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Domande Teoriche ECONOMIA

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Domande teoriche ECONOMIA

1- Dare la definizione di prodotto interno lordo, spiegando le caratteristiche di tale definizione. Illustrare in
dettaglio i tre metodi di calcolo del PIL.
La più importante grandezza macroeconomica è senza dubbio il PIL. Il prodotto interno lordo (PIL) è un
indicatore del livello di attività economica di un paese. Il Pil misura il valore dei beni e servizi finali prodotti
all’interno di un sistema economico in un determinato periodo di tempo. Sono tre gli aggettivi importanti che
compaiono in questa definizione: in primo luogo, la qualifica di “interno” si riferisce al fatto che la
produzione avviene sul territorio del paese considerato, nel nostro caso in Italia, indipendentemente dal fatto
che sia svolta da residenti o meno. Inoltre, il PIL è “lordo” poiché comprende gli ammortamenti, ovvero la
perdita di valore subita dal capitale fisso nel corso dell’anno per l’usura fisica e l’obsolescenza. L’aggettivo
finale significa in ultimo, che nel calcolo del PIL si tiene conto soltanto dei beni e servizi che non vengono
riutilizzati nel processo produttivo. Esistono quindi 3 metodi di calcolo del PIL, che si basano
rispettivamente sul calcolo della domanda, del prodotto e del reddito.
1- Il metodo della spesa  il PIL può essere calcolato sommando le spese effettuate dalle famiglie,
dalle imprese e dalla pubblica amministrazione, e quelle effettuate dai residenti all’estero per
l’acquisto di beni e servizi prodotti nel paese considerato. Tali componenti della spesa aggregata
sono: a) il consumo (C)  la spesa per beni di consumo effettuata dalle famiglie, sia per beni non
durevoli (generi alimentari) che per beni durevoli (come mobili ecc); b) l’investimento (I)  la
spesa per mezzi di produzione (macchinari, impianti, ecc) effettuata dalle imprese; c) la spesa
pubblica (G)  la spesa effettuata dallo stato (i cosiddetti consumi collettivi: difesa, giustizia, ordine
pubblico); d) le esportazioni nette (NX = X-Q)  ossia la differenza tra esportazioni (la spesa estera
in beni e servizi prodotti all’interno) e importazioni (la spesa nazionale in beni e servizi prodotti
all’estero)
Le grandezze considerate per il calcolo del PIL sono espresse ai prezzi dell’anno corrente. Le grandezze
espresse ai prezzi dell’anno corrente vengono definite nominali. Le medesime grandezze espresse invece ai
prezzi di un dato anno di riferimento vengono definite reali. L’identità tra PIL e spesa aggregata si scrive in
forma algebrica nel seguente modo: Y = C + I + G + NX
2- Il metodo del valore aggiunto  con questo metodo di calcolo del PIL, al valore della produzione di
ciascun bene viene sottratto il valore dei beni intermedi. Questi beni sono quei beni che, pur essendo
il risultato di processi produttivi, servono da input per altre produzioni, ottenendo appunto il valore
aggiunto.
3- Il metodo del reddito  con questo metodo il PIL viene calcolato sommando i redditi dei proprietari
dei fattori produttivi che hanno partecipato al processo di produzione, come il lavoro, i macchinari e
le attrezzature, le risorse naturali, ecc. le tipologie principali di tali redditi sono i salari (percepiti dai
lavoratori) e i profitti (realizzati dalle imprese).
ESEMPIO: consideriamo una economia costituita da 3 imprese, una siderurgica, una ittica e una
automobilistica, che hanno la seguente struttura di costi e ricavi:

Calcoliamo il valore del PIL con i tre metodi di calcolo che abbiamo analizzato:

1) Metodo della spesa: sommiamo il prodotto dell’impresa ittica e quello dell’impresa automobilistica  1000 + 200 = 1200
2) Metodo del valore aggiunto (ricavi – costi beni intermedi): sommiamo il valore aggiunto delle tre imprese  400 + (1000 – 400) + 200 = 1200
3) Metodo del reddito: sommiamo profitti e salari delle tre imprese  (340 + 60) + (500 + 100) + (160 + 40) = 1200
2- Illustrare la differenza fra PIL nominale e PIL reale, spiegando perché è importante tale distinzione
Il PIL nominale è la quantità di beni e servizi (finali) prodotti in un dato periodo di tempo calcolati ai prezzi
di quello stesso periodo (per esempio il PIL del 2016 calcolati ai prezzi dei beni e servizi del 2016). Il PIL
reale è la quantità di beni e servizi (finali) prodotti in un dato periodo di tempo calcolati ai prezzi di un
periodo di riferimento (per esempio il PIL del 2016 calcolati ai prezzi dei beni e servizi del 2015). Il calcolo
del PIL reale ci permette di “depurare” il valore dei beni e servizi prodotti delle variazioni di prezzo che
possono verificarsi da un periodo all’altro.
3- Dare la definizione di vincolo di bilancio e di curva di indifferenza e spiegarne il significato economico.
Utilizzando una rappresentazione grafica, illustrare la scelta del consumatore che permette di
massimizzare il suo benessere
Il vincolo di bilancio è l'insieme delle possibilità di scelta del consumatore limitato sulla base della quantità
di moneta a sua disposizione o del suo reddito. Il vincolo di bilancio presuppone che la persona abbia un
reddito, o una quantità di moneta a disposizione, da spendere per acquistare beni e servizi. Il vincolo di
bilancio è la rappresentazione delle combinazioni dei panieri di beni tra i quali il consumatore può scegliere
tutto il suo reddito e non oltre. Il vincolo è rappresentabile tramite l’equazione: R = Pa*Qa+Pb*Qb
R rappresenta il reddito complessivo del consumatore, Pa e Pb sono rispettivamente i prezzi dei due beni
inseriti nel paniere, mentre Qa e Qb rappresentano le quantità. Il vincolo di bilancio evidenzia una relazione
di trade off nel modello della scelta del consumatore: dati il suo reddito ed i prezzi, le scelte possibili sono
limitate: più decide di acquistare di un bene e meno può acquistare dell’altro. Graficamente il vincolo di
bilancio è rappresentato da una retta decrescente definita come retta di bilancio. Tutti i punti su di essa sono
le alternative possibili quando si spende tutto il reddito. Tutti i punti sopra e sotto la retta non sono
contemplati in quanto non rispecchiano l'ipotesi di spendere tutto il reddito, sotto la retta vi è un avanzo e
sopra un eccesso rispetto al reddito. Le intercette sugli assi sono rispettivamente sulle ordinate R/Pb e sulle
ascisse R/Pa e rappresentano l’ipotesi in cui un consumatore optasse per l’acquisto di un solo bene.
La curva di indifferenza è l’insieme dei beni che garantiscono al consumatore lo stesso livello di
utilità. Identifica quindi tutti i panieri che si trovano allo stesso livello nella scala delle preferenze
del consumatore. Più in alto si trovano le curve nel grafico, più i panieri sono preferiti. Per ogni
punto del grafico passa una sola curva di indifferenza, le curve sono decrescenti e non si
incontrano mai.
Per l’ipotesi di razionalità il consumatore sceglierà il paniere preferito tra quelli che può
permettersi, indentificati dalla retta del vincolo di bilancio e potrà così scegliere il paniere che si
trova sulla curva di indifferenza più alta.

scrivere il vincolo di bilancio


con riguardo alla scelta fra
consumo di beni e
consumo di tempo libero e
spiegarne il significato
economico
scrivere il vincolo di bilancio
con riguardo alla scelta fra
consumo di beni e
consumo di tempo libero e
spiegarne il significato
economico
4- Scrivere il vincolo di bilancio con riguardo alla scelta fra consumo di beni e consumo di tempo libero e
spiegarne il significato economico.
Il lavoro viene assunto come un bene disutile perché, essendo la giornata composta di 24 ore, offrire lavoro
implica una rinuncia al tempo libero, con conseguente peggioramento del benessere del consumatore. In
sostanza, il tempo libero è considerato come un bene e il lavoro come una diminuzione di questo bene. È più
comodo, allora, guardare al problema del consumatore dal punto di vista della scelta fra tempo libero e
consumo invece che fra lavoro e consumo, perché in tal modo la scelta riguarda due beni utili. Se chiamiamo
El la lunghezza della giornata, l’offerta di lavoro N sarà pari a E l – Tl dove Tl è il tempo libero. Effettuiamo
questa sostituzione, ottenendo  P*Q=R+W (El – Tl). In questo caso Q e Tl sono i due beni su cui il
consumatore deve operare la sua scelta. In questa interpretazione, il salario W è il prezzo del tempo libero,
perché se il consumatore vuole acquistare un’ora di tempo libero, deve lavorare un’ora in meno, il che gli
costa W del suo reddito.
5- Dare la definizione di ricavo marginale e di costo marginale e spiegarne il significato economico.
Spiegare qual è la condizione marginale per la massimizzazione del profitto e cosa fa l’impresa quando
un ricavo marginale è diverso dal costo marginale.
Il ricavo marginale (Rma) è l’aumento di ricavo totale che si ottiene quando la quantità venduta aumenta di
una unità. In concorrenza il Rma è costante e coincide col prezzo. Dunque, se la piccola impresa può vendere
qualsiasi quantità decida di produrre al prezzo (dato) di mercato, su ogni unità venduta in più incasserà
appunto il prezzo. Il costo marginale (Cma) a sua volta è l’aumento di costo totale che si ottiene quando la
quantità prodotta aumenta di una unità che differenzia rispetto al Rma sul fatto che il costo marginale non è
costante, perché il costo totale aumenta in proporzione maggiore all’aumentare della quantità prodotta. Ciò
implica che il costo marginale è crescente, aumenta cioè all’aumentare della quantità prodotta. La condizione
che identifica il massimo profitto è quando si arriva all’uguaglianza tra Rma e Cma. Quella è appunto la
quantità in cui il profitto è massimo, perciò; Rma = Cma.
Quando il ricavo marginale è diverso dal costo marginale, ad esempio se, partendo da una certa quantità,
Rma > Cma, allora la produzione di un’unità in più accresce il profitto. Se invece Rma<Cma, allora il
profitto aumenta producendo questa volta una unità in meno. E’ opportuno quindi aumentare la produzione
fino a quando il Rma rimane maggiore del Cma, mentre conviene ridurla in caso contrario.
6- Descrivere le caratteristiche della concorrenza perfetta e dire quali sono quelle che vengono violate
nelcaso di monopolio, concorrenza monopolistica e oligopolio.
In un mercato c’è concorrenza perfetta se valgono i seguenti requisiti:
- Le imprese che producono Q sono tutte piccole, quindi la quantità prodotta della singola impresa è
trascurabile rispetto alla produzione totale.
- Le imprese che producono Q sono tante, la presenza di una singola impresa in più o in meno non
altera significativamente l’offerta complessiva.
- Il prodotto Q delle varie imprese è omogeneo, per i compratori è indifferente l’impresa da cui
comprare poiché i prodotti sono tutti uguali.
- Assenza di barriere o costi che impediscono l’ingresso e l’uscita delle imprese nel mercato, libertà di
entrata e di uscita.
- Anche gli acquirenti sono tanti e piccoli, detto mercato atomistico, sia per l’offerta che per la
domanda.
- Tutti gli acquirenti e i venditori sono informati sulle condizioni di vendita praticate da tutte le
imprese, mercato trasparente.
Manca monopolio ecc…
7- Nell’ambito della teoria del consumatore relativa alla scelta fra due beni, spiegare che cos’è l’effetto
reddito e l’effetto sostituzione. Utilizzando una rappresentazione grafica, illustrare come cambia la scelta
del consumatore nel caso in cui uno dei due beni sia un bene inferiore.
Al fine di studiare gli effetti sulla domanda del bene Q provocati da variazioni del suo prezzo P e del reddito
R a disposizione del consumatore utilizziamo un modello semplificato del vincolo di bilancio, sostituendo il
pedice b con il pedice t (tutti gli altri beni), ponendo Pt=1 e togliendo il pedice a.
PQ + Qt = R
Il grafico della retta del bilancio si costruisce nel solito modo, e sappiamo che un aumento di P fa ruotare la
retta facendo perno sull’intercetta sull’asse delle ordinate, R.
8- Definire l’elasticità della domanda di un bene rispetto al prezzo, spiegare come si calcola e qual è il suo
significato. Spiegare la differenza tra beni a domanda elastica e beni a domanda rigida.
L’elasticità della domanda serve per misurare gli effetti delle variazioni del prezzo P sulla quantità
domandata Q: ƞ =(ΔQ/ΔP) / ΔP/P
In particolare, ƞ = elasticità della domanda, che misura in che percentuale si riduce Q quando P aumenta
dell’1%. Il rapporto tra la ΔQ e ΔP è sempre negativo, perché quando P aumenta Q diminuisce e viceversa,
per questo motivo possiamo trascurare il segno e prendere in considerazione il valore assoluto nel calcolo di
ƞ.
Definiamo beni a domanda elastica quando ƞ > 1, ovvero che reagisce molto alla variazione di prezzo,
mentre definiamo beni a domanda rigida quando n < 1, quindi quando reagisce poco alla variazione di
prezzo. Questo dipende da vari fattori, tra cui il grado di sostituibilità del bene (es del burro e della
margarina, per cui fino a quando non potrò permettermi il burro acquisterò la margarina, ma essendo un bene
sostituito del burro, quando avrò la possibilità, quindi al crescere del reddito, si ridurrà la domanda di
margarina e lo sostituirò col burro), dal grado di necessità del bene (avrò i beni di prima necessità con una
domanda anelastica mentre i beni di lusso avranno una domanda elastica), e infine dal livello del prezzo del
bene (se il prezzo è già alto ne scoraggia l’acquisto anche solo una piccola ΔP).
9- Descrivere il pensiero di David Ricardo, teoria dei vantaggi comparati facendo ricorso all’esempio sulla
produzione di vino e stoffa in Inghilterra e Portogallo.
Ricardo, insieme a Smith è considerato il padre dell’economia moderna “classica”, ovvero quella corrente
dell’economia che sosteneva il liberismo economico (laissez – faire), quindi quell’idea per cui, se lasciata
fare (senza vincoli statali), l’economia si sarebbe autoregolata. Secondo Ricardo lo stato viene visto come
intruso e serviva per estrarre ricchezza, finanziare guerre per aumentare il proprio regno ed è un sistema che
privilegia solo i più ricchi. Lui oltre ad essere un liberista era un liberoscambista. Ricardo pubblica “Principi
di Economia Politica", in cui è centrale la discussione sulla distribuzione del sovrappiù tra le classi sociali,
quindi tra capitalisti, proprietari terrieri e lavoratori, i salari per lui sono solo di sussistenza e i profitti
vengono reinvestiti (visione dell’accumulazione come motore dello sviluppo capitalistico). Secondo la teoria
dei vantaggi comparati (vanno prese in considerazione non solo le ore di lavoro ma anche le ore di lavoro
che il paese stesso necessita per produrre l’altro bene = calcolo costo – opportunità), il libero scambio di
merci è sempre vantaggioso per tutti, anche per quei paesi che risultano superiori nella produzione di beni
rispetto ad altri (con un vantaggio assoluto), ma secondo Ricardo è importante guardare i vantaggi comparati
appunto: è bene specializzarsi nella produzione di alcuni beni, e importare il resto, in particolare per lui
l’Inghilterra si sarebbe dovuta specializzare nella produzione di stoffa mentre avrebbe dovuto importare vino
dal Portogallo, perché, nonostante l’Inghilterra avesse un vantaggio assoluto nella produzione di entrambi i
beni, il vantaggio comparato dell’Inghilterra è nella produzione di stoffa, mentre per il Portogallo il vino.
Ricardo mostra che condizione sufficiente affinché lo scambio convenga in entrambi i paesi è che la ragione
di scambio internazionale (cioè quella che si impone al momento della apertura dei due paesi agli scambi) sia
compresa tra le due ragioni di scambio in autarchia).
Ricardo dimostra la sua tesi liberalista quindi e secondo lui a quei paesi conviene aprirsi agli scambi e
specializzarsi nella produzione in cui godono di un vantaggio comparato (in una economia dove non ci sono
problemi di disoccupazione in quanto questo crea un vantaggio in termini di lavoro risparmiato).
10- Descrivere le caratteristiche della critica all’economia politica formulata da Karl Marx e illustrare,
utilizzando un esempio, la condizione di riproducibilità di un sistema economico.
Marx parte dalla critica dei classici per fondare la sua teoria, che riguardava il fatto che il capitalismo per lui
non è regolato da leggi naturali (come sostenevano i classici): elabora il materialismo storico. Per Marx il
capitalismo è storicamente determinato, in quanto è un sistema fragile e destinato ad entrare in crisi. Quando
questo sistema entrerà in crisi, subentrerà un nuovo sistema economico (il comunismo). Marx fornisce due
ragioni per cui il capitalismo è storicamente determinato: 1- la caduta del saggio di profitto, questo perché i
capitalisti estraggono lavoro vivo dagli operai, ma le continue innovazioni tecnologiche spingeranno sempre
di più i capitalisti ad impiegare lavoro morto, ossia le macchine, al posto degli operai, quindi secondo Marx,
se il rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto si riduce, allora si ridurrà anche il saggio di profitto, che porterà
ad una crisi generale del sistema capitalistico. 2- il secondo motivo è la contraddizione tra sviluppo
economico (guidato dal profitto) e il basso livello dei consumi della classe dei lavoratori (salari). L’analisi di
Marx, quindi riguarda le condizioni di riproducibilità del sistema capitalistico: consideriamo un’economia
che produce come output grano (G) e ferro (F), utilizziamo come input, quindi come fattori produttivi,
proprio grano e ferro (tra questi input vanno considerati anche il G e F necessari al sostentamento degli
operai). L’economia presenta tecniche di produzione che stabiliscono la seguente relazione tra input e output:
280 G 12 F  400 G
120 G 8 F  20 F
Date le tecniche disponibili, il settore del grano è in grado di produrre 400 unità di grano impiegando come
input 280 unità di grano e 12 unità di ferro. Il settore del ferro produce 20 unità di ferro usando come input
120 unità di grano e 8 unità di ferro  questa è una economia di pura sussistenza che non è in grado di
generare un surplus (cioè una eccedenza, un residuo) al di là dello stretto necessario per la riproduzione del
sistema. Un’economia capitalistica può riprodursi solo se oltre alla stretta sussistenza genera un surplus che
serva a remunerare il profitto dei capitalisti, altrimenti il meccanismo capitalista si inceppa. Il surplus può
essere generato: introducendo innovazioni tecniche, aumentando lo sforzo produttivo dei lavoratori a parità
di salario e riducendo il costo degli input attraverso una riduzione dei salari. Nel nostro esempio: 280 G 12 F
 500 G, 120 G 8 F  30 F, 400 G 20 F
Gli esempi, infatti, evidenziano che il surplus può essere generato a scapito degli interessi dei lavoratori
(conflitto distributivo), o a seguito di una intensificazione dei loro sforzi (sfruttamento) oppure a seguito di
una riduzione degli input salariali (conflitto distributivo). Al tempo stesso, il surplus è indispensabile per la
sopravvivenza di un’economia capitalistica.
11- Descrivere teoria economica marginalista o neoclassica
In un certo senso la possiamo interpretare come la risposta di Marx della classe imprenditoriale. Gli
economisti di questa nuova impostazione definita neoclassica vogliono risolvere il problema del conflitto e
quello che noi andiamo a studiare è l’individuo. Il loro approccio viene definito come individualismo
metodologico  questo metodo si basa sull’idea che qualsiasi aggregato sociale, inclusa la classe, è in realtà
costituito da singoli individui. I neoclassici ritengono che il problema economico fondamentale di ogni
individuo e di ogni società sia quello di impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui dispone al fine di accrescere
il proprio benessere.
Per i neoclassici, il benessere viene misurato attraverso l’utilità. Si consideri questo esempio: per i
neoclassici una tipica risorsa scarsa è il tempo, ossia le ore che abbiamo a disposizione durante il giorno.
Supponiamo allora che un individuo debba decidere come impiegare le sue ore. Tra i possibili usi alternativi
egli può scegliere di lavorare e ottenere così un reddito che gli darà modo di consumare merci, oppure può
scegliere di riposare e dedicarsi al tempo libero (rinunciando al consumo dei beni). Ora, sia il riposo che il
consumo di merci accrescono l’utilità dell’individuo, cioè aumentano il suo benessere.  come si fa a
decidere quante ore dedicate al riposo e quante dedicate al lavoro necessarie per ottenere un reddito e
consumare? I neoclassici rispondono introducendo il concetto di calcolo marginale = cioè su un calcolo
effettuato su incrementi piccoli, appunto marginali, delle variabili considerate. Fanno quindi un calcolo sugli
incrementi minimi per trovare la quantità ottimale di tempo libero che in relazione al consumo mi dà il
benessere massimo.
Introducono il principio della legge dell’utilità marginale decrescente. Qualsiasi bene ha una quantità
marginale decrescente: più tempo libero metto alla mia giornata, inizialmente sto bene, ma a lungo andare il
mio benessere aumenterà sempre di meno, conducendo l’individuo alla sazietà.
12- Dare la definizione di inflazione e spiega i metodi con cui può essere misurata. Spiega i principali motivi
per cui gli individui possono percepire l'inflazione in misura diversa rispetto ai valori ottenuti dalle
statistiche ufficiali.
L’inflazione è la svalutazione della moneta rispetto ai beni dei beni che può acquistare. È una situazione
caratterizzata da un continuo aumento dei prezzi dei beni, ovvero da una continua diminuzione del potere
d’acquisto della moneta. Per misurare l'inflazione, si costruisce un indice dei prezzi e si calcola la sua
variazione percentuale. Per misurarla ci sono diversi modi, i più usati sono:
- il deflatore (implicito) del PIL: Il calcolo dell’inflazione attraverso il deflatore fa riferimento ai beni
e servizi prodotti ed è dato dal rapporto tra il PIL calcolato ai prezzi dell'anno corrente (indicato con
t, ovvero il PIL nominale) e il PIL calcolato ai prezzi dell’anno base (indicato con 0, ovvero il PIL
reale), quindi il valore complessivo dei beni e servizi prodotti è dato dalla sommatoria di prezzi per
quantità (∑ pit * qit)  PIL n / PIL r

- l’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC): è uno strumento statistico che misura le variazioni nel tempo
dei prezzi di un insieme di beni e servizi, chiamato paniere, che viene considerato rappresentativo
degli effettivi consumi delle famiglie in uno specifico anno. L'inflazione è percepita in modo diverso
perché sicuramente gli aumenti di prezzo attirano maggiormente l’attenzione delle persone rispetto
ai ribassi, inoltre notiamo di più gli acquisti frequenti e in contanti e viceversa tendiamo a notare
meno o non notare affatto gli acquisti poco frequenti e gli addebiti diretti. Quando si considera un
IPC si deve tener conto che esso riassume incremento dei prezzi di ampia portata.
Nelle economie di mercato i prezzi di beni e servizi possono subire variazioni in qualsiasi momento: alcuni
aumentano, altri diminuiscono. Si parla di inflazione quando si registra un rincaro di ampia portata, che non
si limita a singole voci di spesa.
Esempio di calcolo dell’inflazione:

1- abbiamo un elenco di beni e servizi che formano un paniere e i quantitativi che ne sono stati
consumati in un determinato anno, per esempio il 2014 (questo sarà il nostro “anno base”)

Nel nostro esempio consideriamo unicamente le voci “chili di pane”, “tazze di caffè”, “tagli di capelli”,
“giacconi invernali”.

2- Calcoliamo la spesa totale in ciascun anno per ciascuno dei beni e servizi moltiplicando le quantità
acquistate per il prezzo:

150 chili di pane x 1,50 euro = 225 euro

100 tazze di caffè x 2,40 = 240 euro, ecc.

1- Sommando i risultati relativi ai singoli beni e servizi si ottiene il costo totale per consumi. Nel nostro
anno base 2014 è pari a 850 euro.
2- Possiamo ripetere le stesse operazioni ai punti 2 e 3 per gli anni seguenti
- Dall’esempio emerge che nel 2015 alcuni prezzi sono cambiati. Il costo totale per consumi
aumentato a 875 euro
- Nel 2016 aumenta ulteriormente a 891 euro
3- Dividendo il costo totale del paniere nel 2015 e nel 2016 per il costo del paniere nell’anno base
2014, e moltiplicando il risultato per 100, otteniamo:

nel 2015: 875/ 850 x 100 = 102,9

nel 2016: 891/850 x 100 = 104,8

4- Il tasso di inflazione sui 12 mesi è la variazione percentuale da un anno all’altro.

Nell’esempio, nell’anno 2015 il tasso di inflazione è pari al 2,9%

Ciò risulta sottraendo dall’indice di prezzo per l’anno in questione 2015 quello relativo all’anno precedente
2014 (102,9 – 100), diviso per l’indice di prezzo dell’anno precedente 2014 (100) e moltiplicato per 100.

Nell’anno 2016 il tasso di inflazione è invece dell’1,8%:


(104,8 – 102,9) / 102,9 x 100 = 1,8%

13- Keynes e il suo contributo per la teoria economica


L’artefice della cosiddetta “rivoluzione” del pensiero della teoria economica fu l’economista inglese Keynes.
Per lui, a differenza dei neoclassici, il numero degli occupati dipende dalla domanda effettiva di merci. Le
imprese cioè assumeranno solo i lavoratori necessari a produrre la quantità di merci effettivamente
domandata dal mercato, cioè la quantità che può essere effettivamente venduta, questo è detto principio della
domanda effettiva. La domanda effettiva a sua volta dipende dalle aspettative sul futuro. Se tra gli operatori
economici si diffonde un’ondata di pessimismo, gli acquisti di beni di investimento verranno ridotti,
provocando licenziamenti, la diminuzione dei consumi dei lavoratori, ulteriori licenziamenti, e così via in
una spirale negativa che può condurre a una crisi generale.
Nella sua critica ai neoclassici Keynes si pone in una posizione intermedia, nel senso che accetta una parte
della loro teoria ma rifiuta un’altra parte. Keynes condivide la tesi neoclassica secondo la quale in equilibrio
il salario reale coincide con la produttività marginale del lavoro. Egli accetta anche la tesi secondo cui la
produttività marginale del lavoro decresce al crescere del numero dei lavoratori occupati.
Keynes nasce dai marginalisti/neoclassici. Rivoluziona totalmente la teoria economica. Con Keynes nasce la
macroeconomia e in un certo senso la rivoluzione keynesiana fa nascere quella che noi chiamiamo la
contabilità nazionale.
Quello che fa Keynes, è criticare l’idea dell’impresa  esse decidono di occupare a seconda di quanto si
aspettano di poter vendere, prima guardano quanta domanda gli arriva (richiesta di merci) e secondo
quell’idea che si fanno le imprese decideranno di occupare tot lavoratori. Quindi le imprese assumeranno
solo i lavoratori necessari a produrre la quantità di merci effettivamente domandata dal mercato = principio
della domanda effettiva. Per Keynes si può arrivare a un momento in cui l’economia si trova in una
situazione di stagnazione  equilibrio caratterizzato da bassa domanda e bassa occupazione. QUINDI, se la
domanda effettiva di merci è bassa, le imprese assumono pochi lavoratori con conseguente elevata
disoccupazione e un basso livello di attività economica. C’è quasi un ritorno a un‘interpretazione neoclassica
ma da colore alla teoria economica. Gli economisti neoclassici del tempo non prendono in considerazione la
domanda, ma solo l'offerta e quindi Keynes critica questa visione. Non c’è un equilibrio di piena
occupazione come dicono i neoclassici. Secondo Keynes è una follia abbassare i salari.
14- Illustrare i tre moventi che determinano la domanda di moneta e le variabili macroeconomiche da cui
essa dipende.
Per domanda di moneta si intende la quantità di moneta che gli operatori come famiglie macroeconomiche
decidono di mantenere nei propri portafogli.
Esistono 3 motivi che spingono gli operatori a domandare moneta.
Il primo è il movente delle transazioni, per il quale la moneta viene trattenuta al fine di effettuare con
regolarità i propri acquisti; perciò, quanto più è elevato il reddito incassato a inizio mese e con esso il valore
delle transazioni che si andranno ad effettuare, tanto più è elevato l’ammontare della moneta trattenuta. Il
secondo movente è quello precauzionale che consiste nel trattenere moneta per fronteggiare imprevisti, come
il sorgere di improvvise spese. Anche in questo caso tanto più elevato è il reddito tanto più l’operatore potrà
trattenere moneta. Il terzo e ultimo movente è quello speculativo, che riguarda la moneta come attività
finanziaria alternativa ai titoli e non più come mezzo di scambio. Si trattiene moneta se si scommette sulla
diminuzione a breve del prezzo dei titoli e, viceversa, si trattengono titoli se si scommette sul rialzo del
prezzo. In questo caso quindi la scelta di mantenere moneta nel proprio portafoglio è dettata dall’obiettivo di
guadagnare sulla variazione del prezzo dei titoli. La speculazione è al rialzo se si compra in attesa che il
prezzo salga, mentre è al ribasso se si vende in attesa che il prezzo scenda. E’ quindi una domanda di moneta
elastica.
Considerando le variabili macroeconomiche da cui dipende la domanda di moneta è bene sottolineare che è il
reddito ad influenzare la domanda di moneta, sia per quanto riguarda il movente precauzionale che quello
transattivo. Inoltre, per quanto riguarda il movente precauzionale la domanda di moneta dipende anche dal
tasso di interesse, nel caso in cui l’operatore detenga titoli da liquidare nel momento in cui avesse bisogno di
moneta; infatti, in questo caso potrebbe ricorrere in rischi di perdite in conto capitale, in cui non incorrerebbe
se detenesse moneta. Per quanto riguarda il movente speculativo la domanda di moneta dipende
negativamente dal tasso di interesse perché detenere moneta comporta un costo opportunità, consistente alla
rinuncia all’interesse che si potrebbe avere acquistando titoli.
15- In che modo la moneta entra nel circuito economico?
Ci sono tre canali di immissione o ritiro di moneta sui quali può operare la Banca Centrale:
1. Tesoro. Quando la Banca centrale acquista titoli di debito pubblico (fa un prestito al Tesoro acquistando
titoli da lui emessi) paga con moneta e questo fa aumentare l’offerta di moneta, cioè la quantità di moneta in
circolazione. Quando il Tesoro restituisce il prestito (rimborsa i titoli) l’offerta di moneta diminuisce.
2. Estero. Quando la Banca centrale acquista valuta estera pagando con euro l’offerta di moneta aumenta.
Quando, invece, cede valuta estera in cambio di euro, l’offerta di moneta diminuisce.
3. Banche. Quando la Banca centrale fa un prestito alle banche crea moneta. Quando queste lo restituiscono
il prestito l’offerta di moneta diminuisce. I meccanismi descritti dai tre canali di creazione e distruzione
dell’offerta di moneta rendono passivo il ruolo della Banca Centrale se questa non è una istituzione
indipendente.
Per esempio, se la banca Centrale è obbligata a comprare i titoli di debito pubblico emessi dal Tesoro o a
convertire valuta estera in euro e/o a concedere i finanziamenti richiesti dalle Banche, allora di fatto le
variazioni dell’offerta di moneta sono decise dal Tesoro, dagli operatori che cambiano valuta estera con euro
e dal sistema bancario. In realtà, la Banca Centrale è in grado di controllare l’offerta di moneta, perché:

- la Banca Centrale non è obbligata a sottoscrivere i titoli di debito pubblico, ma può decidere quanti
acquistarne e se acquistarli.
- la Banca Centrale stabilisce il tasso ufficiale di sconto, cioè il costo (in termini di interessi) dei
prestiti praticati alle banche. L’aumento del tasso ufficiale di sconto riduce il ricorso a questi prestiti
da parte delle Banche provocando una diminuzione della quantità di moneta in circolazione.
- la Banca Centrale può comprare e vendere titoli sui mercati finanziari: l’acquisto di titoli aumenta
l’offerta di moneta, la vendita la riduce
16- Come si comporta l’offerta di lavoro al variare del salario reale?
La domanda netta di tempo libero non può essere positiva, poiché il consumo di tempo libero Tl non può
eccedere quello disponibile El. Abitualmente il tempo libero viene considerato un bene normale, se si
dispone di un reddito monetario più elevato, la reazione più comune è di dedicare una parte maggiore della
giornata ad attività non lavorative. Se il tempo libero è un bene normale e offerto, siamo esattamente nel caso
in cui l’effetto sostituzione e l’effetto reddito agiscono in direzione opposta. Quando aumenta il salario reale
un’ora di tempo libero costa di più (relativamente al consumo) e il soggetto è indotto a lavorare di più, per
l’effetto di sostituzione. Ma l’aumento di salario rende anche il soggetto più ricco; quindi, egli può
permettersi di lavorare di meno, per effetto reddito. Senza conoscere le preferenze del consumatore non
possiamo sapere quali dei due effetti prevarrà. Tuttavia salari alti e offerta di lavoro elevata aumentano la
probabilità che l’effetto reddito domini su quello sostituzione.
17- Come si genera un surplus?
In vari modi, tra i quali ricordiamo: (esempio input grano e input ferro)

- apportando innovazioni tecniche, per esempio acquistando un nuovo macchinario che consente di
produrre di più utilizzando lo stesso numero di lavoratori
- aumentando lo sforzo produttivo dei lavoratori a parità di salario
- riducendo il costo degli input attraverso una riduzione dei salari

Il surplus può essere generato solo a scapito dei lavoratori, o a seguito di una intensificazione dei loro sforzi
oppure a seguito di una riduzione degli input salariali. Al tempo stesso, il surplus è indispensabile alla
sopravvivenza di una economia capitalistica, che è in grado di riprodursi solo se viene soddisfatto il movente
del profitto dei capitalisti.
18- Cos’è il prezzo relativo?
Il prezzo relativo misura quante unità del bene il cui prezzo è al denominatore (P b) possono essere ottenute in
cambio di una unità del bene il cui prezzo è al numeratore (Pa). Misura quanto vale un bene non in euro ma
nei termini dell’altro.

Ricordando la formula (esplicita) della retta del bilancio, si vede che la sua inclinazione (in valore assoluto) è

misurata proprio dal prezzo relativo Pa / Pb 


Ogni volta che ci si muove verso destra lungo la retta si ottiene un po' di più del primo bene rinunciando a un
po' del secondo.
19- Cos’è il reddito reale e caratteristiche:
Il reddito reale è adeguato all’inflazione. Si contrappone al reddito nominale, che non tiene conto degli effetti
dell’inflazione. Il reddito reale si basa sui beni o servizi tangibili, come il latte o il pane, che il denaro può
acquistare. Nei calcoli macroeconomici, è spesso il metodo preferito per misurare le variazioni del reddito
nel tempo o tra paesi diversi. Il reddito reale aumenta ogni volta che la retta del bilancio si sposta verso
l’alto, rendendo possibile la scelta di panieri prima troppo cari. La crescita del reddito reale può essere
provocata da un aumento della somma R (reddito nominale), oppure dalla diminuzione di un prezzo o
entrambi. Il reddito reale diminuisce ogni volta che la retta del bilancio si sposta verso il basso, riducendo il
numero dei panieri disponibili per la scelta. La diminuzione del reddito reale può derivare da una riduzione
della somma R (reddito nominale), oppure dall’aumento di un prezzo o entrambi.
Curva di indifferenza e caratteristiche:
Una curva di indifferenza identifica tutti i “panieri” che stanno allo stesso livello nella scala delle preferenze
del consumatore. Più in alto sono le curve più i panieri sono preferiti. Per ogni punto del grafico passa una
sola curva di indifferenza. Le curve di indifferenza sono decrescenti e le curve di indifferenza non si
incontrano.
20- Il Saggio Marginale di Sostituzione (SMS)
Il saggio marginale di sostituzione misura quante unità del bene b è disposto a cedere il consumatore in
cambio di una unità del bene a restando indifferente tra prima e dopo. Misura quanto vale, per il
consumatore, un bene rispetto all’altro. SMS misura l’equivalenza soggettiva tra i beni.
… Finora abbiamo assunto che le risorse del consumatore siano date da una somma di denaro R, assunta
come data. Studiamo ora il caso in cui può aumentarla vendendo (offrendo) lavoro. Indichiamo la quantità
offerta di lavoro col simbolo N e il prezzo di una unità di lavoro (il salario) col simbolo W. Dato che ci
interessa questo aspetto della scelta, semplifichiamo il lato degli acquisti: il soggetto può comprare solo un
bene, Q, il cui prezzo (dato) è P.
- Come si scrive il vincolo di bilancio? Evidentemente così: P*Q = R+ W*N
Q = è LA QUANTITA’ di consumo, P è il suo prezzo (il costo in euro del paniere), W è il salario orario
espresso in euro e N è il numero di ore di lavoro offerte.
Il vincolo di bilancio afferma che si può spendere per consumo una cifra (P*Q) che è pari alla somma del
reddito alternativo al lavoro (R) più il reddito da lavoro (W*N).
Cosa vende il lavoratore?  vende una parte della sua disponibilità di tempo

Giunti a questo punto si potrebbe passare immediatamente ad affrontare il problema della scelta del
consumatore tra lavoro e consumo. Ma la scelta si presenterebbe in termini anomali rispetto a quelle viste in
precedenza: il consumatore, infatti, dovrebbe scegliere tra un bene che è utile (il consumo),e un altro che è
disutile (il lavoro). Il lavoro viene assunto come un BENE DISUTILE, in quanto essendo la giornata
composta di 24 ore, offrire lavoro implica una rinuncia al tempo libero, con conseguente peggioramento del
benessere del consumatore. Per dirla diversamente, il tempo libero è considerato come un bene e il lavoro
come una diminuzione di questo bene. E’ più comodo, allora, guardare al problema del consumatore dal
punto di vista della scelta fra tempo libero e consumo invece che fra lavoro e consumo, perché in tal modo la
scelta riguarda due beni utili. Se chiamiamo El la lunghezza della giornata, l’offerta di lavoro N sarà pari a El
- Tl dove Tl è il tempo libero.
Effettuiamo questa sostituzione nell’equazione, ottenendo la seguente espressione:
P * Q = R + W (El – Tl) che possiamo anche riscrivere in forma esplicita risolvendo per Q:
Q = R/P + W/P (El -Tl)
In questo caso Q e Tl sono i due beni su cui il consumatore deve operare la sua scelta. In questa
interpretazione, il salario W è il prezzo del tempo libero. Perché? Perché, se il consumatore vuole acquistare
un’ora di tempo libero, deve lavorare un’ora di meno, il che gli costa W del suo reddito.
W/P è il prezzo relativo in questo problema di scelta  esso rappresenta il salario reale e va tenuto distinto
dal salario monetario (che è W).
In altre parole, il salario reale è quel prezzo relativo che rappresenta il rapporto di scambio tra tempo libero e
consumo. Il consumatore scambia tempo libero contro consumo in questo modo: egli rinuncia al tempo
libero, lavora un’ora di più, e ottiene un salario pari a W, con cui acquista W/P unità di consumo. La scelta
ottimale si ha quando il prezzo relativo (ossia W/P) eguaglia il saggio marginale di sostituzione. Poiché il
saggio marginale di sostituzione tra consumo e tempo libero è dato da:

Dotazioni di consumo e di tempo

 PQ = R + WE – WT  PQ + WT = R + WE

21- Quali sono le organizzazioni del processo produttivo?


Dal punto di vista della dislocazione dell’attività produttiva si possono avere:

a) imprese nazionali: l’attività produttiva si svolge in un solo paese


b) imprese internazionali: una parte non rilevante della produzione avviene all’estero, conservando la
dirigenza nel paese
c) imprese multinazionali: imprese di grandi dimensioni la cui attività produttiva è “dislocata in molte
nazioni” tramite filiali o imprese controllate. La direzione è nel paese d’origine che prende le
decisioni in maniera accentrata e comanda sulle filiali
d) imprese transnazionali: sono imprese multinazionali che hanno dislocato sia l’attività produttiva che
la direzione. Nell’impresa transnazionale ogni sede ha una sua autonomia a livello manageriale e
l’attività viene gestita in modo indipendente dalle altre sedi.

Abbiamo inoltre:
Holding: è quell’impresa che, in una S.p.A. possiede almeno il 50,1% delle azioni, e ciò le dà diritto di
controllare le altre società. La holding è detta anche società capogruppo o società madre. Le società
controllate possono appartenere allo stesso ramo produttivo, o a rami diversi oppure avere differenti stadi del
processo produttivo.
Trust: è una forma di coalizione di imprese integrate fra di loro, che giuridicamente restano autonome e
distinte, ma “sotto un’unica direzione” che può decidere per tutto il gruppo.
Cartello: è un accordo tra imprese operanti in uno stesso settore produttivo. Le imprese non sono integrate
fra di loro e non sono sotto la stessa direzione. Lo scopo dell’accordo è quello di ridurre la concorrenza
fra di loro mediante la fissazione dei prezzi di vendita dei prodotti e la spartizione dei mercati. Il cartello più
conosciuto è l’OPEC.
22- Isoquanti e isocosti
L’isoquanto è l’insieme delle diverse combinazioni dei fattori produttivi (input) che consentono di produrre
la stessa quantità di produzione totale (output). Gli isoquanti sono detti anche isoquanti di produzione e sono
utilizzati in economia politica nella teoria dell’impresa. Il termine isoquanto è composto dall’unione delle
parole “iso” (stessa) e “quantità” (di prodotto). Nel caso di una funzione di produzione a due variabili
l’isoquanto può essere rappresentato sul piano cartesiano indicando sull’asse delle ascisse la quantità del
primo fattore produttivo e sull’asse delle ordinate il secondo fattore produttivo. Le diverse combinazioni
delle quantità dei fattori sono rappresentate sul piano sotto forma di punti alle coordinate (x,y). Una curva di
isoquanto raggruppa tutte le combinazioni dei fattori che consentono di produrre la stessa quantità di
prodotto. Sul piano le combinazioni dei fattori a parità di prodotto assumono la forma di una curva detta
curva di isoquanto.
La forma degli isoquanti non è casuale. Tutti gli isoquanti hanno infatti le seguenti proprietà:
a) Sono decrescenti: ciò significa che la stessa quantità di prodotto può essere ottenuta riducendo
l’impiego di un input solo a patto di aumentare l’impiego dell’altro.
b) Sono convessi: ciò significa che, per mantenere costante la quantità prodotta, la riduzione
dell’impiego di un input deve essere compensata con dosi via via crescenti dell’altro input.
c) Gli isoquanti non si incontrano: il loro incontro è impedito dall’ipotesi di efficienza tecnica.
d) Gli isoquanti in alto a destra corrispondono a quantità di output maggiori.

23- Il mercato del lavoro e la disoccupazione - Perché esiste la disoccupazione, ovvero ci sono persone che
cercano un posto di lavoro ma non riescono a trovarlo? Parte della popolazione che cerca lavoro ma non
lo trova.
Cominciamo definendo la piena occupazione come la situazione in cui tutti i lavoratori disponibili a lavorare
al salario determinato dal mercato trovano impiego e, allo stesso tempo, tutte le imprese sono in grado di
occupare tutto il lavoro che desiderano. Insomma, c’è piena occupazione quando la domanda e l’offerta di
lavoro sono in equilibrio. Al contrario, questa definizione implica che vi siano sempre dei disoccupati, che
sono tutti coloro che sono disponibili a lavorare solo a un salario maggiore di quello di equilibrio. Questo è il
motivo per cui tale tipo di disoccupazione viene chiamato disoccupazione volontaria.
Un altro tipo di disoccupazione che, nella realtà, si presenta in una situazione di equilibrio è la
disoccupazione frizionale  si tratta di un tipo di disoccupazione fisiologica in ogni sistema economico ed
emerge dal fatto che l’incontro tra imprese che hanno posti disponibili e lavoratori che cercano un posto di
lavoro non è immediato. Infine, abbiamo la disoccupazione involontaria: essa è così importante che spesso
quando si parla di disoccupazione si pensa proprio ad essa. La disoccupazione involontaria coinvolge quei
lavoratori che al salario corrente sarebbero disposti a lavorare ma non trovano un impiego.

24- Quali sono le cause della crisi economica mondiale esplosa nel 2008?
Il protagonista indiscusso della crisi finanziaria del 2008 è stato il mercato immobiliare statunitense e la bolla
finanziaria che si è sviluppata in questo settore.
L’iniziale shock diretto è stato rappresentato da un brusco declino degli investimenti residenziali negli Stati
Uniti a partire dal 2006: dal secondo trimestre del 2006 al quarto del 2007 si è registrata una diminuzione
dell’1.2% negli investimenti relativi al settore immobiliare statunitense ed un ulteriore 1% tra il primo
semestre del 2008 ed il secondo del 2009. Il calo negli investimenti avviene perché, negli anni precedenti la
crisi, vengono accordati ai richiedenti numerosi mutui subprime. Questi sono mutui concessi a clienti “ad
alto rischio”, a debitori che tipicamente hanno un punteggio di credito basso perché possessori di storie
creditizie caratterizzate da inadempimenti, pignoramenti e simili.
25- Come si articola la teoria della mano invisibile di Adam Smith?
La nascita dell’economia politica come la conosciamo oggi, viene fatta risalire all’anno 1776, anno in cui fu
pubblicata l’opera fondamentale di Adam Smith “La ricchezza delle Nazioni”. In tale opera il grande
economista esponeva una teoria assolutamente innovativa: egli infatti sosteneva che, studiando il sistema
economico, si poteva ravvisare in esso l’esistenza di una “mano invisibile” che guida gli individui, in virtù
della quale essi, pur perseguendo semplicemente il proprio interesse personale, finiscono tuttavia per
consentire il raggiungimento di un fine ulteriore, vale a dire l’ottimale funzionamento del sistema
economico, che è poi l’interesse dell’intera società. A parere di Smith, poiché tale meccanismo è di per sé
perfetto, non solo non è necessario l’intervento in esso dello Stato per apportarvi cambiamenti di qualsiasi
genere, ma è addirittura dannoso, poiché va a interrompere e distorcere il funzionamento della “mano
invisibile”. Tale concezione dell’economia, da considerarsi fondamentale, è tuttavia oggi superata, anche
perché, come Smith stesso ammetteva, potrebbe funzionare solo all’interno di un’economia di mercato
caratterizzata dalla CONCORRENZA PERFETTA, sistema economico che è praticamente impossibile
trovare nella realtà.

26- Elasticità della domanda rispetto al prezzo


Il concetto di elasticità della domanda rispetto al prezzo misura il grado in cui la quantità domandata dagli
acquirenti risponde ad una variazione del prezzo del bene. Il grado di elasticità, ossia il suo coefficiente, si
misura dividendo la variazione percentuale della quantità acquistata per la variazione percentuale del prezzo.
A seconda poi di tale coefficiente di variazione possiamo avere curve di domanda elastiche, a elasticità
unitaria o anelastiche, a seconda della variazione del ricavo totale (che, ricordiamo, è dato da prezzo
moltiplicato per quantità). Quando una diminuzione percentuale del prezzo produce un aumento percentuale
della quantità acquistata tanto grande da aumentare effettivamente il ricavo totale, si parla di domanda
elastica. Quando una diminuzione percentuale del prezzo produce un aumento percentuale della quantità tale
da compensare esattamente la diminuzione percentuale del prezzo, lasciando quindi invariato il ricavo totale,
si parla di elasticità unitaria della domanda. Quando una diminuzione percentuale del prezzo produce un
aumento percentuale della quantità talmente piccolo da far diminuire il ricavo totale, siamo in presenza di
una domanda anelastica. Il fatto che la domanda di un determinato bene appartenga all’una o all’altra di
queste categorie dipende dal tipo di bene che stiamo osservando, dato che ovviamente i consumatori
reagiranno diversamente nell’orientare i loro acquisti.

27- Cos’è il monopolio?

Il monopolio è quella forma di mercato caratterizzata dalla presenza di una sola impresa e di barriere
all’entrata che impediscono del tutto l’ingresso di altre imprese. Non sono rilevanti la natura e l’origine di
queste barriere; importa soltanto che esse ci siano e che siano efficaci. Quando la barriera è di natura
tecnologica, ossia quando la dimensione produttiva ottima offre spazio a una sola impresa che operi al livello
corrispondente al minimo del costo medio di lungo periodo, si parla di monopolio naturale. L’obiettivo
dell’impresa che opera in condizioni di monopolio sul mercato dei prodotti è ovviamente la massimizzazione
del profitto. Dato che il prezzo non è indipendente dalla quantità venduta, nel caso del monopolista il ricavo
marginale (RMa) non coincide con il prezzo. Esso è sempre inferiore al prezzo (tranne quando Q = 0) e
diminuisce con inclinazione doppia rispetto a quella della curva di domanda. Si noti che, dal punto di vista
del monopolista, la curva di domanda può essere meglio interpretata come la curva del ricavo medio:

RMe = RT/Q = P*Q/Q = P = D-1 (Q)

Dove con D-1 indichiamo la cosiddetta funzione inversa  questa funzione dice appunto a quale prezzo la
quantità prodotta dal monopolista può essere venduta.

L’equilibrio del monopolista, quale sia la forma delle sue funzioni di costo, è sempre identificato dalla
condizione marginale (RMa = CMa) e dalla condizione media (P ≥ CMe assumendo una situazione di lungo
periodo). La quantità prodotta dal monopolista (Q*) è identificata dall’ascissa del punto di incontro tra ricavo
marginale e costo marginale. Per Q<Q* si ha RMa > CMa e conviene perciò espandere la produzione; per
Q> Q* si ha RMa <CMa e conviene ridurre la produzione.
Al contrario di quanto avviene nel caso della concorrenza perfetta, in condizioni di monopolio la presenza di
un extraprofitto provoca l’ingresso di altre imprese nel mercato. Un sinonimo di extraprofitto è il termine
“quasirendita”. Il “quasi” sta a significare che questa forma di reddito è temporanea, venendo erosa a seguito
dell’ingresso di altre imprese. Nel caso del monopolio l’extraprofitto è permanente. Per esso è perciò più
appropriato il termine “rendita”. La rendita si configura come il risultato del potere di mercato di cui
l’impresa dispone a causa della presenza delle barriere d’ingresso.

Confronto tra monopolio e concorrenza perfetta  a parità di funzioni di costo, il passaggio dalla
concorrenza al monopolio avvantaggia l’impresa e svantaggia gli acquirenti.

Questa forma di mercato condivide con la concorrenza perfetta tutte le caratteristiche tranne una: che il
prodotto non è omogeneo ma differenziato.

28- Cos’è l’oligopolio e perché si presenta?

È quella forma di mercato che è caratterizzata dalla presenza di poche imprese di dimensioni intermedie, che
producono un bene che può essere sia omogeneo (oligopolio puro), sia differenziato (oligopolio
differenziato) in un mercato dove la possibilità di ingresso di nuove imprese è ostacolata, ma non impedita
del tutto, dalla presenza di barriere all’entrata (elemento che ostacola la concorrenza in un mercato). Si dice
che le imprese sono poche e (almeno alcune) di dimensioni abbastanza grandi quando il comportamento di
una singola impresa dell’industria influenza il profitto delle altre. Per esempio, se un’impresa decide di
aumentare (o diminuire) la propria produzione, questa decisione modifica in modo significativo l’offerta
complessiva e perciò fa diminuire (aumentare) il prezzo di mercato. Un mercato tende ad essere
oligopolistico quando la domanda complessiva lascia spazio a un numero limitato di impianti che operano su
questa scala. L’oligopolio, a differenza di quanto avviene in tutte le altre principali forme di mercato, è
caratterizzato da un’interdipendenza strategica. Infatti, in questo tipo di mercato, quello che un’impresa
decide di fare ha un effetto sulle altre; quindi, ogni impresa nel valutare le proprie scelte deve in qualche
modo prevedere le scelte che faranno le altre imprese. Esempio interdipendenza strategica  consideriamo
un settore industriale composto solo da tre imprese (etichettate con i numeri 1, 2 e 3) che producono un bene
omogeneo (oligopolio puro). Ogni impresa produce una certa quantità di bene, la quantità totale di prodotto
offerta sul mercato sarà quindi pari alla somma delle quantità portate sul mercato dalle tre imprese: Q = Q 1 +
Q2 + Q3.

L’interdipendenza strategica caratteristica dei mercati oligopolistici fa sì che lo studio del loro
funzionamento faccia grande ricorso ai metodi della teoria dei giochi, che è appunto il metodo di studio delle
interazioni strategiche.

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