Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
14 visualizzazioni110 pagine

La Figura DellAnticristo in Cecilio Firm

Caricato da

Leonardo Renna
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
14 visualizzazioni110 pagine

La Figura DellAnticristo in Cecilio Firm

Caricato da

Leonardo Renna
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 110

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

________________________________________________________________________________

FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA


Corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche e Filosofiche

Tesi di Laurea

La figura dell’Anticristo nelle


“Diuinae institutiones” di Lattanzio

Relatrice Laureando
Dott.ssa Emanuela Colombi Daniele Bianchi

Correlatore
Prof. Flavio Rurale

ANNO ACCADEMICO 2010 – 2011


A mia madre Elisabetta e mio padre
Maurizio, per i loro sacrifici.
A mia nonna Fernanda e mio fratello
Marco, per il loro sostegno.
A Fatima, per il suo amore e la sua
pazienza.

Questa tesi è anche opera loro.


INDICE

Introduzione ……………………………………………….……………... 2

Capitolo I
Vita e opere di Lattanzio …………………………………….…………… 7

Capitolo II
La figura dell’Anticristo nella tradizione cristiana delle origini ……..…. 31

Capitolo III
La figura dell’Anticristo nella Diuinae institutiones ……………..……... 50

Conclusione ……………………………………………………………... 63

La Divine Istituzioni.
Traduzione dei capitoli 14 – 26 del libro VII …………………..…….…. 65

Bibliografia e Sitografia …………………………………………..…….. 99

1
INTRODUZIONE

Le considerazioni relative all’escatologia (dal greco: ἔσχατος =

“fine, ultimo”, e λόγος = “discorso”; quindi: “discorso intorno alle realtà

ultime”), intesa sia come la che come il fine del mondo e dell’umanità,

costituiscono una costante della riflessione delle diverse civiltà umane.1

Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il discorso escatologico

coinvolge un aspetto assai profondo dell’animo umano, ossia quello delle

angosce e delle speranze relative al proprio futuro (riflessioni sulla fine), e

quello relativo al significato della propria esistenza (riflessioni sul fine).

Abbiamo pertanto assistito, nel corso della storia, ad una ricca e vasta serie

di narrazioni mitologiche e simboliche che spaziano attraverso ogni tempo

e latitudine: nelle religioni induiste emerge chiaramente la figura di Kalki

(decimo avatara del dio Vishnu) e della sua opera di restaurazione delle

antiche tradizioni e della giustizia anticipatrici della dissoluzione cosmica

(pralaya);2 presso i popoli germanici, la fine del mondo coincide con la

1
Cfr. la voce “escatologia” in: G. Barbaglio e S. Dianich, Nuovo dizionario di teologia,
Roma 1979, pp. 382-410. Nell’articolo in questione si riscontra tuttavia una certa
ingenuità nell’attribuire un significato eccezionale all’escatologia cristiana,
considerando le escatologie delle altre tradizioni religiose come mere narrazioni mitiche
prive di un qualsiasi contenuto teleologico. Ciò può avere origine solo dall’ignoranza o
dalla mala fede verso le altrui riflessioni sul significato profondo da attribuire agli
eventi escatologici, e lo stesso discorso potrebbe essere benissimo fatto per l’escatologia
cristiana se ci si limitasse a leggere l’Apocalisse di Giovanni come un romanzo,
saltando a pié pari la letteratura esegetica ad essa dedicata.
2
Cfr. M. Natt Dutt, A prose english translation of the Vishnupuranam, Calcutta 1896,
pp. 427-464.
2
caduta degli dei, esito della battaglia finale tra le forze del bene e le forze

del male che avrà luogo nel giorno del Ragnarokkr;3 nella antica Persia la

figura di Shaoshyant4 è per molti versi assimilabile al concetto di Moshiakh

(Messia) della tradizione giudaico-cristiana;5 nell’Islam, in modo

particolare nella sua componente shi’ita, si attende con fervore l’avvento

del Mahdi e il ritorno di Gesù, i quali sconfiggeranno il Dajjal (Anticristo)

e ripristineranno per un breve periodo di tempo l’età aurea del Profeta

Muhammad e dei primi quattro califfi, prima della fine del mondo. 6 Anche

la Grecia e Roma hanno conosciuto una riflessione escatologica,

specialmente nell’ambito di alcune scuole filosofiche e delle religioni

misteriche.7

Curiosamente, quasi tutte le antiche cosmologie ed escatologie

condividono una visione della storia ciclica e degenerativa che è

diametralmente opposta a quella lineare e evolutiva propria dell’uomo

3
L’episodio del Ragnarokkr è narrato nella Voluspa all’interno dell’Edda poetica, e nel
Gylfaginning all’interno dell’Edda di Snorri (o Edda in prosa). Traduzioni parziali del
corpus eddico sono state curate, tra gli altri, da Gianna Chiesa Isnardi (Milano, Rusconi
1975), da Giorgio Dolfini (Milano, Adelphi 1975), e Piergiuseppe Scardigli e Marcello
Meli (Milano, Garzanti 1982).
4
Cfr. Yasht 19.88-96; Bundahishn 30-34. In merito alla religione persiana pre-islamica,
cfr. A. Alberti (a cura di), Avesta, Torino 2008; P. Filippani-Ronconi, Zarathustra e il
mazdeismo, Roma 2007; A. Bausani, Persia religiosa, Cosenza 1999.
5
Per quanto concerne il messianismo ebraico, cfr. I. Schochet, Il Messia. Il concetto di
Messia e di era messianica nelle regole e nella tradizione ebraica, Milano 2000.
6
Cfr. D. Cook, Studies in muslim apocalyptic, Princeton 2002; P. Urizzi, Il Salvatore
escatologico in ambito islamico: l' Imam atteso e il Cristo della seconda venuta, in
“Avallon” n. 52, Rimini 2003.
7
Cfr. N. D’Anna, Il gioco cosmico, Milano 1999.
3
moderno.8 Per gran parte dei popoli premoderni – e ad essi non fanno

eccezione l’ebraismo e la cristianità medievale – l’età delle origini non è

una “preistoria” ma una “età dell’oro”, come descritto in tante mitologie

non dissimili dal racconto biblico del giardino dell’Eden. E similmente al

racconto del Genesi, lo scorrere della storia umana viene visto come una

“caduta” verso profondità sempre più tenebrose, fino a giungere al culmine

massimo della fine dei tempi. A tale culmine segue però una palingenesi ed

un ritorno all’equilibrio e alle perfezioni primitive, ed è per questo motivo

che si parla di concezione ciclica, contrapposta alla indefinita linearità dello

scorrere del tempo concepita dall’uomo moderno.9

Non è possibile comprendere appieno lo studio dell’escatologia

(cristiana o di altra denominazione religiosa) senza entrare nella mentalità

8
Per un approfondimento su questo tema, cfr. J. Evola, Rivolta contro il mondo
moderno, Roma 1998; M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Bologna 1968; e M.
Eliade, Mito e realtà, Torino 1966. A proposito della concezione eliadiana del tempo e
della dottrina degli yugas (cicli cosmici), segnaliamo in questa sede anche lo studio
critico condotto dalla dott.ssa Lara Sanjakdar (cfr. L. Sanjakdar, Tempo ed eternità in
Mircea Eliade, Venezia, tesi di laurea a.a. 2006-2007), attualmente in fase di
pubblicazione.
9
Più che di una concezione lineare moderna, si sarebbe tentati di parlare di una
concezione propria alla mentalità giudaico-cristiano-musulmana, in quanto l’esito
perpetuo della dimora ultraterrena unito al generale silenzio circa l’avvicendarsi di
umanità successive alla presente rende apparentemente la ciclicità posta dalle tre
religioni abramiche come non ripetibile, e quindi soggetta ad essere interpretata, a
seconda del punto di vista con la quale la si guarda, come un’altrettanta linearità.
Tuttavia questo silenzio viene rotto in alcuni ambienti mistici, all’interno dei quali
anche le tradizioni abramiche hanno elaborato delle speculazioni riconducibili a
considerazioni di natura ciclica quali, ad esempio, quelle osservabili in Origene, in Ibn
‘Arabi, o nella dottrina cabbalistica delle shemittot (per quanto riguarda in modo
particolare quest’ultima, cfr. G. Scholem, Le origini della kabbala, Bologna 1966, p.
569). Ad ogni modo, l’ambiguità può essere probabilmente considerata all’origine della
concezione lineare propria alla mentalità moderna, sorta precisamente nell’ambito di
una civiltà abramica, qual è quella dell’occidente cristiano.
4
che la anima, abbandonando quindi l’ottica moderna di un progresso

lineare e indefinito, che vede la preistoria alle proprie spalle e davanti ai

propri occhi le speranze di un “paradiso” futuro e assolutamente terreno (il

cui tentativo di instaurazione, si sia esso chiamato “rivoluzione proletaria”

o “esportazione della democrazia”, si è paradossalmente sempre risolto con

la creazione di allucinanti inferni), accogliendo una concezione del mondo

in cui i belluini e violenti “bestioni” immaginati dal Vico appartengono al

nostro futuro, e in cui la giustizia, la pace e l’espressione compiuta delle

perfezioni insite nell’uomo sono la nostalgia di una realtà perduta, di cui si

attende una nuova manifestazione. E’ questa la speranza che ha animato gli

antichi, e questa la forma mentis propria agli aedi, i bardi, gli scaldi, i

profeti o i monaci che hanno parlato di questioni escatologiche.

Lo scopo di questo lavoro è quello di considerare l’escatologia alla

luce della riflessione nata in seno al cristianesimo, secondo uno dei due

aspetti in cui tradizionalmente i manuali di teologia dogmatica suddividono

la materia, e cioè quello “macrocosmico” relativo alla fine del mondo e al

destino ultimo dell’umanità nel suo insieme (tralasciando quindi l’aspetto

“microcosmico” il cui oggetto di studio è il destino ultimo dell’individuo).

In particolare, ci occuperemo in questa sede della questione dell’avvento

dell’Anticristo e della riflessione intorno all’origine, il temporaneo

affermarsi e, infine, la sconfitta finale delle forze delle tenebre. Dopo una

breve panoramica sull’escatologia del cristianesimo delle origini, ci


5
soffermeremo specificamente sulla visione escatologica propria a Cecilio

Firmiano Lattanzio, quale è da questi esposta nella parte finale del settimo

libro delle sue “Diuinae institutiones”.10

10
La traduzione italiana dei brani della Diuinae institutiones presenti in questo studio è
opera dello scrivente, il quale si è basato sul testo latino presente in L. Caeli Firmiani
Lactanti Opera Omnia , pars I, rec. S. Brandt (Corpus scriptorum ecclesiasticorum
latinorum XIX), Vindobonae 1890, con l’ausilio della traduzione inglese di William
Fletcher, in: A. Roberts, J. Donaldson, A. Cleveland Coxe (a cura di), Ante-Nicene
fathers, vol. 7, Buffalo-New York 1886, e di quella italiana di Gian Luca Potestà, in:
G.L. Potestà e M. Rizzi, L’Anticristo. Il nemico dei tempi finali (volume 1), Milano
2005, pp. 418-433. Nel corso della stesura di questo lavoro siamo venuti a conoscenza
di una più recente edizione del Libro VII curata da E. Heck e A. Wlosok (Berlin/New
York 2011), che però non abbiamo avuto modo di consultare. Per quel che riguarda le
differenze tra l’edizione di Brandt e quest’ultima, rimandiamo alla recensione di C.
Moreschini presente al seguente url: http://bmcr.brynmawr.edu/2006/2006-07-08.html.
6
CAPITOLO I

VITA E OPERE DI LATTANZIO.

1. Inquadramento storico.

La religione cristiana, fondata a partire dalla predicazione di Gesù il

nazareno nella Palestina del I secolo d.C., si espanse intorno al bacino del

Mediterraneo e nelle regioni poste sotto l’egida dell’impero di Roma

soprattutto attraverso la predicazione e i viaggi missionari dei diretti

discepoli del maestro e dei primi seguaci del nuovo credo, in particolar

modo Paolo di Tarso.11 E’ principalmente per il tramite di quest’ultimo che

la nuova fede uscì dai ristretti confini del mondo giudaico della Palestina e

della diaspora, esplicitando così il carattere universale dell’insegnamento

cristiano presente nella particolare lettura paolina del messaggio di Gesù.12

11
Cfr. R. Calimani, Paolo, l’ebreo che fondò il cristianesimo, Milano 1999. Il taglio
dell’opera è divulgativo e non accademico, ma ci sembra utile segnalarlo per via
dell’ampio materiale raccolto dall’autore, e per la ricca bibliografia posta alla portata di
chi, a partire da questo testo introduttivo, volesse dedicarsi in seguito ad
approfondimenti di taglio più scientifico.
12
La letteratura riguardante il cristianesimo delle origini è sterminata, e non è certo
possibile fornirne in questa sede un quadro esauriente. Segnaleremo solo, a titolo
esemplificativo, alcuni titoli: J. Daniélou, I manoscritti del mar morto e le origini del
cristianesimo, Roma 1990; J. Daniélou, La chiesa degli apostoli, Roma 1991; J.
Daniélou, La teologia del giudeo-cristianesimo, Bologna 1998; J. Daniélou, Le origini
del cristianesimo latino, Bologna 2010; K. Baus, Le origini (vol. 1 di: H. Jedin (a cura
di), Storia della chiesa, Milano 1980); G. Filoramo, e D. Menozzi (a cura di), Storia del
cristianesimo. L’antichità, Bari 2008; G. Jossa, Il cristianesimo antico, dalle origini al
concilio di Nicea, Roma 1997; M. Simonetti, Il vangelo e la storia. Il cristianesimo
antico (secoli I-IV), Roma 2010.
7
Nonostante il carattere prevalentemente innocuo da un punto di vista

politico, le comunità cristiane iniziarono ben presto ad affrontare delle

forme di persecuzione da parte delle autorità romane, dovendo subire, tra le

diverse cause che portarono alle ricorrenti esplosioni di intolleranza verso

la nuova fede, lo svantaggio di essere talvolta associati e confusi dalle

autorità con i più turbolenti ebrei (la distruzione del Tempio di

Gerusalemme e il soffocamento della rivolta ebraica da parte di Vespasiano

e Tito avvenne nel 70 d.C., pochi anni dopo la crocifissione di Gesù), e la

periodica necessità, da parte delle istituzioni politiche romane, di dover

trovare dei “capri espiatori” per poter gestire i periodi di crisi attraversati

dall’impero; non è un caso che uno dei periodi più bui per la comunità

cristiana sia coinciso proprio con la crisi del III secolo d.C. 13

A tutto ciò è da aggiungere anche la profonda incomprensione da

parte di ampi strati della società romana che, per i valori e i costumi che la

permeavano, riusciva a stento a comprendere la nuova religione, la quale

veniva di conseguenza esposta al disprezzo delle elites intellettuali pagane,

oltre che ai pregiudizi del popolo. Come scrive Renato Del Ponte:

Diverse personalità del mondo culturale pagano ammirarono


sinceramente nei cristiani il disprezzo della morte, la temperanza nei
piaceri, il culto della verginità, il controllo delle passioni, degni di
veri filosofi: è il parere che traspare da alcune riflessioni contenute

13
Per quel che riguarda la politica romana nei riguardi dei culti dei popoli sottomessi, e
di quali fossero le motivazioni contingenti che la muovevano ora verso la tolleranza ora
verso la persecuzione, cfr. P. Garnsey e R. Saller, Storia sociale dell’impero romano,
Roma-Bari 1989, pp. 197-213.
8
nelle opere di un Epitteto o di un Galeno, filosofo e medico di corte
di Marco Aurelio. Ma il parere sfuma e si fa generalmente più
negativo nei teorici del neoplatonismo, da Plotino a Porfirio. Porfirio,
che confutò le idee dei cristiani dal punto di vista dottrinario in
numerose opere – soprattutto nel Contro i cristiani intorno al 270 –
nell’opera La filosofia secondo gli oracoli, di cui restano pochissimi
frammenti, afferma di aver consultato gli dèi sul nuovo fenomeno
religioso dei seguaci di Cristo e di averne riportato, tra l’altro, questo
giudizio di Ecate (Kore-Persefone):
“Tu sai che l’anima immortale va via, morto il corpo e,
staccata dalla sapienza, va errando per sempre. Quell’anima [di
Cristo] è di un uomo di grandissima pietà e quest’anima adorano i
cristiani ignoranti… altre anime alle quali i fati stessi non concessero
i doni degli dèi e la cognizione di Giove immortale. Perciò essi sono
in odio agli dèi… Ma egli [il Cristo] è pio e come altri pii andò in
cielo. Perciò tu non lo bestemmierai, ma avrai compassione della
stoltezza degli uomini.”
Il documento è interessante, perché dimostra come nella
coscienza del pensiero religioso e filosofico del tempo fosse iniziata
una riflessione volta a distinguere tra l’immagine del Cristo,
considerata perlopiù positivamente, ed i suoi seguaci, visti come una
banda di fanatici (tali li riteneva, nonostante Galeno, lo stesso Marco
Aurelio nei suoi Colloqui con se stesso).14

Si tenga presente che il giudizio di Porfirio risale ad un periodo in cui il

cristianesimo esisteva già da tre secoli, non trattandosi quindi di una

testimonianza dei primordi.15 Tuttavia i temi della critica al cristianesimo

qui elencati (una sostanziale condanna per fanatismo, ignoranza, e

superstizione, pur nel riconoscimento della pratica di virtù apprezzate

anche dal mondo romano come la continenza e il coraggio di fronte alla

morte, e un distinguo tra la figura del Cristo e quella dei suoi seguaci) si

14
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, Milano 1992, pp. 252-253.
15
Sul rapporto tra Porfirio e il cristianesimo, cfr. M.J. Edwards, Porphyry and the
christians, in: G.E. Karamanolis and A. Sheppard (ed.), Studies on Porphyry, London
2007, pp. 111-126.
9
ritrovano grosso modo anche negli autori precedenti, e possono essere

considerati una costante della polemica anti-cristiana da parte

dell’intellettualità pagana. Ai fini del presente studio, l’opinione di Porfirio

acquista anche una particolare importanza perché si tratta dell’opinione di

un contemporaneo di Lattanzio, le cui Diuinae institutiones si

configureranno anche come una confutazione del pensiero dell’illustre

filosofo neoplatonico.

L’irriducibile estraneità tra i valori della spiritualità più propriamente

romana e il cristianesimo è evidente se si tiene conto della concezione

essenzialmente “giuridica” della religione di Roma, 16 la quale concepiva il

rapporto col divino nei termini di una pax deorum in cui la comunità degli

uomini si guadagnava il favore degli dèi per il tramite di riti e sacrifici, a

loro volta essenziali alla sussistenza di questi ultimi. Il mondo degli uomini

e il mondo degli dèi erano così considerati come legati da un rapporto di

interdipendenza (in effetti, il significato letterale della parola religio è, per

l’appunto, “legare”) nel quale il bene dell’uno era implicato dal bene

dell’altro, e dove non c’è posto per concezioni soteriologiche o

devozionali, che entreranno nella mentalità romana solo con l’introduzione

dei culti misterici di origine greca e orientale, e dello stesso cristianesimo.

Scrive ancora Del Ponte:

16
Oltre al già citato volume di Del Ponte, in merito alla religione romana cfr. anche il
fondamentale G. Dumézil, La religione romana arcaica, Milano 2007.
10
[…] La religione romana non ha conosciuto ad ogni livello né
rivelazioni, né libri sacri, né speciali vie iniziatiche di salvezza. Col
tramite dei sacerdoti dello Stato, essa trasmetteva essenzialmente
norme rituali, l’esattezza dei cui particolari era comunicata
ritualmente. […] L’operatività insita nel concetto di religio era così
sinteticamente espressa da Servio: “I nostri antenati, infatti, venendo
a capo della religione, riponevano tutto nella pratica (experientia).
Sallustio dice: gli aiuti degli dei non si ottengono né con i voti né con
le suppliche delle donne: col vegliare e col darsi da fare ogni cosa
giunge a buon fine”.
[…] Si comprende così facilmente come ogni restaurazione religiosa
a Roma avesse preso l’aspetto di una restaurazione rituale. […] In
ciò consisteva l’autentica pietà religiosa: nello ristabilire pienamente
la pax deorum messa in forse negli ultimi tempi della Repubblica
(col funesto risultato delle guerre civili), obbligando lo Stato ad
osservare in tutto e per tutto i suoi doveri tradizionali nei confronti
degli dèi. […] L’introduzione di nuove divinità nella città va dunque
inquadrata in quest’ottica. Se il senato (ed il suo braccio religioso,
costituito dai quindecemviri sacris faciundis) non negava il suo
consenso, era risolta ogni difficoltà, tranne quella, pratica, di
inquadrare ritualmente il nuovo culto nello spazio e nel tempo
religioso della città”.17

17
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, pp. 244-245. Cogliamo l’occasione per
precisare che, a parere dello scrivente, l’idea dell’esistenza di differenti forme di
spiritualità esistenti nella più generale percezione del sacro non deve indurre a cedere a
suggestioni di impronta nietzschiana o evoliana (o presunte tali) tese a stabilire una
gerarchia qualitativa tra tradizioni spirituali e, di conseguenza, tra popolazioni che le
adottano, con il rischio di pericolosi e facilmente prevedibili esiti di natura politica.
L’opinione dello scrivente in merito a velleità tese a distinguere presunte forme di
spiritualità “nobili” da opposte spiritualità “plebee” è riassunta dalla seguente citazione,
della cui lunghezza ci scusiamo fin d’ora, ma che riteniamo utile riportare onde non
generare equivochi: “La fisima dell’eugenetica razziale è creazione esclusivamente
moderna e ignota (tranne limitate eccezioni) all’antichità, le cui creazioni migliori,
come l’Ellenismo, nascevano sempre da un contatto di culture diversissime: […] è
quanto mai palese come per gli antichi distinzioni come ario o semitico fossero prive di
validità; queste fanno parte invece (lo ripeteremo sino alla noia) di una mentalità
moderna e di una metodologia scientificamente non valida che esalta una
caratterizzazione etnico-culturale in opposizione ad un’altra. Questa metodologia si
preoccupa dell’eugenetica dei popoli ariani ma probabilmente ignora che il termine ario
non indicava all’origine la totalità dei popoli indoeuropei ma solo l’aristocrazia
guerriera. […] Assunti di tale natura, di netta filiazioni evoliana, andrebbero totalmente
rivisti per operare finalmente una sana profilassi culturale che elimini tutta una serie di
categorie come solare/lunare, apollineo/dionisiaco, olimpico/estatico parimenti
improponibili o meglio, non considerabili come in opposizione ma come aspetti di una
medesima realtà. Non esistono spiritualità totalmente solari e altre totalmente lunari e
11
E’ in quest’ottica che si possono giustificare fenomeni come le fasi (non

sempre incruente) che hanno portato all’incorporazione all’interno della

vita religiosa dello stato di culti come quelli di Iside, di Demetra o di

Mithra, o viceversa azioni come la repressione dei baccanali (senatus

consultum de bacchanalibus del 186 a.C.) e le stesse persecuzioni dei

cristiani. Nel suo Apologeticum (V, 2), Tertulliano riporta la seguente

testimonianza:

Tiberio dunque, al tempo del quale il nome “cristiano” entrò nel


mondo, trasmise al senato, che aveva la prerogativa di pronunciarsi
in materia, le cose che gli erano state comunicate dalla Siria Palestina
e avevano rivelato la verità della divinità di Gesù. Il senato, poiché
era di parere contrario, la respinse.18

Si ha così testimonianza di come anche il nuovo dio dei cristiani dovette

passare attraverso l’iter di accoglimento all’interno del mondo romano dei

culti stranieri, e di come l’esito iniziale fu un respingimento con la

conseguente classificazione del cristianesimo come superstitio illicita.

Questo ovviamente non significa che, da quel momento, sopraggiunse una

impossibilità pratica dell’essere cristiani all’interno dell’impero romano,

gli studi di Eliade e Coomaraswamy hanno dimostrato che il pensiero arcaico, articolato
in simboli, conosce ambedue le polarità, la cui dialettica costituisce la scintilla di ogni
esistenza umana: è la lotta dell’Aquila e del Serpente, del principio igneo e di quello
umico, che illustra con la potenza dell’immagine come la vita si origini da questo
contrasto così violento. […] Proprio per questa puntualizzazione è sbagliato dividere la
storia delle civiltà in periodi di spiritualità lunari, solari, tellurico-ctonie e via
discorrendo, poiché tutte queste modalità dell’essere coesistono insieme e conferiscono
ai simboli quel carattere di ambivalenza che illustra lo sforzo di totalizzazione del
pensiero degli antichi” (cit in A. Piras, Georges Dumézil e i problemi
dell’indoeuropeistica, in “Quaderni di Avallon” n. 5, Rimini 1984, pp. 185-194).
18
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, p. 252.
12
ma è indubbio che il rifiuto di un riconoscimento ufficiale della legittimità

teorica del poterlo essere determinò, quando le circostanze lo favorirono,

sporadici atti più o meno lunghi (e più o meno intensi) di persecuzione.

Sono note, a tal proposito, la persecuzione neroniana nella quale i cristiani

divennero la vittima designata per trovare dei responsabili dell’incendio

che distrusse Roma nel 64 d.C., oppure la persecuzione di Decio del 250

d.C., che trova una sua spiegazione nella crisi attraversata dall’impero nel

III secolo; difatti, da una parte le incertezze esistenziali che questa generò

favorì l’aumento delle conversioni al cristianesimo, ma dall’altra, la

politica imperiale volta ad affrontare la crisi proprio attraverso una riforma

delle istituzioni che si richiamasse all’ideologia della pax deorum e al culto

dell’imperatore inteso come strumento di coesione interna, implicò un

inasprimento di condotta verso l’accresciuta comunità ecclesiale.19

Durante il breve impero di Gallieno (262 – 268 d.C.) si assistette ad

una revoca degli editti anti-cristiani, sancendo così il passaggio della fede

cristiana a religio licita (ma sempre all’interno dell’ordinamento pagano

della pax deorum). Tuttavia le persecuzioni continuarono sotto Diocleziano

e, soprattutto, sotto il suo successore Galerio, il cui tremendo editto del 303

(che determinò la distruzione delle chiese, il rogo dei testi sacri e liturgici,

l’obbligo del sacrificio pagano ai sacerdoti cristiani e la sottoposizione ad

infamia dei cristiani di ceto abbiente) può essere considerato il colpo di

19
Cfr. G. Geraci e A. Marcone, Storia romana, Firenze 2004, p. 230.
13
coda finale delle persecuzioni anti-cristiane. Esso fu di breve durata, e non

ebbe i medesimi effetti in ogni regione dell’impero; nella Gallia e nella

Britannia guidate da Costanzo Cloro (fedele al monoteismo solare a

probabile simpatizzante dei cristiani), l’editto di Galerio rimase

sostanzialmente lettera morta per quel che riguarda le persone, essendo

piuttosto limitato alla sola distruzione delle chiese. Sarà col figlio di

quest’ultimo, il famoso imperatore Costantino, che il periodo delle

persecuzioni cesserà definitivamente (se si esclude la breve parentesi di

restaurazione pagana di Giuliano “l’Apostata” del 361 – 363 d.C., che

tuttavia è da considerarsi più come una contrapposizione che come una

vera e propria persecuzione – anche in considerazione della forza che la

Chiesa aveva oramai acquisito). L’editto di Milano del 313 d.C. stabilirà la

concessione definitiva della tolleranza alla fede cristiana, e la futura

politica dell’imperatore e dei suoi successori si sposterà sempre più nel

segno di un filo-cristianesimo che sfocerà nel 380 d.C., sotto l’impero di

Teodosio, alla proclamazione del cristianesimo come religione ufficiale

dell’impero. Da quel momento, il paganesimo si ritirerà sempre più sulla

difensiva, passando da persecutore a perseguitato, fino a quando la

chiusura, nel 529 d.C., della scuola di Atene (fondata mille anni prima

dallo stesso Platone) non sancirà simbolicamente il definitivo tramonto

dell’antica religione.20

20
Ovviamente questa è una affermazione più simbolica che sostanziale, e relativa alla
14
Ma com’è stato possibile che la religione cristiana sia riuscita a

trionfare in questo modo, passando da superstitio illicita secondo i canoni

della religione romana tradizionale a santissima lex su cui far reggere la

legittimità stessa dell’imperium di Roma nei riguardi dei popoli della terra?

Una prima risposta è certamente da ricercare nell’evoluzione della

spiritualità romana che, attraverso le conquiste militari, assorbì diversi

elementi religiosi provenienti dalla Grecia e dalla regioni orientali

dell’impero, culla di civiltà più antiche e culturalmente più evolute di

quella romana. Così, accanto alla sobria e austera spiritualità “giuridica”

incarnata dai guerrieri-pastori della Roma dei padri fondata sulla pax

deorum, si affiancarono ben presto una serie di culti misterici e di salvezza

fondati su divinità straniere come Iside, Orfeo, Bacco e Mithra, che

determinò il sorgere di un sincretistico crogiuolo di fenomeni religiosi assai

eterogenei. Gli stessi imperatori, che pure dovevano essere i garanti della

pax deorum tradizionalmente intesa, furono spesso i primi ad immergersi in

questo clima culturale, come testimoniano la devozione di Commodo per

Iside e Mithra, il culto di Serapide sotto i Severi, o la breve parabola di un

religione pagana come realtà vivente secondo una ben definita coloritura “classica”. Il
discorso diventerebbe sicuramente più complesso se prendessimo in esame la questione
delle sopravvivenze sotterranee in cui l’antica religione si è perpetuata in varie forme
fino ai giorni nostri (si pensi solo, per restare nell’ambito del folklore e della religione
popolare friulana, ai casi delle tradizioni natalizie dei pignarûl e dei krampus –
manifestazioni tardive rispettivamente degli antichi fuochi rituali celtici e delle “cacce
selvagge” – oppure alle reminiscenze sciamaniche presenti nel fenomeno dei
benandanti), ma questo è un lavoro che esula dagli obiettivi del presente studio.
15
imperatore come il siriaco Elagabalo, che fece collocare sul colle Palatino

la pietra nera sulla quale veniva venerato il dio del sole di Emesa.21

La vicenda del giovane Elagabalo si risolverà in modo assai rapido e

sfortunato, ma l’avvento del culto del dio-sole a Roma fu destinato ad una

maggior fortuna e longevità, ancora oggi evidente se solo si pensa al fatto

che la sua più importante festività è giunta fino ai nostri giorni, seppur

dietro la maschera della celebrazione della nascita di Gesù. Già Aureliano,

appartenente alla stirpe dei cosiddetti “sovrani illirici” e fautore tra i più

intransigenti della divinizzazione della figura dell’imperatore, aveva visto

nel culto del dio-sole uno strumento per agevolare quel processo di

accentramento ideologico intorno al concetto “metafisico” della aeternitas

Romae,22 e la studiosa Marta Sordi scrive a tal proposito:

Il sincretismo solare, sviluppando le premesse poste nell’età


severiana, mira a creare, nell’idea di un summus deus dai molti nomi,
l’unità religiosa di un impero rigorosamente pluralistico; in cui la
polemica ideologica e la lotta delle idee, respinte dal terreno politico,
si sviluppano e si affermano nel libero confronto culturale. 23

Pertanto, il passaggio di consegne dalla religione romana arcaica al

cristianesimo può forse essere spiegato dalla congiuntura causata

dall’avvento a Roma dei culti di salvezza orientali (che hanno reso

21
Il fenomeno del culto degli aeroliti è una costante della spiritualità siriaca e semita, ed
un eco di ciò è osservabile ancora oggi nei riti del pellegrinaggio annuale compiuti
intorno alla pietra nera posta all’interno della Ka’ba, nella città santa musulmana de La
Mecca.
22
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, p. 248.
23
Cit. in M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Milano 1983, p. 153.
16
familiare una concezione soteriologica della religione precedentemente

sconosciuta) e dall’affermarsi di un “monoteismo solare” promosso da

diversi imperatori come instrumentum regni (il che, sia detto di sfuggita,

non implica necessariamente che ad esso non si accompagnasse, da parte di

chi lo propugnava, una parimenti sincera devozione) che, quando il

cristianesimo inizierà ad acquisire un sempre maggiore peso numerico – e

quindi politico – renderà in discesa la strada alle politiche filo-cristiane.24

Tuttavia i cristiani dell’epoca giudicarono il trionfo del cristianesimo

in un modo molto più coerente con la loro visione dell’uomo e del mondo,

attribuendo il trionfo sul paganesimo alla provvidenza divina e segnando,

con le loro riflessioni in merito, l’origine di una storiografia di

impostazione specificamente cristiana:

Quella che da parte di Costantino si configurava come un’ardita,


ancorché ponderata, mossa politica mirante a integrare l’efficiente
organizzazione della chiesa nella struttura claudicante dell’impero,
da parte cristiana fu avvertita come il trionfo della lunga lotta della
verità contro l’errore, della chiesa di Cristo contro i demoni protettori
delle religioni pagane.
Un tale rapido e sconvolgente susseguirsi di eventi invitava
alla riflessione mirante a interpretare i fatti in chiave religiosa, cioè
provvidenzialistica, ma induceva anche a ripercorrere col pensiero i
tempi passati al fine di considerare unitariamente la lunga vicenda di
un rapporto, quello tra chiesa e impero, che con esiti alterni ormai si
prolungava da circa tre secoli: favoriva, in altri termini, l’attivazione

24
Ovviamente il monoteismo solare non è necessariamente da considerarsi un “alleato”
del cristianesimo. Tra i più acerrimi avversari ideologici della fede cristiana troviamo
filosofi neoplatonici, come Porfirio, che si pongono anch’essi nel solco di una
religiosità solare, e l’imperatore Giuliano farà proprio di questa declinazione della fede
pagana lo stendardo per combattere più efficacemente la battaglia contro il
cristianesimo, nel suo infruttuoso tentativo di restaurazione del paganesimo.
17
della memoria e la conseguente valutazione in chiave storica degli
eventi. Non è stato un caso che proprio ora, a cavallo tra il III e il IV
secolo, abbia avuto origine con Lattanzio ed Eusebio, cioè sia in
occidente che in oriente, la storiografia cristiana. 25

II. Biografia di Lattanzio.

La vita di Lucio Cecilio (o Celio) Firmiano Lattanzio è per lo più

avvolta nell’oscurità. Di lui sappiamo che nacque in Africa (probabilmente

a Cirta)26 intorno al 250 d.C., e che fu discepolo del retore Arnobio.27

Chiamato da Diocleziano ad insegnare retorica a Nicomedia (Bitinia), che

era stata da poco scelta come nuova capitale in virtù dell’importante

posizione strategica, si ritrovò in questa città grecofona ben presto a corto

di discepoli, e fu costretto pertanto a vivere una vita indigente,

guadagnandosi da vivere come scrittore.28 Col sopraggiungere della

persecuzione dioclezianea del 303 d.C. Lattanzio, che si era convertito al

cristianesimo, dovette abbandonare l’insegnamento e allontanarsi dalla

stessa città l’anno successivo. Ritornato a Nicomedia nel 306 d.C. in

seguito all’editto di tolleranza di Galerio, sulla sua vita scende una cappa di

mistero fino a al 315 d.C. quando, in un impero oramai reso sicuro per i

25
Cit. in M. Simonetti e E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, Casale
Monferrato 1999, p. 204.
26
Il rinvenimento di un’iscrizione che menziona un certo L. Caecilius Firmianus, ha
condotto qualcuno alla conclusione che la famiglia di Lattanzio fosse originaria di
questa città. Pare del tutto infondata, invece, l’ipotesi che il nostro sia originario di
Fermo, in Italia
27
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 205.
28
Cfr. ivi.
18
cristiani dall’editto di Milano, venne convocato a Treviri dall’imperatore

Costantino, affinché facesse da precettore a suo figlio Crispo. Qui egli

morì, probabilmente prima della condanna a morte del suo discepolo,

intorno al 326 d.C.29

La vita di Lattanzio si svolse quindi in un arco temporale denso di

avvenimenti per la comunità cristiana: nato nel periodo di sicurezza

intercorso tra gli imperi di Valeriano e Diocleziano, nel quale la fede

cristiana ebbe modo di diffondersi e, soprattutto, di organizzarsi, egli visse

in pieno la polemica i filosofi pagani, dovette subire la persecuzione sotto

Diocleziano, e infine assistere al trionfo della fede sotto Costantino. E’

quindi facile comprendere quanto già affermato sopra, ossia che il concitato

passaggio dalla persecuzione al trionfo non poté non suscitare proprio in

quegli anni una profonda riflessione sul senso da attribuire all’azione della

provvidenza divina nella storia, conducendo così alla nascita di quella

storiografia cristiana dei cui esordi Lattanzio è, insieme ad Eusebio di

Cesarea,30 uno dei più illustri esponenti.

L’opera di Lattanzio è andata in larga parte perduta, e il suo ricordo

ci è stato tramandato in special modo dalla testimonianza di Girolamo. Tra

le opere perdute sono da segnalare un Symposium risalente al periodo

africano prima del trasferimento a Nicomedia, un Hodoiporikon de Africa

29
Cfr. ivi.
30
Autore di una monumentale Storia della chiesa e di una Vita di Costantino. Sulla sua
figura cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, pp. 209-222.
19
usque Nicomedia che è proprio un resoconto di questo viaggio, 31 due libri

indirizzati ad un cristiano di nome Asclepide, e due raccolte di lettere

indirizzate rispettivamente a Severo e Demetriano.32 Girolamo ci informa

che egli compose anche un manuale di grammatica latina intitolato, per

l’appunto, Grammaticus, ed un De opificio homini. Nulla sappiamo delle

opere composte durante il periodo pagano, e secondo alcuni sono da

considerare sicuramente apocrifi un De resurrectione e una Passio

Dominis.33 Girolamo cita anche un De aue phoenice (“l’uccello fenice”,

noto simbolo del Cristo risorto), un carme in distici elegiaci la cui

attribuzione a Lattanzio è dibattuta.34

Le opere sicuramente lattanziane giunte fino a noi sono invece le

seguenti:35

1. De opificio Dei (303 d.C. circa)

2. Diuinae institutiones (composte all’incirca tra il 304 e il 311

d.C.)

3. De ira Dei (313 d.C. circa)


31
Cfr. ivi, p. 205.
32
Cfr. ivi, p. 208.
33
Cfr. la voce “Lactantius” in: AA.VV., The catholic encyclopedia (volume 8), New
York 1910.
34
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 208.
35
Per quanto riguarda le traduzioni in lingua italiana dell’opera lattanziana, è da
segnalare innanzitutto U. Boella (a cura di), Divinae institutiones; De opificio dei; De
ira dei / Lattanzio, Firenze 1973. Le “Diuinae institutiones” sono state tradotte anche da
G. Mazzoni (Siena 1936-1937), mentre il “De mortibus persecutorum” è stato curato da
G. Mazzoni (Siena 1930) e M. Spinelli (Roma 2005). Infine, il “De ira Dei” è stato
tradotto da Cantagalli (Siena 1929) e da L. Gasparri (Milano 2011).
20
4. De mortibus persecutorum (318 – 321 d.C. circa)

L’opera di Lattanzio è caratterizzata da un tipico stile da retore, e da

un latino molto elegante e fortemente influenzato da Cicerone, elemento

che sarà all’origine della fortuna e degli elogi di Lattanzio presso gli

studiosi umanisti.36 A ciò va aggiunta anche la segnalazione di un’evidente

carenza dottrinale, tale da giungere ad affermazioni al limite dell’eresia, 37

che del resto costituisce un fatto non insolito nella cristianità latina di quel

periodo:

Le carenze della preparazione specificamente cristiana di Lattanzio,


sopra rilevate, rappresentarono un fatto tutt’altro che isolato
nell’ambito della cristianità di lingua e formazione latina in quel
tempo e anche dopo: Arnobio ha rivelato più o meno analoghe
carenze, alcuni decenni dopo Mario Vittorino presenterà forti
scompensi tra una completa formazione platonica e una difettosa
conoscenza dell’Antico Testamento, e su questa base si possono
ipotizzare facilmente molti casi simili, anche se non significativi a
livello letterario: in effetti il cristianesimo cominciava allora ad
imporsi largamente come fatto di religione e di morale, sì che i
neoconvertiti, anche se dotati di buona formazione scolastica,
facilmente non avvertivano l’esigenza di approfondirlo culturalmente
e sovente trascuravano un’adeguata formazione scritturistica,
soprattutto quanto all’Antico Testamento. In Lattanzio, di cui ci resta
una documentazione scritta, la carenza è riscontrabile, tanto più in
quanto crea uno scompenso evidente tra l’insufficienza di contenuti

36
A proposito della questione della fortuna di Lattanzio presso i posteri, è curioso
osservare come, secondo lo studioso Jeffrey Burton Russell, le opere di Lattanzio
abbiano contribuito allo sviluppo dell’idea della “Terra piatta”. Difatti, mentre la
testimonianza di Plinio nella sua Storia Naturale riporta che gli antichi credessero
comunemente al fatto che la Terra fosse un globo, la chiesa antica e medievale
abbandonò generalmente tale assunto, basandosi sulla negazione, fondata nell’esegesi
biblica, dell’impossibilità dell’esistenza degli “antipodi”. Cfr. J.B. Russell, Inventing the
Flat Earth: Columbus and Modern Historians, New York 1991, p. 32.
37
Nei fatti, la dottrina esposta da Lattanzio risulta essere un intricato amalgama di
cristianesimo, platonismo, stoicismo e pitagorismo. A tal proposito, cfr.: R.M. Ogilvie,
The Library of Lactantius, Oxford 1978, p. 96.
21
soprattutto di carattere tecnico e l’eccellenza della forma, che gli ha
valso il titolo di Cicerone cristiano.
Egli infatti, come dimostrano le critiche da lui mosse a
Tertulliano e a Cipriano, si è posto il problema di come comunicare
un contenuto cristiano a lettori pagani che potevano incontrare
difficoltà sia nell’oscurità espressiva del primo sia nell’abbondanza
di termini tecnicamente cristiani del secondo. In questo senso
Lattanzio ha cercato di ridurre al minimo indispensabile i neologismi
e dispiegarli nel contesto, in uno sforzo di chiarezza che non a torto
ha considerato essenziale nel dialogo intrecciato col lettore non
ancora cristiano. A tal scopo si è giovato di una forma piana e
scorrevole e insieme curata ed elegante, ispirata a Seneca e a
Cicerone. Il che peraltro non implica affatto un atteggiamento di
apertura verso la cultura pagana quale abbiamo riscontrato in
Giustino e in Clemente: anche se di fatto Lattanzio, come abbiamo
visto, può compensare molto imperfettamente e poco coerentemente
le sue carenze di formazione specificamente cristiana soltanto
facendo ricorso a testi pagani, a livello di teoria la sua condanna è
radicale. A differenza di quelli egli non cerca un qualche accordo con
la filosofia greca perché essa, legata alla corruzione dell’uomo, non
ha possibilità di conoscere la verità che solo Dio ci ha rivelato. 38

L’oggetto del De opificio Dei, dedicato ad un ricco ex-allievo di fede

cristiana chiamato Demetriano, è la provvidenza divina, ed è soprattutto

una confutazione della filosofia epicurea tendente a negare un’azione o un

interesse della divinità nel mondo. Per Lattanzio quest’ultima idea è

chiaramente smentita dal fatto che Dio agisce nella storia, punendo i

malvagi e i persecutori della fede cristiana. La stessa analisi della struttura

fisica dell’essere umano diventa una prova dell’esistenza della

provvidenza, che si manifesta all’uomo attraverso la contemplazione della

perfezione del disegno divino.

38
Cit. in Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, pp. 207-208.
22
Sullo stesso tema della provvidenza dimostrata dalla punizione dei

malvagi si pongono il De ira Dei (che confuta la filosofia stoica ed

epicurea asserendo che la collera divina sia un atto di giustizia mirante a

ripristinare l’ordine cosmico compromesso dall’insorgere e dal temporaneo

prevalere del male)39 e, soprattutto, il De mortibus persecutorum, opera

nella quale si inserisce un primo tentativo di filosofia della storia di matrice

cristiana e un nuovo rapporto con l’istituzione imperiale, assistendo ad una

riproposizione in termini cristiani dell’antico concetto romano della pax

deorum. Difatti il vecchio tema della fortuna dello stato associata al buon

rapporto con la divinità viene letto nel senso dell’adesione alla verità

cristiana e alla fedeltà a Cristo, e prova di ciò è offerta proprio dal periodo

aureo inaugurato con Costantino. 40 Viceversa, gli imperatori persecutori

vengono dipinti come cattivi imperatori, che la provvidenza non ha

mancato di punire in una maniera o nell’altra. 41 L’opera si caratterizza,

oltre che per il suo taglio prettamente storico (ancorché ricco di

imprecisioni), per il tono fortemente violento e apologetico.

Ad ogni modo, il lavoro più importante della produzione letteraria di

Lattanzio è sicuramente costituito dalle Diuinae institutiones. L’opera,

scritta per rispondere agli attacchi degli intellettuali pagani Ierocle e


39
Cfr. G. Monaco, G. De Bernardis e A. Sorci, L'attività letteraria nell'Antica Roma,
Palermo 1982, p. 502.
40
Per quell che concerne il ruolo di Lattanzio all’interno della politica religiosa
costantiniana, cfr. E. De Palma Digeser, The making of a christian empire: Lactantius
and Rome, 2000.
41
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 205.
23
(probabilmente, perché non viene espressamente menzionato) Porfirio, 42

venne concepita per essere una summa del sapere cristiano e fu, su richiesta

dell’amico Pentadio, rivista e sintetizzata in una successiva Epitome.

Questo immenso lavoro si suddivide in sette libri, tre dei quali dedicati alla

critica del politeismo e della filosofia, mentre gli ultimi quattro

all’esposizione della sapienza cristiana, ma lo scopo certamente ambizioso

non è sempre in grado di onorare il livello a cui aspira:

Nonostante l’evidente e dichiarata ambizione, l’opera è riuscita


molto ineguale: è più efficace quando critica il politeismo pagano e
soprattutto quando discute di tematiche di carattere morale e sociale,
dove l’influsso stoico, derivato da Cicerone e da Seneca, si compone
bene e si esalta per il supporto e lo sviluppo fornito dalla prospettiva
cristiana nel presentare il fine ultimo dell’uomo e la sua capacità di
realizzarlo. Dà invece a vedere forti carenze, confermate da altri
scritti lattanziani, sotto l’aspetto dottrinale. In effetti Lattanzio
conosce ben poco dell’Antico Testamento e anche poco di letteratura
cristiana, forse soltanto i tre autori che nomina, e di Tertulliano non
certo i trattati più tecnici, sì che quando nel libro IV tocca argomenti
teologici, li illustra facendo ricorso proprio alla sapienza profana la
cui insufficienza aveva tanto eloquentemente stigmatizzato nel libro
III, soprattutto a Platone, al Corpus Hermeticum e ai Libri Sibillini:
ne è risultata una teologia dualistica, arcaica in quanto di lontana
derivazione giudeocristiana, affermante che Dio ha creato due spiriti,
uno il Figlio e l’altro che tralignando è diventato il demonio.
Apprezza lo spiritualismo platonico ma è millenarista e addirittura
presente talvolta Dio con tratti antropomorfi. 43

Riassumere le Diuinae institutiones è un’impresa assai ardua se non

impossibile nel poco spazio che è possibile riservare in questa sede

42
Cfr. ivi, p. 206.
43
Cit. in: ivi, p. 206-207.
24
all’opera nella sua interezza. Un’idea precisa dei suoi contenuti può

comunque essere facilmente esperibile dalla lettura dei titoli posti al

principio di ogni capitolo, che abbiamo tradotto di seguito:

Libro I: A proposito del falso culto degli dèi.


L’enorme importanza che la conoscenza ha sempre rivestito – La
religione e la sapienza – La provvidenza negli eventi umani – A
proposito del fatto se l’universo sia governato da uno o da molti dèi –
La profezie dei profeti a proposito dell’unico Dio – La testimonianza dei
poeti e dei filosofi – A proposito delle testimonianze divine, e delle
predizioni delle sibille – A proposito delle testimonianze di Apollo e
degli dèi – Dio è senza un corpo, e non ha bisogno di avere un sesso
specifico per procreare – La vita e la morte di Ercole – La vita e le gesta
di Esculapio, Apollo, Nettuno, Marte, Castore e Polluce, Mercurio e
Bacco – L’origine, la vita, il regno, il nome e la morte di Giove, Saturno
e Urano – La trasformazione delle finzioni poetiche in sistemi filosofici
da parte degli stoici – Di quanto siano vane le interpretazioni stoiche
sugli dèi e sull’origine di Giove, Saturno e Opi – Cosa insegnano
Evemero ed Ennio riguardo agli dèi – Come fu che coloro che una volta
erano uomini vennero elevato al rango di divinità – Gli argomenti coi
quali si dimostra che chi ha una distinzione di genere non può essere un
dio – A proposito della medesima opinione degli stoici, e della condotta
disdicevole degli dèi – La consacrazione degli dèi, e i benefici che
attribuiscono agli uomini – L’impossibilità di adorare parimenti il vero
Dio e le false divinità – Gli dèi dei romani, e i riti loro correlati –
Alcune divinità dei barbari e i riti loro correlati – Chi inventò la vanità
summenzionate in Italia presso i romani, e chi presso gli altri popoli –
Quando iniziarono le vane superstizioni.

Libro II: A proposito dell’origine dell’errore.


Di come il velamento della ragione renda gli uomini dimentichi del vero
Dio, che adorano nelle avversità e rinnegano nella prosperità – La causa
prima della fabbricazione delle immagini, le vere sembianze di Dio, e il
vero culto che gli spetta – L’errore di Cicerone e di altri sapienti nel non
correggere il loro popolo – A proposito delle immagini e degli
ornamenti dei templi, e come siano disprezzati dagli stessi pagani – Di
come solo Dio, il creatore di ogni cosa, sia degno di essere adorato in
luogo degli elementi e dei corpi celesti; e di come l’opinione stoica
secondo cui i pianeti e le stelle sono dèi venga confutata – La
confutazione dello statuto divino o vivente dell’universo e degli
elementi – A proposito di Dio, dei riti dei folli, dell’avarizia, e
25
dell’autorità degli antenati – L’uso della ragione negli affari religiosi, i
sogni, gli auguri, gli oracoli, e altri portenti simili – Il diavolo, il mondo,
Dio, la provvidenza, l’uomo e la sua sapienza – Le parti del mondo, gli
elementi, e le stagioni – Le creature viventi, l’uomo, Prometeo,
Deucalione, e le Parche – Confutazione della pretesa secondo cui gli
animali si riproducano spontaneamente, essendo invece frutto dei piani
divini, dei quali Dio ci avrebbe reso edotti se ciò costituisse una
conoscenza utile per l’essere umano – Perché l’uomo è diviso in
maschio e femmina, cosa sono la prima e la seconda morte, e le colpe e
punizioni dei nostri antenati – A proposito di Noè, l’inventore del vino,
che per primo ebbe la conoscenza delle stelle, e di quale fu l’origine
delle false religioni – A proposito della caduta degli angeli, e dei due
tipi di demoni – La mancanza di potere dei demoni su coloro che hanno
fede – La dimostrazione che l’astrologia e le pratiche affini sono
un’invenzione demoniaca – La pazienza e la vendetta di Dio,
l’adorazione dei demoni, e le false religioni – L’adorazione delle
immagini e dei corpi celesti – La filosofia e la verità.

Libro III: La falsa sapienza dei filosofi.


La comparazione della verità con l’eloquenza, il fallimento dei filosofi
nell’ottenerla, e la semplicità delle sacre scritture – La vanità della
filosofia nell’acquisizione della verità – Gli argomenti della filosofia, e
chi fu il fondatore della setta dell’Accademia – La sparizione della
conoscenza con Socrate, e le congetture di Zenone – La necessaria
conoscenza di molte cose – La sapienza, l’Accademia, e la filosofia
naturale – La filosofia morale e il Sommo Bene – Il Sommo Bene, i
piaceri dell’anima e del corpo, e la virtù - Il Sommo Bene, l’adorazione
del vero Dio, e la confutazione di Anassagora – La peculiare
caratteristica umana di conoscere e adorare Dio – La religione – la
sapienza, e il Sommo Bene – Il conflitto tra l’anima e il corpo, e il
desiderio della virtù per aspirare alla vita eterna – L’immortalità
dell’anima, la sapienza, la filosofia, e l’eloquenza – L’errore di Lucrezio
e altri, tra cui lo stesso Cicerone, nello stabilire l’origine della sapienza
– L’errore filosofico di Seneca, e l’incoerenza tra le parole dei filosofi e
la loro condotta di vita – la vita biasimevole dei filosofi che predicarono
il bene secondo la testimonianza di Cicerone, e di come ne consegue che
non ci si deve dedicare allo studio della filosofia – A proposito di
Epicuro, Leucippo e Democrito – La follia stoica e pitagorica del
predicare la morte volontaria – La maniera non credibile di Cicerone e
altri uomini sapientissimi di affermare l’immortalità dell’anima, e la
credenza secondo una morte buona o cattiva sia determinata da una vita
anteriore – Di come Socrate ebbe molta più conoscenza della filosofia
degli altri esseri umani, nonostante agì da folle in diversi frangenti – Il

26
sistema filosofico di Platone – I precetti di Platone, e le sue censure –
L’errore di alcuni filosofi, il sole e la luna – A proposito degli antipodi,
del cielo, e delle stelle – L’apprendimento della filosofia, e le grandi
qualificazioni che sono necessarie per il suo apprendimento – A
proposito del come siano da considerare istruzioni divine solo quelle
che portano con sé la sapienza, e di come la legge di Dio sia efficace –
A proposito di quanto poco i precetti dei filosofi contribuiscano alla
vera saggezza, che si può trovare solo nella religione – La vera religione
e la natura, la filosofia, e il fatto se la fortuna sia una dea – Ancora sulla
fortuna, e sulla virtù – La conclusione di quanto detto in precedenza, i
motivi per i quali bisogna convertirsi dalla vanità della filosofia alla
vera sapienza, e la conoscenza del vero Dio, nel quale solo riposano la
virtù e la felicità.

Libro IV: La vera sapienza e la religione.


L’antica religione umana, la diffusione dell’errore, e i sette saggi della
Grecia – Dove si trovava la sapienza, e del perché Pitagora e Platone
non si accostarono agli ebrei – A proposito del fatto che sapienza e
religione non possono essere separate, e che il Signore della natura deve
necessariamente essere il Padre di ognuno – La sapienza, la religione, e
il diritto del Signore – Gli oracoli dei profeti e il tempo dei giudici e dei
re – La testimonianza delle sibille e di Trismegisto riguardo alla discesa
del figlio di Dio – Il nome del figlio, che è Gesù e Cristo – La nascita di
Gesù nello spirito e nella carne – La parola di Dio – L’avvento di Gesù,
le fortune e il governo degli ebrei fino alla sua passione – I motivi
dell’incarnazione di Gesù – La nascita di Gesù da una vergine, la sua
vita, morte e resurrezione, e la testimonianza dei profeti nei riguardi di
tutto ciò – La predizione del sacerdozio di Gesù – La vita e i miracoli di
Gesù, e le testimonianze ad essi relative – La passione di Gesù e le
profezie ad essa relative – Le superstizioni degli ebrei, e il loro odio
verso Gesù – La passione del Signore, e la sua predizione – La morte, la
sepoltura e la resurrezione di Gesù, e le predizioni di questi eventi - La
dipartita dalla Galilea di Gesù dopo la sua resurrezione, l’Antico ed il
Nuovo Testamento – L’ascensione al cielo di Gesù, e la sua predizione;
la predicazione e le azioni degli apostoli – Gli argomenti dei miscredenti
contro l’incarnazione di Gesù – A proposito del dare precetti, e
dell’agire – L’avvento di Gesù nello spirito e nella carne, e di come egli
sia il mediatore tra Dio e gli uomini – La croce e le altre torture subite
da Gesù, e il simbolo dell’agnello sotto la legge – I miracoli ottenuti per
mezzo del potere della croce, e i demoni – La speranza e la vera
religione, e la superstizione – La religione cristiana, e l’unione di Geùs
con il Padre – A proposito dell’evitare l’eresia e la superstizione, e di
cosa sia la sola vera chiesa cattolica.

27
Libro V: La giustizia.
A proposito dell’innocenza di un accusato fino a che non si siano udite
le sue ragioni, e il primo avvocato della religione cristiana – Gli attacchi
contro la verità cristiana – La verità della religione cristiana e la vanità
dei suoi avversari; la confutazione dell’accusa secondo cui Cristo fu un
mago – Le motivazioni della pubblicazione di quest’opera, e a proposito
di Tertulliano e di Cipriano – L’esistenza della giustizia sotto il regno di
Saturno, e la sua fine con l’avvento del regno di Giove – I vizi che
hanno regnato a seguito del bando della giustizia – L’avvento di Gesù e
i suoi frutti, e le virtù ed i vizi di quest’epoca – Del fatto che la giustizia
è conosciuta da tutti ma non da tutti abbracciata, e che tutti i vizi
possono essere soggiogati – I crimini dei malvagi, e le persecuzioni
subite dai cristiani – La falsa pietà, e la false e la vera religione – La
crudeltà dei pagani nei riguardi dei cristiani – La vera virtù, i buoni e i
cattivi cittadini – La crescita e la punizione della comunità cristiana –
La fortezza d’animo dei cristiani – La sapienza, la pietà, l’equità, e la
giustizia – I doveri dell’uomo giusto, e l’equità dei cristiani – L’equità e
la sapienza dei cristiani – La giustizia e la saggezza – La virtù dei
cristiani e le persecuzioni da loro subite, e i diritti del Padre – La vanità
e il crimine delle superstizioni empie, e le persecuzioni subite dai
cristiani – L’adorazione degli altri dèi e il vero Dio, e gli animali adorati
dagli egiziani – La rabbia dei demoni contro i cristiani, e gli errori dei
miscredenti – La giustizia e la pazienza dei cristiani – La divina
vendetta inflitta ai persecutori dei cristiani.

Libro VI: La vera adorazione.


L’adorazione del vero Dio e dei falsi dèi – I vizi e le virtù, e le
retribuzioni del Paradiso e dell’Inferno – I piaceri e le asperità dello stile
di vita dei cristiani – La vera virtù e quella falsa – Il Sommo Bene e la
virtù, la conoscenza e la rettitudine - La via dell’errore e quella della
verità – Gli errori dei filosofi, e le variazioni della legge – La legge e i
precetti di Dio, la misericordia, e gli errori dei filosofi – Il culto di Dio e
la misericordia verso gli uomini; l’origine del mondo – Le persone alle
quali è fatta la grazia di un beneficio –I diversi generi di beneficio, e le
opere della misericordia – Il pentimento, la misericordia, e il perdono
dei peccati – Le affezioni e l’opinione degli stoici nei loro riguardi; la
virtù, i vizi, e la misericordia – Le affezioni e l’opinione dei peripatetici
nei loro riguardi – La confutazione dell’opinione dei peripatetici su
esposta; quale sia il corretto utilizzo delle affezioni, e quale sia il loro
utilizzo scorretto – Le affezioni, la pazienza, e il Sommo Bene dei
cristiani – Alcuni comandamenti di Dio, e la pazienza – Le affezioni, e
le tre furie – I sensi, i piaceri ad essi connessi, i piaceri della vista, e gli
spettacoli – I piaceri dell’udito, e la letteratura sacra – I piaceri del gusto

28
e dell’olfatto – La voluttà e la libidine, il matrimonio e la continenza – Il
pentimento, il perdono, e i comandamenti di Dio – I sacrifici, le offerte
a Dio, e le forme di adorazione.

Libro VII: La vita beata.


A proposito del mondo, e della fede degli uomini – L’errore dei filosofi,
la divina sapienza, e l’età dell’oro – La natura e il mondo, e la
confutazione degli stoici e degli epicurei – A proposito del fatto che
tutte le cose sono state create per una ragione, anche quelle che
sembrano malvagie, e della ragione umana – La creazione dell’uomo e
il Sommo Bene – Il motivo della creazione del mondo e dell’uomo, e la
totale inutilità del culto degli falsi dèi – La varietà dei filosofi e delle
loro verità – L’immortalità dell’anima – L’immortalità dell’anima, e la
virtù – I vizi e la virtù, la vita e la morte – Gli ultimi tempi, l’anima e il
corpo – L’unione dell’anima col corpo, la loro separazione e la loro
riunificazione – L’anima, e le testimonianze relative alla sua eternità – I
primi e gli ultimi tempi del mondo – Le devastazioni del mondo e
l’alternarsi degli imperi – La devastazione del mondo, e i prodigi ad
essa connessi – Il falso profeta, le difficoltà che imporrà ai credenti, e la
sua distruzione – Le fortune del mondo alla fine dei tempi, e le cose
profetizzate a tal proposito – La discesa di Cristo per il giudizio, e la
fine del falso profeta – Il giudizio di Cristo, dei cristiani, e dell’anima –
I tormenti e le punizioni delle anime – L’errore dei poeti, e il ritorno
dell’anima dalle regioni inferiori – La resurrezione delle anime, e le
prove di ciò – Il mondo rinnovato – I tempi ultimi, e la città di Roma –
La sconfitta del diavolo, e il secondo giudizio – Incoraggiamento e
conferma dei giusti.

Come si può notare, sono immediatamente evidenti nell’arco di tutta

l’opera l’ambizioso progetto enciclopedico nonché la costante polemica e

condanna della cultura pagana, in particolar modo della sapere filosofico

ripetutamente considerato nei termini di una falsa sapientia. Come già

precedentemente osservato, questo però non deve portare ad attribuire a

Lattanzio una condanna unanime dell’eredità passata, seppure non possa

certamente essere considerato come uno degli autori cristiani più aperti nei

suoi riguardi. In particolar modo, si ritrovano in Lattanzio una valutazione


29
positiva – probabilmente alquanto contraddittoria, considerato il giudizio

generale che invece riserva alla filosofia – degli aspetti della spiritualità

pagana in armonia con la fede cristiana come l’etica stoica o la concezione

platonica dell’anima (utilizzati anche in chiave apologetica, soprattutto in

considerazione del fatto che il retore africano si trova paradossalmente più

a suo agio con l’odiata cultura pagana che con le fonti scritturali della

propria stessa fede, spesso poco e male conosciute), e del patrimonio

retorico e stilistico dei grandi del passato, piegato a finalità di proselitismo.

Per di più, Lattanzio non esita ad utilizzare come prove scritturali le

rivelazioni del mondo pagano come quelle degli Oracula Sybillina o del

Corpus Hermeticum attribuito al mitico Ermete Trismegisto, e considerate

come precursori del cristianesimo.

Al di là di ciò, tutto il rimanente deposito della sapienza pagana è però

ispirazione demoniaca da condannare senza compromessi, considerata

all’origine (anche per il tramite della riproposizione dell’idea evemeristica)

dell’origine delle false religioni. La riflessione sull’operato dei demoni nel

mondo raggiunge il suo apice nel libro VII, che tratta di escatologia e

affronta la questione dell’avvento del regno dell’Anticristo. Volendoci ora

addentrare più dettagliatamente in tale questione è però necessario, prima

di proseguire, introdurre una breve panoramica del pensiero cristiano delle

origini intorno a questo oscuro personaggio.

30
CAPITOLO II

LA FIGURA DELL’ANTICRISTO NELLA TRADIZIONE

CRISTIANA DELLE ORIGINI.

I. Antecedenti ebraici della figura dell’Anticristo.

Sebbene successivamente appropriatasi di diversi motivi provenienti

dalle tradizioni pagane europee, è comunque impossibile sviluppare un

discorso coerente sulla demonologia cristiana in generale, e sulla figura

dell’anticristo in particolare, senza tener conto dei suoi antecedenti

appartenenti alla tradizione ebraica. A sua volta, parlare di demonologia

ebraica44 significa necessariamente parlare del problema del male e della

sua presenza nel mondo secondo la concezione ebraica, e quindi entrare in

un ambito estremamente eterogeneo e per nulla uniforme, trattandosi di una

evoluzione storica assai lunga e articolata.

La visione paradigmatica del male propria all’ebraismo sacerdotale è

quella di una separazione progressiva di elementi tra loro contrapposti,

dalla divisione luce/tenebra che costituisce il primo atto creativo descritto


44
Utilizziamo qui il termine “ebraico” in senso generale, per indicare la religione del
popolo d’Israele attraverso tutte le sue fasi storiche e dottrinali. Ad ogni modo,
tradizionalmente gli storici sono soliti distinguere la religione israelita in due fasi: la
prima, detta propriamente “ebraica”, riguarda la spiritualità del popolo d’Israele a
partire dall’epopea dei patriarchi del Genesi sino alla fine della monarchia e all’esilio
babilonese; la seconda, detta “giudaica”, ha invece inizio con l’esilio a Babilonia, e con
le conseguenze che tale evento ha avuto nella percezione che il popolo ebraico ebbe di
se stesso, delle proprie istituzioni, e del corpus delle proprie credenze religiose.
31
dal Genesi sino alla rigida regolamentazione puro/impuro sancita dalla

legislazione rituale (halakah).45 Lo stesso ordine cosmico è considerato

garantito dal rispetto di tale rigida divisione,46 e il male altro non è se non il

passaggio da tale ordine al disordine. 47

Col ritorno dall’esilio babilonese e l’instaurazione della riforma

esdrina, ha poi inizio una serie di movimenti di reazione, tra cui quello noto

col nome di “enochismo”, e latore di una nuova e radicale concezione

apocalittica.48 La più antica apocalittica nasce e si sviluppa così in ambienti

assolutamente estranei a quelli ufficiali del secondo tempio, e può essere

rintracciata per la prima volta in un Libro di Noè databile intorno alla fine

del V secolo a.C. e incluso nell’apocrifo Libro dei vigilanti. Quest’ultimo è,

a sua volta, l’ultimo dei libri che compongono il corpus della letteratura

enochiana, ossia di quella serie di testi apocrifi che, rifacendosi alla figura

del patriarca Enoch, sviluppano un’originale e complessa teologia che

introduce nell’ebraismo novità radicali, quali l’immortalità dell’anima e la

retribuzione ultraterrena, l’introduzione del male nel mondo a seguito del

peccato degli angeli, e soprattutto la visione dell’uomo come naturalmente


45
Cfr. P. Capelli, Il problema del male: risposte ebraiche dal secondo tempio alla
qabbalah, in I. Cardellini (a cura di), Origine e fenomenologia del male: le vie della
catarsi veterotestamentaria. Atti del XIV Convegno di Studi Veterotestamentari
(Sassone-Ciampino/Roma, 5-7 settembre 2005), Bologna 2007, p. 135.
46
Cfr. P. Sacchi, Storia del secondo tempio. Israele tra VI sec. a.C. e I sec. d.c., Torino
1994, pp. 421-428.
47
Cfr. G. Boccaccini, Oltre l’ipotesi essena. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo
enochico, Brescia 2003, pp. 137-140.
48
Cfr. E. Lupieri, Fra Gerusalemme e Roma, in G. Filoramo e D. Menozzi (a cura di),
Storia del Cristianesimo. L’Antichità, Bari 2008, p. 12; Boccaccini, Oltre l’ipotesi
essena, pp. 45-46.
32
peccaminoso, e quindi incapace di raggiungere la salvezza per mezzo della

sola osservanza della Legge. Questi sono tutti temi che saranno

parzialmente acquisiti dalla corrente farisea, e che sicuramente influiranno

prepotentemente nella nascita del messianesimo cristiano.

Secondo il Libro dei vigilanti,49 il male non è qualcosa creato

direttamente da Dio, ma è la conseguenza dell’introduzione nel mondo di

un principio di malvagità che ha origine da due eventi fondamentali: il

primo è la ribellione di sette stelle a seguire il corso per loro stabilito

dall’ordine divino (c. 18), e il secondo è il peccato compiuto da angeli

ribelli (c. 19) che, sfidando l’ordine divino, si erano uniti a delle donne e

avevano generato i “giganti” (nephilim).50 Oltre che di natura sessuale, il

peccato degli angeli assume anche una connotazione gnoseologica, poiché

il Libro dei Vigilanti afferma che gli angeli caduti insegnano alle loro

donne dottrine proibite quali l’astronomia o la medicina, corrompendo

irrimediabilmente l’umanità. Da parte loro, i giganti si trasformano in

esseri tirannici che opprimono l’umanità arrivando persino a berne il

sangue e divorarne le carni, ed è solo l’intervento di Dio, che invia le sue

legioni di angeli a sconfiggerli, e salvare il genere umano. Le anime

immortali dei giganti, tuttavia, continueranno da quel momento in poi a

vagare sulla Terra per tormentare gli uomini sotto forma di spiriti maligni.

49
Cfr. I Enoch, in P. Sacchi, Apocrifi dell’antico testamento, Torino 1981, pp. 413–667.
50
Cfr. T. Portera, Tra titani e angeli ribelli. I nephilim di Genesi 6,4, in “Mediaeval
Sophia”, n. I, Palermo 2007, pp. 63-80.
33
La doppia trasgressione di ordine celeste (disobbedienza delle sette

stelle) e di gerarchia tra creature (peccato degli angeli e avvento sulla terra

dei nephilim) comporta un vero e proprio “cambiamento del mondo”, e

tutto ciò contribuisce a creare una situazione nella quale non solo l’uomo si

è corrotto fisicamente e intellettualmente in una maniera tale da non essere

in grado di uscire da solo dalla propria miseria, ma è anche preda di un’età

oscura e caotica, dalla quale solo l’intervento divino può salvarlo. La natura

contaminata (cioè maligna secondo la rigida concezione separativa

dell’ebraismo, perché crea disordine nella rigida divisione tra angelico e

umano) dei giganti, mezzi uomini e mezzi angeli, investe quindi l’intero

creato e pertanto, anche in polemica con la riforma in senso etnico operata

dalla legislazione esdrina, non sono le donne straniere a essere causa

d’impurità, ma gli angeli caduti. Nessuno può definirsi davvero puro, e il

sacerdozio stesso perde così di ogni reale utilità; l’unica soluzione viene

vista in un intervento dall’alto e di natura escatologica da parte di Dio. 51

Ma che ruolo ha Dio nell’introduzione del male e dell’avvento di un

principio demoniaco sulla Terra? Come sottolinea il Capelli:

Fino a questo punto, il male non veniva considerato come parte del
piano di Dio per l’universo, ma piuttosto come una degenerazione
dovuta alla disobbedienza dell’uomo (secondo il racconto
sacerdotale) o degli angeli (secondo il racconto enochico). In un
modo o nell’altro, Dio era innocente. Ma se si accetta il postulato del
Dio uno e unico, diventa necessario ricercare le radici del male entro

51
Cfr. Boccaccini, Oltre l’ipotesi essena, pp. 139-143.
34
la personalità di Dio stesso: quel medesimo Dio che, secondo il
Deutero-Isaia, «dà il benessere e crea il male» (45,7).
L’aspetto maligno e demonico della personalità di Dio era ben
presente agli scrittori biblici più antichi: quel Dio che cerca
nottetempo di uccidere Giacobbe e Mosè, che indurisce il cuore del
Faraone, che perpetra di persona il massacro dei primogeniti
egiziani, che invia lo spirito maligno a Saul e che induce Davide a
fare il censimento del popolo al solo fine di punirlo per averlo fatto
(2Sam 24). La tradizione enochica, forse per influsso del dualismo
zoroastriano, proiettò gradualmente all’esterno la tensione interiore
di Dio, fino a che il suo lato malvagio venne personificato in un anti-
Dio indipendente da Dio.52 Questo anti-Dio governa con pieni poteri
su un intero regno, che è secondario rispetto a quello di Dio quanto
ad antichità ed estensione, ma è comunque del tutto indipendente
nell’organizzazione e nei fini. 53

E’ la nascita del Diavolo, inteso come entità tesa al male e operante

autonomamente54 verso la malvagità. Inizialmente tale entità non viene

considerata che nei termini di un “pubblico ministero” del tribunale celeste

senza alcuna connotazione particolarmente maligna. Egli ha già la funzione

di tentare l’umanità, ma questo non per una propria indole malvagia, bensì

perché esecutore delle prove che Dio manda agli uomini per saggiarne la

fedeltà. Un eco particolarmente importante di tale concezione è presente

52
A questo punto, l’auotre cita in nota J.B. Russell, Il diavolo nel mondo antico, Roma-
Bari 1989, pp.107-109.
53
Cit. in Capelli, Il problema del male, p. 138.
54
Nello studiare il materiale da noi raccolto per redigere la presente tesi, ci è parso di
cogliere talvolta una certa propensione (ed esempio, nel brano del Capelli citato sopra
nel testo) ad intendere l’autonomia dell’operato del Diavolo come assolutamente
indipendente dall’onnipotenza divina, che ne verrebbe in tal modo obiettivamente
limitata. Tale idea potrebbe forse essere accolta se vogliamo leggere nelle fonti un eco
di antiche eredità politeistiche antecedenti alla fissazione della concezione rigidamente
monoteista della religione ebraica, ma se si volesse invece intendere quest’ultima come
già acquisita, l’autonomia diabolica non può che essere considerata sempre e in ogni
caso come relativa, e cioè dipendente dal permesso divino. Rimane a questo punto il
problema teologico di come un Dio buono possa permettere il male, ma queste sono
problematiche che esulano dagli scopi del presente lavoro.
35
nella letteratura biblica all’interno del Libro di Giobbe (1, 6-12) in cui ha-

Satan (“il nemico”, termine in cui la presenza dell’articolo prima del nome

“satan” evidenzia il non trattarsi ancora di un nome proprio) viene

scatenato da Dio contro il pio Giobbe per verificare la sincerità e l’effettiva

origine della sua pietas.

Nel Primo libro delle cronache (21, 2), la parola “Satana” appare

invece senza essere preceduta dall’articolo determinativo 55 e, in altre fonti

extra-bibliche, la figura del “principe delle tenebre” acquisisce espliciti

tratti personali e ben definiti: nel Libro dei Vigilanti troviamo così la figura

di Azazel e, nel Libro dei Giubilei, il capo delle anime dei nephilim è

chiamato Mastema (“ostilità”). Infine, nella letteratura qumranica, e

precisamente nel Testamento dei 12 patriarchi, viene nominato Belial.56

Così, con la corrente enochiana e con Qumran si delineano

chiaramente i seguenti motivi, destinati a entrare a far parte

successivamente nel deposito spirituale dell’imminente cristianesimo

primitivo: A) la figura del Diavolo e delle sue legioni di demoni; B) la

responsabilità di questi ultimi per quel che concerne l’avvento del male nel

mondo; C) l’estrema debolezza dell’essere umano, che se anche non ha la

responsabilità diretta della presenza del male, non ha comunque la forza

per liberarsene da solo, rendendo quindi necessario un intervento salvifico

55
Cfr. Capelli, Il problema del male, p. 139.
56
Cfr. R.H. Eisenman e M. Wise, Manoscritti segreti di Qumran, Casale Monferrato
1994, pp. 53-56.
36
ed escatologico di origine divina. Il tema della responsabilità angelica e

non umana della presenza del male si fa comunque più sfumato negli

enochiani che, rispetto al rigido determinismo qumraniano,57 accolgono una

responsabilità circostanziale dell’uomo, riconosciuto come dotato di libero

arbitrio, e riconciliandosi così con la dottrina sacerdotale esposta nel

Genesi.

Per quanto riguarda la presenza di una figura più propriamente

anticristica, ossia di un essere umano che incarni al massimo livello i poteri

delle tenebre, e le conduca alla battaglia finale sulla Terra contro le forze

della luce, bisognerà attendere la riflessione cristiana per poter ritrovare

esplicitamente tale figura con le caratteristiche che le sono proprie ben

definite. Il riferimento al periodo di oscurità e di dominio satanico della

Terra antecedente alla restaurazione messianica viene posto, nel giudaismo

pre-cristiano, sotto il generico patronato di Belial e dei suoi demoni, e solo

successivamente (probabilmente per influsso dello stesso cristianesimo)

anche la tradizione ebraica indicherà chiaramente una figura anticristica

distinta, talvolta chiamata col nome di “Armilus”.58 Le figure presenti nella

letteratura biblica canonica che rimandano ad interpretazioni

anticristologiche saranno esplicitate come tali solo dalla successiva esegesi

57
Cfr. Capelli, Il problema del male, p. 141-142.
58
Cfr. J. Dan, The jewish antichrist and the origins of the origins and dating of the
Sefer Zerubbavel, in P. Shafer - M.R. Cohen, Toward the Millenium. Messianc
expectations form the Bible to Waco, Leiden-Boston-Koln 1998, pp. 73-104.
37
cristiana, com’è il caso del Libro di Daniele,59 in cui la figura di Antioco

IV Epifane assume i tratti di un malvagio re escatologico, venuto ad

instaurare un passeggero ma terribile regno di empietà prima del giorno

della resurrezione, e del Libro di Ezechiele, dove si parla dell’avvento di un

terribile Gog re di Magog.60 Questo tuttavia non significa, come si vedrà di

seguito, che la genesi della figura dell’Anticristo non possa essere

individuata già nella tradizione veterotestamentaria.

II. La riflessione cristiana sulla figura dell’Anticristo.

Per quel che riguarda l’Anticristo nel cristianesimo, anche in questo

caso ci troviamo di fronte ad una figura che non è immediatamente

riconoscibile nei tratti specifici che gli verranno attribuiti dalla successiva

tradizione, quanto piuttosto all’evoluzione di un concetto incarnante da

principio una mera funzione impersonale, e solo successivamente

personificato in un essere definito.

59
Cfr. Daniele 11, 21-45; 12, 1-2.
60
Cfr. Ezechiele 38-39. Il tema di Gog e Magog verrà ripreso e rielaborato dalla
successiva tradizione cristiana, ed echi della stessa riemergeranno anche nell’islam,
dove i due nomi indicheranno due popoli distinti, già imprigionati dal misterioso
personaggio di Dhu’l-Qarnayn (Alessandro Magno?) oltre una muraglia miracolosa,
dalla quale riusciranno a uscire alla fine dei tempi, seminando morte e distruzione fino a
quando non saranno sterminati dall’intervento diretto di Allah. Nell’escatologia
islamica tali eventi sono però posti dopo la morte dell’Anticristo e dello stesso Mahdi
(Cfr. Cook, Studies in muslim apocalyptic, pp 182-188). A proposito della lettura data
da una parte del mondo musulmano contemporaneo alle interpretazioni escatologiche,
cfr. S. Salzani (a cura di), Teologie politiche islamiche, Genova 2006.
38
Gli inizi dello studio moderno sulla dottrina dell’Anticristo possono

essere fatti risalire a due fondamentali saggi di H. Gunkel61 e W. Bousset,62

i quali ne fecero derivare la figura dall’arcaico mito cosmico babilonese del

drago, che si sarebbe perpetuato all’interno della tradizione giudaica prima

e cristiana poi sotto forma di una verità esoterica tramandata in circoli

segreti, in parte scomparsa e recuperabile solo in modo frammentario. 63

Anche B. Rigaux affermò con forza, negli anni ’30, l’origine

veterotestamentaria della tradizione relativa all’Anticristo.64

Gli studi sull’Anticristo hanno successivamente seguito lo sviluppo

degli studi relativi alla figura del Messia, e secondo E. Lohmeyer65 e J.

Ernst66, la sua origine è da ricercare in una varietà di motivi letterari relativi

ad oppositori escatologici di natura incoerente e non unitaria. Si può

comunque affermare con ragionevole sicurezza che l’origine dell’Anticristo

inteso come figura escatologica personificata da un preciso condottiero

delle forze delle tenebre nasce a partire dall’opera di Ireneo e Ippolito, 67

che decodificano alla luce di dottrine e istituzioni del IV secolo una

61
Cfr. H. Gunkel, Schopfung und Chaos in Urzeit und Endzeit, Gottingen 1895.
62
Cfr. W. Bousset, Der Antichrist in der Uberlieferung des Judentums, des Neuen
Testaments und der Alten Kirche, Gottingen 1895
63
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, pp. XI-XII.
64
Cfr. B. Rigaux, L’Antéchrist et l’opposition au royame messianique dans l’Ancien et
le Noveau Testament, Paris-Gembloux 1932.
65
Cfr. E. Lohmeyer, “Antichrist”, in Reallexicon fur antike und christentum,
sachworterbuch zur auseinandersetzung des christentums mit der antiken welt, Stuttgart
1950, pp. 450-457.
66
Cfr. J. Ernst, Die eschatologischen gegenspieler in den schriften des neuen
testaments, Regensburg 1967.
67
Cfr. B. McGinn, L’Anticristo, Milano 1996, pp. 70, 82.
39
tradizione precedente nella quale tale personificazione diretta è assente, e in

cui il termine “anticristo” ha ancora una mera connotazione teologica e

impersonale.

Nelle due lettere attribuite all’apostolo Giovanni (composte

probabilmente in Asia Minore intorno all’anno 100 d.C.), l’anticristo è

genericamente chiunque si oppone alla lieta novella portata dal Messia e

alla sua opera di restaurazione cosmica, epiteto – pertanto – di carattere

strettamente eresiologico:

παιδια εσχατη ωρα εστιν και καθως ηκουσατε οτι αντιχριστος


ερχεται και νυν αντιχριστοι πολλοι γεγονασιν οθεν γινωσκομεν οτι
εσχατη ωρα εστιν εξ ημων εξηλθαν αλλ ουκ ησαν εξ ημων ει γαρ εξ
ημων ησαν μεμενηκεισαν αν μεθ ημων αλλ ινα φανερωθωσιν οτι
ουκ εισιν παντες εξ ημων και υμεις χρισμα εχετε απο του αγιου
οιδατε παντες ουκ εγραψα υμιν οτι ουκ οιδατε την αληθειαν αλλ
οτι οιδατε αυτην και οτι παν ψευδος εκ της αληθειας ουκ εστιν τις
εστιν ο ψευστης ει μη ο αρνουμενος οτι ιησους ουκ εστιν ο χριστος
ουτος εστιν ο αντιχριστος ο αρνουμενος τον πατερα και τον υιον
πας ο αρνουμενος τον υιον ουδε τον πατερα εχει ο ομολογων τον
υιον και τον πατερα εχει υμεις ο ηκουσατε απ αρχης εν υμιν
μενετω εαν εν υμιν μεινη ο απ αρχης ηκουσατε και υμεις εν τω υιω
και [εν] τω πατρι μενειτε και αυτη εστιν η επαγγελια ην αυτος
επηγγειλατο ημιν την ζωην την αιωνιον ταυτα εγραψα υμιν περι
των πλανωντων υμας και υμεις το χρισμα ο ελαβετε απ αυτου μενει
εν υμιν και ου χρειαν εχετε ινα τις διδασκη υμας αλλ ως το αυτου
χρισμα διδασκει υμας περι παντων και αληθες εστιν και ουκ εστιν
ψευδος και καθως εδιδαξεν υμας μενετε εν αυτω και νυν τεκνια
μενετε εν αυτω ινα εαν φανερωθη σχωμεν παρρησιαν και μη
αισχυνθωμεν απ αυτου εν τη παρουσια αυτου εαν ειδητε οτι
δικαιος εστιν γινωσκετε οτι πας ο ποιων την δικαιοσυνην εξ αυτου
γεγεννηται.68

68
I Gv. 2, 18-29.
40
αγαπητοι μη παντι πνευματι πιστευετε αλλα δοκιμαζετε τα
πνευματα ει εκ του θεου εστιν οτι πολλοι ψευδοπροφηται
εξεληλυθασιν εις τον κοσμον εν τουτω γινωσκετε το πνευμα του
θεου παν πνευμα ο ομολογει ιησουν χριστον εν σαρκι εληλυθοτα
εκ του θεου εστιν και παν πνευμα ο μη ομολογει τον ιησουν εκ του
θεου ουκ εστιν και τουτο εστιν το του αντιχριστου ο ακηκοατε οτι
ερχεται και νυν εν τω κοσμω εστιν ηδη υμεις εκ του θεου εστε
τεκνια και νενικηκατε αυτους οτι μειζων εστιν ο εν υμιν η ο εν τω
κοσμω αυτοι εκ του κοσμου εισιν δια τουτο εκ του κοσμου
λαλουσιν και ο κοσμος αυτων ακουει ημεις εκ του θεου εσμεν ο
γινωσκων τον θεον ακουει ημων ος ουκ εστιν εκ του θεου ουκ
ακουει ημων εκ τουτου γινωσκομεν το πνευμα της αληθειας και το
πνευμα της πλανης.69

και νυν ερωτω σε κυρια ουχ ως εντολην γραφων σοι καινην


αλλα ην ειχομεν απ αρχης ινα αγαπωμεν αλληλους και αυτη εστιν η
αγαπη ινα περιπατωμεν κατα τας εντολας αυτου αυτη η εντολη
εστιν καθως ηκουσατε απ αρχης ινα εν αυτη περιπατητε οτι πολλοι
πλανοι εξηλθον εις τον κοσμον οι μη ομολογουντες ιησουν χριστον
ερχομενον εν σαρκι ουτος εστιν ο πλανος και ο αντιχριστος βλεπετε
εαυτους ινα μη απολεσητε α ειργασαμεθα αλλα μισθον πληρη
απολαβητε πας ο προαγων και μη μενων εν τη διδαχη του χριστου
θεον ουκ εχει ο μενων εν τη διδαχη ουτος και τον πατερα και τον
υιον εχει 1ει τις ερχεται προς υμας και ταυτην την διδαχην ου φερει
μη λαμβανετε αυτον εις οικιαν και χαιρειν αυτω μη λεγετε 1ο λεγων
γαρ αυτω χαιρειν κοινωνει τοις εργοις αυτου τοις πονηροις.70

Le medesime connotazioni eresiologiche appaiono anche in altre fonti

letterarie, ad esempio nella Lettera ai filippesi di Policarpo di Smirne (6,2-

3; 7,1-2), autore di chiara impronta giovannea.71 Il passo più interessante è

tuttavia ancora interno al canone neotestamentario, e precisamente nella

Seconda lettera ai tessalonicesi attribuita a Paolo:

69
I Gv. 4, 1-6.
70
II Gv. 1, 5-11.
71
Potestà e Rizzi, L’Anticristo, pp. 14-15.
41
ερωτωμεν δε υμας αδελφοι υπερ της παρουσιας του κυριου
[ημων] ιησου χριστου και ημων επισυναγωγης επ αυτον εις το μη
ταχεως σαλευθηναι υμας απο του νοος μηδε θροεισθαι μητε δια
πνευματος μητε δια λογου μητε δι επιστολης ως δι ημων ως οτι
ενεστηκεν η ημερα του κυριου μη τις υμας εξαπατηση κατα μηδενα
τροπον οτι εαν μη ελθη η αποστασια πρωτον και αποκαλυφθη ο
ανθρωπος της ανομιας ο υιος της απωλειας ο αντικειμενος και
υπεραιρομενος επι παντα λεγομενον θεον η σεβασμα ωστε αυτον
εις τον ναον του θεου καθισαι αποδεικνυντα εαυτον οτι εστιν θεος
ου μνημονευετε οτι ετι ων προς υμας ταυτα ελεγον υμιν και νυν το
κατεχον οιδατε εις το αποκαλυφθηναι αυτον εν τω αυτου καιρω το
γαρ μυστηριον ηδη ενεργειται της ανομιας μονον ο κατεχων αρτι
εως εκ μεσου γενηται και τοτε αποκαλυφθησεται ο ανομος ον ο
κυριος [ιησους] ανελει τω πνευματι του στοματος αυτου και
καταργησει τη επιφανεια της παρουσιας αυτου ου εστιν η
παρουσια κατ ενεργειαν του σατανα εν παση δυναμει και σημειοις
και τερασιν ψευδους και εν παση απατη αδικιας τοις απολλυμενοις
ανθ ων την αγαπην της αληθειας ουκ εδεξαντο εις το σωθηναι
αυτους και δια τουτο πεμπει αυτοις ο θεος ενεργειαν πλανης εις το
πιστευσαι αυτους τω ψευδει ινα κριθωσιν παντες οι μη
πιστευσαντες τη αληθεια αλλα ευδοκησαντες τη αδικια ημεις δε
οφειλομεν ευχαριστειν τω θεω παντοτε περι υμων αδελφοι
ηγαπημενοι υπο κυριου οτι ειλατο υμας ο θεος απ αρχης εις
σωτηριαν εν αγιασμω πνευματος και πιστει αληθειας εις ο
εκαλεσεν υμας δια του ευαγγελιου ημων εις περιποιησιν δοξης του
κυριου ημων ιησου χριστου αρα ουν αδελφοι στηκετε και κρατειτε
τας παραδοσεις ας εδιδαχθητε ειτε δια λογου ειτε δι επιστολης
ημων αυτος δε ο κυριος ημων ιησους χριστος και [ο] θεος ο πατηρ
ημων ο αγαπησας ημας και δους παρακλησιν αιωνιαν και ελπιδα
αγαθην εν χαριτι παρακαλεσαι υμων τας καρδιας και στηριξαι εν
παντι εργω και λογω αγαθω.72

Ci troviamo qui di fronte ad una chiara personificazione, che tuttavia non

viene ancora esplicitamente chiamata “Anticristo”. L’interpretazione

72
II Ts. 2, 1-17.
42
marcionita73 di questo passo tendeva ad interpretare la figura del “figlio

della perdizione” con un anti-messia inviato dal Demiurgo ebraico,74 ed è

proprio con la confutazione della dottrina di Marcione compiuta da Ireneo

nel suo Adversus haereses (opera scritta sul finire del II secolo d.C.) che

l’Anticristo personalmente inteso farà capolino anche nella tradizione

proto-ortodossa. Nel far ciò, Ireneo operò semplicemente una fusione del

concetto teologico dell’anticristo giovanneo con una specifica figura

escatologica giungendo alla sistemazione definitiva di una lunga tradizione

che, nel riconoscere l’esercitarsi di una sempre più violenta azione di

Satana contro il popolo cristiano, presentava tuttavia caratteri escatologici

piuttosto confusi.75 Scrive Ireneo:

Et iterum in secunda at thessalonicenses de Antichristo dicens


ait: “Et tunc reuelabitur iniquus, quem Dominus Iesus Christus
interficiet spiritu oris sui et destruet praesentia aduentus sui illum,
cuius est aduentus secundum operationem Satanae in omni uirtute et
signis et portentis mendacii”. Etenim in his ordination dictorum sic
est: “Et tunc reuelabitur iniquus, cuius est aduentus secundum
operationem Satanae in omni uirtute et signis et portentis mendacii,
quem Dominus Iesus interficiet spiritu oris sui et destruet praesentia
aduentus sui”. Non enim, aduentum domini dicit secundum
operationem Satane fieri, sed aduentum iniqui, quem et Antichristum
dicimus. Si ergo non adtenat aliquis lectioni nec interualla
aspirationis manifestet in quo dicitur, erit non tantum incongruentia
sed et balsphema legens, quasi domini aduentus secundum

73
Marcione (85-160 d.C.) fu uno dei più importanti eresiarchi gnostici, fautore di un
sistema teologico che contrapponeva il Dio Padre di Gesù ad un Demiurgo malvagio
identificato col Dio dell’Antico Testamento ebraico. Fervente seguace della dottrina
paolina (riletta alla luce del suo sistema dottrinale), il suo pensiero ci è noto
esclusivamente attraverso i padri della chiesa proto-ortodossa che lo confutarono, tra cui
Giustino, Ireneo, Tertulliano e Ippolito. Sulla dottrina marcionita, cfr. Potestà e Rizzi,
L’Anticristo, pp. XXII-XXIII.
74
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXI.
75
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XX-XXIV.
43
operationem fiat Satane. Sicut ergo in talibus oportet per lectionem
hyperbaton ostendi et consequentem apostoli seruari sensum, sic et
ibi non “Deums saeculi huius” legimus; sed Deum quidem iure
Deum dicimus, “incredulos autem et excaecatos saeculi huius”
audiemus, quoniam uenturum uitae non hereditabunt saeculum. 76

Et non tantum autem per ea quae dicta sunt, sed et per ea quae
erunt sub Antichristo ostenditur quoniam exsistens apostata et latro
quasi Deus uult adorari et, cum sit seruus, regem se uult praeconari.
Ille enim omnem suscipiens diaboli uirtutem ueniet non quasi rex
iustus nec quasi in subiectione Dei legitimus, sed impius et iniustus
et sine lege, quasi apostata et iniquus et homicida, quasi latro,
diabolicam apostasiam in se recapitulans et idola quidem deponens
ad suadendum quod ipse sit Deus, se autem extollens unum idolum,
habens in semetipso reliquorum idolorum uarium errorem, ut hi qui
per multas abominationes adorant diabolum, hi per hoc unum idolum
seruiant ipsi. De quo Apostolus in epistola quae est ad
thessalonicenses secunda sic ait: “Quoniamo nisi uenerit abscessio
primum et reuelatus fuerit homo peccati, filius perditionis, qui
aduersatur et extollit se super omne quod dicitur Deus aut colitur, ita
ut in templo Dei sedeat, ostendes semetipsum tanquam sit Deus”.
Manifeste igitur Apostolus osendit apostasiam eius et quoniam
extolletur super omne quod dicitur Deus ued quod colitur, hoc est
super omne idolum – hi enim sunt qui dicuntur quidem ab
hominibus, non sunt autem dii –, et quoniam ipse se tyrannico more
conabitur ostendere Deum.77

È interessante osservare che la figura dell’Anticristo si sviluppa presso

ambienti e pensatori esplicitamente millenaristi, ossia aderenti a quella

corrente di pensiero (poi condannata dalla successivamente affermatasi

ortodossia) che considerava il “regno dei mille anni” del Messia come un

effettivo lungo periodo di pace e giustizia che sarebbe seguito al ritorno di

Gesù, e non secondo l’accezione più spiritualizzata propria alla corrente

giovannea e a padri come Clemente e Origene, che invece identificavano

76
Ireneo, Adversus haereses III 7, 2.
77
Ireneo, ivi, V 25, 1.
44
questo periodo come la presenza pastorale della chiesa nel mondo. Alla

luce del pensiero millenarista, l’effettivo ritardo del ritorno di Gesù e

dell’instaurazione del regno dei mille anni era alquanto imbarazzante

(specialmente nell’ambito del dibattito con gli ebrei circa l’effettiva dignità

messianica di Gesù), e risultava necessario comprendere cosa lo

ritardasse.78 In Ireneo la polemica anti-giudaica si salda con quella anti-

gnostica, in quanto se il suo continuo rifarsi alle profezie

veterotestamentarie per confermare i dati escatologici propriamente

cristiani servivano da un lato a confutare la negazione dell’Antico

Testamento da parte di Marcione (che considerava la sacre scritture

ebraiche espressione del Demiurgo malvagio), dall’altro funzionavano

anche in chiave di confutazione dell’ebraismo, in quanto se ne conseguiva

l’imperfetta lettura ebraica delle rivelazioni di cui questi ultimi erano stati

depositari, che pertanto avevano fallito nel riconoscere il Messia nella

figura di Gesù e lo avrebbero identificato in colui che invece ne sarebbe

stato l’oppositore.79

III. L’Anticristo ebraico e la funzione dell’impero romano.

L’identificazione dell’Anticristo con il Moshiakh ebraico avrà una

lunga fortuna nel corso della storia del pensiero cristiano fino all’età

contemporanea, con ben facilmente intuibili esiti antigiudaici se non

78
Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXIV-XXV.
79
Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXV-XVIII.
45
propriamente antisemiti.80 Già Ireneo fissava la sua attenzione sulla

profezie veterotestamentarie relative alla tribù di Dan, 81 e Ippolito scenderà

in ulteriori dettagli, affermando che l’Anticristo riunificherà la nazione

giudaica in un regno in Palestina, ricostruendo Gerusalemme e il Tempio. 82

In ottemperanza alla sua funzione di parodia del Messia, l’Anticristo

acquisisce pertanto una funzione che sarà antitetica a quella di

quest’ultimo: la distruzione del Tempio e la dispersione del popolo

giudaico che sono stati conseguenza del rifiuto di Gesù si capovolgono

nella ricostruzione del luogo più sacro della religione ebraica e nella

riunificazione del “popolo eletto” intorno alla Terra Promessa, che viene

considerata nel suo aspetto eminentemente materiale piuttosto che nello

spirituale “regno dei cieli” verso il quale il Gesù dei cristiani ha indirizzato

il “nuovo Israele” della comunità ecclesiale.

La storia del primo pensiero cristiano relativo alla sua figura ha però

conosciuto una certa notorietà anche nell’identificarlo con la figura di un

80
Una rapida ricerca sui motori di ricerca di internet può dare l’idea di quanto andiamo
affermando, considerata la presenza di una gran mole di pubblicazioni di serietà
variabile sull’argomento, e riconducibili molto spesso all’area dell’ultra-tradizionalismo
cattolico. L’applicazione “politica” delle tematiche escatologiche non si limita al solo
ambito della storia delle persecuzioni antisemite, ed è eloquente a tal proposito l’assai
diffuso topos polemico nelle dispute tra cattolici e protestanti, reciprocamente accusatisi
di far parte delle schiere dell’Anticristo (spesso identificato, nella polemica protestante,
con lo stesso Papa cattolico).
81
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. XXXI. Cfr. anche la voce “Dan” nella Jewish
Encyclopedia, New York 1901-1906.
82
Cfr. Ippolito, De Christo et Antichristo, 54-64. A proposito della produzione ippolitea
sull’Anticristo in traduzione italiana, oltre alla scelta di brani curata nel già citato
volume di Potestà e Rizzo è da segnalare l’edizione del De Antichristo curata da Enrico
Norelli (Ippolito, L’Anticristo, Bologna 1987), e una Oratio de consummatione mundi a
lui attribuita, pubblicata in: A.M. Di Nola, Apocalissi apocrife, Parma 1986, pp. 145-
172.
46
imperatore romano,83 la qual cosa conduce immediatamente ad una

riflessione circa il ruolo dell’istituzione imperiale nell’economia salvifica

delineata dall’escatologia cristiana dei primi secoli.

Il ruolo dell’impero romano è strettamente connesso alla questione

dell’identità del soggetto che ritarda l’instaurazione dell’avvento

dell’Anticristo, e di conseguenza del regno messianico che seguirà ad esso,

ossia al misterioso katechon di cui parla Paolo in II Ts. 2,1-17. In Ireneo e

Ippolito persiste una tradizione tendenzialmente negativa nei riguardi

dell’istituzione imperiale, in quanto pagana e persecutrice della vera fede,

che affonda le sue radici nell’Apocalisse di Giovanni e si nutre

dell’interpretazioni di diverse profezie veterotestamentarie, in particolar

modo dal Libro di Daniele:

Ostendimus autem in tertio libro nullum ab apostolis ex sua


persona Deum appellari nisi eum qui uere sit Deus, patrem domini
nostri, cuius iussu hoc quod est in Hierosolymis factum est templum
ob eas causas quae a nobis dictae sunt, in quo aduersarius sedebit,
temptas semetipsum Christum ostendere, sicut et dominus ait: “Cum
autem uideritis abominationem desolationis, quod dictum est per
Danielem prophetam, stantem in loco sancto, qui legit intellegat, tunc
qui in Iudaea sunt fugiant in montes et qui in tecto est non discendat
tollere quicquam de domo. Erit enim tunc pressura magna, qualis non
est facta ab initio saeculi usque nunc, sed neque fiet”. Daniel autem
nouissimi regni finem respiciens, hoc est nouissimos decem reges in
quos diuidintur regnum illorum super quos filius perditionis ueniet,
cornua dicit decem nasci bestiae, et alterum cornu pusillum nasci in
83
Tale imperatore è stato spesso identificato in Nerone, in merito al quale gli autori
cristiani dei primi secoli hanno intessuto la leggenda del cosiddetto “Nerone redivivo”
(cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXII-XXIV). A proposito della figura di Nerone
segnaliamo, a titolo di curiosità: M. Fini, Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano
1997, in cui il noto giornalista si cimenta nel tentativo di ricostituire un’immagine
storicamente più esatta del controverso personaggio, a suo dire offuscata dai secolari
luoghi comuni propagandati dalla storiografia di parte.
47
medio ipsorum, et tria cornua de prioribus eradicari a facie eius. “Et
ecce” inquit “oculi quasi oculi hominis in cornu hoc et os loquens
magna et aspectus eius maior reliquis. Videbam, et cornu illud
faciebat bellum aduersus sanctos et ualebat afuersus eos, quoadusque
uenit uetustus dierum et iudicium dedit sanctis altissimi Dei, et
tempus peruenit et regnum obtinuerunt sancti”. Postea in exsolutione
uisionum dictum est ei: “Bestia quarta regnum quartum erit in terra,
quod eminebit super reliqua regna et manducabit omnem terram et
conculcabit eam et concidet. Et decem cornua eius decem reges
exsurgent, et post eos surget alius qui superabit malis omnes qui ante
eum fuerunt, et reges tres deminorabit et uerba aduersus altissimum
Deum loquetur et sanctos altissimi Dei conteret et cogitabit demutare
tempora et legem: et debitur in manu eius usque ad tempus
temporum et dimidium tempus”, hoc est triennum et sex menses, in
quibus ueniens regnabit super terram. 84

In quest’ottica, l’esistenza e il dominio dell’impero romano diviene una

delle tappe del dominio anticristico che trattiene la seconda venuta di Gesù,

destinato ad essere l’ultima delle espressioni politiche che precederanno

l’effettivo instaurarsi del nemico finale, considerato ora come colui che

sostituirà il governo romano col proprio, ora come l’ultimo degli imperatori

romani. Tertulliano inaugura invece una nuova tradizione esegetica che

sarà ripresa anche da Lattanzio, e che vede nell’impero non già il

manifestarsi dell’azione dell’Anticristo, bensì un argine contro il suo

sorgere, identificando l’impero con colui che trattiene l’avvento del “figlio

della perdizione” di cui parla il già citato II Ts. 2, 1-17:

Et in secunda pleniore sollicitudine ad eosdem, “Obsecro


autem uos, fratres, per aduentum domini nostri Iesu Christie t
congregationem nostram ad illum, ne cito commoueamini animo
neque turbemini neque per spiritum neque per semonem” – scilicet
pseudoprophetarum – “neque per epistolam” scilicet

84
Ireneo, Adversus haereses, V 25, 2-3
48
pseudapostolorum – “acsi per nostram, quasi instat dies domini: ne
quis uos seducat ullo modo: quoniam nisi ueniat abscessio primum”
– huisu utique regni – “et reueletur delinquentiae homo” – id est
Antichristus – “filius perditionis, qui aduersatur et superextollitur in
omne quod dicitur deus uel religio, uti sedeat in templo Dei
adfirmans Deum se. Nonne meninistis quod cum apud uos essem
haec dicebam uobis? Et nunc quid teneat scitis, ad reuelandum eum
in suo tempore. Iam enim arcanum iniquitatis agitatur: tantum qui
nunc tenet teneat, donec de medio fiat” – quis, nisi romanus status,
cuius abscessio in decem reges dispersa Antichristum superducet? –
“Et nunc reuelabitur iniquus, quem dominus Iesus interficiet spiritu
oris sui et euacuabit apparentia aduentus sui: cuius est aduentus
scundum operationem Satanae in omni uirtute et signis atque
portentis mendacii et in omni seductione iniustitiae his qui
pereunt”.85

Pertanto, molto prima del sorgere delle politiche filo-cristiane, il pensiero

ecclesiale conosce già un’attitudine lealista nei riguardi dell’autorità

temporale, la cui funzione stabilizzatrice e ordinatrice viene riconosciuta

come benefica e provvidenziale, venendo contrapposta al caos che invece

dilagherà alla fine dei tempi. Con l’avvento di Costantino e l’affermarsi

della religione cristiana tale attitudine diventerà poi una chiara certezza, ed

è proprio agli esordi di questa nuova epoca che Lattanzio si trova a

scrivere.

85
Tertulliano, De resurrectione mortuorum 24, 12-20.
49
CAPITOLO III

LA FIGURA DELL’ANTICRISTO

NELLE “DIUINAE INSTITUTIONES”.

Come già in Tertulliano, anche in Lattanzio l’impero romano viene

visto come fautore di ordine e stabilità, garante di quel ς che tiene a

freno l’irrompere prorompente delle forze del ς. L’avvento

dell’Anticristo, di cui si parla nei capitoli 16-25 del VII libro delle Diuinae

institutiones, sarà difatti l’immediata conseguenza della caduta dell’impero,

la cui predizione è attinta per la maggior parte da fonti extra-bibliche.

Il capitolo 16 si apre con la descrizione delle guerre civili che

seguiranno al crollo dell’impero, e che farà salire al potere i dieci re di cui

si parla in Dan. 7, 24 e Ap. 17, 12. Successivamente a questi, un potente

nemico proveniente dalle “regioni settentrionali” (dato che si ricollega ad

un tema mitologico diffuso in diverse aree del mondo)86 sconfiggerà i tre re

che si erano spartiti l’Asia, governando poi sui rimanenti sette:

86
Cfr. Evola, Rivolta, pp. 23-236. L’autore definisce il governo di questo misterioso
sovrano nordico come un ristabilimento della “giustizia dopo la caduta di Roma” (p.
236), ma il testo di Lattanzio afferma l’esatto contrario! Vero è che l’azione di questo
sovrano implicherà un temporaneo ripristino dell’ordine imperiale, anche se si tratterà di
un ordine insostenibile e detestabile, i cui segni più tangibili (e altamente simbolici)
saranno lo spostamento della sede dell’impero e il cambio di nome della sua capitale.
50
Tum repente aduersos eos hostis potentissimus ab extremis
finibus plagae septentrionalis orietur, qui tribus ex eo numero deletis
qui tunc asiam obtinebunt, adsumetur in societatem a ceteris ac
princeps omnium constituetur. Hic insustentabili dominatione
uexabit orbem, diuina et humana miscebit, infanda dictu et
exsecrabilia molietur, noua consilia in pectore suo uolutabit, ut
proprium sibi constituat imperium, leges commutet et suas sanciat,
contaminabit diripiet spoliabit occidet: denique, inmutato nomine
atque imperii sede translata, confusio ac perturbatio humani generis
consequetur.87

A seguito della temporanea restaurazione imperiale operata del sovrano del

Nord dilagheranno pestilenze e miseria, le città verranno distrutte e la

natura subirà degli sconvolgimenti tanto gravi da determinare persino

un’alterazione del normale corso degli astri:

Tum uero detestabile atque abominandum tempus existet, quo


nulli hominun sit uita iucunda. Eruentur funditus ciuitates atque
interibunt non modo ferro atque igni, uerum etiam terrae motibus
adsiduis et aluuie aquarum et morbis frequentibus et fame crebra.
Aer enim uitiabitur et corruptus ac pestilens fiet modo inportunis
imbribus modo inutili siccitate, nunc frigoribus nunc aestibus nimiis,
nec terra homini dabit fructum: non seges quicquam, non arbor, non
uitis feret, sed cum in flore spem maximam dederint, in fruge
decipient, fontes quoque cum fluminibus arescent, ut ne potus
quidem suppetat, et aquae in sanguinem aut amaritudinem
mutabuntur. Propter haec deficient et in terra quadrupedes et in aere
uolucres et in mari pisces. Prodigia quoque in caelo mirabilia mentes
hominum maximo terrore confundent, et crines cometarum et solis
tenebrae et color lunae et cadentium siderum lapsus. Nec tamen haec
usitato modo fient, sed existent subito ignota et inuisa oculis astra. 88

In questo clima di enorme desolazione, nel quale la stessa popolazione

umana verrà decimata, sorgerà un profeta che chiamerà gli uomini al culto

87
Diu. Inst. 16.
88
Diu. Inst. 16.
51
del vero Dio, e che assume i tratti dei due testimoni di cui parla Ap. 11.

Nella descrizione di questo profeta (che verosimilmente è Elia redivivo),

Lattanzio rivela punti di contatto con il Carmen di Commodiano, e sempre

con Commodiano condivide la predizione dell’avvento di due persecutori

finali, che mentre in Commodiano sono identificati nella dottrina di un

duplice anticristo,89 in Lattanzio assumono i tratti del sovrano del Nord e

dell’Anticristo vero e proprio.

A proposito di quest’ultimo, esso assume in Lattanzio le fattezze di

un sovrano originario della Siria, che ucciderà il profeta di Dio e compirà

numerosi falsi prodigi per ingannare gli uomini:

Peractisque operibus ipsius, alter rex orietur e Syria malo


spiritu genitus, euersor ac perditor generis umani, qui reliquias illius
prioris mali cum ipso simul deleat. Hic pugnabit aduersus prophetam
Dei et uincet et interficiet eum et insepultum iacere patietur, sed post
diem tertium reuiuiscet, atque inspectantibus et mirantibus cunctis
rapietur in caleum. Rex uero ille teterrimus erit quidam et ipse, sed
mendaciorum propheta, et seipsum constituet ac uocabit deum, se
coli iubebit ut Dei filium. Et dabitur est potestas, ut faciat signa et
prodigia, quibus uisis inretiat homines, ut adorent eum. Iubebit
ignem descendere a caelo et solem a suis cursibus stare et imaginem
loqui, et fient haec sub uerbo eius: quibus miraculis etiam sapientium
plurimi adlicientur ab eo.90

Il potere di seduzione dell’Anticristo non sarà tuttavia completo, ed una

piccola parte di uomini giusti e timorati di Dio troverà rifugio su un monte,

che sarà cinto d’assedio dall’Anticristo. I giusti invocheranno Dio di venire

89
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, p. 394.
90
Diu. Inst. 17.
52
in loro soccorso, e sarà allora che Gesù ritornerà, facendosi preannunziare

dalla miracolosa discesa di una spada dal cielo:91

Cum haec facta erunt, tum iusti et sectatores ueritatis


segregabunt se a malis et fugient in solitudines. Quo audito inpius
inflammatus ira ueniet cum exercitu magno et admotis omnibus
copiis circumdabit montem in quo iusti morabuntur, ut eos
conprehendat. Illi uero, ubi se clausos undique atque obsessos
uiderint, exclamabunt ad Deum uoce magna et auxilium caeleste
inplorabunt, et exaudiet eos Deus et mittet regem magnum de caelo,
qui eos eripiat ac liberet omnesque inpios ferro inique disperdat.92
[…] Oppresso igitur orbe terrae cum ad destruendam inmensarum
uirium tyrannidem humanae opes defecerint, siquidem capto mundo
cum magnis latronum exercitibus incubabit, diuino ausilio tanta illa
calamitas indigebit. Commotus igitur Deus et pericolo ancipiti et
miseranda conploratione iustorum, mittet protinus liberatorem. Tum
aperietur caelum medium intempesta et tenebrosa nocte, ut in orbe
toto lumen descendentis Dei tamquam fulgur appareat.93

Dopo la sua discesa, Cristo distruggerà l’empio dominio dell’Anticristo, e

instaurerà infine il regno dei mille anni:

Hic est enim liberator et iudex et ultor et rex et Deus quem nos
Christum uocamus, qui priusquam descendat hoc signum dabit.
Cadet repente gladius e caelo, ut scianti usti ducem sanctae militiate
descensurum, et descendet comitantibus angelis in medium terrae et
antecedet eum flamma inextinguibilis et uirtus angelorum tradet in
manus iustorum multitudinem illam, quae montem circumsederit et
concidetur ab hora tertia usque in uesperum et fluet sanguis more
torrentis; deletisque omnibus copiis inpius solus effugiet et peribit ab

91
Il tema delle spade celesti associato a condottieri dotati di autorità divina e con
funzioni di ristabilimento dell’ordine cosmico è un ben noto topos mitologico presente
in diverse culture, basti pensare alla Excalibur e alla Durlindana dei cicli arturiano e
carolingio, alla Tsumugari del mitico imperatore giapponese Ninigi, o al Gladius Martis
della leggenda di Attila. Cfr. C. Mutti, Flagellum Dei, servus Dei, in: C. Mutti,
Imperium. Epifanie dell’idea di impero, Genova 2005, e A.K. Coomaraswamy, La
spada di folgore, in: A.K. Coomaraswamy, Il grande brivido, Milano 1987.
92
Diu. Inst. 17.
93
Diu. Inst. 19.
53
eo uirtus sua. Hic est autem qui appellatur Antichristus, sed se ipse
Christum mentietur et contra uerum dimicabit et uictus effugiet et
bellum saepe renouabit et saepe uincetur; donec quarto proelio
confectis omnibus impiis debellatus et captus tandem scelerum
suorum luat poenas. Sed et ceteri principes ac tiranni, qui
contriuerunt orbem, simul cum eo uincti adducentur ad regem, et
increpabit eos et coarguet; et exprobabit iis facinora ipsorum et
damnabit eos ac meritis cruciatibus travet. Sic extincta malitia et
inpietate conpressa requiescet orbis, qui per tot saecula subiectus
errori ac sceleri nefandam pertulit seruitutem. 94

Infine, la descrizione lattanziana degli eventi si conclude con una

riflessione su quando questi si manifesteranno. Dopo aver ricordato che la

durata del mondo è di seimila anni (secondo l’analogia con i sei giorni della

creazione, e nella convinzione – espressa nel capitolo 15 – del fatto che un

giorno divino equivale a mille anni umani),95 il nostro autore conclude che

il ritorno di Gesù sarebbe avvenuto all’incirca dopo duecento anni dalla sua

epoca. Secondo Van Rooijen-Dijkman, Lattanzio ricaverebbe tale ipotesi

da Sesto Giulio Africano, autore di un cronica del 221 d.C. nella quale si

consideravano come già trascorsi cinquemila e cinquecento anni. 96

94
Diu. Inst. 19.
95
Il dibattito relativo all’età della terra è stato una costante del pensiero umano, fino a
quando i progressi nel campo della ricerca scientifica non lo hanno svincolato da una
dimensione fino ad un certo momento eminentemente teologica. In merito alla
questione, cfr. J. Toland, Opere (a cura di C. Giuntini), Torino 2002, pp. 220-248, 377-
410; P. Rossi, Le sterminate antichità e altri studi vichiani, Firenze 1999, pp. 167-226;
L. Mandarino, Le mille favole degli antichi, Firenze 1999, pp. 19-71.
96
Cfr. H.W.A. Van Rooijen-Dijkman, De vita beata. Het zevende boek van de Divinae
institutions van Lactantius. Analyse en bronnenonderzoek, Assen 1967, pp. 142-143.
I calcoli sulla “fine del mondo” sono un’altro argomento costantemente affrontato nella
storia dell’umanità, eminentemente connesso a quello relativo all’età della terra di cui si
è parlato nella nota precedente. È interessante osservare che uno dei più illustri studiosi
che si sono occupati di tale questione fu Isaac Newton, i cui vasti interessi nell’ambito
delle scienze esoteriche sono spesso poco noti, e che ha lasciato diverse opere (edite e
54
Nel complesso, la descrizione degli eventi fatta da Lattanzio denota

diversi punti di contatto con fonti canoniche (specialmente il Libro di

Daniele e l’Apocalisse) ed una aderenza a molti temi che saranno fatti

propri, in seguito, dall’escatologia ortodossa. Ad esempio, i dieci re che si

spartiranno l’impero romano prima della parziale restaurazione del re

dell’estremo nord richiamano Dn. 7, 24 e Ap. 17, 12. L’influsso di

quest’ultimo testo è facilmente rinvenibile anche nella descrizione delle

pestilenze e delle sciagure che seguiranno la salita al trono del re del nord,97

mentre il precipitare delle stelle è un dato presente nel Vangelo secondo

Matteo.98 Ancora, il tema del profeta escatologico che si opporrà al re del

nord e all’Anticristo richiama Ap. 11, 5-12, e lo stesso Anticristo ha precise

connotazioni già presenti tanto in Dn. 11, 36-37 che nel canone

neotestamentario.99 Quanto alla descrizione lattanziana della discesa di

Gesù, essa presenta punti di contatto con il salmo 97, 3, il Libro di Isaia,100

il Vangelo secondo Matteo,101 la Seconda epistola ai tessalonicesi,102 e di

nuovo il libro dell’Apocalisse.103

inedite) in merito ai suoi studi di esegesi biblica e di calcoli escatologici, diversi dei
quali conservati presso la Nation Library of Israel a Gerusalemme. Sull’argomento, cfr.
anche: I. Newton (a cura di M. Mamiani), Trattato sull’Apocalisse, Torino 1994.
97
Cfr. Ap. 6, 8-13; 9, 6.
98
Cfr. Mt. 24, 29.
99
Cfr. Mt. 24, 21; II Ts. 2, 4, 9-12; Ap. 11, 2 e 13, 13-17.
100
Is 66, 15-16.
101
Mt. 16, 27; 24, 27 e 25, 31
102
II Ts. 1, 7.
103
Ap. 19, 14.
55
Per quel che concerne invece il tema del rifugio sulla montagna da

parte dei giusti104 e il conseguente assedio delle armate anticristiche,

possiamo trovare anche qui delle reminescenze bibliche, 105 ma nel

complesso sembra che sia un aspetto non accolto dalla successivamente

affermatasi escatologia ortodossa. È curioso notare che però questo tema

viene ripreso in modo pressoché identico nell’escatologia musulmana, alla

quale è ben noto sia il motivo del rifugio su una montagna di una comunità

residua di credenti isolata nel mare della miscredenza imperante, sia quello

della discesa di Gesù causata da un assedio delle forze del male nel luogo

di riunione di quelle del bene, al quale seguirà la battaglia campale tra

Cristo e Anticristo. 106 Non essendovi (almeno a conoscenza dello scrivente)

alcuna prova di un’esplicita acquisizione dell’opera di Lattanzio nella

formazione del corpus degli ahadith, tale analogia può probabilmente

essere spiegata alla luce del comune retroterra culturale e della vicinanza

geografica degli ambienti di diffusione delle due tradizioni escatologiche,

la qual cosa pone il problema, già accennato in precedenza, dell’origine del

104
Riferimento dal valore altamente simbolico, prima ancora che letterale. Cfr. R.
Guénon, Simboli della scienza sacra, Milano 1997, pp. 189-192. Anche il riferimento
alla “Siria” è passibile di una lettura simbolica; a tal proposito, cfr. ivi, pp. 50-59, 89-94.
105
I Mc. 12, 13-15; Mt. 24, 16, 30; Ebr. 11, 38.
106
Generalmente l’assedio al quale viene sottoposto l’esercito che combatte l’Anticristo
(e durante il quale avverrà la ridiscesa sulla terra di Gesù) viene considerato un episodio
separato da quello del rifugio degli ultimi credenti sul monte, episodio che viene
collegato alla successiva battaglia contro Gog e Magog (Juj wa Majuj). Tuttavia un
hadith riportato da Suyuti precisa che l’assedio relativo al primo episodio si svolgerà in
Siria intorno al monte Ad-Dukhan, la qual cosa presenta un’analogia fortissima con il
racconto di Lattanzio. Cfr. J. Al-Suyuti, Nuzul ‘Isa ibnu Maryam fi akhiri’z-zaman, s.d.
56
concetto dell’Anticristo. E’ già stato osservato107 che alcuni studiosi lo

fanno risalire ad un topos di origine babilonese diffusosi in tutta l’area del

vicino oriente per il tramite di depositi sapienziali tramandati spesso in

segreto, e solo saltuariamente venuti alla luce fino alla definitiva fissazione

dottrinaria operata dal cristianesimo da una parte, e dall’islam dall’altra.

Pertanto si può supporre con ragionevolezza che le analogie tra le dottrine

escatologiche delle tre religioni abramiche (sia per quel che riguarda i dati

accolti dalle rispettive ortodossie, sia per quelli rigettati o semplicemente

obliati) trovino la loro spiegazione nel comune terreno di coltura delle

stesse, e dalle rielaborazioni più o meno autonome di un patrimonio orale

condiviso e non sempre coerente.

Un’altra notevole questione sottolineata dal testo di Lattanzio è data

dalla presenza, assai più preponderante rispetto ai dati canonici, delle fonti

extra-bibliche, che solleva il problema del rapporto tra la rivelazione divina

e le predizioni e gli oracoli dei pagani che, seppur rigettati in linea di

principio, assumono qui i connotati di un riferimento probante, e sono

quindi considerati autorevoli e veritieri quanto i riferimenti biblici. La

presenza delle fonti extra-bibliche si innesta nel filone dottrinale attinente

alla questione dei cosiddetti semina verba, ossia delle testimonianze della

verità cristiana provenienti dal mondo pagano e che sono state riconosciute

come tali da padri della chiesa come Giustino, Origene, Clemente, e

107
Cfr. supra, p. 39
57
Agostino,108 perpetuandosi nei secoli e riemergendo nelle riflessioni

rinascimentali di Steuco,109 Cusano,110 e della “Cabbala cristiana”,111 fino

alle recenti aperture verso i non-cristiani contenute nel documento

conciliare Nostra Aetate112 o in altre posizioni dottrinali non sempre accolte

108
Cfr. M. Polia, Propaideia Christou. Il Cristo e le religioni, in: “Quaderni di Avallon”
n. 4, Rimini 1983-1984.
109
Agostino Steuco (Gubbio 1497 – Venezia 1548) fu un monaco agostiniano
(nominato poi vescovo, con la qual funzione ebbe un ruolo importante all’interno del
concilio di Trento), bibliotecario del monastero di Sant’Antonio di Castello a Venezia
(che ospitava il patrimonio librario già appartenuto a Pico della Mirandola) e,
successivamente, del Vaticano. Filologo raffinato e ardente polemista anti-luterano, egli
è noto soprattutto per la sua opera “De perenni philosophia”, il cui scopo è quello di
dimostrare (anche in polemica con le critiche dei riformati) il perfetto accordo della
sapienza antica con la dottrina cristiana.
110
Nikolaus Krebs von Kues, italianizzato in Niccolò Cusano (Kues 1401 – Todi 1464),
fu un cardinale tedesco autore di importanti opere matematiche, teologiche e filosofiche,
tra cui va segnalato in questa sede il “De Pace fidei”, un tentativo di conciliazione
dottrinale tra le diverse fedi religiose scritto negli anni turbolenti dello scisma
protestante e della minaccia turca all’Europa. A proposito dell’opera di Cusano, cfr.
Cusano, Opere religiose, Torino 1971, e Cusano, Opere filosofiche, Torino 1972.
111
Cfr. F. Secret, I cabalisti cristiani del Rinascimento, Roma 2001.
112
Il documento Nostra Aetate (come altri documenti del Concilio Vaticano II) ha
generato diverse controversie in merito alla sua coerenza con la tradizione cattolica
precedente, e relativi dibattiti tra chi sostiene l’esistenza di tale continuità e chi –
considerando ciò un elemento ora positivo ora negativo – sostiene che essa sia venuta a
mancare. L’aderenza della chiesa cattolica post-conciliare al magistero precedente
sembrerebbe comunque ribadita dall’enciclica Redemptoris missio (1990) e dalla
dichiarazione della congregazione per la dottrina della fede Dominus Jesus (2000).
Il dibattito sul Concilio Vaticano II è estremamente interessante, ma tocca un ambito
puramente teologico che non rientra nello scopo del presente studio. Ci limitiamo qui a
ricordare che la dottrina cattolica in merito alla rivelazione divina antecedente
all’avvento di Gesù riconosce quest’ultima come depositata presso il popolo ebraico
(visto come latore di una “fede proto-cristiana veterotestamentaria” che non deve essere
identificata in toto con la “religione ebraica” post-gesuana, e considerata come una
parziale alterazione dell’ortodossia e dell’ortoprassi dei patriarchi e dei profeti iniziata
già in epoca pre-gesuana, e portata a compimento a seguito del disconoscimento di Gesù
come messia), e presente tra i gentili sotto forma di semina verba da un lato, e di una
più estesa legge naturale dall’altro. Quest’ultimo è un concetto di derivazione romana
indicante quei precetti etici che sono considerati come naturalmente insiti nell’animo di
ogni essere umano (e che quindi non abbisognano di una rivelazione ma sono esperibili
in via del tutto razionale) la cui osservanza, insieme all’ignoranza della “vera fede”,
diventa la conditio sine qua non della possibilità della salvezza degli acattolici. Posta in
altri termini, la questione della legge naturale non è sconosciuta nemmeno alla
tradizione ebraica, che considera l’umanità come un’assemblea composta da un popolo
avente la funzione di “sacerdote” (il popolo ebraico, al quale pertanto è stata consegnata
58
all’interno dell’ortodossia.113 L’idea di fondo della dottrina dei semina

verba è che la rivelazione divina, coincidente con la verità cristiana, non è

stata destinata esclusivamente agli ebrei, i quali l’hanno tramandata più o

meno fedelmente fino a Gesù attraverso il doppio canale della legge

esteriore (a sua volta suddivisa in scritta – la Torah – e orale – Il Talmud) e

della verità esoterica (la Qabbalah), ma anche in un certo qual modo a quei

popoli pagani che sarebbero successivamente stati destinati a sostituirsi a

Israele quando quest’ultimo avrebbe rinnegato il suo Messia, e che

sarebbero così stati preparati all’annuncio del Vangelo. La verità depositata

presso i popoli pagani sarebbe tuttavia una verità esistente ad uno stadio

eminentemente seminale, mescolata a quelle che sono considerate le

superstizioni delle false religioni, ed emergente soprattutto in alcune figure

particolarmente illuminate come grandi filosofi e letterati (Pitagora,

Platone, Virgilio), eroi mitologici considerati apportatori di sapienza

iniziatica (Orfeo, Ermete Trismegisto), e in oracoli come le sibille. 114

la Torah e le 613 mitzvot), e dall’insieme degli altri popoli (goym) visti come “laici”, e
sottoposti unicamente ai sette precetti che Dio ha rivelato dopo il diluvio a Noè per
l’insieme dell’umanità, riconosciuti come presenti in modo eminente soprattutto
nell’islam. In merito alla questione del “noachismo”, cfr. E. Benamozegh, Il
Noachismo, Genova 2006, e D. Bianchi, L’origine del cristianesimo nel pensiero di Elia
Benamozegh, Udine, tesi di laurea a.a. 2008-2009.
113
Sono da segnalare, a tal proposito, figure di pensatori cattolici del calibro di Raimon
Panikkar, Thomas Merton e Henri Le Saux (Swami Abhishiktananda), oppure gli
indirizzi di studio che si richiamano direttamente o indirettamente alla cosiddetta
corrente “tradizionalista” ( o “perennialista”), e che contano tra i loro esponenti anche
studiosi di fede cristiana, il più noto dei quali è Louis Charbonneau-Lassay (1871-
1946).
114
Con l'appellativo di "sibilla" si è soliti indicare una figura femminile tipica delle
religioni greca e romana, dotata di virtù profetiche ispirate da una divinità (solitamente
59
Sebbene il giudizio di Lattanzio nei riguardi dell’intellettualità

pagana (e specialmente della filosofia) sia particolarmente netto e duro, e

lo sia molto più di altri padri, egli tuttavia dimostra di accogliere

pienamente la possibilità che anche presso i pagani vi siano state delle

parziali rivelazioni della verità cristiana, facendone spesso una citazione

assai più abbondante di quella tratta dalla Bibbia. Come già si è detto in

precedenza, il motivo di quest’ultimo punto si spiega facilmente con la

scarsa conoscenza delle sacre scritture propria di quel periodo, da cui ne

consegue la fondamentale ignoranza di Lattanzio circa diversi punti

importanti della fede cristiana, e il suo dover necessariamente ricorrere a

colmare tali lacune con le conoscenze della sua – pur tanto disprezzata

sotto molti punti di vista – precedente formazione pagana.

Le principali fonti extra-bibliche citate da Lattanzio sono:

1. Gli Oracula Sibyllina

Apollo o Ecate) e solita esprimersi con un linguaggio oscuro ed ambivalente. Le sibille


più note sono probabilmente la Sibilla di Delfi (detta anche Pizia o Pitonessa, la cui
funzione venne esercitata ininterrottamente per circa 2000 anni, fino alla soppressione
del santuario delfico ordinata dall'imperatore Teodosio nel 392 d.C.) e la Sibilla
Cumana di cui parla anche l'Eneide. Oltre alle due su citate, Varrone parla anche di altre
sibille (persica, libica, cimmeria, eritrea, samia, ellespontica, frigia, e tiburtina), e
Lattanzio riferisce in Diu. Inst. I 6, 7 che, secondo l'illustre autore latino, il nome
"sibylla" deriverebbe dalla pronuncia latinizzata ("siou-boullan") del termine greco
"" (ossia: "volere della divinità"). Le fonti classiche arrivano ed
enumerare circa trenta sibille (oltre a quelle già citate: babilonese, caldea, ebraica,
egizia, claria, colofonia, cumea, efesia, euboica, gergitica, macedone, marpessia,
sardica, tesprozia, tessalica, troiana, italica, lilibetana e sicula), mentre appartengono
alla tradizione medioevale la sibille agrippina, chimica, europea, lucana, rodia,
apenninica (detta anche "oracolo di Norcia") e – nuovamente – tiburtina. Anche la
tradizione nordica ha conosciuto, nella figura della "Volva" (dal termine "vole", che
indica le bacchette delle maghe), un omologo delle sibille del mondo greco romano.
60
2. L’Apocalisse di Istaspe.

3. L’Asclepius.

A proposito degli Oracula Sibyllina, G.L. Potestà e M. Rizzi115 ci

informano che trattasi di una raccolta di oracoli in lingua greca in esametri,

le cui parti più antiche furono composte dopo la seconda metà del I secolo

d.C. in ambienti giudaici, successivamente rielaborati da ambienti cristiani

intorno alla metà del II secolo. L’Apocalisse di Istaspe, attribuita

all’omonimo re persiano, è invece con tutta probabilità una raccolta di

oracoli greci del I secolo a.C. o d.C. segnata da una forte influenza iranica,

in cui convergono elementi zoroastriani, sibillini e giudaici. 116 Giustino

(Apol. I 20,1; 44,12) afferma che le autorità romane punivano addirittura

con la morte coloro che leggessero quest’opera il cui contenuto, oramai

perduto, è oggi noto (oltre che per la testimonianza di Lattanzio) grazie a

due testi ad essa strettamente correlati, il Bahman-Yasht e il Zamasp-

Namak.117 Infine, l’Asclepius è un testo considerato tra i più ricchi trattati

ermetici da noi conosciuti, ed è la versione latina del dialogo greco che

Lattanzio cita nel capitolo 18, redatto probabilmente intorno al III secolo

d.C.. La versione latina (insieme ad una parziale traduzione copta,

appartenente al corpus dei manoscritti di Nag Hammadi) è l’unica

115
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. 566.
116
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, p. 567, e H. Windish, Die orakel des Hystaspes
(Verhandelingen der kon. Akad. te Amsterdam. N.s. XXVIII 3), Amsterdam 1929.
117
Cfr. E. Benveniste, Une apocalypse pehlevie: Le Zamasp-Namak, in “Revue de
l’histoire des religions” fasc. 106, 1932, pp. 337-380.
61
testimonianza che abbiamo dell’originale greco perduto, ma il fatto che

Lattanzio citi quest’ultimo e non la prima, induce a riflettere che essa sia

anteriore alle Diuinae institutiones.118

118
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. 569.
62
CONCLUSIONE

Concludendo, risulta chiaro come la figura dell’Anticristo descritta

da Lattanzio sia il risultato dell’evoluzione di un personaggio escatologico

nato relativamente tardi, soprattutto attraverso la polemica anti-giudaica e

anti-gnostica, ma che affonda le sue radici in un tema mitologico ben più

antico e non limitato alla sola tradizione giudaica, recuperato dalla

tradizione cristiana attraverso l’identificazione con una realtà scritturale di

natura originariamente solo eresiologica.

L’Anticristo di Lattanzio è inoltre frutto della cultura cristiana latina

del IV secolo, fortemente polemica nei confronti dell’intellettualità pagana

ma allo stesso tempo dipendente da essa, cui volentieri vi si attinge per

colmare le lacune scritturali e teologiche alle quali in quel periodo non

erano affatto immuni nemmeno gli intellettuali cristiani di alto rango. Allo

stesso tempo, essa si caratterizza per una riflessione degli eventi storici

passati e futuri incentrati sul concetto di provvidenza divina, che ha origine

dalle forti ripercussioni ideologiche suscitate dalla politica filo-cristiana di

Costantino seguita alla ancora recentissima memoria delle persecuzioni, e

che ha segnato la data di nascita della storiografia cristiana.

Infine, l’Anticristo di Lattanzio si pone nel solco di una visione

degenerativa della storia, nella quale l’età dell’oro è una realtà dalla quale
63
ci si allontana progressivamente, avendo davanti a noi non una speranza di

miglioramento ma un vaticinio di sventura. È tuttavia anche una visione

ciclica (benché di una ciclicità apparentemente non destinata ad essere

perpetua, visto che non si fa alcuna esplicita menzione di un nuovo inizio

del movimento della Storia), in quanto la chiusura del cerchio porterà al

ripristino della giustizia primordiale – considerata, nella particolare

prospettiva accolta da Lattanzio, secondo l’opinione teologica millenarista,

rigettata da quella che successivamente si sarebbe imposta come

l’ortodossia della grande chiesa. Da questo punto di vista, lo studio

dell’opera di Lattanzio è pienamente inserito nel panorama di una visione

premoderna della Storia, che avrà una sola nomala eccezione nella

concezione progressiva propria alla civiltà occidentale moderna.

64
CECILIO FIRMIANO LATTANZIO

LE DIVINE ISTITUZIONI

LIBRO VII: DELLA VITA BEATA.

Traduzione dei capitoli 14 – 26

65
Capitolo 14: Del principio e della fine del mondo.

Nel nostro insegnamento sull’immortalità dell’anima è possibile

vedere l’errore e la perversione della follia di coloro che immaginano che

alcuni mortali siano potuti diventare divinità per i decreti e i dogmi di altri

mortali, o perché furono inventori di nuove arti, o perché insegnarono l’uso

di determinati prodotti della terra, o ancora perché fecero scoperte utili per

la vita degli uomini o perché uccisero delle bestie selvagge. Nei libri

precedenti abbiamo dimostrato quanto tali cose siano lontane dal far

meritare l’immortalità, ed ora dimostreremo che solo la rettitudine può

procurare all’uomo la vita eterna, e che Dio solo è Colui che può donarla

come ricompensa. Perché coloro di cui si dice abbiano conseguito

l’immortalità grazie ai loro meriti senza possedere né la rettitudine né

l’autentica virtù, non hanno ottenuto l’immortalità, bensì la morte a cagione

dei peccati e dei vizi loro; essi non sono degni della ricompensa celeste,

bensì della punizione infernale, che incombe su di essi e su tutti i loro

seguaci. Dimostrerò che il tempo di questo giudizio è vicino, e che la

ricompensa verrà data ai giusti, mentre i malvagi otterranno la punizione

che meritano.

Platone e molti altri filosofi, che erano ignari dell’origine di tutte le

cose e del periodo principiale nel quale il mondo fu creato, dissero che

dall’eccellente creazione del mondo ad oggi sono passati migliaia di ere,

seguendo con ciò l’opinione dei caldei i quali, come affermato da Cicerone

66
nel suo primo libro sulla divinazione, affermarono stoltamente di possedere

le cronache di quattrocentosettantamila anni passati; credendo di non poter

essere smentiti, essi si presero la libertà di dire falsità, ma noi, che siamo

istruiti dalle Sacre Scritture nella conoscenza della verità, conosciamo bene

tanto il principio quanto la fine del mondo, della quale parleremo in questa

parte finale dell’opera nostra, avendo trattato il principio del mondo nel

libro secondo della stessa. Lasciate pertanto che i filosofi che parlano di

innumerevoli migliaia di anni sappiano che la consunzione finale avverrà al

termine di questo sesto millennio non ancora concluso, e che essa porterà

ad un miglioramento degli affari dell’uomo, come innanzitutto

spiegheremo in modo che la questione sia chiara. Dio ha completato il

mondo e l’opera mirabile della natura nell’arco di sei giorni, come

affermato nei misteri delle sacre scritture, e santificò il settimo giorno, che

dedicò al suo riposo. Questo giorno è il sabato, chiamato così nella lingua

degli ebrei dal numero sette, che è quindi legittimato ad essere il numero

del completamento. Infatti vi sono sette giorni il cui susseguirsi regola il

ciclo dell’anno, e sette sono le stelle immobili e i luminari chiamati pianeti,

i cui diversi movimenti sono creduti determinare la varietà degli

accadimenti.

Di conseguenza, poiché tutte le opere di Dio sono state completate in

sei giorni, il mondo deve avere una durata di sei ere ossia seimila anni,

67
poiché uno dei grandi giorni di Dio corrisponde a mille anni umani, come

spiegato dal profeta che disse:

“Ai tuoi occhi, oh Signore, mille anni sono come un giorno”.

E come Dio ha adempiuto la sua grande opera nei sei giorni della

creazione, così la sua religione e la verità devono operare durante questi

seimila anni, durante i quali prevale la malvagità e il governo è affidato a

uomini che sono come orsi feroci. E ancora, dal momento che Dio si è

riposato il settimo giorno e lo ha benedetto, alla fine di questi seimila anni

tutta la malvagità deve essere abolita dalla terra, e la rettitudine governare

per mille anni, imperando la tranquillità e il riposo dagli affanni che stiamo

ora vivendo. Spiegherò con ordine come tutto ciò avverrà. Abbiamo detto

spesse volte che gli eventi minori e di scarsa importanza prefigurano

l’avvento di cose più grandi, e così l’oggigiorno, segnato dall’alba e dal

tramonto, è una rappresentazione del grande giorno in cui il cerchio dei

mille anni raggiungerà il suoi limite.

Allo stesso modo, gli uomini di questa terra preludono alla

formazione dell’umanità celeste. Come tutte le cose necessarie all’uso

dell’uomo furono fatte prima di creare quest’ultimo nel sesto giorno e

introdurlo nel mondo come in una casa ben arredata, così nel sesto grande

giorno il vero uomo viene formato dalla parola di Dio, nel senso che gli

uomini santi vengono attratti alla rettitudine dalla dottrina e dai precetti

68
divini, così che divengano uomini perfetti che possano governare il mondo

per mille anni. Ma in quale maniera la fine avrà poi luogo, e quale esito

attende le umane vicende, è cosa che accerteremo per il tramite delle sacre

scritture. Anche i profeti del mondo, in accordo con le verità celesti,

annunciano la fine di tutte le cose dopo un breve periodo, descrivendola

come se fosse l’ultima età di un mondo stanco e oramai sprecato.

Sottoporrò al giudizio del lettore queste verità, che ho raccolto da ogni

dove.

Capitolo 15: Della devastazione del mondo e dell’alternarsi degli

imperi.

Si narra, nei misteri delle sacre scritture, che un tempo un principe

dei giudei emigrò in Egitto con tutta la sua famiglia, spinto dalla mancanza

di grano nella sua terra. E quando la sua discendenza, che era rimasta in

Egitto, crebbe fino a diventare una grande nazione e fu oppressa dal giogo

duro e intollerabile della schiavitù, Dio punì l’Egitto con un male

incurabile e liberò il suo popolo conducendolo attraverso il mare, le cui

onde vennero tagliate a metà e divise in due segmenti, che permisero al

popolo di camminare sull’asciutto. Il re degli egiziani volle inseguirli, ma

proprio allora il mare ritornò nella sua normale posizione, e sterminò lui e

tutta la sua armata. Questo miracolo tanto illustre e meraviglioso,

nonostante sia ancora oggi una prova della potenza di Dio, fu anche

69
l’anticipazione e il simbolo di un avvenimento ancor più grande che questo

stesso Dio compirà alla fine dei tempi, in quanto libererà il suo popolo

dall’oppressione del mondo. Tuttavia, dal momento che all’epoca della

divisione del mare il popolo di Dio era composto da una sola nazione, in

quell’occasione venne punito solo l’Egitto. Ora che il popolo di Dio

abbraccia nazioni che parlano ogni linguaggio e sono diffuse su tutta la

terra, ne consegue che tutto il mondo verrà punito, in modo che i credenti

vengano resi liberi. E così come i segni del loro imminente castigo furono

rivelati agli egiziani in passato, così alla fine dei tempi vi saranno dei

prodigi che riguarderanno tutti gli elementi del mondo, e che saranno per le

nazioni un segnale della loro imminente rovina.

Pertanto, mentre si avvicina la fine di tutte le cose, gli affari

dell’uomo dovranno subire un enorme cambiamento, attraverso il quale la

preminenza della malvagità aumenterà talmente tanto che gli attuali tempi

di iniquità ed empietà sembreranno felici e quasi aurei in confronto con

questo incurabile male venturo. La rettitudine diminuirà, e l’empietà,

l’avarizia, il desiderio e la lussuria cresceranno così grandemente che ogni

uomo buono sarà una preda dei malvagi, e sarà molestato da ogni parte

dagli ingiusti; mentre i malvagi vivranno nell’opulenza, i giusti saranno

calunniati e vivranno negli stenti. La giustizia verrà confusa, e le leggi

distrutte. Nessuno riceverà nulla, se non ciò che avrà conquistato e difeso

con la forza delle sue braccia, e la violenza si impossesserà di ogni aspetto

70
dell’esistenza. Gli uomini saranno privi di fede e di pace, e non ci sarà più

dolcezza, pudicizia o verità. Non ci sarà più nemmeno la sicurezza e il

governo, e nessuna tregua dal male. A causa di ciò tutta la terra sarà in

tumulto: le guerre si scateneranno rabbiose ovunque, e tutte le nazioni si

leveranno in armi l’una contro l’altra. Gli stati vicini si faranno guerra a

vicenda, e innanzitutto l’Egitto sconterà la follia delle proprie superstizioni,

venendo coperto da fiumi di sangue. Il mondo sarà attraversato dalla forza

della spada, che calerà ovunque falciando come grano tutto ciò che

incontrerà. La mia mente si riempie di terrore al solo pensarci, ma siccome

è ciò che avverrà, dirò quale sarà la causa di tutto ciò: essa sarà la caduta

del dominio di Roma e il ritorno dell’imperio nelle terre dell’Asia.

L’oriente tornerà a dominare e renderà schiavo l’occidente. Le cose

andranno proprio così, per quanto possa apparire inverosimile che un reame

fondato su tanta estensione, accresciuto dall’opera di così tanti uomini, e

rafforzato da una grande massa di risorse possa mai crollare. Ma nulla di

ciò che è stato costruito dall’opera dell’uomo è immune dalla possibilità di

essere distrutto da questa stessa opera, perché tutto ciò che è opera di mano

mortale è esso stesso mortale. Anche gli imperi passati, benché fiorenti,

sono stati distrutti nonostante il loro potere, e ciò è vero per gli egiziani, i

persiani, i greci e gli assiri. Dopo la loro caduta sorsero i figli di Roma, e

così come questi superarono tutti i loro predecessori in magnificenza, così

71
li supereranno nella caduta, esattamente come gli edifici più elevati fanno

più rumore quando crollano.

Seneca suddivise appropriatamente le fasi dell’esistenza di Roma,

dicendo che visse la sua infanzia sotto il re Romolo, che la fece nascere e

l’educò; quindi fu giovinetta sotto gli altri re, sviluppandosi con numerosi

sistemi di istruzione e istituzioni. Ma in seguito, sotto il regno di Tarquinio,

nel momento in cui cominciava a crescere, non sopportò di essere serva e

buttò giù il giogo della tirannia, preferendo obbedire alle leggi piuttosto che

ai sovrani, e concludendo la sua giovinezza con le guerre puniche, che

sancirono il suo passaggio all’età adulta. Quando Cartagine, la sua secolare

rivale nella conquista del potere, venne distrutta, Roma estese il suo

dominio sulle terre e sui mari di tutto il mondo, sottomettendo tutti i re e

tutte le nazioni fino a quando l’abuso del suo potere non portò alla sua

stessa distruzione. Quest’epoca fu quella della sua prima vecchiaia, nella

quale Roma fu lacerata dalle guerre civili ed oppressa dal male che ebbe

origine in sé stessa, cadendo nuovamente sotto l’egida del governo di un

suolo uomo, come se stesse ritornando a vivere una seconda infanzia.

Avendo perduto la libertà che aveva difeso sotto la guida e l’autorità di

Bruto, Roma si incanutì e non ebbe più la forza di stare in piedi senza

l’ausilio dei governanti. Ma quando le cose stanno così, cosa può seguire

alla vecchiaia se non la morte? Tutto è destinato a perire, e le predizioni dei

profeti annunciano in modo succinto le cose che dovranno accadere,

72
nascondendole dietro il velame di nomi diversi in modo che non siano

facilmente comprese dagli uomini. Eppure le sibille affermarono

chiaramente che Roma sarebbe caduta, e che questo sarebbe stato il

giudizio di Dio per l’odio che essa avrebbe manifestato verso il suo nome.

E colui che è nemico della verità opprime coloro che della verità sono gli

alfieri.

Anche Istaspe, l’antico sovrano del popolo dei medi dal cui nome

deriva quello dell’attuale fiume Hidaspe, redasse per le generazioni future

una cronaca basata sull’interpretazione di un sogno che annunciava, molto

prima della fondazione stessa di Troia, che l’impero romano sarebbe un

giorno caduto.

Capitolo 16: Della devastazione del mondo, e dei prodigi che la

riguardano.

Affinché non possa sembrare inverosimile, spiegherò come ciò

avverrà. Prima di tutto l’impero verrà suddiviso e l’universalità del potere

temporale cesserà di esistere, disperso e frantumato tra molti. Vi saranno

guerre civili ininterrotte e conflitti sanguinosi a non finire, fino a quando

non saliranno al trono dieci diversi sovrani, la cui azione condurrà alla

distruzione del mondo piuttosto che al suo governo. Gli eserciti

cresceranno a dismisura e le terre non verranno più coltivate, e ciò sarà

l’inizio della distruzione e della sventura operata da questi re, che

73
divoreranno e distruggeranno ogni cosa. Improvvisamente si leverà contro

di loro un nemico potentissimo dalle remote regioni settentrionali, il quale

sconfiggerà i tre re che reggono l’Asia e diventerà alleato dei sette re

rimanenti, che lo eleggeranno loro capo. Il re del nord tormenterà il mondo

con insostenibile dominio, mescolerà gli affari divini con gli affari umani, e

sarà uno stratega iniquo, tessendo nel suo animo intrighi per innalzare un

proprio impero. Modificherà la legge imponendone una da lui inventata,

profanerà, saccheggerà, deprederà e porterà ovunque la morte. Poi

modificherà la sede dell’impero e il nome della sua capitale, seminando

confusione e turbamento presso gli uomini. Il suo regno sarà detestato e

abominevole, e nessun essere umano sarà felice. Le città saranno in rovina

e verranno distrutte non solamente dalla spada e dal fuoco, ma anche dai

molti terremoti, dalle alluvioni, e da pestilenze e carestie. L’atmosfera sarà

inquinata e malata per via delle piogge eccessive che si alterneranno alla

siccità, i grandi freddi e i calori altrettanto esagerati. La terra sarà sterile e i

campi, gli alberi e i filari di viti non fruttificheranno, benché ingannino gli

uomini con false speranze date da un’abbondante fioritura. Le fonti e i

fiumi si seccheranno e l’acqua scarseggerà, rendendo le sorgenti

insanguinate e amare. Gli animali terrestri moriranno per la siccità, e così

pure gli uccelli nel cielo e i pesci nel mare. Oltre a ciò, molti prodigi celesti

terrorizzeranno gli uomini, che vedranno sopra di loro comete, eclissi

solari, stelle cadenti, e la luna mutare di colore. Lo stupore sarà dovuto al

74
fatto che questi avvenimenti non accadranno nel modo usuale, ma faranno

la loro improvvisa apparizione corpi celesti prima di allora sconosciuti e

mai veduti dall’occhio dell’uomo. Il sole sarà offuscato ininterrottamente,

al punto tale che il giorno e la notte si confonderanno e la luna, offesa dal

continuo versamento di sangue, non calerà per tre ore e compirà dei

movimenti anomali, che confonderanno l’uomo circa il percorso delle stelle

e l’alternarsi delle stagioni; si vedrà l’estate quando avrebbe dovuto vedersi

l’inverno, e viceversa. Il ciclo annuale sarà di durata più breve, e così pure i

mesi e i giorni, e le stelle cadenti saranno assai frequenti, rendendo il cielo

senza luci e come cieco. Anche le alte montagne crolleranno e verranno

rese come pianure, e il mare non potrà più essere navigato. E per non far

mancare proprio nulla alle sventure degli uomini e della terra, si sentirà dal

cielo come il rumore di una tromba, che è stato predetto dalla Sibilla in

questi termini:

“Un lugubre suono verrà dalla tromba celeste”

A quel suono mortale tutti gli uomini saranno colmi di terrore, e l’ira di Dio

contro l’ingiustizia degli uomini renderà ancora più aspri il ferro, il fuoco,

la fame, le malattie e l’incombere della paura. Le preghiere degli uomini

saranno ormai vane, e la morte pur desiderata non giungerà a porre fine alle

sofferenze. Il timore non avrà tregua nemmeno col sonno notturno, perché

la preoccupazione e l’insonnia affliggeranno l’animo umano, e gli uomini

75
piangeranno, gemeranno e avranno stridore di denti, rallegrandosi per i

morti e compatendo coloro che saranno ancora in vita.

La terra sarà riempita di solitudine a motivo di tutti questi e molti

altri dolori, e il mondo sarà irriconoscibile e disabitato. I versi della Sibilla

predicono ciò dicendo:

“Il mondo sarà privato della sua bellezza, quando gli uomini

saranno distrutti”.

Solo una decima parte del genere umano sopravvivrà, e di mille uomini ne

rimarranno solo cento. Tra i credenti, due terzi moriranno ed il rimanente

terzo sarà messo a dura prova.

Capitolo 17: Del falso profeta, delle avversità che infliggerà ai credenti,

e della sua distruzione.

Enuncerò ora con più chiarezza come si svolgeranno gli eventi. Con

la fine dei tempi ormai prossima, Dio manderà un grande profeta che

chiamerà gli uomini alla conversione e alla conoscenza di Dio, ricevendo

anche il potere di compiere grandi miracoli. Dove la sua predicazione

rimarrà inascoltata non vi saranno più piogge, l’acqua si tramuterà in

sangue, e la fame e la sete tormenteranno gli abitanti di quelle terre. Dalla

bocca di questo profeta uscirà un fuoco che sterminerà chiunque oserà

76
cercare di nuocergli. Tali prodigi e poteri convertiranno molte persone al

culto del vero Dio.

Dopo che tutte queste cose saranno avvenute, sorgerà un altro re

dalla Siria, figlio di uno spirito maligno, sterminatore e flagello del genere

umano, che distruggerà ciò che sarà rimasto del malvagio re del nord, oltre

che lui stesso. Poi si volgerà contro il profeta di Dio e lo sconfiggerà,

uccidendolo e privandolo di degna sepoltura. Il terzo giorno, il profeta di

Dio risorgerà e ascenderà al cielo sotto lo sguardo stupito di tutti.

Non c’è dubbio che anche questo re siriano sarà un sovrano terribile

e un profeta menzognero, che si crederà un dio e pretenderà che tutti lo

considerino tale, ordinando che gli venga tributato il culto dovuto ad un

figlio di Dio. Gli sarà dato il potere di compiere falsi miracoli che

sedurranno gli uomini e li convincerà ad adorarlo; ad un suo cenno il fuoco

scenderà dal cielo, il sole interromperà il suo tragitto, ed una statua

comincerà a parlare. Persino moltissimi uomini saggi saranno ingannati dal

suo potere, ed egli cercherà di distruggere il tempio di Dio,perseguitando i

giusti e portando tribolazioni e rovina quali non ve ne furono mai dalla

creazione del mondo. Tutti coloro che gli crederanno e si avvicineranno a

lui avranno un marchio simile a quello che viene impresso sugli armenti, e

coloro che invece rifiuteranno il marchio fuggiranno sulle montagne o, se

verranno catturati, saranno uccisi con elaborate torture. I giusti saranno arsi

vivi con i libri dei profeti legati intorno ai loro corpi, e gli sarà concesso di

77
portare in questo modo la desolazione sulla terra per quarantadue mesi. In

quel tempo la giustizia sarà accantonata e vi sarà odio per l’innocenza, e i

malvagi prevaricheranno con ostilità sugli uomini buoni. Legge, ordine, e

disciplina militare saranno calpestati, e non vi saranno più né il rispetto per

i vecchi, né il dovere della pietà, né la misericordia verso le donne e i

bambini. Tutto sarà confuso e mescolato contro la giustizia e contro le leggi

di natura. La terra intera sarà funestata da un’unica violenza condivisa.

Quando tutto ciò avverrà, i giusti e i veridici si separeranno dai

malvagi e si rifugeranno in luoghi solitari. Quell’empio, dopo essere venuto

a conoscenza di ciò, accecato dall’ira, radunerà un grande esercito a farà

cingere d’assedio dalle sua truppe il monte in cui i giusti avranno preso

dimora, per espugnarlo. Vedutisi assediati da ogni lato, i credenti

eleveranno suppliche accorate a Dio e imploreranno l’aiuto celeste, e Dio

ascolterà la loro preghiera e invierà loro il grande re del cielo affinché li

salvi e li liberi, disperdendo gli empi con la forza della spada e della

fiamma.

Capitolo 18: Gli eventi della fine del mondo, e le predizioni degli

indovini che la riguardano.

Tutti i profeti ricolmi dello spirito divino, e così anche tutti gli

indovini ispirati dai demoni, hanno profetato questi eventi futuri. Infatti il

già nominato Istaspe, dopo aver descritto la malvagità dei tempi ultimi,

78
disse che gli uomini religiosi e devoti, distaccatisi dai malvagi, avrebbero

teso le mani e invocato l’ausilio di Giove il quale, indirizzato il suo sguardo

verso la terra, avrebbe ascoltato le voci dei giusti e annientato gli empi.

Tutto ciò è veridico al di fuori dell’attribuzione a Giove dell’opera che sarà

di Dio. L’inganno diabolico ha fatto si che venisse però omesso anche un

altro dettaglio, ossia quello relativo alla discesa del Figlio di Dio, per

distruggere tutti i malvagi e liberare i credenti. Ermete Trismegisto non lo

ha invece nascosto, e nel suo libro intitolato “Il perfetto discorso” scrive,

dopo aver enumerato i mali di cui già ci siamo dilungati:

“Oh Asclepio, dopo che saranno avvenute queste cose, colui che è

Signore e Padre e Dio e Demiurgo del primo e unico Dio, volgerà il

suo sguardo agli avvenimenti terrestri e opporrà la propria volontà

– che è il Bene – al disordine, sopprimendo l’errore, estirpando il

male – ora dissolvendolo con molta acqua, ora bruciandolo con

fuoco rovente, ora sgominandolo con guerre e pestilenze – e

riconducendo tutto al principio, restituendo il proprio cosmo al suo

inizio”.

Anche le sibille preannunziano la stessa identica cosa, in quanto affermano

che il Sommo Padre manderà il Figlio per liberare i giusti dal potere degli

empi, e distruggere gli ingiusti e i tiranni. Così vaticina una sibilla:

79
“Verrà e vorrà distruggere la città dell’uomo beato,

ma un divino sovrano contro costui sarà inviato.

Tutti distruggerà, grandi re e uomini nobili,

finché non giunga dell’Immortale il giudizio sugli uomini”.

Un’altra sibilla dice ancora:

“Un re solare da Dio sarà inviato,

e il mondo intero dal male sarà risollevato”.

Ed una terza poi profetizza:

“Il giogo verrà tolto da un mite che sta per arrivare

sui colli più non peserà la schiavitù che non si può sopportare.

I lacci dell’oppressione e le leggi degli empi egli verrà a spezzare”.

Capitolo 19: Dell’avvento del Cristo giudicante, e della distruzione del

falso profeta.

Mentre la mancanza delle forze umane capaci di annientare questa

forte e grande tirannia schiaccerà il mondo, e mentre questa stessa tirannia

lo terrà in ostaggio e lo occuperà con la forza delle sue armate di briganti,

scenderà allora l’ausilio divino che sarà in grado di fronteggiare una tanto

grande calamità. Dio, sollecitato dal grande pericolo e dalle invocazioni dei

giusti in cerca di misericordia, invierà il liberatore, ed allora il cielo si

80
fenderà a metà durante una notte particolarmente tenebrosa, che renderà

ancora più sfolgorante la discesa della luce divina. La Sibilla disse a tal

proposito:

“Al suo avvento fuoco e tenebra sarà

all’interno di una notte d’oscurità”.

Noi celebriamo questa notte vegliando per la venuta del Re e Dio nostro, e

questo per due motivi: il primo è perché in questa notte egli ricevette la vita

subendo la passione, e poi perché sempre in essa egli è destinato a ricevere

il regno del mondo. Costui, che noi chiamiamo Cristo, è infatti liberatore,

giudice, vendicatore, re e Dio, e il segno che darà dell’imminenza della sua

venuta sarà l’improvvisa caduta di una spada dal cielo, tramite la quale i

giusti sapranno che il duce della santa milizia starà per scendere sulla terra,

accompagnato dal corteo degli angeli.

Egli sarà inoltre preceduto da una fiamma inestinguibile, e la forza

degli angeli consegnerà nelle mani dei giusti tutti coloro che avranno cinto

d’assedio la montagna, la quale verrà massacrata dall’ora terza fino al

vespro, facendo fluire il sangue a fiotti. Una volte che le sue truppe saranno

state distrutte, l’empio fuggirà da solo, ma la sua potenza sarà annientata da

Cristo. Questo empio si era fatto chiamare falsamente “Cristo” e combatté

quello vero, ma egli è colui che è detto “Anticristo”. Una volta vinto

fuggirà, e più volte continuerà ad attaccare venendo puntualmente sconfitto

81
fino a quando, distrutto tutto il suo esercito al termine di una quarta

battaglia, sconfitto e fatto prigioniero, infine pagherà il fio dei suoi crimini.

Anche gli altri principi e gli altri tiranni, che avevano condotto il

mondo alla rovina, saranno incatenati insieme a lui e saranno consegnati al

sovrano, che dopo averli accusati e aver rinfacciato le colpe loro, decreterà

la loro condanna e li consegnerà alla ben meritata giustizia. Estinti così il

male e l’empietà, il mondo che era stato sottoposto all’errore e

all’irreligione troverà la quiete, dopo aver sopportato per tanti secoli tale

sacrilega schiavitù. L’idolatria non esisterà più e gli idoli, condotti fuori dai

templi e dalle nicchie, verranno bruciati insieme alle offerte che erano state

loro dedicate. Anche una Sibilla, affermando quanto affermano gli stessi

profeti, predisse che ciò sarebbe accaduto:

“Gl’idoli tutti e tutti i tesori saranno distrutti dai mortali”.

E disse a sua volta la Sibilla Eritrea:

“Le opere divine di umana fattura diverranno cenere”.

Capitolo 20: A proposito del giudizio di Cristo, dei cristiani, e

dell’anima.

Quando sarà trascorso tutto ciò gli inferi si apriranno, ed i morti

torneranno a nuova vita per essere giudicati da questo stesso re e Dio, al

82
quale il Padre Supremo avrà dato sia il potere di giudicare che il potere di

regnare, come predetto dalla Sibilla eritrea:

“Quando tutto sarà compiuto, ed il giudizio del Dio immortale

calerà su chi gusta la morte, verrà sull’uomo il grande giudizio”.

Ed un’altra sibilla ha detto:

“E quando sulla terra si riverserà il caos del Tartaro, allora tutti i re

saranno condotti al sede del giudizio di Dio”.

Ed ancora:

“Arrotolando i cieli, aprirò le caverne della terra, quindi farò

risorgere i morti e li chiamerò al giudizio, giudicando parimenti i pii

e gli empi”.

Tuttavia non tutti gli uomini saranno giudicati da Dio, ma solo coloro che

avranno praticato la vera religione. Per coloro che non hanno seguito Dio il

giudizio e la condanna sono già stati pronunciati, e le sacre scritture

testimoniano che essi non risorgeranno. I credenti verranno invece

giudicati, e le loro buone azioni verranno soppesate insieme alle malvagie:

coloro le cui buone azioni avranno un peso maggiore riceveranno la vita

della benedizione; ma se le loro azioni malvagie saranno più pesanti, allora

saranno condannati al supplizio.

83
A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile

che le anime immortali possano essere capaci di soffrire e di essere

sensibili alla punizione, perché è evidente che chi può essere punito è per

ciò stesso passibile di sofferenza, e conseguentemente di morte. Se

qualcuno è immortale non può soffrire, e pertanto nemmeno essere punito

in qualche modo. Quest’opinione è propria dello stoicismo, secondo la cui

dottrina le anime degli uomini continuano ad esistere e non possono essere

annientate dalla morte, mentre i giusti, i puri, coloro che non provano

dolore, e i felici, ritornano ai corpi celesti da dove hanno avuto origine,

oppure rinascono in qualche felice dimensione, nella quale assaporano

piaceri meravigliosi. Viceversa, i malvagi che si sono intrattenuti con le

passioni maligne, hanno una natura a metà strada tra la mortale e

l’immortale, e sono indeboliti dalla contaminazione della carne; essendo

resi schiavi dei desideri e della concupiscenza, si macchiano indelebilmente

della natura terreste, e quando questa è divenuta preminente coll’andar del

tempo, le anime ormai snaturate non possono estinguersi e acquisiscono la

capacità di soffrire tramite il corpo, che viene bruciato attraverso i peccati

producendo la sensazione del dolore. Il poeta ha espresso tutto ciò con

queste parole:

“Quando l’ultimo soffio vitale viene espirato

e il freddo corpo alla morte è ormai acquistato

84
tuttavia ancora si trattiene

il lascito di sofferenza nelle vene.

Molte son le sozzure contratte pienamente

che per forza persisteranno lungamente.

Così soffrendo dovranno penare

Sicché di antiche colpe si potran purificare.

Queste parole sono prossime alla verità. E l’anima, una volta che si separa

dal corpo, è proprio come viene descritta dal poeta:

“Come un vento leggero, e simile al sogno”.

Questo perché ora è spirito impercettibile per noi esseri carnali ma

perfettamente percettibile da Dio, a cagione della sua onnipotenza.

Capitolo 21: Dei tormenti e della punizione delle anime.

Pertanto è necessario comprendere in primo luogo che il potere di

Dio è tanto elevato da renderlo capace di percepire anche le cose che

appartengono al regno dell’incorporeo, e governarle nella maniera che più

gli aggrada. Anche gli angeli temono Dio, perché sanno di poter essere

castigati da lui in modi inspiegabili; e i demoni sono da lui terrorizzati, per

via dei tormenti e delle punizioni che egli li riserva. Di cosa ci si dovrebbe

dunque meravigliare se le anime, benché immortali, possono essere capaci

85
di soffrire per volontà divina? Anche se esse sono in sé stesse immateriali,

e non si può infliggere loro sofferenza attraverso cose corporee, sono però

nelle mani di Dio, la cui energia e sostanza è spirituale, ed è l’unico che

può arrecar loro danno.

Le sacre scritture ci informano del modo preciso in cui le anime

vengono punite. Poiché hanno peccato coi loro corpi, esse sono

nuovamente rivestite di carne; ma si tratta di una carne diversa da quella

che rivestivano sulla terra, essendo questa indistruttibile e imperitura,

capace di non disfarsi a seguito delle torture e del fuoco sempiterno, il

quale è a sua volta diverso dal fuoco che utilizziamo per le necessità della

vita di tutti i giorni, e che può estinguersi se non viene continuamente

ravvivato. Il fuoco divino è autosussistente, e si ravviva senza aver bisogno

dell’intervento di altri; esso è privo di fumo, ma puro e di forma liquida

simile all’acqua. Questo fuoco, con un solo ed unico potere, brucia e

parimenti ricostruisce le carni dei peccatori, e si alimenta eternamente da sé

stesso. Coloro che invece sono stati colmi di giustizia, di maturità e di virtù

non percepiscono il fuoco, perché hanno in sé stessi qualcosa di origine

divina che respinge la violenza della fiamma. La forza dell’innocenza è

tanto grande che le fiamme non causano alcun danno ai giusti, che hanno

ricevuto da Dio il potere di avere sotto il loro controllo ciò che invece

provoca sofferenza ai malvagi.

86
Non si creda, tuttavia, che le anime vengano immediatamente

giudicate dopo la morte. Tutte loro sono inizialmente detenute in un unico

luogo di attesa, fino a quando non sorga l’ora del grande giudizio. Allora

coloro la cui pietà sarà stata accolta riceveranno la ricompensa

dell’immortalità, mentre coloro i cui crimini e peccati saranno stati rivelati

non risorgeranno nuovamente, ma saranno sepolti nella medesima oscurità

dei malvagi, destinati a determinate punizioni.

Capitolo 22: Dell’errore dei poeti, e del ritorno delle anime dagl’inferi.

Certe persone credano che quanto abbiamo detto fin’ora sia solo

finzione poetica e mera impossibilità, ed in effetti non v’è da stupirsi che

qualcuno possa pensarlo. Questi argomenti sono riferiti dai poeti in una

maniera che si allontana dalla verità dei fatti, perché sebbene la loro

conoscenza sia molto più antica di quella degli storici, degli oratori, e di

altri letterati, sono tuttavia ignoranti circa i segreti dei misteri divini, e i dati

sulla resurrezione li sono giunti per vie oscure e frammentarie. Essi stessi

sono i primi a certificare che ciò che affermano non è frutto di una solida

autorità ma di mera opinione, come confermato da Marone:

“La lingua rende noto ciò che l’orecchio ha udito”.

I poeti hanno inoltre corrotto i segreti della verità, anche se sono più vicini

al vero in quanto parzialmente in accordo con i profeti. Tutto ciò è per noi

87
una prova sufficiente, e diciamo che nei loro errori è contenuta qualche

ragione. Questo perché il continuo annuncio profetico dell’avvento del

Figlio di Dio quale giudice dei morti non li è sfuggito, ma ritenendo che

non vi fosse alcun sovrano celeste al di fuori di Giove, ne convennero che il

figlio di Giove avesse autorità sugli inferi, e non potendo essere tale figlio

identificabile con Apollo, o Libero, o Mercurio, i quali sono tutti divinità

celesti, credettero si stesse parlando di un giusto tra i mortali, come

Minasse, o Eaco, o Radamente. Quindi, i poeti si sono presi delle licenze

che hanno condotto all’alterazione della verità da loro ricevuta, e il

passaggio da orecchio a orecchio della stessa ha modificato la realtà dei

fatti. Essi riferirono che dopo mille anni passati negli inferi sarebbero

tornati a nuova vita, secondo la testimonianza di Marone:

“Tutti costoro, dopo il millennio passato

avranno il cerchio del destino nuovamente voltato.

La voce divina, da vicina o lontana sponda

del Lete tutti richiamerà sull’onda.

La vita terrena nuovamente gusteranno

ma della vita passata la memoria perderanno.

E privi d’esperienza nuovamente plasmati

Nei corpi terreni saranno incarnati”.

88
Il dato che è sfuggito ai poeti è relativo al fatto che le anime non

soggiorneranno agl’inferi per mille anni dopo la loro morte, bensì accadrà

che esse risorgeranno per regnare mille anni insieme a Dio. Dopo che avrà

mondato la terra da tutte le imperfezioni, egli ricollocherà le anime dei

giusti su dei corpi terreni, e le farà risorgere verso una benedizione

sconfinata. Tutte le altre cose riferite sono vere, eccezion fatta che per la

menzione del fiume della dimenticanza: perché non ci si dovrebbe

ricordare di essere stati già una volta in vita, chi si era, e cosa si è fatto?

Quando attestiamo la dottrina della resurrezione delle anime nel

pieno ricordo della loro esperienza passata, ci viene spesso domandato:

quanti anni sono passati, e chi mai è risorto dai morti per darci la prova che

tutto ciò sia possibile? In realtà la domanda è mal posta, perché nessuno

può risorgere col presente stato del mondo, in cui prevalgono l’ingiustizia e

la violenza tra gli uomini, in cui la giustizia è odiata e i credenti sono

tormentati e costretti all’idolatria non attraverso la ragione, ma con la forza

della violenza. Un uomo credente, la cui esistenza è tenuta di così poco

conto, dovrebbe forse ritornare ad una vita in cui non è possibile garantire

la sua sicurezza? Egli verrebbe subito tolto di mezzo, per evitare il rischio

che, se gli uomini lo vedessero o udissero le sue parole, si volgerebbero

immediatamente al culto del vero Dio. E’ quindi necessario che la

resurrezione avvenga solo quando la malvagità sia stata completamente

estirpata, perché coloro che risorgeranno non muoiano nuovamente né

89
vengano danneggiati in nessuna maniera, ma abbiano una vita felice in cui

non c’è più morte. I poeti, che invece sapevano che questa vita è dolore,

inventarono il mito del fiume della dimenticanza, in modo che le anime,

non ricordando le sofferenze e la malvagità, non si rifiutassero di

abbandonare le dimore celesti. […] Essi supposero che le anime dovessero

nuovamente rinascere dai ventri delle loro madri, ritornando bambini.

Anche Platone, discutendo dell’anima, disse che si poteva avere prova della

sua natura immortale e divina per via del fatto che le menti dei giovinetti

sono sveglie e agili nell’imparare, il che indicherebbe che non si tratta

dell’apprendere qualcosa per la prima volta, bensì di un ricordar qualcosa.

Queste è la maniera in cui un uomo saggio può credere scioccamente alle

parole dei poeti.

Capitolo 23: Della resurrezione delle anime, e delle prove di ciò.

E’ impossibile che le anime rinascano, perché in realtà esse

risorgeranno e verranno rivestite da Dio di corpi, ricordando la loro vita

passata e tutte le loro azioni. Esse verranno dotate di corpi celestiali, e

godranno del piacere di innumerevoli godimenti. Esse renderanno grazie a

Dio, in sua presenza, per la distruzione di tutti i mali, e per aver loro

concesso di elevarli al suo regno e alla vita perpetua. Quanto a ciò che

hanno detto in merito alla resurrezione i filosofi corrotti dai poeti, Pitagora

asserì che le anime passano in nuovi corpi, ma aggiunse stoltamente che

90
questo passaggio avviene da uomo e bestia e da bestia a uomo. Parlò

meglio Crisippo, che Cicerone considera un sostenitore dello stoicismo e

che, in una sua opera sulla provvidenza, introdusse il suo discorso sul

rinnovamento del mondo dicendo che ritorniamo nello stesso stato in cui

siamo ora.

[…] Pertanto, se non solo i profeti, ma persino i bardi, i poeti, e i

filosofi sono d’accordo circa la resurrezione dei morti, che nessuno più si

domandi come essa sia possibile, non dovendo esserci nessuna

giustificazione per l’opera divina. Se Dio ha creato l’uomo in una maniera

che sconosciuta, è lecito anche credere che un uomo anziano possa

ritornare ad essere un uomo nuovo.

Capitolo 24: Del mondo rinnovato.

Dirò ora di ciò che seguirà alla resurrezione. Il figlio dell’Altissimo e

Potente Iddio verrà a giudicare tutti gli uomini, come testimoniato dalle

parole della Sibilla:

“Vi sarà confusione su tutta la terra, quando l’Altissimo in persona

giungerà allo scranno del giudice per giudicare le anime

dell’umanità intera e del mondo”.

Dopo che egli avrà distrutto l’ingiustizia, portato a compimento il suo

grande giudizio, e riportato in vita i giusti, regnerà in mezzo a questi ultimi

91
per mille anni, col più giusto dei governi. Ancora la Sibilla ha detto

ispiratamente:

“Uditemi, oh mortali! Un re domina senza fine!”.

Gli uomini vivranno nei loro corpi immortali per mille anni, dando vita ad

una prole infinita che sarà santa e amata da Dio, e che avrà i risorti quali

loro giudici. Le nazioni non si estingueranno completamente, ma alcune di

esse continueranno ad esistere come un segno di vittoria da parte di Dio e

di trionfo per i giusti, soggette ad eterna schiavitù. Allo stesso tempo anche

il principe dei diavoli, la sorgente di tutti i mali, sarà ridotto in catene e

imprigionato per tutto questo millennio di dominio celeste. I giusti

verranno radunati da ogni angolo della terra e il giudizio verrà completato,

e la città santa verrà edificata al centro della terra da Dio stesso insieme ai

giusti, divenendo la sua capitale. La Sibilla dice a tal proposito:

“La città edificata da Dio è resa più brillante delle stelle, del sole, e

della luna”.

L’oscurità scomparirà, e la luna riceverà lo stesso splendore del sole, che a

sua volta diventerà sette volte più luminoso di quanto è ora. La terra darà i

suoi frutti, le montagne coleranno miele, fluiranno torrenti di vino, e i fiumi

faranno scorrere latte. Insomma, il mondo stesso gioirà e la natura esulterà,

essendo stata liberata dal dominio del male e dell’empietà, del pericolo e

92
dell’errore. Non esisteranno più animali carnivori o uccelli rapaci, ma ogni

cosa vivrà in pace e tranquillità. I leoni e gli agnelli staranno insieme, e il

lupo non arrecherà nessun danno alla pecora. Il segugio non prederà più,

falchi ed aquile non saranno pericolosi, e il neonato giocherà coi serpenti.

Sarà tutto come descritto a proposito del regno di Saturno dai poeti, il cui

unico errore è stato quello di porre nel passato ciò che i profeti avevano

predetto per il futuro. Ciò è accaduto perché le visioni furono rivelate dallo

spirito divino come immediatamente evidenti agli occhi di questi ultimi, e

quando la fama di tali visioni si sparse, coloro che non erano istruiti circa i

misteri della fede non riuscirono a constestualizzarle, e le considerarono

come già avvenute nelle epoche passate, cosa chiaramente mai avvenuta

durante l’età dell’uomo. Ma quando le religioni empie e i crimini verranno

distrutti, la terra verrà assoggettata alla volontà di Dio:

“Il marinaio non solcherà più il mare, e di pino foggiata

la nave non porterà più merce; ogni cosa dalla terra verrà donata.

La falce non graffierà più le vigne, né i rastrelli il suolo,

anche il forte contadino libererà il toro dal suo giogo.

La molle spiga lentamente imbiondirà il prato

la rossa uva penderà dal pruno giammai coltivato,

e miele come rugiada dalla dura quercia distillato.

Non vi sarà bisogno più di tinteggiare

93
poiché da sé nei prati l’ariete potrà il vello mutare

con giallo di croco, con color purpureo di soave rosseggiare.

Spontaneamente l’agnello al pascolo sarà di carminio rivestito,

il ventre della capra sarà da solo di latte riempito,

e il leone dagli armenti non sarà mai più temuto”.

Queste sono le parole che il poeta ha riportato dalla Sibilla Cumana, e la

Sibilla Eritrea aggiunge che:

“Sui monti i lupi non più combatteran con gli agnellini

e le linci brucheranno l’erba con i bambini.

Si nutrirà il cinghiale col vitello ed altre greggi sul prato,

e il leone nella mangiatoia sarà di fieno sfamato.

Incustodito, senza il bisogno della presenza della madre

Il bambino insieme al serpente potrà riposare”.

[…] Gli uomini vivranno pertanto la più tranquilla vita immaginabile,

godendo dell’abbondanza delle risorse, e regnando insieme a Dio. I re delle

nazioni verranno da ogni angolo della terra con offerte e doni, per adorare e

onorare il grande Re, il cui nome sarà rinomato e venerato da tutti i popoli

che vivono sotto il cielo, e da tutti i re che dominano sulla terra.

94
Capitolo 25: Degli ultimi tempi, e della città di Roma.

Tutte queste cose predette dai profeti sono prossime a manifestarsi,

ma non ho ritenuto necessario riportare le loro testimonianze e le loro

parole perché sarebbe uno sforzo vano e non necessario, dal momento che

molti altri hanno parlato di queste cose prima di noi e non vorremmo

risultare troppo noiosi al lettore, ripetendo cose già dette. […] Chi volesse

approfondire tali questioni potrà senz’altro risalire alle fonti medesime, e

apprendere molte più notizie ammirevoli di quante sono raccolte in

quest’opera.

Alcuni si potranno tuttavia domandare quando accadranno tutte le

cose di cui abbiamo fin’ora parlato. Come già detto in precedenza, occorre

che questa mutazione avvenga al decorrere di seimila anni, al termine dei

quali si avvicinerà il giorno supremo del compimento finale. I profeti

hanno elencato i segni in base ai quali è possibile riconoscere il suo

avvicinarsi, i quali sono la conferma della nostra attesa e il quotidiano

timore del loro avverarsi. Quando tuttavia ciò debba compiersi è insegnato

da coloro che si sono occupati di cronologia, ricavando dalle sacre scritture

e da altre fonti il numero di anni che è già passato dalla creazione del

mondo. Benché vi siano delle variazioni e le somme complessive non

coincidano, sembra che non vi sia da aspettare più di duecento anni. E’

quindi chiaro che la rovina e la caduta del mondo avverranno a breve, ma

non si deve temere nulla di tutto questo fino a quando la città di Roma sarà

95
sana e salva. In verità, quando questa guida verrà spodestata ed inizierà la

violenza predetta dalle sibille, chi potrà ancora dubitare che sia ormai

giunta l’ultima ora per gli uomini e per il mondo? È questa città che tiene

ancora tutto in piedi, e noi dobbiamo implorare e supplicare il Dio del cielo

– sempre che i suoi piani e le sue decisioni possano essere procrastinate –

affinché non venga prima di quanto abbiamo ipotizzato quel tiranno

abominevole, la cui funzione è di tramare un crimine simile e strappare

quella luce alla cui rovina seguirà il crollo di tutto il mondo. Detto ciò,

parliamo ora di altre cose che dovranno accadere.

Capitolo 26: Della sconfitta finale del diavolo, e del secondo e ancor più

grande giudizio.

Abbiamo detto poc’anzi che, quando verrà instaurato il sacro regno,

il principe dei demoni verrà incatenato da Dio. Ma quando saranno quasi

trascorsi i mille anni, ossia al volgere del settimo millennio della vita del

mondo, egli sarà nuovamente liberato dalla sua prigionia, riunirà le nazioni

tenute a freno dal dominio dei giusti, e porterà guerra alla città santa. I

popoli riuniti sotto lo stendardo del diavolo saranno innumerevoli, ed essi

cingeranno d’assedio la città. La collera di Dio si abbatterà allora sulle

nazioni e le distruggerà. In primo luogo scuoterà la terra in modo

violentissimo, tanto che le montagne della Siria verranno livellate e le

colline e le mura delle città precipiteranno. Poi Dio impedirà al sole di

96
tramontare per tre giorni consecutivi, e il troppo calore e la grande fiamma

che ne verranno generati scenderanno sui popoli empi ed ostili, e con questi

piogge di zolfo, grandine, e lingue di fuoco. I loro spiriti si fonderanno con

il calore, i loro corpi saranno ammaccati dalla grandine, ed essi si

colpiranno a vicenda con le loro spade. Le montagne saranno piene di

cadaveri e le pianure ricoperte di ossa, ma durante questi tre giorni il

popolo di Dio avrà trovato rifugio dentro grotte nella terra, fintantoché l’ira

di Dio contro le nazioni e il suo ultimo giudizio non si siano compiuti.

Alla fine i giusti usciranno dai loro ripari, e vedranno che ogni cosa è

ricoperta di ossa e di cadaveri. Tutta la stirpe dei malvagi sarà finalmente

perita, e non vi sarà più nessuna nazione in questo mondo ed eccezione del

popolo di Dio. Allora per sette anni non ci sarà bisogno di toccare un solo

albero né di fare legname nelle montagne, perché per far fuoco verranno

utilizzate le armi delle nazioni. E non ci saranno più guerre, ma pace e

riposo senza fine. Quando il millesimo anno sarà definitivamente passato, il

mondo sarà rinnovato da Dio, i cieli verranno riunificati, e la terra cambierà

aspetto. Gli uomini saranno resi da Dio simili agli angeli, e saranno bianchi

come la neve. Essi saranno elevati al fianco dell’Altissimo, facendo offerte

al loro Signore e servendolo per sempre. Allo stesso tempo avverrà la

seconda resurrezione, che questa volta coinvolgerà tutti gli uomini, e con la

quale gli ingiusti verranno invitati all’eterno supplizio. Questi sono coloro

che hanno adorato idoli fabbricati dalle loro stesse mani e hanno rinnegato

97
il Signore e Padre del mondo. Ma il loro signore e i suoi servi saranno

incatenati e condannati alla punizione, e insieme ad essi tutta la turba dei

malvagi, secondo quelle che saranno state le loro azioni, che sarà arsa per

sempre con la fiamma perpetua, sotto gli occhi degli angeli e dei giusti.

Questa è la dottrina dei santi profeti in cui noi cristiani crediamo.

Questa è la sapienza nostra che coloro che adorano fragili oggetti o

aderiscono a vuote filosofie deridono stoltamente e vanamente. Noi non

siamo abituati a difendere o proclamare pubblicamente la nostra dottrina,

perché Dio ci ha ordinato di celare quietamente e in silenzio i suoi segreti, e

custodirli nelle nostre coscienze senza scendere in dibattiti ostinati con

coloro che ignorano la verità, e che prendono vigorosamente d’assalto Dio

e la sua religione non per imparare, ma per dileggio. Noi chiamiamo fede il

mistero che teniamo scrupolosamente nascosto, ma essi accusano il nostro

silenzio e lo scambiano per coscienza sporca, quando loro stessi inventano

cose detestabili su coloro che sono santi e privi di biasimo, credendo

volentieri alle loro invenzioni.

98
BIBLIOGRAFIA

 AA.VV., Ante-Nicene fathers (volume 7), Buffalo-New York 1886.

 AA.VV., L'attività letteraria nell'Antica Roma, Palermo 1982.

 Alberti A. (a cura di), Avesta, Torino 2008.

 Barbaglio G. e Dianich S., Nuovo dizionario di teologia, Roma 1979.

 Bausani A., Persia religiosa, Cosenza 1999.

 Benveniste E., Une apocalypse pehlevie: Le Zamasp-Namak, in “Revue

de l’histoire des religions” fasc. 106, 1932, pp. 337-380.

 Benamozegh E., Il Noachismo, Genova 2006.

 Bianchi D., L’origine del cristianesimo nel pensiero di Elia

Benamozegh, Udine, tesi di laurea a.a. 2008-2009.

 Boccaccini G., Oltre l’ipotesi essena. Lo scisma tra Qumran e il

giudaismo enochico, Brescia 2003.

 Boella U. (a cura di), Divinae institutiones; De opificio dei; De ira dei /

Lattanzio, Firenze 1973.

 Bousset W., Der Antichrist in der Uberlieferung des Judentums, des

Neuen Testaments und der Alten Kirche, Gottingen 1895.

 Calimani R., Paolo, l’ebreo che fondò il cristianesimo, Milano 1999.

 Cantagalli E. (a cura di), Il De ira Dei di Lattanzio, Siena 1929.

 Capelli P., Il problema del male: risposte ebraiche dal secondo tempio

alla qabbalah, in I. Cardellini (a cura di), Origine e fenomenologia del


99
male: le vie della catarsi veterotestamentaria. Atti del XIV Convegno di

Studi Veterotestamentari (Sassone-Ciampino/Roma, 5-7 settembre

2005), Bologna 2007.

 Centini M, Il ritorno dell’Anticristo. Sulle tracce del Messia malvagio,

Casale Monferrato 1996.

 Chiesa Isnardi G., Edda di Snorri, Milano 1975.

 Cook D., Studies in muslim apocalyptic, Princeton 2002.

 Coomaraswamy A.K., Il grande brivido, Milano 1987.

 Cumont F., La fin du monde selon les mages occidentaux, in “Revue de

l’histoire des religions” fasc. 103, 1931, pp. 29-96.

 Dan J., The jewish antichrist and the origins of the origins and dating of

the Sefer Zerubbavel, in P. Shafer - M.R. Cohen, Toward the Millenium.

Messianc expectations form the Bible to Waco, Leiden-Boston-Koln

1998.

 Daniélou J., I manoscritti del mar morto e le origini del cristianesimo,

Roma 1990.

 Daniélou J., La chiesa degli apostoli, Roma 1991.

 Daniélou J., La teologia del giudeo-cristianesimo, Bologna 1998.

 Daniélou J., Le origini del cristianesimo latino, Bologna 2010.

 D’Anna N., Il gioco cosmico, Milano 1999.

 Del Ponte R., La religione dei romani, Milano 1992.

100
 De Palma Digeser E., The making of a christian empire: Lactantius and

Rome, 2000.

 Di Nola A.M. (a cura di), Apocalissi apocrife, Parma 1986.

 Di Nola A.M., Il diavolo, Roma 1999.

 Dolfini G. (a cura di), Edda, Milano 1975.

 Dumézil G., La religione romana arcaica, Milano 2007.

 Edwards M.J., Porphyry and the christians, in: Karamanolis G.E. and

Sheppard A. (ed.), Studies on Porphyry, London 2007

 Eisenman R.H. e Wise M., Manoscritti segreti di Qumran, Casale

Monferrato 1994.

 Eliade M., Il mito dell’eterno ritorno, Bologna 1968.

 Eliade M., Mito e realtà, Torino 1966.

 Ernst J., Die eschatologischen gegenspieler in den schriften des neuen

testaments, Regensburg 1967.

 Evola J., Rivolta contro il mondo moderno, Roma 2010.

 Fabrega. V., Die chialistische lebre des laktanz. Methodische und

theologische voraussetzungen un religionsgeschichtlicher hintergrund,

in “Jahrbuch fur antike und christentum” XVII 1974, pp. 126-146.

 Filippani-Ronconi P., Zarathustra e il mazdeismo, Roma 2007.

 Filoramo G. (a cura di), Ebraismo, Bari 2007.

 Filoramo G., e Menozzi D. (a cura di), Storia del cristianesimo.

L’Antichità, Bari 2008.


101
 Fini M., Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano 1997.

 Garnsey P. e Saller R., Storia sociale dell’impero romano, Roma – Bari

1989.

 Geraci G. e Marcone A., Storia romana, Firenze 2004.

 Guénon R., Simboli della scienza sacra, Milano 1997.

 Gunkel H., Schopfung und Chaos in Urzeit und Endzeit, Gottingen

1895.

 Haag H., La credenza nel diavolo, Milano 1976.

 Heck E. and Wlosok A., L. Caelius Firmianus Lactantius. Divinarum

Institutionum Libri septem. Fasc. 1 Libri I et II. Bibliotheca Scriptorum

Graecorum et Romanorum Teubneriana. München/Leipzig 2005.

 Heck E. and Wlosok A., L. Caelius Firmianus Lactantius. Divinarum

Institutionum Libri septem. Fasc. 2 Libri III et IV. Bibliotheca

Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana. Berlin/New York

2007.

 Heck E. and Wlosok A., L. Caelius Firmianus Lactantius. Divinarum

Institutionum Libri septem. Fasc. 3 Libri V et VI. Bibliotheca

Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana. Berlin/New York

2009.

 Heck E. and Wlosok A., L. Caelius Firmianus Lactantius. Divinarum

Institutionum Libri septem. Fasc. 4 Liber VII, Appendix, Indices.

102
Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana.

Berlin/New York 2011.

 Ippolito (a cura di E. Norelli), L'Anticristo, Bologna 1987.

 Jedin H. (a cura di), Storia della chiesa, Milano 1980 (vol. 1: Baus K.,

Le origini).

 Jossa G., Il cristianesimo antico, dalle origini al concilio di Nicea,

Roma 1997.

 Lactanti, L. Caeli Firmiani, Opera Omnia , pars I, rec. S. Brandt

(Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum XIX), Vindobonae

1890.

 Lattanzio, Come muoiono i persecutori, Roma 2005.

 Lattanzio, La collera di Dio, Milano 2011.

 Lattanzio, La morte dei persecutori, Siena 1930.

 Lattanzio, Le divine istituzioni, Siena 1936-1937.

 Lémann A., L’Anticristo, Torino 1919.

 Lietard Peerbolte L.J., The Antecedents of Antichrist: A traditio-

historical study of the earliest christian views on eschatological

opponents, Leiden-New York 1996.

 Lohmeyer E., “Antichrist”, in Reallexicon fur antike und christentum,

sachworterbuch zur auseinandersetzung des christentums mit der

antiken welt, Stuttgart 1950.

 Lupieri, E. (a cura di), L'Apocalisse di Giovanni, Milano 1999.


103
 Mandarino L., Le mille favole degli antichi, Firenze 1999.

 Migne J.P., Patrologia latina (vol. 6-7), Paris 1844.

 McGinn B., L’Anticristo, Milano 1996.

 Monaci Castagno A. (a cura di), Il diavolo e i suoi angeli. Testi e

tradizioni (secoli I-III), Bologna 1999.

 Monceaux P., Histoire litteraire de l’Afrique chrétienne depuis les

origins jusqu’à l’invasion arabe, Paris 1901.

 Mutti C., Imperium. Epifanie dell’idea di impero, Genova 2005.

 Natt Dutt M., A prose english translation of the Vishnupuranam,

Calcutta 1896.

 Newton I. (a cura di M. Mamiani), Trattato sull’Apocalisse, Torino

1994.

 Ogilvie R.M., The Library of Lactantius, Oxford 1978.

 Piras A., Georges Dumézil e i problemi dell’indoeuropeistica, in

“Quaderni di Avallon” n. 5, Rimini 1984.

 Polia M:, Propaideia Christou. Il Cristo e le religioni, in: “Quaderni di

Avallon” n. 4, Rimini 1983-1984

 Portera T., Tra titani e angeli ribelli. I nephilim di Genesi 6,4, in

“Mediaeval Sophia”, n. I, Palermo 2007.

 Potestà G.L. e Rizzi M., L’Anticristo. Il nemico dei tempi finali (volume

1), Milano 2005.

104
 Rigaux B., L’Antéchrist et l’opposition au royame messianique dans

l’Ancien et le Noveau Testament, Paris-Gembloux 1932.

 Rossi P., Le sterminate antichità e altri studi vichiani.

 Russell J.B., Il diavolo nel mondo antico, Roma-Bari 1989.

 Russell J.B., Inventing the Flat Earth: Columbus and Modern

Historians, New York 1991.

 Sacchi P., Apocrifi dell’antico testamento, Torino 1981.

 Sacchi P., Storia del secondo tempio. Israele tra VI sec. a.C. e I sec.

d.c., Torino 1994.

 Sacra Bibbia. Traduzione dai testi originali, Roma 1966.

 Salzani S. (a cura di), Teologie politiche islamiche, Genova 2006.

 Sanjakdar L., Tempo ed eternità in Mircea Eliade, Venezia, tesi di

laurea a.a. 2006-2007.

 Sbaffoni F. (a cura di), Testi sull'Anticristo. Secoli I-II, Bologna 1992.

 Sbaffoni F. (a cura di), Testi sull'Anticristo. Secolo III, Bologna 1992.

 Secret, F., I cabalisti cristiani del Rinascimento, Roma 2001.

 Scardigli P. e Meli M. (a cura di), Il Canzoniere eddico, Milano 1982.

 Schochet, I., Il messia. Il concetto di messia e di era messianica nelle

regole e nella tradizione ebraica, Milano 2000.

 Scholem G., La kabbalah e il suo simbolismo, Torino 1980.

 Scholem G., Le origini della kabbala, Bologna 1966.

105
 Simonetti M., Il vangelo e la storia. Il cristianesimo antico (secoli I-IV),

Roma 2010.

 Simonetti M., Testi gnostici cristiani, Bari 1970.

 Simonetti M. e Prinzivalli E., Storia della letteratura cristiana antica,

Casale Monferrato 1999.

 Sordi M., I cristiani e l’impero romano, Milano 1983.

 Suyuti J., Nuzul ‘Isa ibnu Maryam fi akhiri’z-zaman, s.d.

 Toland J., Opere (a cura di C. Giuntini), Torino 2002.

 Urizzi P., Il salvatore escatologico in ambito islamico: l' imam atteso e

il cristo della seconda venuta, in: “Avallon” n. 52, Rimini 2003.

 Van Rooijen-Dijkman H.W.A., De vita beata. Het zevende boek van de

Divinae Institutiones van Lactantius. Analyse en broennenonderzock,

Assen 1967.

 Windish H., Die orakel des Hystaspes (Verhandelingen der kon. Akad.

te Amsterdam. N.s. XXVIII 3), Amsterdam 1929.

106
SITOGRAFIA

 http://www.annee-philologique.com/

 http://apps.carleton.edu/curricular/clas/lactantiusbiblio/

 http://www.bifrost.it/

 http://bmcr.brynmawr.edu/2006/2006-07-08.html

 http://www.ccel.org/

 http://www.christianismus.it/

 http://www.claudiomutti.com/

 http://www.documentacatholicaomnia.eu/

 http://www.earlychurch.org.uk/

 http://www.intratext.com/

 http://www.jewishencyclopedia.com/

 http://lamadrasadimalika.files.wordpress.com/

 www.mediaevalsophia.net/

 http://www.newadvent.org/

 http://www.newtonproject.sussex.ac.uk/

 http://www.poesialatina.it/

 http://www.sacred-texts.com/

 http://www.wikipedia.it/

107
RINGRAZIAMENTI

A conclusione di questo lavoro, e con esso del mio iter di studi magistrale,

desidero ringraziare alcune persone: in primo luogo la mia relatrice,

dott.ssa Emanuela Colombi, per il suo indispensabile aiuto nella redazione

di questo lavoro, e Alberto Grigio, per avermi fornito l’idea di dedicarmi

all’argomento qui in esame.

Vorrei ringraziare anche la famiglia e gli amici che mi hanno sostenuto in

vario modo durante questi miei anni di studio lontano da casa, e in primis

mia nonna Fernanda, che mi ha ospitato nella sua casa e ha dato un enorme

contributo al proseguimento dei miei studi. Con lei ringrazio anche tutti i

miei parenti qui in Friuli, e le persone al di fuori della famiglia con cui in

questi anni ho avuto modo di stringere legami più di fratellanza che di

amicizia. Tra queste, desidero ringraziare in primissimo luogo i signori

Urizzi, per tutto.

Infine, il mio più sentito ringraziamento va ai miei genitori, a mio fratello,

e a Fatima, che sono le persone più care che ho al mondo.

Potrebbero piacerti anche