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Storia Della Scuola

Riassunto storia della scuola

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LA SCUOLA PER TUTTI GLI ITALIANI

1. L'ISTRUZIONE POPOLARE NEGLI STATI PREUNITARI TRA RESTAURAZIONE E UNIFICAZIONE


Dopo il Congresso di Vienna gran parte degli Sta/ e dei governi preceden/ l'occupazione napoleonica
furono restaura/. In Italia vennero ristabilite le vecchie is/tuzioni e legislazioni, basate sul principio
dell'assolu/smo e del primato dello Stato, anche nel se;ore dell'istruzione. Fu rafforzato il monopolio
scolas/co, ma con un indirizzo religioso per a;enuare lo scontro tra la Chiesa e i governi. A;raverso la
scuola i governi restaura/ miravano a formare una classe dirigente efficiente e educare il popolo nel
rispe:o dell’autorità della Monarchia e della Chiesa, il cui coinvolgimento nella ges/one e nel controllo
della scuola era dato dalla convinzione che la religione cos/tuisse la base del rispe:o della legge e quindi
l'autorità ecclesias/ca potesse agire come sostegno al trono e al potere statale. Tu;avia, emersero anche
inizia/ve di modernizzazione e sviluppo educa/vo promosse dalla nobiltà e dalla borghesia: scuole mutuo
insegnamento, asili infan/li, inizia/ve contro l’analfabe/smo, sostegno all'istruzione professionale.

1.1 Regno delle Due Sicilie


Nel regno delle Due Sicilie il governo delle is/tuzioni scolas/che fu affidato a par/re dal 1815 al Ministero
dell'Interno e a una commissione per la Pubblica Istruzione. Con il decreto del 1816 il sovrano Ferdinando I
riaffermò l'indirizzo centralis/co e monopolis/co della poli/ca scolas/ca perseguita dal governo.

Ai vescovi e ai parroci fu affidato il compito di vigilare sull'istruzione e sull'educazione morale e religiosa


degli alunni delle scuole pubbliche e private e sulla nomina degli insegnan/. Il regolamento prevedeva
l'obbligatorietà e la gratuità dell'istruzione primaria e la presenza di una scuola in ogni parrocchia.
L'affidamento di tali funzioni al clero era dato dalla mancanza di personale laico culturalmente e
didaIcamente preparato, ma anche dal risparmio sulle stru:ure e dall'affidabilità di vescovi e parroci i
quali, secondo il Concordato s/pulato con la Santa Sede nel 1818, venivano nomina/ dal sovrano. I collegi,
i licei e i conviG erano quasi tuI ges// dagli ordini religiosi (gesui/, scolopi, barnabi/) ma disciplina/ da
regolamen/ statali che davano grande importanza all'educazione e alla pra/ca religiosa (messa, rosario,
confessione). La religione ca:olica era materia obbligatoria d'insegnamento ed esame in tu;e le scuole.

L'istruzione popolare nei primi anni della Restaurazione fu ogge;o di una par/colare a:enzione a;raverso
un aumento del numero delle scuole primarie e l'introduzione di innovazioni pedagogiche, come la
diffusione del metodo lancasteriano e l'insegnamento di nozioni di agraria nelle scuole rurali. Tu;avia,
ques/ progressi si arrestarono dopo i mo/ del 1820-21. In par/colare, furono chiuse le scuole di mutuo
insegnamento perché ritenute contrarie ai principi di autorità e subordinazione.

La reazione poli/ca allontanò dalla scuola mol/ insegnan/ sospeG di idee liberali, instaurò un regime di
rigido controllo su quelli rimas/ e causò l'inizio di un forte decadimento dell'istruzione popolare. Con il
nuovo sovrano, Ferdinando II, l'istruzione popolare ebbe un ulteriore degrado dovuto all'indifferenza e al
sospe:o nei confron/ dell'educazione del popolo, ma anche a mo/vazioni economiche. Nel corso degli
anni Trenta e Quaranta il Governo delegò ai parroci l'insegnamento nelle scuole primarie, perché era
difficile trovare insegnan/ laici professionali e dispos/ ad acce;are i miseri compensi da/ dai comuni.
Sempre per mo/vi di bilancio mol/ comuni decisero di sopprimere tali scuole, sopra;u;o le femminili.

Il sovrano, convinto di poter fermare la decadenza dell'istruzione elementare, affidò al clero con il Decreto
del 1843 la completa direzione e ges/one dell'istruzione primaria e la nomina e des/tuzione dei maestri.
Tu;avia, dopo i mo/ rivoluzionari del 1848 il governo, preoccupato di reprimere ogni forma di dissenso,
riprese dire:amente la ges/one dell'istruzione popolare, ma sempre con la collaborazione del clero.
Nel 1848 fu creato un apposito ministero della Pubblica istruzione, riunito in seguito con quello degli Affari
ecclesias/ci con Decreto del 1849. L'insegnamento nelle scuole primarie fu affidato ai parroci e per le
scuole femminili alle congregazioni religiose.
Fino all'Unità, nel Sud l'istruzione popolare rimase in una situazione di degrado, a causa dei sospeG del
governo nei confron/ dell'educazione popolare e dei problemi economici. Nel primo Censimento
nazionale del 1861, il tasso di analfabe/smo sul territorio nazionale era del 78,2%, mentre nelle regioni
meridionali raggiungeva il 90%.

1.2 Stato della Chiesa


Nello Stato Pon/ficio l’ordinamento del sistema scolas/co rimase regolato fino alla fine del potere
temporale dalla Cos/tuzione Quod divina sapien-a omnes docet emanata da Leone XII nel 1824, voluta per
riorganizzare su basi moderne l’istruzione (tenta/vo fallito a causa dei se;ori più tradizionalis/).

Un’innovazione fu l'is/tuzione della Sacra Congregazione degli studi, organismo formato da cardinali,
incaricato al coordinamento del sistema scolas/co educa/vo e alla vigilanza di tu;e le scuole nello Stato
Pon/ficio. Nel 1825 tale Congregazione emanò uno specifico Regolamento generale per le scuole
elementari private in cui stabiliva alcune norme sulle materie d'insegnamento, sulla disciplina, sugli
insegnan/ e sul controllo esercitato dai vescovi. Alle scuole primarie e secondarie re;e dagli ordini religiosi
fu riconosciuta autonomia organizza/va e didaIca. I vescovi erano i presiden/ delle scuole e avevano il
compito di controllare la do:rina e la vita privata di insegnan/ e alunni e ispezionare le scuole.

Le lezioni iniziavano e finivano con la preghiera. Ogni giorno i maestri (per lo più sacerdo/ e religiosi)
avevano l'obbligo di insegnare la do:rina cris/ana e gli alunni di partecipare alla messa e confessarsi
almeno una volta al mese. Nei giorni fes/vi dovevano frequentare la congregazione spirituale. Compiere
regolarmente i doveri religiosi era un requisito necessario per con/nuare gli studi. Coloro che non li
rispe:avano potevano essere caccia/.

All’inizio dell’anno scolas/co gli insegnan/ dovevano fare la professione di fede dinanzi al vescovo. Quando
in classe si tra;avano argomen/ di cara:ere religioso o morale bisognava a;enersi alle indicazioni
emanate in proposito della Congregazione degli Studi. Le altre materie insegnate erano: le;ura, scri;ura,
elemen/ di lingua italiana, rudimen/ di gramma/ca la/na, aritme/ca, calligrafia, principi di geografia e di
storia sacra e profana. Nelle scuole femminili venivano unicamente insegna/ la do:rina cris/ana e i lavori
da donna. Per insegnare a leggere e scrivere le maestre dovevano o;enere una speciale approvazione.

1.3 Granducato di Toscana


Nel Granducato di Toscana dopo la Restaurazione fu is/tuita con Decreto del 1816 una Soprintendenza agli
Studi con lo scopo di esercitare il controllo dello Stato sulle Università di Pisa e di Siena e sulle scuole
secondarie. Con il Decreto del 1848 fu is/tuito il Ministero della Pubblica Istruzione. Per porre rimedio allo
stato di decadenza degli studi, su sollecitazione di un gruppo di intelle:uali toscani, il Granduca Leopoldo II
nel 1846 is/tuì una commissione formata da laici ed esponen/ del clero per preparare un piano di riforma
delle scuole pubbliche e private di ogni grado. Nel 1852 fu emanata una legge organica che diede vita in
Toscana ad un sistema scolas/co aperto e liberale, favorendo la nascita di molte scuole private primarie e
secondarie, il cui insegnamento era basato sulla do:rina e sulla morale ca:olica.

Le scuole pubbliche erano ges/te e finanziate dallo Stato o da en/ pubblici. L’insegnamento privato era
dichiarato libero, ma il suo operato era controllato dal governo. Le scuole erano dis/nte in minori, da
is/tuirsi in tuG i comuni, secondarie, da is/tuirsi nei comuni con più di 4.000 abitan/, e maggiori (ginnasi
e licei). Nelle scuole minori si insegnava catechismo, le;ura e scri;ura e aritme/ca pra/ca. Nelle scuole
secondarie, per i ragazzi che intendevano dedicarsi all'agricoltura, al commercio e alle ar/, l'insegnamento
era diviso in due gradi: nel primo venivano riprese le materie delle scuole minori, nel secondo si insegnava
calligrafia, aritme/ca, geometria, gramma/ca italiana, storia e geografia.

La parziale laicità del sistema scolas/co pubblico garan/va i diriG degli alunni aca:olici, a;raverso la
richiesta di esonero dall'insegnamento religioso. Gli equilibra/ rappor/ tra la Chiesa toscana e il governo
dei Lorena, permise sul territorio del Granducato la diffusione di numerose scuole elementari, in
par/colare le Scuole pie degli scolopi.
1.4 Regno Lombardo-Veneto
Nel 1815 l'imperatore Francesco I inglobò all'interno dell'Impero austriaco la Lombardia e il Veneto, così
che non cos/tuissero uno Stato autonomo, ma due province amministrate dal governo di Vienna. Il
governo asburgico delegò parte del ruolo direGvo e ispeGvo sulle scuole all’episcopato e al clero. Ma
nonostante la fiducia data alla Chiesa, emanò regolamen/ (1818) che stabilivano per ogni grado di
istruzione: il corso di studi, il programma, il metodo di insegnamento, la disciplina scolas/ca e i libri di testo.

Il sistema scolas/co del Lombardo-Veneto comprendeva due università (Padova e Pavia), le scuole
secondarie (ginnasi e licei) che potevano essere statali, comunali, o vescovili, e le scuole elementari divise
in minori, maggiori e tecniche. Le scuole elementari minori impar/vano l'istruzione basilare ai ragazzi
d’ambo i sessi (in scuole separate) e di qualunque condizione. La frequenza era obbligatoria dai 6 ai 12
anni di età. Queste scuole, mantenute dai comuni, erano is/tuite in ogni parrocchia e ci:à di campagna. Le
scuole maggiori, is/tuite nelle ci:à e a carico dello Stato, erano des/nate ai ragazzi che volevano studiare
le scienze e le ar/, mentre quelle tecniche erano des/nate a coloro che volevano dedicarsi al commercio e
agli impieghi economici. Nelle scuole elementari minori si insegnava a leggere e scrivere, e l’aritme/ca. In
quelle maggiori si aggiungevano la calligrafia, l'ortografia e la gramma/ca italiana. Per le ragazze
l'insegnamento del la/no era sos/tuito dai lavori femminili. In tuG gli ordini scolas/ci si insegnava la
religione, so;o sorveglianza del vescovo. Il parroco assumeva un duplice ruolo: quello civile, come
dire:ore della scuola, e quello religioso, come catechista.

L'istruzione secondaria, organizzata sul modello austriaco, era ar/colata nei ginnasi di sei anni di corso
divisi in un quadriennio di gramma/ca e in un biennio di retorica, e nei licei triennali che cos/tuivano il
corso filosofico finale. I ginnasi, oltre a fornire una cultura più elevata rispe;o a quella delle scuole
popolari, puntavano sulla formazione morale. Il Codice ginnasiale richiedeva ai professori di informarsi di
tu;o ciò che facevano i loro studen/ ai quali era proibito svagarsi e giocare, a meno che non fossero
controlla/ da adul/. Un ruolo centrale per la formazione morale lo aveva l’insegnamento religioso
impar/to da un catechista. I licei erano ar/cola/ in un triennio: i primi due anni erano comuni per tuI gli
studen/, il terzo anno era suddiviso in più indirizzi (legale, teologico, medico). Nei licei erano riprese le
stesse finalità di ordine morale e do:rinale dei ginnasi. Gli studen/ delle scuole secondarie e delle
università erano obbliga/ a confessarsi e a fare la comunione. Il ruolo della Chiesa nelle scuole del
Lombardo-Veneto fu rafforzato dal Concordato s/pulato nel 1855 tra l’Austria e la Santa Sede.

Per la formazione dei maestri elementari era is/tuito un corso di metodica obbligatorio. Gli aspiran/
maestri di scuola elementare minore dovevano frequentare un corso trimestrale per acquisire il ‘’metodo
normale’’ e svolgere un /rocinio annuale, mentre per diventare maestri di scuola elementare maggiore il
corso era semestrale. Il corso consisteva in una lezione teorica, nell’assistere alle lezioni nelle classi e nel
superare un esame finale per o;enere il cer/ficato di abilitazione o pedagogico. Per o;enere l'assunzione
nella scuola il maestro doveva presentare l'a:estato di moralità e condo:a e la fedina penale e poli/ca.
Solo dopo aver superato l'anno di prova il maestro o;eneva dal governo il Decreto di stabilizzazione.

1.5 Regno di Sardegna: Restaurazione e regolamento scolasMco di Carlo Felice (1822)


Nel 1814 il re Vi:orio Emanuele I ristabilì le leggi in vigore prima dell’occupazione francese del Piemonte.
La prima legge scolas/ca per il Piemonte, voluta da Vi:orio Amadeo II, aveva posto tu;e le scuole so;o la
direzione e la vigilanza dell'Università di Torino. Di fronte alla necessità di provvedere alla formazione di
una nuova classe dirigente si ritenne indispensabile riaffermare, secondo i principi del giurisdizionalismo, il
primato e il controllo dello Stato sulle is/tuzioni scolas/che e rafforzare la qualità dei processi e degli esi/
forma/vi. Tu;e le università e le scuole ges/te dalle congregazioni religiose ed en/ priva/ furono poste
so;o la direzione e il controllo del Magistrato della Riforma, organo collegiale di nomina regia, presieduto
dal Gran Cancelliere dell’Università.

Lo Stato moderno vedeva nella scuola lo strumento principale per la formazione professionale e
ideologica del ceto burocra/co-amministra/vo, ma mostrava disinteresse nei confron/ dell'istruzione
popolare la quale poteva essere ges/ta dal clero e dagli organi religiosi, anche per mo/vi economici.
Il compito di insegnare ai fanciulli la do:rina cris/ana e le prime nozioni (le;ura, scri;ura e calcolo) era
lasciato alla disponibilità dei parroci o a maestri improvvisa/ che per integrare l'insufficiente compenso
economico erano costreI a esercitare anche altre occupazioni.

Il sistema scolas/co della prima metà del XVIII secolo sancì la centralità dello Stato sul controllo poli/co e
organizza/vo delle scuole ma riconobbe alla Chiesa un ruolo essenziale nella formazione morale e
religiosa di docen/ e allievi.

Tale sistema scolas/co, voluto da Vi:orio Amedeo II, rimase in vigore fino al 1822. Dopo aver fa;o
chiudere l'università e le altre scuole in seguito ai mo/ carbonari del 1821, il nuovo sovrano Carlo Felice
fece stendere un nuovo regolamento scolas/co per il Regno di Sardegna. Con le Regie Paten/ del 1822 fu
riordinato tu;o il sistema scolas/co, riaffermando la superiorità dello Stato sull'istruzione, ma affidando
alla Chiesa il controllo su tu:o il sistema forma/vo.

L’is/tuzione delle scuole popolari fu resa obbligatoria e la frequenza gratuita, ma non obbligatoria.
Tu;avia, tale obbligo per i comuni rimase spesso solo teorico, perché mancavano sanzioni per gli
inadempien/, non erano previs/ aiu/ economici, non esistevano norme che stabilissero gli s/pendi dei
maestri e mancavano libri scolas/ci adegua/. Dalle scuole elementari, de;e anche comunali, dove si
insegnava le;ura, scri;ura, do;rina cris/ana e aritme/ca, l’alunno poteva passare con un esame di
ammissione alle tre classi di la/nità inferiore, a quella di gramma/ca, di umanità e di retorica. Vi era infine
il corso di Filosofia biennale. Nelle scuole elementari si insegnava a leggere e scrivere col metodo
individuale e gli altri insegnamen/ erano tuI di /po mnemonico e meccanico. In molte scuole al posto
della lingua italiana si usava il diale:o piemontese.

Il controllo morale e confessionale sulle scuole cos/tuiva il punto cruciale del Regolamento del 1822. La
vigilanza sugli insegnan/ era a;uata in via preven/va a;raverso l’obbligo di presentare, al momento
dell’assunzione, un cer/ficato del vescovo comprovante la buona condo:a, e a fine anno un secondo
cer/ficato a;estante l’avvenuto insegnamento. Era affidato al prefe:o degli studi il controllo dell’aGvità
didaGca e della condo:a morale e religiosa degli insegnan/ e dei loro studen/. I dire:ori spirituali
dirigevano la congregazione spirituale, punendo e sospendendo gli allievi disubbiden/ o negligen/.
L’insegnamento della do:rina cris/ana era materia d’esame in tu:e le scuole di ogni ordine e grado.
Gli studen/ venivano controlla/ anche fuori dalla scuola. Lo studente che non abitava in famiglia o in un
is/tuto soggiornava presso una pensione. Coloro che trasgredivano le disposizioni non avrebbero o;enuto
dal prefe;o l’Admi%atur, il permesso bimestrale per proseguire gli studi e sostenere gli esami. Per
o;enerlo a inizio anno occorreva presentare il cer/ficato del parroco del luogo dove si era sta/ in vacanza.

A favorire il dominio del clero nella scuola piemontese contribuirono la volontà dei governi assolu/, la
scarsa sensibilità e le oggeGve difficoltà di comuni e province a finanziare lo sviluppo dell'istruzione.

1.6 Regno di Sardegna: le riforme scolasMche carlo alberMne


All'inizio degli anni '40 il governo piemontese avviò un graduale processo di rinnovamento pedagogico
didaGco e ristru:urazione del sistema scolas/co. Nel clima di moderato riformismo avviato da Carlo
Alberto, ci furono varie inizia/ve promosse da circoli liberali volte a riformare in senso moderno la società
piemontese. Due momen/ fondamentali furono la fondazione dei primi asili infan/li apor/ani a par/re
dal 1837 e l'apertura nel 1845 delle Scuole provinciali di metodo per la formazione dei maestri elementari.

L'intervento dello Stato si manifestò in par/colare nel potenziamento e nello sviluppo, accanto al
tradizionale canale classico-umanis/co per la formazione delle classi dirigen/, di un canale tecnico-
professionale, che venisse incontro ai ce/ sociali emergen/ e alle esigenze di un sistema produGvo in fase
di sviluppo. Nacquero così i futuri is/tu/ tecnici.

Per quanto riguarda l’istruzione elementare, il governo rese meno centrali gli studi classici affinché le
scuole diventassero un corso di istruzione popolare posto so;o il controllo ideologico-culturale dello Stato.
Il Regolamento del 1822 indicava che per poter insegnare nelle scuole elementari fosse sufficiente
possedere l'abilitazione o patente, superando un esame in cui il candidato doveva dimostrare di conoscere
ciò che poi avrebbe dovuto insegnare. Più della preparazione culturale e professionale dei maestri, il
Regolamento si preoccupava di accertare la loro moralità e ortodossia religiosa. Per eliminare i maggiori
limi/ e difeG dell'istruzione elementare, nel 1840 il Magistrato della riforma emanò una Istruzione ai
maestri delle scuole elementari, che cos/tuì il primo tenta/vo di rendere obbligatorio il “metodo
normale”. Tale Istruzione si ispirò alle sperimentazioni a;uate da Vincenzo Troya nella sua scuola
elementare di Torino e cercò di dare una risposta concreta alla scarsa efficienza e qualità delle scuole
elementari, so;olineando la necessità di superare la presunzione dei maestri. Per la prima volta furono
definite le finalità dell'insegnamento elementare. Affinché questa riforma didaIca non fallisse il
Magistrato della Riforma ritenne indispensabile provvedere ad una adeguata preparazione dei maestri
procedendo così a is/tuire a par/re dal 1845 delle Suole normali di metodo.

Inoltre, nel 1847 venne is/tuito da Carlo Alberto il ministero per l’Istruzione pubblica, per creare un
ordinamento scolas/co unitario e centralizzato. Al nuovo ministero denominato Regia segreteria di Stato
per l'istruzione pubblica, fu affidato il compito di supervisionare e dirigere quest’ul/ma e tale giurisdizione
fu estesa su tu:e le scuole universitarie, secondarie, elementari e per adul/. Ad altri ministeri rimaneva la
competenza solo di vigilanza su asili infan/li, scuole per sordomu/, scuole professionali e militari. La legge
inoltre is/tuì il Consiglio superiore della Pubblica istruzione con il compito di collaborare con il ministro e
rappresentare tu;e le richieste provenien/ dal mondo scolas/co. L'is/tuzione del ministero della Pubblica
istruzione concluse il processo avviato e ges/to da Carlo Alberto e dal magistrato della riforma Cesare
Alfieri, che da un lato mirava a modernizzare il sistema forma/vo nazionale e dell'altro a riaffermare la
centralità dello Stato e ad eliminare i privilegi, in par/colare quelli della Chiesa. Carlo Alberto aveva
manifestato il proprio dissenso nei confron/ del potere autonomo difeso dagli ordini religiosi e la volontà
di riaffermare la supremazia giuridica, amministra/va e poli/ca del potere statale. Questa posizione lo
portò ad opporsi nel 1848 all’inserimento nello Statuto della libertà di insegnamento.

1.7 Scuole di mutuo insegnamento, sale d'asilo e asili infanMli


Una delle maggiori innovazioni del secondo ventennio del 1800 fu cos/tuita dalle is/tuzioni sociali e
educa/ve rivolte ai ce/ popolari, a;raverso inizia/ve ges/te dalle comunità civili laiche e religiose.
Par/colarmente importan/ furono le scuole di mutuo insegnamento, nate per diffondere l'alfabe/zzazione
di massa, e le scuole per l'infanzia.

Le scuole di mutuo insegnamento prendevano ispirazione dalle esperienze condo;e da Bell e da Lancaster
verso la fine del XVIII secolo per offrire in breve tempo, con un numero rido:o di insegnan/,
un'alfabe/zzazione di base a più alunni possibili. Il metodo fu diffuso nei vari sta/ italiani, in par/colare in
Piemonte, Lombardia e Toscana. Il mutuo insegnamento superava il tradizionale metodo individuale
(ada;o per una scuola d'élite) scarsamente efficace sul piano didaIco se applicato a una scolaresca
numerosa. Con il nuovo metodo, l'insegnamento non era più impar/to dal maestro a tuI gli scolari, ma da
un gruppo di ragazzi più capaci, deI ''monitori'' o ''maestrini'', ai loro compagni. Il mutuo insegnamento
permise di estendere l'alfabeto a un numero maggiore di fanciulli provenien/ da famiglie di modesta
condizione e di risolvere il problema della carenza dei maestri. Le lezioni erano di le:ura, scri:ura e
calcolo organizzate con una disciplina rigida.

Le inizia/ve rappresentarono un primo e significa/vo tenta/vo di rinnovamento dell'istruzione popolare e


l'inizio dell'impegno in campo scolas/co di gran parte dei liberali e dei democra/ci italiani, consapevoli che
la diffusione dell'istruzione avrebbe permesso al popolo di capire e fare propri gli ideali risorgimentali.

In Italia la prima scuola di Mutuo Insegnamento fu fondata a Napoli nel 1817. Altre due furono fondate
negli anni successivi in Piemonte e a Milano. Tu;avia, i risulta/ didaGci non furono all'altezza delle
aspe:a/ve sia a causa dell'u/lizzo di metodi e tecniche mnemoniche, sia perché, sopra;u;o dopo i mo/
del 1820-1821, suscitò nei governi il sospe:o di perseguire finalità poli/che rivoluzionarie.
La nascita e lo sviluppo delle is/tuzioni educa/ve per l'infanzia, determina/ dallo sviluppo industriale che
aveva creato in molte famiglie il bisogno di custodire e curare i bambini mentre i genitori lavoravano,
avvennero secondo due modelli differen/: le Salles d'asile francesi e le Infant Schools inglesi da un lato, gli
asili infan/li di Apor/ e i Kindergarten di Frobel dall’altro. Entrambi i modelli cos/tuirono una risposta ai
problemi sociali dei ce/ popolari ma mentre le sale d'asilo rimanevano limitate e condizionate dalle
finalità carita/ve e assistenziali, in Italia l'asilo infan/le apor/ano vi aggiungeva finalità educa/vo-
intelle:uali e poli/co-sociali.

La prima preoccupazione del movimento per la creazione e diffusione delle is/tuzioni per l'infanzia fu
assistenziale. L'industrializzazione comportò la nascita di un proletariato urbano sfru:ato e a rischio
colpito da un processo di progressivo degrado che si manifestava a;raverso miseria, fame, alta mortalità
infan/le, mancanza igiene, delinquenza etc. Anche per coloro che potevano disporre di un lavoro
con/nua/vo le condizioni di vita erano molto difficili a causa dei miseri salari. Dunque, il superamento
delle nega/ve condizioni socio-ambientali dei figli delle famiglie proletarie urbane e contadine era
compito delle sale d'asilo.

Gli asili infan/li apor/ani alle finalità educa/ve affiancavano quelle culturali e scolas/che, intese come uno
strumento per l'elevazione dei ce/ più marginali della società del tempo. Il sacerdote Apor/, dire:ore
delle scuole elementari di Cremona, osservando le difficoltà che mol/ fanciulli avevano nella scuola
elementare ad apprendere le prime nozioni, si rese conto che tali difficoltà erano causate sopra;u;o dalla
mancanza di un'adeguata preparazione prescolas/ca e dalle caGve abitudini acquisite in famiglia. Egli
verso la fine del 1828 iniziò il primo esperimento di scuola per bambini dai 2 ai 6 anni di età. La scuola,
approvata ufficialmente dal governo austriaco nel 1829 accoglieva a pagamento solo bambini maschi
appartenen/ alle famiglie agiate ma si avver[ presto la necessità di estendere questa esperienza educa/va
ai bambini dei ce/ più umili. Aprì nel 1831 la prima Scuola infan/le di carità, gratuita e solo maschile. Nel
1833 aprì la scuola femminile e l'anno dopo la prima scuola per bambini di campagna. Era previsto
l’insegnamento dei principi elementari della religione e della morale, leggere, scrivere e l’aritme/ca.
Apor/ nel 1833 pubblicò a Cremona un manuale per gli insegnan/ degli asili infan/li, nel quale sviluppò il
metodo dimostra/vo da usare per far apprendere corre:amente la lingua italiana ai bambini, abitua/ in
famiglia a usare il diale:o. Il modello scolas/co da lui u/lizzato ebbe il consenso di mol/ ambien/ poli/ci,
culturali, economici di orientamento liberale e democra/co e infine anche delle gerarchie ecclesias/che.

Il governo austriaco, pur avendo nel 1829 approvato l'is/tuzione della prima scuola infan/le, nel 1832
proibiva alle nuove is/tuzioni di definirsi ''scuole'', dovevano considerarsi opere benefiche. Mentre gli
ambien/ più conservatori della Chiesa italiana si opposero alla diffusione degli asili infan/li, giudicandoli
''pieni di pericoli'', i maggiori esponen/ del ca:olicesimo liberale e mol/ vescovi, li sostennero e si fecero
promotori della diffusione. La maggiore diffusione degli asili si ebbe in Lombardia perché ebbero il
consenso del governo austriaco e del clero. Si diffusero poi in Toscana, grazie a Lambruschini e altri
educatori ca;olici e protestan/. Nel 1833, dopo la nascita di scuole a Livorno e a Firenze, il governo toscano
le approvò ufficialmente. In Piemonte il primo asilo infan/le apor/ano fu aperto nel 1837 a Rivarolo.

Dopo aver o;enuto l'autorizzazione da Carlo Alberto, nel 1839 fu cos/tuita a Torino la Società per
l'is/tuzione delle Scuole Infan/li e successivamente fu aperto nella capitale il primo asilo infan/le.
Boncompagni fu ele;o Primo presidente del Comitato direGvo della Società, colui che nel 1848 a;ua una
prima grande riforma scolas/ca. Sempre nel 1839 pubblicò un saggio sulle scuole infan/li, in cui evidenziò
il legame esistente tra la diffusione dell'istruzione e il miglioramento delle condizioni sociali del popolo.

Dunque, i divie/ delle autorità ecclesias/che, le diffidenze poli/che e l’arretratezza economica e sociale
del territorio limitarono la diffusione degli asili infan/li alle regioni se:entrionali e alla Toscana.
2. LA NASCITA DEL SISTEMA SCOLASTICO NAZIONALE
Il sistema scolas/co nazionale si è formato all’interno di un par/colare Stato preunitario, il Regno di
Sardegna, ed è stato condizionato dalle vicende storiche e poli/che che vanno dal 1848 al 1861.
I fondamen/ del sistema scolas/co italiano e i principi della poli/ca scolas/ca che rimasero fino al 1946,
non sono contenu/ nello Statuto alber/no ma nella Legge Casa/, in vigore fino alla Riforma Gen/le.

2.1 La Legge Boncompagni


La concessione dello Statuto da parte di Carlo Alberto nel 1848 rappresentò per il Regno di Sardegna il
passaggio dal vecchio regime assolu/sta a quello cos/tuzionale-parlamentare e l’affermazione di una
nuova classe dirigente formata da componen/ liberali, alle quali si affiancava la moderna borghesia
imprenditoriale. L'is/tuzione nel 1847 del Ministero per l’istruzione pubblica e la nascita della scuola
statale, rafforzarono la convinzione della nuova classe poli/ca che l'istruzione fosse una funzione dello
Stato da a;uare a;raverso la vigilanza su tu;o l'insegnamento, pubblico e privato, e che quindi
necessitasse di nuove norme e regolamen/ scolas/ci che cos/tuissero un sistema unico e uniforme.

Carlo Alberto, nel 1848, durante il discorso di apertura del primo Parlamento cos/tuzionale, aveva
presentato un proge:o di riorganizzazione della pubblica istruzione. Il nuovo ministro della Pubblica
istruzione Boncompagni, presentò alla Camera dei deputa/ il proge;o di legge Ordinamento
dell'Amministrazione dell'Istruzione Pubblica. Tu;avia, il proge;o non poté essere discusso in Parlamento
a causa dello scoppio della guerra contro l’Austria e divenne perciò subito legge dello Stato. La legge si
preoccupò di definire la nuova amministrazione, creando una serie di organismi, tuI di nomina regia, ma
scel/ dal governo. La legge aboliva ogni /po di autonomia. Anche le scuole dipenden/ dalle congregazioni
religiose dovevano u/lizzare insegnan/ riconosciu/ idonei dalle autorità adde;e alla pubblica istruzione,
in caso contrario la scuola poteva essere chiusa. Erano esclusi gli interven/ di en/ priva/, come quelli della
Chiesa, nella ges/one delle scuole pubbliche e nella nomina degli insegnan/, compresi quelli di Teologia.

La legge suddivideva l'istruzione elementare in due gradi di scuole, inferiore e superiore, la cui frequenza
non era obbligatoria. Non c’era inoltre dis/nzione tra una scuola primaria, riservata a chi iniziava un
percorso scolas/co da terminare nei gradi superiori, e una popolare, finalizzata all’alfabe/zzazione dei ce/
popolari. Boncompagni aveva precisato che nelle scuole elementari si sarebbero date l'istruzione e
l'educazione necessaria a tuG i ci:adini indis/ntamente. L'insegnamento elementare fu portato a qua:ro
anni (scuole elementari inferiore e superiore entrambe di due anni), prevedendo che lo stesso maestro
avrebbe dovuto seguire i propri alunni per tu;o il corso quadriennale. Le materie d'insegnamento previste
erano: le;ura, scri;ura, gramma/ca italiana, aritme/ca, geometria, geografia, storia e catechismo.

L'istruzione secondaria era impar/ta nelle scuole secondarie classiche e speciali che preparavano
all'esercizio delle professioni. Gli studi secondari classici si ar/colavano nel corso triennale di gramma/ca
la/na e composizione italiana, in quello biennale di retorica la/na e italiana e infine nel corso biennale di
filosofia. (Nei corsi principali era previs/ anche l'insegnamento di religione, storia, aritme/ca, scienze etc.).
Fu inoltre creato un corso tecnico professionale. Le facoltà universitarie erano Teologia, Leggi, Medicina e
chirurgia e Leggi, la facoltà di Ar/ sdoppiata in Belle Le;ere e Filosofia e Scienze fisiche e matema/che.
Rimanevano fuori dall'ordinamento previsto dalla legge, gli asili infan/li e le scuole provinciali di metodo,
considera/ is/tuzioni assistenziali e corsi speciali per l'aggiornamento professionale dei maestri.

La Legge Boncompagni suscitò delle perplessità a causa delle conseguenze di ordine poli/co-ideologico e
dei limi/ riscontra/ nella parte ordinamentale. Nonostante ciò, la legge rappresentò un momento
significa/vo del passaggio dal regime assolu/s/co a quello cos/tuzionale. Inoltre, Boncompagni ridusse i
privilegi ecclesias/ci ma senza laicizzare l’insegnamento.

L'istruzione secondaria e quella universitaria, controllate dallo Stato, erano considerate strategiche per la
formazione della futura classe dirigente. L'istruzione popolare era invece controllata dalle amministrazioni
comunali, dove era ancora forte l'influenza del clero.
La situazione cambiò con l’avvento di Cavour alla presidenza del governo e Cibrario, il nuovo ministro della
Pubblica Istruzione, il quale provvide a riordinare e aggiornare l'istruzione elementare. Il nuovo
Regolamento, emanato nel 1853, oltre a sos/tuire per la preparazione dei maestri i corsi di metodo con le
Scuole Magistrali, confermò in qua:ro anni la durata delle scuole elementari e alleggerì il programma
scolas/co. Da novembre ad agosto si svolgevano le lezioni, due ore e mezzo al maIno e al pomeriggio, e
vacanza il giovedì e nei giorni fes/vi. Inoltre, di fronte all'abbandono della scuola da parte della
maggioranza degli alunni dei comuni rurali e di montagna, impegnan/ nei lavori agricoli, il Regolamento
autorizzava l'amministrazione comunale ad an/cipare la fine dell'anno scolas/co. Infine, per la prima volta
il ministero della Pubblica istruzione si occupò degli asili infan/li, riconoscendo la loro finalità educa/va. Il
modello organizza/vo e didaGco proposto era quello messo a punto da Ferrante Apor/.

2.2 La Legge Lanza e lo scontro sulla libertà di insegnamento


Il primo proge:o legisla/vo di riforma della Legge Boncompagni fu presentato nel 1854 dal ministro
Cibrario. Il Riordinamento della pubblica istruzione cercava di semplificare l'apparato amministra/vo e
procedeva verso una maggiore dipendenza della scuola dal potere governa/vo, ma a causa della difficoltà
di trovare consenso il proge;o fu accantonato. Lanza, il nuovo ministro, decise di levare par/ riguardan/ il
riordinamento dell'amministrazione della pubblica istruzione e la formazione dei maestri elementari.

La Legge sul Riordinamento dell’Amministrazione superiore e dell’istruzione pubblica nota come Legge
Lanza, approvata nel 1857, pur ribadendo la supremazia norma/va e ges/onale dello Stato e la centralità
della scuola statale, riconosceva la legiGmità dell'inizia/va privata, posta so;o il controllo del governo.
Dunque, Cavour si presentava come difensore della libertà d'insegnamento e del riconoscimento
dell'inizia/va privata in campo scolas/co-educa/vo, all'interno delle is/tuzioni scolas/che pubbliche e
delle scuole autonome. Egli si domandò quale fosse il modello di libertà scolas/ca più consono per il
tempo e in che modo si sarebbe potuta a;uare. Nonostante l’intenzione di riprodurre in Italia il sistema
sociale e cos/tuzionale inglese, basato sulla libertà dell'inizia/va privata, scelse una soluzione intermedia.
Nella scelta del Parlamento e del governo di procedere a riordinare prima il sistema scolas/co statale e in
seguito a riconoscere e regolare la libera inizia/va privata, apparve la concezione di una superiorità delle
is/tuzioni statali rispe;o a quelle private. Le is/tuzioni forma/ve sviluppatesi al di fuori del controllo
governa/vo dovevano considerare il sistema statale il modello di riferimento pedagogico, culturale ed
organizza/vo. Il limite maggiore di tale “liberismo cauto e sospe;oso” era dato dalla sfiducia, sopra;u;o
verso le classi popolari, di un corre:o u/lizzo del principio della libertà di insegnamento e di educazione.

Secondo Spaventa, rappresentante della corrente laico-democra/ca, concedere tale libertà significava
rischiare che venisse abusata. In regime di libertà d'insegnamento, il clero avrebbe finito per prevalere,
grazie al vantaggio acquisito a;raverso secoli di monopolio culturale e educa/vo. Ber/, ca;olico liberale,
affermò invece che la libertà d'insegnamento era collegata al sistema liberale che tutela le libertà
individuali e civili del ci:adino. Secondo lui gli avversari di questa libertà si raggruppano in tre categorie:
• Difensori del diri:o ecclesias/co;
• Difensori del diri:o regio;
• Difensori del diri:o nazionale.

Melegari cri/cò la tradizionale poli/ca scolas/ca regalista e giurisdizionalista e affermò che negando la
presenza della scuola privata si sarebbe negato ai padri il diri:o di provvedere all’educazione dei figli.
Anche Rosmini difese la libertà di insegnamento, intesa come diri:o naturale di tuG gli individui e dei
genitori. Per lui la funzione educa/va appar/ene ai genitori, non per concessione da parte dello Stato, ma
per diri:o di natura, che trova un limite nei bisogni dei figli. Inoltre, egli riconobbe agli insegnan/ diriG
specifici. Le sue idee dove;ero a;endere decenni per essere accolte dal mondo poli/co e dalla Chiesa.
2.3 La formazione dei maestri: dalle scuole di metodo alla scuola normale
Nel 1844 l'apertura presso l'Università di Torino della Scuola normale di metodo per l'istruzione dei
maestri delle scuole elementari cos/tuì il termine di dibaI/ e progeI che avevano cara;erizzato la
poli/ca scolas/ca carlo-alber/na nei confron/ dell'istruzione popolare. Le indicazioni pedagogiche e
didaGche contenute nelle Istruzioni del 1840 rischiavano di essere inu/li a causa della mancanza di
maestri adeguatamente prepara/ e in grado di applicare le innovazioni introdo:e. Per poter insegnare era
sufficiente possedere l’abilitazione o patente che si acquisiva superando un esame. Il regolamento per gli
esami di patente richiedeva al futuro maestro unicamente la conoscenza di ciò che si sarebbe poi dovuto
insegnare. Non erano previs/ accertamen/ sulle conoscenze pedagogiche e sulla metodica (didaIca).

Nella Scuola normale di metodo, a tenere le lezioni di metodica fu chiamato Apor/. Il successo della
Scuola di metodo indusse a is/tuire, sempre presso l'Università di Torino, una Scuola superiore di metodo
des/nata a formare Professori di Metodo e Scuole provinciali di metodo des/nate ad aggiornare gli
insegnan/ in servizio e formare i futuri Maestri delle scuole elementari. Per ques/ era previsto un esame
di ammissione. Alla fine del corso trimestrale era richiesto un anno di /rocinio presso il Maestro normale.
Le Scuole provinciali di metodo si limitavano a dare una serie di indicazioni pra/che sulla conduzione
dell'aGvità scolas/ca e sul comportamento professionale dei maestri, a causa del programma ristre:o e
della durata limitata dei corsi.

La Legge Boncompagni non affrontò il tema della formazione degli insegnan/. Nel 1853 il ministro Cibrario
trasformò le Scuole di metodo nelle Scuole Magistrali, suddivise in scuole inferiori (un anno) e superiori
(sei mesi). Dopo il superamento degli esami finali i futuri maestri dovevano effe;uare un /rocinio annuale.
I problemi finanziari e la necessità di preparare maestri in breve tempo spinsero il ministero a concedere
deroghe sull'obbligo del /rocinio e a consen/re ai comuni rurali di assumere maestri privi di patente. Le
inizia/ve messe in a;o risultarono dunque insufficien/. Il ministro Lanza riuscì a far approvare nel 1858
l'is/tuzione delle Scuole Normali, che diventarono la scuola preparatoria dei maestri fino alla Riforma
Gen/le. Avevano una durata triennale ed erano divise in scuole maschili e femminili nelle quali venivano
rispeIvamente ammessi, previo esame, alunni/e dai 16 e 15 anni. A differenza delle Scuole di metodo e
Magistrali, ges/te da comuni o province, le Scuole Normali erano ges/te dal ministero della Pubblica
istruzione. I programmi di insegnamento, emana/ dal ministro Cadorna, erano dis/n/ per scuole maschili
e femminili. Nel secondo e terzo anno erano previste esercitazioni didaGche nelle scuole elementari.

2.4 La Legge CasaM: il nuovo ordinamento degli studi


La Legge Casa/ del 1859 riprese i contenu/ della Legge Lanza delineando il sistema amministra/vo e
organizza/vo della scuola. Il ministro aveva il compito di governare l'insegnamento pubblico, promuoverne
lo sviluppo e controllare che le is/tuzioni scolas/che si conformassero alle leggi. Il Consiglio Superiore di
Pubblica Istruzione aveva solo funzioni consul/ve nei confron/ di proposte di legge, regolamen/,
programmi, libri etc. Collaboratori esecu/vi del ministro erano tre ispe:ori generali, rispeIvamente per
università, scuola secondaria classica e per le scuole tecniche, normali ed elementari. Si occupavano sia
delle scuole statali, sia di quelle private. Subordina/ all’autorità del ministro c’erano i responsabili locali: a
capo delle università vi era il Re:ore, in ogni provincia il Provveditore per le scuole secondarie, classiche e
tecniche e l'Ispe:ore per quelle elementari e normali. Il Consiglio, unico organo collegiale, aveva il compito
di ordinare nelle scuole visite ispeGve, provvedere alla loro chiusura in caso di gravi disordini, approvare le
nomine dei maestri elementari propos/ dai comuni, proporre l'apertura di nuove scuole e le spese
scolas/che e infine decidere le controversie tra insegnan/ e amministrazione scolas/ca.

Il corpo docente era composto da professori ordinari, do:ori aggrega/, professori straordinari e
insegnan/ a /tolo privato. Gli studen/ per essere ammessi all'università dovevano superare un esame di
ammissione. I /toli di studio rilascia/ dalle università statali avevano valore legale su tu:o il territorio
nazionale, al contrario dei /toli accademici consegui/ all'estero o presso is/tu/ priva/, fra cui quelli
dipenden/ dalla Chiesa, i quali non erano giuridicamente riconosciu/ dallo Stato italiano.
L'istruzione secondaria classica aveva lo scopo di impar/re ai giovani, nei ginnasi quinquennali e nei licei
triennali, una cultura le:eraria e filosofica. Lo scopo dell’istruzione tecnica era invece dare ai ragazzi, nelle
Scuole tecniche e is/tu/ tecnici entrambi triennali, una cultura generale e speciale. Ques/ ul/mi erano
suddivisi nelle cinque sezioni fisico-matema/co, agrimensura, commercio, agronomia e industriale.
L'istruzione elementare fu da Casa/ unificata in un'unica scuola, ar/colata nei due gradi inferiore e
superiore entrambi della durata di due anni. Il programma del grado inferiore comprendeva
l'insegnamento di religione, le;ura, scri;ura, aritme/ca, lingua italiana. Il grado superiore prevedeva anche
l'insegnamento di calligrafia, geografia, storia, scienze. A queste materie comuni, nelle scuole maschili
erano aggiunte geometria e disegno lineare, in quelle femminili i lavori donneschi. Il Regolamento messo a
punto nel 1860 da Mamiani previde lo sdoppiamento della prima classe elementare, in due classi dis/nte
e successive (prima inferiore e superiore) in quanto la maggioranza dei bambini non era in grado nell'arco
di un solo anno scolas/co di acquisire le abilità previste dal programma.

L'istruzione, obbligatoria per il grado inferiore, e la ges/one delle scuole elementari maschili e femminili
erano poste a carico dei comuni, ai quali competeva anche il reclutamento e il tra:amento economico dei
maestri. I maestri, per essere assun/, dovevano essere in possesso di una patente di idoneità e di un
a:estato di moralità, rilasciato dal sindaco, non dal parroco come in precedenza, e dovevano aver
compiuto 18 anni i maschi e 17 le femmine. La legge determinava lo s/pendio minimo ma erano i comuni a
decidere l’importo da pagare ai maestri. Alle maestre era a;ribuito uno s/pendio di un terzo inferiore.
Anche i precari e i supplen/ ricevevano uno s/pendio rido:o. Per la formazione dei maestri c’erano le
Scuole normali, che avevano la durata di tre anni, ed erano dis/nte in maschili e femminili. Era anche
prevista la possibilità di limitare la frequenza ai soli primi due anni, dopo i quali si poteva acquisire la
Patente di grado inferiore che abilitava all'insegnamento nelle classi elementari di grado inferiore. La
frequenza dell'intero corso perme;eva di acquisire la Patente di grado superiore che abilitava
all'insegnamento in tu:e le classi elementari. Erano previste anche aIvità di /rocinio didaGco. Potevano
iscriversi alle Scuole normali, la cui frequenza era gratuita, alunni/e che avessero compiuto rispeIvamente
16 e 15 anni, dopo il superamento del test d’ammissione, ammesso che fossero in possesso di un a:estato
di moralità rilasciato dal comune di residenza. Era inoltre prevista la possibilità di conseguire la patente
senza seguire i corsi regolari sostenendo solo gli esami finali nelle Scuole normali.

2.5 La Legge CasaM e la libertà d'insegnamento


Per quanto riguardava il problema della libertà d'insegnamento, Casa/ differenziò la norma/va a secondo
del grado scolas/co. Erano riconosciute solo le università statali e la libertà d'insegnamento era garan/ta
ai professori ufficiali e ai liberi insegnan/ priva/. Per l'istruzione secondaria, classica e tecnica, la legge
prevedeva l'is/tuzione di scuole da parte dei comuni e degli en/ morali. I /toli di studio rilascia/ da tali
scuole erano pareggia/ a quelli delle scuole statali, se i regolamen/ e i programmi ado;a/ fossero sta/ gli
stessi di quest’ul/me. Per la scuola elementare la legge dava ai genitori la libertà di scegliere il modo e
l'is/tuzione in cui farla impar/re.

Il nuovo codice della pubblica istruzione fu un compromesso fra le vecchie concezioni monopolis/che e
stataliste e le richieste moderne di libertà. Fu confermato il diri:o supremo dello Stato sulle is/tuzioni
educa/ve, la superiorità del potere poli/co sull'istruzione pubblica, l'assoluto controllo del governo sulle
scuole statali e sulla formazione delle nuove generazioni. Ai comuni fu affidata la ges/one dell'istruzione
elementare, alle opere pie quella infan/le e l'istruzione professionale popolare.

Nonostante tali limi/, la Legge Casa/ rappresentò sul piano della libertà scolas/ca un significa/vo
progresso. La nuova legge doveva cos/tuire un punto di partenza per la costruzione di un sistema
scolas/co-forma/vo liberista in cui il ruolo dello Stato diventasse unicamente quello di garante dei diriG e
delle libertà di tuI i ci:adini. Le intenzioni della destra storica furono chiarite, nel 1860, da Mamiani, il
quale invitò gli organismi e i responsabili della pubblica istruzione ad avere fiducia nella libertà scolas/ca e
sollecitò la pubblica amministrazione ad impegnarsi nel proprio ruolo. Tu;avia, ques/ proposi/ non furono
a:ua/ dalla classe poli/ca liberale, ma si rinforzò il ruolo centralis/co dello Stato.
3. L’UNIFICAZIONE SCOLASTICA NAZIONALE
Durante l’unificazione poli/ca nazionale, la classe poli/ca liberale era impegnata nel creare un’unità
amministra/va, sociale, culturale e scolas/ca che a causa di leggi e is/tuzioni diverse risultò inefficace.
Solo nel 1865 il Parlamento procede;e all’unificazione a;raverso provvedimen/ sull’amministrazione
comunale e provinciale, la sicurezza, la sanità e le opere pubbliche. Tu;avia, si tra;ò dell’estensione al
resto dell’Italia degli ordinamen/ dell’ex Regno di Sardegna, cara;erizza/ dalla centralità dello Stato.
Questo provocò malcontento tra i liberali che aspiravano a una maggiore autonomia locale.

3.1 La scuola popolare e la ba[aglia contro l’analfabeMsmo nell’Italia postunitaria


I successori di Casa/ dove;ero cogliere i limi/ della legge e favorirne l’estensione sul territorio. Di fronte
alla grave situazione dell’istruzione popolare, sopra;u;o nel meridione, il ministro Coppino nel 1867 abolì
l’Ispe:orato provinciale per l’istruzione elementare, sos/tuendolo con il Consiglio scolas/co provinciale,
presieduto dal prefe:o, affinché avesse più autorevolezza sui comuni che si occupavano delle scuole.

La soluzione al problema dell’istruzione popolare e della lo:a all’analfabe/smo risultava complicata sia a
causa delle difficoltà finanziare provocate dalle spese sostenute per le guerre risorgimentali e
l’unificazione nazionale, sia dalla ques/one della laicità della scuola e dello scontro tra Stato e Chiesa.
Nonostante ciò, i governi della Destra storica sostennero la diffusione dell’istruzione elementare su tu;o il
territorio, ritenendo che a;raverso un sistema forma/vo organicamente controllato dal potere centrale,
fosse possibile portare a compimento l’unificazione linguis/ca, culturale, sociale, poli/co amministra/va e
la formazione di una coscienza nazionale. Negli anni di egemonia poli/ca della Destra storica (1861 – 1876)
le scuole elementari aumentarono di oltre il 61%, di circa l’80% il numero dei maestri e del 74% quello degli
alunni iscriG. Ques/ risulta/, però, erano ancora insufficien/ rispe;o a quelli delle altre nazioni europee,
a causa di scuole non omogeneamente diffuse con insegnan/ precari, spesso privi di abilitazione e con uno
s/pendio minimo. A rallentare il progresso della scolarizzazione si aggiungevano la disastrosa situazione
economica, l’indifferenza delle amministrazioni comunali e l’idea che l’obbligo scolas/co cos/tuisse un
a:entato alla libertà educa/va dei genitori e un limite nella collaborazione dei figli nelle aGvità famigliari.

Solo con l’avvento della Sinistra storica al potere con Depre/s, il ministro Coppino, dopo aver fa;o
approvare dal Parlamento un miglioramento delle condizioni economiche dei maestri elementari, riuscì
nel 1877 a imporre per legge l’obbligo scolas/co per tuI i fanciulli dai 6 ai 9 anni. L’insegnamento nel
corso inferiore della scuola elementare comprendeva le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del ci:adino,
la le:ura, la calligrafia, la lingua italiana e l’aritme/ca. Nei confron/ dei genitori inadempien/ erano
previste sanzioni pecuniarie e ai sindaci era affidato il compito di vigilare e sanzionare. Ma nemmeno tali
minacce riuscirono a diminuire l’evasione scolas/ca. Nel 1878 furono emanate due leggi che prevedevano
rispeIvamente agevolazioni e aiu/ finanziari ai comuni per l’is/tuzione delle scuole e del monte pensioni
per i maestri. Inoltre, per fronteggiare la carenza di maestri in determinate località, furono is/tuite le
Scuole magistrali rurali. Coppino nel 1885 mise a punto un Testo Unico sugli s/pendi, la nomina e il
licenziamento dei maestri elementari, garantendo loro un organico stato giuridico ed economico. A
sostegno dell’istruzione popolare l’ar/colo 7 della Legge Coppino aveva previsto l’is/tuzione di scuole
serali e fes/ve per favorire il completamento dell’obbligo scolas/co.

I nuovi programmi, emana/ nel 1888, la cui stesura defini/va fu opera di Gabelli, rappresentarono un
notevole progresso dal punto di vista pedagogico-didaGco. Venne stru;urato in cinque classi il corso
elementare e furono introdo;e nuove materie, in par/colare quelle scien/fiche, secondo la mentalità
posi/vis/ca del tempo. Alla base vi era la convinzione di Gabelli che la scuola dovesse formare uomini
capaci di giudizio cri/co indipendente a;raverso il metodo scien/fico sperimentale. Dopo solo sei anni
dall’emanazione di tali programmi, il ministro Baccelli provvide a riformarli semplificandoli e puntando
sopra;u;o alla formazione di ci:adini operosi e rispe:osi dell’ordine cos/tuito. Egli ha dato priorità al
paternalismo limitando all’essenziale la formazione culturale.

Nonostante ques/ provvedimen/, nel 1901, su due italiani, uno non sapeva ancora né leggere, né scrivere.
3.2 L’istruzione infanMle: asili infanMli e giardini d’infanzia
Negli anni successivi l’Unità, gli asili infan/li conobbero un graduale sviluppo e una maggiore a:enzione
da parte dello Stato e della società civile. Il Regolamento Mamiani del 1860 a;ribuì ai consigli scolas/ci
provinciali il compito di vigilare sugli asili infan/li e agli ispe:ori quello di autorizzarne l’is/tuzione. La
legge del ministro Ra:azzi sul riordino delle opere pie del 1862 dichiarò gli asili infan/li delle is/tuzioni di
assistenza e beneficenza. La riforma delle opere pie promossa da Crispi nel 1890 rafforzò la vigilanza
amministra/va dello Stato su tali is/tuzioni e tentò di limitare l’intervento della Chiesa. Dalla fine degli
anni ‘60 il modello di scuola infan/le realizzato e sviluppato da Apor/, fu messo in discussione per la sua
organizzazione didaGca e per l’impostazione confessionale. Come modello alterna/vo fu proposto quello
realizzato in Germania a par/re dagli anni ‘40 da Froebel, i Kindergarten o Giardini d’Infanzia. Ques/ ul/mi
avevano abolito l’insegnamento della le:ura, della scri:ura e gli esercizi mnemonici e di numerazione,
sos/tuendoli con il gioco a;raverso il quale il bambino poteva intuire le leggi naturali del mondo e liberare
le proprie potenzialità intelleGve e affeGve. I giardini d’infanzia trovarono consenso all’interno della
borghesia laica. Il primo fu aperto da Adele della Vida Levi nel 1869 a Venezia nella comunità ebraica.

Le is/tuzioni educa/ve per l’infanzia che nel 1862 erano solo 373, nel 1844 erano diventate 2035. A fine
secolo, nel 1898, le scuole infan/li erano salite a 2989, all’inizio del nuovo secolo il numero era 3314.
Alcune scuole u/lizzavano il metodo apor/ano, altre quello froebeliano e altre ancora un metodo misto.
Tu;avia, Gabelli sostenne l’eccellenza del metodo froebeliano tra tuI i metodi in uso. Il ministro Boselli
nel 1889 invitò le autorità scolas/che a considerare superata la concezione assistenziale e la tendenza ad
an/cipare l’istruzione scolas/ca negli asili infan/li. Invitava a trasformare gradualmente i vecchi asili in
is/tu/ educa/vi cara;erizza/ da una do:rina che prenda il nome da Pestalozzi, Froebel, o entrambi.
Inizialmente era possibile assumere maestri senza idoneità all’insegnamento. Nel 1880 il ministro De
Sanc/s rese obbligatorio il possesso della patente magistrale di grado inferiore per le maestre dei giardini
d’infanzia froebeliani. Tale obbligo fu esteso nel 1889 dal ministro Boselli anche per le insegnan/ degli asili
infan/li sovvenziona/ dallo Stato. Con la riforma Gianturco del 1896 dell’istruzione magistrale, fu is/tuito
un corso froebeliano specifico per le maestre dei giardini d’infanzia.

3.3 La laicizzazione della scuola italiana


La legge Casa/ riconosceva la religione ca:olica come l’unica dello Stato e ne aveva previsto
l’insegnamento in tuG gli ordini scolas/ci. Ne erano esonera/ solo gli alunni aca:olici e quelli i cui
genitori avessero dichiarato di provvedere privatamente all’istruzione religiosa dei propri figli.
Gradualmente la religione fu considerata una materia facolta/va studiata solo dagli studen/ i cui genitori
la richiedevano. L’azione di maggiore laicizzazione della scuola, ossia l’abolizione dell’insegnamento della
religione ca:olica, fu condo;a dalla Sinistra storica. I dire:ori spirituali furono aboli/ nel 1878. Le
maggiori proteste contro la soppressione dell’insegnamento della religione nelle scuole furono compiute
dalle famiglie popolari. Nei nuovi programmi, emana/ nel 1867 dal ministro Coppino, non ci furono
riferimen/ all’insegnamento della religione. Nel 1870, il ministro Corren/ affermò che tale insegnamento
doveva essere impar/to solo per soddisfare la domanda fa;a dai genitori. L’anno successivo il ministro
Cantoni confermò la stessa regola. Nel 1877 il Parlamento approvò la proposta del ministro Coppino di
introdurre l’obbligo scolas/co fino al nono anno di età. Tra le materie d’insegnamento indicate venne
omessa la religione ca:olica, sos/tuita dallo studio delle “nozioni dei diriG e doveri dell’uomo e del
ci;adino”. Ma poiché la legge Coppino non aveva abrogato la precedente legge Casa/ che prevedeva
l’obbligo dell’insegnamento religioso nelle scuole elementari, la maggioranza dei comuni con/nuò a farla
impar/re. I successivi regolamen/ sull’istruzione elementare dei ministri Coppino e Baccelli stabilirono che
l’insegnamento religioso dovesse essere impar/to dai comuni nelle ore, nei giorni e nei limi/ stabili/ dai
consigli scolas/ci provinciali solo agli alunni i cui genitori ne avessero fa;a domanda. I comuni dovevano
me;ere a disposizione insegnan/ di classe ritenu/ idonei dal consiglio scolas/co provinciale.
3.4 La formazione del maestro italiano
Dopo l’Unità d’Italia, il ministro De Sanc/s emanò un nuovo regolamento per le scuole normali e gli esami
di patente, finalizzato a uniformare metodologicamente, culturalmente e ideologicamente la formazione
dei maestri. Lo Stato puntava alla preparazione di maestri con una cultura generale elementare, ma che
avessero ben chiare le regole del comportamento professionale. La classe magistrale e i pedagogis/
posi/vis/ chiesero una riforma del sistema forma/vo dei maestri italiani poiché gli insegnan/ erano giun/
alla consapevolezza che senza un /tolo di studio qualificato non avrebbero potuto o;enere miglioramen/
economici e di carriera. La solidità del sistema scolas/co nazionale dipendeva anche dalla qualità e dalla
preparazione dei maestri del popolo.

A par/re dagli anni ‘80, ci furono dei miglioramen/ nel curricolo degli studi della scuola normale, in cui le
aIvità di /rocinio assunsero un ruolo centrale. I nuovi programmi emana/ dal ministro De Sanc/s nel
1880 si basavano sulla convinzione che la preparazione professionale del maestro si sarebbe perfezionata
a;raverso l’u/lizzo del metodo sperimentale e induGvo: dall’osservazione e dall’esperienza alla teoria.
L’esperienza dire;amente acquisita col /rocinio dagli aspiran/ maestri era considerata la migliore
soluzione contro il formalismo e il dogma/smo dell’insegnamento pedagogico.

Nel 1896 il ministro Gianturco fece approvare una legge che introdusse alcune modifiche: gli is/tu/
d’istruzione magistrale furono equipara/ alle scuole secondarie, fu abolita la dis/nzione tra paten/ di
grado inferiore e grado superiore e, infine, fu is/tuita la Scuola complementare, un ponte fra quella
elementare e quella normale, diventando una scuola propedeu/ca agli studi magistrali. I programmi
emana/ dal ministro Codronchi non si distaccarono molto dai preceden/.

Il /rocinio didaGco fu affidato alla supervisione dell’insegnante di pedagogia, ma venivano coinvol/ anche
gli altri docen/. All’inizio gli allievi si sarebbero limita/ ad assistere alle lezioni di una classe elementare
per poi sos/tuire il docente ed esporre durante le conferenze le osservazioni da loro compiute.

4. RIFORMISMO SCOLASTICO D’INIZIO NOVECENTO


La poli/ca scolas/ca dello Stato liberale fino all’inizio del XX secolo non era andata oltre la Legge Casa/. Le
trasformazioni economiche, sociali e poli/che innescarono una serie di fenomeni che favorirono e
condizionarono le nuove strategie di poli/ca scolas/ca dell’età gioliGana.

4.1 AnalfabeMsmo, progresso civile e sviluppo economico moderno


GioliG fu protagonista della poli/ca italiana nei primi due decenni del XX secolo e leader dello
schieramento liberale. Egli non possedeva un proge:o preciso e chiese il contribuito di vari movimen/,
come socialis/ e i ca:olici. I governi preceden/ non erano riusci/ a creare una stru:ura scolas/ca che
assicurasse l’alfabe/zzazione e l’acculturazione della maggior parte degli italiani. I limi/ dell’istruzione
popolare presen/ nelle leggi Casa/ e Coppino avevano impedito all’Italia, in cui il tasso di analfabe/smo
era del 48,5%, di raggiungere i livelli culturali di altre nazioni europee. Erano inoltre allarman/ i da/
analizza/ per regione poiché al Sud erano state riscontrate più difficoltà nel processo di alfabe/zzazione.
La nuova classe poli/ca gioliGana era cosciente che per inserire l’Italia nel contesto delle nazioni più
sviluppate e per assecondare il processo di trasformazioni sociali, economiche e produGve, era
indispensabile compiere uno sforzo poli/co-finanziario per migliorare il livello culturale della popolazione.

I momen/ principali del riformismo scolas/co gioliGano furono nel se;ore dell’istruzione popolare la
Legge Orlando del 1904 e la Legge Daneo-Credaro del 1911. Il ministro Orlando riordinò l’istruzione
elementare, portando l’obbligo scolas/co fino al dodicesimo anno di età. La scuola elementare fu
ar/colata in un corso inferiore quadriennale e in uno superiore biennale. Al termine del corso inferiore gli
alunni, per proseguire gli studi nelle scuole secondarie, dovevano superare un esame, de;o di “maturità”.
Gli altri avrebbero invece completato l’obbligo nel “corso popolare”, cos/tuito dalle classi quinta e sesta.
Nel 1905 entrarono in vigore i nuovi programmi del filosofo Orestano ispira/ alla pedagogia herbar/ana.
La legge prevedeva anche l’is/tuzione e la diffusione di corsi serali e fes/vi per adul/ analfabe/. Infine,
provvide a migliorare le condizioni economiche dei maestri, con/nuando la poli/ca del ministro Nasi.

Le riforme e i provvedimen/ del ministro Orlando non produssero gli effeG posi/vi spera/: l’evasione
dell’obbligo rimaneva alta e mol/ comuni risultavano inadempien/ nei confron/ dell’is/tuzione dei corsi
elementari. Nel 1909 il nuovo ministro della pubblica istruzione, Daneo, manifestò le sue preoccupazioni al
riguardo ma ammise che negli ul/mi anni erano sta/ compiu/ dei progressi. La causa del limitato sviluppo
dell’istruzione popolare fu individuata nell’incapacità poli/ca e nell’insufficienza finanziaria dei comuni. La
soluzione fu individuata nell’appropriazione dello Stato della ges/one della scuola elementare. GioliG era
sceGco nei confron/ della statalizzazione sia perché fiducioso nelle autonomie comunali, sia perché
preoccupato di un aumento del bilancio statale. In seguito alla pressione dei maestri e grazie all’impegno
del ministro Credaro, fu approvata nel 1911 la Legge Daneo-Credaro, che affidò l’amministrazione delle
scuole dei comuni non capoluogo di provincia o di circondario ai consigli scolas/ci provinciali, nei quali
erano presen/ i rappresentan/ dei comuni e degli insegnan/. La legge, inoltre, rese obbligatorio in tuG i
comuni l’is/tuzione dei Patrona/ scolas/ci. La percentuale di analfabe/ era scesa al 37,6%.

4.2 Nuovi modelli di istruzione infanMle


La poli/ca scolas/ca gioliGana apportò alcune importan/ innovazioni anche nel se;ore dell’istruzione
infan/le. Pur lasciando ai comuni e ai priva/, sia laici, sia religiosi, il compito di fondare e ges/re le
is/tuzioni scolas/che per l’infanzia, ci fu un graduale intervento dello Stato. Gli asili infan/li erano diffusi
sopra;u;o al Nord, al Sud la loro presenza era minima. La maggior parte delle maestre non aveva
un’adeguata preparazione culturale e le scuole risultavano prive di un organico proge:o educa/vo,
ignorando le innovazioni pedagogiche delle sorelle Agazzi e della Montessori. Il modello più diffuso
rimaneva quello assistenziale e custodialista, con introduzioni del metodo apor/ano o froebeliano.

Le sorelle Agazzi, fin dall’inizio degli anni ‘90, avevano dato avvio a una riforma interna del giardino
d’infanzia, partendo dall’esperienza fa;a con i bambini, con i sistemi e l’organizzazione scolas/ca, con il
territorio e con la realtà socioculturale in cui l’azione educa/va si sviluppava. Il loro merito fu quello di aver
basato la realizzazione cri/ca del nuovo metodo non sul bambino astra:o ma su quello reale, inserito in
un preciso contesto storico, sociale, culturale e ambientale. Nella relazione presentata al primo Congresso
pedagogico nazionale, tenutosi a Torino nel 1898, Rosa Agazzi riassunse le polemiche e le accuse che
avevano cara;erizzato il dibaGto dei decenni preceden/, come il “marioneGsmo” dei bambini, le diversità
antropologiche tra gli alunni e allo stesso tempo elaborò proposte di riforma basate sui bisogni reali dei
bambini, delle famiglie e della società italiana. Tale relazione evidenziò una situazione preoccupante della
condizione delle scuole infan/li e della formazione professionale delle maestre. Agazzi auspicò che in ogni
comune ci fosse un asilo, anche grazie agli aiu/ e agli s/moli del governo e che la formazione pedagogico
didaGca delle maestre fosse considerata fondamentale per il rinnovamento dell’istruzione. Il modello
educa/vo proposto suscitò un nuovo interesse per le scuole infan/li e per la loro diffusione e
riqualificazione sul territorio nazionale. Il confronto che fino ad allora vedeva al centro dell’interesse il
metodo, i giochi, le aIvità didaIche e le maestre, si spostò sulla centralità del bambino, dei suoi bisogni,
delle sue potenzialità, realtà psicologiche e affeGve e sulla relazione con il contesto socioculturale.

L’apor/smo e il froebelismo furono dunque supera/ dai nuovi modelli di educazione infan/le messi a
punto da Maria Montessori con la Casa dei bambini e dalla Scuola materna delle sorelle Agazzi.

Per rimediare alla scarsa preparazione professionale della maggioranza delle insegnan/, nel 1916 furono
is/tuite le Scuole pra/che magistrali per le educatrici dell’infanzia, di durata biennale, alle quali si poteva
accedere dopo un triennio di scuola secondaria o, compiu/ i 14 anni, con un esame di ammissione.
4.3 Industrializzazione e sviluppo dell’istruzione tecnica e professionale popolare
L’istruzione secondaria all’inizio del XX secolo era ar/colata nei tradizionali indirizzo classico-umanis/co
(ginnasio e liceo) e tecnico (scuole e is/tu/ tecnici). Quest’ul/mo, inserito in un contesto economico
produGvo arretrato, si era trasformato in un indirizzo di cultura generale lontano dalle esigenze del mondo
della produzione, ruolo svolto dalle scuole professionali. Si iniziò ad occuparsi dei problemi ineren/ a tale
preparazione con la nascita del moderno sistema industriale italiano.

La Commissione Reale per la Riforma della Scuola media, is/tuita nel 1905 dal ministro Bianchi, propose di
suddividere la scuola secondaria in due se:ori dis/n/: cultura generale e tecnico professionale. Per il
primo se:ore venne proposta la realizzazione di un ginnasio triennale unico, senza l’insegnamento del
la/no, e dei successivi licei quinquennali suddivisi in classico, moderno e scien/fico. Le sezioni di
commercio e ragioneria, agrimensura, agronomia e industriale, assieme alle scuole medie si sarebbero
unite alle scuole professionali di secondo grado. Invece, le scuole professionali di primo grado sarebbero
diventate la nuova scuola tecnica. Più che nei confron/ dell’istruzione tecnica, la classe poli/ca liberale
orientò la propria a:enzione verso lo sviluppo delle scuole professionali, ispirandosi al modello tedesco, il
quale dimostrava caso lo stre:o legame tra sviluppo industriale e istruzione professionale.

Nel 1907 il ministro di Agricoltura, industria e commercio, Francesco Cocco Ortu, fece stanziare nuovi
fondi per lo sviluppo delle scuole professionali e le riordinò dis/nguendole in:
• Scuole industriali;
• Scuole ar/s/che industriali;
• Scuole commerciali;
• Scuole professionali femminili.

Il successore, Francesco Saverio NiG, con la legge NiG del 1912 e il successivo regolamento del 1913,
provvide a riordinare tu;e le scuole professionali dipenden/ dal ministero di Agricoltura, industria e
commercio, creando un sistema scolas/co parallelo a quello ges/to dal ministero della Pubblica istruzione.
Le scuole professionali furono suddivise in:
• Scuole di primo grado o popolari operaie d’ar/ e mes/eri: triennali, impar/vano una cultura
elementare e professionale di avviamento;
• Scuole di secondo grado: si ar/colavano in scuole industriali, quadriennali, che impar/vano una
preparazione teorico-pra/ca necessaria alle funzioni dei futuri capi operai e scuole commerciali,
triennali, preparatorie per gli agen/ e gli impiega/ di commercio;
• Scuole di terzo grado: quadriennali, suddivise in is/tu/ industriali, per la formazione di capi tecnici
e peri/ industriali e in is/tu/ commerciali, preparatori alle funzioni di perito commerciale e
dirigente di azione di commercio.

4.4 La parziale democraMzzazione dell’ordinamento poliMco-amministraMvo


L’aGvità riformatrice dei governi gioliGani interessò anche l’ambito organizza/vo del sistema scolas/co,
dando avvio a un processo di democra/zzazione e partecipazione dell’amministrazione scolas/ca, sia
centrale sia periferica. Il Consiglio superiore della Pubblica istruzione era già stato parzialmente modificato
dal ministro Baccelli nel 1881: solo metà dei componen/ con/nuavano ad essere dire;amente nomina/
dal ministro, l’altra metà veniva ele:a dai professori delle università. Il consiglio con/nuava ad avere una
funzione consul/va, mentre alla giunta erano affida/ anche compi/ opera/vi su ques/oni riguardan/ gli
is/tu/ scolas/ci, gli esami, gli insegnan/ e i /toli di studio. Inoltre, interveniva sui confliG di competenza
tra le autorità scolas/che, sui provvedimen/ disciplinari e sui ricorsi. Nel 1906 il ministro Boselli inserì nel
nuovo stato giuridico degli insegnan/ secondari la creazione di una Sezione della Giunta per l’istruzione
media alla quale erano a;ribuite le competenze rela/ve ai problemi degli insegnan/. La sezione era
composta da qua:ro consiglieri nomina/ dal ministro e da qua:ro componen/ eleG da capi di is/tuto e
da docen/ delle scuole secondarie statali e pareggiate. Nel 1911 la Legge Daneo-Credaro is/tuì un’analoga
Sezione della Giunta per l’istruzione elementare e popolare, dove accanto a consiglieri nomina/ dal
ministro erano previs/ consiglieri eleG dire;amente dalle diverse componen/ di appartenenza.
Per la prima volta rappresentan/ degli insegnan/ e dei maestri erano chiama/ a far parte di organismi
ministeriali che si occupavano delle loro scuole. Nel 1909 il ministro Rava riformò ancora la composizione
del Consiglio superiore, prevedendo accanto ai componen/ di nomina ministeriale e a quelli eleI dai
professori universitari, un pari numero di consiglieri eleG dalla Camera e dal Senato. Il nuovo consiglio
provinciale scolas/co, al quale era affidata la ges/one delle scuole elementari in possesso dello Stato, era
composto da 15 membri: un terzo di nomina governa/va, un terzo rappresentan/ la provincia e i comuni,
un terzo rappresentan/ eleG di ispe:ori, dire:ori e maestri. Le competenze sull’istruzione secondaria
dalla Legge Daneo-Credaro furono trasferite alla Giunta provinciale per le scuole medie, composta da
rappresentan/ del ministero, en/ locali e personale direGvo e docente delle scuole secondarie.

4.5 Mediazione e compromessi poliMci sull’insegnamento religioso


Con l’inizio del XX secolo il problema dell’insegnamento della religione ca:olica nella scuola pubblica, in
par/colare quella elementare, aumentò a causa della presenza nelle is/tuzioni parlamentari e nelle
amministrazioni comunali dei socialis/, favorevoli a una completa laicizzazione dell’insegnamento e
all’abolizione di ogni insegnamento religioso (mozione Bissola/). Di fronte ai ricorsi delle associazioni
ca:oliche contro la soppressione dell’insegnamento della religione ca;olica, il ministro Rava, predispose
nel 1908 un nuovo regolamento che cos/tuiva un compromesso tra chi ne sosteneva l’abolizione totale e
chi ne chiedeva l’is/tuzione obbligatoria su richiesta dei genitori. I comuni potevano non aIvare
dire;amente l’insegnamento, ma su espressa richiesta dei genitori erano obbliga/ a me;ere a
disposizione locali scolas/ci per l’organizzazione di corsi di religione a carico economico dei richieden/.

Determinò una svolta della classe poli/ca liberale verso forme di maggiore apertura nei confron/ del
mondo ca:olico a favore dell’insegnamento religioso l’intervento del conte Gen/loni. Fra i se:e pun/ del
cosidde;o Pa:o Gen/loni, il terzo prevedeva il diri:o delle famiglie di avere per i propri figli un’istruzione
religiosa nelle scuole pubbliche. Nel nuovo Codice di Diri:o Canonico emanato nel 1917 dal pontefice
Benede:o XV si stabiliva che tuI i fedeli devono fin dalla fanciullezza avere un’educazione ca:olica.

4.6 Modelli magistrali a confronto nei primi decenni del secolo


I primi ven/ anni del XX secolo registrarono sul riordinamento dell’istruzione magistrale un confronto
costruGvo sia a livello pedagogico-culturale, sia poli/co-legisla/vo che produsse vari progeG di riforma,
ma che nel concreto si a;uarono solo parzialmente. Malgrado gli sforzi per migliorare la qualità e le
condizioni del corpo docente, la scuola normale con/nuò ad avere carenze e limi/.

La concezione “realis/ca”, tecnicis/ca, sostenuta dai rappresentan/ della pedagogia posi/vista e dai
neohebar/ani riteneva che la preparazione magistrale dovesse consistere nell’acquisire conoscenze da
trasme:ere agli alunni delle scuole elementari e nel cogliere dallo studio della pedagogia e dalla pra/ca
del /rocinio i metodi più idonei ed efficaci per impar/rle. Credaro si focalizzava sul ruolo del maestro come
Educatore del popolo e sulla preparazione professionale, pedagogica e metodologica, da rafforzare
a;raverso il /rocinio. La concezione umanis/ca, sostenuta dai rappresentan/ della pedagogia neoidealista,
in par/colare da Giovanni Gen/le e Lombardo Radice, riteneva invece che la preparazione dell’insegnante
dovesse avvenire a;raverso l’educazione e la maturazione dello spirito, da cui trarre poi le forme e i
metodi per giungere all’animo e all’intelle:o degli alunni per s/molarne l’apprendimento.

Le due uniche parziali riforme dell’istruzione magistrale (Legge Orlando e Daneo-Credaro) furono de;ate
dalla mancanza della cultura e della professionalità dei maestri: la cosidde;a crisi magistrale. Fra i rimedi
per risolvere la crisi, l’Unione magistrale nazionale propose, oltre al miglioramento della condizione
giuridica ed economica dei maestri, l’aumento del numero e la riforma delle scuole normali, anche
a;raverso la trasformazione delle scuole già is/tuite in miste, ma sopra;u;o a;raverso una distribuzione
più razionale sul territorio nazionale.

Il ministro Credaro tentò di mutare l’indirizzo della preparazione culturale dei maestri, ponendo alla base
della formazione magistrale, non più la scuola tecnica o complementare, ma gli studi classico-umanis/ci
del ginnasio is/tuendo accanto alla scuola normale i nuovi corsi magistrali biennali.
Oltre a is/tuire scuole per la formazione dei maestri nei piccoli centri, dove vi era maggiore carenza, egli
intendeva realizzare il proto/po del liceo magistrale di o:o anni che creasse un maestro maturo e
perfe:amente preparato. Infine, la legge previde la possibilità per gli alunni promossi con una media di
almeno se:e decimi di o;enere la licenza magistrale anche solo con la frequenza del primo anno di corso.
Nonostante la volontà di me;ere a punto un nuovo modello scolas/co magistrale in cui la formazione
culturale di base avesse un salto di qualità e superasse i limi/ di elementarità da/ dalle finalità
metodologico didaGche, il corso mantenne un cara:ere professionale e sia il programma sia l’aGvità
diedero più importanza al /rocinio e meno alla cultura pedagogica.

Nel 1913, Credaro nominò una commissione con il compito di formulare proposte sulla riforma della scuola
normale ma nel 1914 fu costre;o a presentare un compromesso in Parlamento: il Disegno di Legge
Governa/vo. Gli studi magistrali furono porta/ dai sei anni previs/ dalla legge Gianturco a se:e e divisi in
due periodi. Nel primo, quinquennale, veniva data la cultura necessaria per formare la personalità del
futuro maestro, nel secondo, biennale, era fornita la cultura professionale e la perizia didaGca. Credaro
so;olineò che il futuro is/tuto magistrale riprendeva la stru:ura dei corsi magistrali che is/tuì nel 1911 la
cui unica differenza era quella di avere per base un quinquennio di studi classici invece di cultura realis/ca.

Gli even/ poli/ci e lo scoppio della guerra mondiale misero in secondo piano le tema/che scolas/che.
Solo verso la fine della guerra il ministro Berenini, annunciando il suo programma per il dopoguerra di lo:a
all’analfabe/smo e potenziamento della scuola popolare, inviò nel 1918 al Senato un nuovo proge:o di
riforma, presentato come una serie di emendamen/ al testo di Credaro di cui conservò le proposte rela/ve
al prolungamento di un anno degli studi magistrali, alla riduzione delle ore di insegnamento e alla
modifica dei programmi. Gli emendamen/ introdoG si ispiravano al conce;o che il futuro is/tuto
magistrale dovesse essere considerato un is/tuto dire;o verso un unico scopo: la formazione del maestro.
Gli emendamen/ Berenini furono accol/ posi/vamente sia dal mondo poli/co, sia da quello scolas/co in
quanto, nonostante le difficoltà del momento, dimostravano una volontà riformatrice in un se;ore che
a;endeva un adeguamento alla nuova realtà scolas/ca italiana. Il disegno di legge fu approvato dal Senato
a larga maggioranza e senza significa/ve modifiche. Presentato alla Camera non fu discusso e decadde.

5. LA POLITICA SCOLASTICA DEL FASCISMO: DA GENTILE A BOTTAI


Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, il riformismo scolas/co dell’età gioliGana si concluse.
L’instabilità poli/ca e le precarie condizioni socioeconomiche dell’immediato dopoguerra non erano
favorevoli alla ripresa dell’azione riformatrice. Inoltre, accanto al processo di democra/zzazione
emergevano le intenzioni di rendere più seleGvi e ideologicamente controlla/ i percorsi forma/vi. Il
movimento neoidealista, assieme alle componen/ nazionaliste, propose delle riforme in merito. Un primo
tenta/vo di contenere l’espansione delle scuole secondarie e renderle più compe//ve a;raverso l’esame
di Stato, effe;uato nel 1921 da Benede:o Croce, fallì a causa dell’opposizione parlamentare.

5.1 La riforma GenMle


La riforma di tu;o il sistema scolas/co venne portata a termine dal neoidealista Giovanni Gen/le, quando,
dopo la Marcia su Roma, Mussolini lo chiamò a far parte del governo da lui presieduto. Il filosofo poté
realizzare nel 1923 la sua riforma della scuola italiana grazie ai pieni poteri concessi dal Parlamento al
Governo. Gen/le procede;e a riordinare l’amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione,
riportandola all’originaria stru:ura accentrata e gerarchica. La riforma riportò la scuola elementare ai suoi
originali cinque anni di corso, con l’aggiunta di un grado preparatorio, non obbligatorio, che comprendeva
le is/tuzioni educa/ve rivolte ai bambini tra i tre e i sei anni: Asili infan/li, Giardini d’infanzia, Casa dei
bambini e Scuole materne. L’obbligo scolas/co fu innalzato fino ai 14 anni. Per perme;ere a tuI i ragazzi di
adempierlo fu prevista l’is/tuzione nelle scuole elementari di classi integra/ve di avviamento
professionale. I provvedimen/ presi da Gen/le nei confron/ dell’istruzione elementare furono raccol/, nel
1928 in un Testo unico. Le innovazioni più radicali furono apportate a livello di istruzione secondaria, dove
egli rafforzò il primato culturale e forma/vo delle scuole classiche e delle materie umanis/che e rese
l’accesso e la prosecuzione degli studi più seleGvi e discriminan/.
La riforma riordinò l’istruzione secondaria in:
• Scuole complementari, triennale, avevano come finalità quella di perme;ere a tuG i ragazzi di
completare l’obbligo scolas/co in una scuola secondaria. Gli alunni potevano poi accedere ai
concorsi nelle amministrazioni pubbliche;
• Is/tu/ tecnici, dalla durata di o;o anni, avevano come scopo quello di preparare all’esercizio di
alcune professioni ed erano ar/cola/ in un corso inferiore comune e uno superiore, entrambi
quadriennali, diviso nelle due sezioni di commercio e ragioneria e di agrimensura;
• Is/tu/ magistrali, della durata di se;e anni, prese il posto della scuola complementare femminile e
di quella normale, nella preparazione dei maestri elementari. Fu ar/colato in un corso inferiore
quadriennale e in uno superiore triennale. In entrambi i corsi fu inserito lo studio del la/no,
mentre fu tolto lo studio della psicologia e abolite le esercitazioni di /rocinio didaGco;
• Licei femminili, triennale, ai quali si poteva accedere solo dopo qua:ro anni di scuola secondaria,
aveva per fine quello di impar/re un po’ di cultura generale alle ragazze che non aspiravano né agli
studi superiori, né al conseguimento di un diploma professionale;
• Licei-ginnasi, avevano lo scopo di preparare agli studi universitari e superiori ed era ar/colato in
ginnasio, quinquennale e liceo classico, triennale;
• Licei scien/fici, durata quadriennale, avevano lo scopo di sviluppare e approfondire l’istruzione dei
giovani che aspiravano a con/nuare gli studi nelle facoltà scien/fiche e tecnologiche.

Sulla base delle teorie idealiste della libertà all’interno dello Stato, Gen/le volle riaffermare la libertà
professionale e culturale degli insegnan/ secondari e universitari, a;raverso l’abolizione nelle scuole dei
programmi ministeriali di insegnamento, sos/tui/ da quelli d’esame. Agli insegnan/ erano indica/ i
traguardi di apprendimento degli alunni ed era loro garan/ta la libertà di scelta dei metodi e dei percorsi
didaGci e culturali. Infine, tuG gli studen/, provenien/ da scuole statali o private, al termine dei loro studi
secondari, per o;enere il diploma finale, dovevano sostenere le prove di esame di fronte a una
commissione nominata dal ministro e composta da docen/ a loro estranei.

Nel 1924, Gen/le ritenne di aver concluso il suo compito di riforma della scuola italiana e decise di
dime:ersi. La sua riforma si rivelò un tenta/vo di restaurazione liberale-conservatrice elitaria.

5.2 Dall’asilo infanMle alla scuola materna


Gen/le inserì per la prima volta le scuole infan/li nel sistema scolas/co ma lasciando non obbligatoria la
frequenza. La riforma le trasformò in un grado preparatorio dell’istruzione elementare, ma con un
cara:ere ricrea/vo, finalizzato a disciplinare le prime manifestazioni dell’intelligenza e del cara;ere. Le
aGvità scolas/che comprendevano, canto, disegno, ginnas/ca, giardinaggio etc. A queste scuole fu
assegnato il nome di Scuola materna. La riforma prescriveva che le insegnan/ fossero fornite del /tolo
legale di abilitazione all’insegnamento nel grado preparatorio, conseguito presso i corsi es/vi trimestrali,
in corsi autorizza/ dal ministero e tenu/ da en/ morali o nelle triennali Scuole di metodo per l’educazione
materna. La nuova scuola per la formazione delle maestre con/nuava ad avere un programma modesto ed
era paragonata alle scuole professionali, in quanto il corso scolas/co non terminava con l’esame di Stato,
come nell’is/tuto magistrale. Il modello d’insegnante non era quello montessoriano di persona colta e
civile e di educatrice di professione, ma quello agazziano di madre pensosa, preoccupata della crescita
fisica e morale dei bambini. Le Scuole di metodo, trasformate nel 1933 in Scuole magistrali, sempre
triennali, furono considerate come una scuola culturalmente e professionalmente inferiore rispe;o
all’Is/tuto magistrale e furono per lo più frequentate da alunne le cui capacità o condizioni sociali non
consen/vano studi più impegna/vi. Per quanto riguardava l’impostazione pedagogico-didaGca delle
scuole materne il Ministero lasciò alle scuole autonomia di scelta fra il modello agazziano e quello
montessoriano. I decre/ del 1923 e il Testo unico del 1928 prescrivevano alle scuole di adeguarsi ai
programmi Credaro del 1914, ispira/ alle esperienze maturate dalle Agazzi nell’asilo di Mompiano.
Il regime fascista inizialmente non si interessò all’istruzione infan/le ma focalizzò la sua a;enzione sui
bambini dai sei anni di età, sia all’interno delle scuole elementari sia nelle organizzazioni extrascolas/che
come l’Operazione nazionale balilla.

Nel 1924 l’Opera Montessori divenne un ente morale, so;o la presidenza di Gen/le. La Montessori aveva
creduto di trovare in Mussolini un sostenitore del suo metodo, da lui considerato un elemento di progresso
e innovazione. Ma le speranze e le ambizioni della pedagogista svanirono quando il regime, nel corso degli
anni ‘30, iniziò una poli/ca di rigido controllo su tuG i se:ori della società italiana, compreso quello
educa/vo. La Montessori riconobbe dunque l’incompa/bilità fra l’ideologia autoritaria del fascismo e gli
ideali di pace e libertà del suo modello pedagogico. Nel 1934 Montessori abbandonò l’Italia e le scuole
montessoriane furono soppresse. Nel 1936 furono chiuse la Scuola di metodo e l’Opera Montessori.

Il metodo agazziano, a par/re dagli anni ‘20, aveva raccolto maggiori consensi sia a livello ministeriale, sia
nel mondo pedagogico nazionale e la sua principale diffusione si deve al mondo ca:olico e al contributo
dato dalla rivista bresciana a;raverso la collaborazione di Lombardo Radice e Rosa Agazzi, responsabile
della sezione didaGca. L’Associazione educatrice italiana si occupò della formazione delle maestre.

Nel 1937 il ministro dell’Educazione nazionale Bo:ai, sul giornale del par/to fascista “Il Popolo d’Italia”
sostenne la necessità di superare il tradizionale modello assistenziale /pico degli en/ e dei priva/ e
auspicava a un intervento dire:o dello Stato sia per dare unitarietà di indirizzo pedagogico sia per rendere
l’istruzione infan/le più corrispondente ai bisogni del Paese e alle finalità del Regime. Il proge:o di inserire
l’istruzione infan/le nel processo di formazione del ci:adino fascista fu ripreso dalla Carta della Scuola. Il
documento approvato dal Gran consiglio del fascismo prevedeva l’is/tuzione della scuola materna,
obbligatoria per tuG i bambini dai qua:ro ai sei anni, finalizzata a disciplinare e educare le prime
manifestazioni dell’intelligenza e del cara:ere, come primo passo di un percorso di formazione culturale e
di preparazione poli/ca e guerriera. Il fallimento del proge;o avvenne a causa dei cos/ economici che lo
Stato avrebbe dovuto sostenere per realizzare un sistema di scuola statale e l’entrata in guerra dell’Italia.

5.3 Lo statalismo scolasMco dal sistema liberale al regime fascista


La poli/ca scolas/ca liberale sancì il diri:o supremo dello Stato sull’istruzione, a;raverso i pieni poteri del
governo e della burocrazia ministeriale sul sistema scolas/co e la competenza assoluta di provvedere
all’insegnamento con proprie scuole e controllare la direzione generale dell’istruzione nazionale.
Nonostante ciò, erano state lasciate alle famiglie alcune libertà sui loro diriG educa/vi, ma solo per
l’istruzione primaria e secondaria dei figli. Ai priva/ era riconosciuto il diri:o di aprire e ges/re scuole
elementari e secondarie, ma a loro totale carico finanziario, so;o prove legali di idoneità e sorveglianza
dello Stato. Le uniche scuole non statali alle quali era permesso rilasciare un /tolo di studio dal valore
legale erano le scuole pareggiate ges/te dagli en/ locali riconosciu/. A livello di insegnamento superiore il
monopolio statale era totale. La scuola statale aveva perso le proprie capacità educa/ve e formava un
numero di diploma/ superiore al fabbisogno nazionale. Nel primo dopoguerra, in seguito alla grave crisi
economica, lo Stato non fu più in grado di finanziare nuove scuole e il numero crescente di accultura/ e il
fenomeno della disoccupazione intelle:uale cos/tuivano un pericolo sociale.

Secondo Gen/le lo Stato doveva favorire il libero confronto tra scuole statali e private sul piano della
qualità di insegnamento, mentre per Salvemini la libertà di is/tuire e frequentare le scuole private andava
garan/ta a pa;o che venisse riaffermata la superiorità della scuola statale. Nell’Appello per un “Fascio di
Educazione Nazionale”, firmato nel 1920 da esponen/ della cultura laica, furono pubblicamente
denunciate le cause della decadenza della scuola italiana. L’introduzione dell’esame di Stato, tentata da
Croce nel 1921 e realizzata da Gen/le nel 1923, so;oponendo tuG gli alunni, da qualsiasi scuola
provengano, alle medesime prove avrebbe permesso ogni libera inizia/va nella scuola pubblica e privata.

Il proge:o scolas/co messo a punto da Gen/le e dagli esponen/ del neoidealismo trovò la piena
a:uazione con l’avvento al potere del fascismo. Tu;avia, riforma Gen/le si ispirava alla concezione
idealista, hegeliana della assoluta sovranità dello Stato, più che ai principi autoritari del regime fascista.
Lo Stato possiede un’autorità assoluta e un potere illimitato ed essendo un organismo e/co autonomo ha
sull’educazione dei ci;adini un diri:o supremo. Lo Stato ha però bisogno della collaborazione subalterna
dell’inizia/va privata. Questa situazione gius/ficava una limitata libertà della scuola privata che poteva
esistere in quanto interesse dello Stato, poteva svilupparsi solo all’interno di strategie messe a punto dal
potere governa/vo e poteva essere libera solo se questa libertà fosse stata u/le e vantaggiosa allo Stato.

5.4 Concordato e insegnamento della religione ca[olica


Nella riforma dell’istruzione elementare la maggiore novità fu la reintroduzione dell’insegnamento
obbligatorio della religione ca:olica, con possibilità di richiesta di esonero da parte dei genitori aca:olici.
Gen/le, non si limitò al suo reinserimento ma la mise alla base della cultura del popolo italiano.
L’insegnamento della religione ca:olica fu affidato ai maestri di classe, giudica/ idonei al ruolo e che
avessero acce:ato l’incarico. In caso contrario l’insegnamento doveva essere affidato a un altro insegnante
o a una persona estranea alla scuola. I programmi per la scuola elementare, ispira/ dal pedagogista
neoidealista, Giuseppe Lombardo Radice, avevano un cara:ere indica/vo e lasciavano il maestro libero di
usare i mezzi opportuni per raggiungere gli obieGvi. I programmi invitavano a far riferimento alla
tradizione popolare italiana, alla le:eratura nazionale e alla cultura ca:olica. L’obieGvo forma/vo
culturale dell’istruzione postelementare era cos/tuito dal superamento della soggeGvità della coscienza e
dell’aGvità del fanciullo per passare gradualmente all’oggeGvità e alla compiutezza dello spirito cri/co e
delle forme ideali della realtà. Per questo mo/vo Gen/le ritenne di non dover inserire nei programmi delle
scuole secondarie l’insegnamento della religione per preservarne la laicità e darne un cara:ere idealis/co,
che la riduceva a semplice fenomeno storico. Esclusivamente per rimediare alla formazione religiosa dei
futuri maestri elementari vennero is/tu/ corsi facolta/vi sull’insegnamento della religione.

In seguito, la firma nel 1929 dei PaG Lateranensi tra lo Stato e la Chiesa ca:olica non si limitò a chiudere la
ques/one romana sul piano poli/co ed economico, ma a;raverso alcuni ar/coli del concordato furono
apportate alcune modifiche all’interno del sistema scolas/co italiano. Furono riconfermate le riforme
a;uate da Gen/le nel 1923: la reintroduzione dell’insegnamento della religione ca:olica nella scuola
elementare, il riconoscimento legale e la parificazione delle scuole private e l’introduzione dell’esame di
Stato. La novità maggiore fu l’estensione dell’insegnamento della religione ca:olica anche alle scuole
secondarie, a cui Gen/le si era opposto con mo/vazioni di ordine filosofico pedagogico. Il nuovo ministro
dell’Educazione nazionale, Giuliano, presentò alla camera nel 1930 il Disegno di Legge per l’introduzione
dell’insegnamento della religione ca:olica nelle scuole secondarie e andò contro coloro che la vedevano
come una minaccia alla laicità della scuola. La Sacra congregazione del concilio, in una circolare del 1930
indirizzata ai vescovi italiani, raccomandava che gli insegnan/ di religione evitassero ogni polemica e si
limitassero ad esporre le verità dogma/che e morali, cercando di coinvolgere gli studen/ alla materia e di
instaurare rappor/ collabora/vi con i capi d’is/tuto e i colleghi delle altre materie.

5.5 La riforma umanisMca dell'istruzione magistrale


La maggior opposizione al modello forma/vo-pedagogico di impostazione realis/co-professionale
(proge;o Credaro-Berenini) fu condo;a a livello teorico da Gen/le e da Codignola a livello organizza/vo e
is/tuzionale. Gen/le, filosofo neoidealista, affermava che l'educazione non andava intesa come la
trasmissione e/o il possesso del sapere, ma come ‘’svolgimento di una vita spirituale’’ alla conquista di
una cultura intesa come ‘’contenuto dello spirito’’. Il possesso della cultura da parte del maestro e la
consapevolezza di possederla come ‘’patrimonio sociale’’ cos/tuivano i presuppos/ fondamentali per
me;ere in a;o il processo educa/vo. Dal 1915, Codignola, si era formato un’idea sui limi/ della vecchia
scuola e sui nuovi bisogni culturali e pedagogici dei maestri. Il nuovo ordinamento della scuola magistrale
da lui sostenuto era la pra/ca applicazione delle idee pedagogiche di Gen/le. La rinnovata scuola normale
auspicata da Codignola doveva perdere qualsiasi finalità professionale per diventare un is/tuto secondario
umanis/co. La nuova scuola avrebbe assunto così un cara:ere forma/vo diventando una specie di
ginnasio-liceo, senza lo studio delle lingue classiche. Per quanto riguardava il piano di studi, egli riteneva
necessario abolire le materie professionali (agraria, calligrafia, lavoro manuale), e del /rocinio. In
alterna/va proponeva che il neo-maestro prima di assumere la responsabilità di una classe, trascorresse
del tempo come aiuto maestro, in una scuola pubblica, so;o la vigilanza di un insegnante o ispe:ore.
La tradizionale concezione che per insegnare i primi rudimen/ del sapere ai figli del popolo fosse
sufficiente solo il possesso di una cultura elementare fu rovesciata: il maestro doveva essere superiore al
popolo. Sosteneva dunque l'introduzione nella formazione magistrale dello studio del la/no, finalizzato al
miglioramento della lingua nazionale. Le sue proposte vennero riassunte all’interno dell’Appello per un
Fascio di educazione nazionale. Il nuovo is/tuto magistrale cos/tuì un’innovazione del modello forma/vo
del maestro italiano: l'indirizzo umanis/co, non professionale, sostenuto dagli idealis/ trovò finalmente la
propria realizzazione. Rispe;o alla scuola normale sparì la divisione in scuole femminili e maschili. Per
migliorare la qualità degli studi Gen/le introdusse l'esame di ammissione e ridusse il numero delle scuole.

Le discipline professionali furono sos/tuite da la/no, filosofia e pedagogia. Nei programmi la pedagogia si
trovò inglobata nell'insegnamento filosofico, il quale, impar/to col metodo storicis/co assunse un ruolo
centrale. Con il rafforzarsi del clima autoritario nella società e nel mondo scolas/co, i programmi di
pedagogia furono ogge;o di cri/ca. Nel 1938 la rivista ‘’I DiriG della Scuola’’ promosse un'inchiesta fra i
docen/ universitari di pedagogia sulla condizione degli studi pedagogici in Italia e sulla formazione
pedagogico-didaGco degli insegnan/ elementari. Dai risulta/ dell'inchiesta emerse la necessità di dare
alla loro preparazione un'impostazione più organica. Lombardo Radice, il quale non era d’accordo
nell’abolire il /rocinio, propose una soluzione che cercasse di far acquisire agli aspiran/ maestri
un'esperienza all'interno della scuola. Lasciato inalterato l'is/tuto magistrale, i diploma/ per poter
accedere alla carriera magistrale avrebbe dovuto frequentare un corso biennale di pra/ca educa/va. Gli
iscriI al corso avrebbero prestato servizio in scuole elementari e in is/tuzioni educa/ve e assistenziali in
qualità di maestri-assisten/. La proposta fu accolta con rispe;o, ma non registrò adesioni.

5.6 La bonifica fascista della scuola italiana


Il fa;o che la riforma a;uata da Gen/le non fosse funzionale agli interessi ideologici e sociali del regime, lo
dimostrano i ritocchi apporta/ dai suoi successori, per arrivare alla vera riforma fascista della scuola: quella
elaborata da Bo:ai nel 1939. Mussolini aveva difeso la riforma scolas/ca del 1923, ma dopo il concordato
con la Santa Sede nel 1929, cambiò opinione, sia perché il cara:ere troppo elitario della stru:ura
scolas/ca aveva creato malumori tra il ceto medio che cos/tuiva il fulcro del regime, sia perché la riforma
gen/liana cos/tuiva un ostacolo alla fascis/zzazione della scuola. Il cambiamento dell'in/tolazione del
ministero da Pubblica istruzione e Educazione nazionale fu il primo segnale di un intervento sempre più
totalizzante dello Stato. Annunciando il cambiamento Mussolini affermò che lo Stato aveva il diri:o e il
dovere di educare il popolo.

La scuola elementare divenne il luogo di un processo di omologazione ideologica, di appiaGmento


culturale a;raverso l'introduzione del libro di testo unico di Stato e il completo passaggio alla ges/one
dire;a dello Stato di tu;e le scuole elementari pubbliche. A par/re dal 1928 le scuole furono traferite alla
ges/one dell'Opera nazionale balilla, l'organizzazione giovanile del par/to fascista che, dopo aver
annullato le innovazioni e le libertà didaGche, le riorganizzò secondo il modello culturale fascista. Nel 1933
le scuole elementari dei comuni capoluogo di provincia che avevano fino allora mantenuto la ges/one
autonoma, passarono so;o la ges/one del ministero. Nel momento in cui il fascismo da movimento
poli/co si trasformò in regime autoritario, puntò sull’acquisizione del consenso degli insegnan/.
L’iscrizione all’Associazione nazionale fascista della scuola era obbligatoria per gli insegnan/ di ogni grado.

Il nuovo clima di totale asservimento al regime e di allontanamento degli ideali di libertà culturale fu
giudicato da Lombardo Radice come la fine e il rinnegamento della sua opera e di Gen/le. La fine defini/va
del modello pedagogico e culturale dell'idealismo fu la revisione dei programmi della scuola elementare
voluta dal ministro Ercole nel 1934. I programmi del 1923 avevano riconosciuto ai maestri la libertà
didaGca, il modello di insegnante a cui si rivolgevano era quello di un educatore con formazione culturale
e umanis/ca, a:ento ai bisogni dell'alunno e aperto all'innovazione didaGca. I programmi del 1934 si
riproposero le indicazioni di quelli preceden/, ma con alcune modifiche de;ate da esigenze di ordine
poli/co. Riportavano le dichiarazioni di Mussolini, secondo il quale la scuola italiana in tuI i suoi gradi e
insegnamen/ si dovesse ispirare agli ideali fascis/ e educare la gioventù a comprenderli. Tra le materie di
studio venne modificata la storia finalizzata all'esaltazione del regime, partendo dal mito della romanità.
Tu;avia, a differenza della scuola elementare, il fascismo non era riuscito a rendere la scuola secondaria e
l'università funzionali alle finalità poli/che del regime. Mussolini nel 1935 affidò a De Vecchi il compito di
portare a compimento la fascis/zzazione della scuola. Il nuovo ministro proclamò di voler costringere gli
insegnan/ all'obbedienza totale al regime. Con la fascis/zzazione il provveditore divenne l'unico esecutore
a livello provinciale delle direGve e delle disposizioni governa/ve. Venne rafforzato il cara:ere
accentratore dell'amministrazione scolas/ca e aboli/ i programmi d'esame per tornare ai programmi
ministeriali d'insegnamento e introdurre la cultura militare come materia obbligatoria per i maschi. Le
principali finalità dell'educazione scolas/ca divenne quella di formare il ci:adino-soldato.

5.7 La Carta della Scuola


L'opera di bonifica fascista della scuola tentata da De Vecchi fu con/nuata nel 1936 da Bo:ai. Secondo lui
la scuola aveva il compito di rispondere alle esigenze economiche e sociali della nazione a;raverso la
formazione di moderne forze lavoro e l’interiorizzazione da parte dei giovani di una mentalità gerarchica.
Gen/le si era focalizzato sulla formazione della classe dirigente, Bo:ai sulla formazione, professionale e
poli/ca, delle masse lavoratrici. Si focalizzò dunque sulla scuola di avviamento professionale che assieme
alla scuola elementare doveva diventare la scuola delle classi popolari, di massa.

Prima dell'emanazione nel 1938 delle leggi razziali, il governo aveva ordinato l'espulsione dalle scuole degli
alunni e degli insegnan/ di razza ebraica. Per gli alunni ebrei, le comunità israeli/che erano autorizzate a
is/tuire scuole elementari e medie a loro spese, con personale docente ebraico e con l'obbligo di ado;are
gli stessi programmi di insegnamento delle scuole statali, ecce:o della religione ca;olica.

Bo:ai mise a punto un documento di riforma del sistema forma/vo italiano, denominato “Carta della
Scuola” approvato nel 1939 dal Gran Consiglio del fascismo, che prevedeva l'ar/colazione della nuova
scuola fascista in sei ordini:
1) Elementare: comprendeva la Scuola materna, biennale, des/nata ai bambini di età tra i 4 e i 6 anni;
la Scuola elementare, triennale; la Scuola del lavoro, biennale; la Scuola ar/giana, triennale,
des/nata ai preadolescen/ che non avrebbero completato la scuola media o professionale;
2) Medio: comprendeva la scuola media, triennale, preparatoria delle scuole dell'ordine superiore; la
scuola professionale, triennale, sos/tuiva della scuola di avviamento professionale e la scuola
tecnica, biennale, il complemento della scuola professionale;
3) Superiore: comprendeva il Liceo classico, Liceo scien/fico, l'Is/tuto magistrale, l'Is/tuto tecnico
commerciale, tuI di durata quinquennale. Solo di durata quadriennale era previsto l'Is/tuto
professionale, ar/colato negli indirizzi agrario, industriale, per geometri e nau/co. L'is/tuto
magistrale conservò il cara:ere umanis/co e al quinto anno di corso venne confermato l’anno di
pra/ca nelle scuole, in cui il futuro maestro, dopo una preparazione quadriennale di cultura
umanis/ca, avrebbe acquisito gli elemen/ di base per costruire il proprio metodo di insegnamento;
4) Universitario;
5) Istruzione ar/s/ca;
6) Scuole femminili.

Bo:ai fece alcune modifiche anche all’esame di Stato: gli studen/ delle scuole statali e private non
avrebbero più sostenuto le prove di esame dinanzi a una commissione di docen/ estranei, bensì da una
composta dagli stessi insegnan/ della scuola, con l’intervento di due delega/ dal Ministro.

La Carta della Scuola non conteneva alcun riferimento alla libertà scolas/ca. L'ENIMS (Ente Nazionale
dell'Insegnamento Medio e Superiore), is/tuito nel 1938, mentre riconobbe alle scuole secondarie non
statali la parità di tra:amento giuridico, nei confron/ dei loro studen/, rafforzò il controllo ministeriale,
so;o il profilo amministra/vo, organizza/vo e sopra;u;o ideologico e educa/vo. Con la successiva legge
del 1942 sull'istruzione non statale arrivò a compimento quel processo di progressivo annullamento della
libertà scolas/ca. La libertà d'insegnamento e l’inizia/va non statale erano ammesse, a pa;o che le scuole
offrissero la garanzia di assolvere il loro compito in base alle esigenze dello Stato Fascista.
Al principio della libertà d'insegnamento, fu sovrapposto il conce:o di delega della sua funzione educa/va
che lo Stato concedeva a en/ pubblici o priva/, affinché questa potesse compiersi. Il proge;o di riforma
presentato dalla Carta della Scuola non poté essere realizzato a causa degli even/ bellici. L'unica riforma
a;uata fu l'is/tuzione della Scuola media che unificò le prime tre classi del ginnasio e degli is/tu/ tecnici e
magistrali. Alla scuola media si accedeva dopo la scuola elementare e il superamento di un esame di
ammissione. Le fu assegnato il compito di orientare a;raverso studi prevalentemente classico-umanis/ci, i
ragazzi più capaci, che avrebbero potuto proseguire gli studi nelle scuole secondarie superiori. La stru:ura
e i programmi erano simili a quelli del corso inferiore del ginnasio. Alla base del curricolo scolas/co vi era lo
studio del la/no. Per gli altri studen/ rimaneva la possibilità di frequentare la scuola di avviamento
professionale, alla quale si accedeva senza esame di ammissione e la cui frequenza era gratuita, anche se la
maggioranza dei ragazzi entrava dire;amente nel mondo del lavoro senza concludere l'obbligo scolas/co. Il
doppio canale forma/vo rimase in vigore fino all'is/tuzione della scuola media unica nel 1963.

6. MODERNIZZAZIONE E SVILUPPO DEMOCRATICO DELL’ISTRUZIONE NELL’ITALIA REPUBBLICANA


Nel periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale all’inizio degli anni ’70, la società italiana
distru:a dalle vicende belliche, conobbe un periodo di trasformazioni sul piano poli/co, demografico,
socioeconomico, culturale e scolas/co. Il passaggio dalla monarchia alla repubblica rappresentò il
passaggio dal modello autoritario del regime fascista ed elitario dell’Italia liberale, ad un sistema
democra/co aperto all’innovazione e al progresso. È il periodo storico conosciuto come boom economico.
Ci fu una crescita produGva interna, l’aumento del reddito delle famiglie, lo spopolamento delle zone
rurali e una forte crescita demografica data dall’allungamento dell’età media e dall’aumento della natalità.

6.1 La ricostruzione della scuola italiana


Dopo la caduta del fascismo nel 1943 e la formazione del nuovo governo Badoglio, il ministro della
pubblica istruzione Severi procede;e alla rimozione nelle is/tuzioni scolas/che e nei programmi di
insegnamento dei condizionamen/ ideologici e culturali impos/ dal regime. Il compito di procedere alla
defascis/zzazione del sistema scolas/co fu affidato a una so:ocommissione all’istruzione so;o la
direzione di Washburne, composta da pedagogis/ e insegnan/. Furono soppressi l’ENIMS, il libro di testo
unico dello Stato per la scuola elementare, la nomina governa/va dei re:ori e dei presidi di facoltà e tu;e
le norme dello stato giuridico degli insegnan/ che ne limitavano la libertà di insegnamento. Nel 1944 il
ministero riassunse la denominazione di Ministero della Pubblica Istruzione. L’azione più importante fu la
revisione dei programmi d’insegnamento di ogni ordine e grado: quelli per la scuola materna ed
elementare risultarono ispira/ dall’aGvismo pedagogico americano e dal movimento dell’educazione
nuova. I programmi si posero l’obieGvo di comba;ere l’analfabe/smo e formare le nuove generazioni
secondo un modello di ci:adinanza responsabile e democra/ca. I piani di studio per le scuole secondarie
si limitarono a una semplice opera di defascis/zzazione, con la soppressione degli insegnamen/ di cultura
militare. Nel 1945 i programmi furono approva/ dal ministro Ruiz e non subirono più modifiche. Quelli per
la scuola elementare furono sos/tui/ nel 1955, quelli per le scuole secondarie diventarono ufficiali nel
1952. L’impegno dei governi succedu/si dal 1946 agli anni ‘50 nei confron/ della ricostruzione materiale
della scuola registrò buoni risulta/: la scuola elementare era presente in quasi tu:e le località con i ragazzi
nell’età dell’obbligo. La piaga dell’analfabe/smo era ancora difficile da superare. Per debellarlo e diminuire
il fenomeno della disoccupazione magistrale, nel 1947 fu is/tuita la Scuola popolare, un’is/tuzione
des/nata agli allievi dai 12 anni in poi e che vedeva impegna/ come insegnan/ maestri non di ruolo. I corsi
di questa scuola erano di tre /pi: per analfabe/, semianalfabe/ e per aggiornamento culturale.

6.2 Il confronto su libertà e parità scolasMca nell’Assemblea cosMtuente


L’Assemblea cos/tuente, nata dalle elezioni del 2 giugno 1946, ebbe il mandato di elaborare la legge
fondamentale del nuovo Stato democra/co e repubblicano: la Cos/tuzione, in vigore dal 1° gennaio 1948.
I componen/ dell’Assemblea ritennero essenziale definire i diriG del ci:adino in merito all’educazione dei
figli e alla libertà di manifestare il proprio pensiero anche a;raverso l’insegnamento all’interno della scuola
statale o is/tuendo scuole autonome.
Gli ar/coli 33 e 34 hanno introdo;o un ordinamento misto tra due modelli alterna/vi. Nel primo modello
lo Stato considera l’istruzione un pubblico servizio essenziale e provvede a esso a;raverso i propri is/tu/.
Nel secondo modello l’inizia/va scolas/ca è lasciata alla libera inizia/va di soggeI pubblici o priva/,
riservando allo Stato unicamente la disciplina legisla/va e il controllo amministra/vo dei vari en/, al fine di
tutelare i diriG dei ci:adini nei confron/ di possibili illeci/. Tra ques/ due modelli l’ordinamento italiano ha
ado;ato una posizione intermedia, perme;endo la coesistenza delle scuole statali e private. Gli strumen/
pos/ a garanzia del sistema misto sono l’Esame di Stato, con il quale lo Stato controlla i risulta/ degli studi
compiu/ in ogni /po di scuola e garan/sce una parità di tra:amento; e il pareggiamento che riconosce agli
studi compiu/ presso is/tu/ di istruzione priva/ la stessa validità di quelli effe;ua/ negli is/tu/ statali.

Il testo dell’ar/colo 33, che definisce il rapporto tra scuola statale e non e il ruolo dello Stato nell’ambito
scolas/co-forma/vo, fu il risultato di una mediazione tra le posizioni del mondo laico e marxista e quello
liberista e ca:olico. Nella proposta presentata durante i lavori della prima so:ocommissione
dell’Assemblea cos/tuente, il deputato comunista Marchesi sostenne la tesi della supremazia dello Stato e
delle sue scuole. Al contrario, i democris/ani Aldo Moro e DosseG svilupparono le loro proposte sulla base
del diri:o-dovere della famiglia di provvedere all’educazione dei figli: i genitori devono poter liberamente
scegliere tra più opzioni forma/ve. Per favorire sia il pluralismo scolas/co, sia il diri:o alla libera scelta
educa/va dei genitori, Moro prevedeva la facoltà dello Stato di concedere sussidi alle scuole non statali,
che per il numero dei frequentan/ e il rendimento didaGco siano meritevoli dello sviluppo della cultura.
L’ar/colo 33 aveva posto la scuola statale in una situazione di centralità, in quanto ges/ta e finanziata
dire;amente dallo Stato, il quale de;a le norme generali sull’istruzione e controlla le scuole non statali,
unificando le funzioni di legislatore, amministratore e controllore. Nella formulazione di tale ar/colo le
scuole paritarie ebbero un ruolo marginale e precario, aggravato dalla mancanza di finanziamen/ cer/. Il
tra:amento degli studen/ fu riconosciuto corrispondente solo sul piano giuridico.

Nonostante i cos/tuen/ avessero rifiutato e condannato ogni forma di monopolio scolas/co statale, nei
faG ciò è avvenuto a causa dell’inferiorità e della subalternità a cui erano costre;e le inizia/ve scolas/che
non statali. All’interno dell’Assemblea cos/tuente il dibaGto sulla scuola fu monopolizzato dallo scontro
tra democris/ani e par// laici e di sinistra sul tema della libertà d’insegnamento. Invece, il tema
dell’insegnamento della religione ca:olica fu risolto a;raverso la cos/tuzionalizzazione del concordato del
1929, che aveva reso obbligatorio nella scuola tale insegnamento. Si verificò una concordanza nel momento
di tra;are ques/oni come il diri:o all’istruzione, obbligatoria e gratuita per almeno o:o anni e la
possibilità per i più capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi di con/nuare gli studi anche dopo la scuola
dell’obbligo, a;raverso l’erogazione di sussidi e borse di studio.

6.3 La poliMca scolasMca del centrismo degasperiano e la mancata riforma della scuola
Dopo aver sancito i principi cos/tuzionali sull’istruzione occorreva creare un sistema scolas/co coerente.
L’opera riformatrice dei governi guida/ da De Gasperi riuscì a dare risulta/ come il Piano per l’edilizia
popolare, l’is/tuzione della Cassa del Mezzogiorno, la riforma agraria e fiscale. La poli/ca scolas/ca dei
governi centris/, so;o la direzione del ministro Gonella (1946 – 1951), fu cara;erizzata da un lavoro di
ricostruzione e potenziamento delle stru:ure scolas/che, distru:e o danneggiate dalla guerra, e da
un’operazione di sensibilizzazione e coinvolgimento della società italiana finalizzata a realizzare una
riforma del sistema scolas/co in sintonia con i principi della Cos/tuzione e funzionale allo sviluppo
socioeconomico e civile della Repubblica italiana.

Nel 1947 Gonella is/tuì una Commissione Nazionale d’inchiesta per la Riforma della Scuola con il compito
di raccogliere proposte per il ripris/no dell’efficacia e serietà della scuola. I principali problemi su cui si
concentrarono furono quelli dell’analfabe/smo, dell’obbligo scolas/co e del riordinamento della scuola
secondaria inferiore. Nel 1948 si tenne a Roma un convegno sulla lo;a contro l’analfabe/smo, dove il
presidente del Consiglio, De Gasperi, dichiarò che circa due milioni di ragazzi non frequentava la scuola
dell’obbligo. Questo fenomeno dalle proporzioni preoccupan/ era causato dal disordine provocato dalla
guerra, dall’insufficienza della scuola di base e da mo/vi economici e sociali.
Nell’anno scolas/co 1945-1946 solo il 21% circa dei ragazzi tra gli undici e qua:ordici anni frequentava una
scuola secondaria inferiore. Del rimanente 79% la maggioranza non frequentava alcuna scuola frequentava
ancora le scuole elementari perché ripeten/, o perché non avevano la possibilità di completare l’obbligo
scolas/co in una scuola secondaria. Per sopperire alla mancanza in mol/ comuni di una scuola secondaria,
Gonella incoraggiò l’esperimento di corsi a cara:ere elementare per completare l’obbligo scolas/co. La
scuola postelementare, nell’intenzione del ministro, doveva cos/tuire, sopra;u;o per le popolazioni rurali,
un mezzo per rendere possibile l’adempimento dell’obbligo scolas/co per tuI i ragazzi e avrebbe offerto ai
maestri elementari la possibilità di una carriera più dignitosa e remunera/va. Le cause dell’evasione
scolas/ca furono individuate nell’inadeguatezza delle infrastru:ure scolas/che, nella mancanza in molte
scuole di tuI i corsi e nella povertà delle famiglie che sfru;ano i figli per guadagnare qualcosa.

L’ordinamento didaGco della scuola elementare era accusato di non essere in grado di rispondere alle
esigenze della fanciullezza e alle necessità della vita: vas/tà di programmi, verbalismo e mnemonismo,
mancanza di locali, arredi e sussidi didaIci, corsi incomple/, maestri imprepara/. Il ministro cos/tuì nel
1949 una commissione ministeriale che elaborò un Disegno di Legge che comprendeva tu;a la stru:ura
scolas/ca dalla scuola materna all’università, nei vari aspeI organizza/vi, amministra/vi, occupandosi
anche dell’edilizia e dell’assistenza scolas/ca. Il Disegno di Legge approvato dal Consiglio dei ministri nel
1951 ma non fu discusso alla Camera e decadde con la fine della legislatura De Gasperi nel 1953.

6.4 La riforma dell’istruzione di base e la scuola media unica


Il nuovo ministro Segni, abbandonata ogni ambizione riformatrice preferì impostare l’azione governa/va
sulla ges/one ordinaria e con/nuare a rafforzare la presenza della scuola elementare. Negli anni ‘70
l’edilizia scolas/ca registrò un notevole miglioramento rispe;o alla situazione di partenza seppur si
verificarono situazioni par/colari come doppi turni, sovraffollamento delle classi o la loro collocazione in
ambien/ non idonei. Sul piano pedagogico-didaGco nel 1955 il ministro Ermini provvide a riformare i
programmi della scuola elementare, introducendo alcune novità anche sul piano organizza/vo. Si cercò di
trovare una mediazione tra l’aGvismo deweyano e il personalismo ca:olico, facendo riferimento al
modello pedagogico democra/co di Sergej Hessen, venne introdo;o il metodo globale di Decroly e
lasciato spazio all’innovazione e alla sperimentazione. So;o il profilo organizza/vo i programmi proposero
l’introduzione di una nuova ar/colazione della scuola elementare per cercare di ridurre il fenomeno
dell’insuccesso scolas/co e delle bocciature. La scuola elementare fu ar/colata in due cicli, il primo
comprendente le classi prima e seconda, il secondo le classi terza, quarta e quinta.

Ques/ programmi erano estesi anche ad un is/tuendo terzo ciclo, formato dalle classi sesta, seGma e
o:ava per legiImare la presenza della scuola postelementare, accanto alla media e all’avviamento.
Il ministro successivo, Rossi, con una circolare autorizzò l’is/tuzione delle classi postelementari in tu;e le
località dove non era presente la scuola di avviamento e ci fosse un numero sufficiente di alunni dagli 11 ai
14 anni. Ma questa scuola non ebbe il favore delle famiglie né riuscì a risolvere il problema dell’evasione
dell’obbligo. La proposta di is/tuire un terzo canale trovò opposizione anche da parte delle associazioni
degli insegnan/ medi. Per trovare una soluzione il ministro is/tuì una Commissione ministeriale per la
scuola dagli 11 ai 14 anni che chiedeva l’is/tuzione di una scuola unitaria, ar/colata dalla presenza di
insegnamen/ opzionali, tra cui il la/no. Non ebbe seguito a causa della fine della legislatura nel 1958.

La necessità di potenziare e riformare il sistema scolas/co fu colta dal nuovo governo con a capo Fanfani.
Nel 1958 con il ministro della Pubblica Istruzione, Aldo Moro, fu approvato il piano decennale per lo
sviluppo del sistema scolas/co, finalizzato a dare risposte concrete alla maggiore richiesta di
scolarizzazione e ad assecondare lo sviluppo e la modernizzazione economica della società italiana.
Tu;avia, il piano, per quanto riguardava la fascia della scuola dell’obbligo per gli alunni dagli 11 ai 14 anni,
consolidava il sistema tripar/to tra media, avviamento e postelementare. Il ministro successivo, Medici,
propose come soluzione una scuola unitaria, ar/colata in sezioni (umanis/ca, tecnica, ar/s/ca e normale).
In seguito a diverse cri/che, nel 1960 presentò una seconda proposta di scuola media unica, dove a par/re
dal secondo anno, si poteva scegliere una materia opzionale tra la/no, osservazioni scien/fiche,
esercitazioni ar/s/che e applicazioni tecniche, che avrebbe condizionato il proseguimento degli studi.
La Legge fu approvata nel 1962, con qualche modifica rispe;o al Disegno di Legge Medici. La nuova scuola
media si dis/ngueva per la presenza di un unico percorso con un nucleo di insegnamen/ uguali e con
alcune materie opzionali, con cara:ere orienta/vo, che non pregiudicavano le scelte scolas/che
successive. Per dare a tuG i ragazzi la possibilità di completare l’obbligo scolas/co, la legge previde la
gratuità dell’iscrizione e della frequenza, is/tuire la scuola media in tuI i comuni con più di 3.000 abitan/
classi di aggiornamento e l’aIvità di dopo scuola. La scuola era chiamata a compensare i divari di partenza
fra alunni provenien/ da diversi ambien/ sociali e far superare difficoltà di sviluppo. Tali innovazioni
determinarono un aumento della popolazione scolas/ca e una diminuzione di ripeten/ e abbandoni.

Con la riforma della scuola media, le a;enzioni della poli/ca scolas/ca si spostarono nei confron/
dell’istruzione secondaria superiore, dove incominciarono ad arrivare i diploma/ della scuola media unica.
Alla fine degli anni ‘60 emerse il problema di adeguare anche l’istruzione secondaria superiore ai principi e
alle strategie pedagogiche e culturali introdo;e con la scuola media unica.

6.5 L’istruzione infanMle e la scuola materna statale


Per quanto riguarda l’istruzione infan/le ci fu un importante cambiamento nei programmi: venne
abbandonata l’idea di estendere l’obbligo scolas/co anche alla scuola materna, venne abolita la
prospeIva di cara:ere assistenzialis/co e rifiutata l’egemonia educa/va dello Stato poiché si prevedeva
che le scuole dovessero collaborare con le famiglie, riconoscendo loro il primato del diri:o educa/vo. La
scuola doveva andare incontro ai reali bisogni dei bambini basando il loro apprendimento sull’esperienza.
Tu;avia, la necessità di comba;ere l’analfabe/smo e ripris/nare l’organizzazione e la funzionalità
dell’istruzione elementare determinò a livello governa/vo negli anni ’40 e ’50 un minore interesse e
intervento nel se;ore dell’istruzione infan/le, lasciato interamente all’inizia/va degli en/ locali e priva/.

In questo periodo ci fu un approfondimento sulle finalità e impostazioni metodologico- didaGche


dell’istruzione infan/le. Nel 1947, con il ritorno in Italia della Montessori, fu ricostruita l’Opera Nazionale
Montessori. L’ente riprese l’opera di diffusione del pensiero montessoriano e formazione delle insegnan/.
Il metodo delle sorelle Agazzi, ado;ato dal 74% delle scuole materne, fu diffuso dal Centro di Pedagogia
dell’infanzia, fondato a Brescia nel 1949. Il ministero intervenne a favorire lo sviluppo pedagogico e la
qualificazione delle insegnan/ a;raverso la cos/tuzione nel 1950 del Centro DidaGco Nazionale per la
Scuola Materna. Una ro:ura con la tradizione scolas/ca fu risolta con l’emanazione nel 1958 degli
Orientamen/ per l’aGvità educa/va della scuola materna. I nuovi programmi volevano riconoscere
l’autonomia dell’istruzione infan/le e presentarsi come linee indica/ve di sviluppo dell’aGvità didaGca.
Sul rapporto scuola-famiglia, il nuovo testo rimarcava la necessità di instaurare un rapporto di con/nuità e
collaborazione tra le due. Il testo dei programmi a;ribuiva molta importanza al gioco e al fare, intesi come
condizioni e mezzi dello sviluppo infan/le e ribadiva che la scuola materna non può an/cipare
l’insegnamento del leggere, dello scrivere e del calcolo.

L’incremento demografico di quegli anni, l’espansione dell’occupazione femminile, l’urbanesimo etc.


determinarono un aumento della domanda di scolarizzazione infan/le che la preesistente rete di scuole
materne non era in grado di soddisfare. Nel 1968 con il ministro Gui, dopo una serie di vicende
parlamentari che causarono anche una crisi di governo, fu is/tuita la Scuola materna statale da affiancare a
quelle comunali e autonome, non in loro sos/tuzione come invece voleva la sinistra social comunista. La
legge prevedeva contribu/ des/na/ alla costruzione di edifici per le scuole materne a favore degli en/ che
se ne occupavano e sussidi per il loro mantenimento e la loro diffusione. La nuova Legge ribadì che la
scuola materna, la cui frequenza non era obbligatoria, aveva fini di educazione, assistenza e preparazione
alla scuola dell’obbligo, da integrare al lavoro delle famiglie, raggiungendo un equilibrio tra chi intendeva la
scuola materna come il primo grado del sistema scolas/co e chi sosteneva l’autonomia educa/va della
famiglia. Nel 1969 furono emana/ i nuovi Orientamen/, i quali tenevano conto dei mutamen/ sociali e
culturali e dei bisogni del bambino il cui compito della scuola era soddisfarli. I bisogni di autonomia, di
fare, di movimento, di fantasia, di esplorazione, di comunicazione e socializzazione dovevano essere
soddisfaI mediante gli adegua/ spazi, progeG e aGvità didaGche finalizzate. Dal 1978 venne data la
possibilità di insegnare anche al personale insegnante maschile e introdoI due insegnan/ per sezione.
6.6 La riprofessionalizzazione dell’isMtuto magistrale
Dopo la caduta del regime fascista, il ministro Severi ripris/nò l’impianto scolas/co della riforma del 1923.
La formazione dei maestri fu un passaggio obbligato per rinnovare l’istruzione popolare per De Ruggeri.
Oltre al miglioramento della loro condizione economica e giuridica, si riteneva indispensabile rivedere il
sistema di formazione e reclutamento dei futuri maestri. L’is/tuto magistrale, secondo il ministro, si è
dimostrato una bru:a copia del liceo classico. I neo-maestri ne uscivano privi di una precisa formazione
magistrale, conoscenza di psicologia infan/le ed esperienza didaGca. Era dunque necessaria una riforma
radicale che prevedeva: l’estensione della durata del corso a 5 anni, il ripris/no del /rocinio, la sos/tuzione
del la/no con una lingua moderna e l’orientamento del piano di studio da parte di una pedagogia concreta
fondata sull’esperienza. Nel 1944 fu messo a punto il nuovo piano di studi per l’is/tuto magistrale,
lasciando immutata la stru:ura, formata da un corso superiore quadriennale al quale si accedeva dopo tre
anni di scuola media. Il piano di studi non andò oltre un’opera di defascis/zzazione con la soppressione
degli insegnamen/ di cultura militare e fascista.

Con l’anno scolas/co 1945-1946 entrarono in vigore i nuovi programmi, la cui principale novità era data
dall’introduzione dell’insegnamento della psicologia come materia autonoma, limitata alle classi seconda e
terza e affidata al professore di Filosofia e Pedagogia, il quale poteva scegliere fra due metodi: storico e
sistema/co seppur gli argomen/ e gli autori propos/ fossero gli stessi. Durante le esercitazioni didaGche
gli studen/ si sarebbero limita/ a osservare la realtà scolas/ca e rifle:ere sulle lezioni svolte. Per evitare di
ricadere nel sistema del vecchio /rocinio delle scuole normali, il ministero raccomandò che le esercitazioni
didaGche si limitassero a un’assistenza dire:a alle lezioni del maestro da cui prendere spunto per una
discussione cri/ca di ciò che si è osservato.

Il Disegno di Legge presentato da Gonnella prevedeva l’is/tuzione di un liceo pedagogico quinquennale, in


cui la cultura umanis/ca scien/fica, comprendente l’insegnamento del la/no, si armonizzasse con gli studi
didaGco professionali e le esercitazioni di /rocinio. Il diploma, oltre ad abilitare all’insegnamento nella
scuola elementare, avrebbe permesso l’iscrizione alla facoltà di Pedagogia. Decaduto il Disegno di Legge, il
ministro Segni ne riconfermò gli orari e i programmi. Nel 1958 venne ripreso da Moro il proge;o di riforma
della scuola secondaria superiore che si limitò a riprendere la proposta di portare la durata dell’is/tuto
magistrale a cinque anni. Tale proposta fu confermata anche dal suo successore, Medici, il quale prevedeva
un rafforzamento del /rocinio e dello studio della pedagogia e della psicologia.

7. LA SCUOLA ITALIANA DALLA PRIMA ALLA SECONDA REPUBBLICA TRA INNOVAZIONI E INERZIE
Durante gli ul/mi trent’anni del XX secolo ci furono profondi cambiamen/ sociali, economici, culturali e
is/tuzionali che hanno messo in crisi i tradizionali asseG scolas/ci. Le riforme scolas/che degli anni ’60
permisero l’affermazione anche in Italia della scuola di massa che a par/re dal periodo della contestazione
studentesca si occupò dello sviluppo dell’istruzione superiore e universitaria, non più considerate un
se:ore elitario. Sono due i fenomeni che hanno condizionato le scelte di poli/ca e istruzione di base di
questo periodo: il primo è la contrazione demografica; il secondo è il processo di integrazione europea e la
maggiore influenza sulle scelte educa/ve nazionali di modelli e linee a livello internazionale.

7.1 La scuola dell’obbligo dal 1968 alla Riforma Mora^


Con l’is/tuzione della scuola media e della scuola materna statale, si delineò la creazione di un percorso
unitario per tuI i bambini e i ragazzi dai 3 ai 14 anni. La scuola secondaria superiore, dove si sviluppò il
movimento della contestazione studentesca, rimase ar/colata nei diversi indirizzi liceale, magistrale,
tecnico, professionale e ar/s/co. Il governo a;uò solo due provvedimen/ parziali: la riforma dell’esame di
maturità e la liberalizzazione degli accessi universitari.

Nel 1969 venne proposto il prolungamento dell’obbligo scolas/co al sedicesimo anno di età, la
trasformazione in una stru:ura unitaria e la de professionalizzazione dell’istruzione secondaria superiore e
l’inizio della scuola dell’obbligo a cinque anni. Agli insegnan/ era richiesta una preparazione scien/fica e
un adeguato /rocinio. Infine, si auspicava lo sviluppo delle sperimentazioni pedagogico didaGche.
Tu;avia, nel corso degli anni ’70 e ’80, nessun proge:o di riforma della scuola secondaria superiore diventò
legge. Nel 1988 il ministro Galloni nominò una commissione con il compito di redigere i nuovi programmi
per la scuola secondaria superiore, presenta/ nel 1994. A par/re da quegli anni, in molte scuole iniziarono
ad essere a;uate sperimentazioni autorizzate dal ministero. La riforma dell’istruzione secondaria si realizzò
solo nel 2003 con la Legge MoraG e le successive integrazioni dei successori Fioroni e Gelmini.

La scuola dell’obbligo registrò importan/ innovazioni di cara:ere pedagogico didaGco con l’intento di
creare una scuola più inclusiva per tuI. Tali innovazioni furono favorite dal fenomeno di deconges/one
della scuola elementare e media, causato dalla contrazione della natalità dagli anni ’60 agli anni’80.

Nel 1971 furono introdo;e alcune innovazioni nell’organizzazione didaGca della scuola elementare.
A;raverso la formulazione di aGvità integra/ve e di insegnamen/ speciali, fu resa possibile la
realizzazione di un nuovo modello didaGco organizza/vo come risposta ad emergenze sociali e culturali:
la sperimentazione di una scuola a tempo pieno, condo;a dagli insegnan/ di ruolo.

Negli anni ‘60 si era inoltre verificato un aumento di alunni portatori di handicap o con difficoltà di
apprendimento inseri/ in scuole speciali o in classi differenziali. La maggioranza di ques/ alunni
apparteneva a famiglie di precarie condizioni economico-sociali, in genere di recente immigrazione. DifaI,
relazionandosi col nuovo ambiente socioculturale, ques/ ragazzi manifestavano difficoltà di inserimento e
ritardi psichici e intelleGvi. A par/re dal 1970, dopo un dibaGto sugli aspeG e sui condizionamen/
educa/vi e sociali delle classi differenziali, prevalse la loro abolizione e l’inserimento degli alunni nelle
classi normali come previsto dalla legge del 1971 sugli invalidi civili, salvo i casi in cui venga impedito o reso
difficoltoso l’apprendimento. La legge 517 prevedeva l’inserimento e l’integrazione nelle classi normali
degli alunni portatori di handicap con la prestazione di insegnan/ specializza/ di sostegno. La legge inoltre
abolì i tradizionali vo/ numerici e le pagelle, sos/tui/ rispeIvamente da giudizi e schede di valutazione.
Furono aboli/ anche gli esami di passaggio dal primo al secondo ciclo della scuola elementare.

Nel 1977 fu eliminato dal piano di studi della scuola media l’insegnamento del la/no. I nuovi programmi
della scuola media, emana/ nel 1979, furono adegua/ alle nuove finalità di conseguire una preparazione
culturale di base uguale per tuI. Oltre a so;olineare l’importanza di perseguire l’unità dei metodi e di
affrontare lo studio con un approccio interdisciplinare, le discipline furono ar/colate nelle qua:ro aree:
linguis/ca, antropologica, scien/fica ed espressiva.

Per provvedere nella scuola elementare alla sos/tuzione dei programmi del 1955, nel 1981 il ministro
Bodrato formò una commissione ministeriale con l’incarico di me;ere a punto le linee fondamentali e
generali dei nuovi programmi. Il testo defini/vo, fa;o pubblicare nel 1985 dal ministro Falcucci, portava
numerose innovazioni nella stru:ura didaGca della scuola elementare, come il superamento della figura
del maestro unico, l’introduzione di nuove discipline (lingua straniera, informa/ca etc.) e il prolungamento
dell’orario. I programmi prevedevano il seguente curricolo: lingua italiana, lingua straniera, matema/ca,
scienze, storia, geografia, studi sociali, religione, educazione all’immagine, educazione alla musica e
educazione motoria. Questo modello di scuola ha come scopo la formazione dell’uomo e del ci:adino e
perme;e lo sviluppo della personalità del fanciullo e la prima alfabe/zzazione culturale. I nuovi programmi
entrarono in vigore nell’anno 1987-88, ma le loro riforme furono approvate nel 1990.

La legge di riforma dell’ordinamento della scuola elementare, oltre a riaffermare la con/nuità educa/va
con la scuola materna e la scuola media, fissò a 25 il numero massimo di alunni per classe (20 per le classi
con alunni portatori di handicap), portò a 27 le ore seGmanali di studio, elevabili fino ad un massimo di 30
e organizzò l’aGvità didaGca secondo moduli cos/tui/ prevalentemente da tre insegnan/ su due classi.
Ciò permise una specializzazione didaGco-disciplinare del corpo docente. Venne is/tuito un corso di
laurea quadriennale per la formazione e abilitazione all’insegnamento nella scuola materna e elementare.
Il Testo unico sulla scuola del 1994 mise insieme le leggi e le norme degli anni preceden/ (scuola media nel
1962, scuola materna nel 1968, scuola elementare nel 1990), per fonderle in un corpo unico, limitandosi ad
eliminarne le incongruenze. La legge di riforma dei cicli scolas/ci del 2000, ad opera di Berlinguer, elevava
l’obbligo scolas/co a nove anni e faceva terminare gli studi secondari al dicio:esimo anno di età. Per
accorciare il percorso scolas/co che conduceva alla maturità, fu tolto un anno nell’istruzione di base,
unificando scuola elementare e media inferiore in una Scuola di base della durata di se:e anni, che si
sarebbe conclusa con un esame di Stato. Alla scuola di base seguiva quella secondaria quinquennale,
ar/colata nelle aree classico-umanis/ca, scien/fica, tecnica e tecnologica, ar/s/ca e musicale, ripar/te in
indirizzi che assumevano la denominazione di Licei. La scuola secondaria era suddivisa in un biennio e in un
triennio. La Legge Berlinguer ebbe for/ opposizioni, sopra;u;o per la scuola di base unificata, a causa
dell’eterogeneità del corpo docente delle due scuole.

Dopo le elezioni del 2001, il nuovo ministro MoraG, ri/rò i provvedimen/ del suo predecessore e incaricò
il docente Bertagna di elaborare un nuovo proge:o di riforma. La nuova legge ar/colò il sistema scolas/co
in due cicli: il primo ciclo comprendeva la scuola dell’infanzia (triennale e non obbligatoria), la scuola
primaria quinquennale e la scuola media inferiore triennale; il secondo ciclo comprendeva il sistema dei
licei quinquennali, di competenza statale, e quello dell’istruzione e della formazione professionale, di
competenza regionale. Nella scuola primaria furono introdo;e due novità: la prima era la possibilità di
iniziare la scuola anche a cinque anni e mezzo; la seconda era la soppressione dell’esame di licenza dopo la
quinta elementare. Infine, per tuI gli ordini scolas/ci i programmi d’insegnamento sono sta/ sos/tui/
dalle indicazioni nazionali ministeriali.

7.2 Il sistema integrato di istruzione infanMle


La scuola materna statale fu is/tuita alla fine degli anni ’60 per rispondere alla crescente domanda di
istruzione infan/le che non riusciva più ad essere soddisfa;a dalle scuole non statali. L’aumento delle
richieste di scolarizzazione infan/le era dovuto dalla maggiore natalità, dallo sviluppo industriale e
dall’espansione dell’occupazione femminile. Ma mentre la scuola materna statale stava diventando un
organico sistema con precisi indirizzi sostenuto economicamente dallo Stato, le scuole non statali stavano
diventando sempre meno efficien/ e non ricevevano più un sostegno economico adeguato. Il declino delle
scuole non statali, dal cara;ere assistenziale e carita/vo, avvenne principalmente perché le famiglie
volevano che i loro figli frequentassero una scuola che contribuisse alla loro formazione e al loro sviluppo
culturale. Si procede;e dunque ad una progressiva espansione della scuola statale anche in quelle zone
dove erano già presen/ e sufficien/ le scuole non statali. Questa situazione che minacciava l’es/nzione
delle scuole materne ca:oliche fece emergere la necessità di cos/tuire una federazione nazionale che
affrontasse le problema/che delle scuole materne autonome. Così nel 1973 la Conferenza episcopale
cos/tuì un organismo rappresenta/vo nazionale delle scuole dipenden/ dall’autorità ecclesias/ca, con il
compito di coordinare tu;e le scuole materne non statali. Nel 1974 fu fondata a Roma la Federazione
Italiana Scuole Materne con la finalità di assicurare a tali scuole assistenza e rappresentanza. L’aumento
dei cos/, determinato in parte dalla sos/tuzione del personale religioso con quello laico, misero molte
scuole autonome di fronte a una scelta: adeguare le re:e scolas/che ai cos/ reali di ges/one facendo
perdere alle scuole il loro tradizionale cara;ere di is/tuzioni popolari o trasferire la ges/one della scuola
allo Stato. Per evitare la chiusura di molte scuole fu sviluppato il sistema delle convenzioni per aiutare i
gestori a mantenere il pareggio dei bilanci e le re;e scolas/che a livelli popolari.

La Dichiarazione dei diriG del bambino del 1959 e la Convenzione sui diriG dell’infanzia del 1989
cos/tuirono la base su cui si sono sviluppa/ i nuovi Orientamen/ per la scuola materna del 1991. Ques/
ul/mi favoriscono l’acquisizione di capacità e competenze espressive, comunica/ve, logiche e opera/ve
assieme alla maturazione della dimensione affeIva, morale e comunitaria della personalità dei bambini.

La riforma MoraG del 2003 ha permesso all’istruzione infan/le di passare da una posizione carita/vo
assistenziale a un modello educa/vo in cui i diriG del bambino sono la finalità prioritaria. La stessa nuova
denominazione ufficiale ‘’scuola dell’infanzia’’ richiama l’autonomia della scuola, la centralità educa/va e
sopra;u;o la specificità e irriducibilità dello sviluppo fisico e intelleIvo di ogni bambino.
7.3 Nuovo concordato e insegnamento della religione ca[olica
Nel 1943, il Governo militare alleato aveva fa;o distribuire un programma provvisorio per le scuole
elementari con l’intento di introdurre in Italia gli indirizzi pedagogici dell’aGvismo anglosassone. Ma,
poiché il documento vietava l’insegnamento della religione, ci furono proteste da parte dell’episcopato che
fece ri/rare i programmi. In quelli del 1945 la religione venne invece inserita tra le materie obbligatorie.
Con l’is/tuzione nel 1968 della scuola materna statale, la centralità della religione ca:olica fu messa in
discussione, a par/re dagli Indirizzi generali dei nuovi Orientamen/. L’insegnamento religioso assumeva la
funzione di educazione verso un sen/mento religioso improntato sul rispe:o delle varie forme religiose.

Con la revisione nel 1984 del Concordato, a;uata dal governo Craxi, l’insegnamento della religione
ca:olica subì una risistemazione all’interno delle scuole statali di ogni ordine e grado, escluse quelle
superiori e universitarie. A par/re dal 1975 iniziò una tra:a/va tra una delegazione del governo italiano e
una della Santa Sede. Le problema/che erano molteplici, ma in par/colare riguardavano il riconoscimento
dei diriG delle scuole ca:oliche e l’insegnamento della religione nelle scuole statali. Si arrivò, dopo anni,
ad un compromesso. Il nuovo concordato del 1984 stabilì che la religione ca:olica non era più religione di
Stato e affermò che la Repubblica italiana e la Santa Sede ritengono lo Stato e la Chiesa realtà indipenden/.

I problemi scolas/co-educa/vi furono tra;a/ in due par/. Nella prima fu ribadita la libertà della Chiesa di
is/tuire proprie scuole e il riconoscimento agli alunni di un tra:amento scolas/co equipollente a quello
degli alunni delle scuole statali. Nella seconda fu tra;ato il problema dell’insegnamento della religione,
risolto con un compromesso tra la norma/va passata e le nuove esigenze: è garan/to a ciascuno il diri:o di
scegliere se avvalersi dell’insegnamento della religione ca:olica nelle scuole pubbliche. La scelta degli
insegnan/ di religione non cambia: possono insegnare i docen/ ritenu/ idonei dall’autorità ecclesias/ca.

Nel 1985 fu firmata un’apposita intesa tra il ministro Falcucci e PoleG, il presidente della Conferenza
Episcopale Italiana, sui programmi di insegnamento della religione ca:olica, l’organizzazione
dell’insegnamento, la scelta dei libri di testo e la qualificazione professionale degli insegnan/.

7.4 La formazione universitaria dei maestri


Fino agli anni ’70 le proposte di portare a livello universitario la formazione degli insegnan/ di elementari
e materna non furono considerate, iniziarono ad esserlo quando si vollero de professionalizzare le scuole
secondarie superiori. In quegli anni il ministro Misasi propose, senza successo, l’estensione a cinque anni
degli is/tu/ magistrali. Nel 1990, con la legge sui nuovi ordinamen/ universitari fu prevista l’is/tuzione di
un corso di laurea quadriennale per la formazione e l’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna
ed elementare. Dopo sei anni, ne fu messo a punto l’ordinamento didaGco e il corso fu denominato
“Scienze della formazione primaria”. Fu ar/colato in un biennio comune e uno successivo con due
indirizzi: uno abilitava all’insegnamento nella scuola primaria, l’altro nella scuola dell’infanzia. Oltre al
superamento degli esami, il piano di studio comprendeva la frequenza obbligatoria di aIvità di laboratorio
e il /rocinio. Conseguita la laurea per l’indirizzo prescelto, frequentando un quinto anno lo studente
poteva laurearsi anche nel secondo indirizzo. Si poteva conseguire anche l’abilitazione per il sostegno agli
alunni disabili, frequentando e sostenendo nel secondo biennio alcuni esami aggiun/vi. Dall’anno
scolas/co 1998-99 furono soppressi i corsi degli is/tu/ magistrali e nell’anno 2011-12 il corso è stato
trasformato in quinquennale a ciclo unico, abilitando l’insegnamento sia nella scuola d’infanzia, sia nella
primaria, mentre l’abilitazione al sostegno può essere conseguita in un corso speciale post-laurea.

7.5 La svolta di fine secolo: autonomia e parità scolasMca


Nel 1951 il ministro Gonnella stabilì che la parità prevista dalla Cos/tuzione superava il modello della
concessione statale, ma rimaneva compito dello Stato riconoscere e regolamentare il diri;o dei ci:adini ad
is/tuire scuole. Negli anni furono presentate alcune proposte di a;uazione della parità scolas/ca e di
regolamentazione della scuola non statale. Le forze laiche o di sinistra puntavano sulle condizioni
organizza/ve e qualita/ve, sulla tutela giuridico economica degli insegnan/. Gli esponen/ democris/ani
prevedevano la possibilità di finanziamen/ verso studen/ e scuole.
All’inizio degli anni ’60 si tentò di risolvere il problema della parità scolas/ca all’interno dei lavori della
commissione di indagine sulla scuola is/tuita nel 1962 e presieduta dal ministro Ermini, da cui emersero
cinque posizioni contrastan/. I commissari democris/ani proponevano il finanziamento dire:o delle
scuole paritarie, mentre ne erano contrari i socialis/ poiché la legge sulla parità doveva limitarsi a garan/re
l’equità del tra:amento economico e giuridico degli insegnan/ e la democra/cità dell’amministrazione
interna a;raverso il controllo dello Stato. Un compromesso fu trovato dai commissari ca:olici liberali
favorevoli al sostegno finanziario dello Stato ma condizionato ad una regolamentazione democra/ca del
funzionamento organizza/vo e amministra/vo della scuola paritaria. I commissari del Par/to Comunista
insistevano su una maggiore presenza della scuola statale nei se;ori dell’istruzione infan/le, professionale
e magistrale. Infine, i liberali ribadivano il divieto cos/tuzionale di finanziamen/ direG alle scuole non
statali, ma erano disponibili verso quelli indireG agli studen/ a;raverso borse di studio.

Il fallimento delle poli/che scolas/che e il deterioramento della qualità dell’istruzione furono causa/ dalla
centralizzazione e burocra/zzazione della scuola che aveva tolto ai genitori il loro diri:o di scelta e
controllo sull’educazione dei figli. Era dunque necessario introdurre nel campo dell’istruzione lo stesso
criterio della libera concorrenza per garan/re efficienza, progresso e tutelare la libertà dei consumatori.
Si arrivò così alla conclusione che l’inefficienza della scuola italiana fosse da a;ribuire alla diffidenza dello
Stato verso l’inizia/va delle realtà che non riesce a controllare dire:amente.

Nel 1986 il Par/to socialista propose di risolvere il problema del rapporto tra istruzione pubblica e privata
con l’introduzione dei ‘’buoni studio’’ e del finanziamento dire:o delle scuole paritarie. A par/re dalla fine
degli anni ’80 venne proposto di cos/tuire un sistema pluralista di scuole, statali e non, dotate di
autonomia organizza/va, finanziaria e pedagogica, per rendere più flessibile e funzionale il sistema
scolas/co nel suo complesso, garan/re a tuI i ci:adini la libertà di scelta educa/va e rispondere alla crisi
del modello di partecipazione democra/ca della scuola. Tale legge entrò in vigore nel 1997.

A questo punto rimaneva rendere effeGva la parità scolas/ca. Le proposte erano molteplici:
• Finanziamento dire;o delle scuole statali e non, che si uniformano al modello organizza/vo,
pedagogico e didaIco statale;
• Convenzione economica fra ente pubblico e scuole ritenute idonee a svolgere un servizio pubblico;
• Detassazione, so;o forma di credito d’imposta, che si applica sull’ammontare dell’imposta dovuta,
la quale è decurtata di tu;a o di una parte delle spese scolas/che;
• Buono scuola non negoziabile con un valore corrispondente alla spesa media per l’iscrizione e la
frequenza della scuola.

Le prime due soluzioni danno allo Stato un ruolo preminente e la discrezionalità nei confron/ delle scuole
da amme;ere al sistema paritario, le altre due danno ai ci:adini il potere di scegliere e giudicare le scuole.

Dal dibaGto avvenuto all’interno del mondo ca:olico emerse che l’educazione è una responsabilità della
società prima che dello Stato, per cui tale diri:o non deve essere assicurato solo dalle is/tuzioni statali ma
anche da altre agenzie educa/ve pubbliche e private.

Nel 1996 il ministro Berlinguer nominò una commissione con il compito di formulare un documento sulla
parità scolas/ca. La parità scolas/ca fu approvata dal Parlamento nel 2000. La legge ha dichiarato che il
sistema pubblico nazionale d’istruzione è cos/tuito da scuole statali e paritarie private o degli en/ locali e
garan/sce a queste ul/me la libertà sul piano dell’orientamento culturale e dell’indirizzo pedagogico
didaGco, con l’obbligo di accogliere tuI coloro che ne chiedono l’iscrizione. Dunque, per il riconoscimento
della parità le scuole devono possedere alcuni requisi/: un proge:o educa/vo in armonia con la
Cos/tuzione; l’is/tuzione di organi collegiali democra/ci; il possesso da parte degli insegnan/ del /tolo di
abilitazione all’insegnamento e l’applicazione dei contraG colleGvi nazionali di lavoro. Tu;avia, la legge
non ha riconosciuto la piena parità economica e si è limitata ad incrementare gli stanziamen/ già previs/
per le scuole parificate e ad erogare agli alunni borse di studio.
7.6 Conclusione. Scuola, canMere sempre aperto
Dopo la legge MoraI del 2003, il sistema scolas/co italiano non è più stato ogge;o di significa/ve riforme,
ma solo di aggiustamen/ o interven/ nei casi di situazioni determinate da fenomeni extrascolas/ci. La crisi
economica del 2008 e le richieste della Comunità europea di introdurre provvedimen/ vol/ alla riduzione
della spesa pubblica hanno penalizzato il sistema scolas/co a;raverso l’introduzione dei ‘’tagli lineari’’. Si è
proceduto a una riorganizzazione della rete scolas/ca a;raverso l’accorpamento delle sedi, la riduzione dei
servizi amministra/vi e del rela/vo personale, la riduzione degli orari d’insegnamento e delle supplenze.

Nel 2015 è stato predisposto un programma denominato ‘’La buona scuola’’ che ha consen/to l’immissione
in ruolo di precari senza passare a;raverso il sistema dei concorsi e ha introdo;o novità come la valutazione
degli insegnan/, nuovi sistemi di formazione e reclutamento, l’alternanza scuola lavoro, il potenziamento di
alcune discipline etc.

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