X secolo divenne
autonoma e si cristianizzò. Il suo principe Miecislao mantenne rapporti di fedeltà personale con
Ottone III, ma pose il paese sotto la protezione del papa.
- A est: Rus
Nel IX secolo si erano formati dei principati intorno al lago Lagoda, in parte per iniziativa dei
vichinghi e in parte per le popolazioni autoctone. Kiev era la capitale del nuovo principato di Rus.
All’inizio dell’XI secolo la città ormai era il crocevia dei traffici economici, dei rapporti culturali e di
quelli religiosi della Russia. Gli slavi erano popoli pagani, e la conversione fu preceduta da quella del
principe russo Vladimir a seguito di negoziati militari e commerciali con Bisanzio. A Kiev fu costruita
la prima cattedrale russa e anche la principale personalità religiosa russa, il metropolita, di nomina
bizantina. Dall’incontro tra il diritto slavo e la cultura e le leggi bizantine nacque, nella prima metà del
XI secolo, la prima redazione delle leggi russe. Alla morte del re Jaroslav nel 1054 la Russia si
sgretolò in una serie di principati e signorie locali.
CAP. 3 L’OCCIDENTE TRA CONTINUITA’ E SPERIMENTAZIONI
3.1 Il ritorno della scrittura e i suoi effetti
-Si moltiplicano i documenti
Abbiamo visto come le fonti dalle quali ricostruiamo la storia si siano rarefatte, quello che colpisce è
che della stagione carolingia, che si sviluppa nell’arco di un secolo, abbiamo una ricchezza di
informazioni che la riguardano e che ne illuminano i tratti. Quasi all’improvviso si moltiplicano i
documenti, si rinnova l’uso di legittimare con lo scritto gli atti di trasmissione delle proprietà terriere
e le transazioni economiche. Aumentavano i prodotti della cancelleria regia, costituiti soprattutto da
un buon numero di testi di capitolari. Carlo raggruppò intorno alla corte un ambiente intellettuale
internazionale, dove si potevano incontrare uomini di cultura come l’Anglosassone Alcuino, maestro
della scuola episcopale di York, chiamato alla corte nel 793. Se c’era bisogno di formare
amministratori di valore, bravi vescovi, degni e istruiti, occorreva studiare su dei manuali, testi chiari.
L’istruzione ebbe sede nei monasteri, nelle biblioteche e negli scriptoris, dove si colpivano i
manoscritti, trovavano nelle nuove scuole un forte motivo di sviluppo.
-La rinascita carolingia
Lo sforzo per dare nuovo vigore all’amministrazione nei paesi franchi, creò scuole e pratiche di
amministrazione basate sull’uso regolare della scrittura, abbiamo una rinascita carolingia,
fenomeno che riguardò soprattutto gli ecclesiastici. La corte carolingia era stata anche promotrice di
scritti di storia, intimamente legati all’attualità politica. In particolare Carlo Magno promosse una
registrazione annalistica delle vicende del regno franco, mentre poco numerose furono le fonti
narrative relative alla storia d’Italia. Il nuovo bisogno di libri condusse anche alla diffusione di una
nuova scrittura, che dal nome dell’imperatore fu detta minuscola carolina, inventata per facilitare il
lavoro di copia degli amanuensi e la lettura dei testi essenziali. Si trattava di una scrittura
caratterizzata da lettere piccole, leggibili, e ben separate l’una dall’altra. Si diffuse con qualche
difficoltà soprattutto all’interno delle scuole episcopali e monastiche. La ritroviamo ad esempio a
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Pavia, a Verona; fu sostituita più tardi dalla scrittura gotica, con le sue tipiche lettere angolose, la
minuscola carolina sarà poi utilizzata dagli umanisti.
-Capitolari e polittici
Le dettagliate descrizioni redatte durante il periodo carolingio forniscono indicazioni molto puntuali
sulla vita delle campagne che gli agenti del re erano tenuti ad amministrare. La grande legge entrata
negli ultimi anni fu il capitulare de villis: conteneva precise disposizioni su come doveva essere
amministrata una terra pubblica. Il re, per premunirsi contro gli abusi di potere, pretese esplicitamente
che fossero stilati elenchi dei suoi principali possedimenti. Il sistema di mettere per iscritto inventari
dei beni ebbe rapidamente successo. Anche i signori per amministrare bene le loro terre avevano
necessità di sapere il numero dei loro possedimenti. Gli agenti allora dei signori si mossero in questo
modo mettendo poi per iscritto tutto e conservando tutto in un archivio. Dall'IX secolo possediamo dei
polittici, inventari descrittivi del patrimonio di uomini, terre, rendite, scorte delle grandi dinastie
ecclesiastiche ecc…
3.2 Campagne e città
-Le campagne: un mondo di servi, liberi e semiliberi
Fino al momento del loro insediamento in Europa quelle barbare non erano state popolazioni radicate
alla terra: i colonizzatori erano spesso cacciatori e raccoglitori, e quando praticavano l’agricoltura si
spartivano la terra mano a mano che avanzavano, impiantando coltivazioni di breve periodo. Soltanto
quando questi popoli si impiantarono in Europa mescolandosi con gli autoctoni nacque l’assetto delle
campagne e si disegnò una figura nuova di un contadino stanziale. L’alto Medioevo è l’età di una
nuova organizzazione degli abitanti rurali e del lavoro della terra. Molti insediamenti romani erano
stati abbandonato tra il V e il VI secolo in seguito al drastico calo della popolazione, e poi sostituiti da
case contadine, inoltre a lavorare la terra non erano più solo schiavi o contadini itineranti. Nel
Medioevo la distinzione tra liberi e schiavi, così semplice nel mondo romano, si complicò, fino a
creare molti gradini di semiservitù o semilibertà. Il servus romano era privo di diritti civili, politici e
della propria libertà, era possesso di un padrone che aveva su di lui diritto di vita e di morte. Greci e
romani reclutavano gli schiavi tra i prigionieri di guerra. La fine delle guerre di conquista aveva fatto
diminuire il numero degli schiavi disponibili a coltivare la terra, quindi i proprietari dovevano trovare
altri modi altrettanto produttivi. La fine del mondo romano quindi comportò la diminuzione degli
schiavi ma non della schiavitù. Poi si reclutava ancora manodopera agricola facendo prigionieri
soprattutto gli slavi. Lo stato giuridico del servo medievale ero lo stesso delle schiavo romano, però a
differenza di questo, a quello medievale era consentita una vita familiare e su di lui il proprietario non
aveva più diritto di vita o di morte, sia per i principi di uguaglianza predicati del cristianesimo sia
perché il capitale umano era prezioso da quando non c’erano più guerre di conquista (servus
praebendarus). Per gli schiavi veri e propri, quelli cioè simili agli antichi fu creato la nuova parola
sclavum. Nelle documentazioni scritte si incontrano poi i servi casati o manenti, servi giuridicamente
liberi, che non erano sottoposti alla proprietà del padrone né alla legislazione schiavistica. Pur non
essendo vincolati dal proprietario, lo erano da padre in figlio alla terra che lavoravano, facevano parte
dei beni mobile del padrone, ma per loro era un vantaggio in quanto potevano assicurare ai figli un
lavoro e una casa, per indicare questo tipo di lavoratori si utilizza il termine servi della gleba. Liberi
erano tutti coloro che nascevano in condizione giuridica non servile o chi acquistava la libertà grazie
al padrone. Erano piccoli contadini che lavoravano la loro terra o quella padronale in cambio di un
canone. I contratti avevano una durata di ventinove anni anche se poi divenivano illimitati perché
ereditari. Con lo sviluppo delle signorie territoriali tutti coloro che lavoravano la terre con le mani,
furono sottomessi al potere signorile.
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-L’agricoltura sperimenta nuovi modelli: la curtis (VIII-X secolo)
La curtis o villa è l’azienda attraverso la quale i grandi proprietari sperimentano tra VIII e IX secolo
una diversa organizzazione del lavoro agricolo. Questa forma non si sviluppò in tutta Europa ma
interessò soprattutto l’Inghilterra, la Gallia del nord, la Renania e l’Italia settentrionale.
→La curtis franca
Centro importante d’irradiazione di questo modello fu l’area franca, dalla quale esso di diffuse in
molte delle regioni che furono conquistate da Carlomagno. La curtis era un’azienda agraria le cui terre
avevano due tipi di gestione. La pars dominica, erano le terre che avevano come centro i magazzini e
l’abitazione del signore, che se ne riservava i frutti per il proprio fabbisogno. Questa riserva era
lavorata dai servi prebendari, il cui lavoro era integrato a quelli che lavoravano l’altra parte
dell’azienda, la pars massaricia. Questa era composta da piccoli poderi, detti mansi, affidati al lavoro
dei servi casati, o concessi in affitto alle famiglie di massari liberi in cambio di un canone in denaro o
in natura. Questi affiancavano i servi nelle coltivazione della parte dominica, impegnandosi ad
effettuare dei servizi detti corvées. Si trattava di un lavoro a tempo, calcolato in base alla giornata. In
questo modo il proprietario risolveva il problema della carenza della manodopera, la parte dominica
veniva coltivata un po da servi e molto dai contadini del massaricio, in genere ogni contadino doveva
tre giorni di corvées al padrone. Le corvées furono il segno della dipendenza dal padrone.Spesso le
terre migliori erano comprese nella pars dominica, e quelle più difficili venivano date in affitto, non
risultavano divise nettamente le une dalle altre. Nella corte inoltre si tendeva a produrre di tutto anche
abiti e attrezzi da lavoro, ma non si trattava di un’economia chiusa.
→Il maniero inglese
Qualcosa del genere avveniva anche se con delle differenze in Inghilterra. In questa regione le aziende
erano meno estese e facevano ancora largo uso di schiavi, in quanto le guerre contro gli scandinavi
fornivano ancora schiavi da addestrare per la terra. I servizi erano necessari e venivano forniti dagli
uomini intorno alla hall del signore in cambio di protezione a aiuto.
→La grande proprietà in spagna
La grande proprietà fondiaria si diffuse a partire dal IX secolo nella penisola iberica a nord nella
cordigliera cantabrica, a spese di quelle comunità che si erano costituite in epoca visigota
→In italia tra casale longobardo e curtis franca
In Italia l’azienda nel modello franco si sviluppò nelle terre longobarde quando furono conquistate da
Carlomagno. Ma non in tutte, soprattutto nell’area padana, in Toscana e nel ducato di Spoleto, fu
modesta nel Friuli e in Trentino, rimasero fuori le terre longobarde dell’Italia meridionale Il modello
fu meno organizzato rispetto a quello del territorio franco e s’incontrò e sovrappose con il modello di
casale longobardo. Simile, perché anche quell’azienda era organizzata in gruppi di poderi, punto di
partenza per la coltivazione, ma differenti perché non prevedevano una parte di terra dominica. Inoltre
i poderi non erano coltivati mai da contadini liberi, ma da servi o semiliberi. Più simile al modello
franco era stata l’organizzazione delle terre personali dei re longobardi, in cui i casali rappresentavano
un nucleo di dominico intorno al quale ruotavano le terre dei contadini. Questa sovrapposizione portò
ad un controllo più scrupoloso sui coloni che venivano sottoposti anche alla giustizia esercitata dal
signore della terra, nel caso che non osservassero la clausole stabilite dal contatto. Il commercio in
Italia non era mai scomparso del tutto anche quando si era fortemente ridotto e le monete avevano
continuato a circolare. In alcuni casi i contadini sostituirono i servizi che dovevano al padrone con il
pagamento di denaro e la produzione dell’azienda non fu solo destinata all’autoconsumo ma raggiunse
anche i mercati. Si affermarono importanti aziende anche intorno ai monasteri. Philip Jones nel 1966
ha calcolato che in epoca carolingia un terzo del territorio produttivo della penisola fosse in mano ad
enti ecclesiastici.
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-Fuori dalla curtes: grandi aziende e piccole proprietà
Non tutta l’agricoltura era organizzata sulla base delle aziende curtensi, una parte rimaneva infatti
frammentata in piccoli pezzi di proprietà di singoli che li gestivano in autonomia. Su questi piccoli
proprietari terrieri i grandi esercitavano, di regola, il massimo della pressione perchè voleva bo che
vendessero i loro appezzamenti, anche con minacce; in certi casi erano proprio i contadini a cedere la
terra, non potendo sopportare il peso dei tributi che su essa gravavano. In cambio si facevano
assegnare, per un tempo molto lungo, le stesse terre che avevano venduto, pagando per esse un censo
al proprietario. In questo caso quindi vendere le terre non era male per un contadino, che si liberava
dal peso di tributi. . Non tutti i coltivatori finivano servi dei grandi proprietari. Contadini liberi anche
se in notevole diminuzione vi erano nell’Italia del nord, nell’Inghilterra, nella Germania e
nell’Aquitania. Non ci fu grande proprietà anche nelle zone scandinave e sulla costa del mare del
Nord fino alla frontiera danese. Nel X secolo si cominciarono a bonificare le zone paludose lungo le
coste, l’operazione riuscì perché si attirarono i contadini incoraggiandoli con la prospettiva di libertà.
Nei paesi slavi rimase a lungo in vita la proprietà collettiva della terra, in mano all’intera comunità dei
contadini. Il monaco Harnold racconta che nell’XI secolo i signori dovettero insegnare ai contadini la
coltivazione individuale, poiché da loro era conosciuta solo quella collettiva. Nella regione di Kiev la
grande proprietà prese piede nel X secolo riducendo drasticamente la libertà dei contadini che erano
stati del tutto indipendenti. Nella Spagna occidentale e in Catalogna le libere proprietà contadine
resistettero, organizzando la difesa contro i musulmani, ma anche qui dall’XI secolo finirono per
diventare servi dei grandi signori.
-L’Europa senza città, con poche città, con città rarefatte
Nel V secolo le città persero buona parte della popolazione, sotto la spinta degli stanziamenti barbari i
grandi proprietari di stirpe romana avevano preferito spostare le loro residenze in campagna,
disinteressandosi all’amministrazione urbana. Anche i nuovi proprietari di stirpe germanica non
conoscendo una tradizione di vita cittadina si erano insediati nella campagne. Fra IV e VIII secolo
molte città si erano spopolate, alcune erano scomparse. Altre chiamate dagli storici città retratte si
erano ridotte. Ad Arles e Nimes il perimetro dell’antico anfiteatro romano fu la muraglia all’interno
della quale si riunì la popolazione. Parigi si restrinse sulla isola della Citè. La popolazione di Roma
subì un drastico ridimensionamento, superiore al resto di tutta la penisola. La vita politica si svolgeva
nei grandi castelli imperiali dove il re prendeva le decisioni ed emanava le leggi. La stessa cultura
medievale nacque all’interno delle corti, basti pensare al ciclo di re Artù, che narrava le gesta del capo
dell’opposizione Britannica romanizzata alla conquista sassone come il capo di una compagnia di
cavalieri, o le Chanson de geste che cantavano le gesta degli eroi, esaltavano la lotta contro i mori e la
difesa della cristianità, di cui il primo testo conservato è la Chanson de Roland. Le città altomediavali
non erano più le stesse di quelle romane. Per l’Italia la situazione non fu tutta uguale, perché
dipendeva da quella di partenza, per esempio in Sardegna non c’erano molto città nemmeno nel
periodo romano. Nei secoli delle grandi invasioni il sud divenne un “cimitero di città”. In Italia
centrale e settentrionale la popolazione rimase un po più fedele alla tradizione romana, risiedendo in
città. Negli anni 80 del 900 ci fu una discussione intorno a degli scavi archeologici che mettevano in
risalto alcuni la continuità della vita urbana altri segni di interruzione. Nelle città romane,
abbandonate in gran parte dai proprietari terrieri e dai ceti dirigenti, una certa continuità fu data dalla
chiesa, con la creazione di diocesi. Così il mantenimento di una funzione rispetto al territorio
circostante fu per molte di esse il motivo principale di sopravvivenza.
-Un commercio di raggio più ristretto
Le attività commerciali subirono una serie di importanti trasformazioni nella prima metà del
Medioevo. Innanzi tutto per il rarefarsi della popolazione e degli scambi via terra. Molte strade
romane di frontiera erano state mandate in rovina perché non favorissero l’irruzione dei nemici. Così
percorrere le strade era diventato lento, pericoloso e costoso. Poiché era rinata la vegetazione, i signori
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esigevano i pedaggi e nei boschi si nascondevano ladri e animali. Per questo il commercio medievale
aveva seguito più le vie d’acqua. L’Italia non rappresentava più il cuore dell’impero che si era
dissolto, Roma non era stata più caput mundi. Nel mondo franco nell’VIII secolo era arrivato a
compimento un processo che portava alla sostituzione della moneta d’ora con una d’argento. Questo
portava ad un rallentamento della vita economica e a una diminuzione degli scambi tra oriente e
occidente.
-Primi segni della ripresa
Si è soliti pensare che l’Europa cominciò a riprendersi con il nuovo millennio da una depressione
durata molti secoli. Ma gli studiosi sostengono che gia nell’VIII secolo qualcosa cominciava a
cambiare. Le grandi epidemia aveva dato tregua, per questo ci fu un processo di ripresa della
popolazione. In Italia il ruolo delle città fu più importante che altrove, anche i mercati non erano
scomparsi mai del tutto. Fra il IX e il X secolo i sovrani concessero numerosi privilegi a mercanti, ma
anche a vescovi, abati e signori laici per utilizzare a scopo commerciale le acque e i porti dei fiumi.
Nell’840 un patto commerciale tra carolingi e Venezia mise le basi della fortuna di questa città, che
importava dall’oriente prodotti di lusso, che poi smerciava nell’area padana e stabiliva i primi contatti
con l’Egitto. In Toscana Pisa cominciava a mettere le premesse per la sua fortuna economica. Al sud
oltre che in Sicilia, Bari sviluppò un ponte commerciale con Bisanzio. Muovendo in parte dalle
campagne, in parte dalle città, nell’Europa del IX, X secolo cominciarono a vedersi i primi segni di
lenta e chiara ripresa.
CAP 4- LA CRESCITA IN OCCIDENTE (XI-XII SECOLO)
4.1 L’anno Mille: la verità e la leggenda
La leggenda della grande paura (vedi pag 126)
Uomini e donne in numero crescente (vedi pag 129)
-Il periodo caldo medievale
Accettata l’ipotesi che uno dei motori importanti per lo sviluppo della popolazione sia stato il
miglioramento dell’agricoltura e dei consumi alimentari, diventa conseguente una nuova domanda:
perchè la terra avrebbe cominciato a produrre di più?
- si può pensare abbia avuto influenza la scomparsa delle grandi epidemie, dopo l’ultima
pestilenza del 742-743 e che più gente sika diventata sana e robusta e abbia coltivato i campi
- è importante anche il clima, importante nella produzione agricola e nella produzione di
energia; gli esperti di storia del clima pensano che ad un suo addolcimento si possa essere
innescato un processo in modo naturale per un ciclo alimentare favorevole, determinando una
Tiepida età, segnata da un'alternanza equilibrata tra siccità e freddo.
4.2 La svolta: le campagne
-Terra nuova erodendo i margini del bosco
I prodotti della terra possono aumentare per tre motivi oltre che per lo spontaneo miglioramento del
clima:
- perché si coltivano più intensamente gli stessi campi,
- perché aumenta la superficie agricola
- perché si organizza meglio il lavoro.
Ma nel nuovo millennio il fattore che riuscì davvero a cambiare le cose fu l’aumento della terra,
risultato del graduale dissodamento di terre incolte e boschi, promosso dai monasteri, dai signori,
dalle comunità contadine e più tardi dalle città. Il 1200 fu l’età dei dissodamenti collettivi e della
creazione di nuovi villaggi, ma qualche forma era esistita anche prima. La novità sta nel fatto che non
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si trattò più soltanto di episodi isolati, ma di terre strappate alle foreste, al mare, alle paludi in modo
permanente.
-I nuovi villaggi di pionieri e la colonizzazione delle foreste
Per spingersi nelle profondità delle grandi foreste, fu necessario che gruppi di contadini lasciassero le
proprie case e si spostassero lontano costruendo nuovi villaggi. Questa è la fase dell’espansione
popolare e dell’agricoltura. Dall’XI-XIII secolo questi nuovi borghi franchi, ville nuove o
villefranche, cambiarono le carte del popolo rurale. I nuovi villaggi e i campi circostanti assunsero
sempre una forma regolare. Con un sentiero si tagliava il bosco e ai due lati del suo tracciato si
costruivano le case e da lì partivano i terreni arati, così la vegetazione arretrava ai due lati del nuovo
villaggio e da quella breccia nel bosco gli abitanti vigliavano contro il rimboschimento naturale, che
era sempre in agguato; in altri casi la striscia di aratura si disponeva intorno al centro del villaggio,
come raggi; o ancora parallele a un corso del fiume. Nei nuovi villaggi si trasferirono a poco a poco
un numero crescente di persone giovani, espulse dal loro paese per l’aumento del numero dei
componenti della famiglia d’origine. La creazione di nuovi villaggi non fu un processo spontaneo, i
contadini furono sollecitati da chi esercitava il potere sul territorio, disponendo incentivi e facilitazioni
per convincerli a mettere a coltura terre molto impegnative (abbiamo come fonti gli atti). Fu
necessario concedere anche alcuni privilegi come un’esenzione temporanea dei tributi, la protezione e
la libertà personale. I re e i signori furono incoraggiati da considerazioni politiche, amministrative e
militari: la sicurezza delle strade (costruzione di un nuovo villaggio incentivato dal re di Francia tra il
1125-1150 in una località-Ile de France- per rendere sicure due miglia di strada che vanno da Orleans
a Parigi), il consolidamento della frontiera; dalla fine dell'XI secolo il dissodamento delle terre fu
incoraggiato dall’insediamento di nuovi centri religiosi, i monaci ricercavano la solitudine per vivere
coltivando la campagna circostante.
-Terra nuova dall’acqua
Si costruirono inoltre nuove terre strappate al mare e alle paludi. Uno dei principali interventi fu la
creazione dei polders. Nell’XI e XII secolo i coloni di Fiandra, fecero asciugare i pantani del litorale
e costruire dighe che impedissero l’irruzione del mare nelle aree più basse. La lotta contro il mare fu
molto dura, e la vittoria fu possibile solo perché crescendo la popolazione, c’erano molto più braccia
disponibili per il lavoro e la manutenzione. Per far funzionare i polders gli abitanti dei villaggi
fiamminghi si riunirono in associazioni, wateringues, associazioni per le chiuse. Prosciugamenti ci
furono anche in Inghilterra, in Normandia e nell’area di Tolosa. I nobili tedeschi nel XII secolo
chiamarono i contadini fiamminghi divenuti esperti con queste tecniche. Il vescovo di Halberstadt
definiva nel 1180 diritti e doveri di chi fondava nuovi villaggi nelle paludi. Tra i diritti i contadini
avevano la libertà personale e di spostamento, la protezione e l’uso gratuito di pascoli e boschi. In
Italia cominciarono lavori per contenere le inondazioni dei Po, e si gettarono le basi del sistema dei
canali di navigazione e irrigazione della Pianura Padana (villafranca rappresenta un esempio
interessante).
-Come mantenere la fertilità dei campi
Dal IX-X secolo si diffusero alcuni miglioramenti nelle tecniche di agricoltura, descritti come una
sorta di “rivoluzione agricola” del medioevo. In Europa, l’espansione delle terre coltivabili si allargò
di tre volte, ma l’aumento parallelo delle produzioni si dimostrò minore di quanto ci si poteva
aspettare. Il problema principale era la fertilità dei campi, dato che dopo alcuni anni di coltivazione,
anche il terreno più fertile diminuisce la capacità di produrre se non si lascia riposare a lungo.Ma il
concime era troppo poco, e il sistema di lungo riposo dei campi richiedeva un’eccezionale
disponibilità di terreno e anche molta fatica per togliere le sterpi, le radici e i cespugli dai campi rinati.
Inizialmente veniva utilizzato un sistema biennale, il contadino divideva in due in terreno, un anno
ne seminava uno e faceva riposare l’altro e viceversa (maggese), ma in questo caso il contadino
doveva avere a disposizione il doppio della terra per non morire di fame. A questo sistema di affiancò
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la rotazione triennale. Il contadino divideva così la terra in tre campi, in autunno ne piantava uno,
piantava ad esempio cereali come la segale, in primavera il secondo e poteva seminare ad esempio
l’avena o l’orzo, il terzo intanto riposava e lo lasciava libero ai pascoli. L’anno dopo poteva seminare
nel primo l’avena, l'orzo e i legumi, lasciare riposare il secondo, mentre il terzo reso più fruttuoso era
pronto a ricevere frumento e segale. Con questo sistema il contadino riceveva vantaggi, lasciava
incolto ogni anno solo un terzo della terra e poteva nutrire meglio gli animali. Diminuivano inoltre i
rischi di un cattivo raccolto e infine poteva distribuire il suo lavoro nell’arco di un anno intero. Alcuni
miglioramenti tecnici dunque ci furono, ma la rotazione triennale che fu inventata dopo l’anno Mille,
si diffuse molto lentamente, in molte regioni continuò a coesistere con quella biennale, in altre non si
affermò affatto. Nelle Alpi si continuò con il sistema della coltura sul debbio: si bruciava l’erba in
modo che la cenere fertilizzasse la terra.
-L’aratro e gli animali da tiro
Un’altra innovazione fu la diffusione dell’aratro a ruote o pesante, nel quale vi erano parti di metallo,
invece fino ad allora era stato solo in legno Si trattava di uno strumento dotate di ruote o versoio,
quest’ultimo una sorta di coltello laterale di metallo che rivolta le zolle facendole ricadere da una
parte mentre il vomere tracciava vorticosamente il solco sul terreno. Questo richiede molti animali per
la trazione, ma arava più in profondità e faceva risparmiare lavoro perché un solo passaggio era
sufficiente. L’aratro a ruote fu una novità dell’anno Mille, e dove si diffuse portò trasformazioni
radicali alle abitudini dei contadini. Quanto ai luoghi e ai tempi della sua diffusione, ci sono dubbi se
l’aratro a ruote fosse conosciuto in età romana, probabilmente fu messo insieme per gradi e singole
esperienze a partire dall’età tardo-antica, anche se in germania è stata trovata qualche traccia
archeologica di lavorazione asimmetrica dei campi, e dunque dell’uso del versoio.Iin alcune regioni
europee rimase sempre quello in legno, che serviva solo a rompere la crosta, ma aveva il pregio di
essere leggero da trasportare e da guidare e poteva essere tirato da un solo animale (l’aratro più
semplice era composta da vomere, per tracciare il solco, del manico per guidarlo e del bure, cioè la
trave anteriore che lo collegava al giogo per la trazione). Aveva però anche dei pregi: era leggero da
trasportare e da guidare. e. L’introduzione del collare a spalla permise che i buoi non venissero più
soffocati e consentì di utilizzare i cavalli da tiro. Con l’uso dei due aratri i terreni prendevano forme
diverse,la prima traccia che gli archeologi del paesaggio e dell'agricoltura hanno iniziato a cercare sul
terreno è la simmetria o dissimetria dei solchi, dato che il versoio, facendo ricadere le zolle tutte
dalla stessa parte a partire dal solco centrale, dava ai campi una forma a schiena d’asino che facilitava
lo scolo delle acque e che non era possibile ottenere con l’aratro semplice. Con l’aratro a ruote si
spiega la particolarità dei terreni dell’Europa del nord, più stretti e lunghi, in modo da ridurre le volte
in cui girare l’attrezzo. Molti campi di queste aree sono detti openfield, perché tra una semina e l’altra
venivano aperti al pascolo. Nell’Europa meridionale invece i campi erano quadrati.
-La resa dei cereali e i mulini d’acqua
Si realizzò un certo aumento della resa dei cereali, ma non ci fu una grande miglioramento, perché i
prezzi delle derrate alimentari continuarono a crescere, a dimostrare che non risolvevano i problemi di
una popolazione che continuava a crescere (i raccolti comunque continuarono ad alternarsi tra annate
attive e annate buone). Le antiche macine mosse a mano o dagli animali furono abbandonate per
imposizione dei signori che fecero costruire i nuovi mulini lungo il corso del fiume, i mulini manuali
rimanevano solo un ripiego per le emergenza. Dove non c’era acqua a sufficienza come in Inghilterra,
in Normandia si utilizzavano i mulini a vento. Furono utilizzati per la macinazione, ma anche per
lavorare il ferro e per le stoffe (gualchiera).
-Il rovescio della medaglia: i danni del disboscamento, un’alimentazione più monotona, nuove
malattie
La fame è stata un evento normale nella vita delle società primitive, costellate dalla memoria di luoghi
meravigliosi, dove gli uomini immaginavano una vita confortevole e con il cibo a portata di mano.
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Con il giardino dell’Eden che offriva i suoi frutti ad Adamo ed Eva; l’età d’oro e i Campi Elisi
raccontati dai greci, con alberi con coppe piene di vino e il pane che galleggia nei fiumi; ancora le
vigne del paese di Bengodi descritte da Boccaccio nel Decameron, legate con file di salsiccia e le
montagne di parmigiano; o Pinocchio che nel paese dei Balocchi trova anche dolciumi. Quando si
sogna l’abbondanza è possibile che il cibo scarseggi, e il medioevo è stata un’età più affamata di altre.
Ma utilizzando una gamma molto varia di fonti dell’alto medioevo, sappiamo che il contadino avuto a
sua disposizione cibo vario e abbondante. Oltre che coltivatore, era cacciatore, pescatore, allevatore e
raccoglieva i prodotti del bosco. Quindi la dieta contadina sostiene Massimo Montanari era stata
molto più varia e abbondante di quanto non fosse quando crebbero le città. E ancora l’incolto non era
mai stato né vuoto né improduttivo, si trovava la materia prima più utile, come il legno, si
raccoglievano frutti spontanei e poi si cacciava. Quando aumentò la popolazione, grandi parti della
foresta europea vennero distrutte, e si persero molti spazi nei quali i contadini fino ad allora aveva
raccolto, pescato e cacciato. Dopo il Mille di conseguenza anche la dieta cambiò, molte paludi ad
esempio erano state prosciugate eliminando così la possibilità di pescare. Per la prima volta l’abitante
del villaggio si poteva trovare a dover andare anche molto lontano per poter trovare un prato
naturale.Quindi se da un lato della medaglia mettessimo il progresso dell’agricoltura, dall’altro la
riduzione del bosco e della palude e la conseguente riduzione dei suoi frutti. Dall’alimentazione
scomparve anche la carne, nonostante il numero crescente di buoi, essi venivano utilizzati per il
lavoro nei campi. La dieta si fece meno equilibrata, favorendo anche la diffusione della lebbra, che
raggiunge l’apice in Europa nel XII secolo, quando le crociate aumentarono la possibilità di contagio
con l’oriente. Con l’uso di allungare il pane con la segale di diffuse l’ergotismo che nell’XI secolo si
propagò in tutto l’occidente. Alcuni danni ambientali provati dal disboscamento cominciarono proprio
in questa età.
-La curtis si trasforma
Fra IX e X secolo l’azienda curtense aveva posto le basi per la sua trasformazione. In Italia e in
Francia del sud, le corvèes si estinsero in fretta e con esse scomparve la terra gestita dal signore, ma
veniva tutta affittata. Questa trasformazione non si realizzò nello stesso modo in tutta Europa e non
portò ovunque alla fine della curtis. Residui di prestazioni curtensi si mantennero per secoli dopo la
scomparsa della curtis, i contadini liberi erano comunque costretti a servizi si trovano nel 300 in
Toscana, nel Trentino e nel Friuli, e nel 400 nel territorio di Genova. I contadini cominciavano a
rifiutati di lavorare giornate nelle terre del signore, che avrebbero potuto impiegare nella coltivazione
dei loro mansi. Il signore sostituì perciò la corvèes con un canone in denaro. Inoltre alcuni contadini
cominciavano ad essere meno poveri di altri, e sempre più spesso questi pagavano contadini più
poveri di loro, perché facessero i lavori per i signori. Con il superamento del dominico, l’azienda si
trasformò e i campi furono tutti concessi in affitto. L’affitto incoraggiava i contadini a lavorare di più
e produrre meglio, e permettevano al signore di intascare più denaro. Ma il numero delle famiglie era
in aumento e i mansi si facevano sempre più piccoli. Per mantenere efficiente il castello il signore
introdusse diversi tipi di corvèes, erano ore di giornate di lavoro alle fortificazioni, di interesse
pubblico.
4.3 La svolta: le città
-La rinascita della vita urbana
A cavallo del medioevo anche la vita urbana subiva una forte spinta per la ripresa. Le città
recuperarono vigore prima con lentezza poi sempre più velocemente, fu un fenomeno spettacolare che
cambiò la fisionomia dell’Europa. Mille anni dopo così l’occidente era di nuovo seminato di città. Ma
non tutte le città avevano avuto la stessa sorte, in alcuni territori la crisi dei centri cittadini era stata
meno accentuata rispetto ad altri. In Italia dove la tradizione urbana era più forte, molti di essi
rimasero in vita. Il recupero di vigore del fenomeno urbano si manifestò sia con l’apparire di nuovi
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centri, sia con il ripopolamento di quelli antichi. Henri Pirenne si chiese se esistevano già le città
prima del IX secolo. Egli dice che all’origine della città medievale ci fu la ripresa del commercio di
lungo raggio, quando alcuni mercanti senza fissa dimora avessero deciso di darsi una sede stabile,
dove già esistevano una cattedrale e un castello. Gli abitanti delle città nacquero soprattutto sotto la
spinta dell’inurbamento delle popolazioni rurali, processo inverso a quello che si era sviluppato nei
primi secoli del medioevo. L’ipotesi di Pirenne rimane valida solo per alcune aree, soprattutto nelle
Fiandre. Nell’Europa meridionale invece le città era quasi sempre sedi di mercati permanenti, nei
quali erano i prodotti della campagna circostante a essere scambiati con quelli dell’artigianato della
città.
-Che cos’è una città (Approfondimento pag 149-151)
-L’abitante del “borgo”, il Borghese. Artigiani e mercanti
Anche la ripresa della vita urbana fu un segno del movimento generale di crescita demografica. la
popolazione delle città aumentò soprattutto per l’inurbamento, il nuovo processo di spostamento di
una parte degli abitanti delle campagne. La spinta iniziale per trasferirsi venne dall’allargarsi delle
famiglie contadine, i più giovani si spostavano nelle città per alleggerire il peso delle famiglie di
origine. Più tardi non furono più solo i coltivatori a spostarsi ma anche molti proprietari terrieri,
attratti dalle prospettive professionali, culturali e politiche della città. Quando le abitazione non
entrarono più all’interno della mura si cominciarono a costruire fuori, disposte ai lati delle strade che
uscivano dalle porte e formarono i borghi. Al principio si favorirono l’arrivo di immigrati perché
puntavano a divenire il centro, non soltanto politico, ma anche economico, della campagna. Nel corso
del XIII secolo quando lo spazio disponibile all’interno delle mura si sarebbe saturato di popolazione
e quando si sarebbe profilato il rischio di uno spopolamento delle campagne, i governi avrebbero
cominciato ad espellere vagabondi, mendicanti e prostitute. La parola borghese nacque nel medioevo,
per indicare l’abitante dei sobborghi della città che riprendeva vigore: dapprima borghese era
chiamato l’ultimo arrivato, colui che abitava nei luoghi meno sicuri, i borghi, non aveva un lavoro
certo; con il tempo poi la situazione comincia a mutare. La nascita dei borghi quindi aggiunse alla
città medievale una caratteristica non soltanto dal punto di vista urbanistico, ma anche sociale.
Quando il borghese non fu più il nuovo arrivato, ma una delle anime attive della ripresa economica e
politica delle città medievali, possiamo dire che si sviluppa la borghesia che proprio dal borgo
prendeva il nome.
-Le arti
Tra XI e XII secolo i commercianti e gli artigiani di ogni città si associarono in istituzioni che nel
medioevo venivano chiamate corporazioni. Questa parola è però apparsa solo in età moderna per
indicare istituzioni che nel medioevo assunsero il nome di arti. A differenza di quelle romane e
bizantine, queste nacquero liberamente e volontariamente. Il più importante fine era la difesa e il
sostegno degli iscritti. Vigilavano sulla qualità del prodotto, limitavano la concorrenza, fissavano
prezzi e salari dei dipendenti e affrontavano eventuali crisi di sovrapproduzione. Queste corporazioni
assunsero nel 200 il massimo dell’organizzazione, acquisendo in certi casi anche valore politico.
-Le tante facce della città costruita ( Approfondimento pag. 155-156)
4.4 La svolta: la “rivoluzione commerciale
-L’Europa in comunicazione
All’espansione dell’agricoltura e della vita urbana si accompagnò il decollo delle attività commerciali,
che crebbero per volume di affari e raggio di azione. C’erano tutte le condizioni essenziali: più
prodotti, più gente e anche più pace e sicurezza nelle strade. La crescita del commercio si legò per un
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verso alle campagne, per l’altro alle città. Il commercio ricevette la spinta dalle campagne, ma trovò
nelle città il suo punto di forza. Le città europee si sollevarono dalla depressione quando gli scambi
aumentarono, quando il progresso dell’agricoltura fece sì che una parte di prodotto avanzasse dal
consumo alimentare e potesse essere venduto nel mercato. Il passaggio da un’economia più stagnante
a una più urbana, monetaria e mercantile, determinava anche la comparsa di nuovi bisogni che il
mercato locale non era in grado di soddisfare da solo. L’isolamento poco a poco si tramutò in
comunicazione. L’incremento degli scambi si sviluppò su tre piani:
- locale1
- interregionale2
- a lunghissima distanza3
Sul piano locale1 si accentuò la circolazione di prodotti tra campagna e città, cioè tra produttori di
derrate alimentari e i produttori di beni di consumo. Luoghi stabili di questo tipo di scambio erano i
mercati delle città e delle campagne che servivano i bisogni di una determinata area locale.
Protagonisti erano gli stessi contadini che portavano a vendere prodotti agricoli o manufatti di
provenienza locale, o comunque non molto lontana. Vi erano poi gli scambi interregionali2 che
mettevano in comunicazione aree distanti tra sé perché le carenze del mercato locale spingevano gli
operatori economici verso zone più lontane. Si dovettero trovare dei luoghi di appuntamento che
sorsero alla confluenza di itinerari che iniziavano laddove le merci venivano prodotte. Le fiere durante
le quali veniva in genere concessa l’impunità per debiti, si svolgevano spesso in coincidenza con le
festività religiose a loro volta collegate con i cicli dell’economia agricola, e resero ricche e prospere le
località in cui si tennero. Dato che nelle fiere si scambiavano soprattutto prodotti di valore piuttosto
elevato, o comunque tale da sopportare i costi del commercio a distanza, l’afflusso di persone
spingeva a creare dei luoghi di ricovero, ospitalità, custodia per uomini. Infine gli europei
dell’Occidente riallacciarono con maggior decisione quei rapporti economici intercontinentali che non
si erano mai interrotti del tutto, ma si erano tuttavia ridotti: con l'impero bizantino, il mondo
musulamno3 ecc… La crescita del commercio internazionali impose altri metodi di pagamento
rispetto al trasporto di valuta e dal mercante nacque la figura del banchiere. Furono soprattutto
italiani, i mercanti che, agendo fuori piazza, cominciarono a fornire un servizio di cambio
internazionale nelle principali città di affari. I banchieri genovesi furono i primi che oltre ad avere il
cambio aggiunsero anche quella di deposito di denaro. Non tutte le regioni furono interessate dallo
sviluppo commerciale. L’Europa gravitava su due grandi itinerari:
- a sud, nel mediterraneo, ne confluivano due da Oriente: quello terrestre delle carovane
dell’Asia centrale, quello marittimo che partiva dal golfo persico, nel mar rosso e anche
dell’Oceano Indiano; dai porti del mediterraneo orientale sui quali confluivano le due vie e
lungo i quali mercanti europei stabilirono le proprie agenzie.
- A nord un itinerario importante collegava tra loro Russia, Scandinavia, Inghilterra, Francia
del nord, il perso del sistema erano le Fiandre.
Nel quadro della ripresa commerciale ebbero un ruolo importante gli ebrei, particolarmente numerosi
nella penisola iberica, nelle regioni tra il Reno e la Mosa, in provenza. Avevano assicurato un legame
dell’Europa con i paesi più avanzati fuori dei suoi confini.
-Vie di terra
Era diventato pericoloso, lento e costoso percorrere gli itinerari di terra, lungo le antiche strade
romane. A poco a poco i poteri pubblici per incoraggiare il commercio avevano cominciato un’altra
volta a occuparsi dei collegamenti e una rete di strade in terra battuta aveva unito tra di loro i centri
più importanti. Le città si erano venite collegandosi l’una all’altra non più con una singola strada
maestra, ma con un grande numero di strade locali alle quali mancava un disegno generale. Nessuna
strada medievale era vincolata ad un tracciato, si trattava piuttosto di fasci paralleli di percorsi che
consentivano al viaggiatore di regolarsi secondo le contingenze del momento, politiche o climatiche
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che fossero. Si trattava di una rete più flessibile e complessa, ma anche tanto meno solida di quella
delle grandi vie consolari romane con le quali le strade medievali non riuscirono mai a competere:
erano spesso modesti sentieri, tortuosi, e in pendenza di larghezza di solito inferiore a tre metri,
selciati in maniera rudimentale. La Francigena è stata uno dei più importanti itinerari che hanno
solcato l’Europa del medioevo: univa Roma al mare del Nord secondo il tragitto più breve. La
Francigena non era una strada non era una strada, perché non era vincolata a un tracciato unico, né fu
progettata o disegnata→ era come se fosse una direzione, talvolta come un fascio di strade
alternative. Uno di questi itinerari diversi poteva essere scelto per evitare di attraversare le terre dei
signori, o per evitare i briganti, o ancora per le situazioni belliche o per il clima e le stagioni.
-Vie d’acqua
Importanti divennero anche le vie d’acqua (mari e fiumi): il Po, il Rodano, la Senna ecc… era rtutti
fiumi che si potevano navigare seguendo il filo della corrente o risalendola a vela per ampi tratti.
Ebbero un ruolo di primo piano nel commercio che cresceva e furono sede di porti importanti. Anche
il traffico marittimo ebbe quindi la sua importanza, certo il mare diventava pericoloso quando ci si
allontanava dalla costa. Tuttavia presentava dei vantaggi:
- non c’erano pedaggi
- si andava spediti se si sapevano utilizzare i venti favorevoli
Il Mediterrano in particolare era un mare seminato di isole che facilitavano la navigazione a contatto
visivo con la terraferma, necessario quando non vi era la bussola.
-Il mediterraneo (Approfondimento pag 162)
-Il commercio mediterraneo e quello del Nord Europa
Abbiamo detto che l’Italia fu il perno del sistema commerciale dell’Europa meridionale, le città che
divennero importanti sono tutte città che dal IX secolo avevano cominciato ad assumere funzioni
commerciali non trascurabili, come centri di scambio tra oriente ed occidente. A esse si aggiungono
dall’XI secolo e XII secolo due città del Tirreno settentrionale: Genova e Pisa. Amalfi, Venezia,
Genova e Pisa sono le quattro città che secondo la tradizione hanno avuto il nome di repubbliche
marinare. Venezia e Amalfi, quando la conquista longobarda aveva diviso in due l’Italia (568), erano
state legate da una dipendenza formale nei confronti di Bisanzio, e da buone relazioni con il mondo
musulmano.
Amalfi
Era cresciuta ben prima del mille per il ruolo di intermediazione commerciale tra Longobardi,
bizantini e musulmani. La città basava dunque la sua prosperità sul commercio con l'oriente,
soprattutto Egitto, Siria e Tunisia. Il suo progresso fu bloccato nel 1073 dalla conquista normanna.
Venezia
Era dall’età carolingia che Venezia era diventata, insieme a Pavia, l’unico centro del commercio
internazionale nel quale circolavano monete d’oro e questo era frutto della sua posizione geografica,
in un’area di confine tra occidente ed oriente: la città acquistava merci in Europa pagandole con
monete di argento e le vendeva ai musulmani e ai bizantini che pagavano in oro. Se dovessimo fissare
una data importante per venezia è il 1082, quando ottenne dall'imperatore bizantino Alessio
Comneno, un privilegio, con il quale la città si impegnava a fornire assistenza navale in cambio delle
esenzioni da quelle tasse che venivano invece pagate dagli altri sudditi dell’impero nei porti del
mediterraneo. Grazie a questo Venezia inizia un florido commercio: cambiava i beni di lusso orientali
come la seta, con ferro, legname. L’imperatore bizantino in quel 1082 fece un passo fatale verso la
rinuncia alla sua antica posizione nel commercio mediterranoe, aveva bisogno dell’aiuto veneziano,
premuto dai turchi e dai normanni.
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Genova e Pisa
Più tardi, dall’XI e XII secolo, entrarono in lizza due città di mare: Genova e Pisa che si erano
arricchite con il saccheggio delle basi saracene in Corsica, Africa Settentrionale, Baleari e Sardegna.
Comune ad entrambe era la necessità di ridimensionare la supremazia navale islamica e intorno a
questo obiettivo si riunirono in numerose spedizioni. Nel 1087 quando una flotta mista di pisani e
genovesi saccheggiò la costa tunisina, conquistandi uno dei puntichiavi del commercio del
mediterraneo, avvenne la svolta perché ottennero dei privilegi. Pochi anni dopo, per il trasporto in
terrasanta durante la crociata (1099), ricevettero le basi economiche importanti per lo sviluppo delle
proprie attività commerciali.
-Compagnie di mercanti di Viaggio (Approfondimento pag 164-165)
-Il punto di contatto: le fiere della Champagne
Le due aree commerciali del Sud e del nord erano collegate tra di loro. L’itinerario tra le due seguiva
una via di terra, dato che lo stretto di Gibilterra era controllato dai musulmani e le navi cristiane non
potevano attraversarlo. Le mercanzie provenienti dal mediterraneo passavano le Alpi, seguivano la via
di Marsiglia e il corso del Rodano per scambiarsi con quelle provenienti dal Nord in alcuni borghi
strategici. Furono in quelle aree di collegamento che si crearono le fiere→ le fiere della champagne
furono molto importanti soprattutto per la loro ubicazione. Erano animate soprattutto da mercanti
italiani e provenzali. Ve ne erano sei e duravano ognuna se settimane:
- prima → Lagny sur- Mane, tra dicembre e gennaio
- seconda→ Bar -sur- Aube
- terza→ si teneva in maggio , provins
- quarta → luglio-agosto, Troyes
- quinta → settembre, provins bassa
- sesta→ ottobre,Troyes
4.5 I poteri sugli uomini e sui territori
-Dalle signorie fondiarie e alle signorie territoriali
All’interno dei regni in formazione, il potere tendeva a concentrarsi in centri di potere locale più
piccoli, ciascuno dei quali si reggeva quasi in autonomia. Nei secoli X e XI l’Europa intera conobbe
un cambiamento profondo delle forme di potere. Ovunque la capacità di controllo dei re si fece più
debole e le circoscrizioni che essi avevano affidato a conti, a marchesi, ad aristocratici o anche chiese
si trasformarono in signorie come poteri locali autonomi. I poteri signorili furono una costruzione
politica che si mosse dal basso, partendo dalle basi locali e concrete del potere, cioè dai castelli, terre
e clientele armate. In italia in particolare l’indebolimento del regno provocava la crescita di poteri di
livello inferiore in competizione tra di loro, in cerca di legittimazione, in questo quadro anche le
grandi proprietà videro energeticamente rafforzate certe tendenze che le erano connaturate da secoli,
tendendo a porsi come centri di governo su un territorio oltre che di potere economico sulla terra e su
chi lavorava. Spesso furono le stesse località che nei secoli precedenti erano state centro di curtes, di
casali e di signorie fondiarie a divenire centri di signorie territoriali. Dato che i sovrani non erano in
grado di proteggere le popolazioni, era accaduto che il proprietario fortificasse il centro della curtis o
il villaggio contadino circondandoli di mura e in questo modo, di fatto, aveva preso la popolazione
sotto la sua protezione. Durante questo processo i proprietari avevano finito quasi naturalmente per
occupare il ruolo lasciato vuoto dal potere pubblico che non riusciva ad essere presente in modo
capillare a livello del territorio, e aveva assunto, dopo quelli di protezione, anche compiti politici e
amministrativi. Ai signori più potenti vennero così trasferiti i diritti sugli abitanti che erano stati
prerogativa regia: potevano comandare, punire, costringere ecc.. i contadini e tutta la popolazione
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residente di un certo territorio. In base al banno esercitavano la giustizia e ne ricavavano i provenienti,
ricoprivano funzioni di polizia, riscuotevano pedaggi, taglie, tasse sui mercati e le fiere. La signoria
territoriale viene anche chiamata quindi signoria bannale o rurale. La capacità di controllare del
signore era tenuta da uomini armati al suo servizio, cavalieri ordinati attraverso legami vassallici,
attraverso giuramenti di fedeltà. Tra i diritti che cambiano in maniera radicale il rapporto tra contadino
e singore:
- Il diritto a riscuotere la taglia→ la comunità contadina ripagava la protezione con un
contributo anche in denaro
- il diritto ai proventi dell’amministrazione della giustizia→ il signore amministrava la
giustizia
- i diritti sulle acque→ il signore deteneva diritti sulle acque, così poteva rivendicare il
monopolio del mulino e obbligare gli abitanti a macinare soltanto in esso pagando con una
parte del prodotto.
Il cammino verso la signoria territoriale fu un processo lungo che si produsse in Europa e non fu
frenato. Con la signoria bannale i legami tra signore e contadini cambiarono in maniera radicale e in
certi casi aumenteranno molto non solo i tributi pagati dai sudditi , ma anche gli abusi e le
sopraffazioni. Tra i diritti del signore esisteva il formariage cioè l’obbligo di chiedere
l’autorizzazione al signore e pagargli una tassa se si intendeva sposare una donna di un’altra signoria.
I contadini furono allontanati dall’uso degli spazi incolti comuni a vantaggio del signore che vi stabilì
la sua riserva. La crisi degli spazi comuni e degli usi civici con l’intervento delle città, e fu uno dei
momento più drammatici della storia rurale dei secoli dopo l’anno Mille.
-Feudalesimo e signoria (Approfondimento pag 169- 172)
-Il castello centro di potere
Il castello è considerato uno dei simboli del medioevo, per gli storici il castello fu un nucleo di
abitazioni accentrato, un villaggio fortificato da una cinta di mura. L’incastellamento è il termine
che viene utilizzato per indicare il processo attraverso cui si costruirono diversi villaggi. Sul piano del
diritto la costruzione di un castello era prerogativa del re, che poteva darne delega agli altri.
L’occidente conobbe anche castelli costruiti anche di nascosto, dietro l'ombra di chi di dovere,
lasciandoli in eredità ai successori. Chi aveva denaro e autorità locale costruiva il castello e cingeva di
mura il villaggio di contadini posto nel suo territorio. Scavi archeologici e successive indagini
documentarie hanno mostrato tuttavia che in molte aree, per esempio in Toscana, esisteva un processo
di concentramento degli abitati molto precedenti a questa fase (incastellamneto). Le invasioni del IX e
X secolo e i progetti signorili rappresentarono alcuni motori dell'incastellamento, ma certamente non
gli unici e nemmeno i più importanti. Occorre tenere presente che la civiltà medievale fu parsimoniosa
e, per risparmiare nei materiali e nella fatica usò più volte le stesse strutture, i medesimi materiali da
costruzione e i medesimi luoghi. Ci sono stati quindi molti tipi di castelli medievali, secondo i
momenti e i motivi per i quali furono realizzati.
Le ville tardo-romane
In tutta l’Europa continentale il castello medievale ebbe i suoi antenati in età preistorica, sottoforma di
recinti che racchiudevano più ettari. Altri antenati dei castelli medievali si incontrano dal III secolo,
quando le popolazioni barbare cominciarono a penetrare nell’europa occidentale.
I castelli contro i barbari e dei barbari
Gli edifici tardo romani, fortificati per difendere il territorio dell’impero dei barbari, furono ereditati
proprio da questi. Goti ne costruirono anche altri, spesso consistenti in torri adatte soprattutto a
difendere le popolazioni della linea di confine. I longobardi ereditarono quelle fortificazioni.
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I castelli contro i pirati saraceni, i vichinghi, gli ungari
Dal IX secolo fu necessario fortificare molti villaggi e molte piazze commerciali della costa del
mezzogiorno d’Italia e della Provenza e di tutte quelle aree che andavano difese dai pirati saraceni e
dalle razzie. Allo stesso modo dopo gli attacchi atlantici si cercò un modo per difendersi dai vichinghi
e poco dopo dalle invasioni degli ungari.
I castelli signorili
A far nascere i castelli non fu soltanto la paura e il bisogno dei luoghi per organizzare una risposta
militare, ma anche per motivi di ricovero, in modo da assicurarsi anche il potere
I castelli nell'età dell’espansione economica
Molti castelli furono costruiti per sostenere la ripresa commerciale, come luoghi protetti per il mercato
o per la produzione, per accompagnare e sostenere il processo di dissodamento di nuove terre
I castelli nell'età dell’espansione demografica
Quando la popolazione aumentò nelle campagne sorsero casali, castelli, piccoli borghi dove andavano
a vivere l nuove famiglie
-Storia di un castello-fabbrica (Approfondimento pag 175)
4.6 I regni, gli imperi
-Il quadro di partenza
L’impero, restaurato dagli Ottoni (962), attraversava una fase di difficoltà: gli attacchi degli slavi a
nord, la rivolta dei principi in Germania e la pressione dei musulmani e dei bizantine nell’Italia
meridionale. Nonostante si richiamasse all’impero carolingio, esso non aveva la preminenza
sull’occidente. Il regno d’Italia non abbracciava tutta la penisola, sebbene gli Ottoni avessero provato
più volte a controllare anche il meridione, la Sicilia faceva ancora parte dei domini musulmani, Puglia
e Calabria erano bizantine, c’erano poi ducati, principati e città autonome, il resto della penisola era
governato dalla chiesa. Il regno copriva l’Italia settentrionale e la Toscana, ma al suo interno si erano
rafforzati poteri locali e alcune casate nobiliari. Tra questa la più importante era divenuta quella dei
Canossa, e nel 1027, un dei suo membri, Bonifacio, aveva ottenuto dall’imperatore Corrado II la
marca-ducato di Toscana. Il territorio dei Canossa già ampio, si distese allora su vastissime regioni.
L’Inghilterra era in quel momento governata da una monarchia danese ma stava per subire delle
importanti trasformazioni, la conquista dei normanni. A est gli ungari aveva abbandonato il
nomadismo e avevano formato il regno d’Ungheria. Tra Oder, mar Baltico e Carpazi si estendeva il
principato cristiano di Polonia. Cristiano era anche il principato di Kiev e il regno di Bulgaria. In
Francia la dinastia dei capetingi, avviata da Ugo Capeto continuava a tenere unito il paese. La
penisola iberica era invece divisa tra musulmani e cristiani. Il mondo musulmano era molto esteso
partiva dal Caucaso e il mar Caspio, copriva la penisola d’Arabia, l’Egitto, la Persia, il litorale del
nord Africa, gran parte della penisola iberica e la Sicilia. L’impero bizantino era cristiano, ma diviso
dalla cristianità d’occidente, era ormai solo un residuo dell’antico impero romano dal quale aveva
preso vita. Comprendeva la Grecia fino a Costantinopoli, le isole del mar Egeo, Cipro, il mezzogiorno
d’Italia, Venezia e l’Asia minore che tuttavia era in procinto di perdere pezzo per pezzo nel corso del
secolo: dopo la sconfitta del 1071 a Manzikert essa venne abbandonata in buona parte nelle mani dei
turchi selgiuchidi. Ma nel corso dell'XI secolo le conquiste dei normanni rovesciarono la carta politica
d’Europa.
-Grandi cambiamenti: i normanni in Inghilterra (1066)
Tutte le fonti dell’epoca chiamano tutte le popolazioni scandinave “nordmanni”, uomini del nord,
anche se oggi ci riferiamo con questo termine soltanto ad una parte di essi, a quei discendenti degli
scandinavi che si erano insediati stabilmente nella francia settentrionale, nella regione che ancora oggi
è detta normandia. Dalla Normandia francese nel XI secolo i normanni passarono a dominare
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l’Inghilterra e l’Italia meridionale. La conquista d’Inghilterra segnò la fine del conflitto tra danesi e
anglosassoni che più volte si erano appoggiati ai duchi normanni imparentandosi anche con essi. Nel
1024 il re anglosassone Edoardo il Confessore, aveva potuto levare la corona dalle mani del figlio di
Canuto il Grande re d’Inghilterra e Danimarca, e rafforzare la presenza normanna in Inghilterra.
Molti normanni erano stati allora impegnati alla sua corte e molti li aveva fatti vescovi, inoltre aveva
donato l’abbazia di Westminster. Nel 1066 il re moriva senza discendenti, ma dopo aver nominato suo
successore il cugino Guglielmo, duca di Normandia. Guglielmo reclamò la corona per far valere i
suoi diritti di sangue, ma l’assemblea invece appoggiava la candidatura di Aroldo conte di Wessex,
che divenne re anche se per breve tempo. Nell’ottobre dello stesso anno fu ucciso (1066 ad Hastings).
Dopo poco più di due mesi Guglielmo, soprannominato il conquistatore, fu incoronato re a
Westminster (per celebrare la vittoria, Oddone, vescovo di Bayer, fratello di Guglielmo→ arazzo di
bayer. Nel giro di qualche anno governava tutta l'isola. Egli realizzò un rimodellamento delle
strutture politiche e sociali e impiantò un controllo stretto sul territorio. La conquista trasformò a
fondo la società inglese. Nei suoi vent’anni di regno Guglielmo trapiantò il modello feudale francese.
I castelli si moltiplicarono. I re normanni crearono delle circoscrizioni amministrative, contee,
abbastanza autonome che facevano capo al re senza intermediari ed erano rette da un suo funzionario
il giustiziere. Ogni giustiziere aveva alle sue dipendenze uno sceriffo, che raccoglieva le imposte e
custodiva il castello. L’amministrazione locale rimase separata dalle istituzioni di tipo feudale.
Guglielmo progettò il Domesday book, un censimento di beni e persone di tutto il territorio. Il re
inviò gli incaricati a registrare villaggio per villaggio, l’estensione e la qualità delle terre, gli aratri, i
cavalli e tutti gli animali, la terra i castelli, il numero degli abitanti e il loro stato giuridico. Questo
censimento fatto nel 1086 in una lingua latina infarcita di termini anglosassoni rappresenta una delle
più importanti fonti per la storia rurale, economica e sociale dell’intero occidente medievale.
-I normanni nel mezzogiorno d'Italia (1059)
Quasi contemporaneamente al grande spostamento in Inghilterra, dalla Normandia partivano altri due
flussi migratori, uno si dirigeva a ovest, per unirsi alle milizie cristiane della reconquista, l’altro si
spingeva via via verso il sud dell’Italia. Nella penisola arrivarono gruppi di mercenari normanni
attratti dalle ribellioni antibizantine in Puglia. I normanni prestarono servizio, dal 1025, per gli uni e
agli altri proteggendo i gruppi di pellegrini che andavano e tornavano da Gerusalemme. Si
arricchirono e costruirono delle signorie territoriali, si dettero una sorte di direzione politica
affidandola alla famiglia degli Altavilla. Le tappe della penetrazione normanna in Italia furono rapide.
Papa Leone IX in un primo momento tentò di contrastare questa crescente potenza, ma fu sconfitto e
catturato, Benevento rimase sotto la giurisdizione papale. Nel 1059 Roberto d’Altavilla strinse
l’accordo di Melfi con papa Nicolò II che sancì il dominio normanno su Calabria e Puglia. Roberto
giurò fedeltà al pontefice e se ne dichiarò vassallo, in cambio assunse il titolo di duca di Puglia, di
Calabria e di Sicilia, anche se ancora doveva prenderla ai musulmani. Il papa favorì questo processo
anche perché la presenza dei normanni era uno strumento per allontanare i bizantini dall’Italia
meridionale. Roberto fu il vero artefice delle fortune dei normanni. Presero ad una ad una le città
fortificate della Calabria, della Puglia e della Campania costringendo i funzionari bizantini ad
abbandonarle. La conquista della Sicilia fu avviata nel 1061. L’attacco più importante fu quello di
Ruggero d’Altavilla, fratello di Roberto. Nel 1072 occupò Palermo, e nel giro di pochi anni la Sicilia
fu tutta nelle sue mani. Ruggero I fu conte di Sicilia e fu poi detto il “Gran Conte“. Nel 1130 suo
figlio Ruggero II riunificò i due regni normanni e fu re di Sicilia, Calabria e Puglia e successivamente
conquistò Napoli. Palermo ne fu la capitale, sede della corte del re. I re normanni costruirono un forte
apparato amministrativo e un’organizzazione centralizzata. Il regno fu diviso in circoscrizioni, ognuna
con a capo un giustiziere per gli affari giudiziari e un camerario per la riscossione delle imposte. Non
si trattò di uno stato “moderno”, poiché il potere fui esclusivamente nelle mani del re e dei suoi
funzionari. Dal Catalogus baronum, un censimento di tutti i cavalieri normanni del regno e dei loro
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patrimoni, fatto redigere da Ruggero II il figlio del gran conte, si ricava che soltanto un sesto della
popolazione complessiva del regno era legata al sistema feudale e che i centri urbani o non vi erano
coinvolti o ne erano toccati in maniera marginale. Non ci furono infatti concessioni sistematiche di
territori dati in feudo né una vera gerarchia di fedeltà che regolasse i rapporti tra i re e le aristocrazie.
Le città mantennero certe autonomie di tipo amministrativo, ma le decisioni più importanti passarono
sempre attraverso il re, con il risultato che le esperienze comunali del mezzogiorno somigliarono più a
quelle d’oltralpe che a quelle dell’Italia centro-settentionale.
-Il rafforzamento delle monarchie europee e il diritto feudale
L’Europa tra l’XI-XII secolo conobbe un processo di ricomposizione territoriale, proprio utilizzando
alcuni principi del diritto feudale le monarchie europee si rafforzarono, trovando anche la strada per
portare l’Europa fuori dalla disgregazione politica. I giuristi contribuirono a chiarire la complessa
materia delle deleghe dei poteri con l’elaborazione di un vero diritto feudale. I vassalli per quanto
potenti fossero erano obbligati a rendere omaggio al re, anche se più debole, riaffermando con questo
gesto simbolico che era da lui che ricevano certi diritti e che tutta la terra del regno era di proprietà
del re ed era da lui che i vassalli la ricevevano. Il progresso della monarchia fu più rapido nei regni
normanni (Inghilterra e Sicilia), proprio perché furono il risultato di una conquista militare che aveva
automaticamente indebolito le aristocrazie locali. Il processo fu invece più lento in Francia, dove la
frammentazione era stata più grave, e ancora più lento in Spagna. Non ci fu invece questo processo in
Germania e nell’Italia centro-settentrionale. Ci furono anche in queste aree processi di ricomposizione
politica, in Germania ci furono tentativi di trasmissione ereditaria del titolo imperiale ma fallirono a
differenza di Francia e Inghilterra.
-Il regno di Francia
Nel regno di Francia, basato come monarchia feudale, basato quindi sul rapporto di fedeltà che legava
al re i titolari di vari tipi di principati territoriali, già sotto Ugo Capeto nel 987 si erano sviluppati
molti principati feudali. Proprio perché debole la monarchia non era una minaccia per le potenze
locali ed era simbolo dell’unità morale e storica del territorio. I re capetingi si tennero stretto
questo ruolo e costruirono una dinastia, ricorrendo alla pratica di associare al trono l’erede in caso di
difficoltà nella successione. Utilizzarono inoltre i rapporti feudali per garantirsi un gruppo di signori
fedeli, traendo vantaggio proprio da quei legami di dipendenza che prima li avevano quasi fatti
scomparire. Tra XII e XIII secolo una propaganda reale rilanciò l’immagine del re presentandolo
come un personaggio quasi soprannaturale per essere stato unto dal Signore, e che avesse la capacità
di guarire con il solo tocco della mano. Simile potere era attribuito al re d’Inghilterra. Nel corso del
XII secolo i capetingi iniziarono a creare strumenti per governare il regno. Nel tentativo di gettare le
basi per un’amministrazione centrale, Luigi VI iniziò ad affermare l’autorità della corona sui feudatari
dell’ Ile-de-France, anche se i domini reali cominciarono davvero ad ampliarsi soltanto alla fine del
secolo.
-Il regno di Inghilterra
Sotto il regno di Enrico II (1154-1189), il prestigio e l’autorità della monarchia Inglese raggiunsero il
punto massimo. Enrico fu il primo re della dinastia dei Plantageneti, fu il re che conquistò la
monarchia inglese d’Irlanda e gettò le basi di attrito tra inglesi e celti, in quanto affidò a nobilci inglesi
le terre di questi. Egli limitò ulteriormente il potere dei baroni, ma rimanevano ancora due cose
importanti: ruolo polito e ricchezza. Il primo derivava dalla presenza di una gran consiglio che li
riuniva che il re doveva consultare nelle questioni importanti, il secondo dalla coltivazione delle loro
terre, ben organizzate in corti, che facevano capo ad un castello, lavorate da braccianti pagati a salario.
Enrico II ridusse notevolmente il potere della chiesa inglese: le Costituzioni di Clarendon,
prevedevano il controllo del re sull’elezione dei vescovi. Si spinse al punto di far uccidere dentro la
cattedrale, il suo ex cancelliere che da quando era diventato arcivescovo di Canterbury (Thomas
Becket) aveva cominciato ad opporsi alla sua politica e aveva preso le distanze dalle costituzioni.
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-L’espansione tedesca verso est
I secoli dopo il Mille furono segnati da un’altra espansione politica, quella dell’impero germanico che
si mostra in due facce: quella dei religiosi impegnati nella cristianizzazione delle popolazioni pagane,
e quella dei contadini che furono inviati a colonizzare le tezze consentendo ai loro signori di
appropriarsene. I tedeschi sottomisero i paesi slavi vicini, si trattava di infiltrazione fatta da monaci
ecc… e poi di gruppi consistenti di contadini. L’evangelizzazione slava era già cominciata sotto
Carlomagno, ma fu intorno all’anno Mille che furono organizzate delle missioni di evangelizzazione
dei popolo slavi e scandinavi. Questa cristianizzazione fu molto violenta ed ebbe i suoi martiri. Le
tombe di questi cristiani furono trasformate in mete di pellegrinaggio. Ovunque si affermarono delle
chiese nazionali che a poco a poco si affrancarono dalla chiesa tedesca, anche se rimasero inserite
nell’organizzazione dell’impero. Gruppi consistenti di contadini seguirono questo processo di
cristianizzazione e si spostarono dall’ovest popolato all’est che era invece semipopolato, trasformando
le foreste in campi coltivati, strappando le terre alle acque. Si tratto non tanto di un processo
spontaneo ma alquanto diretto. Tra le conseguenze appariscenti di questo processo ci furono:
- l’introduzione in area slava di alcune tecniche di coltivazione
- la nascita di nuovi villaggi
- la nascita di una nuova religione
4.7 Le origini del comune
-Il governo delle città
L’organizzazione politica e giuridica di autogoverno che si dettero in Germania, Inghilterra, Francia,
Fiandra e Italia a partire dall’XI-XII secolo si chiamò comune. Coloro che fecero comune avevano lo
scopo di acquisire autonomia rispetto agli altri poteri. Il comune non nacque in tutte le città allo
stesso momento e allo stesso modo. L’autonomia politica prese forma quando alcuni abitanti delle
città ebbero bisogno di avere una magistratura con la quale esprimere la propria volontà di decidere.
Tranne che nel regno d'Italia, le nuove autonomie si svilupparono nelle forme di concessioni di
diplomi da parte dell’autorità superiore che riconoscevano prerogative e diritti e imponevano la
presenza dei propri ufficiali dando luogo perciò a forme di governo miste. Si svilupparono tipi di
comune diverso in diversi territori (nelle Fiandre, uno in Provenza, nel nord della Germania ecc…).
Un tema ricorrente fu quello della pace e della concordia di tutti i componenti della società, tanto che
le prime associazioni di cittadini si chiamarono anche amicizie o addirittura paci. Ben presto
l’esercizio della giustizia pubblica , in grado di contenere l’elevata conflittualità sociale divenne una
delle informazioni principali della nuova magistratura comunale che organizzò dei tribunali cittadini
ai quali tutti potevano chiedere giustizia. Non si conosce con esattezza né la data di nascita né le
caratteristiche iniziali dei comuni. I primi rappresentati della comunità vennero chiamati buoni
uomini e poi consoli o scabini. Si trattò in principio di magistrature provvisorie nate per risolvere le
necessità della vita quotidiana quando il potere centrale era praticamente assente. Col tempo queste
magistrature si fecero più stabili, oscurando l’influenza politica e religiosa del vescovo. I consoli al
momento dell’entrata in carica prestavano giuramento davanti alla cittadinanza elencando i propri
obblighi. Questi giuramenti formarono i primi statuti cittadini. Per i loro successori i consoli
redigevano una specie di memoria, nel quale era riportato l’elenco delle opere di pubblico interesse da
loro iniziate ma non condotte a termine.
-Non tutti gli abitanti della città sono cittadini (Approfondimento 190-191)
-L’autonomia politica delle città d’oltralpe
Le città conseguirono l’autonomia in modi differenti. Ci furono poi quella che non la conobbero per
niente o in forma molto ridotta. In molte città dell’Europa nord-occidentale i cittadini ottennero il
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riconoscimento attraverso le carte di franchigia o di comune, concordate dalle parti, giurate e
sottoscritte da chi le concedeva e da ogni cittadino. In alcune città i comuni ottennero le carte solo
dopo scontri molto duri e a volte dopo decenni (Laon, Piccardia, 1128). In Francia il comune ebbe
l’appoggio della monarchia che concesse il diritto di “fare comune”soprattutto dove i troppi poteri che
dirigevano le città si sovrapponevano in maniera inefficiente. Anche in Germania le nuove
organizzazioni furono sostenute dai re, che cercavano così di ridurre il potere dei signori. Dunque in
questa fascia il potere non si sviluppò in alternativa a quello del re, fu soltanto un altro potere che si
andò sommando a quelli già esistenti senza eliminarli. Nella Francia del sud, soprattutto in provenza, i
comuni presero forme simili a quelle italiane, anche se non assunsero un potere altrettanto grande.
Anche qui viveva un ceto di milites, che talvolta esercitava diritti signorili sulle campagne e tra i
consoli si s'incontrarono sia aristocratici che mercanti. In provenza come in italia il potere di distacco
dal vescovo non avvenne da un giorno all’altro. In Inghilterra i comuni si affermarono senza difficoltà
anzi furono favoriti dai re e anche dai signori per aiutare la crescita economica e demografica delle
città. Ma anche qui rimasero sempre poteri di secondo piano. Anche in Spagna furono favoriti dai re.
Forme di autonomia politica si ebbero anche in alcune città della Russia.
-I comuni d’Italia
Quando Carlo magno aveva conquistato il regno dei longobardi, 774-775, l’Italia centro-settentrionale
faceva parte del titolo di regnum Italiae, di una dominazione territoriale molto vasta che era
governata da un sovrano tedesco, titolare della corona imperiale. Il regno d’Italia fu teatro di una
profonda evoluzione istituzionale. Tra l’ultimo ventennio del secolo XI e il primo del XII quasi tutte
le città dell’area sperimentarono una nuova forma di organizzazione politica. Qui conobbero un
eccezionale sviluppo politico, crescendo sia nelle campagne che, soprattutto, dall’interno di una
società urbana già complessa dove un’aristocrazia militare urbana, si affiancava al gruppo dei
commercianti e al ceto degli uomini di diritto, giudici e notai. Intorno al 1150 i consoli erano
ampiamente accettati come capi cittadini in Italia centrale e settentrionale. I tre gruppi aristocratici
agirono all’inizio in continuità con il potere del vescovo in un clima di compromesso. I comuni
italiani svilupparono una pratica politica basata sulla partecipazione dei cives, sul principio elettivo,
sull’alternanza al governo e sui momenti di discussione pubblica, perché gli uomini che godevano di
diritti urbani si riunivano nel parlamento, o arengo o concio che era l’organo fondamentale della vita
dei comuni: era questa assemblea ad eleggere i consoli. Questo parlamento era troppo numeroso e
presto fu ristretto ad un consiglio più piccolo che portò avanti gli indirizzi del gruppo dominante. Tra
la fine del XII secolo e gli inizi del XIII questo processo si trasformerà ancora, compariranno nuove
figure: i podestà, amministratori di mestiere che non saranno scelti tra i cittadini ma saranno
forestieri, chiamati per la loro esperienza dalle città amiche. I podestà saranno scelti dai consigli e
pagati per amministrare e mantenere il proprio seguito di funzionari, non potranno assentarsi dalla
città senza permesso e resteranno in carica dai sei mesi ai due anni. Avranno il compito di presiedere i
consigli, ai quali resterà il potere legislativo, esercitare la giustizia e ricoprire funzione amministrative
e finanziarie. Nel XII-XIII secolo tutti i comuni cittadini in Italia centro-settentrionale, in Pastiglia e
in Fiandra, acquisirono a poco a poco il controllo della campagna, sia quella che faceva capo a loro,
sia i territori di altre piccole città minori. Si opporranno a questo le signorie rurali di castello esercitate
dalle grandi famiglie nobili. Questo processo è noto come formazione del contado. L’esperienza
comunale divise in due l’Italia: nell’Italia meridionale l’esistenza di una forte autorità centrale pose un
limite al piano di espandersi delle autonomie cittadine e soprattutto sulla loro giurisdizione del
territorio; in Sicilia i normanni provvidero all’autorità del governo e all’amministrazione dei singoli
centri che si arrendevano. Così il centralismo statale dei normanni finì per bloccare lo sviluppo dei
comuni nell’Italia meridionale. In Sardegna non ci fu un processo spontaneo verso il comune.
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-Somiglianze e differenze
I comuni con i quali si governarono si governarono tante città della penisola non sono confondibili
con altre forme di più limitato governo il cittadino controllate da poteri superiori. Questa specificità
italiana viene anche percepita da osservatori esterni (ex Beniamino di Tudela, un ebreo spagnolo;
Ottone di Frisinga, zio di Federico di Barbarossa, alcuni nobili catalani guardano ai comuni italiani
come il risultato di abusi di città che si governano senza re e addirittura contro la nobiltà). I
comuni italiani, insomma, incarnavano agli occhi dei teorici dell'impero, un rinascimento
dell’antichità tutto sommato anomalo e pericoloso. Altri aspetti distinguevano le città italiane dalla
parte settentrionale: la loro possibilità di darsi una politica estera, la stretta unione tra affermatasi sul
piano politico tra il centro urbano e un territorio circostante su cui estesero il proprio dominio
spingendosi anche su alcune migliaia di chilometri quadrati.
-Le origini: comune aristocratico, o comune borghese (Approfondimento pag 197-198)
4.8 L’epoca delle grandi idee universali
-La cristianità occidentale e il bisogno di rinnovamento spirituale
Fin dall’alto medioevo l’Europa era un ampio territorio politicamente diviso, ma accomunato da una
medesima religione, quella cristiana (dall’XI secolo l’occidente aveva fatto propria l’idea che la
cristianità latina formasse una comunità sovranazionale). Questa Europa rimase unita anche quando si
trovò ad affrontare nemici esterni. Ma al suo interno fu molto complicato costruire una convivenza
armonica soprattutto tra l’impero e il papato. L’aristocrazia romana che aveva sempre considerato il
soglio pontificio “cosa propria”, sempre più spesso aveva portato a capo della cristianità personaggi di
dubbia moralità o indegni di tale carica. I vescovi avrebbero dovuto essere uomini della chiesa in
quanto capi di una diocesi, ma molti di loro erano divenuti invece uomini dell’imperatore, o del re o
del signore. Dietro ogni carica c’erano benefici molto concreti, terre, contadini, diritti di
alloggio…(simonia). Gli interessi erano grandi. Dai vescovi l’impoverimento delle funzioni della
chiesa scendevano verso il basso fino ai preti che erano spesso a contatto con la gente e avevano per
questo un compito delicato che non sempre sapevano svolgere. In questa situazione si fecero pesanti
le richieste di riforme delle strutture e della vita religiosa.
-Eremiti e monaci: l’originalità di Cluny
Ci furono due momenti nella storia nei quali fu importante l’influenza esercita dai monaci sulla
spiritualità della gente: il primo fu nell’età di Benedetto e del monaco celtico Colombano e il secondo
fu a cavallo del nuovo millennio. Tra X e XI secolo crebbe il numero degli eremiti e dei monaci,
soprattutto quando il monachesimo benedettino si rinnovò per effetto di vari processi di riforma. I più
importanti fecero capo all’abbazia di Cluny e a quella di Citeaux (cistercense 1098). L’abbazia di
Cluny fu fondata nel 910 in Borgogna, su un terreno donato da Guglielmo duca di Aquitania,
all’abate Bernone, che lo ricevette in nome della chiesa di Roma. I monasteri benedettini erano stati
autonomi fra loro, guidati dal proprio abate e sottoposto all’autorità dei vescovi locali. Cluny ebbe il
privilegio dell’esenzione, esplicitato senza mezzi termini nel documento di fondazione emesso dal
duce. Il monastero era sottratto alla giurisdizione del vescovo, al quale era addirittura vietato di
entrarvi senza essere invitato, ed era inquadrato sotto la protezione della Santa Sede, senza
intermediari, alla quale doveva pagare ogni anno un censo simbolico. L’esenzione consentì a
Cluny di liberarsi dell’influenza delle famiglie aristocratiche, con i quali i vescovi intrattenevano
rapporti anche troppo stretti e non sempre limpidi. Questa esenzione era dovuta al desiderio di
evitare la decadenza economica e spirituale del monastero, per opera dei suoi successori che
avrebbero potuto nominare un abate di proprio gradimento e alienare i beni della fondazione. I papi
sostennero Cluny quando ebbero bisogno di appoggio per avviare quel progetto di riforma della chiesa
che era destinato a scontentare molti, nelle gerarchie laiche ed ecclesiastiche. Non fu soltanto
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un’abbazia, fu anche capofila di un sistema di abbazie alle sue dipendenze, una congregazione
religiosa che contava centinaia di monasteri affiliati in tutta Europa. La potenza di questa
congregazione crebbe vistosamente, si trattò di una sorta di “impero monastico”, che faceva capo al
suo abate che a sua volte rispondeva solo al pontefice. Cluny fu dopo San Pietro il più grande edificio
religioso dell’occidente. Mantenne la regola benedettina, all’interno della quale furono aumentate le
ore di preghiera, rispetto a quelle dedicate al lavoro manuale; la parola d’ordine su raccoglimento.
-I cistercensi e il ritorno alle origini (1098)
Questa esenzione aveva legato però di più Cluny al papa, l’aveva quindi avvicinata al mondo dei
potenti, proprio per questo ci fu il bisogno di un nuovo “ritorno alle origini”. Nuove esperienze di vita
comune fecero concorrenza a Cluny, soprattutto quella cistercense. L’ordine cistercense nacque
all’interno stesso dell’esperienza di Cluny, a partire da una spinta verso il ritorno alla stretta
osservanza della regola benedettina e al lavoro manuale. I cistercensi (Cisterciensium era il nome
latino di Citeaux) si distinsero dai monaci di Cluny per un maggior rispetto ai voti, in particolare a
quelli di povertà. Le abbazie infatti si ispirarono a canoni estetici di semplicità. Nel 1119 papa Callisto
II, confermò la Carta di Carità, primo statuto del nuovo ordine. Era la prima volta che una regola
monastica riceveva l’approvazione del papa. Bernardo di Chiaravalle sostenne la chiesa nella lotta
contro le eresie e si schierò dalla parte di Innocenzo II in uno scontro con l’antipapa Anacleto II. I
viaggi di Bernardo in Italia dettero spunto a nuove fondazioni e a una serie di incorporazioni di
monasteri benedettini. Per fondare un nuovo monastero occorreva che almeno dodici individui si
staccassero dalla case madre. I cistercensi crearono una serie di abbazie federate (nel 1120
nell'appennino ligure sorse Tiglieto, prima abbazia cistercense fuori dai confini della FRancia), legate
da legami di fratellanza e non di gerarchia. Si assicurarono la sussistenza attraverso la gestione del
lavoro dei campi. I monaci organizzarono i loro terreni in fattorie e ne divennero abili amministratori
aumentando la produttività del lavoro agricolo. Lavorarono la terra anche i conversi, che non erano
monaci e nemmeno laici, presentavano il voto di obbedienza ed erano tenuti ad un numero di
preghiere quotidiane. Le abbazie divennero luoghi dinamici di un’attività economica che li spingeva
in varie direzioni, dall’agricoltura all'allevamento, all'artigianato, al commercio. I monaci
organizzarono i loro terre in fattorie, che sorgevano laddove già esistevano un’azienda agraria o un
villaggio, ne divennero abili amministratori e aumentare la produttività del lavoro agricolo, agli usi
agricoli locali furono capaci di adattare il sistema di lavorazione della terra sperimentato con la
grangia e furono innovatori nel settore tecnico, in particolare per l’irrigazione e il drenaggio delle
acque. Furono i cistercensi ad introdurre in italia il sistema triennale delle coltivazioni (in particolare
nel mezzogiorno), con l’utilizzazione anche delle leguminose, è a loro che si rivolgeranno molti
vescovi per costruire le cattedrali e per l’organizzazione dell'allevamento.
-Verso la riforma della chiesa
Un forte movimento di opposizione al matrimonio dei sacerdoti, di reazione alla simonia (era l’atto di
chi ripeteva il gesto del mago Simone, che offrì dei soldi a Pietro per comprare il doni dello Spirito
Santo), all’intervento dei signori laici, si produsse a Roma, il centro principale della corruzione. Nella
seconda metà dell’XI secolo fu proprio il papato a prendere l’iniziativa di riforma. A questo slancio è
dato il nome di riforma gregoriana, in omaggio all’impulso che diede papa Gregorio VII. Tutta la
storia dell’Europa fu coinvolta in questa fase. Per rinnovare la chiesa ci fu bisogno innanzitutto di un
lavoro preparatorio di carattere teorico. Lo sforzo di elaborare un nuovo pensiero durò quasi un
decennio e richieste di raccogliere tutti i testi antichi, di studiare e interpretare la Sacra Scrittura, di
discutere di teologia e di riflettere sul diritto. Il lavoro più solido cominciò quando salì al soglio
pontificio Leone IX, imparentato con l’imperatore Enrico III. Il nuovo pensiero si basava su un
ragionamento: se vescovi e preti conducono una vita indegna è perché c’è mercato delle funzioni
ecclesiastiche, e se c’è simonia è perché i laici hanno il potere di poter vendere quelle cariche che i
religiosi poi comprano. Dunque bisognava abolire l’investitura laica dei religiosi. Ma solo il papa era
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abbastanza forte da farlo, quindi prima si doveva rafforzare il papa. Si doveva allora svincolare la
chiesa di Roma dalla tutela imperiale. Uno dei compiti più urgenti era proprio la lotta contro la
simonia e il matrimonio dei sacerdoti. Tra i fermenti religiosi orientali vanno ricordati i patarini,
gruppi laici che conducevano una campagna durissima di moralizzazione contro i preti di Milano, il
nome fu dato loro dal clero milanese e pare che il termine pataria indicasse il mercato degli stracci.,
portarono anarchia a Milano. La chiesa di Milano in effetti era molto prospera, attraverso gli
imperatori ottoniani e la concessione di diritti feudali aveva portato con sé molta corruzione. Molti
fedeli cominciarono a disertare le funzioni religiose celebrate dai sacerdoti ritenuti indegni. Nel 1054
era intervenuto lo scisma della chiesa di Costantinopoli, con la sua separazione dalla disciplina e
dalla gerarchia della chiesa di Roma. Non era possibile una convivenza “morbida” tra due chiese
potenti. Lo scisma della chiesa orientale fu in gran parte il prodotto dell’irrigidimento di quella
occidentale. Il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario fu scomunicato e scomunicò a sua volta
il papa. Nel 1059 nella basilica di San Giovanni in Laterano, papa Niccolò II (1058-61) dettò tre
regole della vita della chiesa: condannò il matrimonio dei sacerdoti, stabilì che nessun prete potesse
accettare una chiesa dalle mani di un laico né gratuitamente né per denaro, e infine il diritto di
eleggere il papa sarebbe toccato ai cardinali. Nel 1061 Alessandro II fu il primo papa eletto con le
nuove regole.
-Il papa al centro del mondo: Gregorio VII (1073-1085)
Nel 1073 Ildebrando di Soana, uno dei principali collaboratori di Leone IX divenne papa con il nome
di Gregorio VII. Fu il papa che passò dalla teoria alla pratica. Convocati due concili
(1074-75)dichiarò decaduti tutti i sacerdoti simoniaci e concubinati e minacciò la scomunica di chi
accettasse da un laico la carica vescovile. Nel 1075 condanno le investiture,. Egli si rendeva conto che
la sua riforma così radicale avrebbe portato alla rottura con l’imperatore. Enrico IV rispose con una
provocazione, ignorando il decreto del papa, conferì la nomina all’arcivescovo di Colonia e vari altri
vescovi. Altrettanto rapida fu la controrisposta di Gregorio. Con il Dictatus papae, un elenco di
principi sui quali si basava la concezione della chiesa: proclamò la superiorità del papa su ogni
altra autorità terrena e il primato assoluto della chiesa di Roma. Solo il papa può deporre o
trasferire i vescovi, il papa può deporre un imperatore, la chiesa romana è infallibile, il papa può
sciogliere i sudditi dai doveri di fedeltà. Non mancarono resistenze anche tra gli ecclesiastici. Tra papa
e imperatore non poteva che essere lotta aperta. In questo aspro conflitto di lotta per le investiture
ognuno aveva le sue armi. In alcune diocesi c’erano due vescovi, uno legato al papa, l’altro
all’imperatore che poteva far eleggere un antipapa. Il papa però poteva scomunicarlo, privando
automaticamente di ogni autorità verso i suoi sudditi. Il clero filoimperiale rappresentava la
maggioranza sia in Germania che in Italia. Nel 1076 ventiquattro vescovi fedeli all’imperatore
dichiararono decaduto Gregorio VII. Il papa rispose scomunicando l’imperatore. In Germania spuntò
subito un pretendente alla corona. Enrico IV implorò il perdono del papa e nel 1077 si presentò al
castello di Canossa, dove il papa soggiornava, in abito da penitente, a piedi scalzi nella neve. Il papa
lo fece attendere tre giorni, poi dovette concedergli il perdono. La vittoria apparentemente era della
chiesa, ma di fatto l’imperatore aveva soggiogato il papa, obbligandolo a reintegrarlo nei suoi compiti.
Enrico tornava ad essere imperatore e riprese la lotta. Nuovamente pretese di deporre il papa e
ancora fu scomunicato, nel 1083 occupò Roma con forza portando l'antipapa Clemente III. Gregorio
venne liberato con le armi dai normanni e morì due anni dopo. La lotta però continuò con i suoi
successori. Fu eletto Urbano II. Ma si tendeva ad un accordo poiché la cristianità doveva essere unita
e le crociate era già nell’aria. Alla fine del conflitto si arrivò nel 1122 con il concordato sottoscritto a
Worms, dall’imperatore Enrico V e dal papa Callisto II. Il compromesso era che quando un sede
episcopale restava vacante il nuovo vescovo doveva essere eletto da un consiglio ristretto composto da
canonici della chiesa e da qualche altro dignitario della diocesi. Da questa elezione l’imperatore
rimaneva escluso nel regno d’Italia e in Borgogna, mentre continuava ad assistere in Germania.
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Arrivava poi l’investitura e questa era la novità derivata dalla dottrina di Ivo di Chartres: quella
spirituale (la consacrazione) e temporale→ Il papa consegnava al nuovo vescovo la croce e l’anello
simboli del governo sulle anime, solo dopo l’imperatore consegnava lo scettro simbolo dei poteri
pubblici. Nel 1123 il primo concilio dopo Worms, confermò il concordato, ribadì l’obbligo di celibato
e la condanna dei simoniaci, proclamò per i crociati l’indulgenza. I risultanti importanti furono
almeno tre:
- innanzitutto la distinzione tra spirituale e temporale
- poi la perdita da parte dell’imperatore della scelta di vescovi in Italia e in Borgogna
- infine la conferma della centralità della chiesa di Roma nella cristianità.
Ne usciva rafforzata la figura del papa che abbandonava il titolo di vicario di Pietro per prendere
quello di vicario di Cristo. La chiesa divenne una monarchia teocratica, il papa-re si considerava
capo spirituale e temporale dell’intera cristianità. Non a caso dalla riforma gregoriana in poi la tiara, il
copricapo papale, presentò un diadema e una corona e anche l’organizzazione del governo centrale
della chiesa, prese il nome di curia, lo stesso con il quale fino a quel momenti si erano chiamate le
corti dei re e dell’imperatore.
-Al servizio dei tempi: la rinascita culturale del XII secolo
Per secoli si era pensato che la tradizione avesse tutte le risposte ai problemi di conoscenza e alcuni
testi venivano considerati auctoritates in quanto testimoni di verità. Al primo posto erano le Sacre
Scritture in quanto testimoni della verità. Questo atteggiamento nei confronti della tradizione
aveva compresso lo spirito critico nella cultura occidentale. Affinchè nascesse una nuova cultura era
necessario mettere almeno in parte in discussione queste certezze. A poco a poco in Europa si fece
largo una nuova figura, l’intellettuale. Era ancora un fedele servitore della chiesa o del re, era un
personaggio che si dava un nuovo dovere importante, quello di insegnare e poi di scrivere e insegnare
il suo pensiero. I suoi materiali di riflessione erano ancora le Sacre Scritture e i testi degli antichi, ma
l’obiettivo era quello di andare più avanti. Agli uomini di cultura, che erano tutti di chiesa, era
richiesto uno sforzo critico. Per questo si diffonde il pensiero di rinascita, proprio per intendere questo
nuovo dinamismo della cultura cristiana del XII secolo. Quello che davvero cambiò il pensiero
filosofico fu la scoperta di Aristotele. Il grande filosofo non era mai rimasto del tutto sconosciuto, ma
nel XII lo studio del suo pensiero si fece più intenso. Un ruolo fondamentale nella riscoperta delle
opere fino ad allora ignorate della fisica e matematica di Aristotele lo ebbero i commentatori arabi e
ebrei, colti e attivissimi, che entrarono in contatto con il mondo occidentale attraverso le terre
musulmane. Ripresero intanto spazio anche studi di diritto, il diritto romano rinacque e fu elaborato
nelle università sulla base di quello giustinianeo. Rinacque al servizio della politica e comportò la
crescita dell’idea di stato e di pubblico, era detto anche diritto di tutti i popoli, in contrapposizione alle
norme particolari a livello locale soprattutto a carattere statuario, diritto proprio. Anche sul versante
della chiesa si svilupparono studi di diritto. Il diritto canonico rappresentò il diritto della nuova
monarchia papale, elaborato raccogliendo i decreti dei concili e le lettere dei papi. Uno dei maestri
più importanti di diritto canonico fu Graziano, monaco teologo che insegnava a Bologna→ Decretum
gratiani (raccolta di 3900 testi della tradizione canonica) Nel corso del XII secolo nacquero grandi
scuole urbane e si imposero importanti università, oltre le grandi scuole urbane, mentre declinavano
quelle monastiche.
-L’impero al centro del mondo: il progetto di Federico I Barbarossa
Dopo il concordato di Worms il conflitto tra papa e imperatore durò a lungo, con alcune fasi molto
aspre sotto l’imperatore Federico I e i suoi successori. Da quando Enrico V era morto senza eredi
(1125), reggeva il regno di Germania la famiglia sveva degli Hohenstaufen, i suoi sostenitori si
chiamavano ghibellini. A portarli sul trono nel 1138 era stata un'elezione non del tutto regolare
ottenuta dopo diversi scontri con la famiglia dei guelfi duchi di Baviera, la cui candidatura aveva
l’appoggio del papa. Federico I imparentato con entrambi fu scelto come imperatore di Germania nel
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1152. Federico, detto in Italia il Barbarossa, si dimostrò capace di grandi progetti e volte risollevare
l’impero dalla crisi, nella quale era precipitato da quando l’imperatore controllava meno che in
passato l’elezione di vescovi e abati, e i principi elettori avevano ricavato un potere smisurato dalla
guerra civile quasi continua in Germania. Nemmeno Roma stava meglio. La figura del papa era
cresciuta di prestigio, la nobiltà romana era irrequieta, voleva potere e voleva ancora contare
nell’elezione del papa. Papa Eugenio III voleva risolvere l’anarchia che regnava nelle città e in un
primo momento trovò in Federico un aiuto. Ma l’imperatore non si accontentava di essere uno
strumento nelle mani del papa. Egli aspirava al “governo del mondo”, sul papato, sul regno d’Italia e
sulle monarchie europee. Ottone di Frisinga, monaco cistercense, cronista e zio di Federico, sostenne
che l’impero germanico, è un potere di portata universale, superiore agli altri, perché tale fu quello
romano, del quale è continuazione diretta attraverso quello di Carlomagno e poi degli ottoni fu sacro e
romano. Federico tentò in tutti i modi di ribadire le ascendenze romane del suo impero.
-Il papa, l’imperatore e le città d’Italia
Il primo atto di governo di Barbarossa fu di cercare di consolidarsi nel regno di Germania, il
secondo fu invece di tornare ad occuparsi dell’Italia. Nel regno d’Italia vi erano grandi problemi
irrisolti. Uno riguardava i territori che erano stati della grande contessa Matilde di Toscana che,
nonostante feudataria dell’imperatore, aveva donato alla Santa Sede, li aveva poi ricevuti indietro dal
papa a titolo di vassallaggio e li aveva di nuovo affidati come feudi all’imperatore Enrico V.
L’imperatore si era trovato ad essere quindi vassallo del papa. La morte di Matilde, 1115, aveva reso
il problema più evidente. La chiesa rivendicava i territori, l’impero li voleva per sé. A complicare il
quadro c’era la forza di autonomia dei comuni del centro-nord e i normanni vassalli del papa che
avevano in mano il meridione. Federico Barbarossa scese una prima volta in Italia nel 1154, in cerca
di prestigio e dell’incoronazione dalle mani di papa Eugenio III. Nel 1144 c’era stato un moto
popolare e il papa era stato cacciato e a capo della città si era messo Arnaldo da Brescia, aveva
predicato la necessità che la chiesa, inquinata da ambizioni e accusata di tendere solo alla
conservazione della propria potenza terrena, abbracciasse nuovamente la totale povertà. Arnaldo era
stato considerato un attentatore all’unità della chiesa, il suo stesso radicalismo lo isolò. Nel 1155
Federico fu incoronato a Roma e aiutò il papa ad eliminare il regime comunale e a liberarsi di lui.
Arnaldo finì sul rogo. Dopo questa collaborazione però i rapporti tra papa e imperatore si erano
raffreddati. Federico non apprezzava l’alleanza del papa con i normanni e il papa non apprezzava i
frequenti interventi dell’imperatore per mantenere o recuperare il controllo sui vescovi tedeschi.
All’inizio lo scontro fu solo verbale. Nel 1158 Federico aveva formulato l’idea che il luogo migliore
per rafforzare il suo potere fosse l’Italia. L’Italia comunale era il punto più debole dell’impero. La
città più importante di questo movimento era Milano e fu proprio questa che l’imperatore per prima
prese di mira Nell’estate del 1158, durante il suo secondo viaggio in Italia, alla testa di un esercito
chiese esplicitamente ai rappresentanti dei comuni di giurare fedeltà. Poco dopo, nella dieta di
roncaglia (assemblea dei grandi) ordinò che i comuni gli restituissero tutte le regalie, gli introiti di
competenza regia che gli spettavano di diritto e che erano cadute in disuso solo per la negligenza dei
predecessori: imposte sugli scambi e le merci, sul diritto di battere moneta ecc… Milano gli fu subito
ostile, ma l’imperatore non voleva né abolire il consolato, né spegnere il comune di Milano o togliere
autonomia alla città, voleva solo costringerla a pagare e a riconoscere l’autorità imperiale. Non voleva
cancellarli, ma soltanto inquadrarla all’interno dell’impero. La situazione si complicò alla morte di
papa Eugenio III, perché venne eletto papa Alessandro III. Fu il papa dello scontro con l’imperatore
che si giocava sui comuni d’Italia. Il risultato fu un movimento di forte opposizione nei confronti di
Barbarossa. Federico rispose ancora con un antipapa Vittore IV e l’insediò a Roma contro Alessandro
III, che cacciato dalla città scomunicò l’imperatore. Così nessuno era obbligato a obbedire a un
imperatore scomunicato. Milano ne approfittò per aprirsi un ulteriore varco di autonomia. Nel 1161 si
sollevò contro di lui, ma venne ripresa e costretta a dei pagamenti. L’imperatore si trovò due leghe di
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città che appoggiate dal papa, la lega veronese e la lega lombarda. Il papa scomunicò tutti coloro che
minacciavano la lega. Nel 1176 a Legnano l’esercito imperiale venne abbattuto. Gli effetti furono
rilevanti. L'anno dopo si arrivò a una tregua. A Venezia l’imperatore di sottomise e con la pace di
Costanza riconobbe la lega lombarda e rinunciò alla nomina degli ufficiali della città a impatto che in
cambio ai dichiarassero vassalli dell’imperatore. Il testo della pace di Costanza è considerato l’atto
legale di riconoscimento della personalità giuridica dei comuni. I comuni videro riconosciuta
dall’imperatore la propria autonomia. L’impero era in realtà, un potere lontano, non oppressivo per i
comuni italiani. Anche durante l’età medievale ci furono sostenitori di Federico, Dante l’avrebbe
ricordato come il “buon Barbarossa”. Nel 1186 Federico compì un altro gesto combinando il
matrimonio del proprio figlio Enrico, futuro imperatore, con la normanna Costanza d’Altavilla, erede
alla corona di Sicilia. Il dominio dell’impero sul mondo era ormai un sogno.
4.9 In partibus Infidelium
-Gerusalemme
Gerusalemme era un simbolo rappresentato in tutte le chiese cristiane, appariva nei mosaici, negli
affreschi ecc… Il pellegrinaggio era un fenomeno antico e radicato nella cultura dei cristiani, ma non
era solo un fatto cristiano. Gerusalemme stessa è città santa per tutte e tre le religioni monoteiste,
custodisce infatti i principali luoghi delle tre religioni:
- il muro del pianto
- la spianata del tempio di Salomone per gli ebrei
- il santo sepolcro per i cristiani
- la roccia dalla quale si pensava che Maometto fosse asceso al cielo
Da quando nel 638, si era arresa al Califfo Omar, Gerusalemme non era più cristiana, era musulmana.
Tuttavia ai pellegrini ebrei e crisriani non era mai stato impedito l’accesso ai luoghi santi, che pure si
trovavano in partibus fidelium. La storia dei pellegrinaggi nei luoghi della vita di gesù inizia molto
presto, forse dal momento stesso in cui l’editto di Milano, nel 313 ne rese lecito il culto. Una stasi del
pellegrinaggio cristiano si ha tra VII e X secolo, nell’età delle incursioni dei barbari, più per
l’insicurezza delle strade.
-Il grande viaggio
Raggiungere Gerusalemme non era la sola aspirazione dei cristiani; la storia dei pellegrinaggi si lega
anche a quella del popolamento di aree semi popolate d’Europa. Lungo i tragitti che attraversavano il
bacino della Garonna e quello dell’Alvernia, passaggi obbligati che portavano a Santiago, sorsero
numerosi luoghi attrezzati per il riposo, degli ospizi gestiti dai monaci che curavano anche le
manutenzioni di tratti di strada. Ogni centro di culto e preghiera a sua volta diventata sede di un
mercato o di una fiera, di una locanda o taverne. Le strade che conducevano al celebre santuario
spagnolo → cammino di santiago, coprivano l’Europa. Anche la via Francigena a sud è collegata a
Santiago, attraverso il suo percorso meridionale è collegata anche alla tomba di Giacomo e quella di
Pietro. Alle quattro mete del pellegrinaggio (Gerusalemme, Roma, Santiago di compostela,
Costantinopoli), vi sono anche quelle minori → edifici che ad esempio ricalcavano il santo sepolcro,
lo imitavano e conservavano qualche reliquia dei luoghi santi oppure qualche immagine venerata. Chi
infatti non aveva i mezzi era impossibilitato per fare il pellegrinaggio aveva l'opportunità di sostituire
il viaggio con mete più vicine. Spesso questi edifici si trovavano lungo le vie che portavano ai santuari
e diventavano delle tappe, delle stazioni.
-Dai musulmani ai cristiani: la reconquista della Spagna
La reconquista, cioè il recupero dell’Andalusia dai musulmani ai cristiani, fu un lungo processo,
iniziato nel VIII-IX secolo si protrasse fino al 1492, quando si chiuse con la caduta di Granada. Ma
nell’XI secolo ebbe una svolta importante. Divenne un’impresa collettiva della cristianità
occidentale. I re cristiani di Spagna furono molto abili a ottenere l’impegno delle altre potenze
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occidentali nella penisola. S’imparentarono con le casate francesi, propagando il pellegrinaggio verso
Santiago. Dalla metà del secolo (XI) i pontefici si impegnarono e invitarono i cavalieri d’occidente a
andare in aiuto ai regni cristiani. Nel 1063 papa Alessandro II dette il suo appoggio alla guerra e nel
1102, l’impresa militare della reconquista fu assimilata a una crociata. Il re Ferdinando I e suo figlio
Alfonso aiutati da alcuni cavalieri provenienti da varie aree della Francia, strapparono ai mori alcune
città. Collaboratore di Alfonso fu un condottiero castigliano Rodrigo Diaz de Bivar detto dai mori il
Cid Campeador, un nobile avventuriero mercenario le cui gesta divennero leggenda, dando materia a
un noto poema epico Cantar de mio Cid.
-Reliquie, miracoli e ricordi di viaggio (Approfondimento 222-223)
-Cristiani e musulmani: nasce e cresce l’idea della crociata
L’idea della lotta armata e della resistenza contro gli infedeli era già radicata da tempo nel pensiero
cristiano. Dalla metà dell'XI secolo si è già visto che i pontefici erano impegnati a sostenere la
reconquista e avevano propagandato l’idea della giusta utilizzazione della guerra in difesa della
chiesa. Il cristianesimo era stato uno degli strumenti principali della costruzione dell’identità politica e
culturale delle aree in cui si è diffuso. Nel medioevo lo spazio europeo tese ad identificarsi con la
cristianità. Cristiani e musulmani hanno spesso diffidato gli uni degli altri. Tra X e XI secolo si ebbe
un rimescolamento all’interno del mondo musulmano. L’Islam si era diviso in due: i sunniti
obbedivano al califfo di Baghdad; gli sciiti al califfo del Cairo. In mezzo a questi due blocchi Siria e
Palestina si erano divise in una serie di staterelli deboli e piccoli, che obbedivano ora all’una ora
all’altra delle due capitali. I turchi erano stati assoldati dai califfi e molti dei loro capi avevano
ricevuto estesi possessi terrieri in premio per i loro servizi, acquisendo un notevole potere. Poterono
con facilità, dal 1055, estendere la loro egemonia militare nella Persia e nel califfato di Baghdad e
qualche anno dopo, 1071, erano arrivati nel territorio bizantino annettendo l’Armenia e la Cappadocia
dopo uno scontro militare a Manzikert, sul lago di Van. Gerusalemme e la Siria erano state strappate
ai califfi d’Egitto. I turchi quindi avevano cercato spazio all’interno dei territori musulmani.
-Gli antefatti
Nel 1054 alcune chiese latine di Gerusalemme erano state chiuse al culto. L’ordine non era venuto dai
turchi, ma dal patriarca cristiano di Costantinopoli all’indomani dello scisma tra la chiesa orientale e
occidentale. L’anno dopo c’erano stati alcuni incidenti che avevano coinvolto i pellegrini ma anche in
questo caso non c’entravano i turchi. È vero che il loro dominio su Gerusalemme era stato più
militarizzato e meno tollerante di quello arabo, essi esigevano una tassa d’ingresso nella città, c’erano
stati episodi di abusi di potere, ma i pellegrini non correvano alcun rischio serio andando nei luoghi
sacri. E quando la situazione esplose e partì la prima crociata i turchi non governavano nemmeno più
la città che era stata recuperata dagli arabi. Nemmeno l’impero bizantino che nel 1095 chiese aiuto
all’occidente era davvero in pericolo, questo significa che le motivazioni della crociata non erano
negli “infedeli”, ma all’interno della cristianità occidentale.
-Urbano II invita a prendere la croce
Nel 1088 fu eletto papa Urbano II che completò l’opera di Gregorio VII. Egli non potendo risiedere a
Roma perché sede dell’antipapa Clemente III, nominato durante la lotta per le investiture, viaggiò in
Francia e in Italia. Il suo scopo era la vittoria sull’antipapa. Nel suo progetto c’erano una serie di
concili e forse un risanamento dello scisma tra oriente e occidente. Certo è che contatti tra la chiesa di
Roma e ambasciatori bizantini precedettero il concilio che si tenne, a Clermont-Ferrand, nel 1095.
In conclusione a un suo concilio il 28 novembre, Urbano pronunciò un celebre discorso nel quale
invitava i cristiani, soprattutto i cavalieri in Francia che in quel momento combattevano tra loro, di
posare le armi e recarsi tutti insieme in un pellegrinaggio di penitenza durante il quale li autorizzava,
se necessario, a difendere la chiesa dalla minaccia degli infedeli, come chiedevano i bizantini. Li
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invitava a portare sulle vesti una croce rossa. Il papa faceva sia appello per aiutare i bizantini sia per
liberare l’occidente dai combattimenti interni. Comunque un appello alle armi lanciato da un papa non
poteva passare inosservato, non poteva esistere un motivo legittimo per uccidere, per questo la chiesa
si trovò sempre in difficoltà a conciliare il “non uccidere” con la spedizione delle crociate.
-La crociata dei poveri di Cristo
Conquistare Gerusalemme non era un’impresa semplice e nemmeno capire come l’appello di
Clermont si trasformò in una spedizione armata. La tradizione assegna un ruolo importante a Pietro
l’Eremita, un predicatore che godeva di fama di santità. Nella Pasqua del 1096, a Colonia mentre
predicava il pellegrinaggio per ottenere il perdono dei peccati, trovò l’ascolto di un cavaliere povero,
ma abile con le armi, Gualtieri Senza Averi, che donò tutto ai poveri per seguirlo. Intorno ai due si
riunì un gruppo. La crociata dei poveri di Cristo, come venne chiamata, fu costituita da un gruppo di
predicatori e di poveri cavalieri e di contadini. Andarono verso i luoghi santi senza organizzazione e
per sfamarsi saccheggiarono le campagne e le città lungo il corso del Reno e del Danubio,
massacrando le popolazioni di ebrei, che vivevano abbastanza pacificamente con quelle cristiane.
Molti si persero per strada o furono uccisi, i pochi che arrivarono erano i più innocui, ma da allora si
stabilirono delle regole severe, nessuno poteva partire per una crociata o per un pellegrinaggio senza
aver prima ottenuto un permesso dai suoi superiori, sia si trattasse di un religioso che di un laico.
-1099: i cristiani a Gerusalemme
La prima vera crociata iniziò quando partirono da diverse parti dell’Europa contingenti militari,
guidati da personaggi prestigiosi esponenti della feudalità europea a livello elevato, tra questi Ugo di
Vermandois, fratello del re di Francia, Goffredo di Buglione, duca della Lorena, Boemondo
d’Altavilla. Queste truppe di misero in marcia nel giugno del 1097 da Costantinopoli, dopo due anni
espugnarono Nicea, Edessa e Antiochia, conquistarono Gerusalemme il 15 luglio 1099, dopo aver
massacrato quasi tutta la popolazione musulmana e quella ebrea. Così il Sepolcro era liberato. La
prima crociata entrò nella leggenda e anche nella cultura popolare, a essa si ispirò Torquato Tasso
nella Gerusalemme liberata, e nell’ottocento Verdi musicò I lombardi alla prima crociata. Due giorni
dopo la conquista i capi crociati eleggevano avvocato del Santo Sepolcro Goffredo di Buglione,
gettando le basi del regno latino di Gerusalemme. Goffredo non fu mai re del regno che governò
poiché il titolo spettava al papa, poiché secondo le leggi di Giustiniano le res sanctae non potevano
appartenere ad alcun potere terreno. Con i successi militari dei crociati vennero create tre signorie
feudali, il principato di Antiochia, quello di Edessa e la contea di Tripoli. Il sistema feudale così si
riproduceva in oriente. Dalla prima crociata ne trassero benefici Pisa e Genova che ottennero privilegi
commerciali per aver trasportato i crociati con le loro navi, anche se non parteciparono.
-Monaci e cavalieri tra gerusalemme e l’Europa
Uno dei prodotti più importanti della crociata fu la creazione degli ordini dei monaci guerrieri. Le
conquiste andavano difese, come anche il viaggio dei pellegrini, che avveniva adesso in mezzo a
popolazioni diventate ostili. Nei periodi in cui i pellegrinaggi erano più frequenti, erano organizzate
delle spedizioni militari, ma nel resto dell’anno il regno di Gerusalemme era di nuovo privo di
protezione e si trattava di un’isola cristiana in un mare musulmano. Ci voleva una forza militare
stabile. Nacquero a Gerusalemme degli ordini religiosi di tipo nuovo, monastico-militari. Si trattava
di gruppi religiosi che erano anche guerrieri: vivevano in comunità, pronunciavano voti di castità,
erano fedeli al papa e giuravano di assistere i pellegrini e di usare le armi contro gli infedeli. Il teorico
della figura del monaco cavaliere fu Bernardo di Chiaravalle. Tra i principali gruppi di monaci
cavalieri ci furono: l’ordine degli Ospedalieri di San Giovanni, che si proponeva soprattutto di
accogliere e difendere i pellegrini; i cavalieri del Santo Sepolcro, incaricati della guardia della tomba
di Cristo, i Templari, insediati nel tempio di Salomone. Più tardi nacquero i Cavalieri teutonici
impegnati nella cristianizzazione armata. Forti dell’appoggio della chiesa questi ordini divennero
molto influenti. I loro monasteri si eressero a guardia della Terrasanta, ne sorsero poi di nuovi lungo i
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cammini europei dei pellegrinaggi. In Spagna durante la reconquista nacquero atri tre ordini, di
Calatrava, di Alcantara e di Santiago.
-Gli storici e le crociate (Approfondimento pag 231-232)
-La seconda (1147-1148) e la terza crociata (1190-92)
Nonostante la protezione dei monaci cavalieri, il regno di Gerusalemme si trovò di nuovo in difficoltà,
quando i turchi impadronitosi di Edessa, minacciano da vicino le conquiste crociate. La notizia arrivò
in Europa in un momento molto difficile, erano anni di carestie e di crisi economica, inoltre in cielo
era apparsa una cometa, considerata segno di sventura. Bernardo di Chiaravalle allora propagandò con
energia una nuova crociata. Dio, diceva, non ha bisogno delle crociate per liberare la Terrasanta, ma
con essa offre ai cristiani un mezzo per la salvezza eterna. La seconda crociata bandita da papa
Eugenio III nel 1147, coinvolse i grandi potenti del tempo: il re di Francia Luigi VII e quello di
Germania Corrado III. I crociati trovarono in Terrasanta una sorpresa, perché in cinquant’anni i latini
si erano orientalizzati, ormai trattavano senza diffidenza gli infedeli e non nascondevano nemmeno il
loro fastidio per lo slancio europeo antimusulmano. A loro volta i crociati guardavano con disprezzo
questi occidentali. Per questi motivi, per errori militari, per gelosie e rivalità tra i sovrani la crociata fu
un fallimento. Cominciò allora la riscossa musulmana, che non si fermò fino alla spartizione di tutti
gli stati crociati. Una trentina d’anni più tardi Egitto e Siria si unificarono in un regno guidato dal
sultano Saladino. Nel 1187 egli entrò trionfante in Gerusalemme, acclamato come eroe che aveva
riconquistato la Città Santa dell’Islam. In occidente si bandì in fretta una terza crociata per la quale si
mobilitarono personalmente l’imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo Augusto, il re
d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Sicilia Guglielmo III. Barbarossa sconfisse i
musulmani a Konya ma morì prima di arrivare in Terrasanta, annegò mentre faceva il bagno in un
fiume di Cilicia. Gli altri sovrani non riuscirono a liberare Gerusalemme e si ritirarono anche gli
ordini monastico-militari. Per i cristiani anche la terza crociata si chiudeva in fallimento. Il Saladino,
invece, non solo sconfisse i crociati, ma fece dell’Egitto la più importante potenza del Medioriente.
Con un accordo garantì ai cristiani libero accesso al Santo Sepolcro.
-Le crociate e l’antigiudaismo (Approfondimento pag 234-236)
CAP 5 “L’ETA’ D’ORO”: IL DUECENTO E IL PRIMO TRECENTO
5.1 La grande crescita delle città e delle campagne
-Mai così tanti: la popolazione al suo massimo
La popolazione europea nel corso del XIII secolo raggiunse il suo massimo. Anche se non tutti gli
studiosi concordano, in quanto nonostante il progredire dell’organizzazione della vita urbana,
continuava a non esistere alcuna forma di anagrafe per registrare i nuovi nati, né mai furono promossi
dei censimenti. Al vertice della piramide della popolazione europea troviamo alcune città italiane,
ovviamente esclusa Costantinopoli che era capitale di un impero. In Italia dove la vita urbana non era
cessata mai del tutto alcune città crebbero d’importanza politica ed economica, anzi si trovavano già
nel duecento quelle che noi oggi chiameremmo metropoli. Tra le metropoli italiane c’era Milano, che
era la città più popolosa d’Europa. Tra quelle europee c’era Parigi. L’Andalusia era stata fino alla
reconquista una “terra di città”. Le sue più grandi città come Cordova e Granada subirono forti perdite
dopo la reconquista. Palermo era l’unica città del sud in cui gli abitanti superavano i 50 mila, ad essa
si affiancava Colonia, la città più popolata della Germania e in Russa Novgorod. Tra la fine del
duecento e gli inizi del trecento si collocavano in una fascia alta le città dell’Italia
centro-settentrionale: Bologna, Verona, Brescia, Cremona, Siena e Pisa. Infine vi era una rete molto
fitta di piccole città italiane.
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-La città foresta di pietra e di mattoni
Alcuni caratteri, come le mura e le torri, che ancora oggi riconosciamo in diversi nuclei antichi di
molte città europee, sono eredità dello slancio edilizio del duecento, le mura non solo proteggevano i
suoi abitanti e filtravano il flusso della gente e delle merci, disegnavano anche lo spazio all’interno del
quale vivevano solamente uomini liberi, soltanto chi stava all'interno delle mura poteva avere quei
diritti. Tra il duecento e il trecento all’interno delle mura che mano a mano si andavano ampliando
vennero ad essere inseriti anche pezzi di campagna, che acquisiva anche valore di terreno edificabile.
Leggendo la carta di una città che abbia una storia medievale restano quasi sempre leggibili i disegni
delle strade, le torri riassorbite in edifici più grandi che si riconoscono dalle finestre o dalla larghezza
delle mura a piano terra scomparse perché assorbite nelle case o divenute strade, ma delle quali è
possibile vederne il tracciato. Non tutti gli edifici che ne hanno l’aspetto però risalgono al medioevo,
poiché nell’ottocento l’Europa attraversò un vento culturale che voleva che si costruisse alla maniera
che si riteneva medievale, anche quando ormai il gotico era molto lontano. Questo modo di costruire è
chiamato oggi neogotico. Il flusso di gente che si spostò nelle città fu paragonato all’epoca delle
migrazione. Innanzi tutto furono soprattutto i contadini a trasferirsi in città, un po più tardi
cominciarono anche i proprietari fondiari. Nel duecento il segno evidente che la popolazione fosse
cresciuta fu la costruzione di nuove mura che ampliavano l’area urbana. La città duecentesca
nonostante le sue diverse forme, ebbe sempre uno slancio verticale, per motivi difensivi e di prestigio,
secondo un modello di vita guerresco e nobiliare, ma anche per sfruttare il terreno edificabile il più
possibile. Nelle abitazioni unifamiliare al piano terra c’era la bottega dell’artigiano e sopra viveva la
sua famiglia. Le città erano tutte un cantiere dato che nel corso del duecento furono costruite nuove
abitazioni per la popolazione che cresceva. Furono costruiti ospedali, fonti e acquedotti, vennero
innalzate cattedrali gotiche, come Notre-Dame di Parigi e Santa Maria del Fiore a Firenze. Aumentò
anche la necessità di manodopera anche femminile. Anche i monaci furono chiamati nei grandi
cantieri urbani.
-Segni e tracce del medioevo nelle città europee moderne e contemporanee (Approfondimento pag.
242-243)
-La campagna e la città
Nonostante il forte inurbamento la maggior parte della gente continuava a mantenersi con i prodotti
della terra. La popolazione in così forte aumento, aumentò anche in campagna. In questi secoli quindi
la prosperità continuava a dipendere dalla terra. Tanto più cresceva una popolazione che non aveva di
che sfamarsi, tanto più veniva chiesta alla campagna una produzione che superasse autoconsumo della
famiglia del coltivatore, i contadini dovevano sfamare loro stessi e i cittadini. Una risposta alla
minaccia delle carestie era data dalla rete di scambi. I granai inviavano cereali per mare verso le
regioni che consumavano di più perché più popolose, le città si occupavano di organizzare il trasporto,
la conservazione e la vendita nei mercati. In Italia il grande sviluppo demografico urbano contrastava
con la povertà delle campagne, spesso insufficienti ad assicurare il necessario alle città cui
appartenevano. Furono creati appositi uffici, annone, incaricati di produrre i cereali necessari, anche
importandoli dall’estero. Tutte le città più grandi misero a punto leggi per i tempi di carestia.
Ricomparve l’uso dello stoccaggio del grano in silos sotterranei ricoperti di paglia. L’aumento del
bisogno di alimenti spinse a destinare alcune zone all’agricoltura intensiva. Per questo ad esempio
molte città ricorsero anche alle leggi dell’ingrossazione, quelle norme che obbligavano il proprietario
di un piccolo appezzamento di terra situato in mezzo a proprietà altrui a vendere terra al vicino. Gli
orti si fecero più fitti vicino ai centri urbani e al loro interno, producendo elementi sia per il consumo
familiare sia per il mercato cittadino: lavorare l'orto era un mestiere prevalentemente femminile.
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-Liberazione dei servi e nuovi contratti agrari
Nel corso del XIII secolo si diffuse un modo di dire “l’aria della città rende liberi”. Significava che un
servo non poteva essere ripreso dal padrone se risiedeva in città da un certo tempo. Nel tempo la
servitù personale si era allentata. E comunque fuggire in città non era stato mezzo per conquistare la
libertà. Innanzi tutto ci furono le carte di libertà. Con la lotta secolare, attraverso laboriose trattative
e accordi economici dettagliati, intere comunità cittadine ebbero una certa autonomia ottenendo carte
di concordia, di libertà, ordinamenti o statuti nei quali diritti e doveri venivano messi per iscritto. Poi
c’erano le liberazioni collettive. Nel corso del duecento ci fu un'accelerazione del processo di
liberazione dei servi con affrancazioni d’interi villaggi. I comuni italiani procedettero alla liberazione
collettiva dei contadini, tra essi è noto il liber paradisus, con il quale il comune di Bologna riscattò
quasi 6000 servi, pagando ai loro proprietari una somma di denaro. La motivazione ideologica fu che
Dio ha creato l’uomo libero, ma in realtà i motivi erano vari, per sfoltire le città sovraffollate e
ricacciare i contadini a lavorare in campagna e per aumentare la popolazione tassabile. Infine la libertà
si poteva comprare, singolarmente o a piccoli gruppi, in cambio di denaro o di un bene immobile.
Tanti contadini europei alla fine del XIII secolo erano arrivati a lavorare la terra da uomini liberi. Tra
duecento e trecento si moltiplicarono gli affitti di terra stipulati per tempi sempre più brevi e pagati
con un canone in denaro o in natura, talvolta fisso o altre volte un terzo o metà del prodotto. Dal XIII
le campagne divennero sempre più largamente attività per gli usurai che prestavano denaro a un forte
interesse. Per esempio il contadino riceveva del denaro che si impegnava a restituire con il grano del
futuro raccolto, cioè quando i prezzi erano bassi e occorreva una forte quantità di cereale per coprire
la somma ricevuta. oppure poteva darsi che quando vi erano prezzi alti il contadino chiedesse del
grano che in seguito avrebbe dovuto restituire per lo stesso valore quando i prezzi poi erano scesi.
Oppure ancora, il contadino riceveva un cereale di scarso pregio e doveva restituirlo con il frumento.
Altri prestiti prevedevano il pagamento di quattro, dieci o anche venti anno e se il debitore non poteva
più pagare automaticamente il prestatore si impadroniva dei beni dati in garanzia
-Le università e la crescita culturale nelle città
Nell’alto medioevo le scuole monastiche avevano rappresentato i centri del sapere per eccellenza,
ricoprendo un ruolo di notevole importanza nella conservazione ed elaborazione della scrittura.
Nell’Europa carolingia erano state loro accostate le scuole episcopali o cattedrali, che avevo finito per
superarle d’importanza. Il fenomeno delle scuole cattedrali era stato molto sviluppato in Francia
nelle quali arrivavano studenti da ogni dove. In alcune città operavano talvolta scuole di altro tipo
chiamate laiche. La crescita urbana fui accompagnata da una crescita culturale. Gli uomini d’affari
avevano bisogno di notai, scrivani, uomini di legge e insegnanti. Avevano necessità di saper leggere e
scrivere, di tenere i conti e di parlare altre lingue, e per questo le scuole di religione non bastarono più.
Soprattutto nell’Italia comunale, la borghesia istituì scuole pubbliche laiche, per trasmettere ai propri
figli una cultura prevalentemente pratica che li preparasse al commercio, all’amministrazione, alla
conoscenza delle leggi prima di mandarli in un fondaco (magazzino, azienda). Ovviamente l’accesso
all’istruzione era limitato. S’infrangeva così il monopolio dell’istruzione che avevano detenuto per
lungo tempo gli ecclesiastici. In molte città il livello d’istruzione crebbe notevolmente, insieme al
numero di laici che avevano accesso alla cultura. Ma alla maggior parte della popolazione, cioè alle
donne e ai ceti bassi si continuò a non insegnare nemmeno a leggere e a scrivere. Quelle che noi oggi
chiamiamo università, sorte nel XI secolo, si erano diffuse soprattutto nel corso del duecento,
venivano chiamate Studi generali. Con il termine universitas si intendeva invece il gruppo di scolari
e professori che si riunivano in un associazione in difesa dei loro diritti e interessi, per chiedere
all’autorità civile o ecclesiastica il riconoscimento come Studio. Essere riconosciuti era fondamentale
se volevano che il loro titolo di studio avesse valore legale. Tre erano le università più importanti:
Parigi, Bologna e Oxford. Quella di Parigi ottenne tre autonomie importanti: autonomia rispetto alla
giurisdizione ecclesiastica, sottomentendosi solo al papa e non al vescovo, autonomia di gestione,
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autonomia dall’autorità regale. Sempre a Parigi Per iniziativa di Roberto Sorbon e con l’aiuto del re
Luigi IX nacque nel 1257 il primo collegio universitario. Quello di Bologna fu riconosciuto da
Barbarossa nel 1158. L’università di Oxford era attiva del XII secolo, ma ebbe un vero boom nel 1229
quando vi si spostò per studiare una parte degli studenti dell’università di Parigi. Nel corso del
duecento vennero fondate molte altre università. Papa ed imperatore si occuparono sempre di più
dell'istruzione superiore e da allora solo quegli studi che avessero ricevuto da loro un riconoscimento
potevano rilasciare a chi si laureasse un titolo di studio valido ovunque (dottore→ colui che poteva
insegnare) C’erano alcuni elementi che rendevano simili gli studi europei, prima di tutto gli studenti e
i maestri si spostavano di frequente anche su grandi distanze, anche per questo lo studio avveniva in
latino, perché una sola lingua consentiva l’abbattimento delle barriere linguistiche. Seguiva il modello
della scolastica, i libri venivano letti e commentati in comune, poi il maestro trovava un argomento
per la discussione e infine diceva il suo punto di vista. Questo sistema fu adottato per molti secoli. I
testi più letti erano quelli sacri, ma anche Aristotele, Euclide e Cicerone. Dalla metà del duecento
sorsero le prime librerie universitarie. Caratteristiche della vita intellettuale del secolo furono le
summe, ovvero grandi opere di sintesi scritte nelle università e non, anche nei monasteri. Nella sua
summa, il maestro mostrava le sacre scritture e gli insegnamenti della chiesa. La riscoperta del
pensiero di Aristotele fu anche una grande novità, ebbe anche un grande impatto politico. Non tutto il
sapere aveva però carattere filosofico, vennero scritti anche manuali di zoologia, di storia naturale
ecc… poi alcuni studiosi di bologna, dei medici, chiesero di poter studiare l'anatomia direttamente sui
cadaveri dei condannati a morte.
5.2 La rivoluzione commerciale al suo culmine
-La mappa del commercio europeo
Tra le grandi aree europee dei mercanti tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo troviamo: l’Europa
centro-settentrionale, dove nel duecento le fiere di Champagne erano molto attive. I mercati delle
Fiandre, dove stoffe di lana facevano da calamita ai mercanti di tutto il mondo. Una terza area
raggruppava mercanti e città del Baltico e del mare del Nord. Colonia fu la città leader di quest’area,
popolatissima, era cresciuta attorno ad un artigianato che lavorava molto sull’esportazione. Il
santuario dove si conservavano le reliquie dei re Magi ne, sede di pellegrinaggio, ne accentuava la
proiezione internazionale. Il duecento rappresentò l’età del successo internazionale degli italiani che
prestavano denaro e commerciavano denaro ormai su tutti i mercati e si spostavano su tre continenti:
dal mare del nord all’Africa, fino a Il Cairo e alla costa atlantica del marocco, dalla penisola iberica
all’Asia. La Francia era per molti di loro quasi una seconda casa. Figure di spicco nei mercati
internazionali erano i lombardi, come venivano chiamati alcuni mercati, banchieri d’oltrape di alcune
città come Milano, Piacenza ecc... E nel giro di cinquant’anni si fece schiacciante il predominio dei
fiorentini che dominarono i mercati come imprenditori. Sul mare un ruolo di primo piano rivestirono
Venezia e Genova. Fu con la quarta crociata che il saccheggio di Costantinopoli fruttò loro un enorme
bottino di guerra. Tramite queste due città l’Europa si legava all’Asia. Erano veneziani Matteo, Nicolò
e Marco Polo ed erano genovese Benedetto Zaccaria, Ugolino e Vadino Vivaldi. Intorno al commercio
per mare progredirono anche le scienze per rendere la navigazione meno empirica. Fu così che nel
XIII secolo Costantinopoli si riempì di Veneziani che possedevano la casa, il palazzo del doge e anche
un cantiere navale. Da lì a poco i veneziani iniziarono un movimento di affari anche a Damasco, in
Siria e anche in Cina. A metà del duecento Genova cominciò ad insidiare la supremazia veneziana sul
mediterraneo orientale. Dal 1261→ si piazza sul mercato bizantino, per riconquistare anche il potere a
Costantinopoli, facendosi aiutare da Michele Paleologo, quell’aiuto fu molto importante in quanto
riuscirono ad avere una posizione di privilegio a Costantinopoli. Insieme ai commerci progredisce per
mare anche la scienza→ astrolabio, bussola ecc....
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-I tessuti: il primato delle città delle Fiandre
La produzione di stoffe, soprattutto di lana, fu la “grande industria” delle città medievali. I tessuti
costituivano per l’Europa soprattutto una merce d’importazione. Venivano scambiati con la seta e il
cotone grezzi e con le spezie usate per la farmacologia e nella cucina. I più importanti produttori di
lana europei operavano in cinque città delle Fiandre francesi e in tre delle Fiandre fiamminghe,
utilizzando soprattutto la lana che veniva dall’Inghilterra. Anche gli italiani producevano tessuti ma si
trattava di prodotti meno belli, ma cominciarono a comprarle dal nord e tingerle, a rifinirle a proprio
gusto. L’industria delle rifinitura fu molto importante a Firenze
-Il mercante banchiere e il primato italiano
L’espansione del commercio impose in tutta Europa nuovi metodi di pagamento. Per comprare e
vendere era ormai necessario cambiare molte monete di diverso valore. Il banchiere divenne
indispensabile per l’attività del mercante. I banchieri genovesi furono i primi ad applicare accanto alla
pratica di cambio anche quella di deposito di denaro, rimborsabile su richiesta e la pratica del
giroconto, cioè quella attraverso cui si trasferiva da un deposito all’altro. Nel corso del XIII secolo si
affinarono gli strumenti di credito, affaristi, mercanti, banchieri e cambiatori erano al centro di un giro
di commercio e credito (in questo settore furono in primo piano i lombardi che erano anche al centro
di un giro di credito spesso spregiudicato ed usuraio). Per iniziativa italiana si diffuso l’uso del
contratto-lettera, un atto notarile con il quale il mercante si recava all’estero senza portare con sé una
grande quantità di denaro liquido. Essendo sempre in viaggio, mandava per iscritto al suo socio, che si
trovava in un’altra piazza, una lettera, con l’ordine di restituire la somma in altra moneta a un
rappresentante del banchiere in quella città. Il mercante pagava così con interessi il vantaggio di non
esporre il suo denaro ai rischi del viaggio. Il banchiere attraverso le sue filiali all'estero percepiva un
interesse sul prestito dissimulato dalle manipolazioni del tasso di cambio tra le monete. La lettera di
cambio era ritenuta lecita dalla chiesa. Prestare denaro invece era peccato di usura, quando non
fosse per spirito di carità e solidarietà, la chiesa non accettava nemmeno l’interesse percepito da chi
prestava. Tenendo conto del giudizio della chiesa la storiografia ha usato sempre il termine “usura”
ogni volta che nel medioevo si parlava di credito, attribuendo automaticamente un giudizio negativo
al prestatore, identificandolo come uno sfruttatore. Si è finito così per sottovalutare che la presenza di
prestatori ha favorito lo sviluppo di tante attività urbane. Oggi invece sì ritiene che un’attività di
credito intensa non solo possa migliorare i consumi, ma sia anche sempre segno di dinamismo
dell’economia. Le leggi antiusura medievali rallentarono forse lo sviluppo del credito verso forme più
moderne, ma impegnarono anche il cristianesimo che operava in quel settore a cercare i mezzi leciti
per un interesse aggirando il divieto, a discutere sul concetto di giusto prezzo o di produttività
capitale. L’attività di prestito→ cospicui patrimoni, accadeva così che gli usurai cristiani in punto di
morte donassero parte dei propri averi alla chiesa o ai poveri per mondarsi l’anima del peccato di
usura per gli illeciti guadagni.
-La nascita del purgatorio (Approfondimento pag 259-260)
-Il ritorno della moneta in Europa
Alla metà del duecento si iniziò a pensare in Europa al conio di nuove monete, prima d’argento e dopo
d’oro. Su questa decisione gli studiosi hanno molto discusso. Certo è che il prezzo dell’argento aveva
subito un aumento eccezionale, che nelle monete si aveva anche una componente di Rame, e che lo
scarso valore intrinseco alle monete occidentali non potevano essere utilizzate per il commercio
internazionale. Nacquero diversi coni: l’augustale, genovino, il ducato di Venezia, ma il fiorino le
superò tutte → era una moneta sicura, sempre gli stessi grammi, sempre la stessa lega. Inoltre i
mercati di Firenze avevano un raggio di azione più vasto: dal regno di Sicilia arrivavano a Napoli,
dalla Francia, all’Inghilterra e all’Asia.
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5.3 La chiesa Teocratica
-L’età di Innocenzo III e l’apogeo del potere monarchico del papa
Nel 1198 salì al soglio pontificio Innocenzo III, Lotario dei Conti di Segni. Il suo pontificato segnò il
trionfo del progetto di fare della chiesa una teocrazia, rivendicando al capo della cristianità anche il
potere assoluto su tutti i governi della terra. La teoria politico-religiosa che si sviluppò non fu del tutto
nuova, il suo successo derivò soprattutto dalla capacità di saper applicare le teorie dei suoi
predecessori, trasformandole in principi nettissimi e propagandole poi con metafore semplici e molto
efficaci e infine trasformate in concrete scelte di governo. Nel 1216 il papato era davvero la prima
potenza politica d’Europa e Innocenzo III fu una delle figure più importanti della storia della chiesa. Il
nuovo pontefice impegnò le sue energie nelle questioni interne, per riprendere il pieno controllo su
Roma. Egli ridusse al ruolo di semplice funzionario pontificio il capo del comune di Roma, costrinse
poi i feudatari a rinnovarli il giuramento di fedeltà e recuperò le terre anche in antico formavano
l’Esarcato, ma non si accontentava di regnare sul patrimonio della chiesa, voleva essere la guida del
potere imperiale. Per raggiungere quest’obbiettivo approfittò delle contese tra i pretendenti alla
corona imperiale, proponendosi come punto di equilibrio tra di loro. A indicargli la strada fu la
normanna Costanza d’Altavilla, regina e imperatrice di Sicilia, morì prima di poter portare a termine
un patto con Innocenzo per definire meglio i caratteri della dipendenza feudale della Sicilia dal papa,
ma non prima di averlo nominato tutore di suo figlio Federico. Così fino al 1208, anno della maggiore
età di Federico, papa Innocenzo III fu tutore di Sicilia. Il pontefice intervenne anche nella successione
dell’imperatore. Nel 1201 egli riconobbe i diritti di uno dei candidati alla corona Ottone di Brunswick,
contro quelli di Filippo di Svevia, fratello dell’imperatore defunto Enrico VI, in cambio Ottone
concesse ampia libertà alla chiesa tedesca e rinunciò alle pretese imperiali su Ancona, Spoleto, sulla
Toscana e sulla Sicilia. Divenuto imperatore Ottone però tradì l’impegno e tornò a rivendicare il regno
di Sicilia, Innocenzo lo scomunicò e pensò anche di spingere per l’elezione di un nuovo imperatore
che fosse più vicino ai suoi progetti, aspettò così la maggiore età di Federico e quando questo divenne
re di Sicilia, lo fece candidare alla corona imperiale. Ottone IV era legittimo imperatore in carica ma
privo di potere in quanto scomunicato. Il giovane Federico era aspirante alla corona imperiale in nome
dell’eredità paterna. Federico ebbe l’appoggio del re di Francia, Ottone da quello inglese e
fiammingo. Fu uno dei momenti più tesi dei rapporti tra Francia e Inghilterra. Si arrivò velocemente
allo scontro armato a Bouvines e Ottone e i suoi alleati subirono una dura sconfitta in quella che fu
chiamata “la battaglia delle nazioni”. Questa battaglia fu nel 1214, questa data è considerata simbolo
della fine dell’egemonia dell’impero nell’ordinamento politico della cristianità e l’ascesa verticale
delle singole monarchie su base nazionale. L’alleanza tra Federico di Svevia, Innocenzo III e Filippo
Augusto risultò trionfante. Nel 1215, ad Aquisgrana, Federico fu incoronato anche re di Germania e si
preparò a ricevere l’incoronazione imperiale con il nome di Federico II. Egli rinunciò alla corona di re
di Sicilia e la lasciò a suo figlio. Innocenzo III affermò la signoria del papa sui re della terra. Con
una serie di manovre riuscì a diventare un punto di riferimento per l’impero e per le altre monarchie
europee, il papato iniziò a controllarea alcuni territori. Il papa era davvero superiore a ogni altra
autorità terrena dell’Europa cristiana.
-1204: la quarta crociata ed il sacco di Costantinopoli
Con la morte di Salah ed-Din (il sultano di Egitto e Siria), nel 1193 i suoi domini is frammentarono,
creando la possibilità di nuvi interventi delle milizie crociate. Innocenzo III rilanciò la crociata e
definì giusta ogni guerra combattuta in nome della chiesa, comprese quelle contro gli eretici. Le tappe
della riaffermazione della cristianità che scaturirono da questa svolta ideologica, furono il sacco di
Costantinopoli nel 1204 durante la quarta crociata, il massacro degli albigesi nel mezzogiorno della
Francia nel 1209, la spedizione di Las Navas de Tolosa nella quale i re cristiani di Castiglia, Aragona
e Navarra sconfissero il califfo di Cordova. Circa 60000 musulmani furono uccisi o fatti prigionieri a
Las Navas, che è considerata la tappa più importante della fase finale della reconquista. Dopo quella
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data la Spagna musulmana si ridusse a una serie di piccoli regni, dei quali sopravvisse quello di
Granada. Nel 1204 a essere conquistata dai crociati fu la città cristiana di Costantinopoli, città
cristiana e non una terra musulmana, quest’atto fu la conclusione del deteriorarsi dei rapporti tra
bizantini e occidente, deterioramento che non era recente; era da tempo infatti che Bisanzio aveva
superato l’apogeo della potenza e della ricchezza, poi la divisione nel 1054 aveva approfondito le
differenze e provocato l’unione di diversi patriarcati. La terza crociata non era servita ai latini per
riprendere Gerusalemme, aveva significato tuttavia per Bisanzio perdere Cipro, conquistata da
Riccardo Cuor di Leone. Il conflitto tra occidente e Bisanzio era cresciuto. Intorno agli anni ottanta
del XII secolo Bisanzio aveva cominciato ad avvicinarsi al Saladino (1158→ alleanza saldata con un
accordo religioso: in base ad esso si consentiva ai musulmani di pregare nelle moschee di
costantinopoli, in cambio del rispetto del rito greco nelle chiese della terrasanta), aumentando così la
sua distanza dall’occidente. Quando morì il Saladino gli occidentali pensarono che fosse arrivato il
momento opportuno per liberare Gerusalemme e quindi organizzarono la quarta crociata. La strategia
era di colpire la potenza musulmana dove era più forte, perciò i crociati dovevano conquistare prima
tutto l’Egitto. L’iniziativa quindi partì da Innocenzo III che voleva inoltre espandere la propria
influenza nei Balcani, che cominciò a raccogliere i soldi per la crociata, il suo era più che altro un
obiettivo politico→ rafforzare la teocrazia pontificia e allargare l’influenza nei balcani dei re
cristiani. Venezia avrebbe fornito gratuitamente le navi necessarie al trasporto. Il doge di Venezia
Enrico Dandolo, divenne il vero capo della spedizione, accettando di trasportare i crociati a due
condizioni: che prima di puntare sull’Egitto si dirigessero in Dalmazia per recuperare Zara che era
passata sotto il regno d’Ungheria e che si costringessero i bizantini a mettere sul trono imperiale un
imperatore gradito a Venezia. I crociati partirono nel 1202 e non arrivarono mai ne in Egitto né in
Terrasanta. Zara fu conquistata e la spedizione deviò su Costantinopoli per attuare la seconda parte
delle richieste veneziane. Nel 1203 i crociati entrarono nella città e insediarono Isacco II Angelo
associandogli al trono il figlio Alessio IV. Ne seguirono mesi di congiure e una rivolta del popolo. I
latini decisero di spezzare le resistenze con una attacco forte. Il 13 aprile 1204 la città fu saccheggiata.
Il sacco di Costantinopoli aveva portato una crisi di coscienza in molti crociati che erano partiti con
l’idea di liberare il Santo Sepolcro e si trovavano nel pieno di un’operazione politica coloniale. Dopo
il sacco di Costantinopoli i territori bizantini furono divisi come bottino di guerra. Da essi nacquero
l’effimero impero latino d’oriente creato dai crociati con a capo il conte di Fiandra, Baldovino I, che
visse appena 50 anni e un monopolio veneziano sulle isole dell’Egeo e del Peloponneso, basato sulla
potenza navale e su una serie di colonie. Venezia prese la maggior parte del bottino. Quello che
restava dell’impero bizantino era in piedi nel piccolo stato di Nicea. Da lì l’imperatore Michele VIII
con l’aiuto dei genovesi riconquistò Costantinopoli e ricostruì l’impero bizantino anche se ormai era
solo un semplice stato greco. L’impero bizantino di fatto dopo 700 anni di storia morì con il sacco di
Costantinopoli, anche se formalmente rimase in vita fino al 1453.
-Il sacco di Costantinopoli visto da un bizantino (Approfondimento pag 267)
-La repressione del dissenso
La chiesa conobbe molte posizione dottrinali che furono conosciute come eresie. Molte di esse
crebbero tra XI e XII secolo. Nel corso del XIII secolo si passò dalla polemica e dalla propaganda alla
repressione. Ci furono eresie più accademiche che non uscirono da cerchie ristrette di intellettuali e
eresie che ebbero carattere di massa. Ci furono poi:
- correnti popolari di tipo profetico e millenaristico, tra le più sviluppate quella florense, dove
il profeta Gioacchino Fiore predicava l’era dello Spirito Santo. La chiesa la vide come
un’imminente distruzione delle gerarchie e alla morte di Gioacchino condannò i suoi seguaci.
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- correnti di povertà volontaria, accettate fino a quando la povertà era una scelta individuale,
tra le correnti di questo genere e da segnalare quella valdese, nata dalla predicazione di Pietro
Valdo, un ricco mercante, che si era fatto povero per seguire l’esempio degli apostoli.
Nonostante la benevolenza con cui papa Alessandro III avesse accolto il predicatore, il clero
di Lione pretese di subordinare l’ordine alla autorizzazione del clero locale, quando Pietro si
rifiutò, i valdesi furono scomunicati e cacciati dalla città.
- il catarismo è considerata l’eresia del medioevo, quella che ebbe più seguito popolare. La
loro fede era dualista, in quanto si basava sulla concezione di una lotta continua tra il Bene e
il Male. Dio era separato dal mondo, come l’anima dal corpo e lo spirito dalla materia. La
creazione della materia quindi non era atto divino ma opera diabolica e quindi il Dio Creatore
del Vecchio Testamento in realtà era il diavolo, e perciò la materia, il corpo umano e il creato
intero sono quindi da condannare, Cristo invece è uno spirito angelico venuto a combattere le
tenebre. Nell’uomo lo spirito che è il Bene è racchiuso nel corpo che è il Male. I catari
rifiutavano i sacramenti e le istituzioni degli uomini, erano fortemente anticlericali e avevano
una loro contro-chiesa. I catari rifiutavano i sacramenti che ritenevano non fondati sulle
scritture, come l'eucaristia ed il battesimo, vennero sostituiti da altri (consolamento ad
esempio). Erano tra l’altro fortemente anticlericali, avevano delle proprie gerarchie e propri
sacerdoti. Prime tracce di questa eresia si trovano nel X secolo nel mondo bizantino e nell’XI
in occidente. Innocenzo III raccolse l’allarme lanciato da San Bernardo per il successo
popolare di molte eresie.
-La crociata contro gli albigesi (1208). L’inquisizione
Il papa fece alcuni tentativi di recuperare alcuni gruppi, ma per la maggior parte scelse di allontanare
dai sacramenti o di espellere dalla comunità cristiana tutti coloro che non riconoscevano il primato
della chiesa. Tutti avevano in comune l’aspirazione a una vita di povertà più vicina a quella del
vangelo e questa predicazione era molto pericolosa perché metteva in discussione la potenza mondana
della chiesa. La battaglia più feroce fu quella contro i catari di Albi. Nel mezzogiorno della Francia la
situazione era particolarmente grave. Quando fu assassinato Pietro di Castelnau, un legato pontificio
che si era recato in quelle terre a nome del papa, la chiesa chiamò tutti i principi della cristianità per
una guerra che è chiamata crociata contro gli albigesi. In risposta al suo appello si formò un esercito
internazionale capitanato dal cavaliere Simone di Monfort. Non si trattava più di convincere l’eretico
dell’errore, si trattava di eliminarlo. La crociata contro gli albigesi fu un massacro e una guerra di
rapina. Il risultato fu politico e non religioso. Le regioni intorno ad Albi persero ogni autonomia e
furono consegnate dal papa al re di Francia. Innocenzo III però non era così ingenuo da pensare che
l’eresia si combattesse solo con le armi. Alla guerra fece seguito un progetto di sradicamento sociale.
Il papa predispose alcuni strumenti per consentire ai sacerdoti di controllare cosa accadeva nelle
coscienze della gente. Fu costruito infine l’Inquisizione, un tribunale come strumento per evitare che
le idee non ortodosse turbassero le coscienze. La chiesa poteva ricercare i sospetti di eresia e
condannarli e non potendo riconoscere a sé stessa spargimento di sangue, il potere civile assumeva il
ruolo di “braccio secolare” che eseguiva le sentenze e faceva scontare le pene. Fu autorizzata la
tortura per ottenere le confessioni. Per rendere più facile il lavoro del tribunale vennero scritti dei
manuali che dettavano norme per l’interrogatorio e il processo, servivano agli inquisitori a non
commettere errori e sapere quali domande fosse consigliato porre all’inquisito.
-Un villaggio di Occitania durante l’inquisizione (Approfondimento)
-Il IV concilio lateranense (1215)
Innocenzo III nel 1215 convocò il IV concilio ecumenico lateranense, che fu uno dei più importanti
della storia della chiesa per le diverse materie che trattò e per il numero di personaggi che vi
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parteciparono. Il concilio rese obbligatorie le confessioni e le comunioni annuali, costrinse gli ebrei
che vivevano tra i cristiani a portare un simbolo che li facesse riconoscere, stabilì come dovevano
essere pagate le decime, impose agli ordini religiosi di basarsi sui cistercensi, imposte al quarto grado
di parentela il limite oltre il quale i consanguinei non potevano sposarsi tra loro, vietò ai chierici di
assistere agli spettacoli dei giullari e prese decisioni importanti sulle strategie della lotto contro le
eresie. Gli ebrei erano stati accusati di orribili delitti, come l’infanticidio rituale. I papi avevano
ripetute che erano solamente calunnie e avevano preso gli ebrei sotto la loro protezione. Innocenzo
aveva cominciato ad allentare la protezione degli ebrei. Da allora furono oggetto di espulsione.
Furono cacciati in gran numero dall’Inghilterra, da Champagne, Normandia e Linguadoca. Il concilio
infine si chiuse con un appello alla cristianità, che partisse una nuova crociata verso le terre
musulmane e ricevesse il perdono dei peccati non solo chi andasse a combattere contro gli infedeli ma
anche chi finanziasse la spedizione o trasportasse i crociati. Si trattò dell’ultima volontà politica di
Innocenzo III che morì un mese dopo.
-La quinta, la sesta e la settima crociata
La quinta crociata venne organizzata dal suo successore Onorio III. Fu una spedizione militarmente
monopolizzata da i contingenti germanici, che s’indirizzò contro l’Egitto con scarsi risultati. I crociati
dopo un anno di assedio occuparono Damietta ma dovettero restituirla due anni dopo. Ci furono altre
crociate nel corso del duecento e nessuna ebbe come obbiettivo la Terrasanta. Nel 1228 Federico II
risolse la situazione degli accessi ai luoghi sacri con accordi diplomatici, ottenendone la liberazione
per dieci anni. Ma a Federico fruttò l’accusa di infamia, per aver trattato con gli infedeli. La zone fu
ripresa dai musulmani, poi dai cristiani, e ancora dai musulmani. La sesta crociata alla quale partecipò
anche l’imperatore fu bandita poco dopo ed ebbe come obbiettivo ancora l’Egitto. Damietta fu
riconquistata, ma la guerra finì quando il re di Francia, Luigi IX, fu fatto prigioniero. Le settima fu
condotta sempre da Luigi IX insieme al fratello Carlo d’Angiò re di Sicilia. I genovesi giocarono un
ruolo importante nella sua organizzazione, ma la spedizione inizialmente diretta verso Tunisi fu un
fallimento.
5.4 Il cristianesimo evangelico: Domenico e Francesco
-Mendicanti per imitare cristo
Innocenzo III sapeva che di fronte ai mutamenti che investivano la società a tutti i livelli la chiesa
doveva rispondere con un’arma di rinnovamento, l’arma adatta la trovò negli ordini mendicanti. Punto
di partenza come in passato fu la povertà. Ma con una novità, non bastava la povertà del singolo
monaco nella ricchezza complessiva del monastero, occorreva che fosse povero il singolo, nella
povertà di tutti gli altri fratelli. La chiesa intuì che questa poteva essere la risposta che finora era
mancata di fronte ai fermenti di rinnovamento della società. Predicando tuttavia un messaggio simile a
quello degli eretici, questi mendicanti iniziavano la riconquista della coscienza della chiesa. Con loro
essa provava a riassorbire senza armi, senza roghi né condanne, le spinte eretiche presenti nella
cultura laica, l’esperienza dei frati mendicanti nacque quindi nello stesso ambiente di altre correnti
pauperistiche ritenute ortodosse. I mendicanti scelsero di vivere di carità. Essi somigliavano agli
eretici prima di tutto per la loro ispirazione al vangelo, traevano le risorse economiche quasi
esclusivamente dalle offerte dei fedeli e non dai redditi derivanti dallo sfruttamento delle proprietà
fondiarie o dai diritti signorili. Si radicarono in ambienti popolari, non furono cioè il prodotto di
dispute colte. A differenza degli eretici questi però predicavano l’obbedienza alla chiesa e crebbero
più nelle città che nelle campagne, in quelle città da dove i monaci si allontanavano per l’isolamento.
Comparve vicino a quella del monaco la figura del frate. Il frate non era un monaco, perché non
viveva in un chiostro isolato, anzi cercava il punto più popolato del mondo, che era la città e da lì
diffondeva il vangelo.
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-I frati predicatori di Domenico di Guzman
Domenico di Guzman (11170-1221) fondò l’ordine che fu detto dei frati predicatori o, dal suo nome,
domenicani. Durante un viaggio in Francia entrò in contatto con l’eresia catara e arrivò alla
conclusione che per combatterla occorresse convincere i fedeli con duse strumenti: la parola (la
predicazione) e l’esempio (la povertà). Nell’anno della morte di Domenico, avvenuta a Bologna nel
1221, l’ordine contava già più di una ventina di conventi, divisi in otto circoscrizioni (province)
Giocando sul nome, i domenicani, finirono come domini canes, cioè “cani da guardia del signore"
contro l'eresia. I loro conventi si inserirono all'interno o immediatamente all'esterno delle mura
urbane, dove le città crescevano, tra la gente da poco inurbata alla quale più facilmente potevano
mancare punti di riferimento e guida religiosa. I conventi domenicani divennero perciò anche centri di
studi teologici e biblici, nelle università o frati occuparono presto le cattedre di teologia e filosofia.
Appartennero all’ordine i più apprezzati della scolastica come Tommaso d’Aquino. Dette via anche ad
una comunità femminile, nata per dare istruzione alle ragazze e sottrarre dalla propaganda catara, si
organizzò un piccolo nucleo di sacerdoti che fecero la medesima sua scelta di povertà e di mendicità.
Poco dopo il IV concilio lateranense, accompagnato dai suoi si reca a Roma per la conferma della sua
regola di vita che gli venne data poi la Onorio III nel 1216. Ogni convento era dotato di un maestro di
teologia e la giornata dei fratelli era largamente dedita allo studio, alla preghiera e alla predicazione.
-Francesco
Quasi contemporaneamente ai domenicani, dall'esperienza di Francesco d’Assisi (nato nel 1182, figlio
di un mercante di Assisi che commerciava con la Francia) nacquero in Italia i frati minori
(francescani). La loro origine non fu tanto diversa da quella di tanti gruppi eretici: posizioni dottrinali
molto semplici, basate sull’interpretazione del vangelo, che si richiamavano ad ideali di non violenza
e di povertà. Fu la fedeltà totale che Francesco dichiarò al papa (1210), pur predicando la povertà
assoluta, a fruttargli l'approvazione. I Francescani praticavano una predicazione più accessibile di
quella domenicana. Francesco parlava un linguaggio alla portata di tutti,in gran parte della vita di tutti
i giorni e lo sosteneva con gesti simbolici ed effetti scenici, incarnando il modello del Giullare di Dio.
-La nascita dell’ordine Francescano
Francesco non approvò mai la trasformazione della comunità in ordine, non amava lo schema rigido
che ne derivava. Ma le gerarchie della chiesa avevano fatto forti pressioni e Francesco l’accettò per
quello spirito di obbedienza e, deluso e stanco, nel 1224 si ritirò sul monte della Verna e li tornò al
modello di vita dei primi anni, alla cura dei lebbrosi e all’eremitaggio. Francesco morì nel 1226 e
appena due anni dopo fu dichiarato santo e nello stesso anno Assisi cominciò a costruire la basilica
che porta il suo nome. Quella di Francesco si rivelò un eredità difficile. La frattura all’interno
dell’ordine quando era ancora vivo si accentuò alla sua morte. Gli storici hanno molto discusso se i
compagni e i successori di Francesco abbiamo tradito i suoi ideali o se si sia trattato solo di
adattamento alla realtà della chiesa di quel tempo. L’ordine si divise in due gruppi avversi, quello più
radicale e rigorista degli spirituali e quello più moderato dei conventuali, i primi volevano tornare ai
propositi dei primi tempi, professando povertà assoluta, i secondi volevano costruire
un’organizzazione ordinata, colta e adatta a servire la curia romana, che li sosteneva. Durante il
governo di Bonaventura, s’impose la linea dei conventuali: si affermo anche il princio di un uso
povero del bene→ un uso cioè moderato, strettamente limitato alle necessità senza eccessi e abusi.
Gregorio IX autorizzò i frati minori ad accettare le offerte in nome della chiesa che le avrebbe
amministrate. Chiara rifiutò questa dispensa per il convento femminile da lei fondato sulla scia della
scelta di Francesco, l’accettò invece Bonaventura per quello maschile. Gli spirituali ebbero un
momento felice quando nel 1294 fu eletto papa Celestino V, un frate molto vicino alle loro idee. Ma
Celestino il “papa angelico”, abdicò poco dopo e la vita per gli spirituali tornò ad essere difficile, fino
a quando non furono perseguitati come eretici da papa Bonifacio VIII.
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-La biografia ufficiale di Francesco: La legenda Maior
I parroci per poter presentare ai fedeli i valori di Francesco avevano bisogno di un testo ufficiale che
potesse essere letto durante le liturgie. Papa Gregorio IX affidò a Tommaso da Celano, che era
estraneo alle due parti, di scrivere la biografia del santo. E Tommaso lo fece, descrivendo la vita
semplice di un uomo, sempre obbediente al vangelo, nel suo testo erano citati due fatti miracolosi: la
predica agli uccelli e l’impressione delle stimmate. Ma i dirigenti che ormai reggevano l’ordine
convinsero Tommaso ad aggiungere altri miracoli. In tutte le immagini che lo rappresentano,
Francesco è segnato dalle stimmate che sintetizzano la sua identità con Cristo. Sul fatto che le avesse
ricevute esistono solo due testimonianze del suo discepolo Frate Elia. Nel 1263, Bonaventura fece
scrivere la Legenda Maior, una biografia ufficiale nella quale egli non fu dipinto come quell’uomo
forte che era stato nella vita quotidiana, in mezzo agli uomini come lui, ma come un essere che non
apparteneva a questo mondo. Tre anni dopo Bonaventura fece distruggere con un colpo di mano tutte
le altre biografie del santo, qualche manoscritto fuggì per caso alla distruzione.
-Chiara
Accanto all’ordine maschile dei frati minori si sviluppò quello che venne poi detto delle clarisse o
secondo ordine francescano, risultato dell’istituzionalizzazione della regola di vita messa in piedi a
San Damiano da Chiara d’Assisi (1194-1253) su imitazione di quella di Francesco. Chiara aspirava
ad una vita di religione, ma non era interessata ai monasteri tradizionali. Lei e Francesco si sarebbero
incontrati più volte per sciogliere insieme interrogativi importanti. Poteva chiara intraprendere una
vita girovaga e di perpetua marginalità come era quella che conduceva Francesco con i suoi
compagni, vivendo nelle chiese abbandonate? La società del tempo avrebbe accettato questo
comportamento da parte di una giovane donne?P La regola delle sorelle, prudentemente scelse la
totale povertà ma non il vagabondaggio. Con forza e decisione, dopo la morte di Francesco, Chiara
rifiutò dalla chiesa la possibilità di possedere beni che era stata accettata dall’ordine maschile, anzi,
chiese al papa il privilegio della povertà. Il carattere eccezionale di San Damiano scomparve dopo la
morte della sua fondatrice.
-Fermenti e trasformazioni tra duecento e trecento
Dopo la canonizzazione di Francesco cominciarono a sorgere conventi e chiese dedicati a lui. A chi
non se la sentiva di lasciare la famiglia, veniva poi proposta un’alternativa più moderata, che fu detta
terzo ordine francescano. Tra francescani e domenicani ci furono molte somiglianze, ma anche
profonde differenze. Quello dei domenicani fu un nuovo clero, perché i compagni di Domenico erano
preti, mentre non erano sacerdoti i compagni di Francesco. La povertà fu per Francesco una scelta più
radicale che per i domenicani. La predicazione domenicana era dotta e prendeva in esame i dogmi
della fede, mentre quella di Francesco era più popolare. Questo non significa che fra i francescani non
ci siano stati personaggi dotti. Del resto dopo la morte di Francesco anche i frati minori erano stati
avviati allo studio della teologia e quindi della filosofia. All’interno dell’ordine ci furono delle
resistenze da parte di chi desiderava continuare a ispirarsi alla primitiva esperienza di Francesco che
aveva messo in guardia i suoi compagni dalle insidie della scienza. Sia francescani che domenicani
dal 1232 furono coinvolti nella gestione dei tribunali dell’Inquisizione contro gli eretici, ma furono
molto più spesso i domenicani a ricoprire il ruolo di inquisitori. Sul finire del secolo in Italia si erano
sviluppate nuove correnti pauperistiche. Quella di fra Dolcino fu la più esplosiva, condannava la
ricchezza delle chiesa e praticava la povertà e l’attesa della fine del mondo. I dolciniani si dispersero
alle prime persecuzioni, Dolcino rimasto solo, fu preso per fame e poi bruciato.
-Il pacifismo medievale ei suoi limiti (Approfondimento pag. 284-285)
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5.5 Il tramonto dell’impero e delle idee universali
-Federico II: l’ultimo grande imperatore:
Dopo la morte di Barbarossa, l’idea che potesse esistere un potere superiore a quello del papa, dei re,
dei signori e dei comuni, un’autorità sovrannazionale che unificasse l’Europa rimase solo un sogno.
Non si pensi che Enrico VI, suo figlio, non avesse un progetto politico chiaro. Divenuto re di Sicilia
nel 1186 per aver sposato la normanna Costanza d’Altavilla, nel 1190 aveva unito il regno di Sicilia ai
domini imperiali, ma morì troppo presto perché questa unione potesse tradursi in un progetto
universale. L’idea di impero universale trovò il suo ultimo interprete in Federico II, nipote di
Barbarossa. A quattro anni fu re sotto la tutela di Innocenzo III, a quattordici re di Sicilia a pieno
titolo e a ventuno imperatore per volontà del suo tutor. Federico di Svevia fu eletto nel 1215 e
incoronato nel 1220. Fu un sovrano importante, dotato di notevoli capacità organizzative, che lasciò
una traccia profonda. I nemici lo attaccarono con durezza, la propaganda guelfa antimperiale utilizzò
il suo amore per la cultura araba per accusarlo di somigliare di più a un sultano che a un imperatore
cristiano e lo presentò alla gente come “la bestia dell’Apocalisse”. Il papa finì per scomunicarlo. I suoi
amici invece lo videro come colui che avrebbe riportato la giustizia del mondo, perché il suo operato
era ispirato da un disegno divino. Intorno a Federico si raccolsero i poeti della scuola siciliana, che
diedero forma al volgare poetico italiano, egli si circondò anche di una equipe di dotti di varie lingue e
culture. Federico è stato descritto a volte come un superuomo, a volte come un anticipatore del
Rinascimento, a volte anche come un despota. L’imperatore progettò che il suo impero divenisse
universale e che si formasse su singoli regni. Per essere così doveva unificare sotto una corona il
regno di Germania e di Sicilia, doveva essere riconosciuto re d’Italia, e doveva avere il suo centro in
Roma.
-L'imperatore rafforza la monarchia nel mezzogiorno d’Italia
I domini che componevano l’impero erano molto diversi. La Germania aveva una sua organizzazione
politica e amministrativa feudale-vassallatica. La Sicilia era una monarchia centralizzata. L’Italia
centro-settentrionale era caratterizzata da forti comuni ormai molto autonomi. A Roma, nei territori
della chiesa che si erano irrobustiti sotto Innocenzo III, non c’era posto per l’imperatore. Federico II
alla morte di Innocenzo III per prima cosa ruppe la promessa che gli aveva fatto di mantenere separato
il regno di Sicilia da quello della Germania. Così dal momento della sua incoronazione l’impero coprì
dalla Germania alla Sicilia, interrotto dal patrimonio di San Pietro. Egli decise di fare del regno di
Sicilia il centro dell’impero. Nel regno Federico rafforzò il potere monarchico, dotandolo di mezzi e
strumenti che rappresentavano soprattutto il tentativo di imporsi sui feudatari del regno. Egli costruì
una legislazione unificata per tutto il regno. La conclusione di quest’opera fu il Liber augustalis o il
liber constitutionum regni Siciliae, noto anche come costituzione di Menfi (1231) : un codice di
leggi che rifacendosi al diritto romano e alla legislazione normanna, compiva un passo decisivo per
superare la consuetudine. Federico centralizzò anche le scritture pubbliche, organizzò un archivio del
regno e introdusse l’uso di registrare gli atti in una cancelleria. Federico si propose come il motore di
tutte le attività umane: il principe è il centro, la sua funzione di governo è un dovere ispirato dalla
provvidenza divina, intorno a lui ruota la burocrazia, la cultura e l’economia. Dette al regno un
carattere autoritario e centralizzato. Federico combattè anche i baroni del regno e in Sicilia attuò
una vera e propria destrutturazione della cultura tradizionale saracena e dopo una resistenza dalle
montagne deportò dall’isola gli ultimi musulmani. costruì in punti strategici anche dei castelli reali
(costituzione di menfi→ stabilità monarchica data anche dal possesso di castelli). Organizzò
l’amministrazione del regno in provincie, affidata ognuno a personale che riceveva un incarico,
revocabile e un salario statale. Per formare i funzionari del governo, egli fondò l’università di Napoli.
Per tenere in piedi questo sistema centralizzato occorreva molto denaro, egli se lo procurò stabilendo
monopoli regi, creando un sistema di imposte permanente e aumento le tasse che percepiva sul
commercio estero. Il re si trasformò anche in mercante.
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-Quando anche i nuovi media possono essere utili. Uno storico di professione corregge su Facebook
gli errori di castel del monte (Approfondimenti pag. 289-292)
-L’imperatore, il papa e i comuni italiani
Riorganizzato il regno di Sicilia, Federico passò alla seconda parte del suo progetto, che prevedeva il
recupero dell’autorità imperiale sul regno d’Italia e il controllo dei territori della chiesa.
Soltanto così la penisola poteva essere unificata in un solo regno, diviso in vicariati, ma con lo stesso
sistema amministrativo. Ogni vicariato sarebbe stato presieduto da un personaggio di stretta fiducia
dell’imperatore. Nel 1226 Federico convocò a Cremona una dieta per discutere della lotto all’eresie e
della preparazione della crociata che Federico continuava a rimandare, accompagnando la
convocazione con un ordine: i comuni dovevano inviare i loro rappresentanti e si dovevano
sottomettere all’autorità dei vicari dell’imperatore. Le città italiane disposte a riconoscere
formalmente di far parte dell’impero, non lo erano a rinunciare alla loro autonomia che avevano
conquistato con tanta fatica. Accettare l’ordine di Cremona significava trovare i vicari a governare in
tutta l’Italia centro-settentrionale. Immediatamente si ricostituì la Lega lombarda. Federico annullò
la dieta. Nel 1227 quando salì al soglio pontificio Gregorio IX, il progetto riprese anche nei confronti
dei territori della chiesa, e per la prima volta fu scomunicato, scomunica che gli veniva data per
punirlo di non aver messo in pratica l’antica promessa della crociata. Federico tenta di ribaltare la
situazione a proprio favore, dopo tanti anni di rinvii sorprese tutti e partì per la Terrasanta, nonostante
fosse scomunicato, ma non andò per combattere, ma per stabilire una pacifica convivenza tra
musulmani e cristiani in Gerusalemme. Si disse che l’imperatore era compiacente verso gli infedeli e
che per di più era l’anticristo, il diavolo in terra, nato da un rapporto tra la madre Costanza e Satana.
Anche dalla parte musulmana l’accordo fece scandalo, perché a fare l’accordo furono Federico e il
sultano, quindi per la prima volta per una questione religiosa non furono coinvolti le autorità religiose,
il papa e il califfo di Baghdad. In Italia dilagò ancora la guerra tra guelfi e ghibellini, tra i partigiani
del papa e dell’imperatore. La pace di San Germano tra Federico e il papa (1230) pose fine solo
momentaneamente all’ennesima contesa tre le due massime autorità dell’Europa cristiana. La
situazione precipitò quando l’imperatore dopo un viaggio in Germania, tornò in Italia con il suo
esercito e sconfisse la Lega lombarda (1237). Allora Federico si illuse di essere vicino alla vittoria e
chiese ai comuni guelfi la resa incondizionata. Nel 1239 Gregorio lo scomunicò ancora e fu di nuovo
guerra aperta. Federico rispose continuando la sua marcia sui domini pontifici, occupò Spoleto e
Ancona, ottenne che molte città a castelli nel Lazio e dell’Umbria si dichiarassero spontaneamente
terre dell’imperatore. Poi assediò Roma. Il papa concedeva a chi avesse combattuto per lui le stesse
indulgenze per chi combatteva in Terrasanta. Nel 1241 l’imperatore bloccò tutte le strade che
portavano a Roma e fece catturare i prelati del concilio che era stato convocato proprio per deporlo e
dichiarare al mondo la sua indegnità. Il concilio non si tenne. Il nuovo papa Innocenzo IV organizzò
la riscossa. Convocò il concilio non più a Roma, ma a Lione, e alla conclusione dichiarò scomunicato
e deposto l’imperatore. In Germania fu subito eletto un nuovo re. In Italia lo scontrò dilagò ancora,
dove le forse guelfe ripresero vigore. Nel 1248 i guelfi d’Italia batterono le forze dell’imperatore. La
fama di condottiero invincibile di Federico si spense e l’imperatore cominciò a sospettare dei suoi
stessi collaboratori. Anche Pier delle Vigne fu accusato di aver tramato contro di lui per avvelenarlo,
fu preso e si uccise. I contemporanei ne difesero la memoria anche Dante credette alla sua innocenza
“vi giuro che mai non ruppi fede al mio signor, che fu d’onor si degno”. Nel 1250 Federico muore in
Puglia lasciando in eredità scontri in tutto l’impero.
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-I successori: il grande interregno (1254-1273)
Federico II, quasi sempre in Italia, aveva lasciato ai principi tedeschi la libertà e prerogative regali a
spese dei diritti della corona: con la Constitutio in favorem principum, del 1232, Federico aveva
puntato sui principi, signori e castelli, non sulle città, forse perché timoroso che si riproducessero le
autonomie cittadine che tanti problemi gli davano in Italia. Corrado IV (1250-54), successore
legittimo di Federico, regnò solo 4 anni su quello che di fatto era ormai un mosaico di staterelli
autonomi. Poi, nel giro di poco tempo, morirono Corrado e il suo rivale Guglielmo d’Olanda e papa
innocenzo IV che lo sosteneva; inizia quel lungo periodo di anarchia chiamato grande interregno,
durò diciannove anni (1254-1273), durante i quali in Germania non ci fu un re ma solo una lotta per
il trono. Corradino, nipote di Federico, era allora giovanissimo e i grandi principi elettori finirono per
candidare al titolo, al suo posto, Alfonso X di Castiglia e Riccardo di Cornovaglia, fratello del re
d’Inghilterra. L’incertezza che mostra quanto fosse profondo il livello di decomposizione politica del
regno di Germania, si risolse solo nel 1273, con l'elezione di Rodolfo d’Asburgo.
5.6 L’ascesa delle monarchie europee
-La monarchia inglese
Il rafforzamento delle monarchie europee non poteva realizzarsi senza provocare conflitti e resistenze.
Questo processo aveva avuto diversa evoluzione nei vari regni europei. In Inghilterra il processo della
monarchia era stato rapido. Sotto i successori di Enrico II la nobiltà aveva recuperato potere rispetto al
re. Riccardo Cuor di Leone I le aveva lasciato spazio quando era stato assente per molto tempo
durante la terza crociata, e perché essendosi schierato contro Enrico VI era stato fatto prigioniero e
costretto a prestargli giuramento vassallatico. Il seguito il fratello Giovanni Senzaterra aveva fatto un
disastro dopo l’altro, aveva perso i suoi feudi in Francia ed era stato scomunicato per non aver voluto
confermare l’elezione dell’arcivescovo di Canterbury. Nel 1213 era stato deposto dal papa che arrivò
a offrire la corona d’Inghilterra al re di Francia. A quel punto non gli era rimasto che piegarsi a
mettere il suo paese sotto la protezione del pontefice. La sconfitta mise in forti difficoltà Giovanni che
dovette fronteggiare la reazione dell’opinione pubblica inglese. La nobiltà e gli ecclesiastici
approfittarono della sue debolezza e lo costrinsero a sottoscrivere la Magna charta libertatum, un
patto che fissava i limiti reciproci ai diritti e ai doveri del re sui sudditi. Con essa il re s’impegnava a
rispettare i diritti degli ecclesiastici, dei nobili e di tutti gli uomini liberi del regno, confermava le
concessione sulla circolazione dei mercanti, riconosceva il diritto dei sudditi di condizione libera di
essere giudicati da tribunali di loro pari e si obbligava a non imporre nuove tasse senza l’approvazione
della nobiltà e del clero e farsi assistere negli affari di governo da un gruppo di baroni. Ma la Magna
Charta è un documento feudale e di tiro reazionario, perché nasceva dalla reazione del mondo feudale
al crescente potere del re, e fu stesa quando i nobili riacquistarono potere, infatti la Charta limitava i
poteri del re. Questa rappresentò anche una tappa importante per la nascita del parlamento inglese.
Nei primi anni ci furono scontri armati con la piccola nobiltà rurale che chiedeva di essere
rappresentata insieme agli altri nel parlamento. Edoardo I finì per accordarci per una “monarchia
controllata”; nacque così un parlamento composta dai rappresentati delle contee, dei borghi, delle
città: tutti costoro dovevano dare il proprio assenso per le decisioni importanti che riguardavano
l’intero regno, per esempio ogni volta che si imponevano nuove tasse. La Magna Charta è un
documento importante sul cui significato è anche importante soffermarsi ricordando che libertas in
latino vuol dire privilegio o garanzia.
-Particolarismi nella penisola iberica dopo la reconquista
La penisola iberica fu l’altra regione in cui la monarchia fece rilevanti progressi. Via via che i
musulmani si erano ritirati dalla penisola erano sorti quattro regni cattolici: Portogallo, Navarra,
Castiglia e Aragona. Ricordiamo che nel 1212 a Las navas de Tolosa, i re castigliani, di Navarra e di
Aragona avevano riportato una vittoria sul califfo di Cordova. La presenza musulmana sopravvisse
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fino al 1492 solo nel regno di Granada. La popolazione della penisola sia per lo stato di guerra sia per
la dispersione di molti musulmani diminuì notevolmente. Si tentò allora di avviare il ripopolamento
cristiano creando nuovi insediamenti, come quelli affidati agli ordini monastico-cavallereschi lungo
il cammino di Santiago. Ampie distese di terreno, spopolato a causa della lunga guerra, furono
affidate come feudo a esponenti della piccola nobiltà cavalleresca. Ma i cristiani popolarono
soprattutto le città dalle quali erano stati espulsi i musulmani, mentre consistenti comunità ebraiche
popolarono l’Andalusia. Nella penisola iberica nacquero più regni, la Navarra attraverso matrimoni
dinastici fu unita al regno di Francia e il resto del territorio rimase diviso in tre pezzi: Portogallo,
Castiglia e Aragona. L’Aragona era a sua volta una confederazione di regni e questo suo assetto
istituzionale era chiamato “Corona” lentamente il potere monarchico si rafforzò. Il regno di Castiglia,
dove erano presenti gli hidalgos che si organizzavano in clientele per difendere le città e la loro
autonomia, si allargò soprattutto con Ferdinando III e Alfonso X, finendo per controllarne più della
metà. L’Aragona volse le sue mire espansionistiche al Mediterraneo e si avviò a divenire una solida
potenza, conquistò le Baleari e tolse la Sicilia agli Angioini e infine mise le mani sulla Sardegna.
-La monarchia francese ed il mestiere di re
Filippo Augusto fu un conquistatore che estese il dominio del regno a scapito delle terre feudali del
re d’Inghilterra. Tra il 1202 e il 1206 entrarono a far parte del territorio francese la Normandia, parte
del Maine, l’Angiò, la Turenna, il Poitou, fu ancora per queste terre che Francia e Inghilterra si
trovarono su fronti opposti a Bouvines, il fronte vincitore fu quello francese che sosteneva Federico
II e il pontefice. Negli stessi anni la campagna contro gli albigesi si risolveva con la sottomissione
delle regioni meridionali della Francia all'autorità del re , che si assicurava, dunque, uno sbocco sulla
costa mediterranea. Filippo Augusto fu anche un abile amministratore che prese per la prima volta
coscienza che quello del re era un mestiere. Il suo prestigio aumentò con il perfezionamento
dell’amministrazione del regno. Filippo rafforzò le competenze dei funzionari reali, riorganizzò la
curia e la cancelleria. Concesse ampie autonomie alle città, introdusse la trasmissione ereditaria del
diritto regale così da evitare alla monarchia la crisi alla morte di ogni re e seppe approfittare delle
divisioni nella nobiltà feudale per imporre la sua autorità di arbitro. Rafforzò la coscienza nazionale
francese ottenendo dal papa il riconoscimento dell’indipendenza completa del regno di Francia
dall’Impero. La Francia passava ad una monarchia che era ancora feudale ma nella quale il re pur
concedendo potere ai vassalli aveva il completo controllo. Il re divenne il centro indiscusso di ogni
decisione politica all’interno del territorio. Filippo non si definì più re dei francesi, ma re di Francia.
Filippo Augusto fu quindi il primo re di Francia. Dopo di lui con Luigi IX il prestigio della monarchia
francese crebbe ancora: completò l’allontanamento degli inglesi dal continente, assegnò la contea di
Angiò a suo fratello CArlo, combattè gli abusi dei suoi funzionari ebbe fama di giusto; ma con Filippo
il Bello la monarchia francese raggiunse il suo punto massimo.
5.6 L’ascesa delle monarchie Europee
-L’ascesa della monarchia inglese
Il rafforzamento delle monarchie europee, basato su un processo di concentrazione del potere, non
poteva realizzarsi senza provocare conflitti e resistenze. Questo processo aveva avuto diversa
evoluzione nei vari regni europei. In Inghilterra il processo della monarchia era stato rapido. Sotto i
successori di Enrico II la nobiltà aveva recuperato potere rispetto al re. Riccardo Cuor di Leone le
aveva lasciato spazio quando era stato assente per molto tempo durante la terza crociata, e perché
essendosi schierato contro Enrico VI era stato fatto prigioniero e costretto a prestargli giuramento
vassallatico. Il seguito il fratello Giovanni Senzaterra aveva fatto un disastro dopo l’altro, aveva
perso i suoi feudi in Francia ed era stato scomunicato per non aver voluto confermare l’elezione
dell’arcivescovo di Canterbury. Nel 1213 era stato deposto dal papa che arrivò a offrire la corona
d’Inghilterra al re di Francia. Nel 1214 era stato sconfitto a Bouvines. A quel punto non gli era
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rimasto che piegarsi a mettere il suo paese sotto la protezione del pontefice. La sconfitta mise in forti
difficoltà Giovanni che dovette fronteggiare la reazione dell’opinione pubblica inglese. La nobiltà e
gli ecclesiastici approfittarono della sue debolezza e lo costrinsero a sottoscrivere la Magna charta
libertatum, un patto che fissava i limiti reciproci ai diritti e ai doveri del re sui sudditi. Con essa il re
s’impegnava a rispettare i diritti degli ecclesiastici, dei nobili e di tutti gli uomini liberi del regno,
confermava le concessione sulla circolazione dei mercanti, riconosceva il diritto dei sudditi di
condizione libera di essere giudicati da tribunali di loro pari e si obbligava a non imporre nuove tasse
senza l’approvazione della nobiltà e del clero e farsi assistere negli affari di governo da un gruppo di
baroni. Ma Magna Charta è un documento feudale e di tiro reazionario, perché nasceva dalla reazione
del mondo feudale al crescente potere del re, e fu stesa quando i nobili riacquistarono potere, infatti la
Charta limitava i poteri del re. Questa rappresentò anche una tappa importante per la nascita del
parlamento inglese, rese stabili le assemblee di consulenti del re. Nei primi anni ci furono scontri
armati con la piccola nobiltà rurale che chiedeva di essere rappresentata insieme agli altri nel
parlamento. Edoardo I finì per accordarci per una “monarchia controllata”. Nacque così un
parlamento composto da rappresentanti delle contee, dei borghi, delle città: tutti costoro dovevano
dare il proprio assenso a molte decisioni importanti che riguardavano l’intero regno, per esempio ogni
volta che si imponeva una nuova tassa. Grazie alla magna Charta→ regime monarchico
parlamentare.
-Particolarismi nella penisola iberica dopo la conquista
La penisola iberica fu l’altra regione in cui la monarchia fece rilevanti progressi. Via via che i
musulmani si erano ritirati dalla penisola erano sorti quattro regni cattolici: Portogallo, Navarra,
Castiglia e Aragona. Ricordiamo che nel 1212 a Las Navas De Tolosa, i re di Castiglia e Aragona e
Navarra avevano riportato una vittoria schiacciante a Cordova. i musulmani infatti persero Cordona
nel 1236, con essa altre città come Valenzia ecc… La presenza musulmana sopravvisse fino al 1492
solo nel regno di Granada. La popolazione della penisola sia per lo stato di guerra sia per la
dispersione di molti musulmani diminuì notevolmente. Si tentò allora di avviare il ripopolamento
cristiano creando nuovi insediamenti, come quelli affidati agli ordini monastico-cavallereschi lungo il
cammino di Santiago. Ampie distese di terreno, spopolato a causa della lunga guerra, furono affidate
come feudo a esponenti della piccola nobiltà cavalleresca. Ma i cristiani popolarono soprattutto le
città dalle quali erano stati espulsi i musulmani. Nella penisola iberica nacquero più regni, la Navarra
attraverso matrimoni dinastici fu unita al regno di Francia e il resto del territorio rimase diviso in tre
pezzi: Portogallo, Castiglia e Aragona. L’Aragona era a sua volta una confederazione di regni e questo
suo assetto istituzionale era chiamato “Corona” lentamente il potere monarchico si rafforzò. Il regno
di Castiglia si allargò soprattutto con Ferdinando III e Alfonso X, finendo per controllarne più della
metà. L’Aragona volse le sue mire espansionistiche al Mediterraneo e si avviò a divenire una solida
potenza, conquistò le Baleari e tolse la Sicilia agli Angioini e infine mise le mani sulla Sardegna.
-La monarchia francese ed il mestiere di re
Filippo II Augusto fu il vero fondatore della potenza francese, che impose la monarchia all’interno del
regno e la Francia all’esterno, nel panorama politico europeo. Fu un conquistatore che estese il
dominio del regno a scapito delle terre feudali del re d’Inghilterra (nord-est Francia). Tra il 1202 e il
1206 entrarono a far parte del territorio francese la Normandia, parte del Maine, l’Angiò, la Turenna,
il Poitou, fu ancora per queste terre che Francia e Inghilterra si trovarono su fronti opposti a
Bouvines, il fronte vincitore fu quello francese che sosteneva Federico II e il pontefice. Filippo
Augusto fu anche un abile amministratore che prese per la prima volta coscienza che quello del re era
un mestiere. Il suo prestigio aumentò con il perfezionamento dell’amministrazione del regno. Filippo
rafforzò le competenze dei funzionari reali, riorganizzò la curia e la cancelleria. Concesse ampie
autonomie alle città, introdusse la trasmissione ereditaria del diritto regale così da evitare alla
monarchia la crisi alla morte di ogni re. Rafforzò la coscienza nazionale francese ottenendo dal papa il
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riconoscimento dell’indipendenza completa del regno di Francia dall’Impero. Il re divenne il centro
indiscusso di ogni decisione politica all’interno del territorio. Filippo non si definì più re dei francesi,
ma re di Francia. Filippo Augusto fu quindi il primo re di Francia. Dopo di lui con Luigi IX il
prestigio della monarchia francese crebbe ancora, ma con Filippo il Bello la monarchia francese
raggiunse il suo punto massimo. Luigi IX combatté anche gli abusi dei suoi funzionari ed ebbe fama
di giusto, con il risultato che spesso chi voleva giustiziare si appellava al suo giudizio. Uomo di
prestigio e di morale fu proclamato santo nel 1297 anche per la popolarità che gli riservarono le
crociate in Egitto e in Tunisia.
-Le nazioni (Approfondimento pag 300-301)
5.7 I grandi mutamenti politici tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo
-Filippo il bello e il trionfo della monarchia francese
Fu con Filippo il Bello che l’autorità della monarchia francese raggiunse il suo massimo, anche perché
il fatto che l’impero germanico si stesse indebolendo, gli consentì di estendere la propria autonomia
in alcuni feudi di confine. Il re di Francia ottenne l’omaggio feudale del duca di Lorena, del conte di
Savoia e del conte di Borgogna. Francia e Inghilterra si scontrarono per il possesso dei feudi inglesi.
Alla fine di una lunga serie di tensioni, il primo gesto di guerra spettò al re di Francia, che nel 1294
confiscò i feudi che gli inglesi avevano della Guienna e nel Poitou. A sua volta l’Inghilterra bloccò le
lane inglesi che erano destinate ai centri industriali delle Fiandre. Per nessuno dei due si trattava di
una fase facile. L’autorità politica del re di Francia attraversava una fase di crisi in Fiandra e il re
d’Inghilterra doveva fronteggiare le rivolte autonomistiche del Galles e della Scozia. I due così
cercarono la pace con la mediazioni di papa Bonifacio VIII. Una spina nel fianco del re du Francia
rimaneva il conte di Fiandre, in quell’area vivevano vicine le une e le altre popolazioni che parlavano
il francese e popolazioni che parlavano il fiammingo. Nel 1303 la Guinnea fu inglese e Poitou
francese. Il conte di Fiandra però rimaneva un spina nel fianco per il re di Francia.Nel 1300 i francesi
occuparono con le armi il territorio e la popolazione si sollevò contro di loro. Nel 1302 un moto
popolare liberò Bruges, l’anno dopo a Courtrai la fanteria dei comuni fiamminghi sconfisse la
cavalleria francese. Le Fiandre furono francesi dopo il 1328, dopo una repressione violenta. Filippo il
Bello si accorse che per amministrare questo vasto territorio ci volevano ingenti risorse finanziarie.
Decise perciò di fare fronte alla mancanza di denaro. Un passaggio importante fu la confisca dei beni
dei cavalieri Templari. Il re si era pesantemente indebitato con loro e la soluzione che trovò per non
pagare i debiti fu quella di processare per eresia un gruppo di Templari a Parigi, li mandò al rogo e
soppresse l’ordine. Una seconda fonte fu la liberazione dei contadini, che consentì al re di sostituirsi ai
signori nella riscossione delle imposte. Inoltre si appropriò delle decime, il decimo del raccolto che i
cristiano pagavano alle chiese e queste poi alla chiesa di Roma. Quest’ultimo intervento provocò uno
scontro durissimo col papa, ma fu anche l’occasione per la convocazione di una riunione nuova nella
quale si è vista la nascita degli Stati generali, come viene chiamata l’assemblea dei rappresentanti di
nobiltà, borghesia, clero di Francia. Per far fronte alla delicata decisione che il re doveva prendere nei
confronti del papa, Filippo chiamò a Parigi i rappresentanti di tutte le città del regno, insieme ai nobili
e agli ecclesiastici, che riconobbero la piena sovranità al re di Francia.
-Il mezzogiorno d’Italia dagli Svevi agli Angioini (1266)
In Sicilia i discendenti degli Svevi avevano mantenuto il potere per pochi anni dopo la morte di
Federico II. La loro scomparsa segnò l’inizio dell’espansione francese in Italia. Sul trono di Sicilia
sedette il figlio dell’imperatore, Manfredi, che per mantenere intatta l’eredità paterna, si mise alla
testa dei ghibellini d’Italia, andò allo scontro con le città guelfe di Torino e riportò una prima vittoria,
in cui si contrapposero Firenze per i guelfi e Siena per i ghibellini. Il suo successo durò poco, il nuovo
papa Urbano IV cercò di contrapporgli qualcuno che gli si prospettasse più fedele. Da alcuni anni sul
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soglio pontificio sedevano papi francesi. Anche Urbano era francese e forse proprio per questo trovò
il suo re di Sicilia ideale in Carlo conte d’Angiò e di Provenza, fratello del re di Francia (il papa
rivendicava per se l’autorità si scegliere il re in Sicilia, perché considerava quel regno ancora come un
feudo pontificio in base all’antico accordo con i normanni). Così Carlo d’Angiò e le città guelfe
attaccarono Manfredi e lo sconfissero uccidendolo a Benevento (1266). Invano i ghibellini italiani
dirottarono le loro ultime speranze su Corradino, nipote di Federico II. Corradino entrò a Roma nel
1268, ma pochi mesi dopo Carlo d’Angiò lo sconfisse a Tagliacozzo e lo fece decapitare nella piazza
di Napoli. Finiva così la presenza degli Svevi in Italia. Con l’esecuzione di Corradino le città guelfe
trionfarono e Carlo d’Angiò assunse il titolo di re di Sicilia. Carlo si affermava anche in alcune aree
del Piemonte e non nascondeva un progetto di egemonia mediterranea nel quale la Sicilia avrebbe
ricoperto un ruolo strategico e insieme all’aiuto di Venezia mirava alla riconquista di Costantinopoli.
Con il tempo quest’ambiziosa politica assillò il papa, che aveva sperato di trovare in Carlo un
servitore più docile. Ma si trattò di divergenze passeggere. La chiesa tornò del tutto favorevole alla
casa d’Angiò con l’elezione del nuovo pontefice francese Martino IV. Da allora le sorti del papato si
legarono ancora di più a quelle del re Francia. Firenze, nel frattempo, ricavò importanti vantaggi
economici dal finanziamento della spedizione di Carlo per la conquista del mezzogiorno. Il re infatti,
attraverso facilitazioni doganali, attribuì un ingresso privilegiato nell’economia meridionale ai
mercanti fiorentini, molti del quali si arricchirono fornendo servizi di ogni tipo alla corte: il regno
divenne teatro delle loro attività di sfruttamento, consentendo a Firenze di acquistare un più preciso
predominio sulle altre città toscane.
-I Vespri siciliani portano gli Aragonesi in Sicilia (1282)
L’interpretazione del Vespro come una spontanea rivolta popolare trova scarso appoggio nei
documenti e nacque nell’ottocento a sostegno degli ideali patriottici risorgimentali. Le città d’Italia
avrebbero cacciato l’imperatore straniero e la Sicilia avrebbe fatto lo stesso con i suoi dominatori. Gli
avvenimenti palermitani avevano così tutti i caratteri per entrare nella leggenda, la leggenda di un
popolo che si scaglia contro il potere. Anche la tradizione italiana ottocentesca considera quella del
Vespro una rivolta per la libertà; così ci è anche tramandata dall’interpretazione delle immagini,
poiché gli artisti prediligono gli aspetti del melodramma e dipingono la rivolta in modo da suscitare
emozione in chi guarda. Gli studiosi oggi tendono a considerare la rivolta palermitana come il
prodotto di una congiura ordita contro gli Angioini, contro il processo di francesizzazione del ceto
dirigente. La rivolta prese il via a Palermo il 30 maggio 1282, era il lunedì di Pasqua, e si estese
rapidamente a tutta l’isola. Si narra che l’occasione sia nata per un gesto irriguardoso di un soldato
francese verso una donna siciliana. Un cronista veneziano racconta che i soldati francesi cercavano
armi abusive e perquisivano sia gli uomini che le donne. La difesa delle donne avrebbe dunque fatto
da scintilla. Sul fuoco della rivolta si è certi che abbiano soffiato i ghibellini d’Italia, l’imperatore
bizantino e alcuni gruppi familiari del Mezzogiorno, guidati da fedeli servitori degli Svevi. Furono
loro a chiamare il re d’Aragona Pietro III, come marito di una figlia di Manfredi, per rivendicare il
regno di Sicilia. E fu così che la rivolta di Palermo si trasformò in una guerra internazionale. c’erano
in gioco da una parte gli interessi di alcuni baroni, che volevano sottrarre al re la leva del potere
politico, dall’altra il desiderio di espansione delle monarchie europee in cerca di spazi verso il
mediterraneo. Pietro III d’Aragona sbarcò a Trapani e fu incoronato re di Palermo. La sua
incoronazione segnò l’inizio della guerra che provocò la dissoluzione del potere centrale del regno e si
chiuse solo nel 1302 con la pace di Caltabellotta. Furono spartite le sfere d’influenza del Mezzogiorno
e il regno di Sicilia si scisse in due: il regno di Napoli rimase agli Angioini e si collocò nell’orbita
papale, mentre quello di Sicilia, ristretto solo all’isola fu degli Aragonesi. Tra gli storici siciliani si
rafforzò l’idea che la Sicilia avesse espresso la sua vocazione d’autonomia rispetto alla penisola
italiana. La rivolta ha segnato il distacco definitivo tra le due parti. Questa distinzione oggi non viene
accettata perché non si vedono dei caratteri specifici così netti. Si è pensato a lungo che alla ferocia
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con la quale il popolo si scagliò contro i francesi ci fosse l'impopolarità di Carlo, che avrebbe
governato con mano molto più pesante di quanto avesse fatto Federico II. Il re di Napoli Roberto il
Saggio, fu considerato capo indiscusso del partito guelfo, ma inutilmente sia lui che i suoi successori
si impegnarono per riprendere la Sicilia.
-Gli aragonesi creano la via delle isole
I re di Aragona, che già nel 1229 avevano conquistato le Baleari, nel 1297 ottennero da Bonifacio
VIII l’infeudazione di un inesistente regnum Sardiniae et Corsicae: era un artificio diplomatico
concordato per risolvere in maniera equa il conflitto tra francesi e Corona d’Aragona. Da quella data i
re catalo-aragonesi cominciarono a pensare seriamente di conquistare la Sardegna, da tempo contesa
da pisani e genovesi. La sardegna era stata organizzata, dal X secolo, in quattro regni. Il giudicato di
cagliari e quello di Gallura erano sotto il controllo o l'influenza di Pisa, Sassari e i suo entroterra
dipendevano da Genova, Torres era controllato da Genovesi e dai Malaspina di Lunigiana, il fertie
giudicato D’arborea era governato autonomamente da una famiglia di origine catalana, Bas-serra. La
conquista della sardegna da parte della corona d'Aragona si accentuò con una strategia differenziata
(accordo di tipo feudale e spedizioni armate), passò attraverso una lunga guerra sostanzialmente
condotta contro Pisa e i suoi alleati, dal 1323, e si chiuse, nel 1410-20, con la caduta di Arborea. La
lunga guerra distrusse l'economia dell'isola, che divenne per gli aragonesi una tappa importante di
quella via delle isole nel mediterraneo che doveva mettere in contatto commerciale Barcellona,
Baleari, Corsica, Sardegna, Sicilia,Cipro e poi l'oriente.
-Bonifacio VIII
L'indebolimento del papato, che fu evidente dopo la guerra del Vespro, andaò di pari passo con il
crescere delle lotte tra le famiglie romane e del legame dalla Santa Sede con il regno di Francia.
Tuttavia la Chiesa aveva anche altri motivi di crisi ed erano i tanti cristiani che guardavano con
malumore il compromettersi delle gerarchie ecclesiastiche nella guerra contro i ghibellini, negli
intrighi delle corti reali, che non vedevano di buon occhio, l’Inquisizione e l'abuso di scomuniche a
fini politici. L’elezione di Pietro da Morrone con il nome di Celestino V, nel 1294, era stata salutata
con gioia dagli spirituali Francescani e in genere da tutti coloro che chiedevano alla chiesa di ritornare
alla purezza del Vangelo. I rinnovatori si attendevano da Pietro grandi cose. Ma la tradizione vuole
che Pietro fosse un sant'uomo, che non ce la fece reggere il peso dei condizionamenti politici angioini,
delle pressioni dei cardinali che volevano farne una loro pedina, dell'isolamento a Napoli, dove fu
relegato per essere più strettamente controllato da Carlo II d'Angiò. Celestino V, accerchiato,
consapevole forse di non poter sfuggire alle pressioni e insieme ben deciso a rimanere coerente con i
suoi ideali, dopo aver chiesto una serie di consigli giuridici al più alto livello, scelse il gesto
clamoroso dell'abdicazione, tornando a essere solo un eremita, dedito alla vita contemplativa. Dante
Alighieri, duramente nella Commedia lo definì vile. Gli succedette un pontefice che era l'opposto.
Quanto Celestino era tormentato, tanto questo era in energico, volitivo anche spregiudicato.
Benedetto Caetani, esponente di una potente famiglia romana, personaggio chiave della curia,
esperto di diritto canonico tanto da aver avuto un ruolo di primo piano nel fornire a Celestino, una
relazione in perfetta regola sulla facoltà giuridica del Papa di rassegnare le dimissioni, salì al soglio
pontificio con il nome di Bonifacio VIII. La prima cosa che fece, per allontanare il rischio che
qualcuno potesse ritenere illegittima la sua lezione, fu trasferire Pietro, in condizione di semi
prigionia. Bonifacio tentò di ricostruire i trionfi della teocrazia pontificia, senza accorgersi che l'idea
che il Papa fosse il capo anche politico oltre che religioso della cristianità apparteneva ormai al
passato. Quanto questa pretesa fosse al di fuori dei tempi lo si vide nell'ultimo scontro che oppose il
Papa al regno di Francia. Filippo il Bello prese, una serie di provvedimenti ostili alla chiesa, tra i quali
la revoca dell'immunità fiscale dalla quale fino a quel momento aveva goduto il clero. Il Papa provò a
opporsi e ordinò al clero francese di non pagare alcun imposta senza il permesso della Santa Sede, ma
il re di Francia rispose impedendo ai proventi delle decime raccolte dalle chiese francesi di
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raggiungere Roma. Il Papa tuonò con la solita minaccia di scomunica, ma non ottenne la revoca del
provvedimento. Filippo assestò un altro colpo alla teocrazia pontificia: accettò, infatti le sue richieste
come il risultato di un accordo con la persona di Bonifacio, non con il Papa che egli era. Nelle 1300
Bonifacio VIII dichiarò un anno di indulgenza plenaria, cioè il condono delle pene del purgatorio
connesse ai peccati, per i pellegrini che arrivarono a Roma per onorare le reliquie dell'apostolo Pietro
e l'icona di Cristo che la tradizione popolare chiamava velo della Veronica, sul modello
dell'indulgenza che veniva concessa per la crociata. Fu il primo anno Santo nella Chiesa o giubileo. In
quell'occasione sembra che abbiano raggiunto Roma milioni di persone. Il giubileo del 1300 non fu
sufficiente però a cambiare la sostanza delle cose; la sostanza era che il Papa non era più il capo
politico indiscusso della cristianità. E infatti il duro conflitto con il re si riaprì nel 1301 quando
Filippo il Bello fece arrestare il legato pontificio, vescovo di Pamiers, e di fronte alle proteste
romane convocò gli Stati generali, ottenendone nel 1302 la dichiarazione che il re ricavava il suo
potere direttamente da Dio, senza la mediazione del Papa. Inutilmente Bonifacio emanò una bolla, dal
titolo una Unam sanctam, nella quale ribadiva la idee teocratiche e universali che erano state di
Gregorio VII e di Innocenzo III e rincarava la dose aggiungendo che il Papa non solo era superiore ad
ogni altro potere terreno, ma poteva anche giudicarlo senza essere sepolto giudicato se non da Dio. Le
sue tesi furono difese da alcuni ma attaccati da molti. Dante gli preparò un posto nell'Inferno mentre
era ancora arrivo. Da altri fu definito eretico, simoniaco, scismatico. Infine si decise di tenere un
concilio per decidere cosa fare di lui. Filippo il Bello mando in Italia un suo consigliere, Guglielmo di
Nogaret, con il compito di catturare Bonifacio e portarlo al concilio. Il pontefice, che si presentò
indifeso, ma vestito dei paramenti sacri e reggendo la croce, venne catturato ad Anagni e si dice che in
quell'occasione sia stato anche colpito in viso con uno schiaffo da Sciarra Colonna, esponente di una
famiglia avversaria dei Caetani. Per il papa era un segno drammatico di perdita di prestigio. Bonifacio
non partecipò al concilio, fu liberata dagli abitanti di Anagni e poco dopo morì
-I papi ad Avignone
Nel 1305 salì al soglio nuovo papa francese, Clemente V, che non scese mai fino a Roma, in preda
agli scontri tra famiglie rivali. Nel 1309 si spostò provvisoriamente ad Avignone, ai confini con il
regno di Francia, che sarebbe rimasta sede del papato fino alle 1378. Il trasferimento della corte
papale ad Avignone fu interpretato da tutti come un segno tangibile del passaggio della Santa Sede
sotto l'influenza politica del re di Francia. A diffondere la polemica contro il trasferimento dei papi ad
Avignone contribuirono gli scritti di Dante Alighieri, impegnato in quegli anni nella stesura della
Commedia. Nell'Interno aveva deciso di mettere in una buca a testa in giù sia Bonifacio VIII sia
Clemente V; nel Purgatorio aveva rincarato la dose è definito crudamente la chiesa dei suoi anni
“puttana sciolta”, infine aveva inserito nel paradiso una violenta invettiva contro i papi francesi, pronti
a bere del “sangue nostro”. E siccome i manoscritti del poema dantesco ebbero grande diffusione,
furono molti gli intellettuali italiani che nel corso del trecento fecero proprio il suo giudizio negativo.
Francesco Petrarca, attaccando papa Urbano V, definirà Avignone, come Babilonia, “immensa
turpitudine ed estremo fetore del mondo” e Roma, invece, “capo del mondo, fonte di tutti gli esempi
memorabili”. Il periodo avignonese non sembra per nulla di crisi per il papato. I papi vissero ad
Avignone una stagione di splendore cortigiano di floridezza economica, la città divenne in quegli anni
un centro commerciale e finanziario di primo piano. Il papato pagò quello splendore e la protezione
francese con la perdita di molta della sua influenza sull’Italia. Negli anni 40 sulla scena cattolica della
vita politica romana prenda gli scontri tra le grandi famiglie dei Colonna, degli Orsini, dei Caetani,
apparve un personaggio singolare, Cola di Rienzo, notaio e figlio di un taverniere che era stato inviato
ad Avignone per chiedere a Clemente VI di tornare a Roma, e il Papa lo aveva fatto notaio della
Camera capitolina. Rientrato a Roma Cola si era reso popolare e si era accattivato simpatie, al punto
che nel maggio 1347 avevo occupato il Campidoglio, assumendo il titolo di “tribuno della libertà,
della pace e della giustizia è il liberatore della sacra Repubblica romana”. Si era dato allora un preciso
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programma politico: sottomettere i potenti nobili, restaurare l'antica Repubblica romana, stringere
intorno a Roma i comuni e i signori dell'Italia centrale. I baroni lo avversarono, i comuni lo
guardarono con diffidenza, il Papa con sospetto. Neanche il popolo romano lo sostenne. Cola Fuggì.
Si recò poi a Praga e parlare dei suoi programmi all'imperatore, e li fu imprigionato come eretico. Per
lui sembrava finita. Il nuovo papa Innocenzo VII affidò al cardinale, Egidio di Albornoz, il compito di
restaurare il suo potere nel territorio e pensò di fare di Cola uno strumento di questo disegno,
inviandolo in Italia con l'incarico di appoggiare la politica del cardinale. Nel 1354, così, Cola di
Rienzo rientro a Roma con il titolo di senatore. Durante una sommossa fu ucciso. Il cardinale di
Albornoz, invece, intraprese la fatica di restaurare l'autorità del Papa nel territorio della Chiesa.
Promosse la Costituzioni Egidiane, una raccolta legislativa che doveva valere per tutti i territori della
Chiesa è mettere ordine tra le molte leggi che si erano accumulate. Con le Costituzioni lo Stato della
Chiesa si è retto fino al XIX secolo
-L’ultima nostalgia dell’impero e il viaggio di Enrico VII in Italia
All’inizio del trecento non solo l’impero geraminico ma anche l’esistenza di una semplice monarchia
tedesca era messa in forse. Il re di Francia Filippo il Bello, al vertice della sua potenza, provò ad
attuare l'accerchiamento aiutando suo fratello Carlo di Valois a soppiantare il sovrano legittimo, che in
quel momento (1308) era un esponente della casa di lussemburgo, Enrico VII. Sentendosi in pericolo,
Enrico decide di riprendere la politica italiana per difendere il trono e anche per fermare la dilagante
egemonia del re di francese in Europa: nel 1310 scese in Italia e fu incoronato come re d'Italia a
Milano, poi chiese al papa di predisporre l’incoronazione imperiale a Roma (1312). Ma il Viaggio fu
un totale fallimento: l'imperatore incontrò l’ostilità di quasi tutta la penisola per i quali la presenza di
un re d’Italia e per di più straniro, dove c’erano ormai degli stati cittadini, era impossibile. Le ultime
due tappe della definitiva germanizzazione dell’impero sono segnate con il nome di Ludovico il
Bavaro (1322-1346) e di Carlo IV (1346-1378) di Lussemburgo e Boemia. Ludovico il Bavaro portò a
compimento il distacco dalla corona imperiale dal riconoscimento papale, tanto che si fece
incoronare imperatore non dal papa ma addirittura da un esponente della famiglia romana dei
Colonna. Nel 1338 i principi elettori tedeschi stabilirono formalmente che da allora l’elezione
dell'imperatore non aveva più bisogno di conferma papale; Carlo IV di Boemia, con la cosiddetta
bolla d’oro (1356) stabilì che l’imperatore sarebbe stato eletto dai più importanti principi tedeschi,
quattro laici ecclesiastici, L'impero fiu da allora solo un regno tedesco, formato da una federazione di
principati.
5.8 Un’Italia, due italie, Tante itale
-La società cittadina e l’evoluzione politica dei comuni
Tra 1220 e 1240 erano personaggi ormai diffusi i podestà di mestiere, pagati per guidare i comuni
come mediatori imparziali, al di sopra dei contrasti che dividevano la società. Nei comuni guelfi e
ghibellini combattevano tra loro dalla parte della chiesa o dalla parte dell’impero durante i
ventiquattro anni di scontro tra Federico II e il papa. Nel 1268 l’esecuzione di Corradino aveva
allontanato gli svevi dall’Italia, lasciando un sistema politico molto frazionato, e decretando il trionfo
dei guelfi. Dalla morte di Federico II in Italia non era più esistito alcun centro di governo regio di
giustizia che si ponesse al di sopra dei comuni. Il podestà forestiero, fino ad allora, era stato scelto
dall’aristocrazia consolare, cioè da quel gruppo abbastanza ristretto di famiglie che aveva esercitato
un ruolo predominante nella prima formazione del comune. Nel frattempo l'opposizione sociale della
città era mutata, erano molti i proprietari terrieri che si erano spostati a vivere entro le mura e inoltre
era aumentato il numero e il peso economico di chi viveva facendo il mercante o l’artigiano. Questa
gente reclama potere e lo strumento che si dette per gestirlo si chiamò Popolo. Nelle città italiane del
duecento il termine popolo indicava l’organizzazione che si dettero i ceti popolari dei mercanti e degli
artigiani, per contrapporre un proprio potere a quello dell’aristocrazia.
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-Il popolo
L’avvento del popolo al governo si realizzò attraverso una lotta politica tra chi deteneva il potere e chi
ne era escluso. Gli esclusi avevano acquistato abbastanza forza da poter provare a penetrare
all’interno del comune. Il popolo si dette uno stemma, elesse propri magistrati e un proprio
capitano con il compito di comandare la milizia popolare. Le città ovvimente ebbero storie molto
diverse le une dalle altre: il comune di popolo non si sviluppò in tutte le città comunali e comunque
non ovunque allo stesso momento. I capitani del popolo comparvero in alcune città del duecento, ma
ci furono eccezioni di ritardo come Ferrara o altri casi in cui non comparve per niente. In molti casi
queste organizzazioni arrivarono a controllare le città, anche se non abolirono mai i podestà. Si dice
spesso che il comune dei podestà fu seguito da quello del popolo che la crisi di quest’ultimo
determinò l’avvento della signoria di una famiglia eminente nel governo delle città. In realtà le cose
furono più complesse, i regimi popolari nacquero all’interno di quelli podestarili, anche le signorie
familiari nacquero dalla crisi dei comuni, ma sempre dentro ai comuni. In qualche caso addirittura la
signoria nacque del fatto che un magistrato di città trasformò il suo incarico a tempo determinato in
uno a vita. Inoltre, l’affermazione del comune e della signoria non furono due tappe successive, dal
momento che convissero a lungo. Dove si sviluppò il Popolo, fu dunque una parte del comune gestito
dal podestà. Il capitano del popolo poco a poco tolse al podestà le funzioni militari, lo relegò ai ruoli
più tecnici e amministrativi e tenne per sé quelli politici.
-Magnati
Magnati, o più spesso grandi, erano chiamati gli appartamenti alle più potenti famiglie
dell’aristocrazia cittadina. Dove queste famiglie erano tutte di antica origine e di tradizione militare,
magnate o grande può essere considerato sinonimo di nobile, ma nelle città economicamente più
vivaci non mancano famiglie di origine mercantile capaci di imitare i modi di vita e le ambizioni dei
nobili, addirittura fino al punto di fare armare cavalieri i propri figli. Che il concetto di nobiltà in Italia
variano da luogo a luogo e in base all’ambiente sociale e politico era riconosciuto anche dai giuristi
medievali. Nella vita di tutti i giorni gli abitanti delle città comunali riconoscevano i magnati o grandi
in base ad una serie di tratti condivisi: la casa della famiglia, la volontà di superarsi l’un l’altro e
quella di vivere al di fuori, o al di sopra, delle leggi comuni, spesso avevano un controllo quasi
militare sulle strade intorno alle loro case, tutte vicine le une alle altre, turrite e unite da cavalcavia in
un solo blocco
-Magnati o popolati
La lotta tra i magnati e il Popolo fu oggetto di un vivace dibattito storiografico fin dai primi del
novecento. L’esempio più noto fu quello di Firenze. Con lo sviluppo del comune di popolo i magnati
fiorentini nel giro di alcuni anni avevano perso larga parte del loro potere, erano stati emarginati ed
esclusi dalle cariche secondo le leggi antimagnatizie. All’indomani della sconfitta delle forze
ghibelline nella battaglia di Benevento tra 1282-84, le arti maggiori prepararono una riforma
costituzionale con la quale il governo della città fu attribuito ai capi dell’organizzazione artigianale.
Giano delle Bella si fece portavoce delle arti minori nelle quali a Firenze erano organizzati i lavoratori
del popolo minuto e che erano emarginate dal potere, e propose inoltre la confisca dei beni della parte
guelfa, roccaforte dell’aristocrazia. Questa seconda proposta spaventò anche i grandi mercanti delle
arti maggiori, fu così che insieme alle famiglie di magnati rimase escluso dalla vita politica anche il
popolo delle arti minori, al governo rimasero solo i rappresentanti dell’alta borghesia. Pian piano i
mercanti cominciarono a somigliare ai grandi che avevano combattuto: non solo gestirono da soli il
potere comunale ma comprarono anche campi e poderi, eressero torri e palazzi.
-Signorie cittadine
Così come i regimi popolari nacquero dall’interno stesso di quelli podestarili, anche le storie familiari
sulle città nacquero dentro i comuni. Si ebbero signorie cittadine, cioè, quando alcuni poteri
particolari del comune vennero tutti affidati, per un certo periodo, a un solo personaggio di prestigio
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che, con il tempo, cominciò a tenerseli e a passarli ai suoi figli ed eredi. In qualche caso, addirittura, la
signoria nacque dal fatto che un alto magistrato della città (per esempio il podestà stesso o lo stesso
capitano del popolo) trasformò il suo incarico a tempo indeterminato in un ufficio a vita. Si trattò
dunque, per lo più di un potere formalmente legittimo e ben tollerato dai cittadini che pensavano
di trovare nell’uomo forte il salvatore del comune, anche se segnò sempre un’involuzione della
partecipazione politica dei cittadini e un progressivo svuotamento delle magistrature repubblicane.
Inoltre, l’affermazione del comune e quella della signoria cittadina non furono, come talvolta vengono
descritte, due tappe successive dal momento che città gestite da un signore convissero vicino a città
che continuarono a reggersi, ancora a lungo, come comuni. Vi furono, come vedremo, città in cui il
ricorso a un governo signorile si configurò come una parentesi, talvolta dovuta a circostanze
straordinarie esaurite le quali tornarono in vigore gli ordinamenti comunali. In generale la formazione
di poteri signorili fu più precoce nelle città padane rispetto al resto dell'Italia centro-settentrionale. La
formazione di regimi signorili avvenne, insomma, in molti casi attraverso l’affermazione di un potere
di fatto che non comportò alcun sovvertimento del profilo costituzionale: gli organismi del governo
comunale furono, svuotati progressivamente delle loro prerogative politiche. Fra le prime esperienze
signorili maturate nel corso del secolo alcune si proposero non in ambito urbano, ma scaturitono
dall’iniziativa di gruppi radicati in campagna.
-Tante Italie (Approfondimento pag 319-321)
-Storie di città
● Le città padane
Un caso particolare di signoria fu quella che Ezzelino III da Romano esercitò sulle città di
Verona, Vicenza e Padova dal 1236: divenne signore non per un processo di trasformazione
interno alla sua città comune, ma perché sostenne la politica Federico II e ne ricavò in
cambio l’appoggio militare. Il potere di Ezzelino si indebolì con la morte di Federico e poi
venne annientato dalla crociata che, dopo averlo scomunicato, bandì contro di lui il papa. A
Ferrara, nel 1240, gli Este estromisero la famiglia rivale degli Alderaldi e successivamente
acquisirono Modena, Reggio, parte del Polesine e del Padovano. A Milano nel 1311 fu Matteo
visconti a rafforzare il peso sulla città della sua famiglia, che ne ebbe definitivamente la
signoria nel 1330. A Mantova dal 1308 i Bonacolsi ottennero l’ereditarietà della signoria che
dal 1328 passò ai Gonzaga. Nemmeno in questa parte dell'Italia settentrionale tuttavia, tutte le
città scelsero subito la signoria (Padova appena ebbe la forza di liberarsi dalla tirannide di
ezzelino si resse a comune, a Bologna solo nel 1337 viene fatto signore Taddeo Pepoli)
● Genova
Si reggeva a comune ed era piena di crescita, alla metà del duecento il suo ruolo nel
Medirerraneo era cresciuto; nel 1284 sconfiggendo Pisa nella sanguinosa battaglia della
Meloria aveva avuto anche mano libera sulla corsica
● Venezia
Del regno d'Italia, si ricorderà, non faceva parte venezia perché la sua lontana appartenenza
alle terre bizantine le aveva lasciato l’autonomia, via via venne riconosciuta dai re d’Italia e
dagli imperatori. Sviluppò un tipo di particolarismo sul comune. Il carattere della sua
organizzazione politica fu sempre elitario-aristocratico (non aveva una nobiltà di origine
feudale e i suoi esponenti non cercavano il mezzo della terra come mezzo per ottenere il
prestigio personale e politico). A Venezia non ci fu mai un comune di popolo, a governare la
città fu un patrizio di grandi famiglie di mercanti che ebbero presto nelle mani il governo e se
lo tennero saldo, senza dividersi per lotte interne. La dirigeva una specie di principe elettivo a
vita, il doge, dotato di pochi poteri ed un sistema di consiglio di stampo comunale. Nel 1297
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un colpo di stato aristocratico, la serrata del maggior consiglio, messo in atto come reazione
difensiva contro il diffondersi di lotte di fazione, portò alla definizione ereditaria del ceto
politico e di fatto all’esclusione del resto della popolazione dalla direzione della repubblica.
La congiura organizzata nel 1310 contro lo strapotere aristocratico servì solo a giustificare la
costruzione di un efficiente apparato repressivo
● I territori della chiesa
La fascia territoriale governata dal papa presentava una serie di città e dominazioni locali che
divennero più autonome dopo il trasferimento della sede papaple ad Avignone, nel 1309. A
Roma il comune era nato in chiave anti pontificia e aveva passato gran parte della sua
esistenza a combattere contro il papa
● La toscana
Le resistenze maggiori ad accogliere l’istituzione signorile si ebbero in toscana. Soltanto
all'inizio del trecento si verificarono anche qui dedizioni di città a un signore ma furono
signorie temporanee che non intaccarono la vita materiale e le idealità delle cittadinanze
● l’Italia meridionale
Inquadrate in un regno forte, anche le città di mezzogiorno tendevano ad allargare i loro diritti
ogni volta che si allentava il potere centrale; Federico vietò ai cittadini di eleggersi i propri
magistrati, stabilendo che soltanto i magistrati del regno erano autorizzati a esercitare nelle
città la giurisdizione civile e penale. Anche quando nel corso del XIV secolo si diffuse l'uso di
mettere per iscritto le consuetudini locali e si ebbero alcune forme di autogoverno cittadino,
esse dovettero sempre essere legittimate da re.
-L’amministrazione e i servizi della città
Tra la fine del XII e il primo trentennio del XIII secolo si costruirono i palazzi del popolo, del
capitano, dei priori, della signoria, con gli uffici e le sale di riunione in cui si regolava la vita pubblica.
La costruzione di palazzi pubblici segnò l’accelerazione del processo di autonomia del comune da
altri poteri della città: in precedenza, infatti, aveva avuto la sua sede o in case di nobili o nel palazzo
del vescovo. Francesca Bocchi ha notato la differenza tra le case del centro-nord, caratterizzate da
un’intensa via comunale, e quelle dell’Italia meridionale, dove i palazzi o i castelli in cui risiedevano
i rappresentanti del potere centrale, ebbero maggior importanza rispetto a quelli amministrativi. In
questo periodo il comune compì un grosso sforzo legislativo, tanto che agli inizi del trecento
praticamente tutte le città avevano ormai le proprie leggi e i propri regolamenti, gli statuti, che
venivano spessissimo aggiornati in relazione al mutare dei governi. Le spese erano cresciute, anche
per pagare gli stipendi del personale sempre più numeroso, e questo non solo compilò i bilanci del
comune e costrinse a formare un personale esperto do finanze, ma portò anche ad organizzare meglio
e imposte sui consumi, le gabelle, e a imporre ai cittadini di prestare denaro al comune. Ovunque si
organizzò la riscossione di imposte dirette, iscrivendo tutti i capifamiglia in un estimo in base al quale
in caso di bisogno poteva venir loro richiesta un'imposta sui beni immobili. Gli statuti, i verbali dei
consigli, i libri di amministrazione e i bilanci, gli estimi costituirono i primi archivi della città. Nelle
città medievali esistevano uno o più ospedali (ospizi o pellegrinaggi), che si trovarono ad assistere i
bisogni di tutti i tipi: poveri, bambini abbandonati, vedove senza mezzi, anche malati. in molte città
tra gli ultimi anni del duecento e l'inizio del trecento, vennero istituiti anche i medici condotti,
stipendiati dal comune o dal signore e ingaggiati con un contratto a termine, rinnovabile; nel XIII
secolo e si diffusero anche i maestri condotti, stipendiati cioè dal comune per insegnare ai bambini a
leggere e a scrivere, determinando una diffusione del sapere molto più ampia che non in passato. In
città vi erano anche dei principi di organizzazione e regolamentazione: i nuovi insediamenti erano
programmati, qualche volta si dettavano norme sulla distanza da un edificio ad un altro, sulla
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larghezza delle strade, talvolta si limitavano il numero dei balconi o la loro sporgenza o si prescriveva
il materiale da dover utilizzare
-Il lavoro delle donne, la sua organizzazione, il suo riconoscimento (Approfondimento pag 326-328)
-La conquista del contado, lo sfruttamento della campagna
Si è già più volte ripetuto che nell’Italia centro-settentrionale città e campagne intrecciarono forti
rapporti, condizionandosi a vicenza. Il testo stesso della pace di Costanza, riconoscendo ai comuni il
diritto di avere dei possessi fuori dalla città, suggeriva loro che potevano procedere alla conquista
effettiva del territorio. Le città, attraverso i patti non di alleanza ma di sottomissione, si assicurarono il
controllo politico diretto delle campagne (contado), mentre altre forze- comunità rurali soprattutto
signori territoriali- contrastavano o assecondano secondo i casi questo processo di conquista. La
costruzione del contado fu particolarmente intensa nel corso del duecento, quando molte città
riuscirono a creare stati (città-stato) che controllavano i rispettivi contadi e li amministravano. In certe
aree i cittadini cominciarono nel corso del duecento a comprare la terra e a organizzarla in poderi fino
ad arrivare, alla fine del secolo successivo, a eliminare quasi del tutto la piccola proprietà contadina.
In toscana, soprattutto tra Firenze e Siena, questo processo fu più deciso e che altrove e sui poderi che
si erano così formati si diffuse la mezzadria. Le città comunali italiane ebbero una presa fortissima
sulle campagne anche dal punto di vista culturale ed economico. Tra città e campagna si creò
effettivamente, un'integrazione e insieme una fortissima opposizione culturale; le città modificarono
l'aspetto delle campagne, non solo ricavano da queste delle materie prime derrate alimentari, ma si
rifornivano lì anche di manodopera, utilizzando per esempio le contadine per il lavoro di tessitura e
filatura e gli uomini per la preparazione dei mattoni. La mezzadria era una forma di conduzione della
terra che si diffuse a metà del XIII secolo, a partire dalle zone più vicine ad alcune città dell’Italia
centro-settentrionale e da aree di forte urbanizzazione e buona disponibilità, praticata da contadini
liberi e proprietari che non sono mai assenteisti. Il mezzadro viveva nella casa al centro del podere,
questo significava che tutta la famiglia era chiamata al lavoro comune e c’era bisogno di un buon
numero di braccia, le donne si dedicavano alla cura dell’orto e frutteto, praticando un ‘agricoltura di
valorizzazione e di mantenimento del territorio ecc…
-Il buon governo (Approfondimento pag 331-333)
5.9 Fuori d’Europa
-Il mondo delle steppe e l’impero dei mongoli
La steppa, è un'enorme terra asiatica senza alberi esistenti tra l'Europa centrale e la Cina. Vi abitavano
nel medioevo tribù di pastori nomadi alle quali il clima di quelle terre avere insegnato a spostarsi su
grandi distanze, seguendo l'alternarsi della pioggia e del bel tempo. I turchi erano stati i primi a
costruire nella steppa un vastissimo impero. Ma dal 750 all'inizio del 200 nessuna tribù aveva più
avuto la supremazia sulle altre. Il mondo delle popolazioni nomadi dell'Eurasia era un mosaico di
tribù. I mongoli erano in parte cacciatori, in parte si trattava di un popolo di pastori, rude abituato a un
clima inclemente, che apprezzava molto la resistenza fisica, anche perché ne aveva bisogno dato che
poteva trovarsi a dover marciare con i propri animali anche per dieci giorni di seguito senza alcuna
sosta. Sul finire del XII secolo in più di una tribù si erano create delle aristocrazie: alcuni capi
avevano cominciato a pensare ad un'unificazione politica. Tre le tribù si erano formate subito rivalità e
alleanze. L'artefice dell'unificazione della Mongolia si chiamò Temujin. Dopo 25 anni di lotta nel
1206, venne riconosciuta Gengis Khan, cioè “sovrano universale”. Unificò la Mongolia dei nomadi e
trasformò le tribù mongole, in un efficiente macchina da guerra. Mise insieme un esercito di 300.000
guerrieri e conquistò enormi territori di popolazione sedentaria. Nelle 1211 si lanciò sulla Cina del
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Nord, e prese Pechino nel 1215. Negli anni seguenti attaccò l'Asia centrale, impadronendosi del
Turchestan, dell'Afghanistan di Samarcanda e Buchara. Nel 1222 invase il sud della Russia. Sconfisse
i principi russi che tentavano una resistenza, poi si ritrasse per qualche tempo è una quindicina d'anni
più tardi marciò direttamente su Kiev. Alla morte di Gengis Khan le conquiste mongole continuarono
con suo figlio Ogodei e suo nipote Kubilai: furono mongoli l’Iran, la Georgia, l'Armenia, la parte più
orientale dell’Asia minore. Nel 1241 i mongoli si spinsero fino al Danubio, poi entrarono in Bulgaria,
conquistarono Kiev, Cracovia e Pest. Nel 1245 il Papa cercò di stabilire contatti con loro, anche
perché si era sparsa la voce che il khan volesse convertirsi al cristianesimo: la più importante missione
cristiane in Mongolia fu affidata al francescano Giovanni del Pian del Carpine. Nel 1258 Baghdad fu
saccheggiata e iniziò conquista del sud della Cina per opera di Kubilai Khan. Dopo il 1260 il dominio
si divise in quattro aree: l'Orda d'oro, un vasto territorio è eurasiatico a cavallo degli Urali, il khanato
dell'Iran, il khanato di Chatagai in Asia centrale, l'impero Yuan in Cina. I mongoli governarono la
Cina per quasi un centinaio d'anni: dal 1271 il Kubilai si proclamò imperatore fino al 1368, anno della
cacciata dei mongoli e dell'instaurarsi della dinastia Ming. Dalla Cina i mongoli provarono a
impadronirsi anche dell’India e del Giappone e del sud-est asiatico ma qui incontrano difficoltà: i
guerrieri delle steppe non seppero affrontare il mare. L'invasione del Giappone fu un disastro, la flotta
mongola fece naufragio, i samurai massacrarono chi sbarcò. Fallì anche la spedizione per conquistare
Giava. L'India rimase in mano ai musulmani. Il dominio mongolo della Cina si basò su una
segregazione netta dei mongoli dai cinesi, tanto che tra le due popolazioni furono vietati i matrimoni. I
mongoli, erano gli unici che potevano tenere armi, conservavano per via ereditaria il governo delle
province. Kubilai spostò il centro del potere a Pechino. Rinunciò al cristianesimo, e si convertì al
buddhismo rimanendo sempre molto tollerante in fatto di religione. I mongoli, nel corso del duecento,
si avvicinarono alle religioni dei popoli con i quali entrano in contatto. La maggior parte si
convertirono all'Islam. All'interno della Cina Kubilai adottò una politica fiscale meno pesante di
quella precedente e questo portò tanti grandi proprietari ad appoggiare il suo governo; migliorò le
comunicazioni interne, costruiti canali d'acqua, immise cartamoneta con un valore stabile. Tutto
questo rese il “Gran Khan” Kubilai leggendario in Occidente. L'unificazione dei popoli asiatici per
opera dei mongoli fu seguita da un periodo relativamente pacifico, che prende il nome di pax
mongolica. Ma in realtà una vera pace non ci fu e i mongoli continuarono a condurre spedizioni. Le
conquiste dei mongoli avevano creato un rapporto diretto tra Cina, India e Occidente che tagliava
fuori il mondo musulmano dalla rete degli scambi. Molti mercanti, soprattutto italiani, intrapresero un
lungo viaggio verso oriente per raggiungere direttamente i luoghi di produzione delle sete e delle
spezie. Dalla morte di Kubilai in Cina si aprì una fase di insurrezione permanente contro il dominio
mongolo che si chiuse solo nelle 1368, quando la dinastia Ming si sostituisce a quella mongola.
-Alla scoperta dell’Asia
L'Occidente cristiano, atterrito dalla loro travolgente avanzata, aveva identificato i mongoli con i
leggendari popoli demoniaci di Gog e Magog che, secondo antiche profezie, avrebbero invaso
l'Europa da oriente prima della fine del mondo: Magog diventava mongoli e tata, il nome originario
tartari, perché il tartaro era l'inferno. Del resto fino al 200-300 la maggior parte dei luoghi
leggendari, del mito e della fantasia, era posta in oriente, perché solo allora quelle terre vennero più
profondamente conosciute. Misteriosa appariva infatti la natura ai confini di quello che si riteneva il
mondo abitato, oltre alle foreste delle quali non si intuiva il limite, al di là dell'oceano sterminato.
S'immaginava che l'ignoto generasse cose mostruose. A mano a mano che ci si allontanava dei luoghi
familiari in cui si viveva, aumentavano gli esseri misteriosi e mostruosi. I punti fermi allora valicati
per la prima volta erano: all’estremo confine occidentale le colonne d'Ercole, al di là delle quali c’era
il paese da cui non si faceva ritorno, che sarebbe stato l'ossessione dei marinai di Colombo; e un
estremo confine orientale rappresentato dal muro che sarebbe stato eretto da Dio dietro preghiere di
Alessandro Magno per tener lontani Gog e Magog. Ma nell’ignoto dell'oriente non c'era solo
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l'inferno. La dove si leva il sole che da la vita, la fantasia dell'uomo del medioevo collocava anche
l’Eden, il paradiso terrestre descritto nella Genesi. Così per gli europei, l’India dalla quale
provenivano profumi, sete e merci preziose era un mondo meraviglioso e di traboccanti ricchezze.
Così, chi si fosse avventurato verso l'Asia avrebbe potuto incontrare, oltre a popoli musulmani pagani,
anche un cristiano, il mitico Prete Gianni, che secondo una leggenda regnava in qualche luogo
misterioso del profondo oriente, come una sentinella cristiana nel regno degli infedeli. I grandi viaggi
europei che inaugurarono la scoperta dell'Asia si situano in un'arco di un secolo e mezzo circa. Prima
alla metà del duecento mercanti, ambasciatori missionari cattolici, si avventurarono, per terra, poi
nella seconda metà del trecento, cominceranno a praticare, per mare, le coste dell'oceano indiano.
Alcuni dei più noti protagonisti narratori di questi viaggi furono italiani. Con la circolazione di alcuni
di questi racconti di viaggio l'Europa cominciò ad allargare quelle conoscenze della geografia
dell'Asia dei costumi e dei popoli. Marco Polo e Giovanni da Pien del Carmine sono due dei più noti
personaggi europei del 200, Ibn Battuta è grande viaggiatore trecentesco dell'Islam. Giovanni frate
francescano di pian del Carmine presso Perugia, viaggiò dal 1245 al 1247, quando fu invitato dal Papa
come latore di un lettera al Gran Khan dei mongoli. Attraversò Germania, Boemia, Polonia è il Ducati
Russi, poi s’inoltrò nel territorio controllato dei mongoli fino al Volga, affrontando l'enorme deserto,
poi le steppe, infine i monti, arrivando alla città di Kakakorum. Il viaggio durò più di due anni e
Giovanni ne fece il resoconto. I due mercanti Matteo e Nicolò Paolo raccontarono al ritorno a Marco
che aveva appena quattro anni quando partirono. Salpati da Venezia nel 1260 su una nave carica di
mercanzie varie preziose, i due fratelli sostarono a Costantinopoli. Da lì partirono per mare alla volta
della Crimea del Mar del Nord, dove Venezia aveva una sua base. Arrivarono a Bukhara e lì rimasero
fermi per tre anni in attesa che si fermassero gli scontri militari. Li arrivarono gli inviati di Kubilai
Khan sovrano dei mongoli: cercando proprio loro i mercanti veneziani con l’ordine di condurli al
cospetto del re. I Polo gli presentano i prodotti dell'Occidente, gli parlarono della cristianità e il Gran
Khan li rispedisce in Italia con una missione diplomatica, recarsi dal Papa e ritornare con 100 sapienti
disposti a illustrare la dottrina cristiana. I Polo ripartirono dall'Italia non con 100 sapienti ma con due
soli frati domenicani abilitati dal Papa a ordinare vescovi e preti con un olio santo nella lampada del
Santo sepolcro e con Marco figlio di Nicolò ormai quindicenne. Il loro viaggio lo tenne lontano 25
anni. Marco descrisse con abbondanza di particolari i luoghi per i quali passò e quelli di cui sentì
parlare. Il viaggio di andata si svolse via terra e durò tre anni. Il viaggio di ritorno invece fu quasi tutto
via mare. Altro importante è Ibn Battuta, nato a Tangeri in Marocco, nel 1304 lasciò la famiglia a
vent’anni, con il progetto di compiere il pellegrinaggio a La Mecca. Ma anziché rientrare a casa in
quel primo viaggio deviò verso la Siria, l’Irak ecc… Nel 1353→ Ibn dette la sua relazione di viaggio
ad un dotto andaluso.
-L’agonia di Bisanzio e l’ascesa dei turchi ottomani
Costantinopoli era stata riconquistata nel 1261 da Michele VIII Paleologo, fondatore dell'ultima
dinastia che governò un impero bizantino che di imperiale aveva ormai solo il nome. Comprendeva
Tracia, Macedonia, Peloponneso e l'area intorno al Bosforo e ai Dardanelli. L'agonia di Bisanzio
venne accompagnata da lotte interne, crisi economica è arretramento costante delle frontiere a
vantaggio dei popoli confinanti. Gran parte di quello che era stato il suo dominio era adesso in mano
agli occidentali, oppure formava Stati indipendenti. Nel 1290 in Egitto e in Siria avevano preso il
potere li mamelucchi, alla guida di contingenti di mercenari di origine Caucasica. Il mondo islamico
era in espansione a partire dalle sultanato di Rum. Il sultanato, che era il principale stato dell’Asia
minore, si era poi scomposto in una quantità di piccoli Emirati tra i quali quello dei turchi ottomani
era destinato alla più grande espansione. Gli ottomani erano dunque il vero pericolo per l'occidente e
per ciò che restava dell'impero bizantino. Dai primi decenni del 1300 giunsero ad affacciarsi sul Mar
di Marmara, prendendo il controllo del lato asiatico dei Dardanelli, e istituirono la loro capitale a
Bursa, a meno di 250 km da Costantinopoli. Più tardi occuparono la Tracia: e da li, nel corso della
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seconda metà del trecento si distenderanno sulla maggior parte dei Balcani, avanzando
inesorabilmente verso la capitale, accerchiandola.
5.10 Si annuncia la crisi
-La popolazione smette di crescere
Il 1148 è diventata la data simbolo del tracollo, sarebbe arrivata la peste nera, destinata a decimare la
popolazione e rendere evidente, in modo drammatico, il profondo malessere che già permeava la
società. Gli storici sono d'accordo sul fatto che la difficoltà dei tempi non furono tutte da apportare
alla peste. Per trovare le origini occorre cercare più indietro, proprio in quel 200 d’oro, quando
sembrava che l'Occidente toccaste il massimo della sua prosperità. Fu tra la fine del 200 e i primi anni
del trecento, infatti, che la popolazione in crescita progressiva da alcuni secoli, smise di crescere e qua
e là cominciò a diminuire. In qualche zona diminuì il numero dei matrimoni, in altre importanti
carestie ebbero severi effetti sulla popolazione: la carestia diminuiva la fertilità e aumentavano le
morti, non solo perché in certi momenti più drammatici si poteva, letteralmente, morire di fame, ma
anche perchè organismi debilitati sono più facilmente preda delle malattie. Altri studiosi attribuiscono
tutta la responsabilità alle epidemie. Le cronache medievali descrivono con crudo realismo gli anni
della fame, l'urgenza del cibo, la disperazione e lo sconforto che li accompagnavano, i vari tentativi
delle autorità di porvi rimedio. Quella del 1347 alla vigilia dell'arrivo della peste, fu la crisi agraria più
grave di quanto interessarono l'Italia. Non fu risparmiato nemmeno il sud ne le isole che erano i suoi
granai, e anche nelle Regno di Napoli ci furono rivolte di popolazioni affamate. La carestia del 1347
arrivò al culmine di vari decenni di difficoltà alimentari in tutta Europa. Una grevissima fu quella, che
tra il 1315 è il 1317 colpì il nord Europa e la penisola iberica. Nei primi anni del trecento le carestie si
fecero molto frequenti, alcune locali, altri più gravi ed estesi. All'origine delle carestie ci fu spesso il
maltempo, tra XIII e XIV secolo ci sono segnali infatti, di un avanzamento dei ghiacciai a valle e a
sud, di un arretramento a valle della linea di massima altitudine della vegetazione arborea, del calo
della popolazione eschimese, della rovina di certe colonie danesi in Groenlandia. A provocare la fame
furono qualche volta anche le invasioni di insetti, come quella dei bruchi o quella delle locuste. Anche
le guerre con i conseguenti saccheggi dei campi, ebbero il loro peso: i conflitti nella penisola iberica,
lo stato di guerra permanente tra i comuni italiani, lo scontro tra Francia Inghilterra.
-Le difficoltà della banca, della produzione, le prime tensioni del mondo del lavoro
Anche la moneta incontrò alcune difficoltà sul finire delle XIII secolo. L'Occidente aveva fame di
denaro per mancanza di metalli preziosi per le accresciute necessità finanziarie dei sovrani europei,
che ricorrevano sempre più largamente ai prestiti di banchieri. Alcune importanti banche usciranno
rovinate proprio dall'inadempienza delle grandi Monarchie. Inoltre il re faceva fluttuare le monete, ne
abbassava o alzava il valore a loro piacimento. Maestro in questo campo fu Filippo il Bello, che usò
più volte questo sistema per diminuire artificiosamente i suoi debiti, e Dante per queste le definite
“falsario”. In conseguenza della sua insolvenza si ebbero bancarotte come quella che coinvolse la gran
tavola dei Bonsignori, una compagnia i banchieri senesi. I Ricciardi di Lucca degli Ammanati e i
Chiarenti di Pistoia difficoltà incontrò anche il settore tessile. Diminuii infatti, di quantità, e aumentò
il prezzo, della lana inglese agrezza. In Italia si provò a far fronte alla mancanza con la lana merinos
delle pecore spagnole. Della fine del XIII secolo alcune aree urbane furono coinvolte da tensioni
sociali. In Italia un movimento di protesta all'interno del mondo del lavoro urbano, detto dei “senza
brache”, dalle soprannome dei lavoratori salariati del settore laniero che lo guidarono, ebbe Luogo a
Bologna nel 1289. Anche a Firenze negli anni 40 delle 300 si ebbero rivendicazioni salariali nel
mondo della manifattura. Nel 1345 Firenze conobbe anche il primo sciopero: i lavoratori della lana
abbandonare il lavoro e dichiararono che non lo avrebbero ripreso fino a quando non fosse stato
liberato il loro capo, Ciuto Brandini, arrestato per aver convocato un’assemblea di operai, con il
programma di costituire un’associazione e promuovere una raccolta di fondi per creare una cassa
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sociale. A Siena nello stesso anno una rivolta venne promossa da altri lavoratori della lana, anche in
questo caso l’agitazione fu soffocata e i suoi capi costretti alla fuga.
CAP 6 LA FINE DEL MEDIOEVO: IL TRE E QUATTROCENTO
6.1 La crisi del trecento
-A peste, fame et bello libera nos domine
La peste comparve in Europa nel 1347 e la percorse tutta. Fu un evento disastroso che decimò la
popolazione e accelerò o cambiamenti nella società, nell’economia e nella mentalità. Ma non fu la
sola sciagura di quegli anni. L’invocazione che risuonava nelle chiese di tutto l’occidente cristiano “a
peste, fame et bello libera nos Domine” sintetizzava i tre flagelli con cui fecero i conti gli uomini del
tempo.
- La Fame
Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, pioggia, freddo, umidità, siccità avevano avuto effetti più
gravi che in passato, perché la popolazione era aumentata. Il rapporto tra popolazione e risorse era
dunque alterato. Da metà trecento a causare la fame ci si misero pure le epidemie sul cattivo raccolto.
La peste portava la carestia e la carestia a sua volta, uccideva quasi come la peste. I più deboli o i più
poveri morivano di fame, i più forti si mettevano alla ricerca di cibo, ma morivano lo stesso di
infezioni, poiché si accontentavano di quello che trovavano. Anche la carestia poteva portare a una
pestilenza perché affamava i topi neri portatori della malattia, che abbandonavano le tane per cercare
cibo nelle case degli uomini. Nella seconda metà del trecento, via via la fame diminuì, sia per il calo
della popolazione da sfamare, sia perché aumentò la produttività della terra.
- La guerra
Nel medioevo si alternarono periodi di pace, più o meno lunghi, ma in una condizione di quasi
continua belligeranza. Nel trecento e nel quattrocento il fenomeno si accentuò e la guerra divenne
quasi abituale. La guerra assorbiva uomini e consumava denaro anche di chi non la faceva in prima
persona, perché le città pagavano forti somme pur di evitare che gli eserciti attraversassero le
campagne, saccheggiando e catturando ostaggi.
- La peste
-La peste nera del 1347-50
Peste dal latino peius, significa la malattia peggiore. Con questo termine erano indicati molti tipi di
gravi epidemie, come il tifo, la dissenteria, il colera o l’influenza broncopolmonare. I contemporanei
descrivevano i sintomi del male, però non potevano spiegarsi come si trasmetteva né sapevano
difendersi. Non solamente ignoravano l’esistenza del bacillo che la provocava, ma non avevano
nemmeno esperienza pratica perché la peste non si presentava in Europa da 580 anni. La peste non è
una malattia dell’uomo, si tratta di un’infezione dei roditori selvatici, che vivono in città sotterranee, e
che se spinti dalla fame a cercare cibo lontano dallo loro tane, possono contagiare i topi domestici,
provocandone la morte. Quando ne muoiono troppi le pulci che vivono nella loro pelliccia, dalla quale
hanno succhiato il sangue infetto, si trasferiscono nella pelle degli uomini, infettandoli a loro volta. La
forma polmonare della malattia si sviluppa negli ambienti freddi, mentre quella bubbonica negli
ambienti caldi e umidi. Il bacillo è sensibile alla luce, e sarebbe bastato questo per limitarne la
diffusione, invece al buio si conserva per alcuni anni e le condizioni poco igieniche, le case
sovraffollate, le cantine buie e le stive delle navi spiegano perché la malattia rimase per secoli,
esplodendo di tanto in tanto. La peste venne da oriente. Il suo viaggio in Europa iniziò intorno al 1338
e seguì probabilmente la via di Samarcanda. Nel 1347 i mongoli che tenevano in assedio la colonia
genovese di Caffa, catapultarono al suo interno come proiettili alcuni cadaveri con la peste. Così le
navi che salparono dalla città avevano la peste a bordo e le soste lungo i porti aumentarono le
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occasioni di contagio. La peste penetrò in Europa attraverso i porti in cui quelle navi si fermarono. A
metà del 1348 aveva già coperto buona parte dell’Europa.
-Come si vive e come si muore nelle città appestate
Le città appena si resero conto della vastità dell’epidemia si sforzarono di ridurre le occasioni di
contagio, limitando i movimenti delle persone, istituendo le quarantene e vietando gli assembramenti
per processioni o funerali. Provvedimenti di buon senso, ma non di grande efficacia, poiché non
sapevano del ruolo che avevano i topi nella trasmissione della malattia. Giovanni Boccaccio come
altri contemporanei descrissero la paralisi della vita cittadina, con le botteghe e le taverne chiuse e le
strade vuote e la paralisi dei rapporti umani. La maggior parte dei medici provarono a curare la
malattia, molti di loro la contrassero a loro volta. Ognuno reagiva come credeva meglio, tra baldorie,
giochi, feste e banchetti. Nacquero i gruppi di flagellanti, uomini incappucciati che giravano per le
piazze d’Europa cantando, che si frustravano in pubblico con violenza e incitando la popolazione al
linciaggio dei cristiani ritenuti responsabili della malattia, le donne potevano solo assistere, strapparsi
i capelli, gettarsi a terra ed urlare. Nel 1349 papa Clemente VI condannò il movimento che svanì di
colpo.
-La gente si spiega la peste
La maggior parte delle cronache indica la causa della peste nei peccati degli uomini: la corruzione
politica, le guerre, gli omicidi e addirittura la moda troppo frivola. La peste veniva da oriente, da un
mondo magico popolato da infedeli. Li si diceva era piovuto fuoco e vermi che portavano la morte,
erano saliti al cielo vapori che avevano coperto il sole ed erano morti i pesci nel mare. Dio intendeva
punire i musulmani, i cristiani erano solo vittime innocenti. Anche il sospetto che avvelenatori
avessero sparso polveri pestifere nei pozzi e nel vento, serpeggiò rapidamente tra la gente in preda al
panico. La rabbia e l’impotenza si sfogò soprattutto sugli ebrei, molti finirono squartati, linciati o
bruciati vivi. In Inghilterra la gente si scagliò su alcune donne accusate di essere streghe, in Germania
nacque la leggenda della ragazza della peste che usciva sotto forma di fuoco dalla bocca dei morti e
che uccideva se alzava una mano. Ci fu anche chi cercò le cause della pesta nel cielo e credette che
fosse causa dell’allineamento dei pianeti.
-Il crollo della popolazione e dei suoi esiti
È impossibile calcolare quanta gente morì di peste. I numeri riportati dai contemporanei erano senza
dubbio esagerati. Le perdite non furono ovunque uguali. La peste di propagò più velocemente dove le
persone vivevano vicine, nelle pianure e soprattutto nelle città, di più tra i poveri che fra i ricchi. In
Inghilterra la peste uccise un quarto della popolazione e tra un quarto e la metà morì nelle città
italiane, complessivamente era scomparso un terzo della popolazione europea. All’indomani del 1348
i matrimoni aumentarono e di conseguenza il numero dei figli, ma la popolazione continuò a
diminuire. Questo perché alla prima seguirono altre pestilenze. La peste non se andava mai
scompariva da un luogo e ricompariva in un altro. Solo dopo quattrocento anni allentò la presa. La
scomparsa di un numero così alto di persone ebbe importanti conseguenze, in molte aree la boscaglia
cominciò a ricrescere, regioni spopolate dalle epidemie non furono più popolate. Diminuendo la
superficie coltivabile aumentò ovunque la terra destinata all’allevamento, ci furono più carne sulla
tavola, più concimi nei campi, più buoi per lavorare la terra. Va da sè che ad essere abbandonati per
primi furono i campi meno fertili, quelli che erano stati coltivati soltanto perchè c’era troppa gente da
sfamare, e le coltivazioni si concentrarono su quelli che per natura erano più produttivi. Case, chiese,
villaggi caddero in rovina, il fenomeno degli abbandoni fu più intenso in certe aree. La crisi
demografica provocò anche un rimescolamento della popolazione, poichè la gente abbandonava i
centri più piccoli e si concentrava in altri più consistenti. In molte città la popolazione abbandonò le
case più periferiche, dove furono impiantati orti, e si strinse verso il centro. Le mura duecentesche
bastarono a contenere la popolazione per diversi secoli.
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-Tensioni nelle campagne
Il potere signorile e padronale sulle campagne uscì indebolito dalla crisi del Trecento, anche se la
maggior parte degli studiosi crede che sia esagerato parlare di una “crisi della signoria rurale” dato
che essa continuò a sopravvivere in gran parte dell’Europa fino al settecento. È vero però che i signori
furono messi in difficoltà dal calo del prezzo dei generi alimentari, soprattutto da quello del grano, dal
crollo delle rendite derivate dallo spopolamento e da un certo aumento dei salari agricoli in
conseguenza della diminuzione di manodopera. L’aumento dei salari e il miglioramento della vita dei
contadini furono solo temporanei, perché il governo prese le loro contromisure. In Inghilterra fu
messo a punto uno statuto dei lavoratori che vietava l’aumento dei salari. Così pure in Italia. Nel
corso del trecento si segnalarono numerose esplosioni di malcontento contadino. Francia e
Inghilterra furono teatro di due importanti rivolte. La jacquerie fu un movimento contadino
improvviso, breve e violento che esplose nel 1358. Si tratta della più grande rivolta contadina nella
storia della Francia. I ribelli venivano chiamati dai nobili jacques. Alla base della rivolta c’era la
condizione generale di difficoltà nella quale cresceva il malcontento contadino, le difficoltà
alimentari e il fatto che dieci anni prima la peste aveva decimato la popolazione, inoltre la Francia era
coinvolta in una serie di scontri armati con l’Inghilterra. Si aggiunse a questo un sentimento nuovo e
sempre più diffuso di disprezzo verso i nobili, accusati d’incapacità. Trovando ascolto a Parigi, i
seguaci di Etienne Marcel, potente capo dei mercanti parigini, volevano togliere alla nobiltà privilegi
e potere politico e inaugurare un governo della borghesia. Le prime avvisaglie di violenza si ebbero a
Saint-Leu, lungo il corso dell’Oise. I parigini perciò inviarono una lettera a tutte le città, borghi e
villaggi del regno per insorgere e prendere le armi contro i nobili. Nonostante l’appoggio della
borghesia la jacquerie fu soffocata nel sangue. Nel 1381 in Inghilterra a causa di una nuova imposta
la pool-tax, una tassa sulle persone esplose una violenta rivolta. Parteciparono all’organizzazione
anche alcuni preti ribelli che predicavano l’eguaglianza sociale e il comunismo dei beni, contro i
ricchi. Tra i rivoltosi che marciarono su Londra, trascinando con sé anche molti artigiani salariati di
città, c’erano sia contadini agiati sia salariati a giornata. Gli storici si chiedono se tra i contadini
inglesi ci fosse qualcosa che si avvicina alla lotta di classe. A differenza dei jacques, i contadini
inglesi avanzavano precise rivendicazioni sociali e gli storici si chiedono se nella loro rivolta si possa
vedere qualcosa che si avvicini alla lotta di classe.
-Tensioni sociali nella città
La peste del 1348 provocò nelle città un vero e proprio terremoto nei rapporti tra i lavoratori,
sottoposti ai datori di lavoro. Le prime avvisaglie della tensione si videro già mentre era in corso
l’epidemia, quando come narra Boccaccio, i serventi smossi da smisurata avarizia chiedevano salari
grossi e sconvenevoli. I salari aumentarono fino al 1370 e con loro migliorarono le condizioni di vita
dei salariati. In seguito però furono di nuovo abbassati, la legge aveva protetto i datori di lavoro, e
molti lavoratori erano riprecipitati nella condizione di miseria. Nel giro di pochi anni esplosero
importanti rivolte, a Firenze come in altre città, soprattutto in quelle impegnate nel settore tessile. Le
tensioni si fecero acute perché la guerra impediva alle lane inglesi di rifornire i laboratori,
gettando molti nella rovina. Nel 1378 esplose a Firenze la più nota rivolta urbana del 300 alla quale è
stato dato in nome di tumulto dei ciompi i lavoratori salariati che svolgevano nelle botteghe la parte
meno qualificata del lavoro. La rivolta guidata da Michele Lando, cominciò come una ribellione
armata d’artigiani che protestavano per i salari troppo bassi e rivendicavano il diritto di riunirsi in
un'arte riconosciuta dal governo. Continuò poi con richieste più radicali, il programma si articolava in
cinque punti:
- i rivoltosi si rifiutavano di rimanere subordinati ai padroni - chiedevano di partecipare al governo del
comune
- volevano che fosse eliminata la carica dell’ufficiale forestiero, che aveva il compito di vigilare che i
dipendenti non fondassero associazioni
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- chiedevano un aumento dei salari
- e volevano l’impunità per i partecipanti al movimento
Le loro richieste erano quindi sia contro lo stato che contro i lavoratori. Dopo qualche giorno i
rivoltosi assediarono il palazzo del podestà, e s’impadronirono per sei settimane del governo di
Firenze, ottenendo per i propri rappresentanti un terzo delle cariche di governo e il diritto di formare
nuove arti. Ma un dura repressione rimise le cose com’erano prima della rivolta. Intorno alla rivolta
dei ciompi è esplosa una vivace produzione storiografica. Gli studiosi di orientamento marxista hanno
visto nella rivolta una manifestazione precoce della lotta di classe, i loro oppositori hanno negato il
carattere sociale delle rivolte.
-La crisi, una febbre benefica?
Quell’insieme di cambiamenti che oggi chiamiamo crisi del Trecento, non sfuggì nei suoi aspetti
generali a due dei più importanti studiosi del 900, Henri Pirenne e March Bloch. Nessuno dei due però
parlò della peste ne del crollo demografico, cercando le cause delle difficoltà europee nella guerra dei
cent’anni e nei cambiamenti nelle monete. Pochi anni dopo aveva preso forma l’idea che quella del
trecento fosse una crisi di tipo malthusiano, quella che secondo le teorie dell’economista inglese
Malthus, nasce quando la popolazione aumenta più in fretta dei mezzi di sussistenza, quando
l’economia non ce la fa a tenersi al passo, quando il mondo non produce abbastanza per sfamarsi, la
peste in questa prospettiva sarebbe solo un regolatore per riportare le cose in pari. Parlare della
crisi del 300 è fondamentale per capire come si è chiuso il medioevo, con un momento di decadenza
come sostengono alcuni o con una trasformazione, una spinta alla nascita di qualcosa di nuovo. Gli
storici hanno tuttora opinioni diverse. C’è chi punta il dito contro il clima, chi attribuisce tutto alla
peste, chi sposta l’attenzione su certe difficoltà alimentari italiane, dimostrando così che la crisi non
esplose all’improvviso in un giorno sfortunato del 1348. Non tutti sono d’accordo nemmeno sul fatto
che la crisi ci sia stata, soprattutto dal punto di vista economico. Non tutti ritengono che ci sia stata
una recessione economica e comunque tutti sono convinti sul fatto che la crisi non coinvolse tutti allo
stesso modo, alcune piazze commerciali decadevano, altre si facevano più forti al loro posto. C’è chi
ritiene che le difficoltà abbiano avuto effetti positivi, stimolando i mercanti a rendere più efficiente la
loro attività. Il trecento può essere descritto anche come un momento di difficoltà dal quale stava
nascendo qualcosa di nuovo che faticava a venire fuori, quel qualcosa secondo alcuni era il
capitalismo, e non c’entrava il popolamento malthusiano, nel trecento era entrato in crisi il sistema
feudale, perché ormai non era più possibile premere sui contadini.
6.2 Fermenti della cristianità tra tre e quattrocento
-Una nuova sensibilità religiosa
Nel corso del trecento molti monasteri attraversarono una fase di difficoltà. La gente cercò una
religiosità più personale poco legata alle istituzioni ecclesiastiche. Si svilupparono forme collettive
d’impegno nel mondo, attraverso il volontariato negli ospedali. Tra le correnti religiose nel medioevo
le più note sono quelle segnate da una ricerca di una religiosità più interiorizzata e più mistica.
Misticismo è chiamato l'atteggiamento di chi si pone in contatto diretto con la divinità, cercando
l’illuminazione interiore, escludendo volontariamente la ragione. La chiesa non lo rifiutò, il
misticismo condusse certe donne verso atteggiamenti profetici, estasi e visioni divine. Vennero
circondate da discepoli convinti che Dio parlasse attraverso loro. Si trattò in molti casi di figure forti e
intraprendenti che non esitarono a rivolgersi ai potenti, per manifestare quella che ritenevano fosse la
verità di Dio. Giovanna d’Arco chiamo il re di Francia Carlo VII alla riscossa contro le armate
inglesi, Caterina da Siena incitò il pontefice a tornare a Roma. In quest’epoca nell’arte sacra
comparve e trionfò il tema della morte, la Danza macabra, è l’opera più conosciuta, composta da
trenta coppie di personaggi di ogni strato sociale che danzano tenendo per mano il loro cadavere,
dipinta nel cimitero degli Innocenti di Parigi. Una parte della storiografia vuole che sensibilità
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dominata dalla morte e una religiosità che valorizza il dolore fisico siano da includere nelle
conseguenze della peste. La gente avrebbe avuto allora bisogno di consolazione, di sperare che
espiando la colpa sarebbe arrivata la salvezza. Il culto della Passione di Cristo si propagò proprio in
quegli anni perché la gente era attratta dal dolore. Un altro tema importante è il Trionfo della Morte,
che cavalca spazzando tutto ciò che trova, dipinto per la prima volta nel Camposanto di Pisa.
-Lo scisma della chiesa d’Occidente (1378-1414)
Papa Gregorio XI era rientrato a Roma nel 1377, influenzato prima da Brigida di Svezia e poi spinto a
riacquistare autonomia rispetto al potere politico francese da Caterina da Siena, che si era recata ad
Avignone, preceduta da una fama di santità, cosa che attribuiva particolare autorevolezza ai suoi
interventi in favore del rientro in quella che era la sede naturale della chiesa. Alla morte del papa i
cardinali si trovarono in difficoltà a indicare il suo successore, gli italiani elessero Urbano VI che
s’insediò a Roma, i francesi invece elessero Clemente VII che rimase ad Avignone. Lo scontro si
protrasse per circa quarant’anni. Le forze erano equilibrate ed era difficile trovare una soluzione,
anche perché alla morte di uno dei due papi ognuno dei due partiti rieleggeva il proprio. Ad entrambi i
papi fu proposto di abdicare per eleggere un unico successore, ma nessuno dei due era disposto a
rinunciare al soglio, anzi entrambi cercavano di rafforzare la fedeltà dei propri uomini nominando una
serie di cardinali. Infine si pensò a un concilio, anche perché i papi erano aumentati di numero,
quando un gruppo di cardinali riuniti a Pisa aveva tentato eleggendo un terzo di ottenere l’abdicazione
degli altri due. Nel concilio di Costanza lo scisma fu ricomposto, il concilio si dichiarò superiore al
pontefice e iniziò il processo contro i tre papi regnanti. Nel 1417 fu eletto il cardinale Ottone Colonna,
che salì al soglio pontificio con il nome di Martino V. Roma tornava ad essere l’unica sede dei
pontefici.
-Le eresie di Wyclif e Hus e la costruzione delle identità nazionali
Anche la contestazione eretica della chiesa assunse caratteri nuovi tra tre e quattrocento, quando
s’inaugurarono in Inghilterra e in Boemia due movimenti eretici di matrice dotta. Il professore
dell’università di Oxford John Wyclif fu ispirato da una dottrina che Roma dichiarò eretica e che per
molti aspetti prefigurava la riforma protestante. Egli sosteneva che non era la parola del papa che il
cristiano doveva seguire, ma quella di Dio. La Bibbia, aggiungeva, ogni cristiano avrebbe potuto
comprenderla da solo purchè potesse leggerla nella propria lingua, perciò si occupò di farla tradurre in
inglese. Non c’era più bisogno così della spiegazione del sacerdote e il cristiano era messo in diretto
contatto con la parola di Dio. La nuova dottrina distingueva tra “chiesa visibile”, quella delle
istituzioni, e “vera chiesa invisibile” l’insieme dei cristiani con a capo Cristo. Wyclif sosteneva che
le pratiche della chiesa e i sacramenti potevano agire poco sulla salvezza dei cristiani perché essi
erano una “comunità di predestinati”, con una sorte segnata che non poteva essere cambiata. Quattro
anni dopo la sua morte, la sua dottrina fu condannata e il movimento si sciolse. I discepoli più radicali
di Wyclif, chiamati lollardi, ebbero un ruolo importante nella rivolta scoppiata tra contadini inglesi
nel 1381 e poi arrivata fino a Londra. La rivolta nacque come contro la pressione del fisco e assunse la
forma di una ribellione per l’eguaglianza sociale e il comunismo dei beni. I lollardi che predicavano
che la chiesa dovesse abbandonare tutte le ricchezze terrene, fornirono ai rivoltosi il supporto
ideologico. Ma le sue idee non morirono e dopo qualche anno si ritrovano nella predicazione di Jean
Hus, rettore dell’università di Praga. Egli invitava i fedeli a seguire la povertà di Cristo così come lo
descrivevano le scritture. La violenza delle sue critiche gli portarono l’ostilità dell’arcivescovo di
Praga che gli proibì di predicare. Appena giunto a Costanza per il concilio venne arrestato come
eretico. Quando si rifiutò di ritrattare le sue tesi venne bruciato vivo. Ma anche questa volta il filo
delle sue idee non si spezzò. I suoi seguaci ripreso le sue dottrine e dettero vita a un movimento
nazionalista. All’interno del movimento si scontrarono due anime, una più radicale i taboristi e una
più moderata. I primi più poveri volevano insieme alla riforma religiosa, volevano trasformare lo
stato in una repubblica teocratica, basata sulla parola della Bibbia e sulla povertà del vangelo. I
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secondi volevano mantenere la gerarchia tradizionale. Con i Quattro articoli di Praga le due
correnti si accordarono, l’accordo prevedeva la libertà di predicazione in ceco e il riconoscimento del
diritto dei laici a consumare l’Eucarestia. Ma i taboristi volevano estendere la rivoluzione a tutta
l’Europa, l’imperatore Sigismondo e papa Martino V unirono le loro forze e mandarono contro di loro
un vero e proprio esercito crociato che fu più volte sconfitto. Sigismondo scelse la strada della
trattativa e riconobbe gli articoli di Praga.
-La caccia alle streghe (Approfondimento pag 369-370)
6.3 Il consolidamento delle monarchie
-La guerra dei cent’anni
Francia e Inghilterra, dopo che si era indebolito il sistema di rapporti feudali si stavano trasformando
in stati centralizzati di tipo moderno. Nel 300 più di un re europeo si trovò di fronte un’aristocrazia
smaniosa di riaffermare i suoi privilegi, la parola stato non esisteva ancora, ma anche il processo d
unificazione nazionake che accomoagnava la costruzione di apparati statali era tutt’al più un’ipotesi
recente e infatti era forte un’azione disgregatrice di tipo feudale. L’insistenza di un vecchio che
resisteva a scomparire e un nuovo che cercava la strada per nascere è all’origine della guerra dei
cent’anni. Nel 1324 il re d’Inghilterra si rifiutò di prestare l’omaggio feudale che doveva al re di
Francia per le terre che gli inglesi avevano mantenuto nella Francia occidentale. Lo scontro nacque
perciò da una contesa antica, da un conflitto tra un vassallo, il re d’Inghilterra e il suo signore, il re di
Francia. A questo conflitto d’autorità si aggiungevano rivalità dinastiche. Nel 1328, quando l’ultimo
re dei capetingi, Carlo IV, moriva senza figli, il re d’Inghilterra Edoardo III fu escluso dalla
successione perché il suo legame di sangue con la casa regnante francese procedeva per via materna.
Filippo VI di Valois fu re al suo posto, non perché era l’erede più prossimo per via maschile, ma
semplicemente perché era nato in Francia. Edoardo rivendicò la successione al trono di Francia e si
rifiutò di riconoscere nel cugino il nuovo re. La guerra dei cent’anni iniziò quindi su questa scena. A
nominarla guerra dei cent’anni, furono alcuni storici dell’ottocento, che vollero mettere l’accento sul
fatto che nonostante le interruzioni, si trattò sempre di uno stesso conflitto, una catena di scontri che si
protrasse così a lungo anche perché la debolezza dei mezzi militari non consentiva a nessuno di
trionfare. Il 1337 è considerato la data dell’inizio delle ostilità, Filippo VI confiscò le terre che
Edoardo III d’Inghilterra aveva nel continente e quest’ultimo gli dichiarò guerra. In realtà questa data
è scelta solo per convenzione. Ambedue i re cercarono alleati in Fiandra. Quella terra era una
polveriera, si trovava nel continente ma era affacciata sul mare e da tempo la sua popolazione era
divisa anche dal punto di vista linguistico. Era il terreno adatto per i primi scontri. Con la vittoria
navale di Ecluse, gli inglesi si assicurarono la possibilità di trasportare truppe nel continente, verso
Calais. La guerra, così lunga, attraversò varie vasi che vide i due regni alternativamente vittoriosi. I
primi scontri furono favorevoli all’Inghilterra. Nelle grandi battaglie campali la numerosa
cavalleria pesante francese, simbolo della nobiltà tradizionale, fu clamorosamente sconfitta da un
piccolo esercito. Insieme a queste azioni di guerra una serie di scorribande di truppe inglesi entrarono
nel territorio francese e saccheggiarono intere regioni. Le difficoltà economiche portarono al
fallimento due banche fiorentine che avevano finanziato l’operazione. Nel 1356 a Poitiers fu preso
prigioniero il re di Francia, Giovanni II il Buono. L’immagine della monarchia francese fu duramente
colpita, tanto che in un primo momento gli Stati generali non volevano nemmeno pagare il riscatto.
Alla fine il figlio Carlo, pagò agli inglesi una somma enorme per la liberazione del padre e per la
rinuncia inglese a ogni pretesa sul trono di Francia e delle Fiandre. Carlo V non fu un uomo di guerra,
ma fu un buon sovrano, ristabilì la pace interna, si circondò di validi collaboratori, ricostruì il
prestigio della casa reale e infine progettò una spedizione di riconquista. La guerra riprese nel 1369,
ma ormai i francesi avevano capito che la cavallerie pesante non serviva più. Cambiarono tattica,
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tagliando i rifornimenti al nemico e colpendolo con tecniche da guerriglia, assalti rapidi e imboscate,
rifiutando lo scontro in campo aperto. La vittoria fu francese. Nel 1380 cessarono le ostilità.
L’Inghilterra era sconvolta dalle rivolte popolari, la Francia finì preda delle guerre civili, tra gli
Armagnacchi e i Borgognoni che si contendevano il potere. Con Enrico V d’Inghilterra del 1413
ripresero gli scontri. L’armata francese fu distrutta, nel 1415 ad Anzicourt e i principi di sangue quasi
tutti uccisi o fatti prigionieri, i Borgognoni si avvicinarono agli inglesi che conquistarono tutta la
Normandia. Carlo VI il Folle, nel 1420 dichiarò che Enrico V sarebbe stato il suo successore sul
trono di Francia. Sembrava finita e che Francia e Inghilterra dovessero essere unificate sotto la
dinastia inglese dei Lancaster. Ma alla morte di Enrico V e di Carlo VI la Francia si spaccò in due. A
nord Enrico VI formò un regno franco-inglese con l’appoggio dei Borgognoni e Carlo VII formò nel
sud un regno rifugio sostenuto dagli Armagnacchi. Giovanna d’Arco è considerata da alcuni l’artefice
della resistenza all’occupazione inglese, da altri una visionaria sulla cui storia si ricamò una fantasia
popolare, fino a farne il simbolo del nazionalismo francese. Giovanna aveva diciassette anni quando
entrò sulla scena della guerra. Non sapeva né leggere né scrivere però sosteneva di sentire delle voci
dal cielo che le assegnavano la missione di aiutare il suo re. Convinse Carlo VII a inviare soldati in
soccorso ad Orléans assediata. Per prendere parte alle operazioni militari si vestì da uomo e si tagliò i
capelli, cosa che fece scandalo soprattutto negli ambienti ecclesiastici. Giovanna difese con forza il
suo modo di vestire da uomo perché, come spiegò al processo, la difendevano alle attenzioni dei
soldati. Nel 1492 gli inglesi, sconfitti, ritirarono l’assedio da Orleans. Carlo VII riprese con successo
l’iniziativa militare e si fece incoronare legittimo re di Francia. Nel 1431 Giovanna fu fatta prigioniera
dai Borgognoni, venduta agli inglesi, processata come strega e condannata al rogo. La forma fu quella
di un processo in materia di fede, ma in realtà fu un processo politico, nel quale si erano scontrate due
France, quella nazionalista di Giovanna e l’altra filoinglese. La propaganda disse che Dio appoggiava
la Francia che da allora ebbe una serie di vittorie sugli inglesi. Nel 1453 gli inglesi furono cacciati
oltre la Manica. Il conflitto era chiuso con la Francia vincitrice.
-Francia, Borgogna, inghilterra dopo i cent’anni
In Francia le miserie della guerra avevano colpito duramente tutti gli strati sociali: i contadini, i nobili
e i borghesi. L’unico a trionfare era il re che acquisiva potere quanto più le altre forze lo perdevano.
La guerra con i suoi costi l’aveva spinto ad affinare il sistema fiscale e a dotarsi di un esercito
stabile e reclutato e pagato direttamente, senza l’intermediazione dei nobili. I duchi di Borgogna
non si erano mai considerati del tutto principi francesi, e per un certo tempo riuscirono a trasformare il
loro territorio in un regno. Il re di Francia Luigi XI fece fronte con successo alla grande nobiltà che si
era riunita intorno ai Borgognoni. Lo scontro riprese quando salì al trono Carlo il Temerario che
inseguì il sogno di unificare i domini borgognoni a quelli fiamminghi. Dopo la sua morte si assistette
alla progressiva scomparsa della Borgogna. Con l’appoggio di svizzeri e lorenesi il re di Francia
occupò il ducato, l’Artois, la Franca Contea e la Piccardia. La nuova Francia si completò negli ultimi
decenni del 400. La monarchia inglese sconfitta nei suoi propositi d’espansione, si ritirò nell’isola e
concentrò le energie al suo interno, uscendone rafforzata. Attraversò però prima un lungo conflitto
dinastico, conosciuto come guerra delle due rose, che vide scontrarsi due partiti, facenti capo alle
famiglie dei duchi di Lancaster e di York entrambe discendenti da Edoardo III. I Lancaster
incoronarono Enrico IV, V e VI, gli York imposero con forza Edoardo IV, sbaragliando il clan rivale.
Dopo la sua morte lo scontro si fece più feroce e si concluse con la vittoria dei Lancaster e
l’incoronazione di Enrico VII membro della famiglia Tudor. Il nuovo re sposando la figlia del suo
predecessore, Isabella di York, mise fine alla guerra e acquista i beni del clan rivale. La nuova dinastia
unificata si chiamò Tudor.
-I regni spagnoli alla conquista dell’oltremare
La penisola iberica aveva risentito meno degli altri paesi della crisi demografica. L’espansione
spagnola andò in due direzioni: nella costruzione di un impero africano da parte della Castiglia e del
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Portogallo e di un impero mediterraneo da parte della Corona d’Aragona. Nel 1350 le vie verso la
Cina erano state chiuse con la disfatta dell’impero mongolo. I mercanti avevano cominciato a cercare
una via alternativa per le Indie. A differenza dell’Aragona proiettata verso il Mediterraneo, Castiglia
fin dall’inizio del 300 guardava con avidità verso Gibilterra e il Marocco. Anche i portoghesi
guardavano da tempo verso la costa africana. Portogallo e Castiglia, forti di una marina mercantile
sviluppata, avevano fondato la loro strategia sul fatto che i mercanti europei dovevano
necessariamente passare dai loro domini se volevano trovare nuove rotte commerciali che li
portassero verso oriente attraverso l’Atlantico. Nel 400 francesi, castigliani e portoghesi
circumnavigarono l’Africa. Nel 1430 i re di Castiglia e Portogallo ottennero su Marocco e Granada
alleati in nome della fede comune musulmana, insieme a un consistente bottino di lingotti d’oro dal
Sudan. L’impero mediterraneo aragonese che si era formato attraverso la conquista delle Baleari, della
Sicilia, della Sardegna aveva creato una sorta di “diagonale insulare”, un filo politico che partendo da
Barcellona, legava le isole per continuare verso l’Africa. I primi beneficiari dell’espansione aragonese
sul mare furono i catalani, in perenne concorrenza con i genovesi che ottennero basi commerciali in
Sardegna, in Sicilia e in Egitto. Le isole mediterranee costruirono una sorta di nuova rotta, la via delle
isole, che i mercanti catalani percorsero per arrivare alla via delle spezie. Si trattò di una stagione di
forte ascesa economica per Barcellona. Ma l’economia di Barcellona aveva avuto soltanto debolezze
interne anche nel periodo della sua massima fioritura e furono queste a togliere ai suoi mercanti la
forza di superare la concorrenza. Nel 1412 Ferdinando I di Trastamara era diventato re di Aragona, di
Sicilia, Valenza, Maiorca, Sardegna e Corsica. Questo titolo segnava una svolta per la Sicilia, che
perdeva la sua fisionomia di regno autonomo e la possibilità di avere un proprio re. Venne unita alla
corona d’Aragona come viceregno. Nel 1415 fu inviato nell’isola un viceré. Il successore di
Ferdinando I, Alfonso V il Magnanimo, ampliò ancora la corona d’Aragona tentando la conquista
della Corsica e saccheggiando Marsiglia ed entrando infine da conquistatore a Napoli. Con i suoi
successori il regno di Napoli ebbe nuovamente una vita autonoma dalla Sicilia. Il matrimonio tra
Ferdinando d’Aragona e Isabella, regina di Castiglia, unì definitivamente la corona dei due regni. Ma
a questa unificazione statale non corrispose quella del sentimento nazionale. Le forze congiunte
ripresero l’offensiva antimusulmana, nel 1492 data simbolo della fine della reconquista Granada
cadde. Gli ebrei della Spagna furono spinti a scegliere tra la conversione o l’esilio. Molte città
tedesche imitarono quelle spagnole. Gli ebrei si misero di nuovo alla ricerca di una patria, trovando
rifugio in Italia, in Africa del nord e nell’impero ottomano.
-la cacciata e l’accoglienza degli ebrei (Approfondimenti pagina 379-380)
-La Germania dei principati
In Germania trionfava il particolarismo dei principi territoriali e delle città. Nel 1356 la Bolla d’oro
emessa dall’imperatore Carlo IV di Boemia, sancì che l’imperatore sarebbe stato eletto dai più
importanti principi tedeschi. La successione finì quindi nelle loro mani, desiderosi più che di
rafforzare la monarchia di affermarsi personalmente. Da questo momento la Germania divenne un
sistema di territori autonomi gestiti da signori. Le prime a sentirsi minacciate furono le città diretta
dalla borghesia anche si unirono in leghe. Il fenomeno delle leghe si fece evidente a partire dalla
morte di Carlo IV, e dal 1370. L’intero territorio fu travagliato da uno stato di guerra continua, tra
principi e piccoli nobili, tra principi e città. L’età dei principati durò in Germania dalla morte di Carlo
nel 1378 al 1519. Si contesero la corona i Wittelsbach, gli Asburgo e i Lussemburgo. Sul finire del
secolo Massimiliano d’Asburgo aggiunse al patrimonio della famiglia altri territori divenendo il
principe più importante in Germania e durante il suo regno proclamò la pace generale, costituì un
tribunale imperiale, recuperando parte dell’amministrazione della giustizia e ripristinò una imposta
imperiale. La confederazione elvetica sorse per colmare il vuoto politico che si era creato tra la fine
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del duecento e il pieno trecento nei territori dell’impero. Nata nel 1291 da tre cantoni di montagna che
facevano parte degli Asburgo, tra il 1306 e il 1316 ottenne dall’imperatore il riconoscimento della sua
autonomia. Prima della fine del trecento ai tre cantoni iniziali se ne aggiunsero altri cinque che si
erano sollevati contro gli asburgo. Nel corso del quattrocento il processo di espansione riprese e la
confederazione si estese ad altri quattro cantoni. Nel 1499 una nuova pace con l’imperatore
Massimiliano sancì definitivamente l’indipendenza politica della svizzera.
-La nuova Russia e gli stati dell’Europa dell’est
Processi ed esperimenti di composizione statale coinvolsero, tra tre e quattrocento, anche il nord e
l’est dell'Europa. Svezia, Norvegia, e Danimarca si riunirono in uno solo Stato nel corso del trecento
sotto un unico re, Erik di pomerania, per affrontare con una politica estera comune l’espansionismo
politico ed economico dei tedeschi. La capitale della confederazione, che si chiamò Unione di Kalmar,
fu Copenaghen. L’unione si dissolse non molto tempo dopo per la rivolta dei nobili norvegesi e
svedesi contro il predominio acquisito dai danesi. Anche nell’Est europeo ci fu un’epoca di
organizzazione. Si era fermato l’espansione dei mongoli ed era arrivato al suo massimo anche
l’espansione tedesca verso est. Per il mondo slavo vi era la possibilità di organizzarsi in stati autonomi
con caratteri propri: accadde in Russia, in Ungheria e anche in Polonia. L’ungheria ricoprì un ruolo
importante come barriera di difesa della cristianità. La Boemia, la Polonia e la lituania subirono
l’influenza tedesca. La Boemia per esempio aveva attraversato un periodo di prosperità proprio
quando il suo re divenne re di germania con il nome di Carlo IV e scelse Praga come sua sede.
Tuttavia questi stati tra la fine del trecento e l’inizio del quattrocento si liberarono dall’influenza
tedesca. I principi russi che governavano dal duecento in maniera abbastanza autonoma, anche sempre
come vassalli dei mongoli. Il paese però era stato molto isolato dall’isolamento di Bisanzio che la
conquista mongola gli aveva imposto, dalle guerre, perché i dominatori pretendevano pesanti tributi in
argento. Nel corso del trecento emersero sempre con un ruolo più autonomo i principati di Kiev e di
Mosca che comprendeva le terre del nord. Ivan I che si era guadagnato la fiducia dei tartari, comprò
dal loro Can il titolo di principe di Mosca e di tutte le russie, spostò da Kiev la sede della chiesa
Russa, facendo di Mosca il punto fondamentale religioso. La Moscovia cominciò la sua ascesa
sorretta dal notevole sviluppo sostenuto dalla regione, quindi economico, e sostenuta dalla chiesa.
Mosca fu circondata di mura di pietra che sostituirono quelle antiche di legno e gli architetti italiani
furono chiamati a costituire il Cremlino. L’influenza russa si estese anche fuori → Novgorod entrò a
far parte del principato. era nata la nuova Russia. La civiltà che si andò a creare in russia fu soprattutto
contadina e si basò sulla servitù, l'aristocrazia terriera e i nuovi nobili che avevano ricevuto dai
principi vasti territori , sottomisero villaggi e imposero ai contadini servizi regolari e vietarono loro di
lasciare la terra senza permesso. Dal punto di vista religioso la Russia era cristiana e utilizzava il
rituale greco ortosoddo, non stupisce però che dal punto di vista artistico prendesse spunto da
Costantinopoli, le sue iconografie assomigliano tantissimo a quelle di Costantinopoli. Mosca era
diventata la terza Roma (la seconda era Costantinopoli).
5.4 L’Italia alla fine del Medioevo
-Dalla frammentazione politica…
Mentre i regni europei si rafforzavano su base nazionale, l’Italia rimaneva sempre divisa tra regni e
comuni. Talvolta a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro convivevano i tipi più svariati di
regime politico, le popolazioni si reggevano con diverse leggi e rispondevano a un tipo diverso di
giustizia. S’incontrava una serie di città-stato a regime repubblicano come Firenze, o signorile come
Ferrara con gli Este o Milano con i Visconti, o ancora principati come quello dei marchesi di
Monferrato, o come il Piemonte integrato nel dominio dei conti di Savoia, Pisa e Genova si
dividevano l’influenza economica e politica su Sardegna e Corsica, e al centro lo Stato della chiesa
con a capo il papa-re, infine sui troni di Napoli e Sicilia sedevano re stranieri. In questo periodo la
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dinastia degli Angioini avevano rappresentato una presenza determinante nel sistema politico italiano.
Carlo I d’Angiò, dopo aver fissato a Napoli la capitale del regno di Sicilia, aveva coordinato
un’azione politica di ampio raggio. Il nipote di Carlo dopo la perdita della Sicilia nel 1282 rinnovò la
signoria angioina su varie città, mettendosi a capo dell’alleanza guelfa guidata da Firenze per
fronteggiare Enrico VII di Lussemburgo che tra il 1310-1313 aveva tentato di pacificare sotto l’alta
sovranità imperiale di città italiane in lotta tra di loro. L’alleanza che si determi tra gli angioini e il
papato fu all’origine del progressivo coinvolgimento delle città nei due schieramenti dei guelfi e dei
ghibellini.
-... agli stati territoriali
Le città più grandi cominciarono a estendere la propria egemonia su territori più vasti. Le città più
attive nel processo di ampliamento dei propri confini furono Milano, Venezia, Genova e Firenze. Le
città più grandi cominciarono ad inglobare quelle più piccole; il passaggio dai comuni agli stati
regionali confermò il policentrismo politico della penisola, gli stati regionali del quattrocento non
ebbero però i caratteri dello stato moderno.
-La formazione del ducato di Milano
Nel corso del 300 i Visconti, signori di Milano, s’imparentarono sia con ricchi mercanti sia con
antiche famiglie dell’aristocrazia cittadina. Forti di ricchezza e di apparato militare, iniziarono una
politica di estensione del territorio milanese, attraendo nella propria orbita una serie di città della valle
del Po: Piacenza, Bologna, Parma, Lodi, Cremona, Brescia, Bergamo, Vercelli, Novara, Como,
Alessandria e Asti. I principali avversari dell’espansione furono gli Scaligeri di Verona che sul finire
del 300, dopo aver esteso il loro dominio su Reggio, Parma e Lucca si scontrarono con i Milano. Gian
Galeazzo Visconti, signore di Milano dal 1385 al 1502, ottenne dall’imperatore il titolo di duca.
Milano era allora una città ricca, ben popolata, con una forza militare consistente, una produzione di
tessuti in pieno sviluppo e una prospera industria delle armi. Gian Galeazzo costruì uno stato che andò
vicino a unificare gran parte dell’Italia settentrionale. Il ducato inglobò Verona, Pisa e Siena mentre
Firenze già vacillava. Il progetto si chiuse però alla morte del duca, che non aveva avuto il tempo di
rafforzare l’unità politica. Buona parte del ducato venne divisa tra i suoi figli, Verona tornò ai
veneziani, Siena recuperò autonomia. Il prestigio dei Visconti declinò rapidamente. Risalì con la
signoria di Filippo Maria, ma alla sua morte senza eredi la città attraversò una crisi politica. Carlo
VII di Francia volle cogliere l’occasione per impadronirsi del ducato, il re d’Aragona Alfonso il
Magnanimo, accorso come alleate, se ne dichiarò duca, i veneziani si prepararono a invadere la città. I
milanesi proclamarono la repubblica e nominarono generale Francesco Sforza che pose fine agli
scontri proclamandosi duca di Milano. Gli Sforza rimasero al potere fino al 1499.
-Tra mare e terraferma: Venezia e Genova
Venezia era una repubblica dominata da una stretta oligarchia, la città era stata modello di stabilità
politica. Omogenei per estrazione, i membri del governo guidavano le iniziative politiche e
commerciali compatti nelle decisioni. Nel corso del 300, Venezia era cambiata profondamente: prima
tutta proiettata verso il mare aveva cominciato a cercare spazio sulla terraferma. Prese sotto la sua
sovranità Ferrara, Padova, Vicenza e Verona. Era inevitabile che questa politica andasse contro quella
dei Visconti, perché creava un argine ai loro propositi di espansione. Non a caso l’espansione
veneziana subì un’accelerazione alla morte di Gian Galeazzo Visconti. Anche nella vita politica
genovese dominavano alcune grandi famiglie e dal 1339 al 1344 c’era stata la signoria personale di
Simon Boccanegra. Sul piano commerciale aveva eliminato la concorrenza di Pisa. Nella seconda
metà del 300 fu costretta a difendersi su molti fronti, prima di tutto contro i veneziani, dato che il
commercio marittimo verso l’oriente continuava a concentrarsi nelle sue mani e questo manteneva in
conflitto le due città. Gli interessi erano forti in quanto attraverso il mar Nero e l’Egeo giungevano in
italia: pellicce, schiavi, grano, allume, stoffe ecc… Con Genova si era affermata anche una forte
coalizione anti veneziana, comprendente il re d’Ungheria interessato alla dalmazia e gli asburgo
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interessati a trieste; la guerra di Chioggia consumò molte energie delle due città, ma finì per garantire
a Venezia il controllo dell’Adriatico. Genova aveva poi affrontato la concorrenza di Marsiglia e
Barcellona e le nuove mire fiorentine su Pisa. L’espansione verso oriente degli Aragonesi, divenne nel
400 guerra contro Genova, che indebolita dovette sottoporsi più volte alla sovranità e protezione
straniera. A fine 400 si ritirarono dai mercati orientali per dedicarsi a quelli occidentali → presenti nei
porti di Spagna e nei porti d’Inghilterra.
-Firenze
In due momenti nel corso del 300 i fiorentini erano ricorsi a un potere forte, affidando per breve
tempo la signoria della città prima a Carlo di Calabria, figlio di Roberto d’Angiò e poi al duca di
Atene Gualtieri di Brienne. Alla conclusione di queste esperienze si tornò sempre al governo delle
arti, anche se non era identico a quello del passato, perché ogni volta il potere tendeva a concentrarsi
nelle mani di un’oligarchia più stretta di mercanti- imprenditori e di banchieri. Da fine 300 il dominio
di Firenze si era allargato su Pistoia, Cortona, Arezzo, Colle Val d’Elsa e le campagne. Nel 1375 si
trovò coinvolta nella guerra degli Otto Santi, contro il papa che minacciava la città. Nel 1390 dovette
difendersi anche dai Visconti. Solo alla morte di Gian Galeazzo poté annettere Pisa al proprio
dominio, garantendosi uno sbocco nel mare e finendo per coprire i due terzi della Toscana. Firenze
aveva riorganizzato uno dei punti forti della sua ricchezza, che era la produzione di tessuti. Molti
artigiani non lavoravano più in proprio, ne svolgevano tutte le fasi della lavorazione dalla lana grezza
alla stoffa. Molti avevano diminuito le quantità delle stoffe prodotte, migliorandone la qualità per
aumentare il prezzo. Ognuno svolgeva un’operazione alle dipendenze di un mercante-imprenditore
che finanziava l’attività ma non lavorava con le proprie mani. L’organizzazione produttiva fiorentina
fu sempre molto legata alla politica. L’altro polo della ricchezza fiorentina, il commercio e la banca,
aveva trovato da tempo un importante motivo di crescita nell’impegno economico nei regni
meridionali dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Puglia e dalla Calabria importavano grano, olio, vino,
formaggio, sale e legname. I Medici fondarono la loro fortuna negli affari con la corte romana al
ritorno dei papi da Avignone. Tra le famiglie che detenevano il potere nella città emersero prima gli
Albizi, imprenditori del settore laniero, poi i Medici. I Medici furono abili nell’allearsi al popolo
contro lo strapotere dell’oligarchia capeggiata dagli Albizi. Nello scontro tra le fazioni il capo
della famiglia dei Medici, Cosimo il Vecchio, venne prima esiliato, poi l’anno dopo rientrò a Firenze
mentre fu cacciato quella della fazione opposta, Rinaldo degli Albizi. Nel giro di poco tempo i Medici
impiantarono a Firenze la signoria di Cosimo. La signoria dei Medici fu molto particolare, si trattò di
un potere non ufficiale, ma comunque riconosciuto. I nuovi signori non cambiarono la forma delle
istituzioni comunali, perché sapevano che ad esse i fiorentini erano molto legati e si limitarono a
controllare che le cariche più importanti fossero ricoperte da personaggi di loro gradimento.
Trovarono spazio nella politica prima i figli di Cosimo e poi i nipoti. Il momento di massimo
splendore la signoria lo ebbe con Lorenzo poi detto il Magnifico, che succedette al padre nel 1469,
reggendo la città fino al 1492 e che fu uno dei più brillanti uomini del suo tempo, specialmente dal
punto di vista culturale e artistico. Durante il governo dei Medici su Firenze venne redatto il catasto,
il nuovo sistema di tassazione che si basava sulle denunce dei redditi e dei patrimoni presentate da
ogni capofamiglia.
-La produzione di tessuti (Approfondimento pag 389-390)
-Il catasto (Approfondimento pag. 391)
-I regni meridionali e le isole
Negli ultimi decenni del 300 inquietudini e tensioni avevano travagliato i paesi conquistati ma non
pacificati dagli Aragonesi, nonostante gli sforzi che Pietro IV il Cerimonioso aveva fatto in Sicilia e in
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Sardegna. Il giudicato d’Arborea era l’unico dei quattro regni sardi originari sopravvissuto ai tanti
conflitti del 300. Si trattava di un giudicato con una forte tradizione (conobbe due importanti iniziative
legislative: il codice rurale del giudice Martino IV, emanato dopo il 1347 che cercava di far penetrare
nuove idee nell’agricoltura e poi una raccolta civile e penale chiamata la carta de logu). I successori
di Pietro IV sul trono d’Aragona affrontarono in Sardegna nuove importanti ribellioni guidate dai
partigiani del visconte di Narbona e Brancaleone Doria. Quando i ribelli furono sconfitti, fu possibile
la completa sottomissione dell’isola. Nel 1421 in Sardegna fu istituito il viceregno. L’idea della Sicilia
come regno autonomo fu alimentata nel corso del 300, da una serie di famiglie siciliane che riuscirono
a forzare la mano ai sovrani d’Aragona ottenendo che l’isola fosse governata da un proprio re, diverso
da quello d’Aragnona anche se appartenente alla stessa dinastia. Ci furono perciò dei re di Sicilia della
dinastia Aragonese. Alcuni capaci e attivi come Federico III, che si era occupato di rioganizzare le
istituzioni e le amministrazioni locali. Nel corso del 300 nel palermitano e ragusano, baroni e
imprenditori avevano investito capitali nell’industria dello zucchero ricavato dalla canna. L’interesse
di parte del patriziato urbano verso alcune attività imprenditoriali fu una delle differenze della Sicilia
con il meridione peninsulare, meno popolato e più contadino, dominato dai proprietari di estesi
latifondi che in genere si accontentavano della rendita che veniva da una terra. Ma nel 1412-15 la
Sicilia aveva subito una sorta di declassamento politico, divenendo viceregno della corona d’Aragona,
da quella data quindi non c’era stato più un re di Sicilia residente nell’isola che era divenuta solo un
pezzo dei domini aragonesi, governata da un re residente altrove che inviava un viceré. La nuova
classe dominante risultò strettamente legata alla monarchia. Ecco che i soggetti del dominio
politico sociale sull’isola divengono due: da una parte la monarchia lontana, dall’altra il gruppo dei
nuovi nobili protagonisti dell’ascesa sociale. Il regno di Napoli governato dagli Angioini, principi di
sangue reale francese, era il più esteso anche se non il più sviluppato dal punto di vista economico. I
baroni del regno avevano mantenuto un ampio controllo sui loro re. Napoli aveva attraversato un
periodo di vero splendore durante il regno di Roberto il Saggio che aveva fatto un debole tentativo
imperiale in Italia. Si alleò con il papa avignonese, fu considerato il capo del partito guelfo, tentò di
conquistare la Sicilia. La sua politica neoguelfa dette i suoi risultati con il figlio Carlo di Calabria che
fu per un certo tempo signore di Firenze. In seguito la presenza angioina in Italia si era indebolita a
poco a poco, soprattutto per le continue lotte dinastiche che avevano impoverito e devastato i territori.
Per la conquista del trono di Napoli si scontrarono quattro rami della famiglia degli Angiò. Giovanna I
a diciassette anni fu regina di Napoli, si trovò a governare negli anni di crisi del 300. Cercò di
soddisfare pacificamente le pressioni dinastiche attraverso una serie di sfortunati matrimoni, mantenne
i rapporti che Roberto aveva avuto con i fiorentini, facendo di Nicolò acciaiuoli, un mercato, un suo
consigliere. Ripeté inutilmente il tentativo del nonno di conquistare la Sicilia, si schierò con l’antipapa
avignonese, Clemente VII. Non avendo avuto figli, scelse a succederle Luigi d’Angiò che dovette
contendere il regno con vari rivali, tra i quali Carlo di Durazzo. Carlo nel 1381 fu incoronato re di
Napoli dal papa e l’anno successivo fece strangolare la stessa Giovanna. Il regno uscì spossato dalle
lotte dinastiche. Le sue sorti si risollevarono un po’ con Ladislao d’Angiò Durazzo e infine con
Giovanna II. Quella angioina fu tuttavia per Napoli una stagione di splendore, infatti nel corso del 300
era stato possibile incontrarvi i maggiori esponenti della cultura italiana, Petrarca, Boccaccio, Giotto.
Nel 1442 l’Italia meridionale fu unificata e il regno di Napoli entrò a far parte con la Sicilia dei
domini aragonesi del Mediterraneo. Morta Giovanna senza eredi, Alfonso il Magnanimo, re di
Sicilia e Aragona, ne aveva rivendicato la corona, scontrandosi con il ramo degli angiò-valois che non
vedevano di buon occhio l’espansione degli aragonesi e ne temevano la concorrenza economica.
Alfonso fisso la sue residenza a Napoli. Con i successori di Alfonso il regno di Napoli ebbe di nuovo
una vita autonoma dalla Sicilia fino a che non fu riunito ai domini spagnoli nel 1504 da Ferdinando il
Cattolico. Nel programma di Alfonso ci furono la conferma della specializzazione granaria della
Sicilia e l’introduzione dell’allevamento di pecore merinos in Puglia.
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-Il sistema dell’equilibrio
L’Italia nel quattrocento era un mondo in ebollizione. Se da un lato la cultura conseguiva risultati
importantissimi, dall’altra lo scenario in cui si sviluppa questa cultura era quello di lotte interminabili.
Il culmine si ebbe quando alla metà del secolo con l’improvviso cambiamento di Filippo Maria
Visconti che provocò non poche reazioni. Era un cambiamento di alleanze non di poco conto. Genova,
Firenze e Venezia non lo vedevano di buon conto, in quanto (seguendo le orme di Alfonso il
magnanimo) capivano che vi era l'intenzione di una divisione della penisola italiana in due grandi
aree: una centro-settentrionale dominata dai visconti e una meridionale dominata dal re aragonese. Il
progetto anche questa volta rimase incompiuto, poi si profilò un primo passo per un’intesa tra
Venezia, Milano e Firenze→ pace firmata a Lodi nel 1415 che mise fine alla lunga sequela di scontri
dell’Italia quattrocentesca. La pace ha due significati chiari:
-serviva a stabilire un equilibrio tra forze politiche consistenti
-evitare nuovi interventi stranieri, soprattutto da parte della francia
Si inaugurò così un venticinquennio di relativa tranquillità basata sulla stabilizzazione di una carta
politica e sul rispetto dell’assestamento dei confini che la pace segnava. Dopo qualche tempo la nuova
instabilità dovuta alla seta di potenza di alcuni Sforza fu un fattore di debolezza per il ducato di
Milano e non a caso aprì la porta all’intervento Francese in Italia. Nel 1482 fu l’aggressione di
Venezia contro Ferrara a provocare una nuova alleanza tra Milano, Firenze e Napoli dove nel 1486 ci
fu una rivolta che fu soffocata e il papa chiese l’aiuto del re di Francia. Nel 1494 Carlo VIII, re di
Francia, entrava in Italia.
-Condottieri e compagnie di mercenari
Le città d’Italia erano da molto tempo in guerra, tuttavia era stato intorno al 1320-30 che assoldare
compagnie di mercenari era diventato diffusissimo. Il motivo del successo, per alcuni studiosi, è dato
dalle caratteristiche della società cittadina del centro-nord composta in gran parte da mercanti che non
volevano andare in guerra in prima persona. Le compagnie agivano agli ordini di capitani, detti
condottieri, in quanto titolari della condotta, un contratto che regolava gli impegni del capitano
responsabile dei soldati e quelli, soprattutto finanziari di chi lo ingaggiava. In un primo momento
prevalsero le compagnie di stranieri; queste compagnie servivano certo per la guerra ma non
portavano la pace, anzi a volte bisognava pagarle anche per andarsene dal territorio in quanto si
sostenevano con saccheggi delle città e una volta finita la guerra continuavano a prescindere nel
saccheggio. Tra le compagnie più importanti ci sono: i cavalieri della Colomba, la Grande Compagnia
e la Compagnia di San Giorgio. Gli anni 80 del trecento segnarono la fine di un'epoca e da quel
momento gli si cercò soprattutto di investire in compagnie di italiani. Alcune città attribuirono ai loro
condottieri il diritto a funerali di Stato, a una statua o un affresco che li rappresentasse. Questi
condottieri italiani provenivano spesso da ambienti aristocratici, dei quali condividevano spesso i
gusti, i privilegi, il sistema di valori. Fu così che nel quattrocento molti di loro finirono per mettere
radici negli stati che servivano; alcuni investono il provenienti delle condotte in città→ Federico da
Montefeltro ristrutturò il palazzo ducale di urbino.
-Intellettuali e politici: Umanesimo e rinascimento
La parola rinascimento, con la quale si indica il periodo storico che inizia con la fine del XIV e il XV
secolo e il movimento letterario e artistico che in quel periodo si sviluppò, indica un rifiorire delle
arti, una civiltà che rinasce, una civiltà avanzata che rinasce→ da qui anche che il pensiero del
medioevo come epoca negativa e momento positivo della nuova epoca che stava nascendo. La parola
stessa medioevo indica un’ età di mezzo, è il prodotto dell'atteggiamento polemico con il quale artisti
e umanisti fiorentini del tre, quattro e cinquecento guardano ai loro antenati. Firenze fu il luogo di
elaborazione principale delle nuove tendenze culturali. Non a caso furono gli intellettuali di quella
città a chiamare gotica l’arte medievale: gotica dunque barbara, perché i goti erano considerati barbari
per eccellenza. Il protagonista di questo periodo è l’umanista, deriva proprio dalle humanae litterae e
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dagli studia humanitatis, cioè dalla lingua latina e dal suo patrimonio letterario e filosofico del quale
gli intellettuali si stavano riappropriando. Umanesimo e rinascimento furono perciò fenomeni
analoghi, la scoperta degli intellettuali del passato divenne la spinta per vedere la realtà in modo
nuovo. La maggior parte degli scritti latini di cui disponiamo oggi sono stati scoperti in questo
periodo→ Giovanni Boccaccio scoprì ad esempio Varrone, Marziale ecc… Gli umanisti fecero uno
sforzo per migliorare la propria scrittura in latino, che divenne la lingua dell’intellettuale. Si
avvicinarono non solo al latino ma anche al greco, infatti vennero tradotti i poemi omerici in latino. Si
sviluppò negli intellettuali un pensare critico, un approccio più scientifico alla conoscenza. Si affinò la
conoscenza dello spazio, la prospettiva dette ad ogni figura una dimensione reale. Le scienze
progredirono ed ingegneri, come Leonardo da vinci, cominciarono a studiare macchinari, si arricchì il
sapere sui materiali, sull’alchimia. Venne inventata anche la stampa → 1455, il primo libro fu la
bibbia.
6.5 Fuori d’Europa
-L’Asia dopo i Mongoli
Con la scomparsa del grande impero monoìgolo si determinarono in Asia due grandi trasformazioni: i
mongoli avevano governato dalla Cina per un centinaio di anni, dagli anni 70 del duecento fino al
1368, quando tornò in cina a regnare una dinastia cinese, quella dei ming, il cui primo capo fu Chu
Yuan-Yang, il capo dei contadini che si erano ribellati agli stranieri e alla loro politica di sfruttamento.
i mongoli infatti avevano governato con durezza per anni causando anche seri danni all’economia. I
ming conquistarono tutta la cina e poi si dedicarono all’agricoltura, inaugurando anche nuove colture,
come quella di rino, grano e orzo. Nel turkestan salì invece un sovrano turco mongolo, Timur Leng
che in Europa era chiamato Tamerlano. Tra il 1380-1401 Tamerlano dilatò i confini del suo regno in
tutte le direzioni→ impero timuride. Arrivò fino a Baghdad e Damasco, si diresse verso l’India dove
saccheggiò Delhi e fece schiavi molti artigiani esperti che portò con sé affinché lavorassero per
rendere più bella Samarcanda, nuova capitale. Proibì l’attività dei missionari cattolici nei suoi domini,
fece costruire moschee e organizzò scuole d’istruzione media e superiore per le scuole giuridiche.
Infine interruppe i rapporti tra Cina ed Europa e ne bloccò la rotta commerciale. Quando morì i suoi
figli si divisero i territori e lo stesso lo fecero anche i nipoti, il suo impero in questo modo venne
frantumato e poi i vari pezzi assorbiti dagli strati vicini.
-L’impero dei turchi ottomani
Negli ultimi anni del medioevo una novità aveva sconvolto l’assetto del mondo musulmano: la
formazione in oriente dell’impero dei turchi ottomani. Le origini di questo impero furono modeste:
gli ottomani erano una piccola tribù turca nomade che la pressione aveva spinto verso sud-est e che si
era spostata dal turkestan e si era installata nel nord dell’Anatolia. Erano abili guerrieri a cavallo, e
avevano fatto di Bursa la propria capitale, avevano cominciato poi a prendere il controllo di vari
territori come i dardanelli e la Tracia. Costantinopoli non cadde inizialmente nelle loro mani grazie a
Tamerlano. Due sono le date importanti:
-1374: quando gli ottomani s’installarono in maniera definitiva nella parte europea dell’impero
bizantino;
-1453: quando fu presa Costantinopoli
Nel 1451 abbiamo al potere Maometto II, detto più tardi il conquistatore.
I papi avevano guardato con mal occhio questa avanzata tant’è che avevano provato a indire diverse
crociate, ma non riuscirono, i tempi erano cambiati e alla fine costantinopoli cadde in mano ai turchi.
L’impero ottomano comprendeva, così aveva delle caratteristiche diverse e i sultani scelsero la strada
di non cambiarne caratteri e culture.
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-La caduta di Costantinopoli
La caduta di Costantinopoli è considerata una data periodizzante, cioè viene convenzionalmente presa
come punto di riferimento per indicare la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna. Destò
un’ondata di sgomento in Europa: Nicolò V, il papa, tornò ad utilizzare i simboli apocalittici
raffigurando Maometto come il dragone descritto da San Giovanni ecc… Sono state colpite sia la fede
che la cultura, ma costantinopoli iniziò un nuovo periodo, la città rifiorì, venne ribattezzata Istanbul e
fu ancora una volta la capitale di un nuovo impero. La città rifiorì, genovesi e veneziani che avevano
avuto interessi a Costantinopoli li ebbero anche ad Istanbul, ebbero anche dei privilegi, nonostante
alcune cose cambiarono, ricomparve infatti il sintomo i una coriciata di cui i più acuti sostenitori
furono Pio II e Sisto IV, ma non furono ascoltati. Maometto II continuò la sua espansione nel
frattempo.
6.6 1450: inizia la ripresa
-Cresce lentamente la popolazione
Le epidemie del trecento avevano dimezzato la popolazione, il recupero iniziò circa un secolo dopo
tra il 1420-1470. Non in tutte le regioni fu precoce: fu più veloce in Spagna ed Italia, lenta in Francia
ed Inghilterra. E’ difficile cercare di capire perché la popolazione crebbe ma cerchiamo risposte
sempre nelle campagne: con la diminuzione della popolazione era stato possibile abbandonare quelle
terre poco fertili che erano state utilizzate solo perchè le fertili non riuscivano a sfamare tutti; si ebbe
quindi una maggiore quantità di frumento, si mangia meglio e questo permise una dieta migliore che
permise alla gente di non morire e di non soffrire troppo il freddo e le malattie. Nel giro di qualche
generazione il meccanismo di moltiplicazione si mise in moto su larga scala.
-Tra campagne, pascoli e città
L’Europa del quattrocento usciva trasformata dalla crisi e le campagne assunsero un volto diverso. La
crisi comunque rappresenta anche un grandioso processo di trasformazione della società, del territorio
e dell’economia. Se alcune città caddero, altre si riempirono di Sterpi, altre divennero grandi giardini
e presero vigore. Anche molti fenomeni di riorganizzazione delle campagne furono il prodotto della
crisi, i proprietari si trovarono di fronte un bivio: dovettero decidere se investire denaro per portarla ad
investire di più e magari avere prodotti che si vendessero a miglior prezzo oppure accontentarsi di ciò
che essa forniva quasi da sola e senza impegni finanziari. Alla fine del quattrocento le diversità delle
zone erano ormai chiaramente visibili. Abbiamo importanti cambiamenti:
- coltivazioni meno estese ma più fiorenti e intensive: abbiamo un numero maggiore di prati
artificiali e coltivazioni molto varie e fiorenti, distribuite su superfici più ristrette che in
passato. Il prezzo del grano non aumentò, molti proprietari terrieri per guadagnare si
orientarono verso prodotti più specializzati e pregiati.
- più boschi e pascoli: abbiamo più boschi e pascolo spontaneo, si incentivò anche la
transumanza allo scopo di far affluire denaro nelle casse dello stato. Le terre così organizzate
vennero chiamate dogane.
- città che crescono e che ri riducono
Se trasferiamo questo schema in Italia ci troveremo di fronte a una grande varietà regionale. Sulle
terre meno adatte alla coltivazione o più spopolate si ebbe un decollo spettacolare dell’allevamento
stanziale e quello transumante: dunque ci furono più lana, più carne e anche più animali per il lavoro
dei campi. L’aumento del bestiame non fu indolore per i contadini e l’antico conflitto di interessi tra
agricoltori e pastori si acuì: è facile capire anche il perchè i motivi→ gli animali possono entrare nei
campi, mangiare i germogli e calpestare le piante. Una soluzione fu l’armonizzazione in sé tra
contadino e pastore. In Lombardia crebbe la prima innovativa esperienza di integrazione tra pastorizia
e agricoltura. La Toscana si divise in due: si ebbero più poderi mezzadrili nelle aree collinari, più
allevamento verso il mare e la maremma. Si diffusero anche le piantine industriali e quelle tessili.
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Dato che in molte città le attività commerciali attraversavano un momento di difficoltà, una parte delle
ricchezze italiane prese la via dei campi e i proprietari investirono più denaro nella terra. Gli storici
chiamarono questo momento ritorno alla terra→ quando le grandi battaglie politiche resero più
rischioso il mercato internazionale per i mercanti italiani molti di loro si ritirarono dagli affari e con il
denaro ricavato comprarono buona terra. Non vuol dire che i proprietari dei campi andarono a vivere
in campagna. L’agricoltura lombarda era una delle più ricche d’Europa e il suo corpo consisteva nella
pratica dell’irrigazione dei prati. In Toscana i poderi della mezzadria coprivano ormai quasi
interamente le colline al centro della regione ecc… Queste trasformazioni dell’uso del suolo italiano
modificarono prima di tutto la vita di chi lavorava. Laddove si sviluppò la transumanza, si ridussero
anche gli spazi per il piccolo pascolo sulle terre comuni vicino ai villaggi, dove una donna o dei
bambini fino ad allora erano bastati per pascolare un gregge. Anche i trattati di agricoltura del tempo
consigliavano di usare fanciulli e fanciulle solo nel caso dei pascoli si potesse fare ritorno ogni giorno
al villaggio. La transumanza costrinse perciò ad usare diversamente il tempo e lo spazio: da una le
pianure dei pascoli invernali restarono povere di paesi e case, dall’atra si riempivano stagionalmente
perchè dai villaggi e dai castelli sulle montagne, luogo dei pascoli estivi.
-La satira del villano (Approfondimento pag. 411)
-L’italia delle città
Parlare di città medievali significa riferirsi a una pluralità di funzioni diversamente aggregate tra di
loro. La rete urbana d’Italia era sempre stata un mondo in movimento che, attraverso tre
tappe-l’espansione due-trecentesca, la successiva crisi demografica, e la ripresa nel 500- si avviava
verso il nostro paese. Maria Ginatempo e Luci Sandri hanno fornito un elemento utile per capire i
diversi tipi di città. L’esame delle carte e delle tabelle riassuntive consentono molte osservazioni, ad
esempio la maggior urbanizzazione del centro-nord rispetto al mezzogiorno, la diversità dei ritmi di
crescita ecc… Anche la forma delle città italiane cambiò. Finita l’età del sovraffollamento in piccole
superfici, fu possibile abbandonare le case più fatiscenti, quelle costruite con materiali precari e quindi
anche le strade, migliorare alcuni servizi. Vennero costruiti nuovi palazzi ecc… Ci fu anche chi
cominciò a scrivere grattati su come dovesse essere una città per risultare funzionale e armonica
(Leon Battista Alberti). L’aumento della popolazione generò quella domanda di beni di consumo, a
partire del cibo e dal vestiario. L’aumento della domanda di beni a sua volta fece crescere i prezzi di
quei generi la cui produzione non poteva aumentare da un giorno all’altro, per esempio quelli
alimentari.
-La fine del medioevo?
Si usa dire che con la fine del quattrocento finisce anche il medioevo, le date proposte sono diverse:
-1453: data della caduta di Costantinopoli
-1517: data dell’affissione delle tesi di Martin Lutero
-1492: Cristoforo colombo scopre l’America
Ancora una volta abbiamo gli storici utilizzano convenzionalmente queste date per sottolineare le
differenze che vi sono tra il prima e il dopo→ storici propendono per il sì e per il no:
- sì: prima abbiamo la chiesa che insieme all’impero si divideva il potere, la signoria, i castelli;
dopo cominciamo a vedere la formazione degli stati o formazioni di grandi monarchie, quindi
abbiamo delle differenze tra il prima e il dopo;
- no: non ci sono differenze tra il prima e il dopo, come la signoria feudale che ad esempio in
Francia continuò fino alla rivoluzione francese, la proprietà con diritto inviolabile ad esempio
non esiste nè prima, nè dopo la data convenzionale. Gli storici infatti chiamano questo
periodo lungo medioevo, durerebbe fino alla vigilia della rivoluzione industriale
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