Analisi Mineralogiche
INTRODUZIONE
INTERAZIONE ONDE-MATERIA
I raggi X interagiscono con la materia attraverso urti elastici e anelastici o generando fluorescenza.
Nel primo caso non avviene cessione di energia ma solo una deviazione del raggio. L’onda deviata
ha la stessa lunghezza d’onda (λ) della incidente: si parla di radiazione coerente o effetto
Thompson. Nel secondo caso viene ceduta una parte dell’energia e le onde diffuse hanno λ
differenti: si parla di radiazione incoerente o effetto Compton. La fluorescenza nasce invece a causa
della totale cessione di energia agli elettroni del materiale, che sono costretti a compiere un salto
quantico verso stati maggiormente energetici (certi elettroni possono perfino essere rimossi). Tale
situazione non è stabile e, per tornare alla condizione iniziale, gli elettroni devono compiere un salto
quantico inverso emettendo una radiazione, detta di
fluorescenza, caratteristica del salto quantico e
dell’elemento. Per gli studi cristallografici si usa la
radiazione coerente.
Immaginiamo di avere un elettrone isolato che viene colpito
dai RX. L’elettrone si comporta come una sorgente
secondaria di radiazioni, diffondendolo in tutte le direzioni.
Figura 1 Onde in fase
Immaginiamo ora un atomo, ad esempio con 2 elettroni.
Notiamo che le due onde incidenti rimangono in fase solo
nella direzione di diffusione corrispondente a quella di
incidenza. Per qualsiasi altra direzione, le due onde non
saranno più in fase. Tale fenomeno è espresso dal potere di
diffusione atomico, come si può vedere dal grafico. Notiamo
anche che il valore della diffusione aumenta con l’aumentare
del numero atomico Z. Questo perché sarà maggiore il
numero di elettroni che potranno diffondere raggi X in fase.
Infine, se consideriamo gli atomi entro la struttura del
minerale, la diffusione dipende sia dal fattore di diffusione
Figura 2 Onde non in fase
atomico che dalla differenza di fase fra le onde diffuse dai
vari atomi.
Figura 3 Potere di diffusione atomico
1
LA TEORIA DELLA DIFFRAZIONE DEI RAGGI X
Esistono 3 modi diversi per descrivere la diffrazione dei raggi X ad opera dei cristalli. Per ora ci
limiteremo a considerare solo la geometria della diffrazione, per la quale conta solo la periodicità
della struttura cristallina, e non l’intensità, che considereremo in seguito.
a) Equazioni di Laue
Consideriamo un filare reticolare i cui atomi (che ovviamente sono tutti uguali) vengono colpiti dai
raggi X. Nel filare, il vettore r che lega due atomi è dato da:
r=ua+vb+wc
dove u,v e w sono numeri interi corrispondenti agli indici
[uvw] del filare reticolare e a,b e c sono i periodi di
traslazione. Affinché nella direzione di s vi sia diffusione dei
RX, è necessario che le onde diffuse da tutti gli atomi del
filare in quella direzione siano in fase. Ciò avviene quando
la differenza di cammino tra i due raggi è uguale ad un
numero intero di lunghezze d’onda, ossia, se so è la direzione
del raggio incidente e s è quella del raggio diffratto, si avrà
che:
r x s – r x so = r x (s- so) = r x S =nλ
Figura 4 Le condizioni di Laue
con S=s-so (ricordare che il prodotto scalare di un vettore per un versore equivale alla proiezione del
vettore nella direzione del versore). Siccome S=ua+vb+wc, si avrà che:
ua x S + vb x S + wc x S = nλ
Se tale relazione risulta valida per qualsiasi valore dei numeri u,v e w (in quanto si ha il massimo
rafforzamento del raggio diffratto solo quando la radiazione emessa da tutti i nodi è in fase) è
possibile scindere tale equazione in tre nuove equazioni:
ua x S = nλ a x S = hλ con h = n/u
vb x S= nλ b x S = kλ con k = n/v
wc x S= nλ c x S = lλ con l = n/w
Queste equazioni sono le Equazioni di Laue.
b) Equazione di Bragg
Bragg considera la diffusione dei raggi X
come una riflessione degli stessi sui piani
reticolari.
Considerando il diverso cammino delle onde
riflesse da piani paralleli si ha che:
EB + BG = 2dsenθ
e quindi
2dsenθ = nλ
Figura 5 Dimostrazione dell'equazione di Bragg
2
che è l’Equazione di Bragg, con n = ordine di riflessione. In pratica, una famiglia di piani reticolari
caratterizzata da una determinata distanza interplanare “d”, rifletterà i raggi X solo per un
determinato angolo di incidenza “θ“.
C) Reticolo Reciproco
Possiamo vedere la riflessione anche associando al reticolo di traslazione del cristallo (reticolo
diretto) un nuovo reticolo detto reciproco i cui nodi rappresentano ognuno una famiglia di piani
reticolari (hkl).
Possiamo riscrivere l’equazione di Bragg nel seguente modo:
nλ 1 nλ
senϑ = ⋅ = ⋅S
2 d 2
con S = 1/d vettore reticolo reciproco che è perpendicolare ai piani reticolari.
Tutti i vettori S vengono applicati ad un punto detto origine del reticolo reciproco, mentre sull’altra
estremità del vettore è posto il nodo. I nodi del reticolo reciproco si ripetono a distanze regolari. Il
reticolo reciproco non è però un reticolo periodico, dato che i nodi sono tutti diversi in quanto
rappresentativi di diverse famiglie di piani reticolari. Riscrivendo la legge di Bragg nel seguente
modo:
λ
sen ϑ = ⋅ (n Shkl)
2
Da questa formula si può notare che il valore di Shkl
può assumere valori diversi e tra loro multipli, in
funzione del valore di n.
Si hanno così un insieme di nodi allineati tutti
derivanti dalla stessa famiglia di piani reticolari, dove
Figura 7 Nodo del reticolo reciproco con la evidentemente la d è divisa per n.
famiglia di piani corrispondenti
n = 1 rappresenta i piani del reticolo diretto
caratterizzati da dhkl ,
n = 2 rappresenta i piani dhkl/2,
n = 3 rappresenta i piani dhkl/3, etc.
Figura 8 Nodi di ordine diverso
Si possono così rappresentare piani con indici nh, nk, nl non più primi tra loro.
Riassumendo, fra reticolo reciproco e reticolo diretto abbiamo le seguenti differenze:
• I nodi del reticolo reciproco sono tutti diversi fra loro; ciò implica che non possiamo più
considerare il reticolo reciproco periodico nel senso dato per il reticolo diretto; periodico,
per quest’ultimo indica che i nodi, non solo si ripetono a distanze regolari, ma sono anche
tutti uguali, mentre per il reticolo reciproco significa solo che i nodi si ripetono a distanze
regolari;
3
• L’origine del reticolo reciproco è fissa mentre non lo è per il diretto;
• L’origine del reticolo reciproco è centro simmetrico, caratteristica che viene espressa dalla
Legge di Fridel.
Vediamo ora, in pratica, come si applica il reticolo
reciproco alla diffrazione dei raggi X.
Quando un cristallo viene colpito dai RX, ad esso
viene associata una sfera di riflessione con il
cristallo posto al suo centro e con raggio
proporzionale all’inverso della lunghezza d’onda
dei RX.
Figura 9 Sfera di riflessione
Diametralmente opposto rispetto all’entrata dei
raggi, si trova l’origine del reticolo reciproco:
Quando un nodo del reticolo reciproco è tangente alla sfera di riflessione, si ha emissione di RX
nella direzione definita dal centro della sfera e dal punto di tangenza.
L’angolo PŜO vale 2θ e viene detto angolo di
diffrazione. In tal modo risulta soddisfatta
l’equazione di Bragg, infatti:
2
OP = AO ⋅ senϑ = senϑ
λ
e poiché OP = 1/d , avremo che:
1 2
= senϑ ⇒ λ = 2dsenϑ
d λ
che è proprio la legge di Bragg.
Figura 10 Geometria della diffrazione dei raggi X
In tale equazione non compare il termine n perché, nel reticolo reciproco, ogni nodo (che per n >1
sarà ovviamente più lontano dall’origine) comporta una diffrazione di primo ordine. Bisogna inoltre
notare che non tutti i nodi del reticolo reciproco daranno diffrazione in quanto quelli il cui S =1/d
sarà maggiore del diametro della sfera di riflessione (2/λ) non potranno mai essere tangenti alla
stessa. Quindi le famiglie di piani reticolari che possono dare diffrazione devono avere una distanza
interplanare maggiore o uguale alla metà della lunghezza d’onda dei raggi X, in quanto:
1 2 λ
S= ≤ ⇒d ≥
d λ 2
Possiamo così costruire la sfera, centrata
nell’origine del reticolo reciproco, contenente
tutti i nodi che potranno dare luogo a
diffrazione: e chiameremo questa sfera “sfera
limite”. Figura 11 Sfera di riflessione e sfera limite
4
INTENSITA’ DI DIFFRAZIONE
L’intensità della diffrazione è espressa dalla seguente relazione:
Ihkl = K ⋅ LP ⋅ A ⋅ m ⋅ F2hkl
dove K è una costante, che dipende dalla superficie investita dai RX, dalla massa dell’elettrone,
etc.; LP è l’effetto di Lorentz-polarizzazione, che dipende da fattori strumentali che implicano la
polarizzazione dell’onda riflessa; A è l’assorbimento dei RX da parte del materiale; m è la
molteplicità in base alla quale è possibile che si sommino gli effetti di più famiglie di piani
reticolari caratterizzate dalla stessa distanza interplanare, ed F2hkl rappresenta l’ampiezza dell’onda
emessa in una determinata direzione dagli atomi presenti.
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STRUMENTAZIONE
Le analisi ai RX possono essere realizzate sfruttando due diverse metodologie:
• Metodo delle polveri
• Metodo del cristallo singolo.
Innanzitutto vediamo come si producono i raggi X
La produzione dei RX è ottenuta grazie al frenamento
degli elettroni, prodotti da un filamento percorso da
corrente elettrica, da parte di una placca metallica. Gli
elettroni possono essere fermati per urti successivi ed, in
questo modo, cedono gradualmente energia provocando
l’emissione di una radiazione continua cioè con
lunghezza d’onda variabile.
Figura 17 Sezione del tubo per la
produzione dei raggi X Figura 18 Spettro continuo dei raggi X
Notiamo che maggiore è la d.d.p. applicata, minore sarà la λ minima prodotta. Infatti vale la
seguente:
λmin = 12398/Vacc
dove per Vacc si intende la velocità di accelerazione che dipende dalla d.d.p..
Se la cessione di energia da parte dell’elettrone è totale e non avviene per urti successivi, anche gli
elettroni più interni degli atomi della placchetta metallica vengono rimossi dagli orbitali. Per
ritornare al loro livello energetico originario, emettono energia, producendo raggi X con λ
caratteristica dell’elemento di cui è costituita la placchetta metallica e del salto quantico compiuto.
Lo spettro caratteristico, presenta vari picchi, tra i quali i principali, o meglio i più intensi sono detti
Kα e Kβ, con Kα più intenso e con λ maggiore di Kβ.
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Il picco Kα corrisponde al salto quantico dal
livello L a quello K, mentre Kβ corrisponde al
salto quantico dal livello M a K.
Figura 19 Picchi nello spettro continuo
La legge di Bragg prevede l’uso di una
radiazione monocromatica, mentre i RX
Figura 20 Diverse tipologie di salto quantico
prodotti presentano uno spettro pressoché
continuo. Per selezionare una sola λ ( si usa Kα
perché ha una intensità maggiore) si possono
usare due metodi:
• Quello dei filtri
• Quello del monocromatore.
Figura 21 Lo spigolo di assorbimento
I filtri si interpongono fra il generatore di RX e il campione. Ogni filtro presenta il massimo
assorbimento in corrispondenza dello spigolo di assorbimento che corrisponde ad una λ diversa a
seconda dell’elemento usato
In genere, se vogliamo eliminare la Kβ di un
elemento di numero atomico z, si usa un filtro
costituito da un elemento con numero atomico z
– 1. In tal modo lo spettro caratteristico di
quest’ultimo avrà Kα e Kβ spostati verso λ
maggiori.
Pertanto il suo spigolo di assorbimento cadrà
subito dopo la Kβ da eliminare.
Figura 22 Spettro caratteristico del filtro sovrapposto
a quello da filtrare
7
Il metodo del monocromatore sfrutta la legge di Bragg. Infatti, investendo con i RX un cristallo
orientato in modo da mettere in riflessione una famiglia di piani reticolari a dhkl nota, è possibile,
selezionando un certo angolo di riflessione, ottenere la riflessione di una unica λ, quella che
soddisfa la legge di Bragg. Per gli studi cristallografici si usano soprattutto le λ derivanti da tubi con
anodo al rame (λ 1,542 Å) o al molibdeno ( λ = 0,71Å).
Per la rilevazione degli effetti della diffrazione
dei RX si usano le pellicole o i contatori. Le
prime sono molto simili a quelle fotografiche ma
presentano i sali d’argento su entrambi i lati
(come quelle per le lastre mediche). La pellicola
permette di registrare la posizione dei nodi (che
danno indicazioni sulla geometria del cristallo) e
l’intensità di diffrazione proporzionale
all’annerimento. Quest’ultimo può essere
misurato o per confronto con delle scale, o
attraverso i microdensitometri. I contatori sono
essenzialmente di due tipi diversi:
1. il contatore GEIGER
2. lo scintillatore. Figura 23 Contatore Geiger
Il contatore Geiger è costituito da un tubo contenente un gas inerte e un filamento. I RX entrando
nel tubo ionizzano gli atomi del gas. Gli elettroni rimossi, vengono attratti dal filamento che funge
da anodo, producendo nel percorso altre coppie ioniche. Il contatto con il filamento produce un
passaggio di corrente elettrica che viene misurato.
Lo scintillatore è costituito da un
cristallo fluorescente ai RX.
Generalmente si usa NaCl drogato con
Tallio. La luce emessa è molto bassa e
deve essere amplificata tramite l’uso
di un fotomoltiplicatore. Lo
scintillatore viene usato soprattutto per
il metodo del cristallo singolo. Poiché
l’effetto di fluorescenza termina nel
momento in cui il cristallo non viene
più colpito dai RX, tale tipo di Figura 24 Contatore a scintillazione con fotomoltiplicatore
contatore risulta molto efficente.
8
METODO DELLE POLVERI
Questa metodologia prevede il
bombardamento con i RX di una polvere
cristallina. Ai cristalli componenti la
polvere sono associati i reticoli
reciproci, tutti aventi la stessa origine,
ma con orientazione casuale, proprio
come i vari cristallini. Si può
immaginare che ad ogni famiglia di
piani reticolari, caratterizzati da una dhkl,
non si associ una singolo vettore S ma un insieme di vettori S tutti uguali e variamente orientati, di
modo che la loro estremità libera, giace
su una sfera, il cui raggio è proprio il Figura 25 Sfere concentriche create dal vettore S
modulo del vettore S=1/dhkl.
Ognuna di queste sfere interseca la sfera
di riflessione secondo una circonferenza
e pertanto i RX diffratti non andranno in
una sola direzione, ma formeranno un
cono.
Figura 26 Coni di diffrazione
Ogni cono presenta un angolo di apertura pari a 4θ. Se 4θ = 180° il cono degenera in un piano,
mentre se 4θ > 180° il cono si apre nella direzione dei RX. Per registrare gli effetti della diffrazione
con tale tecnica, si possono usare sia le pellicole che i contatori. L’uso della pellicola prevede
l’avvolgimento della stessa attorno al campione: in tal modo si possono “fotografare” i coni di
diffrazione.
L’avvolgimento della pellicola può essere
simmetrico (metodo Debye) o asimmetrico
(metodo Straumanis). Solitamente si sceglie
una pellicola di dimensioni precise in modo
che, misurando la distanza dei coni dal punto
di uscita dei raggi X, è possibile ottenere
direttamente il valore corrispondente
Figura 27 Avvolgimento della pellicola dell’angolo di Bragg. Infatti:
2πR : 360 = 2L : 4θ
con 2L = apertura del cono in mm. Quindi:
360 ⋅ 2 L 90 ⋅ L
ϑ= =
2πR ⋅ 4 πR
Quindi si avrà che θ = L (e quindi, come già detto, sarà possibile leggere θ misurando L) quando:
9
90 90
= 1 cioè R = = 28,65 mm
πR π
Calcolato θ, con la legge di Bragg, è possibile anche determinare la distanza interplanare dei piani
che hanno generato la diffrazione. E’ inoltre possibile valutare l’intensità di diffrazione studiando
l’annerimento della pellicola e confrontandolo con una scala:
FF → F → M → D → DD
Fortissimo Forte Medio Debole Debolissimo
Nel fare le misurazioni sulla pellicola, è necessario, inoltre, valutare la possibile deformazione della
pellicola che può nascere, ad esempio, in fase di sviluppo. Si deve quindi calcolare un fattore di
correzione:
90 mm
U −E
dove U = punto d’uscita ed E = punto d’entrata e con U – E che, teoricamente, dovrebbe essere 90
mm.
Figura 28 Strumento per il Figura 29 Strumento per il Figura 30 Strumento per la
metodo delle polveri con pellicola metodo delle polveri con pellicola misurazione delle distanza dei coni
sulla pellicola
La stessa tecnica può essere impiegata con l’uso dei
contatori. Per registrare gli effetti della diffrazione, il
contatore viene fatto ruotare attorno al campione delle
polveri. Anche quest’ultimo ruota, ma, mentre il contatore
ruota di 2θ, il campione ruota di θ mandando in diffrazione
i diversi piani reticolari.
Figura 31 Uso del contatore per il metodo
delle polveri
10
La strumentazione usata con il metodo delle polveri e il contatore, è la seguente:
I raggi X emessi dalla sorgente vengono
controllati per quanto riguarda la
divergenza orizzontale mediante le Lamine
di Soller, mentre per quella verticale
mediante dei limitatori. Prima del contatore
si trova il monocromatore che seleziona
una precisa λ dei RX diffratti. Il contatore è
collegato ad un registratore (che può essere
sia analogico che digitale) che registra
l’angolo di diffrazione 2θ e l’intensità della
diffrazione.
Figura 32 Schema della strumentazione per il metodo delle
polveri
Figura 33 Diffrattometro delle Figura 34 Lamine di Soller Figura 35 Difrattogramma
polveri ottenuto al computer
Dalla registrazione dell’angolo 2θ relativo ai vari picchi di intensità nel diffrattogramma, è possibile
calcolare la distanza interplanare corrispondente. Infine si passa al riconoscimento del minerale
attraverso il Manuale di Hanavalt che presenta, per ogni minerale, le distanze interplanari
corrispondenti agli effetti di diffrazione più intensi.
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METODO DELLA FLUORESCENZA
Questo metodo sfrutta la fluorescenza prodotta da un minerale quando viene colpito dai RX. La
radiazione prodotta dalla fluorescenza viene selezionata da un cristallo monocromatore, e raccolta
da un contatore. Analizzando la lunghezza d’onda di tale radiazione si ottiene l’elemento chimico
che ha prodotto la radiazione (analisi qualitativa del materiale analizzato), mentre misurando
l’intensità della radiazione, si può calcolare la percentuale in peso dell’elemento (analisi
quantitativa). Per fare questo, sono però necessarie delle opportune curve di taratura che mettano in
relazione l’intensità della radiazione con la percentuale in peso dell’elemento.
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METODO DEL CRISTALLO SINGOLO
Tale metodologia si basa sull’analisi di un singolo cristallo di dimensioni minori o prossime al
decimo di millimetro. Si possono usare strumenti come il diffrattometro a 4 cerchi che,
permettendo la rotazione nello spazio del cristallo, riesce ad inviare verso un contatore i RX diffratti
da ogni famiglia di piani reticolari.
Figura 36 Diffrattometro a 4 cerchi
Figura 37 Schema diffrattometro a 4 cerchi
Grazie ai 4 cerchi, ogni nodo del reticolo reciproco viene portato a contatto con la sfera di
riflessione, ottenendo emissione dei RX. I 4 cerchi sono:
• Cerchio φ: ruota il cristallo portando il vettore S nel piano perpendicolare ai RX incidenti.
• Cerchio χ: porta il vettore S nel piano definito dalla direzione dei raggi X e dal contatore.
• Cerchio ω: porta il nodo del reticolo reciproco sulla sfera di riflessione.
• Cerchio 2θ: ruota il contatore nella direzione dei RX diffratti.
Figura 38 Diffrattometro automatico
KUMA KM4
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APPENDICE 1
SEPARAZIONE DEI MINERALI
Il primo passaggio per ottenere, da una roccia
compatta, la separazione dei minerali consiste
nell’uso del frantoio a ganasce per trasformare il
campione in un frantumato. Solitamente, per gli studi,
serve almeno 1,5 Kg di roccia.
Figura 39 Frantumato Figura 40 Frantoio a ganasce
Si passa quindi alla separazione granulometrica che,
per mezzo di due setacci, permette di separare i clasti
troppo grandi o troppo piccoli, non utili per gli studi. Si
usano tagli da 62,5 e da 177 micron perché
generalmente questa è la frazione granulometrica in cui
si concentrano i minerali pesanti. Quindi, si passa il
campione nella vasca ad ultrasuoni che, mediante onde
ad alta frequenza, disgrega il campione favorendo la
scissione dei vari granuli. Tale procedimento viene
ripetuto più volte al fine di ottenere una migliore
pulizia del campione. Quindi il campione viene seccato
in stufa. Figura 41 Vasca ad ultrasuoni
Il campione così trattato viene inserito nel
separatore magnetico (Franz) che permette di
separare i minerali in funzione della loro
suscettività magnetica. Il campione, inserito in un
contenitore ad imbuto, viene fatto scorrere in due
canali che passano all’interno di un campo
magnetico creato da una bobina. Per tale ragione, i
minerali magnetici scivolano in un canale diverso
di quelli non magnetici e vengono raccolti in due
Figura 42 Separatore magnetico
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contenitori diversi.
Questo sistema funziona naturalmente solo con i minerali magnetici. Se dobbiamo separare tra di
loro minerali non magnetici, spesso si usano i liquidi pesanti che sfruttano diversità di densità per la
separazione.
Figura 43 Separazione dei minerali magnetici e
non magnetici
Si passa quindi all’analisi al microscopio. Il campione costituito da minerali non magnetici appare
molto chiaro a causa dell’assenza del ferro. Contrariamente, tra i minerali ad alta suscettività
magnetica è possibile trovare elementi chiari; infatti sia la calcite può contenere piccole percentuali
di ferro, sia il feldspato può alterarsi in argille che possiedono anch’esse tale elemento. Viceversa la
parte del campione altamente magnetica (quella che si attacca alla bobina durante la separazione)
appare più scura, denotando una differenza più marcata.
Figura 44 Minerali magnetici visti al Figura 45 Minerali non magnetici Figura 46 Minerali fortemente
microscopio visti al microscopio magnetici visti al microscopio
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APPENDICE 2
PREPARAZIONE CAMPIONE PER METODO DELLA FLUORESCENDA E DELLE POLVERI
Per tali analisi, non occorre effettuare la separazione
dei singoli cristalli ma basta trasformare il campione in
polvere. Si frammenta grossolanamente il campione
(ad esempio con il martello da geologo) e lo si pone in
un mortaio in carburo di tungsteno. Si inserisce il
mortaio in una macchina che provvede allo
sbriciolamento tramite veloci movimenti circolari. Si
ottiene così una polvere.
Figura 47 Mortaio in carburo di tungsteno
nella macchina per la frantumazione
Altro tipo di mortaio è quello in agata e viene usato in
particolare per i carbonati che potrebbero incrostare il
precedente strumento. Il campione viene posto in un
mortaio insieme ad alcune sfere in agata e il
contenitore viene fatto ruotare velocemente da una
macchina fino alla completa polverizzazione. Tale
procedimento è sufficiente per le analisi delle polveri
che devono solo essere inserite in un portacampione.
Figura 48 Mortaio in agata nella macchina per
la frantumazione
Se invece si devono fare analisi chimiche con il metodo della fluorescenza si deve trasformare la
polvere in una pastiglia. E’ quindi necessario prima passare la polvere in un mortaio
amalgamandola con la colla Moviol , poi porla in un contenitore insieme a acido borico e cera che
servono da isolanti e, infine, inserirla nella pressa per ottenere la pastiglia.
Figura 49 Mortaio Figura 50 Inserimento della polvere nel
contenitore
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Figura 51 Portacampione
Figura 52 Pressa
Figura 53 Pastiglia per le analisi chimiche
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