Storia della lingua italiana
18 04 2024
A Roma, la basilica di San Clemente, vi è una rappresentazione iconografica,
è una sorta di fumetto contemporaneo, vi è una discussione, un litigio, siamo
all’11 secolo, in questo caso nelle varie cose che ci sono scritte nell’iscrizione
vi è: falite deleto, falite è un imperativo, portaglielo, diglielo, è una struttura
volgare, vi è anche Carvoncelle, vi è il passaggio da v a b, carboncelle, vi è
anche la struttura del diminutivo, vi è anche Filli delle pute, sarebbe figli di
puttana, è volgare, non più latino. Sono le prime tracce di un volgare che sia
chiaramente distinguibile dal latino.
Il più antico testo volgare è Placito Capuano, è un testo datato, 960, per
convenzione facciamo nascere la nostra lingua qui, è uno di quattro testi, sono
tutti simili, per questo vengono chiamati i placiti campani, è un documento
scritto dal notaio che ha a che fare con il processo, con il tribunale, sono testi
lunghi, messi per iscritto, in latino, all’interno di questi lunghi documenti di
tribunali furono individuati dei pezzettini di volgare, una persona quasi
analfabeta, va a deporre, quando il cancelliere deve scriverlo e trascriverlo
come lo sente, sono comunque deposizioni convenzionali, qui vi è l’ente
religioso che vuole avere grandi possessi, l’abazia abbate è in lotta con un
proprietario terriero per alcune terre, l’abbate manda i testimoni, vi sono 3
persone legate all’abazia che affermano che l’abate ha ragione, dicono con
formule quasi uguali, affermando che queste guerre per 30 anni sono
dell’abazia, siamo nel diritto longobardo che proviene dal diritto romano, si
affermava che se per 30 anni ho usato sempre io quel pezzo di terra, in realtà è
mio, la cosa interessante di questi chierici che depongono sanno il latino, come
mai questa deposizione viene messa in volgare? È una scelta voluta e
consapevole, in un testo lunghissimo e chilometrico in latino, non ci voleva
nulla a mettere formule latine, oltretutto la formula volgare che vi è, era una
formula latina giuridica, lo scrivono in volgare per una veridicità, parlano in
volgare, si mette per iscritto, nel farlo, si dà valore a tale lingua, in più lo stesso
vescovato aveva adottato la lingua del popolo, all’interno degli enti religiosi vi
era una politica linguistica a favore del volgare, non è un parlato spontaneo
perché sono formule sempre uguali, sono formule già preparate, negli altri
placiti vicini, nella stessa zona, le formule sono simili, le formule sono quasi
uguali, è un tipo di scrittura volgare formulare. Sono 17 parole di cui alcune
hanno un valore giuridico, Sao significa sono a conoscenza, fini sarebbe
confini, contene significa che qui sono indicanti, sancti benedicti, vi è il
genitivo che dura a lungo anche in scritture volgari, la forma iniziale Sao è
interessante e discussa, noi ci aspetteremo sacco e non sao, questa è una forma
estranea alla Campania, può essere una formula settentrionale, altri affermano
che saccio è il punto finale di un processo, sao è una forma di passaggio, è una
forma arcaico, è uno stadio intermedio prima di arrivare alle forme volgari
successive. SAO KO KELLE TERRE, kelle è campano, 30 le possette, le ha
posseduto, l’ultimo dato linguistico è dal punto di vista della struttura della
frase, vi è la dislocazione a sinistra, kelle terre (complemento oggetto) 30 anni
le ha possedute la parte dell’abbazia, quindi il soggetto lo abbiamo a fine frase,
abbiamo la struttura: complemento oggetto + verbo + soggetto, noi ora
facciamo il contrario, nell’italiano standard abbiamo S+V+O, qui invece
abbiamo una struttura anormale, il contrario, la dislocazione a sinistra è antica,
è una struttura parlata tranquillamente che viene messa per iscritto in una
formula giuridico e in un testo latino, nel contenitore più alto per una lingua,
ovvero all’interno di un testo giuridico, il libro lo compro, usiamo la
dislocazione a sinistra ancora tutt’oggi, non è un caso che sia un testo
giuridico, abbiamo l’importanza dei notai.
Vi è un altro testo: la postilla amiatina, notaio che ha scritto un testo latino e
sul lato ha introdotto una frase volgare.
Vi sono le scritture della borghesia nascente, i testi mercantili, vi è il conto
navale pisano, il conto dei banchieri fiorentini, con strutture volgari, di latino
c’è ne è poco. Isfornaio, vi è la presenza del suffisso aio, tipo toscano.
Vi sono testi di tipo commerciale, economico e religiosi, abbiamo la
dichiarazione di Paxia, una vecchietta vuole scrivere le sue proprietà, i suoi
beni,
in quali spazio il volgare conquista terreno a discapito del latino? La
predicazione religiosa in volgare è un elemento cruciale per l’espansione dei
volgari, la popolazione è fortemente credente quindi le persone sono portate a
sentire le predicazione e recitare preghiere, nascono vari movimenti, fino a San
Francesco con il cantico delle creature, nascono le laudi, forte produzione di
tipo religioso
volgarizzamenti, sono massicci, abbiamo traduzioni dal passaggio alla lingua
antica al volgare, è essenziale per creare nuovi termini in volgare, vi sono
volgarizzamenti anche dal francese
vi è lo spazio letterario: una nuova lingua che si esprime su temi letterari vuol
dire che ha trovato la sua affermazione, è una lingua compiuta, vi è un
momento fondamentale nella storia della lingua italiana con la lirica siciliana,
è una lirica di imitazione dei modelli che vengono dalla Francia, abbiamo
datato questa lirica, sono notai, cancelliere che scrivono in volgare,
l’imperatore era una persona colta, parlava molte lingue, Strussi aveva studiato
un frammento di questa lirica trovato in una biblioteca arcivescovile a
Ravenna, quando io stavo nelle tue catene d’amore, questo frammento ha
sconvolto la cronologia, noi abbiamo datato la scuola Sicilia nel 200, questo
frammento è del 1100, e se questi frammenti fosse per caso un primo
anticipatore? Questo vuol dire che non sono i siciliani a portare la lirica
trobadorica in Italia, può anche essere che chi ha scritto a Ravenna ha copiato i
poeti siciliani ma questo significa che i poeti siciliani sono nati prima.
Il latino si sfalda, il sistema del vocalismo del siciliano è diverso, la parola amore
in siciliano è amori, il cuore è il curi, perché dante stronca tutti i dialetti, ad un
certo punto esalta come modello quello siciliano, facendo riferimento ad una
lingua per uso scritto e non per uso del parlato, fa riferimento al siciliano, eppure è
così lontano al toscano, il siciliano è un meridionale estremo, è quanto di più
lontano e conservativo, dante appoggia i siciliani, quindi appoggiava la lingua
amori, cori, in realtà Dante quando parlava di questi poeti, parlava di loro ma
toscanizzati, è una tradizione frammentaria, dispersa, i poeti siciliani sono stati
copiati in altri manoscritti e nel copiarli sono stati toscanizzati, di questi testi
siciliani noi ragioniamo sui frammenti, dante leggeva la versione toscanizzata, la
produzione dei poeti siciliani è stata messa nei canzonieri, nelle antologie,
diventano una sorta di libri e arrivano in toscana, in toscana nascono i tre famosi
canzonieri toscani, il copista si rende conto che la lingua dei siciliani è lontana da
lui, quindi lui trasforma la lingua e la toscanizza, il vaticano è quello che Dante
legge, quindi dante legge Iacopo Da Lentini (detto il Natio) ecce cc in toscano,
questi copisti non sono professionisti, quindi troviamo comunque nui, vui, perché
sono i termini che si trovano più vicino alle rime, queste sono le tracce, le spie, dei
testi originali, essendo in posizione di rima si modificano poco, dante esalta i
siciliani in una forma non originale ma toscanizzata, se Dante avesse letto i
siciliani non toscanizzati, non li avrebbe mai esaltati nel De Volgari Eloquentia, vi
sono questioni filologiche, linguistiche importanti. Il copista medievale è una
persona che può essere fedele e rispettoso del testo ma involontariamente, più o
meno consciamente, trasforma il testo, si mette in dialogo con il testo, quando non
abbiamo la versione autografa bisogna sempre mettere il punto interrogativo.
Quando si parla della lingua della divina comedia bisogna sempre prendere in
considerazione il fatto che non abbiamo l’autografo di dante, Contini afferma che
è sempre un lavoro continuo. Per Boccaccio abbiamo il Codice Hamilton, è un
codice con la firma di Boccaccio. Dal punto di vista della lingua, Pietro Bembo e
tutta la scuola di Bembo ragionano sul modello da seguire, nonostante il peso di
Dante, per la lingua della poesia viene indicato Petrarca e non Dante, perché?
Bembo cercava di fornire il modello, mancavano gli strumenti linguistici, manca
una norma scritta e codificata, vi è un esigenza normativa, bisogna scegliere un
testo dalle strutture semplici, chiare, lui vuole dare una proto grammatica ad una
lingua che ancora non c’è l’ha, Bembo parla veneziano, non toscano, lui stesso ha
l’esigenza di avere una grammatica di riferimento, leggendo Dante, Bembo
comprendere che la lingua è complessa, Petrarca è più semplice, si ci impossessa
subito del modello di Petrarca, Dante è plurilinguista (come ha notato Contini),
Petrarca è mono linguista. La divina commedia non era nell’ottica di Bembo
adatto per dare una norma, era meglio Petrarca. Alcune di queste espressioni che
sono state create da dante non sono andate oltre il testo della divina commedia,
come alcuni termini di Gadda sono rimasti nei suoi libri, altri termini invece sono
andati oltre, i termini che rimangono nel testo vengono chiamati Hapax, sono
termini che usano solo gli scrittori. Boccaccio oltre che il Decameron, è una
sintassi molto latineggiante con subordinate di 3, 4 grado, nel Decameron alcune
novelle vengono censurate perché sono sconce, durante il suo soggiorno
napoletano Boccaccio scrive la sua epistola napoletana, ci interessa capire come
veniva percepito il volgare diverso dal proprio, troviamo in questa epistola nuostra
per nostra, nuome invece di nome, quindi abbiamo un dittongamento spontaneo
dove non dovrebbe esserci, vuole scrivere una lettera in napoletano non
sapendolo, sente alcuni elementi tipici del napoletano ma li colloca in punti
sbagliati, sono tipici ipercorrettismi, fratello è toscano, lui avendo come base il
toscano scrive fratiello, ma in realtà da Roma in su è frate.