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Archeologia e Fascismo

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Archeologia e fascismo.

Creazione e diffusione di un mito


attraverso i francobolli del regime

Mario Torelli*

Il tema dei rapporti tra fascismo e archeologia ha molte facce, che toccano
la storia dell’archeologia, la prosopografia degli archeologi italiani, la storia
delle istituzioni archeologiche e accademiche tangenti in vari forma con il
regime, la storia delle ideologie, non tutte ugualmente nuove o interessanti.
Come è tradizione per un archeologo, in questa occasione credo sia interes-
sante prendere avvio dalla parola stessa che designa il movimento, «fasci-
smo». L’opinione corrente, che si legge spesso nella letteratura meno infor-
mata, vuole che la denominazione originaria del movimento fascista, «Fasci
di combattimento», derivi dalle insegne romane del potere, i fasci littori attri-
buiti ai consoli e ai pretori per irrogare la pena capitale per decapitazione o
per verberatio, il supplizio anch’esso capitale eseguito con le corregge legate
* Università di Perugia.

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 387
al lungo manico della scure a costituire un fascio, ciò che ha dato all’insegna
il nome latino di fasces. Se ciò fosse vero, il nesso tra fascismo e archeologia
sarebbe originario e la scelta del regime di appoggiarsi alla romanità e ai suoi
documenti sarebbe, per così dire, ovvio. Tuttavia un’analisi anche molto ra-
pida, come si può fare nello spazio di questa nota, può facilmente dimostrare
che solo a partire dal 1923, e non dal 1919, anno della fondazione, il fascismo
ha fatto interessato ricorso all’iconografia del fascio littorio romano, sugge-
rendo al vasto pubblico borghese un’originaria scelta di un simbolo, che, se da
un lato evocava le grandezze di Roma antica, dall’altro. in virtù della funzio-
ne di antico strumento di morte del fascio consolare, è andato quasi natural-
mente a saldarsi con l’iconografia dichiaratamente funebre, fatta di labari
neri, ornati di teschi e pugnali, della fase «sansepolcrista», come gli stessi
ideologi del fascismo hanno chiamato il periodo di vita iniziale del partito nel
«covo» di via San Sepolcro di Milano. Ma questa iconografia «nera», che ha
dato poi il colore di battaglia alla divisa del nascente fascismo, traeva origine
da un contesto ideologico tutt’affatto diverso della romanità: il movimento
originario dei «Fasci di combattimento» è figlio primigenio dell’arditismo,
che, per molti aspetti contiguo all’irrazionalismo bellicista del futurismo ita-
liano predicato da F.T. Marinetti, è stato sviluppato da gruppi di fanatici
combattenti della Prima Guerra Mondale, impregnati di bellicismo e di pul-
sioni distruttive: questi gruppi hanno giuocato un ruolo determinante nella
fase post-bellica per mobilitare nutrite schiere di reduci di guerra di origine
proletaria e piccolo-borghese, non solo messi a dura prova fisica, economica e
morale dalle vicende della lunga e sanguinosa guerra di trincea, ma anche
delusi nelle loro aspettative sia personali che collettive per il dopoguerra, che
perciò si sono autoproclamati vittime del «tradimento di Versailles», il trat-
tato di pace che avrebbe disatteso le attese espansionistiche italiane.
L’arditismo è stata una dunque delle forze di punta di un elevato numero
di reduci che hanno costituito il nerbo iniziale del movimento fascista, il cui
credo iniziale nasceva da un’esplosiva mistura dell’ideologia bellicista del fu-
turismo, di correnti dell’irrazionalismo politico-letterario europeo e italiano
prebellico di diversa origine, di spezzoni del sindacalismo rivoluzionario cre-
sciuto sulle dottrine di Jean Sorel e di forti spinte nazionaliste, manifestate-
si al momento dell’intervento in guerra nel 1915 e nel dopoguerra cresciute
sul mito della «vittoria tradita» fino a divenire un partito, le «camicie azzur-
re» di Luigi Federzoni, poi nel 1923 confluite nel PNF. Quasi a voler tradire
le origini socialiste di Benito Mussolini, il nome di «fascio», assunto dal par-


Su questo periodo, v. R.De Felice, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino 1965, e
Mussolini il fascista (1921-1929), Torino 1966-1968, che con i successivi volumi Mussolini il
Duce. Gli anni del consenso (1929-1936), Torino 1974; Mussolini il Duce. Lo Stato totalitario
(1936-1940), Torino 1981; Mussolini l’alleato. Gli anni della guerra (1940-1943), Torino 1990;
Mussolini l’alleato. La guerra civile (1943-1945), Torino 1997, costituisce il lavoro di riferimento
sul fascismo e sul suo fondatore; v. comunque anche J.A.Gregor, Young Mussolini and the Inte-
llectual Origins of Fascism, Berkeley-London 1979.

Cfr. D.Cammarota: Filippo Tommaso Marinetti, Milano 2002; non interamente condivisibi-
le il recentissimo volume di A.D’Orsi: Il futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?,
Salerno 2009.

388 Mario Torelli


tito dei «sansepolcristi», nel significato allora Fig. 96. Balaustrata
più corrente di «unione» traeva paradossal- del Giardino d’Inverno
di San Pietroburgo
mente origine dai «Fasci siciliani», un movi- con fascio littorio.
mento contadino rivoluzionario d’ispirazione
socialista sviluppatosi in Sicilia alla fine del xix
secolo. In piena era giolittiana (e cioè pochi
anni prima della nascita del fascismo) la paro-
la comunque correva in Italia anche nel lin-
guaggio culturale e politico senza speciali con-
notazioni di sinistra, come dimostra il fatto che
nel 1917, all’indomani di Caporetto, la parola
era entrata anche nel vocabolario politico della
Destra con il «Fascio parlamentare di difesa
nazionale». Già nel 1913, però, era stata pro-
pugnata la costituzione di un «fascio di intelli-
genze», di fatto una «unione» o «partito degli
intellettuali»: ne era autore il movimento letterario della «Voce», attraverso
il suo principale esponente Giuseppe Prezzolini, il quale nel 1925 finirà per
scrivere una laudatoria biografia del Duce, dopo aver affermato già in quello
stesso 1913 che Benito Mussolini era l’uomo capace di riscattare il Paese,
una definizione nella sostanza identica a quella di »Uomo della Provviden-
za», dai clerico-fascisti attribuita a Mussolini all’indomani della Conciliazio-
ne del 1929. Il lessico del
Fig. 97. 10 centesimi
di dollaro USA con
partito conserverà a lungo
fascio littorio. evidenti tracce del significa-
to originario della parola:
ciò che nel jargon dei partiti
era la parola «sezione», in
quello fascista era «Fascio»,
scritto a chiare lettere sulle
tessere del PNF. Della pa-
rola dunque ci si serviva
senza alcun rapporto con i
fasci littori della più tronfia
romanità: solo più tardi,
come vedremo, quando già Mussolini è giunto al governo dell’Italia e ha co-
minciato la sua peraltro rapida «marcia attraverso le istituzioni» con l’obiet-
tivo di instaurare una dittatura personale, la parola riceverà un contenuto
nuovo e si passerà all’uso «archeologico» del simbolo con le relative icone,
perfettamente congruenti con le vere e proprie immagini romane dell’ogget-
to. La scelta «archeologica», come vedremo subito, aveva in primo luogo lo
studiato obiettivo di cancellare le immagini del fascio romano originariamen-
te diffuse nel mondo con modestissime implicazioni politiche dal neoclassici-

G. Prezzolini: Benito Mussolini, Roma 1925.

«La Voce», n. 50, 4 dicembre 1913; cfr. A.Asor Rosa, Letteratura e sviluppo della nazione, in
Storia d’Italia 9, Torino 1975, 1262 ss.

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 389
smo rivoluzionario francese; dopo avere ornato perfino la balaustrata di un
giardino della San Pietroburgo degli zar (fig. 96) o il 10 centesimi di dollaro
americano del periodo 1916-1945 (fig. 97), l’iconografia rivoluzionaria del fa-
scio littorio tornerà invece ad apparire e —pour cause— nell’immaginario
fascista solo nel 1943, dopo il collasso del regime, in concomitanza con la fon-
dazione della Repubblica Sociale Italiana.
Questo excursus aveva il dichiarato scopo di fissare un caposaldo nella
ricostruzione dell’itinerario seguito nell’accostamento del fascismo alla reto-
rica della romanità, itinerario che è stato, prima ancora dell’intero movimen-
to fascista, della stessa guida del partito Benito Mussolini. Questo processo
giungerà assai presto, prima della fine degli anni Venti, all’identificazione
formale tra obiettivi del regime e contenuti dell’archeologia. Questi contenu-
ti, però, saranno solo alcuni degli ingredienti, e non necessariamente il più
efficace, nella costruzione dell’ideologia che animava il blocco storico forma-
tosi sotto le bandiere del fascismo, la cui composizione appare molto simile a
quella del blocco sociale altrettanto reazionario oggi in fase di costruzione in
Italia. Nella cultura di origine del Mussolini «rivoluzionario», fondata sulla
mentalità piccolo-borghese e nutrita di una strenua militanza socialista, tro-
vavano scarsa accoglienza le tematiche della romanità e in generale del clas-
sicismo, che tanta parte invece avevano avuto in Carducci e in Pascoli e con-
tinueranno ad avere nell’ultima delle borghesissime «Tre Corone» della
letteratura italiana otto-novecentesca, Gabriele D’Annunzio, controversa
personalità letteraria e politica da subito affiancatasi al fascismo. Altro gene-
re di gusto e altro orientamento letterario nutriva il giovane Benito Mussoli-
ni, figlio di una maestra elementare e di un fabbro ferraio romagnolo, come
dimostra ad usura il suo feuilleton storico del 1910, «L’amante del Cardinale.
Claudia Particella», ripubblicato proprio in questi giorni e ispirato da acca-
dimenti reali del xvi secolo: questi eventi, il cui contesto appare ben descritto
dal titolo stesso del libro, consentivano al futuro direttore dell’»Avanti !» di
dare libero sfogo ad un viscerale e spesso rozzo anticlericalismo proprio di
tutta la sinistra dell’epoca.
Sull’onda dell’atto eversivo della Marcia su Roma, il 30 ottobre 1922 Mus-
solini viene nominato dal re capo di un governo sostenuto da tutti i partiti
borghesi, dai popolari ai democratici, ai liberali, ai nazionalisti, acclamato
dai conservatori italiani come persona capace di mettere fine —come in effet-
ti riuscirà a fare nel giro di pochissimi anni— allo scontro sociale e ai conse-
guenti disordini scoppiati in tutta Italia, come conseguenza del vasto males-
sere post-bellico di tutti i ceti italiani e del sanguinoso assalto delle
squadracce fasciste a sedi, organizzazioni e persone del movimento operaio.
Nella convinzione, peraltro diffusa. che il nesso fascismo-romanità fosse con-
sustanziale, gli storici tout court e gli storici della cultura non hanno analiz-
zato a fondo questo rapporto tra fascismo e retorica del romanesimo, che ab-
biamo visto essere sostanzialmente assente dall’immaginario fascista nel

Cfr. G.Bozzetti, Mussolini direttore dell’«Avanti!», Milano 1979.

B.Mussolini, L’amante del Cardinale. Claudia Particella, (a cura di P.Orvieto), Roma
2009.

390 Mario Torelli


periodo 1919-1922. Il risultato è l’assenza completa di lavori sulla genesi di
tale nesso. A poco aiutano infatti gli atti concreti del governo fascista in dire-
zione dell’archeologia, a quell’epoca e fino al 1975 affidata alla Direzione An-
tichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione, un periodo esami-
nato già da altri, ma nell’ottica della storia dell’istituzione. Io stesso ha
appena avviato un’analisi del ruolo che l’archeologia riveste negli scritti di
Mussolini e dei principali esponenti del regime, un lavoro che si presenta
senz’altro promettente, ma che al momento è lungi dall’essere terminato.
Per andar oltre quanto già emerso a proposito del simbolo stesso del fasci-
smo, surrettiziamente accostato al simbolo dell’imperium romano solo dopo
la presa del potere di Mussolini, mi servirò in via preliminare di un metodo
di cui proprio l’archeologia fa larghissimo uso per ricostruire la storia delle
idee, quello della lettura delle immagini che i gruppi dominanti di tutte le
epoche hanno impresso a scopo dichiaratamente propagandistico ad oggetti e
materiali di larghissimo uso e diffusione. Com’è noto, gli archeologi si rivol-
gono alle monete antiche, soprattutto del mondo romano, per interpretarne
forma e contenuti, stile e parole d’ordine, allo scopo di ricostruire cambia-
menti grandi e piccoli nell’ideologia ufficiale e nella mentalità diffusa; analo-
go itinerario seguirò in questa sede per ricostruire le tappe dell’ingresso del-
l’armamentario archeologico romano nell’imagerie fascista, facendo uso del
campione certo e omogeneo costituito da uno dei principali veicoli della pro-
paganda ufficiale della prima metà del xx secolo, le immagini stampate sui
francobolli. Con questo stesso argomento si è già cimentato un opuscolo di un
grande storico dell’arte moderna, Federico Zeri, il quale ha condotto un’ana-
lisi a tutto tondo degli stili e dei grandi messaggi usati dall’epoca pre-unita-
ria e fino ad oggi nelle officine di Stato per la fabbricazione di questi piccoli,
coloratissimi lembi di carta gommata, tanto ricchi di informazioni su scelte
coscienti e inconsce fatte dalla committenza ufficiale. Giustamente Zeri scri-
ve: «il francobollo è oggi il mezzo figurativo più stringato e concentrato di
propaganda, quasi un manifesto murale ridotto ai minimi termini, dal quale
il substrato politico si rivela con estrema chiarezza e pregnanza». Tuttavia,
non diversamente da quanto hanno fatto gli storici con il rapporto tra fasci-
smo e archeologia, la bella e stringata analisi di Zeri, pur attenta ai contenu-
ti di propaganda, esplora soprattutto le manifestazioni formali del mezzo
senza prestare vera attenzione ai tempi e ai modi dell’uso dei segni archeolo-
gici, un orizzonte semiologico per nulla centrale nella sua prospettiva di in-
dagine.
Il mio scopo è soprattutto quello di mostrare due aspetti, tra loro interre-
lati, del variegato corpus dei documenti filatelici. In primo luogo vorrei rico-
struire la battaglia svoltasi tra la tradizione di stile floreale, espressione del-
la massima ufficialità borghese di origine ottocentesca, condivisa dalle frange
più alte della classe dominante, a partire dalla monarchia, e il nuovo «razio-
nalismo» fascista, peraltro di formazione assai composita, entro il quale si

Su questo v.P.G.Guzzo: Antico e archeologia. Scienza e politica delle diverse antichità, Bo-
logna 1993.

F.Zeri: I francobolli italiani, Ginevra-Milano 2006, 6.

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 391
innesta al suo diapason il recupero del passato imperiale romano; in secondo
luogo indagherò il ruolo che la classicità e in particolare la cultura figurativa
e le immagini stesse di Roma occupano all’interno di questo specialissimo
osservatorio. Dai tempi e dai modi della battaglia tra i due stili emergerà
infatti la nuova logica rappresentativa del fascismo, all’interno della quale si
colloca vincente il romanesimo: tale vittoria possiede un chiaro significato
per ricostruire tempi e modi della saldatura tra ideologie di varia origine e
diverso insediamento sociale alla base della fortuna del fascismo degli «anni
del consenso».

Fig. 98. Francobolli


con testa di Vittorio
Emanuele III: da sn. a
ds. espresso (1920);
posta pneumatica
(1925); posta ordinaria
a firma F.P.Michetti (a
partire dal 1901); 2 lire
«Floreale» (1926).

Nella realizzazione dei francobolli di buona parte degli anni Venti appare
assai radicata la vecchia tradizione floreale, come mostrano tutte le emissio-
ni con testa del re Vittorio Emanuele III: così accade con gli espressi del 1920
Fig. 99. Francobolli e il francobollo per la posta pneumatica del 1925 e soprattutto con la ripeti-
commemorativi, da zione delle emissioni di posta ordinaria firmate dal grande pittore F.P. Mi-
sn. a ds., del sesto
centenario della morte chetti, iniziate negli anni a partire dal 1901, una scelta di evidente sapore
di Dante Alighieri ottocentesco che culmina nel 1926 con un’emissione importante per il suo
(1921), del valore facciale di 2 lire, denominata non per caso «Floreale» (fig. 98). Temi
cinquantenario della assai poco fascisti caratterizzano anche la quasi totalità delle emissioni com-
morte di Mazzini
(1921), del terzo memorative dei primi anni Venti, eseguiti in stile corrente e banale, come
centenario della quelle relative al sesto centenario della morte di Dante Alighieri del 1921 e
creazione di al cinquantenario della morte di Mazzini, pure del 1921, o addirittura con
Propaganda Fide linguaggio pesantemente oleografico, come nella serie emessa per il terzo
(1923).
centenario della creazione di
Propaganda Fide del 1923 (fig.
99).
Fa eccezione la serie emessa
nello stesso 1923 per il primo
anniversario della Marcia su
Roma (fig. 100), che costituisce
una vera e propria rottura con i
vecchi stili, che vanno dai modi
ufficiali a quelli un po’ «da car-
tolina», fino a quel momento vigenti. In questa emissione riconosciamo l’av-
venuta legittimazione dei simboli fascisti, per di più eseguiti in una cornice
stilisticamente nuova e di alto livello. La novità ancor più sconvolgente è
data dallo stile e dal messaggio politico, oltre che dalla connotazione degli

392 Mario Torelli


Fig. 100. Francobolli
commemorativi del
primo anniversario
della marcia su Roma,
da sn. a ds., i tre
valori più bassi a firma
di D.Cambellotti; i tre
valori più alti a firma
di Giacomo Balla.

autori, ambedue artisti di grido, appartenenti a correnti artistiche fra loro


molto diverse. I primi tre valori, quelli appunto con il fascio littorio, sono fir-
mati dal notevole illustratore ed eclettico artista Duilio Cambellotti, attivo
fin oltre la fine della Seconda Guerra Mondiale, ma formatosi nel clima del
Liberty, di cui si avvertono evidenti i segni nello sfondo «primaverile», giu-
stamente da Zeri10 messi in rapporto con la retorica fascista della «giovinez-
za», ben esemplata nell’inno ufficiale del regime. Di tutt’altro segno sono i tre
valori più alti, da una, due e cinque Lire, firmati dal grande pittore futurista
Giacomo Balla,11 il quale ha prodotto immagini di grande coerenza stilistica.
Pur considerandoli a buon diritto i più bei francobolli dell’epoca fascista, Zeri
manca di valutare in tutte le sue implicazioni il salto di qualità realizzato
rispetto alle produzioni degli anni precedenti, spente o ripetitive, che si qua-
lifica come fatto politico significativo, degno di essere indagato tanto per i
contenuti programmatici, culturali e storico-artistici quanto per gli aspetti
che in maniera sommaria potremmo definire della committenza. La prima
novità non è solo stilistica, ma riguarda l’appartenenza di scuola degli autori.
Cambellotti, che opera in un’atmosfera anco-
ra Art Nouveau, incarna il gusto internazio-
nale Jugendstil-Liberty-Art Nouveau espres-
sione della parte migliore delle borghesie
europee anteriori alla guerra, segnalando in
tal modo l’ingresso del movimento fascista nel
«salotto buono» di quella parte delle classi do-
minanti ancora legate alle avanguardie di
fine ottocento: non è difficile interpretare que-
sto come il segno del gradimento tributato al
fascismo del 1922 da grandi personalità del-
l’establishment dell’epoca, come Benedetto Croce o lo stesso Giolitti, e più in Fig. 101. Francobolli
generale dai gruppi politici e culturali più in vista dell’epoca. Per valutare il dell’impresa fiumana
di Gabriele
significato di questa scelta di stile, da un lato un po’ retrò e all’altro in linea D’Annunzio, a sn.
con la cultura dominante di quegli anni, si confrontino i francobolli di Cam- quelli firmati da
bellotti con quelli emessi da Gabriele D’Annunzio nel corso della delirante Alfonso De Carolis, a
impresa da questi condotta nel 1919-20 per assicurare la sovranità italiana ds. quelli firmati da
Guido Marussig.
della città di Fiume, dallo statuto allora in bilico tra Italia e Croazia: l’effetto

M.Centanni (ed.): Artista di Dioniso. Duilio Cambellotti e il Teatro Greco di Siracusa (Ca-
talogo della Mostra, Siracusa, 22 maggio-20 dicembre 2004), Milano 2004 (con bibl.prec.)-
10
F.Zeri, o.c., 22 s.
11
Cfr. P.Baldacci, G.Lista, L.Velani: Giacomo Balla: la modernità futurista (Catalogo della
Mostra, Milano, 14 febbraio-18 maggio 2008), Milano 2008. (con bibl.prec.).

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 393
di xilografia (fig. 101) delle due serie firmate, l’una da Alfonso De Carolis,
l’altra da Guido Marussig, è ancora una volta pienamente inserita nella tem-
perie di Art Nouveau, che per la parte più consapevole e «alta» del movimen-
to fascista doveva rappresentare la continuità con la cultura figurativa più
avanzata di epoca prebellica.
Il ruolo di interprete di uno dei luoghi comuni dell’ideologia fascista, il
«nuovismo» antagonista, è invece ricoperto dal secondo pittore coinvolto nel-
l’emissione, il futurista Balla: vera ironia della sorte per un membro del mo-
vimento che predicava la distruzione dei musei, nella sua incisione Balla ri-
Fig. 102. Rilievo con
aquila imperiale
conservato nella
chiesa romana dei SS.
Apostoli.

produce con la sua personale cifra stilistica il rilievo con aquila imperiale
conservato nella chiesa romana dei SS. Apostoli (fig. 102), un’opera retorica
d’impianto classicista,12 destinata a diventare negli anni futuri uno degli em-
blemi più cari al regime. L’incisione del pittore futurista rappre-
senta la sanzione ufficiale del nesso tra fascismo e futurismo, im-
plicito nel sostegno che Marinetti, seguito da un notevole numero
di artisti di quel movimento, hanno accordato a Benito Mussoli-
ni,13 che agli occhi degli adepti sembrava realizzare quella «mistu-
ra ’dandy’ tra violenza ed eleganza» tipica dei comportamenti fu-
turisti e dannunziani.14 Questa alleanza prepara il terreno
all’ingresso sulla ribalta delle arti figurative e dell’architettura
del modernismo fascista,15 che conoscerà negli anni successivi, tra
il 1930 e il 1940, i suoi momenti più alti nell’attività di alcuni
grandi architetti, come Adalberto Libera, Giò Ponti (di cui diremo
fra poco), e soprattutto Giovanni Terragni, destinato a firmare la
futuristica Mostra della Rivoluzione Fascista (Figg. 103-104), ma
anche autore di opere di alto livello, come la Casa del Fascio di
Como, che se si qualificano sul piano delle scelte di contenuto come
dichiaratamente di regime. Tutte queste architetture esprimono
in maniera chiara il gradimento del nuovo clima presso larghi
Fig. 103. Allestimento 12
Sul rilievo, v. ora S.Magister: Arte e politica. La cllezione di antichità del Cardinale Giu-
della Mostra della liano della Rovere nei palazzi ai Santi Apostoli, in MemLinc 14, 2002, 569-571, fig. 61.
Rivoluzione Fascista 13
V. N.Zapponi: Futurismo, cultura e politica, Torino 1988.
di Giovanni Terragni. 14
V. N.Zapponi: Lo stile del fascismo:un’estetica della sopravvivenza, in Mondo contempora-
neo, fasc. 3, 2005, 1-46.
15
Cfr. Cfr.T.L.Schumacher: Surface and Symbol. Giuseppe Terragni and the Architecture of
Italian Rationalism, New York 1991, e R.A.Etlin: Modernism in Italian Architecture, Cambrid-
ge (Mass.)

394 Mario Torelli


strati dell’intellighenzia più
avanzata o di quella più giovane,
ben descritta nel libro di Rugge-
ro Zangrandi, «Il lungo viaggio
attraverso il fascismo»,16 al pun-
to che, se si dovesse descrivere in
misura piena il successo dell’ope­
ra di costruzione del blocco stori-
co che sosterrà il fascismo fino
almeno il 1942, basterebbe ac-
cennare a questa entusiastica
adesione al carro della propa-
ganda fascista di artisti di primo
rango e di vario orientamento,
come i due responsabili del dise-
gno dei francobolli della Marcia
su Roma e la lunga schiera di ar-
chitetti appena ricordati, che col-
legavano la cultura italiana alle
più avanzate esperienze
dell’archi­tettura europea svilup-
pate tra le Due Guerre Mondali.
Altra cosa è ancora la torsione
del migliore razionalismo archi-
tettonico italiano degli anni
Trenta in direzione della magni-
loquenza monumentale e retori-
ca: divenuto prevalente nella
grande edilizia ufficiale dell’ul­
timo decennio di vita del fasci-
smo con le opere dei vari Piacen-
tini, Del Debbio, Brasini, questo
indirizzo vuoto e retorico di fatto
si apparenta ai colossali e dis-
sennati progetti ar­chitettonici
nazisti alla Speer, espressione
del maniacale bisogno di gran-
deur del Führer, quasi a segnare il progressivo distacco della classe intellet- Fig. 104. Manifesto
della Mostra della
tuale e dei ceti più consapevoli dal blocco storico creato dal regime. Rivoluzione Fascista
Ma torniamo a questo cruciale snodo del 1923, che ci invita senz’altro a di Giovanni Terragni.
concentrarci ancora sui problemi offerti dal nostro modesto osservatorio, per
indagare un po’ più a lungo le circostanze del cambiamento e a individuare i
canali attraverso i quali il fascismo, da movimento fatto di ceti medi, proleta-
ri e piccolo-borghesi con forti radici «plebee», sia riuscito sul piano ideologico
a divenire regime dotato di evidente egemonia, capace di integrare nelle pro-
16
 R.Zangrandi: Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano 1962

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 395
prie prospettive culturali e nei propri linguaggi espressivi artistici allora alla
ribalta, diversi se non addirittura fra loro conflittuali: basti pensare alla pro-
fonda diversità di accenti esistenti tra le estreme propaggini del Liberty, le
manifestazioni più infocate del «nuovismo» futurista e gli orpelli del classici-
smo greco-romano, tutte forme e modelli della cultura «alta», cari alla bor-
ghesia italiana ed europea dell’anteguerra. Non c’è dubbio che uno dei primi
passi in questa direzione sia proprio quello da cui abbiamo preso le mosse, la
mistificazione che ha condotto alla trasformazione della denominazione di
’Fascio’ del movimento nell’immagine del fascio littorio tratta dal repertorio
di simboli dell’antichità romana. Ricostruire come si sia giunti a questa effi-
cace manipolazione è certamente cosa abbastanza complessa, se si pensa al
modesto e convenzionale punto di partenza culturale del movimento, esibito
dallo stesso Mussolini prima della conquista del potere. Qualche ipotesi si
può tuttavia azzardare, analizzando situazioni e personaggi al centro degli
eventi culturali e politici di quei cruciali anni 1922 e 1923.
La scelta del disegno fu senza dubbio di Mussolini stesso; ma da chi pro-
veniva l’ispirazione? La prima esigenza di rendere pubblico il simbolo del
movimento attraverso l’emissione di monete con il simbolo del regine sorge
nelle prime settimane del governo Mussolini, decisa con il R.D. 21 gennaio
1923, ch prevede l’emissione prima di monete da una e due lire, poi addirit-
tura con quelle commemorative d’ora di 200 e 100 lire;17 l’emissione dei fran-
cobolli, quelli poi firmati da Cambellotti e da Balla, verrà annunciata dall’or-
gano fascista poco più tardi, il 3 maggio 1923. Contestualmente, però,
sull’organo del PNF del 13 gennaio 1923, subito dopo il decreto dell’emissione
della monete, compare un articolo a firma di Margherita Sarfatti, che esplici-
tamente invita il Presidente del Consiglio a dare incarico al sottosegretario
alle Belle Arti di definire «la impronta e la forma del fascio»: il suggerimento
a rivolgersi al sottosegretario competente per l’archeologia indica che la Sar-
fatti aveva in mente non solo di trasfor-
Fig. 105. Littori romani mare l’iconografia corrente del fascio, di
ricostruiti da Giacomo sapore troppo rivoluzionario e libertario,
Boni (Foto Gabinetto ma anche di chiedere lumi all’archeologia
Fotografico
Nazionale). ufficiale di Stato, cui attribuiva la piena
competenza a scegliere il modello, ossia il
«vero aspetto» del fascio littorio. Il 3 apri-
le 1923 «Il Giornale di Roma» annuncia
che l’incarico di accertare quale fosse il
reale aspetto dei fasci littori romani è
stato affidato al senatore del Regno Gia-
como Boni, celebrato scavatore del Foro
Romano. L’incarico viene all’istante portato a termine da Boni, non senza
aver suscitato nel senatore una punta di orgoglio, che traspare dal fatto che
del suo lavoro egli ha prodotto una foto-ricordo conservata al Gabinetto Foto-
grafico Nazionale (fig. 105). Purtroppo l’immagine fotografica, che reca la di-
dascalia «La festa delle Palilie. Ricostruzione di Giacomo Boni», reca un coa-
17
 I dettagli sono riportati da E.Gentile: Il culto del littorio, Bari-Roma, 20077, 76-80.

396 Mario Torelli


cervo di errori: i luperci, protagonisti delle Palilie, vestivano sì una pelle di
lupo, ma al disotto della pelle erano nudi e non abbigliati come legionari né
in alcun momento della festa recavano i fasces, portati invece dai littori, i
quali nella tenuta urbana indossavano sempre la toga e in militiis il paluda-
mento militare; è evidente che i luperci sono stati da Boni confusi con gli
aquiliferi legionari. Come denuncia la stessa didascalia della foto, l’urgenza
era somma, in quanto era costituita dall’imminenza della data del 21 aprile,
dies natalis di Roma, giorno destinato negli anni successivi a diventare festa
nazionale dell’Italia fascista. Giacomo Boni, molto ingegnere e poco archeolo-
go, ne deve essere stato travolto. Si aveva fretta di fare uso di fasci littori
«autentici», depurati dell’iconografia stabilita dalla Rivoluzione Francese,
che aveva fatto assumere all’oggetto un «aspetto arbitrario», come proclama-
no i giornali dell’epoca,18 espressione del timore fascista della carica troppo
democratica e troppo repubblicana di quella immagine. Il rinnovato aspetto
del simbolo del regime viene poco più tardi esplicato da Pericle Ducati,19 uni-
co archeologo firmatario del manifesto degli intellettuali fascisti del 21 aprile
1925,20 destinato a perire nella guerra civile, e indagato ancor più dottamen-
te anni più tardi, alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, da un altro ar-
cheologo, questa volta giovane, A.M. Colini.21 La scelta «archeologica» per i
fasti del regime è ormai compiuta: in quel fatidico 1923, il «Natale di Roma»,
prima festa del genere dopo l’avvento del fascismo al potere, verrà celebrato
con una grande parata guidata da Mussolini e Diaz a cavallo, sanzione del-
l’impossessamento da parte del nascente regime di tutta la retorica della
vittoria del 1918.
Dalla sequenza delle notizie, pubblicate prima sul quotidiano del PNF e
poi sugli altri quotidiani, si può avanzare con relativa sicurezza che l’ispira-
zione per la revisione dell’immagine si debba a Margherita Sarfatti, respon-
sabile per la cultura del giornale del partito «Il Popolo d’Italia» sin dalla
fondazione nel 1919, visibilmente al centro di questa abile operazione, politi-
ca, prima che culturale, densa di significato per il nascente regime. La Sar-
fatti è persona di assoluto rilievo, con notevole seguito nel mondo della cultu-
ra e dell’arte, di grande influenza nell’entourage di Mussolini, di cui è fra le
amanti sin dal lontano 1913 e al quale resterà a lungo tenacemente legata.22
Nel 1922 la Sarfatti viene dallo stesso Mussolini inserita nominata direttrice
editoriale di «Gerarchia», rivista ufficiale del PNF, intorno alla quale vengo-
no da subito chiamati intellettuali e artisti di una certa notorietà. Margheri-
ta Sarfatti segue il capo del partito a Roma all’indomani della nomina di
questi a presidente del Consiglio, stabilendosi all’Hotel Continental, non
troppo lontano da Palazzo Tittoni a via Rasella, dove Mussolini ha contempo-
18
Gentile, o.c.
19
P.Ducati: Origine e attribuiti del fascio littorio, Bologna 1927.
20
 A.Asor Rosa: Il fascismo: la conquista del potere, in Storia d’Italia 10, Torino 1975, 1464-
1470.
21
 A.M.Colini: Il fascio littorio, Roma 1938.
22
P.V.Cannistraro-B.R.Sullivan: Il Duce’s Other Woman, New York 1993 (trad. it., Marghe-
rita Sarfatti. L’altra donna del Duce, Milano 1993); sulla sua formazione intellettuale, La for-
mazione di Margherita Sarfatti e l’adesione al fascismo, in Studi storici, 1994,

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 397
raneamente preso residenza. Malgrado i gravi impegni, i due si vedono ogni
momento possibile e la Sarfatti guida il figlio del fabbro di Predappio nella
visita dei grandi monumenti e dei luoghi storici di Roma, che Mussolini poco
conosceva e dei quali ella magnifica la potenza comunicativa e illustra i mes-
saggi. Accenni a questo sodalizio e questo intreccio intellettuale sono natu-
Fig. 106. Serie
celebrativa del ralmente nel libro intitolato »Dux», che la Sarfatti pubblicherà nel 1926 con
Cinquantenario del il racconto degli anni giovanili e della conquista del potere da parte di Mus-
Regno d’Italia (1911). solini.23
Naturalmente non si vuole con
questo pensare che tutta la romanità
del regime si debba alla Sarfatti, ma
che la donna, vicina da anni al capo
del fascismo, il cui temperamento as-
sai sensibile al fascino femminile è
ben noto, oltre a collocarsi al centro
della questione del «vero aspetto» del
fascio, sia stata uno dei principali vei-
coli per il successo presso Mussolini
di quel singolare impasto di cultura
contemporanea e di retorica classici-
sta, destinato a diventare il linguaggio fascista degli «anni del consenso».
D’altronde lo stesso Mussolini, appena insediato come capo del governo, al
generale Gatti, aiutante di campo di Cadorna durante la guerra, che era ve-
nuto a proporgli di scrivere un libro sul suo ruolo nella Prima Guerra Mon-
diale. aveva dichiarato: «Oggi in Italia, non è tempo di storia ... è tempo di
miti».24 E Mussolini, giunto da pochissimo al potere, aveva certamente biso-
gno di miti. Giustamente Zeri sottolinea che il passato classico e in particola-
re quello romano aveva rappresentato una costante della cultura italiana per
tutto l’Ottocento e che la stessa cultura figurativa anteriore al fascismo era
impregnata di imagerie classicheggiante. Sempre per restare in territorio fi-
latelico, l’esempio più eclatante di questa vague
sono i primi francobolli commemorativi ad essere
emessi dall’Italia, la serie del 1911 (fig. 106) cele-
brativa del Cinquantenario del Regno d’Italia,
nella quale metafore classiche, come la palma
della vittoria del 2 centesimi e il serpente imper-
sonante Aeternitas del 15 centesimi, si alternano
ad autentiche citazioni archeologiche, dai Dioscu-
ri del Quirinale del 5 centesimi alla perfetta ri-
produzione del puteale di Giuturna del Foro Ro-
Fig. 107. Serie mano del 10 centesimi. Non meno archeologico è
commemorativa del
terzo anniversario la Vittoria di Brescia effigiata nei francobolli
della Vittoria (1921). emessi il 1 novembre 1921 (fig. 107) a commemo-
rare il terzo anniversario della conclusione della
23
M.Sarfatti: Dux, Milano 1926.
24
 Riportato da P.Milza: Mussolini, Roma 2005, 345.

398 Mario Torelli


guerra. Va comunque ricordato che tra il ruo- Fig. 108. Copertina
lo, del tutto ovvio e consuetudinario, di co- del n. 1 (1922) della
rivista del PNF
sciente modello di perfezione che il passato «Gerarchia» a firma di
classico e romano in particolare ha avuto per M.Sironi.
la civiltà europea sin dal rinascimento, che ri-
conosciamo anche in questi esempi filatelici di
rievocazione dell’antico, e la funzione invece di
anticipazione del presente, per non dire di pre-
destinazione, che alla romanità attribuirà il
fascismo vi è un’enorme differenza.
Ma sul ruolo della Sarfatti c’è ancora del-
l’altro. Come direttrice ediotriale di «Gerar-
chia», dal primo numero del gennaio 1922
Margherita Sarfatti chiama a disegnare le co-
pertine della rivista un giovane artista di scuo-
la futurista, Mario Sironi:25 il numero inaugu-
rale della rivista (fig. 108) ostenta la schema­tica
immagine del fornice centrale di un arco trionfale romano, a metà strada tra
l’arco di Tito e quello di Costantino con tondi e figure di Vittorie, anticipazio-
ne di una serie di copertine di diversi anni a venire disegnate dal pittore, il
quale sapientemente mescola temi classici e propaganda fascista, come in
copertine dei successivi anni 1926, 1928 e 1930 (fig. 109). Con la chiamata a
collaborare sin dal primo numero alla rivista ufficiale del partito un pittore
di qualità come Sironi, l’attivissima intellettuale fascista fa mostra non solo
di volere fermamente una significativa apertura del fascismo al mondo
dell’arte per facilitare la nascita di un’ «arte fascista», ma anche con la sua
attività politica, con i suoi scritti sul-
l’arte26 e con le sue iniziative di or­ga­
nizzatrice di mostre e di movimenti
artistici, come il Gruppo del Novecen-
to (1922) di voler contribuire —e non
poco— a creare uno stile capace di in-
carnare in maniera adeguata la fase
di ascesa del regime, di cui proprio Si-
roni è stato uno dei migliori interpre-
ti. Non a caso a Sironi va riconosciuta
una grande importanza per il nostro
discorso, dal momento che il pittore,
divenuto subito uno degli artisti più
vicini al regime, è tra i pochi capace di rivivere in chiave moderna i temi del- Fig. 109. Copertine a
l’archeologia. Sotto quest’aspetto, più ancora della grafica di «Gerarchia», firma di M.Sironi di
fascicoli degli anni
1926, 1928 e 1930
25
 Le pagine migliori su questo pittore sono di M.Calvesi: Mario Sironi, Roma 1981; v. anche della rivista del PNF
E,Braun: M.Sironi and a Fascist Art, in E.Braun, (ed.), Italian Art in the 20th Century, London «Gerarchia».
1989, 173-180; sul rapporto fra Sarfatti e Sironi, v. E.Pontiggia: Da Boccioni a Sironi. Il mondo
di Margherita Sarfatti, Milano 1997.
26
M.Sarfatti: Storia della pittura moderna, Milano 1930.

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 399
l’opera sua più significativa è il colossale affresco che decora
il salone d’ingresso del Liviano, sede della Facoltà di Lettere
di Padova disegnata e realizzata tra il 1933 e il 1943 dal gran-
de architetto razionalista Giò Ponti.27 Riprendendo il tema,
caro al gusto rinascimentale, della rappresentazione dell’ope-
ra assieme all’artista e al committente, l’affresco mostra al
centro Carlo Anti (fig. 110), allora Rettore dell’Ateneo pado-
vano e futuro direttore generale delle Antichità e Belle Arti
della Repubblica di Salò, fra l’architetto Ponti a destra in atto
di illustrare l’opera e il pittore stesso a sinistra, vestito di
tuta e in atto di sorvegliare i lavori del Liviano,. che si svolgo-
no al centro e sulla destra. L’elemento eccezionale è costituito
dalla rappresentazione, prima e unica che io sappia nella sto-
ria della pittura, dell’archeologia come stratigrafia. Al centro
dell’affresco, sotto i piedi dei tre responsabili della costruzio-
ne, è raffigurata infatti una «sezione stratigrafica» del suolo,
nella quale compaiono i corpi dei predecessori romani (fig.
Fig. 110. Padova, 111) e i resti archeologici sepolti, alcuni dei quali vengono estratti dalla terra
Liviano. Affresco del stratificata da due archeologi: la scena vuole incarnare il carattere, attribuito
salon di ingresso: al
centro il Rettore Carlo a uomini e vestigia, di «precursori» dell’opera in corso, che assume così il ca-
Anti, fra il pittore rattere di necessità e al tempo stesso di realizzazione carica di significati
Sironi (a sn.) e
l’architetto Ponti (a
ds.) in atto di illustrare
i lavori del Liviano,
che si svolgono al
centro e sulla destra.

Fig. 111. Dettaglio


dell’affresco alla fig.
prec. con una sezione
del suolo, nella quale
compaiono i corpi dei
predecessori romani e
i resti archeologici
sepolti, estratti dalla
terra stratificata da
due archeologi.

derivanti dal passato romano, celebrato assieme ai momenti di gloria me-


dioevale e rinascimentale dell’ateneo padovano anche da altri affreschi del
palazzo.
Nello stesso 1923 l’emissione dei francobolli di Cambellotti e Balla, datata
24 ottobre (fig. 100) sanziona l’ingresso di temi archeologici nell’immaginario
27
V.da ultimo V. Dal Piaz: Architetti e artisti all’Università di Padova, in I.Colpo-P.Valgimi-
gli (edd.): Pittori di muraglie. Tra committenti e artisti all’Università di Padova 1937-1943 (Ca-
talogo della Mostra, Padova, 25 marzo-28 maggio 2006), Padova 2006 .

400 Mario Torelli


e nel repertorio del regime, come si Fig. 112. Serie
ricava dalla successiva emissione, emessa per la
previdenza della
quella per la previdenza della mili- milizia fascista (1923)
zia fascista, prodotta a pochi giorni con medaglione di
di distanza, il 29 ottobre (fig. 112). stile «romano».
E’interessante notare che per il bre-
vissimo lasso di tempo tra le due se-
rie i fasci di questa seconda emissio-
ne «politica» dell’anno non risultano
adeguati alla nuova iconografia: la
forma ad alabarda della scure è quel-
la tradizionale, lontana dalla revisio-
ne di Boni, anche se la grafica osten-
ta una gabbia assolutamente classica e una scena tutta «romana» nei
medaglioni centrali, presentati come fossero a bassorilievo e ispirati sia a
monete che ai tondi adrianei dell’arco di Costantino, nei quali compaiono,
quasi fosse la ricostruzione archeologica di un rituale del PNF, cittadini ro-
mani in atto di fare il saluto a mano tesa a un magistrato. E’ inutile dire che
i tondi sono frutto di un’operazione di fantasia, anche se per molti versi im-
peccabile, fondata com’è su un collage di citazioni di documenti archeologici
autentici. La marcia verso l’ostentazione dell’archeologia di regime sembra
pienamente avviata.
Tuttavia, proprio a questo punto, sui nostri francobolli la vocazione «ro-
mana» del nascente regime subisce una battuta d’arresto, le cui ragioni sono
palesemente da ricercare nelle vicende politiche del successivo 1924. Il 10
giugno di quell’anno viene assassinato da una banda fascista il leader socia-
lista Giacomo Matteotti, un evento che fa aprire gli occhi a molti sostenitori
liberali, a partire proprio dallo stesso Croce e da l’avvio ad una gravissima
crisi del regine, con la «secessione» dei partiti antifascisti dall’aula parlamen- Fig. 113. Francobolli
tare, subito classicisticamente denominata Aventino. Ecco allora che l’uffi- delle serie emesse per
il cinquantenario della
cialità filatelica ritorna alle tematiche banali e agli stili tradizionali di anni morte di Manzoni
precedenti, con commemorazioni politicamente non connotate, come quella (1923) e per l’Anno
del cinquantenario della morte di Alessandro Manzoni emessa il 29 dicembre Santo (1925).
1923, e con un inatteso, ma
deciso riemergere di soggetti
pietistici, come nella serie
dell’Anno Santo del 1925
(fig. 113). Lo stile è oleogra-
fico e francamente stucche-
vole, con un salto deciso al-
l’indietro verso il peggiore
Ottocento. Anche se non sa-
pessimo cosa stava accaden-
do a Roma e, di riflesso, nel
Paese, i piccoli rettangoli di
carta colorata, analizzati

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 401
con metodo archeologico, ci direbbero, come di fatto ci dicono, che l’atmosfera
politica italiana rischiava di cambiare, mettendo in pericolo l’avvio della dit-
tatura, che il trionfalismo dell’anno precedente sembrava aver sanzionato.
Tuttavia Mussolini, mettendo in atto un vero e proprio golpe, riesce a su-
perare abilmente la crisi del regime: con il discorso pronunciato alla Camera
il 3 gennaio del successivo 1925, egli si assume la responsabilità politica e
morale dell’accaduto e torna ad ottenere la fiducia della Camera. Successiva-
mente, nel 1926, grazie anche al malriuscito attentato del 4 novembre 1925
dell’ex-deputato Tito Zaniboni, Mussolini sospese le libertà costituzionali e
dichiarati fuori legge i partiti, riuscirà a imporre al Paese la dittatura.28 Il
cammino del regime può dunque riprendere e sul nostro materiale filatelico
tornano gradualmente ad essere visibili i segni della retorica fascista, ora
assestati su tre direttrici spesso compresenti in una medesima immagine,
senza però che nessuna risulti dominante: il culto del capo, di cui si idolatra-
no atti, gesti e immagini; l’evocazione della fase «rivoluzionaria» del regime,
con tutti i suoi segni bellicisti dell’arditismo e del costume delle camicie nere,
con una specifica accentuazione del «nuovo», dato centrale del futurismo, di
cui si recuperano molti temi e molte forme espressive; e infine il precursori-
smo, perno dell’ideologia del partito fascista, cele-
Fig. 114. Francobolli
brato da un acclamato libro di Nino Tripodi ge-
commemorativi di rarca del regime e nel dopoguerra tra i fondatori
Emanuele Filiberto del partito neofascista,29 il MSI. Secondo questa
(1928). dottrina, mutuata secondo Tripodi dal pensiero di
G. B. Vico, i grandi eventi e le personalità della
storia antica, medioevale e moderna d’Italia
avrebbero tutti precorso pensiero e atti del fasci-
smo: anche se l’autore lo nega, sono evidenti i le-
gami con lo storicismo di Giovanni Gentile, filoso-
fo idealista fascista, che ha a lungo incarnato il
legame tra regime ed alta cultura.30 Anche grazie
a tale teoria ufficiale, propugnata in tutte le sedi,
dalla Scuola di Mistica Fascista31 e da tutti gli
organi di diffusione della cultura, il primato del-
l’archeologia del romanesimo si è progressiva-
mente radicato nell’immaginario del regime come
uno dei suoi principali fondamenti del fascismo.
Per la prima fase fino al 1929 prevalgono le tematiche convenzionali e
bolse della dinastia, come nella serie commemorativa del 1928 per il principe
guerriero sabaudo del Cinquecento, Emanuele Filiberto (fig. 114) o nel dilu-
28
 La più bella ricostruzione della transizione dal «fascio della borghesia» al «regime reazio-
nario di massa» (una famosa definizione della dittatura fascista data da P.Togliatti) e quella di
E.Ragionieri, in Storia d’Italia 12, 1976, 2121-2232.
29
N.Tripodi: Il pensiero politico di Vico e la dottrina del fascismo, Padova 1941.
30
Si veda G.Gentile: Fascismo e cultura, Milano 1928.
31
D.Marchesini: La scuola dei gerarchi. Mistica fascista: storia, problemi, istituzioni, Milano
1976: v. ora il discutibile libro di T.Carini: Niccolò Giani e la Scuola di Mistica Fascista 1930-
1943, Milano 2009.

402 Mario Torelli


vio di immagini stantie, floreali o michet- Fig. 115. Serie
tiane di Vittorio Emanuele III emesse fin emessa per la
previdenza della
quasi al 1930, così come i soggetti conven- milizia fascista (1926)
zionali cattolici (S.Francesco, 30 gennaio con vedute di
1926) e celebrativi (centenario di Alessan- monumenti di Roma:.
dro Volta, 1927). Alla celebrazione fasci-
sta si mette una sordina: e infatti la serie
per la previdenza della milizia del 1926
presenta, in uno stile assolutamente da
cartolina, una sfilata di quattro vedute di
Roma, nelle quali l’unica concessione all’archeologia è una veduta convenzio-
nale di acquedotti romani (fig. 115), per di più proposta con un valore faccia-
le basso. Tuttavia il consolidamento della dittatura fa tornare pian piano in
superficie il gusto per il passato romano e per i suoi segni. Il preannuncio
della nuova fase si può vedere nella serie del 1929 detta «imperiale» (fig.
116), destinata ad essere l’emissione standard fino alla fine del fascismo, nel-

Fig. 116. Francobolli


delle serie detta
«imperiale» (1929): da
sn. a ds., ritratti di
Cesare, Augusto e
Vittorio Emanuele III,
Lupa Capitolina e
personificazione
la quale i ritratti di Cesare, Augusto e Vittorio Emanuele III si alternano alla dell’Italia.
Lupa Capitolina e alla personificazione dell’Italia. A partire da questo 1929,
si apre un succedersi di millenaristiche emissioni degli «anni del consenso»,
come ha chiamato De Felice il periodo tra il 1929 e il 1936, che rigurgitano di
immagini archeologiche.
La prima serie, ricchissima di valori, è quella del Decennale della Marcia
su Roma del 1932, nella quale le evocazioni archeologiche hanno lo scopo di
sottolineare la funzione che il passato romano ha di «precorritore» del fasci-
smo: il valore da 35 centesimi con l’immagine di un miliario romano di fanta-
sia lascia intravedere sullo sfondo una segnaletica moderna collegata a varie Fig. 117. Valori della
strade; il bollo da 75 cen- Serie del decennale
tesimi mostra un solda- della Marcia su Roma
to italiano in atto di dis- (1932): 35 centesimi
con miliario romano di
sodare terre sullo sfondo fantasia lascia
di una strada romana intravedere e sfondo
con la significativa le- di una segnaletica
genda «Ritornando dove già fummo», esaltazione di quella che un recente libro stradale moderna; 75
centesimi con un
su archeologia e politica nella Tripolitania italiana ha efficacemente chiamato soldato italiano in atto
«l’epica del ritorno»;32 il valore, ancora una volta il più alto della serie, di Lire di dissodare terre sullo
5+2,50, presenta la statua di Cesare e una veduta dei Mercati Traianei, frutto sfondo di una strada
dei nuovi scavi di Via dell’Impero, con la scritta «Antiche vestigia, nuovi auspi- romana; Lire 5+2,50
con statua di Cesare e
veduta dei Mercati
32
M.Munzi: L’epica del ritorno. Archeologia e politica nella Tripolitania italiana, Roma Traianei.
2001.

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 403
Fig. 118. Serie ci», che esprime senza infingimenti l’uso strumenta-
celebrativa del le del passato romano fatto dal regime (fig. 117). In
decennale
dell’annessione di questa nuova fase la prima vera propaganda quasi
Fiume: da sn. a ds.,. interamente archeologica compare soprattutto in
due serie, quella commemorativa del Decennale del-
l’annessione di Fiume e la seconda per la previden-
za della milizia fascista. Nella serie emessa nel 1934
(fig. 118) per celebrare l’annessione di Fiume, lo sti-
le dai contorni forti delle immagini richiama i fran-
cobolli del governo di D’Annunzio sopra ricordati
(fig. 101): le vignette sono incorniciate da un archeo-
logico fornice, che riecheggia le architetture in cal-
care dei monumenti romani dell’Istria romana,
come accade anche con l’arco, manifestamente ispi-
rato all’arco dei Sergi di Pola, che compare sullo
sfondo della prua della nave da guerra italiana (va-
lore L. 2,55+2). L’onnipresente archeologia ha la
funzione legittimante dell’annessione di «terre romane», avviata in barba alle
norme del diritto internazionale. Ecco allora che i francobolli alternano la vie-
ta iconografia dell’arditismo, espressa dai pugnali branditi (valore cent. 50),
non a caso la stessa di una copertina di «Gerarchia» del 1927 firmata da Sironi
(fig. 119), ai soggetti, assai insistiti, del «precursorismo», fondamento di ogni
richiamo archeologico, che nei francobolli viene evocato tanto attraverso il so-
vrapporsi delle prore di tre navi, una romana, una veneziana e una italiana
Fig. 119. Copertina a
firma di M.Sironi di un
(valore L. 2,75+2,50), quanto mediante la ripetizione sulle isole dalmate del
fascicolo dell’anno simbolo del Leone di S.Marco (posta aerea, valore L. 2+1,50), palese rinvio al
1927. tema della retorica della vittoria «tradita». Il crescendo culmina nel valore in
assoluto più alto (posta aerea, valore L. 3 + 2), che esibisce il
tema archeologico di un vallum Iulium (la linea di fortificazio-
ni che sarebbe stata eretta da Augusto contro gli Illiri), tutto di
pura fantasia, un’immagine a mezza strada tra il Vallo di
Adriano in Britannia e la Grande Muraglia cinese.
Quasi fosse un parallelo contemporaneo dell’affermazione
nella Russia sovietica del «realismo socialista», nasce ora un
«realismo fascista», una nuova oleografia iperrealistica del re-
gime, preannunciata sia dalla serie «imperiale» che da quella
del decennale della Marcia su Roma, che tende a riassorbire i
modelli d’avanguardia degli anni Venti, ormai lontani dalle
esigenze poste dalla vittoriosa politica di persuasione di mas-
sa. Quasi contemporaneamente accettando il rispettivo «reali-
smo», Russia staliniana e Italia mussoliniana liquidano i resi-
dui dell’avanguardie, che avevano sostenuto i due regimi nel
periodo a cavallo degli anni Venti: mentre la Russia socialista
elimina i sopravvissuti in maniera di fatto violenta, l’Italia
invece riassorbe lo stile della avanguardie entro i confini del
nuovo «realismo», e, nel caso delle architetture ne trasforma

404 Mario Torelli


in retorico il linguaggio, data la caratteristica
non figurativa e dunque politicamente non
pericolosa di quell’arte. Stalin e Mussolini,
per ottenere un linguaggio «chiaro», senza or-
pelli, che parli alle masse, si rivolgono alle
formule realistiche, sia pure con le profonde
differenze legate alla diversa natura e al di-
verso insediamento sociale dei gruppi egemo-
ni all’interno dei blocchi storici che sostengo-
no i due regimi. Grazie a questo «realismo»,
che serpeggia in tutte le emissioni a partire dal 1933 (Giuochi Universitari, Fig. 120. Serie
emessa per la
1933; Anno Santo 1933; 75° anniversario della dinamo, 1934; Mondiali di previdenza della
calcio 1934; Congresso di elettro-radiologia, 1934; Medaglie al valor militare, milizia fascista (1935),
1934; Volo Roma-Mogadiscio, 1934; Bellini 1934 e così via), risulta ancora con soggetti
una volta chiara negli obiettivi l’ennesima serie per la previdenza della mili- allegorici.
zia fascista del 1935 (fig. 120), questa volta concepita sul nuovo impianto
stilistico del «realismo fascista». Il programma, un crescendo di simbolismi a
sfondo storico-propagandistico, consente di leggere nella successione dei valo-
ri il divenire della milizia, partendo dall’avanguardismo «rivoluzionario» del-
la prima milizia (valore cent. 20+10), che nel tempo si trasfor-
ma in truppa romana con aquile legionarie (valore cent.
25+15), quindi in un esercito cristiano (valore cent. 50+50),
per concludere il suo percorso, ancora una volta nel valore più
alto (L.1+0,75), con una significativa sfilata sotto l’arco di Co-
stantino, evidente sigillo storico-archeologico della progressi-
va «purificazione» di un’istituzione tra le più eversive del regi-
me che qui si presenta secondo un’ottica borghese e cristiana.
Ma il trionfo dell’archeologia si celebra con il nuovo clima
di consolidamento del regime apertosi nel 1929, che trova nel
decennio successivo l’occasione di un diluvio di celebrazioni bimillenarie di Fig. 121. Francobolli
grandi personalità letterarie dell’epoca augustea, a partire da quelli di Virgi- delle serie del
bimillenario di Virgilio
lio nel 1930, di Orazio nel 1936, di
(1930).
Fig. 122. Francobolli Livio nel 1941. Tutte le emissioni
delle serie del commemorative di questi grandi
bimillenario di Livio
(1941). letterati però sono nei fatti poco ar-
cheologiche. Due serie, quelle
di Virgilio (fig. 121) e di Livio (fig.
122) fanno ricorso, più che ad im-
magini archeologiche, a rievocazio-
ni di soggetti classici in una sorta
di stile che arieggia la pittura cin-
que-seicentesca, mentre in quella
di Orazio (fig. 123) la romanità vie-
ne presentata sotto le vesti di una
banale oleografia pastorale. Tutto
ciò fa risaltare ancor più il caratte-

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 405
Fig. 123. Francobolli re scopertamente archeologico della emissione-culmine
delle serie del del periodo, quella del bimillenario di Augusto nel 1937.
bimillenario di Orazio
(1936). La finalità della serie, che riproduce monumenti-simbo-
lo del passato romano, alcuni reali (fig. 124), altri di ri-
costruzione archeologica «credibile» (fig. 125), è quella,
tenacemente perseguita da Mussolini, di ricalcare la
propria immagine su quella di Augusto: versetti delle
Res Gestae divi Augusti sulla cornice servono da allusio-
Fig. 124. Francobolli ne ad imprese, pretese o reali, del capo del fascismo, che
delle serie del nella logica del «precursorismo» si vuole far credere sia-
bimillenario di
Augusto (1937) con no state compiute ad imitazione dell’altro fondatore del-
monumenti reali: Ara l’Impero di Roma, quello vero. Sappiamo quanto osses-
Pacis (valore sivo fosse divenuto il processo di auto-identificazione
L.1,75+1); ritratto di del duce con Augusto: Mussolini avrebbe immaginato la
Augusto da Meroe
(valore cent. 75). propria tomba all’interno del Mausoleo di Augusto e a

Fig. 125. Francobolli


delle serie del
bimillenario di
Augusto (1937) con
monumenti
«credibili»: colonna
rostrata (valore cent.
10); flotta imperiale
(valore L.1,25).

tale scopo avrebbe affidato a Ballio Morpurgo, il più retorico dei suoi architet-
ti di regime, il riassetto architettonico-urbanistico dell’area attorno al mauso-
leo battezzata Piazza Augusto imperatore.33
Dopo questo parossismo di emissioni, le immagini archeologiche scompaio-
no dal repertorio filatelico italiano e non riappariran-
no neanche nelle uniche due tristissime emissioni
commemorative della Repubblica Sociale, una tutta
tesa a fare propaganda di guerra, alternando immagi-
ni di monumenti distrutti dal nemico con il motto «ho-
stium rabies diruit» a quelle di tamburini in atto di
chiamare alle armi (fig. 126), e l’altra commemorativa
dei fratelli Bandiera (fig. 127), ambedue rese nelle for-
me di brutte oleografie derivate dal tardo «realismo
fascista». Paradossalmente, nelle tumultuarie emis-
sioni di Salò, ricchissime di sovrastampe di francobolli
Fig. 126. Repubblica 33
Su tutto l’argomento che si intreccia non a caso con la ricollocazione dell’Ara Pacis, finita
Sociale Italiana: serie di scavare proprio in occasione della Mostra Augustea della Romanità, v. D.Manacorda-R.Ta-
dei monumentio massia: Il piccone del regime, Roma, 1985, pp. 196-205.
distrutti (1944).

406 Mario Torelli


del regno, l’unico segno archeologico visibile è il Fig. 127. Repubblica
fascio nelle sue vesti «repubblicane» propaganda- Sociale Italiana: serie
commemorativa dei
te dalla Rivoluzione Francese (fig. 128), una biz- Fratelli Bandiera
zarra e sorprendente parabola che ci riporta alla (1944).
«pregiudiziale repubblicana» del Mussolini del
1919, ma soprattutto riflette il carattere stru-
mentale e di facciata dell’ossessione archeologica
del regime, proiezione del consenso ottenuto nel
secondo decennio della sua vita e tragicamente
annegato nelle terribili tempeste della Seconda
Guerra Mondiale.
Ancor più mesta, se si vuole, è la conclusione
che possiamo trarre da questa indagine. Se il fa-
scismo di Salò nel suo preteso ritorno alle origini
manda in soffitto il ciarpame retorico della ro-
manità, dobbiamo sottolineare che sull’unica
emissione veramente nuova34 del Governo di
Bari (fig. 129) del 18 gennaio 1944 torna invece a comparire inaspettatamen-
te un’immagine archeologica, la Lupa Capitolina effigiata sul 50 centesimi
del consueto color violetto, sia pur un po’ spento e annacquato, che aveva
contraddistinto dal 1929 quasi tutti i 50 centesimi delle serie ordinarie e
commemorative, ossia il valore dell’affrancatura di una lettera ordinaria.
Fig. 128. Repubblica Fig. 129. Governo di
Sociale Italiana: Bari, francobollo con
francobollo della serie la Lupa capitolina
«imperiale» con il (1944)
fascio «repubblicano»
sovrastampato
(1944).

Possiamo senz’altro imputare la cosa alla scarsa fantasia del governo Bado-
glio, ancora lontano da Roma (questa forse la ragione della scelta per un
simbolo forte della capitale ancora non liberata) e alle prese con problemi ben
più seri di quelli filatelici. Tuttavia, poiché, come ha detto qualcuno, «a pen-
sar male si fa peccato, ma qualche volta ci si azzecca», è difficile togliersi il
sospetto che questo modestissimo francobollo sia una sorta di annuncio di
quel continuismo tra epoca fascista e successiva fase repubblicana, che ha
caratterizzato la vita pubblica e la politica dell’amministrazione dello Stato e
del quale non ci siamo ancora liberati.

 Le altre emissioni sono ristampe prive dei fasci della serie «imperiale» del 1929 e di altre
34

coeve emissioni minori (espressi e posta pneumatica).

Archeologia e fascismo. Creazione e diffusione di un mito attraverso i francobolli del regime 407

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