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La Ripresa Economica Della Sicilia Fra Gli Anni 1890 Ed Il 1914 (Maria)

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La ripresa economica della Sicilia fra gli anni 1890 ed il 1914

In concomitanza con la fase di crescita dell’economia internazionale, l’agricoltura riprese a


crescere, rappresentava il 73% di quella nazionale. Sfruttando l’onda espansiva del commercio
internazionale, la politica giolittiana agevolò l’apertura dei mercati esteri alla produzione
agrumicola siciliana. Anche la massiccia emigrazione diede un notevole contributo all’esportazioni
degli agrumi richiesti e reclamizzati dagli stessi emigrati. Anche la cerealicoltura riprese ad
espandersi grazie alla sensibile moltiplicazione delle piccole e medie aziende contadine ma anche
per i miglioramenti tecnici introdotti in alcuni latifondi. L’industria zolfifera, che aveva ormai
perduto il monopolio mondiale per la concorrenza dello zolfo americano, attraverso accordi
internazionali riuscì a mantenere fino al 1907 una esportazione accettabile che cominciò a
decrescere. Nonostante i suddetti miglioramenti, il divario fra Settentrione e Sicilia, fra gli anni ’90
e la vigilia della grande guerra, si accrebbe a causa di una velocità di crescita economica
nettamente diversa. La Sicilia avviò la sua crescita economica, basata sulla produzione agricola, sui
prodotti alimentari e sulla vendita di materie prime ma priva di quelle attività industriali necessarie
al tanto ambito decollo economico. La sua struttura politico-sociale di base rimase ancorata al
dominio dei grandi proprietari latifondistici ai quali cominciò ad aggregarsi una borghese
commerciale in via di sviluppo. Nonostante la sua arretratezza, sia pure con l’aggravamento della
pressione fiscale e la crescita del debito pubblico, ebbero un sensibile miglioramento rispetto al
50ennio preunitario. La maggior parte dei parametri della vita socio-economica siciliana ebbero un
notevole miglioramento ma, purtroppo, subiranno un forte rallentamento fra le due guerre
mondiali.
L’economia siciliana fra le due guerre mondiali
Durante la Grande Guerra si verificò una profonda crisi nell’agricoltura italiana a causa dei richiami
alle armi, Di conseguenza, le braccia lavorative dell’agricoltura divennero assolutamente
insufficienti. Se a ciò si aggiunge che l’industria estrattiva dello zolfo continuava a subire la
concorrenza statunitense, riducendo la produzione e l’esportazione, la crisi dell’economia siciliana
risultò inevitabile. In Sicilia, soltanto la produzione agrumicola non entrò in crisi soprattutto per i
profitti che assicurava la vendita all’estero dei vari tipi di produzione. L’ingresso in guerra
dell’Italia, nel maggio del 1915, accentuò la crescita di quei rami produttivi del settore secondario
utili alle esigenze belliche. Ad ogni modo, la spinta popolare, attraverso gli scioperi, l’occupazione
delle terre e le insurrezioni locali, stimolò la mobilità del mercato fondiario e provocò la
quotizzazione di ben 341 ex- feudi per un ammontare di circa 120mila ettari, intaccando sia pur
marginalmente il latifondo. Spesso i risultati acquisiti in modo stabile dipesero dai tempi del
pagamento che, andando oltre il 1926, non risultarono essere un buon affare. Infatti, la maggior
parte di coloro che riuscirono ad acquisire in modo definitivo la proprietà entro il suddetto anno
furono costretti a rinunciare a causa della rivalutazione della lira che rese insostenibile il
pagamento della rata del mutuo. Fra l’affittanza individuale o collettiva e la quotizzazione, fu la
seconda a prendere il sopravvento per la convergenza degli interessi dei proprietari con quelli dei
contadini. L’affittanza era prevalsa nel clima di collaborazione instauratosi durante l’età giolittiana,
ma all’emergere di acuti conflitti sociali i contadini preferirono assicurarsi la proprietà della terra
attraverso un forte impegno finanziario di lungo periodo e gli stessi proprietari latifondisti
preferirono vendere, in una situazione di scontro sociale, le terre scarsamente produttive.
L’avvento del fascismo, dopo la marcia su Roma, rallentò il suddetto meccanismo clientelare,
destando così attenzione ed interesse da parte dell’opinione pubblica siciliana.
L’impatto sociale dell’avvento del fascismo
Il movimento fascista aveva pochi legami con i ceti dominanti in Sicilia. Questi ultimi temevano lo
sconvolgimento degli equilibri socio-economici esistenti nell’Isola. L’aristocrazia terriera aveva da

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lungo tempo scelto l’assenteismo, accontentandosi di rendita fissa che le consentisse di trasferirsi
nelle città politicamente più importanti per difendere i suoi interessi. Tale equilibrio socio-
economico, garantito anche dal potere mafioso, veniva ora minacciato dal nuovo movimento
politico andato al potere al quale bisognava impedire di modificarlo. La classe dominante siciliana,
che era riuscita a superare con qualche difficoltà il biennio rosso del primo dopoguerra, cercò di
dimostrare al neonato fascismo di non aver bisogno di interventi politico-sociali schierandosi al
suo fianco. È lo stesso mussolini che effettua la sua visita, all’indomani delle elezioni politiche del
1924. Durante questa visita, lo stesso capo del fascismo si rende conto che i consensi ottenuti non
rappresentano un’adesione convinta al suo partito. Il governo mussolini inviò subito in Sicilia
efficienti funzionari governativi, sostituì sei dei sette prefetti e diede l’incarico di commissario
straordinario a Pietro Bolzon, fascista della prima ora, per impedire infiltrazioni moralmente
condannabili nel partito. Lo stesso Alfredo Cucco, federale di Palermo, si impegnò sulla questione
morale, sciogliendo alcune sezioni del partito ed eliminando tutti gli iscritti con la fedina penale
non in regola. La sua battaglia per impedire le infiltrazioni mafiose trovò un grosso ostacolo nei
palermitani, i quali poi riuscirono ad isolarlo e a renderlo inviso allo stesso movimento fascista.
Infatti, quando mussolini inviò in Sicilia il prefetto Mori per combattere la mafia si venne a creare
una contrapposizione fra lo stesso Mori e il federale Cucco. Costringendo Cucco alle dimissioni.
mussolini aveva tentato di coinvolgere nella politica la classe intellettuale siciliana, inserendo nel
suo primo governo ben 4 ministri: Carnazza, Colonna di Cesarò, Gentile e Corbino. Invece, nel
1928, il prefetto Mori venne rimosso da mussolini allo scopo di mutare la strategia verso la Sicilia
che da militare avrebbe dovuto trasformarsi in economica e finanziaria attraverso un programma
di bonifica integrale promosso dalla legge Serpieri del 1933, che favorisse lo sviluppo
dell’agricoltura meridionale. Ad ogni modo, l’economia siciliana che era integrata in modo distorto
nel mercato internazionale del grano, della seta, dello zolfo e degli agrumi, venne colpita dal
tentativo di conciliazione fra le istanze governative e le clientele locali. Attraverso i fratelli
Carnazza, tale tentativo di conciliazione ebbe inizio. Per convincere i vertici finanziari ad investire
nella agricoltura meridionale, coadiuvato da un gruppo di tecnici ex-nittiani, prospettò la
costruzione di dighe allo scopo di raccogliere le acque da utilizzare per l’irrigazione e la produzione
di energia elettrica. Per raggiungere il suddetto scopo occorreva una notevole spinta legislativa
che puntasse ad una ristrutturazione dell’agricoltura latifondistica. La legge Serpieri sulle
trasformazioni fondiarie del maggio 1924 dava la possibilità alle società per azioni di sostituirsi ai
proprietari fondiari che non si sarebbero potuti opporre alla bonifica integrale. Nello stesso
periodo, Carnazza assegnava ad un grande gruppo finanziario la ricostruzione di Messina, che era
sotto il controllo delle clientele municipali, al fine di utilizzare i sostanziosi finanziamenti pubblici.
Nell’ambito dell’industria zolfifera e della produzione agrumaria, il capitale finanziario riuscì
persino ad influenzare il Consorzio zolfifero e la camera agrumaria che in passato avevano tutelato
gli interessi dei grandi proprietari terrieri. Infatti, la Montecatini assunse una posizione dominante
in quanto riuscì ad ottenere un canale preferenziale negli acquisti di zolfo e di derivati agrumari,
emarginando gli acquirenti esteri. Il continuo ridimensionamento dell’industria mineraria, a causa
della concorrenza dello zolfo americano, e la crisi economica successiva ridussero notevolmente il
giro di affari. Il Carnazza, che si era speso come mediatore fra il capitale finanziario e le realtà
economiche della Sicilia, venne osteggiato dai ceti dominanti isolani. Quando egli perdette la
titolarità del Ministero dei lavori pubblici, le forse avverse, aiutate attraverso Gaetani Zingali,
economista pubblico e proprietario fondiario di Francofonte, scatenando una forte reazione con lo
scopo di eliminare la clausola. L’introduzione della demanialità delle miniere di zolfo per eliminare
l’estagio (percentuale di zolfo percepita dai proprietari del terreno) viene recepita da una legge del
1927 in modo da non danneggiare né i proprietari terrieri né le società private che gestivano le
zolfare. Il disegno del capitale finanziario di inserirsi nella realtà economica siciliana era fondato
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sulla forza con la quale il regime sarebbe riuscito a vincere le resistenze che provenivano dalle
istanze conservatrici delle classi dominanti nell’isola. In un primo tempo, la mediazione svolta dal
Carnazza sembrava essere riuscita a vincere tali resistenze, ma, in realtà, il partito agrario,
riorganizzandosi al livello nazionale, riuscì a vincere, conquistando un ruolo politico nettamente
superiore a quello economico. Tuttavia esso non riuscì ad evitare l’inesorabile declino della sua
egemonia sulla società, collegato sia dalla crisi del ramo zolfifero che di quello agrumario, e i
tentativi di colpire la proprietà latifondistica. Nonostante la profonda crisi economica, la struttura
clientelare della Sicilia si era via via stabilizzata, mimetizzandosi di fronte all’abolizione della lotta
politica decretata e sbandierata da mussolini. Per riuscire ad ottenere l’eliminazione di personaggi
scomodi venne utilizzata la denunzia anonima. Il regime eliminò anche l’elezione dei sindaci che
vennero sostituiti dai podestà nominati dal governo e per limitare l’influenza dei deputati in sede
locale, in occasione delle elezioni del 1929, venne decretata l’incompatibilità tra la carica di
deputato e quella di federale. Cosi che, molti federali eletti in parlamento dovettero abbandonare
la loro carica. Nella realtà dei fatti gli scambi clientelari continuarono a prosperare attraverso la
mediazione dei politici e del ceto aristocratico. Il risultato della politica fascista in Sicilia sarà quello
di sciogliere tutti i circoli civili che verranno riorganizzati come circoli di ricreazione, tenendo
sempre distinte le associazioni dei ceti abbienti da quelle dei ceti popolari. Vengono così eliminati i
canali di comunicazione fra centro e periferia che erano rappresentati da mediatori politici. Per
conoscere la realtà locale il governo fascista si affida ai suoi funzionari (prefetti e podestà) i quali
ne danno una visione deformata sia per le arretrate condizioni economico-sociali della maggior
parte della popolazione che per lamentele espresse attraverso numerose lettere anonime.
Il progetto di attacco al latifondo del tardo fascismo
La struttura economico-sociale della Sicilia, dopo l’avvento del regime fascista, era cambiata nella
sua forma esteriore ma non nella sostanza. Il sistema clientelare, allineato al regime dittatoriale,
ritornando gradualmente nelle mani della aristocrazia fondiaria a causa del fallimento dei tentativi
di riforma del fascismo. Le condizioni economiche soprattutto il progetto di una nuova politica
fascista orientata al dominio del Mediterraneo indussero mussolini a ritornare in Sicilia nell’agosto
del 1937. Tutti i suoi discorsi contenevano un’esaltazione del ruolo della Sicilia quale centro
geografico dell’impero nell’espansione politica italiana nel mediterraneo. Ciò rappresentava un
chiaro segnale di critica e di volontà di cambiamento nei confronti della politica precedente che
non aveva saputo far penetrare gli ideali fascisti nella realtà siciliana, alla quale si riconosceva il
permanere di un sottosviluppo da combattere vigorosamente. mussolini attribuiva un ruolo
preminente alla battaglia per il superamento del sottosviluppo attraverso lo smantellamento del
latifondo che non era stato possibile realizzare contestualmente alla distruzione di buona parte
delle organizzazioni mafiose. I primi provvedimenti politici colpirono i responsabili della mancata
penetrazione del fascismo nell’isola come Cucco e Zingale, che nell’ultimo decennio erano stati
emarginati. Il blocco delle correnti migratorie verso l’America e il Nord Europa aveva accresciuto la
pressione demografica, determinando una forte crescita verso un lavoro stabile nell’agricoltura
siciliana la quale necessitava di miglioramenti strutturali. La lotta al latifondo era risultata essere
incompatibile con l’egemonia di un ceto parassitario di grandi proprietari terrieri, i quali avevano
anche fallito nella gestione della bonifica integrale. L’economia siciliana durante la guerra (1940-
45). L’economia di guerra incise negativamente sulla popolazione meno abbiente, quale, a causa
del razionamento visse in uno stato di privazione, mentre gli strati borghesi e aristocratici
riuscivano con facilità a trovare quasi tutto al mercato nero. Era inevitabile che si creasse una
frattura fra popolazione e regime a causa del provvedimento del 24 aprile del 1941 con il quale il
Ministro delle corporazioni prolungava l’orario di lavoro di 2 ore e dava ai datori di lavoro la
possibilità di accrescerlo di altre 2 ore e di sospendere le ferie, provocando un aumento dello
sfruttamento lavorativo. Contestualmente la partenza di molti giovani per la guerra aveva
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svuotato le campagne di braccia lavorative, diminuendo la disoccupazione ed accrescendo il livello
salariale che, però, veniva vanificato dalla crescita dell’inflazione e dal conseguente aumento nel
costo della vita. I provvedimenti presi dalle autorità il 2 dicembre del 1940 venne introdotto il
razionamento di farina, pane e riso. La politica degli ammassi portò alla formazione del mercato
nero e provocò un impressionante aumento dei prezzi del grano. Il panico si sparse fra la
popolazione che nei centri urbani diede in alcuni casi l’assalto ai forni. Malgrado l’abbondante
raccolto le prospettive della campagna agrumaria del 1940-41 divennero incerte a causa della
scarsa disponibilità di carri ferroviari e della deficienza di carburante. Molte proteste vennero
causate dall’obbligo della trebbiatura meccanica per il difficile reperimento delle poche trebbiatrici
meccaniche disponibili quando c’era l’esigenza del raccolto. Spesso molti contadini decisero di
trebbiare il grano con i sistemi tradizionali, ottenendo rese decisamente inferiori. La deficienza di
materie prime come il ferro e il cemento accresce la disoccupazione nelle attività industriali. La
pesca era quasi ferma per le misure di sicurezza militare che ne limitavano il raggio di azione e ne
vietavano l’esercizio nelle ore notturne. Le uniche note positive dal punto di vista economico
furono la costruzione di opere militari e la crescita della presenza di truppe tedesche nel territorio
siciliano. A partire dal 16 aprile 1943 iniziarono i bombardamenti anglo-americani aventi lo scopo
di fiaccare la resistenza italo-tedesca prima di avviare l’occupazione militare dell’isola. Per evitare
gli effetti devastanti dei bombardamenti, gli abitanti abbandonarono le arie urbane e si rifugiarono
nei piccoli paesi circostanti. Lo sbarco degli anglo-americani, avvenuto il 10 luglio del 1943
determinò una svolta a loro favore e il crollo del regime fascista portò all’occupazione della Sicilia
entro il 17 agosto del 1943, mentre le truppe italo-tedesche ripiegavano rapidamente verso la
Calabria. Da quel momento iniziò la gestione politico-amministrativa. Vennero costituiti organi di
governo locale nei quali gli statunitensi ebbero un posto di primo piano, riconoscendo al generale
inglese Alexander il ruolo di governatore. Lo statunitense tenente colonnello Poletti venne messo
a capo dei Civil Affairs (affari civili). Dal punto di vista amministrativo venne scelta la forma di
governo indiretto. I due capoluoghi più popolosi, Palermo e Catania divennero centri politici di
primo piano, mentre nel resto del territorio, latifondisti e boss mafiosi risultavano essere gli unici
interlocutori dell’amministrazione anglo-americana. Contestualmente vennero sciolti i sindacati e
le organizzazioni fasciste e si istituirono gli uffici provinciali del lavoro. A partire dall’8 settembre
1943 l’Italia assunse la posizione di cobelligerante (coalizione) degli anglo-americani che venne
confermata dalla conferenza di Mosca. In questa fase il governo italiano riassunse gradualmente la
titolarità del territorio siciliano con l’appoggio della commissione anglo-americana di controllo.
Durante la stessa fase di occupazione nacque il Comitato per l’indipendenza della Sicilia (CIS) con
l’obbiettivo di entrare a far parte degli USA come stato federale allo scopo di sottrarla
economicamente e politicamente dal disastro della sconfitta. Tale comitato, presentò come
interlocutore un governo provvisorio di fronte agli anglo-americani dichiarando decaduta la
monarchia e chiudendo la proclamazione della repubblica siciliana. Tale proposta non trovò
grande accoglienza da parte degli anglo-americani i quali puntavano dapprima all’armistizio con
l’Italia e, successivamente, ad un’intesa. Il neonato Movimento per l’indipendenza della
Sicilia(MIS) non riuscì ad avere il sopravvento nelle amministrazioni locali. Al neonato Movimento
aderirono quasi subito i più importanti rappresentati della grande proprietà terriera e di
conseguenza i leader della mafia agraria. Nello stesso movimento indipendentista, c’erano anche i
dirigenti di area cattolica, alcuni rappresentanti di sinistra di idee socialiste, come Antonio Canepa,
intellettuale antifascista docente presso l’università degli studi di Catania. Agente dell’intelligence
Service inglese e teorico politico del separatismo, egli verrà ucciso nel 1945 in uno scontro a fuoco
fra l’esercito dell’EVIS e i carabinieri. Dopo l’invasione anglo-americana, i grandi proprietari terrieri
cominciavano a dissociarsi dalla politica dalle classi dirigenti fasciste. Quando l’Italia dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943, dichiarò guerra alla Germania, i partiti unitari antifascisti furono
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costretti a riunirsi in un fronte unico siciliano che ribadiva ufficialmente i legami fra la Sicilia e
l’Italia, mentre il movimento indipendentista si proponeva come interlocutore privilegiato nei
confronti dei nuovi alleati. L’idea di mantenere le organizzazioni amministrative esistenti facendole
guidare da funzionari siciliani non coinvolti con il passato regime venne subito adottata e per
garantire la collaborazione dei funzionari locali, si rivolsero ai ceti dominanti locali e alle gerarchie
ecclesiastiche. La necessità di coordinare l’attività amministrativa indusse gli alleati a realizzare un
vero decentramento. Questo tipo di riforma portò alla nomina di nuovi funzionari. Su indicazione
dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale(CLN), il 18 marzo del 1944 subito dopo il ritorno
della Sicilia all’amministrazione italiana, venne istituito l’alto commissariato e una giunta
consultiva composta da 9 membri nominati dal Capo dello stato, in rappresentanza
dell’antifascismo siciliano inclusi i separatisti. Il primo alto commissario nominato fu Francesco
Musotto, politico siciliano con idee separatiste. L’istituzione dei suddetti due nuovi organi, Alto
commissario e Giunta consultiva portò alla polarizzazione dei gruppi politici siciliani in due
schieramenti. Il primo comprendeva i 6 partiti che facevano parte dei comitati di liberazione, e il
secondo tutti gli altri che erano stati privati dalle loro cariche. Nel secondo schieramento politico
di opposizione il gruppo più forte era quello separatista, largamente appoggiato dalla popolazione,
che, non riuscì a creare una solida organizzazione unitaria che potesse coagulare gli interessi della
popolazione siciliana. Il governo emanò nell’ottobre del 1944 i decreti Gullo, il primo dei quali era
destinato a rendere più favorevole ai coltivatori la ripartizione dei prodotti della terra. Tale
decreto, la cui applicazione doveva essere autorizzata dall’alto commissario per la Sicilia, venne
modificato nei suoi contenuti nel giugno del 1945, a favore dei proprietari allo scopo di tutelare i
margini di rendita e quindi accaparrarsi l’appoggio politico dei latifondisti. Per combattere gli
indipendentisti la scelta del governo italiano fu di creare in Sicilia, la Consulta regionale siciliana
che si insediò il 25 febbraio 1945. Il compito della consulta venne agevolato dalla cessazione
dell’attività della commissione alleata di controllo che il 31 marzo successivo fece ritornare
pienamente la Sicilia sotto la giurisdizione italiana. Qualche mese dopo, la consulta decise di
affidare ai partiti del Comitato di liberazione nazionale(CLN) e a 3 personalità (Proff. Franco
Restivo, Paolo Ricca Salerno e Giovanni Salemi) il compito di disporre uno statuto per la regione
siciliana. Il 27 ottobre successivo, la consulta presentò un progetto di statuto fondato su estese
competenze esclusive su molti settori, fra i quali primeggiavano agricoltura e foreste, sanità e
turismo. La stessa polemica venne condotta dagli autonomisti i quali, senza chiedere
l’indipendenza, proponevano una politica risarcitoria nei confronti dell’isola. I sostenitori
dell’autonomismo capirono che per contrastare e sconfiggere il separatismo era quello di puntare
all’istituto regionale per ottenere ricompense politiche ed economiche dal governo italiano. Con la
fine della seconda guerra mondiale, la situazione economico-sociale della Sicilia che aveva toccato
il punto più basso durante il periodo bellico cominciò a dar segni di ripresa. In tale contesto
bisogna tener conto del ruolo della mafia che venne utilizzata dagli anglo-americani per facilitare
l’occupazione e la gestione politica dell’isola.
L’economia siciliana e i progetti del suo sviluppo nell’immediato dopoguerra
La ricostruzione in Sicilia alimentò un ampio dibattito finalizzato a trovare soluzioni adeguate
all’avviamento del “riparazionismo”. L’intervento dello stato, con un ruolo propulsivo ma anche integrativo
nell’agricoltura e nell’industria, cominciava a farsi strada. Nel frattempo, veniva alimentato il dibattito su
come utilizzare gli aiuti del piano Marshall che sarebbero stati indirizzati verso tutte le regioni italiane
compresa la Sicilia. Fra la fine del 1943 e la primavera del 1944 nel mezzogiorno, si era costituita un’aria
monetaria separata dal resto dell’Italia e caratterizzata da una forte inflazione(AMLire) da parte degli anglo-
americani che avevano alimentato notevolmente l’inflazione, rendendo più agevoli le attività commerciali
mentre per contro aveva ridotto il potere di acquisto dei ceti a reddito fisso. In Sicilia, il cui sistema bancario
era debole, operavano il Banco di Sicilia e la Cassa centrale di risparmio Vittorio Emanuele. La sezione
industriale del banco di Sicilia sovvenzionò con oltre un miliardo di lire le piccole industrie di alcuni settori e
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finanziò la società generale elettrica Sicilia(SGS) allo scopo di costruire la centrale termica di Messina.
Fermo restando che per sviluppare l’economia di una realtà socio-economica sarebbe occorso far crescere
sia il settore primario che quello secondario, restava irrisolto per la Sicilia il problema del settore che
avrebbe dovuto avere la precedenza nella politica economica della ricostruzione. In Sicilia dove era stata
scelta la via dell’autonomia anche per risolvere la questione del sottosviluppo, erano in parecchi a pensare
che insieme con il risollevamento dell’agricoltura era necessario pensare allo sviluppo industriale. Anche i
più accaniti agraristi pensavano che lo sviluppo del settore primario dovesse essere accompagnato dal
potenziamento del turismo. I sostenitori dell’industrializzazione, facendo riferimento a quello che avveniva
nei paesi capitalistici, si erano accorti che il numero degli addetti all’agricoltura aveva la tendenza a
diminuire mentre in Sicilia era crescente. Per gli industrialisti, quindi, era impossibile che la soluzione della
questione meridionale potesse venire dai miglioramenti dell’agricoltura, ma sarebbe stato necessario,
come sosteneva Rodolfo Morandi, avviare contestualmente un vero e proprio processo di
industrializzazione. Una posizione simile assunse Luigi Sturzo per la Sicilia, proponendo la realizzazione di
complessi industriali serviti da una rete e da mezzi di trasporto adeguati. Le prime speranze di una rinascita
economica della Sicilia nacquero con il preannunziato arrivo degli aiuti del piano Marshall, che avrebbero
potuto essere utilizzati per una crescita dell’occupazione attraverso la riattivazione di nuove attività
produttive. A tale scopo vennero organizzati numerosi convegni e fondate numerose associazioni per dare
indicazioni e suggerimenti sulla destinazione dei suddetti aiuti che però rimasero inascoltati. Il Centro per
l’incremento industriale della Sicilia, il quale preparò un piano economico quinquennale. Il progetto
prevedeva la costituzione di:
 Un istituto finanziario, L’ERIS (ente per la rinascita industriale della Sicilia), che avrebbe dovuto
avere il compito della gestione di aziende di pubblico interesse.
 Un altro istituto tecnico, L’ISEP (istituto siciliano per l’edilizia popolare), per le nuove costruzioni.
 Bisognava inoltre potenziare l’ente per il latifondo siciliano costituito, negli ultimi anni del dominio
fascista, allo scopo di migliorare l’agricoltura dell’isola.
 Anche L’EAS (ente acquedotti siciliani), e così come l’ISA (istituto siciliano autotrasporti).
 Il piano provvedeva anche la trasformazione della SGES (società generale elettrica della Sicilia) in
società di interesse pubblico con la partecipazione azionaria di maggioranza dell’ERIS (ente per la
rinascita industriale della Sicilia).
 Infine, occorreva fondare un ente turistico Siculo internazionale e potenziare il provveditorato alle
opere pubbliche.
Tale piano era abbastanza articolato ma aveva scarse possibilità di realizzazione poiché faceva riferimento
ad un contributo di solidarietà dello Stato stimato in circa 4 miliardi di Lire, mentre le spese ammontavano
a 70 miliardi.
Gli aiuti del piano Marshall destinati alla Sicilia
All’annuncio del 9 giugno 1947 da parte del Segretario di Stato americano attraverso il cosiddetto “Piano
Marshall”, i siciliani videro rinascere le speranze per un futuro migliore. Nacque un vivace dibattito che,
come area depressa, si pensava avesse il diritto di ottenere aiuti supplementari per colmare il suo dislivello
rispetto alle aree più sviluppate. Infatti, l’esistenza di una forte pressione demografica e di scarse risorse
naturali, oltre che di un basso livello di reddito e di un altro tasso di disoccupazione collocavano a pieno
titolo la Sicilia fra le aree depresse. Secondo le rilevazioni statistiche degli Stati Uniti, i capitali presenti in
Sicilia venivano utilizzati in modo improduttivo, per cui il solo uso dello strumento creditizio sarebbe stato
inutile. Sarebbe stato necessario, perciò, incoraggiare gli investimenti privati nel settore industriale affinché
i finanziamenti del piano Marshall potessero stimolare l’utilizzo dei capitali locali da destinare al
finanziamento delle opere infrastrutturali inesistenti nell’isola. Con il trasferimento o la creazione di
fabbriche nelle aree depresse si sarebbero potuti raggiungere importanti risultati sociali ed economici. Fra il
1947 e il 1952 vennero organizzate numerosi convegni su vari problemi della realtà economica siciliana, ma
quello che ebbe maggiore rilievo fu il congresso regionale ERP, durante il quale si confrontarono gli
“Agraristi” e gli “Industrialisti” e si prospettarono varie soluzioni ai problemi dello sviluppo economico
siciliano. In base ai risultati dei lavori del congresso regionale ERP di Catania, il governo regionale presenza
al governo nazionale un piano dettagliato per l’utilizzo dei fondi del piano Marshall che prevedeva
investimenti in 8 arie siciliane per un costo di 21 miliardi di lire per il primo anno. Il governo regionale
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siciliano considerò il piano Marshall un importante fonte di finanziamento per lo sviluppo delle attività
economiche presenti nell’isola. Era necessario, dunque, richiedere un’equa ripartizione dei suddetti aiuti
per assicurare che venisse garantita la quota spettante alla Sicilia e si vigilasse sulla reale destinazione di tali
fondi. Fra il 1949 e il 1955 furono erogati in Sicilia aiuti per un ammontare di quasi 19 miliardi di lire
finanziamenti richiesti dalle aziende furono molto più elevate di quelli concessi e non tutte furono
accontentate. Nell’assegnare i finanziamenti in moneta e in macchinari, l’ERP (European recovery
programm) non tenne in alcun conto dell’accanito dibattito sviluppatosi fra sostenitori della agricoltura e
sostenitori dell’industria. Nel frattempo, aveva preso corpo una linea di politica regionale in contrasto con
quella del governo nazionale per cui quando Alessi, presidente della regione, richiese di poter trattare
direttamente con gli USA per gli aiuti del piano Marshall destinati alla Sicilia, Alcide De Gasperi, presidente
del consiglio, si oppose nettamente. La Sicilia perdette, così, un importante occasione per convogliare gli
aiuti americani fra le risorse utili ad un progetto di sviluppo economico.
L’economia siciliana durante il miracolo economico
Nell’economia siciliana, che presentava tutti i problemi di arretratezza economica delle altre regioni
meridionali italiane, a partire dagli anni 50, cominciarono a manifestarsi i segni dell’avvio di un processo di
industrializzazione. Infatti, alcune aree industriali composte da piccole, medie e grandi aziende si
insediarono con facilità nella parte orientale, mentre nella parte occidentale si incontrarono grosse
difficoltà. Le differenze fra le due parti della Sicilia si possono far realizzare al periodo della rivoluzione dei
prezzi (secc.16-17) quando a causa dell’afflusso dei metalli preziosi del nuovo mondo si verificò un forte
aumento della domanda di prodotti agricoli siciliani da parte dei mercanti spagnoli. Molti feudatari isolani
che possedevano terre dove c’era abbastanza d’acqua cominciarono a concederle a lungo termine per
favorire gli investimenti di lavoro e di capitale allo scopo di aumentare le proprie rendite. La riforma
agraria, accompagnata dalla politica economica della regione siciliana e dagli interventi della Cassa per il
Mezzogiorno, consentì una trasformazione della struttura economico-sociale della Sicilia. Agli aiuti non
coordinati del piano Marshall, si aggiunsero le risorse finanziarie del Fondo di solidarietà nazionale, la
Regione siciliana, per stimolare l’avvio dell’industrializzazione, approvò due leggi:
 Una per la promozione dello sviluppo industriale
 L’altra per favorire la ricerca degli idrocarburi
In tutti i progetti, regionali o nazionali, lo sviluppo della Sicilia avrebbe dovuto essere realizzato
dall’iniziativa privata stimolata dalle imprese pubbliche con l’obbiettivo di sviluppare l’agricoltura e lo
sfruttamento minerario del territorio. In seguito alla scoperta dei giacimenti petroliferi, che tante speranze
aveva suscitato in Sicilia, i grandi complessi oligopolistici nazionali ed internazionali scelsero di affidare
all’isola le lavorazioni di base. Cosicché, l’attività industriale della Sicilia si sviluppò soprattutto in rami dove
lo sviluppo occupazionale era limitato, cioè a dire in imprese ad alta intensità di capitale, come quelli
dell’ENI a Gela. Nella zona industriale di Catania si svilupparono numerose iniziative imprenditoriali di
medie e piccole dimensioni orientate in parte verso la fabbricazione di beni durevoli e in parte verso quella
di generi di consumo. La regione siciliana emana il 5 agosto 1957 una legge contenente una serie di
interventi classificabili in 2 categorie: quelli diretti verso l’incentivazione aggiuntiva riguardanti le iniziative
industriali e quelli indirizzati verso la gestione diretta di imprese siciliane mediante la costituzione di società
finanziarie. Vennero inoltre introdotte consistenti agevolazioni fiscali e istituti presso l’IRFIS (istituto
regionale di finanziamenti alle industrie Siciliane) due fondi: il primo finalizzato alla concessione di prestiti
per scorte delle industrie che svolgevano la loro attività esclusivamente in Sicilia. La ganda novità, destinata
ad incidere sul futuro economico siciliano, fu la costituzione della SOFIS che aveva il compito di agevolare le
iniziative industriali regionali nella fase di avvio. La SOFIS si trovò a gestire, nei primi anni Settanta, oltre
quaranta aziende che, tranne qualche raro caso, stavano entrando in crisi per mancanza si imprenditori
qualificati in grado di gestirle. Altro ente pubblico regionale che ebbe un percorso simile alla SOFIS fu l’Ente
Minerario Siciliano(EMS), costituito nel 1963 con il compito di risistemare il settore zolfifero. Il suo destino
era segnato poiché le aziende da gestire producevano forti perdite annuali. Il 27 ottobre del 1953 dalla
profondità di 2.122 metri sgorgò un metro cubo di miscela fatta di petrolio, gas e fango, rivelando
l’esistenza del petrolio nel sottosuolo siciliano. La capienza del giacimento venne stimata in milioni di
tonnellate e il suo valore fu calcolato in migliaia di miliardi di lire. Riaccese la speranza che anche in altri siti
doveva esserci il petrolio, per cui venne intensificata la ricerca anche da parte dell’ENI (ente nazionale
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idrocarburi) di Enrico Mattei, il quale era stato sempre convinto che in Sicilia esistessero risorse minerarie e
petrolifere. La battaglia fra i giganti dell’industria petrolifera si conclude con il ritrovamento di nuovi pozzi a
Ragusa e Gela e la costruzione di alcuni grandi impianti per la raffinazione del petrolio greggio sia estratto
dai pozzi siciliani che importato dall’estero, finendo col concentrare nell’isola la grande industria chimica di
base. La Cassa per il Mezzogiorno assunse un atteggiamento favorevole agli investimenti nelle grandi
imprese petrolchimiche che erano in linea con una industrializzazione compatibile con lo sviluppo
economico settentrionale. Tra il 1973 ed il 1978, ci fu una crisi petrolifera, spegnendo le speranze di
industrializzazione della Sicilia. Comunque, tale tipo di sviluppo industriale, non potendo soddisfare la forte
richiesta locale di posti di lavoro, aveva costretto moltissimi siciliani a lasciare la Sicilia dopo essere stati
espulsi dalla campagna. Inizialmente ci fu una migrazione interna dalle aree rurali a quelle urbane alla
ricerca di un’occupazione nell’edilizia. Successivamente la migrazione si orientò verso le altre regioni
Italiane, cioè a dire verso il triangolo industriale italiano (Genova – Torino – Milano). Una conseguenza di
grande rilievo fu la diminuzione della popolazione agricola rispetto a quella urbana e, non meno
importante, fu la creazione di rapporti saldi e duraturi fra l’Isola, il resto d’Italia e molti paesi europei,
accrescendo il sentimento nazionale e quello europeista.
Il declino industriale della Sicilia
Agli inizi degli anni ’60, la SOFIS (società finanziaria siciliana) si trovò a gestire oltre una quarantina di
imprese nelle quali cominciavano a profilarsi perdite più o meno consistenti soprattutto nel ramo
metalmeccanico dove emergeva il problema dell’inefficienza imprenditoriale. La situazione era talmente
critica che costrinse la regione siciliana a costituire nel 1967 L’Ente Siciliano per la Promozione Industriale
(ESPI). Questo tipo di imprenditoria venne alimentato finanziariamente da un marcato credito agevolato e
contribuì ad una ripresa industriale della Sicilia nel corso degli anni ’80. La debolezza del tessuto
imprenditoriale siciliano, sia endogeno che esogeno, caratterizzerà l’industria isolana, nonostante la
disponibilità delle banche a fornire coperture creditizie. Infatti, la nascita di iniziative industriali risulterà
scarsamente auto propulsiva sia per l’inquinamento della criminalità organizzata che per gli effetti della crisi
finanziaria che bloccherà il sistema creditizio. Il credito agevolato, distribuito senza alcuna selettività aveva
creato inefficienza e scarsa produttività. Il debole meccanismo di crescita del sistema economico nel suo
complesso si arresta non solo per i suoi legami con la spesa pubblica ma anche per le infiltrazioni della
criminalità organizzata. Indipendentemente dal sistema finanziario, il tessuto imprenditoriale siciliano
risultava carente di infrastrutture essenziali e accompagnato da un apparato amministrativo-burocratico
inefficiente e quindi con poche speranze di migliorare la sua produttività. Accentuò la tendenza ad
accrescere il valore aggiunto nel settore dei servizi, mentre nel settore primario esso mantenne valori
elevati con un forte miglioramento qualitativo. La rete stradale era caratterizzata da inadeguatezze
infrastrutturali; avveniva per la rete ferroviaria, per il trasporto stradale e gli entroterra portuali. Gli ortaggi
della Sicilia sud-orientale, mediante la coltivazione in serra, conquistano molti mercati, come ad esempio i
pomodorini di Pachino. La coltivazione della vite dà luogo alla produzione di ottimi vini, sia rossi che
bianchi, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. L’affermazione a livello internazionale ha acconsentito ad
alcuni vini di acquistare il marchio ‘doc’. Ovini, caprini ed equini sono allevati soprattutto nella provincia di
Ragusa. Restano, come attività estrattiva principale, i pozzi di petrolio di Ragusa e quelle delle piattaforme
petrolifere al largo di Gela. Sono presenti in Sicilia anche i giacimenti di gas metano e quelli di marmo
(perlato di Sicilia) di Custonaci(Trapani). Il livello di industrializzazione dell’Isola non è assolutamente
paragonabile a quello del settentrione ma è leggermente superiore alla media del Meridione grazie alla
presenza di grandi stabilimenti e di numerosi distretti industriali concentrati nella piana di Gela, nel
Siracusano, a Milazzo ed Enna.

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