UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
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FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di Laurea Magistrale in Scienze Storiche e Filosofiche
Tesi di Laurea
La figura dell’Anticristo nelle
“Diuinae institutiones” di Lattanzio
Relatrice Laureando
Dott.ssa Emanuela Colombi Daniele Bianchi
Correlatore
Prof. Flavio Rurale
ANNO ACCADEMICO 2010 – 2011
A mia madre Elisabetta e mio padre
Maurizio, per i loro sacrifici.
A mia nonna Fernanda e mio fratello
Marco, per il loro sostegno.
A Fatima, per il suo amore e la sua
pazienza.
Questa tesi è anche opera loro.
INDICE
Introduzione ……………………………………………….……………... 2
Capitolo I
Vita e opere di Lattanzio …………………………………….…………… 7
Capitolo II
La figura dell’Anticristo nella tradizione cristiana delle origini ……..…. 31
Capitolo III
La figura dell’Anticristo nella Diuinae institutiones ……………..……... 50
Conclusione ……………………………………………………………... 63
La Divine Istituzioni.
Traduzione dei capitoli 14 – 26 del libro VII …………………..…….…. 65
Bibliografia e Sitografia …………………………………………..…….. 99
1
INTRODUZIONE
Le considerazioni relative all’escatologia (dal greco: ἔσχατος =
“fine, ultimo”, e λόγος = “discorso”; quindi: “discorso intorno alle realtà
ultime”), intesa sia come la che come il fine del mondo e dell’umanità,
costituiscono una costante della riflessione delle diverse civiltà umane.1
Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il discorso escatologico
coinvolge un aspetto assai profondo dell’animo umano, ossia quello delle
angosce e delle speranze relative al proprio futuro (riflessioni sulla fine), e
quello relativo al significato della propria esistenza (riflessioni sul fine).
Abbiamo pertanto assistito, nel corso della storia, ad una ricca e vasta serie
di narrazioni mitologiche e simboliche che spaziano attraverso ogni tempo
e latitudine: nelle religioni induiste emerge chiaramente la figura di Kalki
(decimo avatara del dio Vishnu) e della sua opera di restaurazione delle
antiche tradizioni e della giustizia anticipatrici della dissoluzione cosmica
(pralaya);2 presso i popoli germanici, la fine del mondo coincide con la
1
Cfr. la voce “escatologia” in: G. Barbaglio e S. Dianich, Nuovo dizionario di teologia,
Roma 1979, pp. 382-410. Nell’articolo in questione si riscontra tuttavia una certa
ingenuità nell’attribuire un significato eccezionale all’escatologia cristiana,
considerando le escatologie delle altre tradizioni religiose come mere narrazioni mitiche
prive di un qualsiasi contenuto teleologico. Ciò può avere origine solo dall’ignoranza o
dalla mala fede verso le altrui riflessioni sul significato profondo da attribuire agli
eventi escatologici, e lo stesso discorso potrebbe essere benissimo fatto per l’escatologia
cristiana se ci si limitasse a leggere l’Apocalisse di Giovanni come un romanzo,
saltando a pié pari la letteratura esegetica ad essa dedicata.
2
Cfr. M. Natt Dutt, A prose english translation of the Vishnupuranam, Calcutta 1896,
pp. 427-464.
2
caduta degli dei, esito della battaglia finale tra le forze del bene e le forze
del male che avrà luogo nel giorno del Ragnarokkr;3 nella antica Persia la
figura di Shaoshyant4 è per molti versi assimilabile al concetto di Moshiakh
(Messia) della tradizione giudaico-cristiana;5 nell’Islam, in modo
particolare nella sua componente shi’ita, si attende con fervore l’avvento
del Mahdi e il ritorno di Gesù, i quali sconfiggeranno il Dajjal (Anticristo)
e ripristineranno per un breve periodo di tempo l’età aurea del Profeta
Muhammad e dei primi quattro califfi, prima della fine del mondo. 6 Anche
la Grecia e Roma hanno conosciuto una riflessione escatologica,
specialmente nell’ambito di alcune scuole filosofiche e delle religioni
misteriche.7
Curiosamente, quasi tutte le antiche cosmologie ed escatologie
condividono una visione della storia ciclica e degenerativa che è
diametralmente opposta a quella lineare e evolutiva propria dell’uomo
3
L’episodio del Ragnarokkr è narrato nella Voluspa all’interno dell’Edda poetica, e nel
Gylfaginning all’interno dell’Edda di Snorri (o Edda in prosa). Traduzioni parziali del
corpus eddico sono state curate, tra gli altri, da Gianna Chiesa Isnardi (Milano, Rusconi
1975), da Giorgio Dolfini (Milano, Adelphi 1975), e Piergiuseppe Scardigli e Marcello
Meli (Milano, Garzanti 1982).
4
Cfr. Yasht 19.88-96; Bundahishn 30-34. In merito alla religione persiana pre-islamica,
cfr. A. Alberti (a cura di), Avesta, Torino 2008; P. Filippani-Ronconi, Zarathustra e il
mazdeismo, Roma 2007; A. Bausani, Persia religiosa, Cosenza 1999.
5
Per quanto concerne il messianismo ebraico, cfr. I. Schochet, Il Messia. Il concetto di
Messia e di era messianica nelle regole e nella tradizione ebraica, Milano 2000.
6
Cfr. D. Cook, Studies in muslim apocalyptic, Princeton 2002; P. Urizzi, Il Salvatore
escatologico in ambito islamico: l' Imam atteso e il Cristo della seconda venuta, in
“Avallon” n. 52, Rimini 2003.
7
Cfr. N. D’Anna, Il gioco cosmico, Milano 1999.
3
moderno.8 Per gran parte dei popoli premoderni – e ad essi non fanno
eccezione l’ebraismo e la cristianità medievale – l’età delle origini non è
una “preistoria” ma una “età dell’oro”, come descritto in tante mitologie
non dissimili dal racconto biblico del giardino dell’Eden. E similmente al
racconto del Genesi, lo scorrere della storia umana viene visto come una
“caduta” verso profondità sempre più tenebrose, fino a giungere al culmine
massimo della fine dei tempi. A tale culmine segue però una palingenesi ed
un ritorno all’equilibrio e alle perfezioni primitive, ed è per questo motivo
che si parla di concezione ciclica, contrapposta alla indefinita linearità dello
scorrere del tempo concepita dall’uomo moderno.9
Non è possibile comprendere appieno lo studio dell’escatologia
(cristiana o di altra denominazione religiosa) senza entrare nella mentalità
8
Per un approfondimento su questo tema, cfr. J. Evola, Rivolta contro il mondo
moderno, Roma 1998; M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Bologna 1968; e M.
Eliade, Mito e realtà, Torino 1966. A proposito della concezione eliadiana del tempo e
della dottrina degli yugas (cicli cosmici), segnaliamo in questa sede anche lo studio
critico condotto dalla dott.ssa Lara Sanjakdar (cfr. L. Sanjakdar, Tempo ed eternità in
Mircea Eliade, Venezia, tesi di laurea a.a. 2006-2007), attualmente in fase di
pubblicazione.
9
Più che di una concezione lineare moderna, si sarebbe tentati di parlare di una
concezione propria alla mentalità giudaico-cristiano-musulmana, in quanto l’esito
perpetuo della dimora ultraterrena unito al generale silenzio circa l’avvicendarsi di
umanità successive alla presente rende apparentemente la ciclicità posta dalle tre
religioni abramiche come non ripetibile, e quindi soggetta ad essere interpretata, a
seconda del punto di vista con la quale la si guarda, come un’altrettanta linearità.
Tuttavia questo silenzio viene rotto in alcuni ambienti mistici, all’interno dei quali
anche le tradizioni abramiche hanno elaborato delle speculazioni riconducibili a
considerazioni di natura ciclica quali, ad esempio, quelle osservabili in Origene, in Ibn
‘Arabi, o nella dottrina cabbalistica delle shemittot (per quanto riguarda in modo
particolare quest’ultima, cfr. G. Scholem, Le origini della kabbala, Bologna 1966, p.
569). Ad ogni modo, l’ambiguità può essere probabilmente considerata all’origine della
concezione lineare propria alla mentalità moderna, sorta precisamente nell’ambito di
una civiltà abramica, qual è quella dell’occidente cristiano.
4
che la anima, abbandonando quindi l’ottica moderna di un progresso
lineare e indefinito, che vede la preistoria alle proprie spalle e davanti ai
propri occhi le speranze di un “paradiso” futuro e assolutamente terreno (il
cui tentativo di instaurazione, si sia esso chiamato “rivoluzione proletaria”
o “esportazione della democrazia”, si è paradossalmente sempre risolto con
la creazione di allucinanti inferni), accogliendo una concezione del mondo
in cui i belluini e violenti “bestioni” immaginati dal Vico appartengono al
nostro futuro, e in cui la giustizia, la pace e l’espressione compiuta delle
perfezioni insite nell’uomo sono la nostalgia di una realtà perduta, di cui si
attende una nuova manifestazione. E’ questa la speranza che ha animato gli
antichi, e questa la forma mentis propria agli aedi, i bardi, gli scaldi, i
profeti o i monaci che hanno parlato di questioni escatologiche.
Lo scopo di questo lavoro è quello di considerare l’escatologia alla
luce della riflessione nata in seno al cristianesimo, secondo uno dei due
aspetti in cui tradizionalmente i manuali di teologia dogmatica suddividono
la materia, e cioè quello “macrocosmico” relativo alla fine del mondo e al
destino ultimo dell’umanità nel suo insieme (tralasciando quindi l’aspetto
“microcosmico” il cui oggetto di studio è il destino ultimo dell’individuo).
In particolare, ci occuperemo in questa sede della questione dell’avvento
dell’Anticristo e della riflessione intorno all’origine, il temporaneo
affermarsi e, infine, la sconfitta finale delle forze delle tenebre. Dopo una
breve panoramica sull’escatologia del cristianesimo delle origini, ci
5
soffermeremo specificamente sulla visione escatologica propria a Cecilio
Firmiano Lattanzio, quale è da questi esposta nella parte finale del settimo
libro delle sue “Diuinae institutiones”.10
10
La traduzione italiana dei brani della Diuinae institutiones presenti in questo studio è
opera dello scrivente, il quale si è basato sul testo latino presente in L. Caeli Firmiani
Lactanti Opera Omnia , pars I, rec. S. Brandt (Corpus scriptorum ecclesiasticorum
latinorum XIX), Vindobonae 1890, con l’ausilio della traduzione inglese di William
Fletcher, in: A. Roberts, J. Donaldson, A. Cleveland Coxe (a cura di), Ante-Nicene
fathers, vol. 7, Buffalo-New York 1886, e di quella italiana di Gian Luca Potestà, in:
G.L. Potestà e M. Rizzi, L’Anticristo. Il nemico dei tempi finali (volume 1), Milano
2005, pp. 418-433. Nel corso della stesura di questo lavoro siamo venuti a conoscenza
di una più recente edizione del Libro VII curata da E. Heck e A. Wlosok (Berlin/New
York 2011), che però non abbiamo avuto modo di consultare. Per quel che riguarda le
differenze tra l’edizione di Brandt e quest’ultima, rimandiamo alla recensione di C.
Moreschini presente al seguente url: http://bmcr.brynmawr.edu/2006/2006-07-08.html.
6
CAPITOLO I
VITA E OPERE DI LATTANZIO.
1. Inquadramento storico.
La religione cristiana, fondata a partire dalla predicazione di Gesù il
nazareno nella Palestina del I secolo d.C., si espanse intorno al bacino del
Mediterraneo e nelle regioni poste sotto l’egida dell’impero di Roma
soprattutto attraverso la predicazione e i viaggi missionari dei diretti
discepoli del maestro e dei primi seguaci del nuovo credo, in particolar
modo Paolo di Tarso.11 E’ principalmente per il tramite di quest’ultimo che
la nuova fede uscì dai ristretti confini del mondo giudaico della Palestina e
della diaspora, esplicitando così il carattere universale dell’insegnamento
cristiano presente nella particolare lettura paolina del messaggio di Gesù.12
11
Cfr. R. Calimani, Paolo, l’ebreo che fondò il cristianesimo, Milano 1999. Il taglio
dell’opera è divulgativo e non accademico, ma ci sembra utile segnalarlo per via
dell’ampio materiale raccolto dall’autore, e per la ricca bibliografia posta alla portata di
chi, a partire da questo testo introduttivo, volesse dedicarsi in seguito ad
approfondimenti di taglio più scientifico.
12
La letteratura riguardante il cristianesimo delle origini è sterminata, e non è certo
possibile fornirne in questa sede un quadro esauriente. Segnaleremo solo, a titolo
esemplificativo, alcuni titoli: J. Daniélou, I manoscritti del mar morto e le origini del
cristianesimo, Roma 1990; J. Daniélou, La chiesa degli apostoli, Roma 1991; J.
Daniélou, La teologia del giudeo-cristianesimo, Bologna 1998; J. Daniélou, Le origini
del cristianesimo latino, Bologna 2010; K. Baus, Le origini (vol. 1 di: H. Jedin (a cura
di), Storia della chiesa, Milano 1980); G. Filoramo, e D. Menozzi (a cura di), Storia del
cristianesimo. L’antichità, Bari 2008; G. Jossa, Il cristianesimo antico, dalle origini al
concilio di Nicea, Roma 1997; M. Simonetti, Il vangelo e la storia. Il cristianesimo
antico (secoli I-IV), Roma 2010.
7
Nonostante il carattere prevalentemente innocuo da un punto di vista
politico, le comunità cristiane iniziarono ben presto ad affrontare delle
forme di persecuzione da parte delle autorità romane, dovendo subire, tra le
diverse cause che portarono alle ricorrenti esplosioni di intolleranza verso
la nuova fede, lo svantaggio di essere talvolta associati e confusi dalle
autorità con i più turbolenti ebrei (la distruzione del Tempio di
Gerusalemme e il soffocamento della rivolta ebraica da parte di Vespasiano
e Tito avvenne nel 70 d.C., pochi anni dopo la crocifissione di Gesù), e la
periodica necessità, da parte delle istituzioni politiche romane, di dover
trovare dei “capri espiatori” per poter gestire i periodi di crisi attraversati
dall’impero; non è un caso che uno dei periodi più bui per la comunità
cristiana sia coinciso proprio con la crisi del III secolo d.C. 13
A tutto ciò è da aggiungere anche la profonda incomprensione da
parte di ampi strati della società romana che, per i valori e i costumi che la
permeavano, riusciva a stento a comprendere la nuova religione, la quale
veniva di conseguenza esposta al disprezzo delle elites intellettuali pagane,
oltre che ai pregiudizi del popolo. Come scrive Renato Del Ponte:
Diverse personalità del mondo culturale pagano ammirarono
sinceramente nei cristiani il disprezzo della morte, la temperanza nei
piaceri, il culto della verginità, il controllo delle passioni, degni di
veri filosofi: è il parere che traspare da alcune riflessioni contenute
13
Per quel che riguarda la politica romana nei riguardi dei culti dei popoli sottomessi, e
di quali fossero le motivazioni contingenti che la muovevano ora verso la tolleranza ora
verso la persecuzione, cfr. P. Garnsey e R. Saller, Storia sociale dell’impero romano,
Roma-Bari 1989, pp. 197-213.
8
nelle opere di un Epitteto o di un Galeno, filosofo e medico di corte
di Marco Aurelio. Ma il parere sfuma e si fa generalmente più
negativo nei teorici del neoplatonismo, da Plotino a Porfirio. Porfirio,
che confutò le idee dei cristiani dal punto di vista dottrinario in
numerose opere – soprattutto nel Contro i cristiani intorno al 270 –
nell’opera La filosofia secondo gli oracoli, di cui restano pochissimi
frammenti, afferma di aver consultato gli dèi sul nuovo fenomeno
religioso dei seguaci di Cristo e di averne riportato, tra l’altro, questo
giudizio di Ecate (Kore-Persefone):
“Tu sai che l’anima immortale va via, morto il corpo e,
staccata dalla sapienza, va errando per sempre. Quell’anima [di
Cristo] è di un uomo di grandissima pietà e quest’anima adorano i
cristiani ignoranti… altre anime alle quali i fati stessi non concessero
i doni degli dèi e la cognizione di Giove immortale. Perciò essi sono
in odio agli dèi… Ma egli [il Cristo] è pio e come altri pii andò in
cielo. Perciò tu non lo bestemmierai, ma avrai compassione della
stoltezza degli uomini.”
Il documento è interessante, perché dimostra come nella
coscienza del pensiero religioso e filosofico del tempo fosse iniziata
una riflessione volta a distinguere tra l’immagine del Cristo,
considerata perlopiù positivamente, ed i suoi seguaci, visti come una
banda di fanatici (tali li riteneva, nonostante Galeno, lo stesso Marco
Aurelio nei suoi Colloqui con se stesso).14
Si tenga presente che il giudizio di Porfirio risale ad un periodo in cui il
cristianesimo esisteva già da tre secoli, non trattandosi quindi di una
testimonianza dei primordi.15 Tuttavia i temi della critica al cristianesimo
qui elencati (una sostanziale condanna per fanatismo, ignoranza, e
superstizione, pur nel riconoscimento della pratica di virtù apprezzate
anche dal mondo romano come la continenza e il coraggio di fronte alla
morte, e un distinguo tra la figura del Cristo e quella dei suoi seguaci) si
14
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, Milano 1992, pp. 252-253.
15
Sul rapporto tra Porfirio e il cristianesimo, cfr. M.J. Edwards, Porphyry and the
christians, in: G.E. Karamanolis and A. Sheppard (ed.), Studies on Porphyry, London
2007, pp. 111-126.
9
ritrovano grosso modo anche negli autori precedenti, e possono essere
considerati una costante della polemica anti-cristiana da parte
dell’intellettualità pagana. Ai fini del presente studio, l’opinione di Porfirio
acquista anche una particolare importanza perché si tratta dell’opinione di
un contemporaneo di Lattanzio, le cui Diuinae institutiones si
configureranno anche come una confutazione del pensiero dell’illustre
filosofo neoplatonico.
L’irriducibile estraneità tra i valori della spiritualità più propriamente
romana e il cristianesimo è evidente se si tiene conto della concezione
essenzialmente “giuridica” della religione di Roma, 16 la quale concepiva il
rapporto col divino nei termini di una pax deorum in cui la comunità degli
uomini si guadagnava il favore degli dèi per il tramite di riti e sacrifici, a
loro volta essenziali alla sussistenza di questi ultimi. Il mondo degli uomini
e il mondo degli dèi erano così considerati come legati da un rapporto di
interdipendenza (in effetti, il significato letterale della parola religio è, per
l’appunto, “legare”) nel quale il bene dell’uno era implicato dal bene
dell’altro, e dove non c’è posto per concezioni soteriologiche o
devozionali, che entreranno nella mentalità romana solo con l’introduzione
dei culti misterici di origine greca e orientale, e dello stesso cristianesimo.
Scrive ancora Del Ponte:
16
Oltre al già citato volume di Del Ponte, in merito alla religione romana cfr. anche il
fondamentale G. Dumézil, La religione romana arcaica, Milano 2007.
10
[…] La religione romana non ha conosciuto ad ogni livello né
rivelazioni, né libri sacri, né speciali vie iniziatiche di salvezza. Col
tramite dei sacerdoti dello Stato, essa trasmetteva essenzialmente
norme rituali, l’esattezza dei cui particolari era comunicata
ritualmente. […] L’operatività insita nel concetto di religio era così
sinteticamente espressa da Servio: “I nostri antenati, infatti, venendo
a capo della religione, riponevano tutto nella pratica (experientia).
Sallustio dice: gli aiuti degli dei non si ottengono né con i voti né con
le suppliche delle donne: col vegliare e col darsi da fare ogni cosa
giunge a buon fine”.
[…] Si comprende così facilmente come ogni restaurazione religiosa
a Roma avesse preso l’aspetto di una restaurazione rituale. […] In
ciò consisteva l’autentica pietà religiosa: nello ristabilire pienamente
la pax deorum messa in forse negli ultimi tempi della Repubblica
(col funesto risultato delle guerre civili), obbligando lo Stato ad
osservare in tutto e per tutto i suoi doveri tradizionali nei confronti
degli dèi. […] L’introduzione di nuove divinità nella città va dunque
inquadrata in quest’ottica. Se il senato (ed il suo braccio religioso,
costituito dai quindecemviri sacris faciundis) non negava il suo
consenso, era risolta ogni difficoltà, tranne quella, pratica, di
inquadrare ritualmente il nuovo culto nello spazio e nel tempo
religioso della città”.17
17
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, pp. 244-245. Cogliamo l’occasione per
precisare che, a parere dello scrivente, l’idea dell’esistenza di differenti forme di
spiritualità esistenti nella più generale percezione del sacro non deve indurre a cedere a
suggestioni di impronta nietzschiana o evoliana (o presunte tali) tese a stabilire una
gerarchia qualitativa tra tradizioni spirituali e, di conseguenza, tra popolazioni che le
adottano, con il rischio di pericolosi e facilmente prevedibili esiti di natura politica.
L’opinione dello scrivente in merito a velleità tese a distinguere presunte forme di
spiritualità “nobili” da opposte spiritualità “plebee” è riassunta dalla seguente citazione,
della cui lunghezza ci scusiamo fin d’ora, ma che riteniamo utile riportare onde non
generare equivochi: “La fisima dell’eugenetica razziale è creazione esclusivamente
moderna e ignota (tranne limitate eccezioni) all’antichità, le cui creazioni migliori,
come l’Ellenismo, nascevano sempre da un contatto di culture diversissime: […] è
quanto mai palese come per gli antichi distinzioni come ario o semitico fossero prive di
validità; queste fanno parte invece (lo ripeteremo sino alla noia) di una mentalità
moderna e di una metodologia scientificamente non valida che esalta una
caratterizzazione etnico-culturale in opposizione ad un’altra. Questa metodologia si
preoccupa dell’eugenetica dei popoli ariani ma probabilmente ignora che il termine ario
non indicava all’origine la totalità dei popoli indoeuropei ma solo l’aristocrazia
guerriera. […] Assunti di tale natura, di netta filiazioni evoliana, andrebbero totalmente
rivisti per operare finalmente una sana profilassi culturale che elimini tutta una serie di
categorie come solare/lunare, apollineo/dionisiaco, olimpico/estatico parimenti
improponibili o meglio, non considerabili come in opposizione ma come aspetti di una
medesima realtà. Non esistono spiritualità totalmente solari e altre totalmente lunari e
11
E’ in quest’ottica che si possono giustificare fenomeni come le fasi (non
sempre incruente) che hanno portato all’incorporazione all’interno della
vita religiosa dello stato di culti come quelli di Iside, di Demetra o di
Mithra, o viceversa azioni come la repressione dei baccanali (senatus
consultum de bacchanalibus del 186 a.C.) e le stesse persecuzioni dei
cristiani. Nel suo Apologeticum (V, 2), Tertulliano riporta la seguente
testimonianza:
Tiberio dunque, al tempo del quale il nome “cristiano” entrò nel
mondo, trasmise al senato, che aveva la prerogativa di pronunciarsi
in materia, le cose che gli erano state comunicate dalla Siria Palestina
e avevano rivelato la verità della divinità di Gesù. Il senato, poiché
era di parere contrario, la respinse.18
Si ha così testimonianza di come anche il nuovo dio dei cristiani dovette
passare attraverso l’iter di accoglimento all’interno del mondo romano dei
culti stranieri, e di come l’esito iniziale fu un respingimento con la
conseguente classificazione del cristianesimo come superstitio illicita.
Questo ovviamente non significa che, da quel momento, sopraggiunse una
impossibilità pratica dell’essere cristiani all’interno dell’impero romano,
gli studi di Eliade e Coomaraswamy hanno dimostrato che il pensiero arcaico, articolato
in simboli, conosce ambedue le polarità, la cui dialettica costituisce la scintilla di ogni
esistenza umana: è la lotta dell’Aquila e del Serpente, del principio igneo e di quello
umico, che illustra con la potenza dell’immagine come la vita si origini da questo
contrasto così violento. […] Proprio per questa puntualizzazione è sbagliato dividere la
storia delle civiltà in periodi di spiritualità lunari, solari, tellurico-ctonie e via
discorrendo, poiché tutte queste modalità dell’essere coesistono insieme e conferiscono
ai simboli quel carattere di ambivalenza che illustra lo sforzo di totalizzazione del
pensiero degli antichi” (cit in A. Piras, Georges Dumézil e i problemi
dell’indoeuropeistica, in “Quaderni di Avallon” n. 5, Rimini 1984, pp. 185-194).
18
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, p. 252.
12
ma è indubbio che il rifiuto di un riconoscimento ufficiale della legittimità
teorica del poterlo essere determinò, quando le circostanze lo favorirono,
sporadici atti più o meno lunghi (e più o meno intensi) di persecuzione.
Sono note, a tal proposito, la persecuzione neroniana nella quale i cristiani
divennero la vittima designata per trovare dei responsabili dell’incendio
che distrusse Roma nel 64 d.C., oppure la persecuzione di Decio del 250
d.C., che trova una sua spiegazione nella crisi attraversata dall’impero nel
III secolo; difatti, da una parte le incertezze esistenziali che questa generò
favorì l’aumento delle conversioni al cristianesimo, ma dall’altra, la
politica imperiale volta ad affrontare la crisi proprio attraverso una riforma
delle istituzioni che si richiamasse all’ideologia della pax deorum e al culto
dell’imperatore inteso come strumento di coesione interna, implicò un
inasprimento di condotta verso l’accresciuta comunità ecclesiale.19
Durante il breve impero di Gallieno (262 – 268 d.C.) si assistette ad
una revoca degli editti anti-cristiani, sancendo così il passaggio della fede
cristiana a religio licita (ma sempre all’interno dell’ordinamento pagano
della pax deorum). Tuttavia le persecuzioni continuarono sotto Diocleziano
e, soprattutto, sotto il suo successore Galerio, il cui tremendo editto del 303
(che determinò la distruzione delle chiese, il rogo dei testi sacri e liturgici,
l’obbligo del sacrificio pagano ai sacerdoti cristiani e la sottoposizione ad
infamia dei cristiani di ceto abbiente) può essere considerato il colpo di
19
Cfr. G. Geraci e A. Marcone, Storia romana, Firenze 2004, p. 230.
13
coda finale delle persecuzioni anti-cristiane. Esso fu di breve durata, e non
ebbe i medesimi effetti in ogni regione dell’impero; nella Gallia e nella
Britannia guidate da Costanzo Cloro (fedele al monoteismo solare a
probabile simpatizzante dei cristiani), l’editto di Galerio rimase
sostanzialmente lettera morta per quel che riguarda le persone, essendo
piuttosto limitato alla sola distruzione delle chiese. Sarà col figlio di
quest’ultimo, il famoso imperatore Costantino, che il periodo delle
persecuzioni cesserà definitivamente (se si esclude la breve parentesi di
restaurazione pagana di Giuliano “l’Apostata” del 361 – 363 d.C., che
tuttavia è da considerarsi più come una contrapposizione che come una
vera e propria persecuzione – anche in considerazione della forza che la
Chiesa aveva oramai acquisito). L’editto di Milano del 313 d.C. stabilirà la
concessione definitiva della tolleranza alla fede cristiana, e la futura
politica dell’imperatore e dei suoi successori si sposterà sempre più nel
segno di un filo-cristianesimo che sfocerà nel 380 d.C., sotto l’impero di
Teodosio, alla proclamazione del cristianesimo come religione ufficiale
dell’impero. Da quel momento, il paganesimo si ritirerà sempre più sulla
difensiva, passando da persecutore a perseguitato, fino a quando la
chiusura, nel 529 d.C., della scuola di Atene (fondata mille anni prima
dallo stesso Platone) non sancirà simbolicamente il definitivo tramonto
dell’antica religione.20
20
Ovviamente questa è una affermazione più simbolica che sostanziale, e relativa alla
14
Ma com’è stato possibile che la religione cristiana sia riuscita a
trionfare in questo modo, passando da superstitio illicita secondo i canoni
della religione romana tradizionale a santissima lex su cui far reggere la
legittimità stessa dell’imperium di Roma nei riguardi dei popoli della terra?
Una prima risposta è certamente da ricercare nell’evoluzione della
spiritualità romana che, attraverso le conquiste militari, assorbì diversi
elementi religiosi provenienti dalla Grecia e dalla regioni orientali
dell’impero, culla di civiltà più antiche e culturalmente più evolute di
quella romana. Così, accanto alla sobria e austera spiritualità “giuridica”
incarnata dai guerrieri-pastori della Roma dei padri fondata sulla pax
deorum, si affiancarono ben presto una serie di culti misterici e di salvezza
fondati su divinità straniere come Iside, Orfeo, Bacco e Mithra, che
determinò il sorgere di un sincretistico crogiuolo di fenomeni religiosi assai
eterogenei. Gli stessi imperatori, che pure dovevano essere i garanti della
pax deorum tradizionalmente intesa, furono spesso i primi ad immergersi in
questo clima culturale, come testimoniano la devozione di Commodo per
Iside e Mithra, il culto di Serapide sotto i Severi, o la breve parabola di un
religione pagana come realtà vivente secondo una ben definita coloritura “classica”. Il
discorso diventerebbe sicuramente più complesso se prendessimo in esame la questione
delle sopravvivenze sotterranee in cui l’antica religione si è perpetuata in varie forme
fino ai giorni nostri (si pensi solo, per restare nell’ambito del folklore e della religione
popolare friulana, ai casi delle tradizioni natalizie dei pignarûl e dei krampus –
manifestazioni tardive rispettivamente degli antichi fuochi rituali celtici e delle “cacce
selvagge” – oppure alle reminiscenze sciamaniche presenti nel fenomeno dei
benandanti), ma questo è un lavoro che esula dagli obiettivi del presente studio.
15
imperatore come il siriaco Elagabalo, che fece collocare sul colle Palatino
la pietra nera sulla quale veniva venerato il dio del sole di Emesa.21
La vicenda del giovane Elagabalo si risolverà in modo assai rapido e
sfortunato, ma l’avvento del culto del dio-sole a Roma fu destinato ad una
maggior fortuna e longevità, ancora oggi evidente se solo si pensa al fatto
che la sua più importante festività è giunta fino ai nostri giorni, seppur
dietro la maschera della celebrazione della nascita di Gesù. Già Aureliano,
appartenente alla stirpe dei cosiddetti “sovrani illirici” e fautore tra i più
intransigenti della divinizzazione della figura dell’imperatore, aveva visto
nel culto del dio-sole uno strumento per agevolare quel processo di
accentramento ideologico intorno al concetto “metafisico” della aeternitas
Romae,22 e la studiosa Marta Sordi scrive a tal proposito:
Il sincretismo solare, sviluppando le premesse poste nell’età
severiana, mira a creare, nell’idea di un summus deus dai molti nomi,
l’unità religiosa di un impero rigorosamente pluralistico; in cui la
polemica ideologica e la lotta delle idee, respinte dal terreno politico,
si sviluppano e si affermano nel libero confronto culturale. 23
Pertanto, il passaggio di consegne dalla religione romana arcaica al
cristianesimo può forse essere spiegato dalla congiuntura causata
dall’avvento a Roma dei culti di salvezza orientali (che hanno reso
21
Il fenomeno del culto degli aeroliti è una costante della spiritualità siriaca e semita, ed
un eco di ciò è osservabile ancora oggi nei riti del pellegrinaggio annuale compiuti
intorno alla pietra nera posta all’interno della Ka’ba, nella città santa musulmana de La
Mecca.
22
Cit. in R. Del Ponte, La religione dei romani, p. 248.
23
Cit. in M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Milano 1983, p. 153.
16
familiare una concezione soteriologica della religione precedentemente
sconosciuta) e dall’affermarsi di un “monoteismo solare” promosso da
diversi imperatori come instrumentum regni (il che, sia detto di sfuggita,
non implica necessariamente che ad esso non si accompagnasse, da parte di
chi lo propugnava, una parimenti sincera devozione) che, quando il
cristianesimo inizierà ad acquisire un sempre maggiore peso numerico – e
quindi politico – renderà in discesa la strada alle politiche filo-cristiane.24
Tuttavia i cristiani dell’epoca giudicarono il trionfo del cristianesimo
in un modo molto più coerente con la loro visione dell’uomo e del mondo,
attribuendo il trionfo sul paganesimo alla provvidenza divina e segnando,
con le loro riflessioni in merito, l’origine di una storiografia di
impostazione specificamente cristiana:
Quella che da parte di Costantino si configurava come un’ardita,
ancorché ponderata, mossa politica mirante a integrare l’efficiente
organizzazione della chiesa nella struttura claudicante dell’impero,
da parte cristiana fu avvertita come il trionfo della lunga lotta della
verità contro l’errore, della chiesa di Cristo contro i demoni protettori
delle religioni pagane.
Un tale rapido e sconvolgente susseguirsi di eventi invitava
alla riflessione mirante a interpretare i fatti in chiave religiosa, cioè
provvidenzialistica, ma induceva anche a ripercorrere col pensiero i
tempi passati al fine di considerare unitariamente la lunga vicenda di
un rapporto, quello tra chiesa e impero, che con esiti alterni ormai si
prolungava da circa tre secoli: favoriva, in altri termini, l’attivazione
24
Ovviamente il monoteismo solare non è necessariamente da considerarsi un “alleato”
del cristianesimo. Tra i più acerrimi avversari ideologici della fede cristiana troviamo
filosofi neoplatonici, come Porfirio, che si pongono anch’essi nel solco di una
religiosità solare, e l’imperatore Giuliano farà proprio di questa declinazione della fede
pagana lo stendardo per combattere più efficacemente la battaglia contro il
cristianesimo, nel suo infruttuoso tentativo di restaurazione del paganesimo.
17
della memoria e la conseguente valutazione in chiave storica degli
eventi. Non è stato un caso che proprio ora, a cavallo tra il III e il IV
secolo, abbia avuto origine con Lattanzio ed Eusebio, cioè sia in
occidente che in oriente, la storiografia cristiana. 25
II. Biografia di Lattanzio.
La vita di Lucio Cecilio (o Celio) Firmiano Lattanzio è per lo più
avvolta nell’oscurità. Di lui sappiamo che nacque in Africa (probabilmente
a Cirta)26 intorno al 250 d.C., e che fu discepolo del retore Arnobio.27
Chiamato da Diocleziano ad insegnare retorica a Nicomedia (Bitinia), che
era stata da poco scelta come nuova capitale in virtù dell’importante
posizione strategica, si ritrovò in questa città grecofona ben presto a corto
di discepoli, e fu costretto pertanto a vivere una vita indigente,
guadagnandosi da vivere come scrittore.28 Col sopraggiungere della
persecuzione dioclezianea del 303 d.C. Lattanzio, che si era convertito al
cristianesimo, dovette abbandonare l’insegnamento e allontanarsi dalla
stessa città l’anno successivo. Ritornato a Nicomedia nel 306 d.C. in
seguito all’editto di tolleranza di Galerio, sulla sua vita scende una cappa di
mistero fino a al 315 d.C. quando, in un impero oramai reso sicuro per i
25
Cit. in M. Simonetti e E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, Casale
Monferrato 1999, p. 204.
26
Il rinvenimento di un’iscrizione che menziona un certo L. Caecilius Firmianus, ha
condotto qualcuno alla conclusione che la famiglia di Lattanzio fosse originaria di
questa città. Pare del tutto infondata, invece, l’ipotesi che il nostro sia originario di
Fermo, in Italia
27
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 205.
28
Cfr. ivi.
18
cristiani dall’editto di Milano, venne convocato a Treviri dall’imperatore
Costantino, affinché facesse da precettore a suo figlio Crispo. Qui egli
morì, probabilmente prima della condanna a morte del suo discepolo,
intorno al 326 d.C.29
La vita di Lattanzio si svolse quindi in un arco temporale denso di
avvenimenti per la comunità cristiana: nato nel periodo di sicurezza
intercorso tra gli imperi di Valeriano e Diocleziano, nel quale la fede
cristiana ebbe modo di diffondersi e, soprattutto, di organizzarsi, egli visse
in pieno la polemica i filosofi pagani, dovette subire la persecuzione sotto
Diocleziano, e infine assistere al trionfo della fede sotto Costantino. E’
quindi facile comprendere quanto già affermato sopra, ossia che il concitato
passaggio dalla persecuzione al trionfo non poté non suscitare proprio in
quegli anni una profonda riflessione sul senso da attribuire all’azione della
provvidenza divina nella storia, conducendo così alla nascita di quella
storiografia cristiana dei cui esordi Lattanzio è, insieme ad Eusebio di
Cesarea,30 uno dei più illustri esponenti.
L’opera di Lattanzio è andata in larga parte perduta, e il suo ricordo
ci è stato tramandato in special modo dalla testimonianza di Girolamo. Tra
le opere perdute sono da segnalare un Symposium risalente al periodo
africano prima del trasferimento a Nicomedia, un Hodoiporikon de Africa
29
Cfr. ivi.
30
Autore di una monumentale Storia della chiesa e di una Vita di Costantino. Sulla sua
figura cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, pp. 209-222.
19
usque Nicomedia che è proprio un resoconto di questo viaggio, 31 due libri
indirizzati ad un cristiano di nome Asclepide, e due raccolte di lettere
indirizzate rispettivamente a Severo e Demetriano.32 Girolamo ci informa
che egli compose anche un manuale di grammatica latina intitolato, per
l’appunto, Grammaticus, ed un De opificio homini. Nulla sappiamo delle
opere composte durante il periodo pagano, e secondo alcuni sono da
considerare sicuramente apocrifi un De resurrectione e una Passio
Dominis.33 Girolamo cita anche un De aue phoenice (“l’uccello fenice”,
noto simbolo del Cristo risorto), un carme in distici elegiaci la cui
attribuzione a Lattanzio è dibattuta.34
Le opere sicuramente lattanziane giunte fino a noi sono invece le
seguenti:35
1. De opificio Dei (303 d.C. circa)
2. Diuinae institutiones (composte all’incirca tra il 304 e il 311
d.C.)
3. De ira Dei (313 d.C. circa)
31
Cfr. ivi, p. 205.
32
Cfr. ivi, p. 208.
33
Cfr. la voce “Lactantius” in: AA.VV., The catholic encyclopedia (volume 8), New
York 1910.
34
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 208.
35
Per quanto riguarda le traduzioni in lingua italiana dell’opera lattanziana, è da
segnalare innanzitutto U. Boella (a cura di), Divinae institutiones; De opificio dei; De
ira dei / Lattanzio, Firenze 1973. Le “Diuinae institutiones” sono state tradotte anche da
G. Mazzoni (Siena 1936-1937), mentre il “De mortibus persecutorum” è stato curato da
G. Mazzoni (Siena 1930) e M. Spinelli (Roma 2005). Infine, il “De ira Dei” è stato
tradotto da Cantagalli (Siena 1929) e da L. Gasparri (Milano 2011).
20
4. De mortibus persecutorum (318 – 321 d.C. circa)
L’opera di Lattanzio è caratterizzata da un tipico stile da retore, e da
un latino molto elegante e fortemente influenzato da Cicerone, elemento
che sarà all’origine della fortuna e degli elogi di Lattanzio presso gli
studiosi umanisti.36 A ciò va aggiunta anche la segnalazione di un’evidente
carenza dottrinale, tale da giungere ad affermazioni al limite dell’eresia, 37
che del resto costituisce un fatto non insolito nella cristianità latina di quel
periodo:
Le carenze della preparazione specificamente cristiana di Lattanzio,
sopra rilevate, rappresentarono un fatto tutt’altro che isolato
nell’ambito della cristianità di lingua e formazione latina in quel
tempo e anche dopo: Arnobio ha rivelato più o meno analoghe
carenze, alcuni decenni dopo Mario Vittorino presenterà forti
scompensi tra una completa formazione platonica e una difettosa
conoscenza dell’Antico Testamento, e su questa base si possono
ipotizzare facilmente molti casi simili, anche se non significativi a
livello letterario: in effetti il cristianesimo cominciava allora ad
imporsi largamente come fatto di religione e di morale, sì che i
neoconvertiti, anche se dotati di buona formazione scolastica,
facilmente non avvertivano l’esigenza di approfondirlo culturalmente
e sovente trascuravano un’adeguata formazione scritturistica,
soprattutto quanto all’Antico Testamento. In Lattanzio, di cui ci resta
una documentazione scritta, la carenza è riscontrabile, tanto più in
quanto crea uno scompenso evidente tra l’insufficienza di contenuti
36
A proposito della questione della fortuna di Lattanzio presso i posteri, è curioso
osservare come, secondo lo studioso Jeffrey Burton Russell, le opere di Lattanzio
abbiano contribuito allo sviluppo dell’idea della “Terra piatta”. Difatti, mentre la
testimonianza di Plinio nella sua Storia Naturale riporta che gli antichi credessero
comunemente al fatto che la Terra fosse un globo, la chiesa antica e medievale
abbandonò generalmente tale assunto, basandosi sulla negazione, fondata nell’esegesi
biblica, dell’impossibilità dell’esistenza degli “antipodi”. Cfr. J.B. Russell, Inventing the
Flat Earth: Columbus and Modern Historians, New York 1991, p. 32.
37
Nei fatti, la dottrina esposta da Lattanzio risulta essere un intricato amalgama di
cristianesimo, platonismo, stoicismo e pitagorismo. A tal proposito, cfr.: R.M. Ogilvie,
The Library of Lactantius, Oxford 1978, p. 96.
21
soprattutto di carattere tecnico e l’eccellenza della forma, che gli ha
valso il titolo di Cicerone cristiano.
Egli infatti, come dimostrano le critiche da lui mosse a
Tertulliano e a Cipriano, si è posto il problema di come comunicare
un contenuto cristiano a lettori pagani che potevano incontrare
difficoltà sia nell’oscurità espressiva del primo sia nell’abbondanza
di termini tecnicamente cristiani del secondo. In questo senso
Lattanzio ha cercato di ridurre al minimo indispensabile i neologismi
e dispiegarli nel contesto, in uno sforzo di chiarezza che non a torto
ha considerato essenziale nel dialogo intrecciato col lettore non
ancora cristiano. A tal scopo si è giovato di una forma piana e
scorrevole e insieme curata ed elegante, ispirata a Seneca e a
Cicerone. Il che peraltro non implica affatto un atteggiamento di
apertura verso la cultura pagana quale abbiamo riscontrato in
Giustino e in Clemente: anche se di fatto Lattanzio, come abbiamo
visto, può compensare molto imperfettamente e poco coerentemente
le sue carenze di formazione specificamente cristiana soltanto
facendo ricorso a testi pagani, a livello di teoria la sua condanna è
radicale. A differenza di quelli egli non cerca un qualche accordo con
la filosofia greca perché essa, legata alla corruzione dell’uomo, non
ha possibilità di conoscere la verità che solo Dio ci ha rivelato. 38
L’oggetto del De opificio Dei, dedicato ad un ricco ex-allievo di fede
cristiana chiamato Demetriano, è la provvidenza divina, ed è soprattutto
una confutazione della filosofia epicurea tendente a negare un’azione o un
interesse della divinità nel mondo. Per Lattanzio quest’ultima idea è
chiaramente smentita dal fatto che Dio agisce nella storia, punendo i
malvagi e i persecutori della fede cristiana. La stessa analisi della struttura
fisica dell’essere umano diventa una prova dell’esistenza della
provvidenza, che si manifesta all’uomo attraverso la contemplazione della
perfezione del disegno divino.
38
Cit. in Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, pp. 207-208.
22
Sullo stesso tema della provvidenza dimostrata dalla punizione dei
malvagi si pongono il De ira Dei (che confuta la filosofia stoica ed
epicurea asserendo che la collera divina sia un atto di giustizia mirante a
ripristinare l’ordine cosmico compromesso dall’insorgere e dal temporaneo
prevalere del male)39 e, soprattutto, il De mortibus persecutorum, opera
nella quale si inserisce un primo tentativo di filosofia della storia di matrice
cristiana e un nuovo rapporto con l’istituzione imperiale, assistendo ad una
riproposizione in termini cristiani dell’antico concetto romano della pax
deorum. Difatti il vecchio tema della fortuna dello stato associata al buon
rapporto con la divinità viene letto nel senso dell’adesione alla verità
cristiana e alla fedeltà a Cristo, e prova di ciò è offerta proprio dal periodo
aureo inaugurato con Costantino. 40 Viceversa, gli imperatori persecutori
vengono dipinti come cattivi imperatori, che la provvidenza non ha
mancato di punire in una maniera o nell’altra. 41 L’opera si caratterizza,
oltre che per il suo taglio prettamente storico (ancorché ricco di
imprecisioni), per il tono fortemente violento e apologetico.
Ad ogni modo, il lavoro più importante della produzione letteraria di
Lattanzio è sicuramente costituito dalle Diuinae institutiones. L’opera,
scritta per rispondere agli attacchi degli intellettuali pagani Ierocle e
39
Cfr. G. Monaco, G. De Bernardis e A. Sorci, L'attività letteraria nell'Antica Roma,
Palermo 1982, p. 502.
40
Per quell che concerne il ruolo di Lattanzio all’interno della politica religiosa
costantiniana, cfr. E. De Palma Digeser, The making of a christian empire: Lactantius
and Rome, 2000.
41
Cfr. Simonetti e Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, p. 205.
23
(probabilmente, perché non viene espressamente menzionato) Porfirio, 42
venne concepita per essere una summa del sapere cristiano e fu, su richiesta
dell’amico Pentadio, rivista e sintetizzata in una successiva Epitome.
Questo immenso lavoro si suddivide in sette libri, tre dei quali dedicati alla
critica del politeismo e della filosofia, mentre gli ultimi quattro
all’esposizione della sapienza cristiana, ma lo scopo certamente ambizioso
non è sempre in grado di onorare il livello a cui aspira:
Nonostante l’evidente e dichiarata ambizione, l’opera è riuscita
molto ineguale: è più efficace quando critica il politeismo pagano e
soprattutto quando discute di tematiche di carattere morale e sociale,
dove l’influsso stoico, derivato da Cicerone e da Seneca, si compone
bene e si esalta per il supporto e lo sviluppo fornito dalla prospettiva
cristiana nel presentare il fine ultimo dell’uomo e la sua capacità di
realizzarlo. Dà invece a vedere forti carenze, confermate da altri
scritti lattanziani, sotto l’aspetto dottrinale. In effetti Lattanzio
conosce ben poco dell’Antico Testamento e anche poco di letteratura
cristiana, forse soltanto i tre autori che nomina, e di Tertulliano non
certo i trattati più tecnici, sì che quando nel libro IV tocca argomenti
teologici, li illustra facendo ricorso proprio alla sapienza profana la
cui insufficienza aveva tanto eloquentemente stigmatizzato nel libro
III, soprattutto a Platone, al Corpus Hermeticum e ai Libri Sibillini:
ne è risultata una teologia dualistica, arcaica in quanto di lontana
derivazione giudeocristiana, affermante che Dio ha creato due spiriti,
uno il Figlio e l’altro che tralignando è diventato il demonio.
Apprezza lo spiritualismo platonico ma è millenarista e addirittura
presente talvolta Dio con tratti antropomorfi. 43
Riassumere le Diuinae institutiones è un’impresa assai ardua se non
impossibile nel poco spazio che è possibile riservare in questa sede
42
Cfr. ivi, p. 206.
43
Cit. in: ivi, p. 206-207.
24
all’opera nella sua interezza. Un’idea precisa dei suoi contenuti può
comunque essere facilmente esperibile dalla lettura dei titoli posti al
principio di ogni capitolo, che abbiamo tradotto di seguito:
Libro I: A proposito del falso culto degli dèi.
L’enorme importanza che la conoscenza ha sempre rivestito – La
religione e la sapienza – La provvidenza negli eventi umani – A
proposito del fatto se l’universo sia governato da uno o da molti dèi –
La profezie dei profeti a proposito dell’unico Dio – La testimonianza dei
poeti e dei filosofi – A proposito delle testimonianze divine, e delle
predizioni delle sibille – A proposito delle testimonianze di Apollo e
degli dèi – Dio è senza un corpo, e non ha bisogno di avere un sesso
specifico per procreare – La vita e la morte di Ercole – La vita e le gesta
di Esculapio, Apollo, Nettuno, Marte, Castore e Polluce, Mercurio e
Bacco – L’origine, la vita, il regno, il nome e la morte di Giove, Saturno
e Urano – La trasformazione delle finzioni poetiche in sistemi filosofici
da parte degli stoici – Di quanto siano vane le interpretazioni stoiche
sugli dèi e sull’origine di Giove, Saturno e Opi – Cosa insegnano
Evemero ed Ennio riguardo agli dèi – Come fu che coloro che una volta
erano uomini vennero elevato al rango di divinità – Gli argomenti coi
quali si dimostra che chi ha una distinzione di genere non può essere un
dio – A proposito della medesima opinione degli stoici, e della condotta
disdicevole degli dèi – La consacrazione degli dèi, e i benefici che
attribuiscono agli uomini – L’impossibilità di adorare parimenti il vero
Dio e le false divinità – Gli dèi dei romani, e i riti loro correlati –
Alcune divinità dei barbari e i riti loro correlati – Chi inventò la vanità
summenzionate in Italia presso i romani, e chi presso gli altri popoli –
Quando iniziarono le vane superstizioni.
Libro II: A proposito dell’origine dell’errore.
Di come il velamento della ragione renda gli uomini dimentichi del vero
Dio, che adorano nelle avversità e rinnegano nella prosperità – La causa
prima della fabbricazione delle immagini, le vere sembianze di Dio, e il
vero culto che gli spetta – L’errore di Cicerone e di altri sapienti nel non
correggere il loro popolo – A proposito delle immagini e degli
ornamenti dei templi, e come siano disprezzati dagli stessi pagani – Di
come solo Dio, il creatore di ogni cosa, sia degno di essere adorato in
luogo degli elementi e dei corpi celesti; e di come l’opinione stoica
secondo cui i pianeti e le stelle sono dèi venga confutata – La
confutazione dello statuto divino o vivente dell’universo e degli
elementi – A proposito di Dio, dei riti dei folli, dell’avarizia, e
25
dell’autorità degli antenati – L’uso della ragione negli affari religiosi, i
sogni, gli auguri, gli oracoli, e altri portenti simili – Il diavolo, il mondo,
Dio, la provvidenza, l’uomo e la sua sapienza – Le parti del mondo, gli
elementi, e le stagioni – Le creature viventi, l’uomo, Prometeo,
Deucalione, e le Parche – Confutazione della pretesa secondo cui gli
animali si riproducano spontaneamente, essendo invece frutto dei piani
divini, dei quali Dio ci avrebbe reso edotti se ciò costituisse una
conoscenza utile per l’essere umano – Perché l’uomo è diviso in
maschio e femmina, cosa sono la prima e la seconda morte, e le colpe e
punizioni dei nostri antenati – A proposito di Noè, l’inventore del vino,
che per primo ebbe la conoscenza delle stelle, e di quale fu l’origine
delle false religioni – A proposito della caduta degli angeli, e dei due
tipi di demoni – La mancanza di potere dei demoni su coloro che hanno
fede – La dimostrazione che l’astrologia e le pratiche affini sono
un’invenzione demoniaca – La pazienza e la vendetta di Dio,
l’adorazione dei demoni, e le false religioni – L’adorazione delle
immagini e dei corpi celesti – La filosofia e la verità.
Libro III: La falsa sapienza dei filosofi.
La comparazione della verità con l’eloquenza, il fallimento dei filosofi
nell’ottenerla, e la semplicità delle sacre scritture – La vanità della
filosofia nell’acquisizione della verità – Gli argomenti della filosofia, e
chi fu il fondatore della setta dell’Accademia – La sparizione della
conoscenza con Socrate, e le congetture di Zenone – La necessaria
conoscenza di molte cose – La sapienza, l’Accademia, e la filosofia
naturale – La filosofia morale e il Sommo Bene – Il Sommo Bene, i
piaceri dell’anima e del corpo, e la virtù - Il Sommo Bene, l’adorazione
del vero Dio, e la confutazione di Anassagora – La peculiare
caratteristica umana di conoscere e adorare Dio – La religione – la
sapienza, e il Sommo Bene – Il conflitto tra l’anima e il corpo, e il
desiderio della virtù per aspirare alla vita eterna – L’immortalità
dell’anima, la sapienza, la filosofia, e l’eloquenza – L’errore di Lucrezio
e altri, tra cui lo stesso Cicerone, nello stabilire l’origine della sapienza
– L’errore filosofico di Seneca, e l’incoerenza tra le parole dei filosofi e
la loro condotta di vita – la vita biasimevole dei filosofi che predicarono
il bene secondo la testimonianza di Cicerone, e di come ne consegue che
non ci si deve dedicare allo studio della filosofia – A proposito di
Epicuro, Leucippo e Democrito – La follia stoica e pitagorica del
predicare la morte volontaria – La maniera non credibile di Cicerone e
altri uomini sapientissimi di affermare l’immortalità dell’anima, e la
credenza secondo una morte buona o cattiva sia determinata da una vita
anteriore – Di come Socrate ebbe molta più conoscenza della filosofia
degli altri esseri umani, nonostante agì da folle in diversi frangenti – Il
26
sistema filosofico di Platone – I precetti di Platone, e le sue censure –
L’errore di alcuni filosofi, il sole e la luna – A proposito degli antipodi,
del cielo, e delle stelle – L’apprendimento della filosofia, e le grandi
qualificazioni che sono necessarie per il suo apprendimento – A
proposito del come siano da considerare istruzioni divine solo quelle
che portano con sé la sapienza, e di come la legge di Dio sia efficace –
A proposito di quanto poco i precetti dei filosofi contribuiscano alla
vera saggezza, che si può trovare solo nella religione – La vera religione
e la natura, la filosofia, e il fatto se la fortuna sia una dea – Ancora sulla
fortuna, e sulla virtù – La conclusione di quanto detto in precedenza, i
motivi per i quali bisogna convertirsi dalla vanità della filosofia alla
vera sapienza, e la conoscenza del vero Dio, nel quale solo riposano la
virtù e la felicità.
Libro IV: La vera sapienza e la religione.
L’antica religione umana, la diffusione dell’errore, e i sette saggi della
Grecia – Dove si trovava la sapienza, e del perché Pitagora e Platone
non si accostarono agli ebrei – A proposito del fatto che sapienza e
religione non possono essere separate, e che il Signore della natura deve
necessariamente essere il Padre di ognuno – La sapienza, la religione, e
il diritto del Signore – Gli oracoli dei profeti e il tempo dei giudici e dei
re – La testimonianza delle sibille e di Trismegisto riguardo alla discesa
del figlio di Dio – Il nome del figlio, che è Gesù e Cristo – La nascita di
Gesù nello spirito e nella carne – La parola di Dio – L’avvento di Gesù,
le fortune e il governo degli ebrei fino alla sua passione – I motivi
dell’incarnazione di Gesù – La nascita di Gesù da una vergine, la sua
vita, morte e resurrezione, e la testimonianza dei profeti nei riguardi di
tutto ciò – La predizione del sacerdozio di Gesù – La vita e i miracoli di
Gesù, e le testimonianze ad essi relative – La passione di Gesù e le
profezie ad essa relative – Le superstizioni degli ebrei, e il loro odio
verso Gesù – La passione del Signore, e la sua predizione – La morte, la
sepoltura e la resurrezione di Gesù, e le predizioni di questi eventi - La
dipartita dalla Galilea di Gesù dopo la sua resurrezione, l’Antico ed il
Nuovo Testamento – L’ascensione al cielo di Gesù, e la sua predizione;
la predicazione e le azioni degli apostoli – Gli argomenti dei miscredenti
contro l’incarnazione di Gesù – A proposito del dare precetti, e
dell’agire – L’avvento di Gesù nello spirito e nella carne, e di come egli
sia il mediatore tra Dio e gli uomini – La croce e le altre torture subite
da Gesù, e il simbolo dell’agnello sotto la legge – I miracoli ottenuti per
mezzo del potere della croce, e i demoni – La speranza e la vera
religione, e la superstizione – La religione cristiana, e l’unione di Geùs
con il Padre – A proposito dell’evitare l’eresia e la superstizione, e di
cosa sia la sola vera chiesa cattolica.
27
Libro V: La giustizia.
A proposito dell’innocenza di un accusato fino a che non si siano udite
le sue ragioni, e il primo avvocato della religione cristiana – Gli attacchi
contro la verità cristiana – La verità della religione cristiana e la vanità
dei suoi avversari; la confutazione dell’accusa secondo cui Cristo fu un
mago – Le motivazioni della pubblicazione di quest’opera, e a proposito
di Tertulliano e di Cipriano – L’esistenza della giustizia sotto il regno di
Saturno, e la sua fine con l’avvento del regno di Giove – I vizi che
hanno regnato a seguito del bando della giustizia – L’avvento di Gesù e
i suoi frutti, e le virtù ed i vizi di quest’epoca – Del fatto che la giustizia
è conosciuta da tutti ma non da tutti abbracciata, e che tutti i vizi
possono essere soggiogati – I crimini dei malvagi, e le persecuzioni
subite dai cristiani – La falsa pietà, e la false e la vera religione – La
crudeltà dei pagani nei riguardi dei cristiani – La vera virtù, i buoni e i
cattivi cittadini – La crescita e la punizione della comunità cristiana –
La fortezza d’animo dei cristiani – La sapienza, la pietà, l’equità, e la
giustizia – I doveri dell’uomo giusto, e l’equità dei cristiani – L’equità e
la sapienza dei cristiani – La giustizia e la saggezza – La virtù dei
cristiani e le persecuzioni da loro subite, e i diritti del Padre – La vanità
e il crimine delle superstizioni empie, e le persecuzioni subite dai
cristiani – L’adorazione degli altri dèi e il vero Dio, e gli animali adorati
dagli egiziani – La rabbia dei demoni contro i cristiani, e gli errori dei
miscredenti – La giustizia e la pazienza dei cristiani – La divina
vendetta inflitta ai persecutori dei cristiani.
Libro VI: La vera adorazione.
L’adorazione del vero Dio e dei falsi dèi – I vizi e le virtù, e le
retribuzioni del Paradiso e dell’Inferno – I piaceri e le asperità dello stile
di vita dei cristiani – La vera virtù e quella falsa – Il Sommo Bene e la
virtù, la conoscenza e la rettitudine - La via dell’errore e quella della
verità – Gli errori dei filosofi, e le variazioni della legge – La legge e i
precetti di Dio, la misericordia, e gli errori dei filosofi – Il culto di Dio e
la misericordia verso gli uomini; l’origine del mondo – Le persone alle
quali è fatta la grazia di un beneficio –I diversi generi di beneficio, e le
opere della misericordia – Il pentimento, la misericordia, e il perdono
dei peccati – Le affezioni e l’opinione degli stoici nei loro riguardi; la
virtù, i vizi, e la misericordia – Le affezioni e l’opinione dei peripatetici
nei loro riguardi – La confutazione dell’opinione dei peripatetici su
esposta; quale sia il corretto utilizzo delle affezioni, e quale sia il loro
utilizzo scorretto – Le affezioni, la pazienza, e il Sommo Bene dei
cristiani – Alcuni comandamenti di Dio, e la pazienza – Le affezioni, e
le tre furie – I sensi, i piaceri ad essi connessi, i piaceri della vista, e gli
spettacoli – I piaceri dell’udito, e la letteratura sacra – I piaceri del gusto
28
e dell’olfatto – La voluttà e la libidine, il matrimonio e la continenza – Il
pentimento, il perdono, e i comandamenti di Dio – I sacrifici, le offerte
a Dio, e le forme di adorazione.
Libro VII: La vita beata.
A proposito del mondo, e della fede degli uomini – L’errore dei filosofi,
la divina sapienza, e l’età dell’oro – La natura e il mondo, e la
confutazione degli stoici e degli epicurei – A proposito del fatto che
tutte le cose sono state create per una ragione, anche quelle che
sembrano malvagie, e della ragione umana – La creazione dell’uomo e
il Sommo Bene – Il motivo della creazione del mondo e dell’uomo, e la
totale inutilità del culto degli falsi dèi – La varietà dei filosofi e delle
loro verità – L’immortalità dell’anima – L’immortalità dell’anima, e la
virtù – I vizi e la virtù, la vita e la morte – Gli ultimi tempi, l’anima e il
corpo – L’unione dell’anima col corpo, la loro separazione e la loro
riunificazione – L’anima, e le testimonianze relative alla sua eternità – I
primi e gli ultimi tempi del mondo – Le devastazioni del mondo e
l’alternarsi degli imperi – La devastazione del mondo, e i prodigi ad
essa connessi – Il falso profeta, le difficoltà che imporrà ai credenti, e la
sua distruzione – Le fortune del mondo alla fine dei tempi, e le cose
profetizzate a tal proposito – La discesa di Cristo per il giudizio, e la
fine del falso profeta – Il giudizio di Cristo, dei cristiani, e dell’anima –
I tormenti e le punizioni delle anime – L’errore dei poeti, e il ritorno
dell’anima dalle regioni inferiori – La resurrezione delle anime, e le
prove di ciò – Il mondo rinnovato – I tempi ultimi, e la città di Roma –
La sconfitta del diavolo, e il secondo giudizio – Incoraggiamento e
conferma dei giusti.
Come si può notare, sono immediatamente evidenti nell’arco di tutta
l’opera l’ambizioso progetto enciclopedico nonché la costante polemica e
condanna della cultura pagana, in particolar modo della sapere filosofico
ripetutamente considerato nei termini di una falsa sapientia. Come già
precedentemente osservato, questo però non deve portare ad attribuire a
Lattanzio una condanna unanime dell’eredità passata, seppure non possa
certamente essere considerato come uno degli autori cristiani più aperti nei
suoi riguardi. In particolar modo, si ritrovano in Lattanzio una valutazione
29
positiva – probabilmente alquanto contraddittoria, considerato il giudizio
generale che invece riserva alla filosofia – degli aspetti della spiritualità
pagana in armonia con la fede cristiana come l’etica stoica o la concezione
platonica dell’anima (utilizzati anche in chiave apologetica, soprattutto in
considerazione del fatto che il retore africano si trova paradossalmente più
a suo agio con l’odiata cultura pagana che con le fonti scritturali della
propria stessa fede, spesso poco e male conosciute), e del patrimonio
retorico e stilistico dei grandi del passato, piegato a finalità di proselitismo.
Per di più, Lattanzio non esita ad utilizzare come prove scritturali le
rivelazioni del mondo pagano come quelle degli Oracula Sybillina o del
Corpus Hermeticum attribuito al mitico Ermete Trismegisto, e considerate
come precursori del cristianesimo.
Al di là di ciò, tutto il rimanente deposito della sapienza pagana è però
ispirazione demoniaca da condannare senza compromessi, considerata
all’origine (anche per il tramite della riproposizione dell’idea evemeristica)
dell’origine delle false religioni. La riflessione sull’operato dei demoni nel
mondo raggiunge il suo apice nel libro VII, che tratta di escatologia e
affronta la questione dell’avvento del regno dell’Anticristo. Volendoci ora
addentrare più dettagliatamente in tale questione è però necessario, prima
di proseguire, introdurre una breve panoramica del pensiero cristiano delle
origini intorno a questo oscuro personaggio.
30
CAPITOLO II
LA FIGURA DELL’ANTICRISTO NELLA TRADIZIONE
CRISTIANA DELLE ORIGINI.
I. Antecedenti ebraici della figura dell’Anticristo.
Sebbene successivamente appropriatasi di diversi motivi provenienti
dalle tradizioni pagane europee, è comunque impossibile sviluppare un
discorso coerente sulla demonologia cristiana in generale, e sulla figura
dell’anticristo in particolare, senza tener conto dei suoi antecedenti
appartenenti alla tradizione ebraica. A sua volta, parlare di demonologia
ebraica44 significa necessariamente parlare del problema del male e della
sua presenza nel mondo secondo la concezione ebraica, e quindi entrare in
un ambito estremamente eterogeneo e per nulla uniforme, trattandosi di una
evoluzione storica assai lunga e articolata.
La visione paradigmatica del male propria all’ebraismo sacerdotale è
quella di una separazione progressiva di elementi tra loro contrapposti,
dalla divisione luce/tenebra che costituisce il primo atto creativo descritto
44
Utilizziamo qui il termine “ebraico” in senso generale, per indicare la religione del
popolo d’Israele attraverso tutte le sue fasi storiche e dottrinali. Ad ogni modo,
tradizionalmente gli storici sono soliti distinguere la religione israelita in due fasi: la
prima, detta propriamente “ebraica”, riguarda la spiritualità del popolo d’Israele a
partire dall’epopea dei patriarchi del Genesi sino alla fine della monarchia e all’esilio
babilonese; la seconda, detta “giudaica”, ha invece inizio con l’esilio a Babilonia, e con
le conseguenze che tale evento ha avuto nella percezione che il popolo ebraico ebbe di
se stesso, delle proprie istituzioni, e del corpus delle proprie credenze religiose.
31
dal Genesi sino alla rigida regolamentazione puro/impuro sancita dalla
legislazione rituale (halakah).45 Lo stesso ordine cosmico è considerato
garantito dal rispetto di tale rigida divisione,46 e il male altro non è se non il
passaggio da tale ordine al disordine. 47
Col ritorno dall’esilio babilonese e l’instaurazione della riforma
esdrina, ha poi inizio una serie di movimenti di reazione, tra cui quello noto
col nome di “enochismo”, e latore di una nuova e radicale concezione
apocalittica.48 La più antica apocalittica nasce e si sviluppa così in ambienti
assolutamente estranei a quelli ufficiali del secondo tempio, e può essere
rintracciata per la prima volta in un Libro di Noè databile intorno alla fine
del V secolo a.C. e incluso nell’apocrifo Libro dei vigilanti. Quest’ultimo è,
a sua volta, l’ultimo dei libri che compongono il corpus della letteratura
enochiana, ossia di quella serie di testi apocrifi che, rifacendosi alla figura
del patriarca Enoch, sviluppano un’originale e complessa teologia che
introduce nell’ebraismo novità radicali, quali l’immortalità dell’anima e la
retribuzione ultraterrena, l’introduzione del male nel mondo a seguito del
peccato degli angeli, e soprattutto la visione dell’uomo come naturalmente
45
Cfr. P. Capelli, Il problema del male: risposte ebraiche dal secondo tempio alla
qabbalah, in I. Cardellini (a cura di), Origine e fenomenologia del male: le vie della
catarsi veterotestamentaria. Atti del XIV Convegno di Studi Veterotestamentari
(Sassone-Ciampino/Roma, 5-7 settembre 2005), Bologna 2007, p. 135.
46
Cfr. P. Sacchi, Storia del secondo tempio. Israele tra VI sec. a.C. e I sec. d.c., Torino
1994, pp. 421-428.
47
Cfr. G. Boccaccini, Oltre l’ipotesi essena. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo
enochico, Brescia 2003, pp. 137-140.
48
Cfr. E. Lupieri, Fra Gerusalemme e Roma, in G. Filoramo e D. Menozzi (a cura di),
Storia del Cristianesimo. L’Antichità, Bari 2008, p. 12; Boccaccini, Oltre l’ipotesi
essena, pp. 45-46.
32
peccaminoso, e quindi incapace di raggiungere la salvezza per mezzo della
sola osservanza della Legge. Questi sono tutti temi che saranno
parzialmente acquisiti dalla corrente farisea, e che sicuramente influiranno
prepotentemente nella nascita del messianesimo cristiano.
Secondo il Libro dei vigilanti,49 il male non è qualcosa creato
direttamente da Dio, ma è la conseguenza dell’introduzione nel mondo di
un principio di malvagità che ha origine da due eventi fondamentali: il
primo è la ribellione di sette stelle a seguire il corso per loro stabilito
dall’ordine divino (c. 18), e il secondo è il peccato compiuto da angeli
ribelli (c. 19) che, sfidando l’ordine divino, si erano uniti a delle donne e
avevano generato i “giganti” (nephilim).50 Oltre che di natura sessuale, il
peccato degli angeli assume anche una connotazione gnoseologica, poiché
il Libro dei Vigilanti afferma che gli angeli caduti insegnano alle loro
donne dottrine proibite quali l’astronomia o la medicina, corrompendo
irrimediabilmente l’umanità. Da parte loro, i giganti si trasformano in
esseri tirannici che opprimono l’umanità arrivando persino a berne il
sangue e divorarne le carni, ed è solo l’intervento di Dio, che invia le sue
legioni di angeli a sconfiggerli, e salvare il genere umano. Le anime
immortali dei giganti, tuttavia, continueranno da quel momento in poi a
vagare sulla Terra per tormentare gli uomini sotto forma di spiriti maligni.
49
Cfr. I Enoch, in P. Sacchi, Apocrifi dell’antico testamento, Torino 1981, pp. 413–667.
50
Cfr. T. Portera, Tra titani e angeli ribelli. I nephilim di Genesi 6,4, in “Mediaeval
Sophia”, n. I, Palermo 2007, pp. 63-80.
33
La doppia trasgressione di ordine celeste (disobbedienza delle sette
stelle) e di gerarchia tra creature (peccato degli angeli e avvento sulla terra
dei nephilim) comporta un vero e proprio “cambiamento del mondo”, e
tutto ciò contribuisce a creare una situazione nella quale non solo l’uomo si
è corrotto fisicamente e intellettualmente in una maniera tale da non essere
in grado di uscire da solo dalla propria miseria, ma è anche preda di un’età
oscura e caotica, dalla quale solo l’intervento divino può salvarlo. La natura
contaminata (cioè maligna secondo la rigida concezione separativa
dell’ebraismo, perché crea disordine nella rigida divisione tra angelico e
umano) dei giganti, mezzi uomini e mezzi angeli, investe quindi l’intero
creato e pertanto, anche in polemica con la riforma in senso etnico operata
dalla legislazione esdrina, non sono le donne straniere a essere causa
d’impurità, ma gli angeli caduti. Nessuno può definirsi davvero puro, e il
sacerdozio stesso perde così di ogni reale utilità; l’unica soluzione viene
vista in un intervento dall’alto e di natura escatologica da parte di Dio. 51
Ma che ruolo ha Dio nell’introduzione del male e dell’avvento di un
principio demoniaco sulla Terra? Come sottolinea il Capelli:
Fino a questo punto, il male non veniva considerato come parte del
piano di Dio per l’universo, ma piuttosto come una degenerazione
dovuta alla disobbedienza dell’uomo (secondo il racconto
sacerdotale) o degli angeli (secondo il racconto enochico). In un
modo o nell’altro, Dio era innocente. Ma se si accetta il postulato del
Dio uno e unico, diventa necessario ricercare le radici del male entro
51
Cfr. Boccaccini, Oltre l’ipotesi essena, pp. 139-143.
34
la personalità di Dio stesso: quel medesimo Dio che, secondo il
Deutero-Isaia, «dà il benessere e crea il male» (45,7).
L’aspetto maligno e demonico della personalità di Dio era ben
presente agli scrittori biblici più antichi: quel Dio che cerca
nottetempo di uccidere Giacobbe e Mosè, che indurisce il cuore del
Faraone, che perpetra di persona il massacro dei primogeniti
egiziani, che invia lo spirito maligno a Saul e che induce Davide a
fare il censimento del popolo al solo fine di punirlo per averlo fatto
(2Sam 24). La tradizione enochica, forse per influsso del dualismo
zoroastriano, proiettò gradualmente all’esterno la tensione interiore
di Dio, fino a che il suo lato malvagio venne personificato in un anti-
Dio indipendente da Dio.52 Questo anti-Dio governa con pieni poteri
su un intero regno, che è secondario rispetto a quello di Dio quanto
ad antichità ed estensione, ma è comunque del tutto indipendente
nell’organizzazione e nei fini. 53
E’ la nascita del Diavolo, inteso come entità tesa al male e operante
autonomamente54 verso la malvagità. Inizialmente tale entità non viene
considerata che nei termini di un “pubblico ministero” del tribunale celeste
senza alcuna connotazione particolarmente maligna. Egli ha già la funzione
di tentare l’umanità, ma questo non per una propria indole malvagia, bensì
perché esecutore delle prove che Dio manda agli uomini per saggiarne la
fedeltà. Un eco particolarmente importante di tale concezione è presente
52
A questo punto, l’auotre cita in nota J.B. Russell, Il diavolo nel mondo antico, Roma-
Bari 1989, pp.107-109.
53
Cit. in Capelli, Il problema del male, p. 138.
54
Nello studiare il materiale da noi raccolto per redigere la presente tesi, ci è parso di
cogliere talvolta una certa propensione (ed esempio, nel brano del Capelli citato sopra
nel testo) ad intendere l’autonomia dell’operato del Diavolo come assolutamente
indipendente dall’onnipotenza divina, che ne verrebbe in tal modo obiettivamente
limitata. Tale idea potrebbe forse essere accolta se vogliamo leggere nelle fonti un eco
di antiche eredità politeistiche antecedenti alla fissazione della concezione rigidamente
monoteista della religione ebraica, ma se si volesse invece intendere quest’ultima come
già acquisita, l’autonomia diabolica non può che essere considerata sempre e in ogni
caso come relativa, e cioè dipendente dal permesso divino. Rimane a questo punto il
problema teologico di come un Dio buono possa permettere il male, ma queste sono
problematiche che esulano dagli scopi del presente lavoro.
35
nella letteratura biblica all’interno del Libro di Giobbe (1, 6-12) in cui ha-
Satan (“il nemico”, termine in cui la presenza dell’articolo prima del nome
“satan” evidenzia il non trattarsi ancora di un nome proprio) viene
scatenato da Dio contro il pio Giobbe per verificare la sincerità e l’effettiva
origine della sua pietas.
Nel Primo libro delle cronache (21, 2), la parola “Satana” appare
invece senza essere preceduta dall’articolo determinativo 55 e, in altre fonti
extra-bibliche, la figura del “principe delle tenebre” acquisisce espliciti
tratti personali e ben definiti: nel Libro dei Vigilanti troviamo così la figura
di Azazel e, nel Libro dei Giubilei, il capo delle anime dei nephilim è
chiamato Mastema (“ostilità”). Infine, nella letteratura qumranica, e
precisamente nel Testamento dei 12 patriarchi, viene nominato Belial.56
Così, con la corrente enochiana e con Qumran si delineano
chiaramente i seguenti motivi, destinati a entrare a far parte
successivamente nel deposito spirituale dell’imminente cristianesimo
primitivo: A) la figura del Diavolo e delle sue legioni di demoni; B) la
responsabilità di questi ultimi per quel che concerne l’avvento del male nel
mondo; C) l’estrema debolezza dell’essere umano, che se anche non ha la
responsabilità diretta della presenza del male, non ha comunque la forza
per liberarsene da solo, rendendo quindi necessario un intervento salvifico
55
Cfr. Capelli, Il problema del male, p. 139.
56
Cfr. R.H. Eisenman e M. Wise, Manoscritti segreti di Qumran, Casale Monferrato
1994, pp. 53-56.
36
ed escatologico di origine divina. Il tema della responsabilità angelica e
non umana della presenza del male si fa comunque più sfumato negli
enochiani che, rispetto al rigido determinismo qumraniano,57 accolgono una
responsabilità circostanziale dell’uomo, riconosciuto come dotato di libero
arbitrio, e riconciliandosi così con la dottrina sacerdotale esposta nel
Genesi.
Per quanto riguarda la presenza di una figura più propriamente
anticristica, ossia di un essere umano che incarni al massimo livello i poteri
delle tenebre, e le conduca alla battaglia finale sulla Terra contro le forze
della luce, bisognerà attendere la riflessione cristiana per poter ritrovare
esplicitamente tale figura con le caratteristiche che le sono proprie ben
definite. Il riferimento al periodo di oscurità e di dominio satanico della
Terra antecedente alla restaurazione messianica viene posto, nel giudaismo
pre-cristiano, sotto il generico patronato di Belial e dei suoi demoni, e solo
successivamente (probabilmente per influsso dello stesso cristianesimo)
anche la tradizione ebraica indicherà chiaramente una figura anticristica
distinta, talvolta chiamata col nome di “Armilus”.58 Le figure presenti nella
letteratura biblica canonica che rimandano ad interpretazioni
anticristologiche saranno esplicitate come tali solo dalla successiva esegesi
57
Cfr. Capelli, Il problema del male, p. 141-142.
58
Cfr. J. Dan, The jewish antichrist and the origins of the origins and dating of the
Sefer Zerubbavel, in P. Shafer - M.R. Cohen, Toward the Millenium. Messianc
expectations form the Bible to Waco, Leiden-Boston-Koln 1998, pp. 73-104.
37
cristiana, com’è il caso del Libro di Daniele,59 in cui la figura di Antioco
IV Epifane assume i tratti di un malvagio re escatologico, venuto ad
instaurare un passeggero ma terribile regno di empietà prima del giorno
della resurrezione, e del Libro di Ezechiele, dove si parla dell’avvento di un
terribile Gog re di Magog.60 Questo tuttavia non significa, come si vedrà di
seguito, che la genesi della figura dell’Anticristo non possa essere
individuata già nella tradizione veterotestamentaria.
II. La riflessione cristiana sulla figura dell’Anticristo.
Per quel che riguarda l’Anticristo nel cristianesimo, anche in questo
caso ci troviamo di fronte ad una figura che non è immediatamente
riconoscibile nei tratti specifici che gli verranno attribuiti dalla successiva
tradizione, quanto piuttosto all’evoluzione di un concetto incarnante da
principio una mera funzione impersonale, e solo successivamente
personificato in un essere definito.
59
Cfr. Daniele 11, 21-45; 12, 1-2.
60
Cfr. Ezechiele 38-39. Il tema di Gog e Magog verrà ripreso e rielaborato dalla
successiva tradizione cristiana, ed echi della stessa riemergeranno anche nell’islam,
dove i due nomi indicheranno due popoli distinti, già imprigionati dal misterioso
personaggio di Dhu’l-Qarnayn (Alessandro Magno?) oltre una muraglia miracolosa,
dalla quale riusciranno a uscire alla fine dei tempi, seminando morte e distruzione fino a
quando non saranno sterminati dall’intervento diretto di Allah. Nell’escatologia
islamica tali eventi sono però posti dopo la morte dell’Anticristo e dello stesso Mahdi
(Cfr. Cook, Studies in muslim apocalyptic, pp 182-188). A proposito della lettura data
da una parte del mondo musulmano contemporaneo alle interpretazioni escatologiche,
cfr. S. Salzani (a cura di), Teologie politiche islamiche, Genova 2006.
38
Gli inizi dello studio moderno sulla dottrina dell’Anticristo possono
essere fatti risalire a due fondamentali saggi di H. Gunkel61 e W. Bousset,62
i quali ne fecero derivare la figura dall’arcaico mito cosmico babilonese del
drago, che si sarebbe perpetuato all’interno della tradizione giudaica prima
e cristiana poi sotto forma di una verità esoterica tramandata in circoli
segreti, in parte scomparsa e recuperabile solo in modo frammentario. 63
Anche B. Rigaux affermò con forza, negli anni ’30, l’origine
veterotestamentaria della tradizione relativa all’Anticristo.64
Gli studi sull’Anticristo hanno successivamente seguito lo sviluppo
degli studi relativi alla figura del Messia, e secondo E. Lohmeyer65 e J.
Ernst66, la sua origine è da ricercare in una varietà di motivi letterari relativi
ad oppositori escatologici di natura incoerente e non unitaria. Si può
comunque affermare con ragionevole sicurezza che l’origine dell’Anticristo
inteso come figura escatologica personificata da un preciso condottiero
delle forze delle tenebre nasce a partire dall’opera di Ireneo e Ippolito, 67
che decodificano alla luce di dottrine e istituzioni del IV secolo una
61
Cfr. H. Gunkel, Schopfung und Chaos in Urzeit und Endzeit, Gottingen 1895.
62
Cfr. W. Bousset, Der Antichrist in der Uberlieferung des Judentums, des Neuen
Testaments und der Alten Kirche, Gottingen 1895
63
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, pp. XI-XII.
64
Cfr. B. Rigaux, L’Antéchrist et l’opposition au royame messianique dans l’Ancien et
le Noveau Testament, Paris-Gembloux 1932.
65
Cfr. E. Lohmeyer, “Antichrist”, in Reallexicon fur antike und christentum,
sachworterbuch zur auseinandersetzung des christentums mit der antiken welt, Stuttgart
1950, pp. 450-457.
66
Cfr. J. Ernst, Die eschatologischen gegenspieler in den schriften des neuen
testaments, Regensburg 1967.
67
Cfr. B. McGinn, L’Anticristo, Milano 1996, pp. 70, 82.
39
tradizione precedente nella quale tale personificazione diretta è assente, e in
cui il termine “anticristo” ha ancora una mera connotazione teologica e
impersonale.
Nelle due lettere attribuite all’apostolo Giovanni (composte
probabilmente in Asia Minore intorno all’anno 100 d.C.), l’anticristo è
genericamente chiunque si oppone alla lieta novella portata dal Messia e
alla sua opera di restaurazione cosmica, epiteto – pertanto – di carattere
strettamente eresiologico:
παιδια εσχατη ωρα εστιν και καθως ηκουσατε οτι αντιχριστος
ερχεται και νυν αντιχριστοι πολλοι γεγονασιν οθεν γινωσκομεν οτι
εσχατη ωρα εστιν εξ ημων εξηλθαν αλλ ουκ ησαν εξ ημων ει γαρ εξ
ημων ησαν μεμενηκεισαν αν μεθ ημων αλλ ινα φανερωθωσιν οτι
ουκ εισιν παντες εξ ημων και υμεις χρισμα εχετε απο του αγιου
οιδατε παντες ουκ εγραψα υμιν οτι ουκ οιδατε την αληθειαν αλλ
οτι οιδατε αυτην και οτι παν ψευδος εκ της αληθειας ουκ εστιν τις
εστιν ο ψευστης ει μη ο αρνουμενος οτι ιησους ουκ εστιν ο χριστος
ουτος εστιν ο αντιχριστος ο αρνουμενος τον πατερα και τον υιον
πας ο αρνουμενος τον υιον ουδε τον πατερα εχει ο ομολογων τον
υιον και τον πατερα εχει υμεις ο ηκουσατε απ αρχης εν υμιν
μενετω εαν εν υμιν μεινη ο απ αρχης ηκουσατε και υμεις εν τω υιω
και [εν] τω πατρι μενειτε και αυτη εστιν η επαγγελια ην αυτος
επηγγειλατο ημιν την ζωην την αιωνιον ταυτα εγραψα υμιν περι
των πλανωντων υμας και υμεις το χρισμα ο ελαβετε απ αυτου μενει
εν υμιν και ου χρειαν εχετε ινα τις διδασκη υμας αλλ ως το αυτου
χρισμα διδασκει υμας περι παντων και αληθες εστιν και ουκ εστιν
ψευδος και καθως εδιδαξεν υμας μενετε εν αυτω και νυν τεκνια
μενετε εν αυτω ινα εαν φανερωθη σχωμεν παρρησιαν και μη
αισχυνθωμεν απ αυτου εν τη παρουσια αυτου εαν ειδητε οτι
δικαιος εστιν γινωσκετε οτι πας ο ποιων την δικαιοσυνην εξ αυτου
γεγεννηται.68
68
I Gv. 2, 18-29.
40
αγαπητοι μη παντι πνευματι πιστευετε αλλα δοκιμαζετε τα
πνευματα ει εκ του θεου εστιν οτι πολλοι ψευδοπροφηται
εξεληλυθασιν εις τον κοσμον εν τουτω γινωσκετε το πνευμα του
θεου παν πνευμα ο ομολογει ιησουν χριστον εν σαρκι εληλυθοτα
εκ του θεου εστιν και παν πνευμα ο μη ομολογει τον ιησουν εκ του
θεου ουκ εστιν και τουτο εστιν το του αντιχριστου ο ακηκοατε οτι
ερχεται και νυν εν τω κοσμω εστιν ηδη υμεις εκ του θεου εστε
τεκνια και νενικηκατε αυτους οτι μειζων εστιν ο εν υμιν η ο εν τω
κοσμω αυτοι εκ του κοσμου εισιν δια τουτο εκ του κοσμου
λαλουσιν και ο κοσμος αυτων ακουει ημεις εκ του θεου εσμεν ο
γινωσκων τον θεον ακουει ημων ος ουκ εστιν εκ του θεου ουκ
ακουει ημων εκ τουτου γινωσκομεν το πνευμα της αληθειας και το
πνευμα της πλανης.69
και νυν ερωτω σε κυρια ουχ ως εντολην γραφων σοι καινην
αλλα ην ειχομεν απ αρχης ινα αγαπωμεν αλληλους και αυτη εστιν η
αγαπη ινα περιπατωμεν κατα τας εντολας αυτου αυτη η εντολη
εστιν καθως ηκουσατε απ αρχης ινα εν αυτη περιπατητε οτι πολλοι
πλανοι εξηλθον εις τον κοσμον οι μη ομολογουντες ιησουν χριστον
ερχομενον εν σαρκι ουτος εστιν ο πλανος και ο αντιχριστος βλεπετε
εαυτους ινα μη απολεσητε α ειργασαμεθα αλλα μισθον πληρη
απολαβητε πας ο προαγων και μη μενων εν τη διδαχη του χριστου
θεον ουκ εχει ο μενων εν τη διδαχη ουτος και τον πατερα και τον
υιον εχει 1ει τις ερχεται προς υμας και ταυτην την διδαχην ου φερει
μη λαμβανετε αυτον εις οικιαν και χαιρειν αυτω μη λεγετε 1ο λεγων
γαρ αυτω χαιρειν κοινωνει τοις εργοις αυτου τοις πονηροις.70
Le medesime connotazioni eresiologiche appaiono anche in altre fonti
letterarie, ad esempio nella Lettera ai filippesi di Policarpo di Smirne (6,2-
3; 7,1-2), autore di chiara impronta giovannea.71 Il passo più interessante è
tuttavia ancora interno al canone neotestamentario, e precisamente nella
Seconda lettera ai tessalonicesi attribuita a Paolo:
69
I Gv. 4, 1-6.
70
II Gv. 1, 5-11.
71
Potestà e Rizzi, L’Anticristo, pp. 14-15.
41
ερωτωμεν δε υμας αδελφοι υπερ της παρουσιας του κυριου
[ημων] ιησου χριστου και ημων επισυναγωγης επ αυτον εις το μη
ταχεως σαλευθηναι υμας απο του νοος μηδε θροεισθαι μητε δια
πνευματος μητε δια λογου μητε δι επιστολης ως δι ημων ως οτι
ενεστηκεν η ημερα του κυριου μη τις υμας εξαπατηση κατα μηδενα
τροπον οτι εαν μη ελθη η αποστασια πρωτον και αποκαλυφθη ο
ανθρωπος της ανομιας ο υιος της απωλειας ο αντικειμενος και
υπεραιρομενος επι παντα λεγομενον θεον η σεβασμα ωστε αυτον
εις τον ναον του θεου καθισαι αποδεικνυντα εαυτον οτι εστιν θεος
ου μνημονευετε οτι ετι ων προς υμας ταυτα ελεγον υμιν και νυν το
κατεχον οιδατε εις το αποκαλυφθηναι αυτον εν τω αυτου καιρω το
γαρ μυστηριον ηδη ενεργειται της ανομιας μονον ο κατεχων αρτι
εως εκ μεσου γενηται και τοτε αποκαλυφθησεται ο ανομος ον ο
κυριος [ιησους] ανελει τω πνευματι του στοματος αυτου και
καταργησει τη επιφανεια της παρουσιας αυτου ου εστιν η
παρουσια κατ ενεργειαν του σατανα εν παση δυναμει και σημειοις
και τερασιν ψευδους και εν παση απατη αδικιας τοις απολλυμενοις
ανθ ων την αγαπην της αληθειας ουκ εδεξαντο εις το σωθηναι
αυτους και δια τουτο πεμπει αυτοις ο θεος ενεργειαν πλανης εις το
πιστευσαι αυτους τω ψευδει ινα κριθωσιν παντες οι μη
πιστευσαντες τη αληθεια αλλα ευδοκησαντες τη αδικια ημεις δε
οφειλομεν ευχαριστειν τω θεω παντοτε περι υμων αδελφοι
ηγαπημενοι υπο κυριου οτι ειλατο υμας ο θεος απ αρχης εις
σωτηριαν εν αγιασμω πνευματος και πιστει αληθειας εις ο
εκαλεσεν υμας δια του ευαγγελιου ημων εις περιποιησιν δοξης του
κυριου ημων ιησου χριστου αρα ουν αδελφοι στηκετε και κρατειτε
τας παραδοσεις ας εδιδαχθητε ειτε δια λογου ειτε δι επιστολης
ημων αυτος δε ο κυριος ημων ιησους χριστος και [ο] θεος ο πατηρ
ημων ο αγαπησας ημας και δους παρακλησιν αιωνιαν και ελπιδα
αγαθην εν χαριτι παρακαλεσαι υμων τας καρδιας και στηριξαι εν
παντι εργω και λογω αγαθω.72
Ci troviamo qui di fronte ad una chiara personificazione, che tuttavia non
viene ancora esplicitamente chiamata “Anticristo”. L’interpretazione
72
II Ts. 2, 1-17.
42
marcionita73 di questo passo tendeva ad interpretare la figura del “figlio
della perdizione” con un anti-messia inviato dal Demiurgo ebraico,74 ed è
proprio con la confutazione della dottrina di Marcione compiuta da Ireneo
nel suo Adversus haereses (opera scritta sul finire del II secolo d.C.) che
l’Anticristo personalmente inteso farà capolino anche nella tradizione
proto-ortodossa. Nel far ciò, Ireneo operò semplicemente una fusione del
concetto teologico dell’anticristo giovanneo con una specifica figura
escatologica giungendo alla sistemazione definitiva di una lunga tradizione
che, nel riconoscere l’esercitarsi di una sempre più violenta azione di
Satana contro il popolo cristiano, presentava tuttavia caratteri escatologici
piuttosto confusi.75 Scrive Ireneo:
Et iterum in secunda at thessalonicenses de Antichristo dicens
ait: “Et tunc reuelabitur iniquus, quem Dominus Iesus Christus
interficiet spiritu oris sui et destruet praesentia aduentus sui illum,
cuius est aduentus secundum operationem Satanae in omni uirtute et
signis et portentis mendacii”. Etenim in his ordination dictorum sic
est: “Et tunc reuelabitur iniquus, cuius est aduentus secundum
operationem Satanae in omni uirtute et signis et portentis mendacii,
quem Dominus Iesus interficiet spiritu oris sui et destruet praesentia
aduentus sui”. Non enim, aduentum domini dicit secundum
operationem Satane fieri, sed aduentum iniqui, quem et Antichristum
dicimus. Si ergo non adtenat aliquis lectioni nec interualla
aspirationis manifestet in quo dicitur, erit non tantum incongruentia
sed et balsphema legens, quasi domini aduentus secundum
73
Marcione (85-160 d.C.) fu uno dei più importanti eresiarchi gnostici, fautore di un
sistema teologico che contrapponeva il Dio Padre di Gesù ad un Demiurgo malvagio
identificato col Dio dell’Antico Testamento ebraico. Fervente seguace della dottrina
paolina (riletta alla luce del suo sistema dottrinale), il suo pensiero ci è noto
esclusivamente attraverso i padri della chiesa proto-ortodossa che lo confutarono, tra cui
Giustino, Ireneo, Tertulliano e Ippolito. Sulla dottrina marcionita, cfr. Potestà e Rizzi,
L’Anticristo, pp. XXII-XXIII.
74
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXI.
75
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XX-XXIV.
43
operationem fiat Satane. Sicut ergo in talibus oportet per lectionem
hyperbaton ostendi et consequentem apostoli seruari sensum, sic et
ibi non “Deums saeculi huius” legimus; sed Deum quidem iure
Deum dicimus, “incredulos autem et excaecatos saeculi huius”
audiemus, quoniam uenturum uitae non hereditabunt saeculum. 76
Et non tantum autem per ea quae dicta sunt, sed et per ea quae
erunt sub Antichristo ostenditur quoniam exsistens apostata et latro
quasi Deus uult adorari et, cum sit seruus, regem se uult praeconari.
Ille enim omnem suscipiens diaboli uirtutem ueniet non quasi rex
iustus nec quasi in subiectione Dei legitimus, sed impius et iniustus
et sine lege, quasi apostata et iniquus et homicida, quasi latro,
diabolicam apostasiam in se recapitulans et idola quidem deponens
ad suadendum quod ipse sit Deus, se autem extollens unum idolum,
habens in semetipso reliquorum idolorum uarium errorem, ut hi qui
per multas abominationes adorant diabolum, hi per hoc unum idolum
seruiant ipsi. De quo Apostolus in epistola quae est ad
thessalonicenses secunda sic ait: “Quoniamo nisi uenerit abscessio
primum et reuelatus fuerit homo peccati, filius perditionis, qui
aduersatur et extollit se super omne quod dicitur Deus aut colitur, ita
ut in templo Dei sedeat, ostendes semetipsum tanquam sit Deus”.
Manifeste igitur Apostolus osendit apostasiam eius et quoniam
extolletur super omne quod dicitur Deus ued quod colitur, hoc est
super omne idolum – hi enim sunt qui dicuntur quidem ab
hominibus, non sunt autem dii –, et quoniam ipse se tyrannico more
conabitur ostendere Deum.77
È interessante osservare che la figura dell’Anticristo si sviluppa presso
ambienti e pensatori esplicitamente millenaristi, ossia aderenti a quella
corrente di pensiero (poi condannata dalla successivamente affermatasi
ortodossia) che considerava il “regno dei mille anni” del Messia come un
effettivo lungo periodo di pace e giustizia che sarebbe seguito al ritorno di
Gesù, e non secondo l’accezione più spiritualizzata propria alla corrente
giovannea e a padri come Clemente e Origene, che invece identificavano
76
Ireneo, Adversus haereses III 7, 2.
77
Ireneo, ivi, V 25, 1.
44
questo periodo come la presenza pastorale della chiesa nel mondo. Alla
luce del pensiero millenarista, l’effettivo ritardo del ritorno di Gesù e
dell’instaurazione del regno dei mille anni era alquanto imbarazzante
(specialmente nell’ambito del dibattito con gli ebrei circa l’effettiva dignità
messianica di Gesù), e risultava necessario comprendere cosa lo
ritardasse.78 In Ireneo la polemica anti-giudaica si salda con quella anti-
gnostica, in quanto se il suo continuo rifarsi alle profezie
veterotestamentarie per confermare i dati escatologici propriamente
cristiani servivano da un lato a confutare la negazione dell’Antico
Testamento da parte di Marcione (che considerava la sacre scritture
ebraiche espressione del Demiurgo malvagio), dall’altro funzionavano
anche in chiave di confutazione dell’ebraismo, in quanto se ne conseguiva
l’imperfetta lettura ebraica delle rivelazioni di cui questi ultimi erano stati
depositari, che pertanto avevano fallito nel riconoscere il Messia nella
figura di Gesù e lo avrebbero identificato in colui che invece ne sarebbe
stato l’oppositore.79
III. L’Anticristo ebraico e la funzione dell’impero romano.
L’identificazione dell’Anticristo con il Moshiakh ebraico avrà una
lunga fortuna nel corso della storia del pensiero cristiano fino all’età
contemporanea, con ben facilmente intuibili esiti antigiudaici se non
78
Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXIV-XXV.
79
Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXV-XVIII.
45
propriamente antisemiti.80 Già Ireneo fissava la sua attenzione sulla
profezie veterotestamentarie relative alla tribù di Dan, 81 e Ippolito scenderà
in ulteriori dettagli, affermando che l’Anticristo riunificherà la nazione
giudaica in un regno in Palestina, ricostruendo Gerusalemme e il Tempio. 82
In ottemperanza alla sua funzione di parodia del Messia, l’Anticristo
acquisisce pertanto una funzione che sarà antitetica a quella di
quest’ultimo: la distruzione del Tempio e la dispersione del popolo
giudaico che sono stati conseguenza del rifiuto di Gesù si capovolgono
nella ricostruzione del luogo più sacro della religione ebraica e nella
riunificazione del “popolo eletto” intorno alla Terra Promessa, che viene
considerata nel suo aspetto eminentemente materiale piuttosto che nello
spirituale “regno dei cieli” verso il quale il Gesù dei cristiani ha indirizzato
il “nuovo Israele” della comunità ecclesiale.
La storia del primo pensiero cristiano relativo alla sua figura ha però
conosciuto una certa notorietà anche nell’identificarlo con la figura di un
80
Una rapida ricerca sui motori di ricerca di internet può dare l’idea di quanto andiamo
affermando, considerata la presenza di una gran mole di pubblicazioni di serietà
variabile sull’argomento, e riconducibili molto spesso all’area dell’ultra-tradizionalismo
cattolico. L’applicazione “politica” delle tematiche escatologiche non si limita al solo
ambito della storia delle persecuzioni antisemite, ed è eloquente a tal proposito l’assai
diffuso topos polemico nelle dispute tra cattolici e protestanti, reciprocamente accusatisi
di far parte delle schiere dell’Anticristo (spesso identificato, nella polemica protestante,
con lo stesso Papa cattolico).
81
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. XXXI. Cfr. anche la voce “Dan” nella Jewish
Encyclopedia, New York 1901-1906.
82
Cfr. Ippolito, De Christo et Antichristo, 54-64. A proposito della produzione ippolitea
sull’Anticristo in traduzione italiana, oltre alla scelta di brani curata nel già citato
volume di Potestà e Rizzo è da segnalare l’edizione del De Antichristo curata da Enrico
Norelli (Ippolito, L’Anticristo, Bologna 1987), e una Oratio de consummatione mundi a
lui attribuita, pubblicata in: A.M. Di Nola, Apocalissi apocrife, Parma 1986, pp. 145-
172.
46
imperatore romano,83 la qual cosa conduce immediatamente ad una
riflessione circa il ruolo dell’istituzione imperiale nell’economia salvifica
delineata dall’escatologia cristiana dei primi secoli.
Il ruolo dell’impero romano è strettamente connesso alla questione
dell’identità del soggetto che ritarda l’instaurazione dell’avvento
dell’Anticristo, e di conseguenza del regno messianico che seguirà ad esso,
ossia al misterioso katechon di cui parla Paolo in II Ts. 2,1-17. In Ireneo e
Ippolito persiste una tradizione tendenzialmente negativa nei riguardi
dell’istituzione imperiale, in quanto pagana e persecutrice della vera fede,
che affonda le sue radici nell’Apocalisse di Giovanni e si nutre
dell’interpretazioni di diverse profezie veterotestamentarie, in particolar
modo dal Libro di Daniele:
Ostendimus autem in tertio libro nullum ab apostolis ex sua
persona Deum appellari nisi eum qui uere sit Deus, patrem domini
nostri, cuius iussu hoc quod est in Hierosolymis factum est templum
ob eas causas quae a nobis dictae sunt, in quo aduersarius sedebit,
temptas semetipsum Christum ostendere, sicut et dominus ait: “Cum
autem uideritis abominationem desolationis, quod dictum est per
Danielem prophetam, stantem in loco sancto, qui legit intellegat, tunc
qui in Iudaea sunt fugiant in montes et qui in tecto est non discendat
tollere quicquam de domo. Erit enim tunc pressura magna, qualis non
est facta ab initio saeculi usque nunc, sed neque fiet”. Daniel autem
nouissimi regni finem respiciens, hoc est nouissimos decem reges in
quos diuidintur regnum illorum super quos filius perditionis ueniet,
cornua dicit decem nasci bestiae, et alterum cornu pusillum nasci in
83
Tale imperatore è stato spesso identificato in Nerone, in merito al quale gli autori
cristiani dei primi secoli hanno intessuto la leggenda del cosiddetto “Nerone redivivo”
(cfr. Potestà e Rizzi, ivi, pp. XXII-XXIV). A proposito della figura di Nerone
segnaliamo, a titolo di curiosità: M. Fini, Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano
1997, in cui il noto giornalista si cimenta nel tentativo di ricostituire un’immagine
storicamente più esatta del controverso personaggio, a suo dire offuscata dai secolari
luoghi comuni propagandati dalla storiografia di parte.
47
medio ipsorum, et tria cornua de prioribus eradicari a facie eius. “Et
ecce” inquit “oculi quasi oculi hominis in cornu hoc et os loquens
magna et aspectus eius maior reliquis. Videbam, et cornu illud
faciebat bellum aduersus sanctos et ualebat afuersus eos, quoadusque
uenit uetustus dierum et iudicium dedit sanctis altissimi Dei, et
tempus peruenit et regnum obtinuerunt sancti”. Postea in exsolutione
uisionum dictum est ei: “Bestia quarta regnum quartum erit in terra,
quod eminebit super reliqua regna et manducabit omnem terram et
conculcabit eam et concidet. Et decem cornua eius decem reges
exsurgent, et post eos surget alius qui superabit malis omnes qui ante
eum fuerunt, et reges tres deminorabit et uerba aduersus altissimum
Deum loquetur et sanctos altissimi Dei conteret et cogitabit demutare
tempora et legem: et debitur in manu eius usque ad tempus
temporum et dimidium tempus”, hoc est triennum et sex menses, in
quibus ueniens regnabit super terram. 84
In quest’ottica, l’esistenza e il dominio dell’impero romano diviene una
delle tappe del dominio anticristico che trattiene la seconda venuta di Gesù,
destinato ad essere l’ultima delle espressioni politiche che precederanno
l’effettivo instaurarsi del nemico finale, considerato ora come colui che
sostituirà il governo romano col proprio, ora come l’ultimo degli imperatori
romani. Tertulliano inaugura invece una nuova tradizione esegetica che
sarà ripresa anche da Lattanzio, e che vede nell’impero non già il
manifestarsi dell’azione dell’Anticristo, bensì un argine contro il suo
sorgere, identificando l’impero con colui che trattiene l’avvento del “figlio
della perdizione” di cui parla il già citato II Ts. 2, 1-17:
Et in secunda pleniore sollicitudine ad eosdem, “Obsecro
autem uos, fratres, per aduentum domini nostri Iesu Christie t
congregationem nostram ad illum, ne cito commoueamini animo
neque turbemini neque per spiritum neque per semonem” – scilicet
pseudoprophetarum – “neque per epistolam” scilicet
84
Ireneo, Adversus haereses, V 25, 2-3
48
pseudapostolorum – “acsi per nostram, quasi instat dies domini: ne
quis uos seducat ullo modo: quoniam nisi ueniat abscessio primum”
– huisu utique regni – “et reueletur delinquentiae homo” – id est
Antichristus – “filius perditionis, qui aduersatur et superextollitur in
omne quod dicitur deus uel religio, uti sedeat in templo Dei
adfirmans Deum se. Nonne meninistis quod cum apud uos essem
haec dicebam uobis? Et nunc quid teneat scitis, ad reuelandum eum
in suo tempore. Iam enim arcanum iniquitatis agitatur: tantum qui
nunc tenet teneat, donec de medio fiat” – quis, nisi romanus status,
cuius abscessio in decem reges dispersa Antichristum superducet? –
“Et nunc reuelabitur iniquus, quem dominus Iesus interficiet spiritu
oris sui et euacuabit apparentia aduentus sui: cuius est aduentus
scundum operationem Satanae in omni uirtute et signis atque
portentis mendacii et in omni seductione iniustitiae his qui
pereunt”.85
Pertanto, molto prima del sorgere delle politiche filo-cristiane, il pensiero
ecclesiale conosce già un’attitudine lealista nei riguardi dell’autorità
temporale, la cui funzione stabilizzatrice e ordinatrice viene riconosciuta
come benefica e provvidenziale, venendo contrapposta al caos che invece
dilagherà alla fine dei tempi. Con l’avvento di Costantino e l’affermarsi
della religione cristiana tale attitudine diventerà poi una chiara certezza, ed
è proprio agli esordi di questa nuova epoca che Lattanzio si trova a
scrivere.
85
Tertulliano, De resurrectione mortuorum 24, 12-20.
49
CAPITOLO III
LA FIGURA DELL’ANTICRISTO
NELLE “DIUINAE INSTITUTIONES”.
Come già in Tertulliano, anche in Lattanzio l’impero romano viene
visto come fautore di ordine e stabilità, garante di quel ς che tiene a
freno l’irrompere prorompente delle forze del ς. L’avvento
dell’Anticristo, di cui si parla nei capitoli 16-25 del VII libro delle Diuinae
institutiones, sarà difatti l’immediata conseguenza della caduta dell’impero,
la cui predizione è attinta per la maggior parte da fonti extra-bibliche.
Il capitolo 16 si apre con la descrizione delle guerre civili che
seguiranno al crollo dell’impero, e che farà salire al potere i dieci re di cui
si parla in Dan. 7, 24 e Ap. 17, 12. Successivamente a questi, un potente
nemico proveniente dalle “regioni settentrionali” (dato che si ricollega ad
un tema mitologico diffuso in diverse aree del mondo)86 sconfiggerà i tre re
che si erano spartiti l’Asia, governando poi sui rimanenti sette:
86
Cfr. Evola, Rivolta, pp. 23-236. L’autore definisce il governo di questo misterioso
sovrano nordico come un ristabilimento della “giustizia dopo la caduta di Roma” (p.
236), ma il testo di Lattanzio afferma l’esatto contrario! Vero è che l’azione di questo
sovrano implicherà un temporaneo ripristino dell’ordine imperiale, anche se si tratterà di
un ordine insostenibile e detestabile, i cui segni più tangibili (e altamente simbolici)
saranno lo spostamento della sede dell’impero e il cambio di nome della sua capitale.
50
Tum repente aduersos eos hostis potentissimus ab extremis
finibus plagae septentrionalis orietur, qui tribus ex eo numero deletis
qui tunc asiam obtinebunt, adsumetur in societatem a ceteris ac
princeps omnium constituetur. Hic insustentabili dominatione
uexabit orbem, diuina et humana miscebit, infanda dictu et
exsecrabilia molietur, noua consilia in pectore suo uolutabit, ut
proprium sibi constituat imperium, leges commutet et suas sanciat,
contaminabit diripiet spoliabit occidet: denique, inmutato nomine
atque imperii sede translata, confusio ac perturbatio humani generis
consequetur.87
A seguito della temporanea restaurazione imperiale operata del sovrano del
Nord dilagheranno pestilenze e miseria, le città verranno distrutte e la
natura subirà degli sconvolgimenti tanto gravi da determinare persino
un’alterazione del normale corso degli astri:
Tum uero detestabile atque abominandum tempus existet, quo
nulli hominun sit uita iucunda. Eruentur funditus ciuitates atque
interibunt non modo ferro atque igni, uerum etiam terrae motibus
adsiduis et aluuie aquarum et morbis frequentibus et fame crebra.
Aer enim uitiabitur et corruptus ac pestilens fiet modo inportunis
imbribus modo inutili siccitate, nunc frigoribus nunc aestibus nimiis,
nec terra homini dabit fructum: non seges quicquam, non arbor, non
uitis feret, sed cum in flore spem maximam dederint, in fruge
decipient, fontes quoque cum fluminibus arescent, ut ne potus
quidem suppetat, et aquae in sanguinem aut amaritudinem
mutabuntur. Propter haec deficient et in terra quadrupedes et in aere
uolucres et in mari pisces. Prodigia quoque in caelo mirabilia mentes
hominum maximo terrore confundent, et crines cometarum et solis
tenebrae et color lunae et cadentium siderum lapsus. Nec tamen haec
usitato modo fient, sed existent subito ignota et inuisa oculis astra. 88
In questo clima di enorme desolazione, nel quale la stessa popolazione
umana verrà decimata, sorgerà un profeta che chiamerà gli uomini al culto
87
Diu. Inst. 16.
88
Diu. Inst. 16.
51
del vero Dio, e che assume i tratti dei due testimoni di cui parla Ap. 11.
Nella descrizione di questo profeta (che verosimilmente è Elia redivivo),
Lattanzio rivela punti di contatto con il Carmen di Commodiano, e sempre
con Commodiano condivide la predizione dell’avvento di due persecutori
finali, che mentre in Commodiano sono identificati nella dottrina di un
duplice anticristo,89 in Lattanzio assumono i tratti del sovrano del Nord e
dell’Anticristo vero e proprio.
A proposito di quest’ultimo, esso assume in Lattanzio le fattezze di
un sovrano originario della Siria, che ucciderà il profeta di Dio e compirà
numerosi falsi prodigi per ingannare gli uomini:
Peractisque operibus ipsius, alter rex orietur e Syria malo
spiritu genitus, euersor ac perditor generis umani, qui reliquias illius
prioris mali cum ipso simul deleat. Hic pugnabit aduersus prophetam
Dei et uincet et interficiet eum et insepultum iacere patietur, sed post
diem tertium reuiuiscet, atque inspectantibus et mirantibus cunctis
rapietur in caleum. Rex uero ille teterrimus erit quidam et ipse, sed
mendaciorum propheta, et seipsum constituet ac uocabit deum, se
coli iubebit ut Dei filium. Et dabitur est potestas, ut faciat signa et
prodigia, quibus uisis inretiat homines, ut adorent eum. Iubebit
ignem descendere a caelo et solem a suis cursibus stare et imaginem
loqui, et fient haec sub uerbo eius: quibus miraculis etiam sapientium
plurimi adlicientur ab eo.90
Il potere di seduzione dell’Anticristo non sarà tuttavia completo, ed una
piccola parte di uomini giusti e timorati di Dio troverà rifugio su un monte,
che sarà cinto d’assedio dall’Anticristo. I giusti invocheranno Dio di venire
89
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, p. 394.
90
Diu. Inst. 17.
52
in loro soccorso, e sarà allora che Gesù ritornerà, facendosi preannunziare
dalla miracolosa discesa di una spada dal cielo:91
Cum haec facta erunt, tum iusti et sectatores ueritatis
segregabunt se a malis et fugient in solitudines. Quo audito inpius
inflammatus ira ueniet cum exercitu magno et admotis omnibus
copiis circumdabit montem in quo iusti morabuntur, ut eos
conprehendat. Illi uero, ubi se clausos undique atque obsessos
uiderint, exclamabunt ad Deum uoce magna et auxilium caeleste
inplorabunt, et exaudiet eos Deus et mittet regem magnum de caelo,
qui eos eripiat ac liberet omnesque inpios ferro inique disperdat.92
[…] Oppresso igitur orbe terrae cum ad destruendam inmensarum
uirium tyrannidem humanae opes defecerint, siquidem capto mundo
cum magnis latronum exercitibus incubabit, diuino ausilio tanta illa
calamitas indigebit. Commotus igitur Deus et pericolo ancipiti et
miseranda conploratione iustorum, mittet protinus liberatorem. Tum
aperietur caelum medium intempesta et tenebrosa nocte, ut in orbe
toto lumen descendentis Dei tamquam fulgur appareat.93
Dopo la sua discesa, Cristo distruggerà l’empio dominio dell’Anticristo, e
instaurerà infine il regno dei mille anni:
Hic est enim liberator et iudex et ultor et rex et Deus quem nos
Christum uocamus, qui priusquam descendat hoc signum dabit.
Cadet repente gladius e caelo, ut scianti usti ducem sanctae militiate
descensurum, et descendet comitantibus angelis in medium terrae et
antecedet eum flamma inextinguibilis et uirtus angelorum tradet in
manus iustorum multitudinem illam, quae montem circumsederit et
concidetur ab hora tertia usque in uesperum et fluet sanguis more
torrentis; deletisque omnibus copiis inpius solus effugiet et peribit ab
91
Il tema delle spade celesti associato a condottieri dotati di autorità divina e con
funzioni di ristabilimento dell’ordine cosmico è un ben noto topos mitologico presente
in diverse culture, basti pensare alla Excalibur e alla Durlindana dei cicli arturiano e
carolingio, alla Tsumugari del mitico imperatore giapponese Ninigi, o al Gladius Martis
della leggenda di Attila. Cfr. C. Mutti, Flagellum Dei, servus Dei, in: C. Mutti,
Imperium. Epifanie dell’idea di impero, Genova 2005, e A.K. Coomaraswamy, La
spada di folgore, in: A.K. Coomaraswamy, Il grande brivido, Milano 1987.
92
Diu. Inst. 17.
93
Diu. Inst. 19.
53
eo uirtus sua. Hic est autem qui appellatur Antichristus, sed se ipse
Christum mentietur et contra uerum dimicabit et uictus effugiet et
bellum saepe renouabit et saepe uincetur; donec quarto proelio
confectis omnibus impiis debellatus et captus tandem scelerum
suorum luat poenas. Sed et ceteri principes ac tiranni, qui
contriuerunt orbem, simul cum eo uincti adducentur ad regem, et
increpabit eos et coarguet; et exprobabit iis facinora ipsorum et
damnabit eos ac meritis cruciatibus travet. Sic extincta malitia et
inpietate conpressa requiescet orbis, qui per tot saecula subiectus
errori ac sceleri nefandam pertulit seruitutem. 94
Infine, la descrizione lattanziana degli eventi si conclude con una
riflessione su quando questi si manifesteranno. Dopo aver ricordato che la
durata del mondo è di seimila anni (secondo l’analogia con i sei giorni della
creazione, e nella convinzione – espressa nel capitolo 15 – del fatto che un
giorno divino equivale a mille anni umani),95 il nostro autore conclude che
il ritorno di Gesù sarebbe avvenuto all’incirca dopo duecento anni dalla sua
epoca. Secondo Van Rooijen-Dijkman, Lattanzio ricaverebbe tale ipotesi
da Sesto Giulio Africano, autore di un cronica del 221 d.C. nella quale si
consideravano come già trascorsi cinquemila e cinquecento anni. 96
94
Diu. Inst. 19.
95
Il dibattito relativo all’età della terra è stato una costante del pensiero umano, fino a
quando i progressi nel campo della ricerca scientifica non lo hanno svincolato da una
dimensione fino ad un certo momento eminentemente teologica. In merito alla
questione, cfr. J. Toland, Opere (a cura di C. Giuntini), Torino 2002, pp. 220-248, 377-
410; P. Rossi, Le sterminate antichità e altri studi vichiani, Firenze 1999, pp. 167-226;
L. Mandarino, Le mille favole degli antichi, Firenze 1999, pp. 19-71.
96
Cfr. H.W.A. Van Rooijen-Dijkman, De vita beata. Het zevende boek van de Divinae
institutions van Lactantius. Analyse en bronnenonderzoek, Assen 1967, pp. 142-143.
I calcoli sulla “fine del mondo” sono un’altro argomento costantemente affrontato nella
storia dell’umanità, eminentemente connesso a quello relativo all’età della terra di cui si
è parlato nella nota precedente. È interessante osservare che uno dei più illustri studiosi
che si sono occupati di tale questione fu Isaac Newton, i cui vasti interessi nell’ambito
delle scienze esoteriche sono spesso poco noti, e che ha lasciato diverse opere (edite e
54
Nel complesso, la descrizione degli eventi fatta da Lattanzio denota
diversi punti di contatto con fonti canoniche (specialmente il Libro di
Daniele e l’Apocalisse) ed una aderenza a molti temi che saranno fatti
propri, in seguito, dall’escatologia ortodossa. Ad esempio, i dieci re che si
spartiranno l’impero romano prima della parziale restaurazione del re
dell’estremo nord richiamano Dn. 7, 24 e Ap. 17, 12. L’influsso di
quest’ultimo testo è facilmente rinvenibile anche nella descrizione delle
pestilenze e delle sciagure che seguiranno la salita al trono del re del nord,97
mentre il precipitare delle stelle è un dato presente nel Vangelo secondo
Matteo.98 Ancora, il tema del profeta escatologico che si opporrà al re del
nord e all’Anticristo richiama Ap. 11, 5-12, e lo stesso Anticristo ha precise
connotazioni già presenti tanto in Dn. 11, 36-37 che nel canone
neotestamentario.99 Quanto alla descrizione lattanziana della discesa di
Gesù, essa presenta punti di contatto con il salmo 97, 3, il Libro di Isaia,100
il Vangelo secondo Matteo,101 la Seconda epistola ai tessalonicesi,102 e di
nuovo il libro dell’Apocalisse.103
inedite) in merito ai suoi studi di esegesi biblica e di calcoli escatologici, diversi dei
quali conservati presso la Nation Library of Israel a Gerusalemme. Sull’argomento, cfr.
anche: I. Newton (a cura di M. Mamiani), Trattato sull’Apocalisse, Torino 1994.
97
Cfr. Ap. 6, 8-13; 9, 6.
98
Cfr. Mt. 24, 29.
99
Cfr. Mt. 24, 21; II Ts. 2, 4, 9-12; Ap. 11, 2 e 13, 13-17.
100
Is 66, 15-16.
101
Mt. 16, 27; 24, 27 e 25, 31
102
II Ts. 1, 7.
103
Ap. 19, 14.
55
Per quel che concerne invece il tema del rifugio sulla montagna da
parte dei giusti104 e il conseguente assedio delle armate anticristiche,
possiamo trovare anche qui delle reminescenze bibliche, 105 ma nel
complesso sembra che sia un aspetto non accolto dalla successivamente
affermatasi escatologia ortodossa. È curioso notare che però questo tema
viene ripreso in modo pressoché identico nell’escatologia musulmana, alla
quale è ben noto sia il motivo del rifugio su una montagna di una comunità
residua di credenti isolata nel mare della miscredenza imperante, sia quello
della discesa di Gesù causata da un assedio delle forze del male nel luogo
di riunione di quelle del bene, al quale seguirà la battaglia campale tra
Cristo e Anticristo. 106 Non essendovi (almeno a conoscenza dello scrivente)
alcuna prova di un’esplicita acquisizione dell’opera di Lattanzio nella
formazione del corpus degli ahadith, tale analogia può probabilmente
essere spiegata alla luce del comune retroterra culturale e della vicinanza
geografica degli ambienti di diffusione delle due tradizioni escatologiche,
la qual cosa pone il problema, già accennato in precedenza, dell’origine del
104
Riferimento dal valore altamente simbolico, prima ancora che letterale. Cfr. R.
Guénon, Simboli della scienza sacra, Milano 1997, pp. 189-192. Anche il riferimento
alla “Siria” è passibile di una lettura simbolica; a tal proposito, cfr. ivi, pp. 50-59, 89-94.
105
I Mc. 12, 13-15; Mt. 24, 16, 30; Ebr. 11, 38.
106
Generalmente l’assedio al quale viene sottoposto l’esercito che combatte l’Anticristo
(e durante il quale avverrà la ridiscesa sulla terra di Gesù) viene considerato un episodio
separato da quello del rifugio degli ultimi credenti sul monte, episodio che viene
collegato alla successiva battaglia contro Gog e Magog (Juj wa Majuj). Tuttavia un
hadith riportato da Suyuti precisa che l’assedio relativo al primo episodio si svolgerà in
Siria intorno al monte Ad-Dukhan, la qual cosa presenta un’analogia fortissima con il
racconto di Lattanzio. Cfr. J. Al-Suyuti, Nuzul ‘Isa ibnu Maryam fi akhiri’z-zaman, s.d.
56
concetto dell’Anticristo. E’ già stato osservato107 che alcuni studiosi lo
fanno risalire ad un topos di origine babilonese diffusosi in tutta l’area del
vicino oriente per il tramite di depositi sapienziali tramandati spesso in
segreto, e solo saltuariamente venuti alla luce fino alla definitiva fissazione
dottrinaria operata dal cristianesimo da una parte, e dall’islam dall’altra.
Pertanto si può supporre con ragionevolezza che le analogie tra le dottrine
escatologiche delle tre religioni abramiche (sia per quel che riguarda i dati
accolti dalle rispettive ortodossie, sia per quelli rigettati o semplicemente
obliati) trovino la loro spiegazione nel comune terreno di coltura delle
stesse, e dalle rielaborazioni più o meno autonome di un patrimonio orale
condiviso e non sempre coerente.
Un’altra notevole questione sottolineata dal testo di Lattanzio è data
dalla presenza, assai più preponderante rispetto ai dati canonici, delle fonti
extra-bibliche, che solleva il problema del rapporto tra la rivelazione divina
e le predizioni e gli oracoli dei pagani che, seppur rigettati in linea di
principio, assumono qui i connotati di un riferimento probante, e sono
quindi considerati autorevoli e veritieri quanto i riferimenti biblici. La
presenza delle fonti extra-bibliche si innesta nel filone dottrinale attinente
alla questione dei cosiddetti semina verba, ossia delle testimonianze della
verità cristiana provenienti dal mondo pagano e che sono state riconosciute
come tali da padri della chiesa come Giustino, Origene, Clemente, e
107
Cfr. supra, p. 39
57
Agostino,108 perpetuandosi nei secoli e riemergendo nelle riflessioni
rinascimentali di Steuco,109 Cusano,110 e della “Cabbala cristiana”,111 fino
alle recenti aperture verso i non-cristiani contenute nel documento
conciliare Nostra Aetate112 o in altre posizioni dottrinali non sempre accolte
108
Cfr. M. Polia, Propaideia Christou. Il Cristo e le religioni, in: “Quaderni di Avallon”
n. 4, Rimini 1983-1984.
109
Agostino Steuco (Gubbio 1497 – Venezia 1548) fu un monaco agostiniano
(nominato poi vescovo, con la qual funzione ebbe un ruolo importante all’interno del
concilio di Trento), bibliotecario del monastero di Sant’Antonio di Castello a Venezia
(che ospitava il patrimonio librario già appartenuto a Pico della Mirandola) e,
successivamente, del Vaticano. Filologo raffinato e ardente polemista anti-luterano, egli
è noto soprattutto per la sua opera “De perenni philosophia”, il cui scopo è quello di
dimostrare (anche in polemica con le critiche dei riformati) il perfetto accordo della
sapienza antica con la dottrina cristiana.
110
Nikolaus Krebs von Kues, italianizzato in Niccolò Cusano (Kues 1401 – Todi 1464),
fu un cardinale tedesco autore di importanti opere matematiche, teologiche e filosofiche,
tra cui va segnalato in questa sede il “De Pace fidei”, un tentativo di conciliazione
dottrinale tra le diverse fedi religiose scritto negli anni turbolenti dello scisma
protestante e della minaccia turca all’Europa. A proposito dell’opera di Cusano, cfr.
Cusano, Opere religiose, Torino 1971, e Cusano, Opere filosofiche, Torino 1972.
111
Cfr. F. Secret, I cabalisti cristiani del Rinascimento, Roma 2001.
112
Il documento Nostra Aetate (come altri documenti del Concilio Vaticano II) ha
generato diverse controversie in merito alla sua coerenza con la tradizione cattolica
precedente, e relativi dibattiti tra chi sostiene l’esistenza di tale continuità e chi –
considerando ciò un elemento ora positivo ora negativo – sostiene che essa sia venuta a
mancare. L’aderenza della chiesa cattolica post-conciliare al magistero precedente
sembrerebbe comunque ribadita dall’enciclica Redemptoris missio (1990) e dalla
dichiarazione della congregazione per la dottrina della fede Dominus Jesus (2000).
Il dibattito sul Concilio Vaticano II è estremamente interessante, ma tocca un ambito
puramente teologico che non rientra nello scopo del presente studio. Ci limitiamo qui a
ricordare che la dottrina cattolica in merito alla rivelazione divina antecedente
all’avvento di Gesù riconosce quest’ultima come depositata presso il popolo ebraico
(visto come latore di una “fede proto-cristiana veterotestamentaria” che non deve essere
identificata in toto con la “religione ebraica” post-gesuana, e considerata come una
parziale alterazione dell’ortodossia e dell’ortoprassi dei patriarchi e dei profeti iniziata
già in epoca pre-gesuana, e portata a compimento a seguito del disconoscimento di Gesù
come messia), e presente tra i gentili sotto forma di semina verba da un lato, e di una
più estesa legge naturale dall’altro. Quest’ultimo è un concetto di derivazione romana
indicante quei precetti etici che sono considerati come naturalmente insiti nell’animo di
ogni essere umano (e che quindi non abbisognano di una rivelazione ma sono esperibili
in via del tutto razionale) la cui osservanza, insieme all’ignoranza della “vera fede”,
diventa la conditio sine qua non della possibilità della salvezza degli acattolici. Posta in
altri termini, la questione della legge naturale non è sconosciuta nemmeno alla
tradizione ebraica, che considera l’umanità come un’assemblea composta da un popolo
avente la funzione di “sacerdote” (il popolo ebraico, al quale pertanto è stata consegnata
58
all’interno dell’ortodossia.113 L’idea di fondo della dottrina dei semina
verba è che la rivelazione divina, coincidente con la verità cristiana, non è
stata destinata esclusivamente agli ebrei, i quali l’hanno tramandata più o
meno fedelmente fino a Gesù attraverso il doppio canale della legge
esteriore (a sua volta suddivisa in scritta – la Torah – e orale – Il Talmud) e
della verità esoterica (la Qabbalah), ma anche in un certo qual modo a quei
popoli pagani che sarebbero successivamente stati destinati a sostituirsi a
Israele quando quest’ultimo avrebbe rinnegato il suo Messia, e che
sarebbero così stati preparati all’annuncio del Vangelo. La verità depositata
presso i popoli pagani sarebbe tuttavia una verità esistente ad uno stadio
eminentemente seminale, mescolata a quelle che sono considerate le
superstizioni delle false religioni, ed emergente soprattutto in alcune figure
particolarmente illuminate come grandi filosofi e letterati (Pitagora,
Platone, Virgilio), eroi mitologici considerati apportatori di sapienza
iniziatica (Orfeo, Ermete Trismegisto), e in oracoli come le sibille. 114
la Torah e le 613 mitzvot), e dall’insieme degli altri popoli (goym) visti come “laici”, e
sottoposti unicamente ai sette precetti che Dio ha rivelato dopo il diluvio a Noè per
l’insieme dell’umanità, riconosciuti come presenti in modo eminente soprattutto
nell’islam. In merito alla questione del “noachismo”, cfr. E. Benamozegh, Il
Noachismo, Genova 2006, e D. Bianchi, L’origine del cristianesimo nel pensiero di Elia
Benamozegh, Udine, tesi di laurea a.a. 2008-2009.
113
Sono da segnalare, a tal proposito, figure di pensatori cattolici del calibro di Raimon
Panikkar, Thomas Merton e Henri Le Saux (Swami Abhishiktananda), oppure gli
indirizzi di studio che si richiamano direttamente o indirettamente alla cosiddetta
corrente “tradizionalista” ( o “perennialista”), e che contano tra i loro esponenti anche
studiosi di fede cristiana, il più noto dei quali è Louis Charbonneau-Lassay (1871-
1946).
114
Con l'appellativo di "sibilla" si è soliti indicare una figura femminile tipica delle
religioni greca e romana, dotata di virtù profetiche ispirate da una divinità (solitamente
59
Sebbene il giudizio di Lattanzio nei riguardi dell’intellettualità
pagana (e specialmente della filosofia) sia particolarmente netto e duro, e
lo sia molto più di altri padri, egli tuttavia dimostra di accogliere
pienamente la possibilità che anche presso i pagani vi siano state delle
parziali rivelazioni della verità cristiana, facendone spesso una citazione
assai più abbondante di quella tratta dalla Bibbia. Come già si è detto in
precedenza, il motivo di quest’ultimo punto si spiega facilmente con la
scarsa conoscenza delle sacre scritture propria di quel periodo, da cui ne
consegue la fondamentale ignoranza di Lattanzio circa diversi punti
importanti della fede cristiana, e il suo dover necessariamente ricorrere a
colmare tali lacune con le conoscenze della sua – pur tanto disprezzata
sotto molti punti di vista – precedente formazione pagana.
Le principali fonti extra-bibliche citate da Lattanzio sono:
1. Gli Oracula Sibyllina
Apollo o Ecate) e solita esprimersi con un linguaggio oscuro ed ambivalente. Le sibille
più note sono probabilmente la Sibilla di Delfi (detta anche Pizia o Pitonessa, la cui
funzione venne esercitata ininterrottamente per circa 2000 anni, fino alla soppressione
del santuario delfico ordinata dall'imperatore Teodosio nel 392 d.C.) e la Sibilla
Cumana di cui parla anche l'Eneide. Oltre alle due su citate, Varrone parla anche di altre
sibille (persica, libica, cimmeria, eritrea, samia, ellespontica, frigia, e tiburtina), e
Lattanzio riferisce in Diu. Inst. I 6, 7 che, secondo l'illustre autore latino, il nome
"sibylla" deriverebbe dalla pronuncia latinizzata ("siou-boullan") del termine greco
"" (ossia: "volere della divinità"). Le fonti classiche arrivano ed
enumerare circa trenta sibille (oltre a quelle già citate: babilonese, caldea, ebraica,
egizia, claria, colofonia, cumea, efesia, euboica, gergitica, macedone, marpessia,
sardica, tesprozia, tessalica, troiana, italica, lilibetana e sicula), mentre appartengono
alla tradizione medioevale la sibille agrippina, chimica, europea, lucana, rodia,
apenninica (detta anche "oracolo di Norcia") e – nuovamente – tiburtina. Anche la
tradizione nordica ha conosciuto, nella figura della "Volva" (dal termine "vole", che
indica le bacchette delle maghe), un omologo delle sibille del mondo greco romano.
60
2. L’Apocalisse di Istaspe.
3. L’Asclepius.
A proposito degli Oracula Sibyllina, G.L. Potestà e M. Rizzi115 ci
informano che trattasi di una raccolta di oracoli in lingua greca in esametri,
le cui parti più antiche furono composte dopo la seconda metà del I secolo
d.C. in ambienti giudaici, successivamente rielaborati da ambienti cristiani
intorno alla metà del II secolo. L’Apocalisse di Istaspe, attribuita
all’omonimo re persiano, è invece con tutta probabilità una raccolta di
oracoli greci del I secolo a.C. o d.C. segnata da una forte influenza iranica,
in cui convergono elementi zoroastriani, sibillini e giudaici. 116 Giustino
(Apol. I 20,1; 44,12) afferma che le autorità romane punivano addirittura
con la morte coloro che leggessero quest’opera il cui contenuto, oramai
perduto, è oggi noto (oltre che per la testimonianza di Lattanzio) grazie a
due testi ad essa strettamente correlati, il Bahman-Yasht e il Zamasp-
Namak.117 Infine, l’Asclepius è un testo considerato tra i più ricchi trattati
ermetici da noi conosciuti, ed è la versione latina del dialogo greco che
Lattanzio cita nel capitolo 18, redatto probabilmente intorno al III secolo
d.C.. La versione latina (insieme ad una parziale traduzione copta,
appartenente al corpus dei manoscritti di Nag Hammadi) è l’unica
115
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. 566.
116
Cfr. Potestà e Rizzi, ivi, p. 567, e H. Windish, Die orakel des Hystaspes
(Verhandelingen der kon. Akad. te Amsterdam. N.s. XXVIII 3), Amsterdam 1929.
117
Cfr. E. Benveniste, Une apocalypse pehlevie: Le Zamasp-Namak, in “Revue de
l’histoire des religions” fasc. 106, 1932, pp. 337-380.
61
testimonianza che abbiamo dell’originale greco perduto, ma il fatto che
Lattanzio citi quest’ultimo e non la prima, induce a riflettere che essa sia
anteriore alle Diuinae institutiones.118
118
Cfr. Potestà e Rizzi, L’Anticristo, p. 569.
62
CONCLUSIONE
Concludendo, risulta chiaro come la figura dell’Anticristo descritta
da Lattanzio sia il risultato dell’evoluzione di un personaggio escatologico
nato relativamente tardi, soprattutto attraverso la polemica anti-giudaica e
anti-gnostica, ma che affonda le sue radici in un tema mitologico ben più
antico e non limitato alla sola tradizione giudaica, recuperato dalla
tradizione cristiana attraverso l’identificazione con una realtà scritturale di
natura originariamente solo eresiologica.
L’Anticristo di Lattanzio è inoltre frutto della cultura cristiana latina
del IV secolo, fortemente polemica nei confronti dell’intellettualità pagana
ma allo stesso tempo dipendente da essa, cui volentieri vi si attinge per
colmare le lacune scritturali e teologiche alle quali in quel periodo non
erano affatto immuni nemmeno gli intellettuali cristiani di alto rango. Allo
stesso tempo, essa si caratterizza per una riflessione degli eventi storici
passati e futuri incentrati sul concetto di provvidenza divina, che ha origine
dalle forti ripercussioni ideologiche suscitate dalla politica filo-cristiana di
Costantino seguita alla ancora recentissima memoria delle persecuzioni, e
che ha segnato la data di nascita della storiografia cristiana.
Infine, l’Anticristo di Lattanzio si pone nel solco di una visione
degenerativa della storia, nella quale l’età dell’oro è una realtà dalla quale
63
ci si allontana progressivamente, avendo davanti a noi non una speranza di
miglioramento ma un vaticinio di sventura. È tuttavia anche una visione
ciclica (benché di una ciclicità apparentemente non destinata ad essere
perpetua, visto che non si fa alcuna esplicita menzione di un nuovo inizio
del movimento della Storia), in quanto la chiusura del cerchio porterà al
ripristino della giustizia primordiale – considerata, nella particolare
prospettiva accolta da Lattanzio, secondo l’opinione teologica millenarista,
rigettata da quella che successivamente si sarebbe imposta come
l’ortodossia della grande chiesa. Da questo punto di vista, lo studio
dell’opera di Lattanzio è pienamente inserito nel panorama di una visione
premoderna della Storia, che avrà una sola nomala eccezione nella
concezione progressiva propria alla civiltà occidentale moderna.
64
CECILIO FIRMIANO LATTANZIO
LE DIVINE ISTITUZIONI
LIBRO VII: DELLA VITA BEATA.
Traduzione dei capitoli 14 – 26
65
Capitolo 14: Del principio e della fine del mondo.
Nel nostro insegnamento sull’immortalità dell’anima è possibile
vedere l’errore e la perversione della follia di coloro che immaginano che
alcuni mortali siano potuti diventare divinità per i decreti e i dogmi di altri
mortali, o perché furono inventori di nuove arti, o perché insegnarono l’uso
di determinati prodotti della terra, o ancora perché fecero scoperte utili per
la vita degli uomini o perché uccisero delle bestie selvagge. Nei libri
precedenti abbiamo dimostrato quanto tali cose siano lontane dal far
meritare l’immortalità, ed ora dimostreremo che solo la rettitudine può
procurare all’uomo la vita eterna, e che Dio solo è Colui che può donarla
come ricompensa. Perché coloro di cui si dice abbiano conseguito
l’immortalità grazie ai loro meriti senza possedere né la rettitudine né
l’autentica virtù, non hanno ottenuto l’immortalità, bensì la morte a cagione
dei peccati e dei vizi loro; essi non sono degni della ricompensa celeste,
bensì della punizione infernale, che incombe su di essi e su tutti i loro
seguaci. Dimostrerò che il tempo di questo giudizio è vicino, e che la
ricompensa verrà data ai giusti, mentre i malvagi otterranno la punizione
che meritano.
Platone e molti altri filosofi, che erano ignari dell’origine di tutte le
cose e del periodo principiale nel quale il mondo fu creato, dissero che
dall’eccellente creazione del mondo ad oggi sono passati migliaia di ere,
seguendo con ciò l’opinione dei caldei i quali, come affermato da Cicerone
66
nel suo primo libro sulla divinazione, affermarono stoltamente di possedere
le cronache di quattrocentosettantamila anni passati; credendo di non poter
essere smentiti, essi si presero la libertà di dire falsità, ma noi, che siamo
istruiti dalle Sacre Scritture nella conoscenza della verità, conosciamo bene
tanto il principio quanto la fine del mondo, della quale parleremo in questa
parte finale dell’opera nostra, avendo trattato il principio del mondo nel
libro secondo della stessa. Lasciate pertanto che i filosofi che parlano di
innumerevoli migliaia di anni sappiano che la consunzione finale avverrà al
termine di questo sesto millennio non ancora concluso, e che essa porterà
ad un miglioramento degli affari dell’uomo, come innanzitutto
spiegheremo in modo che la questione sia chiara. Dio ha completato il
mondo e l’opera mirabile della natura nell’arco di sei giorni, come
affermato nei misteri delle sacre scritture, e santificò il settimo giorno, che
dedicò al suo riposo. Questo giorno è il sabato, chiamato così nella lingua
degli ebrei dal numero sette, che è quindi legittimato ad essere il numero
del completamento. Infatti vi sono sette giorni il cui susseguirsi regola il
ciclo dell’anno, e sette sono le stelle immobili e i luminari chiamati pianeti,
i cui diversi movimenti sono creduti determinare la varietà degli
accadimenti.
Di conseguenza, poiché tutte le opere di Dio sono state completate in
sei giorni, il mondo deve avere una durata di sei ere ossia seimila anni,
67
poiché uno dei grandi giorni di Dio corrisponde a mille anni umani, come
spiegato dal profeta che disse:
“Ai tuoi occhi, oh Signore, mille anni sono come un giorno”.
E come Dio ha adempiuto la sua grande opera nei sei giorni della
creazione, così la sua religione e la verità devono operare durante questi
seimila anni, durante i quali prevale la malvagità e il governo è affidato a
uomini che sono come orsi feroci. E ancora, dal momento che Dio si è
riposato il settimo giorno e lo ha benedetto, alla fine di questi seimila anni
tutta la malvagità deve essere abolita dalla terra, e la rettitudine governare
per mille anni, imperando la tranquillità e il riposo dagli affanni che stiamo
ora vivendo. Spiegherò con ordine come tutto ciò avverrà. Abbiamo detto
spesse volte che gli eventi minori e di scarsa importanza prefigurano
l’avvento di cose più grandi, e così l’oggigiorno, segnato dall’alba e dal
tramonto, è una rappresentazione del grande giorno in cui il cerchio dei
mille anni raggiungerà il suoi limite.
Allo stesso modo, gli uomini di questa terra preludono alla
formazione dell’umanità celeste. Come tutte le cose necessarie all’uso
dell’uomo furono fatte prima di creare quest’ultimo nel sesto giorno e
introdurlo nel mondo come in una casa ben arredata, così nel sesto grande
giorno il vero uomo viene formato dalla parola di Dio, nel senso che gli
uomini santi vengono attratti alla rettitudine dalla dottrina e dai precetti
68
divini, così che divengano uomini perfetti che possano governare il mondo
per mille anni. Ma in quale maniera la fine avrà poi luogo, e quale esito
attende le umane vicende, è cosa che accerteremo per il tramite delle sacre
scritture. Anche i profeti del mondo, in accordo con le verità celesti,
annunciano la fine di tutte le cose dopo un breve periodo, descrivendola
come se fosse l’ultima età di un mondo stanco e oramai sprecato.
Sottoporrò al giudizio del lettore queste verità, che ho raccolto da ogni
dove.
Capitolo 15: Della devastazione del mondo e dell’alternarsi degli
imperi.
Si narra, nei misteri delle sacre scritture, che un tempo un principe
dei giudei emigrò in Egitto con tutta la sua famiglia, spinto dalla mancanza
di grano nella sua terra. E quando la sua discendenza, che era rimasta in
Egitto, crebbe fino a diventare una grande nazione e fu oppressa dal giogo
duro e intollerabile della schiavitù, Dio punì l’Egitto con un male
incurabile e liberò il suo popolo conducendolo attraverso il mare, le cui
onde vennero tagliate a metà e divise in due segmenti, che permisero al
popolo di camminare sull’asciutto. Il re degli egiziani volle inseguirli, ma
proprio allora il mare ritornò nella sua normale posizione, e sterminò lui e
tutta la sua armata. Questo miracolo tanto illustre e meraviglioso,
nonostante sia ancora oggi una prova della potenza di Dio, fu anche
69
l’anticipazione e il simbolo di un avvenimento ancor più grande che questo
stesso Dio compirà alla fine dei tempi, in quanto libererà il suo popolo
dall’oppressione del mondo. Tuttavia, dal momento che all’epoca della
divisione del mare il popolo di Dio era composto da una sola nazione, in
quell’occasione venne punito solo l’Egitto. Ora che il popolo di Dio
abbraccia nazioni che parlano ogni linguaggio e sono diffuse su tutta la
terra, ne consegue che tutto il mondo verrà punito, in modo che i credenti
vengano resi liberi. E così come i segni del loro imminente castigo furono
rivelati agli egiziani in passato, così alla fine dei tempi vi saranno dei
prodigi che riguarderanno tutti gli elementi del mondo, e che saranno per le
nazioni un segnale della loro imminente rovina.
Pertanto, mentre si avvicina la fine di tutte le cose, gli affari
dell’uomo dovranno subire un enorme cambiamento, attraverso il quale la
preminenza della malvagità aumenterà talmente tanto che gli attuali tempi
di iniquità ed empietà sembreranno felici e quasi aurei in confronto con
questo incurabile male venturo. La rettitudine diminuirà, e l’empietà,
l’avarizia, il desiderio e la lussuria cresceranno così grandemente che ogni
uomo buono sarà una preda dei malvagi, e sarà molestato da ogni parte
dagli ingiusti; mentre i malvagi vivranno nell’opulenza, i giusti saranno
calunniati e vivranno negli stenti. La giustizia verrà confusa, e le leggi
distrutte. Nessuno riceverà nulla, se non ciò che avrà conquistato e difeso
con la forza delle sue braccia, e la violenza si impossesserà di ogni aspetto
70
dell’esistenza. Gli uomini saranno privi di fede e di pace, e non ci sarà più
dolcezza, pudicizia o verità. Non ci sarà più nemmeno la sicurezza e il
governo, e nessuna tregua dal male. A causa di ciò tutta la terra sarà in
tumulto: le guerre si scateneranno rabbiose ovunque, e tutte le nazioni si
leveranno in armi l’una contro l’altra. Gli stati vicini si faranno guerra a
vicenda, e innanzitutto l’Egitto sconterà la follia delle proprie superstizioni,
venendo coperto da fiumi di sangue. Il mondo sarà attraversato dalla forza
della spada, che calerà ovunque falciando come grano tutto ciò che
incontrerà. La mia mente si riempie di terrore al solo pensarci, ma siccome
è ciò che avverrà, dirò quale sarà la causa di tutto ciò: essa sarà la caduta
del dominio di Roma e il ritorno dell’imperio nelle terre dell’Asia.
L’oriente tornerà a dominare e renderà schiavo l’occidente. Le cose
andranno proprio così, per quanto possa apparire inverosimile che un reame
fondato su tanta estensione, accresciuto dall’opera di così tanti uomini, e
rafforzato da una grande massa di risorse possa mai crollare. Ma nulla di
ciò che è stato costruito dall’opera dell’uomo è immune dalla possibilità di
essere distrutto da questa stessa opera, perché tutto ciò che è opera di mano
mortale è esso stesso mortale. Anche gli imperi passati, benché fiorenti,
sono stati distrutti nonostante il loro potere, e ciò è vero per gli egiziani, i
persiani, i greci e gli assiri. Dopo la loro caduta sorsero i figli di Roma, e
così come questi superarono tutti i loro predecessori in magnificenza, così
71
li supereranno nella caduta, esattamente come gli edifici più elevati fanno
più rumore quando crollano.
Seneca suddivise appropriatamente le fasi dell’esistenza di Roma,
dicendo che visse la sua infanzia sotto il re Romolo, che la fece nascere e
l’educò; quindi fu giovinetta sotto gli altri re, sviluppandosi con numerosi
sistemi di istruzione e istituzioni. Ma in seguito, sotto il regno di Tarquinio,
nel momento in cui cominciava a crescere, non sopportò di essere serva e
buttò giù il giogo della tirannia, preferendo obbedire alle leggi piuttosto che
ai sovrani, e concludendo la sua giovinezza con le guerre puniche, che
sancirono il suo passaggio all’età adulta. Quando Cartagine, la sua secolare
rivale nella conquista del potere, venne distrutta, Roma estese il suo
dominio sulle terre e sui mari di tutto il mondo, sottomettendo tutti i re e
tutte le nazioni fino a quando l’abuso del suo potere non portò alla sua
stessa distruzione. Quest’epoca fu quella della sua prima vecchiaia, nella
quale Roma fu lacerata dalle guerre civili ed oppressa dal male che ebbe
origine in sé stessa, cadendo nuovamente sotto l’egida del governo di un
suolo uomo, come se stesse ritornando a vivere una seconda infanzia.
Avendo perduto la libertà che aveva difeso sotto la guida e l’autorità di
Bruto, Roma si incanutì e non ebbe più la forza di stare in piedi senza
l’ausilio dei governanti. Ma quando le cose stanno così, cosa può seguire
alla vecchiaia se non la morte? Tutto è destinato a perire, e le predizioni dei
profeti annunciano in modo succinto le cose che dovranno accadere,
72
nascondendole dietro il velame di nomi diversi in modo che non siano
facilmente comprese dagli uomini. Eppure le sibille affermarono
chiaramente che Roma sarebbe caduta, e che questo sarebbe stato il
giudizio di Dio per l’odio che essa avrebbe manifestato verso il suo nome.
E colui che è nemico della verità opprime coloro che della verità sono gli
alfieri.
Anche Istaspe, l’antico sovrano del popolo dei medi dal cui nome
deriva quello dell’attuale fiume Hidaspe, redasse per le generazioni future
una cronaca basata sull’interpretazione di un sogno che annunciava, molto
prima della fondazione stessa di Troia, che l’impero romano sarebbe un
giorno caduto.
Capitolo 16: Della devastazione del mondo, e dei prodigi che la
riguardano.
Affinché non possa sembrare inverosimile, spiegherò come ciò
avverrà. Prima di tutto l’impero verrà suddiviso e l’universalità del potere
temporale cesserà di esistere, disperso e frantumato tra molti. Vi saranno
guerre civili ininterrotte e conflitti sanguinosi a non finire, fino a quando
non saliranno al trono dieci diversi sovrani, la cui azione condurrà alla
distruzione del mondo piuttosto che al suo governo. Gli eserciti
cresceranno a dismisura e le terre non verranno più coltivate, e ciò sarà
l’inizio della distruzione e della sventura operata da questi re, che
73
divoreranno e distruggeranno ogni cosa. Improvvisamente si leverà contro
di loro un nemico potentissimo dalle remote regioni settentrionali, il quale
sconfiggerà i tre re che reggono l’Asia e diventerà alleato dei sette re
rimanenti, che lo eleggeranno loro capo. Il re del nord tormenterà il mondo
con insostenibile dominio, mescolerà gli affari divini con gli affari umani, e
sarà uno stratega iniquo, tessendo nel suo animo intrighi per innalzare un
proprio impero. Modificherà la legge imponendone una da lui inventata,
profanerà, saccheggerà, deprederà e porterà ovunque la morte. Poi
modificherà la sede dell’impero e il nome della sua capitale, seminando
confusione e turbamento presso gli uomini. Il suo regno sarà detestato e
abominevole, e nessun essere umano sarà felice. Le città saranno in rovina
e verranno distrutte non solamente dalla spada e dal fuoco, ma anche dai
molti terremoti, dalle alluvioni, e da pestilenze e carestie. L’atmosfera sarà
inquinata e malata per via delle piogge eccessive che si alterneranno alla
siccità, i grandi freddi e i calori altrettanto esagerati. La terra sarà sterile e i
campi, gli alberi e i filari di viti non fruttificheranno, benché ingannino gli
uomini con false speranze date da un’abbondante fioritura. Le fonti e i
fiumi si seccheranno e l’acqua scarseggerà, rendendo le sorgenti
insanguinate e amare. Gli animali terrestri moriranno per la siccità, e così
pure gli uccelli nel cielo e i pesci nel mare. Oltre a ciò, molti prodigi celesti
terrorizzeranno gli uomini, che vedranno sopra di loro comete, eclissi
solari, stelle cadenti, e la luna mutare di colore. Lo stupore sarà dovuto al
74
fatto che questi avvenimenti non accadranno nel modo usuale, ma faranno
la loro improvvisa apparizione corpi celesti prima di allora sconosciuti e
mai veduti dall’occhio dell’uomo. Il sole sarà offuscato ininterrottamente,
al punto tale che il giorno e la notte si confonderanno e la luna, offesa dal
continuo versamento di sangue, non calerà per tre ore e compirà dei
movimenti anomali, che confonderanno l’uomo circa il percorso delle stelle
e l’alternarsi delle stagioni; si vedrà l’estate quando avrebbe dovuto vedersi
l’inverno, e viceversa. Il ciclo annuale sarà di durata più breve, e così pure i
mesi e i giorni, e le stelle cadenti saranno assai frequenti, rendendo il cielo
senza luci e come cieco. Anche le alte montagne crolleranno e verranno
rese come pianure, e il mare non potrà più essere navigato. E per non far
mancare proprio nulla alle sventure degli uomini e della terra, si sentirà dal
cielo come il rumore di una tromba, che è stato predetto dalla Sibilla in
questi termini:
“Un lugubre suono verrà dalla tromba celeste”
A quel suono mortale tutti gli uomini saranno colmi di terrore, e l’ira di Dio
contro l’ingiustizia degli uomini renderà ancora più aspri il ferro, il fuoco,
la fame, le malattie e l’incombere della paura. Le preghiere degli uomini
saranno ormai vane, e la morte pur desiderata non giungerà a porre fine alle
sofferenze. Il timore non avrà tregua nemmeno col sonno notturno, perché
la preoccupazione e l’insonnia affliggeranno l’animo umano, e gli uomini
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piangeranno, gemeranno e avranno stridore di denti, rallegrandosi per i
morti e compatendo coloro che saranno ancora in vita.
La terra sarà riempita di solitudine a motivo di tutti questi e molti
altri dolori, e il mondo sarà irriconoscibile e disabitato. I versi della Sibilla
predicono ciò dicendo:
“Il mondo sarà privato della sua bellezza, quando gli uomini
saranno distrutti”.
Solo una decima parte del genere umano sopravvivrà, e di mille uomini ne
rimarranno solo cento. Tra i credenti, due terzi moriranno ed il rimanente
terzo sarà messo a dura prova.
Capitolo 17: Del falso profeta, delle avversità che infliggerà ai credenti,
e della sua distruzione.
Enuncerò ora con più chiarezza come si svolgeranno gli eventi. Con
la fine dei tempi ormai prossima, Dio manderà un grande profeta che
chiamerà gli uomini alla conversione e alla conoscenza di Dio, ricevendo
anche il potere di compiere grandi miracoli. Dove la sua predicazione
rimarrà inascoltata non vi saranno più piogge, l’acqua si tramuterà in
sangue, e la fame e la sete tormenteranno gli abitanti di quelle terre. Dalla
bocca di questo profeta uscirà un fuoco che sterminerà chiunque oserà
76
cercare di nuocergli. Tali prodigi e poteri convertiranno molte persone al
culto del vero Dio.
Dopo che tutte queste cose saranno avvenute, sorgerà un altro re
dalla Siria, figlio di uno spirito maligno, sterminatore e flagello del genere
umano, che distruggerà ciò che sarà rimasto del malvagio re del nord, oltre
che lui stesso. Poi si volgerà contro il profeta di Dio e lo sconfiggerà,
uccidendolo e privandolo di degna sepoltura. Il terzo giorno, il profeta di
Dio risorgerà e ascenderà al cielo sotto lo sguardo stupito di tutti.
Non c’è dubbio che anche questo re siriano sarà un sovrano terribile
e un profeta menzognero, che si crederà un dio e pretenderà che tutti lo
considerino tale, ordinando che gli venga tributato il culto dovuto ad un
figlio di Dio. Gli sarà dato il potere di compiere falsi miracoli che
sedurranno gli uomini e li convincerà ad adorarlo; ad un suo cenno il fuoco
scenderà dal cielo, il sole interromperà il suo tragitto, ed una statua
comincerà a parlare. Persino moltissimi uomini saggi saranno ingannati dal
suo potere, ed egli cercherà di distruggere il tempio di Dio,perseguitando i
giusti e portando tribolazioni e rovina quali non ve ne furono mai dalla
creazione del mondo. Tutti coloro che gli crederanno e si avvicineranno a
lui avranno un marchio simile a quello che viene impresso sugli armenti, e
coloro che invece rifiuteranno il marchio fuggiranno sulle montagne o, se
verranno catturati, saranno uccisi con elaborate torture. I giusti saranno arsi
vivi con i libri dei profeti legati intorno ai loro corpi, e gli sarà concesso di
77
portare in questo modo la desolazione sulla terra per quarantadue mesi. In
quel tempo la giustizia sarà accantonata e vi sarà odio per l’innocenza, e i
malvagi prevaricheranno con ostilità sugli uomini buoni. Legge, ordine, e
disciplina militare saranno calpestati, e non vi saranno più né il rispetto per
i vecchi, né il dovere della pietà, né la misericordia verso le donne e i
bambini. Tutto sarà confuso e mescolato contro la giustizia e contro le leggi
di natura. La terra intera sarà funestata da un’unica violenza condivisa.
Quando tutto ciò avverrà, i giusti e i veridici si separeranno dai
malvagi e si rifugeranno in luoghi solitari. Quell’empio, dopo essere venuto
a conoscenza di ciò, accecato dall’ira, radunerà un grande esercito a farà
cingere d’assedio dalle sua truppe il monte in cui i giusti avranno preso
dimora, per espugnarlo. Vedutisi assediati da ogni lato, i credenti
eleveranno suppliche accorate a Dio e imploreranno l’aiuto celeste, e Dio
ascolterà la loro preghiera e invierà loro il grande re del cielo affinché li
salvi e li liberi, disperdendo gli empi con la forza della spada e della
fiamma.
Capitolo 18: Gli eventi della fine del mondo, e le predizioni degli
indovini che la riguardano.
Tutti i profeti ricolmi dello spirito divino, e così anche tutti gli
indovini ispirati dai demoni, hanno profetato questi eventi futuri. Infatti il
già nominato Istaspe, dopo aver descritto la malvagità dei tempi ultimi,
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disse che gli uomini religiosi e devoti, distaccatisi dai malvagi, avrebbero
teso le mani e invocato l’ausilio di Giove il quale, indirizzato il suo sguardo
verso la terra, avrebbe ascoltato le voci dei giusti e annientato gli empi.
Tutto ciò è veridico al di fuori dell’attribuzione a Giove dell’opera che sarà
di Dio. L’inganno diabolico ha fatto si che venisse però omesso anche un
altro dettaglio, ossia quello relativo alla discesa del Figlio di Dio, per
distruggere tutti i malvagi e liberare i credenti. Ermete Trismegisto non lo
ha invece nascosto, e nel suo libro intitolato “Il perfetto discorso” scrive,
dopo aver enumerato i mali di cui già ci siamo dilungati:
“Oh Asclepio, dopo che saranno avvenute queste cose, colui che è
Signore e Padre e Dio e Demiurgo del primo e unico Dio, volgerà il
suo sguardo agli avvenimenti terrestri e opporrà la propria volontà
– che è il Bene – al disordine, sopprimendo l’errore, estirpando il
male – ora dissolvendolo con molta acqua, ora bruciandolo con
fuoco rovente, ora sgominandolo con guerre e pestilenze – e
riconducendo tutto al principio, restituendo il proprio cosmo al suo
inizio”.
Anche le sibille preannunziano la stessa identica cosa, in quanto affermano
che il Sommo Padre manderà il Figlio per liberare i giusti dal potere degli
empi, e distruggere gli ingiusti e i tiranni. Così vaticina una sibilla:
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“Verrà e vorrà distruggere la città dell’uomo beato,
ma un divino sovrano contro costui sarà inviato.
Tutti distruggerà, grandi re e uomini nobili,
finché non giunga dell’Immortale il giudizio sugli uomini”.
Un’altra sibilla dice ancora:
“Un re solare da Dio sarà inviato,
e il mondo intero dal male sarà risollevato”.
Ed una terza poi profetizza:
“Il giogo verrà tolto da un mite che sta per arrivare
sui colli più non peserà la schiavitù che non si può sopportare.
I lacci dell’oppressione e le leggi degli empi egli verrà a spezzare”.
Capitolo 19: Dell’avvento del Cristo giudicante, e della distruzione del
falso profeta.
Mentre la mancanza delle forze umane capaci di annientare questa
forte e grande tirannia schiaccerà il mondo, e mentre questa stessa tirannia
lo terrà in ostaggio e lo occuperà con la forza delle sue armate di briganti,
scenderà allora l’ausilio divino che sarà in grado di fronteggiare una tanto
grande calamità. Dio, sollecitato dal grande pericolo e dalle invocazioni dei
giusti in cerca di misericordia, invierà il liberatore, ed allora il cielo si
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fenderà a metà durante una notte particolarmente tenebrosa, che renderà
ancora più sfolgorante la discesa della luce divina. La Sibilla disse a tal
proposito:
“Al suo avvento fuoco e tenebra sarà
all’interno di una notte d’oscurità”.
Noi celebriamo questa notte vegliando per la venuta del Re e Dio nostro, e
questo per due motivi: il primo è perché in questa notte egli ricevette la vita
subendo la passione, e poi perché sempre in essa egli è destinato a ricevere
il regno del mondo. Costui, che noi chiamiamo Cristo, è infatti liberatore,
giudice, vendicatore, re e Dio, e il segno che darà dell’imminenza della sua
venuta sarà l’improvvisa caduta di una spada dal cielo, tramite la quale i
giusti sapranno che il duce della santa milizia starà per scendere sulla terra,
accompagnato dal corteo degli angeli.
Egli sarà inoltre preceduto da una fiamma inestinguibile, e la forza
degli angeli consegnerà nelle mani dei giusti tutti coloro che avranno cinto
d’assedio la montagna, la quale verrà massacrata dall’ora terza fino al
vespro, facendo fluire il sangue a fiotti. Una volte che le sue truppe saranno
state distrutte, l’empio fuggirà da solo, ma la sua potenza sarà annientata da
Cristo. Questo empio si era fatto chiamare falsamente “Cristo” e combatté
quello vero, ma egli è colui che è detto “Anticristo”. Una volta vinto
fuggirà, e più volte continuerà ad attaccare venendo puntualmente sconfitto
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fino a quando, distrutto tutto il suo esercito al termine di una quarta
battaglia, sconfitto e fatto prigioniero, infine pagherà il fio dei suoi crimini.
Anche gli altri principi e gli altri tiranni, che avevano condotto il
mondo alla rovina, saranno incatenati insieme a lui e saranno consegnati al
sovrano, che dopo averli accusati e aver rinfacciato le colpe loro, decreterà
la loro condanna e li consegnerà alla ben meritata giustizia. Estinti così il
male e l’empietà, il mondo che era stato sottoposto all’errore e
all’irreligione troverà la quiete, dopo aver sopportato per tanti secoli tale
sacrilega schiavitù. L’idolatria non esisterà più e gli idoli, condotti fuori dai
templi e dalle nicchie, verranno bruciati insieme alle offerte che erano state
loro dedicate. Anche una Sibilla, affermando quanto affermano gli stessi
profeti, predisse che ciò sarebbe accaduto:
“Gl’idoli tutti e tutti i tesori saranno distrutti dai mortali”.
E disse a sua volta la Sibilla Eritrea:
“Le opere divine di umana fattura diverranno cenere”.
Capitolo 20: A proposito del giudizio di Cristo, dei cristiani, e
dell’anima.
Quando sarà trascorso tutto ciò gli inferi si apriranno, ed i morti
torneranno a nuova vita per essere giudicati da questo stesso re e Dio, al
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quale il Padre Supremo avrà dato sia il potere di giudicare che il potere di
regnare, come predetto dalla Sibilla eritrea:
“Quando tutto sarà compiuto, ed il giudizio del Dio immortale
calerà su chi gusta la morte, verrà sull’uomo il grande giudizio”.
Ed un’altra sibilla ha detto:
“E quando sulla terra si riverserà il caos del Tartaro, allora tutti i re
saranno condotti al sede del giudizio di Dio”.
Ed ancora:
“Arrotolando i cieli, aprirò le caverne della terra, quindi farò
risorgere i morti e li chiamerò al giudizio, giudicando parimenti i pii
e gli empi”.
Tuttavia non tutti gli uomini saranno giudicati da Dio, ma solo coloro che
avranno praticato la vera religione. Per coloro che non hanno seguito Dio il
giudizio e la condanna sono già stati pronunciati, e le sacre scritture
testimoniano che essi non risorgeranno. I credenti verranno invece
giudicati, e le loro buone azioni verranno soppesate insieme alle malvagie:
coloro le cui buone azioni avranno un peso maggiore riceveranno la vita
della benedizione; ma se le loro azioni malvagie saranno più pesanti, allora
saranno condannati al supplizio.
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A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi come sia possibile
che le anime immortali possano essere capaci di soffrire e di essere
sensibili alla punizione, perché è evidente che chi può essere punito è per
ciò stesso passibile di sofferenza, e conseguentemente di morte. Se
qualcuno è immortale non può soffrire, e pertanto nemmeno essere punito
in qualche modo. Quest’opinione è propria dello stoicismo, secondo la cui
dottrina le anime degli uomini continuano ad esistere e non possono essere
annientate dalla morte, mentre i giusti, i puri, coloro che non provano
dolore, e i felici, ritornano ai corpi celesti da dove hanno avuto origine,
oppure rinascono in qualche felice dimensione, nella quale assaporano
piaceri meravigliosi. Viceversa, i malvagi che si sono intrattenuti con le
passioni maligne, hanno una natura a metà strada tra la mortale e
l’immortale, e sono indeboliti dalla contaminazione della carne; essendo
resi schiavi dei desideri e della concupiscenza, si macchiano indelebilmente
della natura terreste, e quando questa è divenuta preminente coll’andar del
tempo, le anime ormai snaturate non possono estinguersi e acquisiscono la
capacità di soffrire tramite il corpo, che viene bruciato attraverso i peccati
producendo la sensazione del dolore. Il poeta ha espresso tutto ciò con
queste parole:
“Quando l’ultimo soffio vitale viene espirato
e il freddo corpo alla morte è ormai acquistato
84
tuttavia ancora si trattiene
il lascito di sofferenza nelle vene.
Molte son le sozzure contratte pienamente
che per forza persisteranno lungamente.
Così soffrendo dovranno penare
Sicché di antiche colpe si potran purificare.
Queste parole sono prossime alla verità. E l’anima, una volta che si separa
dal corpo, è proprio come viene descritta dal poeta:
“Come un vento leggero, e simile al sogno”.
Questo perché ora è spirito impercettibile per noi esseri carnali ma
perfettamente percettibile da Dio, a cagione della sua onnipotenza.
Capitolo 21: Dei tormenti e della punizione delle anime.
Pertanto è necessario comprendere in primo luogo che il potere di
Dio è tanto elevato da renderlo capace di percepire anche le cose che
appartengono al regno dell’incorporeo, e governarle nella maniera che più
gli aggrada. Anche gli angeli temono Dio, perché sanno di poter essere
castigati da lui in modi inspiegabili; e i demoni sono da lui terrorizzati, per
via dei tormenti e delle punizioni che egli li riserva. Di cosa ci si dovrebbe
dunque meravigliare se le anime, benché immortali, possono essere capaci
85
di soffrire per volontà divina? Anche se esse sono in sé stesse immateriali,
e non si può infliggere loro sofferenza attraverso cose corporee, sono però
nelle mani di Dio, la cui energia e sostanza è spirituale, ed è l’unico che
può arrecar loro danno.
Le sacre scritture ci informano del modo preciso in cui le anime
vengono punite. Poiché hanno peccato coi loro corpi, esse sono
nuovamente rivestite di carne; ma si tratta di una carne diversa da quella
che rivestivano sulla terra, essendo questa indistruttibile e imperitura,
capace di non disfarsi a seguito delle torture e del fuoco sempiterno, il
quale è a sua volta diverso dal fuoco che utilizziamo per le necessità della
vita di tutti i giorni, e che può estinguersi se non viene continuamente
ravvivato. Il fuoco divino è autosussistente, e si ravviva senza aver bisogno
dell’intervento di altri; esso è privo di fumo, ma puro e di forma liquida
simile all’acqua. Questo fuoco, con un solo ed unico potere, brucia e
parimenti ricostruisce le carni dei peccatori, e si alimenta eternamente da sé
stesso. Coloro che invece sono stati colmi di giustizia, di maturità e di virtù
non percepiscono il fuoco, perché hanno in sé stessi qualcosa di origine
divina che respinge la violenza della fiamma. La forza dell’innocenza è
tanto grande che le fiamme non causano alcun danno ai giusti, che hanno
ricevuto da Dio il potere di avere sotto il loro controllo ciò che invece
provoca sofferenza ai malvagi.
86
Non si creda, tuttavia, che le anime vengano immediatamente
giudicate dopo la morte. Tutte loro sono inizialmente detenute in un unico
luogo di attesa, fino a quando non sorga l’ora del grande giudizio. Allora
coloro la cui pietà sarà stata accolta riceveranno la ricompensa
dell’immortalità, mentre coloro i cui crimini e peccati saranno stati rivelati
non risorgeranno nuovamente, ma saranno sepolti nella medesima oscurità
dei malvagi, destinati a determinate punizioni.
Capitolo 22: Dell’errore dei poeti, e del ritorno delle anime dagl’inferi.
Certe persone credano che quanto abbiamo detto fin’ora sia solo
finzione poetica e mera impossibilità, ed in effetti non v’è da stupirsi che
qualcuno possa pensarlo. Questi argomenti sono riferiti dai poeti in una
maniera che si allontana dalla verità dei fatti, perché sebbene la loro
conoscenza sia molto più antica di quella degli storici, degli oratori, e di
altri letterati, sono tuttavia ignoranti circa i segreti dei misteri divini, e i dati
sulla resurrezione li sono giunti per vie oscure e frammentarie. Essi stessi
sono i primi a certificare che ciò che affermano non è frutto di una solida
autorità ma di mera opinione, come confermato da Marone:
“La lingua rende noto ciò che l’orecchio ha udito”.
I poeti hanno inoltre corrotto i segreti della verità, anche se sono più vicini
al vero in quanto parzialmente in accordo con i profeti. Tutto ciò è per noi
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una prova sufficiente, e diciamo che nei loro errori è contenuta qualche
ragione. Questo perché il continuo annuncio profetico dell’avvento del
Figlio di Dio quale giudice dei morti non li è sfuggito, ma ritenendo che
non vi fosse alcun sovrano celeste al di fuori di Giove, ne convennero che il
figlio di Giove avesse autorità sugli inferi, e non potendo essere tale figlio
identificabile con Apollo, o Libero, o Mercurio, i quali sono tutti divinità
celesti, credettero si stesse parlando di un giusto tra i mortali, come
Minasse, o Eaco, o Radamente. Quindi, i poeti si sono presi delle licenze
che hanno condotto all’alterazione della verità da loro ricevuta, e il
passaggio da orecchio a orecchio della stessa ha modificato la realtà dei
fatti. Essi riferirono che dopo mille anni passati negli inferi sarebbero
tornati a nuova vita, secondo la testimonianza di Marone:
“Tutti costoro, dopo il millennio passato
avranno il cerchio del destino nuovamente voltato.
La voce divina, da vicina o lontana sponda
del Lete tutti richiamerà sull’onda.
La vita terrena nuovamente gusteranno
ma della vita passata la memoria perderanno.
E privi d’esperienza nuovamente plasmati
Nei corpi terreni saranno incarnati”.
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Il dato che è sfuggito ai poeti è relativo al fatto che le anime non
soggiorneranno agl’inferi per mille anni dopo la loro morte, bensì accadrà
che esse risorgeranno per regnare mille anni insieme a Dio. Dopo che avrà
mondato la terra da tutte le imperfezioni, egli ricollocherà le anime dei
giusti su dei corpi terreni, e le farà risorgere verso una benedizione
sconfinata. Tutte le altre cose riferite sono vere, eccezion fatta che per la
menzione del fiume della dimenticanza: perché non ci si dovrebbe
ricordare di essere stati già una volta in vita, chi si era, e cosa si è fatto?
Quando attestiamo la dottrina della resurrezione delle anime nel
pieno ricordo della loro esperienza passata, ci viene spesso domandato:
quanti anni sono passati, e chi mai è risorto dai morti per darci la prova che
tutto ciò sia possibile? In realtà la domanda è mal posta, perché nessuno
può risorgere col presente stato del mondo, in cui prevalgono l’ingiustizia e
la violenza tra gli uomini, in cui la giustizia è odiata e i credenti sono
tormentati e costretti all’idolatria non attraverso la ragione, ma con la forza
della violenza. Un uomo credente, la cui esistenza è tenuta di così poco
conto, dovrebbe forse ritornare ad una vita in cui non è possibile garantire
la sua sicurezza? Egli verrebbe subito tolto di mezzo, per evitare il rischio
che, se gli uomini lo vedessero o udissero le sue parole, si volgerebbero
immediatamente al culto del vero Dio. E’ quindi necessario che la
resurrezione avvenga solo quando la malvagità sia stata completamente
estirpata, perché coloro che risorgeranno non muoiano nuovamente né
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vengano danneggiati in nessuna maniera, ma abbiano una vita felice in cui
non c’è più morte. I poeti, che invece sapevano che questa vita è dolore,
inventarono il mito del fiume della dimenticanza, in modo che le anime,
non ricordando le sofferenze e la malvagità, non si rifiutassero di
abbandonare le dimore celesti. […] Essi supposero che le anime dovessero
nuovamente rinascere dai ventri delle loro madri, ritornando bambini.
Anche Platone, discutendo dell’anima, disse che si poteva avere prova della
sua natura immortale e divina per via del fatto che le menti dei giovinetti
sono sveglie e agili nell’imparare, il che indicherebbe che non si tratta
dell’apprendere qualcosa per la prima volta, bensì di un ricordar qualcosa.
Queste è la maniera in cui un uomo saggio può credere scioccamente alle
parole dei poeti.
Capitolo 23: Della resurrezione delle anime, e delle prove di ciò.
E’ impossibile che le anime rinascano, perché in realtà esse
risorgeranno e verranno rivestite da Dio di corpi, ricordando la loro vita
passata e tutte le loro azioni. Esse verranno dotate di corpi celestiali, e
godranno del piacere di innumerevoli godimenti. Esse renderanno grazie a
Dio, in sua presenza, per la distruzione di tutti i mali, e per aver loro
concesso di elevarli al suo regno e alla vita perpetua. Quanto a ciò che
hanno detto in merito alla resurrezione i filosofi corrotti dai poeti, Pitagora
asserì che le anime passano in nuovi corpi, ma aggiunse stoltamente che
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questo passaggio avviene da uomo e bestia e da bestia a uomo. Parlò
meglio Crisippo, che Cicerone considera un sostenitore dello stoicismo e
che, in una sua opera sulla provvidenza, introdusse il suo discorso sul
rinnovamento del mondo dicendo che ritorniamo nello stesso stato in cui
siamo ora.
[…] Pertanto, se non solo i profeti, ma persino i bardi, i poeti, e i
filosofi sono d’accordo circa la resurrezione dei morti, che nessuno più si
domandi come essa sia possibile, non dovendo esserci nessuna
giustificazione per l’opera divina. Se Dio ha creato l’uomo in una maniera
che sconosciuta, è lecito anche credere che un uomo anziano possa
ritornare ad essere un uomo nuovo.
Capitolo 24: Del mondo rinnovato.
Dirò ora di ciò che seguirà alla resurrezione. Il figlio dell’Altissimo e
Potente Iddio verrà a giudicare tutti gli uomini, come testimoniato dalle
parole della Sibilla:
“Vi sarà confusione su tutta la terra, quando l’Altissimo in persona
giungerà allo scranno del giudice per giudicare le anime
dell’umanità intera e del mondo”.
Dopo che egli avrà distrutto l’ingiustizia, portato a compimento il suo
grande giudizio, e riportato in vita i giusti, regnerà in mezzo a questi ultimi
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per mille anni, col più giusto dei governi. Ancora la Sibilla ha detto
ispiratamente:
“Uditemi, oh mortali! Un re domina senza fine!”.
Gli uomini vivranno nei loro corpi immortali per mille anni, dando vita ad
una prole infinita che sarà santa e amata da Dio, e che avrà i risorti quali
loro giudici. Le nazioni non si estingueranno completamente, ma alcune di
esse continueranno ad esistere come un segno di vittoria da parte di Dio e
di trionfo per i giusti, soggette ad eterna schiavitù. Allo stesso tempo anche
il principe dei diavoli, la sorgente di tutti i mali, sarà ridotto in catene e
imprigionato per tutto questo millennio di dominio celeste. I giusti
verranno radunati da ogni angolo della terra e il giudizio verrà completato,
e la città santa verrà edificata al centro della terra da Dio stesso insieme ai
giusti, divenendo la sua capitale. La Sibilla dice a tal proposito:
“La città edificata da Dio è resa più brillante delle stelle, del sole, e
della luna”.
L’oscurità scomparirà, e la luna riceverà lo stesso splendore del sole, che a
sua volta diventerà sette volte più luminoso di quanto è ora. La terra darà i
suoi frutti, le montagne coleranno miele, fluiranno torrenti di vino, e i fiumi
faranno scorrere latte. Insomma, il mondo stesso gioirà e la natura esulterà,
essendo stata liberata dal dominio del male e dell’empietà, del pericolo e
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dell’errore. Non esisteranno più animali carnivori o uccelli rapaci, ma ogni
cosa vivrà in pace e tranquillità. I leoni e gli agnelli staranno insieme, e il
lupo non arrecherà nessun danno alla pecora. Il segugio non prederà più,
falchi ed aquile non saranno pericolosi, e il neonato giocherà coi serpenti.
Sarà tutto come descritto a proposito del regno di Saturno dai poeti, il cui
unico errore è stato quello di porre nel passato ciò che i profeti avevano
predetto per il futuro. Ciò è accaduto perché le visioni furono rivelate dallo
spirito divino come immediatamente evidenti agli occhi di questi ultimi, e
quando la fama di tali visioni si sparse, coloro che non erano istruiti circa i
misteri della fede non riuscirono a constestualizzarle, e le considerarono
come già avvenute nelle epoche passate, cosa chiaramente mai avvenuta
durante l’età dell’uomo. Ma quando le religioni empie e i crimini verranno
distrutti, la terra verrà assoggettata alla volontà di Dio:
“Il marinaio non solcherà più il mare, e di pino foggiata
la nave non porterà più merce; ogni cosa dalla terra verrà donata.
La falce non graffierà più le vigne, né i rastrelli il suolo,
anche il forte contadino libererà il toro dal suo giogo.
La molle spiga lentamente imbiondirà il prato
la rossa uva penderà dal pruno giammai coltivato,
e miele come rugiada dalla dura quercia distillato.
Non vi sarà bisogno più di tinteggiare
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poiché da sé nei prati l’ariete potrà il vello mutare
con giallo di croco, con color purpureo di soave rosseggiare.
Spontaneamente l’agnello al pascolo sarà di carminio rivestito,
il ventre della capra sarà da solo di latte riempito,
e il leone dagli armenti non sarà mai più temuto”.
Queste sono le parole che il poeta ha riportato dalla Sibilla Cumana, e la
Sibilla Eritrea aggiunge che:
“Sui monti i lupi non più combatteran con gli agnellini
e le linci brucheranno l’erba con i bambini.
Si nutrirà il cinghiale col vitello ed altre greggi sul prato,
e il leone nella mangiatoia sarà di fieno sfamato.
Incustodito, senza il bisogno della presenza della madre
Il bambino insieme al serpente potrà riposare”.
[…] Gli uomini vivranno pertanto la più tranquilla vita immaginabile,
godendo dell’abbondanza delle risorse, e regnando insieme a Dio. I re delle
nazioni verranno da ogni angolo della terra con offerte e doni, per adorare e
onorare il grande Re, il cui nome sarà rinomato e venerato da tutti i popoli
che vivono sotto il cielo, e da tutti i re che dominano sulla terra.
94
Capitolo 25: Degli ultimi tempi, e della città di Roma.
Tutte queste cose predette dai profeti sono prossime a manifestarsi,
ma non ho ritenuto necessario riportare le loro testimonianze e le loro
parole perché sarebbe uno sforzo vano e non necessario, dal momento che
molti altri hanno parlato di queste cose prima di noi e non vorremmo
risultare troppo noiosi al lettore, ripetendo cose già dette. […] Chi volesse
approfondire tali questioni potrà senz’altro risalire alle fonti medesime, e
apprendere molte più notizie ammirevoli di quante sono raccolte in
quest’opera.
Alcuni si potranno tuttavia domandare quando accadranno tutte le
cose di cui abbiamo fin’ora parlato. Come già detto in precedenza, occorre
che questa mutazione avvenga al decorrere di seimila anni, al termine dei
quali si avvicinerà il giorno supremo del compimento finale. I profeti
hanno elencato i segni in base ai quali è possibile riconoscere il suo
avvicinarsi, i quali sono la conferma della nostra attesa e il quotidiano
timore del loro avverarsi. Quando tuttavia ciò debba compiersi è insegnato
da coloro che si sono occupati di cronologia, ricavando dalle sacre scritture
e da altre fonti il numero di anni che è già passato dalla creazione del
mondo. Benché vi siano delle variazioni e le somme complessive non
coincidano, sembra che non vi sia da aspettare più di duecento anni. E’
quindi chiaro che la rovina e la caduta del mondo avverranno a breve, ma
non si deve temere nulla di tutto questo fino a quando la città di Roma sarà
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sana e salva. In verità, quando questa guida verrà spodestata ed inizierà la
violenza predetta dalle sibille, chi potrà ancora dubitare che sia ormai
giunta l’ultima ora per gli uomini e per il mondo? È questa città che tiene
ancora tutto in piedi, e noi dobbiamo implorare e supplicare il Dio del cielo
– sempre che i suoi piani e le sue decisioni possano essere procrastinate –
affinché non venga prima di quanto abbiamo ipotizzato quel tiranno
abominevole, la cui funzione è di tramare un crimine simile e strappare
quella luce alla cui rovina seguirà il crollo di tutto il mondo. Detto ciò,
parliamo ora di altre cose che dovranno accadere.
Capitolo 26: Della sconfitta finale del diavolo, e del secondo e ancor più
grande giudizio.
Abbiamo detto poc’anzi che, quando verrà instaurato il sacro regno,
il principe dei demoni verrà incatenato da Dio. Ma quando saranno quasi
trascorsi i mille anni, ossia al volgere del settimo millennio della vita del
mondo, egli sarà nuovamente liberato dalla sua prigionia, riunirà le nazioni
tenute a freno dal dominio dei giusti, e porterà guerra alla città santa. I
popoli riuniti sotto lo stendardo del diavolo saranno innumerevoli, ed essi
cingeranno d’assedio la città. La collera di Dio si abbatterà allora sulle
nazioni e le distruggerà. In primo luogo scuoterà la terra in modo
violentissimo, tanto che le montagne della Siria verranno livellate e le
colline e le mura delle città precipiteranno. Poi Dio impedirà al sole di
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tramontare per tre giorni consecutivi, e il troppo calore e la grande fiamma
che ne verranno generati scenderanno sui popoli empi ed ostili, e con questi
piogge di zolfo, grandine, e lingue di fuoco. I loro spiriti si fonderanno con
il calore, i loro corpi saranno ammaccati dalla grandine, ed essi si
colpiranno a vicenda con le loro spade. Le montagne saranno piene di
cadaveri e le pianure ricoperte di ossa, ma durante questi tre giorni il
popolo di Dio avrà trovato rifugio dentro grotte nella terra, fintantoché l’ira
di Dio contro le nazioni e il suo ultimo giudizio non si siano compiuti.
Alla fine i giusti usciranno dai loro ripari, e vedranno che ogni cosa è
ricoperta di ossa e di cadaveri. Tutta la stirpe dei malvagi sarà finalmente
perita, e non vi sarà più nessuna nazione in questo mondo ed eccezione del
popolo di Dio. Allora per sette anni non ci sarà bisogno di toccare un solo
albero né di fare legname nelle montagne, perché per far fuoco verranno
utilizzate le armi delle nazioni. E non ci saranno più guerre, ma pace e
riposo senza fine. Quando il millesimo anno sarà definitivamente passato, il
mondo sarà rinnovato da Dio, i cieli verranno riunificati, e la terra cambierà
aspetto. Gli uomini saranno resi da Dio simili agli angeli, e saranno bianchi
come la neve. Essi saranno elevati al fianco dell’Altissimo, facendo offerte
al loro Signore e servendolo per sempre. Allo stesso tempo avverrà la
seconda resurrezione, che questa volta coinvolgerà tutti gli uomini, e con la
quale gli ingiusti verranno invitati all’eterno supplizio. Questi sono coloro
che hanno adorato idoli fabbricati dalle loro stesse mani e hanno rinnegato
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il Signore e Padre del mondo. Ma il loro signore e i suoi servi saranno
incatenati e condannati alla punizione, e insieme ad essi tutta la turba dei
malvagi, secondo quelle che saranno state le loro azioni, che sarà arsa per
sempre con la fiamma perpetua, sotto gli occhi degli angeli e dei giusti.
Questa è la dottrina dei santi profeti in cui noi cristiani crediamo.
Questa è la sapienza nostra che coloro che adorano fragili oggetti o
aderiscono a vuote filosofie deridono stoltamente e vanamente. Noi non
siamo abituati a difendere o proclamare pubblicamente la nostra dottrina,
perché Dio ci ha ordinato di celare quietamente e in silenzio i suoi segreti, e
custodirli nelle nostre coscienze senza scendere in dibattiti ostinati con
coloro che ignorano la verità, e che prendono vigorosamente d’assalto Dio
e la sua religione non per imparare, ma per dileggio. Noi chiamiamo fede il
mistero che teniamo scrupolosamente nascosto, ma essi accusano il nostro
silenzio e lo scambiano per coscienza sporca, quando loro stessi inventano
cose detestabili su coloro che sono santi e privi di biasimo, credendo
volentieri alle loro invenzioni.
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RINGRAZIAMENTI
A conclusione di questo lavoro, e con esso del mio iter di studi magistrale,
desidero ringraziare alcune persone: in primo luogo la mia relatrice,
dott.ssa Emanuela Colombi, per il suo indispensabile aiuto nella redazione
di questo lavoro, e Alberto Grigio, per avermi fornito l’idea di dedicarmi
all’argomento qui in esame.
Vorrei ringraziare anche la famiglia e gli amici che mi hanno sostenuto in
vario modo durante questi miei anni di studio lontano da casa, e in primis
mia nonna Fernanda, che mi ha ospitato nella sua casa e ha dato un enorme
contributo al proseguimento dei miei studi. Con lei ringrazio anche tutti i
miei parenti qui in Friuli, e le persone al di fuori della famiglia con cui in
questi anni ho avuto modo di stringere legami più di fratellanza che di
amicizia. Tra queste, desidero ringraziare in primissimo luogo i signori
Urizzi, per tutto.
Infine, il mio più sentito ringraziamento va ai miei genitori, a mio fratello,
e a Fatima, che sono le persone più care che ho al mondo.