Riflessi e ombre nel Mar Bianco
Scambi e interazioni tra Europa, Impero ottomano e Turchia
a cura di Matthias Kappler
V
enezia e i turchi dopo la caduta
Motivi ottomani nella storiografia
locale ottocentesca (1840-1913)
Marie Bossaert
Università di Napoli Federico II, Italia
Abstract This paper explores the intertwining of local history and Turkology in the
Italian context, particularly focusing on the city of Venice. Over the course of the late
nineteenth and early twentieth centuries, a considerable body of literature emerges,
examining the Venetian‑Ottoman relations within the broader context of Italian unifi‑
cation and the challenges faced by the former Republic. The research systematically
reconstructs this erudite production, shedding light on the conflict‑centric literature and
subtler currents that examine diplomatic conditions and Ottoman customs or Ottoman
presence in Venice. The paper also examines the nineteenth‑century debate surrounding
Venice’s role in the 1480 Ottoman invasion of Otranto, in order to uncover the intricate
relationship between local history and Orientalism. It discusses the contributions of Ital‑
ian Turkologists, including Bonelli, Rossi, and Bombaci, and their connection to Venice,
highlighting the significance of the Ottoman archival materials stored in the city. This
highlights the distinctiveness of Italian Turkology as a domestic knowledge.
Keywords Venice and the Ottoman empire. Luigi Bonelli. Turkish studies. Orientalism.
Local history. Otranto. Archives.
Nel dicembre del 1893, Luigi Bonelli (1865‑1947), assunto di recente
all’Istituto Orientale di Napoli in quanto incaricato di lingua turca,1
scrive al suo maestro Emilio Teza (1831‑1912), a Venezia:
1 Bonelli, Stato di servizio 1915. Nato a Brescia, Luigi Bonelli studia a Milano, all’Ac‑
cademia scientifico‑letteraria, e si forma alle lingue orientali a Firenze, Roma e Co‑
stantinopoli prima di raggiungere Napoli. È considerato uno dei ‘padri fondatori’ della
turcologia in Italia. Il suo archivio personale è conservato presso la Biblioteca dell’An‑
tonianum, a Roma. Sulla sua traiettoria, ricostituita a partire da questo materiale, si
veda Bossaert 2016, 301‑50.
Eurasiatica 21
e-ISSN 2610-9433 | ISSN 2610-8879
Edizioni ISBN [ebook] 978-88-6969-794-4
Ca’Foscari
Peer review | Open access 117
Submitted 2023-09-08 | Accepted 2023-10-10 | Published 2024-02-09
© 2024 Bossaert |
DOI 10.30687//008
Marie Bossaert
Venezia e i turchi dopo la caduta
Illustrissimo signor Professore
Napoli. 14/ Dic. 93
Mi perdoni se troppo di pregnante oso importunarla con miei scrit‑
ti: i suoi consigli sono per me troppo preziosi perché io non cerchi
di ottenerli in ogni modo, anche a costo di passare per indiscreto.
Leggendo in questi giorni nella storia turca di Saad‑eddin la rela‑
zione della presa di Otranto (del 1480) per parte degli Ottomani e
la storia di Gem fratello di Bajezid pensava fra me che forse una
versione di quei due brani di storia non sarebbe affatto priva d’in‑
teresse, nonostante che di quei fatti abbiano già parlato lo Ham‑
mer e il Caussin. Crederei anzi che sarebbe opportuno riunire tut‑
to quanto si può trovare qua e là negli storici e cronicisti turchi,
che riguardi la storia italiana: a questo scopo sto facendo ricerche
in Oriente. – Però sarei desiderosissimo di conoscere, avanti di in‑
traprendere tali studi, quelle poche pubblicazioni che si sono fat‑
te, intorno agli storici turchi più importanti, in Europa e specie in
Italia: del numero di queste è la versione italiana fatta da Brattu‑
ti degli Annali di Saad‑eddin della quale il IIº Vol. a quanto dice il
Graesse (Trésor des Livres rares) è ritenuto da alcuni ancora ine‑
dito in causa delle copie rarissime che di esse si trovano: nonché
il secondo, nemmeno il primo mi è stato possibile di trovare fino‑
ra. Potrebbe Ella darmi qualche notizia in proposito?2
L’intento non si concretizza – Bonelli viene mandato a Malta per un
lavoro commissionato dal governo italiano sui dialetti dell’isola;3 do‑
po di ché scrive principalmente di linguistica facendo occasional‑
mente da passeur della letteratura ottomana ‘moderna’ (o ‘contempo‑
ranea’) in Italia (Bonelli 1903).4 Ma questa lettera, conservata nelle
carte di Teza alla Biblioteca Marciana, rivela nel giovane professore
un interesse per la storia del proprio Paese, una «vocazione di stori‑
co» (Petrelli 2011, 1) che non verrà mai smentita e sarà condivisa dai
suoi successori. In effetti, è una caratteristica propria della turcolo‑
gia italiana, così come si sviluppa dalla fine dell’Ottocento in poi, di
dedicare tutta una parte della sua riflessione allo studio dei rappor‑
ti italo‑turchi – veneto‑turchi in particolare –, analizzandoli a parti‑
re dalla documentazione in lingua turca. Ettore Rossi (1894‑1955),
nel 1938, sottolinea infatti l’«importanza delle fonti turche per la sto‑
ria di Venezia» (1938) e Alessio Bombaci (1914‑79), dopo di lui, dedi‑
ca diversi lavori alla questione turco‑veneta (1954).
E viceversa: i turchi non sono oggetto di studio dei soli turcologi.
Gli storici locali che nel corso dell’Ottocento si peritano di (ri)scrive‑
2 Bonelli, Lettera nr. 12 a Emilio Teza 1893.
3 Il fondo dell’Antonianum conserva numerosi materiali relativi a questa missione.
4 Per la bibliografia completa di Bonelli si rimanda a Bombaci 1947.
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re la storia di Venezia per capirne la precipitosa fine prima, e pensa‑
re poi la sua condizione di città periferica nel nuovo Stato unitario,
«sulle macerie di un passato che la meschinità del presente fa gran‑
deggiare nel mito» (Isnenghi 1986, 400), si interessano anch’essi ai
rapporti tra la Signoria e l’Impero ottomano, ai quali dedicano per de‑
cenni studi di varia forma e ampiezza. L’attenzione rivolta a eventi di
maggiore importanza come la battaglia di Lepanto e alla sua costru‑
zione come luogo della memoria veneziana (Stouraiti 2004) ha oscu‑
rato questa produzione erudita, la cui densità si spiega con l’inten‑
sità e l’intimità dei rapporti veneto‑ottomani nel corso della storia.
L’oggetto di questo saggio, nell’offrire un’analisi sistematica di que‑
sta letteratura, è di studiare l’intreccio fra storia locale e turcologia,
sulle orme di Giampiero Bellingeri, che da sempre osserva sguardi
turco‑ottomani su Venezia e i veneziani, scorci veneziani su contra‑
de turche, voci e rifrazioni da entrambi i mondi.5
A partire da metà Ottocento si sviluppa un’importante produzio‑
ne relativa ai rapporti veneto‑ottomani nella storiografia locale ve‑
neziana. Non che nessuno abbia mai scritto di turchi prima: nei seco‑
li precedenti si è regolarmente pubblicato, o letto, o dipinto di «cose
turchesche» a Venezia (Preto [1975] 2013). Ma questa pubblicistica
prende una piega nuova nel contesto risorgimentale e post‑unitario,
mentre si espande una storiografia locale destinata ad articolare la
storia degli antichi Stati italiani con la storia nazionale in costru‑
zione, e nel caso di Venezia, a pensare, e superare, il trauma della
scomparsa della Repubblica. L’interesse per i turchi, del resto, non è
circoscritto a Venezia, e testi riguardanti i rapporti italo‑turchi ven‑
gono alla luce in tutta Italia (Bossaert 2016, 403‑55), ma il fenomeno
è particolarmente notevole per la città, la cui storia non si può capi‑
re senza considerare gli stretti legami che ha sempre intrattenuto
con il vicino ottomano.
Le vaste ‘storie di Venezia’ ne parlano, a cominciare dalla Storia
documentata di Samuele Romanin, e tra il 1840 e il 1913, una sessan‑
tina di testi vengono pubblicati sul tema a Venezia (almeno settanta
in tutta Italia); se aggiungiamo le ricerche riguardanti il Friuli, il to‑
tale sale a più di settanta.6 Sono testi di dimensioni varie, da qualche
pagina pubblicata in opuscoli di circostanza fino a studi di centinaia
di pagine, dati alle stampe dalla «folta consorteria degli eruditi e dei
ricercatori locali» che «disegnano nella seconda metà del secolo la
5 Per parafrasare i titoli di alcuni suoi saggi sul tema (Bellingeri 2008; 2017). Dato
il numero di studi dedicati alla questione, è impossibile elencarli tutti in questa sede.
6 Il conteggio è stato effettuato a partire da una ricerca con parole chiave sul cata‑
logo OPAC SBN (‘turco’ e derivati, ‘ottomano’ e derivati, ‘Lepanto’, ‘Otranto’) e dello
spoglio integrale del periodico Nuovo Archivio Veneto per gli anni 1891‑1913. Quest’ul‑
tima data corrisponde all’indomani della guerra italo‑ottomana in Tripolitania, che dà
luogo a numerose pubblicazioni in chiave propagandistica.
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fitta, appassionata, talvolta patetica trama della memoria, fra aned‑
dotica erudita, e più o meno pittoresca o sistematica» (Isnenghi 1986,
399), tra cui figurano i principali rappresentanti della storiografia ve‑
neziana come Samuele Romanin, Federico Berchet, Agostino Sagre‑
do o Camillo Manfroni. Una parte di questi studi vengono pubblicati
sulle riviste di storia patria, come l’Ateneo Veneto o l’Archivio Vene‑
to (poi Nuovo Archivio Veneto), il periodico della Deputazione vene‑
ta di storia patria, che giocano un ruolo di primo piano nella riscrit‑
tura del passato veneziano. Tra il 1898 e il 1913, il Nuovo Archivio
Veneto pubblica ad esempio quasi ogni anno testi relativi ai rappor‑
ti tra Venezia e i turchi, ovvero quindici ‘memorie’ suddivise in venti
testi, oltre a una decina di recensioni di libri sul tema, alcune di lun‑
ghezza e spessore tali da poter essere considerate alla pari di saggi.7
Tuttavia, se la maggior parte dei testi viene pubblicata a Venezia,
la questione interessa ben al di là della laguna. Alcuni saggi vengono
pubblicati a Udine, Padova, Roma, Firenze, Messina, in Puglia, anche
all’estero. È stato notato che la ricerca sulla storia della Repubblica
si caratterizza all’epoca per il suo carattere fortemente internazio‑
nale – Mario Isnenghi parla della «legione internazionale degli sto‑
rici della Serenissima» (1986, 399). Ma è anche la natura stessa dei
temi trattati, che guardano spesso e volentieri ai rapporti diploma‑
tici tra i vari Stati italiani (e non) e a leghe di ogni genere, a spiega‑
re la diffusione nella Penisola di questa tematica e la nazionalizza‑
zione di alcuni dibattiti, in particolare a partire dalla fine del secolo.
Questa nazionalizzazione è anche consentita dalle forme e dai vetto‑
ri stessi del dibattito. Le riviste di storia patria, che mirano a docu‑
mentare la storia locale unificando il dibattito storiografico e perciò
circolano su tutto il territorio nazionale, giocano un ruolo di primo
piano a riguardo (Bistarelli 2012).
Una buona parte di questi scritti consiste nell’edizione di fonti, ti‑
pica del culto ottocentesco per il documento. L’esempio più celebre è
sicuramente quello delle relazioni dei baili veneziani tornati da Co‑
stantinopoli, pubblicate in un primo tempo a Firenze da Eugenio Al‑
beri, dove lo studioso, padovano di nascita, si era stabilito dopo il ma‑
trimonio (Alberi 1840‑63), e poi a Venezia, da due figure maggiori
della storiografia locale del tempo, Niccolò Barozzi e Guglielmo Ber‑
chet (Barozzi, Berchet 1871). Si tratta in totale di cinque ampi volu‑
mi, che affiancano all’edizione delle relazioni un corredo (cronologia
dell’Impero ottomano, vocabolario, notizie sui sultani ecc.) destinato
a offrire chiavi di analisi ai lettori. Il lavoro, giustificato dall’attuali‑
tà ottomana, si inserisce anche qui in un contesto più ampio, che ve‑
de l’edizione di tutte le relazioni degli ambasciatori veneti all’estero.
Non tutte le pubblicazioni presentano però il carattere sistemati‑
7 Gli unici anni non coperti del tutto sono il 1902 e il 1907.
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co di queste raccolte, reso possibile dal regime di scrittura e di con‑
servazione della burocrazia veneziana. La maggior parte degli altri
lavori riguarda documenti di natura più variegata. Troviamo quindi,
pêle‑mêle, un «progetto del Cardinale Alberoni per ridurre l’impero
turchesco alla obbedienza dei principi cristiani e per dividere tra di
essi la conquista del medesimo» (Per le auspicatissime nozze 1866),
una «relazione ufficiale della cacciata dei Turchi dal bastione Marti‑
nengo» (Relazione 1896) o la «lettera di un nobile veneto nella qua‑
le narra l’accanita difesa e l’eroica morte di Tommaso Morosini colla
sola sua nave assalito da 40 navi turche nelle acque di Negroponte e
Zea il 1 febbraio 1647» (Lettera di un nobile veneto 1897).
Questa letteratura è, nella sua stragrande maggioranza, una let‑
teratura del conflitto. Le guerre – battaglia di Gallipoli del 1416, lot‑
ta per Salonicco negli anni Venti del XV secolo, caduta/conquista di
Costantinopoli, guerra e invasioni di fine Quattrocento, guerra di Ci‑
pro, guerra di Candia, guerra di Morea, guerra del 1714‑18, fra le al‑
tre – e le battaglie sono onnipresenti. La battaglia di Lepanto occupa
un posto di rilievo, ma, si vede, è lungi dall’essere l’unica battaglia
oggetto di interesse. Gli ottomani sono qui descritti come il «pericolo
turco» (Piva 1903‑04, 62), a volte «grande pericolo turco» (65), e so‑
no di «mala fede» (Cogo 1899, 18); il Sultano è «avido di conquiste»
e d’«animo violento» (17‑18), «insaziabile nella sua ambizione» (Ro‑
manin 1855, 394); «la Corte turca, barbara e per tradizione nemica
di Venezia» (Tormene 1903, 372). Da questo punto di vista, gli autori
veneziani possono contare su tutto un arsenale preesistente di tro‑
pi e immagini sviluppato all’indomani degli eventi stessi, di cui Pao‑
lo Preto ha dato un’analisi approfondita ([1975] 2013).
Accanto a questa produzione, avida di gloria e di eroi, si fa strada
un’altra corrente, più tenue, attenta alle condizioni e alle vicissitudini
della diplomazia veneto‑ottomana, e all’osservazione dei costumi otto‑
mani. La pubblicazione delle relazioni dei baili, nel rendere disponibi‑
le un materiale straordinario, rappresenta da questo punto di vista una
tappa importante. L’esercizio, codificato, prevedeva in effetti, accanto
all’analisi della situazione politica dell’Impero ottomano, una descrizio‑
ne dei costumi locali che consentiva all’autore di dimostrare nello stesso
tempo la sua padronanza del mondo ottomano e la sua distanza, prova
della sua lealtà verso la Serenissima (Rothman 2022). All’inizio del seco‑
lo, alcuni studi cominciano quindi a interessarsi di baili e dragomanni,
e di viaggiatori. Il bailaggio di Girolamo Lippomano – una storia di spie
finita male (Tormene 1903) –, o il viaggio del conte Marsili da Venezia
a Costantinopoli (Frati 1904) sono alcuni degli esempi di questo filone.
In precedenza, altri studi si erano concentrati sulle tracce lasciate
in passato dalla presenza ottomana a Venezia. Il Fondaco dei Turchi
ne è l’esempio paradigmatico. L’edificio, che ospitava mercanti otto‑
mani nei secoli XVII e XVIII, viene ricomprato dal municipio nel 1831
e scelto nel 1859 per ospitare il Museo civico di Venezia, in modo da
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decongestionare il Museo Correr, allora ricolmo (Zucconi 2014; Pilutti
Namer 2016). La storia del palazzo e i restauri a cui viene sottoposto
(l’edificio è una rovina) danno luogo negli anni seguenti a un’inten‑
sa produzione (Sagredo, Berchet 1860; Sagredo 1869; Tassini 1873;
Scrittura 1874; Berchet 1887), a cui prendono parte figure di spicco
della vita culturale veneziana. La scelta di questo palazzo non deve
stupire: va collocata nel tentativo più ampio delle élite politico‑cul‑
turali veneziane di rilanciare la città negli anni Sessanta, riattivan‑
do i legami commerciali e culturali con il Levante che avevano fatto
il successo della Repubblica in passato, mentre si aprono nuove pro‑
spettive con la costruzione del canale di Suez – una ‘politica orien‑
tale’ che si traduce, anche, nella creazione di una cattedra di lin‑
gue orientali dove il turco occupa un posto centrale (Bossaert 2016,
84‑93).8 L’edificio, il cui nome non riflette l’intera storia – costruito
nel XIII secolo, viene utilizzato dagli ottomani durante due secoli sol‑
tanto; i suoi motivi architettonici orientalizzanti non sono di matrice
turca –, viene quindi ri‑ottomanizzato per la causa (Zucconi 2014).
Questa interpretazione inclusiva della storia dei rapporti turco‑ve‑
neti e la loro incorporazione alla memoria locale si affievoliscono nei
decenni successivi per lasciare spazio a fine secolo a una comprensio‑
ne più bellicista di tali rapporti, che coincide all’inizio del Novecen‑
to con l’ascesa del nazionalismo veneziano. Lepanto (Stouraiti 2004)
e Otranto ne sono la migliore illustrazione.
L’invasione e il sacco di Otranto, in Puglia, dove gli ottomani sbar‑
cano nell’estate del 1480 e che occupano fino all’anno seguente, dà
luogo nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento a un vasto di‑
battito, incentrato sulle responsabilità di Venezia nell’accaduto.9 La
questione è di sapere se la Serenissima abbia favorito l’arrivo dei tur‑
chi, aiutandoli attivamente o lasciando fare, e se ha quindi tradito i
suoi alleati, in particolare spagnoli. La discussione, già avviata all’in‑
domani degli eventi, viene ripresa in età risorgimentale, e presenta
una dimensione sia locale che internazionale – e progressivamente,
anche nazionale. Ai detrattori di Venezia si oppongono i suoi soste‑
nitori, essenzialmente storici locali, «nell’alternativa stretta tra in‑
criminazione o difesa dell’operato di Venezia» dovuta all’«approccio
moralistico» (Orlando 2008, 180) che domina il dibattito all’epoca.
Il primo a difendere l’onore di Venezia è Samuele Romanin, che
scrive nel volume 4 della sua Storia documentata:
8 La creazione dei primi corsi di turco viene solitamente attribuita alla Scuola supe‑
riore di commercio di Venezia, antenata di Ca’ Foscari. La cattedra viene in realtà fon‑
data dal Municipio di Venezia e co‑finanziata dalla congregazione dei mechitaristi, e poi
trasferita alla Scuola di commercio, che ospita corsi di turco fino al 1877 e tra il 1909
e il 1912. Per uno studio pionieristico dei corsi di turco a Venezia nell’Ottocento‑primo
Novecento si veda Bellingeri 1991.
9 Per una sintesi sul dibattito storiografico, si veda Orlando 2008.
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parecchi storici [Romanin si riferisce soprattutto all’orientalista
austriaco von Hammer‑Purgstall] tacciarono i Veneziani d’essere
stati eccitatori di questa mossa [la presa di Otranto] per vendicar‑
si di Ferdinando; ma [aggiunge] le [...] notizie tratte dai libri secre‑
ti del Senato smentiscono quell’accusa. (1855, 394)
Conclude sulla necessità, per Venezia, «di venire col Turco alla pa‑
ce, [...] essendo confinante per sì lungo tratto di terra con esso Tur‑
co, mentre gli altri se ne stanno al sicuro» (396). All’inizio del Nove‑
cento, il dibattito si sposta sulle pagine delle riviste italiane di storia
patria. A Venezia, è il Nuovo Archivio Veneto ad accogliere i discus‑
sioni, con articoli di Edoardo Piva e Felice Fossati, il primo a difesa
di Venezia, il secondo più circospetto (Piva 1903‑04; Fossati 1906).
Quest’ultimo ricorda che
Venezia appa[riva] in generale come un incubo per la lega napole‑
tana: considerata nemica, avida di conquiste, insidiatrice costan‑
te della pace per la brama di pescar nel torbido, [...] ogni dissidio
l’avrebbe trovata pronta a mettere sossopra la penisola, come un
uccello di rapina che apposti la ghiotta preda. (Fossati 1906, 19)
Ed è tra queste righe che si delinea il principale enjeu della naziona‑
lizzazione del dibattito su Otranto all’inizio del secolo, al di là della
pura questione storiografica: sapere se la storia di Venezia nella Pe‑
nisola e nei suoi rapporti con gli antichi Stati italiani è stata nei se‑
coli precedenti una storia di solidarietà contro il nemico comune, o
di diffidenza e tradimenti reciproci, in un contesto ancora fortemen‑
te segnato dalla riflessione sulla dominazione straniera in Italia.10
Otranto, e l’atteggiamento di Venezia nei fatti di Otranto, è an‑
che materia per i turcologi. Questi ultimi ne propongo interpreta‑
zioni nuove a partire dalla letteratura croisée di fonti europee e fon‑
ti ottomane. Abbiamo detto del progetto mancato di Luigi Bonelli
agli albori della sua carriera. Il dossier viene ripreso da Ettore Ros‑
si quarant’anni dopo, e finalmente da Alessio Bombaci nei primi an‑
ni Cinquanta. Entrambi i testi vengono elaborati in contesti di sto‑
ria locale, che tornano sugli eventi del 1480 – Japigia, dove pubblica
Rossi, è una rivista pugliese di storia e archeologia; il testo di Bom‑
baci viene presentato al Secondo congresso di storia pugliese, orga‑
nizzato dalla Società di storia patria locale nel 1953.
Rossi, in un testo poco tenero per la Signoria, cerca di ricostitui‑
re il punto di vista degli ottomani per «constatare come i Turchi giu‑
dicarono e sentirono l’avvenimento» (1931, 188). Lo fa a partire da
10 Sul tentativo di fare di Otranto un luogo della memoria nazionale tra il 1880 e la
Grande Guerra, si veda Bossaert 2016, 431‑9.
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fonti in turco‑ottomano – fra cui la Tâcü’t‑tevârîh (Corona delle sto‑
rie) di Sâdeddin che aveva ispirato Bonelli, di cui traduce il «raccon‑
to dell’occupazione del paese di Puglia» –, che egli elenca dopo aver
«riassunto le notizie delle fonti italiane sull’avvenimento» (187). Il te‑
sto conclude con brividi al rischio corso allora dall’«Europa cristia‑
na», ribadendo, in linea con le posizioni nazionaliste e colonialiste
di Rossi (Bossaert in corso di stampa), la necessità di un’Italia forte,
compatta e conquistatrice, perché «l’Italia è sempre stata esposta a
correnti d’invasione tanto a nord e nord‑ovest che a est e a sud, e la
sicurezza non le fu garantita se non quando fu unita, s’affermò poten‑
temente sui baluardi e sui valichi alpini e pose salde basi sulla pro‑
spiciente costa adriatica e sulle spiagge africane» (Rossi 1931, 191).
Alessio Bombaci, invece, cerca di stabilire definitivamente la na‑
tura della responsabilità di Venezia nell’accaduto. Perciò ripercorre
tutta la storiografia italiana e occidentale, partendo dai testi prodotti
all’indomani degli eventi, che mette a riguardo di fonti ottomane – in
particolare lettere in greco scambiate fra il sultano e il doge. Laddo‑
ve Ettore Rossi si basava principalmente su delle cronache, Bombaci
attinge a documenti trovati presso l’Archivio di Stato di Venezia, nel
fondo dei ‘documenti turchi’ che ha avuto il compito di catalogare anni
prima – la missione gli viene affidata nel febbraio 194011 – e a cui, come
scrive altrove, «ben poco [...] hanno fatto [...] ricorso gli studiosi di sto‑
ria veneta, certo per l’inaccessibilità della lingua. Non ne fuggì invece
l’importanza degli orientalisti» (1943). Ne conclude, in bilico, che se
può ritenersi sicuro che Venezia non invitò mai esplicitamente i
Turchi a un’impresa in Italia [...] è tuttavia sicuro [...] che Venezia
spronò il malvolere turco contro l’Aragonese [...] tutta la condotta
politica veneziana in occasione dell’impresa ottomana appare chia‑
ramente ispirata al concetto di porre di fronte i due imperialismi
che la minacciavano o le si opponevano, facendo sì che si logorasse‑
ro e neutralizzassero reciprocamente, ma evitando che l’uno preva‑
lesse in maniera decisiva ai danni dell’altro. (Bombaci 1954, 193‑5)
Nessuno dei tre turcologi ha mai lavorato, né studiato, a Venezia. I
corsi di turco offerti in città durante gli anni dell’annessione al nuo‑
vo regno e più in là, all’indomani della rivoluzione dei Giovani tur‑
chi, non durano abbastanza per consentire di formare nuovi specia‑
listi, né per reclutare insegnanti. Napoli, dove insegnano Bonelli e
Bombaci, e a partire degli anni Venti, Roma con Ettore Rossi, sono i
11 Giustini, Copia di una lettera del Ministro della Educazione al R. Commissario del
R. Istituto Orientale di Napoli, Roma, 6 febbraio 1940. La lettera è conservata nel Fon‑
do Bombaci dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, non ancora oggetto di ca‑
talogazione e contenente un fascicolo «Archivio Venezia».
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centri in cui si radica una tradizione turcologica. Ma il loro interesse
comune per Venezia e il posto centrale che essa occupa nel loro lavo‑
ro sulla storia dei rapporti italo‑turchi, si spiega con l’intensità e lo
spessore dei rapporti intrattenuti da Venezia con gli ottomani attra‑
verso i secoli. Questo interesse, però, presenta anche una dimensio‑
ne documentale – o, per dirla con l’archivista Carlo Malagola, «l’ar‑
chivio dell’Oriente è a Venezia» (1908, 78).
L’Archivio di Stato di Venezia conserva in effetti una delle collezio‑
ni di documenti ottomani fra le più ricche d’Italia, se non d’Europa.
La storia della sua catalogazione è cosparsa di occasioni perse – tra‑
ma della turcologia italiana. L’inventario a cui abbiamo visto lavora‑
re Alessio Bombaci negli anni Quaranta viene pubblicato soltanto nel
1994, molto tempo dopo la sua morte; era già una ripresa di un in‑
ventario precedente realizzato da Luigi Bonelli all’inizio del secolo,
e rimasto incompiuto, che veniva esso stesso a completare un elenco
risalente agli anni Settanta dell’Ottocento. A partire dal 1902, Bo‑
nelli viene in effetti incaricato da Malagola della catalogazione del‑
la collezione, nell’ambito di una politica più generale di riorganizza‑
zione dell’Archivio.12 Il lavoro, a cui il professore dedica diversi anni
e parecchie ferie, a Venezia e a Napoli, procede a fasi alterne e fini‑
sce per essere abbandonato nel 1910 dopo il suicidio dell’archivista.
Non lascia tracce stampate, all’eccezione di un saggio su un tratta‑
to turco‑veneto del 1540 (Bonelli 1910), che lo studioso pubblica in
un volume di omaggio a Michele Amari, un altro dei suoi maestri.
Bonelli, in realtà, non aveva mai abbandonato l’idea di lavorare
su Venezia. Dopo il fallimento del ‘caso Otranto’ evocato in apertu‑
ra, era tornato più volte alla carica con Emilio Teza, che tartassava
per ottenere informazioni su fondi sconosciuti a cui non poteva ac‑
cedere. Così nel 1896:
Se in qualche biblioteca d’Italia si trovasse una raccolta di Ms.
turchi di qualche valore storico, con vera passione vi accorrerei a
studiarli; nessun studio potrebbe avere per me maggiori seduzio‑
ni e incomincerei fin d’ora a prepararmivi. Un pensiero che non
mi abbandona è che a Venezia ci possano essere dei documenti di
quel genere, ma come saperlo con certezza? Circa tre anni fa vol‑
li informarmi ufficialmente per mezzo dell’Istituto: mi fu risposto
in modo evasivo e punto soddisfacente esservene alcuni di sog‑
getto vario. Quando Ella direttamente o indirettamente potesse
procurarmi migliori informazioni in proposito gliene sarei estre‑
mamente obbligato.13
12 ACS, Ministero dell’Interno, fasc. 155; Ministero dell’Interno, «Diplomi e docu‑
menti turchi dell’Archivio di Venezia» 1902.
13 Bonelli, Lettera nr. 25 a Emilio Teza 1896.
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già prima, nel 1893:
O
Seppi in questi giorni esistere nella Marciana di Venezia una ric‑
ca collezione di Mss turchi non ancora classificata né cataloga‑
ta come si conviene. Probabilmente ivi si trovano tesori di storia,
documenti degni di essere conosciuti e studiati: non potrebbe il
Ministero provvedere affinché per quella collezione pure venga
steso un catalogo conforme alle esigenze della critica moderna?14
Sono questi «tesori di storia» che lo spingono a studiare Venezia, lui
che si era formato alle lingue orientali (l’arabo prima, il persiano poi,
il turco infine) proprio per «scopo [...] puramente storico, e più spe‑
cialmente [per] studiare i rapporti, le relazioni politico‑sociali fra il
mondo maomettano da una parte, e gli occidentali dall’altra»15 –; in
altri termini, Bonelli arriva a Venezia tramite il turco. Lungi dall’es‑
sere un sapere dell’alterità, la turcologia nascente in Italia ha quin‑
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14 Bonelli, Lettera nr. 10 a Emilio Teza 1893.
15 Bonelli, Lettera 926 a Michele Amari, 1889.
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