Arche Ologia Dellarchitettura Dellitalia Medievale
Arche Ologia Dellarchitettura Dellitalia Medievale
Da sempre gli storici e gli archeologi affrontano lo studio delle varie epoche scomponendole in blocchi e
individuandone i confini cronologici. In una parola sola: periodizzazione. La periodizzazione serve, perché ci
aiuta a non essere travolti dal flusso della storia e a comprenderla, permettendoci di indirizzare l’attenzione
su periodi ben circoscritti. E ha un senso: quando separa e distingue blocchi cronologici che possono
comprendere situazioni molto diverse tra loro.
Con un’avvertenza: le periodizzazioni sono scelte soggettive, arbitrarie, che possono essere influenzate da
molti fattori; primo fra tutti il taglio (metodologico, di contenut) con cui si affrontano i periodi.
Es, rispetto ad un arco di tempo, alcune periodizzazioni possono funzionare meglio per gli storici e altre di
più per gli archeologi.
Il Medioevo è un periodo molto ampio, che dura all’incirca un millennio. L’inizio si colloca nel V sec.
Succedono molte cose importanti in quell’epoca, tra le quali: l’ondata delle migrazioni dei popoli germanici
e la fine dell’Impero Romano d’Occidente. A volte le date possono avere un valore quasi simbolico.
È il caso del 476, la data della caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Oggi la maggior parte degli storici
concorda che si tratta di una convenzione, e che quella data fu solo l’anno della deposizione dell’imperatore
Romolo Augustolo. Ma le date possono anche segnare dei reali punti di svolta. Es,
il 24 agosto 410, il primo giorno del sacco di Roma dei Got. E poi, l’11 settembre, un atto terroristico dalla
portata devastante sul momento. Il
V sec è stato denominato “alto Medioevo”, ovvero il primo segmento in cui viene suddiviso l’intero
medioevo. Il periodo che va dal IV sec al VII si è affermata come “tarda Antichità”. Il termine ha avuto
successo perché dimostra quanto il mondo che ha inizio nel IV sec sia diverso dal precedente.
In occidente è l’epoca delle invasioni dei regni romano-barbarici. Inoltre, sul piano economico in questo
lungo arco di tempo non viene meno il commercio del Mediterraneo, quello che connetteva Roma a
Cartagine e a Bisanzio. Ne consegue che l’alto Medioevo dovrebbe cominciare nel VIII sec, epoca in cui il
mondo risulta trasformato in maniera sensibile. L’alto Medioevo finisce anch’esso con una data simbolica:
l’anno Mille, come rappresentativo di una fascia temporale durante la quale ebbe luogo “la mutazione
feudale”, uno dei tratti più significativi dei secoli successivi. Qui avviene un’altra sotto-periodizzazione.
I secoli XI-XIII mostrano caratteristiche particolari, diverse da quelle dei precedenti e dei successivi:
caratteristiche che coinvolgono la vita economica, politica, sociale. E sul versante archeologico, gli stessi
secoli vedono l’affermazione di fenomeni ed elementi che prima erano comparsi da poco o assenti.
Due esempi: l’incastellamento, ovvero la moltiplicazione e la diffusione capillare degli insediamenti
fortificati in tutta Europa; e del balzo tecnologico che vede l’affermazione sui mercati delle ceramiche
rivestite e smaltate. A questa sotto-periodizzazione è stato dato un nome: i “secoli centrali del Medioevo”.
A questa suddivisione ne esiste una accezione larga del basso Medioevo, che dipende dalla data di svolta
che si intende adottare: il 1348, anno della peste nera che decimò la popolazione europea; il 1453, anno
della conquista di Costantnopoli; o il 1492, anno della scoperta dell’America.
L’archeologia tende ad allinearsi a queste periodizzazioni del Medioevo, facendole proprie; ma è anche in
grado di fornire dati per nuove ripartizioni del tempo, a seconda degli elementi disponibili. La
periodizzazione è un cantiere sempre aperto.
La geografia non è solo lo sfondo della storia, è storia essa stessa. Serve, la geografia, se vogliamo orientarci
nella storia, e serve anche se vogliamo farlo attraverso l’archeologia. Solo grazie alle conoscenze di
geopolitica, riusciamo a contestualizzare i rinvenimenti e i siti archeologici. Li possiamo contestualizzare
geograficamente, ma anche dal punto di vista storico culturale. La geografia e la geopolitica: sono bussole
per la navigazione dentro il passato.
Mappe
L’Italia tardoantica è uno spazio unitario. L'unica suddivisione del territorio ha un carattere amministrativo:
al nord l'Italia Annonaria, al centro sud l'Italia Suburbicaria. Le città sono i gangli dell'attività politica e
commerciale; sappiamo grazie a Plinio che in Italia, alla sua epoca (I sec d.C.), si contavano circa 370 abitati,
più o meno un terzo venne abbandonato durante l'alto medioevo. Tra le città esiste naturalmente è una
gerarchia; in testa abbiamo la capitale dell’impero d'occidente, poi in sequenza tre città diverse: per prima a
Roma, capitale fino a 286; e poi Milano fino al 402; e infine Ravenna fino al 751. Roma è la città più
importante dal punto di vista religioso, con la presenza del pontefice dei suoi innumerevoli Santuari. Il
regno goto non modifica la situazione; l'Italia resta un territorio unitario. I Goti che entrano nella penisola
alla fine del V sec sono 100.000 in tutto e i loro insediamenti si concentrano nell'Italia del nord est e in parte
del centro. Quindi pochi elementi di popolazione gota distribuiti in un territorio piuttosto grande. Il re
Teodorico sceglie Ravenna come capitale, ma è attento anche al mantenimento degli altri insediamenti
urbani. Altre città vengono potenziate, e si affacciano così alla ribalta: tra tutti Pavia e Verona, sedi regie dei
palazzi. Questa situazione permane fino al 535, anno in cui scoppia il conflitto del Regno goto e l’impero
bizantino. Nel 540 Ravenna cade in mano ai bizantini, e nel 553 termina la guerra.
I Longobardi provengono dalla pannonia (Ungheria), attraversano le Alpi Giulie ed entrano in Italia nel
568/569: inizialmente un nucleo consistente di popolazione si fa strada nell’area padana, dove prende
possesso di una zona tra il Friuli, il Veneto, Lombardia e il Piemonte. Altri 3 nuclei, si spingono verso il centro
sud: il primo conquista la Tuscia lungo il corso dell'Arno; il secondo Spoleto; e il terzo, Benevento e i suoi
dintorni. Le conquiste porta ad un ampliamento la “Longobardia Major” dove risiede il re e che comprende
l'area padana e la Tuscia; e la “Longobardia Minor”, cioè i ducati di Spoleto e Benevento. Verso la metà del
VII sec, al tempo del re Rotari, la Longobardia Major si amplia venendo ad includere anche la Liguria.
Aumentano anche i ducati del centro sud. A metà dell’VIII sec, in seguito alle conquiste del re Astolfo, i
Longobardi riescono ad i padroni russi di Ravenna e della zona delle Marche, raggiungendo così l'unione tra
Longobardia Major, ducato di Spoleto e di Benevento. La penisola non viene unificata perché varie zone
restano in mano ai bizantini, ma senza dubbio questo è il momento di massimo sviluppo del Regno
longobardo. La capitale del Regno cambia per tre volte, al momento della conquista, e Verona; poi passa per
un breve periodo a Milano, infine a Pavia. Uno degli aspetti più interessanti è la nuova gerarchia urbana.
Città prima secondaria ora diventa novena e proprio cardine dell’assetto territoriale. È il caso
di Cividale, Spoleto e Benevento, prima municipi ed ora Ducati; ed è il caso di Lucca, città strategica tra
l'appennino e la costa. Le città restano i gangli da cui controllare il territorio, e le sedi dei principali
funzionari dello Stato: i duchi e poi i gastaldi.
Il regno longobardo se in terza e già in un periodo in cui l'Italia divisa in due. La capitale della provincia
bizantina d'Italia è Ravenna, dove risiede il governatore (esarca; la Romagna assume il nome di esarcato).
Il resto delle aree bizantine e suddiviso in Ducati, il più importante è quello di Roma.
Quest'ultimo è collegato a Ravenna attraverso la via Flaminia. Buona parte della penisola in questo si
configura come una zona militarizzata. Oltre all'esarcato e il Ducato di Roma, restano possessi bizantini
anche la Liguria; la fascia costiera del Veneto; parte dell’Umbria, con il Ducato di Perugia; la Puglia e la
Calabria; alcune città costiere della Campania; la Sicilia e la Sardegna.
3. L’Italia Carolingia.
Nel 774 l'esercito di Carlo Magno sconfisse i Longobardi e il loro regno venne incorporato a quello dei
franchi. Il sovrano, poi divenuto imperatore nell’800, non procedette mai all’unificazione della penisola. Nel
corso del tempo, prende corpo una tripartizione: i Franchi amministrano l’area padana, la Toscana e il
ducato di Spoleto (dove il controllo è esercitato attraverso le figure dei conti e dei marchesi); il Papa estende
il suo dominio sul Lazio, la Romagna e le Marche; e i Longobardi superstiti detengono la maggior parte del
Meridione; i Bizantini, continuano ad amministrare parete della Calabria e la Sicilia. Le città
più importanti del Centro-nord restano le stesse: la capitale, in mano ai Franchi, è Pavia, ma ad Est si
registra l’affermazione di Venezia. Altre novità vengono poi dal Sud: il principato di Benevento è interessato
da alcune scissioni, e vede la nascita dei principati di Salerno e Capua. Il IX sec vede l’entrata in gioco di una
nuova potenza: gli Arabi, che conquistano la Sicilia e poi la Puglia: Taranto e Bari.
Dopo la fine dell’impero carolingio si verificano tentativo di coordinare l'Italia settentrionale in un unico
regno, primo quello di re Ugo. In realtà l'obiettivo sarà raggiunto dal re di Germania, Ottone I, poi
imperatore. Il Papa resta il principale interlocutore politico per la zona centrale della penisola, poi che
detiene il territorio detto “Patrimonio di San Pietro”. A sud prosegue l'esperienza dei principati Longobardi,
cui ora si affianca una rinnovata supremazia bizantina con Puglia, Basilicata e Calabria. Insomma: l'impero
estende ora il suo controlla buona parte dell'Italia meridionale. È importante segnalare nel X sec l'emergere
e l'affermazione le città marinare: Venezia e poi Pisa, Genova e Amalf. Contemporaneamente, nel
meridione bizantino si registra la proliferazione di nuove fondazioni urbane (Catanzaro e Troia). Questi
fenomeni sono indici di una attività economica e di una sensibile ripresa demografica. Il X sec e l'epoca
dell’incastellamento. Autorità civili, nobili, vescovi, sono coinvolti nella creazione di fortificazioni, che
servono principalmente a difendere i propri possedimenti. Il fenomeno dell'incastellamento avrà vita lunga,
e proseguirà fino al XIV sec.
Nel pieno medioevo, la situazione della geopolitica italiana si fa sempre più frammentata e meno facile da
seguire. I fenomeni più importanti sul piano dell’assetto politico territoriale sono principalmente due.
L'affermazione della civiltà comunale nell'Italia centro settentrionale: dalla fine del XI sec molte città
iniziano a rendersi autonome dandosi propri organi di governo, e ad estendere il loro dominio.
Il secondo è la lenta invasione dei Normanni nel meridione, a partire dagli anni 30/40 dell’XI sec. Il
primo insediamento consiste in due nuclei ristretti disposto tra puglia e Campania, fra Trani e Melfi; il
secondo nella Campania costiera, presto la città di Aversa. A questi due segue un'espansione notevole, che
nella seconda metà del XII sec porta all'unificazione di buona parte del Mezzogiorno, Sicilia compresa.
Quello dei Normanni è un regno unitario, nel quale le città ricoprono un ruolo di rilievo assoluto.
In molti casi le città vengono fortificate con la costruzione di castelli urbani, per consentire un controllo
militare.
1878: Claudio e Edoardo Calandra, scava nel cimitero altomedievale di testona, non lontano da Torino.
Questa è stata giudicata “la prima scoperta scientifca di una necropoli longobarda”. I primi vagiti nel
nostro paese, i primi tentativi di mettere insieme le parole “archeologia” e “Medioevo”, avvengono proprio
in quel periodo. Il Medioevo, bene o un male, è un segmento di quelle storie; l'archeologia sta iniziando
solo ora a diventare una professione, e in buona parte resta un hobby per i borghesi e gli aristocratici. È
il caso del Conte Paolo Vimercati Sozzi, collezionista e antiquario, ma ce ne sono molti altri: appassionati
dilettanti, interessati al Medioevo. Poi abbiamo “medievisti per caso”: archeologi di ben altro livello, che
durante i loro scavi si imbattono nelle stratificazioni medievali a causa della loro posizione più alta nei
depositi. Così, ad esempio, illustri studiosi di preistoria come Luigi Pigorini o Pellegrino Strobel, nel corso
delle loro ricerche, documentano anche insediamenti medievali.
Il caso di Gaetano Chierici si discosta leggermente da questi, anche se condivide alcuni tratti.
Insomma, ogni tanto, archeologi di buona levatura si imbattono nel medioevo, e lo documentano con
un'attenzione. Poi ci sono gli studiosi più accorti, tra tutti Paolo Orsi e Giacomo Boni. Orsi
in Sicilia e in Calabria farà ritrovamenti di grande rilievo scrivere le pagine importantissime egli documenta
chiesa, momenti, villaggi, reperti di vario genere. Boni è uno dei più importanti archeologi italiani, ed è agli
inizi che è davvero interessato al medioevo: lo dimostra un exploit straordinario, dedicato al campanile di
San Marco a Venezia. Si discute sulla forma delle fondazioni della torre, alcuni sostengono che abbiano
forma rettangolare, altri a cerchio e altri ancora a stella. Boni tira fuori l'uovo di Colombo: scaviamo, e
vediamo come sono per davvero, queste fondazioni. E così, esegue uno dei primi scavi di un monumento
medievale, e non per riportarlo alla luce, ma per verificare la struttura delle sue fondazioni. Insomma: uno
scavo per la ricerca, al tempo stesso propedeutico al restauro. Questa competenza, e interesse per il
medioevo monumentale, Boni li porterà con sé nella sua carriera, schedando indagando chiese e castelli
medievali. Accanto a Orsi e Boni vale la pena di segnalare anche Alfredo d'Andrade, questo
contemporaneamente è impegnato negli studi di architettura del medioevo e restauratore, ma si muove
anche nel campo dell’archeologia, indagando spesso i monumenti medievali, come la cattedrale di Torino o
Palazzo Madama. Eppure, non è ancora il momento dell’archeologia medievale. L'unico segnale, da parte
della generazione successiva, proviene dalla parabola del lombardo Ugo Monneret de Villard. Monneret
scava monumenti medievali in Italia all'estero, e si dedica in modo intensivo allo studio di vari aspetti del
medioevo. Ma soprattutto: è lui il primo docente universitario di una materia intitolata “Archeologia
Medievale”, però, siamo di fronte ad un’esperienza isolata e senza seguito: bisognerà aspettare il 1966, con
Michelangelo Cagiano de Azevedeo alla Cattolica.
Nelle altre nazioni fare archeologia medievale significa indagare le proprie origini, dopo la dominazione
romana; nel nostro paese il medioevo è percepito come un periodo oscuro, negativo, durante il quale l'Italia
è stata invasa da vari popoli stranieri: è invece l'età romana il vero momento fondativo della nazione. E
quindi l'attenzione viene convogliata unicamente in quella direzione, senza spazio per altre archeologie di
età storica.
Un caso a parte è costituito dall’archeologia cristiana, con la quale ha sempre condiviso alcune convergenze.
In generale, l’archeologia medievale è un'archeologia indirizzata verso lo studio delle necropoli “barbariche”
di Nocera Umbra e Castel Trosino e, più raramente, dei monumenti e degli insediamenti.
Nel secondo dopoguerra le cose cambiano: si registra una consapevolezza diffusa sulla possibilità di
accostare le parole archeologia medioevo anche in Italia. Un impulso forte viene da uno storico, Giampiero
Bognet, interessato a temi portanti della storia d’Italia nell’alto medioevo. Bognet promuove due scavi
importanti: uno nell'isola di Torcello, per far luce sulle origini di Venezia; e l'altro nel castrum tardoantico di
Castelseprio, presso Varese. Per realizzare tutto questo, egli si rivolge ad un’equipe Polacca. Ma i polacchi
non sono i soli stranieri ad occuparsi del medioevo in Italia. Ci sono i britannici della “British School” di
Roma, che eseguono scavi sulla lunga diacronia nell'ambito del progetto “South Etruria Survey” e studiano
le produzioni ceramiche; ci sono i francesi in Sicilia; gli svedesi nel Lazio; i tedeschi, impegnati in scali di
fortificazioni, come il castrum di Invillino, in Friuli, mediante lo studio degli oggetti nei musei, settori in cui
eccelle Otto Von Hessen. E si creano occasioni di scambio proficuo tra gli italiani e gli stranieri.
In questo periodo si costituiscono gruppi di lavoro italiani, dediti alle ricerche archeologiche sul medioevo.
Succede in Liguria, dove il promotore e Nino Lamboglia: un archeologo stratigrafo con un'impostazione
diacronica, che studia in prima persona monumenti e siti di epoca medievale stimola le ricerche del giovane
Tiziano Mannoni; quest'ultimo, fondatore del “Notiziario di archeologia medievale” e dell'Isttuto di Storia
della Cultura Materiale, sarà uno dei protagonisti dell’affermazione dell’archeologia medievale. Un
altro gruppo viene a crearsi in Toscana, dove gli allievi dello storico Elio Conti, tra tutti Riccardo Francovich,
avviano scavi archeologici in maniera sempre più intensiva.
In Sicilia, a Palermo, lo storico Carmelo Trasselli fonda nel 1971 il gruppo di ricerche sull’archeologia
medievale (GRAM). In effetti, un comune denominatore è la ricerca di un dialogo tra storici e archeologi.
Nella stessa epoca apre il museo dell'alto medioevo, a Roma e nasce anche la rivista “Alto Medioevo”. Si
avverte un bisogno crescente di archeologia medievale; è solo l'inizio: gli insegnanti e il catetere si
moltiplicheranno ben presto su buona parte del territorio nazionale.
Se dovessimo indicare un anno di nascita per l'archeologia medievale italiana, allora quello sarebbe il 1974.
È l'anno in cui Riccardo Francovich fonda la rivista “Archeologia Medievale”. Le riviste sono i luoghi del
confronto e del dibattito. Siamo un po’ in ritardo rispetto all’Europa. Francovich è senz'altro la figura
dominante in questo panorama egli ha diretto innumerevoli scavi e progetti, fino all'ultimo: l'ambizioso
“Archeologia dei paesaggi medievali” dei territori urbani e rurali della Toscana. Tra
i più importanti bisogna ricordare quello del castello di Montarrenti, in collaborazione con un team di
britannici guidati da Richard Hodges, mentre Graeme Barker effettuava la ricognizione nel territorio
circostante; o quello di Rocca San Silvestro, un castello nato per il controllo dell’estrazione e della
lavorazione dei metalli. Ha poi lavorato all’Atlante dei siti d'altura della Toscana, indagini di archeologia
urbana a Siena e a Firenze. Francovich ha lasciato un segno davvero profondo nell’archeologia medievale
italiana. Nel frattempo, gli archeologi stranieri hanno continuato a dare il loro apporto; tra gli scavi più
importanti: quello del monastero di San Vincenzo al Volturno in Molise, ideato e diretto da Richard Hodges
(e poi da Federico Marazzi); e quelli nei castelli del Lazio, tra tutti Caprignano, indagati dagli archeologi
dell’Ecole française di Roma, attivi anche in Puglia e in Calabria sulle tracce dei Bizantini e dei Normanni.
Il contributo degli stranieri si è fatto sentire grazie all'affermarsi di alcuni temi di ricerca, tra tutti
l'archeologia urbana. Il primo scavo stratigrafico urbano di ampio respiro, davvero attento alle fasi
medievali, è quello di Colle San Silvestro a Genova, che dal 1971 vede collaborare Tiziano Mannoni con gli
archeologi inglesi Hugo Blake e David Andrews.
Successivamente Blake sposta i suoi interessi su Pavia, è proprio questa città l'oggetto del volume di un altro
inglese, Peter Hudson. Egli ha il merito di portare in Italia la tradizione metodologica di studi sulle aree
urbane sviluppata in Gran Bretagna dal secondo dopoguerra; di lì a poco verrà avviato, a Roma, il progetto
di scavo della Cripta di Balbo, diretto da Daniele Manacorda. Si può dire perciò che l'archeologia medievale
abbia aperto la strada all'archeologia urbana in Italia. Un’altra tappa fondamentale della maturità della
disciplina è sicuramente la creazione della Società degli Archeologi Medievisti italiani (SAMI) nel 1994.
Il punto di partenza: la “Notitia Dignitatium”, un documento di età tardoantica che illustra la struttura
dell’impero: le cariche dei vari funzionari, le legioni dell’esercito e l’articolazione dei territori in province. Il
testo comprende alcune raffigurazioni, e in queste colpisce la centralità della città. Il
territorio è punteggiato esclusivamente da città e fortezze e nella vignetta dedicata all'Italia sono riprodotte
le Alpi, e l'intera provincia è sintetizzata in un'unica città fortificata. Un'Italia fatta di città. Il
punto di arrivo: la “Galleria delle carte geografche” nel palazzo del Vaticano, a Roma. Ma
ancora una volta cartografare la penisola significa indicarne le molte città. L'idea dell'Italia con molte città
aveva preso corpo da prima dei romani, con i vari centri fondati dalle popolazioni locali dai colonizzatori
greci. Nei secoli della Repubblica e dell'impero si definisce una scacchiera urbana molto densa e articolata.
a) Le capitali: Le città sono i luoghi nevralgici il primo posto spetta alle capitali, le sue dita alle quali si
amministra il governo conto come capitale dell'impero, Roma non dura neanche tre secoli, smette
di esserlo nel 286, quando il ruolo viene trasferito a Milano e poi a Ravenna. La città vanta una
posizione migliore, rispetto a Milano, ed è più vicina di Roma la zona centrale dell'intero. Insomma,
Ravenna si difende meglio. La città si affaccia sul mare adriatico, perché lavoro in comunicazione
con la più importante capitale dell’impero, Costantinopoli. Ravenna dopo la caduta dell'impero
continuare a svolgere il ruolo di capitale, prima sotto i Goti, poi sotto i Bizantini. Una sequenza
che ha segnato la città, lasciandoli nella vita momenti straordinari per il quale è conosciuto in tutto
il mondo. Nel 568/569, i Longobardi entrano in Italia e nasce il loro legno. La creazione di
questo Stato provoca percussioni sulla geografia urbana della penisola. Innanzitutto, le capitali si
moltiplicano: ora l'Italia è divisa in territori Bizantini e Longobardi, mentre i bizantini scelgono
Ravenna, i Longobardi cambiano per ben tre volte la capitale. All'inizio Verona, scelta dal re Alboino
nel 569; poi Milano e infine Pavia. Quest'ultima resterà una delle città più importanti della penisola,
residenza dei re, anche durante il dominio dei franchi.
Successivamente, gli Stati si moltiplicano, il territorio si frammenta e bisogna tenere presente che le
promozioni lasciano un segno profondo nella città, che vengono attrezzate per quello scopo: con
nuovi monumenti e adeguate infrastrutture. Roma, anche se non è più capitale, resta per la sua
importanza storica, la centralità religiosa, le dimensioni, la vitalità commerciale e politica, una sorta
di capitale ombra, la seconda città più importante d'Italia, durante l'intero medioevo.
b) Le altre città: cambiamenti di status, scomparse e nuove fondazioni: oltre alle capitali, ci sono
tutte le altre città e cambia anche l’assetto generale. I fenomeni principali sono tre. Il primo riguarda
lo status che riescono a raggiungere le diverse aree urbane. La loro importanza in base alle esigenze
del momento. Nella prima categoria rientrino Cividale del Friuli, una città che è sotto il dominio
longobardo diventa sede di uno dei più importanti ducati; e lo stesso accade per Spoleto e
Benevento. Anche Lucca arriva a ricoprire un ruolo più centrale a partire dal VI sec.
Così come Rimini, che durante il dominio bizantino diventa sede di un duca; o Otranto, che prevale
sull’antica Brindisi. Nell'altra categoria, delle città che perdonò importanza, possiamo collocare
Aquileia (In Friuli) e Luni (In Toscana).
I motivi della parabola discendente di questa città sono diversi, entrambi i casi attinenti al loro
aspetto essenziale: la fortuna di Aquileia è legata al suo porto, che però entra in crisi quando più a
sud si affermano Ravenna e la sua città portuale, Classe; quella di Luni è invece strettamente
connessa alle cave di marmo delle Alpi Apuane, il cui sfruttamento termina in età tardoantica.
Però, queste due città non scompaiono del tutto: a tenerlo ancora in vita e la presenza di una
cattedrale, e quindi di un vescovo. Aquileia e Luni ti dimostrano che il peso amministrativa della
città può bastare a prolungarne l'esistenza. In altri casi le città scompaiano e basta, senza alcun
seguito, ovunque, dal nord al sud. Questo fenomeno spesso a che vedere con il passato, con lo
sforzo di urbanizzazione romana. Es, Il Piemonte meridionale: qui varie città iniziano a scomparire
dal III sec (Pollentia, Augusta Bagiennorum, Pedona), e nessun nuovo centro viene creato per
rimpiazzare le perdite. Questo perché i romani avrebbero fondato troppe città rispetto alle esigenze
e alla reale portata demografica di quell’area. Una proposta convincente, se si considera il fatto che
l'urbanizzazione Roma non è soltanto un fatto funzionale, ma un ampio programma politico e
propagandistico: un programma che ha un senso finanza terminato il momento del ciclo di vita
dell’impero, e quindi non servivano. Una situazione diversa è quella di Siena a creare nell’Italia
settentrionale, sulla costa del nord est. Anche qui svariate città scompaiano: Aquileia, Iulia
Concordia, Altinum; vengono fondati però nuovi centri, come Grado, Civitas Nova/Heraclea,
Equilo, Caprulae, che si sostituiscono a quelli perduti. I casi di Grado ed Heraclea sono indicativi:
molte delle nuove città nascono come fortezze. Semplicemente succede che in questa zona, nella
quale Longobardi premono da nord, l'amministrazione imperiale reagisce al periodo creando centri
fortificati. Alcuni avranno successo come Ferrara, che è una delle poche aggiunte sostanziale e
vincenti di quel periodo allo scacchiere il bando dell’Impero Romano. Altre nuove fondazioni sono
volute dai sovrani, come Theodericopolis, voluta da Teodorico nella zona dell’Alto Adige; o Sicopoli
(da Sicone, il principe di Benevento), fondata in Campania presto il fiume Volturno.
Ma alla fine queste nuove fondazioni devono soddisfare esigenze di carattere propagandistico, e
nella maggior parte hanno una vita breve. Se ci spingiamo oltre nel tempo, e consideriamo l'alto
medioevo, la situazione non cambia. Le nuove fondazioni ora sono poche e gli sforzi si concentrano
soprattutto sulla città esistenti: si provvede al loro funzionamento e se nei restauri uno degli
elementi fondamentali come le mura (succede a Roma, a Benevento). Però ci sono delle eccezioni,
la prima è Venezia. I dati confermano che la città inizia a prendere corpo nel corso del IX sec.
Un indizio è la nuova datazione gli impianti per la lavorazione del vetro a Torcello, ora anticipata al
IX sec. Venezia è l'elemento più importante, la novità più preziosa e vincente è prodotta dall’alto
medioevo, una città che arriverà al centro di un vero e proprio impero commerciale, di una delle
principali potenze economiche. La seconda eccezione la fanno alcuni padri, senz’altro Leone IV con
la creazione di qualcosa che in effetti è meno di una città, ma così viene chiamata: la città Leonina,
cioè la fortificazione del Vaticano. Una città annessa alla città, le cui mura sono un prolungamento di
quelle di aureliano. Pur non essendo una vera città, però mega dopo avere chiesto l'autorizzazione
all'imperatore, Papa Leone IV compie tutta una serie di gesti che lo assimilano ad un sovrano
costruttore: la processione, la benedizione del circuito, la posizione delle iscrizioni sulle porte.
Insomma, la fortificazione del Vaticano non è esattamente la creazione della nuova città, mai il
cerimoniale scelto dal Papa ecco eccepito perché venga percepita come tale. Altre
misure analoghe vengono prese nel IX seca protezione del santuario di San Paolo e di Sant’Aurea.
Queste sono tutte fortificazioni di importanti edifici di culto, considerati a rischio di saccheggio. È
nel cuore del Lazio, nella zona di Tolfa che Leone IV fonda un nuovo centro per rimpiazzare
Centumcellae. Il nome è Leopoli, una città vera e propria.
a) Le infrastrutture: le mura diventano uno degli elementi più distintivi delle città. Roma fa da
apripista e da modello. L’imperatore Aureliano provvede alla costruzione di un nuovo circuito in
mattoni. Roma cessa di essere una città aperta, e grazie alla nuova cinta diviene un enorme centro
ben fortificato. Molte altre città vengono fortificate in questo periodo. In alcuni casi si provvede
soltanto al restauro dei vecchi circuiti di età repubblicana o primo imperiale; in altri si realizzano
delle piccole aggiunte. Non sono molte le città che si comportano come Roma, soltanto due:
Milano e Ravenna. A Milano le mura ampliano la città verso nord, includendo un intero quartiere.
A Ravenna, invece, il circuito più antico viene inglobato nel nuovo. Oltre le capitali, insomma,
soltanto loro crescono sensibilmente quanto a dimensioni. Un’ultima cosa riguarda i centri che non
avevano mura, e solo ora le guadagnano, come Porto, l’altro scalo portuale di Roma assieme ad
Ostia. Gli ultimi scavi hanno dimostrato che le sue mura risalgono al V sec.
Un’altra forma di fortificazione che si diffonde è quella del ridotto urbano: per rafforzare le difese, in
alcune città vengono costruite delle fortezze che possano costituire l’ultima possibilità per il centro
assediato in casso di attacco. Le fortezze vengono a volte ricavate all’interno delle aree urbane,
come Cosa, in Toscana. Altre si trovano immediatamente all’esterno, come Trento. Mura, e
poi fortezze, non sono però le uniche infrastrutture necessarie al funzionamento di una città.
Ovviamente servono le strade. Spesso si tende a mantenere in funzione gli assi stradali antiche,
restaurandone la pavimentazione in blocchi di basalto; altrimenti le nuove pavimentazioni tendono
a sovrapporsi a quella antica. In altri casi si creano nuovi percorsi. In entrambi questi casi, i fondi
stradali possono essere in terra battura, o costituiti da migliaia di frammenti di ceramica pressati
nella terra. Accanto a queste soluzioni bisogna segnalare un tipo particolare di strada: la via
porticata, creata per sottolineare l’importanza degli edifici che ne costituiscono i terminali. A
Ravenna una strada di questo tipo metteva in comunicazione la cattedrale con il palazzo imperiale; a
Roma i santuari più importanti erano collegati alla città proprio grazie a sistemazioni di questo
genere; come accade a Milano, nel caso della basilica dedicata agli Apostoli.
Assieme alle strade vanno ovviamente le reti fognarie, dove si registra uno dei punti di maggiore
trasformazione del sistema urbano: salvo alcune eccezioni, Pavia e Fano, si tende infatti a non
effettuare la manutenzione dei condotti, che spesso finiscono per intasarsi.
Il fenomeno è collegato allo smaltimento dei rifiuti, sempre meno regolato in maniera sistematica.
A questa esigenza si risponde scavando delle apposite buche come discariche, o adoperando come
discariche alcuni ambienti o edifici antichi in disuso.
Ancora un ultimo accenno agli acquedot. Queste infrastrutture monumentali vengono sottoposte
a restauro, come nel caso di un noto intervento di Teodorico all’acquedotto di Ravenna. Ma
spesso non abbiamo fonti scritte né tantomeno archeologiche; siamo quindi portati a pensare che
gli acquedotti smettano di funzionare proprio per questo periodo. La moltiplicazione dei pozzi,
registrata all’interno di molte aree urbane, è un’evidente conseguenza di questo fenomeno.
b) Il paesaggio monumentale: durante la tarda Antichità le città italiane si trovano ad ereditare un
patrimonio monumentale di portata gigantesca: fori, templi, teatri, anfiteatri, e poi terme, stadi…
Questi relitti del passato, che avevano costituito l’essenza dell’urbanesimo, sono ancora utilizzati
con le loro specifiche funzioni; altre volte, i monumenti vengono trasformati in qualcos’altro: es, in
chiese; o vengono lasciati andare in rovina e diventano delle cave di materiale edilizio a cielo
aperto, e queste zone vengono così crivellate da fosse.
Altre volte le fornaci per la calce, con cui si fabbrica la malta, vengono impiantate proprio nei
monumenti in disuso foto dunque, la città dalle antiche raccoglie l'apparato monumentale di età
repubblicana e imperiale e lo di modella in base alle proprie esigenze. Tra i monumenti sui quali si
continua ad investire ci sono i palazzi, che sono caratteristiche delle capitali.
Tuttavia, la moltiplicazione delle cariche, la centralità delle aree urbane come centri amministrativi,
militari e religiosi, rendono necessaria anche una certa proliferazione dei palazzi, che possono
ospitare i duchi, conti e poi anche i vescovi. I palazzi di questo periodo mostrano caratteristiche
comuni dove ci sono residenze di alto rango, la cui struttura ricalca quella delle domus e delle ville
dell'aristocrazia. In altri casi il modello può avere una matrice militare, una struttura simile al
quartier generale delle fortificazioni. Ma se dovessimo individuare un elemento distintivo della
monumentalità di questo periodo, indicheremo certamente le chiese, edifici di culto cristiano, a
cominciare dalle cattedrali, la nuova categoria che si diffonda nelle aree urbane. Non
si tratta di chiese sempre uguali. Nel IV sec l'edilizia ecclesiastica assume toni notevoli, per
dimensioni e decorazioni. Il caso di Roma è emblematico, con le grandi basiliche costruite presso i
santuari dei martiri (San Pietro, San Paolo), e dentro le mura: la cattedrale (San Giovanni Laterano).
Ma Roma è un caso emblematico anche per un altro motivo: perché indica che in questo momento
un’attività edilizia così monumentale è possibile esclusivamente nelle fasce urbane, dato che dentro
le mura lo spazio è tutto occupato dai monumenti e dalle abitazioni antiche. Solo tra il
V e VI sec, si diffondono le basiliche dentro le mura e le parrocchie urbane, spesso realizzate
adattando le aule absidate delle grandi domus degli aristocratici. In poche parole: la monumentalità
di marca ecclesiastica “conquista” gli spazi urbani con un movimento centripeto, che parte da
suburbio e guadagna il centro delle città. Queste modifiche vengono messe in atto tra il IV e il VI
sec. Nel VII sec si registra una flessione, sia nel numero delle nuove chiese, sia nelle loro dimensioni.
Colpa della crisi economica, e perché non c'è più gran bisogno di costruire molte nuove chiese
dentro città che ne sono già ben fornite.
c) Il tessuto urbano: Mura nuove, mura restaurate; questi elementi fanno parte di un più ampio
tessuto connettivo. È questo comparto a dare alcuni dei segnali di cambiamento rispetto al passato.
Innanzitutto, le abitazioni. In età imperiale le tipologie sono due: le domus, case monofamiliari più o
meno grandi, la cui articolazione rispecchia quella delle ville rurali; e le insulae, cioè i grandi
condomini abitati da molte famiglie, suddivisi in appartamenti; ma parallelamente si affermano
anche altri tipi di case.
Le domus possono essere molto grandi e in molti casi la loro superficie inizia ad essere frazionata.
Gli stessi terreni ospitano abitazioni isolate che possono essere realizzate in materiale di recupero; o
in materiali deperibili, tra tutti in legno.
In generale, le case sono edifici semplici piccola pianta rettangolare con una struttura con pali
portanti, a volte su zoccolo in pietra, e dimensioni non particolarmente grandi; in alcuni casi
possono avere anche un piano superiore, e sono spesso dotate di un focolare. In alcuni contesti
sono documentate anche delle case semi interrate, con il piano pavimentale scavato ad una quota
più bassa. Non esistono argomenti decisivi per interpretare questo edificio in chiave tecnica,
attribuendogli cioè elementi Goti e Longobardi (come è stato fatto a Brescia). Si tratta di una delle
varie soluzioni costruttive adottate in quel periodo. Il frazionamento delle proprietà, e la diffusione
di tipologie di case, sono alcuni tra i più significativi fenomeni connessi alle trasformazioni della città
tutto un altro fenomeno alla crescita della stratificazione urbana. Infrastrutture per lo smaltimento
dei rifiuti vengono meno, perché nessuno si occupa in maniera sistematica della manutenzione gli
spazi urbani, e quindi creano notevoli accumuli. A questo bisogna anche aggiungere che a volte il
terreno agricolo viene portato in città, dove è possibile piantare delle coltivazioni; degli orti urbani,
testimoniati da documentazione scritta. Dal punto di vista archeologico ci imbattiamo anche un
altro fenomeno nella tarda antichità e nell'alto medioevo: la formazione dei cosiddetti depositi
Dark Earth, strati di terreno molto scuri, poveri di reperti e ricchi di materiale organico, per cause
diverse; tra queste c’è il disfacimento di strutture in legno, o proprio il riporto in città di terreno
fertile per coltivazioni. Pertanto, i depositi dark Earth hanno di volta in volta origini differenti.
Inoltre, dei diritti dei crolli non vengono rimossi, e la pavimentazione delle strade si sovrappongono
in una sequenza incessante. In poche parole: la terra, il fango, i rifiut si accumulano per vari motivi,
e la città cresce su sé stessa, anche alcuni metri. In questo periodo si inizia a seppellire i morti
all'interno delle mura urbane. Questo gesto sarebbe inconcepibile in età romana, perché per i
romani i vivi e i morti non potevano condividere gli stessi spazi, di conseguenza molti trovavano
posto fuori dalle mura. La nuova pratica di seppellire in città si difende quasi ovunque a partire dal V
sec, ci mostra quanto stiano cambiando le cose da un punto di vista culturale: ora la morte è vissuta
molto diversamente, non è più oggetto di rimozione. Le sepolture trovano posto presso
monumenti abbandonati, in ambienti inutilizzati e trasformate in discariche nei pressi delle chiese. È
un cambiamento di grande portata, che modifica l'idea stessa di gomme possa essere sfruttato e
vissuto lo spazio urbano. Un esempio notevole a Roma è la piazza dove si trova il Colosseo, che
arriva ad ospitare un ampio cimitero. Nel 523, durante il dominio dei Goti, viene allestito l'ultimo
spettacolo, “venatio” (la lotta tra gladiatori e bestie feroci). Il cimitero era proprio lì.
Ormai i morti facevano parte del paesaggio. Un ultimo aspetto riguarda l'artigianato. Le città
continua ad essere anche luoghi della produzione; ma le modalità della produzione cambiano: se
durante l'impero esistevano vere e proprie fabbriche che permettevano di raggiungere un livello
definito addirittura industriale, ora le cose vanno diversamente. La domanda è
diminuita, sia perché la popolazione è in calo, sia perché non esiste più la disponibilità economica
precedente. Gli scavi dimostrano che durante la tarda antichità nelle aree urbane si moltiplicano le
piccole Fornaci vieni con lei piccolo laboratorio artigianale dunque a volte l'impianto trovano posto
nei monumenti abbandonati, come nella vetreria installata nel V sec nella esedra della Cripta di
Balbo, a Roma; o come la fornace per recipienti in ceramica nel Capitolium di Brescia. Piccoli
impianti, che garantiscono una produzione a livello di quartiere. Accanto a questi, però, conosciamo
un caso particolare: la grande officina lago discarica è stata trovata a Roma, sempre presso la Cripta
di Balbo. Questa bottega artigianale accoglieva specialisti della lavorazione di vari materiali:
metallo, osso, legno, corno… A giudicare dagli oggetti prodotti da allora la qualità, il laboratorio era
destinata a soddisfare una domanda di alto livello, dovrebbe trattarsi di un’officina annessa ad un
monastero.
In tal caso, dobbiamo pensare che nella Roma del VII sec la Chiesa doveva svolgere un ruolo
preminente nel riuscire a organizzare la produzione artigianale, concentrando alcuni tra i migliori
specialisti in un solo luogo.
Tra il VII e l’VIII sec i monasteri sono poli principali attorno ai quali si coagula con i più alti livelli del
sapere artigianale, come dimostra anche il caso di San Vincenzo al Volturno. Sempre a Roma, a
Campo Marzio, zona della Cripta di Balbo, gli scavi ci dicono che camminare in quest'area significa
girare i cumuli di macerie, dovute soprattutto ai crolli del teatro e della Cripta di Balbo; anzi,
indicano che a forza di camminare si è venuta a creare “spontaneamente” una nuova strada, che
poi non è altro se non l'antenata dell'attuale via delle botteghe oscure.
a) Le infrastrutture: l’attività prevalente è il provvedere a ulteriori restauri nei casi in cui servano.
Succede alle Mura Aureliane, con interventi di restauro da parte dei papi. Questi restauri
consistono in risarcimenti di tratti di cortina crollati o nel rinforzo di alcune torri con fodere in
muratura. In alcuni casi, tuttavia, si realizzano anche nuove cinte. Una di queste è la fortificazione
del Vaticano; non proprio una cinta urbana, ma neanche un’opera di piccolo calibro.
Un altro intervento considerevole sono le Mura di Benevento: che vengono poi ristrutturate e
ampliate dal duca longobardo Arechi II nel VIII sec. Insomma, durante l’alto Medioevo si
mantengono in funzione le fortificazioni più antiche, e all’occorrenza se ne costruiscono di nuove.
L’esigenza difensiva resta un elemento di primaria importanza, come dimostra anche la spinta a
fortificare uno dei più importanti luoghi del potere: la zona della cattedrale e del palazzo vescovile.
Succede a Luni, a Savona, o a Reggio Emilia.
Neanche alle strade, alle fogne e agli acquedotti si segnalano grandi novità: ma solo una diffusa
attività di restauro; e una intensificazione delle tendenze, come nel caso dei pozzi.
Insomma: la soluzione dei problemi infrastrutturali è lasciata all’iniziativa dei singoli cittadini
b) Il paesaggio monumentale: la sfera monumentale delle città è segnata dall’attività dei secoli
precedenti. La maggior parte dei palazzi di carattere civile o ecclesiastico continua a svolgere le sue
funzioni. Nel VIII sec il palazzo papale del Laterano, a Roma, viene dotato di due aule absidate che
riprendono il modello standard della sala per le udienze di età tardoantica. A
volte i palazzi diventano anche luoghi della sperimentazione, accogliendo soluzioni innovative. Nello
stesso palazzo del Laterano, così come nella residenza dei vescovi di Genova, compaiono delle torri.
La torre è uno degli apporti più importanti del Medioevo all’evoluzione dell’architettura occidentale.
Sul fronte dell’edilizia ecclesiastica, si restaurano e ristrutturano gli edifici di culto più antichi; ma se
ne costruiscono anche di nuovi, grazie ad una nuova disponibilità economica derivante dalle
donazioni dei re franchi. Chiese, basiliche, santuari si moltiplicano nelle aree urbane.
Grazie ad una ripartenza notevole dell’artigianato artistico, gli edifici più antichi e quelli nuovi
vengono arricchiti da nuove decorazioni architettoniche in pietra e marmo, da mosaici e pitture.
c) Il tessuto urbano: nei secoli dell’alto Medioevo l'impianto complessivo dei centri urbani tende a
proseguire la sua trasformazione. Alcuni fenomeni, si accentuano: primo tra tutti la progressiva
rarefazione dell’abitato all’interno delle mura. A causa della distruzione dei crolli le aree libere
diventano sempre più numerose, nel tessuto urbano si fa quindi molto più lasco.
Quella che prende forma è una nuova articolazione dello spazio. La città altomedievale si configura
insomma con un abito policentrico, una nebulosa di villaggi che si rispondono all’interno dell’area
murata. Le sepolture vengono sempre più spesso riuniti in cimiteri, sempre più dentro e attorno alle
chiese: l’addensarsi delle donne nelle chiese dipende anche dalla novità di grande portata, ovvero
l'ingresso delle reliquie in città. L'alto medioevo è infatti il momento d'oro del commercio del
movimento delle reliquie dei martiri.
La volontà dei fedeli di essere sepolti presso le tombe dei santi, ad sanctos, giochi un ruolo
fondamentale nella creazione di ampi cimiteri urbani. Per questo periodo riusciamo a distinguere
meglio alcune tipologie di case: innanzitutto continuano ad esistere le forme più semplice di
abilitazione vincola ad un piano solo o a due piani, in legname o in pietra, o con mattoni di
recupero.
A vederla da fuori sembrano difficili piuttosto essenziali: dei semplici parallelepipedi, delle scatole;
all’interno possono essere suddivise da tramezzi che accolgono un focolare.
Sono così, principalmente, le abitazioni dei ceti medi e medio bassi.
Ma siamo in piena epoca del riuso, e quindi si possono sfruttare i resti dei monumenti antichi come
abitazione, lo si può fare con qualsiasi rudere: es, teatri e anfiteatri; basta occuparne le singole
arcate, e murarne l’apertura anteriore e posteriore. È quanto accade al teatro di Verona al Colosseo,
che diventino dei veri condomini. L'alto medio è un momento di riorganizzazione del corpo sociale,
un’epoca in cui si consolida e si afferma una nuova nobiltà. Le case
dell’aristocrazia altomedievale sono simili a quelle dei ceti inferiori: e divisi austeri e compatti, a due
piani; se ne differenziano per alcune caratteristiche. Innanzitutto, per le dimensioni, che sono più
grandi; poi per i materiali: in pietra, o in mattoni. Possono essere dotate di elementi aggiuntivi come
portici e solai in muratura, e a volte possono essere decorate con colonnine, capitelli e altri
elementi scolpiti; e all’esterno possono essere affiancate da elementi infrastrutturali come pozzi,
fosse granarie e pozzi neri. Inoltre, in questo stesso
periodo, si diffonde un’ulteriore maniera di abitare: la Curtis, ovvero una serie di edifici, tra cui
anche la casa, che fanno tutti capo alla stessa famiglia e gravitano su uno spazio aperto più o meno
ampio. Nelle curtes può essere inclusa anche una chiesa privata; ma anche un balneum, cioè un
ambente termale; e poi orti, arboreti, fienili, stalle e recinti per animali. L'ultimo scorcio dell’alto
medioevo, invece un momento di grande instabilità attenzione, in campagna come in città.
Un’epoca di militarizzazione del territorio, conteso tra le varie famiglie emergenti: i membri di
quella nobiltà che sia sta affermando in campo politico ed economico il prezzo di duri conflitti. Il
“secolo di ferro”, così è stato definito. E allora, decolla il fenomeno dell'incastellamento, nelle città
iniziano a proliferare le fortezze urbani. Sempre a Roma, si trasforma in fortezza il Mausoleo di
Augusto e di Adriano, le Terme di Diocleziano, il Teatro di Marcello e di Pompeo, e molti altri
edifici. Iniziano a diffondersi anche le torri, altro tipo di edificio, che garantiscono la difesa. Ma la
vera esplosione del modello della torre si registra solo in seguito, tra il XI e il XII sec.
a) Le infrastrutture: La città del basso medioevo ci appare sensibilmente diversa, lo vediamo nel
campo delle infrastrutture, prima tra tutte le mura. Dopo svariati secoli durante i quali si era
provveduto a restaurare le cinte più antiche, ora si torna a costruirne di nuove. Il
fenomeno prende piede a partire dall’XI sec: i centri vengono dotati di nuove mura, in pietre
squadrate, che ne definiscono i limiti. Le nuove cerchi difensive costituiscono un segnale molto
forte della cura riservata alla struttura dell'abitato. Nuovi circuiti in pietra vengono costruiti,
succede a Milano, Bologna, Pisa; e a volte non basta nemmeno a proteggere delle aree urbane
che si espandono in maniera incessante: è il caso di Firenze, dotata di una nuova cinta, poi
inglobata in una terza. Le esigenze della difesa e del controllo su lavorazione prevedono la
costruzione di un castello urbano, che può aggiungersi in questo periodo le città non da un
dispositivo del genere. Lo troviamo nella città di molte zone dell'Italia; ed è quanto accade
spesso nel regno dei Normanni.
Inoltre, i regolamenti delle città comunali dimostrano che nuovi investimenti vengono indirizzati
anche verso altre forme di infrastrutture: alle strade, alla gestone del sistema delle acque e allo
smaltmento dei rifiut. Pisa è senz'altro tra le meglio conosciute. Molti scavi hanno permesso di
ricostruire per questo centro alcune caratteristiche generali. Le strade, ad esempio. Se tra il X e
il XII sec le pavimentazioni del sistema viario di Pisa sono in pietra e ciottoli di fiume, dal XIII si
diffonde e l'uso dei laterizi, disposti in vari modi, tra cui quello a formare un disegno a spina di
pesce; diverso il trattamento delle piazze, più spesso pavimentato in pietra. La stessa tendenza
è riscontrata anche a Firenze.
Rispetto alla gestione delle acque, sempre a Pisa l'approvvigionamento risulta garantita da un
sistema di pozzi e cisterne, di natura sia privata sia pubblica. A Siena, troviamo la rete dei
bottini: cunicoli sotterranei per le acque estesi nel sottosuolo della città per circa 25km. Un
altro elemento importante delle infrastrutture legate all'acqua è la costruzione delle fontane
pubbliche, che possiamo ricondurre a due tipi principali: il grande bacino dalla forma
rettangolare, a volte con arcate in facciata; o il bacino a pianta centrale, concepito per
occupare il centro di una piazza ed essere ben visibile da ogni lato. Quest'ultimo tipo di
struttura viene spesso decorato con sculture. Entrambe le tipologie accolgono iscrizioni, che
esplicitano la committenza dell'opera. Questo diventa, in generale, un elemento molto
ricorrente. Dalle porte delle mura ai palazzi, dalle case alle torri, dalla chiesa al Battistero, i
monumenti medievali parlano attraverso le iscrizioni; rivelano le committenze e gli intenti
propagandistici. l'altra abitazione raggiunge nuovamente un buon livello medio diffusione. La
situazione riscontrata in vari centri, tra cui Pisa, ma anche Ferrara, Genova, dimostra che lo
smaltimento dei rifiuti continua invece ad essere un problema delegato ai singoli abitanti.
Spesso accanto alle strade trovano posto dei canali per lo scolo delle acque e dei liquami; ma
per liberarsi dei rifiuti i cittadini usano anche delle fosse o discariche a cielo aperto.
b) Il paesaggio monumentale: Anche il paesaggio monumentale va incontro a grandi
cambiamenti. Ora esistono le forme politiche, nuove disponibilità economiche, la demografia è
in crescita e prende piede un nuovo stile architettonico, quello “romanico”. Tutti questi
elementi rendono per la maggior parte obsoleti i monumenti più antichi, e inizia un processo di
rinnovamento. A partire dall’XI sec le aree urbane iniziano ad ospitare degli enormi cantieri
edilizi, nei quali si riversano molte delle risorse economiche disponibili sulla piazza.
Stiamo parlando della ricostruzione delle cattedrali e delle chiese; dei palazzi comunali o legati
al potere civile. Le nuove costruzioni possono essere in pietra, in mattoni: dalla metà del XII sec
l'industria laterizio ricomincia a funzionare su vasta scala monto i centri del potere sono i
palazzi. Queste strutture, civili o ecclesiastiche, mostrano spesso una forma comune: sono
semplici parallelepipedi, a volte dotati di una torre. In seguito, la concezione stessa del palazzo
si articola, e allo schema precedente, se ne affianca perlomeno anche un altro a quadrilatero.
È il caso del Broletto di Brescia, concepito in questa maniera già al momento della fondazione.
D'altro canto, nel meridione non bisogna dimenticare il rapporto dei Normanni e di Federico II,
che hanno costruito palazzi urbani di grande impatto. Tra questi il palazzo di Fiorentino, nel
foggiano. Si tratta di un grande edificio a due piani, composto da due ambienti a pianta
rettangolare. Questo complesso dominava la città sottostante da un’altura, ed era riccamente
decorato: sono stati trovati cornici e capitelli scolpiti, colonnine, resti di vetrate.
In questo periodo la chiesa si moltiplicano in varie forme: ad una o più navate, con una o più
absidi. Le cattedrali sono tra i monumenti più spesso ricostruiti, in forme grandiose.
Inoltre, una delle novità è la grande diffusione dei campanili, costruito accanto a quasi tutte le
chiese nel quadro di una città il cui profilo si pretende sempre più verso l'alto. I centri urbani
accolgono poi un numero sempre maggiore di monasteri. Per farsi un’idea più concreta dello
sforzo che implica tutto questo, basti pensare all'enormità del progetto per la costruzione della
cattedrale di Pisa e del suo Batstero, assieme alla famosa torre.
Un cantiere durato decenni, che ha previsto l’opera di architet, tagliapietre, muratori,
carpentieri, scultori, ecc. Operazioni di questo tipo si ripete in quasi tutte le città tra l’XI e il XIV
sec. Un altro esempio è il cantiere per la costruzione del Duomo di Orvieto, un'impresa di
proporzioni stupefacenti, per la quale si realizza appositamente una deviazione dell’acquedotto
preesistente; dal Monte Amiata, in Toscana, si importa il legname per il tetto; da Roma e da
Carrara, il marmo.
Le cattedrali di Ivrea o di Alba, sottoposte a indagini stratigrafiche, hanno portato alla luce
anche le fasi romaniche; o il Duomo di Siena, la cui sequenza edilizia è stata chiarita grazie di
interventi di scavo. Infine, una conseguenza non trascurabile di questi grandi cantieri medievali:
la loro realizzazione corrisponde all'apertura di immensa origine il terreno.
Quindi, in questo periodo, l'attività costruttiva tende a cancellare molte tracce nelle fasi di
occupazione precedente. In poche parole, le architetture bassomedievali hanno spesso
distrutto la documentazione archeologica più antica. Insomma: il romanico che ci ha
consegnato grandi monumenti, al tempo stesso ha distrutto per sempre informazioni preziose.
c) Il tessuto urbano: Anche il tessuto urbano cambia dopo l'anno Mille: diventa più compatto.
Prima di tutto cambiano le residenze dei potenti; esistevano diverse opzioni: innanzitutto la
possibilità di realizzare dei complessi policentrici, che trovano nelle fortezze e nelle torri dei
capisaldi per il controllo del territorio. All'occorrenza si possono sfruttare i monumenti antichi,
ma il riuso può assumere anche forme nuove: non sono infrequenti i casi di torri edificate sugli
archi onorari romani. L'insieme di fortezze torri può essere sfruttato per ottenere il controllo di
intere zone della città, come nel caso del Campo Marzio a Roma, dominato in buona parte dalla
famiglia Orsini in questa maniera. Di sicuro, uno dei fenomeni più innovativi e la diffusione delle
torri. Nelle città ora prolifera in misura davvero straordinaria: sono edifici assolutamente
inadatti come abitazioni, la cui presenza così capillare indica l'alto tasso di militarizzazione. Dalle
torri si sferrano attacchi contro le famiglie nemiche e ci si può difendere.
Un altro tipo di residenza nobiliare, che si afferma dal XIII sec è il palazzo fortifcato; si tratta di
grandi castra urbani, che spesso nascono all'accorpamento e dall’unione di edifici preesistenti,
o dalla creazione dei grandi circuiti in muratura. O ancora, di singoli edifici a pianta rettangolare,
dalle dimensioni notevoli. Una delle caratteristiche di questa struttura è la presenza di ampi
portici in facciata. Per le case dei membri degli altri centri sociali si trovano molte soluzioni
architettoniche differente, le abitazioni monofamiliari sono spesso a due piani con il pian
terreno adibito a bottega o a negozio. Alcune caratteristiche possono cambiare da città a città,
anche di una stessa regione: es, una differenza si nota In Toscana tra le case di Pisa,
caratterizzate da una struttura portante a grandi pilastri, e quelle di Siena e degli altri centri,
molto più compatte e priva di pilastri. Anche le case di Padova possono avere un portico con
pilastri al piano terra. La soluzione del portico una delle più diffuse, soprattutto per i ceti medi e
medio alti di cui fanno parte gli artigiani e commercianti. A partire dall’XI sec, nelle città
diminuisce il numero delle aree libere degli orti urbani, è una delle spie la comparsa delle case a
schiera: edificio a pianta rettangolare allungata che si dispongano gli uni accanto agli altri lungo
gli assi stradali senza soluzione di continuità. Grazie agli scavi sono venute alla luce
testimonianze in molti centri vivo tra cui Milano, Brescia, Tusculum, Ferento. Inoltre,
l'artigianato i suoi impianti produttivi occupano un posto di rilievo nella nuova struttura urbana.
Con la crescita demografica ed economica si incrementa la domanda, e di conseguenza
aumenta il numero delle officine delle botteghe. Ceramist, fabbri, vetrai, tntori e intagliatori…
L'archeologia ha portato alla luce laboratori di ogni sorta. Nel caso della produzione ceramica
una delle postazioni strategiche è quella vicino ai corsi d'acqua, capita anche che è più artigiani
dello stesso tipo di produzione si concentra in un'unica zona: e così che nascono i quartieri
specializzati; a Pisa, il quartiere Kinzica e un'area dedicata alla produzione e alla vendita di
oggetti in vetro; A Roma la contrada del “Calcario”, dove si concentrano le calcare.
In conclusione, città del basso medioevo in luoghi dove il costruito ritiro a svolgere un ruolo
primario. Palazzi, fortezze, torri a casa infittiscono la trama del paesaggio urbano, e lo scenario
continua ad accogliere i resti dei monumenti antichi, la cui funzione originaria è sempre meno
chiara.
Cap. IV. Archeologia delle campagne medievali.
Il punto di partenza, come per le città, e il paesaggio delle antiche campagne italiane. A lungo le ricerche
sono concentrate sono solo degli elementi che componevano quel paesaggio: le ville, per via del tipo di resti
che le ville hanno lasciato. Per un’archeologia romana nata in simbiosi con la storia dell'arte, portare alla
luce i resti delle ville a significato misurarsi con una cultura materiale di alto livello: colonne, capitelli,
mosaici, rivestimenti in marmo, stucchi, statue e monete. È quella che Andrea Carandini ha definito
“un'archeologia da Maharaja”. Un’archeologia che interessa perché porta la luce struttura consistenti e
reperti di altissima qualità, che fanno sempre più notizia rispetto a quelli più umili. In altri tempi cercare e
portare alla luce le ville romane significava andare a caccia del passato glorioso delle loro stesse classi
sociali; significava identificarsi negli aristocratici romani che erano stati proprietari di quelle strutture. Così,
ad esempio, i borghesi della Gran Bretagna scavavano, studiavano le ville antiche dei loro antichi invasori, e
le prendevano persino un modello per le loro residenze di campagna. Non solo le ville, sappiamo che
c'erano molte altre forme di insediamento: villaggi, fattorie, fortezze e case sparse.
a) Le ultime ville. E la loro fne: Centri direzionali dai quali gestire la produttività del territorio;
manifestazione di potenza dei loro proprietari, attraverso le architetture complesse le ricche
decorazioni; luoghi dell’esercizio del potere. Tutto questo sono le ville, fin dalle loro origini. Come
accade per le domus, a partire dal IV sec le ville modifica la loro conformazione. Si
diffondono e si moltiplicano le aule absidate: sale per le udienze, dove il signore intrattieni rapporti
con i suoi interlocutori; sale da pranzo. Queste e altre stanze si dispongano spesso intorno ad un
peristilio centrale. Nello stesso periodo le ville vengo da te di nuove decorazioni: sculture, mosaici,
in opus sectile. Si afferma il modello della grande villa residenziale tardoantica. Come a
Piazza Armerina, in Sicilia: un tripudio di ambienti absidati, una straordinaria ricchezza di pavimenti
a mosaico. E ingressi monumentali, cortili, fontane e Terme. Molte le ville costruite, pochi gli esempi
ristrutturati e decorati. Come quello di San Giovanni di Ruoti, in Basilicata: una villa antica che, verso
il 460, viene trasformata in un organismo architettonico compatto, articola intorno ad un cortile
stretto e lungo, dominato da una sala absidata e una torre; o la villa di Faragola, in Puglia: costruita
tra la fine del III e l'inizio del IV sec, abbandonata verso la metà del IV sec forse per via di un
terremoto, e ristrutturata con accenti grandiosi nel V sec. In particolare, quest'epoca risale una sala
da pranzo con pavimenti in opus sectile impreziositi da elementi in vetro; proprio in questo
ambiente è tornata la luce anche un divano in muratura (stibadium) dalla caratteristica forma
semicircolare, per le occasioni dei banchetti: un ritrovamento molto raro.
Le ville, le ultime, vengono costruite soprattutto tra il IV e il V sec e dopo, di sicuro, non si costruisce
più niente del genere nelle campagne. In alcune ville si continua ad abitare fino al VII sec. È quanto
accade nella villa di San Giovanni di Ruoti, qui alcuni ambienti vengono abbandonati, e la vita
prosegue soltanto presso la grande sala absidata e nell’ala Sud del complesso. Molte
ville risultano abbandonate già dal VI sec, ma in altre la vita continua, in forma differente. Questi
complessi ti vengono spesso i luoghi della produzione. Nella
villa di Aiano, presso San Gimignano (Toscana), si installano alcuni impianti artigianali che
producono oggetti in metalli diversi, in vetro e forse ceramica. Le ville possono sopravvivere almeno
in parte perché già dal V se che inizia ad accogliere dei mausolei e/o degli edifici la crisi astici.
Questi possono prolungare la vita dei complessi e traghettarli verso la trasformazione in nuove
forme insediative.
L'impatto che esse avevano avuto in passato sul territorio, dal punto di vista organizzativo e
simbolico, contribuito a mantenere viva la funzione di punti di riferimento nel paesaggio.
b) Le altre forme dell'insediamento: non solo ville. Le fonti scritte ci dicono che le campagne
ospitavano un fitto reticolo di insediamenti, con caratteristiche differenti a seconda del tipo. I
villaggi, innanzitutto. I vici, Erano semplici agglomerati di case, non difesi da mura. Abitati con un
apparato monumentale non troppo pronunciato, con un reticolo di strade interne. In sostanza, i vici
sono “abitati aperti”. Villaggi, appunto, che tra l'altro possono svolgere anche la funzione dei
mercati. Ogni volta che è stata affrontata l'indagine archeologica di un vicus, si è confermata
l’immagine che ne tramandano le fonti: una serie di abitazioni, e determinati elementi, che li
rendono assimilabili a delle piccole città, per certi aspetti. Angera, in provincia di Varese, inizia la
sua esistenza nel I sec d.C., e si accresce notevolmente nel corso del IV. Qui
sono venute alla luce non soltanto delle case, ma anche una piazza centrale (un foro) e alcuni
monumenti celebrativi, come altari e colonne: il vicus poteva avere un cuore monumentale, come
testimonia il “vicus augustanus” a Castel Porziano, presso Ostia. Inoltre, nei vici sono documentate
svariate tracce di attività artigianali: es, ad Angera si producevano contenitori in ceramica. I
villaggi tardo-antichi possono nascere però anche lì dove prima c'era una villa: è quanto accade a
Santa Filitica, in Sardegna, nella zona di Porto Torres. Qui gli edifici vengono in buona parte sepolti
da strati alluvionali. In seguito, l'area ospita un piccolo villaggio, che comprende delle officine
dedicata alla produzione tessile, di oggetti in ceramica, e alla lavorazione del corno di cervo.
Un edificio della villa con pianta a croce e forse già trasformato in chiesa, accoglie ora delle
sepolture.
Camminando nelle campagne era possibile imbattersi in fattorie più o meno isolate, come Podere
San Mario, non lontano da Volterra, è uno dei rari i siti scavati di questo genere. Si tratta di un
edificio a pianta rettangolare, affiancata da un cortile e una cisterna.
Un'altra indagine avviata di recente, il “Roman Peasant Project”, si propone appunto l'analisi dei
modi di vita dei contadini antichi attraverso le fonti archeologiche.
E ancora nelle campagne trovano posto le mansiones, cioè le stazioni di posta: gli impianti di
accoglienza dei viaggiatori, disposti lungo le vie di comunicazione. Spesso questi luoghi si trovano
presso i centri abitati, ad esempio i vici. Ad Baccanus (nel Lazio) è una delle mansiones indagate più
approfonditamente lungo la via Cassia, che comprende una grande piazza colonnata, tabernae,
terme, e che resta attiva dall'età augustea fino all'inizio del V sec. In questo caso la stazione sembra
aver generato attorno a sé un vero e proprio vicus. Altre categorie di abitati rurali sono i Fora, i
conciliabula… Elementi che per ora conosciamo soprattutto attraverso le fonti scritte, molto meno
dal punto di vista materiale.
c) Un paesaggio militarizzato: le fortifcazioni: Sappiamo che la società tardoantica ampiamente
militarizzata; una società sotto la pressione costante di attacchi, incursioni, invasioni, non solo nelle
zone delle frontiere, ma anche nelle aree più interne; anzi nel cuore stesso dei territori imperiali,
proprio in Italia. Le fortificazioni tardoantiche sono ben documentate, il fenomeno si diffonde a
partire dal III-IV sec, toccando poi l'apice tra il V e il VII sec. Dal punto di vista militare, questi sono i
secoli in cui si susseguono le incursioni di molti popoli e lo stanziamento dei Goti; i decenni della
guerra tra i Goti e i bizantini prima, e del conflitto tra gli stessi bizantini e Longobardi poi, quando
l'Italia e davvero divisa a macchia di leopardo. Sono secoli in cui le frontiere interne si moltiplicano e
le fortezze rispondono perfettamente alle esigenze del controllo militare, delle frontiere dei
territori. I
castra possono far parte di sistemi difensivi articolati, come il tractus italiae circa alpes: una rete di
fortificazioni nella zona dell’Italia settentrionale a ridosso delle Alpi.
Un altro sistema analogo si trovava in Friuli: i Claustra Apium Iuliarum, una rete di fortificazioni di
cui parla ancora nell’VIII sec lo storico Diacono.
In ogni caso, i castra vengono costruiti un po’ ovunque, dove c'è un territorio da controllare e da
difendere. Un’indagine approfondita, ne ha censiti circa 50 dall’Emilia Romagna in su; ma dovevano
essere il doppio se includiamo il resto della penisola. I luoghi prescelti sono tra i più disparati: nelle
anse dei fiumi, al di sopra di montagne e colline, difesa delle isole. Nella maggior parte dei casi
queste fortezze sfruttano le difese naturali disponibili, affiancando loro le strutture militari: cinte
murarie, ma anche fossat, torri interne, e altri edifici per ospitare le guarnigioni. Le difese principali
sono costituite da mura in pietra, altre volte l'apparato difensivo può essere affidato a fossati come
nel caso del castrum di Filatera, in Lunigiana. Quando le mura sono in pietra, possono essere
dotati di contrafforti. Oltre che nelle mura, alle torri trovano posto al centro dei castra: sono
elementi utili per l'avvistamento, ma anche elementi simbolici, pensati per incutere timore e
manifestare un dominio potenzialmente incontrastato sul territorio. Le troviamo in alcune fortezze
a Zignago, a Monselice.
Le mura, le torri… a rigor di logica, le funzioni militari dovrebbero avere lasciato traccia anche in altri
tipi di edifici. Ci aspetteremmo un quartier generale, stalle, anche granai…ecco, sotto questo
aspetto l'archeologia ha prodotto poche evidenze materiali. ci sono però delle eccezioni: Monte
Barro, in Lombardia. Qui è venuto alla luce un grande edificio, un complesso articolato su tre ali
intorno ad un cortile. Nell'interpretazione di chi lo ha scavato, dovrebbe trattarsi del quartier
generale della guarnigione, che nelle due ali laterali ospitava le stalle.
Nell'ala nord trovavano posto al primo piano gli appartamenti del comandante, e la sala in cui si
citava le sue funzioni. Quest 'ultimo è suggerita dal ritrovamento di una corona di bronzo.
Finora, a Monte Barro abbiamo il più definito e riconoscibile esempio di “architettura del potere”. Il
grande edificio di Monte Barro, e quello di Brescia, trova nei propri modelli di riferimento
nell'architettura militare romana: lo schema ad ali disposti attorno ad uno spazio aperto è quello dei
principia e dei praetoria, rispettivamente il centro del comando e il “cuore psicologico” degli
accampamenti delle legioni romane. Nei praetoria risiedono i comandanti, e nei principia si trovano
le insegne della legione. In poche parole, tutto questo ci dice che nella costruzione dei castra tardo-
antichi si seguono e si mantengono in vita i più antichi modelli edilizia architettura militare.
Nelle fortezze tardoantiche si abitava e lo possiamo affermare su solide basi archeologiche, perché
molti dei luoghi scavati sono state trovate delle case. A Monte Barro, Castelseprio, Invillino (Friuli),
Belmonte (Piemonte), Perti (Liguria), e in molti altri siti: case in legno di forma rettangolare, a uno o
due ambienti: praticamente delle scatole. La
novità del medioevo e l'affermazione generalizzata del modello, socialmente territorialmente
trasversale: in base a questo schema vengono costruite anche le residenze urbane dei ceti più
elevati, dopo l'uscita di scena della domus. Un ultimo elemento importante da sottolineare: la
presenza di chiesa e di altri edifici di culto nelle fortificazioni.
L'autorità per fondare una fortificazione, in epoca tardoantica e in parte dell'alto medioevo, è nelle
mani dello Stato. Sono i regnanti gli unici depositari di questa facoltà. A volte possono delegarla ad
altre autorità, tra cui quelli ecclesiastiche; ma si tratta di casi particolari. Ricapitolando, le fortezze
tardo-antichi nascono a difesa delle frontiere, delle zone nevralgiche del territorio, per volontà delle
più alte autorità. Nascono per scopi militari, difensivi. Le più grandi fortezze svolgono
probabilmente anche un ruolo di tipo amministrativo nella gestione del territorio.
Nelle campagne, i castra sono senza dubbio il segno più evidente lasciato dalla crescente
militarizzazione della società tardoantica. Esiste anche un tessuto diffuso di fortificazione intercalari,
di cui fanno parte le torri; l’archeologia ne ha portate alla luce non poche. Come nel vicus
di San Genesio, in Toscana, un insediamento dominato proprio da una torre. O nella
villa di San Giovanni di Ruoti, alla quale viene aggiunta una torre nel corso di una ristrutturazione.
d) Un paesaggio ideologizzato: le chiese rurali: è a partire dal V sec che iniziamo a trovare le tracce di
numerose chiese nelle campagne. La necessità di garantire alle popolazioni la “cura animarum” (la
somministrazione dei sacrament) porta ad una grande proliferazione di edifici di culto.
A costruire le chiese, in questa “fase delle origini”, non sono soltanto i vescovi, ma anche i membri
dell’aristocrazia, che promuovono e finanziano la costruzione di luoghi di culto cristiano a partire dal
IV sec. Dietro le fondazioni delle chiese da parte di senatori, proprietari terrieri e altri è possibile
intravedere anche una notevole volontà di controllo delle popolazioni rurali.
I contesti in cui si inseriscono i nuovi monumenti sono presso le ville. Questo vuol dire che spesso ci
troviamo di fronte ad una villa nella quale viene poi costruita una chiesa, ma non sappiamo se la
villa era già abbandonata quando la chiesa entra in attività, o se coesistono e funzionano entrambe.
Nella maggior parte delle occasioni, le chiese vengono ad occupare le ville quando queste sono in
disuso. Inoltre, le chiese possono essere costruite sfruttando strutture già esistenti: succede con i
mausolei dei proprietari, es a Garlate (Lc). A volte le ville vengono abbandonate, e le chiese
affiancano nuove forme di occupazione di quegli stessi luoghi: è il caso di Monte Gelato (Lazio),
dove all’inizio del V sec una piccola chiesa viene costruita tra le rovine di una villa abbandonata da
duecento anni.
Comunque, il rapporto tra chiesa e ville coinvolge anche i cimiteri, che in molti casi sono
saldamente legate l'edificio ecclesiastico. La chiesa e il cimitero possono trovare posto nell’area
della villa, o ad una breve distanza, o ancora, in posizione più o meno distante dalla villa, e ben
separati tra loro. Le chiese vengono fondate anche nei vici: il caso di Muralto è emblematico. In
questo agglomerato florido fino alla prima età imperiale, verso la fine del V sec una basilica su
pianta un edificio a carattere pubblico. È una basilica a tre navate senza abside, che attira attorno a
sé un grande cimitero.
Altre volte i vici avanzano di condizione grazie alla costruzione di edifici ecclesiastici: il finiscono per
diventare delle sedi vescovili, soprattutto in Italia meridionale, come Trani (Puglia) e Tropea
(Calabria). Oltre ai VC, anche altre tipologie di insediamento finiscono per raccogliere delle chiese.
Ad es, La stazione Ad Baccanas, che ospita fino dalla IV sec un santuario importante dedicata al
martire Alessandro. Poi ci sono le chiese costruire dentro le fortificazioni, qui siamo sicuri che gli
edifici di culto convivono fin dalle origini con un abitato funzionante. Non tutti, ma alcuni dei castra
tardo-antichi scavati mostrano di avere avuto una chiesa al loro interno almeno fino al V sec.
Le costruzioni possono essere edifici piccoli ma anche ai paesi di notevoli dimensioni, dotate di
annessi per le liturgie più complesse. Come a Castelseprio, dove la chiesa di San Giovanni del V sec
è affiancata da un Battistero. Infine, molte chiese si trovano in posizione isolata, senza insediamenti
attorno, o lungo le principali vie di comunicazione per garantire un’accessibilità a tutti gli abitanti. E
il caso della Pieve di San Giorgio di Argenta (Emilia-Romagna). Qui una cappella funeraria di età
gota viene soppiantata da una chiesa costruita per volere dell'arcivescovo di Ravenna.
Un altro caso di edilizia legata al cristianesimo è quello delle sedi di diocesi rurali. Si tratta di alcuni
luoghi toccati uno sviluppo monumentale straordinario a partire dal V sec, legato alla creazione di
una sede vescovile extra urbana. San Giusto è il caso meglio scavato di questa categoria di siti.
Qui, dove si trovava una villa, tra il V e il VI sec vengono costruite due grandi chiese, collegate da un
corridoio e affiancata da un imponente Battistero a pianta centrale. Nel caso di San Giusto sono
anche le dimensioni e la qualità delle strutture a suggerire che possa trattarsi di una sede vescovile.
Un altro tema sono i monasteri rurali; sappiamo che il monachesimo si diffonda nelle campagne a
partire dal IV sec. È proprio l'epoca di Benedetto, della nascita di Montecassino e della redazione
della Regola; il periodo in cui Cassiodoro fonda il suo monastero “vivarium” (Calabria).
Però l'architettura monastica non ha ancora una sua forma codificata. Per ora, tra il IV e il VII sec,
non esistono planimetrie, e di volta in volta i monaci si adattano alle situazioni che trovano: es,
costruiscono nuovi edifici, non sempre riconoscibili come monastici dagli archeologi.
Uno scavo recente ha portato alla luce i resti del monastero di San Sebastiano presso Alatri (Lazio).
Tra le strutture, una chiesa con nartece e senza abside, una cappella a tripla l'abside, un edificio che
doveva ospitare il dormitorio dei monaci. Al momento sembrerebbe uno degli esempi di monastero
tardoantico in Italia.
Le forme materiali con cui il cristianesimo si manifesta nelle campagne sono davvero molte. Tirando
le somme, le chiese sono senz'altro un elemento di novità, che dalla tarda antichità modifica il
paesaggio monumentale delle campagne del nostro paese. Sono punti di riferimento della
popolazione rurale. Sono i perni su cui si innesta e si sviluppa un processo di trasformazione della
mentalità e delle pratiche del quotidiano.
e) Nuovi orizzonti: il VII sec e la conquista delle alture: nel VII sec le caratteristiche delineate finora si
accentuano ulteriormente. C’è l’affermazione crescente delle fortezze più grandi e importanti come
centri amministrativi, veri capoluoghi di distretti; e la loro coesistenza assieme a villaggi, fattorie,
case sparse. Si continuano a costruire anche le chiese, in maniera almeno diversa rispetto al
passato: sono per lo più chiese e oratori dalle dimensioni medie più piccoli di quelli fondati in
precedenza. I committenti sono i membri dell'aristocrazia terriera del Regno longobardo, la loro
funzione principale è quella di edifici funerari a carattere familiare. Sono chiese private: in realtà dei
veri e propri mausolei che segnalano in forma monumentale la supremazia a livello locale delle
singole famiglie. Inizia
a farsi largo una vera novità: si tratta di stabilire nuovi insediamenti al di sopra delle alture, delle
colline. È quello che succede a Montarrenti, non lontano da Siena, scavato da Francovich e Hodges.
Qui nel corso del VII sec nasce un villaggio di case in legno, con pavimento in terra battuta e tetti in
paglia. Due palizzate cingono la parte alta e bassa della collina, difendendo così l'abitato. Finora,
Montarrent rappresenta il miglior esempio di questo tipo di insediamento. Lo
affianca Scarlino (Grosseto), non lontano dalla costa. Su questa collina, dove poi viene a costruire un
castello, a partire dal VII sec trovano posto alcune case in legno e altri materiali deperibili, che in
parte sfruttano delle rovine più antiche, di età romana. A Casale San Donato, (nella zona del Lazio),
la sommità di una collina è qui dominata da una chiesa di epoca moderna; ma poco più giù sono
stati trovati i resti di alcuni edifici in legno, associati con un tipo particolare di ceramica che si data al
VII sec. Casale San Donato poteva trattarsi di una fattoria, un’azienda agricola collocata in altura. Tra
questi siti ci sono delle differenze: mentre Montarrent è un vero villaggio fortificato di una certa
ampiezza, a Scarlino in questa fase non esiste traccia di elementi difensivi; e Casale San Donato è un
piccolo insediamento, abitato al massimo da qualche nucleo familiare. A colpirci, sono le analogie:
siamo in due regioni diverse, in zone anche troppo vicine, eppure questi tre agglomerati nascono
nel VII sec; si trovano al di sopra dei rilievi collinari; e le loro strutture sono costruite interamente in
legno. Forse, questi siti, sono i sintomi di notevoli cambiamenti del paesaggio. Secondo alcuni,
questi insediamenti sarebbero l'esito di un processo spontaneo di aggregazione di una classe
contadina sempre più svincolata dagli obblighi verso i signori; una ricerca di prestazioni più sicuro
nel quadro di un Italia divisa politicamente tra romani e Longobardi, e dove le campagne la
produzione agricola appaiono difficili da controllare. Secondo altri, queste nuove forme di
insediamento sarebbero volute proprio dai signori, e quindi “guidate dall’alto”; dunque sarebbero
il sintomo di una riorganizzazione del territorio funzionale alle esigenze del ceto dirigente. Uno dei
principali argomenti su cui poggia il ragionamento dei primi e l'assenza di una gerarchizzazione dello
spazio riconoscibile attraverso i resti materiali. Manca la “casa del capo villaggio” o del proprietario
terriero. A tal proposito, si può obiettare innanzitutto che il proprietario poteva risiedere altrove. E
poi, in questo modo si dà per scontato che i segni di distinzione siano sempre da ricercare nei modi
dell'abitare. In ogni caso, il VII sec sembra presentarsi come uno spartiacque tra i paesaggi
dell’antichità e quelli successivi.
Un momento nel quale prendono vita importanti cambiamenti. Le campagne non saranno più le
stesse, dopo il VII sec.
4.2 Le campagne nell’alto Medioevo.
Tra l’VIII e il X sec cambia il panorama politico, economico e culturale. E un’epoca di trasformazioni,
durante la quale il regno dei Longobardi raggiunge il suo massimo sviluppo e poi si estingue; e si
affermano i Carolingi, per poi cedere il passo al regno italico. E un’epoca di ripresa, dopo la fine del
sistema tardoantico di produzione e commerci: si attivano nuovi canali di scambio e nuovi mercati. Ed
è un’epoca di grande crescita demografica a partire dal IX sec.
a) Il peso del passato: ville e fortezze: i resti delle ville sono ancora un importante segno sul territorio:
alcune ville continuano in molti casi ad attirare diverse forme di insediamento, o di frequentazione;
e lo fanno ancora nell’VIII sec, come dimostra il caso di Faragola. Qui, dopo una fase di luogo della
produzione, durante l’VIII, mentre le strutture antiche continuano a crollare, vengono costruite
alcune capanne. Gli scavatori, guidati da Giuliano Volpe, non escludono che si tratti di un villaggio.
A partire dall’VIII sec è possibile verificare un altro fenomeno: le fortificazioni tardoantiche
sopravvissute subiscono una crescita dimensionale monumentale istituzionale.
A Castelseprio, tra l’VIII e il IX sec la superficie dell’abitato si espande oltrepassando la linea delle
mura tardoantiche e si crea un borgo, cioè una propaggine dell’insediamento che poi verrà a sua
volta murata. Di pari passo con l'ingrandirsi della fortezza procede la costruzione di nuove chiese,
tra le quali Santa Maria foris portas, ed è probabilmente una cappella funeraria privata. Nello
stesso periodo, viene fondato il monastero femminile di Torba, che sfrutta una torre della cinta
tardoantica e le affianca la chiesa di Santa Maria. Castelseprio diventa un centro di grande successo,
governata da un Conte e con un territorio alle sue dipendenze. Svariati documenti altomedievali lo
definiscono “civitas”. Nella percezione comune Castelseprio ormai una città, pur non ospitando una
sede vescovile. Un percorso analogo caratterizza anche altri castelli, tra cui Monselice.
b) Case, villaggi, villaggi curtensi e fattorie: un paesaggio sempre più multiforme: I documenti scritti
certificano l'esistenza di case isolate in molte zone della penisola. Non c'è dubbio che questa forma
di abitato abbia spesso convissuto con modelli di popolamento più accentrato e numerosi territori.
Queste abitazioni sono costruite prevalentemente in legno, come indicano le varie buche di palo
ritrovate. Legno e pietra ollare sono segnali di forte trasformazione nel campo della cultura
materiale: soprattutto a partire dall’VIII sec l'edilizia si orienta verso i materiali deperibili, e allo
stesso tempo i contenitori in pietra ollare si affermano. Insomma, le case gli oggetti stanno davvero
cambiando aspetto.
Nella seconda metà dell’VIII sec al tempo del dominio dei carolingi si afferma il sistema curtense, un
nuovo modo di organizzare lo sfruttamento delle risorse, perché i suoi effetti sul territorio sono
davvero importanti. La struttura su cui è imperniato il sistema curtense è la Curtis, ovvero l'azienda
rurale. La Curts è un organismo complesso, di proprietà di un dominus. Questo organismo si
articola in due elementi principali: il dominicum e il massaricium. Il dominicum e la parte gestita dal
signore, attraverso il lavoro dei suoi servi; il massaricium viene dato in affitto e sfruttato dal
dominus indirettamente: i contadini devono ciclicamente versagli parte di loro lo ha accolto, o dei
loro prodotti.
Una Curts comprende più villaggi; in uno di questi è concentrata una quota più alta del dominicum,
e quindi quello sarà il villaggio signorile. È il centro della Curts, dove vengono raccolte le derrate
dovuto al signore. Le fonti lo definiscono “caput Curtis”; il signore buoni siete qui, a farsi
rappresentare da una sorta di amministratore. Dunque, la Curts è un modo di articolare gestire le
proprietà con un alto tasso di frammentazione, incardinato sui villaggi dei contadini.
Il rapporto di dipendenza dagli affittuari il dominus viene sfruttata attraverso la pratica delle Corvée
che non sono altro che obblighi verso il signore, codificati per iscritto, che i contadini sono tenuti a
rispettare: vanno dal lavorare per alcuni giorni alla settimana presso il dominicum, al produrre
oggetti per il signore o allo svolgere altri tipi di lavori.
Per le zone d'Italia interessate dal sistema curtense, ogni qual volta si individua un villaggio dell’VIII-
X sec, occorrerà per lo meno domandarsi se ci troviamo in presenza di un villaggio dominico o un
villaggio della pars massaricia. Non è differenza da poco: se in un caput Curts potremmo
aspettarci di trovare tracce di una gerarchia interna dell'abitato, ad esempio la residenza del
dominus; nel caso di un villaggio dei massarii, possiamo immaginare la presenza di magazzini dove
stoccare temporaneamente le derrate da consegnare in un secondo momento il signore.
E in Toscana che troviamo alcune possibili tracce archeologiche del sistema curtense: a Montarrenti
e Scarlino. Nel primo caso, il villaggio fortificato dell’VII sec sopravvive fino alla seconda metà
dell’VIII. Da questo momento in poi le cose cambiano: la palizzata viene sostituito da un muro di
cinta in pietra. La stessa zona sommitale ospita un forno e un grande edificio in legno, a pianta
rettangolare; le numerose granaglie al suo interno ci dicono che doveva trattarsi di un magazzino.
Accanto a questo trovano posto alcune abitazioni, mentre in basso, prosegue la vita del resto
dell'abitato più antico, con qualche piccola trasformazione. Nel
secondo caso, sull'altura di Scarlino era stato fondato un villaggio. Anche in questo caso l'abitato
estende la sua vita fino alla fine dell’VIII sec, dopo di che comincia a cambiare volto; sulla sommità
si distingue una casa diversa dalle altre, attorno alla quale è disposta una serie di infrastrutture:
piccoli magazzini e laboratori per attività artigianali, tra cui una fornace per la lavorazione del
metallo. Verso la fine dell’IX sec, verrà costruita anche una chiesa realizzata con grandi blocchi di
pietra, che termina a destra con un’abside. Gli indizi ci portano a dire che Montarrent e Scarlino
sono forse due villaggi curtensi, per la conformazione stessa del villaggio e per il fatto che nell’ VIII
sec, sia al centro di investimenti non piccoli, come la costruzione del muro in pietra; e poi la
presenza di un grande magazzino nella zona più alta della collina. Questi elementi
sembrano indicare che ci troviamo di fronte ad una Curts. A Scarlino i dati
archeologici sembrano meno risoluti ni, ma suggeriscono senza dubbio una notevole
ristrutturazione nel IX sec, con un’abitazione che spicca per dimensioni sulle altre. La
costruzione della chiesa avviene un po’ più tardi, ma anche questo è comunque il segno di un
investimento nell'uovo. Sempre a Scarlino abbiamo qualcos'altro, che a Montarrent manca: il
documento che nomina questa località per la prima volta, usa una formula molto esplicita, cioè che
a Scarlino in quel momento c'era una “Curtis cum castello”. Spesso i villaggi curtense si trasformano
in castelli; sembra questo il percorso di Scarlino: villaggio - centro curtense - castello. “Castelli
curtensi”, così è stata definita questa categoria di nuovi insediamenti, documentati a partire dal X
sec. Altri scavi
condotti in Toscana, dagli allievi di Francovich, hanno messo in luce resti da ricondurre a villaggi del
sistema curtense; come casi di Donoratico e Campiglia Maritma, indagati da Bianchi, entrambi
con fasi di IX sec, e quelli di Poggibonsi e Miranduolo (Si), scavati da Valenti. Anche
nell'Italia settentrionale sono stati identificati degli insediamenti riferibili al sistema delle Curtes; in
località Crocetta. Qui è stato scavato un edificio rettangolare in legno, suddiviso in tre ambienti
distinti: uno funzionava da abitazione, per la presenza di un focolare; gli altri due da ricovero per gli
attrezzi agricoli. Molto probabilmente intorno si disponevano altre case. In ogni caso, ci
conferma una tendenza diffusa all’accentramento dell’abitato nelle campagne dell’Italia passate
sotto il dominio dei carolingi; e conferma che il legno e altri materiali deperibili, come la paglia e
l’argilla pressata, sono ora più usati soprattutto nell’edilizia abitativa e di servizio.
Gli storici delle fonti scritte, basandosi sui documenti, hanno creduto di poter suddividere l'Italia in
due grandi aree: quella dove prende piede si sviluppa il sistema curtense, e quella dominata dai
bizantini, dove lo stesso sistema non decolla.
La zona che comprende l'attuale Romagna e parte delle Marche e che trovava il suo cardine nella
città di Ravenna. Ma le ricognizioni condotte proprio nel territorio a sud di Ravenna, dimostrano il
contrario. In questa zona a partire dal VIII sec si sovrappongono degli insediamenti piuttosto ampi,
costituiti da più edifici.
Sono, probabilmente, aziende rurali in forma di un vero e proprio villaggio; e anche i documenti
scritti testimoniano l’esistenza di curtes. I
villaggi curtensi non si trovavano solo nell’Italia centro-settentrionale. Essi esistevano anche prima
della dominazione carolingia, ed esempio nell’Italia longobarda. Come ad Olevano sul Tusciano, nel
sito di una villa romana abbandonata nel V sec, durante l’alto Medioevo viene costruito un recinto
in muratura che include una chiesa battesimale. Si tratterebbe del centro direzionale di un’azienda,
che i documenti coevi definiscono Curts.
Uno dei fenomeni che investe il Lazio nel periodo tra l’VIII e il IX sec è la creazione delle
domuscultae. Si tratta di aziende fondate dai papi in un momento di difficoltà e sono ben
testimoniate dalla documentazione scritta. Le domuscultae disponevano di centri direzionali con un
forte carattere monumentale: erano dotati di chiese e di altre strutture in pietra. A Santa Cornelia è
venuto alla luce un edificio con pavimento in opus sectile, molto probabilmente l’abitazione di colui
che amministrava le proprietà per conto del papa. Le domuscultae sono strettamente legate
all’economia di Roma. Al loro interno circola la ceramica a vetrina pesante, prodotta in città; e gli
elementi che decorano le loro chiese, come armi scolpiti e mosaici, sono u frutto del lavoro di
artigiani basati a Roma. La connessione tra città e compagna è evidente. E all’occorrenza, i papi
potevano usare i dipendenti delle domuscultae come forza-lavoro per ben altri tipi di opere: basti
pensare che costituivano parte della militia, cioè dell’esercito pontificio; e che furono impiegati
come muratori per la costruzione delle mura del Vaticano, per volere di papa Leone IV. I
centri direzionali delle domuscultae si possono paragonare ai villaggi dominici del sistema curtense.
Con una differenza: finora questi centri direzionali non risultano sedi di villaggio. Non sempre,
il villaggio è l’ultimo esisto della riorganizzazione delle proprietà. Nel
tempo che va dall’VIII al IX sec, sembra che buona parte della spinta all’aggregazione e alla
concentrazione delle persone passi per la razionalizzazione della produzione agricola; insomma, che
sia legata al nascere e al potenziarsi delle aziende. Quindi, legata ad un investimento nelle
campagne da parte dei signori che, con il passare del tempo è sempre più cospicuo.
c) L’organizzazione ecclesiastica del territorio (1): nascita e consolidamento del sistema delle pievi;
le chiese private: L'espansione della chiesa inizia dal IV sec, nei sobborghi delle città e nelle
campagne, cominciano a diffondersi gli edifici per il culto: santuario, cappelle, oratori, chiesi più o
meno grandi, con o senza il Batstero, e altri ancora. È tra il IV e il VI sec che si gettano le basi per
rendere capillare l'affermazione del cristianesimo nelle campagne. I soggetti che promuovono tutto
questo sono molti: l'amministrazione ecclesiastca, le autorità statali, i membri delle aristocrazie.
Ognuno persegue i suoi intenti anche al di là della semplice devozione.
Si può iniziare a parlare di una “geografa ecclesiastica”; un’organizzazione dello spazio concepito
per garantire l'accesso al culto e la somministrazione dei sacramenti, che vede al vertice la
cattedrale (urbana, nella maggior parte dei casi) dalla quale dipendono le varie chiese.
È dimostrato che è tra il IV e l’VIII sec la parola “diocesi” verrà usata raramente; non era una parola
riferita allo spazio, bensì poteva essere usata come sinonimo di chiesa.
È dall’VIII sec che inizia a prendere forma un’organizzazione ecclesiastica più gerarchizzata.
È da allora che la parola “diocesi” comincia a indicare il territorio amministrato dal vescovo.
Il perno principale di questo sistema è la Pieve. Alcune chiese rurali assumono elogiative collegare
alla “cura animarum”. Tra queste prerogative le più importanti della vita dei fedeli sono il battesimo
e la sepoltura.
La parola “plebs”, prima usata come uno dei possibili sinonimi di “chiesa”, ora assume un significato
più definito: “chiesa battesimale” e “territorio di cura d'anime”. Quindi, se i vescovi amministra un
territorio, questo è suddiviso in ulteriori circoscrizioni che fanno capo ad una Pieve.
Dall’VIII sec le pievi iniziano a diventare dei punti di riferimento locale. Tra l’VIII e il IX sec, gli
investimenti nelle chiese rurali proseguono e si intensificano, anche per gli edifici che già esistono.
Le nuove disponibilità, rese possibile da un’economia che sta tornando a crescere, consentono di
ristrutturare molte chiese, aumentandone le dimensioni, e di rinnovarle con sculture, pitture e altri
tipi di decorazioni. I vescovi sono in prima fila per accrescere il numero, aumentare la funzionalità e
migliorare l'aspetto delle chiese rurali. Non sono soltanto i vescovi a costruire nuove chiese, ma
anche i privati. Vale anche per queste idee con una certa difficoltà a risalire, attraverso i suoi resti
materiali, alle modalità di origine di una chiesa. Facciamo spesso fatica, quindi, a capire chi sia
l'eventuale fondatore, e in particolare se si tratti di un’iniziativa dell'amministrazione ecclesiastica o
di un privato. Sappiamo che tra il VII e l’VIII sec, molti aristocratici dell'Italia longobarda
intensificano l'attività di costruzione di Chiese. Le chiese proliferano ma non sono molto grandi,
spesso delle semplici cappelle, che ospitano svariate tombe. Questo perché ci troviamo di fronte a
case funerarie, fondate da esponenti delle classi più elevate. Oratori privati che accolgono prima la
tomba del loro fondatore e poi degli altri membri della famiglia; e diventano così dei veri e propri
mausolei, come nel caso della chiesa di San Zeno a Campione d'Italia sul lago di Lugano.
L'edificio viene costruito verso la fine del VII sec ed è una semplice cappella a navata unica con
abside; accoglie subito al suo interno la tomba del fondatore e dei suoi familiari. La chiesa di San
Zeno a Campione non è assolutamente unica nel suo genere. Tutto questo perché i morti sepolti
all'interno della chiesa venivano ricordati nel corso delle funzioni. Come afferma Cristina la Rocca:
“(…) Sotto il profilo patrimoniale, poi, degli edifici fungevano da poli di aggregazione del
patrimonio fondiario vieni qui attraverso le donazioni vero anima a essi rivolte dai membri stessi
del gruppo familiare”.
Queste chiese erano la materializzazione il potere dei loro fondatori e delle loro aspirazioni a restare
protagonisti di una memoria non soltanto limitata, ma collettiva; e, al tempo stesso, erano
strumenti di compattazione delle proprietà del gruppo a cui facevano capo. Per
molti aspetti il mondo medievale è davvero molto diverso dal nostro: un passato che ci appare
come una terra straniera.
La costruzione delle case private è un fenomeno caratteristico dell'età longobarda, i documenti
scritti ci informano che nel IX sec, con i carolingi, si attenua notevolmente. Anche a seguito di
disposizioni di Carlo Magno, che fece distruggere una quantità non indifferente degli edifici fondati
tra l’VIII e il IX sec. L’imperatore voleva sottolineare il fatto che il paesaggio politico e sociale e i suoi
protagonisti gli stessi erano cambiati i: dunque anche il paesaggio doveva modificarsi di
conseguenza.
Eppure, le aristocrazie non smettono di costruire chiese: con il passare del tempo questi edifici
vengono ad assumere sempre di più un ruolo di controllo sul territorio e sulle popolazioni che lo
abitano. Gli elementi di controllo della popolazione sono il battesimo e il diritto di sepoltura;
quest'ultimo gli scende la facoltà di concentrare i cimiteri attorno alla chiesa da parte di chi le
costruisce e gestisce. Ecco, un'altra delle trappole in cui può cadere l'archeologo: se è vero che i
diritti di battesimo e sepoltura sono prerogativa delle Pievi a partire dal IX sec, è anche vero che non
tutte le chiese con Battistero e con cimitero sono formalizzate come pievi. A
Monte Gelato, la chiesa tardo antica viene ristrutturata in dimensioni più grandi nel IX sec, le viene
aggiunto un Battistero, il complesso attira intorno a sé un cimitero. L'edificio fa
probabilmente parte di una domusculta, quindi è una Fondazione del papa, e nei documenti non
compare mai come Pieve. Si tratta di un importante caposaldo territoriale, ma non per questo
ricopre il ruolo specifico di Pieve. Tutto questo ci mostra un certo livello di fluidità
dell’organizzazione ecclesiastica in età altomedievale.
Nelle fortezze tardoantiche, lo dimostrano i vari edifici che accompagnano l'ampliamento di fortezze
come Castelseprio e Monselice, o nei centri curtensi come a Scarlino. Una conferma di questa
tendenza viene dal vicus di San Genesio, nella valle dell’Arno, dove la chiesa più antica (VI sec) viene
sostituita da una più grande, a tre absidi, alla fine del VII sec; e dopo, nei primi decenni del X sec, un
ulteriore intervento porta alla realizzazione di un edificio davvero monumentale, con tre navate e
tre absidi. Manca ancora qualcosa: la presenza delle reliquie. In molti casi sono proprio le reliquie a
decretare il successo di un luogo di culto del suo ruolo di spicco nel territorio. Questo è il
motivo per cui in Europa si moltiplicano i furti delle reliquie a danno dei più antichi santuari e delle
catacombe. L'alto medioevo e l'epoca del commercio delle reliquie dei furta sacra. Sei
molto chiese nascono dentro abitati più antichi, le nuove chiesa restano isolate, tagliate fuori dalla
struttura degli insediamenti. Soprattutto a partire dall'inizio del X sec, ed è l'effetto delle strategie
differenti per seguire diversi protagonisti dei processi di trasformazione del territorio. Mentre
chi costruisce le chiese, in particolare le pievi, punta su una agevole accessibilità della struttura, e
dunque le fonda in pianura e in corrispondenza di strade; chi costruisce castelli punta invece a
scoraggiarne l'accessibilità, costruendoli prevalentemente sui rilievi più o meno elevati. Ed ecco
che nel paesaggio estremamente rinnovato del X sec, le pievi si trovano spesso altrove rispetto ai
castelli. Occorre però segnalare anche il caso opposto, anche se più raro: alcune chiese possono
inizialmente attirar attorno a sé delle case, e successivamente l'intero insediamento può venire
incorporato all’interno di un castello. È ciò che avviene a Santa Maria a Monte, a Lucca, dove alcuni
documenti dell’VIII sec testimoniano l'esistenza di una chiesa circondata da abitazioni negli ultimi
anni del IX e i primi del X. L'indagine
archeologica ha portato alla scoperta di una chiesa a navata unica, che al momento sembra il primo
luogo di culto costruito su un rilievo. La chiesa di Santa Maria a Monte acquisterà le funzioni di
pieve verso la metà del X sec, mentre la pieve originaria, Sant’Ippolito in Anniano, verrà declassata
a semplice parrocchia. I due fonti battesimali trovati presso la chiesa di Santa Maria a Monte
dovrebbero costituire la traccia materiale di questo cambiamento di dell'edificio.
d) L’organizzazione ecclesiastica del territorio (2): i monasteri: La diffusione del cristianesimo e le
forme della pratica religiosa passano anche per altri tipi di strutture. Il monachesimo e una delle
novità nate nel con testo della società tardoantica e la sua “età d'oro” va dall’VIII al XII sec. Nel
corso dell'alto medioevo succedono due cose interessanti: la prima è che prende forma la rete dei
più potenti monasteri rurali d'Italia. La sequenza delle fondazioni è impressionante: San Vincenzo al
Volturno (702 -703); Farfa (705); Montecassino (717); Novalesa (726); Nonantola (752). Il secondo
elemento è di natura strutturale, è dall’VIII sec che si afferma la tipologia di monastero che poi si
diffonderà per lungo tempo: i corpi di fabbrica articolato intorno ad un chiostro. Questo viene
spiegato al meglio in un prezioso documento su pergamena dell’alto medioevo: la pianta di San
Gallo, lo schema di un monastero ideale dell’820. Prima che l’impianto proposto sulla pianta di San
Gallo sia metabolizzato, ovvero prima che sia adottato dai costruttori di monasteri, passerà ancora
qualche tempo. E quindi, tra l’VIII e il IX sec, la gran parte dei complessi monastici aderisce a schemi
ancora molto diversi. Un caso particolare è quello Centoporte nel Salento, poco distante da
Otranto. Qui nel VI sec viene costruita una chiesa piuttosto grande con caratteristiche devi
dell'architettura orientale bizantina: tre navate con pilastri quadrangolari, la tipica abside poligonale
all'esterno e semicircolare all’interno. Nel corso dell’VIII sec, l’edificio viene modificato: una piccola
chiesa sfrutta l’abside della precedente e occupa parte della navata centrale (ed A), affiancata da un
altro ambiente che occupa il resto della navata (ed B); quest’ultimo sarebbe il refettorio, che spesso
trova posto davanti alla chiesa. Il nuovo complesso risulta inserito nella struttura e circondato dai
suoi muri perimetrali.
Si tratta di un monastero fortificato, che trova confronti in area orientale sedie, in Turchia; finora in
Italia è l'unico caso accertato tramite l'archeologia.
San Vincenzo al Volturno (Isernia), nel corso dell’VIII, mostra ancora un'altra disposizione degli
edifici. In base alle ultime ricostruzioni, a sud si trova il chiostro; su questo si affaccia a destra il
refettorio, con accanto le cucine, e il dormitorio dei monaci. A nord del chiostro, trova posto un
possibile palazzo, costruito in grandi blocchi di pietra. La fase dell’VIII sai che non lo trovo di San
Vincenzo al Volturno, precedente alla costruzione della grande basilica dell’abate Giosuè, indica che
ancora non esiste uno schema ben definito di un monastero.
Le più importanti trasformazioni si registrano tra la fine dell’VIII e l'inizio del IX sec. In questa epoca
San Vincenzo suscita l'interesse dei franchi, che vedono nel monastero, incastonato nel Ducato di
Benevento, un importante testa di ponte per il controllo dell'Italia centro meridionale. Il
risultato è un conflitto tra i monaci fedeli al duca di Benevento e quelli ben disposti verso i carolingi.
Questa situazione si risolve con l'elezione ad abate di Giosuè, un franco educato alla Corte
carolingia. In questa epoca il sito del monastero viene trasferito sul lato sud della collina, Giosuè fa
costruire la chiesa no da come San Vincenzo maggiore. La pianta si articola su tre navate separate
da colonne ed è preceduta da un quadriportico e da un ingresso monumentale, forse il munito di
torri ai lati. Le mura perimetrali sono dipinte ad imitazione dell’opus sectle. Con
queste caratteristiche l’edificio riassume svariati secoli di architettura sacra, e al tempo stesso lancia
ai visitatori messaggi politici e ideologici. Il principale modello di riferimento dovrebbe essere San
Pietro a Roma. Le tre absidi ricordano invece architettura tipicamente Longobardi, come San
Salvatore a Brescia, mentre le torri sarebbero da intendere come la citazione di un elemento
diffuso in ambito nordeuropeo: un Eastwork, ovvero un avancorpo fortificato aggiunto in facciata.
San Vincenzo Maggiore si configura dunque come un edificio nato dall'incontro differenti eredità
architettonica, proprio perché luoghi di culto cristiano, in territorio longobardo ma controllato dai
franchi. A sud sono situate alcune officine per la lavorazione del vetro e del metallo, utilizzate per la
produzione di oggetti utili; a nord si trova il chiostro, attorno al quale si dispongano il dormitorio, e
magazzini, le cucine il refettorio. Più a nord è dislocata la “foresteria”. Il
complesso tocca il suo apice sotto l'abate Epifanio, che fa costruire la cripta affrescata della chiesa
nord, probabilmente una cappella funeraria. Intorno alla metà del IX sec per San Vincenzo inizia il
declino: nell’847 il monastero viene danneggiato da un terremoto, come indicano le lesioni riparate
con tecnica scadenti. I successivi attacchi dei saraceni saranno un vero e proprio colpo di grazia.
L'abbazia della Novalesa, in Piemonte, sembra uno dei casi più precoce di adozione dell’impianto
articolato attorno ad un chiostro centrale. La prima fase di vita include una chiesa abbaziale a
navata unica, con abside e rettangolare. Gli edifici che si possono riferire al monastero, indagati solo
in parte, seguono altri orientamenti. Dovremmo essere al tempo della Fondazione dell'abbazia,
documentata nei primi decenni dell’VIII sec. Segue una seconda fase, all'inizio del IX sec, in cui la
chiesa viene dotata di un avancorpo in facciata, e l’abside rettangolare è sostituita da una
semicircolare. Sul lato sud del chiostro si dispone il refettorio.
Anche il monastero di San Severo a Classe (Ravenna) aderisce allo stesso schema, un po’ più tardi:
verso la metà del IX sec. In questo caso l'impianto nasce già articolato intorno al chiostro.
Il chiostro in questa prima fase include anche il mausoleo che aveva ospitato la prima tomba
monumentale del Santo, cioè il vescovo Severo, affiancata da un vestibolo.
Ma oltre alla forma dei monasteri ci interessano altre cose: i fondatori, il modo i luoghi in cui
nascono, il loro peso nel paesaggio altomedievale, il ruolo che assumono progressivamente.
I principali fondatori di monasteri rurali sono i regnanti, le più alte autorità ecclesiastiche e alcuni
esponenti delle aristocrazie.
I monasteri altomedievali possono sorgere nelle ville romane dismesse, che offre numerosi spazi
ben adattabili: potrebbe essere il caso di San Vincenzo al Volturno, e avrebbe un senso, che
l'insediamento romano su cui insiste il monastero fosse in realtà un Vicus.
Le città abbandonate sono un'altra possibilità per gli stessi motivi che rendono appetibili resti di una
villa: esempio la vicenda del monastero di San Severo, fondato nel IX sec tra le rovine della città di
Classe; all’abazia di San Dalmazzo, in Piemonte, nata nell’VIII sec presso l'antico centro di Pedona. I
monasteri possono nascere anche presto dei santuari più antichi, per tenere vivo il culto e
tramandare la memoria dei santi, e custodire le spoglie le reliquie. Entrambe le opzioni riguardo alla
nascita sono presenti alla radice della Fondazione del monastero di San Severo a Classe: qui fin
dalla tarda antichità si venera il corpo del Santo. Ma quando la città inizia la sua lenta a scomparsa,
dal VII sec, il culto perdura, e trova il suo ultimo sbocca nella Fondazione di un monastero
benedettino nel IX sec. Il complesso monastico ingloba la basilica e il mausoleo, i monaci diventano
così gli effettivi custodi della memoria del Santo.
Inoltre, i monasteri sono centri dove vengono praticate numerose attività. Ovviamente quelle di
tipo religioso: tra tutte la preghiera. La produzione di cultura un altro importante settore, il quale i
monaci si dedicano negli scriptoria. leggendo i testi antichi, copiandoli e producendo nuove opere.
Poi ci sono le attività produttive di tipo artigianale, ben documentate anche grazie all’archeologia.
Presso i monasteri gruppi di maestranze specializzate producono oggetti utili per la costruzione gli
stessi complessi; alcuni tipi di produzione possono trovare una postazione fissa nel complesso:
produzione di oggetti in ceramica; lavorazione dell'osso e dell'avorio, per fabbricare i pennini per la
scrittura; o la lavorazione della pergamena, per realizzare i volumi per la liturgia e quelli per la
biblioteca. Il passaggio da laboratori temporanei a impianti più stabili è stato individuato a San
Vincenzo al Volturno. Qui le officine vengono impiantate verso la fine dell’VIII sec. In
questa fase si producono tegole, oggetti in metallo e una campana.
La seconda fase invece situato al secondo quarto del IX sec. In questi nuovi impianti si producono
oggetti smaltati, in metallo, vetro, in osso e avorio. Produzione di lusso, raffinate.
Gli oggetti prodotti a San Vincenzo potevano essere donati, scambiati e molti di essi interno
probabilmente a far parte del tesoro del monastero. I monaci risultano molto attivo anche sul fronte
dei commerci, con i beni prodotti dagli artigiani sono presenti sui mercati più importanti dove
vendono e scambiano merci spesso in grandi quantitativi. I dati
archeologici dimostrano che spesso gli oggetti dell'artigianato vanno incontro alla domanda di fascia
medio alta del mercato, fino a sfere elevate. In area urbana l'abbiamo già visto presto la Cripta di
Balbo; e probabilmente parte della produzione di oggetti a San Vincenzo al Volturno era destino del
commercio. L'attività
dei monaci nella gestione delle proprietà è altrettanta importante. I testi scritti ci parlano di un
notevole impegno nella riorganizzazione del paesaggio da parte delle comunità monastiche; ciò si
traduce in opere di deforestazione, ristrutturazione di vecchie aziende o creazione di nuove: tutte
attività volte ad una valorizzazione in termini economici delle risorse disponibili. La
ricognizione ha dimostrato che nella zona di Nonantola, l'insediamento sparso scompare nel corso
del VII sec, e nell’VIII; la vera novità che altro gli squilibri del paesaggio e l'affermazione dell'abbazia
nata nel 752. Il re longobardo Astolfo dona a suo cognato Anselmo, primo abate di Nonantola,
svariati beni tra cui la Curts di Gena, con un bosco e un fiume. È possibile che la Curts di Gena fosse
una proprietà fiscale; e che la sua creazione abbia determinato la fine del paesaggio tardoantico;
che il centro direzionale della Curts e sia divenuto ben presto l'insediamento più rilevante
dell’intera zona; e che, infine, proprio qui sia stata fondata l'abbazia.
Alla luce di tutto è evidente che i monasteri finiscono col diventare degli ulteriori punti di
riferimento per le comunità rurali.
Gli abitanti possono seguire le funzioni e farsi battezzare al loro interno, se la chiesa abbaziale e
dadi Battistero; possono farsi seppellire se è annesso un cimitero; possono lavorare per la comunità
monastica. Insomma, i monasteri possono concorrere all’organizzazione della vita nelle campagne,
al pari delle parrocchie e delle pievi, sia pure con qualche differenza.
e) L’incastellamento: inizio ed esplosione: il termine “incastellamento” fu proposto dallo storico
francese Pierre Toubert per indicare uno dei fenomeni più macroscopici e rivoluzionari del
Medioevo, ovvero la nascita e la proliferazione delle fortezze nel continente europeo a partire dalla
fine del IX e soprattutto dal X sec. Un processo che ha alterato i paesaggi e l'intera struttura del
territorio; quando parliamo di incastellamento non stiamo parlando delle fortezze del tipo di
Castelseprio, Monte Barro o Sant'Antonino di Perti, ma di ben altro.
Innanzitutto, c'è una differenza di carattere cronologico: i castra tardo-antichi si diffondono dal IV al
VII sec; l'incastellamento invece si inquadra tra la fine del IX e il XIV sec, con una vera e propria
esplosione nel corso del X. Un'altra principale differenza sta poi nel numero complessivo.
Tra queste due categorie la prima è sicuramente molto meno numerosa, mentre i castelli
documentati tra la fine del IX e i primi decenni dell’XI sec sono ben 127. Infine, c'è un altro
elemento che rende i due fenomeni diversi, e il con testo della loro nascita: tra i due blocchi
cronologici in questione (IV -VIII sec; IX – XIV sec) cambia la situazione politica, e cambiano gli
autori. I castra tardo-antichi sono voluti dalle autorità statali, in un periodo in cui queste ultime
godono del diritto di fortificazione. I castelli medievali, invece, sono resi possibili dalla
frammentazione politica creatasi dopo la fine dell’impero carolingio (888), e dalle condizioni
instabili di quel periodo. Per essere più chiari: la nascita dei castelli si pone all’interno di un
processo di dinastizzazione dei poteri e delle prerogative statali; e di privatizzazione della terra. E
dunque, i castelli sono i principali strumenti grazie ai quali i ceti dirigenti proteggono i loro
possedimenti. I signori costruttori di castelli attirano all’interno delle nuove fortezze le popolazioni
circostanti. Più che per esigenze difensive, i castelli nascono soprattutto con finalità economiche di
controllo: sono luoghi di raccolta della popolazione, funzionale a garantire al signore una forza
lavoro sotto il suo stretto controllo.
Quando parliamo di archeologia dei castelli, non c'è dubbio che il primo nome da ricordare sia
quello di Francovich: è lui che ha lavorato e prodotto su questo tema alcuni dati più interessanti;
lavorando sia in profondità e sia in estensione. uno degli scali più significativi condotti in un castello
da Francovich è senza dubbio quello di Montarrenti. Esso dopo essere stato un villaggio tardo-
antico/altomedievale, e poi un villaggio curtense, montarrent diventa un castello. Dopo che un
incendio aveva distrutto il villaggio, l’insediamento cambia volto. Ora la sommità della collina viene
difesa da una nuova cinta muraria, mentre all’interno si dispongano alcuni edifici in legno, a volte
mista ad argilla, e con tetti di paglia. Sono documentate anche tracce della lavorazione del ferro. Il
caso di Montarrent ha creato un modello, una sorta di schema ideale della trasformazione del
paesaggio tra tarda antichità e alto medioevo inoltrato. In base a questo modello, messo a punto
proprio da Francovich, i castelli non sarebbero altro che il punto di arrivo di un percorso
plurisecolare di trasformazioni del paesaggio e di nuove forme di insediamento. Seguendo questa
ricostruzione, iniziativa dei signori non si tradurrebbe in vere e proprie fondazioni: gli agglomerati
già esistevano, i signori non fanno altro che impossessarsene e ristrutturarli a proprio vantaggio. Del
resto, i dadi prodotti dallo scavo di Montarrent trovano similitudini con un altro sito, Scarlino. Qui,
tra il X e il XII sec, l'insediamento viene completamente racchiusa all'interno di una cinta muraria in
pietra, e anche le abitazioni sono ora costruite in pietra. E c’è spazio anche per l'aspetto
monumentale: la chiesa del IX sec, viene ora decorata con pitture.
Quindi parliamo di due castelli con precedenti altomedievali; due occasioni in cui l'archeologia
produce dati che leggono la nascita dei castelli il sistema curtense. Il castello curtense sembra
quindi una categoria esistita, testimoniata sia dalle fonti scritte sia da quelle materiali.
Tuttavia, un altro scavo diretto da Francovich, Rocca San Silvestro (Piombino), illumina una
situazione del tutto differente. Qui, una delle zone più ricche di giacimenti minerari, alla famiglia dei
Della Gherardesca fonda un castello verso la fine del X sec, su un'altura prima mai abitata. Il
ruolo del castello è quello di assicurare il controllo dell’estrazione dei minerali, della loro
trasformazione in medaglie della successiva lavorazione. In origine l'insediamento mostra una
struttura semplice: una cinta muraria più ampia, che comprende le abitazioni, disposte su terrazzi
concentrici, e, sulla cima, una seconda cinta che include l'area signorile. Solo tra la fine dell’XI e
l'inizio dell’XII sec, l'abitato viene dotato di due edifici significativi: una torre, che domina l'intero
agglomerato e le zone circostanti; e una chiesa, a navata unica e absidata, costruita in pietra.
Entrambe le strutture, la nuova cinta muraria, sono realizzate con estrema cura, opera di
maestranze specializzate.
Nel Lazio, Caprignano si trova in Sabina, qui gli scali indicano che il luogo non è abitato prima del X
sec, quando nasce un villaggio con una prima fase edilizia prevalentemente in legno che si protrae
fino al XII sec; a questa segue poi una seconda fase, che coincide con la trasformazione in castello.
Il Castello di Castiglione, viene fondato nel X sec, ma non si presenta come un villaggio fortificato: si
tratta di una residenza signorile, un ampio edificio articolato in tre corpi di fabbrica.
Sempre nel Lazio, altre indagini hanno rivelato che alcuni castelli, come Santa Maria di Calcata e
Mazzano romano, vengono costruiti presso luoghi già abitati tra l’VIII e il IX sec.
L'idea di Toubert castelli nascono i luoghi disabitati si basa su alcune “carte di Fondazione”, cioè
documenti che sanciscono la nascita di alcuni castelli. Sono questi documenti a dire che lì dove
verrà affondato il castello in precedenza non c'era nulla, solo bosco. Ma non sappiamo se crederci
per due motivi. Il primo è che i notai e i signori che commissionano loro la redazione dei documenti
non hanno uno sguardo archeologico: potrebbero non essersi accorti o semplicemente non
interessava loro. Il secondo: nella documentazione scritta altomedievale registriamo una certa
enfasi ad accrescere l’effettiva portata delle imprese edilizie; es, se un vescovo restaura una chiesa,
molto spesso leggeremo che la “rifece dalle fondamenta”. Non è escluso che spesso i signori
abbiano magnificato le loro fondazioni di castelli, tacendo l'esistenza di abitati precedenti che loro
stessi si erano limitati a modificare. L'idea che i castelli costituiscono una cesura con l'insediamento
precedente è basata sulla mancanza di informazioni rispetto all'insediamento rurale dei secoli V-X:
Toubert scrive il suo libro, per quelle zone del Lazio che non sono ancora state condotte delle
ricognizioni archeologiche che forniscano dati a riguardo. Quindi, Toubert ha elaborato le sue ipotesi
a partire da un campione di pochi documenti notarili e di alcuni sopralluoghi.
Bisogna però rilevare che il modello del castello curtense su cui insiste Francovich funziona solo in
alcune zone. Già all’interno della Toscana quel modello non risulta esclusivo: sequenze insediative
come quelle di Montarrenti da una parte, e di Rocca San Silvestro dall’altra, non sono paragonabili.
È evidente che non esiste un solo incastellamento; che non esiste un unico modello valido per
un'intera regione. In sostanza: non esiste un unico percorso attraverso il quale si arriva al castello.
E in più: il X sec si dimostra un periodo di tempo fluido nel quale l'incastellamento tende ad
affermarsi, ma con caratteri molto diversi. Quando gli archeologi lavorano su questo tema vengono
riscontrate situazioni differenti, es proprio nel Lazio. Una che cosa è piuttosto chiara: non esiste un
carattere standardizzato per i castelli del X sec, che possono essere veri e propri villaggi con case in
legno difese da una cinta muraria in pietra; o dei recinti che contengono poche case, come
Passerano; o ancora, delle semplici residenze dei signori, come Castiglione in Sabina.
Inoltre, non è che le cose vadano così ovunque. Se prendiamo il meridione, e molte aree la
situazione è diversa, altrove l'incastellamento si realizza con altre modalità.
Sulla Campania ci sono divergenze d'opinione: secondo alcuni si sarebbe verificato un’evoluzione
dei villaggi e castelli simile a quella vista in alcuni casi della Toscana. Es, nel Castello di Montella, in
Irpinia, che in base agli scavi sembra preceduto da un agglomerato nato nel VII sec.
Per altri, invece, lascia dei castelli sarebbe un fenomeno più tardivo, da ascrivere soprattutto ai
Normanni; eccezion fatta per le grandi abbazie, come Montecassino e San Vincenzo al Volturno. In
Puglia, troviamo castelli fin dal X sec; forse è così anche in Basilicata, e in Calabria.
In tutte queste regioni, la scintilla per l'incastellamento viene fatta scoppiare dei Bizantini, che fin
dal X sec si dedicano ad una massiccia attività di fortificazione; e poi dai Normanni, che quelle
fortezze le ristrutturano per poterle riutilizzare. In Sicilia, le fortezze sembrano moltiplicarsi sotto la
dominazione araba: il periodo del rescritto del califfo al-Mu’izz, un provvedimento volto a realizzare
in tempi brevi un gran numero di fortificazioni. E poi c'è la Sardegna: qui, gli archeologi si sono fatti
l'idea che in effetti l'incastellamento abbia inizio anche qui tra il IX e il X sec; che sia soprattutto il
risultato di un’iniziativa dei giudici. Nel sud della penisola, quindi, sembra prevalere un
incastellamento nato soprattutto per iniziativa delle compagini statali. Gli
scavi dimostrano con certezza come erano fatti i primi castelli: materiali più ricorrenti erano la terra
e in legno. Ad esempio, nel sito prezzo Sant'Agata Bolognese: qui l'apparato difensivo è realizzato
sfruttando un fiume che con le sue acque alimenta dei fossati; o nel castello della Brina, non
lontano da La Spezia: nel X se che una palizzata difende alcune abitazioni costruite interamente in
legno. Insomma: per capire le origini di questo fenomeno, bisogna scavare di più: più siti, in
estensione. Solo così sarà possibile fare un bilancio esaustivo della situazione.
Oltrepassato il simbolico anno Mille, le cose si fanno più difficili. I motivi della difficoltà sono due:
primo, la moltiplicazione esponenziale delle fonti scritte, con le quali bisogna confrontarsi; e poi, il
tipo di dati archeologici per ora disponibili, tutt'altro che bilanciati.
Se è vero che per lungo tempo l'archeologia classica ha portato al centro delle sue attenzioni la
categoria delle ville, è altrettanto vero che l'archeologia medievale ha privilegiato lo studio dei
castelli. Indagando i castelli si scrive la storia delle classi dirigenti e di quelle subalterne; delle forme
architettoniche delle tecniche edilizie; delle produzioni.
I castelli Normanni risultano costruiti in maniera diversa: a volte ricorrono gli schemi già
descritti, dominate dalle torri in muratura; altre volte invece si tratta di motte, cioè colline
artficiali, difese da fossati e palizzate, sulle quali possono trovare posto delle torri in legno.
Questa soluzione non è una esclusiva della dominazione normanna. Questi castelli vengono
identificati sempre anche nell'Italia centro settentrionale. Un'indagine ha permesso di mettere a
fuoco alcuni tratti caratteristici l'evoluzione architettonica dei castelli, i motivi che sono dietro a
questo processo: a famiglia più potente, con più mezzi e ambizioni, corrisponde la costruzione
di edifici più elaborati; invece il ragionamento è completamente ribaltato; e che nel XII sec i
castelli sono tutt'altro che simili tra loro. Apparentemente, quelli posseduti dai signori più
potenti, hanno una conformazione molto poco monumentale, e le architetture del potere si
limitano ad una torre. È il caso di Donoratico, castello della famiglia Della Gherardesca.
Invece gli edifici più complessi si trovano più spesso nei castelli di famiglie emergenti, i cui
membri risiedono nei castelli ed evidentemente hanno bisogno di rappresentare la loro potenza
attraverso architetture ricercate. È quanto si verifica a Campiglia Maritma, centro di un altro
ramo della stessa famiglia Della Gherardesca, le cui fortune appaiono legate ai loro
possedimenti rurali, dove nel XII sec vengono affiancati una torre e un palazzo.
A volte questi passaggi avvengono in sequenza: come a Castel di Pietra (Grosseto), dove nelle
prime fasi edilizie, quelle relative alla famiglia Aldobrandeschi, si ha una semplice torre, poi
sostituita da un recinto fortificato (cassero). Quando poi il castello passa alla famiglia
Pannocchieschi, nella seconda metà del XIII sec, viene costruito un palazzo a due piani, che
conferisce uno spessore monumentale mai raggiunto prima.
Più ci si inoltra nei secoli centrali del Medioevo (XII-XIII) e più le architetture tendono a farsi
poderose. È il caso di Illasi (Verona): un sito dove lo spessore monumentale tocca livelli
eccezionali. Il castello, nel corso del tempo raggiunge uno sviluppo notevole, accoglie dentro la
cinta muraria una enorme torre, e svolge funzioni militari; e un palazzo, cioè un edificio
residenziale a pianta rettangolare. Questi elementi si devono alla volontà del condottiero
Ezzelino III da Romano, signore di Verona. Il grande cantiere allestito trasforma il villaggio
fortificato in una importante fortezza militare.
Gli stessi sviluppi in chiave monumentale si colgono nel Meridione. In Campania, a Montella,
nel XII sec viene costruito un torrione a pianta circolare; nel XIII sec viene affiancato da un
palazzo. Strutture simili si ritrovano anche nei castelli di Rocca San Felice (Av) o Lagopesole (Pz).
Anche in castelli costruiti dai Normanni si caratterizzano inizialmente per la presenza di sole
torri, alle quali si affiancano altri edifici. Come succede a Scribla (Cs), fondato verso la metà
dell’XI sec da Roberto il Guiscardo; o a Vaccarizza (Fg), il castello viene costruito sopra una
motta. Ma c’è di più: scavando la motta ci si è accorti che nascondeva un grande edificio in
muratura, parte di un precedente insediamento bizantino (interpretata come un praetorium)
era stato usato dai Normanni come lo scheletro sul quale impiantare la motta: un caso
esemplare di riuso funzionale dell’antico. Ogni volta che possano, i Normanni tendono a
riutilizzare le strutture precedenti, quando fondano un nuovo castello. La stessa cosa succede a
Segesta (Tp), dove l’arrivo dei Normanni comporta la costruzione di un dongione: un impianto
massiccio, articolato intorno ad un cortile centrale.
Ovviamente, tra le architetture del potere bisogna includere anche le chiese. Le chiese nei
castelli si moltiplicano a partire dall’XI sec: si tratta in molti casi di semplici edifici a navata
unica, con una sola abside.
Non sono le dimensioni il punto più importante: il fatto che le chiese vengano costruite
chiamando a lavorare maestranze altamente specializzate, il che è indice delle notevoli
potenzialità economiche dei signori. Dal punto di vista archeologico, l’indizio principale è la
grande accuratezza nel taglio, nella rifinitura e nella posa in opera dei blocchi di pietra che
costituiscono i paramenti.
La presenza degli edifici ecclesiastici all’interno dei castelli è un elemento di grande importanza
nell’evoluzione del paesaggio nei secoli centrali del Medioevo, perché è indice di una
sorveglianza sempre maggiore dei signori sulla popolazione. Controllare la chiesa equivale a
controllare l'intero ciclo di vita dei sottoposti, compresa la sepoltura; se poi il signore riesce ad
ottenere il rango di Pieve per la chiesa dentro il castello, allora il controllo e completo, perché
include il prelievo di una quota dei prodotti. Diventa quindi un controllo molto consistente
Sono abitati pianificati, con una pianta ottagonale (cioè basata sullo schema in cui gli assi
stradali si incrociano); sono difesi da circuiti murari e a volte anche mediante fossati; mostrano
un certo grado di monumentalità, con la presenza di palazzi per il governo; il tessuto interno è
costituito da case a schiera; sono speso servita efficienti sistemi di infrastrutture idrauliche, tra
cui pozzi e cisterne. Sono quindi, abitati piuttosto organizzati. Uno dei casi più indagati e quello
di San Giovanni Valdarno, in Toscana, dove tutte le caratteristiche elencate tornano
puntualmente.
Il peso che hanno avuto le nuove fondazioni in alcuni casi è stato notevole e: basti pensare che
nascono centri come Alessandria, cuneo, Bolzano, L’Aquila. Sono solo alcune delle fondazioni
decollate fino a raggiungere lo status di città. Uno degli esempi più tardi di terra nuova noto
attraverso l'archeologia è Muro Leccese, in Puglia. Il centro nasce verso la metà del XV sec, nel
quadro di una riorganizzazione del sistema di sfruttamento delle risorse agricole: la Puglia in
questo periodo è sotto attacco da parte dei turchi. L'aspetto di Muro Leccese è quello di un
insediamento a pianta rettangolare, protetto da un muro di cinta e da un fossato e suddiviso
all’interno in lotti. Una fortificazione che funge da residenza del Signore sii trova presso l'angolo
sud est, ed è un palazzo a pianta rettangolare, sviluppato in altezza su tre piani.
Infine, parlando di insediamenti fortificati, un ultimo accenno va fatto alle cosiddette
“fortifcazioni minori”. Si tratta di motte, casali non necessariamente connessa ad iniziative
consistenti di popolamento. In alcuni casi sono delle aziende fortificate con la semplice aggiunta
di una torre di un recinto. Tutto questo ci aiuta a comporre il quadro di un territorio fortemente
militarizzato: un modello in sintonia con il paesaggio urbano coevo, caratterizzato da torri e
fortezze di vario genere.
b) Le altre forme dell’insediamento: I castelli sono uno dei più importanti lasciti del medioevo, ma
non l'unica esclusiva forma di insediamento a partire dal X sec. I paesaggi dei secoli centrali del
medioevo sono luoghi nei quali convivono fianco a fianco forme diverse di insediamento.
Ad esempio, i “borghi”: sono insediamenti aperti, che nascono lungo le principali arterie di
comunicazione. Da poco conosciamo archeologicamente uno di questi luoghi, il borgo di San
Genesio, nella valle dell'Arno. Nella sua fase tardoantica e altomedievale si chiamava vicus
Wallari e comprendeva una piccola chiesa dedicata a San Genesio. Nel 991 l'insediamento
compare nei documenti e la chiesa è un importante Pieve, ricostruita con una grande pianta a
tre navate e tre absidi. Il successo del borgo si misura anche da un ulteriore ricostruzione della
Pieve nella prima metà dell’XI sec. Il nuovo edificio è più ampio, viene dotato di una cripta e di
una canonica. In uno degli edifici sono stati trovati molti frammenti di ceramiche, di resti
organici riferibili a pasti (uova, telline, ossa animali), e di dadi da gioco: è possibile che si
trattasse di una Taverna sul percorso della via Francigena. I borghi possono anche avere
un'evoluzione particolarmente complessa: San Genesio nasce come villaggio, diventa poi un
borgo, raggiunge un notevole spessore, finché cessa di esistere perché diventa uno scomodo
concorrente per i più potenti centri vicini. Anche San Gimignano da borgo diventerà un castello,
con un'espansione tale da raggiungere la qualifica di “quasi città”.
Oltre ai borghi, troviamo poi le villae: villaggi aperti, senza circuiti difensivi.
Molto spesso, l'unico elemento di spicco un edificio ecclesiastico. Questo è quanto sappiamo
delle ville, un tipo di insediamento ancora oggetto di indagini. Alcuni esempi di ville sono stati
scavati in Piemonte, nell'area dell'antica città romana di Pollenzo. Qui sono tornati alla luce i
resti di sbagliato abitazioni, dalle dimensioni variabili, ma molto simili tra loro: le cause possono
essere piuttosto piccole, ad ambiente unico; o più ampie e suddivise in vari ambienti.
L'insediamento resta in vita fino all'inizio dell’XVI sec. L'elemento monumentale che sembra
abbia curato il popolamento in quest'area è un monastero fondato dall'abbazia della Novalesa,
con una chiesa dedicata a San Pietro. Accanto a questa è stato ritrovato un cimitero: il cimitero
della villa. La villa di Pollenzo si sviluppa presso i resti di un'antica città abbandonata.
Questi insediamenti possono nascere anche in altri tipi di luoghi: es, nelle immediate vicinanze
di ville romane. È quanto accade a Villamagna, nel Lazio. L'abitato nasce verso il X sec in
corrispondenza dei resti della zona produttiva delle Terme di una villa abbandonata.
Gli abitanti del villaggio di Villamagna risiedono in case costruite in legno per una scelta degli
stessi abitanti, particolarmente vessati dall'obbligo di corvée per il vicino monastero di San
Pietro; essi volevano mantenere una struttura leggera per la propria casa, in modo tale che,
quando la pressione da parte del Signore si fosse fatta davvero insostenibile, avrebbero avuto la
possibilità di spostarsi altrove e portarla via con sé. Anche a Piazza Armerina, in Sicilia, presso la
Villa del Casale si forma, dal X sec, un villaggio con case più articolate rispetto a quelle di
Pollenzo: sono edifici del tipo “pluricellulare”, disposti attorno ad un cortile con una pianta a U,
a L o quadrata. Lo stesso tipo di case si ritrova in altri luoghi islamizzati del Mediterraneo, come
la penisola iberica e il Maghreb. In
Sardegna, invece, non lontano da Sassari, è venuto alla luce l’abitato di Geridu. Il villaggio nasce
nel XII se che si presenta come un agglomerato di case, privo di elementi difensivi. Geridu
colpisce per il suo notevole spessore monumentale. Nei primi decenni del XIV sec viene
aggiunta una grande chiesa a navata unica, dedicata a Sant'Andrea; adiacente a Sant'Andrea è
stato ritrovato un grande edificio: forse l'abitazione di un signore; o la residenza del clero.
Geridu viene abbandonato nel corso del XIV sec, in seguito ai miei soldi violenti distruzione
alternati a rioccupazioni temporanee.
Un'altra tipologia di insediamento è la casa isolata. I dati provengono soprattutto dalle
ricognizioni di superficie, indicano caratteristiche ricorrenti per questa categoria: dimensioni,
ceramiche smaltate e acrome. Case del genere, tra il XII e il XIV sec, sono state identificate
nell’area senese, nel veronese, nel reggiano. È molto importante tenere presente che questa
forma insediativa sopravvive anche ai più grandi rivolgimenti e alle più cospicue riorganizzazioni
del territorio.
c) L’organizzazione ecclesiastica del territorio: pievi, parrocchie e monasteri: il basso Medioevo è
l’epoca in cui si definisce con precisione l’organizzazione ecclesiastica delle campagne. La
struttura è a piramide: il vescovo, che risiede e opera in città, amministra la diocesi (il territorio
di riferimento). I caposaldi della diocesi sono le pievi, e da queste dipendono le parrocchie. Le
decime dei parrocchiani vengono raccolte dalle pievi. Il XII sec, e il momento in cui la parola
“diocesi” assume il significato preciso di “circoscrizione territoriale ecclesiastica”. Quindi, i
secoli successivi al Mille sono un’epoca di maggiore definizione del controllo dei vescovi e della
chiesa sulle aree rurali. In questo periodo la chiesa, costruita dentro i castelli, potenzia e
afferma il suo ruolo; e finisce per ottenere anche il rango di pieve. Questi processi
vanno di pari passo con un altro fattore, ovvero una nuova spinta alla monumentalizzazione
degli edifici. Le chiese delle campagne e delle città vengono in buona parte ristrutturate,
riadattate, ricostruite; e costruire ex novo, in generale una tendenza che accomuna l'Italia e
molti altri paesi. In poche parole, la nascita e l'affermazione del romanico. È questo il dato con
cui l'archeologia si misura più spesso, quando concentrò la sua indagine sui luoghi di culto
bassomedievali.
Possiamo vedere tre esempi per illustrare quanto ho detto degli edifici di culto: il primo in
Emilia, la chiesa di San Giorgio presso Argenta, che viene costruita nel VI sec dagli arcivescovi di
Ravenna. Al momento della sua Fondazione è una chiesa rurale non troppo grande.
Probabilmente e luoghi di culto a cui fanno riferimento gli abitanti delle campagne circostanti, e
non risulta neanche attrezzata con un fonte battesimale, in questa fase: una chiesa di media
importanza. All’inizio dell’XI sec viene definita pieve, rango che può avere raggiunto tra l’VIIII e il
X sec. Una volta divenuta a Pieve, la chiesa di San Giorgio acquista un peso sempre maggiore e
ne vediamo gli effetti nelle sue strutture: di edificio a navata unica viene ampliata a tre navate,
decorata con affreschi e il portale viene arricchito da un ciclo di sculture.
La piccola chiesa di antica è diventata una grande chiesa romanica, è il momento più alto del
suo ciclo di vita. Poi cambia qualcosa: l'abitato di Argenta che si trova a pochi chilometri dalla
Pieve, assume un ruolo sempre più rilevante finché diventa un centro con ambizioni urbane.
La popolazione inizia a gravitare sempre di più verso Argenta e la pieve trova sempre più isolata.
Finché nel 1252 le funzioni di Pieve vengono trasferite una delle chiese nate dentro le mura di
argento, quella dedicata a San Nicolò. L'esempio della Pieve di Argenta ci mostra come in
quest'epoca gli assetti messi a punto in precedenza vengono meglio definiti e potenziati, anche
mediante investimenti di carattere economico. La chiesa non intendo soltanto gestire al meglio i
territori, ma a imprimere il suo marchio su di essi, lasciando un segno forte di carattere
monumentale. Possiamo dire che la Pieve di Argenta diviene nel XIII sec un relitto del passato,
marginalizzato in seguito alle trasformazioni del territorio e delle istituzioni che lo gestiscono.
Il caso della Pieve di Argenta non è certo indicativo per tutte le situazioni; altrove conosciamo
esempi di pievi “vincenti”, che adesso al loro posto mantenendo le loro funzioni.
Il secondo esempio ci porta in Toscana, nella valle del fiume Sieve; i luoghi e il castello di Monte
di Croce, una delle più importanti fortificazioni della potente famiglia dei cont Guidi. Qui
è stata scavata la chiesa del castello, dedicata ai santi Miniato e Romolo, per la quale sono stati
identificati due fasi costruttive. La prima risale all’XI sec: in quel momento la chiesa è una
semplice aula absidata dove attorno alla dieta si forma da subito un cimitero. Nella prima metà
del XII sec, l'edificio inizia ad essere modificato e l'orientamento viene invertito: il nuovo
cantiere viene interrotto nel momento in cui il castello risulta attaccato e distrutto dall'esercito
del Comune di Firenze. La fortificazione verrà poi ricostruita, ma della chiesa si perdono le
tracce. Monte di Croce ci parla del diffondersi della chiesa all’interno dei castelli, e poi della
possibilità che hanno i signori di costruire edifici ecclesiastici nel tentativo di fare loro acquisire
funzioni di cura d'anime. Una volta realizzato questo passaggio il signore può esercitare un
controllo sulla popolazione del castello: governo infatti l'intero ciclo di vita dei suoi dipendenti e
riscuote le tasse. Inoltre “la parrocchia contribuisce a definire una comunità di villaggio e quindi
a chiarire i quadri sociali istituzionali della Signoria”. Si tratta di costruire una comunità: un
progetto che passa anche per l'innalzamento del tasso di monumentalità di questi edifici, o
ristrutturati con le tecniche e lo stile del romanico. Per
il terzo esempio, torniamo a San Vincenzo al Volturno. Sappiamo che in seguito all'attacco degli
arabi nell’881, i monaci abbandono il complesso si trasferiscono a Capua. Poi, una
comunità monastica torna risiedere a San Vincenzo nel X sec, e ristruttura in parte la grande
basilica di età carolingia. Il dibattito è incentrato sull’ipotesi che è nell’XI se che venga aggiunto
un atrio di fronte alla più antica basilica; o che quell’atrio esistesse già nel chi è successo IX sec.
Comunque, San Vincenzo, anche se non raggiunge più i livelli del passato, torna ad essere molto
potente; e nel X sec, inizia a promuovere l'incastellamento nei suoi possedimenti. Un nuovo
importante momento nella vita del complesso ha luogo verso la fine dell’XI 7, quando il
monastero viene spostato sulla riva opposta del fiume Volturno. Per realizzare ciò
vengono mobilità degli abitanti di più di venti castelli, un segno del forte potere signorile di San
Vincenzo. Il nuovo monastero nasce in un clima politico molto più instabile rispetto al passato. È
per questo che viene costruito un muro di cinta che protegge l'intero complesso. Il monastero
comprende una chiesa abbaziale a tre navate e tre absidi, preceduta da un grande
quadriportico e affiancata a nord dal campanile. A sud si trova il chiostro, intorno al quale si
dispongono gli altri edifici. Sembra possibile che il modello architettonico seguito sia quello
dell’abbazia di Montecassino. Il monastero di San Vincenzo dell’XI sec e sicuramente più
coerente e compatto del precedente, e testimoni in maniera inequivocabile la potenza della
Signoria dell'abate. Quella di San Vincenzo al Volturno dopo il Mille e la storia di un monastero
che è già un importante passato alle spalle, e torna ad affermarsi creando una vera signoria
territoriale.
Le stesse strutture materiali del complesso riflettono bene la sua dimensione vincente in questo
periodo; d'altro canto suggeriscono la fuoriuscita di San Vincenzo dal “grande gioco” della
politica a livello internazionale e ci parlano chiare lettere di una “nuova stagione
monumentale” del fenomeno monastico.
Il Colosseo, il Pantheon, il teatro di Marcello, il Foro Boario, l'arena di Verona, l'arco di Augusto.
Questi sono i monumenti gli edifici romani sopravvissuti fino ai nostri giorni. I monumenti medievali
sono migliaia di più, perché il medioevo costruito vanta una percentuale di sopravvivenza altissima.
Non sorprende, che gli archeologi medievisti abbiano cercato di attrezzarsi per affrontare questa
l'archeologia medievale prende in considerazione le architetture superstiti: è questa una delle anime
portanti di questa disciplina fin dalle origini. Richard Krautheimer, negli anni 30, aveva ben chiaro che i
monumenti e i loro muri potevano essere letti come dei palinsesti. Lo si vede bene in una delle sue
opere più importanti, una vera pietra miliare dell’archeologia medievale romana: il “Corpus Basilicarum
Christianarum Romae”: la più completa indagine sulle chiese tardoantiche e altomedievali di Roma. Nei
prospetti delle singole chiese, le zone con muratura omogenee sono delimitate e caratterizzate con
retini diversi. Qui, siamo quasi in presenza del concetto di unità stratigrafica muraria, ma manca la
numerazione di ogni singola unità, la sistematicità del metodo stratigrafico e manca il riconoscimento
dell'esistenza delle interfacce negative, e superfici di taglio e di istruzione. Insomma, mancano
alcuni ingredienti essenziali, anche se la ricetta di base c'è già tutta. Ora, grazie
all’acquisizione del metodo stratigrafico, i presupposti ci sono tutti, e inizia a diffondersi l’idea che quel
metodo possa essere applicato non solo ai depositi, ma anche a quelli in elevato. Mentre chi scava
distrugge il deposito archeologico che intende indagare, che analizza i monumenti compie uno
smontaggio del suo oggetto di studio che è soltanto virtuale. I primi a svolgere indagini di archeologia
dell'architettura sono i gruppi medievisti che lavorano in Liguria e in Toscana; ma una volta capito le
potenzialità di questo settore la pratica si difende. I
passaggi principali di un’indagine di archeologia architettura sono innanzitutto in rilievo archeologico.
Rilevare è un gesto fondamentale: è il momento in cui si entra in contatto con il manufatto.
Una volta effettuato il rilievo, occorre iniziare a scomporre il monumento nelle sue Unità Stratigrafche
Murarie (USM), ovvero le zone omogenee risultato di azioni differenti, di segno positivo e negativo:
tratti di muratura, tagli, risarciment. Esistono tipi diversi di unità stratigrafiche possono interessare le
murature: le unità di rivestimento (gli intonaci ad esempio). Tutte le unità identificate vanno delimitate
e numerate, e descritte in apposite schede.
Come avviene per quelli del deposito, le USM intrattengono tra di loro dei rapporti stratigrafici, che
possono essere relativi a sovrapposizioni, appoggi, tagli, e altri ancora. I rapporti stratigrafici sono
l'elemento cardine che permette di ricostruire la cronologia relativa, e quindi la sequenza dei vari
interventi: cosa è stato fatto prima e cosa dopo.
Il Matrix di Harris, è il diagramma stratigrafico che sintetizza sotto forma di numeri, ordinati ad albero,
l'intera sequenza edilizia. Da qui, il livello ancora superiore e il raggruppamento delle USM in attività, e
quindi il passaggio dalla cronologia relativa a quella assoluta: cioè la datazione raggiunta in base ad
elementi intrinseci alle USM, come i materiali da costruzione: le pietre, i mattoni, per i quali può essere
determinante la mensiocronologia (la datazione dei mattoni in base alle loro dimensioni); i componenti,
come le malte; le iscrizioni; o la datazione assoluta, che può essere ricavata in base ai confronti con
elementi esterni: es, porte e finestre; o attraverso i dati dello scavo archeologico.
Riassumendo: il metodo seguito dall’archeologia dell'architettura si basa su una sequenza operativa che
si snoda attraverso i passaggi del rilevare, identificare, numerale schedare, stabilire la cronologia la
sequenza costruttiva e poi raggiungere la datazione assoluta. L'intervento che dovrebbe animare
l'archeologo non è solo quello di ricostruire la microstoria di un monumento, ma quello di lavorare su
scala ben più ampia, usando i dati forniti dai singoli monumenti per imbastire ricerche sui materiali
dell'edilizia e sulle loro trasformazioni e usi nel corso del tempo; sugli attrezzi da lavoro; sulle
trasformazioni delle tecniche edilizie; sui cantieri, e quindi su un intero settore dell'artigianato
medievale. Poi, bisogna anche saper andare al di là delle architetture, che sono veicolo di informazioni.
La torre di un castello, le murature, ci parlano sì di tecniche edilizie di tipologie architettoniche, ma
anche delle ambizioni e degli scopi di coloro che li vollero costruire. I monumenti erano anche uno
status symbol con cui aristocratici tentavano di affermare la loro supremazia sul territorio; o uno
strumento di competizione tra città.
Insomma, le architetture possono avere investito molti significati. Sta l'archeologo, attraverso le sue
indagini e le sue conoscenze, a studiarle nel dettaglio per poi riuscire ad interpretarle.
Tiziano Mannoni, uno dei padri fondatori dell’archeologia medievale italiana, disse che l’archeologia
riscatta l'architettura da un'eccessiva dipendenza dalla storia dell'arte, la cui importanza resta integra,
ma non va dimenticato che l'aspetto estetico nell'architettura ha sempre convissuto con quelli
funzionali e di durata nell'uso. Aspetto estetico, ma anche funzionale di durata. Ecco i risultati ai quali si
può legittimamente ambire, quando si fa archeologia dell'architettura. Quanto all'interazione con gli
architetti: un progetto di restauro che parta da un’analisi di archeologia dell'architettura è quanto di più
completo si possa desiderare. Secondo Francesco Doglioni, un architetto che da tempo si misura con
questi problemi: “l'acquisizione di una mentalità stratgrafica nel progetto di restauro permette al
progetsta di misurare più concretamente la responsabilità che si assume. Lo mette in grado di valutare
meglio i danni e lo indurrà ad agire con maggiore circospezione (…)”.
L'archeologia stratigrafica, archeologia dell'architettura come punto di partenza più solido per il lavoro
dell'architetto. Il migliore dei mondi possibili per la conoscenza e per la tutela è un cantiere in cui
l'archeologia dell'architettura e scavo coesistano, e insieme costituiscono poi la base per il progetto di
restauro. Il numero di informazioni sarà così sensibilmente più ampio.
Nel quadro di Viollet-Le-Duc c'è tutto questo; addirittura, l'idea che dalla posizione dei frammenti si
possa ricostruire la dinamica del crollo. Manca però la archeologia dell'architettura, che non esisteva
ancora.
Indaghiamo i monumenti, ma dobbiamo anche conoscerli, conoscere le loro caratteristiche di base per
sapere cosa ci aspetta quando li studiamo nel dettaglio. Solo sapendo cosa aspettarci potremo
comprendere l'insieme. Insomma: solo riconoscendo l'insieme le parti che lo compongono, potremmo
farci sorprendere dai dettagli.
c'è il palazzo, la residenza dei signori: un edificio grande massiccio a pianta rettangolare, costruito
in muratura è articolato su più piani. Tutta la parte descritta prende il nome di area signorile, ed è la
zona dove si trova la massima concentrazione di architettura del potere. L'area che comprende la
torre e il palazzo è una sorta di fortezza nella fortezza.
All'esterno delle mura fa parte dell'apparato difensivo anche un fossato. Oltre quest'ultimo si trova
il borgo: dove risiedono gli abitanti. Il borgo è un agglomerato di case; se il castello cresce di
importanza, la popolazione aumenta e il borgo può includere anche edifici di altro di tipo. Nel
corso del tempo può nascere l'esigenza, per motivi di sicurezza, di cingere di mura anche il borgo. In
questo modo si creano nuclei insediativi concentrici, ognuno dei quali protetto da mura.
b) Leggere una chiesa: Esistono chiese con pianta rettangolare, quadrate, circolari; con una, due o tre
absidi. Quella studiata qui è una chiesa con una tradizionale pianta basilicale, cioè rettangolare
allungata, suddivisa in tre navate. L’edificio è preceduto da un quadriportico, un cortile con i portici
su tutti i lati. Quando non sono presenti i portici, il cortile prende il nome di atrio. La chiesa ha una
facciata a tre elementi, dalla quale si intuisce che la navata centrale è più alta delle due navate
laterali. All’esterno, le superfici delle murature sono movimentate da lesene, contrafforti che hanno
soltanto una funzione estetica. Le navate sono separate da colonne, che sostengono delle arcate.
Sui muri sorretti dalle arcate si impostano le capriate della copertura dell'edificio. La navata
centrale termina con un grande abside semicircolare. Tutta la zona dell'abside, è l'area adiacente
alla basilica, si chiama presbiterio ed è destinato al clero. Al centro si trova la cattedra, un trono su
cui può sedere il vescovo. Di fronte all'abside è collocato il ciborio, il baldacchino che protegge
l'altare: una lastra di marmo sorretta da quattro colonnine. Intorno, la Schola cantorum: il recinto
dentro il quale trovano posto il clero e i cantori; la Schola termina verso la facciata con un corridoio,
la solea, delimitata da balaustre: è lo spazio dove il clero avanza verso l'abside. Uno spazio di
transizione dove può avvenire l'interazione tra sacerdoti e popolo. Tra le colonne che separano la
navata centrale da una delle laterali si trova l'ambone, la tribuna dalla quale il sacerdote legge le
scritture.
c) Leggere un monastero: All'inizio i monasteri non avevano una struttura fissa. È solo in età carolingia
che viene sancita e codificata la pianta così come la conosciamo tutti: la pianta di San Gallo. Un
monastero di tipo canonico potrebbe ospitare una comunità di monaci benedetni come di
cistercensi. Il monastero si articola accanto alla chiesa principale. Il fulcro del complesso è un grande
chiostro, al centro del quale può trovarsi una fontana o una croce. Al centro del lato sud del chiostro
c'è un lavatoio, da dove si passa per entrare nel refettorio, ovvero la grande stanza al centro della
dell’ala sud del monastero. Sempre nell’ala sud si trovano le cucine; mentre dalla parte opposta
possono disporsi ambienti di servizio, come la lavanderia, o ancora le latrine.
Al centro dell'ala est si trova in genere la sala capitolare, i luoghi dove l'abate impartisce gli ordini,
prendere decisioni più importanti assegna le punizioni.
Al piano di sopra c'è il dormitorio; mentre l'ala ovest è invece spesso occupato da cantine e
dispense per il cibo e le bevande. Altri edifici che possono far parte di un monastero sono: gli
appartamenti dell’abate, separati da quelli dei monaci; la foresteria per gli ospiti, anche questa
separata, lo scriptorium, cioè la biblioteca dove si leggono e si copiano i testi antichi; l'infermeria; i
recinti per gli animali e le stalle. Quando un monastero è particolarmente grande e può includere
al suo interno più di una chiesa e più chiostri, più piccoli.
Il rapporto tra i vivi e i morti è un elemento molto presente nella società medievale. Dal punto di
vista dell’archeologo, affrontare questo tema significa considerarlo a partire dagli spazi destinati alla
morte: i cimiteri, quindi. Durante l’antichità i morti vengono sepolti, celebrati in maniera diversa:
attraverso le cerimonie, la monumentalità. Di solito i defunti venivano relegati nelle periferie delle
città, fuori le mura e lungo le strade; comunque lontani dai vivi. A partire dal V sec le cose
cambiano, i morti iniziano ad entrare in città. Le prime sepolture avvengono in aree abbandonate
negli spazi aperti come le piazze, ma anche accanto alle abitazioni: avere i propri parenti sepolti
accanto alla propria casa, diventa un fatto normale, la morte diviene un affare di famiglia. A volte i
cimiteri possono anche concentrarsi intorno alle chiese, a dimostrazione di una precoce attenzione
verso la sfera funeraria da parte dell’amministrazione ecclesiastica. Dall’età tardoantica
un agglomerato, di qualunque natura, può dotarsi di un proprio cimitero o condividerlo con altri
insediamenti; e questo spazio dedicato alla morte può trovare posto ai margini dell’abitato, o al suo
interno. Anche gli insediamenti rurali possono confermare l’esistenza di una commistione stretta tra
vivi e morti, come nel caso della fortezza tardoantica di Monselice, in veneto, che accoglie al suo
interno alcune sepolture del VII sec. I cimiteri possono anche essere impiantati presto le rovine di
monumenti o gli abitati antichi. È quello che succede a Sirmione, in Lombardia, dove una villa
abbandonata già dal III sec viene occupata da una necropoli. In questo caso non erano
presenti tracce di un abitato, quindi bisogna riferire il cimitero ad un altro nucleo insediativo non
molto distante. Poi ci sono
situazioni più complesse, cimitero che si formano attraverso percorsi molto articolati: es, Centallo,
in Piemonte. Qui una chiesa con Battistero viene fondata nella prima metà del V sec prezzo resti di
una villa antica, e un cimitero lei nasce attorno al VI sec. È una classica sequenza villa-chiesa-
cimitero. Un altro caso è Garlate, in Lombardia. In precedenza, c'era una villa romana, verso la
metà del V sec viene costruito un mausoleo, che ospita più di una tomba. Nel corso
del VII sec, il mausoleo viene trasformato in una chiesa, con attorno un cimitero.
Con Centallo e Garlate siamo arrivati a un ulteriore aspetto fondamentale del problema: il rapporto
tra gli edifici di culto e cimiteri. È un rapporto multiforme, mutevole; però è piuttosto evidente che
le modalità principali non sono poi molte: la chiesa può essere fondata in un'area prima non
occupato da una necropoli, e stimolare un’attività funeraria. Oppure, l'edificio di culto può essere
preceduto da un mausoleo. Questi edifici sono un elemento molto diffuso nelle campagne, dove
rappresentano una delle soluzioni alle quali ricorrono più spesso le autorità dei membri
dell'aristocrazia. A Garlate gli stessi mausolei possono svolgere un ruolo di monumentalizzazione
del culto delle aree funerarie, se vengono in seguito trasformato in chiese. O la chiesa può inserirsi
in una necropoli più antica, e favorirne un ulteriore sviluppo. Come accade a Castel Trosino, nelle
Marche: al centro di un cimitero nato alla fine del VI sec, sulle tombe già presenti, ad un certo
punto, si sovrappone una piccola chiesa che all’interno ospita la tomba del suo fondatore,
probabilmente una donna. Da allora inizia una nuova fase del sito: la necropoli è ormai di significato
in chiave cristiana.
per tutto il medioevo. Le tombe si assiepano tutto attorno al corpo o alla sua prima sepoltura.
Quindi, la chiesa guadagna terreno, sfera funeraria diventa suo appannaggio.
Il punto di svolta avviene prima dell’VIII-IX sec, un’epoca in cui prendono piede due importanti
fenomeni: la nascita del sistema delle Pievi e la diffusione del culto delle reliquie. Quest
ultime chiamate “frammenti di santità” facilmente trasportabile e commerciabili. In città
a partire dall’VIII sec, nei centri urbani inizia una vera e propria corsa raccogliere le reliquie: più una
chiesa ne custodisce, maggiore il suo prestigio. Le reliquie svolgono un ruolo fondamentale di
catalizzatore delle attività funerarie: la chiesa inizia a concentrare, in maniera esclusiva, le sepolture
al loro interno e nei cimiteri annessi.
Nelle campagne, l’accentramento delle sepolture presso le chiese si consolida a partire dal IX sec,
grazie al sistema delle pievi, e all’istituzione di un modello di organizzazione ecclesiastica del
territorio. Tra le prerogative delle pievi c'è il diritto di sepoltura. Con il passare del tempo, le pievi
perderanno il monopolio della pratica funeraria. Con l'affermarsi della Signoria territoriale, i poteri
saranno ancorati ai castelli, il gioco da parte dei domini consisterà nell’accaparrarsi il diritto di
sepoltura, riservandolo alla parrocchia dentro il proprio castello.
Il fenomeno della moltiplicazione dei luoghi della morte è confermato nelle aree rurali. Innanzitutto,
non esiste un'organizzazione standard dei cimiteri tardo-antichi. Quello che gli scavi hanno indicato
e la coesistenza di due modalità di articolazione interna: i cimiteri “a righe” e quelli per nuclei. I
primi vedono le tombe allinearsi per file parallele, mentre i secondi sono il risultato dell’espansione
progressiva dei nuclei distinti. L'organizzazione per righe è un segno del carattere germanico: nelle
tombe dei cimiteri a righe, i defunti sono spesso sepolti con oggetti prodotti in area mediterranea;
in realtà si tratta di simboli di autorità e potere propri dell’impero tardoantico. Si tratta di cimiteri
delle élites locali, che in quel periodo adottano particolari riti di sepoltura per asserire il loro
primato su quelle zone. Tra i rinvenimenti più recenti c’è la necropoli di Frascaro, in Piemonte,
datata tra la fine del V e l’inizio del VI sec. In Italia le necropoli a righe costituiscono una minoranza:
prevalgono i sanitari disposti per nuclei; come quello di Nocera Umbra, composto da quattro gruppi
di tombe. Uno in località cascina San Martino, è composto da 34 tombe addensate attorno al
personaggio più importante. Il secondo numero si trova a 200m di distanza: cinque tombe molto
ricche di esponenti di spicco della società locale; alcune di queste contenevano degli anelli con il
sigillo per i documenti. In questo caso, la posizione isolata del secondo gruppo di tombe costituisce
un elemento di distinzione per alcuni defunti dallo status eccezionale. In seguito, la
sepoltura isolata avrà tutto un altro significato: trovarsi fuori dal cimitero significherà, infatti, essere
tagliati fuori dalla comunità dei credenti che risorgeranno insieme. A partire dal V sec convivono in
Italia modi diversi di progettare una necropoli. È il segno di una società che sta subendo una
notevole trasformazione: le mutate condizioni politiche e sociali, genere nuovi ideali, nuovi modi di
affrontare le varie situazioni e le diverse sfera del quotidiano, compresa quella della morte.
Accanto a queste tipologie di cime idea ritroviamo quelli disposti dentro e attorno alla chiesa ed
altri edifici di culto. Con il passare del tempo questa soluzione diventerà poi la norma.
Se i cimiteri sono il palcoscenico che ospita il dramma, la tomba rappresenta l'elemento minimo
della messa in scena. La forma della tomba e la scelta da compiere per chi resta in vita, una
scelta di carattere scenografico. Ogni zona vanta una sua particolare sequenza, tipi prevalenti e
varianti peculiari. Le più essenziali sono le tombe scavate nel terreno: semplici fosse, che
accolgono il cadavere sul fondo. E poi abbiamo le tombe a cassa, nelle quali la fossa e foderata
con lastre di pietra; o le cosiddette sepolture “alla cappuccina”, nelle quali il cadavere è coperto
da una struttura a doppio spiovente, un piccolo tetto realizzato con tegole o mattoni. In alcune
zone sono poi documentate sepolture scavate nella roccia. E per tutto il medioevo non si
Uno dei momenti nodali della pratica funeraria, è sicuramente il funerale. Il rituale funebre è
definito da alcuni studiosi una vera performance, una messa in scena: il momento in cui la
famiglia e la comunità salutano per l'ultima volta il defunto; il distacco è forse la migliore
occasione per dimostrare alcuni concetti in pubblico, per enfatizzarli. In quel momento i gesti
assumono un valore simbolico molto pregnante, perché sono in gioco i rapporti sociali e di
forza; il tutto caricato da una forte componente emozionale.
Veniamo ai simboli. A lungo l'archeologia medievale si è incagliata nell'idea che le tombe e i loro
corredi siano lo “specchio della vita”, ovvero che la preoccupazione di chi le ha allestite fosse
quella di riprodurre fedelmente la stessa immagine che il defunto aveva in vita. Secondo
Heinrich Harke, un archeologo che ha scritto su questo, “le sepolture non sono gli specchi della
vita: semmai sono una galleria di specchi della vita, che forniscono riflesso distorto del
passato”. Uno dei dibattiti più accesi ancora oggi è quello legato all’etnicità.
Secondo alcuni studiosi, a partire dagli oggetti contenuti nelle tombe sarebbe possibile stabilire
l'appartenenza etnica del defunto. Se dentro una tomba si trova un oggetto, o un insieme di
elementi riconducibili ad una determinata cultura, allora il defunto deve aver fatto parte di
quella cultura da un punto di vista etnico; o la deve aver “attraversata” in qualche modo.
Questo ragionamento è basato il presupposto che l’identità etnica sia ancorata alla cultura
come un fenomeno statico. Sappiamo che questo non è assolutamente vero: la cultura è un
elemento dinamico e in continua evoluzione: es, il caso della “Dama di Ficarolo” (Rovigo): una
donna vissuta nel V sec che, in base ai reperti nella sua tomba, sarebbe nata nel bacino
carpatico–danubiano, poi si sarebbe trasferita a Basilea e quindi sarebbe venuta a morire in
Italia. Una serie notevole di spostamenti rispetto ai quali non abbiamo nessuna prova effettiva.
Prendendo in considerazione quest’ultimo argomento, il punto di vista opposto al precedente
nega la possibilità di desumere l’identità etnica a partire dagli oggetti. Gli studiosi ritengono che
i corredi servissero a sottolineare principalmente altri aspetti: il genere del defunto, l’età e il suo
rango sociale. Insomma: il funerale e la sepoltura sono occasioni in cui viene enfatizzato il
valore sociale dell'individuo.
Esiste però una terza via, nell'Italia in età longobarda, cioè tra la seconda metà del VI e la
seconda metà dell’VIII sec. Se diamo per acquisito che le culture non sono immobili e
immutabili, ma che si modificano, allora è possibile pensare che in un primo momento
attraverso le sepolture dotate di corredi di matrice culturale germanica si sia voluto esprimere
un’appartenenza almeno di alcuni di quei defunti al popolo longobardo. I significati dei corredi
saranno poi cambiati nel corso del tempo; e le sepolture con corredo saranno diventate “segni
di status indipendente dall'origine etnica degli individui che l'adottarono”.
Come dice Appadurai, la cultura è un “processo di naturalizzazione di un sottoinsieme di
differenze che sono mobilitate per articolare l'identità di un gruppo”.
Un altro equivoco e che il carattere degli oggetti di corredo ci debba parlare sempre delle
attività principali di quel morto finché era in vita.
Un esempio: un individuo sepolto in Italia nel VII sec con un corredo di armi e particolari oggetti
di apparente origine germanica sarà un guerriero, anzi un guerriero longobardo. Ma non ne
siamo sicuri perché ormai sono molti elementi che ci devono far dubitare di un ragionamento
così semplice e frettoloso. Innanzitutto: i Longobardi arrivano in Italia nel 568/569 dopo avere
inglobato altri nuclei di popolazioni, e il loro regno dura più di duecento anni, nei quali inizia un
processo di ibridazione con la popolazione locale, favorito dalla pratica dei matrimoni misti.
Anche i rituali funerari subiscono un processo di trasformazione: es, nel VI sec le tombe maschili
comprendono una spada, uno scudo e una cintura; mentre quelle femminili in genere includono
fibule, una collana una cintura. Poi, all'inizio del VII sec, entra in gioco quella che è stata definita
la “stravaganza funeraria”, ovvero corredi molto ricchi, sia maschili sia femminili: molte armi,
gioielli e altri ogget in oro. In seguito, nella seconda metà del VII sec, le tombe con corredi
risultano meno numerose, e si diffondono corredi con soli oggetti “neutri”: recipient in
ceramica o in vetro. Dunque: cambia l'idea stessa di cosa vuol dire “essere longobardo”, e con
essa si trasforma uno la struttura e quindi anche il significato dei corredi.
Se ragioniamo in base a due esempi. Il primo: se consideriamo i corredi, assieme alla tipologia
delle tombe, Lidia Paroli è giunta alla conclusione che il cimitero di Castel Trosino non sia una
“necropoli longobarda”, come la si è definita, ma un cimitero misto, che accoglie una
maggioranza dei romani e alcuni individui di origine germanica. Il secondo: a Collegno, in
Piemonte, è stata trovata una necropoli di VI-VII sec nella quale i defunti sono spesso sepolti
con armi, ma in pessime condizioni dal punto di vista fisico, afflitti da malattie o malformazioni.
Questi uomini non potevano essere guerrieri. Il quadro a cui rimandano queste necropoli è
quello di una società nuova, nata dall’incontro tra culture differenti. Un mondo con nuove verità
e valori, nel quale il carattere militare trova un ampio risalto. Essere potenti significa essere
uomini liberi armati: e le armi nelle tombe sono un simbolo di potere, più che una
testimonianza dell'attività di guerriero. In molti casi, perciò, non si tratta di guerrieri, ma di
membri e arrivato delle fasce più elevate. Non necessariamente tutti Longobardi.
Più semplicemente, sono cimitero di età longobarda, e non “cimiteri Longobardi”.
In alcuni cimiteri è stato accertato che, tra V e VI sec, le donne con i corredi più ricchi sono
quelli in età fertile. Qui il concetto è molto chiaro: la performance allestita dalla famiglia
rappresenta una sorta di compensazione per una perdita notevole subita dal gruppo familiare.
Infatti, in molte aree europee, le tombe con donne al di sopra dei 40 anni non hanno alcun
corredo.
L'importanza dei cimiteri come elementi del paesaggio medievale emerge con grande potenza. I
cimiteri sono senza dubbio i luoghi della memoria, dove al funerale si esplicita la modalità con
cui si vuole che il defunto venga ricordato; e sono anche i luoghi dove avviene l'incontro con il
concetto stesso della mortalità. Infine, sono luoghi del potere. Questo viene sottolineato in
modi diversi, anche in Italia; attraverso i mausolei e le basiliche funerarie; o attraverso la forma
delle tombe. Agganciarsi al passato, usarne strumentalmente le rovine, significa per gli uomini
del medioevo dare più forza alla portata dei loro gesti. Questo vale per l'aristocrazia emergenti,
così come per i membri delle comunità monastiche. È una modalità di appropriazione di un
passato che si materializza e diventa un valore attraverso le sue rovine.
L'andamento dell'economia medievale è semplice: una curva discendente che dal V se che
tocca il punto minimo nella prima metà dell’VIII, per poi iniziare una lenta e progressiva risalita
a partire dal 750 circa, con un punto di svolta intorno al X. L’inizio dell’VIII sec è il punto di arrivo
di una lunga crisi: in quel periodo registriamo la fine di un mondo; anzi, di un economia mondo:
è il crollo di un intero sistema produttivo e commerciale, quello che coinvolge l'Europa, parte
dell' Africa e dell'asia. Da lì in avanti inizia la ripresa: uno slancio demografco, una rinnovata
spinta nel settore dell'agricoltura; e poi un flusso di ricchezza e metalli preziosi, della nascita di
reti commerciali alternative, di una nuova domanda che stimola i mercati. In questo
quadro, durante il lungo periodo che va dalla tarda antichità fino al medioevo inoltrato,
continuano a lavorare gli artigiani: sono proprio le loro tracce che spesso troviamo negli strati
archeologici.
La produzione si trasforma, in molti campi rallenta fino quasi a rarefarsi; ma poi decolla
nuovamente, soprattutto a partire dall’XI-XII sec. Che poi all'epoca in cui cominciamo a trovare
un buon numero di artigiani; l'epoca in cui le officine e le botteghe si moltiplicano.
7.1. Vasai.
La ceramica è uno dei principali campi di indagine dell’archeologo. Si conserva benissimo, è usata quasi
sempre; è un ottimo indicatore cronologico: ci parla di produzioni, tecnologia, commerci, consuetudine
alimentari e distinzione sociale. Tra il IV e il VII sec la scena è dominata dai grandi commerci del
Mediterraneo. In Italia, circolano in grandi quantità le anfore africane, egee, orientali; primo tra tutti
quella terra sigillata africana che è presente un po’ ovunque. Accanto a queste, ci sono le produzioni
locali: es, nell'Italia centrale e meridionale svariate città si attrezzano per la fabbricazione di contenitori
rivestiti in rosso che imitano i corredi da mensa di importazione. In altre zone (Lombardia, Veneto, ma
anche a Roma) si registra invece una produzione di ceramica invetriata. Queste ceramiche si datano tra
il IV e il VII sec. Una produzione particolare dell’età tardoantica, la cui vita va dagli ultimi decenni del VI
sec alla metà del VII, è quella nota come ceramica longobarda. Si tratta di contenitori da mensa, in
forme chiuse, di colore scuro, decorati a stampigliatura con motivi differenti, oppure a stralucido.
Questa ceramica non è una documentata in Italia prima dell’arrivo dei Longobardi, e quindi si presume
che sia stata importata proprio da quest'ultimi. Una volta entrati nell’alto medioevo la situazione
cambia: le importazioni sono inesistenti, mentre la scena si semplifica e si frammenta in molte
produzioni locali. Ora prevale molte arie, da nord a sud e, una produzione di contenitori in ceramica di
antica tradizione, dall’impasto grezzo e dalle forme semplici, per uso da cucina: “olle” e pentole,
entrambe usate per cuocere zuppe o carne. A queste forme si affianca, dall’VIII sec, il cosiddetto “catino
-coperchio”: un recipiente a forma di campana, con due anse, usato per la cottura del pane.
Insomma, dove prima dominavano le importazioni, ora si affermano le fornaci locali, che parlano dialetti
diversi. Tra il VII e l’VIII se è che prende piede il tipo detto anfora globulare, prodotto in Puglia e in
Campania. Una produzione diversa da tutte le altre è la ceramica a vetrina pesante (CVP, detta Forum
Ware perché identficata da Giacomo Boni nei pressi del foro romano). Questa ceramica è ricoperta da
una vetrina ricca di ossido di piombo, contenente una limatura di ferro che le dà il caratteristico colore
variabile dal bruno al verde, fino al giallo; sul corpo del vaso si trovano spesso decorazioni: a linee, ad
unghiate o a petali applicat. La CVP compare sul
mercato di Roma verso la metà dell’VIII sec, in piccole quantità, in questo momento possederla è un
segno di distinzione. Ma a partire dal IX sec, la sua produzione si intensifica a livelli altissimi, diventando
un oggetto di uso comune. Questa affermazione è dovuta alla crescita economica di Roma, una crescita
favorita dall'alleanza tra la Chiesa e i Franchi.
ceramiche acrome: da cucina. A Roma, per la cucina prosegue la fabbricazione di olle e testi da pane.
Tra l’XI e il XIII Secche vengono prodotte delle anfore per la conservazione dell'acqua. Un’altra serie
di contenitori da dispensa proviene dalla zona di Pisa: sono recipienti databili tra l’XI e il XIV sec, con un
dettaglio che li rende ben riconoscibili, cioè dei marchi di vario tipo impressi a crudo sulle anse.
Dopo l'anno Mille, sono due le innovazioni tecniche e rivoluzionano il panorama della ceramica italiana:
l'introduzione dell'ingobbio (un rivestmento in argilla molto chiara) sotto vetrina piombifera, una
modalità di produzione che si diffonde tra la fine del XII sec e la metà del XIII; e quella dello smalto, un
rivestimento di vetrina con ossido di stagno, dal caratteristico colore bianco lucido.
Nascono così nuove generazioni di contenitori in ceramica. Prima le ingobbiate: la graffita arcaica
tirrenica o savonese, una produzione rivestita da ingobbio e con decorazione graffita; prenderà poi
piede anche a Pisa, e nel Lazio. Altre ceramiche rivestite da ingobbio vengono fabbricate in Veneto a
partire dal XIII sec: sono le produzioni dette San Bartolo, Spirale-Cerchio, Santa Croce e Roulette Ware.
Ci sono poi le ceramiche smaltate, tra cui spicca la maiolica arcaica. Una ceramica piuttosto raffinata,
con un ampio repertorio di forme chiuse e aperte. Il recipiente e ricoperta di smalto a base di stagno,
che gli dà un colore bianco, e su questo viene dipinta una decorazione che può essere in verde, bruno,
blu. La maiolica arcaica compare dalla prima metà del XIII sec in alcune città della Toscana, poi anche in
Lombardia, Emilia-Romagna, Umbria e Lazio.
Nel Lazio, la maiolica arcaica è preceduta e poi affiancata un'altra produzione: la ceramica laziale, una
ceramica smaltata invetriata che mostra delle similitudini con la maiolica arcaica ma non ha niente a che
vedere con la sua origine. Al
sud sono noti anche i vari tipi di ceramiche dipinte, in Campania la Spiral Ware; in Puglia un tipo con
decorazioni dipinte in ramina, manganese, rosso (da qui il nome di RMR). nell’Italia meridionale, la più
diffusa è la cosiddetta Protomaiolica. In particolare, dalla zona di Brindisi proviene un tipo decorato in
Bruno, blu e giallo, il cui motivo principale è un ridicolo dentro un cerchio “Gridiron”, dipinto al centro
del piatto. In Sicilia, si afferma una protomaiolica policroma (Gela Ware). La produzione delle
ceramiche ingobbiate sotto vetrina e smaltate sembra una esclusiva delle aree urbane. Poco
dopo, però, troviamo tracce di produzione anche nei centri minori dei contadi. Gli
artigiani iniziano a stringere accordi tra loro e si fa largo una figura nuova: l'imprenditore, cioè un
personaggio che non prende parte al processo di fabbricazione ma investe del capitale per sostenere
l'impresa. All’interno delle botteghe si assiste ad una specializzazione degli artigiani, e in alcuni casi si
può arrivare fino al modello degli agglomerati di officine: un sistema basato sulla collaborazione tra
varie botteghe; l'effetto sarà una produzione standardizzata di alta qualità e in grandi quantitativi.
Questa è la soluzione che più attira l'interesse dell’eventuale imprenditore. Montelupo forentino si
afferma come centro produttore già nel XIV sec. Gli artigiani che producono i recipienti in pietra ollare
vantano un successo di lunga durata, questi sono specializzati in questa attività e usano il tornio, grazie
al quale fabbricano oggetti come bicchieri, pentole, tegami e coperchi. La pietra ollare è un materiale
importante nel medioevo, molto presente sulle tavole e nelle cucine assieme alla ceramica e al legno.
Come succede per la ceramica, anche la produzione di oggetti in metallo non subisce un arresto tra la
tarda antichità e l'alto medioevo. La documentazione scritta segnala l'esistenza di magistri impegnati in
questo campo, tra cui gli aurifces; e i dati archeologici vanno nella stessa direzione. Si
va dai gioielli ai più semplici accessori del vestiario; e ancora, dalle armi e gli oggetti per uso domestico.
In poche parole: gli oggetti in metallo necessari sono molti, e quindi l'attività dei fabbri e fortemente
richiesta. Il confine tra gli ambiti dell’oreficeria e degli accessori del vestiario spesso è difficile da
tracciare: es, una coppia di fibule inutili per fermare il mantello sulle spalle, se realizzato in metallo
prezioso e riccamente decorata, si colloca al limite tra queste due categorie. Evidentemente solo
artigiani altamente specializzati sono in grado di fabbricare oggetti così elaborati. Nel 1997, a Roma
Più in generale, è molto probabile che questa produzione così parcellizzata, sia l'effetto della crisi
dell’attività estrattiva avvenuta verso la fine dell'età imperiale. Quindi, nelle città le produzioni più
ridotte, legate alla lavorazione del ferro, a partire dal V sec si moltiplicano e si distribuiscono in più
luoghi dentro le mura. Queste piccole officine coesistono con laboratori e molto più specializzati inseriti
nei mercati più ampi, come quello della Cripta di Balbo.
Anche nelle campagne, registriamo una diffusione di attività metallurgiche, come nelle fortezze: a
Belmonte, in Piemonte; o nelle ville, come a Faragola, in Puglia, che nel VII sec ospita un’attività
cospicua di cui restano scorie, attrezzi, fornaci e forge.
Nell'alto medioevo, poi, le fonti scritte documenti e una produzione di oggetti in metallo legate villaggi
tipo curtense; ma non trovano riscontro di natura archeologica. In seguito, tra l'età carolingia e i secoli
centrali del medioevo, si testimonia un’espansione dell'industria mineraria. Le indagini di Francovich in
Toscana hanno avuto il grande merito di lanciare un intero filone di ricerca, sui rapporti tra lo
sfruttamento delle risorse minerarie l'affermazione della Signoria territoriale. Es, le grandi famiglie
dell'aristocrazia Toscana (Aldobrandeschi, Gherardeschi e altre) approfittano del vuoto di potere causato
della fine dell’impero carolingio per impossessarsi dei diritti di sfruttamento dei giacimenti; e, mediante
la costruzione di castelli, arrivarono spesso ad un controllo capillare sulle risorse. È il
modello che porta la nascita del “castello minerario”, di cui Rocca San Silvestro, vicino a Livorno,
7.3. Vetrai.
Neanche la produzione del vetro subisce battute di arresto; sono altri, i fenomeni da segnalare. Il
primo: si assiste ad una “polverizzazione” delle attività artigianali, soprattutto a partire dal V sec, si
diffondono botteghe piuttosto piccole, che in città soddisfano le esigenze degli abitanti dei singoli
quartieri. A Roma, questo è dimostrato nel V sec dal ritrovamento di vari impianti di piccole dimensioni,
spesso dentro monumenti antichi in stato di abbandono: i magazzini portuali del Lungotevere
Testaccio, la Cripta di Balbo. Ma la spesa situazione torna anche altrove, a Napoli, a Benevento, Firenze,
Classe e Brescia. E in alcuni insediamenti nelle campagne sono testimoniate: come nel castrum di
Invillino, in Friuli.
Inoltre, la produzione si semplifica, si fabbrica una notevole varietà di recipienti, tra cui bicchieri, coppe
e piat; ma dalla fine del V e inizio del VI sec il panorama cambia, e le forme più diffuse diventano i
calici, le ampolle e le lampade, con lo stelo tubolare, che da questo momento si affiancano alle lucerne
in ceramica.
Dall’XI sec, la produzione si intensifica in modo sostanziale e iniziano a comparire le bottiglie e i
bicchieri. La novità del pieno medioevo è la comparsa della soffiatura a stampo: il vetro viene soffiato
dentro una matrice, il che permette una produzione di tipo seriale di recipienti con decorazioni
impresse a rilievo. Sono prodotti standard, quelli che invadono il mercato in grandi quantità.
Forse l'origine della nuova tecnica va ricercata in Toscana. Non dimentichiamo che vedrai non
producono solo recipienti, ma anche elementi per gioielli, vetri e vetrate per finestre.
L'industria del vetro è un settore composito, che si articola su livelli differenti per soddisfare domande
differenti. Le indagini archeologiche hanno individuato sbagliato impianti per la produzione del vetro: sì
vado all'officina di Torcello (che si identificherà soprattutto con Murano), con un impianto che risulta
attivo tra il VII e l’VIII sec; alle Fornaci di San Vincenzo al Volturno, dell'età carolingia; a quelle di Pisa,
Germagnana e Monte Lecco.
Per la sua natura organica in legno costituisce un enorme problema per gli archeologi. La nostra
informazione sulla produzione di oggetti in legno si basano su depositi di natura anaerobica, in terreni
molto umidi o sommersi. Nessuna sorpresa, se la maggior parte di questi ritrovamenti si localizza nella
pianura padana. Durante l'intero medioevo in legno viene lavorato usato in vari modi. Tra
gli usi più comuni cioè quello legato alla fabbricazione di stoviglie e altri oggetti per la mensa. Questo
filone produttivo prosegue anche nel basso medioevo: ad Argenta è stato scavato un contesto databile
tra la fine del XIII e il primo quarto del XIV secca, tutt'oggi il più nutrito ritrovamento di oggetti in legno
medievali. Il legno viene anche usato per la produzione di ogget legati all'abbigliamento e per la
produzione dei manufatti per l'igiene personale. E poi ci sono i petni; conosciamo un gran numero di
Nella Cripta di Balbo operano intagliatori del legno, dell’osso, del corno e dell'avorio; e qui producono
oggetti diversi: dal più semplice anche per i capelli, fino ad elementi molto più raffinati.
Infatti, queste materie prime possono essere usate anche per fabbricare prodotti di lusso destinati alle
fasce più elevate della società.
Il monastero di San Vincenzo al Volturno ci offre un ulteriore conferma. Nelle sue officine, vengono
lavorati l'avorio e l'osso; e si producono petni, placchette decorate per mobili. Su tutti i reperti si staglia
la piccola testa di un giovane, in avorio, con due perline in vetro colorato per pupille; un reperto di
grandissima eleganza, datato al secondo quarto del IX sec, forse parte di un reliquario o copertina di un
libro. Gli oggetti di queste officine sono produzioni molto specializzate, saldamente ancorate a
complessi monastici. Ma i dati archeologici indicano che la lavorazione dell'osso e del corno poteva
anche essere gestita su scala molto più ridotta e per oggetti prettamente funzionali.
Come nella fortezza bizantina di Sant'Antonio di Perti, dove, oltre a vari oggetti di uso personale, sono
stati trovati anche scarti di lavorazione che indicano una produzione locale.
Per il basso medioevo abbiamo meno informazioni; sappiamo che tra il X e il XII sec in Italia meridionale
operano più scuole di artigiani che intagliano l'osso il l’avorio, e fabbricano reliquiari di ottima qualità;
ma non riusciamo a determinare né l'andamento né i centri principali delle produzioni.
7.5. Tessitori.
L'industria tessile un'altra quella è meglio documentate nel basso medioevo, quando diventa un
elemento portante dell'economia di molte città. L'archeologia di questa attività si sta sviluppando
proprio negli ultimi anni. Ovviamente parliamo di un processo di produzione non semplice da
individuare, nel corso di uno scavo. In particolare, per la tradizione italiana sono stati individuati due tipi
fondamentali di telaio: quello verticale, con due montanti che sostengono un cilindro (subbio) dal quale
pende l'ordito, i cui figli si mantengono te sì grazie a dei pesi; l'altro è il telaio orizzontale a pedali,
dotato appunto di una pedaliera per sollevare i fili dell'ordito. Questa soluzione appare dal X e resta fino
al XX sec. A Milano uno scavo a portato alla luce un laboratorio di tessitura del XIV sec, nel quale
operavano contemporaneamente 50 artigiani. Le tracce dei telai sono sempre le stesse: quattro buche
angolari lasciate dai montanti, e al centro una piccola fossa dove alloggiava la pedaliera. Altri
indicatori archeologici della manifattura tessile sono i battori, cioè strumenti lunghi appunti, realizzati
in osso, che servivano a compattare la trama del tessuto; ne sono stati trovati a Mantova, a Piadena,
presso Cremona; gli oggetti di questo tipo si datano tra il X e il XIII sec. Altri
indicatori di produzione sono i fusi e le fuseruole, prodotti sia in legno, sia in ceramica, sia in pietra, e a
volte con materiale di recupero. Come
per i falegnami, anche nel campo dell'industria tessile possiamo immaginare fin dall'età tardoantica una
produzione corrente molto cospicua, basata sia in città sia in campagna; e una produzione molto più
specializzata, per oggetti di lusso. Nel pieno medioevo, il settore decolla, e assume dimensioni
industriali, come dimostra il ritrovamento di Milano.
Le materie dell'industria edilizia nel medioevo sono davvero molte. Poi ci sono le professioni: Magistri
de pietra, de lignamine; calcarii, figuli.
La pietra: durante l’alto medioevo l’estrazione della pietra è un’attività molto meno praticata rispetto al
passato. Quella della pietra è ora soprattutto un’industria del riuso. I monumenti antichi vengono
spesso sfruttati come cave di materiali differenti, da spogliare e rimettere in opere nelle nuove
costruzioni.
Le cose cambiano a partire dall’XI e dal XII sec, quando la pietra torna ad essere protagonista del settore
dell'edilizia. In questo periodo si diffonde l’”opera quadrata”, cioè murature con paramenti in blocchi
regolari.
Sempre in quest'epoca sappiamo dell'esistenza di Magistri, del nord Italia, artigiani itineranti che
svolgono la loro opera in varie regioni e diffondono il loro sapere tecnico presto le popolazioni locali,
che tendono ad imitarli. “Artigiani senza bottega”, quindi: le loro sono alcune tra le specializzazioni più
richieste da una società che sta passando dalla prevalenza del legno a quella della pietra.
La calce: La calce serve per produrre la malta: uno dei principali tipi di legante per le murature. Essa
si produce grazie alla cottura della pietra in apposite fornaci. Gli artigiani che fabbricavano questo
materiale hanno lasciato numerose tracce del loro operato, recuperate attraverso gli scali. Il
primo è la calcara trovato nella Cripta di Balbo. L'impianto si data tra la fine del l’VIII e l'inizio del IX sec,
ed è una sorta di sintesi dell’industria edilizia altomedievale: siamo di fronte ad una fornace, in un
monumento romano dismesso. Riutilizzare per risparmiare, per creare nuovi edifici: ecco come si
faceva. Altre calcare sono state trovate in contesti differenti, come alcuni castelli (Rocca San Silvestro, in
Toscana e Montella, in Campania). Il
secondo esempio viene dalla campagna. In alcuni castelli della Toscana e della Liguria sono tornate alla
luce tracce di macchine per il mescolamento della malta. Si trattava di una struttura in legno intorno al
quale veniva fatto ruotare a mano una trave orizzontale a cui erano fissati dei paletti verticali: proprio
quest’ultimi mescolavano la malta. Questa testimonianza conferma la produzione di questo materiale in
loco, nel cantiere di costruzione. Quando i castelli abbandonano la loro struttura in legno, e si
trasformano in un articolato complesso in pietra; quando, cioè, si afferma la Signoria territoriale; allora
c'è bisogno di questo genere di produzione. Le tracce di queste
macchine sono state ritrovate in altri castelli, come a San Paolo a Roma e San Vincenzo al Volturno. È
probabile che i miscelatori non vengano più usati a partire dal XII sec, perché la Signoria territoriale è
ormai più che consolidata.
Il legno: era molto usato nell'architettura dell'alto medioevo, e sappiamo che a volte lo stesso materiale
poteva essere usato anche per la costruzione di chiese; ma anche per i castelli del primo
incastellamento (X-XI sec). In realtà l'uso di questo mare attraversa tutto il medioevo.
In particolare, nella pianura padana una serie di indagini ha messo in luce l'esistenza di case in legno nei
secoli X-XII, e anche più recenti; sono anche stati trovati elementi seriali da costruzione, che
testimoniano il successo del legno come materiale per l'edilizia.
Inoltre, viene usato in modo molto intensivo anche nei grandi monumenti (basiliche, monasteri e
castelli), soprattutto per le coperture. E poi, alcune delle tracce più significative che gli archeologi
possono individuare nelle murature sono quelle delle impalcature allestite durante la costruzione.
Oltre alle tracce lasciate nelle murature, ma alcuni casi sono state trovate nel deposito di molto le
buche dei montanti delle impalcature; come nel castello di Broili, presso Tolmezzo (Udine).
Il metallo: Anche i Fabbri altri artigiani del metallo producono elementi usati nell'industria edilizia. In
genere, non sopravvivono fino a noi perché rifusi in età moderna. A volte, però, hanno lasciato qualche
traccia, come succede per alcune tegole in piombo stagno. A Ravenna, ad esempio, si conserva una
tegola in piombo con il bollo dell’arcivescovo Gerardo; proviene dal tetto della cattedrale, uno dei
pochissimi manufatti sopravvissuti fino ai nostri giorni.
I mattoni: L'industria della produzione dei laterizi è particolarmente attiva e ben organizzata in età
romana. L'ultimo exploit e si registra il tempo del re Goto Teodorico, che finanzia una ripresa della
produzione su scala alta, per realizzare i suoi ambiziosi progetti di restauri nelle città principali d'Italia.
Dopo esclusivamente una faccenda di riuso. Questa è la tendenza diffusa un po’ ovunque; ma
comunque prosegue un'attività produttiva su scala molto ridotta dal VI fino all’XI sec.
Alcuni indizi ci mostrano un’industria poco sviluppata, spesso riattivata per la costruzione di un solo
monumento. I committenti sono soprattutto Papi, vescovi, re e alte cariche dello Stato. Le
testimonianze si trovano dalla Puglia al Lazio alla Lombardia.
A volte si tratta di attività importanti sotto il profilo quantitativo, come i “mattoni giulianei” di Ravenna:
una produzione concepita per realizzare la costruzione di chiese importanti come San Vitale,
Sant'Apollinare in Classe, San Michele in Africisco; ma anche la zecca e svariati altri edifici.
La compresenza di un'industria del riuso e di una produzione sporadica è una costante fino al XII sec.
Da allora le cose cambiano: inizia un'attività su vasta scala, promossa dalle autorità comunali, che le
regolamentano e controllano stabilendo con precisione le misure di ogni tipologia di oggetto: mattoni,
tegole, coppi e altro. Gli artigiani danno vita a produzioni diversificate, che contribuiscono a far
diventare i mattoni in materiale pregiato: es, element scolpit, incisi, o impressi a stampo, tutti usati per
decorare gli edifici.
Le fornaci per la produzione di grandi quantitativi di laterizi si trovano nelle zone periferiche delle città,
fuori le mura; ma conosciamo anche produzioni più ristrette con impianti posti dentro la costruzione
per cui lavora, come nel caso della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, a Lucca.
Con il passare del tempo le fornaci per i laterizi si diffondono anche in molti centri rurali, per soddisfare
le nuove esigenze di una società che vedeva in questo materiale un elemento fondamentale
dell'industria edilizia.
7.7. I commerci.
Mercatores, così vengono chiamati i mercanti nel medioevo. Il commercio assume importanza e
dimensioni diverse a seconda del periodo delle zone. Non tutti i commerci sono uguali: possiamo dire
che nel medioevo esiste una differenza molto netta tra un commercio di beni di lusso; e uno dedicato ai
beni di uso comune, per il consumo alimentare per altre sfere del quotidiano. Questa distinzione generi
scontri differenti nella documentazione archeologica: il commercio dei beni di lusso e riscontrabile negli
scavi solo di rado; mentre è molto più spesso troviamo le tracce dell'altro versante.
Durante la tarda antichità la penisola inserita nel grande circuito commerciale del Mediterraneo.
È il sistema -mondo che caratterizza l'economia del periodo, nella quale lo stato gioca un ruolo
importante attraverso l’annona (l'istituzione che garantisce l'approvvigionamento delle capitali
dell'esercito. Il mare e la principale via di comunicazione commerciale: le più importanti porti africani e
orientali, solcano il Mediterraneo vere e proprie autostrada invisibili. Roma e l'Italia ne sono il fulcro
fino al IV sec; poi, con l'affermazione di Costantinopoli, il sistema diventa più complesso e ramificato. Le
importazioni sono una costante dal IV fino al VII sec, e sono diversificate: frumento, olio, vino, miele,
legumi, pentole, lucerne e profumi. In definitiva le abitazioni degli abitanti dell'Italia parlano molte
lingue, se guardiamo agli oggetti e cibi che contengono.
I porti si attrezzano per ricevere immani quantitativi di merci: come a Classe, la città portuale di
Ravenna. File di magazzino, tutti dedicati allo stoccaggio delle merci, occupano i lati di un porto canale e
come Ostia: edificio allungati, di due piani, tal volta con un portico davanti a un cortile centrale e sul
retro; e dentro, gli spazi per stivare anfore, sacchi, botti. Magazzini simili, datati al VII sec, sono stati
scoperti anche a Napoli. Dai porti le merci arrivano in città, e poi vengono ridistribuite.
Inoltre, grazie a questa economia basata sulle importazioni, sono attive anche le produzioni locali. Si
comincia a percepire l'esistenza dei mercati più ristretti, di tipo zonale: sub regionale o regionale.
Come nel caso delle ceramiche dipinte di rosso.
Per alcune merci esistono altri tipi di mercati: il caso dei recipienti in pietra ollare. Questa viene estratta
nell'arco alpino e viene lavorata da artigiani specializzati. Oltre alla pianura padana, i recipienti in pietra
ollare raggiungono il centro e l'Italia meridionale. Nella tarda antichità, soprattutto in alcune città, si
sviluppa una produzione di beni di lusso: basti pensare ad oggetti come dittici d'Avorio, prodotti ad
Alessandria d'Egitto o alla famosa cattedra di Massimiano, l'arcivescovo di Ravenna, probabilmente
fabbricata a Costantinopoli.
Grazie alla Cripta di Balbo, riusciamo a cogliere due fenomeni: prima di tutto, almeno una parte del
lavoro degli artigiani di questa officina è dedicata alla produzione di beni di lusso, in un periodo, l’VII
sec, in cui quel sistema-mondo sta ormai esalando gli ultimi respiri. Inoltre, lo stesso ritrovamento ci
indica un dato fondamentale: il fatto che alcune stampe adoperati in quel laboratorio siano le stesse che
hanno prodotto oggetti venuti dalle necropoli di Castel Trosino e Nocera Umbra, e questo dimostra che
i flussi commerciali non sia restano davanti alle barriere politico amministrative. Soprattutto se
guardiamo al commercio dei beni di lusso, le frontiere sono molto più permeabili di quanto ci si
potrebbe aspettare a livello teorico, guardando la carta dell'Italia del VII sec, suddivisa tra aree bizantine
e longobarde. Comunque,
il sistema-mondo della tarda antichità si sfalda già a partire dalla metà del VI sec, quando le merci di
importazione iniziano a diminuire, per poi crollare, fino a scomparire all'inizio dell’VIII sec.
Poi inizia l’alto medioevo (metà VIII-X sec). A guardare le ceramiche, circolano meno merci. Ma adesso i
centri di produzione si moltiplicano, così come i mercati. Alcune zone, grazie a potenti istituzioni, sono
più attive di altre sul mercato. È sicuramente il caso di Roma, dove l’amministrazione ecclesiastica deve
occuparsi della propria sussistenza e di quella della popolazione locale. In questo periodo il papato
subisce un brutto colpo: nel 726 l’imperatore bizantino Leone III confisca la Sicilia, inglobandola ai
propri territori. La Chiesa di Roma reagisce mettendo in piedi una nuova rete commerciale che trova
nella Calabria uno dei suoi punti di forza. Per questo molte anfore dell’VIII sec trovate a Roma
provengono dalla Calabria.
L'altra area piuttosto attiva sul mercato sono i territori bizantini. I legami con l'impero sono solidi, del
resto i possedimenti bizantini in Italia sono concentrati lungo le coste. Scendendo nel dettaglio, le fonti
scritte archeologiche permettono di individuare, tra l’VIII e il IX sec, tre macro-aree attive sul fronte
degli scambi: l'alto adriatco; i territori del centro; l'Italia meridionale.
Tutte queste zone mantengono rapporti commerciali con l'oriente, e alcune risultano anche
interconnesse tra loro. Per ovvi motivi geografici, l'adriatico si configura come un mare abbastanza in
movimento, spesso solcato da navi cariche di merci.
Un famoso patto siglato nel 715 tra il re dei Longobardi e i mercanti di un piccolo centro della costa
adriatica, ci dice che, ai mercanti di quel centro, è permesso di risalire il Po’ e di fare giungere le loro
merci nei più importanti scali portuali della Longobardia Maior (Mantova, Parma, Cremona, Piacenza,
Brescia, Pavia). Tra le merci troviamo il sale, utile per la conservazione della carne; e poi pepe, vino, olio.
Gli scavi eseguiti a Comacchio, nell'alto medioevo, ci hanno permesso di capire che questa città era
coinvolta in un traffico di ampia scala, con derrate che in parte potevano provenire dall’Oriente: il vino,
es, doveva viaggiare in anfore. L'altro elemento di grande interesse il probabile rinvenimento del porto
altomedievale: una serie di infrastrutture in legno.
Comacchio è il primo porto costruito nell'alto medioevo venuto alla luce grazie all’archeologia. La
fortuna di Comacchio sarà poi allestita da quella di Venezia, che si forma e decolla proprio tra l’VIII e il IX
sec. La fortuna originale di Venezia è legata ai franchi, più che i bizantini; e ai beni di lusso, che
continuano ad essere prodotti anche in epoca altomedievale di incontrare una domanda
economicamente vantaggiosa.
Anche il meridione si allinea a questa tendenza. Il Pactum Sicardi e un accordo analogo tra Longobardi e
comacchiesi. Si tratta di un documento dell’836 che sigilla un’intesa tra il principe di Benevento Sicardo
e i napoletani. Il testo segnala una certa attività “senza frontiere” anche per il Sud della penisola. In più,
nell’VIII sec gli amalfitani si ritagliano importanti nicchie di mercato nella Tunisia retta dagli arabi, e poco
dopo troviamo attestazione dell'attività dei mercanti di Gaeta. I Campani giostrano con grande
intraprendenza le coste del Mediterraneo, operando tra i territori arabi a quelli bizantini. In questo
assetto economico un ruolo importante continua a svolgerlo i monasteri.
Questi avevano del personale addetto al settore dei commerci, ed erano presenti sui mercati per
acquisti e per la vendita dei beni prodotti nelle loro proprietà fondiarie. San Vincenzo al Volturno è uno
dei pochi casi in cui si sono trovate tracce di produzione ceramica per questo periodo; quindi il
monastero produceva solo per un uso interno. Inoltre, nelle campagne è il momento del sistema
curtense. Queste partecipavano al mercato: il caso di Montarrenti, villaggio partenza ancora prima di
diventare un castello nel X sec, lo indica molto bene.
secondo Alessia Rovelli: in tutti i siti archeologici alto medievali italiani trovati finora, le monete di età
carolingia sono pochissime.
Dopo l'anno Mille il panorama cambia di nuovo: la maggior parte delle informazioni alcologia per
questo periodo riguarda la ceramica. Archeologia medievale si occupa delle ceramiche da mensa, un po’
meno dei grandi contenitori. In effetti sono rare le occasioni in cui sono state considerate le classi delle
anfore disponibili, cercando anche di comprendere cosa trasportavano. È il caso dei contenitori siciliani
con il corpo ovoidale delle grandi giare dalla bocca larga; le prime potevano trasportare liquidi; mentre
le seconde anche cibi. I luoghi dei ritrovamenti indicano l'esistenza di un circuito che tra il X e il XIII sec
comprende la Sicilia, la campagna la Toscana.
Tuttavia, le merci che permettono di seguire i flussi commerciali sono le ceramiche da mensa. Attraverso
questi oggetti riusciamo a vedere in Italia “presa nella rete”. Scegliamo un luogo tra i più significativi:
Pisa, qui possiamo vedere che dall'ultimo quarto del X sec, aumentano considerevolmente le
importazioni di ceramiche delle aree islamiche e bizantine. Sono soprattutto i piat (bacini); prodotti
esotici, colorati e lucenti, Sono elementi di decoro e segni di distensione urbana.
L'usanza di decorare con i bacini le facciate delle chiese e dei palazzi, così come le torri campanarie, si
difende molto presto in tutto il territorio della penisola. Questi oggetti provengono dalla Sicilia, Tunisia,
Egitto e Spagna, tra X e XI sec; e poi, tra il XII e la metà del XIII, anche la Grecia e il vicino Oriente.
In questo periodo i vasi italiani acquisiscono le nuove tecniche iniziano a produrre ceramiche analoghe.
Così, grazie anche alle crociate, e ai mercanti, troviamo ceramiche veneziane dell'Italia meridionale in
Grecia e nel vicino Oriente. Insomma: un movimento a risacca.
Ad emergere come centro mercantile ci sono anche le altre repubbliche marinare, cioè Venezia,
Genova e Amalf.
Uno dei pochi porti per cui abbiamo una buona disponibilità di materiali e quello di Genova. Fino al XIV
sec, la maggior parte delle infrastrutture documentate è in legno; la dieta prenderà il sopravvento solo
tra il XIV e il XV sec.
L'arsenale di Pisa, affacciato sull'Arno nell’area fortificata detta “La Tersana”, è invece uno dei pochi casi
indagati di infrastrutture medievali collegate ai porti. Il complesso serviva per la custodia e la
riparazione delle imbarcazioni; al suo interno si trovava un bacino collegato al fiume tramite un canale.
Sul bacino si affacciavano magazzini e rimesse. L'unica struttura superstite era interamente in mattoni e
articolata in navate parallele. Lo scavo e l'analisi degli elevati hanno confermato una datazione
originaria tra la fine del XIII e l'inizio del XIV sec, seguita da ristrutturazioni successive.
Il porto di Genova e l'arsenale di Pisa ci segnalano elemento molto importante: nel basso medioevo si
investe molto per potenziare il settore delle infrastrutture portuali, per renderlo un elemento
monumentale e di spicco nel paesaggio urbano. Una conferma di quanto i porti fossero percepiti come
uno degli elementi trainanti dell'economia di quella società.
Esiste una differenza tra l'archeologia medievale e l'archeologia classica. Da un lato, abbiamo
l'archeologia medievale; dall'altro, l'archeologia e storia dell'arte greca e romana.
L'archeologia classica si è fatta da subito storia dell'arte per via di un’impostazione che considerava
l'opera d'arte come una delle espressioni materiali fondamentali delle civiltà del passato.
L'archeologia medievale, invece, “è nata ignorando il fenomeno artistico del suo tempo”, perché si è
affermata tra gli anni 60/70, un’epoca di contestazione e di ripensamento del metodo dell’oggetto e
dell'indagine archeologica. E perciò, l'elemento storico artistico passa in secondo piano, fin dall'inizio.
Nello stesso periodo una spinta identica investe l'archeologia classica, che inizia a sterzare verso il tema
della cultura materiale, mantenendo viva anche la sua antica anima storico artistica.
Secondo Daniele Manacorda: “l'archeologia classica, nata dalla storia dell'arte, ha corso il rischio di
ridurre lo studio delle società antiche alle manifestazioni artistiche delle loro élite. La più giovane
archeologia medievale, invece, è nata ignorando il fenomeno artistico del suo tempo”.
In breve: se vogliamo capire la società medievale nelle sue manifestazioni materiali, non possiamo più
permetterci di ignorare il fattore artistico; quindi, se vogliamo comprendere fino in fondo la società
antica non possiamo smembrarla, e decidere di considerare solo le tracce dei suoi strati più bassi; o di
privilegiare solo quelle dei ceti più elevati. Perché le manifestazioni artistiche non sono soltanto
appannaggio delle classi egemoni. L'artigianato artistico, gli oggetti più umili, che si usano nel
quotidiano, sono elementi materiali, prodotti e utilizzati ad ogni livello di ogni singola società.
8.2. Per una storia archeologica dell’arte medievale: le forme di un dialogo possibile .
Agli archeologi del medioevo succede spesso di occuparsi di manufatti con valore artistico: capita con
alcuni accessori del vestiario; e capita con le sculture, con gli elementi della decorazione
architettonica degli edifici: capitelli, architravi, transenne.
Se vogliamo comprendere la storia archeologica dell’arte medievale, occorre analizzare e ricostruire
l'oggetto, il suo aspetto originario e le sue funzioni, restituendolo al suo contesto originario di
appartenenza. Ad esempio, le sculture: da alcuni decenni il Centro Italiano di studi sull'alto medioevo
(CISAM) pubblica il Corpus della scultura altomedievale. Ogni volume di questo corpus è un catalogo
di sculture relativi a determinati ambiti geografici. Questo è un tipico esempio di opera di servizio (il
catalogo). A proposito della scultura si possono imbastire discorsi di molti generi, tutti a carattere
contestuale: dalla ricostruzione delle botteghe artgiane, all'individuazione delle origini dei modelli,
alla ricostruzione delle oscillazioni del gusto nella decorazione, fino alla ricomposizione degli apparat
originari. Ecco, finora tutto questo è stato perseguito solo oralmente dagli archeologi, che ne hanno
le potenzialità ma preferiscono misurarsi con altri elementi della cultura materiale. Così facendo si
perde un'occasione per i comporre archeologia e storia dell'arte.
La pittura è un altro ambito dove sperimentare forme avanzate di dialogo e interazione tra
l’archeologia e la storia dell'arte. Ce ne sono almeno due: il primo, è un approccio stratigrafico agli
affreschi. Spesso analizzando gli interni di un edificio monumentale, capita di trovarci di fronte a veri
e propri palinsesti, in cui svariati frammenti di pitture si sovrappongono. In questo caso, sarà da
utilizzare una tipica analisi stratigrafica delle murature e dei rivestimenti, con tanto di Matrix per la
ricostruzione delle varie fasi degli affreschi.
Il secondo modo è quello di coinvolgere l’analisi archeometrica. Questo procedimento ci soddisfa,
perché ci resta lo spazio per valutare la diffusione di tecniche, e modelli artistici per emulazione. Ad
esempio, un pittore locale non potrebbe aver deciso di eseguire degli affreschi seguendo la maniera
in quel momento prevalente in Oriente. Comprendere la provenienza delle maestranze è un tema
spinoso, ma risolvibile, se affrontato con gli strumenti adatti.
Es, Il tempietto longobardo di Cividale del Friuli, dove di recente è stata condotta un’indagine
archeometrica sulle pitture di questo edificio: tra cui la Spettrometria, che ha messo in luce l'uso da
parte dei pittori di un tipo di pigmento detto “falso blu”, e cioè un blu ottenuto dal carbone.
Il falso blu è un tipo di pigmento in un attestato in occidente durante l'alto medioevo. Ma
c'è di più, altre analisi archeometrica hanno permesso di individuare la presenza di filament di
cotone negli intonaci del tempietto. Ora, il cotone è una fibra che proviene dall’Asia, e in occidente
non viene usato nell’alto medioevo. D'altro canto, la tecnica che prevede l'inserimento di questo
materiale nell’intonaco è bene attestata in alcuni tratti artistici redatti in Oriente in area bizantina.
Ecco risolto, a quanto pare, questo monumento venne decorato da maestranze appositamente
venute dall'oriente. Le nuove scoperte del tempietto di Cividale fanno capire quanto proficuo può
essere l’apporto alle conoscenze di una via archeologica alla storia dell'arte.
E ancora: altre possibili frecce all'arco dell'archeologo, sono l'analisi iconografica e stlistca.
L'iconografa è stata definita “una sorta di tipologia delle immagini”, da costruire e interpretare di
volta in volta tenendo presente il più ampio contesto culturale di riferimento. E
poi c'è l'architettura: gli archeologi classici si sono sempre misurati con il Partenone, il Colosseo, ecc.;
mentre i medievisti indagano su castelli, pievi e parrocchie. Ma a questo punto bisogna alzare il tiro: ci
sono centinaia di altri monumenti voluti da una committenza elevata, tra cattedrali, monasteri,
palazzi, e molti altri, in attesa di una dettagliata indagine archeologica, che parta dal metodo
dell’archeologia dell'architettura.
Insomma, gli archeologi medievisti devono far parlare questi grandi monumenti del medioevo, con i
loro metodi e i loro strumenti, far raccontare loro cose nuove.
Gli archeologi possono indagare la storia dell'arte e possono interagire con gli storici dell'arte nel
quadro di indagini interdisciplinari. Non si tratta di rubare il mestiere, ma di collaborare per ampliare
le nostre conoscenze.
L'opera di Riccardo Francovich è un caso esemplare di analisi ad ampio spettro su un grande
monumento del medioevo: il Duomo di Siena. Qui gli scavi hanno interessato alcuni ambienti della
zona sottostante il pavimento dell'edificio: un ambiente è stato scavato integralmente, asportando
due differenti strati di colmata sovrapposti. Il più antico si data al XV, il più recente al XVIII sec. La
rimozione di questi ha fatto tornare alla luce un ciclo pittorico finora sconosciuto: con scene tratte
dall'antico e dal nuovo testamento, un'opera di ambito giottesco databile agli anni 80 del XIII sec.
Questa indagine è significativa perché è uno di quei casi fortunati in cui lo scavo archeologico porta
alla luce un’opera d'arte. Le analisi delle murature hanno rivelato che il ciclo pittorico fu realizzato
solo dopo qualche tempo che l'ambiente era stato costruito, prima in pietra e poi in mattoni.
Per far sì che il quadro sia completo, dobbiamo soffermarci sulle prospettive che può offrire il futuro.
Ovviamente proseguiranno gli scavi e le ricognizioni, di questo non se ne può proprio fare a meno.
L'uso delle tecnologie informatiche rende oggi possibile qualcosa che finora è stato limitato: ci
riferiamo agli archivi (database), più o meno grandi, inseriti in ambienti GIS, che documentino lo stato
delle conoscenze e rendano possibili elaborazioni di tipo complessivo, su ampia scala.
Occorre però poi porsi delle domande specifiche sulla direzione che l'archeologia medievale potrà
prendere. Cominceremo dal rapporto tra l'archeologia medievale e le fonti scritte; e poi vedremo le
possibili aperture legate ad altri tipi di indagine, come l’archeobotanica. Per finire, daremo uno
sguardo a un argomento tutt'altro che secondario: come comunicare l'archeologia medievale al
grande pubblico.
Una delle caratteristiche più evidenti dell’archeologia medievale, quella che la distingue dalle altre
archeologie, è l'abbondanza di documenti scritti con cui confrontarsi. Di certo sono molto più
numerosi rispetto a quelli d’età romana, anche se aumentano quando ci si avvicina all'anno Mille.
Mi riferisco a testimonianze di ogni tipo: dagli atti privati, dei documenti di natura ecclesiastica alle
iscrizioni sui monumenti. Secondo l'archeologo svedese Anders Andrén queste sono alcune possibili
modalità di interazione tra l'archeologia e i documenti scritti:
Il primo: senza dubbio con l'archeologia si riesce ad andare oltre le fonti scritte, raccogliendo dadi che
non conosceremo in nessun altro modo. Es, il caso del castello di Montarrenti, dove gli scavi hanno
permesso di scrivere una storia di questo sito è molto più lunga di quella che proponevano i
documenti: questi hanno dimostrato che il castello è ben più antico del X sec e che era stato
preceduto da una serie di villaggi. Il
secondo: è un po’ più complesso; in questo caso non si tratta di trovare elementi per ampliare la
narrazione dei vuoti, ma di integrare, i dati disponibili con ulteriori informazioni ricavate dai reperti.
Es, la ceramica a vetrina pesante, che si diffonda a Roma a partire dalla seconda metà dell’VIII sec.
La sua produzione assume ben presto dimensioni notevoli, e dall’iniziale condizione di status symbol
e brocche in ceramica diventano comunissime. Questo è reso possibile da una nuova disponibilità
economica della quale usufruisce Roma in quel periodo; una disponibilità del conosciamo per le fonti
scritte. E la nuova situazione politica in cui Roma si viene a trovare, all’indomani dell’alleanza tra il
papato e i Franchi. Ecco un caso in cui l'archeologia permette di integrare, con dati di altra natura.
Il terzo punto e stato poco affrontato dagli archeologi: l'analisi del documento nei suoi aspetti
materiali, altrettanto importanti rispetto al suo contenuto. È un tipo di approccio che si pratica più
spesso rispetto alle epigrafi, ma ancora non abbastanza. Analizzare le iscrizioni in base al loro con
testo, alla loro conformazione, alla materialità dei loro supporti, è un tipo di indagine che può fornire
risultati di grande interesse rispetto alle tecniche di lavorazione, alla provenienza del materiale.
Questo è sicuramente un versante della ricerca su cui lavorare.
Il quarto punto è sicuramente il più delicato: l'archeologia come mezzo per esplorare la zona di
contrasto che si viene a creare tra le informazioni offerte dei testi e quelle fornite dagli oggetti.
Un esempio è il “Versus de Verona”, risalente all’VIII sec.
La Verona del poema è un luogo da sogno; un'immagine confermata anche da un’altra testimonianza,
la cosiddetta “iconografia rateriana”: un disegno eseguito nell’alto medioevo. Verona è raffigurata
come una città circondata da alte mura con torri, al cui interno si rispondono palazzi, templi, chiese.
Una Verona compatta, e monumentale. Ora grazie all'archeologia la conosciamo molto bene.
L'archeologia non è l'arma con cui “mascherare le reticenze” delle testimonianze antiche, ma
attraverso l'analisi di questa “zona di contrasto” tra fonti scritte, iconografiche e archeologiche ci aiuta
a capire qualcosa di più: ora sappiamo come era Verona, e come l'avrebbero voluta e la raccontavano,
i suoi abitanti. L'archeologia non è una macchina della verità; e un modo di indagare il passato che
deve tenere conto di tutte le sue testimonianze. Quando le fonti scritte non sono disponibili,
l’archeologia può trovare con i suoi metodi gli oggetti della ricerca per poi analizzarli.
È il caso della fortezza tardoantica di Monte Barro, dove non esisteva alcun elemento identificativo
nei testi, ma con gli scavi abbiamo fatto luce su una sequenza insediativa di grande interesse,
portando alla ribalta un sito che sarebbe rimasto sconosciuto. Quindi: si può fare archeologia
medievale anche indipendentemente dalla disponibilità di fonti scritte; ma quando ci sono è
obbligatorio tenerne conto.
Sul versante dell’archeozoologia, la proporzione di ovini e caprini relativa all’alto medioevo diminuisci
a partire dal X sec. In un altro villaggio dell’VIII sec, in località Scorpo, vicino Lecce, ci accorgiamo che
intorno all'insediamento esisteva una foresta di querce e macchia mediterranea che presentano
anche un’area umida. La coltivazione della vite è certificata dai reperti. Tutto
questo permette di ricostruire l'aspetto di un paesaggio dinamico, in netta ripresa dopo la difficoltà
della guerra tra Goti e bizantini del VI sec. A Scorpo gli abitanti potevano seguire una dieta variata e
bilanciata. La archeobotanica, come la archeozoologia, non sono le sole discipline a fornire nuove
importanti informazioni. Anche l'antropologia fisica, attraverso l'analisi degli isotopi stabili contenuti
nelle ossa umane, è un settore in via di espansione, che mostra grandi potenzialità: permette infatti di
risalire alla dieta seguita dai singoli individui. La comparazione dei risultati ottenuti indica un
cambiamento notevole nella dieta attraverso i secoli: si è potuto osservare che a partire dall'anno
Mille la crescita demografica e la ripresa dell'economia genere hanno un aumentata domanda di
risorse alimentari, alla quale una delle risposte principale e l'immissione sul mercato di quantità di
pesce maggiori rispetto al passato.
L'archeologo comunica il suo lavoro al pubblico in due modi: musei e parchi archeologici da un lato, le
mostre dall’altro. Sui parchi archeologici dei siti medievali, lezione principale è quella che ci ha
rilasciato Riccardo Francovich. Innanzitutto, il tema del progetto: all'origine di ogni parco è necessario
un progetto organico che dalla ricerca porti alla valorizzazione di quanto si è scavato. Egli ha idea
di quello che è il principale parco medievale d'Italia: il parco archeologico - minerario di Rocca San
Silvestro, in Toscana. Ambiente
e archeologia, natura e cultura: questo luogo si articola intorno ad un castello nato per il controllo e lo
sfruttamento delle risorse minerarie della zona circostante, e tutto è concepito per permettere al
visitatore la migliore comprensione del contesto territoriale così come delle tracce archeologiche che
include. L'idea di Francovich è che la comunicazione in archeologia debba passare attraverso una
molteplicità di strumenti: rest materiali, ricostruzioni al computer, ricostruzioni grafiche, pannelli
esplicatvi. Tutti i possibili mezzi di decodificazione e trasmissione del dato servono al visitatore per
immergersi completamente in un flusso che lo aiuti sensibilmente nella comprensione. Quindi, il
punto è che non solo in Italia ci vorrebbero più parchi archeologici dedicati al medioevo, ma che ci
vorrebbero più parchi progettati proprio in quella maniera.
L'altro modo di comunicare l'archeologia medievale: le mostre, allestite nelle città e nei musei
principali del nostro paese. Ecco le ultime:
Vanno fatte però due considerazioni. La prima è sui popoli provenienti dall'esterno, sui barbari, che
con le loro oreficerie, splendenti e multicolori, in mostra fanno una gran figura. E così è più semplice e
di maggiore impatto imbastire una mostra attorno a dei gioielli sfavillanti, ma di sicuro la storia non è
tutta lì.
La seconda considerazione: questo approccio al medioevo è parziale anche perché è sbilanciato. È
sbilanciato cronologicamente verso l'alto medioevo, ed è un passo indietro perfino rispetto a quanto
dicevo la Paolo Orsi a fine 800, quando predica la necessità di un’archeologia medievale che arrivasse
fino all'anno Mille. Allora, bisogna trovare più coraggio di ideare e allestire mostre dedicate ai secoli
del medioevo inoltrato. Occorrono idee e imprese in grado di mostrare al grande pubblico che
l'archeologia medievale arriva a coprire un arco di tempo più ampio, almeno fino al XIV sec, e che può
raccontare in modo avvincente l’epopea dei barbari.