Pietro Pierantoni
Le donne di Israele
L’emancipazione femminile
nell’Antico Testamento
presentazione:
Ferruccio Ceragioli
prefazione:
Emanuela Buccioni
postfazione:
Claudio Micaelli
nota conclusiva:
+ Douglas Regattieri
Edizioni San Lorenzo
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Prima edizione ottobre 2021
Stampato per conto di Edizioni San Lorenzo
su carte e con inchiostri ecologici
da Centro Stampa SLE - Reggio Emilia
progetto grafico: StudioForte - Reggio Emilia
«Una donna valorosa è la gioia del
marito, egli passerà in pace i suoi anni»
Sir 26,2.
«Senza il sorriso delle donne,
il mondo sarebbe eternamente buio»
Fabrizio Caramagna
Le donne di Israele
Presentazione
L’ Evangelii Gaudium, il documento programmatico del
pontificato di papa Francesco, al numero 103 riconosce la que-
stione femminile come una delle grandi sfide che la Chiesa
si trova a dover affrontare nel nostro tempo. Se da una par-
te «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna
nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capa-
cità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne
che degli uomini», dall’altra «c’è ancora bisogno di allargare
gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa.
Perché “il genio femminile è necessario in tutte le espressioni
della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza
delle donne anche nell’ambito lavorativo” e nei diversi luoghi
dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa
come nelle strutture sociali» (103). Se è vero che alcuni passi
in questa direzione sono stati fatti, per esempio ci sono donne
che rivestono ruoli di primaria importanza in alcuni dicasteri
vaticani, resta però almeno altrettanto vero, al di là della reto-
rica dei luoghi comuni e del politicamente corretto, che siamo
solo ancora all’inizio di un cammino che possa condurre a una
piena valorizzazione della donna nella società e nella Chiesa.
Questo cammino richiede fantasia e creatività, sensibilità e
intelligenza, ma richiede anche di sapersi confrontare in modo
nuovo con la ricchezza delle Scritture che fondano la nostra
fede. Ormai un buon numero di studi e ricerche sono stati
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Pietro Pierantoni
fatti su Gesù e il suo rapporto con le donne, o sulle donne nelle
comunità del Nuovo Testamento, e tali studi hanno arricchito
notevolmente il nostro sguardo sulla presenza femminile nel
movimento gesuano e nella Chiesa delle origini. Forse, invece,
il capitolo relativo alle donne dell’Antico Testamento, alla loro
presenza e al loro ruolo nelle vicende della storia di Israele, pur
non essendo privo di contributi, richiede ancora un maggio-
re sforzo di approfondimento, anche perché questa presenza è
molteplice e variegata e a volte va cercata o addirittura quasi in-
dovinata nelle pieghe del testo sacro. Ma lo sforzo sarà ripagato
anche da tante sorprese, spesso piacevoli e luminose, e altre vol-
te inquietanti e tenebrose. Anche questo è però importante: la
giusta rivendicazione della dignità e dei diritti della donna non
si identifica con l’idealizzazione della donna stessa. Anche que-
sta sarebbe una forma, per quanto mascherata, di maschilismo.
Le donne vere, come quelle di cui ci narra l’Antico Testamento,
come tutte le persone umane maschili e femminili, sono ca-
ratterizzate da straordinarie potenzialità di bene, ma anche da
insidiose virtualità di male. Ma preferiamo le donne autentiche
a quelle che non esistono se non in ritratti edulcorati, astratti e
in ultima analisi falsi.
Un prezioso apporto alla conoscenza dell’universo femmi-
nile nelle Scritture ci viene donato dal libro di Pietro Pieranto-
ni dedicato precisamente alle donne di Israele. Si tratta di un
testo che passa in rassegna ventidue figure femminili dell’An-
tico Testamento presentandole in modo semplice, ma efficace
con un riferimento puntuale a una ricca bibliografia. In real-
tà poi le donne di cui tratta il volume sono anche qualcuna
di più, perché per esempio nel capitolo dedicato a Rachele,
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Le donne di Israele
moglie di Giacobbe si parla anche di Lia, sorella maggiore di
Rachele e prima moglie dello stesso Giacobbe, oppure nel ca-
pitolo che tratta di Debora, la donna annoverata tra i giudici
di Israele, si parla anche di Giaele, la donna che, uccidendo il
capo dei Cananei Sìsara, offre la vittoria al popolo del Signore.
Le scelte di Pierantoni sono interessanti: egli, infatti, non si
limita a offrirci le classiche figure delle “madri” di Israele, Sara,
Rebecca, Rachele, o delle eroine come Giuditta o Ester, ma va
a cercare figure minori, anche non necessariamente israelite,
che però possono dire qualcosa di importante sulla donna in
quanto tale. È il caso di Sifra e Pua, le due levatrici che rice-
vono dal re d’Egitto il comando di uccidere i neonati maschi
degli israeliti e che invece disobbediscono all’ordine in nome
di Dio e dell’amore per la vita. Oppure è il caso della figlia del
faraone che, nello stesso periodo, salva Mosè dalle acque. Gra-
zie al suo istinto materno che si commuove di fronte alla fragi-
lità e alla bellezza del neonato e che arriva persino a instaurare
una complicità con la sorella e la madre ebree del bambino, la
provvidenza divina prepara la strada per colui che condurrà il
popolo di Israele dalla schiavitù verso la terra promessa. La-
sciando poi al lettore il piacere di scoprire gli altri personaggi
femminili presentati nel testo, ci limitiamo a un’ultima men-
zione, decisamente non convenzionale. Facciamo riferimento
alla moglie di Potifar, il comandante delle guardie del Faraone
a cui Giuseppe era stato venduto come schiavo. La donna in
questione non è certo un esempio di moralità; anzi, al contra-
rio, ella tenta di sedurre Giuseppe e, di fronte al suo rifiuto,
lo accusa falsamente provocando così la sua carcerazione. La
Bibbia non ci racconta una umanità perfetta o ideale, ma ci
parla di donne, e di uomini veri, che possono anche sedurre o
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Pietro Pierantoni
essere sedotti dal male. Ma è in questa storia che Dio agisce, è
di questa storia che Dio si appassiona, e sono queste donne e
questi uomini, nei quali possiamo ritrovarci pienamente tutti,
che Dio ama. E Dio li conduce e ci conduce, attraverso vie che
a noi possono sembrare tortuose ed enigmatiche, verso la sua
salvezza, verso il dono di quella pienezza di vita a cui tutti più
o meno consapevolmente aspiriamo.
È forse anche questo il messaggio che ci lascia il testo di
Pierantoni, un testo molto leggibile, piacevole, che mette a di-
sposizione anche dei non specialisti il tesoro prezioso delle sto-
rie delle donne di Israele: per questo siamo grati al suo autore.
Ferruccio Ceragioli
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
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Le donne di Israele
Prefazione.
Emancipare le donne per liberare gli uomini
U n’antica tradizione ebraica parla di una differente ver-
sione della creazione dell’uomo e della donna che vede come
protagonista accanto ad Adamo una donna libera e forte, dal
nome Lilith. Ella è la prima compagna di Adamo che si sente
pari a lui e rivendica la sua piena uguaglianza con l’uomo. Poi-
ché non accetta i desideri di lui che la vorrebbero sottomessa,
fugge dall’Eden verso il mar Rosso.
In verità anche la versione biblica di Genesi che vede la
donna formata dal fianco di Adamo per stargli accanto, anzi,
di fronte, capace di essere compagna ma anche “altra” da lui,
capace di tenergli (amorevolmente) testa, dice un po’ la stessa
cosa, ma lascia spazio a maggiore interpretazione. Interpreta-
zione che può parlare di reciprocità di un legame fra il maschile
e il femminile che fanno alleanza per crescere insieme, ma che
può anche gettare discredito, colpevolizzare la donna, leggere
i dolori del parto come punitivi e rendere Eva la base di tutti i
peggiori stereotipi. Cosa puntualmente avvenuta nella storia.
Lilith è divenuta, con rare eccezioni (come in “Lilywhite
Lilith” dei Genesis), simbolo del fascino misterioso e notturno
della donna, di una bellezza conturbante e seducente e in fon-
do inafferrabile, che mette a nudo le paure del maschio: se non
posso dominare, sarò dominato! Eccola allora trasformata in
demone, strega, assimilata a spiriti malvagi e portatori di scom-
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Pietro Pierantoni
piglio e malattie, essere perverso che con le sue arti amma-
liatrici porta l’uomo sulla cattiva strada, capace di distruggere
famiglie e intere società. Incarnazione del desiderio dell’uomo
in notti solitarie diviene incubo da cui fuggire. Si tratta però di
un incubo che genera stereotipi che si riversano sulle donne in
carne e ossa per secoli, attraverso narrazioni, linguaggi, modelli
patriarcali che dovrebbero difendere la società da una confusio-
ne distruttiva e che, tuttavia, si basano tutti su un inconfessabi-
le assunto: quello dell’ontologica inferiorità della donna.
Nel momento in cui nascono i movimenti per l’emancipa-
zione delle donne nel XIX sec., Lilith torna a essere simbolo di
soggettualità delle donne, di dignità che cerca parità nei diritti
e nelle possibilità, con un chiaro intento polemico. Perché le
donne non prendono a modello Eva, altre donne bibliche o la
stessa Maria di Nazareth, madre di Gesù, così coraggiosa e li-
bera? Perché nella cultura queste figure erano state interpretate
e raccontate in modo funzionale al mantenimento dello status
quo. Eppure nella storia non è esistito un solo modello di so-
cietà o di famiglia (né di Chiesa o di forme di ministero), dun-
que ritenere che certe forme siano intoccabili perché naturali
è un errore storico e teologico. Certo, non tutte le forme sono
equivalenti e chiedono di esercitare un discernimento critico,
ma a partire da un serio lavoro su sé stessi. Si tratta di crescere
nell’autocoscienza di strutture sedimentate nei secoli e che ve-
dono la gerarchizzazione fra i sessi come una costante. Si tratta
di ammettere che ciò che è maschile non è neutro e universale,
ma parziale. Il vissuto maschile è uno dei modi di vivere l’u-
mano, non è il tutto. Può la Bibbia aiutare in questo percorso?
Sì, perché è un testo molteplice, redatto nell’arco di secoli, che
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Le donne di Israele
porta in sé tutti i tratti dell’interpretazione e del linguaggio
androcentrico, ma che allo stesso tempo è rivelativo di quella
piena umanità pensata dal Creatore per tutti i suoi figli e figlie
e portata a compimento dal Cristo Gesù.
Ecco l’orizzonte in cui si inquadra il bel lavoro del prof.
Pierantoni che, concentrandosi sulla parte più ostica delle
Scritture, cioè l’Antico Testamento, cerca di dar voce e volto a
tante figure femminili che gradualmente hanno posto dei se-
gni di emancipazione per le donne di tutti i tempi. Sì, perché
se Lilith è solo mito aleggiante nelle culture, parte di quanto
lei rappresenta si ritrova nelle tante che abitano i racconti dei
patriarchi o i libri storici della Bibbia. Troviamo in Sara, mo-
glie di Abramo, la fatica a gestire la libertà mentre si attende
la realizzazione delle promesse di Dio; in Rebecca il divenire
artefice della vicenda familiare fino a raccogliere la benedizio-
ne; in Rachele il potente desiderio di dare la vita; in Debora,
donna di fuoco, la capacità di guidare un popolo e di chiamare
a corresponsabilità; in Betsabea l’intuito materno che chiede a
David di prendere posizione davanti ai figli per evitare conflitti
futuri; nella regina di Saba un dialogo sapiente alla pari con
Salomone fino a riconoscere l’amore del Signore per Israele;
nella profetessa Culda la capacità d’interpretare con coraggio
e verità un testo sacro; in Sara, sposa di Tobia, l’essere “sorella”
del suo amato, nella dignità e nel rispetto; in Giuditta la stra-
tegia di un agente segreto, una 007 ante litteram, in Susanna il
coraggio della piena fedeltà a sé stessa nella fiducia in Dio; in
Ester l’esercizio di una regalità che porta la femminilità ben al
di fuori dell’ambito domestico…
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Pietro Pierantoni
Il libro che avete in mano ha almeno tre grandi meriti: in-
troduce ad una preziosa familiarizzazione con nomi e storie di
tante protagoniste davanti o dietro le quinte della storia della
salvezza, anche riportando alcune fonti che lasciano al lettore
di discernere alcune interpretazioni ancora un po’ stereotipa-
te; usa la contaminazione delle discipline per dare nuova luce
ad espressioni e contesti con riferimenti agli studi giuridici,
ai risultati della psicanalisi o a concetti economici; infine mo-
stra l’attitudine delle donne bibliche nei confronti del pote-
re, spesso all’insegna della disobbedienza (basti pensare a Sifra
e Pua e alla stessa figlia del Faraone, a Raab, a Vasti…), per
un’obbedienza più profonda verso il debole, la vita, la propria
coscienza.
Ognuna di queste donne ha contribuito a far sollevare la
testa e lo sguardo di tante sorelle, come la donna curva che
Gesù libera dopo che Satana l’ha tenuta legata per ben diciotto
anni (cf Lc 13,11ss.). L’Autore ci aiuta ad aprire un percorso
di riflessione che contribuirà non solo a salvare tante sorelle
vittime e talvolta complici di interpretazioni culturali che ten-
gono legate tante energie e potenzialità, ma anche tanti fratelli
spesso prigionieri inconsapevoli di un certo maschilismo, così
da liberare per tutti tante possibilità nelle quali il Regno si fa
più vicino.
Emanuela Buccioni
Teologa e biblista
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Le donne di Israele
Introduzione
Gesù di Nazareth aveva un rapporto speciale con le donne,
atipico rispetto alla tradizione culturale del suo tempo che le
vedeva bene spesso oggetto di una mentalità e di un codice
giuridico prettamente maschilisti.
Erano, infatti, circoscritte in una categoria di inferiorità so-
ciale rispetto a quella maschile e questa posizione portava a
valutarle alla stregua dei beni materiali:
«Le donne venivano considerate l’anello debole della società
perché non potevano combattere (o potevano combattere so-
lamente con difficoltà) e mostravano una maggiore considera-
zione per la pace e la famiglia»1.
Al contrario, Gesù compie una rivoluzione basando questi
rapporti interpersonali su un piano strettamente qualitativo
che rispetta e valorizza la libertà e l’autonomia del gentil sesso,
infondendo in esso un senso di coraggio e di sicurezza.
Se si scorrono i quattro vangeli si scopre che le donne che
Gesù incontra sul suo percorso terreno vengono «liberate, esau-
dite, guarite, riportate alla vita, inviate e responsabilizzate»,2
ma allo stesso tempo egli esce mutato da questi eventi.
Per quanto riguarda la cerchia di sostenitori e di amici, che
si era formata intorno al Figlio di Dio, una buona parte era
costituita da figure femminili.
1 E. Mancuso, Gesù. Il mistero della dottrina segreta e della morte, Armando,
Roma 2006, p. 31.
2 A. Guida, Gesù e le donne, in <www.credereoggi.it/upload/2016/artico-
lo211_67.asp>
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Pietro Pierantoni
Oltre i dodici apostoli, che egli aveva chiamato a seguirlo,
troviamo anche Maria sua madre, Maria di Màgdala e l’altra
Maria (madre di Giacomo e Giuseppe) che fungono da pro-
tagoniste nel racconto del ritrovamento della tomba vuota; la
suocera di Pietro che, dopo essere stata guarita, si alza e si mette
a servire il suo Signore in segno di gratitudine.
Di un gruppo consistente di donne, che in vita hanno se-
guito Gesù, si parla anche nell’episodio evangelico che descrive
la sua morte per crocefissione, dove si afferma che seguirono
l’accaduto «da lontano» (Mt 27,55).
Alla poca considerazione e al carattere di marginalità cui le
donne erano sottoposte nell’antichità (ancora oggi sussistono
purtroppo atteggiamenti simili nonostante siano stati compiu-
ti anche consistenti progressi in fatto di emancipazione socia-
le), dato che «non erano presenti nella vita pubblica né aveva-
no la possibilità di essere protagoniste significative nella storia,
a meno che non fossero regine, o dotate di grande talento»,3
Gesù ci lascia la sua pregevole testimonianza, fornendoci un
modo di accostamento alla figura della donna del tutto nuovo,
condensato di misericordia, benevolenza, ascolto sincero e di
accondiscendenza verso quelle che sono le esigenze spirituali
che gli vengono poste.
Ma prima del suo esempio, com’erano considerate e trattate
le donne?
Questo interrogativo ci porta a retrocedere nella storia bi-
blica di centinaia e migliaia di anni e di andare ad analizzare la
condizione femminile nella società giudaica antica, guardando
anche a esempi dai quali traspare una discreta benevolenza al
riguardo.
3 E. Bianchi, Gesù e le donne, Einaudi, Torino 2016.
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Le donne di Israele
Nonostante all’interno della Bibbia si riscontri una cer-
ta mentalità secondo cui «la donna ha portato il peccato e la
morte nel mondo, […] ha determinato la caduta della razza
umana, che, portata dinanzi al tribunale celeste, è stata giudi-
cata colpevole, e come tale condannata»,4 ci viene presentata
anche una linea di pensiero che tende ad esaltare l’operato, la
personalità e le virtù di alcune donne che hanno fatto la sto-
ria di Israele. Non sappiamo se tutte quelle menzionate siano
effettivamente esistite, certo è che l’immagine della donna che
traspare, in linea generale, è più che positiva.
4 M. P. Korsak, Tradurre la Bibbia: traduzioni bibliche e questioni di genere, in
E. Di Giovanni – S. Zanotti (edd.), Donne in traduzione, Bompiani, Milano
2018.
17
Pietro Pierantoni
I
Eva: simbolo del peccato
Nella mentalità giudaica antica la donna è vista come in-
carnazione d’inferiorità morale, cosa che è ben sottolineata nel
primo libro della Bibbia (Genesi) dove, nel terzo capitolo, si ap-
prende della malefica tentazione operata dal serpente a scapito
della povera Eva.Poco prima della formazione della donna, av-
venuta da una costola che Dio aveva tratto dall’uomo, lo stesso
Signore Dio aveva dato un comando ben preciso da rispettare
al fine di mantenere l’ordine all’interno della creazione:
«Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma
dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, cer-
tamente dovrai morire» (Gn 2,16-17).
Ma ecco l’irrompere dell’astuta bestia strisciante, all’interno
della scena paradisiaca, pronta a recare con sé scompiglio.
Il serpente, abile nello stravolgere il significato delle parole
pronunciate da Dio, si rivolge alla compagna di Adamo consa-
pevole di poter aprire una breccia nel muro della sua moralità.
L’inganno risiede nell’aver suscitato nell’animo di Eva il de-
siderio di divenire in una condizione alla pari di quella spettan-
te al solo Creatore:
«Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui
voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste
come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3,4-5).
Dopo il pronunciamento di queste parole, l’albero, che si
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Le donne di Israele
trovava in una posizione centrale del Giardino di Eden, ap-
parve diverso alla vista della donna, descritto come «buono
da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare
saggezza» (Gn 3,6).
Questo desiderio insaziabile, che si era insinuato nella pro-
fondità delle viscere di Eva, comportò l’abbandono dell’inde-
rogabilità del precetto divino, abbandono che si concretizzò
con l’azione del mangiare. Il testo biblico, infatti, specifica che
inizialmente è Eva a cogliere il frutto dall’albero per subito ci-
barsene. Successivamente ne porse una parte anche ad Adamo
che si trovava vicino a lei e che, senza avanzare alcun tipo di
rifiuto, ne mangiò a sua volta.
Questo atto, sollecitato dalla donna, si dice che causò la
frantumazione della relazione uomo-Dio, con la conseguente
cacciata dall’Eden, e del clima armonico che aleggiava in tutta
la creazione.
Alla donna Dio riserva una sentenza specifica:
«Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore
partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli
ti dominerà» (Gn 3,16).
Da questa ricostruzione degli eventi, dai tratti mitologici,5
5 Possiamo affermare con certezza, grazie ai numerosi studi che sono stati com-
piuti nel corso dei secoli, che la narrazione biblica riguardante la creazione non è
storicamente fondata, al contrario riveste una funzione simbolica. Questi eventi
sono, infatti, il frutto di una rielaborazione tardiva, avvenuta durante il periodo
dell’esilio e nella fase successiva a questa drammatica esperienza per il popolo
ebraico che smarrito doveva quindi ritrovare il significato più profondo della re-
ligione e del rapporto tra Dio e l’uomo. Come sostiene anche don Filippo Belli,
docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale a Firenze, questi studi degli
«ultimi due secoli […] sulla Bibbia ci hanno permesso di comprendere alcune
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Pietro Pierantoni
che furono all’origine del mondo pende sulla donna, «triste
eredità di Eva, la concezione di mezzo privilegiato di afferma-
zione del male, di instrumentum diaboli, per colpa del quale
l’umanità intera è precipitata negli abissi del peccato ed attende
di essere riscattata dall’arrivo del Messia, in un tempo ancora
non compiuto, anelato dal popolo di Israele e presagito dai
profeti»6.
Eva, dunque, non è che abbia goduto e goda ancora oggi di
cose su di essa che aiutano a risolvere diverse aporie o difficoltà. […] Gli studi
accurati, compresi quelli di comparazione con letteratura extra-biblica, hanno
reso chiaro che Gen 1-11 non può essere considerato una narrazione storica
reale, ci sono troppi elementi letterari e storici che portano ad escluderlo. Non
possiamo pretendere da questi capitoli che ci facciano la cronaca dei primi giorni
e anni della storia umana. In effetti non è esattamente questo il loro scopo e la
loro motivazione. Se fosse così incapperemmo in tante aporie e difficoltà […].
Nondimeno non si tratta di mitologia – la quale ha delle caratteristiche ben pre-
cise e riguarda piuttosto personaggi divini – seppure il testo utilizzi chiaramente
un linguaggio mitico, e appositamente (vedi la simbologia, la longevità dei per-
sonaggi, i luoghi e i tempi segnalati, ecc). […] Il testo di Gen 1-11 “racconta”
– usa cioè la forma narrativa – per provare a dirci il “perché” dell’esistenza e non
tanto il “come”, che spetta casomai alla storia e alla scienza. Alla stesura di questi
capitoli si è giunti con diverso materiale tradizionale in epoca esilica e post-
esilica (VI-V secolo a.C circa) come grande riflessione su tutta la vicenda del
popolo di Israele e dell’umanità, in risposta anche alla sfida delle fedi babilonesi
– da qui la necessità di utilizzare il linguaggio del mito. Di fronte ai prodigiosi
eventi occorsi a questo popolo che scopre in YHWH il Dio unico, ma anche a
seguito di tanti fallimenti e sofferenza, si è giunti a domandarsi chi è Dio e chi è
l’uomo, ravvisando nei concetti – divenuti narrazione – di creazione, di alleanza,
di salvezza nonostante il peccato, la “vera storia” di Dio con l’uomo e dell’uomo
con Dio» (F. Belli, Come ha avuto sviluppo la discendenza di Adamo ed Eva?, 2
gennaio 2014, in <https://www.toscanaoggi.it/.../Come-ha-avuto-sviluppo-la-
discendenza-di-Adamo-ed-...>).
6 E. Fenu, La figura della donna nell’Antico Testamento, in <www.memecult.it/
la-figura-della-donna-nellantico-testamento/>
20
Le donne di Israele
una buona fama anche se è vero che patì questo terribile desti-
no (e con lei la donna in generale)7 per una lettura che qualche
uomo “saggio” antico volle dare alle sventure della cattiva sorte
e del peccato, presenti nella quotidianità della vita terrena.
Per secoli si è pensato che il male avesse avuto origine da
un atto maldestro e al contempo volenteroso della donna, ma
potrebbe essere andata anche al contrario. Perché no? A questa
reputazione, non certo candida, pose un argine e un vero e
proprio riscatto la figura della madre di Gesù, Maria.
Come scrive monsignore Giuseppe Pollano all’interno di un
saggio incentrato sulla valorizzazione della figura femminile:
«Al principio, Eva e Maria furono intese come due figure in
notevole contrasto: aut aut. Certamente la figura di Maria
era quella che risollevava le sorti di Eva, ma con respon-
sabilità precise. Riporto qui soltanto due frasi di scrittori
ecclesiastici appartenuti al I secolo: “Eva accolse nel suo
seno la parola che veniva dal serpente e partorì la disobbedi-
enza e la morte. Al contrario, Maria concepì fede e gioia,
quando l’angelo Gabriele le annunciò la buona novella”. Il
7 L’idea della donna come peccatrice, fonte di tutti i mali, astuta e ingannatrice
trova riscontro proprio all’interno della tradizione ebraico-cristiana: «Tale idea
è connessa alla figura di Eva che ha caratterizzato una buona parte dell’odio e
disprezzo delle donne da parte degli uomini. Sarebbe arduo riportare l’invettiva
maschile indirizzata alla donna mediante la figura di Eva lungo i secoli. Tertul-
liano, per esempio, la considerava “la porta del diavolo” mentre la tradizione
attribuisce a S. Paolo le seguenti parole: “Adamo fu formato per primo, poi Eva;
e Adamo non fu sedotto ma la donna, essendo stata sedotta cadde in trasgressio-
ne” (1 Timoteo 2,13). Essendo stata sedotta, lei avrebbe a sua volta sedotto Ada-
mo» (E. E. Green, Donna, perché piangi? Cristianesimo, chiese e violenza contro le
donne, in T. Ravazzolo – S. Valanzano (edd.), Donne che sbattono contro le porte.
Riflessioni su violenze e stalking, Franco Angeli, Milano 2010, p. 55).
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Pietro Pierantoni
contrasto è molto chiaro: due momenti, due ruoli che si
direbbero inconciliabili. Colui che ha sviluppato maggior-
mente questo parallelo, in modo molto chiaro, fu il teologo
sant’Ireneo: “Ciò che Eva legò con l’incredulità, Maria ha
sciolto con la fede”. Esiste tutto un filone forte di teologia
che, rifacendosi peraltro al contrasto Adamo/Cristo (il par-
allelo maschile), ha puntato molto su Maria e troppo poco
su Eva. In questo modo, ha in qualche maniera svalutato
teologicamente la figura e la funzione mariana. In realtà, il
contrasto non è la soluzione di questa apparente dialettica
tra due figure, che è soltanto la storia di un compimento
nel bene, come d’altronde è per l’umano che si compie in
Cristo. È giusto intendere, allora, Maria come la nuova
Eva, non un’altra Eva, del tutto diversa, “buttando via” la
prima che ha sbagliato. Tutt’altro: […] Maria è la nuova
Eva, ma Eva non è scomparsa, si rinnova e dà il meglio di
sé in questa nuova figura estremamente favorita dalla grazia
(“piena di grazia”) che, in ogni caso, è Eva. Oggi è così che
la teologia ragiona: si rimette la figura femminile in una
prospettiva di grande speranza, di grande potenzialità per
il bene. […] in Maria [avviene] la rivelazione piena di tut-
to ciò che è compreso nella parola biblica “donna”. Nella
donna c’è già tutto e viene portato alla luce e incarnato in
maniera eccellente in Maria»8.
Al termine di questo primo capitolo, incentrato su colei che
da tempi remoti viene identificata come la madre del genere
umano nonostante si tratti di un personaggio frutto di un arti-
8 G. Pollano, Donna riflesso di Cristo. Come valorizzare il meglio della donna a
partire dalla Mulieris dignitatem, Effatà, Cantalupa 2008, pp. 39-40.
22
Le donne di Israele
ficio letterario, ecco l’antica leggenda dell’albero della vita che
la vede un’altra volta ricoprire il ruolo da protagonista e che
come tutte le leggende risulta rivestita da quell’alone fascinoso
proprio perché di carattere misterico-religioso:
«Secondo la leggenda dell’albero della vita, allorché Eva
colse il frutto, lo prese insieme al ramo e lo portò ad Ad-
amo, che staccò il frutto dal ramo e lo mangiò. Il ramo
restò nelle mani di Eva. Quando Dio cacciò Adamo ed Eva
dall’Eden, dopo la colpa, Eva aveva ancora il ramo nella
mano. A questo punto essa si accorse di tenerlo e lo con-
servò in ricordo di quella tragica avventura. Non sapendo
dove metterlo, lo piantò in terra, ove esso mise radici. Ben
presto il ramo divenne un albero coperto di rami e di foglie
ed era bianco come la neve. Un giorno Adamo ed Eva stava-
no sotto la sua ombra, lacrimando e rimpiangendo l’Eden.
Essi si lamentavano contemplando l’albero e dicevano che
lo si sarebbe dovuto chiamare “l’albero della morte”. Una
voce venne dal cielo: “non pregiudicate il destino”, disse,
“ma tornate alla speranza e confortatevi a vicenda, giacché,
sappiatelo, la vita trionferà sulla morte”. Da allora Adamo
ed Eva chiamarono quest’albero “albero della vita” e ne pi-
antarono diversi rami che divennero anch’essi dei grandi
alberi bianchi. Un venerdì si fece intendere di nuovo una
voce dal cielo che disse loro di unirsi. Mentre essi esitava-
no, furono circondati dalla notte e fu così che Abele venne
generato. Quando ritornò la luce, essi videro che l’albero si
era fatto verde come l’erba dei prati. Fiorì e produsse frutti,
cosa che non aveva mai fatto prima; anche gli altri alberi
fruttificarono. […] In un giorno di gran calore [molti anni
dopo] Abele si era addormentato all’ombra dell’albero; suo
23
Pietro Pierantoni
fratello [Caino, in preda alla gelosia e alla collera,] lo sor-
prese nel sonno e lo uccise con un coltello ricurvo. Abele
morì di venerdì nel luogo stesso in cui era stato concepito.
E quando egli fu morto, l’albero della vita divenne comple-
tamente vermiglio, del colore del sangue»9.
9 M. M. Davy, Il simbolismo medievale, Edizioni Mediterranee, Roma 1999,
pp. 267-268.
24
Le donne di Israele
II
Sara: una moglie atipica
Dopo Eva, indicata dalla Bibbia come progenitrice del ge-
nere umano, è la volta di un’altra figura femminile molto signi-
ficativa nella storia ebraica della salvezza: Sarài.
Di lei sappiamo, attraverso le informazioni tratte sempre
dal Libro della Genesi, che fu la moglie di Abram e la madre di
Isacco.
Il primo episodio importante e allo stesso tempo un po’ me-
schino che la vede protagonista è quello della discesa di Abram
in Egitto (cfr. Gn 12,10-20), viaggio indotto da una grave ca-
restia che aveva colpito la zona del Negheb10 dove questi si era
stabilito con la sua gente.
Una volta che il patriarca si trova in prossimità dei confini
egiziani, esterna una raccomandazione che suona stranamente
alle nostre orecchie:
«Vedi, io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando
gli Egiziani ti vedranno, penseranno: “Costei è sua mo-
glie”, e mi uccideranno, mentre lasceranno te in vita. Di’,
dunque, che tu sei mia sorella, perché io sia trattato bene
per causa tua e io viva grazie a te» (Gn 12,11-13).
Abram chiede esplicitamente alla propria moglie di mentire
sulla sua reale identità di sposa, una volta portati al cospetto del
faraone, facendosi passare per la sorella in modo da rendergli
10 Zona semidesertica situata nella parte meridionale di Israele.
25
Pietro Pierantoni
salva la vita.Si tratta chiaramente di una menzogna, ma a quel
tempo non erano ancora state date dal Dio d’Israele le cosid-
dette tavole della Legge o Decalogo11 dove sta scritto: «Non
pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo» (Es
20,16).
Non si tratta, tuttavia, solamente di una questione di verità
non detta, ma anche di un episodio in cui l’onore della propria
consorte viene compromesso e sacrificato in vista del bene e
dell’utilità personale. Abram, come afferma il cardinale Carlo
Maria Martini, «si sforza dunque, con mezzi subdoli, di difen-
dersi, e non viene per nulla in risalto», in questo episodio della
sua vita «la potenza del Signore che gli ha fatto fare un gesto
così grande [ossia di indurlo a lasciare la sua terra, patria dei
suoi padri]»12.
Anche questo comportamento lo si deve leggere proiettato
nella cultura del tempo, i cui costumi erano all’oscuro del co-
mandamento contenuto nella legge morale mosaica più tardi-
va: «Non commetterai adulterio» (Es 20,14).
Dopo questo episodio, conclusosi con l’allontanamento di
Abram e Sarài per mano del faraone, il quale aveva dovuto
11 La legge donata da Dio per mezzo di Mosè «fu data agli uomini non tanto
per aiutarli a fare il bene, quanto a conoscerlo; avendo loro le passioni abbuiata
la mente: non fu data perché mancasse al mondo la cognizione diretta della
virtù, ma perché questa non diveniva più coscienza secondo la quale operare,
ma si giaceva nel fondo del cuore senza luce, mal riflettuta, non riconosciuta,
non applicata alle azioni della vita. Mediante la legge mosaica dunque furono
rettificate quelle molte coscienze che s’eran falsate, o erano già in sul falsarsi irre-
mediabilmente» (A. Rosmini-Sebbati, Filosofia della morale, vol. 3, Tip. E. Calc.
di C. Batelli e comp, Napoli 1844, p. 144).
12 C. M. Martini, I vangeli. Esercizi spirituali per la vita cristiana, Bompiani,
Milano 2016.
26
Le donne di Israele
prima subire le ripercussioni del Signore per il fatto di aver
preso in moglie la donna di Abram, ritroviamo la medesima al
capitolo 18 della Genesi.
Questa volta il suo nome è stato modificato in Sara in base
ad una disposizione divina: «Non la chiamerai più Sarài, ma
Sara. Io la benedirò e anche13 da lei ti darò un figlio; la bene-
dirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei» (Gn
17,15-16).
L’evento, che la vede nuovamente coinvolta, viene identifi-
cato come “L’apparizione di Mamre”: questa volta si parla della
visita del Signore ad Abramo e Sara, sotto le sembianze di tre
uomini,14 per annunciare loro la nascita di Isacco, figlio della
promessa che ella partorirà nonostante l’età avanzata:
«Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là
nella tenda”. Riprese: “Tornerò da te fra un anno a ques-
13 Abramo aveva già avuto un figlio, Ismaele, con la schiava egiziana Agar,
quest’ultima data in sposa all’anziano patriarca da sua moglie Sarài. Secondo
due antiche disposizioni (nn. 144 e 146) riscontrabili nell’antico codice di Ham-
murabi (XVIII sec. a.C.), corpus di leggi babilonese, il capo tribù, «in caso di
sterilità della moglie ufficiale, poteva ricorrere alle altre donne dell’harem per
avere un figlio. Il neonato sarebbe stato ufficialmente considerato discendente
della coppia “principesca”» (G. Ravasi, Il libro della Genesi (12-50), Città Nuova,
Roma 20012, p. 58).
14 «Al di là delle possibili ipotesi riguardo la preistoria del testo biblico, una
lettura in chiave cristologica, frutto dell’esegesi patristica, ha visto in questo
brano un preannuncio della Trinità […]. Certamente la pericope in sé non
rimanda direttamente al mistero trinitario, la cui rivelazione è propria del
Nuovo Testamento, tuttavia scandisce l’incontro dei tre viandanti con l’anziano
patriarca come una teofania di Dio» (L’ospitalità di Abramo alle Querce di Mamre
(Gn 18,1-15), in <www.piccoloeremodellequerce.it/Pagine_Bibliche/Pagine_Bi-
bliche.html>).
27
Pietro Pierantoni
ta data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Intanto
Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui.
Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato
a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne» (Gn 18,9-
11).
Alle parole scaturite dal Signore, sorge nell’animo dell’an-
ziana donna un ben più che comprensibile dubbio circa il veri-
ficarsi, in un prossimo futuro, di quella profezia del tutto par-
ticolare, tant’è che il testo biblico riferisce di questa incredulità,
sottolineata dal verbo “ridere”.
«Oltre la difficoltà di poter generare a cento anni, è la steri-
lità “definitiva” di Sara, a motivo dell’età avanzata, ad apparire
[…] uno scoglio insormontabile»15.
Nonostante le effettive barriere poste dalla natura e la man-
canza di una fede salda, Sara alla fine diede alla luce un figlio
poiché, per quanto molti fatti non risultino comprensibili o
evidenti alla ragione umana, «nulla è impossibile a Dio» (Lc
1,37). Il figlio della vecchiaia e al contempo del desiderio,
dell’attesa e della speranza viene chiamato Isacco, nome che
letteralmente significa “egli ride” essendo posto «in relazione
con il riso d’incredulità con cui la madre Sara accolse la notizia
della sua prossima nascita o, secondo altri testi, con il riso di
gioia del padre Abramo»16.
Spinta dalla gelosia e dall’interesse personale – non vole-
va, infatti, che Ismaele potesse in futuro spodestare suo figlio
Isacco dall’eredità di Abramo – Sara spinge l’anziano marito a
cacciare Agar insieme al figlio avuto con lei:
15 A. Borghino, La «nuova alleanza» in Is 54. Analisi esegetico-teologica, Pontifi-
cia Università Gregoriana, Roma 2005, p. 98.
16 Treccani, Isacco, in <www.treccani.it/enciclopedia/isacco/>
28
Le donne di Israele
«Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che lei
aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco.
Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo fi-
glio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede
con mio figlio Isacco» (Gn 21,9-10).
Le parole pronunciate da Sara cadono come un fulmine a
ciel sereno e diventano motivo di turbamento per Abramo, il
quale si sente morire all’idea di dover allontanare uno dei suoi
due figli in modo da favorire l’altro.
«Con queste parole Sara stupì l’intera famiglia. La richi-
esta di Sara giunse come una sorpresa, specialmente per
Abramo, che ne fu profondamente dispiaciuto. Sia Ismaele
sia Isacco erano suoi figli; ma Ismaele era il primogenito e
il principale erede del padre. Fintanto che Ismaele sarebbe
rimasto in quella casa, Isacco gli sarebbe stato inferiore. Sara
si sentiva minacciata da quel pensiero. Abramo aveva forse
dimenticato che Isacco era il figlio promesso che avrebbe
continuato l’alleanza con Dio (Genesi, 17,19)? La richiesta
di Sara richiamava la sua attenzione su questa promessa?
Il tono delle sue parole era profondamente malizioso. Per
Sara, Agar era una schiava e suo figlio non era altro che il fi-
glio di una schiava. Sara non riconosceva più Ismaele come
il figlio legittimo che all’inizio aveva desiderato. Avendo un
figlio proprio, Ismaele era diventato il figlio di una schiava
che non doveva aver alcun diritto a ereditare»17.
17 O. M. Jerome, Una nomade chiamata Agar, 01 febbraio 2016, in <www.
osservatoreromano.va/it/news/una-nomade-chiamata-agar>
29
Pietro Pierantoni
Agar e Ismaele, una volta cacciati, si incamminano verso il
deserto di Bersabea e il testo biblico ci dice che lì si smarrisco-
no, fatto che si complica a causa della graduale mancanza di
acqua. Nella disperazione, nella desolazione più totale e nel-
lo sconforto18 ecco irrompere nuovamente l’azione di Dio che
comporta la risoluzione al problema di fondo. È solo in seguito
all’intervento divino che la donna viene illuminata, risollevata
e salvata, e con lei suo figlio che era ormai prossimo alla morte:
«Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora
andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. E Dio fu
con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un
tiratore d’arco. Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre
gli prese una moglie della terra d’Egitto» (Gn 21,19-21).
La rilettura della contrapposizione tra Agar e Sara ispirerà
l’apostolo Paolo che nella Lettera ai Galati la prenderà ad esem-
pio per sottolineare la differenza tra le due tipologie di alleanze,
l’una secondo la legge e l’altra per mezzo della fede. La salvezza
risiede esclusivamente nella grazia della fede, condizione questa
che rende gli uomini realmente liberi. Perciò la «discendenza di
18 «Infatti, il racconto rivela un aspetto straziante. Seguiamo la narrazione del
cap. 21. L’otre d’acqua e il pane che Agar aveva ricevuto da Abramo sono finiti,
i due sono stremati dal caldo, la mano terribile della morte sta per strangolare
il ragazzo. La madre non ha il coraggio di vederlo morire sotto i suoi occhi, lo
depone all’ombra di un cespuglio e si allontana dicendo: “Non voglio veder mo-
rire il fanciullo” (21,16). Va più avanti e sente a distanza il lamento di Ismaele e
allora si mette a piangere e a urlare. Nel silenzio del deserto nessuno può udire
quel grido» (G. Ravasi, Una madre nel deserto, 26 febbraio 2016, in <www.fami-
gliacristiana.it/blogpost/una-madre-nel-deserto.aspx>).
30
Le donne di Israele
Agar è segnata dalla schiavitù, perché suo figlio nasce normal-
mente, secondo le leggi della natura. Agar è feconda e ha un
figlio da Abramo. Sara, invece, è sterile e Dio la benedice con
un figlio in un tempo insperato, per mezzo della promessa. È la
promessa, la grazia, ciò che segna lo status di libertà di Sara»19.
Alle due figure femminili Paolo fa corrispondere anche gli
archetipi gerosolimitani: la Gerusalemme attuale o terrena,
schiavizzata dalla cieca fiducia nella Legge, è legata ad Agar,
mentre la Gerusalemme celeste è definita libera poiché rappre-
sentata da Sara, generatrice di vita per mezzo della promessa.
Le ultime notizie che riguardano Sara si riferiscono alla sua
morte. Il Libro della Genesi riporta che la donna aveva cento-
ventisette anni al momento della sua dipartita nella terra di
Canaan e Abramo fece il lamento per lei e la pianse. In più
viene presentato anche il luogo della sua sepoltura, la «caverna
del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nella
terra di Canaan» (Gn 23,19), sito ceduto ad Abramo dall’ittita
Efron per la cifra di quattrocento sicli d’argento20.
19 A. J. Levoratti – E. Tamez – P. Richard, Nuovo commentario biblico. Atti degli
apostoli, Lettere, Apocalisse, Borla, Roma 2006, p. 380.
20 «Non solo Sara ma in seguito egli stesso [ossia Abramo] (cfr. 25,9), Isacco (cfr.
Gn 35,27-29) e Giacobbe (cfr. 50,13) saranno sepolti nella grotta di Macpela»
(A. Sacchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. Padri di ebrei, cristiani e musulmani, You-
canprint, Milano 2017, p. 75).
31
Pietro Pierantoni
III
Rebecca: la sposa del “figlio della promessa”
Abramo, ormai in là con gli anni e prossimo alla morte,
affida al suo servo più anziano e fedele la missione di trovare
moglie a Isacco. La donna che verrà scelta per suo figlio deve,
però, rispecchiare determinate caratteristiche: in alcun modo
dovrà essere scelta di stirpe cananea, ma dovrà risultare dello
stesso ceppo familiare di Abramo21 (cfr. Gn 24,3-4).
Così il servo, una volta congedato, «prese dieci cammelli
[…] e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si
mise in viaggio e andò in Aram Naharàim,22 alla città di Nacor»
(Gn 24,10).
Una volta raggiunto quel luogo e dopo aver recitato una
preghiera a Dio, il servo di Abramo incontra Rebecca, una gio-
vane donna attraente e ancora vergine. Il testo biblico sotto-
linea immediatamente il grado di parentela della ragazza, che
corrispondeva pienamente alle condizioni avanzate dal patriar-
ca: «Era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratel-
lo di Abramo» (Gn 24,15).
La donna, che si era recata alla sorgente per prendere acqua,
mostra da subito un’accoglienza disinteressata e una grande
gentilezza verso quell’uomo che le chiese di abbeverarsi alla sua
anfora. Inoltre si affrettò per dissetare anche i numerosi cam-
melli che il servo aveva portato con sé.
21 «Secondo le norme giuridiche antiche, la moglie deve appartenere al reticolo
delle parentele tribali» (G. Ravasi, Isacco amò Rebecca, 16 gennaio 2015, in
<www.famigliacristiana.it/blogpost/isacco-amo-rebecca.aspx>).
22 «La Mesopotamia, che in Ebreo si chiama Aram-Naharaim, o Aram tra i due
fiumi, Eufrate e Tigri» (B. Martin, Elementi delle scienze e delle arti letterarie,
tomo 1, Remondini, Venezia 1781, p. 160).
32
Le donne di Israele
Appurato il fatto che la giovinetta, come la qualifica il brano
biblico, rispecchiasse alla virgola i presupposti richiesti dal suo
padrone, spinge il servo di Abramo a chiederle se ci fosse per
lui riparo e ristoro presso la casa della sua famiglia. La richie-
sta viene accolta con estremo favore: «C’è paglia e foraggio in
quantità da noi e anche posto per passare la notte» (Gn 24, 25).
Giunto a casa della giovane donna, l’anziano uomo spiega
a Betuèl e Làbano, rispettivamente il padre e il fratello della
ragazza, il motivo della sua presenza.
Avendo appurato che dietro all’incontro tra il servo e Re-
becca si cela l’opera di Dio, i parenti di lei decidono di lasciarla
andare affinché si compia il suo destino – diventare la sposa di
Isacco così come ha deciso il Signore, non prima, però, di aver
constatato l’approvazione della diretta interessata.
«Allora essi lasciarono partire la loro sorella Rebecca con
la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini.
Benedissero Rebecca e le dissero: “Tu, sorella nostra, di-
venta migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti le città
dei suoi nemici!”. Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono,
salirono sui cammelli e seguirono quell’uomo» (Gn 24,59-
61).
Quando l’anziano giunge a casa, Isacco si trova fuori, in
campagna, per rilassarsi. Una volta avergli raccontato il motivo
del suo viaggio e svelata l’identità della donna in sua compa-
gnia, il figlio del patriarca «introdusse Rebecca nella tenda che
era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò.
Isacco trovò conforto dopo la morte della madre» (Gn 24,67).
La relazione d’amore che unisce Isacco e Rebecca è descritta
in modo sublime da Pierluigi Toso:
33
Pietro Pierantoni
«Isacco ama Rebecca e solo di Isacco viene detto che è am-
ato dalla moglie; una moglie descritta con quel kî-tôb riser-
vato alle condizioni di paradiso, ovvero a quello stato in cui
il brutto ed il male non hanno alcuna ragione d’esistenza.
Dunque Isacco, nella versione masoretica del testo biblico,
è il solo a vivere una condizione d’unità perfetta con la
moglie. […] Dunque, non vi è dubbio riguardo alla situ-
azione di privilegio in cui si trova a vivere Isacco, il quale
si differenzia sostanzialmente dal padre e dal figlio, cioè da
Abramo e da Giacobbe, proprio per l’esclusività del suo
rapporto con Rebecca, infatti, Isacco si accosta solo con
Rebecca e solo da lei ha figli, al contrario sia di Abramo sia
di Giacobbe»23.
Dato che anche Rebecca, come sua suocera Sara ma non
certo a causa dell’età avanzata, era sterile,24 Isacco supplica il
Signore affinché le conceda di rimanere incinta, cosa che avvie-
ne. La grandezza dell’intervento divino risiede nel fatto che la
donna non aspetta uno, bensì due bambini.
Al primogenito dei due gemelli viene attribuito il nome di
Esaù, mentre il più piccolo viene chiamato Giacobbe. I due fra-
telli crescono insieme, tuttavia sono molto diversi da un punto
23 P. Toso, Uomo-Donna, Youcanprint, eBook 2015.
24 L’insistenza del testo biblico circa il motivo della sterilità di molte donne
bibliche si spiega «evidentemente [con la volontà di] esaltare l’intervento di Dio.
Queste donne generano, ma non semplicemente per la realtà umana che sono,
generano per il dono di grazia che viene da Dio. Dio è sorgente della vita, Dio è
sorgente della fecondità. Dietro alla generazione delle donne sterili c’è l’imma-
gine di una benedizione particolare di Dio» (L. Monari, Esaù e Giacobbe: due
fratelli in conflitto e la loro madre, che esclama: “Perché questo?”, 3 ottobre 2002,
in <www.cistercensi.info/monari/2002/m20021003.htm>).
34
Le donne di Israele
di vista caratteriale: Esaù, il preferito di Isacco, si mostrava più
ardito e amante della caccia, mentre Giacobbe, il prediletto di
Rebecca, viene descritto come «un uomo tranquillo, che dimo-
rava sotto le tende» (Gn 25,27).
Un episodio di notevole rilevanza, che vede in azione Re-
becca, è quello in cui Giacobbe riceve con l’inganno la bene-
dizione che sarebbe altrimenti spettata al gemello Esaù. Isacco,
divenuto vecchio e in preda ad una malattia agli occhi, decide
di somministrare la sua benedizione al figlio più grande poiché
non sa quanto gli resterà da vivere e preferisce sistemare le que-
stioni circa l’eredità prima che la morte sopravvenga in modo
inaspettato.
Il rituale della benedizione segue una logica ben precisa:
Esaù deve recarsi in campagna e cacciare per suo padre della
selvaggina, che dovrà in seguito cucinargli e servirgli in una
portata invitante, prima di poter ottenere la benedizione tanto
aspirata. La madre Rebecca, che aveva ascoltato il discorso tra
i due, decide allora, scaltramente, di agire in fretta:25 chiama il
figlio più piccolo e lo invita a prendere due capretti dall’ovile
e di consegnarli a lei di modo che possa preparare un piatto
stuzzicante per il palato di Isacco. Così facendo, Giacobbe riu-
scirà ad estorcere al fratello maggiore la benedizione e, dunque,
l’eredità.
Dopo aver cucinato il tutto, Rebecca fece vestire il secondo-
genito con gli abiti più eleganti di Esaù e ricoprì sia le braccia
25 «Il tempo incalza, perché Esaù può arrivare da un momento all’altro, e
Rebecca brucia decisamente le tappe. È un gioco pericoloso, ma Jahveh le ha
detto che il maggiore servirà il minore [Gn 25,23], ed Esaù ha preparato la via
alla predizione divina con la vendita della sua primogenitura in un momento di
sventato scetticismo» (F. Asensio, Il Pentateuco. Origine dell’uomo e primi passi del
popolo di Dio, Libreria Editrice dell’Università Gregoriana, Roma 1970, p. 75).
35
Pietro Pierantoni
che il collo dello stesso con le pelli dei capretti cosicché Isacco
non potesse accorgersi dell’inganno, facendo affidamento sul
senso del tatto26.
Nonostante alcune perplessità mostrate dall’anziano pa-
triarca, cioè il fatto che il figlio avesse fatto alquanto presto
a procacciarsi la selvaggina in aggiunta alla circostanza che la
sua voce echeggiasse all’udito come quella di Giacobbe, alla
fine Isacco, mosso e ingannato dai sensi del tatto, del gusto e
dell’olfatto, si decise a benedirlo.
L’odore, emesso dai vestiti del figlio maggiore, gioca un ruo-
lo decisivo nell’ordire il raggiro:
«Isacco benedisse Giacobbe invece di Esaù, perché Rebec-
ca, la madre, aveva preso gli abiti di Esaù e glieli aveva fatti
indossare. L’aroma del figlio penetra le viscere paterne. Non
si tratta di una semplice sensazione; si tratta, soprattutto,
del sentimento che quella sensazione suscita: l’orgoglio di
un padre che odora nel figlio la fragranza di un campo es-
teso e fecondo. L’olfatto dà vita all’immaginazione: il figlio,
come un campo benedetto, è carico di frutti. Isacco scopre,
con l’olfatto, la propria discendenza come una terra fecon-
data dal seme del figlio amato, di Esaù; e, tuttavia, è Rebec-
ca, sua moglie, quella che veramente ha raccolto il frutto
desiderato: ha ottenuto la benedizione per Giacobbe, suo
prediletto. Ed è lei che vive nel figlio benedetto»27.
26 Esaù era, infatti, molto peloso: «Rossiccio e tutto come un mantello di pelo»
(Gn 25,25).
27 I. Gomez-Acebo - et al., Pregare con i sensi. L’esperienza di cinque teologhe,
Paoline, Milano 2000, p. 66.
36
Le donne di Israele
Quando Esaù fa ritorno a casa ed apprende di essere stato
rimpiazzato dal fratello, avvilito e in preda all’ira, escogita di
vendicarsi e di aspettare il momento propizio per toglierlo di
mezzo. È ancora una volta Rebecca a giocare un ruolo decisivo
nel destino di Giacobbe, «il quale si salva solo perché, su pres-
sione della madre, fugge lontano dallo zio Làbano, fratello di
Rebecca e padre di due figlie: Lia e Rachele»28.
In conclusione è doveroso «mettere in evidenza [il peso
assunto dalla] matriarca in quanto è lei la vera artefice della
vicenda mentre Isacco, il patriarca, gioca un ruolo abbastanza
secondario pur restando il depositario delle promesse del Dio
di suo padre»29.
28 E. Bartolini, Nello spirito di Nazareth. Una rilettura biblica e spirituale della
Santa Famiglia, Effatà, Cantalupa 2004, p. 112.
29 Ibidem.
37
Pietro Pierantoni
IV
Rachele: l’amata di Giacobbe
Anche l’incontro tra Giacobbe e la sua futura consorte,
Rachele, avviene nei pressi di una fonte d’acqua nella zona di
Paddan-Aram:30
«Egli stava ancora parlando con loro [tre pastori], quan-
do arrivò Rachele con il bestiame del padre; era infatti
una pastorella. Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di
Làbano, fratello di sua madre, insieme con il bestiame di
Làbano […], Giacobbe, fattosi avanti, fece rotolare la pi-
etra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Làbano,
fratello di sua madre. Poi Giacobbe baciò Rachele e pianse
ad alta voce. Giacobbe rivelò a Rachele che egli era parente
del padre di lei, perché figlio di Rebecca. Allora ella corse a
riferirlo al padre» (Gn 29,9-12).
Nel frangente in cui vede la cugina, dalla quale rimane to-
talmente rapito, subito si accende in lui la fiammella della pas-
sione. L’amore per lei, che sboccia dall’incontro al pozzo, «ha
il suo “segno di riconoscimento” nel servizio, nel dare l’acqua.
Secondo l’interpretazione rabbinica il pozzo è simbolo della
30 Paddan-Aram significa letteralmente ‘Campagna di Aram’. «Credesi, che sot-
to questo nome di Campagna d’Aram, la Scrittura abbia voluto designare quella
parte della Mesopotamia che è coltivata, la quale principalmente si estende sui
fiumi e nelle fertili campagne del paese di Sennaar e dei dintorni di Babilonia;
per distinguerla da un’altra parte della stessa provincia, che era, dicesi, più sterile
e più incolta» (F. C. Marmocchi, Corso di geografia-storica antica, del medioevo
e moderna esposto in XXIV studi, studio primo, seconda seduta, Batelli, Firenze
1845, p. 195).
38
Le donne di Israele
Torah: “da lì ciascuno ha tirato fuori dell’acqua per il suo grup-
po, la sua tribù, la sua famiglia” (Midrash Rabbah). L’acqua è
dono del Signore, ma per renderla bevibile occorre togliere la
pietra dalla bocca del pozzo. Ed è ciò che fa Giacobbe quando
vede Rachele, la bella pastora che suscita in lui un impeto che
si traduce in servizio. Splendida icona della reciprocità uomo-
donna nell’ambito della famiglia»31.
Dopo essere stato accolto presso l’abitazione dello zio ma-
terno, Giacobbe, per mantenersi, si mise alle dipendenze di
Làbano, il quale, trattandosi di suo nipote e non sentendosi
a proprio agio a farsi prestare servizio gratuitamente, disse al
medesimo di fissare un legittimo salario. Giacobbe decise di
chiedere, come ricompensa per sette futuri anni di lavoro, che
gli venisse concessa in matrimonio la cugina Rachele, donna
dall’aspetto incantevole. Il padre accettò immediatamente, ri-
tenendo più opportuno dare la propria figlia in mano ad un
parente piuttosto che a uno straniero.
I sette lunghi anni di attività furono un soffio per Giacob-
be poiché tale era l’ardore che provava per la giovane Rachele
da non curarsi delle fatiche procurate dalle mansioni quotidia-
ne. Tuttavia quando si presenta il giorno così tanto agognato,
Làbano compie un gesto meschino introducendo nella tenda
degli sposi, dove si sarebbe compiuto l’atto coniugale, la figlia
maggiore Lia, colei che «aveva gli occhi smorti» (Gn 29,17).
Giacobbe, che non si accorse di nulla a causa del buio (era
sera) e del viso velato della donna (come voleva la tradizione),
la mattina seguente si reca dallo zio e, disorientato per l’acca-
31 E. Bosetti, Giacobbe e Rachele: ministero di cura e dono della vita, in <https://
www.arcidiocesibaribitonto.it/.../giacobbe-e-rachele-ministero-di-cura-e-do-
no-...>
39
Pietro Pierantoni
duto, chiede spiegazioni. Gli verrà spiegato che, solitamente, si
concedeva prima in sposa la primogenita e poi, solo successiva-
mente, la più piccola, nel nostro caso Rachele.
La risposta di Làbano non giustifica comunque l’inganno
compiuto nei confronti del povero Giacobbe,32 anche se si può
azzardare che, attraverso questo torto subìto, egli abbia espiato
quello da lui escogitato tempo addietro a discapito del fratello
Esaù.
Per riparare all’errore commesso e allo stesso tempo per cer-
care di placare l’animo scosso di Giacobbe, Làbano promette di
cedergli in sposa anche l’avvenente Rachele, a patto che avesse
lavorato per lui per altri sette lunghi anni. Se ci si ferma a riflet-
tere per qualche istante, ci si accorge che, per avere in sposa la
giovane che gli aveva sottratto il cuore fin dal primo istante che
l’ebbe veduta, Giacobbe dovette prestare servizio per un totale
di quattordici anni.
A questo punto il «nostro sguardo si deve [soffermare] sull’a-
more di Giacobbe. […] Quest’uomo tranquillo e dal carattere
dolce non rifiuta la fatica che richiede l’amore. Sa vivere con
entusiasmo, senza fare calcoli. L’amore è ricompensa di ogni fa-
tica. Agire con e per amore è vivere veramente, e non trascinare
i propri giorni nella sterilità e nella noia. La perseveranza […]
in qualunque stato di vita in cui ci si “lega” per amore, sembra
un tempo breve, se si vive tutto per donarsi. Un giorno è come
32 Infatti si tratta di un «falso pretesto, di cui Làbano si copre per iscusar la sua
fraude; imperocchè tutto l’apparecchio delle nozze s’era fatto come per Rachele,
e non per Lia; e quando vero stato fosse l’allegato costume, Làbano dovea avver-
tirne Giacobbe, quando si offrì di servire sett’anni per aver in moglie Rachele»
(I. L. Lemaistre de Sacy, Continuazione della Genesi. Giusta la vulgata in lingua
latina, e volgare colla spiegazione del senso litterale, e del senso spirituale, tomo 2,
Baseggio, Venezia 1775, p. 219).
40
Le donne di Israele
mille anni»33. Nonostante Giacobbe riesca, dopo tanta fatica,
a convolare a nozze con la sua prediletta, qualcosa finisce per
creare scompiglio al nuovo ordine appena ristabilito. E questo
qualcosa è un tema che è già stato incontrato, precedentemen-
te, diverse volte: la sterilità. Anche Rachele, come Sara e Rebec-
ca, si ritrova impossibilitata a concepire figli per il suo amato.
A questa situazione di sofferenza per Rachele si contrappo-
ne la fertilità della brutta sorella Lia, che in poco tempo parto-
rirà, uno dietro l’altro, ben quattro maschi ai quali saranno dati
i seguenti nomi: Ruben, Simeone, Levi e Giuda.
«La fecondità di Lia provoca fra Rachele e Giacobbe un
dialogo duro e movimentato. La gelosia s’insinua piano piano
nell’animo della sorella più giovane e la tormenta»34.
Alla fine, di un lungo e difficile percorso tutto in salita, an-
che Rachele vedrà esaudito il suo profondo desiderio di mater-
nità, dando alla luce un figlio maschio che giocherà un ruolo
importante per la storia del suo popolo: Giuseppe. Prima di
morire, a causa dei dolori e delle fatiche del suo secondo parto,
Rachele riuscirà a generare un altro figlio al quale verrà conse-
gnato il nome di Beniamino.
Seppur non fu Rachele bensì «Lia a generare a Giacobbe il
primo figlio [Ruben] che poi perdette la primogenitura perché
era impetuoso come acqua precipite, e non fu Rachele che lo
concepì e lo portò in grembo, non fu lei, la sposa del cuore,
a donarlo a Giacobbe, né fu lei, secondo la volontà di Dio, a
dargli Simeone e Levi e Dan e Jehuda, ciascuno dei dieci fino
a Zebulon»,35 ella riuscì comunque ad ottenere la sua rivincita
33 C. Falletti, Semplicemente uomini. Lectio divina monastica sulla Genesi, An-
cora, Milano 2012.
34 F. Asensio, Il Pentateuco, pp. 79-80.
35 T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, 1: Le storie di Giacobbe, Mondadori, Mi-
lano 2015.
41
Pietro Pierantoni
per mezzo della grazia divina che la rese feconda al momento
opportuno, permettendole di concepire «i due figli preferiti di
Giacobbe»36.
36 D. Burstein – A. J. De Keijzer, I segreti di Inferno. La verità dietro il romanzo
di Dan Brown, Sperling & Kupfer, Milano 2013.
42
Le donne di Israele
V
La moglie di Potifàr: abile ingannatrice
Giuseppe, figlio di Giacobbe, viene venduto dai suoi fra-
telli, per gelosia, a un gruppo di mercanti Ismaeliti che sono
di passaggio vicino al pozzo in cui loro lo avevano gettato per
vendicarsi. A loro volta i carovanieri Ismaeliti, giunti in Egitto,
venderanno il ragazzo a Potifàr, «eunuco del faraone e coman-
dante delle guardie» (Gn 37,36).
Ben presto Giuseppe acquista il favore di Potifàr, che si af-
feziona a lui vedendo la sua buona disposizione e la sua in-
traprendenza nella gestione delle faccende domestiche: tutto
gli riusciva alla perfezione poiché «il Signore era con lui» (Gn
39,3).
Sarà proprio grazie all’«aiuto del Signore» che «da schiavo
di Potifàr, capo delle guardie del Faraone», egli diverrà, «per la
sua abilità e la sua onestà, sovrintendente alla sua casa»:37 il suo
padrone gli affidò, infatti, tutti i suoi beni perché se ne occu-
passe personalmente.
Tuttavia lo status e l’equilibrio, raggiunti con notevoli sfor-
zi, vengono infranti per mano della moglie di Potifàr, la quale
si era invaghita del servo del suo consorte, essendo quest’ulti-
mo «bello di forma e attraente di aspetto» (Gn 39,6).
Dal momento in cui la donna fissò i suoi occhi sul giovane,
come un cacciatore fa con la sua preda, iniziò per lui un lungo
calvario fatto di adulazioni assillanti e pressanti richieste a sfon-
do erotico. La sua padrona, infatti, desiderava giacere con lui
ad ogni costo. Il secco rifiuto di Giuseppe – che non se la senti-
37 E. Kopciowski, Invito alla lettura della Torà, Giuntina, Firenze 1998, p. 64.
43
Pietro Pierantoni
va di tradire la fiducia del suo padrone oltre che di commettere
peccato innanzi a Dio38 – non fece desistere la moglie di Po-
tifàr, la quale, non accontentandosi di questa opposizione, non
perdeva occasione per stare «intorno a Giuseppe, provocandolo
e pregandolo di accettare la sua proposta»39.
La scaltrezza della moglie del suo padrone si manifesta, in
tutta la sua potenza, un giorno caratterizzato dall’assenza del
personale domestico. Decide che quello è il momento giusto,
da così tanto tempo atteso, per agire e allora, in preda all’arden-
te passione che la consumava, afferra il ragazzo per la veste che
dimenandosi, per sfuggire dalle grinfie malefiche della donna,
se la strappa lasciandola accanto a lei.
La moglie di Potifàr, abile nel camuffare la versione dei fatti
e nel procurarsi un falso alibi, chiama subito a gran voce la
servitù e riversa l’intera colpa su Giuseppe:
«Guardate, ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi
con noi! Mi si è accostato per coricarsi con me, ma io ho
gridato a gran voce. Egli, appena ha sentito che alzavo la
voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito
e se ne è andato fuori» (Gn 39,14-15).
Quando Potifàr fece ritorno a casa, si lamentò anche con
lui, ripetendo furbescamente l’apposita accusa che aveva elabo-
rato, per fare punire il giovane schiavo che aveva osato arrecarle
38 Giuseppe aveva capito «che ogni peccato è contro l’Eterno: e si è fortissimi,
quando, per la fede, siamo convinti di questa verità» (L. Burnier, Studi elemen-
tari e progressivi della Parola di Dio, vol. 1, Tip. Claudiana, Torino 1859, n. 524,
p. 240).
39 M. Batchelor, Bibbia dei ragazzi in 365 racconti, Paoline, Milano 2005, p. 46.
44
Le donne di Israele
un affronto, rifiutando le sue avances. La reazione del marito
fu immediata tant’è vero che catturato Giuseppe, lo portò alla
prigione del Faraone.
Alla fine Giuseppe riuscirà a risollevarsi e otterrà la piena
fiducia del Faraone che, dopo aver attestato personalmente la
saggezza e l’acume del giovane, lo nominerà gran visir del re-
gno, donandogli il suo anello. In Egitto Giuseppe prenderà in
moglie una tale Asenat, figlia del sacerdote di Eliòpoli,40 dalla
quale avrà due figli: Manasse, il primogenito, ed Èfraim.
40 «Questa città del sole, vicina al deserto orientale, si trova un poco a valle della
punta del Delta. È certo che l’insediamento risalga per lo meno all’epoca arcaica.
Il suo sviluppo di ordine spirituale sembra contemporaneo a quello politico e
agrario della vicina regione menfita, al tempo dei costruttori di piramidi. Se
il regno di Eliopoli, presunto unificatore dell’Egitto predinastico, non è che
un’utopia, sussistono ben pochi dubbi sul fatto che la mitologia informatrice
di tutta la religione egiziana e fondamento dell’ideologia faraonica, che faceva
del sole il creatore dell’universo, prese forma in questa città. […] Vi si adorava il
sole sotto diversi e con diverse immagini» (P. Vernus – J. Yoyotte, Dizionario dei
Faraoni, Arkeios, Roma 2003, p. 56).
45
Pietro Pierantoni
VI
Sifra e Pua: quando la bontà vince su tutto
All’inizio del Libro dell’Esodo viene descritta la situazione
opprimente che il popolo d’Israele è costretto a vivere in terra
d’Egitto. Infatti, è salito al trono un nuovo Faraone che nutre
paura e dubbi verso l’accrescimento del popolo ebraico, che si
moltiplica a vista d’occhio (cfr. Es 1,12).
Ecco, allora, che impartisce l’ordine di inasprire i lavori e le
punizioni da infliggere agli Ebrei:
«Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trat-
tandoli con durezza. Resero loro amara la vita mediante
una dura schiavitù, costringendoli a preparare l’argilla e a
fabbricare mattoni, e ad ogni sorta di lavoro nei campi; a
tutti questi lavori li obbligarono con durezza» (Es 1,13-14).
Il Faraone decide anche di porre un argine alle numerose
nascite in seno a quel popolo e così convoca a corte le due
levatrici degli Israeliti, Sifra e Pua, e comanda loro di verificare
bene al momento dei parti il sesso dei nuovi nati affinché, se
si fosse trattato di un maschio, avevano l’obbligo di farlo spa-
rire. Solo le femmine potevano essere lasciate in vita. Dietro a
questo mandato si celava la volontà di evitare, in futuro, una
possibile rivolta indesiderata che avrebbe potuto compromet-
tere la prosperità e la potenza del regno d’Egitto. Eliminando
i maschi (incarnazione della forza), questa eventualità non si
sarebbe di certo presentata.
Ma la due donne, temendo più il giudizio divino che le
ripercussioni ad opera del monarca egizio, evitarono di mettere
in pratica gli obblighi ricevuti e lasciarono vivere ogni bambi-
46
Le donne di Israele
no, maschio o femmina che fosse41. Accostando alla respon-
sabilità, all’intelligenza e alla bontà anche un po’ di astuzia,
riuscirono ad evitare una severa punizione da parte del loro re:
studiarono, infatti, di controbattere a possibili contestazioni
del Faraone con la scusa che le donne ebraiche, diversamente
da quelle egiziane, sono talmente abili e forti, durante il mo-
mento del parto, da non avere la necessità delle levatrici per
dare alla luce i loro bambini.
Alessandro Esposito fornisce una strabiliante e accattivante
descrizione a proposito di queste due figure bibliche e del me-
stiere da costoro rivestito:
«Sifra e Pua sono levatrici, le ostetriche dell’antichità, col-
oro che accompagnavano i nascituri nel passaggio più deli-
cato, quello dalla tiepida penombra del grembo materno
alla luce della vita, che all’inizio spaventa ogni neonato e gli
ferisce gli occhi. L’attraversamento richiesto per passare dal
riparo rassicurante del ventre materno all’avventura incerta
e meravigliosa della vita è accompagnato dalla sapiente
guida delle levatrici che, inginocchiate di fronte alle parto-
rienti, le aiutano nel travaglio. Mi raccontava un’anziana,
41 «Sifra e Pua, timorate di Dio, consapevoli della gravità, cioè del peso e della
serietà del dono della vita, trovano in sé stesse il coraggio e la convinzione di
disobbedire al male, rischiando in prima persona andando contro gli ordini del
Faraone. Sono le prime obiettrici di coscienza della storia! E molto insegnano
sull’agire con il cuore. Luogo che come sappiamo per la Scrittura è la sede della
vera intelligenza! Atto eroico? No, semplicemente decisione senza alternative:
tra la vita e la morte non ci può essere alternativa per una donna, ma solo vita,
difesa della vita, dono della vita, custodia della vita, cuore della vita. […] Questo
è Rendere Servizio: servire la vita!» (Sr. Fulvia, Sifra e Pua: il coraggio della vita,
31 marzo 2015, in <riviste.fse.it › Home › Annualità › 2015>).
47
Pietro Pierantoni
che questo compito lo ha assolto, che l’esercizio più dif-
ficile e delicato da imparare è quello che sembrerebbe il
più naturale: il respiro. Quando si appresta a partorire, la
donna deve apprendere a regolare il respiro, ad armonizzar-
lo con le spinte con le contrazioni: in questo veniva in soc-
corso la levatrice, che respirava insieme con la partoriente,
all’unisono, per guidarla passo dopo passo verso un ritmo
più cadenzato e pausato. Due donne che respirano insieme
per dar vita ad un terzo respiro, a loro esterno eppure, al
contempo, così intimo: è impossibile comprendere fino in
fondo il legame che si crea in questa sintonia di fiati. Quel
che possiamo sapere dal nostro racconto è che si tratta di
un legame talmente intenso e profondo da annullare la
distanza etnica così come la differenza sociale. Nel respiro
cercato insieme da partoriente e levatrice, non esistono più
l’egiziana e l’ebrea, la schiava e la donna libera: esiste un
legame di fiati, che nessun ordine maschile può spezzare.
Al punto che le due levatrici hanno il coraggio che spesso
manca a noi uomini (maschi): quello necessario a com-
piere un gesto di disobbedienza. Quel che ha più valore,
però, non è la disobbedienza in quanto tale: non si tratta
di esaltarla come una virtù, isolandola dal suo contesto.
Apprendere la disobbedienza è fondamentale, ma il valore
dell’azione ribelle lo si può desumere, soltanto, dall’ordine
che ci si rifiuta di accettare e di eseguire. L’ordine che le
donne avevano ricevuto richiedeva di sopprimere delle vite:
e lo chiedeva proprio a chi la vita era abituata a generarla,
a farla emergere come respiro dal respiro. Era l’ordine di
un uomo e di un uomo di potere; dato, però, alle persone
48
Le donne di Israele
sbagliate, alle uniche che avrebbero dimostrato di posse-
dere il coraggio necessario per disattenderlo: due donne,
due levatrici. La muta complicità femminile, fatta di respiri
condivisi, imparati insieme, si rivelerà un laccio più tenace,
nella sua fragilità, del fiato del faraone, speso inutilmente
per impartire un comando che, nella sua arrogante presun-
zione, non era stato capace di prevedere la disobbedienza.
Sifra e Pua, disobbedienti al faraone, sono però obbedienti
al Dio: l’unico, per ciò stesso presentato con l’articolo de-
terminativo nel nostro testo. Il Dio, quello che vuole la
vita perché la dona, quello che le due donne hanno saputo
scovare nel segreto di un respiro, nello spazio breve delle
contrazioni, nel ritmo sincopato di quel travaglio che gen-
era la novità. Non è il «loro Dio» e nemmeno quello delle
loro partorienti: è il Dio di tutte loro, donne che generano
la vita e che, per continuare a farlo, sono chiamate ad osare,
sfidando lo strapotere di un uomo, esponendosi al rischio
delle sue ritorsioni. Perché ciò avvenga servono Sifra, «la
buona» e Pua, colei che dà ascolto ai gemiti: bontà e mi-
sericordia, attributi femminili del Dio che attendono di
prendere corpo da mani di donna»42.
42 A. Esposito, Sifra e Pua, coraggio di donne, 9 luglio 2013, in <blog-micro-
mega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=9703>. La grandezza d’animo e le
virtù di queste donne, che ebbero il coraggio e la forza di rifiutare un comando
immorale e contro natura, sono ricordate anche da Giovanni Tonucci: «Sifra e
Pua erano egiziane, e quindi adoravano gli dèi di quel paese, eppure “temettero
Dio”: nella loro limitata percezione della divinità, avevano capito che la vita è
un dono di Dio e che solo lui ne è il padrone; avevano capito che la vita deve
essere rispettata e che nessuna legge e nessun governante può decidere qualcosa
di diverso. Prima della norma decretata da qualsiasi autorità umana, e anche
prima della legge che Dio volle dare a Mosè sul monte Sinai, il rispetto per la vita
49
Pietro Pierantoni
VII
La figlia del Faraone: l’istinto materno
Il piccolo Mosè si trova a dover nascere all’interno di questo
clima di odio, che attanagliava i rapporti tra Ebrei ed Egiziani.
Di lui sappiamo che i suoi genitori erano entrambi apparte-
nenti alla famiglia di Levi e che erano relegati alla condizio-
ne di schiavitù. A causa dell’editto faraonico, che stabiliva la
soppressione dei bambini maschi, la madre di Mosè, in preda
all’angoscia per la sorte di suo figlio e dopo averlo tenuto con sé
per un breve periodo (all’incirca tre mesi), decide che è arrivato
il momento di consegnarlo ad un futuro migliore. Dopo aver
fabbricato una cesta, alquanto robusta, con del papiro rinfor-
zato dal bitume e dalla pece, vi depone il neonato e la adagia
nei pressi dei giunchi del fiume Nilo. L’apprensione, derivante
dall’essere madre, fa sì che non abbandoni completamente la
cesta, lasciando la figlia maggiore, Miriam, a vegliare sul desti-
no di suo fratello.
Dopo questi primi eventi entra in scena la figlia del Farao-
ne, che scende al fiume «per fare il bagno, mentre le sue ancel-
le» passeggiano «lungo la sponda del Nilo» (Es 2,5).
All’improvviso si accorge della cesta nascosta fra i giunchi
e d’istinto incarica una delle sue ancelle perché le porti quel
canestro. Quando l’ebbe tra le mani e l’aprì fu presa da un
umana era un principio fondamentale, iscritto nel cuore di ogni persona. […]
Sifra e Pua sono dei modelli di fedeltà agli ideali più alti di rispetto della vita, fin
dal suo primo inizio. Un esempio da ricordare, in tempi in cui si vuole disporre
cinicamente di tante vite, come se fossero la proprietà privata di qualcuno» (G.
Tonucci, Sifra e Pua, levatrici egiziane, in “Il Messaggio della Santa Casa – Lore-
to”, 6 (2014), pp. 205-206). [mensile]
50
Le donne di Israele
sentimento di compassione,43 vedendo quella piccola creatura
indifesa, bella di aspetto (cfr. Es 2,2) e piangente44.
La sorella di Mosè, che aveva seguito lo scorrere degli even-
ti, si fa avanti e suggerisce alla figlia del Faraone di chiamare
una balia. La principessa incaricherà la bambina affinché ne
trovi una tra le donne d’Israele, volontà che rispetterà portando
al suo cospetto la madre del bambino – seppur la sua identità
non venga svelata alla nobile donna.
Il testo biblico riporta che Mosè rimase con la propria ma-
dre, la quale lo allattò, il tempo necessario per la sua crescita.
Una volta che ebbe terminato l’incarico per cui era stata scelta,
riportò il bambino alla corte del Faraone dove venne cresciuto
dalla figlia del re «come un figlio» (Es 2,10)45.
43 Vale la pena soffermarsi un istante per approfondire il motivo della com-
passione utilizzando le parole del Cardinale Ravasi: «Ebbene, dobbiamo badare
proprio a quel verbo “aver compassione”: in ebraico è hamal e ha varie sfumatu-
re, tra le quali non solo quella della pietà ma anche della tenerezza che desidera
liberare una creatura dal suo male. Il fiore della misericordia sboccia, allora, an-
che su un terreno così arido com’è quello del potere e del benessere» (G. Ravasi,
Una principessa tenera, 28 aprile 2016, in <www.famigliacristiana.it/blogpost/
una-principessa-tenera.aspx>).
44 «La figlia del faraone, in quanto donna, è per la vita, anche se è la figlia del
nemico» (M. Martini, Le nozioni di “patto” e “tradimento” nell’Antico Testamento,
Lulu, 2015, p. 23).
45 Mosè viene preso in adozione a causa della «principale circostanza […]
dell’assenza dei genitori del bambino […]. Successivamente, Mosè ricevette il
suo nome dalla figlia del faraone. Questo fatto aveva una grande rilevanza, per-
ché con esso erano collegati gli effetti giuridici, e soprattutto quello che la figlia
del faraone trattava Mosè come proprio figlio, introducendolo nella vita della
reggia del faraone e dandogli un’educazione adeguata» (S. Cierkowski, L’impedi-
mento di parentela legale. Analisi storico-giuridica del diritto canonico e del diritto
statale polacco, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006, p. 42).
51
Pietro Pierantoni
L’arcivescovo emerito di Loreto, Mons. Giovanni Tonuc-
ci, compie una profonda riflessione a proposito della figlia del
Faraone, evidenziando come l’amore, la compassione e il suo
desiderio di adozione nei confronti di Mosè abbiano permesso
a quest’ultimo di divenire l’eroe e il sapiente biblico così tanto
conosciuto e apprezzato nel corso dei secoli:
«Attraverso di essa, quel bambino, che avrebbe dovuto es-
sere eliminato, è in realtà diventato un personaggio fornito
di tutte le qualità necessarie per essere un capo e una guida.
Mentre i suoi fratelli ebrei vivevano come schiavi, egli ebbe
la possibilità di avere un’infanzia e una giovinezza felici,
con i migliori maestri a sua disposizione e con il contatto
immediato con le alte sfere del governo egiziano, che era al-
lora un impero di grande potenza e di grandissima cultura.
La figlia del Faraone, ignorando l’ordine spietato del padre,
ha permesso che Mosè ricevesse la formazione necessaria
per trasformare un’accozzaglia di miserabili, appena libe-
rati dalla schiavitù, in un popolo organizzato e con una
precisa identità culturale. Egli ha poi fornito quello stesso
popolo di un corpo di leggi ben compaginate e con una
ispirazione umanitaria che non ha uguali nelle legislazioni
di quei tempi. Sappiamo bene che tutto questo è avvenuto
grazie all’intervento forte di Dio, che ha guidato Mosè e,
attraverso di lui, l’intero popolo d’Israele. […] Ecco quindi
che la figlia del Faraone rappresenta un esempio clamoroso
del modo in cui la Provvidenza può agire: facendo in modo
che il liberatore degli Ebrei perseguitati fosse formato alla
sua missione proprio in casa e a spese del suo persecutore»46.
46 G. Tonucci, La figlia del faraone, in “Il Messaggio della Santa Casa – Loreto”,
7 (2014), p. 246. [mensile]
52
Le donne di Israele
Il dato che desta notevole interesse è che in questa storia i
personaggi sono tutte figure femminili: si parte con la madre e
la sorella di Mosè e spuntano in seguito anche la figlia del Fara-
one con le sue ancelle. L’intero episodio biblico ruota attorno
a queste donne e alle loro emozioni. Sono loro le vere protago-
niste alle quali è affidato il destino del piccolo e indifeso Mosè.
«Una storia al femminile: vuol dire che non è una storia di
bravura e di forza, ma una storia di astuzia e di tenerezza,
una storia di maternità. Tutte queste donne sono profon-
damente solidali, tutte concorrono a salvare la vita. Si in-
staura perfino una complicità tra la figlia del Faraone e la
madre del bambino. Il mondo va avanti grazie alla bellezza
di Mosè, ma anche [e soprattutto] grazie al soccorso di
queste mani materne, misericordiose»47.
47 A. Mello, Il Dio degli Ebrei. Riflessioni sull’Esodo, Edizioni Terra Santa, Mi-
lano 2016.
53
Pietro Pierantoni
VIII
Raab: la prostituta che aiutò le spie di Giosuè
Un giorno Giosuè, successore di Mosè e condottiero del
popolo di Israele in Terra di Canaan, invia due delle sue spie
affinché si rechino a Gerico per studiare l’intero territorio e
la sua popolazione. I due, una volta giunti sul posto, trovano
rifugio presso la casa di una meretrice, una tale di nome Raab,
la quale li accoglie offrendo loro vitto e alloggio.
Ma le voci non tardano a raggiungere le orecchie del re di
Gerico che a sua volta manda a dire alla donna di cacciare i
suoi ospiti poiché si tratta di spie nemiche. La donna, invece di
prestare attenzione alle raccomandazioni del suo governante, li
nasconde nella terrazza della sua abitazione «fra gli steli di lino
che teneva lì ammucchiati» (Gs 2,6).
Quando arrivano le guardie del re, che le fanno pressioni
perché faccia uscire gli ospiti indesiderati allo scoperto, Raab
escogita una menzogna: si appresta a sollevarsi da ogni respon-
sabilità, affermando di essere all’oscuro circa la provenienza dei
due e sviando le guardie del monarca riferendo loro che le spie
se ne erano già andate dalla città all’imbrunire.
Mentre le guardie si affrettano a inseguire, sbadatamente,
lungo il Giordano gli informatori di Giosuè, la donna raggiun-
ge la terrazza e contratta con i suoi ospiti la sua salvezza oltre
che quella dei suoi cari, consapevole del fatto che il favore di
Dio è con gli Israeliti.
Il narratore biblico utilizza la figura di Raab per esprimere
«motivi religiosi e teologici per i quali si narra questa storia. La
professione di fede di Raab è il momento più intenso del rac-
conto; è una sintesi della storia della salvezza israelita e anticipa
54
Le donne di Israele
il modo in cui Dio opera a favore del popolo. La professione
di fede di questa donna cananea, ossia straniera, per di più
prostituta, esprime profondi sentimenti religiosi che danno alle
spie una lezione di teologia. […] La lezione di una cananea. Vi
è tutta un’ironia che apre la conquista della terra agli stranieri
e che cancella lo stereotipo dei buoni e dei cattivi. Raab è una
prostituta credente, che fa del bene e annuncia Dio»:48
«So che il Signore vi ha consegnato la terra. Ci è piombato
addosso il terrore di voi e davanti a voi tremano tutti gli
abitanti della regione, poiché udimmo che il Signore ha
prosciugato le acque del Mar Rosso davanti a voi, quando
usciste dall’Egitto, e quanto avete fatto ai due re amorrei
oltre il Giordano, Sicon e Og, da voi votati allo sterminio.
Quando l’udimmo, il nostro cuore venne meno e nessuno
ha più coraggio dinanzi a voi, perché il Signore, vostro
Dio, è Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra» (Gs 2,9-11).
Dopo aver esternato una profonda professione di fede nel
Dio degli Ebrei e aver riconosciuto i prodigi che Jahvè ha com-
piuto per il suo popolo, la donna di Gerico, rivolgendosi alle
spie, chiede che a lei e ai suoi familiari sia riconosciuta un po’
di benevolenza sulla scia di quella che ha usato nei loro con-
fronti.
Nel momento della presa della città le sarà risparmiata la
vita e allo stesso modo avverrà per quanti si trovano nella sua
casa, contrassegnata alla finestra che dà sulle mura da una cor-
da scarlatta, a patto che ella non infranga il giuramento stipula-
to con la controparte: Raab non doveva in alcun modo rivelare
quanto si era confabulato in casa sua.
48 M. Navarro, I libri di Giosuè, Giudici e Rut, Città Nuova, Roma 1994, p. 42.
55
Pietro Pierantoni
Solo se la donna avesse mantenuto fede agli accordi presi,
sarebbe stata trattata «con benevolenza e lealtà» (Gs 2,14).
Una volta stipulato l’accordo, le due spie scendono dalla
finestra affacciata sulle mura e si dirigono verso le montagne
per nascondersi e non incontrare le guardie del re di Gerico.
Durante l’assalto della città di Gerico e poco prima di in-
cendiare quel luogo, Giosuè incarica i giovani informatori, «che
avevano esplorato la terra» (Gs 6,22), di salvare Raab e tutti i
suoi beni dalla distruzione così come le era stato promesso.
Infatti i due uomini «entrarono [in casa sua] e condussero
fuori Raab, suo padre, sua madre, i suoi fratelli e quanto le ap-
parteneva. Fecero uscire tutti quelli della sua famiglia e li pose-
ro fuori dell’accampamento d’Israele. Incendiarono poi la città
e quanto vi era dentro. […] Giosuè lasciò in vita la prostituta
Raab, la casa di suo padre e quanto le apparteneva. Ella è rima-
sta in mezzo a Israele fino ad oggi, per aver nascosto gli inviati
che Giosuè aveva mandato a esplorare Gerico» (Gs 6,23-25).
Risulta interessante notare come la figura di Raab, altra don-
na non di origine ebrea e soprattutto simbolo del malcostume
a causa della sua professione, ma grazie alla cui mediazione il
popolo di Israele ottenne grandi benefici, venga utilizzata da
Origene, padre della Chiesa, a rappresentazione della chiesa
come attestato da Maria Cristina Pennacchio:
«Raab, prostituta di Gerico, salvata per aver accolto gli es-
ploratori inviati da Giosuè, diventa mediatrice di salvezza
anche per tutti coloro che al momento della distruzione
della città si trovavano nella sua casa. Ella si è convertita,
ha abbandonato il suo passato di peccato e ha aderito to-
talmente alla chiamata divina, per questo diventa simbolo
della chiesa delle genti. La tradizionale tipologia Raab-
56
Le donne di Israele
Chiesa si rafforza anche in base all’etimologia del nome,
che secondo Origene significa latitudo, ossia larghezza, per
cui Raab è figura della chiesa che si dilata e progredisce fino
a che la sua voce percorra tutta la terra. Solo entrando in
essa ci si salva. La dichiarazione di Origene è netta: Fuori
di questa casa, cioè fuori dalla chiesa, nessuno si salva (HIos
III,5). Emerge […] l’immagine di una chiesa dinamica, in
cammino, non solo per un continuo accrescimento, ma
anche per un progresso interiore, per cui la larghezza di
Raab non è solo numerica, ma esprime anche la potenza
del contenere, nel suo ambito, realtà diverse, ossia di saper
accogliere e ricondurre all’unità nel suo corpo, condizioni
morali estremamente diversificate»49.
49 M. C. Pennacchio, Spiritus vivificat. Percorsi storico-letterari nell’esegesi orige-
niana, Nuova Cultura, Roma 2008, pp. 62-63.
57
Pietro Pierantoni
IX
Dèbora: la donna giudice
Nel tempo in cui Israele era caduto sotto il controllo di
Iabin, re di Canaan, a causa della sua rinnovata immoralità e ri-
mase oppresso per circa lunghi venti anni sotto il suo dominio,
divenne giudice50 una donna di nome Dèbora. Di lei sappiamo
che fu l’unica donna a «rivestire questo incarico, ricordata an-
che come profetessa, bocca di Dio per il suo popolo»51 e che era
la moglie di Lappidòt. Godeva di una grande considerazione
presso gli Ebrei tanto che questi percorrevano continuamente
la via che conduceva alle montagne di Èfraim, luogo dove co-
stei risiedeva, per ascoltare i suoi consigli e per ottenere il suo
verdetto in merito alle questioni che sorgevano in seno alla so-
cietà: tra i suoi compiti vi erano, infatti, quello di «comporre le
liti», consigliare «la pace», ragionare «con pietà molta del culto
di Dio» e mostrava anche «il dono della profezia»52.
Un giorno Dèbora convoca Barak, figlio di Abinòam, e gli
espone la volontà del Signore: è giunto il momento della rivin-
cita di Israele contro i nemici Iabin e Sìsara, rispettivamente
monarca e guida dell’esercito dei Cananei.
Jahvè vuole che Barak prenda con sé diecimila uomini e
marci sul monte Tabor poiché imminente è la sconfitta del ne-
50 Il periodo dei Giudici, come guide poste dal Signore a capo del popolo ebrai-
co, si estende dal momento immediatamente successivo alla morte di Giosuè per
arrivare sino alla circostanza dell’istituzione della monarchia. Si trattava di veri
e propri leader sia politico-militari che spirituali (cfr. G. Ricciotti, Giudici, in
<www.treccani.it/enciclopedia/giudici_%28Enciclopedia-Italiana%29/>).
51 D. Sari, Debora giudice e profetessa. La forza delle donne dall’A.T. a oggi, p. 5,
in <www.issr-portogruaro.it/wp-content/uploads/2013/11/Debora.pdf>
52 G. Finazzi, Debora e Ruth. Lezioni scritturali dette nella cattedrale di Bergamo,
Boniardi-Pogliani, Milano 1857, p. 14.
58
Le donne di Israele
mico che si consumerà nelle vicinanze del torrente Kison. Alla
certezza profetica della vittoria proveniente dall’oracolo divi-
no, Barak oppone la sua incredulità e la sua poca fede dovute
alla fama del numeroso e ben attrezzato esercito dei Cananei,
quest’ultimo munito di novecento carri da guerra realizzati in
ferro53.
Così Barak esorta la giudice perché lo accompagni nell’im-
presa, cosa che lei accetta sottolineando però il fatto che la vit-
toria dello scontro non avverrà per i meriti dello stratega degli
Israeliti, bensì per volontà del Signore e per mano di una don-
na, Giaele, che verrà presentata nel seguito del racconto.
Quando Sìsara si trova con i suoi soldati, chiamati a raccol-
ta nelle vicinanze del torrente Kison, Dèbora invita il coman-
dante Barak perché si appresti ad agire, essendo giunto l’attimo
propizio in cui il Signore avrebbe guidato l’esercito di Israele
verso il trionfo. Alla fine dello scontro solo Sìsara era riuscito
a salvarsi, fuggendo a piedi e trovando rifugio nella tenda di
Giaele, moglie di Cheber il Kenita, parente alla lontana del
suocero di Mosè e uomo con cui era stato stretto un patto di
amicizia tempo addietro.
Inizialmente il nemico crede di essere al sicuro vedendo la
disponibilità della donna, che è pronta ad accoglierlo e a dargli
ristoro. Ma Giaele è il personaggio femminile di cui parlava
l’oracolo divino, quella donna sulla quale sarebbe ricaduta la
gloria per aver ucciso il capo dei Cananei.
E così dopo aver messo a proprio agio Sìsara, offrendogli del
latte da bere oltre che un posto dove poter riposare per recupe-
rare le forze, approfittando del fatto che questi era caduto in un
sonno profondo a motivo del suo sfinimento, la donna prese
53 Cfr. D. Tonelli, Era giudice di Israele una donna, 2 maggio 2016, in <www.
osservatoreromano.va/it/news/era-giudice-di-israele-una-donna>
59
Pietro Pierantoni
un picchetto e lo uccise. Questa storia manifesta una «brillante
vittoria guerresca e una truce storia di ospitalità violata, di cui
sono soggetti indiscussi due donne, e YHWH che fa il suo
gioco nei loro giochi»54.
Sono diversi gli elementi che necessitano di essere qui evi-
denziati e per farlo nessuno è meglio dell’antico Padre della
Chiesa, il noto Origene:
«Per prima cosa il fatto che, sebbene venga riferito che in
Israele ci furono molti giudici uomini, di nessuno di loro
è detto che fu profeta, se non di Debora, donna. Anche
in questo lo stesso primo aspetto della lettera arreca una
consolazione non piccola al sesso femminile, e stimola le
donne a non disperare mai, per la debolezza del sesso, di
poter diventare capaci anche della grazia della profezia, a
capire e credere, anzi, che questa grazia la merita la purezza
d’animo, non la diversità di sesso. Ma vediamo anche quale
intelligenza interiore esali l’arcano. Debora significa “ape”
o “linguaggio”. Ma già sopra abbiamo detto che Debora è
da intendersi come figura della profezia, che è ape. È certo
infatti che ogni profezia unisce i favi soavi della dottrina
celeste con il dolce miele della parola divina. Per cui anche
Davide cantava dicendo: Come sono dolci le tue parole al
mio palato, più del miele e del favo per la mia bocca. E ancora
altrove dice: I giudizi di Dio sono più preziosi dell’oro e di
pietra preziosissima, e più dolci del miele e del favo»55.
54 F. Rossi De Gasperis, Sentieri di vita. La dinamica degli Esercizi ignaziani
nell’itinerario delle Scritture, Paoline, Milano 2006, p. 119.
55 Origene, Omelie sui Giudici, Omelia V, Edizioni Studio Domenicano, Bolo-
gna 2010, pp. 141-143.
60
Le donne di Israele
I fatti sopra narrati vengono ripresi ed ampliati, nella loro
descrizione, in maniera poetica nell’inno, che celebra la gran-
diosa vittoria, denominato “Cantico di Dèbora e di Barak” (ca-
pitolo V del Libro dei Giudici).
In questo canto solenne si trova nei versi iniziali una teofa-
nia e come sostiene von Balthasar si tratterebbe del «più anti-
56
co documento innico che descrive [una tale manifestazione]»57.
I versi 4-5 che si ricollegano al 20 e 21 narrano proprio
questa rivelazione di Jahvè:
«Signore, quando uscivi dal Seir, quando avanzavi dalla
steppa di Edom, la terra tremò, i cieli stillarono, le nubi
stillarono acqua. Sussultarono i monti davanti al Signore,
quello del Sinai, davanti al Signore, Dio d’Israele. […] Dal
cielo le stelle diedero battaglia, dalle loro orbite combat-
terono contro Sìsara. Il torrente Kison li travolse; torrente
impetuoso fu il torrente Kison. Anima mia, marcia con
forza!» (Gdc 5,4-5; 20-21).
Il presbitero e teologo svizzero von Balthasar spiega questa
teofania con le seguenti parole:
«Dio viene dal Seir, cioè […] dal Sinai; egli viene dal
monte di Dio della vecchia teofania, dove Israele fece la
conoscenza del Dio che si rivelava, viene sulla via che Is-
raele seguì (Edom), viene come Dio salvatore della storia,
nel temporale e nelle tenebre stillanti, che fa gonfiare il fi-
56 Con il termine “teofania” si intende una manifestazione sensibile (o rivela-
zione) della divinità.
57 H. U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, 6: Antico patto, Jaca Book,
Milano 1991, p. 67.
61
Pietro Pierantoni
ume prosciugato, rovescia i carri dei nemici e li trascina via
nell’acqua e disperde i cavalieri. La “teofania naturale” è
dunque al più alto grado “teofania salvifica”. Dio ha causa-
to la vittoria, con un violento temporale, le tribù d’Israele
hanno soltanto “dato una mano” nella lotta. Lì il cantico
ha posto il suo accento»58.
Un altro elemento fondamentale, che emerge nel cantico,
è la chiara distinzione degli uomini addetti alle armi in due
categorie: 1) i guerrieri veri e propri, esperti e abili professio-
nisti bellici che venivano selezionati «tra gli abitanti delle città;
erano capaci di equipaggiarsi coi propri mezzi, il che assicurava
loro l’indipendenza e il potere politici. Questa cavalleria, ori-
ginariamente cananea, si aprì gradualmente alla penetrazione
ebraica. Più gli ebrei arrivavano ad installarsi nelle città, più
alcuni di essi accedevano a questa nobiltà guerriera. All’epoca
dei Giudici, alcuni gibborim [come venivano chiamati questi
guerrieri] sono ancora cananei; altri sono ebrei. Costituiscono
la cavalleria permanente e rispondono all’appello del capo, ma
solo quando [ritengono] la lotta necessaria e vantaggiosa»;59 2)
accanto ai soldati preparati esisteva un altro ordine di combat-
tenti, definiti volontari. Costoro erano meno esperti e abili sul
campo di battaglia, spinti ad agire non da motivi di carattere
politico ma incoraggiati dall’«entusiasmo della fede. Avevano
coscienza di difendere un ideale, una comunità religiosa, ed era
lo spirito che li trascinava. Si trattava, per la precisione, di n’zi-
rim, i nazirei. È possibile che si siano obbligati, durante la cam-
pagna militare, a talune regole ascetiche, suscettibili di esaltarli
maggiormente. Il Cantico di Debora li chiama mitnadvim,
58 Ivi, p. 68.
59 A. Neher, L’essenza del profetismo, Marietti, Genova 1984, p. 152.
62
Le donne di Israele
volontari (Gdc 5,2;9), insistendo sul carattere vocazionale e
spontaneo della loro missione. Questi soldati della fede ave-
vano un aspetto misero se paragonati ai gibborim. Erano […]
privi di risorse e, di conseguenza, di armi […], ma avevano una
concezione elevata della loro missione e un coraggio a tutta
prova»60.
Altro dato importante è l’elogio impartito alle tribù di
Israele che sono intervenute in battaglia e che, quindi, hanno
risposto alla chiamata alle armi, diversamente dalle altre che
vengono rimproverate per aver esitato ed essere rimaste nei
loro territori. Tra le tribù acclamate si riconoscono quelle di
Èfraim, Beniamino, Machir, Zàbulon, Issacar, mentre quelle di
cui viene sottolineata la vigliaccheria, per non essersi esposte ai
pericoli della guerra e per aver ignorato i comandi di Dio, sono
le tribù di Ruben, Gàlaad, Dan, Aser e, da ultima, Meroz, alla
quale viene mossa una vera e propria maledizione.
Ultima considerazione, che merita di essere qui riportata, è
l’esaltazione della figura di Giaele, donna per la cui mano ha
trovato la morte Sìsara. Nel cantico di Dèbora viene benedetta
per aver ucciso il nemico di Israele. Anche se questa eroina vie-
ne lodata dal popolo del Signore, se andiamo ad analizzare me-
glio il modo in cui trasse in inganno Sìsara, ci accorgeremo che
ella «mentì; e violò i diritti di ospitalità, e di alleanza. Mentì,
poiché disse a Sisara entra nelle mie tende, non temere, e poi lo
uccise. Violò i diritti di ospitalità; poiché gli diede ospizio, e lo
tradì. Finalmente siccome vi era alleanza tra la famiglia di Ha-
ber suo sposo e tra’ Cananei; ruppe le sacre leggi di quella»61.
60 Ivi, p. 153.
61 M. Mastrofini, Ritratti poetici, storici, e critici de’ personaggi più famosi
nell’Antico e Nuovo Testamento, tomo 2, Roma 1807, pp. 28-29.
63
Pietro Pierantoni
X
Dalila: la femme fatale
L’episodio biblico che vede uno dei giudici più importanti
della storia ebraica, Sansone, innamorarsi di una donna stra-
niera appartenente alla valle di Sorek, una certa Dalila, è forse
uno dei più conosciuti e accattivanti.
A quel tempo non correva certo buon sangue tra gli Ebrei
e i Filistei, e Sansone era un giudice molto forte che aveva più
volte compiuto stragi di Filistei. Quando egli si innamorò di
Dalila e la voce giunse alle orecchie dei suoi nemici, questi ulti-
mi ne approfittarono per attirare la loro preda in una trappola.
«Allora i prìncipi dei Filistei andarono da lei e le dissero: “Se-
ducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come
potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo
ciascuno millecento sicli d’argento”» (Gdc 16,5).
Spinta dalla cupidigia, Dalila «con le donnesche arti comin-
ciò a lusingare, ed a pregare Sansone»62 perché quest’ultimo le
confessasse la provenienza della sua temibile forza e se esistesse
effettivamente un modo per legarlo e domarne la potenza. Ini-
ziarono così innumerevoli pressioni alle quali Sansone riuscì
sempre a sfuggire, esternando falsi consigli a colei che bramava
per tradirlo.
Un giorno Dalila, dopo vari tentativi andati a vuoto, esplo-
se, manifestando in un lungo sfogo tutta la sua rabbia:
«Allora ella gli disse: “Come puoi dirmi: “Ti amo”, mentre
il tuo cuore non è con me? Già tre volte ti sei burlato di
me e non mi hai spiegato da dove proviene la tua forza così
62 P. Farini, Storia del Vecchio e Nuovo Testamento, vol. 1, Tip. Tizzano, Napoli
1845, p. 288.
64
Le donne di Israele
grande”. Ora, poiché lei lo importunava ogni giorno con le
sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato da morire e
le aprì tutto il cuore e le disse: “Non è mai passato rasoio
sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di
mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me,
diventerei debole e sarei come un uomo qualunque» (Gdc
16,15-17).
Sansone alla fine, un po’ per amore e un po’ spinto dall’e-
stenuante insistenza della donna, finisce per svelarle il suo se-
greto, fatto che gli costerà la cattura da parte dei Filistei e che
lo porterà al declino. Mentre il giudice d’Israele era nel sonno,
Dalila chiamò un uomo perché gli tagliasse i lunghi capelli e fu
così che la guida degli Ebrei, l’inviato del Signore, si indebolì
(cfr. Gdc 16,19). Una volta catturato, i suoi nemici gli tolsero
gli occhi e lo tennero legato per molto tempo, obbligandolo a
spingere «la macina nella prigione» (Gdc 16,21).
Lo psicologo-psicoterapeuta e fondatore della S.I.I.Pa.C.
(Società Italiana Intervento Patologie Compulsive), il Dott.
Cesare Guerreschi, commenta questa vicenda biblica nel modo
seguente:
«Quello di Sansone e Dalila è un altro episodio di per-
versa malvagità femminile che produsse grande eco nella
storia della cultura occidentale. La vicenda della bellissima
donna filistea che, a scopo di lucro, si serve delle proprie
doti persuasive per blandire ed ingannare l’eroe Sansone,
uomo consacrato a Dio, è infatti alla base di una vastissima
produzione artistica. La scena che però ha conquistato di
più nell’arte l’attenzione dei pittori è proprio quella del
tormentato rapporto con Dalila, la donna responsabile
65
Pietro Pierantoni
dell’accecamento non solo fisico, ma, soprattutto, spirituale
del giudice d’Israele. Più volte Dalila muove all’attacco.
Sansone mente. Lei svela ai Filistei il falso segreto. I Filis-
tei giungono, credono di avere in pugno Sansone, ma egli
si libera e ne fa strage. La storia si ripete parecchie volte
senza che Sansone accusi di tradimento Dalila o la cacci
via. La ricompensa per tanta docilità è, alla fine, la perdita
della libertà, della vista, della dignità. L’episodio conferma
ancora una volta l’opposizione tra Dio e la Donna, Dio
abbandona Sansone ai suoi nemici perché costui ha ceduto
alla donna il segreto del loro patto, ma pone in luce qualco-
sa di più della semplice dipendenza dell’uomo dal fascino
femminile: non solo prudenza, logica ed esperienza per-
sonale non gli valgono a niente, ma egli sembra chiedere,
indirettamente, di essere sopraffatto da lei. Il che avviene,
alla fine»63.
63 C. Guerreschi, La dipendenza affettiva. Ma si può morire anche d’amore?, Fran-
co Angeli, Milano 2011, p. 123.
66
Le donne di Israele
XI
Rut: la nuora fedele
Le vicissitudini della vita di Rut sono narrate nel breve libro
che porta il suo nome. Quest’opera si apre con l’emigrazione
di una famiglia ebraica, quella di Elimèlec, il quale a causa di
un gravoso periodo di carestia decide di insediarsi nella zona di
Moab insieme alla moglie Noemi e ai due figli.
In seguito alla morte del padre i due figli celebreranno
ognuno il proprio matrimonio con donne di stirpe moabita:
Orpa e Rut.
Dopo un periodo di circa dieci anni anche i figli Maclon e
Chilion muoiono, lasciando la povera Noemi da sola in preda
alla tristezza. Una probabile lettura che si può fornire a pro-
posito delle numerose disgrazie che colpirono questa casata
d’Israele è che «la famiglia di Elimèlec porta con sé una grave
colpa: è la prima, dalla conquista della terra promessa, ad ab-
bandonarla. È una diserzione che gli uomini di questa famiglia,
responsabili della decisione, [pagarono appunto] con la vita»64.
Una volta morti suo marito e i suoi due figli, Noemi invita
le nuore Orpa e Rut a tornare ciascuna nella casa della propria
famiglia. Inizialmente si rifiutano entrambe di lasciarla da sola,
poi, però, Orpa cederà e si staccherà da lei salutandola con un
bacio, mentre Rut la seguirà e le resterà fedele fino alla fine:65
64 E. De Luca, Introduzione, in E. De Luca (ed.), Libro di Rut, Feltrinelli, Mi-
lano 1999.
65 «Si noti bene che il confronto tra Rut ed Orpa non deve essere posto sul
piano del confronto tra il cattivo e il buono. Orpa non ha scelto male, né qualche
cosa di male, ha scelto in modo ragionevole; ma Rut ha scelto qualche cosa di
più alto, ha scelto di farsi solidale, ha scelto di non tornare sui propri passi,
inseguendo il Sogno dei bei tempi passati: ha scelto il volto di un Dio diverso,
il Dio di Noemi, sul quale neppure Noemi ormai sembra scommettere» (Una
comunità in festa: Rut, la moabita, la straniera credente, p. 6, in <www.ambrosia-
67
Pietro Pierantoni
«Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro
senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti
fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il
tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch’io
e li sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e altro
ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da
te» (Rt 1,16-17).
«[Quella di Rut è] una parola assolutamente imprevedibile,
fatta di amore assoluto, una decisione che nulla calcola, che
nulla scambia. Puro dono. E tuttavia è testimonianza di
un amore totalmente umano e terreno; Rut ama in modo
incondizionato una persona in carne ed ossa. Non si è con-
vertita al Dio di Noemi, ma poiché ama Noemi fa proprio
anche il Dio di quest’ultima. Al Dio di Israele ella perviene
attraverso l’amore per questa sua prossima, per il suo pros-
simo più abbandonato derelitto, disperato»66.
E così Noemi, accompagnata da Rut, ritorna a Betlemme,
sua terra originaria, per insediarvisi nuovamente dato che nella
terra di Moab il Signore le tolse ogni bene, come si evince dalle
parole della donna, intrise di disperazione: «Non chiamatemi
Noemi, chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto
amareggiata! Piena me n’ero andata, ma il Signore mi fa tor-
nare vuota. Perché allora chiamarmi Noemi, se il Signore si è
dichiarato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice?»
(Rt 1,20-21). Dal testo biblico si apprende che il periodo in
cui fanno ritorno a Betlemme Noemi e Rut è quello della mie-
titura dell’orzo:
na.eu/.../20160115%20Ruth/20160115_Rut_Introduzione_P_Rota_Sca...>).
66 M. Cacciari, Rut la moabita. Donna, straniera e madre, in <www.lapartebuo-
na.it/home/il-libro-di-rut-un-commento-del-filosofo-massimo-cacciari/>
68
Le donne di Israele
«La raccolta dell’orzo è vissuta come una festa corale, sem-
bra di risentire i mezzadri cantare le loro allegre canzoni
mentre mietono il cereale, e in questo scenario da carto-
lina c’è posto anche per la bella e giovane spigolatrice, della
quale […] si innamora il padrone del campo, tanto da fare
carte false per sposarla»67.
Il padrone del podere, in cui finisce per spigolare Rut, è un
parente del defunto marito di Noemi, un certo Booz, uomo
stimato, ricco e molto più anziano della giovane moabita. È un
caso che la nostra protagonista si ritrovi a raccogliere, proprio
nella proprietà di Booz, le spighe di orzo e frumento, cadute
nel campo durante la mietitura. Non è, dunque, frutto di una
scelta ragionata precedentemente a tavolino. Quando il padro-
ne giunge sul luogo del raccolto da Betlemme e nota la giova-
ne Rut, se ne invaghisce immediatamente e non perde tempo;
infatti, prende informazioni sull’identità della ragazza per poi
recarsi a parlare con lei.
Nel dialogo che si instaura tra i due, Booz provvede a ras-
sicurare Rut, instaurando un clima di accoglimento e di gen-
tilezza: «Ascolta, figlia mia, non andare a spigolare in un altro
campo. Non allontanarti di qui e sta’ insieme alle mie serve.
Tieni d’occhio il campo dove mietono e cammina dietro a loro.
Ho lasciato detto ai servi di non molestarti. Quando avrai sete,
va’ a bere dagli orci ciò che i servi hanno attinto» (Rt 2,8-9).
Rut inizialmente non riesce a spiegarsi tutta questa bontà e
allora chiede delucidazioni al riguardo. Il motivo per cui Booz
è così apprensivo nei confronti della nuora di Noemi si spiega
con le buone azioni da lei compiute nei confronti della suo-
67 F. M. Boschetto, Libro di Rut, in <www.fmboschetto.it/religione/libri_sto-
rici/Rut.htm>
69
Pietro Pierantoni
cera: ha abbandonato tutto, per starle accanto e prendersene
cura, fino al punto di stabilirsi in una terra a lei straniera68.
«L’affermazione dell’uomo richiama un famoso passo: Il
Signore disse ad Abram: “Vattene dalla tua terra, dalla tua
parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti in-
dicherò” (Genesi 12,1). Booz, parlando a Rut, allude perciò
alla chiamata che Dio ha rivolto ad Abramo: il confronto
del vocabolario lo mostra con chiarezza. Come Abramo
anche Rut ha lasciato la sua patria, la casa di suo padre,
le sue sicurezze per andare incontro a un futuro ignoto.
Se però Abramo ha risposto a una chiamata divina, Rut
non ha percepito nessuna voce: è stata la concreta situazi-
one della suocera a spingerla in quella direzione. Invece di
seguire il cammino del suo antenato Lot, Rut ha seguito
le tracce di Abramo. Mentre Abramo e Lot avevano preso
strade diverse (Genesi 13,9-13), Rut non si è separata da
sua suocera (Rut 1,17). Come Abramo così Rut spera che
il Signore operi in suo favore donandole un figlio […].
Si potrebbe [allora] dire [dopo questa comparazione] che
Rut, una donna moabita, è un Abramo al femminile»69.
68 Booz le rispose: «Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la
morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua pa-
tria per venire presso gente che prima non conoscevi. Il Signore ti ripaghi questa
tua buona azione e sia davvero piena per te la ricompensa da parte del Signore,
Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti» (Rt 2,11-12).
69 M. Crimella, Rompere gli schemi, in <www.aggiornamentisociali.it/articoli/
rompere-gli-schemi/>
70
Le donne di Israele
Passata una giornata positiva e feconda, sia dal punto di vi-
sta del raccolto (un’efa di orzo corrispondente ad un recipiente
di circa 35 litri) che per le nuove persone conosciute, Rut torna
a casa e riferisce alla suocera quanto le era capitato.
All’udire le parole della giovane, Noemi si rincuora e be-
nedice il Signore per aver fatto incontrare alla nuora un uomo
legato alla loro parentela e le consiglia di rimanere a spigolare
nel campo di Booz, senza recarsi in altri poderi, rischiando il
pericolo di essere molestata.
«Noemi capisce che ha tra le mani un’occasione unica, e
non la vuole perdere. Infatti secondo la legge ebraica il parente
più stretto ha il diritto di riscatto, cioè deve garantire alla vedo-
va la discendenza»70.
E così Noemi istruisce Rut su come debba comportarsi con
quell’uomo che era innamorato di lei e che poteva rappresenta-
re un valido motivo di riscatto agli occhi della gente. Una volta
aiutata la nuora a prepararsi e a farsi bella, Noemi spinge Rut a
recarsi da Booz, che si trovava nell’aia a ventilare l’orzo, ammo-
nendola a tenere con lui «un comportamento simile a quello di
una sposa: una volta che Booz si è coricato sull’aia [dopo aver
bevuto e mangiato a sazietà e con il cuore brioso], ella si sdraia
accanto ai suoi piedi. Quando il padrone del campo si desta,
Rut si rivolge a lui come al suo riscattatore. L’uomo accette-
rebbe [volentieri], ma afferma che c’è un parente di Elimèlec
più prossimo di lui che potrebbe ambire a quel ruolo a buon
diritto»71.
70 E. Cardinali, Rut e Booz, 19 maggio 2014, in <https://www.cittanuova.it/
rut-e-booz/>
71 F. Tartaglia, È ora di leggere la Bibbia. (E ti spiego come fare), Ancora, Milano
2018.
71
Pietro Pierantoni
Solamente nel caso quell’uomo, di cui l’autore del racconto
trascura il nome, si fosse tirato indietro, Booz avrebbe fatto
valere il proprio diritto di riscatto sulla bella e giovane moabita.
L’indomani si recò alla porta della città e fermò il parente,
che aveva la precedenza sulle proprietà di Elimèlec, aggiornan-
dolo sulla situazione alla presenza di dieci anziani che doveva-
no svolgere la funzione di testimoni.
Quando quel parente, più stretto dal vincolo della parente-
la, apprende da Booz che, in caso di riscatto, dovrà farsi carico
anche della donna straniera, immediatamente, gli cede il suo
diritto di prelazione.
«In forza di questa rinunzia poté subitamente Booz sposare
la virtuosa Rut, colla quale tutto il popolo si congratulò augu-
randole mille, e mille benedizioni, desiderandola felice, e fe-
conda, come Lia, e Rachele, e celebre in tutte le generazioni»72.
Dal matrimonio nacque Obed, nonno del futuro re Davi-
de, dalla cui stirpe verrà anche Gesù. A Rut, dunque, spetta
«l’onore di essere nominata fra gli antenati di [Cristo]»73.
La storia di Rut, inizialmente contrassegnata da precarietà,
tristezza e dolore improvvisamente «è attraversata dall’amore
che irradia di luce quella giovinezza cupa, rendendola gioiosa
perché – come dichiarava lo scrittore francese Albert Camus –
“il segno della giovinezza è nella magnifica vocazione a sperare
nella felicità”»74.
A conclusione di questa vicenda, al cui centro è posta la
concezione del nucleo familiare con la messa in evidenza dei
suoi legami e delle sue vicissitudini, una meditazione circa
72 Storia del Vecchio Testamento, Epoca quarta, Cap. X, 1845, p. 74.
73 R. Piccolomini, Nota a piè di pagina, in Sant’Agostino, La dignità dello stato
vedovile, Città Nuova, Roma 1993, p. 79.
74 G. Ravasi, La giovane bisnonna di Davide, 15 dicembre 2016, in <www.fami-
gliacristiana.it/blogpost/la-giovane-bisnonna-di-davide.aspx>
72
Le donne di Israele
«l’atmosfera del racconto: vi si respira un’aria campestre, si è
lontani dal clamore delle città e dalle imprese grandiose. Ci
sono, certo, asperità nell’esistenza: lo stesso matrimonio con
Booz avverrà solo dopo l’eliminazione di un ostacolo legale
non marginale. Ma la trama della storia sprizza pace e fidu-
cia, coraggio e speranza. È la celebrazione della semplicità dei
sentimenti e della fede nella provvidenza divina ed è anche l’e-
saltazione di una donna straniera, un’emigrante, accolta nel-
la comunità ebraica a pieno titolo, fino a essere l’antenata del
grande re Davide»75.
75 Id., La famiglia di Rut, 6 novembre 2015, in <famigliacristiana.preview.
mmm.it/blogpost/la-famiglia-di-rut.aspx>
73
Pietro Pierantoni
XII
Anna: dall’umiliazione della sterilità alla gioia del parto
La storia di Anna viene narrata nel Primo libro di Samuele.
Costei era, infatti, madre del grande profeta Samuele e moglie
di Elkanà. Quest’uomo aveva un’altra moglie, di nome Peninnà,
pur restando Anna la sua preferita nonostante la condizione di
sterilità. Peninnà al contrario aveva diversi figli e, mossa dalla
competizione femminile, era solita umiliare e oltraggiare Anna,
motivo che le causava non poca amarezza nel cuore.
Il Primo libro di Samuele si apre con Elkanà, abitante del
paese di Rama, che si reca, insieme alle due mogli e ai figli avuti
da Peninnà, a Silo per rendere grazie a Dio con un sacrificio.
«Dalla vita quotidiana, che peraltro non è stata neppure
abbozzata, si passa a una consuetudine annuale della
famiglia: andare in pellegrinaggio a Silo per adorare Dio
e offrire sacrifici al Signore degli eserciti. L’importanza
del santuario era basata sul fatto che in esso aveva stanza
l’Arca dell’Alleanza (1Sam 4,3.4). Questo faceva sì che Silo
venisse considerata “la dimora [di Dio], la tenda che abita-
va tra gli uomini” […]. In Gdc 18,31 si dà a capire che Silo
fu l’unico o il principale santuario dei primi tempi. […] Il
contesto [è quello] di una festa allegra, con balli e danze»76.
Nonostante si tratti di un pellegrinaggio familiare, la situa-
zione tra le due mogli non è delle migliori: come già accennato,
precedentemente, Peninnà si vanta della sua fecondità a disca-
pito della sterile e intristita Anna, che si ritrova a dover fare i
conti con il desiderio di essere madre infranto da un’impos-
76 J. L. Sicre, Il primo libro di Samuele, Città Nuova, Roma 1997, p. 42.
74
Le donne di Israele
sibilità di ordine naturale. Proprio per questo motivo ella «si
metteva a piangere e non voleva mangiare» (1Sam 1,7) e a nulla
servivano i tentativi di consolazione e le attenzioni del marito,
il quale riservava per lei «una parte speciale» (1Sam 1,5) del
banchetto sacrificale.
La disperazione per la sua condizione la porta ad affidar-
si totalmente a Dio, il solo che possa sbloccare la situazione.
Scoppiata in un lungo pianto, sfocia in una preghiera attra-
verso la quale chiede al Signore che le conceda una grazia, un
figlio maschio77. La richiesta viene accompagnata, però, da una
promessa; se Dio vorrà concederle quanto da lei domandato, a
sua volta si sdebiterà consacrandogli la prole:
«Poi fece questo voto: “Signore degli eserciti, se vorrai con-
siderare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se
non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un
figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della
sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo» (1Sam 1,11).
Anna recita la preghiera in silenzio, muovendo solo le lab-
bra e questo fatto fa pensare ad Eli, sacerdote di Silo, che la
77 «Anna grida a Dio, violentando il santuario e il cielo, con l’amarezza di chi
aveva creduto che dalla coppia scaturisse la vita e ha visto che essa – invece – era
soltanto un gracile velo che piuttosto di coprire, alla fine, rivelava la sua più
profonda impotenza. Anna chiede a Dio di incarnare nel suo letto coniugale il
segreto, il mistero della vita. Per fare ciò ella attraversa tutto il dolore della terra.
Ma il deserto del suo delirio, la notte del suo mutismo, si trasforma in luogo di
incontro con lo Spirito di Dio. […] [E così nell’aridità] del suo grembo sterile,
Anna aveva scavato un pozzo da dove scaturisce l’acqua della grazia, la fonte
della vita, il seme dell’amore» (R. Virgili, Anna e l’esperienza biblica del figlio
desiderato, in M. Griffini (ed.), Sterilità feconda: un cammino di grazia, Ancora,
Milano 2009).
75
Pietro Pierantoni
donna sia in preda ad uno stato di ubriachezza. Infatti, le si ri-
volge con le seguenti parole: «Fino a quando rimarrai ubriaca?
Smaltisci il tuo vino!» (1Sam 1,14).
Innanzi al malinteso, Anna cerca immediatamente di fuga-
re ogni dubbio e riversa tutto il suo dolore: «L’essere sterile è
motivo di vergogna oltre che provocare la rivalità»78 fra donne
e, dunque, risulta «comprensibile l’emozione e l’angoscia di
Anna, per la quale l’onore ed il prestigio di una donna ebrea è
“essere madre”»79.
Dopo un breve scambio di battute tra i due, Eli congeda la
donna raccogliendo la sua preghiera e affidandola a Dio affin-
ché esaudisca il suo desiderio di maternità: «Va’ in pace e il Dio
d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto» (1Sam 1,17).
«Le parole di Eli sono probabilmente qualcosa di più che
alcune parole di conforto. Nei primi tempi, i sacerdoti as-
solvevano una importante funzione come mediatori della
parola di Dio. Perciò, alcuni interpretano queste parole
come un autentico oracolo. [...] la reazione di Anna riflette
qualcosa in questo senso, dato che sembra assolutamente
sicura che la sua supplica verrà esaudita, e cambia radical-
mente il suo comportamento: “mangia”, e il suo aspetto
non è più quello di prima»80.
Ritornati a casa, Anna rimase incinta e, dopo circa un anno
da quando si era recata a Silo con la famiglia, diede alla luce un
figlio maschio, così come aveva chiesto in supplica al Signore.
78 Anna, madre di Samuele, 3 marzo 2014, in <www.petruspaulus.org/donne-e-
uomini-di-speranza/anna-madre-di-samuele-2/>
79 Ibidem.
80 J. L. Sicre, Il primo libro di Samuele, p. 46.
76
Le donne di Israele
Lo chiamò Samuele e lo svezzò. Finito il periodo dello svezza-
mento, la madre conduce il proprio figlio a Silo portando con
sé un giovenco, un’efa di farina e un recipiente colmo di vino.
Una volta sacrificato il giovenco, i genitori presentarono Sa-
muele al cospetto del sacerdote Eli ed Anna proferì le seguenti
parole:
«Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono
quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Si-
gnore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha
concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che
il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è
richiesto per il Signore» (1Sam 1,26-28).
Dalla bocca di Anna, inginocchiata di fronte al sacerdote
Eli e al cospetto del Signore, fuoriesce una bellissima preghie-
ra, denominata “il Magnificat di Anna” o anche “il Magnificat
dell’Antico Testamento”,81 nella quale traspare una fiducia smi-
surata, quasi ingenua verrebbe da dire, in Dio. Il pensiero di
fondo, che percorre l’intero cantico, è pienamente ottimistico
e fa da contrappeso al muro degli scettici. È certo che dietro
all’elaborazione di questo inno di lode si trova la gratitudine di
una donna che deve tutto a quel Dio che ha permesso un ri-
baltamento radicale ad una situazione alla quale non sembrava
esserci ormai più soluzione. Allora, solamente quella donna,
che ha visto nella sua vita il segno tangibile della manifestazio-
ne dell’agire divino, può proclamare una simile preghiera:
81 Se il Magnificat dell’Antico Testamento è quello recitato per bocca di Anna,
quello del Nuovo Testamento è declamato dalla madre di Gesù, Maria, e si trova
nel Vangelo di Luca (Lc 1,46-55).
77
Pietro Pierantoni
«Il mio cuore esulta nel Signore, la mia forza s’innalza gra-
zie al mio Dio. Si apre la mia bocca contro i miei nemici,
perché io gioisco per la tua salvezza. Non c’è santo come il
Signore, perché non c’è altri all’infuori di te e non c’è roc-
cia come il nostro Dio. Non moltiplicate i discorsi superbi,
dalla vostra bocca non esca arroganza, perché il Signore è
un Dio che sa tutto e da lui sono ponderate le azioni. L’arco
dei forti s’è spezzato, ma i deboli si sono rivestiti di vigore. I
sazi si sono venduti per un pane, hanno smesso di farlo gli
affamati. La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è
sfiorita. Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi
e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed
esalta. Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rial-
za il povero, per farli sedere con i nobili e assegnare loro un
trono di gloria. Perché al Signore appartengono i cardini
della terra e su di essi egli poggia il mondo. Sui passi dei
suoi fedeli egli veglia, ma i malvagi tacciono nelle tenebre.
Poiché con la sua forza l’uomo non prevale. Il Signore dis-
truggerà i suoi avversari! Contro di essi tuonerà dal cielo. Il
Signore giudicherà le estremità della terra; darà forza al suo
re, innalzerà la potenza del suo consacrato» (1Sam 2,1-10).
In questo inno di lode troviamo riferimenti a diversi ele-
menti: innanzitutto una gioia incontenibile che irradia il cuore
e che porta a confidare ed esultare nel Signore, il quale ribalta
le situazioni terrene, anche le più difficili, e dona la forza di
rialzarsi. Dio viene paragonato ad una roccia, un’ancora di sal-
vezza, di cui non è possibile fare dei paragoni: come Lui non
ce n’è.
Segue un’ammonizione a trattenersi dal compiere discorsi
intrisi di superbia e perseverante arroganza poiché il Signore
78
Le donne di Israele
veglia continuamente, sa e vede tutto. Continuando l’analisi, si
possono scorgere altre due tematiche «in questo inno di ringra-
ziamento che esprime i sentimenti di Anna. [La prima] domi-
nerà anche nel Magnificat di Maria ed è il ribaltamento delle
sorti operato da Dio. I forti sono umiliati, i deboli “rivestiti di
vigore”; i sazi vanno in cerca disperata di cibo e gli affamati si
assidono ad un banchetto sontuoso; il povero è strappato dalla
polvere e riceve “un seggio di gloria” (cfr. vv. 4.8). […] È una
professione di fede […] nei confronti del Signore della storia,
che si schiera a difesa degli ultimi, dei miseri e infelici, degli
offesi e umiliati»82.
Il secondo tema che si vuole evidenziare riguarda ancora
più strettamente la «figura di Anna: “La sterile ha partorito
sette volte e la ricca di figli è sfiorita” (1Sam 2,5). Il Signore che
ribalta i destini è anche colui che è alla radice della vita e della
morte. Il grembo sterile di Anna era simile a una tomba; ep-
pure Dio ha potuto farvi germogliare la vita, perché “egli ha in
mano l’anima di ogni vivente e il soffio di ogni carne umana”
(Gb 12,10)»83.
L’idea secondo cui la vita e la morte siano esclusiva pre-
rogativa di Dio e non dipendano in alcun modo dall’uomo,
che vorrebbe molto spesso esserne padrone, è confermata dalla
frase inoppugnabile del cantico dove si legge: «Il Signore fa
morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire» (1Sam 2,6).
Solamente «l’Onnipotente può [perciò] dare la vita, prolun-
82 Giovanni Paolo II, Udienza generale, 20 marzo 2002, n. 4, in <w2.vatican.
va/content/john-paul-ii/it/audiences/2002/.../hf_jp-ii_aud_20020320.html>
83 Ivi, n. 5, in <w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2002/.../
hf_jp-ii_aud_20020320.html>
79
Pietro Pierantoni
garla e perfino restituirla (Sir 11,14)»84.
Alcuni ritengono che dietro al cantico di Anna possa na-
scondersi anche un inno di vittoria, o salmo regale, pronuncia-
to da un monarca che ha fatto ritorno dal campo di battaglia
sotto le vesti del vincitore. I dettagli, che farebbero pensare a
questa ipotesi, si trovano nel versetto 4 dove si accenna all’arco
dei nemici, i forti, che è stato alla fine spezzato da quei deboli
poi dimostratisi pieni di vigore.
Per concludere questo capitolo su Anna, va ricordato che
questa donna si recava ogni anno da suo figlio, consacrato a
Dio dopo il periodo di svezzamento e diventato un servitore
della casa del Signore, per portargli una veste nuova. Anna non
abbandonò, dunque, Samuele così come Dio non abbando-
nò lei: le fece dono di «altri tre figli e due figlie (1Sam 2,21),
segni della fecondità dell’alleanza tra Dio e colei che non ha
permesso alla sua voglia di vivere di indebolirsi riempiendo il
suo vuoto»85.
L’importanza rivestita dalla figura biblica di Anna risiede
nella forza dimostrata dinanzi alla prova: non si è lasciata vin-
cere dallo sconforto, ma ha saputo incarnare una fiducia smisu-
rata in Dio alla quale ben pochi, al suo posto, sarebbero rimasti
ancorati.
«Anna riflette il volto di quegli oranti che vivono
un’esperienza umana e religiosa analoga alla sua ed invo-
cano il riscatto e la liberazione. Rappresenta il popolo degli
84 R. De Tryon-Montalembert, L’autunno è la mia primavera. I tesori della terza
età, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1990, p. 145.
85 A. Wénin – C. Focant, La donna, la vita. Ritratti femminili della Bibbia,
EDB, Bologna 2008, p. 78.
80
Le donne di Israele
umili, di coloro che pregano il Signore e ripongono in lui
la loro fiducia, trovando in lui rifugio contro coloro che
godono di maggior fortuna. […] Anna ci istruisce anche
sulla fede. Invocando Dio come “Signore degli eserciti” –
particolare, questo, notato dai maestri ebrei – esprime la
fede in Dio creatore, a cui nulla è impossibile. Se Dio ha
creato tutte le cose finalizzandole a uno scopo, non può
permettere nella sua onnipotenza e bontà che una donna,
che è stata voluta da Dio per trasmettere la vita, non possa
avere figli»86.
86 V. Lopasso, Anna, colei che confida nel Signore, in <www.terrasanta.net/tsx/
showPage.jsp?wi_number=5596>
81
Pietro Pierantoni
XIII
Mical: la prima moglie del futuro re Davide
La storia di Mical è riportata nel Primo libro di Samuele
e riguarda essenzialmente il suo matrimonio con il futuro re
del popolo d’Israele, Davide. Quest’ultimo era uscito vincitore
dalla sfida contro il gigante filisteo e buon combattente Go-
lia. Questa vittoria, considerata ardua agli occhi degli uomini
ma facile per il prescelto di Dio, unita all’acclamazione e al
favore di cui godeva Davide di fronte agli Ebrei tutti, iniziò a
far sorgere nell’animo di Saul un incontenibile sentimento di
gelosia. Il contesto si aggravò quando il monarca si accorse che
il Signore era vicino a Davide. Ora Saul aveva due figlie, Me-
rab e Mical. Anche se in un primo momento è la primogenita
Merab ad essere promessa in sposa a Davide, per motivi che
non si comprendono dal racconto biblico, sarà la più piccola
Mical a diventare sua moglie. Infatti, Merab fu affidata ad un
certo Adrièl di Mecolà, mentre Mical, che nel frattempo si era
invaghita del giovane e vigoroso Davide, gli sarà concessa in
sposa dopo aver portato a Saul duecento prepuzi dei nemi-
ci filistei. Questa fu la dimostrazione dell’interesse che anche
Davide provava per la figlia del re. Solitamente un uomo, che
intendeva maritarsi, doveva versare al padre della vergine una
somma in denaro, chiamata mōhar o prezzo sponsale87. Saul
rinunciò a tale prezzo nuziale a patto che gli fossero portati
cento prepuzi. Davide assolse con cura la condizione che gli fu
imposta, avendone rimediati due volte tanto.
Poco dopo questi eventi, Saul, sempre più consumato
dall’invidia, decise di togliere di mezzo la causa delle sue pre-
87 Cfr. A. Tosato, Il matrimonio israelitico: una teoria generale, Editrice Pontificio
Istituto Biblico, Roma 2001, p. 136.
82
Le donne di Israele
occupazioni e così inviò delle guardie presso la casa di Davide
affinché lo uccidessero. Ma il re d’Israele aveva sottovalutato
l’attaccamento della propria figlia per il suo sposo. Avvisato il
marito, lo mise in salvo calandolo dalla finestra e astutamente
imbottì il letto con degli oggetti cultuali, ricoperti «con una
coltre», e dalla parte della testa mise «un tessuto di pelo di ca-
pra» (1Sam 19,13). Quando i messaggeri di Saul si appresta-
rono a irrompere in casa per catturare Davide, scoprirono il
piano di Mical macchinato con tanta arguzia. Al cospetto del
padre, la donna rispose alle sue insistenti domande con furbi-
zia, dicendo che Davide l’aveva minacciata di morte se non gli
avesse permesso di fuggire.
Verso la fine del capitolo 25 del Primo libro di Samuele, si
legge che Davide prende in moglie altre due donne, Abigàil,
che precedentemente era stata la moglie di Nabal, e Achinòam
di Izreèl. Intanto Saul diede Mical in moglie a Paltì, figlio di
Lais. Se per un israelita era possibile prendere con sé più di una
moglie, diversamente non godeva di una tale parità di condi-
zione una donna ebrea. Era severamente vietato prendere in
sposa una donna legata ad un altro uomo a meno che quest’ul-
timo non le concedesse il divorzio (get), cosa che, nella situa-
zione particolare di Davide e Mical, non avvenne. Come si
spiega, allora, il fatto che Saul infranse questa norma?
«Deve esserci quindi un’altra spiegazione per il matrimonio
di Mikal con Palti, figlio di Lais. Pare che all’epoca di Saul
Israele seguisse una legge [diversa dalla Torah] secondo cui
un matrimonio terminava se il marito abbandonava la sua
casa, disertava a favore del nemico, o si ribellava contro il
regno, così la moglie era libera di sposare un altro. […] La
Torah non accetta l’idea che un matrimonio sia terminato
83
Pietro Pierantoni
o sospeso perché il marito [se n’è andato di casa,] è stato ra-
pito, ha disertato o è prigioniero di guerra. Ma il matrimo-
nio di Mikal con Palti, figlio di Lais, indica [senza ombra di
dubbio] l’esistenza di un’altra legge, più vicina per natura
al Codice di Hammurabi e alle leggi di Eshnunna»88.
Si parlerà nuovamente di Mical al capitolo 6 del Secondo
libro di Samuele dove si racconta dello spostamento dell’arca
dell’Alleanza nella città di Gerusalemme. Quando Davide en-
tra, saltando e danzando per onorare Dio, all’interno della città
santa e a seguito dell’arca, Mical segue lo spettacolo dalla fine-
stra e prova disprezzo per quell’uomo festante, che un tempo
fu suo marito. Dopo aver deposto l’arca del Signore «al centro
della tenda che Davide aveva piantato per essa» (2Sam 6,17) e
una volta terminati i festeggiamenti, il re d’Israele stava recan-
dosi a casa per benedire i suoi familiari quand’ecco spuntare
improvvisamente Mical, figlia di Saul, che gli corre incontro
per sbeffeggiarlo:89 «Bell’onore si è fatto oggi il re d’Israele sco-
88 D. Friedmann, Diritto e morale nelle storie bibliche, Giuffrè, Milano 2008,
pp. 407-409.
89 «Il senso dell’aspro rimprovero di Mikal a Davide non è del tutto chiaro. Di
solito si interpreta il fatto come rimprovero perché Davide, danzando davanti
alle serve vestito dell’efod di lino, avrebbe mostrato al popolo la propria nudità.
In realtà, l’efod di lino fa parte delle vesti sacerdotali; non sembra trattarsi qui di
una veste sconveniente, né sembra verosimile pensare che Davide in occasione
di un evento tanto importante e pubblico come il trasferimento dell’arca, abbia
indossato un vestito che avrebbe potuto lasciare scoperte le parti genitali. Anche
il verbo “mostrarsi” usato da Mikal ha il senso generico di “rivelarsi, apparire”, e
solo in casi particolari ha a che fare con il denudarsi del corpo, che viene allora
esplicitato (cf. Es 20,26; Is 47,3; Ez 16,36). L’accusa rivolta da Mikal sembra
piuttosto riguardare il fatto che Davide si è mostrato davanti al popolo in modo
non adeguato alla sua dignità regale, saltando e danzando in una modalità che
essa assimila al comportamento di “uomini da nulla”» (Libri di Samuele. Davide,
84
Le donne di Israele
prendosi davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si
scoprirebbe davvero un uomo da nulla!» (2Sam 6,20).
La donna «per gelosia o per altre motivazioni non ben
precisate irride amaramente l’entusiasmo di Davide davanti
all’arca»90.
A queste parole provocatorie e offensive, rivolte da una per-
sona che più che esprimere la gioia del cuore resta ancorata ai
gelidi formalismi, segue la replica del re Davide, che lascia tra-
sparire il suo disappunto e la propria amarezza per non essere
stato capito.
«Davide dovette sentire così profonda la ferita che rispose
con un linguaggio a lui inusitato, che non apparirà più
sulla sua bocca e che doveva risultare offensivo a Mikal;
soprattutto quella frase: “[Il Signore] mi ha scelto invece
di tuo padre”. Fu certamente una debolezza, che può però
trovare la sua ragione nel fatto che la fede profonda di Da-
vide e la sua pietà sincera erano state denigrate. Davide
non nega nulla di quanto Mikal gli aveva detto; precisa
però che, se era vero che si era mostrato come un “uomo
di nulla” davanti agli Israeliti, questa apparente sua follia
era l’entusiasmo riconoscente verso Colui che l’aveva scelto
come re, davanti al quale era disposto ad abbassarsi ancora
di più; e aggiunge quasi profeticamente che il suo gesto
sarebbe stato compreso e per ciò sarebbe stato “onorato”
(v. 22)»91.
re in Gerusalemme (2Sam 5-12), pp. 15-16, in <discite.marcianum.it/marcia-
num/.../download.jsp?path...%202%20Samuele%205...>).
90 M. Tábet, Il secondo libro di Samuele, Città Nuova, Roma 2002, p. 61.
91 Ibidem.
85
Pietro Pierantoni
Il narratore biblico termina il racconto con una frase dalla
quale emerge la più totale disapprovazione per colei che ave-
va osato recriminare l’atteggiamento del re, l’unto del Signo-
re, senza compiere il benché minimo sforzo introspettivo su
sé stessa. Così come Mical ebbe a sottolineare l’impudicizia e
l’ostentazione innocenti di Davide ora spetta a lei subire l’on-
ta per la sua condizione di mancata maternità: «Mical, figlia
di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte» (2Sam
6,23).
86
Le donne di Israele
XIV
Betsabea: la donna vittima di un gioco più grande di lei
Quella di Betsabea è una storia travagliata, segnata da diver-
si momenti di sconforto. Quando Davide la vede per la prima
volta, Israele è in guerra contro gli Ammoniti. Essendo questa
attraente, «viene [infatti] ritratta come bella e proibita fonte di
attrazione per il re Davide»,92 se ne innamora immediatamente
e chiede ad alcuni suoi fedelissimi di prendere informazioni
sulla donna. Gli viene riferito che si tratta della «moglie di Uria
l’Ittita» (2Sam 11,3), che si trova sul campo di battaglia a com-
battere la guerra per il suo re. Davide fa condurre la donna
nella sua reggia e passa la notte insieme a lei. Durante questo
incontro passionale, Betsabea rimane incinta e il re, preoccu-
pato delle conseguenze, inizia a studiare un valido espediente
che possa rappresentare una via di salvezza per l’onore di tutti.
«Davide commette qui una serie di imprudenze che van-
no dal non essere andato in guerra fino all’aver indotto la
donna ad entrare nella sua reggia. Il peccato più grave di
Davide non è tuttavia questo. Per salvare la rispettabilità
di Betsabea, la dignità di un amico e buon ufficiale oltre
che la propria, Davide tenta uno stratagemma. Fa chiamare
Uria dalla battaglia e lo invita a pernottare a casa, con sua
moglie, sperando così di legittimare la paternità del nas-
cituro. Uria però agisce diversamente e rimane a dormire
con i servi del re. Vistosi con le spalle al muro Davide,
invece di affidarsi alla misericordia di Dio e cercare presso
92 S. Niditch, Betsabea, 1 luglio 2016, in <www.osservatoreromano.va/it/news/
betsabea>
87
Pietro Pierantoni
di lui una soluzione, agisce con astuzia e perfidia abusando
del proprio potere: rimanda Uria in guerra, affidandogli
una lettera per Joab. Davide invita Joab a mettere Uria nel
punto dove maggiormente ferve la mischia e poi ritirarsi
cosicché rimanga ucciso»93.
A causa del sotterfugio, pianificato da Davide e messo in
atto dal generale supremo dell’esercito Ioab, oltre a Uria nume-
rose furono le perdite sul campo di battaglia.
Appresa la morte del consorte di Betsabea da un messag-
gero, Davide si preoccupa di sminuire il gesto ignobile da lui
stesso architettato, mosso forse da un briciolo di pentimento.
Lascerà, infatti, disposizione al messaggero di riferire a Ioab
le seguenti parole: «“Non sia male ai tuoi occhi questo fatto,
perché la spada divora ora in un modo ora in un altro; rinforza
la tua battaglia contro la città e distruggila”. E tu stesso fagli
coraggio» (2Sam 11,25).
Nel frattempo Betsabea compie il rituale funebre con tan-
to di «lamento per il suo signore» (2Sam 11,26) e trascorre il
periodo del lutto, restando lontana dal suo amante. Terminati
i giorni del dolore, Davide manda a prendere la sua amata e
decide di sposarla, ma il giudizio del Signore è in agguato.
Il profeta Natan, inviato da Dio, si reca presso Davide e
servendosi di un racconto simbolico giungerà a far capire al
monarca la gravità del suo peccato, suscitando un forte senti-
mento di ravvedimento94.
93 M. G. Riva, Amore e peccato in Davide, 20 febbraio 2008, in <https://www.
culturacattolica.it › Cultura › Sacra Scrittura: studi>
94 «È il profeta Natan […] che apre gli occhi a Davide e gli fa capire la sua
nefandezza; prima Davide non ci pensava o non se ne rendeva conto del tutto»
88
Le donne di Israele
«Natan inizia [così] raccontando la storia di un ricco al-
levatore e di un pover’uomo che aveva una sola capretta.
Attraverso un racconto finto, Natan cattura l’attenzione di
Davide che si lascia condurre dalla narrazione. Attraverso
il racconto egli spinge Davide ad emettere un giudizio par-
tecipato e appassionato. A quel punto il profeta toglie il
velo e riporta Davide alla realtà: “Tu sei quell’uomo”. Pro-
prio questo passaggio tra realtà e finzione è il cuore della
parabola. […] È come se si prendesse l’ascoltatore dalla
realtà, lo si portasse fuori, in alto, per giudicare libera-
mente e per poi ridiscendere cambiati nello stesso punto
di partenza. Lo scopo del racconto parabolico è, quindi,
quello di coinvolgere, anche usando la forza, per cercare
un dialogo e cambiare il modo di vedere o di comportarsi
dell’ascoltatore. […] Attraverso la [forma dialogica sottesa
dalla] parabola […] Natan è riuscito coinvolgere Davide, a
suscitarne lo sdegno per poi rivolgerlo contro di sé. A quel
punto infatti il re non può più tornare indietro: egli stesso
ha varcato la soglia del non ritorno. Il profeta non ha bisog-
no di accusare, constata semplicemente la somiglianza: “sei
tu quell’uomo!”. In definitiva Davide si accusa da solo»95.
(C. F. Pierbon, Miei cari fratelli. Omelie anno C, Edizioni Studio Domenicano,
Bologna 1997, p. 303); il racconto che irradia il cuore di Davide e lo conduce
sulla via del cambiamento è riportato in 2Sam 12,1-4: «Due uomini erano nella
stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso
in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella
piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e
con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo
seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi,
evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al
viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la
servì all’uomo che era venuto da lui».
95 Don Federico, Corso di formazione permanente “Io parlerò loro in parabole”,
89
Pietro Pierantoni
Alla fine del lungo dialogo tra il profeta e Davide, troviamo
il rammarico di quest’ultimo che si spinge fino al punto di am-
mettere l’evidenza della sua colpa, dicendo di aver peccato con-
tro il Signore. L’ammissione della colpa cancellerà il peccato
del re: «Tu non morirai» (2Sam 12,13), tuttavia rimarrà l’ob-
bligatorietà dell’espiazione, che si concretizzerà nella perdita
del primogenito avuto da Betsabea. Nonostante la previsione
certa di morte, incombente sul nascituro, Davide non si per-
de d’animo e cerca ad ogni costo di scongiurare quell’ignobile
destino, manifestando la contrizione con le azioni più dispa-
rate: «fece suppliche a Dio per il bambino, si mise a digiunare
e, quando rientrava per passare la notte, dormiva per terra»
(2Sam 12,16).
La sorte del piccolo era, però, già stata segnata ed è così che
dopo soli sette giorni di vita questo morì. In seguito alla perdi-
ta del figlio, Davide consolò Betsabea, sua moglie, e giacendo
nuovamente con lei ebbero un nuovo bambino, che chiamaro-
no Salomone e che divenne il terzo grande re del regno unifica-
to di Giuda e Israele. Questo bambino, diversamente dal pre-
cedente, nascerà sotto il favore divino: il profeta Natan, agendo
per volontà di YHWH, gli attribuirà il nome di Iedidià, che
letteralmente significa «l’amato del Signore»96.
La figura di Betsabea ha destato, fin dall’antichità, un pro-
fondo interesse nelle persone, in misura ancora maggiore nel
mondo dell’arte, come ci ricorda Francesca Santucci:
«Largamente diffusa nell’arte sacra di ogni tempo fu la rap-
presentazione della vicenda biblica (in cui, nonostante non
primo incontro, pp. 1-2, in <www.diocesi.concordia-pordenone.it/pordeno-
ne/.../Relazioni%20don%20Federico.pd...>
96 G. Anderlini, I quindici gradini. Un commento ai Salmi 120-134, Giuntina,
Firenze 2012, p. 88.
90
Le donne di Israele
esemplare la condotta del re, nell’episodio dell’adulterio
con Betsabea fu vista una prefigurazione di Cristo e della
Chiesa), sempre ruotando intorno a Betsabea, con o senza
ancelle, a Davide, talvolta anche a Uria, molto sofferman-
dosi gli artisti sulla scena di Betsabea al bagno, sul mo-
mento in cui si consuma l’adulterio, sulla lettera di Davide
e sulla sua penitenza, ma, per le infinite suggestioni of-
ferte, soprattutto sulla raffigurazione del corpo nudo della
donna»97.
Ritroviamo la regina Betsabea all’inizio del Primo libro dei
Re, dove si discute dei termini circa la successione davidica. Il
re Davide aveva molti figli, avuti da mogli diverse, e tra questi
alcuni ambivano a sedere sul trono regale. Si pensi, ad esem-
pio, ad Assalonne che aveva cercato di destituire suo padre e
che riuscì nel suo intento per un breve periodo. L’affronto di
Assalonne fu tale che si spinse persino al punto di congiungersi
pubblicamente con le concubine di Davide. In seguito il re
riuscì a riappropriarsi del suo status, grazie anche all’appoggio
dei suoi fedeli sostenitori.
Davide, ormai vecchio e prossimo alla morte, deve deci-
dere chi designare al suo posto. Due sono i pretendenti: da
una parte Adonia, figlio di Agghìt e dall’altra Salomone, figlio
di Betsabea. Ora il primo, definito molto avvenente e altez-
zoso (cfr. 1Re 1,5-6), accordandosi con uomini potenti della
corte, come Ioab ed Ebiatàr, decise di autoproclamarsi nuo-
vo monarca del popolo d’Israele; un giorno si recò «presso la
97 F. Santucci, Virgo virago. Donne fra mito e storia, letteratura ed arte, dall’anti-
chità a Beatrice Cenci, Akkuaria, Catania 2008.
91
Pietro Pierantoni
pietra Zochèlet, che è vicino alla fonte di Roghel» (1Re 1,9),
per compiere dei sacrifici. Il fatto di immolare degli animali a
Dio, per attirarsi il suo favore, e di invitare a questo evento le
persone più in vista del palazzo insieme a quelle del popolo, è
un chiaro monito per i contendenti.
Dall’altra parte si trova invece Salomone, che è sostenuto a
sua volta dalla madre, dal profeta Natan e da Benaià, capo della
guardia personale del re.
Quella per l’avvicendamento al trono, con i relativi raggiri,
è una «delle sequenze narrative più ampie […]. Vince l’asse
Betsabea-Natan: la regina Betsabea mette in luce tutta la sua
intrigante scaltrezza, sostenuta dall’appoggio politico-religioso
del profeta Natan, e riesce a mettere sul trono suo figlio Sa-
lomone. Ai quarant’anni del regno davidico seguono i qua-
rant’anni del regno salomonico»98.
I motivi, sui quali preme Betsabea e che le furono consiglia-
ti da Natan, per convincere re Davide ad optare per Salomone
sono essenzialmente due:99 1) il suo sposo deve rispettare la
promessa fatta alla propria consorte molto tempo prima. Di
questa presunta garanzia non si trova traccia nei libri dell’An-
tico Testamento e viene menzionata unicamente in 1Re 1,13;
2) se Davide non permetterà a Salomone di essere consacrato
re, ma deciderà per Adonia, quello che spetta a lei e a suo figlio
sarà un triste destino: «Quando il re, mio signore, si sarà ad-
dormentato con i suoi padri, io e mio figlio Salomone saremo
trattati da colpevoli» (1Re 1,21).
98 G. Borgonovo – P. Gironi, Il mondo della Bibbia, Paoline, Milano 2006, p.
99.
99 Cfr. L. Schiaparelli, Storia degli Ebrei. Dalla loro origine alla schiavitù di Babi-
lonia, Tommaso Vaccarino Editore, Torino 18702, p. 226.
92
Le donne di Israele
Dopo la consacrazione di Salomone a successore legittimato
di Davide, troviamo nuovamente Betsabea nei panni di me-
diatrice, questa volta però presso suo figlio. Si era recato da lei
il vinto Adonia per chiederle che portasse al nuovo re la sua
richiesta: dato che gli era stato sottratto il regno, almeno che gli
fosse concesso di prendere in moglie Abisàg, la giovane e bella
Sunammita, che si era presa cura di Davide e lo aveva assistito
negli ultimi momenti della sua vita.
«Betsabea espose la domanda di Adonia e Salomone, nella
sua prudenza, intuì subito il veleno che nascondeva. Chie-
dendo Abisag in moglie Adonia voleva mettersi al posto
di Davide, sposandone la vedova, che vedova non era mai
stata, perché tale non può chiamarsi chi non era stata nem-
meno una moglie. Egli aveva in animo di essere visto dal
popolo come un sostituto e un continuatore di Davide.
Insomma in quella richiesta v’era il seme di future minacce
al suo potere, e Adonia era un essere che procedeva per vie
coperte e trasversali»100.
In seguito a quella richiesta, ritenuta da Salomone oltrag-
giosa, si decretò la morte di Adonia, che perì per mano di Be-
naià.
100 C. Sgorlon, Racconti della terra di Canaan, Mondadori, Milano 2015.
93
Pietro Pierantoni
XV
Le due prostitute: la solenne sentenza salomonica
Il re Salomone era solito spendersi per risolvere le questioni
intricate, nascenti in seno al suo popolo. E così chi meglio del
monarca, a cui spettava anche la funzione suprema di giudice,
poteva giungere ad una soluzione pacifica tra le parti? Di lui
sappiamo, infatti, che è passato alla storia per essere stato un
grande re, in particolar modo per merito della sua infinita sa-
pienza101. Al capitolo 3 del Primo libro dei Re si narra del sogno
che Salomone fece presso la città di Gàbaon, dove si era recato
per compiere dei sacrifici graditi al Signore. Qui Dio apparve
in sogno al re d’Israele, il quale, innanzi all’esclamazione di
YHWH di chiedergli ciò che preferiva, desiderò per sé il dono
della sapienza:
«Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi.
Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo
numeroso che per quantità non si può calcolare né con-
tare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia
rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene
dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così
numeroso» (1Re 3,7-9).
A questo racconto segue l’episodio della manifestazione
pubblica di questa grande sapienza. Un giorno si presentarono
101 «Se il compito del re, per eccellenza, è di far giustizia per l’orfano e la vedova,
allora qui [nella situazione che andremo a breve a descrivere] ci troviamo in una
situazione estrema: c’è il bambino senza padre e che non sa chi è sua madre, e c’è
la donna sola, senza marito e alla mercé di molti uomini. Il re non deve rendere
giustizia solo alla madre, ma anche al bambino» (C. Balzaretti, I libri dei Re,
Città Nuova, Roma 2002, p. 37).
94
Le donne di Israele
al cospetto del re due donne che svolgevano la professione di
prostituta. Vivevano insieme ed entrambe partorirono, ciascu-
na un bambino, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra. La
donna che prese la parola per prima, e che presentò la situazio-
ne per cui si erano spinte fino al punto di chiedere la sentenza
del loro sovrano, ci tenne a precisare che al di fuori di loro due
nessun altro abitava in casa, come a voler precisare che non esi-
stevano testimoni oculari da poter interrogare per sgarbugliare
la questione.
La narrazione della donna procede e si arriva così al nodo
da sciogliere: una sera l’altra prostituta aveva per sbaglio ucci-
so suo figlio, essendosi sbadatamente coricata sopra di lui nel
sonno. Dopo essersi svegliata nel cuore della notte e una volta
constatato il misfatto, si apprestò a sostituire i due bambini,
rapendo quello della coinquilina.
La mattina seguente quando l’altra madre si alzò e vide che
il bambino sul suo seno giaceva inerme, lo osservò attentamen-
te e accorgendosi che quello non era il suo, capì lo stratagemma
attuato dalla rivale.
Non appena la donna ebbe finito di raccontare gli eventi,
scoppiò tra le due una bagarre per contendersi la maternità del
bambino sopravvissuto. Iniziarono a controbattere a vicenda:
«Non è così! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto»
(1Re 3,22), esasperando i toni del dibattito e creando nella sala
un caos tale da agitare i presenti.
Nell’atmosfera di irrequietezza, irrompe la voce di Salomo-
ne che comanda alle sue guardie di portargli una spada, che
sarebbe servita a tagliare il piccolo in due parti uguali da distri-
buire poi alle due litiganti102.
102 «Il significato dell’ordine di tagliare in due il bambino suscita una seconda
domanda. Il lettore, che per la prima volta legge questo ordine, non sa ancora
95
Pietro Pierantoni
Di fronte alla terribile presa di posizione del monarca, la
vera madre, «poiché le sue viscere si erano commosse» (1Re
3,26), si fa avanti, rinunciando volontariamente al suo diritto
di maternità pur di rendere salva la vita a suo figlio.
L’altra donna, invece, asseconda l’iniziale decisione del re
e incita le guardie affinché si prosegua nel compiere il delitto:
«Non sia né mio né tuo; tagliate!» (1Re 3,26).
Appurate le reazioni delle due prostitute, Salomone emette
la sua sentenza e decide di affidare il bambino alla prima don-
na, ovvero a colei che si era dimostrata compassionevole e che
aveva dimostrato interesse per la sorte del neonato103.
che si tratta di un trabocchetto per smuovere i sentimenti della vera madre, bensì
è preso da una certa angoscia, perché l’ordine del re si inserisce in una serie di
eventi, dove la parola autoritaria di Salomone decreta tre morti violente, quella
di Adonia, di Ioab e di Simèi. L’ordine di Salomone sembrerebbe dunque un atto
di giustizia distributiva (a ciascuno il suo) che confermerebbe il detto summum
ius, summa iniuria» (C. Balzaretti, I libri dei Re, p. 38).
103 Come si domanda don Gino Tedoldi in un suo libro: «Come arriva il re
a conoscere la vera madre? Facendo venire alla luce ciò che sta nascosto nella
profondità del cuore o, se preferite, sapendo leggere il cuore dell’una e dell’al-
tra donna». Questa è essenzialmente la vera sapienza, che «per Salomone [non
consiste tanto nel] sapere delle cose, ma è l’arte di vivere bene, l’arte di leggere
il cuore, di scrutare la profondità delle persone e dei fatti, senza mai fermarsi
all’apparenza o in superficie» (G. Tedoldi, Non siamo conigli! Perché dobbiamo
riscoprire le ragioni della fede e l’orgoglio di essere cattolici, Fede & Cultura, Verona
2013). Attenendoci diversamente ad un’analisi più a livello giuridico, si può
affermare che le «leggi, i regolamenti, le procedure […] sono semplici strumenti
utili al fine del giudizio, la cui essenza è invece questione di pancia, di cuore e di
testa. Il giudizio è un atto profondamente e terribilmente umano, e il suo buon
esito dipende in primo luogo dalle qualità personali che consentono al giudice
di accendere la luce della sua umanità sulle vicende di altri esseri umani. Ne è un
esempio paradigmatico il “giudice più giudice della storia”, re Salomone, che nel
celebre “processo delle due madri” decide non in base alle regole giuridiche, ma
96
Le donne di Israele
«La seconda donna, [al contrario,] accettando tranquil-
lamente la decisione di Salomone dimostrò, la sua dop-
piezza. Fu però molto ingenua, perché era ovvio che il suo
comportamento l’avrebbe smascherata. In realtà avrebbe
dovuto imitare la vera madre e mostrarsi affranta quanto
lei. A quel punto, Salomone avrebbe dovuto mostrarsi
coerente tagliando in due il bambino, oppure rivelare il
suo bluff senza aver risolto il dilemma»104.
Per quanto riguarda l’identità delle due donne, il testo bi-
blico ci dice solamente che si trattava di due prostitute, trala-
sciandone i nomi, l’età, l’aspetto esteriore e il luogo di prove-
nienza. Questo alone di mistero, che le circonda, ha portato
gli studiosi e i rabbini ad interrogarsi al riguardo, per cercare
di aggiungere qualche elemento alle poche notizie, scarne ed
essenziali, evidenti al lettore. Ma ciò che è emerso non è altro
che il frutto di supposizioni:
«Rab [per esempio] parte dal principio che queste due don-
ne sono ebree e, dunque, non può trattarsi di prostitute.
Infatti una prostituta ebrea si vergognerebbe di ammettere
di fronte a un tribunale di aver avuto un figlio in seguito a
una delle sue relazioni sessuali. Si tratta, allora, di demoni,
che hanno preso le sembianze di prostitute. Per Shemuel,
alla conoscenza dei sentimenti umani, dell’amore più profondo concepibile in
natura: quello di una madre per il figlio» (F. Caringella, 10 lezioni sulla giustizia:
per cittadini curiosi e perplessi, Mondadori, Milano 2017).
104 M. Gaffo, Il dilemma di Salomone… rivisto con la Teoria dei Giochi, 25 ot-
tobre 2016, in <https://www.focus.it/cultura/curiosita/il-dilemma-di-salomone-
rivisto>
97
Pietro Pierantoni
invece, le donne, di cui parla la Bibbia, sono veramente
prostitute perché non sono ebree, ma pagane e le donne
pagane non hanno gli scrupoli che caratterizzano le donne
ebree»105.
105 J. Costa, La Bibbia raccontata con il Midrash, Paoline, Milano 2008, p. 241.
98
Le donne di Israele
XVI
La regina di Saba: la donna incredula
La fama di Salomone, dovuta principalmente alla sua gran-
diosa sapienza, si era diffusa fino agli estremi confini della terra
ed era giunta alle orecchie dell’affascinante regina di Saba, la
quale decise di testare direttamente quanto aveva appreso dai
suoi consiglieri.
E così riuniti i suoi uomini e preparata un’imponente caro-
vana, composta di «cammelli carichi di aromi, d’oro in grande
quantità e di pietre preziose» (1Re 10,2), si diresse a Gerusa-
lemme per visitare e onorare quel re di cui aveva, così tanto,
sentito parlare.
Come riportato in un romanzo della scrittrice danese Anne
Lise Marstrand-Jørgensen, possiamo immaginare il tempo
dell’attesa, che assillava il palazzo salomonico, per quella visita
importante:106
106 L’incontro della regina di Saba con il successore di Davide è avvolto da
un fascino esotico, dovuto alla provenienza della donna: «Essa proviene da una
regione abitualmente collocata nell’Arabia meridionale, di fronte all’Etiopia, ma
non mancano altre collocazioni. Secondo Giuseppe Flavio essa era la regina di
Egitto ed Etiopia, Gesù la chiama regina del sud (Mt 12,42), l’apocrifo Testa-
mento di Salomone la ritiene una strega. Sarà il soggetto di uno dei cicli più po-
polari dell’Oriente: diventa musulmana sotto il nome di Bilqis; una traduzione
giudaica ritiene che Nabucodonosor sia nato dalla sua unione col re Salomone,
invece l’epopea nazionale etiopica, ritiene che il loro figlio fu Menelik, il ca-
postipite della dinastia etiopica» (C. Balzaretti, I libri dei Re, pp. 63-64). Sulla
sua provenienza non si hanno perciò dati certi. La circostanza è resa ancora più
complessa dal fatto che in molti si contendono l’origine di questa sovrana, le cui
radici sono rivendicate «da parecchie terre. […] Per l’Etiopia ricca di storia ella è
oggi Macheda, regina del regno Punt, che divenne anche Nubia, Kusch, Axum
o Sheba. Allo stesso modo gli arabi accampano pretese sulla saggia e celebre
regina che, conformemente alla loro tradizione, regnava nella parte settentriona-
99
Pietro Pierantoni
«Benaia vorrebbe che Salomone andasse incontro alla
carovana, ma lui preferisce ricevere gli ospiti sul suo trono.
Dal momento che la principessa di Saba ha intrapreso un
viaggio tanto lungo per incontrarlo, sarà così fremente di
vederlo che è meglio riceverla nel massimo splendore piut-
tosto che con finta umiltà. Per tutta la mattinata a palazzo
non hanno fatto altro che succedersi messaggeri per con-
segnare relazioni sulla carovana e il suo carico. Nella loro
mirabolante fantasia il palazzo e il tempio si riempiono a
poco a poco di oro fino al soffitto, si rovescia oltre le valli
che circondano Gerusalemme facendo annegare i messi
nella cupidigia. Benaia fa disporre diverse guardie alla por-
ta della città prima di mezzogiorno dal momento che il
cortile delle udienze si è già riempito di curiosi»107.
Giunta alla corte di Salomone e dopo il rituale delle presen-
tazioni, i due si inoltrarono in un lungo dialogo. La regina, che
era venuta da terre lontane per mettere alla prova la saggezza del
re d’Israele, gli riferì tutto ciò che aveva meditato nel suo cuore
e chiese a colui che gli stava innanzi erudite spiegazioni. Nulla,
di quello che domandò la regina, rimase senza chiarimenti e,
anzi, Salomone diede le proprie sapienti interpretazioni.
le dell’odierno Yemen come Bilqis. Il confronto tra leggende regionali, antichi
miti, scritti islamici, giudaici e cristiani mostra la leggendaria regina in modo
diverso da come la mostra la Bibbia: ella deve essere venuta da una terra in cui
regnavano solo le regine senza gli uomini, signora dei draghi e dotata del potere
di giudicare, donatrice del Graal e con pari diritti rispetto al predominio ma-
schile» (P. van Cronenburg, Madonne nere. Il mistero di un culto, Arkeios, Roma
2004, pp. 208-209).
107 A. L. Marstrand-Jørgensen, L’imperatrice del deserto. La leggenda della regina
di Saba e di re Salomone, Sonzogno, Venezia 2016.
100
Le donne di Israele
La sovrana di Saba rimase talmente estasiata dalle soluzioni
nascenti dalla sua divina sapienza e dalla «reggia che egli aveva
costruito, [dai] cibi della sua tavola, [dal] modo ordinato di
sedere dei suoi servi, [dal] servizio dei suoi domestici e le loro
vesti, [dai] suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tem-
pio del Signore» (1Re 10,4-5) che proferì un’esclamazione di
encomio verso Salomone, i suoi uomini e il suo dio YHWH.
Il suo iniziale scetticismo fu saziato da quell’esperienza vis-
suta in prima persona. Solo dopo aver “toccato con mano” e
aver controllato da sé le dicerie che si erano diffuse intorno alla
persona di Salomone, anticipando l’incredulità neotestamenta-
ria dell’apostolo Tommaso che non credette a quanto gli disse-
ro i suoi fratelli su Gesù, ma volle scorgere con i propri occhi,
la propria intelligenza e il proprio cuore la fascinosa realtà del
risorto (cfr. Gv 20,25-28), la regina di Saba si addentrerà in
una lusinghiera professione di fede:
«Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul
tuo conto e sulla tua sapienza! Io non credevo a quanto
si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non
hanno visto; ebbene non me n’era stata riferita neppure
una metà! Quanto alla sapienza e alla prosperità, superi la
fama che io ne ho udita. Beati i tuoi uomini e beati questi
tuoi servi, che stanno sempre alla tua presenza e ascoltano
la tua sapienza! Sia benedetto il Signore, tuo Dio, che si è
compiaciuto di te così da collocarti sul trono d’Israele, per-
ché il Signore ama Israele in eterno e ti ha stabilito re per
esercitare il diritto e la giustizia» (1Re 10,6-9).
101
Pietro Pierantoni
Questa solenne dichiarazione farebbe pensare ad una con-
versione della donna sabea, di tradizione pagana e molto pro-
babilmente politeista, alla religione ebraica: «Diventa [così] il
simbolo della convertita. Agli occhi dell’antico ebreo essa su-
pera i due limiti che l’allontanano dalla salvezza, l’essere donna
e l’essere straniera»108.
La regina di Saba è menzionata anche nel Nuovo Testamen-
to dallo stesso Gesù, che in Mt 12,42, in riferimento alla popo-
lazione incredula e malvagia del suo tempo che pretende da lui
un segno come attestazione della sua grandezza, afferma: «Nel
giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa
generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi
confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed
ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!».
Origene commenta questo passo, sentenziando che il Si-
gnore la illustra «regina dell’Austro perché l’Etiopia sta dalla
parte dell’Austro, e dice ch’era venuta dai confini della terra,
perché l’Etiopia è situata all’estremità. Troviamo che anche
Giuseppe (Flavio) nella sua storia ha ricordato questa regina,
aggiungendo anche che, dopo che essa andò via da Salomone,
il re Cambise ammirò la sua sapienza, che certo aveva appre-
so dalla dottrina di Salomone, e le dette il nome di Meroe.
Riferisce anche ch’essa regnò non solo sull’Etiopia ma anche
sull’Egitto»109.
Dopo aver preso atto della sconfinata saggezza di Salomone,
la donna gli rese onore con innumerevoli doni pregiati e di rara
108 C. Gatto Trocchi, Enciclopedia illustrata dei simboli, Gremese, Roma 2004,
p. 295.
109 Origene, Commento al Cantico dei cantici, Città Nuova, Roma 20055, p.
111.
102
Le donne di Israele
bellezza: gli consegnò, infatti «centoventi talenti d’oro, aromi
in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono più tanti
aromi quanti ne aveva dati la regina di Saba al re Salomone.
Inoltre, la flotta di Chiram, […] recò da Ofir legname di san-
dalo in grande quantità e pietre preziose. […] Mai più arrivò,
né mai più si vide fino ad oggi, tanto legno di sandalo» (1Re
10,10-12).
Sembra che il regno dei sabei fosse conosciuto per i suoi
alberi di incenso e di mirra e perciò possiamo dare alla nostra
sovrana l’appellativo di “regina delle essenze aromatiche”. Si
ipotizza che oltre ad intraprendere un lungo viaggio per verifi-
care le doti spirituali e dottrinali di Salomone, la regina di Saba
abbia voluto compiere questo viaggio per scopi commerciali:
«Come si appurò in seguito, l’incontro tra i due incre-
mentò notevolmente il commercio di sostanze aromatiche.
Si suppone che la regina di Saba volesse essere sicura che
Salomone non si sarebbe intromesso nelle sue relazioni
con l’Egitto. Poiché il suo regno si trovava all’incrocio tra
le principali vie di commercio, Salomone avrebbe infatti
potuto impedire il transito verso la terra dei faraoni. La
penisola araba era già caduta sotto il suo potere. Il re era
a capo di un forte esercito e, grazie al matrimonio con la
figlia del faraone, aveva stabilito una valida alleanza con il
potente Egitto. La regina di Saba, che non aveva investito
grandi ricchezze per potenziare le proprie truppe, decise
di ricorrere all’esperienza nel campo dei profumi […] per
conquistare il sovrano di Israele. Com’è noto ella riuscì
nell’intento e la sua bellezza, la sua intelligenza e i suoi
profumi sembra abbiano ispirato una delle più belle storie
d’amore di tutti i tempi. Leggendo il Cantico dei cantici
103
Pietro Pierantoni
[…] possiamo cogliere la grande intimità che caratterizzò
l’incontro tra i due»110.
E proprio nel Cantico dei cantici, che verrebbe fatto risalire
al re Salomone anche a motivo del titolo del libro “Cantico
dei Cantici, di Salomone” oltre che per la frase biblica dove si
dice che questi compose ben millecinque odi (cfr. 1Re 5,12),
vi sarebbero alcuni elementi che farebbero pensare ad una re-
lazione carnale tra il famoso re d’Israele e la regina sabea, seb-
bene i loro nomi non vengano mai menzionati direttamente.
Il Cantico, oltre ad essere «una raccolta di poemi erotici», tratta
ed «esalta lo splendore dell’amore che intercorre tra la donna e
l’uomo»111. In particolare una delle esclamazioni iniziali dell’a-
mata «Bruna sono ma bella» (Ct 1,5), in riferimento al colorito
della carnagione della donna, unita ad altre informazioni, che
ricorrono più volte nei vari poemi che compongono la solenne
ode, come ad esempio i numerosi richiami agli odori, ai profu-
mi, alle essenze aromatiche, alla mirra e all’incenso, portereb-
bero il lettore a dedurre che l’amata di cui si parla sarebbe da
identificare con la bella e sensuale regina di Saba.
Altre allusioni legate a questa figura storico-biblica le tro-
viamo nel libro etiope denominato Kebra Nagast, che tradotto
significa “Gloria dei Re”, scritto «tra la fine del XII e l’inizio del
XIV secolo d.C.»,112 in cui si fa risalire «la casa reale etiopica
ascesa nel 1270, identificata con il “vero Israele”, direttamente
dall’incontro amoroso tra il re Salomone e la regina di Saba»113.
110 S. Fischer-Rizzi, Incensi e profumi. L’uso, le proprietà e la storia, Tecniche
Nuove, Milano 2001, pp. 99-100.
111 D. Bergant, Il Cantico dei cantici, Città Nuova, Roma 1998, p. 161.
112 S. Foehr, Risvegliarsi in Giamaica, Feltrinelli, Milano 2006, p. 172.
113 Salomone, la Regina di Saba e l’Arca dell’Alleanza, febbraio 2009, in <www.
104
Le donne di Israele
Strutturato sulle basi del racconto biblico, il racconto di
tradizione etiope aggiunge dei dati importanti in merito all’in-
contro dei due grandi sovrani. Ovviamente non sappiamo se
si tratta di dati realmente fondati storicamente, ma quello che
emerge è strabiliante. La regina di Saba, chiamata Makeda, era
a capo di un vasto impero con capitale Axum. Venuta a cono-
scenza della fama di re Salomone, decise di partire e di recarsi
a Gerusalemme per incontrarlo, nella speranza di ottenere dei
validi consigli su come amministrare saggiamente il suo regno.
Da vera sovrana, e anche per testimoniare la stupefacente ric-
chezza di cui era somma amministratrice, «non si presentò al
re a mani vuote, le leggende parlano di non meno di cinque
tonnellate d’oro purissimo, ma anche spezie, tessuti e gioielli
con cui, indubbiamente sortì l’effetto sperato, facendosi acco-
gliere con il più alto tripudio di onori mai riservati ad altri
prima. Il suo ingresso a Gerusalemme fu [dunque] un trionfo,
non solo perché dimostrò di essere ricca e generosa, ma anche
intelligente, misericordiosa, abile, brillante e, cosa di non poco
conto, bellissima e sensuale»114.
Invaghitosi della regina di Saba, Salomone si espone più
volte, ma viene ripetutamente rifiutato dalla donna, tanto astu-
ta per quanto era affascinante. Il re decise allora di tentare “il
tutto per tutto”, proponendo alla sabea un patto: il giorno se-
guente sarebbe stata libera di tornare nelle sue terre senza i doni
che questi le aveva messo a disposizione e senza aver giaciuto
con lui a patto che non ne avesse preso nemmeno uno.
Salomone, a sua volta, decise di rispondere all’astuzia della
regina con un sottile stratagemma:
spaziodi.it/magazine/n0502/vd.asp?id=1188>
114 C. Santi, La testimonianza di Dio. Gli arcani segreti dell’Arca dell’Alleanza,
Ciesse, Padova 2016.
105
Pietro Pierantoni
«Fece mandare nella camera della regina delle carni che le
avrebbero fatto venir sete, insieme a bevande mescolate
con aceto e altre pietanze pepate. Dopo il pasto, il re si
alzò e andò nella camera della regina. I due si trovarono da
soli. Egli le disse: “Per l’amor del cielo, coricatevi e riposate
fino a che non sorge il sole”. Ed ella rispose: “Lo farò solo
se voi giurate sul Dio di Israele che non mi prenderete con
la forza”. E Salomone disse: “Giuro che non lo farò, ma
anche voi dovete giurarmi che non mi sottrarrete con la
forza nessuna delle mie proprietà”. La regina rise e fece il
suo giuramento, perché non aveva bisogno di nulla da Sa-
lomone, essendo già molto ricca di suo. Il re si coricò sul
suo letto, a un lato della stanza, mentre la regina di Saba
si coricò sul suo, dal lato opposto. Il re istruì un servitore:
“Vieni a portare una brocca d’acqua facendoti vedere bene
dalla regina, dopodiché chiudi la porta e lasciaci in pace”.
Il cibo fece venire molta sete alla regina, tanto da svegliarla.
Si alzò per bere dalla brocca. Ma il re le afferrò la mano
prima che ella potesse bere e le disse: “Perché rompete
già il vostro giuramento? Giuraste di non sottrarre nulla
dalla mia dimora”. “Prendere dell’acqua da bere vuol dire
rompere il giuramento?” rispose la regina. “Esiste qualcosa
sotto il cielo più preziosa dell’acqua?” ribatté Salomone.
“Allora sono colpevole e ho tradito il mio giuramento. An-
che voi dunque siete svincolato dal vostro” disse ella al re.
“Davvero sono libero dal giuramento che mi avete fatto
pronunciare?”. “Sì, ma vi prego, ora fatemi bere dalla vos-
tra brocca”. E così Salomone la lasciò bere. Dopo che la
regina si fu dissetata, i due giacquero insieme»115.
115 S. Foehr, Risvegliarsi in Giamaica, pp. 172-173.
106
Le donne di Israele
Da quell’unione la regina rimase incinta e concepì un figlio,
Ibn al-Hakim, che tradotto significa “figlio del Sapiente”, il
quale passerà alla storia sotto il nome di Menelik.
«Costui [cresciuto] intraprese un viaggio che lo avrebbe
condotto al cospetto del padre, a danno del quale riuscì a trafu-
gare l’Arca dell’Alleanza, che da Gerusalemme fu condotta ad
Axum, dove Menelik venne incoronato sovrano d’Etiopia»116.
Un’ultima curiosità, che vede protagonista la regina di Saba,
sarebbe la sua correlazione con la venerazione delle Madonne
Nere. Molte sono, infatti, le statue della madre di Gesù che la
raffigurano con la pelle scura e sono abbastanza recenti i ten-
tativi degli studiosi di metterla «in relazione con l’immagine
della regina di Saba […]. La Vergine colore dell’ebano sarebbe
dunque modellata sulla “Sabea”, la “regina Aethiopissa” che si
recò in visita da Salomone per metterne alla prova la saggezza.
Nicola di Verdun, il maestro dell’altare di Klosterneuburg, nel
1181 la rappresentò appunto come donna dal volto scuro»117.
116 G. C. Infranca, L’Arca dell’Alleanza. Il Tabernacolo di Dio. Diario di una sco-
perta, Gangemi, Roma 2008, p. 65. Qualche notizia in più circa il leggendario
trafugamento dell’Arca la si apprende dal libro di Francesco Bandini: «Raggiunta
l’età dell’adolescenza il giovane “figlio di re” (ben melek) con la benedizione del-
la madre, partì per Gerusalemme per conoscere suo padre e tale era la loro somi-
glianza che il popolo d’Israele stentava a distinguerli l’uno dall’altro. Malgrado
Salomone volesse trattenere il giovane Menelik quale suo successore sul trono
d’Israele, egli volle tornarsene in Etiopia, accompagnato da tutti i primogeniti
d’Israele e da alcuni giovani sacerdoti che lo avevano seguito. La leggenda prose-
gue descrivendo il fatto che all’ultimo momento, prima della partenza, Menelik
e i suoi compagni, riuscirono a rubare e a portare in Etiopia l’Arca dell’Alleanza
cioè la cassa che conteneva i segni memoriali della marcia degli Israeliti nel deser-
to […] e che si conservava nel tempio di Gerusalemme» (F. Bandini, Dall’Ararat
alle sorgenti del Nilo Azzurro, Alinea, Firenze 2002, p. 215).
117 K. Schreiner, Vergine, madre, regina. I volti di Maria nell’universo cristiano,
Donzelli, Roma 1995, p. 135.
107
Pietro Pierantoni
XVII
La Sunammita: ricompensata due volte
per la sua grande fede
Il profeta Eliseo, successore di Elia, suo maestro, un giorno
capitò nella città di Sunem118 e qui incontrò una donna facol-
tosa che lo invitò a pranzo a casa sua. L’incipit della storia ha
come sfondo il tema dell’ospitalità: una donna, che non aveva
mai visto il profeta Eliseo, si dimostra aperta e gentile nei suoi
confronti senza chiedere nulla in cambio come ricompensa per
la sua cortesia.
Quella non fu l’unica volta che lo ospitò nella sua abitazio-
ne, dato che il testo riporta che ciò avvenne in altre numero-
se occasioni. La buona disposizione della Sunammita nei suoi
confronti è tale che, d’accordo con il marito, gli costruirà una
piccola stanza «in muratura» arredata con «un letto, un tavolo,
una sedia e un candeliere» (2Re 4,10) nella zona superiore della
casa.
Per ringraziare colei che l’aveva accolto con frequenza, Eli-
seo, spinto dal suo servo e discepolo Giezi, promise alla donna
un figlio. All’udire questa notizia, ella rimase incredula e reagì
con stupore:
«Eliseo replicò: “Che cosa si può fare per lei?”. Giezi disse:
“Purtroppo lei non ha un figlio e suo marito è vecchio”.
Eliseo disse: “Chiamala!”. La chiamò; ella si fermò sulla
118 Si tratta di «un villaggio incastonato nella verde pianura settentrionale di
Izreel (o Esdrelon) in Galilea» (G. Ravasi, La ragazza di Sunem, 14 settembre
2017, in <m.famigliacristiana.it/blogpost/la-ragazza-di-sunem.htm>).
108
Le donne di Israele
porta. Allora disse: “L’anno prossimo, in questa stessa stag-
ione, tu stringerai un figlio fra le tue braccia”. Ella rispose:
“No, mio signore, uomo di Dio, non mentire con la tua
serva”» (2Re 4,14-16).
L’anno seguente la Sunammita partorì un bambino, tuttavia
il destino volle che, una volta cresciuto, mentre si stava recando
dal padre, indaffarato nei campi per la mietitura, il ragazzo av-
vertì un forte dolore alla testa. A causa di quel forte male, morì
nell’ora di mezzogiorno sulle ginocchia della madre.
La donna davanti a quel destino così avverso non si per-
de d’animo e, senza pensarci più di tanto, decide di recarsi da
quell’«uomo di Dio, un santo» (2Re 4,9) perché funga da in-
termediario tra lei e Dio, in modo da ottenere una grazia.
Giunta sul monte Carmelo in sella ad un asino e in com-
pagnia di un servo del marito, la Sunammita implora silenzio-
samente Eliseo gettandosi ai suoi piedi119. Il profeta di Dio, in
un primo momento, manda il discepolo Giezi presso la casa
dell’illustre donna affinché possa compiere un miracolo, ser-
vendosi del bastone del suo maestro120.
119 «Una volta di fronte a lui, la povera donna esprime con gesti silenziosi il suo
dolore, troppo forte per essere manifestato a parole. Se per ogni figlio è naturale
che giunga il momento di consegnare alla morte i genitori, per un genitore è una
sofferenza immensa e contro natura perdere un figlio: a nessuno si può chiedere
di capire e accettare un fatto così atroce» (G. Tonucci, Eliseo e la Sunammita,
in <www.santuarioloreto.it/messaggio_articolo.asp?idart=27&anno=2012&me
se...>).
120 Il discepolo si rivela un «“servo che non serve” […]. Quando la donna si reca
da Eliseo, implorandolo di manifestare l’Eterno che è in lui, il profeta la affida
a Gheazi. Questo gesto indica che Eliseo ha stima del servo, e che sta lavorando
per discepolarlo dandogli delle occasioni di crescita. Così gli consegna il suo
109
Pietro Pierantoni
Non riuscendo nella missione a lui affidata, Giezi torna in-
dietro verso Eliseo e la madre del ragazzo, i quali nel frattempo
si erano incamminati a loro volta per raggiungere l’abitazione.
Raggiunta la casa, il profeta chiude la porta alle sue spalle
e si isola dal mondo esterno per chiudersi in un’atmosfera di
raccoglimento, scandita dalla meditazione e dalla preghiera,
prima di operare il prodigio.
Dopo aver invocato il Signore, Eliseo salì al piano superio-
re «e si coricò sul bambino; pose la bocca sulla bocca di lui,
121
gli occhi sugli occhi di lui, le mani sulle mani di lui, si curvò su
di lui e il corpo del bambino riprese calore. Quindi desistette
e si mise a camminare qua e là per la casa; poi salì e si curvò
su di lui. Il ragazzo starnutì sette volte, poi aprì gli occhi» (2Re
4,34-35)122.
Alla fine, quando la madre vide ciò che l’“uomo santo” ave-
bastone specificandogli di metterlo sulla faccia del bambino per poi pregare, così
da far resuscitare il piccolo. Gheazi non sarà capace. […] Nel frattempo Gheazi
li ha preceduti e ha operato secondo le direttive di Eliseo, ma nulla è accaduto.
[…] [Di fronte alla propria inadeguatezza, il comportamento] di Gheazi [, che
va incontro al suo maestro,] è quello di incolpare Eliseo per la non riuscita della
missione. […] In alternativa all’accusa al maestro, tornare indietro potrebbe es-
sere anche un riconoscere di non essere all’altezza, un gesto di immaturità o di
impreparazione. Difatti Gheazi avrebbe potuto dire al profeta di averci provato
e non esserci riuscito. Invece egli afferma che il fanciullo non si è svegliato» (E.
Pezzella, Elia e Eliseo: vita in mezzo alla morte, Createspace Independent Pub,
2017, pp. 131-133).
121 Quel luogo che era stato costruito appositamente per lui e che un tempo
fu motivo di letizia si era trasformato, ora, in uno spazio intriso di dolore per la
perdita di un figlio.
122 Le varie azioni, praticate da Eliseo, nel loro insieme e «nell’ottica della me-
dicina odierna» assomigliano «molto a una pratica di rianimazione» (U. Veronesi
– M. Pappagallo, L’eredità di Eva, Sperling & Kupfer, Milano 2014).
110
Le donne di Israele
va compiuto per lei, si prostrò nuovamente a terra, questa volta
però in segno di ringraziamento, prese suo figlio resuscitato e
uscì fuori con il cuore colmo di gioia.
Giunti al termine della narrazione, è doveroso «sottolineare
il fatto che la vera protagonista» è «la donna al punto che il
ruolo da essa svolto mette in ombra lo stesso Eliseo. In effetti,
in questo racconto la descrizione dei personaggi è dinamica e
segue l’andamento della vicenda stessa: la donna da rassegnata,
senza figli, diventa una madre, e come tutte le madri, pronta a
lottare per la vita di suo figlio [in particolar modo nei momenti
di difficoltà]. Siamo davanti ad una narrazione che quasi varca
il genere letterario della leggenda per l’attenzione attribuita alla
caratterizzazione dei personaggi»123.
«La donna di Sunem ha molto da dirci, pur nei suoi si-
lenzi, più intensi di ogni parola. Generosa e ospitale, ha
offerto a Eliseo un punto d’appoggio nelle sue peregrin-
azioni al servizio di Dio. Nell’umiliazione per la sterilità
del suo matrimonio, non ha chiesto nulla al profeta, e ha
lasciato che fosse lui a intuire il suo desiderio. Quando il
piccolo morì, ebbe tanta fede nell’uomo di Dio da nascon-
dere la disgrazia anche a suo marito, certa che, alla fine,
tutto sarebbe andato bene. In silenzio chiese il miracolo, in
silenzio ringraziò. Possiamo davvero dire che, come donna
esemplare, ella ha meritato una speciale attenzione da parte
di Dio e il dono della sua costante protezione»124.
123 E. Serra, Il profeta come guaritore nella Bibbia ebraica, in <https://core.ac.uk/
download/pdf/79623460.pdf>
124 G. Tonucci, Eliseo e la Sunammita, in <www.santuarioloreto.it/messaggio_
articolo.asp?idart=27&anno=2012&mese...>. Oltre alla riflessiva descrizione
111
Pietro Pierantoni
XVIII
Culda: la profetessa consultata da Giosia
Culda è una delle poche donne che rivestì il ruolo di pro-
fetessa nella religione ebraica. Solitamente nei libri biblici si
parla di profeti, ma occasionalmente appare anche qualche rara
eccezione. La prima donna ad aver rivestito questa funzione fu
Miriam, la sorella di Mosè. In tutto gli Ebrei riconoscono sette
profetesse, tra le quali appare anche il nome di Culda.
Di lei abbiamo poche informazioni che possano aiutarci a
ricostruirne una valida biografia. I due passi biblici, che ripor-
tano la storia in cui viene menzionata, si trovano rispettiva-
mente in 2Re 22,11-20 e in 2Cr 34,22-28 e sono pressoché
identici.
Questa profetessa visse sotto il regno di re Giosia, definito il
grande monarca di Giuda a motivo della complessa e grandiosa
riforma religiosa che riuscì ad attuare e che servì a sradicare la
diffusa mentalità idolatrica dell’epoca (622 a.C.)125.
dell’arcivescovo emerito di Loreto, è possibile ricorrere ad un’altra rappresenta-
zione della Sunammita, attingendo dalle parole di Andrea Belli che afferma: «In
questo caso possiamo osservare come questa donna abbia ricevuto il profeta in
casa sua. Questa donna riconobbe in Eliseo un “santo uomo di Dio” e si prodigò
per ospitarlo nel migliore dei modi, facendo costruire una stanza solo per lui.
Possiamo certamente affermare che questa donna fu ricompensata per la sua
generosità. Infatti questa donna non aveva figli ed ormai suo marito era troppo
vecchio per poterglieli dare. Perciò il Signore ricompensa la sulamita con una
gravidanza inaspettata, il bambino nasce ma successivamente muore. Possiamo
lontanamente immaginarci il dolore di questa donna che si vede privata di quel
figlio che tanto desiderava, ma il Signore era pronto ad intervenire e si serve di
Eliseo per una miracolosa risurrezione. Questa donna fu ricompensata due volte
per aver fatto del bene ad un profeta» (A. Belli, Matteo. “Gesù Cristo, Signore e
Re”, Youcanprint, Tricase 2011, p. 412).
125 Cfr. G. Vigini (ed.), Siracide. Testo e note di commento a fronte, Paoline,
Milano 2007, p. 296. Varie furono le ferme decisioni che caratterizzarono il suo
112
Le donne di Israele
Questo sovrano, che salì al trono all’esimia età di otto anni,
aveva intrapreso i lavori di restaurazione del Tempio di Salo-
mone, durante i quali venne rinvenuto dal sommo sacerdote
Chelkia il libro della Legge: il libro di cui si parla è il Deutero-
nomio o una parte di esso (i capp. 12-26) e non «è [affatto] da
escludere che il ritrovamento del libro nel tempio sia un artifi-
cio letterario-politico dell’autore del Libro dei Re (o di Giosia,
e quindi storico) per dare una fondazione antica e solenne alla
riforma religiosa del re Giosia»126.
Dopo aver ascoltato il contenuto dello scritto, il re, ango-
sciato dalle parole del Signore, inviò i suoi fiduciari a reperire
informazioni al riguardo e a verificarne l’autenticità.
Questi si recarono da una donna, Culda, moglie di Sallum,
che «è l’unica profetessa dell’Antico Testamento di cui sia stato
custodito e trasmesso un oracolo: […] Culda è ricordata pro-
prio per queste parole inviate a Giosia»127.
regno: «Il nuovo re abolisce la prostituzione sacra, fa scomparire negromanti e
indovini e tutti gli abomini di Giuda e di Gerusalemme; purifica e riforma il
sacerdozio, unificando e centralizzando il culto d’Israele nel tempio di Gerusa-
lemme per difendere la religione jahwista da ogni contaminazione: in Israele c’è
un solo Dio e Signore in un solo tempio. Giosia profana il Tofet, il “bruciatoio”
della Valle della Geenna dove, secondo un rito cananeo e babilonico, si sacri-
ficavano i bambini e le bambine al dio Moloch. La sua riforma si estende alla
frontiera meridionale […] a ovest […] e anche a nord – così sembra – alle città
della Samaria devastate, quelle di Manasse, di Efraim e di Simeone, fino a Nefta-
li, regioni che egli in parte avrebbe riconquistato, approfittando della decadenza
dell’impero assiro, durante gli ultimi anni di Assurbanipal († 631), quando gli
stati vassalli ricupereranno una certa libertà d’azione durante il periodo tra il 640
e il 590» (F. Rossi De Gasperis, Sentieri di vita, p. 245).
126 L. Bruni, L’ethos del mercato. Un’introduzione ai fondamenti antropologici e
relazionali dell’economia, Bruno Mondadori, Milano 2010.
127 A. Guida, Profetesse in Israele, in <www.credereoggi.it/upload/2017/artico-
lo222_39.asp>
113
Pietro Pierantoni
«Essi parlarono con lei ed ella rispose loro: Così dice il Si-
gnore, Dio d’Israele: “Riferirete all’uomo che vi ha inviati
da me: Così dice il Signore: Ecco, io farò venire una sci-
agura su questo luogo e sui suoi abitanti, conformemente
a tutte le parole del libro che ha letto il re di Giuda, perché
hanno abbandonato me e hanno bruciato incenso ad altri
dèi per provocarmi a sdegno con tutte le opere delle loro
mani; la mia collera si accenderà contro questo luogo e non
si spegnerà!”» (2Re 22,14-17).
L’oracolo del Signore preannuncia momenti difficili per il
popolo d’Israele, che sarà abbandonato al suo destino a cau-
sa del culto prestato ad altre divinità. Il tradimento operato
dagli Ebrei sarà ripagato con l’allontanamento e il silenzio di
YHWH nei confronti del popolo eletto.
Solo per il re viene avanzato un oracolo per così dire con-
solatorio:
«Al re di Giuda, che vi ha inviati a consultare il Signore, rif-
erirete questo: “Così dice il Signore, Dio d’Israele: Quanto
alle parole che hai udito, poiché il tuo cuore si è intene-
rito e ti sei umiliato davanti al Signore, all’udire quanto ho
proferito contro questo luogo e contro i suoi abitanti, per
farne motivo di orrore e di maledizione, e ti sei stracciato
le vesti e hai pianto davanti a me, anch’io ho ascoltato, ora-
colo del Signore! Per questo, ecco, io ti riunirò ai tuoi padri
e sarai loro riunito nel tuo sepolcro in pace e i tuoi occhi
non vedranno tutta la sciagura che io farò venire su questo
luogo”» (2Re 18-20).
114
Le donne di Israele
Come riconoscenza per il fatto di essersi dimostrato un
uomo giusto agli occhi del Signore, a Giosia sarà risparmiato
di essere spettatore dei momenti bui del suo popolo e della
rovina di Gerusalemme.
Dinanzi agli uomini del re, la profetessa si dimostra corag-
giosa e veritiera, caratteristiche che spettano ad un’autentica
mediatrice tra l’uomo e Dio: «Come tutti i veri profeti, Culda
non si ritrae dal dire la verità. Umilmente, ma coraggiosamente
proclama quel che è necessario. Le sue parole e la sua vita dedita
a Dio guidarono la nazione di Giuda verso nuovi traguardi»128.
«Di lei sappiamo molto poco, non c’è un libro a lei intito-
lato, per saperne di più siamo dunque senza fonti. Stando
a questo testo [il brano biblico di 2Re] si sa che suo marito
era guardarobiere, ma non sembra questo un elemento im-
portante a favore della scelta della profetessa. Vi sono auto-
ri che dicono che viene interpellata Culda perché Geremia
in quel tempo aveva troppo da fare, altri che sostengono
che Giosia si aspettasse da lei una parola meno dura, più
dolce, piuttosto che quella che avrebbe potuto pronunciare
Geremia. Sono comunque solo ipotesi. Di fatto Culda è la
prima figura biblica in assoluto chiamata a valutare il carat-
tere sacro di un testo scritto. Se il libro trovato nel tem-
pio si rivelerà autenticamente parola di Dio, come Giosia
teme, il popolo si trova in grossi guai! Il fatto che a questa
profetessa sia chiesta una valutazione così importante, sig-
nifica anche che si trattava di una donna colta. Ma Culda
128 J. Schubert, Le donne nel Nuovo Testamento, Edizioni Terra Santa, Milano
2017.
115
Pietro Pierantoni
va oltre la valutazione che le è chiesta. Come vera profetes-
sa, interpreta quel testo, che è Parola di Dio, per il popolo
e per il re. […] l’interpretazione non le era stata chiesta. Ma
il suo oracolo si compirà puntualmente circa 30 anni dopo,
quando Giosia sarà già morto»129.
129 Suor Marinella, Debora e Culda: la forza della Parola profetica, p. 6, in
<www.reginapacis.it/studiodellabibbia/MariaCompimentoDellaPromes-
sa/8%20schedaM...>
116
Le donne di Israele
XIX
Sara: la sposa vittima di Asmodeo
Le vicende di Sara sono narrate nel libro di Tobia, che de-
scrive la storia di una famiglia ebraica.
Chi ha redatto questo scritto, più che essere interessato agli
eventi storici, è concentrato a delineare un percorso di vita e di
maturazione di un giovane130.
Si inizia con il protagonista e i personaggi a lui vicini che
si trovano in una determinata condizione, e si termina con gli
stessi che, grazie a determinati eventi, sono evoluti e maturati,
in particolar modo da un punto di vista spirituale.
Nell’esposizione delle vicende umane emergono le virtù che
corroborano il corpo e lo spirito di un uomo saggio e giusto: il
valore dell’elemosina, dell’amore coniugale, della fede in Dio,
della speranza.
Il libro inizia con Tobi, padre di Tobia, che sostiene di essere
stato vittima della deportazione operata dagli Assiri: fu portato
da Tisbe a Ninive insieme ad altri Ebrei. Qui si guadagnò il
favore del re Salmanàssar, di cui curava gli affari, ma la fortuna
non durò a lungo e dovette scappare per non incappare nella
pena di morte. Il destino volle anche che un giorno, mentre
130 «Il libro di Tobia appartiene al genere letterario sapienziale e specificamente
al gruppo di libri che non intendono narrare un preciso evento storico. Come il
libro di Rut, di Ester e di Giuditta si tratta di un “midrash” (il termine rimanda
alla parola “strada”), un racconto con l’andamento di un romanzo, concentrato
sulla storia di un protagonista che diventa emblema delle virtù del vero credente
e pertanto è proposto come modello a tutti coloro che vogliono sinceramente
percorrere la via di Dio, vivendo secondo la sua Legge. In questo senso diventano
poco rilevanti le ricerche sul tempo e sul contesto in cui la vicenda si svolge
perché essa diventa esemplare per ogni epoca in ogni società in cui il credente
viva» (V. Boldini, Con Tobia e Sara. Verso una maturazione umana e coniugale,
3 febbraio 2016, in <www.paoline.it/blog/bibbia/873-con-tobia-e-sara.html>).
117
Pietro Pierantoni
riposava vicino al muro della sua abitazione, divenne cieco a
causa di un banale incidente131.
Un giorno dopo un bisticcio con la moglie Anna, Tobi,
profondamente amareggiato, si inoltra in una lunga preghiera
dove arriva persino a chiedere, tanta è la sua tristezza, la morte.
Nello stesso giorno, Sara, figlia di Raguele, che si trovava da
un’altra parte della terra (Ecbàtana) si addentra anche lei nei
meandri di una supplica indirizzata all’Altissimo. Il motivo del
suo disagio è dovuto alla morte che ha colpito tutti e sette i suoi
sposi: «Lei era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmo-
deo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potesse-
ro unirsi con lei come si fa con le mogli» (Tob 3,8). Le dure
parole, che le erano state rivolte da una serva della sua casa,
l’avevano indirizzata al suicidio, ma un ripensamento dell’ul-
timo minuto, per non fare cadere suo padre nell’oblio della
disperazione, la portò a chiedere la morte direttamente a Dio:
«Comanda che io sia tolta dalla terra, perché non debba
sentire più insulti. Tu sai, Signore, che sono pura da ogni
contatto con un uomo e che non ho disonorato il mio
nome né quello di mio padre nella terra dell’esilio. Io sono
l’unica figlia di mio padre. […] Già sette mariti ho per-
duto: perché dovrei vivere ancora? Se tu non vuoi che io
muoia, guarda a me con benevolenza: che io non senta più
insulti» (Tob 3,13-15).
131 «Per il caldo che c’era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me,
nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora
caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la
cura. Più essi però mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, a
causa delle macchie bianche, finché divenni cieco del tutto. Per quattro anni
rimasi cieco e ne soffrirono tutti i miei fratelli» (Tob 2,9-10).
118
Le donne di Israele
Dopo queste intense parole, dalle quali traspare tutto lo
sconforto che può arrivare ad attanagliare il cuore di una perso-
na, Dio decide di inviare uno dei suoi angeli, Raffaele, perché
ponga finalmente rimedio ad entrambe le situazioni.
«È a partire da queste due preghiere (3,1-6; 3,11-15) che
i destini [dei nostri personaggi] cominciano ad annodar-
si. […] L’unitemporalità delle due scene è il segno feno-
menico, storico, di un’unione da sempre voluta. Dio fa così
iniziare la storia in cui un amore ignoto, e al momento
impensabile, viene condotto al suo compimento. [Ed è così
che il] cammino di Tobia inizia come tentativo umano di
risolvere la propria dolorosa situazione familiare: recupera-
re un po’ di denaro, per sopravvivere. Ma il suo è in fondo
un cammino nella vita, verso la maturità»132.
Dopo la sua invocazione, Tobi chiamò suo figlio per rac-
contargli della somma di denaro (dieci talenti d’argento) che
anni addietro aveva depositato a Rage di Media presso un tale
di nome Gabaèl. Stilata una serie di ammonizioni, delle quali
si servì per mettere in guardia il suo discendente da una vita
dissoluta, Tobi inviò il proprio figlio a Media per recuperare i
soldi, accompagnato dall’angelo Raffaele che aveva tenuto na-
scosto la sua identità.
Una volta entrati nella località della Media e prossimi a
Ecbàtana, Raffaele avvisò il suo compagno di viaggio del fatto
che avrebbero dovuto alloggiare nell’abitazione di Raguele, una
132 A. Sicari, Chiamati per nome. La vocazione nella Scrittura, Jaca Book, Mila-
no 19902, p. 49.
119
Pietro Pierantoni
buona persona e per di più parente di suo padre, il quale aveva
una figlia «saggia, coraggiosa, molto graziosa» (Tob 6,12). In
quanto parenti, richiamando alla mente anche le parole che
gli aveva detto il padre,133 a Tobia spettava il diritto di averla
in sposa senza che Raguele potesse in alcun modo opporsi; in
caso di rifiuto si sarebbe imbattuto nella certezza della morte,
secondo quanto prescriveva la legge mosaica134.
Di fronte alle paure del giovane, il quale aveva sentito parla-
re della triste sorte dei precedenti mariti e come si sa spesso «il
sentito dire […] spaventa più della realtà stessa»,135 l’angelo lo
tranquillizza fornendogli delle indicazioni che quello avrebbe
dovuto seguire, una volta da solo in camera nuziale con l’avve-
nente sposa:
133 Tra le numerose raccomandazioni che Tobi aveva esposto con tanta premura
al proprio figlio, si ricorda quella circa la scelta della futura sposa: «Guardati, o
figlio, da ogni sorta di fornicazione; prenditi anzitutto una moglie dalla stirpe
dei tuoi padri, non prendere una donna straniera, che cioè non sia della stirpe
di tuo padre, perché noi siamo figli di profeti. Ricordati di Noè, di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe, nostri padri fin da principio. Essi sposarono tutti una
donna della loro parentela e furono benedetti nei loro figli e la loro discendenza
avrà in eredità la terra» (Tob 4,12).
134 Anticamente i matrimoni venivano contratti sulla base della volontà paterna
di assicurare la discendenza e, dunque, i sentimenti erano molto spesso messi
a tacere. Tuttavia non mancano esempi pervasi di amore e felicità: «Anche nel
classico esempio biblico di un matrimonio esemplare e felice come quello di
Tobia e Sara, contratto secondo le prescrizioni della Legge di Mosè (Tob 6,13),
questa osservanza scrupolosa non impedì che Tobia potesse amare Sara “al punto
da non saper più distogliere il cuore da lei” (Tob 6,19)» (S. Garofalo, Amore e
matrimonio nella Bibbia, in P. Adnès – et al., Amore e stabilità nel matrimonio,
Pontificia Università Gregoriana, Roma 1976, p. 31).
135 G. Babini, I libri di Tobia, Giuditta, Ester, Città Nuova, Roma 2001, p. 53.
120
Le donne di Israele
«Quando Tobia arriva a conoscere Sara, l’intervento di Az-
aria [Raffaele] sarà preciso e quasi “chirurgico”: egli sug-
gerisce a Tobia di mettere sulla brace il cuore e il fegato di
un grosso pesce, pescato sulla riva di un fiume; sarà l’odore
che emana da essi a scacciare il demonio Asmodeo e a per-
mettere a Tobia e Sara, dopo che hanno recitato insieme
una stupenda preghiera di riconoscenza a Dio, di portare a
compimento la loro storia di amore»136.
Compilato l’atto di matrimonio e dopo che ebbero finito
di banchettare, il giovane Tobia fu condotto nella camera da
letto dove al suo interno si trovava già Sara. Appena rimasero
da soli, il giovane compì quanto l’angelo gli aveva indicato e il
demone Asmodeo, questa volta, non ebbe alcuna influenza sul
coniuge137.
I due novelli sposi recitarono una preghiera, consacrando la
loro unione e rimettendola alla volontà di Dio:138
136 N. Dal Molin, Il mistero di una scelta. Giovani e vita consacrata, Paoline,
Milano 2006, p. 112.
137 Come sostiene Mons. Giancarlo M. Bregantini, nominato nel 2007 arci-
vescovo metropolita di Campobasso-Boiano, commentando la cacciata del de-
mone nel Libro di Tobia: «Di fronte al diavolo e alla difficoltà c’è l’arma della
preghiera e della penitenza, cioè della sofferenza condivisa. Sono le due armi che
sconfiggono il male, il demonio: la preghiera e la penitenza» (G. M. Bregantini,
La famiglia nel confronto quotidiano con la parola di Dio… Sulle orme di Tobia e
Sara, in E. Cipollone – M. e N. Gallotti (edd.), Essere sale della terra e luce del
mondo. Vivere nella città come famiglia cristiana, Effatà, Cantalupa 2009, p. 41).
138 «Il vivere con fede […] fa andare oltre la legislazione matrimoniale che
pone la donna tra i possessi del marito (cosa ratificata dal fatto che lo stesso
termine ebraico indica sia marito che padrone). Il vivere un intenso rapporto
col Signore cambia le relazioni, compresa quella matrimoniale; riconoscere la
signoria di Dio su ogni persona ed evento porta a relazioni senza pretesa di
dominio, dove il vincolo unico è la fraternità/sororità, e l’amore è quello vero,
121
Pietro Pierantoni
«Tobia si alzò dal letto e disse a Sara: “Sorella, alzati!
Preghiamo e domandiamo al Signore nostro che ci dia gra-
zia e salvezza”. Lei si alzò e si misero a pregare e a chiedere
che venisse su di loro la salvezza, dicendo: “Benedetto sei
tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le genera-
zioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e tutte le creature
per tutti i secoli! Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua
moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro due
nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: “Non è cosa
buona che l’uomo resti solo; facciamogli un aiuto simile a
lui”. Ora non per lussuria io prendo questa mia parente,
ma con animo retto. Degnati di avere misericordia di me
e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia”. E dissero
insieme: “Amen, amen!”» (Tob 8,4-8).
Terminata la preghiera, i due sposi si misero a dormire. Nel
frattempo Raguele mandò una delle sue serve perché verificasse
che rispetta il mistero dell’altro e accoglie l’altro come dono e progetto. […]
A volte l’esperienza della preghiera avvolge un progetto di vita e dilata i cuori,
li conferma e allora capita, come qui, che la lode venga prima della supplica!
Davvero Sara e Tobia sentono che la volontà del Signore sull’uomo e la donna
è ora su di loro e che la sua misericordia li avvolge e li unisce, li sana e li libera
da solitudine, paure, delusioni, incertezze… e apre loro un futuro» (G. Babini,
I libri di Tobia, Giuditta, Ester, pp. 54-57). A proposito della preghiera, recitata
dalla coppia, è interessante quanto viene evidenziato anche da Cristina Men-
ghini e Patrizio Righero: «La coppia, nel fidanzamento prima e nel matrimonio
poi, è per eccellenza […] il luogo privilegiato della preghiera a due. C’è nella
Bibbia un bellissimo esempio di preghiera di coppia, preghiera che si colloca
al culmine di un’avvincente storia d’amore: è la preghiera di Tobia e Sara. […]
Tobia e Sara pregano dunque per se stessi, per la loro felicità ma, soprattutto,
per la loro salvezza. È una preghiera splendida che vede, nell’amore tra uomo e
donna, la volontà di Dio» (C. Menghini – P. Righero, Le radici dell’amore. Per
una spiritualità dei fidanzati, Effatà, Cantalupa 2000, pp. 40-42).
122
Le donne di Israele
l’evolversi della situazione e specialmente se Tobia fosse ancora
vivo oppure fosse caduto nelle grinfie di Asmodeo. Quando gli
fu riferito che i due erano in ottima salute e dormivano sere-
namente, il suocero di Tobia, insieme alla moglie Edna, recitò
una lode a Dio per ringraziarlo di aver scacciato la cattiva sorte
che pendeva sulla sua famiglia.
L’indomani si diede avvio ai festeggiamenti nuziali, che eb-
bero una durata di quattordici giorni139 e durante i quali Ra-
guele decretò che al giovane sposo spettasse la metà del proprio
patrimonio, consistente in «servi e serve, buoi e pecore, asini e
cammelli, vesti, denaro e suppellettili» (Tob 10,10).
Conclusi i giorni di festa, Tobia fece ritorno a casa, dove i
genitori lo attendevano in preda all’ansia non avendo avuto più
sue notizie fin dal giorno della sua partenza. Anche a Ninive
furono indetti altri festeggiamenti, questa volta con i familiari
dello sposo e alla presenza di tutti i Giudei.
Un’ultima considerazione riguardo alla realtà matrimonia-
le di Tobia e Sara: solitamente il segno tangibile dell’avvenuto
sposalizio tra due persone si manifesta per mezzo «del “lin-
guaggio del corpo”, che l’uomo e la donna esprimono nella
verità che gli è propria. […] il Libro di Tobia è, sotto que-
sto aspetto, estremamente parco e sobrio. Il fatto che Tobia
amò Sara “al punto da non saper più distogliere il cuore da lei”
(Tb 6,19) trova la sua espressione soprattutto nella prontezza
di dividere con lei la sorte e di rimanere insieme “nella buona
139 «“Per quattordici giorni non te ne andrai di qui…”: questo vuol dire festeg-
giare!!! Mica tanti auguri e poi tutti a casa… Bisogna imparare lo stile del festeg-
giamento, anche a costo di imporsi sugli ospiti! Insomma non è mica tanto un
invito quello che Raguele fa a Tobia… sembra più un imperativo al quale non
ci si può sottrarre!!! Così si festeggia!!! Certo ogni ricorrenza ha la sua misura»
(N. Ceriani (ed.), Ciao bella, buon risveglio! Lettere e messaggi d’amore di Mario a
Nadia, Effatà, Cantalupa 2011, p. 117).
123
Pietro Pierantoni
e cattiva sorte”. Non è l’eros a caratterizzare l’amore di Tobia
verso Sara, ma, dal principio, questo amore viene confermato e
convalidato dall’ethos: cioè dalla volontà e dalla scelta dei valori.
Criterio di questi valori diviene – alla soglia stessa del matri-
monio – quella prova della vita e della morte, che entrambi
debbono affrontare già la prima notte. Entrambi: sebbene la
vittima del demonio debba essere soltanto Tobia, nondimeno
è facile immaginare quale sacrificio di cuore avrebbe dovuto
subire anche Sara»140.
140 Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città
Nuova, Roma 20099, p. 437.
124
Le donne di Israele
XX
Giuditta: la testa di Oloferne
La storia biblica dell’eroina ebrea Giuditta è riportata nel
libro che porta il suo nome, scritto che è riconosciuto ed ac-
cettato dal Cristianesimo, ma disconosciuto dall’Ebraismo141.
Qui, inizialmente, viene presentata la campagna militare di
conquista del re assiro Nabucodònosor,142 che è determinato
ad assoggettare tutti i territori circostanti la grande città di Ni-
nive. Per compiere questa colossale impresa si affida al generale
supremo del suo esercito, Oloferne.
141 Non è certa l’attestazione storica dell’opera così come degli eventi che vi
sono narrati: «Il libro, come pure l’argomento e il personaggio, non è storico, se
ci atteniamo al nostro concetto attuale di storia. Viene definito piuttosto come
una storiella, un romanzo breve (folktale) in cui si narrano le gesta esemplari
di una vedova pia che prende la coraggiosa decisione di sconfiggere il nemico,
sostenuta dalla sua fede religiosa. C’è chi crede che sia una specie di racconto
folcloristico ed epico, che combina la storia della moglie fedele con quella della
donna guerriera. Ma Giuditta vuole essere un libro storico, visto che include
alcuni dati ben noti, insieme ad altri assolutamente sconosciuti, sebbene non
improbabili, riguardanti l’etnia, le persone, i luoghi e i nomi. D’altro canto, il
suo argomento è perfettamente credibile e verosimile. Nel racconto è assente
qualsiasi intervento miracoloso di Dio. Non sono neppure i riti, le frequenti
preghiere e il digiuno i fattori che influiscono maggiormente sulla vittoria, ma
piuttosto il coraggio dell’eroina e della sua gente a sconfiggere il nemico. Si
ritiene quindi che la narrazione possa contenere un nucleo storico, una storia di
assedio e vittoria sul nemico per mano di una donna […] Però il libro contiene
un gran numero di “errori”, probabilmente deliberati, ma molti di essi carichi
di ironia. In realtà, l’ironia pervade tutta l’opera, il suo tema, i discorsi e i perso-
naggi» (M. Navarro Puerto, Giuditta la salvatrice, 2 novembre 2016, in <www.
osservatoreromano.va/it/news/giuditta-la-salvatrice>).
142 In realtà Nabucodònosor fu un sovrano babilonese e non assiro. Si tratta di
uno dei tanti errori presenti nel libro.
125
Pietro Pierantoni
Le numerose vittorie operate dagli Assiri gettarono nello
sconforto gli Israeliti, i quali vedevano avvicinarsi l’esercito
nemico, composto «di centosettantamila fanti e dodicimila ca-
valieri, senza contare gli addetti ai servizi e gli altri che erano a
piedi con loro, una moltitudine immensa» (Gdt 7,2) in prossi-
mità delle loro terre.
L’armata assira si spinse fino alla città di Betùlia, zona posta
al centro della Palestina, per assediarla e in seguito, una volta
caduta questa, conquistare il resto delle terre del popolo d’I-
sraele.
Invece di muovere contro la città, come era solito fare, a
Oloferne fu suggerito di presidiare «gli acquedotti e le sorgenti
d’acqua degli Israeliti» (Gdt 7,17) per portarli alla disperazione
e vederli stremati dalla sete.
Dopo trentaquattro giorni di resistenza, il popolo di Dio, in
preda a un sentimento di rassegnazione, chiede ai suoi capi po-
litici e religiosi di arrendersi di fronte alla potenza del nemico:
«Ormai chiamateli e consegnate l’intera città al popolo di
Oloferne e a tutto il suo esercito perché la saccheggino. È
meglio per noi essere loro preda; diventeremo certo loro
schiavi, ma almeno avremo salva la vita e non vedremo con
i nostri occhi la morte dei nostri bambini, né le donne e i
nostri figli esalare l’ultimo respiro» (Gdt 7,26-27).
I reggenti della città, restii all’idea di arrendersi, decidono
di attendere ancora per altri cinque giorni e di stare a vedere
lo svolgersi degli eventi. Nel caso non fosse cambiato nulla,
avrebbero fatto quanto era stato suggerito loro dal popolo.
126
Le donne di Israele
È qui che entra in gioco Giuditta,143 donna benestante, in-
cantevole, devota a Dio, che era rimasta vedova da circa tre
anni. Venuta a conoscenza dell’acceso scambio di battute tra il
popolo e i capi della città, decide di convocare nella sua abita-
zione alcuni degli anziani innanzi ai quali manifesta parole di
profonda fiducia nel Signore:
«Dio non è come un uomo a cui si possano fare minacce,
né un figlio d’uomo su cui si possano esercitare pressioni.
Perciò attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui,
supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nos-
tro grido, se a lui piacerà. […] Noi […] non riconosciamo
altro Dio fuori di lui, e per questo speriamo che egli non
trascurerà noi e neppure la nostra nazione» (Gdt 8,16-20).
«Con la forza di un profeta, Giuditta richiama gli uomini
del suo popolo per riportarli alla fiducia in Dio; con lo
sguardo di un profeta, ella vede al di là dello stretto oriz-
zonte proposto dai capi e che la paura rende ancora più
limitato. Dio agirà di certo – ella afferma – mentre la pro-
143 «Lei una fanciulla con l’unico dovere di essere bella per compiacere sguardi
e fantasie degli uomini, nonché devota per compiacere quelli del dio. Giuditta,
però, senza il “peso” della verginità e del nubilato, e con i vantaggi della nuova
posizione – il marito le ha lasciato ricchezze e potere – non ha alcuna intenzione
di farsi relegare in quel ruolo di “femmina” e non donna. Vuole affermare il
proprio diritto a essere o forse solo rifiutare la negazione maschile. Vuole vivere,
pensare, costruire, desiderare. Vuole essere soggetto e non oggetto. Per questo
contesta la mollezza degli uomini del suo villaggio e decide di farsi parte attiva
nella liberazione della città. Per questo, osa mettere in gioco il suo corpo, almeno
a parole, per avvicinarsi al perfido conquistatore» (V. Arnaldi, Roma da paura.
Orrori nascosti della città più bella del mondo, Ultra, Roma 2013).
127
Pietro Pierantoni
posta dei cinque giorni di attesa è un modo per tentarlo e
per sottrarsi alla sua volontà. Il Signore è Dio di salvezza,
- e lei ci crede -, qualunque forma essa prenda. È salvezza
liberare dai nemici e far vivere, ma, nei suoi piani impen-
etrabili, può essere salvezza anche consegnare alla morte.
Donna di fede, lei lo sa»144.
Giuditta, che godeva di ottima considerazione, si offre vo-
lontariamente come mediatrice di salvezza. Invece di starsene lì
ferma da una parte a lagnarsi come tutti gli altri e aspettare che
la rovina cada su di loro, è decisa a compiere una missione per
trarre in salvo la sua gente. L’impresa che è intenta a compiere,
a suo dire, sarà ricordata e tramandata per sempre dalle future
generazioni. È convinta del fatto che il Signore le sarà accanto
e l’aiuterà a portare a termine il suo progetto, tuttavia non può
svelare il benché minimo dettaglio di ciò che sta per fare.
Prima di partire per la sua missione, Giuditta si ritira a pre-
gare:
«Ecco […] gli Assiri si sono esaltati nella loro potenza, van-
no in superbia per i loro cavalli e i cavalieri, si vantano della
forza dei loro fanti, poggiano la loro speranza sugli scudi
e sulle lance, sugli archi e sulle fionde, e non sanno che tu
sei il Signore, che stronchi le guerre. […] Guarda la loro
superbia, fa scendere la tua ira sulle loro teste, metti nella
mia mano di vedova la forza di fare quello che ho pensato.
[…] spezza la loro alterigia per mezzo di una donna. La tua
forza, infatti, non sta nel numero, né sui forti si regge il tuo
regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il soccorritore dei
144 Francesco, Udienza generale, 25 gennaio 2017, in <https://w2.vatican.va/
content/.../it/.../papa-francesco_20170125_udienza-generale.htm...>
128
Le donne di Israele
piccoli, il rifugio dei deboli, il protettore degli sfiduciati,
il salvatore dei disperati. […] Fa che la mia parola lusing-
hiera diventi piaga e flagello di costoro, che fanno progetti
crudeli contro la tua alleanza e il tuo tempio consacrato,
contro la vetta di Sion e la sede dei tuoi figli» (Gdt 9,7-13).
Terminata questa supplica, la donna andò a sistemarsi e a
rendersi bella per colui che da aguzzino sarebbe diventato pre-
da e vittima del suo fascinoso aspetto.
Giuditta partì da Betùlia in compagnia della sua serva, cari-
ca di provviste, e, raggiunto l’accampamento degli Assiri, pro-
ferì alle guardie nemiche che si era recata lì per suggerire delle
informazioni dettagliate al comandante dell’esercito su come
espugnare la città, senza perdere nemmeno un uomo del suo
schieramento.
Attraverso parole lusinghiere e astute, e grazie anche alla
graziosità dei suoi lineamenti, l’eroina ebrea riuscì a fare brec-
cia nel cuore di Oloferne e dei suoi ufficiali, i quali esclamaro-
no ammirati: «Da un capo all’altro della terra non esiste donna
simile, per la bellezza dell’aspetto e la saggezza delle parole»
(Gdt 11,21).
Giuditta stazionò presso gli Assiri per tre giorni e le fu con-
cesso di uscire tutte le sere per pregare il suo Dio. Il quarto
giorno, forti erano il desiderio e l’ebbrezza che avvolgevano le
sue membra al pensiero di lei, Oloferne organizzò un ragguar-
devole e prelibato banchetto sia per fare presa su Giuditta che
per festeggiare anticipatamente la vittoria sugli Israeliti.
Il comandante supremo di Nabucodònosor, diversamente
da come si conviene a un attento ed esperto uomo d’armi, si
lasciò andare troppo spensieratamente ai piaceri del corpo e
finì vittima dell’astuzia di quella stessa donna che avrebbe vo-
luto dominare.
129
Pietro Pierantoni
Stanco per le portate eccessive di cibo e stordito per la gran-
de quantità di alcool nel sangue, «bevve [infatti] abbondan-
temente tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto in un
solo giorno da quando era al mondo» (Gdt 12,20), Oloferne
crollò nel suo letto e qui si consumò l’abominevole delitto. Av-
vicinatasi al giaciglio di quello, Giuditta prese la scimitarra del
comandante e, stringendogli la chioma dei capelli tra le mani,
sferrò freddamente i due colpi che staccarono la testa di Olo-
ferne dal suo corpo.
La crudezza della scena è stata magnificamente riportata,
con estrema abilità e magnifico realismo, dal Caravaggio nel
dipinto Giuditta e Oloferne (1597):
«La bella e giovane Giuditta non taglia la testa a Oloferne,
ma lo sgozza letteralmente. Con crudo realismo e profusio-
ne di sangue, l’uomo è rappresentato mentre si contorce in
una smorfia di dolore e i suoi occhi dilatati esprimono un
misto di stupore (certamente non si sarebbe mai aspettato
di essere ucciso da quella candida ragazza) e sofferenza, con
la bocca spalancata in un muto grido assordante che non
sembra impietosire Giuditta né la vecchia che le è accanto
per sostenerla»145.
L’eroina e la sua ancella, in seguito al fatto, tornarono indi-
sturbate a Betùlia e consegnarono il capo mozzato di Oloferne
ai potenti della città. In mezzo al tripudio e allo stupore gene-
rali, Giuditta fu riverita e godette della riconoscenza collettiva.
Il suo ruolo di liberatrice non si esaurì con la morte del ge-
nerale assiro. Infatti da abile stratega, una volta tornata in città,
145 G. Fiore Coltellacci, 365 giornate indimenticabili da vivere a Roma, Newton
Compton, Roma 2014.
130
Le donne di Israele
si apprestò ad incoraggiare e consigliare gli Israeliti su come
rispedire, senza alcuna esitazione, i nemici nelle proprie terre.
L’occasione che si era presentata era più unica che rara: gli
Assiri erano disorientati e non si poteva non approfittare di
quello sbigottimento generale. Giuditta portò alla vittoria il
popolo d’Israele, che si era rinvigorito e si era unito intorno
all’intraprendenza di quella figura eroica.
Conseguito il trionfo, Giuditta venne ricompensata con i
beni appartenuti ad Oloferne, «la tenda […], tutte le argen-
terie, i letti, i vasi e tutti gli arredi di lui» (Gdt 15,11), oggetti
che ella offrì spontaneamente al Signore come segno di ringra-
ziamento.
Tutte le donne di Israele giunsero a Betùlia per ammirare
e ricoprire di encomi la donna che, dal giorno della vittoria
contro gli Assiri, divenne per loro un modello e un simbolo da
eguagliare.
Durante i festeggiamenti Giuditta «prese in mano dei tirsi
e li distribuì alle donne che erano con lei. Insieme con loro si
incoronò di fronde di ulivo: si mise intesta a tutto il popolo,
guidando la danza di tutte le donne, mentre seguivano, armati,
tutti gli uomini d’Israele, portando corone e inneggiando con
le loro labbra» (Gdt 15,12-13).
Tirando le somme del discorso, possiamo affermare che la
figura biblica di Giuditta assume una duplice valenza:
«Da una parte ella usa l’astuzia per sconfiggere il nemico
e, grazie a questa sua intelligenza, suscita l’ammirazione
dei suoi compatrioti; dall’altra parte, però, ella uccide un
uomo con l’inganno: la sua bellezza diventa un pericolo
per il maschio. […] Abbiamo visto come Giuditta appaia
131
Pietro Pierantoni
nella tradizione una figura controversa: libera il popolo dal
tiranno, ma per farlo usa l’inganno, tende una trappola
all’uomo che l’ama non esitando a macchiarsi le mani di
sangue. Per questa ambiguità il suo personaggio ha dato
luogo a differenziate interpretazioni: da eroina a seduttrice,
da liberatrice a ingannatrice, da figura rassicurante che pro-
tegge dal nemico a personaggio inquietante capace di ribel-
larsi e uccidere l’uomo. Mentre gli uomini la temono per
la capacità che ha avuto di far capitolare il maschio […], le
donne perlopiù tendono a identificarsi con lei, eroina che
combatte contro il male»146.
La storia di Giuditta e Oloferne ha influenzato anche l’am-
bito della psicoanalisi. Il neurologo, psicoanalista e filosofo au-
striaco, Sigmund Freud, ha assunto questa vicenda per spiegare
il desiderio di rivalsa della donna sull’uomo147. Per lui in questa
storia emergono chiaramente le due pulsioni che muovono l’a-
gire umano, «eros e thanatos, amore e morte, i “primari” che
guidano le nostre esistenze»148.
146 A. Valerio, Le ribelli di Dio. Donne e Bibbia tra mito e storia, Feltrinelli,
Milano 2014.
147 Per comprendere i motivi che erano alla radice del sentimento di ritorsio-
ne, ardente nell’animo femminile, bisogna prima di tutto esaminare il contesto
dell’epoca, che poi non è che si discosti così tanto da quello odierno: «In realtà,
erano i vantaggi di cui l’uomo godeva nella società, e tra questi la libertà, ad
essere invidiati, mentre le donne dell’epoca di Freud erano relegate, per lo più,
nel mondo claustrofobico della casa e costrette ad assumere su di sé l’ideale ma-
schile di femminilità, un ideale con il quale gli uomini si arrogavano il diritto di
definizione e controllo della donna, rinforzando vieppiù le scissioni tra materia
e spirito, ragione e sentimento, debolezza e forza. Così definite in termini di
opposizione, le caratteristiche del maschile e del femminile hanno finito con
l’indebolirsi vicendevolmente» (G. Ventavoli, Etica ed estetica per la psicoanalisi,
Armando, Roma 2013, p. 81).
148 F. Caroli, Il volto dell’amore, Mondadori, Milano 2011.
132
Le donne di Israele
Prendendo ad esempio la rielaborazione tragica degli avve-
nimenti veterotestamentari del Libro di Giuditta, operata dal
drammaturgo e poeta tedesco Friedrich Hebbel, Freud vi legge
un espediente per chiarire ed illustrare il tabù della verginità:149
«Giuditta è una di quelle donne la cui verginità è protetta
da un tabù. Il suo primo marito durante la prima notte
di matrimonio è rimasto paralizzato da un’angoscia mis-
teriosa e non ha più osato toccarla. “La mia è la bellezza
della belladonna” ella dice. “Goderne conduce a follia e
morte”. Quando il generale assiro assedia la sua città, ella
concepisce il piano di sedurlo e prenderlo con la propria
bellezza, utilizzando così un motivo patriottico a copertura
di uno sessuale. Deflorata da quell’uomo possente, che si
gloria di essere forte e spietato, trova nella propria ribel-
lione l’energia per mozzargli la testa, diventando così la lib-
eratrice del suo popolo. Come ben sappiamo, decapitare è
sostituto simbolico di castrare; perciò, Giuditta è la donna
che castra l’uomo da cui è stata deflorata […]. Hebbel ha
esplicitamente sessualizzato il racconto patriottico ricavato
dagli apocrifi dell’Antico Testamento, giacché qui Giuditta
149 Come sostiene il professore Gioacchino Lavanco in un suo saggio di psico-
logia: «La scelta di Freud non è da sottovalutare: è la perversione sessuale di Olo-
ferne nei confronti di Giuditta a determinare la storia. Giuditta organizza una
trappola psicologica per Oloferne e per sé. È seducente e si offre al capo assiro
per salvare il suo popolo. Oloferne nel dramma [di Hebbel] la possiede, viola il
tabù delle sessualità, ma questa violazione dà a Giuditta la forza per l’immonda
punizione: mozzargli il capo con una spada, in una simbologia di castrazione
che non sfugge. Il capo mozzato mostrato agli assiri non è solo simbolo del duce
morto, ma anche la punizione per questa violazione inaccettabile, di un sangue –
quello sessuale – che si sazia di un altro sangue: quello dell’evirazione attraverso
la decapitazione» (G. Lavanco, Psicologia dei disastri. Comunità e globalizzazione
della paura, Franco Angeli, Milano 2007, p. 12).
133
Pietro Pierantoni
può vantare al suo ritorno di non essere stata contaminata,
e nel testo biblico manca anche ogni riferimento alla sua
inquietante notte nuziale»150.
150 S. Freud, La sessualità, Mondadori, Milano 2009.
134
Le donne di Israele
XXI
Ester: mediatrice tra Israele e Assuero
Il Libro di Ester in cui si narrano le vicissitudini di Ester,
ennesima eroina ebrea, e di suo cugino Mardocheo è pervenuto
fino a noi in due versioni: una ebraica e l’altra greca. Quest’ul-
tima è più lunga, trovandosi in essa delle aggiunte tardive. I
nomi di alcuni personaggi nelle due versioni sono differenti:
primo fra tutti quello del re persiano, che nella versione ebraica
è chiamato Assuero, mentre in quella greca Artaserse. Alcuni
studi e rinvenimenti archeologici fanno pensare che il re per-
siano di cui si parla possa essere identificato con Serse:151 «Ad
avvalorare l’ipotesi storica, una tavoletta rinvenuta a Borsippa
tratta di un funzionario o ministro suo contemporaneo, chia-
mato Marduk: equivalente di Mardocheo»152.
151 Come scrive Raffaele D’Amato nel suo libro La battaglia delle Termopili:
«Due testi ben conosciuti, oltre alle molte iscrizioni, ci parlano di questo sovra-
no, quarto re della dinastia achemenide. Uno è Erodoto, l’altro la Bibbia. Nel
Libro di Ester, che venne originariamente scritto in ebraico, il re di Persia, se-
dotto dalla avvenente giudea, si chiama Ahachvéroch – trascritto in latino e poi
in italiano Assuero, mentre nell’Ester greca d’Origene (Libro deuterocanonico) è
chiamato Artaserse. Ma l’archeologia ha oggi trovato le tracce di un re acheme-
nide il cui nome persiano recita Khchayarchah, la cui assonanza con Serse o Aha-
chvéroch è più pregnante di quella con Artaserse. Ahachvéroch appare peraltro
in Esdra 4,6 e sembra che in questo libro storico si tratti di Khchayarchah, cioè
Serse. Assuero sarebbe pertanto il nostro Serse, l’invasore della Grecia. Il ritratto
di stravagante, vanitoso e vendicativo che la Bibbia traccia di lui corrisponde
peraltro alle descrizioni di Erodoto. Secondo il Libro di Ester Assuero dominava
centoventisette province che si estendevano dall’India a Kush» (R. D’Amato, La
battaglia delle Termopili, Newton Compton, Roma 2013).
152 G. Limentani, Regina o concubina? Ester, Paoline, Milano 2001, p. 76.
135
Pietro Pierantoni
Se da una parte esistono alcune informazioni che ci indi-
rizzano in questo senso, dall’altra si trovano altrettanti dati che
allontanano da questa tesi.
Guardando ad Erodoto, però, emerge la notizia storica per
cui la moglie del re persiano si chiamava Amestris e i regnanti
persiani «potevano scegliere le loro spose solo fra sette famiglie
di preclara nobiltà»153.
Il racconto si apre con il sovrano persiano che si appresta a
festeggiare con i suoi dignitari e funzionari di corte, indicendo
due banchetti, con lo scopo di sancire il matrimonio con la
regina Vasti.
Anche quest’ultima fece preparare un banchetto riservato
alle donne. Alla fine dei festeggiamenti, che durarono diversi
giorni, Assuero fece convocare la regina perché andasse a pre-
sentarsi ai reggenti delle varie province imperiali, facendo sfog-
gio della propria bellezza. La donna, però, si rifiutò di com-
piacere la sua volontà, cosa che fece adirare il re, il quale si
consultò con i più stretti collaboratori su come comportarsi al
riguardo.
Costoro lo convinsero ad emanare un editto reale, da far
conoscere a tutti, con cui si stabiliva che Vasti non poteva più
in alcun modo comparire davanti ad Assuero e il suo onore di
regina sarebbe stato conferito ad un’altra donna più rispettosa
e ligia alle leggi persiane154.
Dopo averla estromessa dal trono, Assuero fece ricercare in
tutte le province altre ragazze che disponessero delle qualità
153 Ibidem.
154 Si temeva che nel caso il comportamento di Vasti fosse passato inosservato,
senza alcuna ripercussione per la mancanza di rispetto, anche le donne del re-
gno avrebbero potuto imitare quel gesto, scalzando di fatto l’autorità maschile
spettante ai mariti.
136
Le donne di Israele
per divenire regine (dovevano essere, infatti, giovani, belle e
vergini). Molte furono le donne che vennero portate nell’ha-
rem reale, ma solo una riuscì a conquistare il cuore del sovrano
persiano: Ester, figlia adottiva di Mardocheo,155 che viveva nel-
la città di Susa.
A capo dell’harem vi era un eunuco di nome Egài che l’ave-
va immediatamente notata a causa della sua raffinata bellezza e
che le fornì dei validi consigli su come comportarsi al cospetto
del re. Terminati i lunghi tempi preparatori (circa dodici mesi),
dopo che Ester fu scelta dal re per rivestire il ruolo di regina,
Assuero diede un banchetto per la sua nuova consorte e mani-
festò la sua munificenza.
Un giorno Mardocheo, che svolgeva delle mansioni all’in-
terno del palazzo, venne a sapere che due eunuchi volevano
attentare alla vita del re e così parlò del fatto a Ester, la quale
a sua volta riferì la notizia ad Assuero. Quando fu accertata
la colpevolezza di entrambi i cospiratori, vennero uccisi per
impiccagione. Quanto accaduto fu riportato nei registri reali.
Ci si aspetterebbe che il sovrano nomini come consigliere
fidato Mardocheo e invece si apprende dal testo biblico che
Aman, altro funzionario di corte, viene elevato al rango di pri-
mo tra i prìncipi o, utilizzando un’espressione latina, di primus
inter pares. Alla presenza di Aman, tutti erano soliti inginoc-
chiarsi e riverirlo, ma Mardocheo no, poiché, come si conviene
a un buon ebreo, ci si inginocchia solo in atteggiamento di
adorazione a Dio.
155 Il giudeo Mardocheo, uno dei tanti deportati in esilio da Gerusalemme a
Babilonia per opera di Nabucodònosor, aveva preso con sé la figlia di un suo zio
quando questa rimase orfana. Non sono specificate le circostanze di morte dei
genitori naturali di Ester.
137
Pietro Pierantoni
Ecco allora che il comportamento di Mardocheo viene
utilizzato come appiglio per sbarazzarsi furbescamente di un
intero popolo, ritenuto scomodo: «Prende a pretesto l’atteggia-
mento del rivale che, coerente alla propria religione, non si in-
china a un uomo seppur Primo ministro e Aman, per toglierlo
di mezzo, cerca di eliminare tutto il popolo di Israele»156.
Nelle motivazioni addotte dal “grande consigliere” per to-
gliere di mezzo gli Ebrei sparsi nell’impero, si può leggere una
chiara inclinazione antigiudaica:
«Di tendenze antiebraiche riferiscono anche alcuni libri
biblici, e nel modo più palese il Libro di Ester, in cui si
parla della salvezza degli ebrei nell’impero persiano gra-
zie al risoluto intervento della regina ebrea Ester e di suo
cugino Mardocheo. In questo racconto, l’ambizioso funzi-
onario Aman è così irato per il fatto che Mardocheo non si
prostra di fronte a lui, che decide di uccidere tutti gli ebrei.
[…] Naturalmente non possiamo considerare il Libro di
Ester una fonte storica autentica. Notevole appare però in
primo luogo il fatto che qui, in un testo tardo della Bibbia
ebraica, la differenziazione degli ebrei rispetto all’ambiente
circostante compaia come causa delle persecuzioni. Ma la
questione appare ancora più interessante se consideriamo la
traduzione greca del medesimo passo nella Septuaginta [la
versione dei Settanta in lingua greca]. Qui gli ebrei diven-
tano nelle parole di Aman un popolo ostile, che disprezza
le regole di tutti gli altri popoli, compiendo le azioni più
156 L. Di Marco, I sogni nella Bibbia. Rileggere le Sacre Scritture in chiave mana-
geriale, Franco Angeli, Milano 2013, p. 77.
138
Le donne di Israele
turpi. E quando si legge il commento di Giuseppe Flavio
alla versione greca del Libro di Ester, il riferimento alle ac-
cuse della sua epoca diventa ancora più chiaro: qui si parla
di un popolo che sarebbe nemico di tutta l’umanità»157.
Quando Aman si presentò al re, per indurlo ad appoggiare
la sua casa, proferì le seguenti parole: «Vi è un popolo disperso
e segregato tra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui
leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e non osserva
le leggi del re; non conviene quindi che il re lo lasci tranquillo»
(Est 3,8).
Venuto a sapere del piano del nemico e dell’editto reale, nel
quale si comandava la distruzione degli Ebrei, Mardocheo in
atteggiamento di penitenza giunse alla porta del palazzo per
scongiurare Ester di intervenire, al fine di trovare grazia presso
Assuero. Dopo un primo momento di esitazione, Ester decise
alla fine di fungere da mediatrice per la causa di suo cugino e
del suo popolo afflitto. L’importante è che per tre giorni, prima
che ella si rechi dal re, tutti i Giudei di Susa si apprestino a di-
giunare, senza bere e mangiare né di giorno né di notte.
Al terzo giorno, nonostante vigesse una regola per cui nes-
suno poteva presentarsi al cospetto del re se non per suo diretto
volere, Ester, seppur indebolita a causa del digiuno che anche
lei aveva fatto insieme alle sue ancelle, si fece forza e si recò
innanzi ad Assuero. Quando la vide, il sovrano, invece di pro-
vare irritazione per la sfrontatezza della consorte, fu contento
della sua presenza e le chiese il motivo che l’aveva spinta lì. La
regina invitò il proprio sposo e Aman ad un banchetto, riser-
157 M. Brenner, Breve storia degli ebrei, Donzelli, Roma 2009, pp. 29-31.
139
Pietro Pierantoni
vato esclusivamente a loro tre. Anche l’indomani Ester diede
un altro banchetto durante il quale svelò la sua richiesta: «Se
ho trovato grazia ai tuoi occhi, o re, e se così piace al re, la mia
richiesta è che mi sia concessa la vita e il mio desiderio è che
sia risparmiato il mio popolo. Perché io e il mio popolo siamo
stati venduti per essere distrutti, uccisi, sterminati» (Est 7,3-4).
Di fronte alla perplessità di Assuero e alla sua richiesta di
svelare l’identità del vile, che ha osato ordire il complotto con-
tro il popolo ebraico, Ester fece il nome di Aman. A rinforzare
le accuse della regina, contribuirono anche le parole di un eu-
nuco di corte, che suggerì al re ciò che il rivale di Mardocheo
aveva fatto nella propria abitazione: costui aveva fatto erigere
un palo dell’altezza di cinquanta cubiti (corrispondenti a circa
ventitré metri) per impiccarvi il parente di Ester.
Della pena di morte, sentenziata per invidia, cadrà vittima
il suo stesso ideatore: «Così Aman fu impiccato al palo che
egli aveva preparato per Mardocheo» (Est 7,10). Questi fat-
ti sono menzionati anche nella Divina Commedia di Dante,
che nel canto XVII del Purgatorio, riportando alcuni esempi
di ira punita, così afferma: «Poi piovve dentro a l’alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero ne la sua vista, e cotal si moria;
intorno ad esso era il grande Assuero, Ester sua sposa e ‘l giusto
Mardoceo, che fu al dire e al far così intero»158.
158 D. Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, Armando, Roma 2003, pp.
281-282. In proposito si veda anche il contributo di Luisa Pinnelli. Riguardo
alla trattazione della tematica degli iracondi, che vengono puniti in conseguen-
za di ciò che hanno commesso, Dante, dopo aver riportato un primo esempio
con la sorte che toccò a Progne e anticipando le vicissitudini di Amata, madre
di Lavinia e moglie del re Latino, come seconda dimostrazione descrive l’epi-
sodio dell’acerrimo rivale di Mardocheo: «Per secondo appare Aman, crucifisso
140
Le donne di Israele
Nonostante il nemico fosse morto, il suo piano di sterminio
era ancora vigente e per revocarlo si dovette emettere un nuovo
editto con cui venne ristabilita la libertà e la rispettabilità del
popolo ebraico e per mezzo del quale il bando, che doveva san-
cire la disfatta dei Giudei, fu convertito «in un editto di morte
contro i nemici degli Israeliti»159.
In seguito a questo evento fu istituita ufficialmente la festa
di Purìm per fare memoria del fatto che «i Giudei ebbero tre-
gua dai loro nemici e […] il loro dolore si mutò in gioia, il loro
lutto in festa» (Est 9,22).
Riguardo alle caratteristiche di questa ricorrenza:
«Il digiuno ricorda quello fatto da Ester quando ebbe no-
tizia dell’editto emanato contro i suoi correligionari. La
letizia dei giorni successivi commemora le feste celebrate
dagli Ebrei dopo la loro liberazione e la distruzione dei
dispettoso e fero e intorno a lui il grande re persiano Assuero, sua moglie Ester
e lo zio [in realtà cugino] di lei, l’israelita Mardocheo. Aman, ministro del re,
adirato con Mardocheo, che unico a corte non si prostrava davanti ad Assuero,
ordinò di sterminare tutti gli ebrei sparsi nell’immenso impero persiano e allestì
il patibolo per Mardocheo. Ma Ester illustrò al re le scelleratezze di Aman e sul
patibolo ci finì Aman. L’esempio biblico propone una situazione più complessa.
Aman, superbo e invidioso al tempo stesso, non comprende perché un giudeo,
ritenuto inferiore, non si inginocchi davanti al re come a un dio. La sua chiusura
di fronte a ciò che non capisce [che potremmo definire come il nuovo] genera in
lui odio e desiderio di vendetta. […] L’ira si presenta perciò come una incapacità
di immaginare un futuro migliore. Ed è vero che gli iracondi sono sempre cupi
e pessimisti, perché manca loro la visione di qualcosa di alternativo al presente»
(L. Pinnelli, Come diventare felici con la Divina Commedia, 2: Come correggere
l’errore. Il Purgatorio, 2012).
159 M. M. Moreno, Nota 1, in M. Cohen, Gli ebrei in Libia. Usi e costumi,
Giuntina, Firenze 1994, p. 114.
141
Pietro Pierantoni
loro avversari. Il digiuno si fa il 13 Adàr, le feste il 14 e il
15 Adàr [tra febbraio e marzo]. Nella festa del Purìm vi è
l’obbligo di leggere la Meghillà di Ester, di fare un banchet-
to liberalmente innaffiato, di mandare cibi agli amici, e di
distribuire elemosine ai poveri»160.
La figura biblica di Ester ispirò molti artisti tra cui la po-
etessa tedesca Else Lasker-Schüler, la quale compose una rac-
colta di «liriche della tristezza»161 sotto il nome di Hebräische
Balladen (1913), in italiano Ballate ebraiche, in cui appare una
poesia dedicata alla nostra eroina:
«Il ritratto di Ester è […] in questo caso mimetico: l’intento
della lirica non è la descrizione della regina ebrea, ma la cel-
ebrazione della sua memoria, del giorno di festa che ricorda
la sua coraggiosa impresa. Ester è figura della rievocazione
memoriale, come conferma […] il v. 4: “Di notte il suo
cuore riposa su un salmo”. Il cuore di Ester, la verità della
sua azione, riposa nella tradizione, nella Festa del Purim,
che, come i salmi, tramanderà alle generazioni future il
ricordo del suo gesto. […] L’omaggio all’eroina Ester im-
plica il recupero di una tradizione biblica femminile che
determina una radicale messa in discussione delle strutture
patriarcali conservatesi nella tradizione»162.
160 Ibidem.
161 M. T. Milano, Regina Jonas. Vita di una rabbina. Berlino 1902 – Auschwitz
1944, Effatà, Cantalupa 2012, p. 81.
162 L. Bosco, Tra Babilonia e Gerusalemme. Scrittori ebreo-tedeschi e il “terzo
spazio”, Bruno Mondadori, Milano 2012.
142
Le donne di Israele
L’intento della poetessa è quello di giungere ad una riva-
lutazione della figura della donna nella storia biblica, che è al
contempo la storia della salvezza, rispetto alla marginalità cui
l’aveva relegata una chiara mentalità maschilista e patriarcale.
«Della vita ebraica, nessun aspetto sembra così profon-
damente frainteso come il ruolo della donna e lo status
femminile. La sfera principale della donna è privata, sec-
ondo la Legge; però [nella] tradizione spirituale successiva,
[…] il femminile è connesso al concetto di sovranità, che è
l’ultima fase della manifestazione della divinità. Il libro di
Ester sembra essere il libro che più di altri esprime tutto ciò
nella figura della regina, che con la sua presenza nascosta e
il suo coraggio salverà il popolo dallo sterminio»163.
Infine, non possono mancare alcuni accostamenti tra la
figura veterotestamentaria di Ester e quella neotestamentaria
della madre di Gesù, Maria. Un’operazione simile è stata ten-
tata storicamente da Ràbano Mauro Magnenzio, che fu «espo-
nente della cosiddetta “seconda generazione di intellettuali
carolingi”, allievo di Alcuino, monaco e poi abate a Fulda e
successivamente arcivescovo di Magonza»:164
«Nell’836 Rabano Mauro scrive la Expositio in librum Es-
ther nella quale vengono definite le concordanze e le pre-
figurazioni tra avvenimenti dell’Antico e del Nuovo Tes-
163 F. Tartaglia, È ora di leggere la Bibbia.
164 A. M. Perego, Edizione critica dell’Expositio in librum Hester di Rabano
Mauro, Tesi di dottorato, Università degli studi di Firenze 2012/2015, p. 6, in
<https://flore.unifi.it/handle/2158/1038120>
143
Pietro Pierantoni
tamento. Il testo pone in risalto, all’interno della storia di
Ester, l’incoronazione regale come prefigurazione di quella
di Maria. I teologi [poi] hanno visto Ester, la “stella” di Per-
sia, come la Stella maris delle Litanie e come la sua incoro-
nazione da parte di Assuero è immagine dell’incoronazione
della Vergine, così il suo intervento presso il re è emblema
dell’intercessione di Maria presso il Figlio nel giorno del
giudizio: come ella aveva ottenuto la grazia per i giudei,
Maria ottiene la grazia per il genere umano. Assimilata alla
Vergine, Ester diventa, come la Sulamita del Cantico dei
Cantici, immagine della Chiesa ed Assuero che sposa Ester
evoca nello spirito dei teologi il Cristo sponsus ecclesiae»165.
165 M. Soranzo, La regina Ester tra Bibbia ed arte, 11 dicembre 2017, in <www.
lapartebuona.it/...di-ester/la-regina-ester-tra-bibbia-ed-arte-un-contributo-di-
mic...>
144
Le donne di Israele
XXII
Susanna: l’innocente calunniata
La storia di Susanna, donna fedele e di inestimabile bellez-
za, viene narrata nel Libro di Daniele e più precisamente riveste
l’intero capitolo 13166.
L’intento che sottende questa vicenda è quello di eviden-
ziare «il premio che Dio riserva alle persone fedeli alla legge e
ingiustamente perseguitate»167.
Di lei sappiamo che era la moglie di un uomo facoltoso, di
nome Ioakìm, e figlia di Chelkia. Riguardo la sua persona, il
testo biblico aggiunge anche che, oltre ad essere incantevole,
era timorata di Dio, avendola la sua famiglia educata secondo i
precetti della legge mosaica.
Al tempo in cui visse Susanna furono eletti come guide del
popolo, e loro giudici, due anziani. Questi erano assidui fre-
quentatori della casa di Ioakìm, sposo di Susanna, ed erano
addetti a giudicare le questioni sorte tra le persone.
La donna aveva l’abitudine di recarsi al giardino, di proprie-
tà del marito, per svagarsi. I due anziani, a forza di vedere quo-
tidianamente Susanna, si invaghirono di lei e persero la testa
166 Questo capitolo, insieme al cap. 14, sarebbe un’aggiunta postuma rispet-
to al nucleo originale del libro (cfr. E. Urech, Dizionario dei Simboli Cristiani,
Arkeios, Roma 2004, p. 83). Possiamo definire queste parti come apocrife «nel
senso che […] viene [loro] attribuito dalla tradizione protestante, vale a dire per
designare quei libri che fanno parte dell’Antico Testamento cattolico ma non
di quello protestante (che coincide con la Bibbia ebraica)» (J. C. Vanderkam,
Manoscritti del Mar Morto. Il dibattito recente oltre le polemiche, Città Nuova,
Roma 19972, p. 46).
167 A. Salvador, Il libro di Daniele e la vicenda di Susanna, p. 3, in <www.issr-
portogruaro.it/wp-content/uploads/2013/11/Daniele-e-Susanna.pdf>
145
Pietro Pierantoni
fino al punto di spingersi a provare nei suoi confronti pensieri
depravati. Un giorno, mentre la donna era intenta a fare il ba-
gno nel giardino, approfittarono dell’assenza delle sue ancelle
per confessarle il loro ardente desiderio di unirsi carnalmente
a lei.
Per convincerla la misero alle strette, utilizzando la terribi-
le morsa del ricatto: «Ecco, le porte del giardino sono chiuse,
nessuno ci vede e noi bruciamo di passione per te; acconsenti
e concediti a noi. In caso contrario ti accuseremo; diremo che
un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle» (Da
13,20-21)168. Dinanzi al quesito se era meglio perdere l’ono-
rabilità davanti a Dio e alle persone o cadere vittima di quei
loschi individui pur di non essere calunniata, Susanna preferì
la prima via: «Meglio però per me cadere innocente nelle vostre
mani che peccare davanti al Signore!» (Da 13,23).
Non avendo ceduto alle loro pressioni, la donna divenne
oggetto «di una falsa accusa: i due anziani riferirono di aver
sorpreso con lei in un luogo appartato un giovane, il quale
però, con rapidità giovanile, era sfuggito dalle mani dei due
vecchi»169.
Il popolo, convocato l’indomani a casa di Ioakìm e senza in-
dagare lo svolgersi reale dei fatti, con un’ingenuità disarmante
168 La violenza perpetrata dai due uomini non è in alcun modo scusabile: «Qui,
la perversione degli anziani si manifesta attraverso un tentativo di stupro e non
di seduzione, come sostengono alcuni studiosi. La seduzione si verifica quando si
induce o si persuade un altro ad avere un rapporto sessuale. Difficile riscontrarlo
nel nostro caso. Ciò che è più spregevole è che i due anziani abusano del loro
potere e della loro autorità, essendo membri di prestigio nella comunità giudai-
ca, nel tentativo di stuprare Susanna» (A. A. Di Lella, Il libro di Daniele (7-14),
Città Nuova, Roma 1996, p. 91).
169 S. Severo, Cronache, Città Nuova, Roma 2008, p. 126.
146
Le donne di Israele
prestò fede alle parole menzognere degli anziani e la mise im-
mediatamente alla gogna. Per chi trasgrediva le leggi del matri-
monio e veniva sorpreso in atteggiamento di adulterio doveva
applicarsi la pena di morte170.
Udendo il verdetto della gente, Susanna si affidò totalmente
al Signore. La sua fede non vacillò dinanzi alla prova, ma rima-
se salda: «Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose
prima che accadano, tu lo sai che hanno deposto il falso contro
di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno
tramato contro di me» (Da 13,42-43).
Mentre l’innocente era stata avviata sulla via del calvario,
per essere lapidata, un giovane in mezzo alla folla sollevò le
sue obiezioni. Si trattava del «giovanissimo Daniele, toga rossa
ante litteram che, inaugurando la prima inchiesta giudiziaria
della storia, li interrogò separatamente, ne svelò contraddizioni
e menzogne e [così] furono i due ad essere messi a morte»171.
Ebbene si è detto che questa vicenda può essere definita il
primo procedimento giudiziario della storia:172
170 Questa sentenza è riportata nel Levitico dove sta scritto: «Se uno commette
adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser
messi a morte» (Lv 20,10). Di questa usanza si parla anche nel Nuovo Testamen-
to, e più precisamente nel Vangelo di Giovanni, dove si racconta che una donna,
accusata di tradimento, viene portata innanzi a Gesù: «“Maestro, questa donna è
stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di
lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”» (Gv 8,4-5). Sappiamo tutti come
va a finire, Gesù non condanna la donna e invita i giudicanti a scagliare la pietra
se si considerano senza peccato. Un chiaro ammonimento a praticare l’esame di
coscienza prima di agire avventatamente.
171 C. Pelfini, Manuale di autodifesa per vecchi, Narcissus, 2014.
172 Come sostiene Leonardo Sciascia, in Daniele 13,1-64 si ritrovano tutti gli
elementi necessari per dare vita a un romanzo poliziesco: «Si può dire che ci
sono tutti gli ingredienti del moderno romanzo poliziesco: Daniele nel ruolo di
investigatore privato; i due vecchi giudici corrotti e corruttori che con falsa te-
147
Pietro Pierantoni
«Alle base, dunque, di una condanna a morte la regina
delle prove dichiarative: la testimonianza, oltretutto raf-
forzata dalla qualità autorevole della fonte da cui proveniva
(giudici anziani). Solo grazie all’intervento provvidenziale
[…] di Daniele verrà scongiurata una morte ingiusta ed
una nefanda frode processuale […]. Daniele, pur non av-
endone esplicitamente assunto il ruolo, appare all’evidenza
l’avvocato di Susanna e da buon avvocato indica il metodo
(contraddittorio) e lo strumento per metterlo in pratica
(contro-esame nell’assunzione della prova dichiarativa):
chiama a sé i due anziani giudici testimoni, unici accusa-
tori di Susanna, contro la quale si sono inventati l’accusa
di adulterio poiché ella, integerrima, non ha voluto con-
cedersi alla loro insana passione. Daniele, avuti i due testi-
moni al suo cospetto, li divide e li interroga separatamente;
una sola domanda li farà cadere in contraddizione: sotto
quale albero si è consumato l’adulterio? Il primo anziano
risponde “lentisco”, il secondo “leccio”: Susanna è salva, i
due fedifraghi mandati a morte»173.
stimonianza avevano accusato e fatto condannare Susanna; c’è il metodo dell’in-
terrogatorio separato, come il più adatto a scoprire la verità; c’è – sotto specie
di voyerisme, di senile e inappagata lascivia, forse di impotenza: e la condanna a
morte di Susanna sarebbe stata forse per i due vecchi un modo di possederla –
l’erotismo che da Spillane in poi imperversa anche nei gialli (e ce n’è tanto che
per secoli la pittura vi si è abbeverata). Decisamente, Daniele è il primo investi-
gatore della storia: e si consideri che, oltre al caso di Susanna, sciolse il mistero
dei sacerdoti di Belo, svelando a Ciro i loro inganni» (L. Sciascia, Breve storia del
romanzo poliziesco, RCS, Milano 2014).
173 P. Scarlata, Tu, non fallire mai. Quando il codice civile incontra il codice
penale… chi sopravvive?, 2014, p. 130.
148
Le donne di Israele
Alla fine tutto si è risolto per il meglio poiché il sangue
dell’innocente è stato salvato da una pena comminata in-
giustamente: «La storia di Susanna illustra la storia di un
Dio che fa giustizia e presenta [anche] un esempio di castità
matrimoniale»174.
Anche la storia di Susanna, come quella di altre eroine e
giuste della Bibbia, ha ispirato numerosi artisti, che hanno de-
ciso di imprimere con la loro vena artistica i momenti salienti
che l’hanno vista protagonista:
«La storia apocrifa di Susanna salvata da Daniele è stata
sempre rappresentata con l’intenzione di fortificare la fi-
ducia dei cristiani, ma è servita anche come pretesto per
studi sul nudo, nella scena della seduzione dei due vecchi.
L’intervento di Daniele al momento del giudizio è rappre-
sentato assai spesso»175.
174 A. Salvador, Il libro di Daniele e la vicenda di Susanna, p. 11, in <www.issr-
portogruaro.it/wp-content/uploads/2013/11/Daniele-e-Susanna.pdf>
175 E. Urech, Dizionario dei Simboli Cristiani, p. 84.
149
Pietro Pierantoni
Conclusioni
Dai ritratti femminili estrapolati dall’Antico Testamento e
menzionati in questo saggio si è visto come la donna, nono-
stante la mentalità maschilista e patriarcale l’avesse circoscrit-
ta a una posizione subordinata agli uomini, abbia rivestito un
ruolo fondamentale all’interno della società giudaica e, in sen-
so religioso, nella storia della salvezza del popolo ebraico:
«Nel mondo giudaico la donna [a parte qualche rara ec-
cezione] ha sempre avuto un ruolo subordinato, anche
nel culto e nella vita religiosa, dov’era esclusa da diversi
obblighi (per esempio dalla recita dell’“Ascolta Israele”, la
preghiera quotidiana dell’ebreo); veniva equiparata agli
schiavi e ai pagani e non aveva spazi liturgici; la situazione
non cambiava nel campo matrimoniale, dov’era del tutto
sottomessa e senza diritti, mentre il marito con facilità po-
teva ottenere il divorzio. Nel pensiero rabbinico non sono
rari i passi contro le donne ed è scontato che la donna non
possa insegnare o avere una funzione di guida»176.
Il destino ha voluto che a risolvere i problemi di Israele fos-
sero in diverse occasioni le donne appartenenti a qualsiasi gra-
dino della scala sociale: levatrici, profetesse, giudici, prostitute,
semplici spose e madri di famiglia, regine.
Pur con i loro difetti, le loro mancanze e i loro limiti, queste
hanno saputo dimostrare un grande coraggio, supportato da
una tenace fede in Dio.
176 A. Piola, Donna e sacerdozio. Indagine storico-teologica degli aspetti antropolo-
gici dell’ordinazione delle donne, Effatà, Cantalupa 2006, pp. 155-156.
150
Le donne di Israele
Ed è proprio questa smisurata fiducia nel Signore che le ha
sostenute nei momenti più bui e duri del loro percorso.
Nonostante il concatenarsi degli eventi, spesso, lasciasse
pensare ad una sorte ormai segnata, queste figure non si sono
mai perse d’animo e, con la loro perseveranza e la preghiera,
hanno dimostrato che anche un avverso destino può essere
trasformato da un lieto evento, che può accadere inaspettata-
mente.
«Le donne, queste donne, non vacillano in nessun punto.
Nessuna di loro, che neanche hanno avuto il conforto di
una profezia, di una voce diretta, esita. Vanno contro le
regole e sacrificano la loro eccezione. Il loro slancio è più
solido di quello dei profeti, sono le sante dello scandalo.
Non hanno nessun potere, né rango, eppure governano il
tempo. Sono belle, certo, ma per dote sottomessa a uno
scopo solo appena intuito. Hanno il fascino insuperabile di
chi porta la propria bellezza con modestia di pedina e non
con vanto di reginetta da concorso. Hanno un traguardo,
una missione in cuore e la perseguono inflessibili. La scrit-
tura sacra dell’Antico […] Testamento, opera maschile,
rende omaggio a loro»177.
Perciò è necessario superare quella visione separatoria tra
l’uomo e la donna tipica del Libro della Genesi, che ancora oggi
aleggia nelle relazioni umane, per aprirsi ad un atteggiamento
di più alta considerazione della femminilità.
177 E. De Luca, La bellezza scandalosa. Ecco perché nella Bibbia la donna è supe-
riore all’uomo, 6 maggio 2011, in <https://ilmiolibro.kataweb.it/.../la-bellezza-
scandalosa-ecco-perche-nella-bibbia-la-don...>
151
Pietro Pierantoni
Per fare ciò prendo a prestito alcune parole del Siracide, li-
bro che, attraverso «uno stile che talvolta è vicino a quello dei
Proverbi, […] parla delle donne, mettendone in risalto le belle
qualità [essere una brava moglie, una donna valorosa, graziosa,
pudica] e criticandone gli aspetti negativi [essere gelosa, ira-
conda, di facili costumi, avere la lingua biforcuta]»178.
Certo la descrizione che viene fornita dal Siracide è da con-
testualizzare: si inserisce nel filone della tradizione ebraica anti-
ca e cerca di fornire alcuni consigli a una platea maschile a cui
si rivolge il libro, tuttavia esprime un tentativo di riflessione
anche se lontano dall’idea della donna come fonte di salvezza,
di vita e umanità, delineata perfettamente da papa Bergoglio
nell’omelia dell’1 gennaio 2020:
«La rinascita dell’umanità è cominciata dalla donna. Le
donne sono fonti di vita. Eppure sono continuamente of-
fese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a soppri-
mere la vita che portano in grembo. Ogni violenza inferta
alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal
corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità:
da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il
nostro livello di umanità».
L’immagine più significativa, che ci fornisce l’autore del li-
bro veterotestamentario, è indubbiamente quella in cui la don-
na viene paragonata al sole e alle sue funzioni.
La donna con la sua vivacità, i suoi consigli, la sua bellezza,
la sua perspicacia, la sua gentilezza è per l’uomo e per la casa,
178 G. Tonucci, Le donne del Siracide, in “Il Messaggio della Santa Casa –
Loreto”, 8 (2013), p. 285. [mensile]
152
Le donne di Israele
luogo simbolo della famiglia, il sole che li irradia e li riscalda.
Senza di lei un’abitazione, e più in generale il mondo, risulte-
rebbero gelidi, bui e tristi.
Purtroppo fin dall’antichità, anche a causa di visioni ste-
reotipate e mitologiche, la donna è stata considerata inferiore
all’uomo e valutata unicamente per le sue capacità lavorative e
le sue abilità, circoscritte alle mansioni di casa. Non c’è da me-
ravigliarsi, dunque, del fatto che la donna venisse comprata op-
pure data in moglie ad un uomo, versando una cospicua dote
al futuro marito che si assumeva l’impegno di farsene carico.
La donna veniva paragonata ad un oggetto e le si attribuiva
un valore in denaro, fatto in sé degradante: questa visione com-
merciale della persona ha finito per deprimere la sua dignità
ed esprimere «direttamente l’oppressione, lo sfruttamento e il
carattere di cosa della donna»179.
Se diamo un’occhiata anche alla cultura della Grecia classica
i compiti della donna che vi si riscontrano sono quelli della
«procreazione di un figlio maschio, erede del patrimonio pater-
no e al contempo garante della continuità della pólis. Alla pro-
creazione si accompagna l’esecuzione delle “opere femminili”,
la preparazione del cibo, la filatura e la tessitura»180.
La situazione delle donne fin qui delineata non è che fosse
poi migliorata con il progredire del tempo e con lo sviluppo
della cultura. Fino alla Seconda guerra mondiale la condizione
femminile aveva molte analogie con quella del mondo antico
e medievale181. Dal Secondo dopoguerra in poi la situazione
179 G. Simmel, Filosofia del denaro, Ledizioni, Milano 2014.
180 S. Campese, Filosofe regine nella Repubblica di Platone, in S. Luraghi (ed.),
Il mondo alla rovescia. Il potere delle donne, Franco Angeli, Milano 2009, p. 15.
181 In quest’ultimo caso fermiamoci anche solo un momento a pensare a quante
153
Pietro Pierantoni
ha iniziato a migliorare anche se ancora oggi si è costretti ad
essere spettatori forzati di un abominio qual è il femminicidio.
Stando a quanto riportato da un grafico elaborato dall’Istat, le
donne uccise in Italia nel 2016 sono state 149 mentre circa 7
milioni avrebbero subìto violenza almeno una volta nella loro
vita182. Sono dati allarmanti che pretendono giustizia e che ri-
chiedono un incisivo cambio di passo. Si deve partire a sensi-
bilizzare fin dalla tenera età e i luoghi addetti alla formazione
e all’educazione della persona, a iniziare dalla famiglia e dalla
scuola, hanno la gravosa responsabilità di questo.
Vorrei concludere questo saggio con le parole di papa Fran-
cesco, pronunciate durante la messa mattutina del 9 febbra-
io 2017 nella cappella della Casa Santa Marta. Preoccupato a
causa di una mentalità maschilista e oppressiva nei confronti
delle donne che comporta atti di violenza, di maltrattamento,
di sfruttamento, anche nel mondo pubblicitario e dell’intrat-
tenimento, di tratta e di lucro,183 il papa richiama alla mente il
tratto originario della donna:
donne furono ingiustamente accusate di stregoneria o di essere gli strumenti del
male e finirono di conseguenza sul patibolo. Il Malleus Maleficarum, testo redat-
to da due frati domenicani, Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, e dato
alle stampe nell’anno 1486, fu il simbolo di questa mentalità dai tratti misogini e
superstiziosi: «Tutta la stregoneria deriva dalla lussuria della carne, che nelle don-
ne è insaziabile… Che cosa è la donna se non un nemico dell’amicizia, una ine-
vitabile punizione, un male necessario, una tentazione naturale?» (L. Cavadini,
Magia e stregoneria nel Medioevo, parte terza, in <https://www.mondimedievali.
net/Medievalia/cacce03.htm>).
182 Cfr. Istat, Infografica diffusa in occasione della Giornata internazionale per
l’eliminazione della violenza contro le donne, 24 novembre 2017, in <https://
www.istat.it/it/archivio/206345>. Nel 2018 le donne vittime di omicidio,
sempre secondo dati Istat, si attestano a 133.
183 Cfr. Avvenire, Papa Francesco: mi preoccupa un certo maschilismo nella società
(e nella Chiesa), 1 marzo 2018, in <https://www.avvenire.it/papa/.../papa-fran-
cesco-mi-preoccupa-una-certa-mentalita-mas...>
154
Le donne di Israele
«“Per capire una donna bisogna prima sognarla”: ecco per-
ché la donna è “il grande dono di Dio”, capace di “portare
armonia nel creato”. […] È la donna […] “che ci insegna
ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo
una cosa bella”. E se “sfruttare le persone è un crimine di
lesa umanità, sfruttare una donna è di più di un reato e un
crimine: è distruggere l’armonia che Dio ha voluto dare al
mondo, è tornare indietro”. […] “Tante volte – ha fatto
notare il pontefice – quando noi parliamo delle donne, par-
liamo in modo funzionale: la donna è per fare questo, per
fare, no! Prima è per un’altra cosa: la donna porta qualcosa
che, senza di lei, il mondo non sarebbe così”. La donna “è
una cosa differente, è una cosa che porta una ricchezza che
l’uomo e tutto il creato e tutti gli animali non hanno”. […]
Ma “la funzionalità non è lo scopo della donna: è vero che
la donna deve fare cose e fa – come tutti noi facciamo –
cose”. Però “lo scopo della donna è fare l’armonia e senza la
donna non c’è l’armonia nel mondo”»184.
184 Francesco, La donna è l’armonia del mondo, 9 febbraio 2017, in
<https://w2.vatican.va/.../francesco/.../cotidie/2017/.../papa-francesco-coti-
die_2017020...>
155
Pietro Pierantoni
Postfazione
Il libro di Pietro Pierantoni si inserisce nel dibattito, oggi
particolarmente sentito e partecipato, circa la parità di genere
e l’emancipazione femminile, espressamente citata nel sottoti-
tolo, ma il suddetto inserimento ha uno stile tutto suo, che è
quanto di più lontano si possa immaginare dagli slogan urlati,
con i quali spesso si crede di poter supplire alla mancanza di
argomenti aumentando i decibel dell’emissione sonora (ogni
riferimento ai talk-show televisivi è pienamente consapevole).
Pierantoni ci invita, con garbo e leggerezza (nel senso della
“lightness” di cui parlava Italo Calvino nelle sue “Lezioni ame-
ricane”), ad affrontare l’argomento partendo da una riflessio-
ne sulle radici lontane della nostra cultura cristiana, alla quale
spesso associamo, con un automatismo non pienamente giusti-
ficato, il termine “occidentale” o “europeo”. Come non parti-
re, dunque, dalla Sacra Scrittura, ed in particolare dall’Antico
Testamento, per iniziare un cammino di riscoperta di quello
che può e deve essere un rapporto tra i due sessi tale da libera-
re entrambi dalle incrostazioni dei condizionamenti culturali,
economici, politici, che spesso fanno passare per “naturale” ed
”immutabile” ciò che è semplicemente una contingente situa-
zione storica, destinata ad essere superata dall’evoluzione del-
le condizioni materiali e, di conseguenza, anche del modo di
concepire la propria identità di uomini e di donne? Pierantoni
non ha inteso scrivere un “dialogo dei massimi sistemi”, che
avrebbe rischiato di scivolare nelle affermazioni perentorie e
dogmaticamente indiscutibili.
Tale caratteristica si intuisce fin dalla formulazione del ti-
tolo, che non è del tipo “La donna in Israele”, ma più concre-
156
Le donne di Israele
tamente “Le donne di Israele”: alla astrattezza della categoria
universale si è preferita, saggiamente, la ben più viva e coin-
volgente descrizione delle vicende di singole donne, tra di loro
diversissime per carattere, qualità, condizione sociale ed età,
ma tutte egualmente testimoni della ricchezza straordinaria del
testo biblico. Non mancano, nel libro, riferimenti espliciti a
documenti del Magistero o a studi specialistici di esegesi bibli-
ca, ma il loro inserimento nel tessuto della narrazione avviene
non in maniera impositiva o preconcetta: è come se una fonte
autorevole intervenisse per farci sapere che le riflessioni dell’au-
tore non sono una voce isolata, ma si collocano in un percorso
di maturazione della coscienza cristiana che ha ricevuto impor-
tanti stimoli dal più alto magistero della Chiesa. Come non
ricordare, a tale riguardo, la Lettera Apostolica Mulieris Digni-
tatem di Giovanni Paolo II?
A proposito del titolo scelto da Pierantoni per il suo libro,
una ulteriore riflessione si affaccia alla nostra mente: si parla di
“donne”, non solo di “sante”, la qual cosa ci fa sentire ancora
più vicine a noi le figure femminili delle quali l’autore delinea
il ritratto. Il fascino della storia vetero-testamentaria, del resto,
nasce proprio dal fatto che le cose più grandi sono operate da
Dio attraverso uomini e donne non certo esenti da debolezze
o da colpe, ma che riescono a superare tali limiti con la fede
incondizionata in Colui che si è manifestato nella loro vita.
La presenza della debolezza e della colpa ci viene proposta sin
dal primo capitolo del libro di Pierantoni (“Eva: il simbolo del
peccato”): consapevole della complessità del testo della Genesi,
il cui carattere di racconto eziologico non è di facile interpreta-
zione, l’autore si preoccupa soprattutto di metterci in guardia
da una lettura strumentalmente unilaterale, secondo la quale
157
Pietro Pierantoni
il testo biblico giustificherebbe la posizione subordinata della
donna: un esempio di questo tipo di interpretazione si può
trovare anche nel Nuovo Testamento (1 Tim 2, 11-15), anche
se la dottrina paolina della redenzione, sviluppata nella lettera
ai Romani, parla del peccato di Adamo senza alcun cenno ad
Eva. Potremmo dire, se ci è consentito un tono che non vuole
essere irriverente, ma solo meno “aulico”, che dopo la degu-
stazione del frutto proibito abbiamo la prima crisi coniugale
della storia: Adamo quasi incolpa Dio di avergli fornito come
compagna colei che lo ha indotto al peccato, la quale, a sua
volta, si scarica la coscienza addossando tutta la responsabilità
al serpente. L’errore più grande che potremmo commettere, e
dal quale le pagine di Pierantoni ci mettono al riparo, sarebbe
quello di contrapporre alla lettura “maschilista” dell’episodio
biblico una di carattere “femminista”: a noi sembra che dal
racconto biblico emerga chiaramente che non si è migliori o
peggiori in quanto uomini o donne, ma in quanto obbedienti
o disobbedienti alla Parola di Dio.
Per questo motivo Paolo contrappone, al primo Adamo di-
sobbediente, il secondo Adamo, Cristo, obbediente fino alla
morte, e la tradizione cristiana, fin dai primi secoli, ha esteso il
parallelismo alle figure di Eva e Maria: disobbediente la prima,
umile serva della Parola la seconda. È innegabile, peraltro, che
nelle varie interpretazioni del racconto biblico, che sono state
formulate nella bimillenaria tradizione cristiana, vi è una forte
componente di soggettività, nella quale si riflettono i condi-
zionamenti culturali propri di un’epoca: potremmo addirittura
dire che lo stesso apostolo Paolo, secondo il quale in Cristo
“non c’è giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né
158
Le donne di Israele
donna”, in altra occasione si dimostra, a tutti gli effetti, uomo
del proprio tempo, allorché si avventura nel tentativo di giusti-
ficare l’imposizione del velo con un richiamo alla “natura” (ver-
rebbe da chiedersi: se c’è di mezzo la natura, perché Eva non è
stata creata con il velo?). A proposito della Bibbia il teologo ri-
formato svizzero Samuel Werenfels (1657-1740) scriveva: Hic
liber est in quo quaerit sua dogmata quisque, / invenit et pariter
dogmata quisque sua (Questo è il libro in cui ciascuno cerca i
suoi dogmi e ugualmente ve li trova). E come non ricordare le
parole di una poesia di Miguel de Unamuno, il grande scrittore
e pensatore spagnolo del secolo scorso, nelle quali è espresso
tutto il tormento di un’anima assetata di verità e consapevole,
al contempo, del pericolo della manipolazione? “Fede superba,
empia, la fede che mai ha dei dubbi e che incatena Dio alla no-
stra concezione. Per mia bocca è Dio che ti parla, dicono, empi,
e pensano nel loro cuore: Sono io che ti parlo per bocca di Dio.”
Questa tensione tra la portata rivoluzionaria del messaggio
biblico e i condizionamenti ideologici ai quali tutti siamo sog-
getti è presente, in maniera eclatante, anche nel primo gran-
de scrittore cristiano di lingua latina, vale a dire Tertulliano, il
quale potrebbe semplicemente apparire, a una lettura superfi-
ciale, come il primo e più grande misogino della tradizione cri-
stiana, visto che all’inizio del suo trattato De cultu feminarum
si rivolge alla donna in generale chiamandola diaboli ianua
(porta del diavolo), riproponendo così una lettura colpevoliz-
zante del racconto biblico relativo al peccato originale. Ma il
medesimo Tertulliano, nell’esordio del secondo libro di quello
stesso trattato, si rivolge alle donne cristiane chiamandole an-
cillae Dei vivi, conservae et sorores meae (ancelle del Dio vivente,
159
Pietro Pierantoni
mie sorelle e compagne nel servizio). Siamo forse davanti a un
caso di schizofrenia? Niente di tutto questo: si tratta di una
testimonianza del lento processo di conversione culturale che
la forza del messaggio biblico innesca, anche se sono molto
lunghi i tempi richiesti perché il cambiamento di mentalità si
traduca anche in un progresso sociale e normativo. Le donne
dell’Antico Testamento di cui parla il libro di Pierantoni sono
tutt’altro che soggetti passivi e, tra di esse, figura anche una
regina: Ester. È innegabile, tuttavia, che la condizione storica
della donna in Israele fosse caratterizzata da una posizione di
netta subordinazione all’autorità maschile.
Da questa tradizione si dissocia apertamente Gesù quando
viene capziosamente interpellato circa la questione del ripudio
della moglie: la sua risposta non è una interpretazione alterna-
tiva della Legge, ma un richiamo a quello che era il progetto
di Dio al momento della creazione, secondo il quale l’uomo e
la donna sono parimenti uniti nel vincolo dell’amore. Tutto
questo è ben messo in luce da Pierantoni nelle Conclusioni del
suo libro, alla p. 127, dove scrive: «Dai ritratti femminili estra-
polati dall’Antico Testamento e menzionati in questo saggio si
è visto come la donna, nonostante la mentalità maschilista e
patriarcale l’avesse circoscritta a una posizione subordinata agli
uomini, abbia rivestito un ruolo fondamentale all’interno della
società giudaica e, in senso religioso, nella storia della salvezza
del popolo ebraico».
Il saggio di Pierantoni, dunque, non contiene un messag-
gio banalmente “consolatorio”, ma si conclude, al contrario,
con un forte invito a prendere coscienza del valore della donna
all’interno del piano di Dio, invito espresso a p. 131 con le pa-
role di Papa Francesco: «“Tante volte – ha fatto notare il pon-
tefice – quando noi parliamo delle donne, parliamo in modo
funzionale: la donna è per fare questo, per fare, no! Prima è
160
Le donne di Israele
per un’altra cosa: la donna porta qualcosa che, senza di lei, il
mondo non sarebbe così”». Le parole del Papa sono la più bella
replica a tutti coloro che, ancora oggi, pretendono di stabilire il
ruolo della donna prescindendo dalla volontà della donna stes-
sa, implicitamente negandole lo status di persona: così come
ciascun uomo non si sente, semplicemente, “un uomo”, ma un
soggetto unico e irripetibile, dotato di volontà e autodetermi-
nazione, allo stesso modo ciascuna donna non è, semplicemen-
te, “una donna”, ma “questa particolare donna”, la cui missione
non può essere pre-determinata da nessuna volontà umana a
lei esterna.
Claudio Micaelli
Università di Macerata
161
Le donne di Israele
Ad Christi matrem caesenates currite gentes
N on è vero che Dio (e quindi la Chiesa) è contro l’uo-
mo. L’umano cresce perché valorizzato da Dio stesso e dalla
Chiesa; “Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui. L’hai fatto poco
meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato” (Sal 8).
L’uomo è depositario dell’immagine di Dio (Cfr Gen 1, 27).
Ma il peccato ha rovinato questa immagine; tuttavia, non l’ha
cancellata. Gesù è venuto per restaurarla e per rifarla. Ecco, la
redenzione: la morte in croce e la risurrezione di Gesù. L’incar-
nazione perciò testimonia un Dio che prende sul serio l’uomo,
l’umanità. Come il buon pastore che prende sulle sue spalle la
pecora smarrita e, ritrovatala, la riconduce all’ovile.
Luca nel raccontare i fatti della nascita e i primi passi di
Gesù, mette in evidenza il ruolo di un umano speciale, quello
che costituisce la metà (e anche un po’ di più) dell’umanità: le
donne. Il Vangelo riscatta la donna. È così superato il tempo in
cui la donna è considerata meno. Infatti l’ebreo maschio pre-
gava: “Benedetto tu, o Signore Nostro Dio, Re del mondo, che
non mi hai fatto non ebreo. Benedetto tu, o Signore Nostro
Dio, Re del mondo, che non mi hai fatto schiavo. Benedetto
tu, o Signore Nostro Dio. Re del mondo, che non mi hai fatto
donna”. Al posto della terza espressione, che solo gli uomini
recitano, le donne ne recitano un’altra che dice: “Benedetto tu,
o Signore Nostro Dio, Re del mondo, che mi ha fatto secondo
la sua volontà”.
Si giunge così all’espressione paolina, forte e incisiva: “Non
c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è ma-
163
Pietro Pierantoni
schio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”
(Gal 3, 28). L’incontro con il femminile è decisivo nella storia
della salvezza. La donna si trova nei diversi crocevia del suo
svolgimento. La Scrittura lo testimonia.
Nell’Antico Testamento: donne seduttrici e prostitute
(Eva, le figlie di Lot, Tamar, la moglie di Putifar, Tahab, Dali-
la, Gomer-Ohola-Oholiba); donne esaltate per la loro bellezza
(Betsabea, Susanna); donne vergini (Dina, la figlia di Iefte, Ta-
mar sorella di Amnon, Abisag di Sunem); donne spose (Sara e
Agar, Rebecca, Rachele e Lea, Mikal e Avigail); donne vedove
(la vedova di Sarepta, Rut, Sarai la moglie di Tobia); donne
ribelli e forti (Giuditta, Giaele, Ester, Gezabele, Atalia, la mo-
glie di Giobbe); donne ispirate e profetesse (Miriam, Debora,
Anna, la veggente di En-Dor, Hulda); donne misteriose (Lilit,
la moglie di Noè, la regina di Saba, la ragazza del Cantico dei
Cantici); donne citate nella genealogia di Gesù (Tamar, Racab,
Rut, Betsabea).
Nei vangeli: Maria, Elisabetta, Maddalena e le donne che
seguivano Gesù, le tre Marie, Marta e Maria, Erodiade e sua
figlia, Anna la profetessa; donne senza nome (la moglie di Pila-
to, la madre dei figli di Zebedeo, la vedova di Nain, la povera
vedova del tempio, l’adultera, la peccatrice che irrompe nella
casa di Simone, la suocera di Pietro, l’emorroissa, la cananea,
la samaritana, la figlia di Giairo, le sorelle di Gesù, le donne
che seguono Gesù al Calvario, la donna curva guarita in giorno
di sabato, la vedova importuna; donne immaginarie (la donna
che impasta il lievito, la donna che perde la dramma, la donna
che partorisce, le dieci vergini, la serva nel cortile del sommo
sacerdote).
164
Le donne di Israele
Viene da riflettere seriamente circa Il genio femminile. Lo
ha fatto con forza san Giovanni Paolo II: “Nell’Anno Mariano
la Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il «mi-
stero della donna», e, per ogni donna - per ciò che costitui-
sce l’eterna misura della sua dignità femminile, per le «grandi
opere di Dio» che nella storia delle generazioni umane si sono
compiute in lei e per mezzo di lei. In definitiva, non si è opera-
to in lei e per mezzo di lei ciò che c’è di più grande nella storia
dell’uomo sulla terra: l’evento che Dio stesso si è fatto uomo?”
(Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 31).
Ognuno di noi, nella fede, è stato affidato a una Donna,
sotto la croce: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19, 26). Penso a
noi cesenati: affidati alla Madonna del Popolo e del Monte.
Noi affidati alla Madonna del popolo, come ci ricorda la
cappella a Lei dedicata in cattedrale. Nell’ancona veneriamo
La Madonna del Popolo (di Bartolomeo Ramenghi detto il Ba-
gnacavallo, 1520), centro di culto popolare, così denominata
dal 1599 per volere del vescovo Camillo Gualandi e del cap-
puccino Padre Girolamo da Forlì, dove qui fu collocata nel
1683. Gli stucchi della cappella sono di Pietro Martinetti, i
preziosi marmi di Giovanni Fabbri (1753-1759), mentre gli
angeli in stucco sulle porte laterali sono di Antonio Trentanove
(1795-1796). Alcune iscrizioni completano il ricco apparato:
due ricordano la visita di papa Pio VI avvenuta nel 1782, una
rammenta la visita di papa Giovanni Paolo II dell’8 maggio
1986, un’altra un episodio miracoloso durante la seconda guer-
ra mondiale con protagonista il vescovo Beniamino Socche e
l’ultima, recente, la visita di papa Francesco.
165
Pietro Pierantoni
Ma siamo affidati anche alla Madonna del Monte. Nel
1318 l’Abate Ondedeo cedeva al Vescovo di Cesena la pieve
di S. Maria in Montereale con il piccolo monastero annesso e
faceva portare la statua della Madonna, ivi venerata, nella Ba-
silica del Monte. Da quel momento la storia del Monastero di
Cesena avrà una forte connotazione mariana oltre che benedet-
tina, strettamente legata alla devozione del popolo di Romagna
per la Madonna. Dopo la guerra gli Abati succedutisi alla guida
del Monastero di Cesena hanno portato a termine la ricostru-
zione del complesso monumentale del Monte, come appare ai
nostri giorni. Nella seconda metà del secolo scorso l’evento più
straordinario è stato la visita del Pontefice Giovanni Paolo II,
che ha soggiornato in un appartamento del Monastero di Ce-
sena durante il suo viaggio pastorale in Romagna, nel maggio
1986. L’evento è ricordato anche in un dipinto votivo eseguito
in ricordo e ringraziamento per la visita.
Del popolo o del Monte? È certo che siamo affidati all’uni-
ca Madre celeste nelle cui braccia il Signore ci ha posto al sicu-
ro. Ecco perché nel piccolo chiostro del Monastero del Monte
troviamo inciso nel capitello di una colonna questo invito: Ad
Christi matrem caesenates currite gentes.
+ Douglas Regattieri
Vescovo di Cesena-Sarsina
166
Le donne di Israele
Tanto gentile e tanto onesta pare
di Dante Alighieri
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
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Indice
Presentazione
di Ferruccio Ceragioli.....................................................pag. 7
Prefazione
di Emanuela Buccioni...........................................................11
Introduzione.......................................................................15
I Eva: simbolo del peccato.....................................................18
II Sara: una moglie atipica...................................................25
III Rebecca: la sposa
del “figlio della promessa”....................................................32
IV Rachele: l’amata di Giacobbe..........................................38
V La moglie di Potifàr:
abile ingannatrice................................................................43
VI Sifra e Pua:
quando la bontà vince su tutto.............................................46
VII La figlia del Faraone:
l’istinto materno.................................................................50
VIII Raab:
la prostituta che aiutò le spie di Giosuè................................54
IX Dèbora: la donna giudice................................................58
183
Pietro Pierantoni
X Dalila: la femme fatale......................................................64
XI Rut: la nuora fedele.........................................................67
XII Anna: dall’umiliazione
della sterilità alla gioia del parto...........................................74
XIII Mical: la prima moglie del futuro re Davide ................82
XIV Betsabea: la donna vittima
di un gioco più grande di lei................................................87
XV Le due prostitute:
la solenne sentenza salomonica............................................94
XVI La regina di Saba: la donna incredula...........................99
XVII La Sunammita: ricompensata
due volte per la sua grande fede..........................................108
XVIII Culda: la profetessa consultata da Giosia..................112
XIX Sara: la sposa vittima di Asmodeo...............................117
XX Giuditta: la testa di Oloferne.......................................125
XXI Ester: mediatrice tra Israele e Assuero.........................135
XXII Susanna: l’innocente calunniata.................................145
Conclusioni......................................................................150
184
Le donne di Israele
Postfazione di Claudio Micaelli.........................................156
Ad Christi matrem caesenates currite gentes
di S. E. Douglas Regattieri..................................................163
Tanto gentile e tanto onesta pare........................................167
Bibliografia.......................................................................169
185
finito di stampare nel mese di ottobre 2021