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RILEVANTI PROSPETTIVE STORICHE Sulla Questone Meridionale

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R0ILEVANTI PROSPETTIVE STORICHE

La primissima osservazione del contesto socioculturale del meridione venne effettuata


dall’inchiesta parlamentare Massari.
L’importanza dell’inchiesta Massari consiste nel fatto che presenta per la prima volta
un’analisi del contesto sociale che si disacca dalle considerazioni deterministiche che
attribuivano le complessità del Sud Italia ai suoi limiti demografici e geografici scaturendo
spesso in tesi razziste
Sin dalle primissime righe della inchiesta, che cercava di esaminare le possibili cause del
brigantaggio, si individua la presenza di quelle che Giuseppe Massari definisce cause
predisponenti.
Viene subito messa in risalto l’infelice condizione economica del contadino:
“Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua
condizione è quella del vero nullatenente, e quand'anche la mercede del
suo lavoro non fosse tenue, il suo stato economico non ne
sperimenterebbe miglioramento”
La condizione nei campi è disastrosa:.
Nella relazione viene anche osservata la presenza di soggetti predisposti di per sé al
brigantaggio anche quando il rapporto tra contadino e proprietario è più giusto, ma
secondo Massari la presenza di questi non è sufficiente ad alimentare il fenomeno
criminale: vi è infatti una eredità addirittura feudale. Sono “le reliquie d'ingiustizie
secolari che aspettano ancora ad essere annientate.” che continuano a
manifestarsi verso un popolo di contadini manchevoli di istruzione ed educazione.
La figura dell’antico aristocratico barone è stata sostituita perciò dal nuovo proprietario
terriero senza alcuno sviluppo per i presupposti sociali, economici e culturali per la maggior
parte della popolazione del Meridione.
Concetto che sarà poi articolato in maniera più ampia e articolata dal meridionalista Guido
Dorso: nel libro del 1925 “La Rivoluzione Meridionale”: nella sua analisi Dorso esamina le
cause del sottosviluppo economico del sud e identifica molte cause, (la mancanza di
investimenti in infrastrutture, la cattiva gestione dei fondi pubblici, l'instabilità politica e la
corruzione) che non hanno permesso un cambiamento sostanziale dal modello feudale dei
metodi produttivi e organizzativi del territorio
Dorso, sottolinea in particolare il mancato ruolo delle oppresse masse contadine,
sostenendo la necessità di una rivoluzione liberale tramite un rinnovato impegno nella
costruzione di nuove infrastrutture e in una riforma delle istituzioni
In seguito alla relazione Massari, seppur venissero consigliate manovre urgenti sul contesto
sociale ed economico, venne adottato un provvedimento estremamente repressivo: La
legge Pica, della quale seguono alcuni estratti
 ART. 2 I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano
oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti colla
fucilazione, o coi lavori forzati a vita concorrendovi circostanze
attenuanti. A coloro che non oppongono resistenza, non che ai
ricettatori e somministratori di viveri, notizie ed aiuti di ogni
maniera, sarà applicata la pena dei lavori forzati a vita

 ART. 9 In aumento del Capitolo 95 del bilancio approvato pel 1863,


è aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per
sopperire alle spese di repressione del brigantaggio
Lo storico Franco Molfese ha espresso nel 1983 un giudizio analitico molto critico nei
confronti di questo provvedimento; egli ritiene che la Destra abbia di fatto instituito una
dittatura militare nei territori del Meridione che, se da un lato permise di fermare il
brigantaggio e limitare gli avversi movimenti democratici ancora presenti sul territorio,
dall’altro distrusse le speranze della popolazione meridionale, vittima di periodici eccidi e
adoperò delle metodologie antidemocratiche.
Il testo che però è usualmente considerato come l’inauguratore della cosiddetta Letteratura
Meridionalista è: “Le lettere meridionali” di Pasquale Villari, pubblicate nel 1875.
L’analisi di Villari è incredibilmente lucida. Concentrandosi sul ruolo della Mafia, cancro
criminale per lo sviluppo del Meridione sin (se non da prima) dall’Unità d’Italia l’autore
ricava uno scenario preciso e reale sulle relazioni e sulle modalità in cui la Mafia abbia
formato un “Governo più forte del Governo”
Innanzitutto, vengono individuate e distinte tre classi sociali:
 Possessori di latifondi o ex feudi: costoro abitano perlopiù a Palermo, appartengono
ai rimasugli della nobiltà che si è adattata al cambio di Regime (non molto differenti
dalla famiglia fittizia dei Salina immaginata da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel su
o Gattopardo) o alla borghesia arricchita, tengono per sé i territori migliori e
subaffittano i restanti ai contadini ponendo prezzi spesso inaccessibili, che
costringono i contadini a indebitarsi con gli usurai.
Villari ritiene che essi diventino le prime vittime dell’attività mafiosa qualora non ne
siano collaboratori.

Un noto esempio di ciò lo costituisce la vicenda dell’omicidio Notarbartolo (1893).


Ritenuto la prima vittima illustre di Mafia, la sua morte evidenzia come
l’atteggiamento oppositivo di un singolo appartenente all’élite sia stato fortemente
contrastato dal resto degli esponenti dell’alta borghesia palermitana. Non è un caso
che Raffaele Palizzolo, deputato siciliano sostenitore di Francesco Crispi nonché
mandante dell’omicidio, fosse stato sostenuto da una massiccia campagna mediatica
finanziata dalla famiglia Florio.

 Contadini agiati: abitano nei dintorni dei centri abitati, si tratta di una classe sociale
che vive in medie condizioni di agiatezza. Tra questi si possono trovare sia negozianti
di grano che le guardie campestri, descritte da Villari come:
“tiranni…gente pronta alle armi ed ai delitti…quei contadini più
audaci, che hanno qualche vendetta da fare, o sperano trovar coi
delitti maggiore agiatezza”.
Tra i negozianti vengono individuati molti dei “Capitani” della mafia, mentre tra le
guardie campestri, già di per sé legittimate all’ uso della violenza, la mafia recluta i
propri “soldati”, gli uomini più spietati, esecutori materiali del volere mafioso

 Contadini più poveri o proletari: abitano nell’entroterra dove vivono in condizioni


disastrate. In un’isola nella quale la coltura dei cereali si estende su oltre il 77% della
superficie loro sono “l’esercito di infelici” incaricato o, meglio, obbligato a
produrre il grosso della forza lavoro necessaria nei campi. Sono schiacciati dai debiti
determinati dagli ìmpari contratti con i proprietari che li costringono a indebitarsi
ulteriormente con gli usurai, finché stremati si daranno al brigantaggio

Questa categorizzazione sociale fatta da Villari è fondamento per la sua visione del
fenomeno mafioso:
“Così la potenza della mafia è costituita. Essa forma come un
muro tra il contadino ed il proprietario, e li tiene sempre divisi,
perché il giorno in cui venissero in diretta relazione fra loro, la sua
potenza sarebbe distrutta.”
Per Villari la mafia è quindi un’organizzazione criminale che prosegue le istanze e i
meccanismi presenti nella società feudale, campando sulla miseria dei contadini e sul
timore che genera quanto in questi quanto nelle classi più rinomate.
“Chi è d'accordo colla mafia è sicuro; chi la comanda è padrone di una
forza grandissima.”
Perciò se la mafia aveva svolto un ruolo chiave nel mantenimento dell’ordine pubblico per i
Borboni, analogamente la rivoluzione guidata dai Mille e dal governo Sabaudo ha dovuto
stringere rapporti di stampo mafioso per ribaltare l’ordine vigente
Il potere mafioso esercitato nei campi è riuscito quindi ad espandersi dalla campagna ai
centri urbani passando per i ruoli amministrativi delle prime elezioni politiche dei Comuni.
Giustino Fortunato nel 1879 sottolineava come la malagestione delle terre demaniali,
dipesa dalle pessime legislazioni del 1862,1866 e 1867 che fece dividere in terreni in piccoli
lotti, consegnò il potere economico e politico nelle mani di un’arretrata e spesso legata ad
ambienti mafiosi, grande borghesia terriera latifondista
Sulla questione meridionale, dove per i temi di Mafia e brigantaggio la storiografia ha
elaborato delle tesi tendenzialmente armoniche tra di loro, come si è potuto osservare fino
a questo punto, è invece ampiamente discusso il ruolo che ha avuto lo stato italiano nella
formazione del divario tra il Settentrione e il Meridione
Lo storico Pescoliddo rileva a tal proposito 3 principali interpretazioni storiche
1)TESI ULTRAMERIDIONALISTA: Il divario economico tra le due zone è successivo all’Unità
d’Italia, i Savoia avrebbero quindi limitato le capacità di sviluppo del Meridione imponendo
un tipo di sfruttamento coloniale e mettendo in pratica politiche che avvantaggiassero
principalmente il Nord
2)TESI DEL “SACRIFICIO MERIDIONALE”: Il divario economico tra Nord e Sud è preesistente
all’Unità di Italia, in quanto il Meridione era già arretrato a causa della mediocrità del
proprio sistema industriale. Lo Stato italiano ha quindi fatto gravare sull’economia
meridionale molti dei costi che furono necessari per permettere in primo luogo una
industrializzazione e una modernizzazione, che si sarebbe verificata al Nord. Da ciò ne
sarebbe giovato uno sviluppo che, in una fase successiva, avrebbe consentito al Sud di
colmare la distanza economica.
Si può considerare sostenitore di questa linea di pensiero il maestro di Pescoliddo, Rosario
Romeo, il quale riteneva le manovre di liberalizzazione effettuate dalla Destra Storica come
adeguate al contesto storico, capaci di indirizzare il paese al progresso e limitatore
unicamente di quegli aspetti che avrebbero finito per limitare lo svilupparsi della nazione.
3)TESI DELLO SVILUPPO AUTONOMO DEL NORD: Il divario economico tra Italia
Settentrionale e Meridionale non era consistente, ma la mancanza di complementarità dei
due mercati ha permesso uno sviluppo maggiore all’apparato produttivo del Nord Italia
aldilà delle azioni esercitate dallo Stato Italiano, e aldilà delle vicende socioeconomiche del
Sud

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