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Storia Dell'arte Moderna - Architettura

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Lezione 1:

la funzione dell’ordine è di sostenere qualcosa, l’ordine architettonico è anche


elemento decorativo.

La decorazione è ciò che da ritmo e vivacità alla superfice architettonica, alla


spazialità dell’architettura, ma non è detto che abbia una funzione strutturale.

Anche questa decorazione se volgiamo essere classicisti deve avere almeno


all’apparenza una funzione statica e strutturale.

Palazzo Farnese a Roma è un’opera del primo Cinquecento e ci lavorano diversi


architetti tra qui anche Michelangelo.

È il prototipo del palazzo romano cinquecentesco.

Palazzo farnese è nel primo Cinquecento un esempio di ripresa dell’antico.


Viene ripreso da Aldo Rossi in un palazzo di Berlino durante la ricostruzione
postbellica della città.

Ogni epoca storica ha i suoi classicismi.

Anche il Colosseo è un esempio di sovrapposizione e di gerarchia dei tre ordini.

Il capitello è quello che differenzia in maniera più evidente gli ordini, all’interno
dello stesso ordine si possono adottare proporzioni diverse: il modulo
proporzionale di riferimento è il modulo a limoscapo: ossia modulo tra il fusto e
la base della colonna.

Poi l’odine si inserisce nell’edificio e nello spazio urbano e quindi le dimensioni


non possono essere standard.

L’odine architettonico non è la colonna: la colonna dorica non esaurisce l’ordine


dorico: l’ordine è formato dalla colonna e dalla trabeazione: l’odine è un
sistema strutturale e statico, un sistema di sostegni verticali che fa da base per
una trabeazione orizzontale.

Secondo una definizione di Bruschi (storico dell’architettura), l’ordine è un


sistema di elementi morfologicamente determinati legati da reciproci rapporti
sintattici a formare un’unità organica.

È una definizione che prescinde dall’articolazione morfologica classicista, il fine


è la creazione di un’unità organica.

L’odine è composto dalla colonna che ha un fusto che può essere liscio o meno,
le varianti sono tantissime, il fusto è quasi sempre rastremato, ha un’entasi
ossia un rigonfiamento ad una certa altezza.

La base può avere o meno un plinto e un dado sottostante. In alto c’è il


capitello sopra il fusto e poi c’è la trabeazione formata da architrave, il fregio e
la cornice.
L’architrave può esistere anche senza la trabeazione.

Bruschi e altri studiosi del ‘900 hanno fortemente lavorato alla riabilitazione di
un approccio stilistico dell’ordine architettonico che prima era definito un
retaggio erudito.

Abbiamo un testo di Vitruvio che descrive gli ordini architettonici, il testo di


Vitruvio si confronta con un'altra fonte le Evidentia monumentali.

Gli scultori del Quattrocento, più che leggere Vitruvio, studiavano le evidentia
monumentali.

Vitruvio ci descrive tre ordini classici più un quarto ordine: il toscanico.

Alberti quando scrive i de edificatoria, leggendo Vitruvio verifica che oltre ai


quattro ordini vitruviani vi era un quito ordine: il composito il cui capitello
presentava una commistione tra capitello ionico e corinzio. Alberti crea il
canone di riferimento per tutto il rinascimento a seguire.

Alberti lo codifica e basta, questo non vuol dire che prima non esistesse.

Nel Quattrocento abbiamo un’infinità di capitelli che non sono definibili con un
capitello vitruviano o albertiano.

Cesare Cesariano, realizza un’opera di Vitruvio che ebbe molta sfortuna. Viene
congedata alla stampa in Lombardia con quest’opera un’edizione in volgare di
Vitruvio nel Cinquecento.

Cesariano, pittore e architetto, fu un architetto di cultura lombarda-


bramantesca e legge Vitruvio con il filtro della sua cultura.

Tra gli ordini Cesariano mette sei ordini, fa due dorici (uno più elaborato
definito matronale), poi c’è lo ionico, il corinzio, il toscanico e un atticurvo, un
ordine che non si differenza dagli altri per il capitello, bensì perché il fusto non
è di una colonna, ma un pilastro angolare.

Il Cinquecento si pone l’obbiettivo di codificare, perché dopo la grande varietà


del Quattrocento, dopo l’esperienza di Bramante e Sangallo si sente la
necessità di codificare l’ordine e si inizia a produrre trattati ex novo.

Tra questi Serlio che pubblica tra il 1536 e il 40 un trattato in volume: tra gli
ordini riconosce il dorico, toscanico, ionico, corinzio e composito, al di sopra
della colonna mette sempre la trabeazione.

I maggiori trattatisti del Quincentro alla tavola riepilogativa degli ordini


mettono un bando le tavole che vediamo sono spesso apocrife e aggiunte a
superiori, basti pensare ai trattati di Vignola e Palladio.

Nel Seicento e Settecento si torna alla tavola riepilogativa degli ordini,


soprattutto a scopo pratico e didattico, tra questi Scamozzi, Perrault.

Lo chateu è una reggia al di fuori dei confini della città come Versailles.
Il tetto in evidenza è di tradizione nordica, in Italia si tende a nascondere il
tetto.

Lezione 2:

Jean Bulant nel chateu d’Ecouen riprende il tempio corinzio di Vespasiano a


Roma.

Cosman individua un distinguo dal classicismo al vitruvianesimo.

La grande conquista dell’architettura di età moderna è la riappropriazione del


linguaggio che nel corso del medioevo si era andato perdendo.

Il linguaggio classico viene applicato sia all’interno che all’esterno delle chiese
romane, a partire da Alberti fino a Palladio.

Il vitruvianesimo invece è un apparato concettuale ossia una grammatica che


ogni architetto deve conoscere perché è ciò che serve per essere comprensibili
e per ritrovare in un linguaggio comune delle possibili linee di innovazione.

Una modanatura è un elemento dall’andamento rettilineo, un elemento


decorativo che serve anche a dare ritmo alla forma e a scandirla, a renderla a
chi la osserva leggibile nella sua conformazione.

Le modanature possono essere sia lisce che decorate. Ci sono diverse


modanature che cambiano nome a seconda del profilo che assumono, profilo
che dal punto di vista geometrico è definito da archi di cerchio.

Le più comuni sono il Toro, una modanatura con un profilo a semicerchio


convesso, di solito di dimensioni significative e massicce.

La scozza un arco di cerchio concavo che rientra.

L’astragalo, una modanatura minore, analoga al toro ma di dimensioni più


piccole.

Abbiamo poi il Cavetto, l’ovulo, le gole (diritto e rovesce).

Bisogna tener conto che chi realizza le modanature è in genere uno scalpellino
(uno scultore), non parliamo quindi di qualcosa tracciato dalla mano del pittore,
ma qualcosa con una tridimensionalità materiale. Il dettaglio più o meno
raffinato su una modanatura è spesso determinato anche dall’abilità dello
scalpellino.

Il manufatto può essere una base di un ordine.

Le principali sono Toro, scozia e astragalo.

Il dorico è l’ordine definito più virile, il più semplice per il numero e la


morfologia delle modanature, ha le proporzioni più contenute e meno slanciate,
è per questo che è collocato in un sistema di sovrapposizione, alla base, perché
con un maggior valore strutturale.
Traduce in termini classici la capanna primitiva.

Il dorico greco è privo di base e la colonna poggia direttamente sullo stilobate,


questo distingue anche il dorico dal toscanico.

In epoca moderna il dorico poggia su una base detta attica.

In genere il dorico essendo un ordine più virile, semplice e possente non


presenta grandi decorazioni delle superfici e la colonna è solitamente o liscia o
scanalata.

Il capitello dorico, come tutti i capitelli ha un profilo sfasato verso l’alto,


aumenta la base d’appoggio per l’architrave.

Gli elementi che compongono il capitello dorico sono l’echino, una modanatura
con un profilo a quarto di cerchio convesso e sora l’abaco con un profilo
rettilineo a pianta quadrata.

Tra il capitello e la colonna (il sommoscapo = parte più alta della colonna) ci
può essere un collarino, un elemento circolare che se c’è può avere un
significato.

Al di sopra del capitello sta la trabeazione composta da architrave, fregio e


cornice. L’architrave nell’ordine dorico è in genere a fascia unica e liscia, si
distingue il fregio che si intervalla in due elementi: il triglifo (scanalature) e la
metopa (può essere liscia o decorata).

Nella cornice troviamo vari elementi con anche sistemi di mensolatura. CI sono
diverse modanature con profilo quasi sempre in aggetto.

L’ordine corinzio ha un’origine molto poetica, il capitello, insieme al composito


è il più elaborato per la sua struttura a cesta su cui concorrono due o più fasce
di foglie di acanto da cui fuoriescono anche dei caulicoli (delle piccole volute) al
di sopra vediamo l’architrave, più articolato del dorico per le sue fasce
sovrapposte.

Il fregio è continuo, può essere liscio, ma l’importante è che è continuo senza


bipartizioni come il dorico.

Il fregio può avere una forma anche un po’ bombata, al di sopra del fregio c’è la
cornice.

Il corinzio ha una base attica, che si può trovare un po’ in tutti gli ordini, tranne
nel toscanico. Questa base attica è composta da un toro inferiore, un toro
superiore più stretto e una scozia intermedia.

Sotto la base ci può essere il plinto e al di sotto di questo un dado che può
essere presente un dado che ha delle modanature sia sotto che sopra. Dal
punto di vista strutturale non serve a nulla, serve all’architetto per questioni
proporzionali.
Lo ionico ha come caratteristiche, più facili da riconoscere, le volute, una
modanatura lineare che si inserisce tra l’echino e l’abaco e ai lati dell’echino si
curva a descriver una voluta e nasconde parzialmente alla vista i lati di
circonferenza dell’echino.

Ci sono molte varianti: l’andamento concentrico può essere più o meno


accentuato, il volume della voluta può essere meno decorato.

Che lavora molto sull’ionico è Michelangelo che gli dà un marcato valore


plastico.

È un ordine che richiede una certa perizia esecutiva.

Il capitello ionico non è uguale a 360 gradi, e questo lo distingue dagli altri,
perché le facce laterali sono diverse da quelle anteriori e posteriori, questo
crea problemi negli angoli, anche se esistono capitelli ionici quadrangolari.

Passiamo poi al composito, è un ordine che in linea teorica è perfettamente


riconoscibile per un elemento: le volute fuoriescono al di sopra del cesto
d’acanto.

Nelle navate di san Pietro troviamo un capitello corinzio, il cantiere di san Pietro
si è dispiegato in 100 anni su un progetto nel 500 di bramante con Giulio II.

Il capitello è nella parasta: un elemento di scansione ritmica verticale che


riprende la struttura del pilastro all’apparenza è un pilastro che si innesta nella
parete. La lesena invece è un elemento di scansione verticale che però non ha
base e capitello come la parasta

Vediamo due corone di foglie e poi un terzo sistema di forze da cui fuoriescono
i caulicoli sopra i quali vediamo l’baco concavo da punte angolari. Troviamo
anche il fiore dell’abaco, elemento decorativo che spesso si trova.

La base attica come già detto è molto comune, impiegata in tutti gli ordini
tranne il toscanico, ha due tori e una scozza intermedia. La base attica viene
descritta da Tibaldi (che ha progettato il Ghislieri e il Borromeo) nel secondo
500.

Tibaldi redige un trattato ispirato ad Alberti e descrive una base attica con un
astragalo superiore, una modanatura di piccole dimensioni con un profilo simile
al toro, ma molto più piccolo.

Questa base la troviamo nei monumenti romani di età imperiale,


nell’architettura paleocristiana. L’astragalo non si trova però in Vitruvio e
Vignola. Ad usare questa base con l’astragalo superiore è anche Michelangelo
nel palazzo dei conservatori nel Campidoglio in un ordine ionico.

Tibaldi descrive questa base e la usa nelle basi esterne del tempio civico di san
Sebastiano a Milano nelle paraste. C’è sia una parasta maggiore che una
posteriore su cui ricadono i sistemi superiori interni alla muratura. L’ordine
ionico ha una base attica.

L’ordine posteriore è secondario e sintetico, non ha un capitello vero e proprio,


ha una cornice. La base non è attica, ma ha solo un unico grosso toro. Non è
neanche in senso stretto un ordine, ma solo un elemento verticale di rafforzo
dell’ordine. Il toro superiore della parasta secondaria corrisponde con quello
superiore della parasta maggiore. L’astragalo si estende su entrambe le
paraste.

Il plinto su cui poggia la base attica si torva solo nella parasta maggiore.

Passiamo all’ordine tuscanico, non esiste nell’architettura greca e riprende


l’ordine dorico greco, rispetto a questo ha una base sua, costituita da un unico
grosso toro.

La base del Colosseo ha un ordine dorico nell’ordine inferiore c’è un plinto


sottostante, un grosso torno e una gola, la gola può essere dritta o rovescia.
Questa base è molto diffusa, usata anche da bramante, è molto usata nel
dorico, ma non è codificata dai trattasti. Le gole sono spesso usate nelle
strutture religiose.

Anche il capitello ionico ha una base sua, una base complicata per le sue
vicende storiche e sia per il suo impiego.

Il capitello ionico si può trovare con la base attica, ma Vitruvio descrive anche
una base ionica in senso stretto. Una base più complicata di quella attica, ci
sono molti elementi.

Non ha riscontro nei monumenti romani e iniziano ad usarla nel 500 su base di
Vitruvio. Ha una scozia, un doppio astragalo, un'altra scozia e un toro. Le due
scozie sono separate da un doppio astragalo di separazione. La scozia inferiore
poggia interamente sul plinto.

Viene usata come base della colonna ionica del timpano del collegio Ghislieri di
pavia di Tibaldi (anni ’70 del ‘500).

Troviamo questa base anche a Mantova nella casa dell’architetto Giovanni


Battista Bertani.

Nella seziona della colonna incide l’ordine ionico come se fosse una tavola di
trattato, con scritti anche i nomi degli elementi. La base è ionica.

Nel collegio Ghislieri Tibaldi usa l’ordine ionico anche in posizione angolare

Lezione 3:

Nel loggiato del collegio Borromeo, avviato nel 1574 da Tibaldi su commissione
dell’arcivescovo Carlo Borromeo, una delle tarde architetture civili del secondo
Cinquecento italiano.
Tibaldi arriva in Lombardia dopo un’esperienza come pittore a Roma e come
architetto nelle marche, era originario della val Solda in Lombardia, feudo
dell’arcivescovo di Milano.

Tibaldi cresce però a Bologna, seconda grande città dello stato pontificio.

I suoi modelli di riferimento sono Bramante e Michelangelo, autorità degne per


lui come gli antichi; sarà così anche per Palladio ammiratore di Bramante, nei 4
libri di palladio l’inca architettura moderna che descrive oltre alle sue sono
quelle di Bramante, considerato rifondatore dell’antico e maestro del
classicismo del Rinascimento.

Michelangelo lavoro invece moltissimo sulla delega e sulla deformazione


dell’antico, con scelte fuori dalla norma.

Tibaldi lavora sul classicismo di Bramante e sul manierismo di Michelangelo.

Tibaldi lavora facendo sia scelte di rigore che di accurata selezione dei modelli.
Per il collegio borromeo mette al sotto il dorico e nel primo livello lo ionico,
come nel Colosseo, nel palazzo Fanese; sovrapposizione assolutamente
canonica.

Tibaldi non vuole adottare per lo snodo angolare una soluzione altra rispetto
alla normale colonna ionica.

Tibaldi guarda allora alle architetture del passato per cercare un modello di
riferimento.

Tibaldi prende spunto da questi modelli e colloca un capitello ionico normale in


posizione angolare; tra gli esempi probabilmente il Tempio della Fortuna Virile a
Roma.

Rispetto ai modelli Tibaldi colloca il capitello angolare in una posizione diversa:


non all’esterno, ma all’interno verso le volte del portico; c’è un processo di
adattamento del modello.

La colonna può avere sotto il capitello il collarino che alza il capitello e gli da
una struttura più leggibile rispetto all’ordine ionico senza collarino.

Il collegio Ghislieri viene fondato da Pio V che predicava la paupertas, vediamo


quindi le finestre senza incorniciatura. L’edificio è molto povero ma alcuni
elementi significativi come il portale hanno materiali pregiati.

Il portale realizzato in marmi ha un architrave in marmo rosato, il fregio in un


marmo grigio in cui vediamo l’incisione che rimanda a Pio V con le iscrizioni in
bronzo dorato, manufatto di grande pregio qualitativo.

Il capitelo del portale è arcaico, ma con richiami all’antico.

Continuiamo ad illustrare le parti dell’ordine architettonico con la base corinzia.


La base del corinzio è una base che sovrappone un numero di nervature
maggiori rispetto a quelle già viste, già il capitello corinzio ha molti elementi
come le foglie, come le altre basi ha uno sviluppo piramidale, ha quindi un toro
maggiore, scozia, doppio astragalo, scozia e toro. Questa base la troviamo in
uno degli altri monumenti dell’antichità, il portico anteriore del Panteon.

L’adozione di questa base nel portico del Panteon ne ha garantito la successiva


fortuna come base riconosciuta e canonica per l’ordine corinzio. La ritroviamo
anche all’interno del Panteon.

Il primo registro mantiene la conformazione originale, viene modificato quello


del secondo registro.

Tibaldi definisce composita tra attica e ionica perché come la ionica la corinzia
per la doppia scozia con il doppio astragalo intermedio e come l’attica ha un
toro sia sopra che sotto.

È una base che troviamo anche in San Pietro di Bramante, al di sopra del toro
superiore viene aggiunto un astragalo addizionale, elemento che può essere
supplementare come elemento di separazione.

A completare san Pietro è Antonio da Sangallo il Giovane, architetto di


formazione con una solida educazione anche familiare, di San Gallo abbiamo
molti elaborati grafici. I disegni per San Pietro sono numerosi e si sono inseriti
molto presto in un circuito di collezionismo soprattutto grazie ai Medici di
Firenze.

I disegni come quelli di San Gallo servivano agli scalpellini.

Base corinzia la troviamo anche nella chiesa di San Salvatore in Lauro del 1592
a Roma.

L’ordine corinzio viene standardizzato trent’anni prima da Vignola.

Anche in questo caso troviamo un astragalo addizionale, uguale a quello di San


Pietro.

Esiste poi la base del composito, il composito è un ordine che vien individuato
da Alberti che guardando le antichità romane osserva una tipologia di capitello
dove oltre al cesto d’acanto ci sono le volute dell’ionico che fuoriescono tra
‘echino e l’abaco.

È un capitello che non è descritto da Vitruvio e non esiste quindi una base
vitruviana.

Nel Cinquecento esiste una base, usata nell’ordine superiore interno del
Panteon (prima della modifica, oggi conservato musei vaticani).

Conserviamo un’illustrazione dell’ordine superiore di Raffaello.


IL capitello composito è un capitello sintetico e quasi grafico, bidimensionale e
a foglie volute, la base era formata da toro, scozia, un astragalo, un’altra scozia
e un toro superiore.

C’è una modanatura in meno del corinzio, ma il capitello ha un elemento in più,


questo è probabilmente il ragionamento che ha portato Vignola a designare
questa come base per il composito.

in un disegno di Alberto Alberti (pittore e architetto) troviamo le basi dell’antico


san Pietro (basilica paleocristiana) prima che fosse demolita. Descrive ad
esempio una base corinzia canonica e poi una base attica (a separare i due tori
dalla scozia centrale ci sono due astragali).

Nella base di una parasta di una chiesa di Vignola: il Gesù, chiesa post-
tridentina, vediamo una base attica con elementi supplementari, tra il toro
inferiore e la scozia c’è un astragalo, e poi un astragalo di dimensioni più
piccole tra il toro superiore e la scozia.

Il capitello di questa parasta è un composito, abbiamo infatti il cesto d’acanto,


l’echino decorato, il canale delle volute decorato con le volute che fuoriescono
e l’abaco con un profilo concavo.

Questo significa che Vignola, nonostante abbia fatto un programma, convoca


una licenza diversa.

Adotta una base meno elaborata della base composita come quella del Panteon
per un ordine che nel capitello era il più articolato.

La trabeazione del composito di Vignola è molto semplice. A parte il Capitello


adotta in questa chiesa un’economicità nelle forme.

A partire dall’esperienza adi manierismo del primo Cinquecento, ossia gli artisti
della scuola di Raffaello come Giulio Romano, si inserisce un gusto per il non
canonico, il secondo cinquecento è un periodo storico in cui segue un
anticlassicismo molto marcato.

Il barocco non è però un periodo di strema irregolarità e libertà.

Dalla fine del Cinquecento e per tutto il Seicento, cambia solo la concezione
degli ordini.

In una tavola di inizio Seicento di Michelangelo troviamo un capitello ionico con


una base attica; il capitelo è molto diverso, oltre al collarino troviamo molti
elementi plastici e decorativi come i festoni agganciati alle volute che hanno
una cadenza pendula, il balaustrino ha un’inflessione centrifuga e ricade verso
l’esterno e le eliche delle volute si espandono su basi orizzontali.

Lo storico dell’architettura dev’essere anche storico dell’arte, nella pala


marmorea di Ercole Ferrata e Leonardo Retti nel 1660 a Sant’Aganese in Agone
di Borromini in Piazza Navona (Martirio di Santa Emenziana), l’interno ella
chiesa h un sistema di pale non dipinte, ma marmoree; sullo sfondo della scena
vediamo un capitello che sembrerebbe corinzio che però in posizione angolare
non ha la convergenza dei caulicoli, ma delle teste caprine, quindi un elemento
zoomorfo. Il modello di riferimento sono i capitelli antichi, come il capitello di
una lesena corinzieggiante con cavalli alati della fine del I secolo a Roma nel
tempio di Marte ultore ne Foro di Augusto.

Questo è uno dei molti esempi di capitelli corinzieggianti con elementi zoomorfi
che possono aver influenzato questa pala marmorea; quindi, anche nel ‘600 ci
sono rimandi all’antico.

Poi nel ‘600 troviamo certamente anche edifici che sembrano pale
architettoniche come Palazzo Barberini, perno della collaborazione tra Bernini e
Borromini. Bernini è un artista molto attento all’eredità classica, riprende quindi
comunque il Colosseo per la sovrapposizione degli ordini, e poi una rilettura del
primo Cinquecento romano.

Il classicismo è un atteggiamento di conoscenza e ripresa dei linguaggi antichi


con un’evoluzione e una sintesi originale.

Borromini, originario del lao di Lugano arriva poi al cantiere gotico della
cattedrale di Milano, arriva poi da Maderno, suo parente, a Roma e poi lavora
con il Bernini. Per entrambi deve mettere in pratica i disegni dei maestri (prima
Maderno e poi Bernini).

Borromini fa il disegno per la facciata del portico di Palazzo Barberini, c’è un


canonico ordine dorico, con dado, base attica, capitello dorico con collarino e
trabeazione con fregio.

Nell’ordine si inserisce poi l’arco che ricade su pilastri fiancheggiati dall’ordine


architettonico su cui ricade la trabeazione.

Mantiene in prima battuta l’ordine classico ma dietro questa di fatto


decorazione parietale c’è una muratura piena. L’arco ricade quindi si pilastri.

Borromini propose poi a Bernini dei giochi prospettici, sugli ordii architettonici
Borromini si è molto arrovellato. Ha un atteggiamento verso l’ordine
architettonico che gioca anche sull’inversione di ciò che è logico.

Per palazzo Falconieri (incompiuto) a Roma, l’ordine nell’ultimo registro non ha


funzione. Lo stesso nei progetti per Palazzo Pamphili in Piazza Navona.

L’ordine è concentrato nelle torri che sono una sorta di belvedere.

Borromini impara che l’ordine è qualcosa che sta a rivestire la muratura


retrostante, l’ordine è solo figurativo, non svela la sua finzione, ma sappiamo
che è la muratura a sostenere il tutto: porta quindi questo al massimo livello
con la massima funzione decorativa.
Così fa nella facciata dell’oratorio dei Filippini a Roma, il capitello si svuota
completamente dei suoi elementi, questo capitello non può essere definito, è
qualcosa di nuovo, è una rielaborazione creativa della tradizione

Lezione 4:

L’esordio a Roma di Borromini inizia con le collaborazioni con Maderno, suo


parente (come uso dell’epoca) e poi Bernini, nel cantiere di Palazzo Barberini.

Si tratta di un artista che viene considerato antinomico di Bernini, le scelte


stilistiche sono differenziati così come i caratteri e la personalità dei due.

Bernini ha un rapporto con l’ordine classico di maggior rispetto, Borromini


invece così come nelle geometrie delle sue architetture gioca con forme e
volumi, anche nel fronte del linguaggio classico si diverte a scomporre e
rompere i canoni dell’organizzazione dell’ordine architettonico.

Nell’oratorio dei Filippini abbiamo grandi paraste, con registri di apertura che
identificano due piani. È un ordine gigante, ci sono due ordini sovrapposti con
all’interno delle edicole. In questa facciata in mattone, l’elemento che si
contraddistingue è ovviamente il particolare dell’ordine: in particolare il
capitello, elemento su cui si sofferma l’occhio dell’osservatore.

L’ordine nelle sue componenti è completo, ma ci colpisce nel capitello la voluta


inversa: non è una soluzione inventata da Borromini, ci sono moltissimi esempi
di volute inverse (si avvolgono verso l’interno e non verso l’esterno).

Dal Cinquecento in poi diventano molto più rade rispetto al ‘400, Borromini nel
Seicento fa questo recupero sulla base di modelli quattrocenteschi e tardo
antichi paleocristiani.

Il capitello è poi molto appiattito, al posto del cesto d’acanto c’è uno spazio
piani, una sorta di volume bidimensionale che si incurva poi nelle volute
inverse, è un elemento che contraddice il barocco non con sovrabbondanza di
elementi, ma con semplificazione di questi.

Nel barocco si assiste non solo alla sovrabbondanza di elementi, quanto più di
ricerca di un diverso approccio alla tradizione, non va quindi inteso solo come
accumulo di elementi.

All’interno di Sant’Ivo alla Sapienza a Roma vediamo una parasta corinzia


piegata a libro, per quanto riguarda la base non è propriamente corinzia perché
non ha due astragali intermedi, ma solo uno. Borromini calibra la proporzione
dell’astragalo intermedio, quindi non cambia il canone inconsapevolmente.

All’interno dell’Oratorio dei Filippini c’è una trabeazione contratta e le paraste


non hanno un vero e proprio ordine.

I capitelli invece sono morfologicamente esatti.


Borromini non usa la voluta invertita casualmente, ma la usa come valore
statico per la colonna, rivendica il valore strutturale. Lo notiamo sia all’interno
che all’esterno della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane.

Borromini così come in certi casi persegue scelte che confortano la


manualistica nell’idea di un barocco sovrabbondante, Borromini progetta che
spazi di estrema semplificazione quasi arcaica come nella cripta di San
Giovanni dei Fiorentini a Roma. E’ uno spazio candido di intonaco in cui
Borromini fa una scelta di rigore, adotta un ordine molto semplice: un ordine
dorico senza base, secondo il modello greco del dorico (senza base), presenta il
collarino, ha l’echino decorato, l’abaco a profilo rettilineo e una trabeazione del
tipo contratto, ossia senza fregio (per una questione proporzionale), forse è per
l’altezza della cripta che Borromini leva la base e il fregio, per dare alla colonna
una proporzione meno tozza e ribassata.

Borromini dà alle colonne una visibilità maggiore, al di sopra della cornice


vediamo una volta rilassatissima, la cornice copre l’imposta e prospetticamente
noi non la vediamo.

La stessa scelta la fa nella Galleria di palazzo Spada a Roma, in questo caso


mette una base dorica (come nel Colosseo). Amplifica teatralmente un
ambiente che in realtà è molto stretto.

Questo ambiente è barocco perché inganna la vista e crea stupefazione, i


colonnati sono di estremo classicismo con i colonnati dorici e lee volte a botte
di ispirazione antiquaria.

Per quanto riguarda il suo “rivale” Bernini, il confronto è in qualch33 modo


insensato perché si tratta di personalità molto diverse, non sono due facce del
barocco perché questo è molto più sfaccettato.

Sul fronte dell’ordine architettonico nella Scala regia in Vaticano Bernini deve
riprogettare l’ingresso monumentale dei palazzo al papa re ed ha uno spazio
vincolato: uno scalone a doppia rampa parallela, deve quindi creare dei
colonnati in fregio in modo da dare una dimensione più magniloquente di
quella effettiva dello scalone.

C’è un capitello ionico a quadrifronte, il che non pone il problema dello snodo.
Le colonne sono libere nella rpima rampa, nella seconda rampa troviamo
invece delle paraste.

C’è il collarino, l’echino decorato a saette, sopra c’è l’abaco incurvato (capitello
ionico).

Al di sopra c’è un elemento di trabeazione priva di fregio, una trabeazione


contratta. Bernini adotta in pieno Seicento un capitello ionico, che aveva molti
modelli di riferimento in età barocca come Michelangelo in Palazzo
Conservatori in Campidoglio.
C’è una doppia tradizione di riferimento per lo ionico: quello antico vitruviano
ed uno più moderno, con il collarino, con le volute più scultoree, con una
maggiore concavità dell’abaco, con una base attica (che Vitruvio non descrive
come propria dello ionico).

I capitelli a volute invertite di Borromini diventano molto diffusi nel Settecento


romano, in periodo tardo barocco.

Importante è il trattato di Guarino Guarini, protagonista della divulgazione del


linguaggio dell’architettura barocca romano, sia nella penisola che in Europa.

Tra i modelli classici abbiamo la descrizione di alcuni capitelli moderni fitomorfi


e si da mota rilevanza al cesto di foglie con le volute invertite.

Ampia circolazione hanno anche i capitelli di Giovanni battista Piranesi, di cui


vediamo una tavola del 1761, c’è già una tendenza antibarocca. Nasce non
immediatamente una riflessione di reazione al barocco e di nuovo sguardo
all’antico che fa presagire le future tendenze neoclassiciste.

Lezione 5:

Brunelleschi e Alberti sono figure molto diverse, soprattutto perché hanno due
approcci diversi all’architettura, Brunelleschi ha una formazione tradizionale in
bottega, Alberti è un umanista dall’approccio più teoriche: tanto che scrive un
trattato il De edificatoria.

Nel XV secolo c’è un processo di identificazione degli ordini architettonici che è


contemporaneo ad una ripresa dell’antico e alla scoperta della prospettiva. Il
processo di riconoscimento dell’ordine è complesso.

Gli architetti, da Brunelleschi ed Alberti si rapportassero all’antico e in Alberti,


tra ciò che enuncia e ciò che fa sono due cose diverse.

Il de edificatoria viene pubblicato a stampa solo negli anni 80’ del ‘400, era poi
scritto in latino, lingua problematica per chi erano effettivamente gli addetti ai
lavori.

Non sappiamo se gli architetti distinguessero veramente gli ordini di Vitruvio (o


di Plinio il vecchio, che però non entra nel dettaglio), già nella prima metà dei
‘500, Brunelleschi, Donatello, Michelozzo o pittori come Masaccio e Della
Robbia, non possiamo percepire se non un gusto dell’antico. Ci sono indizi
sparpagliati che ci sdicono della consapevolezza che l’antico non fosse un
monolite, ma offriva una varietà complessa di riferimenti.

Brunelleschi differenzia morfologicamente gli ordini, in particolare i capitelli;


distingue i capitelli corinzi, simili a quelli descritti da Vitruvio, con una
trabeazione tripartita (trave, fregio, cornice), diverso è il caso del capitello
ionico, che usa solo una volta nella cappella Barbadori, questo è privo di una
trabeazione classica, gli archi ricadono direttamente su una sorta di cornice. Le
colonne sono sempre a fusto liscio, mentre le paraste come nella chiesa di san
Lorenzo è scanalata, 6 scanalature per lato, come da precetto vitruviano.

Il ‘400 è un secolo di capitelli corinzi, il dorico è percepito come semplice e


l’ionico come troppo arcaizzante.

Negli anni ’30 del Quattrocento abbiamo un embrionale pratica degli ordini
basata principalmente sull’osservazione dei monumenti antichi, conserviamo
ad esempio dei taccuini di antichità.

In uno riconosciamo ad esempio la basilica di Massenzio e una serie di capitelli,


che privilegia il capitello corinzio con le foglie d’acanto.

È vero che Alberti fa una gerarchia degli ordini, ma poi di fatto lo usa poco,
quasi mai, in palazzo Rucellai non c’è ad esempio.

Vitruvio che scrive nel I secolo a.C. condannava i capitelli corinzieggianti: a


foglie e volute, oggetti di grande suggestione per gli osservatori
quattrocenteschi.

I trattatisti del ‘400 dopo Alberti come Filarete, di Giorgio o Pacioli quando si
concentrano sulla distinzione degli ordini non gli interessa la morfologia, ma gli
aspetti proporzionali. L’aspetto rilevante che distingue gli ordini non è tanto la
morfologia, ma sulle proporzioni: la colonna più o meno snella o slanciata, la
funzione portante o decorativa…

Il dorico è più greve, lo ionico e il corinzio sono più snelli.

È difficile in questi trattatisti dirimere se ci sia stata una lettura di Vitruvio o


solo sull’osservazione. Capita talvolta di vedere capitelli corinzi mischiati a
capitelli corinzieggianti, ossia diversi da quelli del Pantheon.

Già Serlio (1537/40) non distingue l’odine interno da quello esterno del
Pantheon.

Nei capitelli di Michelozzo di San Minato al Monte, nel tabernacolo del


crocifisso, del 1447 (Alberti stava scrivendo il suo trattato).

È uno dei capolavori dell’architettura di questo periodo, ma i capitelli sono tutti


diversi, anche se dalla grande bellezza, un’antologia di capitelli moderni nello
stesso complesso architettonico: il secondo è un capitello ionico con un
collarino baccellato, un echino con ovuli sette, le volute, l’abaco incurvato ha la
colonna liscia.

Il primo un capitello composito a foglie volute con un cesto d’acanto, le volute


e l’abaco. Il 4 un capitello corinzio e il 3 un capitello indefinibile a foglie volute.

In una raccolta di disegni di Giuliano da Sangallo vediamo dei disegni dei


capitelli di Castel Sant’Angelo. Da Sangallo è stato riaccreditato e studiato solo
recentemente, è l’architetto della villa medicea a Teano. Vediamo il disegno di
un capitello di una parasta: un capitello a foglie volute con ovoli e saette che
mette alla base del capitello.

Un’antologia di capitelli la troviamo anche in Giuliano da Sangallo.

Alberti si pone come caso prioritario di normalizzazione e razionalizzazione


dell’architettura antica. Alberti studia Vitruvio, conoscendo il latino e il greco,
aveva poi gli strumenti per una lettura critica del testo di Vitruvio.

Come già detto tra la teoria del de edificatoria e la pratica di Alberti c’è un
grande scarto.

A partire dagli anni ’30 compone due trattati il de Pictura e il de statua, sulla
scultura e sulla pittura. L’interesse per la pittura di Alberti è strettamente
intellettuale, così come quello sulla scultura. Arriva poi a riflettere su temi
architettonici intorno al ’40 e tra il ’43 e il ’52 scrive il de edificatoria.

La teoria degli ordini occupa il libro settimo del trattato di Alberti, prima parla
delle parti degli ordini: il piedistallo, la base, il fusto, il capitello, l’architrave,
trave secondaria trasversale (fregio, che Alberti interpreta come una fascia che
copre le testate delle travi) e infine la cornice.

Il corinzio lo distingue anche per l’abaco incurvato e poi definisce il composito


chiamandolo italico, perché lo trova in diverse città d’Italia. In un'altra parte fa
riferimento ad un altro ordine, simile al dorico in uso presso gli etruschi: il
toscanico, che già Vitruvio citava.

Parla poi delle basi, la base del dorico (attica), la base ionica (vitruviana con la
doppia scozia). E poi distingue le trabeazioni, ad esempio la trabeazione dorica
ha l’architrave ha tre fasce, ha le butte (composte da triglifi e metope) le
Trabeazioni ionici e corinzie sono continue e hanno i modiglioni delle strutture
di sostegno della cornice. Fa anche delle distinzioni proporzionali, per lui quasi
più importanti di quelle morfologiche.

Nella pratica progettuale Alberti sembra non conoscere quasi ciò che ha detto
nel suo trattato, questo accade per diversi motivi: in prima istanza perché il de
edificatoria non è per il suo autore un manuale normativo, bensì un’analisi
dell’antico attraverso l’architettura su base letteraria, archeologica e
architettonica.

Inoltre, Alberti affidava le esecuzioni ad altri solo su sua indicazione e non su


suo disegno, non possiamo sapere se gli scalpellini erano poi fedeli alle
indicazioni dell’architetto. Alberti poi nella pratica rivendica nell’architetto
progettista una libertà d’azione individuale rispetto alla norma.

Il capitello è l’elemento che in maniera più immediata ci fa distinguere un


ordine dall’altro.

Nel secondo ordine di palazzo Rucellai 1460 circa, un capitello a foglie volute
che ricorda con la decorazione a ovoli e saette l’abbiamo già vista nel disegno
di Giuliano da Sangallo di castel sant’Angelo. Il capitello di palazzo Rucellai è
ispirato a quello di castel sant’Angelo.

Nelle paraste a sette scanalature del tempietto di san pancrazio, altra


committenza dei Rucellai, che infatti sta a pochi metri dal palazzo, qui troviamo
un capitello con foglie d’acanto angolare, volute ad esse verticali allacciate in
basso, una palmetta d’acanto al centro e l’abaco incurvato, un capitello
corinzieggiante anche se non risponde a nessun ordine di Vitruvio.

Capitelli che lo stesso Alberti citava come dagli elementi misti ma non
approvati dai dotti.

Alberti cerca sempre di ibridare elementi ritenuti troppo arcaici come le volute
sui due lati e lo ionico.

Si concentra poi molto sulle proporzioni. 1/8 primo livello, secondo livello 1/7;
santa Maria novella 1/11.15. in sant’Andrea nelle paraste maggiori 1/ (8 +1/3).

Alberti subordina le proporzioni dell’ordine all’esigenza dell’edificio.

Le proporzioni di palazzo Rucellai degradano dall’alto al basso, così come le


trabeazioni, uguali nei primi due ordini e più alta nel terzo.

Lezione 6:

Con Filarete, per la prima volta approdiamo in Lombardia nel ducato di Milano
territorio che dal punto di vista storico e culturale molto importante, in
Lombardia tra Filarete e Bramante si sono sviluppate tipologia importanti di
edifici con un processo di rinascita dell’antico.

Filarete è importante in modo particolare per l’illustrazione che egli fa riguardo


gli ordini architettonici. Filarete si colloca in un programma di affermazione
della figura dell’architetto di corte all’indirizzo del committente: padroneggiare
un rapporto con l’antico significa un elemento di richiamo importante.

Filarete era un orafo scultore, quando arriva a Milano diventa l’architetto


favorito di Francesco Sforza, primo duca sforza, duca d’arme ansioso di
affermare il suo potere al posto dei visconti di cui sposa un erede.

Questo processo non sarà solo di Francesco, ma anche dei suoi eredi come
accadrà a Bramante con Ludovico il Moro.

Entrambi si rifanno ad architetti che venivano da fuori, Filarete veniva dalla


toscana. Filarete andrà poi a Roma dove realizza delle porte della basilica
vaticana.

Filarete è importante perché è operativo e lavora su una serie di idee che


circolavano a Firenze tra gli anni 40 e 50 del ‘400, negli anni ’30 è a Roma e
lavora alle porte bronzee della cattedrale. Nel 1451 va a Milano.
A lui si deve il progetto dell’ospedale maggiore di Milano di cui oggi è sede
della statale a Milano, con un sistema di grandi cortili a crociera ispirati anche
al San Matteo di Pavia.

È un ospedale moderno a cortili quadrangolari. Vediamo la raffigurazione ideale


dell’ospedale di Sforzinda che elabora all’interno del suo trattato. Nel ’65 torna
a Firenze, infatti il trattato ha una doppia dedica, a Francesco Sforza e a Piero
de Medici. Il trattato è indirizzato per essere mandato al principe.

Il trattato è dedicato al principe tantoché una parte del trattato è un dialogo tra
l’architetto e il sovrano in cui viene mostrata l’utopia di Sforzinda, città ideale
di cui Filarete immaginava la morfologia.

È interessante che all’interno di questo tipo di trattato che contiene anche un


progetto di così ampie proporzioni come una città ideale, si trovi anche una
sezione sugli ordini architettonici.

Si distingue dal de Edificatoria per il fatto che quello di Filarete è illustrato, è


poi scritto in volgare, ed anche questo è un fatto interessante. È rimasto
manoscritto, anche se in diverse edizioni, fino al Novecento.

Era noto a molti architetti come Vasari, Scamozzi, Leonardo e altri.

Contiene anche un’illustrazione della qualità delle colonne. IL linguaggio


classico e quindi la conoscenza dell’ordine sono direttamente collegati ad una
conoscenza della città del principe. Inizialmente parla di tre tipi di edifici sacri,
le chiese/tempio dorico (edificio severo e poco ornato, scuro), corinzio (il più
ornato, costruito con estrema diligenza) e quello ionico (poco apprezzato nel
Quattrocento, ritenuto infimo e per architetture meno monumentali). A queste
tre tipologie corrisponde la gerarchia della qualità delle colonne.

I rapporti proporzionali sono totalmente diversi da quelli indicati da Alberti.

I capitelli sono corinzieggianti, il più vicino a quello vitruviano è quello ionico


che ha le volute, anche se il collarino è coperto di foglie e quindi non è in toto
vitruviano.

Sono i capitelli che hanno riscontro nelle evidenze monumentali, gli stessi di cui
fa un’antologia Giuliano da Sangallo. Nella seconda metà del Quattrocento c’è
un atteggiamento di libertà rispetto a Vitruvio, si diffondono ad esempio
capitelli di stampo dorico toscanico, come nel primo ordine di palazzo Rucellai.

Si affermano anche trabeazioni con cornici prive di dentelli, le cornici in alcuni


ordini dovrebbero avere la dentellatura, un elemento su cui non ci siamo
soffermati, ma che si torva sia applicato che in Vitruvio, viene tuttavia meno,
come in San Satiro a Milano, nel primo ordine, dove c’è un capitello a foglie
volute corinzieggiante di Bramante, edificio che ricorre nei manuali per il coro
prospettico dell’altare.
Semplificare alcuni elementi come l’ordine è forse funzionale a non complicare
gli elementi architettonici che poi vanno inseriti in un inganno prospettico.

Nella sacrestia di San Satiro troviamo un capitello a foglie volute ricco ed


elaborato, la trabeazione a tre fasce, un fregio animato e la cornice sovrastante
priva di dentelli.

A fine Quattrocento troviamo anche alcune trabeazioni senza fregio, abbiamo


un ordine nel tiburio di san satiro, sopra il capitello corre un architrave e subito
sopra la cornice, che viene meno anche per ragioni proporzionali per non
rendere troppo alto il tiburio. Si chiama ordine sintetico o cornice architravata,
ne troviamo diversi esempi.

Il tiburio è diverso dal tamburo, sono due elementi di strutture di copertura


della cupola. Quando la calotta della cupola che appoggia sul tamburo, quando
questa è racchiusa da muri verticali che proseguono il tamburo, questo è il
tiburio, che sempre a nascondere la calotta della cupola e serve come
appoggio al soffitto. Sono poche in Lombardia le cupole scoperte (dall’esterno
noi non vediamo la calotta. Non sono estradossate. Il tiburio è uno scrigno
architettonico che nasconde la cupola.

Bramante è un architetto molto albertiano che prende molte licenze, nel


tempietto di san Pietro montorio a Roma le paraste della cupola hanno la base,
ma non hanno il capitello (Non sono lesene, perché la base c’è).

Nel secondo Quattrocento si susseguono una serie di approcci diversificati


all’antico, uno dei protagonisti ed esponente del dibattito è il senese Francesco
di Giorgio Martini, anche architetto militare. Fa un trattato molto complicato
redatto in due decenni di attività e operosità del suo autore fino agli anni ’90
del Quattrocento.

Questo trattato contiene una traduzione del testo di Vitruvio, di Giorgio fa


nell’arco di vent’anni con grande fatica visto che non era un letterato, ma un
architetto. All’interno di uno dei codici c’è anche un’affermazione rispetto ai
testi di Vitruvio ossia che il testo è pieno di elementi difficili e vocaboli ignoti.

Nel codice Saluzziano di questo trattato troviamo anche un volume


indipendente che forse di Giorgio aveva pensato per la pubblicazione a stampa
che contiene molti rilievi anche piuttosto accurati di monumenti antichi,
affiancato da ipotesi di ricostruzione di questi monumenti antichi.

L’approccio verso l’antico non è un “album” come quello di Sangallo, ma è


organizzato come un trattato, quello di Sangallo era un libro di disegni per uso
personale.

Francesco di Giorgio riconosce tre ordini sulla base di due autorità: Vitruvio e
Alberti, struttura la gerarchia degli ordini con un rapporto proporzionale
risalente che li fa crescere in altezza (Dorico: 1/7; ionico: 1/8; Corinzio: 1/9).
Afferma poi che la colonna toscanica ha un rapporto di proporzioni simile a
quella corinzio (1/9). Per quanto riguarda i capitelli dice che ad ogni colonna
spetta un capitello preciso.

Basandosi su una sua osservazione dell’antico dice che i capitelli non sono
abbinati alle colonne per morfologia, ma per le proporzioni. Dorico capitello
basso, ionico intermedio e corinzio alto.

Aggiunge anche una descrizione del capitello corinzio che definisce il più
evoluto e del composito. Fa poi gli equilibri della figura umana come elemento
di comparazione per i rapporti proporzionali anche dell’architettura, paragona il
capitello al capo.

C’è anche una descrizione della storia del capitello corinzio con Callimaco di
fianco ad una colonna, aneddoto di Vitruvio all’inizio del libro 4.

Svolta nell’architettura italiana sono Giuliano da Sangallo e Donato Bramante.

Soprattutto Giuliano da Sangallo sono i primi che adottano in maniera


sistematica gli ordini vitruviani e li inseriscono in un sistema gerarchico, come
nella chiesa delle carceri a Prato di Sangallo dove sotto troviamo un dorico e al
secondo livello uno ionico.

Ha la stessa base dorica del Colosseo con una gola a esse della modanatura.

Già la cappella Barbadori di Brunelleschi aveva un ordine Ionico, tra l’altro


vediamo anche uno ionico in posizione angolare, le due facce dello ionico
collidono e si dispongono diagonalmente.

La cornice superiore di quest’edificio, non c’è il fregio, questo perché alzando la


cornice questa non darebbe protezione al capitello in caso di intemperie, quindi
tolgo il fregio.

Altro esempio di Sangallo è del 1492 nel Chiostro di Santa Maria Maddalena de
Pazzi a Firenze, qui vediamo l’ordine ionico nell’articolazione monumentale di
un sistema di porticati di un chiostro o di un cortile (che Alberti definiva il cuore
della dimora).

È un’architettura importante per i futuri sviluppi, da sottolineare sono alcuni


elementi come il fatto che è un cortile architravato. Dove c’è l’arco alle colonne
si sostituiscono dei pilastri quadrangolari senza volute, hanno quindi un
capitello diverso rispetto alle altre colonne.

In posizione angolare colloca un sistema di pilastro, due pilastri che si fondono


in posizione angolare.

La trabeazione è continua, la base è attica (toro, scozia, toro).

I capitelli e le basi sono le parti più soggette all’usura del tempo.


In genere più la base originaria è complessa e più nei restauri se ne sostituisce
una più semplice.

Il chiostro ionico del monastero di Sant’Ambrogio, sede della cattolica di Milano,


concepito da Bramante con due meravigliosi cortili. Uno dorico e l’latro con un
sistema di sostegni d’orine ionico.

Bramante per questo porticato con un sistema di volte a crociera, le colonne


sostengono degli archi. Bramante introduce un elemento simile al dado
brunelleschiano, un segmento di trabeazione che garantisce il rispetto
visivamente della completezza dell’ordine architettonico.

Giuliano da Sangallo fa invece un’operazione di sintesi, mette solo l’architrave,


non c’è trabeazione, mentre bramante mette l’intera sequenza della
trabeazione in questo chiostro del 1498.

È interessante anche l’articolazione del registro superiore, sopra gli archi c’è
un'altra fascia di trabeazione, una fascia marcapiano che differenza un registro
dall’arto e fa da base per le finestre, come nell’ospedale degli innocenti di
Brunelleschi.

Questa fascia è l’unico elemento in pietra e serve anche a permettere lo


scorrimento dell’acqua piovana.

Sopra c’è un sistema che prevede un ordine maggiore dorico e poi un registro
secondario, una parasta che corre alle spalle della parasta maggiore su cui
scorrono poi degli archi ciechi che danno ritmo alla parete. All’interno di questi
archi cechi ci sono le finestre architravate.

Questo sistema richiama la partitura dei registri del Colosseo, sarà usato anche
nel cortile di palazzo Farnese.

Il secondo chiostro del monastero di sant’Ambrogio è dorico. La base è quella


del Colosseo con un Toro e una gola sovrastante.

Interessante è il sistema angolare del chiostro ionico, se Sangallo crea un


pilastro a L, Bramante all’angolo del chiostro mette un pilastro al posto della
colonna, con un capitello di forma diversificata, affine a quello dorico che
risolve il problema dello snodo angolare, è l’elemento che aspira a Cesariano la
colonna atticurga.

Lezione 7:

Michelozzo è un architetto che ci da la possibilità di impostare una riflessione


su temi rilevanti.

Una suddivisione per scuole regionali è facile anche per l’attribuzione di opere
d’arte anche quando non ci sia un autografo certo.

L’esperienza fiorentina ha un centro che è Firenze e irradia la sua esperienza in


molte periferie, con una rincorsa della periferia sugli aggiornamenti del centro.
Michelozzo è interessante perché dalle esperienze del primo Quattrocento
(Brunelleschi) si discosta con un’architettura che viene però considerata
debitrice di Brunelleschi e Alberti, Michelozzo si muove in questo ambiente.

Michelozzo è attivo quando Brunelleschi è ancora in vita, nel ’46 Brunelleschi


viene a mancare.

Michelozzo era già attivo da diversi decenni, era già attivo e indipendente.

Michelozzo muore nel 1472, data di morte interessante perché si colloca prima
della Firenze Laurenziana. Il suo fu un rapporto di intesa con il committente
Cosimo il Vecchio de Medici, il suo principale committente a Firenze.

Il rapporto tra il committente e l’artista è sempre sbilanciato, si pongono su una


linea diagonale, l’artista a seconda dei casi deve interpretare il desiderio del
committente, lo deve accontentare.

Cosimo il Vecchio è colui che inizia la dinastia medicea, grande dinastia della
committenza artistica. In questa realtà compatta della città Quattrocentesca
Donatello e Michelozzo collaborano nel monumento funebre dell’antipapa
Giovanni XXII, ci interessa sottolineare la collocazione di questo monumento,
nel Battistero di San Giovani a Firenze, tra le architetture fiorentine medievali
che ha lasciato un’impronta forte nel Quattrocento Fiorentino con i suoi
rivestimenti marmorei.

Le architetture brunelleschiane come l’ospedale degli innocenti si muovono sul


solco di questa struttura.

All’interno troviamo colonne corinzie con la base attica, molto applicata anche
da Brunelleschi.

Un altro caso interessante + il pulpito esterno della cattedrale di Prato, pulpito


circolare esterno affacciato sulla pubblica piazza, destinato alle predicazioni.

Di solito questa struttura era effimera e in legno, qui si decide un’architettura


fissa con un linguaggio di assoluto classicismo.

C’è poco da commentare, la balconata adotta un sistema che ritroviamo anche


nelle cantorie come quella di Donatello per la cattedrale di Firenze, abbiamo le
incorniciature e le scene scolpite..

Il pulpito è coperto da una cupola di lacunari radiali, che aveva un impatto


visivo molto evidente.

LA committenza medicea porta Michelozzo ad interventi su alcune isole urbane


molto importanti, uno è l’isolato di san Lorenzo, dove stava la cappella
funeraria dei Medici, poco più a nord sorgeva il convento domenicano di San
Marco ristrutturato negli anni ’40 del Quattrocento, dove c’era anche il giardino
si San Marco, dove si formavano gli artisti, c’erano anche gli affreschi di Beato
Angelico.
Nel 54 Michelozzo realizza la grande biblioteca conventuale.

Michelozzo fa una scelta monumentale che poi farà scuola come nella
bibliotaca di Cesena. Diversa è la biblioteca laurenziana di Michelangelo.

Qui abbiamo un corridoio centrale delimitato da colonne con una volta


indipendente e poi due percorsi laterali, due navate secondarie dove c’erano i
bachi dove si consultavano i volumi.

C’erano finestre in entrambi i lati per l’illuminazione. Questo modello ha molta


fortuna nelle biblioteche.

Questo schema viene applicato anche alle scuderie come nel castello visconteo
a Vigevano.

Nella biblioteca di Michelozzo ci interessa il capitello ionico, una scelta


interessante.

La facciata di Palazzo Pitti è attribuita a Brunelleschi ma alcuni anche a Alberti.

La facciata di Palazzo Medici di Michelozzo ha una facciata con una griglia


geometrica di aperture come gli altri palazzi, a parte Palazzo Rucellai a cui
Alberti inserisce l’elemento dell’ordine architettonico che scandisce i tre registri
sovrapposti.

Il modulo dei palazzi fiorentini è brunelleschiano, talmente rigoroso che l’ordine


architettonico come elemento di distinzione non serve più.

Palazzo medici saranno ceduti ai Riccardi quando i Medici diventano duchi e si


trasferiscono prima a Palazzo Vecchio e poi Pitti.

Palazzo Medici ha un rivestimento bugnato, lo stesso di palazzo Rucellai, in


questo caso Michelozzo adotta una differenziazione tra il piano terreno, per i
registri superiori adotta un altro trattamento del bugnato, che apparteneva alla
tradizione romana antica.

Il bugnato è largamente impegnato anche nel Cinquecento da Palladio come


richiamo all’antico. Michelozzo lo adotta con due funzioni: una di
differenziazione gerarchica dei livelli, non c’è un ordine, ma c’è un diverso
trattamento del bugnato, sotto è rustico con i conci irregolari, bugnato liscio
per il registro superiore. Il piano basamentale doveva poi suggerire un impatto
di fortezza e solidità perché il muro separava poi lo spazio pubblico dal palazzo
del signore.

Abbiamo poi degli archi cechi, a parte quello del portale, nel muro di
riempimento degli archi cechi abbiamo finestre con timpano dotate di una
visibile grata.

Dentro abbiamo un cortile con basi attiche e capitelli corinzieggianti, sul cortile
approda lo scalone che approda al piano nobile, nel cortile si accede poi al
giardino retrostante.
LA mole di palazzo medici è molto grande, i Medici sono una famiglia non più in
ascesa, ma “arrivate”, i Medici si impongono nella scena urbana. Vasari ci
racconta di un progetto di Brunelleschi per palazzo Medici, sempre affacciato
sulla Via Larga (Oggi via Cavour), proponeva un grande volume quadrangolare
in asse con la basilica di san Lorenzo e una piazza di nuova apertura sul
secondo lato, questa soluzione poneva due problematiche la prima è che si
doveva acquistare un sedime nel fitto tessuto urbano di Firenze e si doveva poi
fare una estesa campagna di demolizione per creare la piazza.

Un edificio libero su tutti e quattro i lati era inusuale.

Brunelleschi aveva proposto un palazzo di un principe sovrano, non di un


membro di un’oligarchia repubblicana, nonostante i Medici avessero un grande
rilievo. Cosimo non poteva incidere così tanto nella scena pubblica urbana, alla
fine il palazzo di Michelozzo è diverso, occupa una parte di un isolato, è libero
su tre lati e non su quattro.

È una scelta ponderata di compromesso, l’edificio era comunque gigantesco,


anche palazzo Strozzi è sovradimensionato.

All’angolo abbiamo il muro di recinzione del giardino, il giardino ha un portale


retrostante, si presenta a chi attraverso il sagrato di san Lorenzo con il muro
del giardino, il bugnato si interrompe e troviamo un muro di diverso tipo in
mattoni e lo ritroviamo in posizione angolare nel muro del giardino, per
sottolineare l’angolo che diventa un contrassegno visivo.

Il giardino è un dipinto murato con le merlature, tipica delle architetture


fortificate del castello, che ha anche una valenza simbolica di potere nel
territorio.

Le merlature vogliono sottolineare il fatto che è la residenza di un signore con


dei poteri politici, economici e finaznizari. Era poi un elemento che
contraddistingue il castello, forma che ancora le prime ville medicee assumono
architettonicamente, non rimanda solo al castello, ma anche alla residenza
extraurbana del signore, anch’essa costitutivamente completata da un
giardino, un hortus conclusus fortificato.

Anche il giardino pensile del palazzo ducale di Urbino ha un giardino fortificato.

Palazzo simile è palazzo Strozzi, anch’esso monumentale rispetto agli edifici di


fianco, in piani che vediamo sono tre, nonostante i palazzi più piccoli di fianco
hanno quattro o cinque piani, in questo caso abbiamo tre piani magniloquenti.
Anche qui abbiamo una diversa gestione del bugnato e una corniciatura in alto
che fa un rialzo (viene sottolineato l’elemento conclusivo).

A palazzo Medici c’è un camminamento che va sul muro intorno al giardino e


che arriva ad un terrazzo dove soggiornarono Sigismondo Pandolfo Malatesta e
Galeazzo Maria Sforza, la visita di questi due principi è interessante per il
discorso di circolazione di idee e modelli tra le corti. La corte sforzesca aveva
già allungato lo sguardo al mondo fiorentino.

Tra le ville medicee ricordiamo quella del Trebbio e quella di Cafaggiolo,


attribuite a Michelozzo. In Francia le ville extraurbane si chiamano chateu ma
non sono fortificati e non sono castelli.

Nelle due ville Michelozzo contrassegna l’ingresso con la torre in modo


simbolico.

Secondo tema è l’influenza dell’architettura fiorentina su quella lombarda degli


sforza (metà ‘400).

Primo caso è quello di un edificio ora scomparso, quello del banco mediceo a
Milano.

Sull’attribuzione del banco ci sono stati anche studi recentissimi ed è una


questione ancora dibattuta.

Era la sede milanese della banca dei Medici, l’agente a Milano di Cosimo è
Pigello Portinari, committente dell’omonima cappella funeraria.

È un’operazione politica a tutti gli effetti che stabiliva un canale tra le due città.

C’è la sovrapposizione di due registri, piccole finestrelle soprelevato, una fascia


marcapiano e sopra un sistema più o meno modulare di bifore ad arco acuto,
che richiama l’architettura gotica del ‘400 lombardo e infine una fascia
marcapiano conclusiva. Prende a modello i palazzi fiorentini, ma nella
decorazione è più locale. È un edificio che sorgeva in una via alle spalle
dell’isolato del teatro alla Scala.

Nell’Ottocento l’edificio viene spogliato e “perduto”.

Elementi architettonici sono anche venduti sul mercato, come la porta,


acquistata dalle civiche raccolte d’arte di Milano.

Nelle porte abbiamo paraste con capitello e trabeazione sovrastate, una


decorazione all’antica.

All’interno c’era una decorazione pittorica, come il Cicerone che legge di


Vincenzo Foppa, lo stesso che decora la Cappella Portinari.

I n Lombardia non mancava già l’idea di rifarsi a modelli fiorentini come nel
1444, la chiesa di Villa nel borgo di Castiglione Olona, in provincia di Varese. Si
chiama chiesa di Villa perché sorge nel borgo, Villa è inteso come paese. È una
chiesa a pianta centralizzata, il borgo ela legata al cardinal Castiglioni,
committente legato all’ingaggio di artisti toscani. Sarà committente, ad
esempio, di Masolino da Panicale.

Dannunzio ribattezzo Castiglione Olona isola di Toscana in Lombardia.


Gli interni ci interessano relativamente, è interessante l’esterno, avendo in
mente l’ospedale degli innocenti di Brunelleschi, le due ali laterali dell’ospedale
sono ispirazione per questa chiesa di Villa di configurazione brunelleschiana.

L’edificio non è modulato su rapporti brunelleschiani, dal punto di vista


morfologico ci sono le paraste, l’architrave, il fregio, la cornice. Dal punto di
vista sintetico è tutto in ordine, problema ci sono dal punto di vista
proporzionale.

Nel frattempo, a Milano era anche arrivato Filarete.

Più tardi nel 1462-8, Michelozzo è ancora vivo (muore nel 72), progetta la
cappella Portinari, modello di riferimento è la Sagrestia Vecchia, è una
riedizione lombarda della sagrestia Vecchia di Brunelleschi. La distanza
cronologia è cospicua, corrono quasi 40 anni.

È costituita da due vani quadrangolari, uno più grosso e uno più piccolo con
l’altare, così come la Sagrestia vecchia.

Ci sono due registri sovrapposti, un primo semplicemente intonacato di bianco


con paraste monumentali. Un secondo registro corrispondente ai grandi archi
che conducono al tamburo d’imposta del sistema di copertura: la cupola.

All’esterno troviamo di nuovo il tiburio che cela la vista della calotta della
cupola.

Sui quattro angoli del parallelepipedo, dove ci sono i contrapposti troviamo dei
pinnacoli che fanno da contenimento visivo del tiburio centrale.

È un’architettura molto controversa dal punto di vista storiografico, a partire


dal ‘700 veniva assegnata a Michelozzo. Altri avevano proposto il nome di
Filarete.

Altri pensano ad un architetto lombardo che si sforza di imitare un’architettura


fiorentina che voleva il committente, con un risultato di compromesso, Alcuni
fanno il nome di Guidiforti Solari.

La volontà è quella di creare un’architettura che programmaticamente fa


collidere due culture diverse: quella della provenienza del committente e quella
del luogo dove si trova ad operare.

Il punto è il fatto che sia un progetto ibrido.

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