GIOVANNI GENTILE
IL CARATTERE STORICO :
DELLA /
FILOSOFIA ITALIANA
PROLUSIONE AL CORSO DI STORIA DELLA
FILOSOFIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA
TENUTA IL IO GENNAIO I918.
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
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IL CARATTERE STORICO
DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
GIOVANNI GENTILE
IL CARATTERE STORICO
DELLA
FILOSOFIA ITALIANA
PROLUSIONE AL CORSO DI STORIA DELLA
FILOSOFIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI ROMA
TENUTA IL IO GENNAIO 1918.
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
1918
I
FEBBRAIO MCMXVIII — 4850O
SIGNORI,
Da questa cattedra, a cui gl'illustri Colleghi
della Facoltà con atto di benevolenza, che altamente
mi onora, si compiacquero chiamarmi; e che io non
salgo senza trepidazione pensando alla responsabi-
lità di chi in Roma s'accinga, memore della mis-
sione eterna della Città immortale, a mostrare per
qual via a qual segno il pensiero umano sia pro-
ceduto e proceda; da questa cattedra fino a ieri
con tanto lustro tenuta da un maestro e scrittore
noto a quanti sono stati uomini colti in Italia dal
'70 in qua per avere consacrato il meglio del suo
fine ingegno e de' suoi scritti eleganti a investigare
i caratteri nazionali del pensiero e dell'arte italiana;
in questo momento tragicamente solenne, in cui la
sventura improvvisamente abbattutasi come fulmine
sulla patria ha svegliate e riscosse le sue più ri-
poste energie, e ridestata la sua morale personalità,
6 IL CARATTERE STORICO
eccitandone la riflessione sul proprio essere, le
proprie doti e i propri difetti, i propri bisogni e
le proprie aspirazioni ; io non saprei trovare argo-
mento più opportuno al mio corso, che la storia
della filosofia italiana ; nè tema più degno d'essere
sottoposto all'attenzione dell'uditorio, al quale ri-
volgo oggi per la prima volta la parola, di questo
che può considerarsi come l'epilogo anticipato del
mio corso: del concetto cioè, che molti anni di studi
intorno ai rappresentanti cospicui od oscuri e alle
correnti secolari del pensiero italiano, mi hanno con-
dotto a formarmi del suo carattere storico.
Nè, prendendo a trattare in particolare della
filosofia italiana, io temo di sminuire e restringere
artificiosamente per un interesse contingente l'uf-
ficio mio, che è d' insegnare la storia universale della
filosofia; poiché in nessuna scienza come nella filo-
sofia è vero ad evidenza il principio, che l'uni-
versalità non comprende una fantastica totalità
quantitativa di parti diverse, ma concerne l' inerenza
e risonanza del tutto in ogni singola parte; in modo
che una storia della filosofia italiana, — che sia co-
noscenza intelligente della medesima, ossia rappre-
sentazione piena insieme e giudizio, — non è pos-
sibile senza che in questa storia, apparentemente
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 7
particolare, si rifletta e si vegga e la filosofia greca,
da cui i problemi speculativi fondamentali, che at-
tirano tuttavia il nostro interesse, traggono origine;
e quella medievale, in cui gli stessi problemi si
rinnovano trasfigurati dal Cristianesimo; e tutti i
principali sistemi giunti a maturità nell'età moderna
in ogni parte dell' Europa, via via che vennero de-
finiti i principii direttivi della nuova civiltà. La
storia è tutta un sistema, ogni punto del quale
rispecchia in sè il tutto, in quanto ne è spiegato
e concorre per la sua parte a spiegarlo.
In questa osservazione è anche la ragione che
può giustificare il concetto, già tanto discusso e
sempre discutibile finché non inteso conveniente-
mente, d'una filosofia italiana, e in generale, d'una
filosofia nazionale : concetto intorno al quale io chiedo
licenza, qui in principio, di dare con ogni brevità
qualche chiarimento. Nè la filosofia, nè la scienza,
nè l'arte, nè la religione hanno, a rigore, aspetto
nazionale; e ogni trattazione orientata secondo di-
stinzioni politiche non può non apparire fondata su
criteri arbitrari, empirici e pericolosi. Chi non sente
che la verità, come che sia definita, è verità solo a
patto che non tramonti nè di qua nè di là dai Pirenei?
e che la divina bellezza ha virtù di trionfare della
morte non pur degli uomini di genio che primi la
8 IL CARATTERE STORICO
vagheggiarono ed espressero dalla commossa fan-
tasia, ma e dei popoli stessi ai quali prima svelossi
nelle sue forme native? E qual'è la radice dell'ar-
dore incoercibile che spinge il neofita d'una fede
nuova a comunicarla e propagarla tra gli uomini,
partendo magari in guerra santa contro gì' infedeli,
se non l' impossibilità di concepire un Dio, senza
concepirlo senza competitori, unico sovrano di quanti
cuori battano al mondo ? Di qui la logica che trasse
alcuni nostri giobertiani intorno al 1860, quando
la questione della nazionalità in filosofia fu tra
noi dibattuta con maggior passione, a non starsene
contenti alla tesi di quei nazionalisti più discreti che,
volendo la filosofia giobertiana per l' Italia, volevano
implicitamente che ogni popolo avesse la sua, con-
forme al suo genio, come allora si diceva ; e a so-
stenere che la filosofia del Gioberti, come la più alta
forma di pensiero filosofico cui fosse pervenuta la
ragione umana, era destinata ad espandersi di là
dalle Alpi e dai mari, e diventare il verbo dell'uma-
nità civile, strumento nuovo e perfetto del preco-
nizzato primato morale e civile italiano. E in verità
la profonda coscienza che il grande pensatore sub-
alpino ebbe del valore immortale di talune idee
essenziali della sua filosofia, è il fondamento non
solo psicologico, ma logico e dottrinale della tesi,
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 9
altrimenti paradossale, nè di certo giustificabile in-
teramente coi criteri di nazionale e patriottica pe-
dagogia, del primato italiano. Ogni più modesto
uomo che pensa, non può a meno di pensare col
convincimento di essere nel vero: cioè di pronun-
ziare un giudizio che abbia valore assoluto, trascen-
dente i limiti della sua personalità, non pure par-
ticolare e privata, ma anche nazionale. Senza questo
convincimento, non ci sarebbe pensiero. Per questo
convincimento l'uomo non solo pensa, ma apre la
bocca, e parla, e procura di farsi sentire più che
possa lontano, nello spazio e nel tempo.
La filosofia, come la forma più concentrata e
stringata del pensiero, non può sottrarsi a questa
legge; e può ben dirsi perciò che essa è universale
e internazionale in quanto è filosofia, e che filosofia
non è in quanto è nazionale. Ma ciò non toglie nè
che in ogni filosofia sia ravvisabile un carattere na-
zionale, nè che ogni filosofia, la quale sia cosa viva,
abbia ad averne uno ;
giacché è un assioma logico
che l'universalità non è annullamento, anzi è in-
veramento di tutte le determinazioni particolari.
Non c'è inno di poeta che suoni eterno, senza espri-
mere una situazione determinata, avvinta a circo-
stanze affatto singolari, e quindi a un attimo eter-
namente fuggito. Nè il problema del filosofo si
IO IL CARATTERE STORICO
risolve in concetto di valore immortale senza na-
scere dalla personalità storica dell'uomo, determi-
nata secondo il tempo e il luogo, e però secondo
una corrente spirituale di cultura, che è sempre
quella d'un popolo. E in ogni momento della nostra
vita interiore matura un problema, nella cui soluzione
consiste il ritmo della coscienza: un problema, che
sorge da un aspetto particolare del mondo lampeg-
giante ai nostri occhi individuali, ossia da un sin-
golare stato d'animo, che è tutto nostro, e soltanto
nostro, costitutivo del soggetto operante della nostra
personalità; ma si risolve in un pensiero, che è idea
librantesi al di sopra di ogni particolare, nel puro
cielo delle cose eterne.
Così non soltanto nazionale, ma la filosofia è, e
dev'essere, personale : vita dell'anima, che è sempre
anima individuale, piantata con radici profonde nel
suolo della storia determinata come storia d'un
uomo, e in quell'uomo di un popolo, e in quel po-
polo d'una civiltà, e infine di questa umanità che
trasforma il nostro pianeta in regno sempre più
trasparente dello spirito; e insomma, del mondo nel
complesso compatto delle sue attinenze svariate e
della sua vita unica. E si può dire pertanto che
come l'attività puntuale dello spirito è definibile per
lo sforzo di affermarsi come idealizzazione della
DELLA FILOSOFIA ITALIANA II
materia, così tutta la vita dello spirito in ogni sua
manifestazione assegnabile, e sopra tutto nella filo-
sofia, che ne è il conato più potente, consista nel-
r immanente ascensione dal particolare, che è limitato
e temporale, all'universale, che è infinito ed eterno ;
dal mondo dove Tuomo è chiuso in se stesso, o
nella cerchia de' suoi interessi più prossimi, al mondo
in cui egli parla con Dio, e con tutti quelli che
sono, che furono o che saranno.
Immanente, perchè cotesta ascensione è atto
non destinato ad esaurirsi ; e la filosofia che assorbe
e risolve ogni limite, compreso quello della nazio-
nalità, adempie questo suo processo eternamente,
senza perciò che vi sia mai una filosofia storicamente
additabile e positiva, la quale possa dire d'aver vinto
ogni limite. E se m'è lecito di esprimere il mio pen-
siero con una formula precisa, la filosofia nell'atto
onde si libera dalle angustie del particolare, è univer-
salità attiva o realizzazione dell' universale ; ma nel
fatto nel quale essa apparisce come soluzione solidi-
ficata, sistema costituito, un certo pensiero già pen-
sato e ripensabile, torna a rinchiudersi nel suo limite,
a configurarsi come un modo di pensare particolare,
corrispondente allo spirito d'un certo tempo o popolo.
Ma guai all'individuo che si petrifica in un'idea
o in un sistema ripugnante ad ogni innesto e restio
12 IL CARATTERE STORICO
ad ogni sviluppo ; e guai del pari al popolo che
dica di sè : — Ho trovato quel che cercavo, e non
mi resta che da custodirlo e conservarlo! — La
tradizione degna d'un popolo di vivi, da cui non si
sia partito lo spirito, che è svolgimento ed eterna
conquista di se medesimo, è rinnovamento continuo
nello slancio tenace e coerente verso l'avvenire.
Volgiamoci dunque al nostro passato, non per si-
gillarlo sotto l'esatta nozione di quel che fummo e
pensammo : che sarebbe curiosità vana, o culto su-
perstizioso e mortificante d'una nostra eredità na-
zionale, morta e infeconda; ma per fare di questa
nostra italianità, quale si venne realizzando lungo la
nostra storia particolare, il nostro problema presente
ed urgente, il segreto della nostra vita spirituale.
Giacché l'uomo è figlio di se medesimo, ma in quanto
non vive di vita tutta estrinseca ed inconsapevole,
sì di riflessione, onde cerca sempre se stesso dentro
se stesso, e non si trova mai quale vorrebbe essere;
poiché la sua natura lo porta sempre più in alto ;
ed ei finisce col trovarsi appunto in questo cercarsi
incessante e ansioso, che è tutta la sua storia. La
quale non è dietro alle nostre spalle come volgar-
mente si fantastica, quasi paesaggio reale anche se
non veduto ; ma esiste in quanto la facciamo essere
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 13
e quale la facciamo essere secondo la virtù rico-
struttiva e i bisogni del nostro spirito, e le con-
seguenti leggi della nostra indagine.
La storia, pertanto, della nostra filosofia, è la nostra
stessa filosofia, quale, per essere cosa nostra, luce
della nostra coscienza e vivo principio del nostro
operare, deve rampollare dall' intimo della nostra in-
dividualità. Troppo già c'indugiammo nell'informa-
zione degli studi altrui. Non che la scienza possa
mai sequestrarsi da ogni commercio intellettuale ; e
questo si estenderà sempre da popolo a popolo per
quella stessa legge che associa in una sola ricerca
maestro e discepolo, e congiunge e continua da una
generazione all'altra un solo lavoro. Ma il sapere,
e massime la filosofia, che vuol essere un sapere
integrale, se ha come sua condizione indispensabile
questo inserirsi dello sforzo del singolo nel processo
storico universale, e quindi tutta l'ampiezza e fre-
schezza possibile della cultura informativa, non può
scambiarsi con cotesta sua condizione : la quale anzi,
nella sua astrattezza, si può dire che sia la negazione
del vero sapere. E troppo in verità ristemmo a guar-
dare quel che s'era fatto o facevasi presso le altre na-
zioni ; e abbandonati a quest'atteggiamento da spet-
tatori passivi e distratti, lasciammo che a grado a
grado s'affievolisse e presso che non si spegnesse
14 IL CARATTERE STORICO
quel vivo senso delle cose spirituali, che ci dà il gusto
della filosofia e ci fa distinguere la filosofia vera, che
è intensa vita dell'anima slanciantesi verso le idee, a
cui ogni uomo aspira, almeno nel segreto del cuore,
da quella scolastica esercitazione intellettuale, che,
tronfia di astrusi tecnicismi e della più polverosa eru-
dizione, stomaca e respinge, come ogni meccanismo
sordo ai veri interessi umani. E così ci siamo indiffe-
rentemente inchinati a pensatori, forse modesti, ma
sinceramente compresi della coscienza di reali diffi-
coltà e problemi di alto significato speculativo, come
ai compilatori laboriosi di commentari indigesti, dei
quali in nessun tempo fu penuria, e dei quali il
tempo stesso ha fatto sempre giustizia.
La filosofia ormai deve cessare di essere per
gì' italiani arnese da museo od abito tagliato sul-
l'ultimo figurino; e deve diventare una volta, risolu-
tamente, quello che essa fu sempre negli uomini e
nei popoli, che impressero un'orma nel solco del-
l'umano lavoro: quella sublime liberazione dai pre-
giudizi e dalle vane passioni, che solo può dare
all'uomo la forza di guardare impavido al proprio
destino. La scienza, a cui ci siamo con tanta spe-
ranza e fiducia rivolti, e che poteva infatti bastarci
quando trattavasi di riformare con nuovo tirocinio le
menti ancor prone al dommatismo retrivo, non sod-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 15
disfa più gli animi ; nei quali risorge, con veemenza
di reazione, una vaga nostalgia di non si sa quali
credenze e promesse di soddisfazioni misteriose a
quei bisogni intellettuali e morali, che la scienza non
appaga, e non può appagare, perchè indirizzata a
fini diversi. E si ode sempre parlare di religione ;
ma nessuno saprebbe dire precisamente di quale. Gli
stessi cattolici, che dopo il Sìllabo pareva godessero
del credo più nettamente e solidamente determinato,
che avesse mai avuto virtù di raccogliere gli spiriti
di una chiesa, han dovuto con un taglio netto e vio-
lento troncare ogni discussione apologetica che ten-
tava raccostare il contenuto della loro fede allo spi-
rito scientifico del nostro tempo, poiché attraverso
quell'apologia vedevano svanire i contorni della pro-
pria dottrina, e questa confondersi con una forma o
coU'altra del più schietto razionalismo. Onde la re-
ligione, per gli uomini di pensiero non usi a con-
tentarsi di parole, è oggi divenuta piuttosto un'esi-
genza che un positivo e determinato atteggiamento
spirituale.
In verità, religione o filosofia che debba essere,
un concetto della vita è indispensabile ; ma è anche
impossibile in quel presupposto intellettualistico, che
fu la premessa di quasi tutta la cultura italiana degli
ultimi tempi. E intendo per intellettualismo non
i6 IL CARATTERE STORICO
solo la concezione della realtà quale semplice dato
teorico dello spirito, cui non s'appartenga se non di
riflettere l'oggetto preesistente, ma la conseguente
considerazione di ogni spirituale attività, e non pure
della scienza e della filosofia, ma dell'azione più evi-
dentemente pratica ed efficace, come cosa che tocchi
soltanto Tuomo, estraneo alla realtà e quindi im-
potente a mutarne sostanzialmente l'assetto.
In tale concezione non c'è posto nè per la reli-
gione, nè per la filosofia come concetto della vita ;
se per tale concetto devesi intendere la coscienza
della nostra vita nel sistema totale delle cose; fiaori
del quale la vita è assurda astrazione, che potremo,
in via provvisoria, fermarci pure a considerare, ma
senza ottenere mai che ne sprizzi scintilla di luce. La
vita è dell'uomo che s'abbraccia agli uomini fratelli
e alla madre Terra e al padre Sole, come dicevano
una volta i nostri filosofi; o alla Natura, come si
preferì dire più tardi ; o meglio, poiché questa na-
tura sospesa nel vuoto indefinito non può apparire
alle menti più che una parte sola dell'essere, al Tutto,
come che sia da definire: al Tutto, di cui certo il
pensiero scorge una traccia dentro di sè, anzi può
dire di sentire il palpito. E aver coscienza della vita,
è aver coscienza di questo Tutto, in cui è la nostra
vita, e che vive in noi : nel noi più intimo, che parla e
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 17
s'afferma nella coscienza pensando e magari solo
dubitando, come Cartesio avvertì. Ebbene, come
pervenire a tale coscienza senza superare la dualità
a cui s'arresta l' intellettualismo, e riafferrare quel-
l'unità, in cui noi che volgiamo intorno gli occhi in
cerca della colonna che ci sorregga, siamo, purché
vogliamo, questa stessa colonna, nella sua saldezza
adamantina? Soltanto da essa la filosofia può at-
tingere quella virtù riformatrice e ristoratrice delle
forze spirituali, ond'essa si differenzia dal puro sa-
pere scientifico e appresta alla religione quel mo-
vimento libero e razionale, onde questa, nella sua
rigidità dommatica, è priva.
Ma, affinchè la filosofia torni ad assumere questo
carattere e questa efficacia religiosa, occorre che
abbia quella intimità ed eticità, onde la fede del
credente si suol riportare più al cuore che all' in-
telligenza, o richiede un' intelligenza che sia pure
volontà e amore. Si ricordi il Pascal: col quale tutti
pensiamo esservi due forme ben distinte, anzi di-
verse, di vita spirituale : una tutta superficiale, che
può fare l'uomo dotto ed esperto senza far l'uomo,
perchè riempie la mente o l'addestra, ma non forma
il carattere; modifica lo spirito, ma scivola su quel
nucleo dinamico della persona, che è sempre so-
stanziato di idee dotate del valore d'interessi vitali,
i8 IL CARATTERE STORICO
la cui ruina sarebbe la nostra morte; —e un'altra
profonda, che investe l'intimo essere dell'io, e ne è
quasi il germogliare spontaneo, dove il pensiero è
azione perchè trasformazione interna e riforma dei-
Tessere, e quindi riforma del sistema totale, del quale
Tessere partecipa ; e dove perciò non hai cultura
senza carattere, nè programmi senza opere, poiché
la persona non è fuori delle sue idee, e le convin-
zioni sono indirizzo di vita. Certo, anche la religione
degenera spesso in formale e vuota superstizione ;
ma la superstizione non è la religione, eterna spre-
giatrice di tutti i sepolcri imbiancati. E così è, e
dev' essere della filosofia, se vuole risorgere fun-
zione suprema dello spirito, e sdegnare una volta
gT ingombri libreschi, memore del divino motto Re-
:
surrexit, non est hic.
La nostra filosofia sarà dunque soluzione del pro-
blema della nostra cultura, che è la nostra vivente
personalità. Allora una. parola è ascoltata, quando è
attesa e risponde a un bisogno che pulsa di dentro.
Anche noi potremo far cominciare nel mondo
della cultura T Italia moderna e nostra con Fran-
cesco Petrarca, il primo degli umanisti, intendendo
che il suo nome non rappresenta un assoluto ini-
zio — poiché la storia non ha di questi inizi asso-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 19
luti — ma r elevazione a importanza storica deci-
siva d un movimento degli spiriti, che s'era venuto
preparando lentamente, a cominciare dal sec. IX,
e s'era fatto più vivace nel XIII, quantunque tut-
tavia inconsapevole della rivoluzione che avrebbe
una volta prodotta. Basta confrontare il Petrarca
con Dante per sentire il divario di due età radi-
calmente diverse nel modo di concepire la vita. Dante
è ancora, e in massimo grado, un uomo intero : in
lui arte e dottrina, religione e politica, fede e filo-
sofia, tutto è fuso in uno spirito solo, compatto; in
cui Virgilio non è soltanto l'autore dello stile am-
mirato, ma r ispiratore d'una fede politica e quel tri-
ste, quasi mistico, abitatore del nobile castello, dove
vive in desio senza speme ; e la donna che suscitò i
primi palpiti nel cuore giovinetto, trasumanata dalla
morte, è divenuta simbolo del più alto ideale reli-
gioso ed umano a cui si sia innalzata la mente del-
l'esule peregrino, che dall' infortunio e dalla miseria
è fatto vagheggiatore e propugnatore animoso di un
ordine politico universale, fondato sulla giustizia e
della giustizia vindice provvidenziale. Donde quella
forma del poema, vero miracolo: così vasto orga-
nismo e così serrato nel concetto e nell'anima che
vi circola e l'avviva in ogni punto, per guisa che
nè una sentenza nè una figura, nè il moto di un' im-
20 IL CARATTERE STORICO
magine nè il ritmo di un verso si riesca a sorpren-
dervi, in cui non risuoni la nota fondamentale di
questo suo spirito vibrante di fede : di fede nella
sua arte, nella sua politica, nella sua chiesa, nelle sue
passioni, nella vita insomma quale apparve, tutta in-
sieme, inscindibile, ai suoi occhi intenti e appassio-
nati. Perciò egli può dirsi uomo intero. La sua filo-
sofia, nel De Monarchia e nel poema, non è semplice
sapere di dotto, appreso alle « scuole dei religiosi »
e alle « disputazioni dei filosofanti » ,
quale a lui
stesso sembrò in sul principio ; nè strumento che la
gente del mestiere gli abbia opportunamente for-
nito a corazzare di sillogismi gli argomenti del suo
credo. Nè la sua arte scende mai al livello di espe-
diente didascalico o polemico. Nè la sua fede re-
ligiosa è guardata mai coU'occhio profano calcolatore
del politico. Poeta sovrano, in quanto la complessa
visione del mondo, risultante da tutti gli elementi di
cultura maturati nel medio evo, è fusa nel fuoco del
suo possente spirito, e ravvivata dal senso immediato
delle persone e delle cose, in mezzo a cui si svolse
la vita dell'uomo; Dante rimane sul limitare della
nostra storia nazionale, erma colossale, non solo
perchè poeta, ma anche perchè incarnazione nel
poeta dell'uomo : di un uomo, che dovunque si
volga, qualunque parola pronunzii, è lui, una perso-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 21
nalità presente in ogni istante a se stessa, che non
piega e non distingue tra teoria e pratica, tra dire
e fare, tra scienza e fede ; ed è insomma quel che
l'uomo dev'essere: una coscienza!
Col Petrarca comincia il movimento spirituale
che farà grande l'Italia nella storia moderna; ma
comincia pure a dissolversi quell'unità, di cui rimane
così splendido esempio Dante, quind' innanzi or più
or meno esaltato, ma sempre incompreso. Comincia
il letterato; e chiamiamo con questo nome, come
fu uso italiano nel settecento, anche il poeta, anche
il filosofo e uomo di scienza, ed ognuno che du-
rante l'Umanesimo, il Rinascimento e la decadenza
fece professione di scrittore. Grandi le benemerenze
del letterato verso tutta la civiltà moderna. Padre
della filologia, che, nata in Italia nel Quattrocento, si
diffonde nel secolo stesso e nel successivo per tutta
Europa, e raggiunge nel Seicento la sua forma defini-
tiva ;
egli è anche il padre della moderna letteratura,
tutta direttamente o indirettamente ispirata a quel
classicismo, che rivìsse nel sec. XV per l'industre
entusiasmo dell'erudito italiano ; il quale, infranto nel
suo cuore il mondo del Medio Evo, seppe riaffac-
ciarsi, di là da un millennio, con vergine sguardo
all'affascinante spettacolo dell'antichità luminosa di
poesia e di sapere. Ma egli fu anche l' iniziatore della
22 IL CARATTERE STORICO
critica biblica, offrendo nel Valla un esempio istruttivo
al Cusano prima, e poi ad Erasmo, contribuendo
per questa parte allo spirito della Riforma. E sopra
tutto fu Tannunziatore e il precursore della filosofia
moderna; che in Bacone guardò infatti al Telesio
come al primo dei moderni; per Cartesio ed
Herbert de Cherbury ebbe in Campanella un ispi-
ratore geniale e suggestivo ; con Spinoza tolse da
Giordano Bruno, anzi, attraverso Leone Abarbanel,
dai Platonici di Firenze la logica del panteismo natu-
ralistico ; e con la filosofia dell' illuminismo, nel
tempo piiì opportuno, diè sistema e potenza rivo-
luzionaria di radicale rinnovamento ad atteggiamenti
spirituali comuni all'Umanesimo e al Rinascimento
italiano, recati in forma brillante e paradossale
fuori d'Italia dal pugliese Vanini, il piìi scandaloso
libertino del primo Seicento, e per tale bruciato
vivo nel 1619 a Tolosa. Nè basta. La beneme-
renza maggiore del letterato italiano verso la ci-
viltà moderna consiste nell'essere stato egli primo
che con opera, non più di una persona o di una
setta — come ce n'erano state nei tempi di mezzo —
ma universale a presso che tutti gli studiosi, la
ruppe col dommatismo tradizionale, e promosse la
libera attività dello spirito nell'arte, nella scienza
e nella filosofia: le quali parve, e si convenne, che
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 23
potessero vivere ed esplicarsi interamente astraendo
dalla vita reale, e senza incontrarsi perciò nè con
le leggi dello Stato, nè con quelle della potestà
ecclesiastica. E così avvenne che l'uomo si di-
videsse in due parti: una da abbandonarsi alla
Chiesa e al Principe ;
poiché era il tempo che at-
traverso la Signoria si veniva costituendo lo Stato
moderno come organismo essenzialmente politico ;
ma l'altra, chiusa in sè e sequestrata dalla vita, li-
bera di spaziare senza lacci di premesse prestabi-
lite, nella sicura espansione della creazione artistica
e della ricerca razionale. Di modo che e il mo-
vimento umanista, che in filosofia metterà capo al
platonismo fiorentino e al nuovo aristotelismo di
Padova e di Bologna ; e il naturalismo, apparente-
mente antitetico, di Leonardo e di Machiavelli, di
Telesio, di Bruno e di Campanella, hanno una ra-
dice comune e un medesimo significato. Sono la
riscossa dello spirito verso la libera manifestazione
delle sue energie e la immanente comprensione della
realtà, al cui cospetto l'uomo, nello stato della co-
scienza ingenua, si trova : sono la prima negazione
del trascendente e insieme la prima affermazione
della libertà dell'uomo ; che in Italia infatti acquista
la coscienza, tutta propria dell'età moderna, del pro-
prio valore e della propria potenza nel mondo : pren-
24 IL CARATTERE STORICO
dendo le mosse dalle dispute umanistiche intorno
al potere della fortuna e alla nobiltà, e giungendo
fino al grande inno religioso del poeta filosofo che
dalla spelonca del suo Caucaso napoletano, novello
Prometeo, lancia il suo grido per la Germania re-
verente al mondo:
Pensa, uomo, pensa!
La rottura e la separazione tra l'uomo e l'uomo
di studi non avvennero già senza difficoltà e con-
trasti: anche perchè la tradizione filosofica della
Chiesa aveva ormai saldati legami indissolubili tra
la teologia dommatica e dottrine logiche e metafi-
siche, che nelle ultime scuole medievali, nel sec. XIII,
avevano raggiunto la piìi solida forma sistematica, ed
eran battute in breccia dagli umanisti, come poi, con
maggior vigore, dai filosofi del cadere del sec. XV
e del seguente. Ma i contrasti inevitabili (comincia-
rono già col Petrarca, che polemizzò principalmente
contro la logica degli ultimi scolastici) ebbero sempre
carattere episodico; e scoppiarono soltanto in quei
casi in cui i pensatori non stettero scrupolosamente
alla consegna di tener separato il dominio della filo-
sofia, o della scienza, da quello che fu giudicato
dalla Chiesa di sua speciale e sacra pertinenza.
E come ci fu un umanismo cattolico, o meglio di
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 25
cattolici, che potè vantare alle sue origini un pon-
tefice dei meriti eccezionali di Nicolò V, così può
additarsi in un pio canonico di S. Maria del Fiore,
Marsilio Ficino, la sincera e onesta alleanza della
fede cattolica con quella stessa filosofia, che, ridotta
a più rigorosa coerenza, sarà V Etica dell'empio
aborrito da tutte le Chiese, Benedetto Spinoza.
Storicamente, l'accordo fii ritenuto possibile e fatto
valere in pratica. Non importa se il letterato, cer-
cando bene dentro alla propria coscienza la radice
dell'uomo, onde avrebbe dovuto essere alimentata
la sua fede di cittadino e di credente, non ve la
trovasse ; e fantasticasse, per esempio, con Pomponio
Leto non so quali classiche congiure nella Roma di
Paolo II ; o con Tommaso Campanella una Città del
Sole comunistica insieme e teocratica nelle montagne
della sua Sila. Non importa se lo stesso Campanella
e Giordano Bruno non si tenessero dal ridere delle
credenze proprie a quella religione che essi profes-
savano; e il Pomponazzi suggellasse col suicidio
quella sua dottrina tutta negativa e desolante della
mortalità dell'anima, che protestava di professare
soltanto come filosofo, anzi come semplice interprete
di Aristotele, rimettendosi sempre nella sua fede
personale agl'insegnamenti della Chiesa; e il Machia-
velli non vedesse nella religione niente più che uno
26 IL CARATTERE STORICO
Strumento politico. La dottrina della doppia verità,
che per i filosofi eterodossi del Medio Evo era stata
una scappatoia personale, nel nostro Rinascimento
divenne principio riconosciuto universalmente, al
quale i filosofi fecero sempre ricorso appunto perchè
esso rappresentava un modus vivendi già convenuto.
Così, non solo l'arte fu cosa tutta individuale
ed astratta, al pari dell'erudizione che invade il
cervello senza toccare la persona ; ma la stessa
filosofia diventò corredo dell' intelligenza, e non
riguardò il cuore, la volontà, la vita. La quale, ho
detto, fu abbandonata allo Stato e alla Chiesa, due
istituti confusi facilmente non solo perchè storica-
mente le due giurisdizioni venivano su dai secoli
di mezzo intrecciate e commiste per modo che nella
realtà non era possibile più distinguerle nettamente,
ma per una ragione più profonda, in cui era pro-
priamente r origine e il motivo di quella mesco-
lanza; e che viene alla luce in filosofi scevri d'ogni
pregiudizio, e lungamente e fieramente perseguitati
dalla Chiesa: in Giordano Bruno e in Tommaso
Campanella. I quali interpretano lo spirito di tutta
la filosofia del Rinascimento quando asseriscono fer-
mamente l'irriducibile valore pratico, ossia sociale
e politico, della religione, senza la quale essi non
veggono possibile impero effettivo di leggi, che go-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA
vernino e realizzino una comunanza civile. Egli è
che, per essi, la religione investe la persona, lad-
dove la filosofia riguarda soltanto la pura intelli-
genza, onde si svincola dai gravi legami della vita
storicamente organizzata, cui praticamente conviene
che l'uomo si adatti ; ma se ne svincola per confinarsi
in un mondo, che non sarà più quel medesimo, a cui
volgesi la volontà.
La filosofia è prima delle accademie, dove, tra i
ricordi di uomini e scuole che la fantasia circonfijse
di una poetica aureola, si leggono e meditano i libri
testé riacquistati e riaperti di intelletti sommi, vo-
lanti come aquile al di sopra dei tempi, dei regni,
dei costumi e d'ogni alterna vicenda di cose che
passano e non mutano nè il mondo nè l'uomo. Poi
è filosofia dell'infinito universo, del cielo sterminato
e popolato di mondi infiniti, e delle lor vite infini-
tamente molteplici sgorganti da un principio unico,
che è massimo ed è minimo, e unisce in sè tutti i
contrari, perchè di là dalla natura spaziale dove questi
si contrappongono ; e in quell' Uno lo spirito con-
templandolo s' immerge, in un fijrore eroico, onde
riattinge la sua divina origine. In ogni caso, l'uomo,
che è padre della sua famiglia, e cittadino del suo
paese, e insomma uomo di questo mondo, in cui
gì' incombe la responsabilità di quel che fa e di
28 IL CARATTERE STORICO
quel che dice, anzi di quello stesso che pensa, poi-
ché, anche solo a pensare, egli si fa principio di
conseguenze che si ripercuotono immancabilmente
air intorno, e concorrono o creano ostacoli al bene
cui universalmente si tende; quest'uomo dalla filo-
sofia è messo da parte. D'altro canto, quest'uomo,
stretto all'obbligo di render conto a ogni istante
dell'esser suo, è preso dallo Stato, che ne vigila e
indirizza la condotta esteriore ; e poiché questa ha
i suoi motivi nella coscienza, lo stesso Stato ha bi-
sogno della Chiesa, che vigili sull'interno delle anime,
e disciplini le volontà con quelle sue leggi, il cui
fondamento giace nel fondo dei cuori, donde può
scaturire ogni ispirazione veramente efficace delle
azioni.
La filosofia del letterato italiano non andò mai
oltre un'etica prettamente naturalistica : la quale, chi
ben rifletta, non è una vera e propria etica, se
l'etica è la dottrina della libera vita, che crea
se stessa, perchè non esiste in natura : laddove
ogni intuizione naturalistica suppone che la realtà,
tutta la realtà, in ogni suo valore, potrà bensì es-
sere disconosciuta o misconosciuta, ma esiste, e
convien che lo spirito per doveroso omaggio le sa-
crifichi ogni sua originalità. L'etica che trae l'uomo
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 29
dalla sua condizione naturale e istintiva verso un
fine superiore raggiungibile solamente mediante lo
sforzo di vincere in sè la natura primitiva e con-
quistarne una propria, tanto dalla prima diversa
per quanto la libertà differisce dal cieco meccani-
smo: quest'etica, che fa l'uomo umanamente operoso,
perchè pensoso più di quel che ha da essere, che
non di quello che c' è, e gli fa dell'amore una legge,
e un bisogno del sacrifizio di sè agli altri e ad
una Realtà esorbitante dal suo particolare interesse
(idee tutte senza senso nella vecchia concezione eu-
demonistica dei maestri greci) ;
questa etica nuova
— che è poi la sola possibile — non poteva sfug-
gire all'acuto occhio dei nostri filosofi essere la forza
della religione positiva, che la loro filosofia non era
tuttavia in grado di elevare a coscienza di puro
concetto.
Quindi il limite, che i nostri filosofi, non per pru-
denza pratica, ma per logica necessità assegnano
tutti al loro filosofare, con una incoerenza che fa
onore alla sicurezza e larghezza del loro senso spe-
culativo. Ecco Telesio che s' impegna a spiegare la
natura iuxta p7'opria principia, e perciò la divinizza.
Ma la dottrina, che si vede spuntare verso la fine
del suo vasto trattato De rerum natura, dell'anima
,
30 IL CARATTERE STORICO
come forma propria dell'uomo, funzione, teoretica
pratica, della vita eterna, onde l'uomo si solleva al
di sopra della natura, e la intende, non è un'ag-
giunta estrinseca e una superfetazione del sistema,
anzi il complemento indispensabile per concepire nella
stessa natura l'uomo. Il quale perciò in fondo alla
faticosa costruzione telesiana, intesa a dimostrare
la vanità della teleologia aristotelica, comparisce a
un tratto per abbatterla con la sua sola presenza.
Giacché se questa natura, che nelle sue stesse forze
materiali immanenti, o nelle sue nature agenti,
come il filosofo cosentino dice, è il principio e la spie-
gazione di tutto il suo essere ed operare, — è pur
quella che ha nel suo seno, e di fronte a sè l'uomo
che la guarda e l' intende, e può farlo perchè do-
tata di anima soprannaturale; essa, per confessione
dello stesso Telesio, non è più intelligibile iuxta
pi^opria principia.
Ed ecco, dopo di lui cantato liberatore delle menti
dal giogo aristotelico e il « maggiore dei filosofi »
e « splendore della natura » , ecco Tommaso Cam-
panella dar senso a tutte le cose, e tendere a fare
dell'uomo un essere tra esseri fratelli, ancorché mi-
nori, e un membro tra le membra diverse d'una
sola immane mole animata. E pure egli prende dal
suo Telesio quella stessa dottrina della mente so-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 31
praggiunta neiruomo all'essere naturale, per ispie-
garsi dominatrice non pure nell'anima individuale
come scintilla del divino e germe di quella religione
naturale, che tanta storia doveva avere fuori d' Italia
da' primi iniziatori del deismo inglese fino ad Ema-
nuele Kant, ma nella vita sociale, base inconcussa
della sua organizzazione necessariamente teocratica.
Ed ecco Bruno, che inneggia entusiastico, dalla
Cena delle ceneri al De minhno e alla Lampas Iriginta
statuarum, al Dio che è nelle cose, ma per distin-
guerlo del Deus supra omnia, dal Dio trascendente,
al quale tiene per fermo che questa divina natura
abbia bisogno di esser sospesa ; e verso il quale la
sua filosofia non ha ali, grata ai teologi, che gliene
suggeriscono l'idea, pronta ad accoglier da loro, di là
dal confine a cui essa può spingersi, un insegnamento
che tesoreggia un sapere soprannaturale. Giordano
Bruno, eroe, simbolo, vittima santa d'una tragedia,
che è stoltezza ascrivere a malvolere di uomini, o
a protervia di sistemi, sempre umanamente rifor-
mabili e quindi imputabili a chi li mantenne ;
poi-
ché la sua fu la tragedia immanente alla sua filosofia,
anzi al suo tempo, orientato verso l'annullamento
del trascendente, e pure disposto, o meglio costretto
a rinserrarsi entro i cancelli di un mondo, che solo
nel trascendente poteva avere la sua ragion d'essere.
32 IL CARATTERE STORICO
Egli, lo Stesso Bruno, aveva già segnato a Venezia
la propria condanna, ammettendo, anzi affermando
— come, del resto, aveva sempre fatto ne' suoi libri —
una religione sacra e intangibile, ma esterna e su-
periore nella vita alla sua filosofia. E la sua vera
grandezza storica consiste appunto nell'avere espiato
sul rogo, come Gesù sul Golgota, non un errore
personale, ma quello di un'epoca ; e non per cru-
deltà di nemici, ma per una necessità storica, che
farà sempre guardare a lui come a uno dei martiri
maggiori del pensiero umano.
Martire con lui Galileo, ancorché la sua tragedia
non sia stata del pari cruenta. Ma non sanguinò
il cuore al grande vegliardo nell'atto della genufles-
sione e dell'abiura sotto la minaccia dei tormenti, a
lui settantenne e infermo? e poi nella relegazione de-
solata, mentre che andava considerando — secondo
il suo pietoso lamento — «che quel cielo, quel mondo
e quello universo, che egli con sue maravigliose
osservazioni e chiare dimostrazioni aveva ampliato
per cento e mille volte più del comunemente veduto
da' sapienti di tutti i secoli passati », si veniva per
lui scemando e restringendo, fino a chiudersi nella
solitudine della sua persona, poiché gli si spegneva
la luce degli occhi? Galileo, che mantenne e difese
in due lettere famose la dottrina bruniana della
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 33
separazione della scienza dalla fede, mirando bensì
a sottrarre la prima alla soggezione della seconda,
ma nel presupposto che l'una non avesse ad incon-
trarsi nell'altra ; e riconoscendo perciò egli pel primo,
che dove l' incontro avvenisse —e quali conseguenze
metafisiche potessero trarsi dalla ipotesi coperni-
cana aveva mostrato il Bruno — la scienza dovesse
piegare, come piegò egli, nella triste penombra
della Minerva, a disdire la sua verità incompatibile
con la dottrina di quella Chiesa, alla quale egli
pure voleva affidata la salute dell'anima? Anche la
sua, bisogna riconoscerlo, fu scienza da letterato ;
e non poteva essere autonoma, perchè espressione,
non della umana personalità, ma, ripeto, d'astratta
intelligenza.
Al di sopra di Galileo, nell'ordine del pensiero
speculativo, alla distanza di una generazione rimasta
a travagliarsi negli astratti problemi di matematica
e di fisica della scuola galileiana, grandeggia Giam-
battista Vico : il massimo erede del nostro Rina-
scimento e insieme l'oscuro profeta d'ogni più alto
concetto filosofico dei tempi posteriori ;
Vico, che
converte la speculazione dall'esterna natura, impe-
netrabile ad occhio mortale, alla storia, al mondo
dello spirito, o, come egli dice, mondo delle nazioni.
34 IL CARATTERE STORICO
lucido specchio delle leggi stesse della mente che
sì propone d'intenderlo. Vico, che movendo dall'in-
tuizione naturalisticamente panteistica dei nostri
platonici del Quattro e del Cinquecento, e sentendo
le esigenze agnostiche spuntate dalle riflessioni della
scienza recente e dallo stesso dubbio cartesiano, fa
centro del circolo neoplatonico onde l'uno si mol-
tiplica per ritornare a sè dal molteplice, nell'uomo
appunto ; in cui scopre il creatore d'un mondo tutto
diverso da quello a cui la vecchia filosofia e la
nuova scienza erano state intente: un mondo non
meno reale, quantunque spirituale, e non meno
eterno, quantunque spiegantesi nel tempo mercè
l'opera dell'umano arbitrio. E proclama così la sua
Scienza Nuova: nella quale l'intelletto non è più
contemplatore d'una realtà non sua, anzi, come unità
di mente e di arbitrio, di teoria e di pratica,
il principio stesso d'una realtà, reale soltanto come
suo proprio sviluppo. E quindi un nuovo fiarore
eroico, ben diverso da quello del Bruno: non più
l'estraniarsi dell'uomo da sè per immedesimarsi con
la natura, anzi un profondarsi in se medesimo per
attingere il principio della divina vita creatrice.
Fu dunque il Vico panteista? Il panteismo è una
visione naturalistica, e Vico è uno dei più vigorosi
e originali assertori della realtà spirituale. Ma di
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 3.S
certo la sua filosofia è tanto spiritualisticamente
immanentistica, quanto è da dirsi a buon dritto na-
turalistica la filosofia di Bruno e di Campanella.
Ciò non toglie tuttavia che anche nel Vico riappaia
il trascendente; non solo perchè con una sincerità
e una serietà religiosa, da cui i pensatori del Ri-
nascimento furono tutti alieni, egli professò scrupo-
losamente il suo cattolicismo, e cattolica volle la
sua filosofia; ma anche, e principalmente, perchè il
suo immanentismo sta e si regge dentro certi limiti,
che il filosofo napoletano si guarda bene di sorpas-
sare ; e se ne guarda bene, non già perchè gliene
manchi il coraggio — che a nessun filosofo ha fatto
mai difetto !
— ma perchè nel sistema totale del suo
pensiero gliene manca assolutamente il modo. Il suo
mondo umano è prodotto della Provvidenza, intesa
come quella logica appunto che governa la nostra
mente, e dentro la quale questa mente celebra
la propria libertà. Or bene questa Provvidenza
:
è dunque la stessa mente umana nella sua eterna
essenza e nel suo immortale valore?
No; per quanto equivoche possano riuscire non
poche espressioni della Scienza Nuova, essa è quella
divina Provvidenza, che nella stessa vignetta che il
Vico si compiacque di premettere al libro, illumina
dall'alto l'uomo che esce dalla selva primitiva, come
36 IL CARATTERE STORICO
Dante che sarebbe ritornato indietro senza il soc-
corso di Virgilio mandato dal cielo. E questa divina
Provvidenza non s' identifica del tutto con la umana,
perchè accanto alla Scienza Nuova rimane pur
sempre, non mai rifiutato dall'autore, il suo De
antiquissima Italorum sapientia : una dottrina cioè,
per cui c' è una realtà naturale, avente un principio
metafisico a sè, diverso da quello onde si genera
la storia, e ad esso irreducibile : tant' è che la sola
scienza concessa allo spirito umano rimane sempre
quella del mondo suo proprio; e di fronte ad esso
rimane sempre, impenetrabile, la natura di Dio, col
suo eterno divieto. Dio dunque non è l'uomo: non
è l'attività che fa l'uomo uomo, fabbro della pro-
pria fortuna, di tutto un mondo, non proprio di un
individuo particolare, ma storia di tutti, che è com-
plemento e compimento dell'essere. E però l'uomo
non è Dio, ma lo ha in faccia, superiore a sè ; e
deve curvare le ginocchia, e sottomettersi.
Qui è la radice della contraddizione e della oscu-
rità del Vico, il filosofo più religioso che l'Italia
abbia avuto. Chi può dirci quanta coerenza e quale
vigore di svolgimenti la sua filosofia avrebbe avuto,
se avesse potuto sottrarsi all'incubo dei presupposti
fermissimi, sotto i quali giacque durante la sua lun-
ghissima tormentosa gestazione (si son potute con-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 37
tare ben dieci redazioni della Scienza Nuova/), e
quale virtù di disciplina mentale e morale non
avrebbe ella potuto spiegare sugl'intelletti italiani?
I quali invece, per un secolo e più, mirarono a lei
come a sfinge misteriosa, presentendo vagamente
negli avvolgimenti di quel pensiero ammonimenti
vitali; ma incerti del loro genuino significato, che
non può svelarsi se non in un sistema logico, netto,
derivato tutto da un principio tratto con rigore alle
conseguenze con cuore che non trema, perchè sente
in sè la forza onnipotente che l'assicuri. E Vico ha
dovuto aspettare nel sec. XIX un pensiero liberato
dagli abiti tradizionali per influsso di forme spirituali
straniere, affinchè potesse esser ravvisato nella sua
schietta fisonomia, e quasi svelato a se medesimo.
Dopo Vico, r Italia, dalla metà circa del Sette-
cento fino ai primordi del secolo scorso, fu aperta
e soggetta al riflusso della cultura europea, non an-
cora così adulta da potere scoprire l'originalità del
grande pensatore napoletano. La cultura, nata nel-
r Italia della Rinascita, vi ritornava come filosofia
dell'esperienza e antimetafisica, come illuminismo,
come materialismo: nelle forme estreme a cui l'uma-
nismo e il naturalismo italiani erano pervenuti attra-
verso il movimento spirituale europeo della nuova
38 IL CARATTERE STORICO
scienza e della nuova fede religiosa e politica,
dalle lotte per la riforma e la libertà di coscienza
a quelle della rivoluzione politica e sociale, ne' suoi
prodromi e ne' suoi contraccolpi. L' Italia parve allora
decadere nel pensiero, insieme con gli altri paesi
d'Europa; o almeno, così parve alle prime genera-
razioni del secolo seguente. Ma l'apparente deca-
denza era nuova disciplina a più alto segno, e a nuovo
risorgimento. Paragonare, per esempio, col Vico il
filosofo napoletano subito dopo di lui salito egual-
mente in alta fama, tra la stima concorde e il
plauso di tutta l' Italia, Antonio Genovesi, per chi
non sappia applicare ai valori ideali se non una mi-
sura assoluta, senza riguardo ai rispettivi momenti sto-
rici del loro manifestarsi, può essere argomento di
malinconiche considerazioni per l'età seguita alla
morte del Vico. Il Genovesi non ebbe mente per
intuire i grandi problemi vichiani ; a petto dell'au-
tore della Scienza Nuova, non par nè anche meri-
tare nome di filosofo. E pure nel Genovesi e nella
numerosa sua scuola e in tutti gli scrittori affini
d'ogni regione italiana, l'Italia nella seconda metà
del Settecento affronta problemi non sospettati dal
Vico: in apparenza molto modesti, dal rispetto spe-
culativo, ma in realtà di grande portata storica, e
perciò filosofica. Giacché la filosofia si fa piccola
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 39
per affiatarsi col mondo dell'esperienza e mettersi
a contatto della vita: e volgesi all'economia e alle
questioni sociali e pedagogiche recandovi il suo spi-
rito illuminato e concreto, per tentare anche in Italia
una cultura che sottragga gli spiriti ai frati e agli
accademici e ai letterati, stretti in alleanza per op-
posti interessi concorrenti nel concetto di una vita
senza riflessione scientifica e senza libertà spirituale,
e di una scienza e di un'arte senza vita. Immagine
viva dell'epoca la poesia di Giuseppe Parini : la cui
forma, liberatrice della poesia italiana dall'Arcadia,
è tutta nel nuovo contenuto, semplicissimo e quasi
elementare, e pur possente d' ispirazione, e inizia-
tore di un'epoca nuova: la coscienza dell'uomo,
nella sua dirittura, nella sua dignità morale; onde
il poeta scopre in sè l'uomo, e fa vibrare nel canto
una corda non più udita da Dante in poi : muore
il letterato, perchè rinasce l'uomo. Rinasce nel poeta,
come rinasce nel filosofo, che si guarda d'attorno,
e sente la vita che è sua, e non gusta più la filo-
sofia che lo estranii da essa. E la nega; e cade
nel sensismo, e fino nel materialismo: che ha questo
motivo storico, onde rappresenta un progresso sul
passato: il bisogno di afferrarsi al positivo, all'at-
tuale per poter agire su di esso, e governarlo da
sè, senza comode ma pericolose delegazioni.
40 IL CARATTERE STORICO
Da quel movimento si levarono le prime voci
unitarie italiane; e quando esso fu reso più vivace
ed esteso ad ogni parte della penisola dall' irrom-
pere e dilagare della grande Rivoluzione di qua
dalle Alpi, sorse la nuova coscienza, non più astratta
e letteraria, ma positiva, operosa, politica, e in-
somma concreta ed efficace, dell' Italia nazione che
potesse e dovesse far da sè.
Il Rinascimento era chiuso ; ed era cominciato il
Risorgimento. I filosofi sono all'avanguardia; dopo
Galluppi, che dentro alla Napoli borbonica, sospet-
tosa non pur delle novità, ma delle stesse più ono-
rate tradizioni paesane, rinnova bensì l'antico esempio
della filosofia paga di astratte speculazioni pur di
spaziare liberamente nella tranquilla cerchia de' suoi
problemi; ma per questa via riesce, con le sue ana-
lisi pazienti e insistenti, a ridare al pensiero italiano
il senso e la disciplina della rigorosa ricerca spe-
culativa mettendo in luce le esigenze critiche im-
manenti a ogni filosofia dell'esperienza che abbia
chiara coscienza di sè ;
dopo Galluppi, la filosofia
italiana, già in possesso del nuovo punto di vista
raggiunto dalla speculazione europea col Kant, può
col Rosmini e poi meglio col Gioberti tornare alla
metafisica. Può inaugurare una filosofia, degna di
questo nome, senza limiti, e senza rinunzie: concetto
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 4I
del mondo e dell'uomo nel mondo. E il tempo del
nostro romanticismo: l'uomo non si contenta più di
immagini o idee senza rapporto necessario con i
suoi interessi ed affetti quotidiani ; anzi di questi
affetti e interessi fa materia alle sue immagini e
alle sue idee, che intende trattare come cosa seria,
affare di coscienza. Nè il mondo è più quello a cui
mirava una poesia di sogno o una speculazione me-
tempirica, ma il mondo appunto di questa attuale
esperienza, in cui è il nostro dolore e l'ardente aspi-
razione di tutti i momenti a liberarcene. Paragonate
ora l'uomo del Manzoni, espressione perfetta di
questa età, all'uomo del Monti : che abisso ! E lo
stesso abisso divide il Saggio filosofico del buon
Galluppi dal Primato e dal Rinnovamento del Gio-
berti. Da una parte, il letterato, il vecchio ita-
liano, che a prezzo della sua libertà, anzi della sua
anima, ha conquistato la libertà, anzi la vita alla
civiltà dell'Europa; dall'altra, il poeta che effonde
la sua anima di uomo che è alla presenza di Dio, e
sente tutta la propria miseria, ma anche la gran-
dezza di cui può essere fatto degno dalla fede ani-
mosa in quel Dio, in cui è la sostanza di tutto quello
che forma il pregio della vita, e che l'attrae a sè
accendendogli dentro fiamme di amore ; e il filosofo
che scruta in sè i legami ond'egli, e ogni uomo, è
42 IL CARATTERE STORICO
avvinto a tutte le cose, e tutte le cose fanno si-
stema in un mondo spirituale, retto da leggi più
ferree di quelle, da cui par governata la natura
esterna ; in un mondo, a cui l'uomo collabora con gli
sforzi del suo volere, in una divina autocoscienza,
onde Tessere, tornando a sè, realizza a pieno la sua
spirituale essenza. La vita diventa una milizia, in
quanto tale si scopre nel profondo della riflessione:
la vita, compenetrata dello spirito vitale del Cri-
stianesimo; la vita che la filosofia sveglia e pro-
muove con voce che penetra nelle tombe, e ne ri-
suscita i morti, segnando la via per cui la vita è
degna dell'uomo, indirizzata a una meta.
Rosmini è ancora legato al passato: la sua filo-
sofia vuol essere, e non è, questa vivente coscienza
del divino che abita nello spirito umano: per tema
di romperla con la religione, rimasta secondo lui di là
dalla umana speculazione, egli avvolge e ricinge lo
spirito entro fasce più e più volte piegate di distin
zioni sottili tra il soggetto puramente umano, an-
corché illustrato dal lume divino, e Dio, l'essere reale
assoluto che reca in sè il segreto della nostra fe-
licità, perchè è tutto ciò che il cuore o l' intelletto
possa desiderare. Ma Gioberti, il grande Gioberti, la
cui anima giovanile s'accostò e s'accese al fuoco della
apostolica fede mazziniana, dell' Ezechiello immor-
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 43
tale della nuova Italia, Gioberti spezzò le fasce ; e
non volendo nè pur gettare da un canto il catto-
licismo, a cui vide abbarbicati gli spiriti italiani, non
10 credette tuttavia capace di sopravvivere senza
riformarsi ; e riformarsi nel trionfo dell'assoluta
libertà dello spirito, divenuto pienamente consape-
vole della sua infinita natura e potenza. E V Italia
non dimenticherà che ai primi fremiti, onde si ri-
scosse la sua coscienza nazionale per affermarsi gio-
venilmente audace in campo contro il suo oppressore,
essa si trovò e ritenne giobertiana ; nè dimenti
cherà che, dopo la prima prova fallita, ma non in-
darno tentata, se è vero che porre un problema è
avviarne la soluzione, nel glorioso decennio privi-
legiato del genio prudente e audace del Cavour,
11 suo programma, come in un libro di profezie, era
tutto segnato nell'ultima opera del suo maestro del
'48, il più grande excubitor iìigeìiiorum che il nostro
paese abbia avuto.
44 IL CARATTERE STORICO
SIGNORI,
Quel programma non è esaurito ;
poiché per de-
cenni e decenni giacque negletto e quasi dimenti-
cato, mentre quest' Italia, che s'era politicamente ab-
bozzata, sarebbesi dovuta formare interiormente nel
pensiero e nella volontà di grande popolo, che ha
dietro a sè una storia splendida di energie umane,
ancorché incomposte e prive di quella comune e
salda disciplina statale, che é condizione d'ogni
grande potenza spirituale; e innanzi, un vasto arduo
compito di civiltà, creatogli appunto da questa di-
sciplina una volta ottenuta, principio ed impegno,
in faccia al mondo, d'una nuova storia.
Il vecchio letterato é morto ; ma ei dev'essere
morto non solo nel concetto e nel gusto degl' italiani,
sì anche nella vita, nel carattere, nella volontà. L'Ar-
cadia e la rettorica, l'accademia e la filosofia da
eruditi devono essere davvero un passato irrevoca-
bile, morendo nei cuori, soffocate dal sentimento
religioso della serietà austera, non di alcuni sol-
tanto dei nostri pensieri e dei nostri atti, ma di
tutti gli istanti della nostra vita. A questo patto
l'Italia manterrà l'impegno contratto. L'Italia dei
DELLA FILOSOFIA ITALIANA 45
letterati crollò quando il suo popolo seppe ascol-
tare la voce di un Gioberti, e si levò in piedi, e
si strinse intorno a una bandiera, ed entrò in Roma.
Ma qui non può restare senza smettere le ultime
spoglie della vecchia coscienza, che distingueva e
distingueva, e uccideva nell'uomo l'uomo, tarpando le
ali al pensiero, estraniando l'arte dalla vita e cac-
ciando la filosofia tra le morte ombre dell'intelletto.
Qui Dante che aspetta, deve risorgere : non solo
nella gran luce di Monte Mario, ma nel profondo
dell'anima italiana. Questa è l'ora di rifare qui
l'uomo intero, che senta come pensa, e operi
come parla, uno, saldo, con la fede che spiana i
monti perchè fonde la volontà nel dovere, e le dà
così tempra d'acciaio.
L'Italia, diciamolo con Dante, mostra di a^er ben
appreso quest'arte : ed eccola nell'ora del pericolo
affollata sulle creste dei monti percosse con vana
furia di ferro e di fuoco dalla rabbia nemica, e sulla
riva arginata da una muraglia di giovani petti, risoluta
virilmente ad essere spezzata piuttosto che piegata:
e in tale risolutezza, già vittoriosa. Ma quella tempra
d'animo che non crolla, nè vede termine medio tra
la morte e la vittoria nel trionfo dell' ideale abbrac-
ciato, noi aspettiamo, noi vogliamo che dai campi
di battaglia torni, fatta più lucida e salda, a quelli
46 IL CARATTERE STORICO DELLA FILOS. ITAL.
del lavoro quotidiano, alla casa e alla scuola, negli
uffici e nelle officine, nei traffici e nella politica, nel-
l'arte e nella scienza : e la vogliamo qui, nella filo-
sofia, a cui convergono e da cui si riflettono tutti
i raggi della vita morale d'un popolo. È tempo che
si riprenda la grande tradizione giobertiana ; e che
degli esperimenti di pensiero, di cui abbondò il
primo mezzo secolo di quest' Italia nuova, si rac-
colga il frutto, instaurando nella filosofia, e con
essa e per essa in tutta la nostra attività spirituale,
quella pienezza, che fa del pensiero fucina ardente,
non di semplici sistemi speculativi, ma di sistemi
della vita.
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