Capitolo 1 - Modelli Teorici
Capitolo 1 - Modelli Teorici
Engel → caratteristica chiave della scienza applicata alla clinica è l’attenzione alle specificità delle singole
persone.
Triade metodologica di base per la valutazione clinica:
osservazione (visione esterna)
introspezione (visione interna)
dialogo (intervista)
Oggi sono state pubblicate undici edizioni dell’ICD (Intrernational Classification of Deseases) e cinque del
DSM (Diagnostic Statistic Manual), ma la tassonomia dei disturbi mentali non può ancora considerarsi
definitiva e molto psicologi clinici non si riconoscono nelle categorie di disturbo mentale così definite.
Negli anni si sono sviluppati tanti modelli e sistemi esplicativi dei disturbi mentali, pure mancando quella
comprensione dei fenomeni richiesta dallo psichiatra francese.
Alla fine del XIX secolo con Charcot, Breuer e Freud si comincia a intravedere la possibilità di trattare i
disturbi mentali attraverso trattamenti psicologici.
Necessità di un substrato concettuale e teorico → si innesca un circolo virtuoso in cui le intuizioni teoriche
diventano tecniche efficaci sui pazienti e gli esiti dei casi clinici spunto per ulteriori sviluppi teorici.
Modelli in psicologia clinica = sistemi di descrizione e di spiegazione della malattia mentale molto diversi tra
loro e talvolta inconciliabili, in quanto un modello è una semplificazione teorica e per questo sempre
deficitaria della realtà.
Da dove deriva la grande numerosità e inconciliabilità dei modelli in psicologia (caso particolare tra le
discipline scientifiche)? Dalla non completa conoscenza del fenomeno psicopatologico e dalla nostra
incapacità di colmare il vuoto tra psicologia e psicopatologia (cfr. Minkowski).
La ricerca e la clinica sono in continuo dialogo, e la ricerca in psicoterapia è giunta a dimostrare l’efficacia e
l’efficienza di numerosi approcci per la cura e il trattamento di un’ampia gamma di problematiche
psicologiche.
“Ciascun modello di terapia ha distinti modi di operare sui clienti. Questo assunto di differenziazione fra i
trattamenti conduce naturalmente all’inferenza che alcuni modelli sono più efficienti di altri con un certo
tipo di clienti - Empirically Supported Treatments (ESTs). Una visione competitiva e forse complementare è
che diversi approcci teorici sono ugualmente efficaci La prospettiva dei “fattori comuni”” (Tracey).
Lambert (2005) in una revisione della letteratura identifica 4 fattori terapeutici principali per ottenere
cambiamento terapeutico:
Fattori extra-terapeutici (40%)
Gravità e/o tipologia del problema
Disponibilità al cambiamento
Eventi critici
Sostegno della rete sociale
Fattori comuni o relazionali (30%)
Aspettativa o placebo (15%)
Tecniche (15%)
Le persone vanno incontro a profondi cambiamenti psicologici senza sottoporsi, formalmente, ad alcuna
psicoterapia (Prochaska, Norcross, 2007).
Sono molti i fattori aspecifici del fare (e quindi del cambiare) esperienza: esperienze spirituali di vario
genere, la rete sociale di base, i manuali di auto-aiuto.
Le variabili attribuibili al paziente predicono l’outcome della terapia più della teoria e delle tecniche
adottate.
PSICOTERAPIA E FARMACOTERAPIA
La prestigiosa organizzazione cochrane, responsabile delle più autorevoli review mondiali in campo clinico,
afferma che le differenze fra antidepressivi e trattamenti psicologici sono veramente minime in termini di
efficacia. In realtà tale risultato nasconde una “significativa differenza in termini di qualità della vita e di
risultato terapeutico”.
A parità di effetti statistici avvengono, dunque, cambiamenti assai differenti che, in una valutazione
complessiva di qualità della vita e autostima personale, risultano a favore della psicoterapia rispetto agli
psicofarmaci (similia similibus curentur).
La comunità psicoterapeutica si è trovata in accordo nel differenziare due principali tipologie di approccio
alla cura della persona, in virtù delle diverse problematiche cui sono rivolte:
Trattamenti che si occupano di crescita personale e aspetti evolutivi dell’individuo, le cosiddette
terapie a lungo termine;
Modelli che si focalizzano sulla rapida estinzione di disturbi invalidanti, dunque le terapie brevi e
focali.
L’apparente paradosso è rappresentato dal fatto che si ha un’efficienza maggiore nel lavoro su patologie con
sintomatologie più limitanti con terapie brevi. Mentre disturbi apparentemente meno invalidanti
necessitano di tempi più lunghi per essere trasformati, come i cosiddetti disturbi di personalità.
Pertanto, si deve attribuire pari dignità alle forme di psicoterapia sia a breve che a lungo termine, in quanto
la loro applicazione a specifiche e differenti forme di disagio ne configura e legittima la propria struttura,
processo e durata.
PARADIGMI
Paradigmi: insieme di assunti generali che riguardano la scelta dell’oggetto di studio, la modalità di raccolta
dati, la concezione del funzionamento della mente e del comportamento normale e patologico e l’uso
conseguente di determinate tecniche terapeutiche.
• Teoria comportamentale e cognitiva
• Teoria dei fattori comuni: approcci psicodinamici, umanistico-esistenziali, eclettici-integrati
• Teoria interazionale sistemico-strategica
Quanti approcci psicoterapeutici esistono? Nessuno sa esattamente quanti tipi di psicoterapia esistano:
alcuni ricercatori hanno identificato fino a 400 terapie. La risposta dipende da come le si raggruppano.
Cinque scuole o approcci principali hanno finito per dominare la psicoterapia: psicodinamica, umanistica,
comportamentale, cognitiva e di gruppo/sistemica, oltre agli approcci alternativi e integrativi, che includono
terapie che combinano elementi di approcci più vecchi e consolidati, nonché tecniche di trattamento che
non rientrano esattamente nelle altre categorie.
I vari approcci alla psicoterapia differiscono in vari modi, ma condividono obiettivi terapeutici comuni.
Tali obiettivi includono:
a) ridurre il disagio emotivo
b) promuovere la comprensione
c) fornire nuove informazioni (istruzione)
d) assegnare compiti terapeutici aggiuntivi
e) sviluppare fede, speranza e aspettative di cambiamento
La pratica della psicoterapia è modellata dall'impegno del terapeuta verso le linee guida etiche e
professionali, che proteggono clienti e terapeuti dai rischi legali. I principi etici sono intimamente legati al
processo decisionale quotidiano e persino momento per momento del clinico.
Il codice etico dell'APA:
5 Principi generali:
1. Beneficenza e non maleficenza
2. Fedeltà e responsabilità
3. Integrità
4. Giustizia
5. Rispetto dei diritti e della dignità delle persone
10 Standard etici, ognuno dei quali è diviso in sezioni e sottosezioni, che danno origine a 151 regole
etiche per gli psicologi.
Le quattro preoccupazioni etiche più importanti per gli psicoterapeuti sono riservatezza, competenza,
consenso informato e conflitto di interessi.
La durata del trattamento può variare da un giorno a diversi anni, a seconda del tipo e della gravità del
disturbo; della motivazione e di altre caratteristiche del cliente; dell'abilità e dell'orientamento del
terapeuta; e della disponibilità di finanziamenti per il trattamento.
IL MODELLO PSICOANALITICO
Il modello psicoanalitico si è sviluppato a partire dal lavoro clinico di Freud a cavallo tra il XIX e XX secolo.
Freud fu allievo di Charcot, famoso per i suoi studi sull’isteria (oggi disturbo conversivo) e sull’ipnosi,
attraverso la quale riusciva in molti casi a risolvere il sintomo ma solo per un tempo estremamente limitato
(fino al termine dello stato ipnotico).
Freud e Breuer notarono che durante lo stato ipnotico i pazienti tendevano a riferire esperienze passate che
in veglia non ricordavano; essi si chiesero allora se questi resoconti potessero essere ricordi che il paziente
aveva cancellato dalla sua consapevolezza e se ci fosse una relazione tra questi ricordi e i sintomi.
Freud postulò che il sintomo potesse essere legato a una difesa che la psiche mette in atto per
salvaguardarsi da paure troppo intense, traumi non risolti o desideri e pulsioni non accettabili; il riaffiorare
alla consapevolezza di tali ricordi rimossi avrebbe la potenzialità di eliminare anche il sintomo → il sintomo
conversivo rappresenta il sintomo di un conflitto interno che il paziente non è in grado di risolvere.
L’obiettivo primario della psicoterapia psicodinamica è rendere conscio l’inconscio: gli psicoterapeuti
psicodinamici aiutano i loro clienti a prendere consapevolezza di pensieri, sentimenti e altre attività mentali
di cui i clienti non sono consapevoli; una volta che diventiamo consapevoli dei processi inconsci, possiamo
sforzarci di controllarli deliberatamente.
La parola insight, usata spesso sia dai terapeuti psicodinamici che dai clienti, cattura questo fenomeno:
guardare dentro sé stessi e notare qualcosa che prima era passato inosservato.
Gli psicoterapeuti psicodinamici hanno accesso all’inconscio dei loro clienti in vari modi, tra cui le libere
associazioni, i lapsus freudiani, i sogni e la resistenza che i clienti mostrano durante la terapia.
La maggior parte del contenuto dell'inconscio si è strutturato a partire dalla prima infanzia e può aver
interferito con il normale sviluppo psicologico creando le premesse per la nascita del disturbo.
Sebbene il subconscio sia inaccessibile alla parte conscia e all'introspezione, la presenza di un trauma o di
una pulsione irrisolta o inaccettabile può determinare un conflitto, che si estrinseca attraverso il sintomo.
Il sintomo, trasformazione simbolica del conflitto a livello conscio, sarebbe il modo attraverso il quale
l’energia psichica prodotta dal conflitto si dissipa.
→ Rendere consapevole il conflitto dissipa l’energia psichica prodotta e risolve il sintomo.
Conscio e subconscio non comunicano in modo diretto: gli elementi conflittuali inconsci emergono solo
come sintomi in modo traslato perché, se diventassero consci nella loro esatta essenza, non sarebbero
tollerabili.
Il preconscio è la zona in cui i contenuti inconsci affiorano alla parte conscia come sogni, atti mancati, lapsus
e libere associazioni; attraverso questi elementi, secondo Freud, era possibile riportare alla consapevolezza i
conflitti inconsci e liberare il paziente dal sintomo.
Seconda topica:
Es → parte completamente inconscia contenente aspetti pulsionali senza alcun rapporto con la realtà →
mira alla soddisfazione immediata dei bisogni biologici
Io → media la relazione tra mondo pulsionale e mondo esterno → dirige gli impulsi verso obiettivi
appropriati e raggiungibili
NB: la “lotta” tra Io ed Es genera il conflitto e il sintomo
Super-io → elemento tardivo che si sviluppa al superamento del complesso di Edipo e l’interiorizzazione
dei divieti e delle figure genitoriali → dirige le azioni verso obiettivi morali, etici, religiosi e reali
L’Io e il Super-io hanno entrambi delle parti che affiorano alla consapevolezza e altre che rimangono nella
parte inconscia.
LO SVILUPPO PSICOSESSUALE
Freud sostiene che lo sviluppo psichico del bambino è scandito da fasi collegate al soddisfacimento del
proprio piacere e, in questo senso, è definito sviluppo psicosessuale.
Il termine “sessuale” deve essere inteso in senso ampio, dal latino libido (“desidero”, “piacere”) → la ricerca
del piacere scandisce lo sviluppo evolutivo del bambino.
Con il superamento del complesso di Edipo, caratterizzato da pulsioni incestuose verso la madre e di morte
verso il padre, il bambino si rende conto che il padre è un avversario troppo forte e che la pulsione
incestuosa non è accettabile; interiorizza dunque la figura del padre in un certo modo fondendosi con essa
nell’amore per la madre.
Con questo interiorizza anche i divieti e le prescrizioni, che non sono più vissuti come ordini a cui obbedire
per evitare punizioni, ma come precetti interni di comportamento.
Traumi che intervengono durante le diverse fasi psicosessuali possono bloccare il processo di sviluppo o
creare un insulto che determina, anche in fase adulta, una involuzione di sviluppo (cfr. fissazione e
regressione).
Fissazione e regressione sarebbero i meccanismi attraverso cui si generano i disturbi mentali.
I MECCANISMI DI DIFESA
I conflitti inconsci sono legati a traumi, pulsioni e paure troppo intense per essere tollerati e accettati in
modo consapevole.
Per evitare l’esplicita ammissione di tali conflitti l’Io mette in atto i cosiddetti meccanismi di difesa, che
prendono in considerazione il conflitto ma lo modificano rendendolo più accettabile: l’energia psichica
prodotta dal conflitto può essere dunque almeno in parte sfogata, senza tuttavia intaccare l’Io.
I meccanismi di difesa sono processi psichici, spesso seguiti da risposta comportamentale, che ogni
individuo mette in atto, più o meno automaticamente, quando si trova ad affrontare situazioni
particolarmente stressanti e/o deve mediare i conflitti generati dallo scontro tra impulsi, desideri e affetti da
un lato, e proibizioni interne e/o condizioni della realtà esterna dall’altro.
I sintomi psicopatologici derivano dalla modalità con cui i meccanismi di difesa modificano i conflitti.
I meccanismi di difesa messi in atto possono caratterizzare la personalità di un individuo così come i
problemi clinici che porta in terapia.
RIMOZIONE
È il meccanismo principe delle difese inconsce.
Con la rimozione l’individuo impedisce che sentimenti, pensieri, ricordi, paure, desideri e fantasie che sente
come inaccettabili (in primo luogo quelle sessuali e aggressive) giungano alla coscienza, “spostandoli” in una
zona psichica a cui non accede (l’inconscio) e quindi è come se non esistessero non essendone consapevole.
Se l’operazione di rimozione ha successo, l’individuo riesce a non essere consapevole del contenuto di
quello che sente.
È considerato dalla psicoanalisi il meccanismo principale della psicopatologia poiché quando si avvertono
sentimenti, pensieri, ricordi, paure, desideri e fantasie particolarmente intensi ma che devono essere
rimossi perché inaccettabili, l’individuo attiva altri meccanismi di difesa innescando il meccanismo di
formazione del sintomo.
→ Il sintomo – e particolarmente il sintomo nevrotico – è concepito come una “formazione di
compromesso” a metà strada tra la gratificazione dell’emozione inaccettabile e la rimozione dovuta
alla censura interna.
La rimozione fallisce anche in condizioni particolari in cui le funzioni adattive dell’Io sono deboli per
circostanze più oggettive (malattia, sogni, suggestione esterna, periodi di vita, stati di frustrazione, ecc.).
REPRESSIONE
La repressione consiste nello sforzo volontario di non pensare a problemi, desideri, sentimenti o esperienze
disturbanti, almeno fino al momento giusto per affrontarli.
A differenza della rimozione, è un meccanismo conscio (non è quindi un vero e proprio meccanismo di
difesa nell’accezione freudiana) che “sposta” i contenuti non nell’inconscio (cioè, fuori dalla consapevolezza)
ma nel preconscio (quindi recuperabili quando vi si focalizza l’attenzione).
È considerato un meccanismo adattivo impiegato dalla persona matura ed evoluta.
Parallelamente a Freud si sono sviluppate linee teoriche divergenti che si sono presto staccate dalla
psicoanalisi ortodossa:
Jung → maggiore enfasi all’inconscio ed esistenza di un inconscio collettivo ereditato
ancestralmente e presente sotto forma di archetipi
Adler → sottrazione di enfasi alla teoria della pulsione sessuale
Tra i filoni che hanno caratterizzato lo sviluppo della psicoanalisi dopo Freud si inserisce la Psicologia dell’Io
(Hartmann e Anna Freud):
anche in situazioni di conflittualità estrema, l’Io può mantenere aree di funzionamento normale e libero
dalle influenze dell’Es
revisione di alcune delle concezioni freudiane più sessiste, come l’impossibilità per la bambina di uscire
dal complesso di Elettra (l’assenza della paura di castrazione non permette di evolvere)
Nei modelli di Ezriel e di Menninger la formulazione del caso è espressa nei modelli del triangolo del
conflitto e del triangolo della persona:
Triangolo del conflitto → rapporti tra meccanismi di difesa - sentimenti di ansia - sentimenti adattivi
Triangolo della persona → rapporti tra terapeuta - persone presenti nella vita del paziente - persone
che hanno avuto un ruolo importante nella vita passata del paziente
Se usiamo i due triangoli come base per l’impostazione del trattamento potremmo riassumerli dicendo che:
il paziente ha un conflitto irrisolto sviluppatosi nel passato che rivive nel presente attraverso il sintomo e nel
transfert con il terapeuta; il conflitto si è sviluppato nell’interazione con figure relazionalmente fondanti nel
passato e si riattua come modalità di interazione nei rapporti con le persone presenti nella sua vita attuale.
Spesso i clienti sperimentano transfert nei confronti dei loro terapeuti psicodinamici, per cui si aspettano
inconsapevolmente e irrealisticamente che il terapeuta si relazioni a loro come le persone importanti del
loro passato si sono relazionate a loro; per facilitare questo processo, gli psicoterapeuti psicodinamici
spesso assumono il ruolo di “schermo bianco”.
LA TERAPIA PSICODINAMICA
La psicoanalisi classica e le sue varianti sembrano diverse, e per certi versi lo sono, ma tutte condividono
convinzioni fondamentali sull’importanza psicologica di:
a) conflitto intrapsichico
b) processi inconsci
c) relazioni precoci
d) funzionamento dell’Io
e) relazione cliente-terapeuta
Dopo l’approccio cognitivo, l’approccio psicodinamico è il più diffuso tra i docenti delle scuole universitarie e
professionali accreditate in psicologia clinica e continua a rivestire un ruolo di rilievo nella psicologia clinica.
IL MODELLO COGNITIVO COMPORTAMENTALE
IL COMPORTAMENTISMO IN PSICOLOGIA CLINICA
Il modello comportamentale si differenzia dalla psicoanalisi almeno per tre aspetti fondanti:
mancanza di una o poche figure dominanti
legame strettissimo tra l’approccio clinico e le teorie del comportamento normale
il comportamento disadattivo è visto come il problema che deve essere cambiato e non come un
sintomo di un disturbo sottostante
Gli studi empirici sui risultati hanno offerto un supporto empirico maggiore alla psicoterapia
comportamentale rispetto a qualsiasi altro approccio.
PSICOTERAPIA COGNITIVA
L'obiettivo primario della terapia cognitiva, che è diventato l'approccio mono-disciplinare alla psicoterapia
più comunemente praticato dagli psicologi clinici, è quello di promuovere il pensiero logico.
Gli psicoterapeuti cognitivi raggiungono questo obiettivo aiutando i pazienti a riconoscere e correggere le
cognizioni illogiche o irrazionali durante un ciclo di terapia che è solitamente breve, strutturato e incentrato
sul problema.
Le loro tecniche prevedono l'insegnamento ai clienti del modello cognitivo, in cui le cognizioni intervengono
tra eventi e sentimenti, e l'assegnazione di compiti scritti o comportamentali da completare tra una
sessione e l'altra.
Un numero sempre maggiore di studi sugli esiti suggerisce che la terapia cognitiva è altamente efficace per
un'ampia gamma di disturbi psicologici.
Tra i modelli cognitivi di apprendimento in psicopatologia uno dei contributi più importanti è quello degli
schemi maladattivi di Beck.
Gli schemi maladattivi si sviluppano attraverso esperienze dolorose e difficili vissute durante le prime fasi
dello sviluppo (stressor precoci, frustrazioni nel soddisfacimento di bisogni vissuti come importanti,
modellamento e identificazione con membri della famiglia).
Ciascuno di noi possiede schemi di funzionamento adattivi e maladattivi. L’attivazione di schemi maladattivi
sarebbe in grado di innescare, a sua volta, l’esordio o la ricaduta di un disturbo mentale.
Uno schema maladattivo è composto da una serie di credenze di base (core beliefs) interconnesse tra di loro
che a loro volta generano delle assunzioni e regole disfunzionali che forniscono interpretazioni negative di
sé stessi, del futuro e del mondo esterno
- le convinzioni di base assumono caratteristiche imperative e generalizzanti (es. “Non valgo”)
- le regole sono proposizioni condizionate del tipo “Se…allora” (es. “Se fallisco l’esame, allora vuol
dire che sono un fallito”)
Le regole, quando applicate a una situazione presente, possono ri-attivare le credenze, che a loro volta
possono attivare un'emozione o un umore negativo.
Uno degli aspetti più classici ma al contempo innovativo della terapia cognitivo-comportamentale è proprio
l'idea che le emozioni siano conseguenza dei pensieri e delle valutazioni.
Se le alterazioni psicopatologiche sono frutto di credenze erronee, scopo della terapia cognitivo-
comportamentale è rivedere le convinzioni stesse.
Le “distorsioni cognitive” sono errori logici che l’individuo usa per interpretare in modo negativo situazioni
altrimenti ambigue nel momento in cui lo schema disfunzionale è attivato.
Le principali sono:
pensiero dicotomico → effettuare valutazioni in categorie estreme
attenzione selettiva → focalizzare l’attenzione solo, o prevalentemente, sugli elementi negativi della
situazione
ipergeneralizzazione → esagerare o minimizzare il significato di un evento
ragionamento emotivo → confondere le proprie emozioni per fatti obiettivi
lettura della mente → distorcere il modo di pensare e di sentire dell’altro, senza che l’altro abbia
dato informazioni dirette sui propri stati interni e intenzioni
catastrofizzazione → portare alle estreme conseguenze un fatto negativo senza specifiche evidenze
pensieri imperativi → fare affermazioni assolute su come sé stessi o gli altri devono essere
La tipica attribuzione fatta dai pazienti tende a saltare B e far derivare la reazione come necessaria e
ineluttabile conseguenza di A.
Diventare consapevoli che gli eventi attivanti sono filtrati dalle credenze è il primo passo terapeutico
necessario → comprendere che le conseguenze non sono ineluttabili ma dipendono da come vediamo le
cose è l’anticamera per cambiare la valutazione e quindi mitigare le conseguenze.
A partire da questa intuizione, Ellis ha sviluppato il suo approccio terapeutico noto come Terapia Razionale
Emotiva Comportamentale (Rational Emotional Behavioral Therapy, REBT).
Centrali nella teoria di Ellis sono le cosiddette pretese assolute, una forma di credenza irrazionale che si
esprime in imperativi assoluti (“Tutti devono apprezzare il mio impegno”); il mancato soddisfacimento delle
pretese porta all’attivarsi di altre credenze irrazionali che portano poi alla reazione depressiva (“Se non
riesco a farmi apprezzare da tutti, allora vuol dire che non valgo nulla”).
A partire dagli aspetti di base su credenze, schemi e valutazione erronee, diversi autori hanno sviluppato
modelli interpretativi e terapeutici di tipo cognitivo e cognitivo-comportamentale per i principali disturbi
mentali.
TERAPIE CBT
Primo colloquio:
raccolta anamnestica
identificazione delle credenze disfunzionali o irrazionali
definizione degli obiettivi
definizione del contratto terapeutico
test
Seduta CBT:
Terapia breve e strutturata
Orientata verso specifici obiettivi
Inizio: alleanza terapeutica, monitoraggio → Intermedia: intervento → Conclusione: feedback, riassunto,
homework
Tecniche CBT:
problem solving
pro e contro
piano d’azione
role-playing
psicoeducazione
ristrutturazione cognitiva
attivazione comportamentale
esposizioni
Ristrutturazione cognitiva:
Questioning (Beck) → discussione sulla veridicità empirica delle credenze (“quanto è vero questo?”)
Dispunting (Ellis) → discussione sulla veridicità empirica, utilità e logica (“quanto ti è utile pensarla
così?”)
Riattribuzione verbale (Wells) → discussione sulla veridicità empirica, ma applicata alle credenze
metacognitive
Tecniche comportamentali:
Esposizione con Prevenzione della Risposta (ERP): esposizione agli stimoli trigger seguita da una
seconda fase di prevenzione in cui non si mettono in atto i comportamenti preventivi molto utile nel
trattamento del DOC
Attivazione comportamentale: attivazione aerobica, attività piacevoli ed attività di senso trattamento
della depressione
Esposizione: in vivo, immaginativa, in realtà virtuale…
Costruire sempre la gerarchia per l’uso di queste tecniche!
Concettualizzazione DAG = approccio per rappresentare visivamente e comprendere le relazioni tra pensieri,
emozioni e comportamenti di un individuo; il DAG aiuta a organizzare le informazioni raccolte durante
l’assessment in una struttura chiara e logica.
Diagramma che descrive come uno stimolo iniziale porti a un ciclo disfunzionale:
1. trigger (e se…?)
2. credenze positive sulla preoccupazione
3. preoccupazione di tipo 1 (sul contenuto del pensiero trigger)
4. credenze negative sulla preoccupazione
5. preoccupazione di tipo 2 (sulla preoccupazione)
comportamento di sicurezza (evitamento)
soppressione del dubbio
emozioni
LA TERZA ONDATA
Una nuova serie di terapie e di modelli che, pur definendosi di matrice cognitivo-comportamentale, si
discostano dagli interventi classici nasce tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XXI secolo.
In particolare, secondo Hayes, le nuove terapie nascono attraverso un meccanismo di valutazione critica dei
paradigmi della CBT classica.
Hayes evidenzia due elementi critici:
le incongruenze
il cambio di paradigma filosofico
Per quanto riguarda le incongruenze, secondo la narrativa tradizionale della seconda ondata, i limiti dei
precedenti metodi comportamentali erano superati con l’aggiunta di metodi e modelli di cambiamento
cognitivo. Se dare alle variabili cognitive un peso maggiore è considerato un passo avanti, l’idea centrale che
il cambiamento cognitivo diretto sia un metodo necessario e primario di miglioramento clinico non è
univocamente sostenuta dai dati di letteratura.
Alcuni studi dimostrano alcune incongruenze:
− almeno per quanto riguarda la depressione, non c’è alcun beneficio aggiuntivo della componente
relativa agli interventi cognitivi → è nata “l’attivazione comportamentale” (terapia di terza
generazione)
− la risposta alla terapia cognitiva tradizionale spesso si verifica prima che le caratteristiche chiave
siano state adeguatamente implementate
Più importante nello sviluppo della terza ondata sembra essere stato il cambio di paradigma filosofico nello
spiegare il funzionamento psicologico.
Si diffonde una nuova visione filosofica meno meccanicistica (i modelli della prima e della seconda ondata
erano tutti, almeno in parte, improntati al meccanicismo) e meno centrata sul fatto che la complessità del
comportamento umano possa essere scomposta in tanti atti o eventi semplici → si sviluppano così
interventi meno meccanicisti e più contestuali
- terapia di seconda generazione → focus sul contenuto (cambiare un pensiero o una credenza)
- intervento di terza generazione → focus sulla relazione della persona con il pensiero e le emozioni
che scatena (cfr. consapevolezza, accettazione delle emozioni, relazioni, valori, obiettivi e meta-
cognizione)
ACT
focus su accettazione di emozioni e pensieri, consapevolezza ed impegno verso azioni coerenti con i
nostri valori
obiettivo è rendere le persone più flessibili
Flessibilità psicologica = capacità di essere aperti, consapevoli e in contatto con il momento presente
Flessibilità psicologica → migliore benessere
L’ACT in origine poneva inoltre i seguenti processi psicopatologici come elementi centrali nella genesi del
disturbo:
1. fusione cognitiva → ci “fondiamo” con i nostri pensieri e immagini mentali considerandoli oggettive
rappresentazioni della realtà
2. evitamento esperienziale → tutto quello che l’individuo fa per controllare o modificare le
esperienze interne
3. mancanza di valori o confusione di obiettivi con i valori
4. assenza di comportamenti impegnati che si muovano nella direzione dei valori scelta
DBT
terapia di elezione per il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità (BPD)
integra elementi della teoria evoluzionistica (vulnerabilità biologica), mindfulness ed elementi CBT
lavora sulla regolazione emotiva e sulla tollerabilità degli stati emotivi
Mente razionale e Mente emotiva si intersecano nella Mente saggia
Classico della DBT è il contratto di non suicidio (se il paziente tenta il suicidio, la terapia si interrompe).
NB: il suicidio nei pazienti borderline è spesso un atto collegato alla paura di abbandono; quindi, il contratto
si pone in modo paradossale (l’atto pensato per evitare l’abbandono sancirebbe, se messo in pratica,
proprio la perdita del rapporto con il terapeuta.
Schema Therapy
Trattamento d’elezione per i pazienti con disturbi di personalità
Integra elementi di Terapia della Gestalt, analisi transazionale e tecniche CBT
Focus su schemi maladattivi: modelli di pensiero, emozioni e comportamenti disfunzionali formatisi
nell’infanzia e radicati nella personalità dell’individuo
− Mode genitore
− Mode bambino
− Mode coping
Terapia meta-cognitiva
focus sul concetto di Metacognizione: cosa pensiamo dei nostri pensieri; e come pensiamo che la
nostra mente funzioni
terapia d’elezione per il rimuginio
Detached mindfulness: tecnica che insegna ai pazienti a sviluppare un atteggiamento distaccato e
non reattivo nei confronti dei propri pensieri e delle proprie emozioni, permettendogli di osservarli
senza farsi coinvolgere o influenzare
La terapia metacognitiva è in continuità con la terapia cognitiva classica, anche se non è orientata al
contenuto dei pensieri ma agli aspetti della forma del pensiero stesso.
Metacognizione = aspetto del funzionamento mentale che controlla i processi attentivi e di pensiero.
Il Sistema di analisi cognitivo comportamentale della psicoterapia è una terapia integrata per adulti con
depressione cronica che combina componenti di terapie cognitive, comportamentali, interpersonali e
psicodinamiche.
Secondo questo modello, coloro che soffrono di depressione cronica sperimentano la disconnessione dal
loro ambiente e quindi hanno un accesso ridotto a feedback importanti su modelli e relazioni interpersonali
problematiche.
La relazione terapeutica viene utilizzata attivamente per aiutare i pazienti a generare comportamenti
empatici, identificare e modificare i modelli interpersonali legati alla depressione e curare i traumi
interpersonali.
In questo modello vengono utilizzate tre tecniche:
1. analisi situazionale → tecnica di risoluzione dei problemi progettata per aiutare il paziente a
realizzare le conseguenze del comportamento sugli altri
2. esercizi di discriminazione interpersonale → allo scopo di differenziare le relazioni che hanno
portato a traumi da quelle più sane
3. formazione dell’assertività → per aiutare gli individui depressi a modificare il comportamento
disadattivo
La terapia cognitiva basata sulla mindfulness deriva dall’applicazione delle tecniche di mediazione orientale
all’intervento clinico.
La mindfulness:
- è stata ideata a partire dalle tecniche di meditazione buddista da Jon Kabat-Zinn a partire dagli anni
Settanta
- è stata prima integrata in un protocollo di riduzione dello stress e quindi per la prevenzione delle
ricadute depressive in pazienti in remissione
- infine, il suo uso è stato esteso al trattamento di diversi disturbi mentali (depressione, ansia,
disturbi alimentari)
- è stata inoltre integrata in diversi interventi della terza ondata, come l’ACT o la DBT
La psicopatologia sarebbe un processo di interazione tra i membri della famiglia, piuttosto che un problema
intrapersonale all’interno di un membro.
Il sistema famiglia si regge su una serie di regole di interazione: se le regole diventano ambigue, il sistema
diventa disorganizzato e i sintomi si sviluppano per ripristinare l’ordine nella famiglia.
Non esiste una tipologia di scambio più sana dell’altra e la psicopatologia può verificarsi in entrambe:
- nelle relazioni simmetriche ogni persona lotta per avere l'ultima parola nel definire la natura della
relazione → la patologia è caratterizzata da una guerra più o meno aperta o da uno scisma
- le relazioni complementari possono irrigidirsi e impedire un'adeguata crescita dei membri della
famiglia
TERAPIA SISTEMICO-RELAZIONALE
Il terapeuta opera per modificare l'interazione tra i membri, che spesso ha caratteristiche di invischiamento,
iperprotettività, rigidità e scarse capacità di risoluzione dei conflitti. Spesso si scopre che il “cliente
designato” svolge un ruolo importante nella modalità di evitamento dei conflitti della famiglia.
Costrutti chiave:
Triangolazione
Causalità Circolare
Doppio legame
Complementarità e Simmetria
Confini Familiari
Omeostasi
Tecniche Utilizzate:
Genogramma: uno strumento grafico simile a un albero genealogico che permette al terapeuta e ai
pazienti di visualizzare le relazioni familiari, le dinamiche e i pattern intergenerazionali
Interventi paradossali: tecniche come il "prescrivere il sintomo" per rompere i cicli di
comportamento disfunzionali, incoraggiando il cambiamento in modo indiretto
Gli studi sui risultati della terapia familiare possono essere più complessi dal punto di vista metodologico
rispetto a quelli sulla terapia individuale, ma i risultati mostrano un’efficace paragonabile a quello della
terapia individuale.
MODELLO UMANISTICO-ESPERIENZIALE
L’approccio umanistico-esperienziale deriva direttamente dal solco della Psicologia Umanistica.
Questa etichetta ricomprende al suo interno vari approcci psicoterapeutici: terapia centrata sulla persona,
focus emozionale, gestalt, intervista motivazionale, psicodramma, terapia espressiva, terapia orientata al
corpo.
Sebbene questi approcci siano anche assai diversi tra loro, sono tutti accomunati da alcuni presupposti
teorici comuni:
centralità della relazione terapeutica basata su una genuina empatia → relazione come parte
integrante e fondamentale del processo di cura)
valore centrale dell’esperienza soggettiva della persona → la possibilità di condividere le esperienze
soggettive del paziente (o meglio della persona o del cliente) è un'esperienza gratificante ed un
privilegio che deve portare il terapeuta ad una relazione più stretta ed empatica del semplice uso di
tecniche
in terapia il soggetto è invitato a sperimentare soprattutto nella sfera emotiva → sperimentare è
definita l’esperienza olistica di una consapevolezza immediata e continuativa che includa percepire,
sentire, esperire, pensare, volere e capire; il lavoro clinico si dota di tecniche che stimolano la
sperimentazione emotiva
l’individuo è visto come il creatore del proprio mondo e dei suoi significati (tendenza attualizzante
di Rogers)
A differenza di quanto accade in tutti gli altri approcci, nell'approccio umanistico il singolo individuo, i suoi
obiettivi e le sue esperienze sono al centro.
Per questa ragione, il modello umanistico esistenziale non rappresenta un vero e proprio modello di
inquadramento clinico, ma soprattutto un approccio di lavoro clinico ritagliato sulle esigenze e sugli obiettivi
del singolo individuo.
Tendenza attualizzante (Rogers) = tendenza intrinseca dell’individuo a sviluppare tutte le sue capacità allo
scopo di preservare o migliorare l’essere umano stesso (tale tendenza o spinta include non solo la
propensione a soddisfare i bisogni fisiologici, ma anche l'inclinazione ad espanderci tramite la crescita e la
valorizzazione attraverso le relazioni).
La realtà in cui tale tendenza si sviluppa non è una realtà oggettuale e oggettiva, ma piuttosto una
soggettiva, plasmata dalle singole esperienze e dal valore che ogni individuo dà ad esse.
Così nasce il concetto del Sé che include le nostre percezioni di ciò che è caratteristico di “io” o “me”, le
nostre percezioni delle nostre relazioni con gli altri e con il mondo e i valori collegati a queste percezioni.
L'essere umano, per Rogers, è quindi un organismo finalisticamente concepito per l'auto-miglioramento e
l'autorealizzazione.
Il disagio psichico, la sofferenza e la patologia mentale scaturirebbero allora dalla percezione di una
incongruenza tra il concetto del Sé e la sua simbolizzazione o idealizzazione (Sé ideale): quanto più la
percezione del Sé ideale si discosta dal concetto del Sé attuale, tanto maggiore sarà il maladattamento.
L'alleanza terapeutica è dunque fondante l'esperienza clinica e gli elementi fondanti sono stati spesso
integrati nel lavoro clinico in maniera trasversale ai diversi approcci clinici.
NB: più che un modello di psicopatologia è un modello dell'approccio clinico al paziente.
TERAPIE UMANISTICO-ESPERIENZIALI
L'obiettivo primario della psicoterapia umanistica è, attraverso la relazione terapeutica, guarire il conflitto
interiore e riprendere la crescita naturale dell'individuo verso il benessere psicologico, ampliando la
consapevolezza emotiva.
Nella terapia umanistica, i terapeuti sono più interessati a come si sentono le persone piuttosto che al
motivo per cui si sentono in quel modo.
Il cliente deve assumersi la maggior parte della responsabilità della direzione e del successo della terapia,
mentre il terapeuta svolge semplicemente il ruolo di consigliere, guida e facilitatore.
Diversi approcci contemporanei, tra cui i colloqui motivazionali e la psicologia positiva, sono fortemente
influenzati dai principi umanistici.
In particolare, il colloquio motivazionale ha raggiunto un alto livello di riconoscimento tra i professionisti e i
ricercatori della psicoterapia, in gran parte grazie a un vasto e crescente corpus di ricerche empiriche che ne
supportano i benefici per i problemi psicologici e fisici.
Al di fuori del lavoro sui colloqui motivazionali, la ricerca empirica sui benefici della terapia umanistica in
generale non è stata così estesa negli ultimi decenni come per altre forme di terapia. Gli studi sui risultati
che sono stati completati suggeriscono che in generale la psicoterapia umanistica è approssimativamente
altrettanto benefica della maggior parte degli altri approcci.
ECLETTISMO E INTEGRAZIONE
Gli approcci eclettici e integrati si concentrano sull'uso flessibile e su misura di diverse tecniche
terapeutiche, riconoscendo che nessun singolo approccio è efficace per tutti i pazienti o per tutti i tipi di
problemi psicologici.
Questi approcci sono nati in risposta alla crescente evidenza che diverse forme di psicoterapia possono
essere efficaci per differenti pazienti e problematiche. L’obiettivo è dunque personalizzare l’intervento
terapeutico, adattandolo alle esigenze specifiche del singolo cliente.
TERAPIA DI GRUPPO
La terapia di gruppo offre un approccio olistico e di supporto per gestire i problemi psicologici, fornendo un
contesto strutturato in cui le persone possono esplorare strategie di coping, condividere esperienze
personali e sviluppare resilienza.
La psicoterapia di gruppo combina modelli di terapia psicodinamica, cognitiva e comportamentale,
enfatizzando le funzioni di supporto del gruppo e l’identificazione tra pari, che promuovono e rinforzano
cambiamenti adattivi.
La forza del gruppo non deriva dall’osservarlo, ma dal farne parte.
Supporto sociale e validazione: La terapia di gruppo offre una comunità in cui i partecipanti si sentono
compresi e validati da persone che affrontano sfide simili. Questa esperienza condivisa contribuisce a
ridurre il senso di solitudine e rafforza il senso di appartenenza.
Costruzione di abilità e condivisione di strategie: Discutendo di ciò che ha funzionato o meno per
ciascun partecipante, i membri possono ampliare le proprie strategie di problem-solving per gestire dei
problemi psicologici. Questa condivisione di competenze incoraggia un approccio proattivo, anziché una
sensazione di impotenza.
Aumento della resilienza e della motivazione: In un ambiente di gruppo di supporto, le persone spesso
si sentono più motivate a seguire routine di auto-cura e a sperimentare nuove tecniche di gestione dei
problemi psicologici, portando a graduali miglioramenti nella qualità della vita.
Miglioramento del benessere emotivo: La terapia di gruppo offre uno spazio sicuro per esprimere
emozioni negative, alleviando così il disagio psicologico. Imparare a gestire efficacemente queste
emozioni è una parte fondamentale della gestione dei problemi psicologici.
Promozione della responsabilità e della coerenza: La terapia di gruppo incoraggia la responsabilità
reciproca, poiché i membri si tengono aggiornati sui progressi e seguono le tecniche discusse. Questa
coerenza spesso porta a una maggiore aderenza ai piani di gestione dei problemi psicologici e a scelte di
vita più salutari.