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5 Mura e Citta Nuovi Paesaggi Urbani Tra Memoria e Progetto PDF

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Vitor Coelho
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005

L’immagine che le mura producono è tanto più carica di simbolismo

005
in quanto essa non si riduce ad un semplice muro, una linea, uno
spessore, ma è un’integrazione di luoghi che ne diversificano e ne
accrescono il carattere di simbolo.
J. Le Goff

Mura e città. Nuovi paesaggi urbani tra memoria e progetto


Architetture del limite, prima ancora che apparati di difesa militare, Mura e città
le cerchie fortificate hanno rappresentato per secoli l’immagine fisica e
politica dell’urbs e della civitas. Nuovi paesaggi urbani
La ricerca parte dall’assunto che il mutato panorama della città
aperta contemporanea ha radicalmente alterato il rapporto mura-città tra memoria e progetto
invertendone l’ordine semantico: se un tempo le mura contenevano la
città, ora è la città stessa a contenere le mura. Tuttavia i recinti murati,
pur se hanno perso il significato di limite ultimo, continuano a costituire
un limite e, di più, rappresentano quel delicato margine tra città storica
e città d’espansione extra moenia. Questo rilevante aspetto induce a
indagare l’oggetto mura non solo e non tanto dal punto di vista storico o Angela Fiorelli
conservativo, ma dal punto di vista urbano.
Dispositivi lineari bifronti, le mura rappresentano i luoghi della
permeabilità ed esprimono un immenso potenziale in termini di
valorizzazione e rilancio dei centri storici proprio in relazione al tema
dell’accessibilità e quindi, in senso lato, dell’accoglienza.

Angela Fiorelli, architetto e dottore di ricerca, attualmente lavora presso


il Dipartimento di Architettura e Progetto (DiAP), Sapienza Università di
Roma. Ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria
di Perugia, il Dipartimento di Architettura di Firenze (DiDA) e l’Escuela

Angela Fiorelli
Técnica Superior de Arquitectura de Málaga (EAM). Ha inoltre lavorato
presso l’I_Lab SmartCitiesDesign del Centro Studi di Foligno. È socio
ordinario di CISDU - International Centre for Studies in Urban Design. In
particolare il suo lavoro approfondisce i temi del progetto architettonico
e della valorizzazione del patrimonio storico, del paesaggio e dello spazio
pubblico urbano. I suoi contributi scientifici sono pubblicati su volumi e
riviste nazionali e internazionali. Ancsa Documenti 2020

12 Euro Ancsa Documenti 2020


Documenti – la collana scientifica
dell’Associazione Nazionale Centri
Storico-Artistici

Da oltre mezzo secolo l’ANCSA indaga


le conseguenze dei profondi e radicali
processi di trasformazione che hanno
investito le nostre città storiche, anche
in relazione ai quadri territoriali e
paesaggistici. Questa nuova Collana
vuole testimoniare la ricchezza del
dibattito in corso intorno a questo tema di
grande rilevanza per il futuro del Paese,
presentando esperienze di progetto,
analisi, conservazione, amministrazione,
gestione e rigenerazione urbana.
I volumi ospiteranno raccolte di fonti, atti
di seminari e convegni, ricerche inedite
esito di tesi e studi, frutto del rapporto
tra l’università e gli enti territoriali e locali.
“Documenti” nasce infatti dal confronto
tra ricerca scientifica e governo
concreto del territorio, con l’obiettivo
di fornire strumenti utili per affrontare
le questioni della conoscenza storica
del patrimonio costruito, del progetto
urbano e della pianificazione dei centri
storici, che costituiscono nel loro insieme
un inestimabile patrimonio al cuore
dell’identità passata e presente del nostro
Paese.
005
Mura e città
Nuovi paesaggi urbani
tra memoria e progetto

Angela Fiorelli

presentazione di Stefano Storchi


introduzione di Manuela Raitano

Ancsa Documenti 2020


Ideazione e cura della collana:
Nicola Russi
Fabrizio Toppetti
Mauro Volpiano

Comitato scientifico:
Marco Brizzi
Carlo Gasparrini
Franco Mancuso
Nicola Russi
Filippo Mario Stirati
Stefano Storchi
Fabrizio Toppetti
Mauro Volpiano

Grafica e Impaginazione:
Parco Studio

Stampa:
E. Lui Tipografia, Reggio Emilia

Nessuna parte di questa


pubblicazione può essere riprodotta
senza esplicita autorizzazione
dell’editore.

I testi e i contributi pubblicati


nella collana sono sottoposti alla
valutazione del comitato scientifico
e di esperti esterni con il criterio della
peer review.

Gli elaborati grafici relativi al caso


studio di Siviglia all’interno della
pubblicazione sono tutti stati redatti
dall’autore.

Nel frontespizio:
La muralla de la Macarena, Siviglia,
2017.
A pagina 132:
Puerta de la Macarena, ingresso della
Virgen de la Esperanza Macarena.
Foto d’epoca.

© ancsa 2020
isbn 978-88-941080-9-5

ANCSA Associazione Nazionale


Centri Storico-Artistici
Palazzo dei Consoli, piazza Grande
06024 Gubbio (PG)
Partita I.V.A. 02626880542

www.ancsa.org
indice

vii presentazione di Stefano Storchi


xi introduzione di Manuela Raitano

1 Mura e città
Nuovi paesaggi urbani
tra memoria e progetto

4 Una linea che segna e produce differenze

Prima parte
Le mura urbiche: da limite esterno a limite interno
8 Dal recinto alla città
11 Dalla città murata alla città aperta

Seconda parte
Per una strategia d’intervento: linee guida al progetto
32 Le mura come interfaccia urbana nella città contemporanea
44 Il progetto architettonico come verifica
52 Un dispositivo urbano permeabile

Terza parte
Limes tra città e paesaggio: il caso di Siviglia
56 Mura, città e storia
69 Mura, città e paesaggio
82 Dentro e fuori le mura
100 Il tratto murario della Macarena

116 Nulla finisce, muta soltanto

123 Note
128 Bibliografia
Presentazione di Stefano Storchi

Il confine della città, il limite che la separa dalla campagna (in base
al noto dualismo marxiano) rappresentano per l’urbanistica un tema
classico di riflessione: dai primi rituali di fondazione fino alle più recenti
tecniche di delimitazione dei centri abitati a fini normativi e prescrittivi.
Oggi tuttavia la lettura del limite storico urbano si arricchisce di nuovi
valori; rappresenta cioè l’opportunità per introiettare e riprogettare
un segno della storia e della memoria urbana, rendendo evidente il
processo di costante ricomposizione che la città ha vissuto lungo i
secoli. In questo senso assume importanza e interesse il soffermarsi
sulle antiche mura, sulle antiche vestigia urbane: su quella che nel
tempo è stata una struttura funzionale – difensiva – e simbolica.
Leggerne il significato e le potenzialità nell’attuale assetto urbano
costituisce un’azione progettuale di primaria importanza.
La vicenda delle fortificazioni delle città ha vissuto un’alterna
fortuna: cortine e bastioni di capitali e di piazzaforti militari sono state
demolite, talora come “sfregio” a centri di governo che avevano perso
il loro ruolo o per neutralizzare la presenza di strutture militari scomode
e ingombranti per qualunque potere o per qualunque stato.
Quando le città conservano intatto il proprio assetto fortificato, ciò
testimonia la presenza di una struttura troppo forte per poter essere
espugnata (Palmanova ne è un esempio) o la presenza di mura “di
parata” ininfluenti sul piano militare (come nel caso di Sabbioneta).
Vi è poi la vicenda tardo-ottocentesca che vede la demolizione
delle antiche mura nello spirito di modernizzazione della città e
di superamento del limite che la conteneva “in antico”. Siamo al
passaggio dalla dimensione urbana storica alla nuova scala territoriale.
Di questi passaggi l’ANCSA ha – in qualche modo – rivissuto la
vicenda, facendosi luogo di analisi e salvaguardia dei centri storici,
per superarne poi il limite a favore della “città storica”, fino a integrare
quest’ultima nel concetto di “paesaggio storico”. Si è trattato, anche in
questo caso, di un progressivo “superamento del limite”; e ogni volta
la “terra di confine” si è trasformata in territorio da progettare, con
sfide e opportunità inedite sul piano tecnico e culturale. Le mura delle
città sono divenute, in questo modo, elemento di connessione e di
collegamento, anziché di chiusura e di cesura.
Di questo è testimone anche il percorso compiuto dal Premio
Gubbio che nel 1993 ha posto l’attenzione sulle esperienze in corso
di maturazione nel centro storico di Pisa, ponendo l’attenzione – fra
gli altri – sul progetto di recupero dell’area delle mura storiche, ma,

VII
ancor più, dello spazio verde che quell’intervento aveva restituito alla
città. Già allora si ribadiva come parlare di mura significasse parlare di
“interno” e di “esterno”; di collegare il centro storico con gli ambiti ad
esso contigui, attraverso un progetto capace di superare le barriere
fisiche e normative; di non trattare la città per parti separate, ma di
ritrovarne il senso continuo e complessivo.
Sulla stessa chiave di lettura si colloca il lavoro di Angela Fiorelli; per
questo l’ANCSA – venticinque anni dopo il premio assegnato a Pisa
– l’ha voluto valorizzare attraverso l’assegnazione del Premio Gubbio
dedicato alla Sezione Universitaria e ha deciso di pubblicare questo
volume che della tesi di dottorato estrae le parti più significative sul
piano metodologico e progettuale. Con l’auspicio che questo lavoro
serva da stimolo ad altri giovani ricercatori per investigare nuove
strade e nuovi strumenti per la rigenerazione dei centri e delle città
storiche.

VIII
Introduzione di Manuela Raitano

È nei quadri dei grandi maestri del Quattrocento che assistiamo


all’invenzione del paesaggio italiano. Mi riferisco qui alla parola
“invenzione” nel suo significato strettamente etimologico. Inventus,
participio passato di invenire, significa letteralmente “trovare
investigando”; è dunque termine che ha poco a che fare con l’idea di
creazione dal nulla e che ha molto più a che fare con l’atto di mettere
in luce qualcosa che è già, ma del quale fino a un momento prima non
si coglie la presenza o non se ne colgono le relazioni con il contesto.
Nelle rappresentazioni quattrocentesche dell’Annunciazione, si
osserva spesso uno schema di questo genere: la Madonna e l’Arcangelo
si trovano in uno spazio chiuso, ma è uno spazio delimitato da un
loggiato che si apre, per contrapposizione, su uno sfondo prospettico
ampio. Nell’Annunciazione di Leonardo (1472) viene rappresentata una
natura abitata dall’uomo, anche se la presenza dell’uomo necessita, per
essere notata, di uno sguardo attento e non focalizzato sulla scena
principale: fiume popolato da imbarcazioni e un alto faro prospettano
innanzi a una città delimitata da mura turrite disposte a seguire l’argine
del fiume. Nell’Annunciazione botticelliana (1485) la presenza della
città sullo sfondo è invece più evidente: si tratta di una città murata cui
è contrapposto un “fuori”, una non-città caratterizzata da uno spazio
collinare, attraversato dall’acqua.
Ancora, quando Piero della Francesca dipinge, tra il 1465 e il 1472,
il celeberrimo ritratto dei duchi di Montefeltro, egli rappresenta le figure
di profilo, in primo piano, collocate in uno spazio “reale”, quello del loro
ducato di appartenenza: Federico da Montefeltro, sulla tavola destra,
è ritratto sullo sfondo di un paesaggio aperto e dolcemente in rilievo;
mentre sulla tavola adiacente, alle spalle di Battista Sforza si intravede
una linea murata, al cui interno non già si vede la città delle case, ma
il paesaggio regolare dei campi coltivati. Le mura urbane pertanto non
solo separano, nell’immaginario degli artisti del Quattrocento, lo spazio
della città dallo spazio della campagna, ma anche due differenti forme
di campagna, l’una maggiormente antropizzata dell’altra.
In tutte queste raffigurazioni (di notevole interesse sono anche gli
sfondi dei dipinti di Giovanni Bellini) questi grandi artisti “inventano”
letteralmente, come si diceva in apertura, un’idea di paesaggio
italiano. Non nel senso che lo creano dal nulla, ma che ne decrittano
le coordinate, lo “vedono” con assoluta chiarezza e, nel riprodurlo, lo
codificano in un modo talmente evidente che questa rappresentazione
diviene iconica e rimane impressa nel tempo. Da allora infatti, nella

IX
percezione diffusa, gli elementi costitutivi del paesaggio italiano
sono due: l’ambiente naturale, da un lato; la città vista “dal di fuori”,
dall’altro. È una costruzione, questa, che vive di una tensione tra
opposti: creazione di Dio e creazione dell’uomo, solo insieme fanno
paesaggio, che è un costrutto concettualizzato. Ma la creazione
dell’uomo, la città, non interessa solo dal di dentro, nei suoi spazi
prosaici di vita, di mercato, di socialità. Interessa anche come forma-
figura, o meglio come forma-limite, percepibile dall’esterno come un
tutto, cioè come un intero dotato di senso compiuto. Di questa figura,
da cogliere nella sua interezza, le mura costituivano la linea di margine
diremmo oggi, ovvero il perimetro fisico racchiudente; esse non solo
erano utili perché invalicabili, ma necessarie perché definenti l’unità
fisica urbana, così ben ritratta nella pittura del Quattrocento italiano.
Argine all’insicurezza e presidio di controllo, le mura assolvevano
dunque, in passato, non solo un ruolo difensivo, ma anche un altro
compito, non meno importante per la psiche umana: quello di
definizione del limite; e dunque, quello di definizione della forma urbis.
Cosa succede invece, dal punto di vista semantico, quando la
città perde il suo limite? Cosa accade quando essa non si identifica
più con le sue mura, ma le scavalca, conquistando la dimensione
extra moenia? La città moderna, non murata, assomiglia più al
tipo dell’accampamento nomade che a quello dell’accampamento
fortificato, e rimanda a una forma più provvisoria del vivere, nella quale
la mobilità in entrata e in uscita non solo è possibile senza più alcun
controllo, ma è addirittura incentivata, perché è così che i mercati
funzionano. È dunque una forma fisica i cui margini tendono spesso
a svanire in dissolvenza, piuttosto che a manifestarsi nella durezza di
una linea di bordo, com’era in passato. Semmai, il ruolo che un tempo
avevano le mura lo hanno oggi, in altra forma, gli intricati raccordi
stradali che contornano le grandi città, e i caselli in entrata e in uscita
ne costituiscono i nuovi dazi. In questa condizione, cosa è accaduto
alle cinte delle antiche mura fortificate? In che modo il segno fisico
di questi manufatti si è fatto permanente, per usare la terminologia
rossiana, e strutturante?
Non più limite ma ostacolo interno, in molti casi (come nella città
di Roma) le mura sono tuttora in piedi, ma in non pochi casi questo
imponente manufatto difensivo è stato fisicamente cancellato nel
tempo e demolito, in tutto o in parte, per eliminare un impedimento
interno al corpo stesso della città. Eppure, la sua traccia continua a
strutturare i tessuti in forma di sedime, di tracciato regolatore lungo il
quale essi crescono e si dispongono.
Di questo tratta il libro di Fiorelli, della vita delle mura dopo le
mura. Della vita, cioè, di un’imponente costruzione umana dopo che
la sua funzione originaria è stata esaurita. E soprattutto, attraverso il
racconto specifico del caso studio di Siviglia, una città in cui la forma-

X
mura è una forma-assente, questo libro ci mostra in modo palese la
forza permanente di questo manufatto umano anche nel corpo delle
città contemporanee.
In più, questo lavoro dà anche un interessante contributo sul piano
della ricerca progettuale, mettendo in luce azioni volte a valorizzare
la presenza delle mura urbane e a risolvere i nodi e i punti di frizione
tra la città, che preme ormai sui due lati, e un manufatto che non
può né deve più separare, dovendo funzionare piuttosto come un
dispositivo di interfaccia nelle complesse dinamiche di sviluppo della
città contemporanea.

Alla pagine seguente


Leonardo, Botticelli e Piero della Francesca, tre raffigurazioni di mura urbiche.

XI
Mura e città

Nuovi paesaggi urbani tra memoria e progetto

di Angela Fiorelli

La Arquitectura nace, al igual que el muro,


de ese encuentro entre la idea y la materia.
Esto nos lleva a pensar que existe un vínculo
permanente entre la arquitectura y el muro
que la conforma y viceversa.
Esto es, las intenciones arquitectónicas
se materializan en sus muros de dos maneras:
materializando la idea y idealizando la materia.

L’ Architettura nasce, allo stesso modo del muro,


da questo incontro tra l’idea e la materia.
Ciò conduce a pensare che esiste un legame
permanente tra l’architettura e il muro
che la conforma e viceversa.
Proprio così, le intenzioni architettoniche
si materializzano nei muri in due maniere:
materializzando l’idea e idealizzando la materia.

J. M. Aparicio Guisado
1
Mura Serviane, Piazza dei Cinquecento, Roma.

2
Porta alla Croce, Piazza Beccaria, Firenze.

3
Una linea che segna e produce differenze

Le mura, architetture del limite, tanto dell’urbs quanto della civitas,


assumono nella città contemporanea un nuovo ruolo di fondamentale
importanza in quanto non più elemento perimetrale o limite esterno
ma elemento contenuto e limite interno, interfaccia tra il nucleo antico
e l’estensione urbana extra moenia.
Il termine mura, dal latino moerum, quindi munire (da cui deriva
anche moenia) significa circondare, chiudere. La parola dunque
contiene in sé per definizione la funzione prima di delimitazione e
di misura e in ciò necessariamente di controllo, ma anche di identità.
È un ruolo che ancora oggi questo oggetto architettonico assume?
Un ruolo che muta di senso nella città contemporanea o che, pur
mantenendo l’antica valenza, si fa carico di altre funzioni e nuovi
significati?
L’attuale crisi dei centri storici è oggetto di studi di lunga data,
ma essi vivono ancora oggi sospesi tra due concomitanti urgenze:
l’emergenza continua di interventi di conservazione da un lato e
l’assoluta necessità di rivitalizzazione e di adeguamento funzionale
dall’altro.
Oggetto di questo studio è in primis circoscrivere il tema (e
circoscrivere è qui il termine più calzante) a quella parte di città che
per sua natura costituisce l’elemento di unione tra l’antico e il nuovo,
linea fisica tra il prima e il dopo, spazio estremo tra interno ed esterno.
Capire in primo luogo dove comincia e dove finisce la città storica è il
punto primo di partenza per restituire la città alla sua unità nell’assoluta
consapevolezza dell’autonomia delle sue parti. Comprendere poi i
nodi nevralgici di scambio tra la città antica e il suo territorio è di
fondamentale rilevanza per stabilire un nuovo rapporto che inneschi
tanto strategie di valorizzazione quanto processi di rivitalizzazione
della città storica.
Il limite per una città, che da tempo ormai è chiamata organismo1,
è quella parte più vulnerabile e allo stesso tempo più indispensabile
per garantire la sopravvivenza di un essere vivente. Proprio come una
membrana cellulare, limite è quel diaframma che separa e unisce, che
rigetta e che assorbe.
Il contributo qui proposto nasce dall’intenzione congiunta di
comprendere da un lato la definizione spaziale di tale parte di città e
dall’altro di delineare delle strategie d’azione che possano restituire in
termini progettuali possibili scenari di rigenerazione della città storica,
con particolare attenzione ai punti di interazione tra esterno e interno,
restituendo ad essi l’effettivo ruolo di contatto e nello stesso tempo di

4
demarcazione. Lungo la linea di margine necessariamente avviene lo
scambio e tale scambio per la città, come per ogni forma di vita, è uno
scambio osmotico e nello stesso tempo misurato che deve garantire il
nutrimento quanto determinare il cambiamento, poiché per sua natura
«il confine è quella linea mentale che segna e produce differenze»2.
Lo studio si concentra dunque sul tema delle mura urbiche come
limite. E si pone l’obiettivo di farlo con il preciso intento di affrontare tale
ricerca non solo, e non tanto, dal punto di vista storico o conservativo,
ma soprattutto dal punto di vista urbano e in particolar modo nell’ambito
del progetto contemporaneo. Le mura dunque intese non come oggetto
ma come soggetto attivo all’interno delle dinamiche di trasformazione
della città.
D’altro canto le mura non sono solo “rovine”, objects trouvés nel
panorama urbano, ma sono, ancora e prima di tutto, architetture e
come tali hanno il compito, e la propensione aggiungerei, di assolvere
ad una specifica funzione. Che questa funzione muti per necessità, e
per natura, all’interno delle complesse dinamiche della storia della città,
non è qui prioritario, ma è indiscutibile che l’utilizzo sia alla base della
sopravvivenza di un edificio, o di un apparato architettonico in questo
caso, e a tale inconfutabile premessa segue la liceità e l’urgenza di
progetto, pro jectum, per ciò che riceviamo dal passato e che abbiamo il
dovere di restituire al futuro, nel modo migliore, nel modo più autentico.
Le mura della città antica stabiliscono una relazione necessaria
col paesaggio urbano, esse costituiscono una sorta di DNA della città
poiché ne disegnano l’antica forma, ne descrivono i caratteri dominanti,
ne difendono l’identità, esse sono quindi monumento per eccellenza,
nel significato primo di questo termine e, nondimeno, nel rischio che
spesso la città associa a tale parola.
Ciononostante, pur se si è tentato in molti casi di esautorare gli
antichi circuiti murari delle nostre città dal loro incarico, essi in un modo
o nell’altro sono riusciti nel tempo a mantenere il loro presidio, come è
nella loro stessa natura, e anche se la città si è espansa notevolmente
oltre i loro confini, esse continuano a segnare un margine, quello della
città storica; e il loro segno è così forte che resta nel tempo, nonostante
l’avvento della città “aperta” e le numerose demolizioni ottocentesche.
Le mura restano, quasi a scherno di un’intramontabile resistenza che
le contraddistingue come opere militari, e restano anche nell’assenza.

5
Prima parte

Le mura urbiche:
da limite esterno a limite interno
Dal recinto alla città

Luogo di congiunzione tra l’umano e il divino, il recinto assume in tutte le


civiltà un significato sacrale. Archetipo dell’architettura stessa, il recinto
appare nei geroglifici egizi quanto nella scrittura cinese antica sintetizzato
nelle forme più semplici e pure: il quadrato e il cerchio, come simbolo di
casa e di città3. Benevolo, definendo la città mesopotamica come madre
della nostra civiltà, afferma:

«La città è un recinto o un insieme di recinti, dove matura l’arte di


maneggiare le medie e piccole distanze, quel che intendiamo da allora in
poi per ‘architettura’»4

L’atto di recingere dunque, è il gesto su cui si fonda la materia


architettonica, poiché delimitare è l’operazione primordiale dell’abitare, un
gesto che ancor prima di proteggere, misura. E in tal senso misurare è,
kantianamente parlando, conoscere. Per Kant critica, dal greco κρίνειν
(krinein), separare, è manifestamente una dichiarazione d’intenti e cioè
circoscrivere il campo d’indagine, distinguere dunque il noto dall’ignoto. Il
recinto, si potrebbe dire pertanto, si mostra come un atto di conoscenza,
un’operazione ontologica dell’architettura. Come Gregotti afferma:

«Atto di architettura per eccellenza, il recinto è ciò che stabilisce


un rapporto specifico con un luogo specifico ed insieme il principio di
insediamento con il quale un gruppo umano propone il proprio rapporto
con la natura-cosmo. Ma anche, il recinto è la forma della cosa, il modo
con cui essa si presenta al mondo esterno, con cui essa si rivela»5.

Nella definizione emerge la peculiarità del luogo come determinante


prima del segno antropico sul territorio e, nondimeno, il perimetro viene
inteso come l’epifania dell’oggetto, l’essenza della e nella forma, immagine
esterna e percezione di esso. D’altronde Gottfried Semper, come è noto,
pone il recinto tra i quattro elementi dell’architettura assieme al tetto, al
terrapieno e al focolare (pur se sostiene la priorità di quest’ultimo come
simbolo dell’aggregazione tra gli uomini)6 e prima ancora la capanna
vitruviana costituisce il riferimento iconico per eccellenza, il mito dell’abitare
come espressione del binomio uomo–natura. La divisione, il margine, il
recinto dunque sono la demarcazione tra lo spazio illimitato, incontrollato
e selvaggio, e lo spazio antropico, quel luogo cioè che è dominio dell’uomo.
Dove dominio significa conquista, ma anche protezione e difesa. La sfida
quindi di tendere all’invulnerabilità del perimetro garantisce l’incolumità di
chi lo abita e la durevolezza nel tempo. Questo stesso principio è alla base

8
di ogni insediamento umano sin dall’epoca preistorica. La linea del limite,
segno di separazione e traccia del confine, assume però nuovi significati
nel complesso processo di trasformazione della città pur mantenendone
sempre il carattere dominante e il significato originario. Come anche il
mito di Romolo ci ricorda, nell’atto di fondazione dell’Urbe, il solco a terra
dell’aratro segna il pomoerium, il perimetro. Per i latini l’atto di fondazione di
una città è un rito sacro e il limite di essa è dettato dalla volontà degli dei e
non dall’arbitrio umano. D’altra parte, sostiene Gurvitch:

«l’idea di città […] è quella di un ordine soprannaturale del mondo.


La concezione cosmico-ieratica della città implica naturalmente un
nesso molto stretto tra città e divinità, secondo un rapporto localizzato e
biunivoco»7.

Ciò premesso, una volta tracciato il pomoerium, l’area all’interno


viene pulita e il solco diventa muro, composto dalle pietre tolte al terreno
e collocate ai bordi. Su questo spazio donato, l’Axis Mundi, bastone
che simboleggia l’unione tra la terra e il cielo, viene conficcato al centro
dividendo in quattro parti il terreno. Dall’Axis Mundi si dipartono il cardo,
in direzione nord-sud, asse celeste, e il decumano in direzione est-ovest,
che indica il percorso del Sole. Va poi ricordato un interessante aspetto
che denota la complessità simbolica di tale elemento terminale: il pomerio
non è una linea, ma è uno spazio contenuto tra due margini, un’area che
concentra in sé le forze negative allontanandole dal nucleo. Per questo il
perimetro sacro è uno spazio non edificabile e affidato agli dei protettori,
confine di difesa che respinge e che contiene.

«Far architettura è essenzialmente far recinti. Il significato essenziale


dell’architettura sta forse nel suo essere recinto, nel costruire un ambito
di spazio controllato, separando un interno da un esterno tramite un muro.
Costruendo un muro, un recinto chiuso intorno a sé, l’uomo sottrae una
porzione di spazio allo spazio ostile della natura, la fa propria, la pone sotto
il proprio incontrastato dominio, rendendola innanzitutto sicura e poi adatta
a sé, alle proprie esigenze individuali e sociali. È proprio tale atto primario
di divisione che consente lo sviluppo della vita individuale e associata, lo
sviluppo di una cultura, la nascita di una civiltà»8.

Dal recinto dunque al muro, e quindi dal muro alle mura. Se è vero che il
recinto può essere qui inteso come il segno, l’impronta, la traccia che esprime
l’atto di separare, di misurare, il muro al contempo diviene quell’elemento
strutturale che rappresenta matericamente tale azione. L’architettura, come
suggerisce Aparisio Guisado, può considerarsi generata a partire dal
concetto di muro, una sorta di ars combinatoria muraria:
«Intendiamo per relazioni tra muri il dialogo che si stabilisce tra distinti
elementi murari e che lo fanno passare da essere recinto a essere

9
un’abitazione. I muri parlano di loro stessi e, nella loro assenza, dello spazio
che creano»9.
Aparicio Guisado infatti sostiene che è la permeabilità stessa del muro,
e quindi l’assenza, che conforma lo spazio architettonico, ma ciò che è più
importante è l’unità di questo spazio: l’unicum fisico che esso distingue
nella sua presenza quanto nella sua negazione corrisponde a una
distinzione concettuale. Sulla separazione semantica che il muro disegna
tra esterno e interno si annida il dittico inscindibile di luogo e comunità:
è dall’accordo tra uomini, che scelgono di condividere il medesimo luogo
fisico, misurato e costruito, che nasce la città.
Alla definizione dello spazio infatti consegue il riconoscimento di una
comunità all’interno di esso. Si può affermare pertanto che il muro diviene
l’elemento di passaggio tra la dimensione fisica e quella politica, assunto
che risiede in primis nella polis greca. Nell’etimologia infatti della parola
polis si estrae il fine di unificare, mettere insieme una pluralità di individui,
l’uomo in tal senso è l’aristotelico zôon politikòn, che per sua natura
sceglie di vivere in gruppo. Da questa derivazione viene infatti il termine
stesso di città, cioè civitas, non dunque dal luogo, ma dalla comunità che
in esso vive: «urbs e civitas unite, con una bella metafora che de Saussure
applicò al concetto di segno, unione di significante e di significato, si
intrecciano come il palmo e il dorso della mano»10.
È tuttavia importante precisare che se la città nasce dalla codificazione
di uno spazio finito, l’atto di cingere, che fonda l’abitare, non corrisponde
sempre a quello di chiudere e fortificare. La storia ci insegna che la città nel
corso dei secoli ha assunto infinite forme, disegnata tanto dalla geografia
quanto dalla politica territoriale, dalle trasformazioni morfologiche e da
quelle demografiche: l’antica Roma è l’esempio più alto di un organismo
urbano aperto, come è vero che il castrum è alla base degli insediamenti
latini. La città nasce o diviene murata a partire da una genesi ben precisa
o secondo un processo strutturato, risultato dell’interazione di specifiche
condizioni storiche, geopolitiche e socio-economiche.

10
Dalla città murata alla città aperta

Nell’immaginario comune la città murata si identifica nella città


bassomedievale, questa affermazione, pur se a buona ragione echeggia
la rappresentazione più emblematica di essa, è una considerazione
ovviamente inesatta. Come abbiamo precedentemente detto, l’atto di
cingere la città, nasce con la città stessa: urbs deriva da orbis (cerchio)
o, parimenti, da urvare (tracciare il solco), azione che rimanda sempre alla
circolarità del gesto. A ciò possiamo però aggiungere che da un punto
di vista puramente tecnico-costruttivo, se per perimetro intendiamo un
apparato murario, le prime cinture fortificate appartengono alle antiche
civiltà della storia (databili intorno al III millennio a. C. e geograficamente
collocate nei territori dell’Egitto e della Mesopotamia). Occorre specificare
che la letteratura in materia di fortificazioni va di pari passo con le tecniche
e l’ingegneria militari, privilegiando un iter critico fondato sull’arte bellica
e, conseguentemente, lasciando in secondo piano gli aspetti di indagine
urbana e la simbiosi strutturale che sussiste tra l’urbs e il suo limes.
A questo tipo di indagine, a cui fa seguito una cospicua produzione,
dice Guglielmo Villa, corrisponde una ricerca «tutto sommato modesta»,
così la definisce, «capace di andare oltre gli essenziali aspetti tecnologici e
militari», sottolineando che il contributo fondamentale apportato da Gazzola
e Marconi alla fine degli anni Sessanta purtroppo non ha avuto un largo
seguito11. Si intende qui fornire pertanto un brevissimo discorso introduttivo
di questo limite, inteso come estremità ultima della città, fornendone una
visione più dialettica con lo spazio urbano e la pluralità dei significati assunti
nei differenti contesti storici.

Dalle civiltà antiche alla classicità, le mura ciclopiche. Nel bacino


mediorientale già le città degli Assiri e dei Babilonesi erano provviste di
possenti cinte murate a protezione del nucleo sacro. In tal senso De Seta
interpreta il binomio centro–limite come fondamento strutturale della città
e fa corrispondere all’ Axis Mundi, la dimora divina (il tempio) – o la dimora
regale (il palazzo)– e al recinto, il circuito murato, spesso reiterato come
nello sviluppo della ziggurat12.
Nel territorio europeo le prime opere fortificate che si sostituiscono ai
terrapieni, ai margini di terra e fango, agli insediamenti di palafitte delle
società primitive (va ricordato che l’acqua è il primigenio limite difensivo),
sono mura ciclopiche13 o megalitiche, così definite poiché costituite da
grandi blocchi lapidei, sovrapposti a secco, inespugnabili in caso di difesa,
ma non altrettanto vincenti nell’attacco. Di questo immenso repertorio,
dilatato tanto nel tempo quanto nello spazio, Le Goff suggerisce che si
distinguano due grandi macrocategorie, quelle delle civiltà antiche, incluse
le civiltà classiche, e quelle tardoimperiali14. Nel territorio italiano citiamo
solo alcuni esempi significativi come le etrusche Volterra, Amelia, Orvieto,
Tarquinia, Perugia, che ancora oggi ne mostrano l’imponenza, o quelle della
11
Magna Grecia come il Castello di Eurialo a Siracusa, concepito come
una vera e propria cittadella militare con trincee defilate e camminamenti
scavati nella roccia.
In merito alla città greca su modello ateniese va detto che l’apparato
semantico mostra numerose analogie con la futura città bassomedievale.
Si tratta infatti di una città-stato, una città indipendente dunque,
necessariamente delimitata da una cinta murata, ma in essa tale elemento
indica non tanto un limite militare e difensivo, quanto piuttosto uno
status socio-politico: chi vive all’interno di essa appartiene alla comunità.
Questa separazione però, spiega Benevolo, fa comunque del modello
classico greco una città aperta15, in diretto dialogo, a livello fisico, con il
suo territorio e a livello culturale, con l’altro, lo straniero. Si pensi al valore
sacrale della ξενία (xenìa, ospitalità). «La città è il centro e sta al territorio
come l’agorà sta alla città, non più secondo un rapporto gerarchico, ma
secondo un rapporto di simmetria reciproca che è la condizione essenziale
dell’ἰσονομία (isonomia)»16.

L’età romana, il castrum. Lo schema distributivo dell’urbs ha matrice


militare poiché nasce dal castrum, come spiegano Vitruvio e Polibio
su semplificazione del modello greco di Ippodamo di Mileto (splendido
esempio in Italia ne sono Paestum e Selinunte).
Il disegno del territorio per il controllo e l’amministrazione politica
stabilisce una fitta rete infrastrutturale destinata a perdurare nei secoli.
Lungo i principali assi viari e sulle zone costiere a presidio dei mari, le città
romane si sviluppano a partire dalle preesistenze insediative o nascono
di nuova fondazione secondo il modello militare della scacchiera, la
centuriatio, l’ager centuriatus sono l’applicazione castrense in ambito
agricolo.
Le mura urbiche romane si contraddistinguono per la regolarità
geometrica, che rispecchia la struttura urbana, per l’utilizzo di torri
rompitratta esagonali o circolari e porte poste lungo gli assi cardinali.
Le fortificazioni romane, va detto, sono più presenti lungo i limites
data la sicurezza dell’Impero, mentre all’interno le cinte murate hanno
funzione economico-amministrativa in quanto l’unità territoriale non
richiede significativi accorgimenti difensivi e prevale il tipo di città non
fortificata: Roma ne è il più grande ed eloquente esempio. Con la
decadenza imperiale però tutto cambia. «Le città cresciute liberamente
al riparo della pax romana e delle frontiere lontane devono cingersi
di mura, quindi scegliere un perimetro definito, da consolidare e da
difendere»17.
Nel 274 d.C. vengono realizzate le mura aureliane di Roma che
incorporano una superficie di 1350 ettari, un’estensione esigua in
relazione alle reali dimensioni dell’Urbe. Lo stesso si può dire delle
città della Gallia, come il caso di Bordeaux, Nimes, Auten, dove la
cinta muraria si limita a racchiudere solo il nucleo centrale delle città. Il

12
significato sacro, simbolico e politico delle mura cede all’urgenza della
difesa e all’esigenza di una chiusura militare netta e essenziale per
contrastare le insidie esterne. Ai confini estremi si rende necessario
il rafforzamento dei perimetri urbani e dei valli di frontiera mentre via
mare a causa della pirateria si assiste a un progressivo arretramento
nell’entroterra a discapito dei fiorenti centri marittimi.

«Come nell’età dello splendore la villa di Adriano a Tivoli, libera e


aperta aveva rappresentato l’idea della città-casa integrata con il
territorio, così nell’epoca del tramonto la cultura tecnica romana fornisce
il modello urbanistico della nuova città fortificata: il palazzo di Diocleziano
a Spalato, un quadrangolo castrense rinserrato e difeso da mura, torri,
porte e altri manufatti militari»18.

Sarà proprio il palazzo di Spalato un modello di riferimento di grande


importanza per le cinte murarie medievali.

L’Alto Medioevo, il castello feudale. La divisione territoriale politica dopo


la caduta dell’Impero muta radicalmente l’assetto paesaggistico europeo.
Dal disegno programmato e unitario della Roma imperiale si passa ad un
diffuso particolarismo politico e sociale che sfocerà poi nella disgregazione
dei grandi centri urbani. In un territorio ormai impervio e ostile prevale il
modello della città-stato del sistema feudale, spesso collocata in luoghi
impervi e difficilmente raggiungibili. Piccoli nuclei abitativi si sviluppano
intorno a castelli e abazie, luoghi di protezione che garantiscono
sostentamento e ricovero. Va certo ricordato che è in questo convulso
periodo storico che nasce il cosiddetto fenomeno dell’incastellamento e
che, nonostante l’indelebile impronta romana, l’Europa è inequivocabilmente
figlia di questo Medioevo. Il processo che porta ad un nuovo assetto però
è lungo e incostante ed è il frutto di precari equilibri storico-politici. Nel
complesso quadro emerge una netta distinzione tra l’area mediterranea,
dove permangono due grandi realtà del potere centrale – l’impero
bizantino a est e quello islamico a ovest– e la complessa frammentazione
politica dell’area centro e nordeuropea. Non potendo soffermarsi a lungo
sulle vicende storiche, si intende però sottolineare il valore per così dire
embrionale che risiede nei contraddittori e oscuri aspetti di questa lunga
epoca, considerata forse erroneamente, di passaggio. E il tal senso sempre
Benevolo torna a supporto:

«nei ‘secoli bui’ la cristianità occidentale si trasforma radicalmente e


dalla geografia tradizionale del mondo mediterraneo emerge quella nuova
realtà storica che da allora in poi si chiama Europa. […] La durevolezza
della scenario fisico, rispetto agli elementi della vita civile, producono
l’anacronismo di una società che si sistema nel guscio di un’altra scomparsa,
con cui non è in grado di competere né tecnicamente né intellettualmente.

13
Da allora la convivenza con le ‘rovine’ del mondo antico rimane una
costante della civiltà europea e trasmette, oltre i modelli di un’architettura
altamente perfezionata, esemplare a molti secoli di distanza, il senso fisico
di un’altra civiltà incombente»19.

È su queste premesse che si sviluppa la città europea. Il sistema


murario difensivo d’altronde in tale condizione storico-politica diviene
un elemento centrale alla sopravvivenza della città. Da un lato la grande
recessione demografica degli antichi nuclei urbani rende questo
oggetto tanto indispensabile quanto alieno: un tempo retratto rispetto
all’espansione cittadina, ora appare disposto a debita distanza dal centro
abitato, emblematico in tal senso è sempre il caso di Roma dove la
popolazione si sposta lungo le sponde del Tevere e le mura tardoimperiali
divengono un continuum fortificato lontano che si fonde con il paesaggio
rurale. Dall’altro, la nascita dei centri monastici fuori le mura è il seme
fecondo per una nuova espansione extra moenia che non tarderà a dare
i suoi frutti.
La divisione politica invece a nord, che culmina nel sistema di matrice
feudale del Sacro Romano Impero, sarà la rete territoriale di un nuova
geografia destinata a perdurare nei secoli. Le mura, oltre che apparato
difensivo, esprimono il simbolo del potere dei Signori che lo abitano. In
quest’ottica esse sono la rappresentazione del dominio e del controllo che
il padrone esercita sulla classe contadina a lui sottomessa e la protezione
offerta diviene il pretesto per un assoggettamento volontario. L’opera
monastica, non certo di minor rilievo, è quella linfa vitale su cui si fonda
gran parte dell’eredità del pensiero antico a noi pervenuto: è a partire
dal lavoro intellettuale e manuale degli ordini regolari che si delineano i
caratteri fisici del paesaggio rurale e quelli tecnici e culturali di quella che
sarà poi la Rinascenza.

Il Basso Medioevo, la città murata. La rinascita dell’anno Mille vede


protagonista la città: quel fenomeno centrifugo che aveva caratterizzato
gli antichi centri urbani dell’Europa tardoimperiale assiste a una netta
inversione. L’aumento demografico, l’incremento degli scambi mercantili
e quindi culturali, lo sviluppo delle arti e delle tecniche, fanno rifiorire le
città come poli propulsori di un nuovo mondo in ascesa. Le nuove vie di
comunicazione, tanto religiose quanto commerciali, diminuiscono gli spazi
accorciandone le distanze e sorgono nuovi importanti assi di collegamento
(si pensi agli scambi tra il Nord Italia e le città della Lega Anseatica). I centri
cittadini assumono autonomia economica e politica, affermando la propria
indipendenza e identità. Quell’assenza di libertà che aveva caratterizzato
il sistema sociale dell’età feudale si ribalta all’interno delle mura urbane in
una profonda simbiosi tra luogo fisico e cittadinanza.
Una lunga dissertazione si aprirebbe in merito all’urbanistica medievale,
ma ciò che qui più interessa, in funzione dello studio proposto, è che le mura
14
in generale assumono nella città del Medioevo una pluralità semantica e
un valore centrale al punto di identificarsi con la città stessa: esse sono
la parte per il tutto, parlando per figure retoriche, una sineddoche urbana.
Opere pubbliche la cui realizzazione richiede un immenso dispiego di forze
e un notevole impegno pecuniario,le cinte murarie non sono solo strutture
difensive, ma sono il simbolo stesso della città, sono la linea dialettica tra
la vita cittadina e il contado e incarnano l’immagine della comunità. «Il
disegno stesso delle mura […] diventa molto facilmente una specie di
‘logo’, l’immagine che le mura producono è tanto più carica di simbolismo
in quanto essa non si riduce ad un semplice muro, una linea, uno spessore,
ma è un’integrazione di luoghi che ne diversificano e ne accrescono il
carattere di simbolo»20. Le mura quindi intese come immagine della città
ne esprimono parimenti la forma fisica, l’identità collettiva e il potere politico.
Nell’iconografia medievale italiana spesso sono rappresentate tra le
mani del santo patrono, quale anello che unifica il tutto (si riporta l’esempio
di San Gimignano o quello più tardo di Bologna), mentre nella pittura due-
trecentesca si incontrano sovente come lo sfondo, se non la scena prima,
della rappresentazione sacra. Solo per citarne alcuni: Giotto ne La cacciata
dei diavoli da Arezzo ad Assisi o nell’ Incontro di Anna e Gioacchino alla
Porta d’Oro a Padova, ma anche Duccio di Buoninsegna ne L’ingresso di
Cristo in Gerusalemme a Siena. Nondimeno la cinta muraria appare negli
stemmi araldici dei Comuni e in essi le corone turrite ne simboleggiano
la massima onorificenza21. «Le mura avevano il ruolo esornativo di ogni
altro tema collettivo della città ed anzi – come osserva Bechmann –
erano costruite con assai maggior cura delle cattedrali, con blocchi di
pietra regolari e commessi alla perfezione. […] Le mura materializzavano
la sua personalità – della civitas (n.d.a.) – di soggetto politico tra gli atri
soggetti politici»22. Possiamo quindi affermare che le fortificazioni urbane
rappresentano la comunità che ne fa sfoggio, dunque «sono il contenitore
materiale della cittadinanza»23 e, in coerenza a ciò, sono pertanto l’opera
pubblica per eccellenza. «Le mura, infatti, vuoi per il costo della costruzione
e della manutenzione, vuoi per la natura collettiva delle loro funzioni, sono
sempre state una componente pubblica della struttura e dello spazio
urbano»24. Mumford ne offre un’enfatica descrizione, che riassume i
caratteri dominanti dell’immagine fisica della città murata nel pensiero
medievale:

«[…] e il muro, in particolare, con il suo fossato esterno, fa della città


un’isola. Esso, però, non era soltanto un dispositivo militare ma un simbolo,
importante, quanto le guglie delle chiese. La mentalità medievale trovava
conforto in un universo di definizioni nette, di muri solidi e di panorami
limitati; persino il paradiso e l’inferno avevano confini circolari. Mura di
tradizioni circondavano le classi economiche e le facevano stare al loro
posto. La definizione e la classificazione erano l’essenza dell’epoca. […]
Non bisogna dimenticare l’importanza psicologica delle mura. Al tramonto,

15
quando venivano calate le saracinesche e chiuse le porte, la città era
isolate al mondo esterno. Questi recinti contribuivano così a creare un
sentimento di unità oltre che di sicurezza»25.

Le mura nel Medioevo, in ultima istanza, sono però anche un dispositivo


permeabile di primaria importanza per la vita cittadina: esse sono la
cerniera tra città e campagna, un elemento di controllo amministrativo e
daziale. Come luogo di scambio di uomini e merci, costituiscono lo spazio
bifronte tra la città e il territorio. La cinta murata è il luogo che designa e
disegna la città e la città è quel centro nevralgico a cui il contado afferisce,
pur se, è più corretto dire, a cui il contado è costretto a subordinarsi26.

Il Quattrocento e il Cinquecento, la città fortezza. L’introduzione della


polvere da sparo e la radicale trasformazione dell’arte della guerra determina
un totale cambiamento degli assetti difensivi delle città. Le vecchie mura
medievali dalle alte torri, non sono più efficaci alla difesa, ma facilmente
espugnabili al colpo del cannone. Le mura assumono proporzioni più tozze
a favore di una resistenza massiva. Anche il raggio d’azione nell’attacco non
è più la limitata distanza delle frecce scoccate da un arciere, implicando la
necessità di un disegno differente dello spazio fuori le mura.
Numerosi sono gli accorgimenti tecnici per ovviare a tale problema, ma
è all’intelligenza degli ingegneri militari italiani che si deve la soluzione: le
fortificazioni bastionate. Il bastione infatti, un elemento a forma di freccia,
nasce a sostituzione della torre quadrata o circolare: esso contiene una
spazio detto gola dove vengono posizionati i cannoni rendendo l’elemento
difensivo un’imprevedibile macchina bellica.
L’introduzione del fronte bastionato avrà ben presto una ripercussione
repentina su tutto il resto d’Europa modificando i perimetri dei nuclei
urbani più importanti. Il mutato assetto dell’architettura militare in base alle
nuove esigenze belliche non è però l’unico spartiacque in tema di perimetri
murari. Gli studi umanistici e la rivoluzione del pensiero europeo, ciò che
intendiamo da ora in poi Età Moderna, trasformano radicalmente la città
dal suo interno. Le nuove scoperte tecnologiche, il fermento artistico,
letterario e filosofico costituiscono un nuovo apparato semantico su cui
si fonda questo mondo nuovo che, particolare non trascurabile, include
anche il Nuovo Mondo, dilatando immensamente i confini fisici e culturali
di quello allora conosciuto. Quella trasformazione culturale che si origina
dalla ricchezza dei commerci, dalle conquiste intellettuali dell’Umanesimo
e del Rinascimento italiano e dal mecenatismo delle corti Europee è
indiscutibilmente figlia di quel Medioevo tanto mistico quanto operoso, ma
ne è altrettanto lontana nella sostanza e nella forma.
In questo contesto le mura della città cambiano il loro significato e non
solo il loro perimetro e le loro sembianze. Da un lato le sedi principesche
fanno delle nuove mura bastionate lo sfoggio del loro potere e della loro
raffinatezza, dall’altro la centralità evocativa e iconica del circuito murario,

16
identità della civitas, non esiste più poiché non è che l’immagine riflessa
di una collettività perduta. Protagonista indiscussa invece è l’architettura
urbana che a seguito della scoperta della prospettiva lineare si concentra
sullo spazio intra moenia, come espressione di un nuovo ordine intellettuale,
artistico e politico27.
Il dittico strutturale città-campagna della città medievale perde il carattere
fondante della rete territoriale e diviene un pretesto compositivo nella
progettazione del disegno urbano. Quel concetto di paesaggio, di cui Petrarca
è riconosciuto come lo scopritore estetico28, si insinua nell’architettura delle
città ideali in un graduale e misurato passaggio verso quello che d’ora in
poi possiamo chiamare panorama: ne sono esempi, direi perfetti, Pienza e
Urbino. D’altra parte, gli studi sulla città ideale, sia in campo ingegneristico
che filosofico (Utopia di Moro è del 1516), sviluppano un nuovo modo di
intendere lo spazio urbano e danno vita a una fiorente trattatistica in tale
ambito. Filarete, Francesco di Giorgio Martini, Fra Giocondo da Verona,
Michele San Micheli, i Sangallo, Rossetti, sono solo alcuni dei nomi più noti
tra i progettisti militari italiani. Nascono in questo periodo città modello di
nuova fondazione come Sabbioneta, Palmanova, la cittadella di Anversa o
Jaca. Dalla riformata arte bellica derivano tutte le nuove cinte murarie delle
città cinquecentesche, in Italia citiamo Milano, Ferrara, Lucca, ma in breve
tempo tutte le città europee di maggior importanza vengono bastionate. La
città ideale però «è una città compiuta, un ordigno militare, non la sede di una
comunità: […] perfetta come un cristallo, ma incapace di ogni adattamento,
essa è il simbolo del potere assoluto, non della democrazia comunitaria»29.
Questa la grande divergenza con la città murata medievale. Quella simbiosi
tra la cinta fortificata e la città, icona dello spazio fisico e della comunità, pur
se riecheggia ancora oggi nel forte potere evocativo di certi antichi perimetri,
è destinata a svanire. Quell’elemento che aveva costituito l’orgoglio di una
collettività libera inizia il suo graduale percorso verso quell’immagine, presto
ostile, di un’autorità tirannica e imposta.

L’era industriale: la dissoluzione delle mura. La decadenza politica che


caratterizza tutta la penisola italiana nel XVII secolo, non porta sostanziali
sviluppi alla tecniche di guerra e in generale all’arte fortificatoria. Il contesto
nordeuropeo invece è molto più fiorente in tal senso e tra tutti si distingue il
nome del Conte di Vauban, il principale ingegnere militare di epoca barocca:
Mont Luis sui Pirenei o Neuf-Brisach in Alsazia ne sono eccellenti esempi.
Alla sua opera sono ispirate le fortificazioni di Torino e Napoli. Ciò che invece
determina una trasformazione radicale nella storia delle fortificazioni sono le
guerre napoleoniche. All’inizio dell’Ottocento la guerra si sposta in un campo
di battaglia in continuo movimento; occorre dunque fortificare non le città,
ma l’intero territorio. Lo spazio militare diviene lo spazio periurbano e le grandi
opere di difesa vengono poste nei punti strategici del paesaggio naturale.
Un grande cambiamento si appresta però a trasformare radicalmente il
mondo fino allora conosciuto, che muterà gli equilibri territoriali molto più

17
che la guerra e le sue tecniche di difesa: la rivoluzione industriale. La città
si appresta a vivere trasformazioni epocali come la società che in essa
opera e vive. D’altro canto l’industrializzazione è il risultato di una revisione
totale dell’intero patrimonio culturale che porta a tutte le affascinanti
contraddizioni del Settecento prima e dell’Ottocento poi.
Dalle scoperte scientifiche e tecnologiche agli studi archeologici e
classici, dal pensiero illuministico allo storicismo romantico, dai nuovi
valori francesi al conservatorismo, dal progressismo allo stato di natura
di Rousseau, il pensiero della società industrializzata produce i più
contrapposti effetti di un ribaltamento repentino di cui protagonista è la
nascente classe borghese. Un impatto quello della Rivoluzione Industriale
che cambia le dimensioni e la visione di un vecchio mondo dai lenti
mutamenti, trasportando l’uomo in uno nuovo spazio e un nuovo tempo.
E tornando a parlare di mura, così come il mondo, anche la città
oltrepassa i suoi limiti. Gli stabilimenti industriali per esigenze di spazi si
spostano fuori della cinta muraria e con essi nascono disordinati e sconfinati
quartieri dove, nonostante le felici premesse teoriche, dimora l’alienazione
umana. Le città utopiche di Owen e Fourier del secondo ventennio del XIX
secolo possono essere infatti intese, pur se con le dovute riserve, come
il tentativo di fornire una risposta alle periferie degradate e fumose, figlie
dello sviluppo industriale.
Ma è dalla metà dell’Ottocento che il paesaggio urbano si appresta
a revisionare la sua forma. La città europea ottocentesca necessita di
un restyling, di un nuovo ordine, di una pianificazione concreta che sia
lo specchio del suo tempo. Protagonista assoluto di questo progetto
è Georges Eugène Haussmann, il Barone Prefetto di Parigi. In soli
diciassette anni la capitale francese muta radicalmente il suo volto: la città
viene servita da infrastrutture idrauliche e fognarie all’avanguardia, da un
nuovo piano per l’illuminazione a gas (Parigi era già stata la prima città a
realizzare un’illuminazione centralizzata nel 1825). La Ville Lumière è un
cantiere continuo di opere pubbliche, ospedali, scuole, servizi e viene dotata
di un’efficiente rete di trasporti pubblici. Tutto converge in un’immagine
moderna ed esemplare, ma in questo nuovo assetto c’è una discrepanza
evidente: quella tra la città dei grandi boulevard e la città storica.

«L’hausmannizzazione conduce a distruggere i centri antichi. Nasce una


retorica tendenziosa che esagera la fatiscenza, l’insalubrità, lo squallore
delle parti più antiche della città ed entra anche nel linguaggio burocratico
e celebrativo; […] L’apertura di una nuova strada ampia in un tessuto
minuto porta nomi suggestivi: percement, sventramento»30.
All’esempio di Parigi segue una riforma interna di tutte le capitali europee
e, ahimé, un numero infinito di errate demolizioni. Tra esse non fanno
eccezione le mura che, come oggetto obsoleto di un’epoca ormai superata,
escono dalla scena per lasciare spazio ai grandi viali di circonvallazione.
«L’abbattimento delle mura perimetrali, che avviene quasi dovunque, è

18
associato alla rottura dei vincoli del passato, alla conquista dell’aria, della
luce, della libertà di movimento»31 Le mura storiche non sono soltanto
un impedimento all’igiene, ma sono un ostacolo alla città in espansione
del progresso positivista di fine secolo e, prima ancora, sono il simbolo
scomodo di un sistema da soverchiare, di una tradizione che non ha più
valore e, in molti casi, dei soprusi di un tirannico Ancien Règime sopportato
per troppo tempo. Con l’avvento dei trasporti pubblici e meccanizzati esse
sono una barriera ingombrante e antiquata e come dice Le Goff divengono
dei “vecchi ronzini”32, un retaggio da eliminare per modernizzarsi.
La distruzione del limite murario comporta, d’altro canto, una ferita
profonda nel tessuto edilizio la cui cicatrice però continua a marcare un
netto confine tra il nucleo antico e la città moderna.

«Rappresentando la definizione anche estetica della città, le mura ne


costituiscono un segno che, saldamente ancorato alla memoria storica della
popolazione, continua a sopravvivere per lungo tempo, anche molto dopo
una loro eventuale demolizione. Se demolendo la cinta si elimina un indubbio
vincolo fisico all’espansione urbana [....], nondimeno il segno resta, in quanto
il tracciato dei viali di circumvallazione, nel delimitare altrimenti il centro
storico, ne accentua pur sempre il carattere. Così mentre l’edificazione delle
mura medievali e moderne aveva contribuito a definire per secoli la forma
urbana, e dunque l’idea stessa di ogni città e della città più in generale, il
successivo intervento di demolizione sancisce in modo radicale, anche in
termini formali, il cambiamento dell’immagine urbana»33.

Si ritiene di poter dire che è quindi dalla città industriale in poi che le
mura passano dall’essere un limite esterno all’essere un limite interno alla
città: non tanto perché nel passato non fossero state già protagoniste
di questo cambiamento (che sostanzialmente muta naturalmente con le
modificazioni dello sviluppo della città), ma piuttosto perché quello stesso
limite, che aveva costituito un elemento strutturale dell’organismo urbano,
viene meno a favore di una nuova immagine di città che è madre della città
diffusa contemporanea: la città aperta ottocentesca.

19
Il concetto di recinto come simbolo iconico
dell’architettura negli ideogrammi e
pittogrammi egizi e cinesi.

(città) (casa)

Il termine città (yi) e nazione (guò)


derivano da recinto.
Wéi Wéi
(recinto o confine) (recinto)
pittogramma ideogramma
arcaico moderno

Quadrata Roma a Romulo condita, in Antiqua Urbis Romae


cum regionibus simulacrum, di Fabio Calvo, Roma, 1527.

20
Annibale Carracci, Storie della fondazione di Roma,
Palazzo Magnani, Bologna, 1590.

21
Mura ciclopiche di Amelia, V- IV sec. a. C.

22
Il palazzo di Diocleziano a Spalato, 293-305 d. C.

23
Nordlingen, Germania.
Dall’immagine si nota il primo tracciato murario del X secolo e il secondo del 1327.

24
Taddeo di Bartolo, San Gimignano da Modena che tiene in mano la città,
Museo civico di San Gimignano, 1391.

25
Pienza, relazione della Piazza Pio II e del Palazzo Piccolomini con il paesaggio naturale fuori le mura, 1459.

26
Palazzo Ducale, Urbino, 1454 - 1560.

27
Cittadella di Jaca, Spagna, 1592.

28
Demolizione delle mura di Firenze secondo il piano Poggi, 1865-1869.

29
Seconda parte

Per una strategia d’intervento:


linee guida al progetto
Le mura come interfaccia urbana nella città contemporanea

Dopo aver indagato l’iter semantico dell’oggetto “mura” a partire dal


concetto di “recinto” fino alla dissoluzione fisica e simbolica di esso
nelle grandi demolizioni ottocentesche, risulta implicita la necessità
di una riflessione, pur se in chiave critica e sintetica, su come questo
manufatto oggi vive, o per meglio dire, sopravvive all’interno della città
contemporanea.
La ricerca qui proposta muove i suoi primi passi proprio a partire
da un quesito primo: che ruolo assumono oggi queste architetture
del passato? Includendo in esso numerosi altri interrogativi: come
le antiche fortificazioni si relazionano al tessuto urbano della città?
Che immagine conservano della città storica? Che tipo di rapporto
(esclusivo o inclusivo) esse hanno rispetto alla città d’espansione?
Ne consegue che un passaggio obbligato per approdare ad
una consapevole argomentazione del problema – e alla successiva
formulazione di una possibile strategia di azione – debba ricadere
inevitabilmente sull’analisi di possibili approcci del progetto
contemporaneo in termini di recupero e valorizzazione di queste
antiche architetture.
In base a quanto detto, occorre precisare che le mura antiche
nella città contemporanea, in molti casi, specie in quelli di cattiva
conservazione, o frammentaria, del circuito originario, sono spesso
percepite come un bene patrimoniale di serie B. Si potrebbe
definire questa un’affermazione azzardata, ma purtroppo la sua
validità è confermata da numerosi esempi, nonostante la letteratura
di riferimento ponga in luce l’indiscutibile valore storico-artistico di
questi manufatti. Sia per la consueta mancanza di fondi, sia perché
trattasi in larga parte di opere complesse di tipo lineare e non
puntuale che vedono la commistione di proprietà pubblica e privata,
le amministrazioni pubbliche sono spesso portate ad anteporre la
conservazione di beni singoli a quella delle mura, facendo sì che non
di rado queste antiche cerchie siano passate dall’ essere strutture
di margine a divenire strutture spesso marginali. Tuttavia, grazie
all’azione efficace di riqualificazione, numerosi sono i casi più fortunati
che mettono in luce il grande potenziale di questi antichi perimetri
murati, forse proprio per l’incommensurabile valore urbano che certi
apparati architettonici hanno mantenuto nei secoli. Come afferma
Guglielmo Villa: «un aspetto da cui non si può prescindere nello studio
delle fortificazioni o delle architetture fortificate è costituito dalla loro
comune dimensione urbanistica: una peculiarità che attiene alle cinte
murarie, ma anche a molti singoli poli fortificati»34.

32
I circuiti storici, pur avendo perso l’antica funzione militare e in molti
casi il valore simbolico-identitario della città, si mostrano all’immagine
urbana non più come baluardi inespugnabili, ma piuttosto come
affascinanti pezzi di storia incastonati nel tessuto edilizio, di cui però
l’antica presenza rivela ancor oggi un’innata attitudine alla trasmutazione
tra la dimensione architettonica e urbana. Questa flessibilità spaziale
è strettamente legata a un’altra importante considerazione: al di là
delle infinite sorti che queste opere possono aver avuto in relazione
all’evoluzione del perimetro antico, gran parte di esse presentano un
denominatore comune e cioè il loro nuovo posizionamento rispetto a
ciò che chiamiamo città.
Quello che emerge infatti non è tanto il come, ma il dove si trovano
oggi le mura nel contesto urbano. Le mura, che hanno disegnato
la forma della città per secoli poiché linea perimetrale del nucleo
insediativo, sono nell’epoca odierna un segno contenuto dalla e nella
città stessa. Il circuito murario infatti, pur se non stabilisce più un
limite ultimo, segna un limite interno: quello tra la città antica e la
città d’espansione. Assumere come dato primario tale fondamentale
divergenza rispetto al passato e considerare le conseguenze di questa
traslazione spaziale nel rapporto mura-città, è il punto di partenza per
un corretto indirizzo del progetto contemporaneo. Tale premessa è
imprescindibile ed è il concetto originario da cui muove l’intera ricerca.
Ciò detto, il procedimento utilizzato in una prima fase di indagine parte
dalla catalogazione di alcuni casi-studio, attraverso la compilazione di
schedature di opere contemporanee.
Al fine di circoscrivere temporalmente e geograficamente le opere
per procedere a una più valida comparazione, sono stati selezionati
progetti posteriori all’anno 2000 riguardanti l’area italiana e quella
iberica. Questa catalogazione iniziale ha messo in luce una prima
fondamentale differenza, quella tra circuiti integri e circuiti interrotti.
Dovendo qui sintetizzare in forma critica i risultati di questo primo lavoro
possiamo affermare che indiscutibilmente lo stato di conservazione
dell’intero circuito è il criterio primo per distinguere le differenti
tipologie di approccio al progetto contemporaneo sulle mura storiche.

I circuiti fortificati integri. In questa distinzione, prendendo in esame


i perimetri urbani fortificati ancora intatti, o quanto meno riconducibili
a un’integrità quasi totale, la datazione delle architetture militari è
un dato fondamentale. Ad esempio le mura bastionate, successive
all’introduzione della polvere da sparo, sviluppando un raggio di azione
più ampio, sono caratterizzate da importanti spazi verdi all’esterno: ciò
ha consentito in tempi odierni la progettazione di estesi parchi lineari
cittadini fuori le mura. Questo è il caso delle città italiane di Ferrara o
di Lucca, ma anche di Piacenza, Pisa o Verona. Ciononostante estese
aree a verde fuori dalle fortificazioni urbane sono spesso frequenti

33
anche per apparati militari più antichi: una menzione particolare in tal
senso meritano le Mura Aureliane di Roma, di origine tardo-imperiale,
per le quali è stato redatto nel 2003 all’interno del PRG di Roma
uno dei cinque ambiti di programmazione strategica: il progetto del
parco lineare integrato intorno alle mura è stato sviluppato con la
consulenza scientifica dell’Università di Roma La Sapienza.
In caso di cinte medievali invece, è interessante vedere come
mediamente il tessuto urbano extra moenia sia cresciuto più a
ridosso dell’apparato militare, pur se va premesso che ogni caso è a
sé e che i contesti storici e politici, la morfologia urbana e nondimeno
la dimensione della città stessa, nonché il rapporto tra il nucleo antico
e l’estensione urbana, possono concorrere a determinare numerose
varianti la cui descrizione meriterebbe uno studio a parte.
La morfologia territoriale ad esempio e la posizione, di pianura o di
altura, costituiscono un elemento determinante nella trattazione delle
fortificazioni. In molti casi, specie se si parla di centri minori d’altura, la
forma urbana medievale è ancora nettamente percepibile: qui i parchi
anulari intorno all’antico perimetro sono lo spazio fisico del dialogo tra
la città e il paesaggio.
Negli ultimi anni sono stati fatti molti concorsi di idee per la
riabilitazione di tali circuiti, per citarne alcuni, quello di San Gimignano
del 2012 in Toscana o quello di Alora in Andalusia nel 2015.
L’aspetto percettivo infatti è una componente strutturante
dell’architettura bellica e allo stesso tempo una caratteristica
preziosa, un apporto unico che tali manufatti donano tuttora alla
città. Quell’ampia prospettiva visiva che un tempo era strettamente
connessa alla strategia militare di controllo, diviene oggi occasione
per percorsi urbani panoramici. In tale direzione anche il ripristino
dell’antico cammino di ronda, come ad esempio nel caso del progetto
di Cittadella in Veneto, offre l’opportunità di rivitalizzare l’antica
architettura murata a fini turistici e culturali e restituire il vecchio
tracciato alla città e ai suoi abitanti.
In riferimento allo sviluppo anulare dei circuiti antichi, è necessario
introdurre una riflessione sul concetto di permeabilità di tali spazi. Il
perimetro fortificato assolve ancora alla funzione di accesso al nucleo
antico e questa caratteristica ha un’importanza vitale anche in ottica
di valorizzazione e rigenerazione dei centri storici. Questi infatti, pur
se nevralgici tanto spazialmente quanto storicamente, spesso sono
altro rispetto all’estensione urbana attuale e lo stato di estraneità
che li caratterizza concorre ad aggravare una condizione di pseudo-
isolamento.
Sicuramente, nella pluralità dei differenti casi, quello che accumuna
ogni perimetro murato è che le antiche porte sono ancor oggi entità
puntuali bifronti su cui si attestano i vettori generatori urbani e gli
assi territoriali. Questi nodi spaziali divengono così i punti di cerniera,

34
e quindi in senso lato di accoglienza, per la città storica. Nondimeno il
tema dell’accessibilità, inteso nel significato ampio del termine, risulta
potenziato dall’imprescindibile esigenza di adattare gli spazi pubblici
alla fruizione di tutte le utenze, incluse quelle diversamente abili.
L’introduzione di dispositivi per superare le barriere architettoniche
conduce a soluzioni di riabilitazioni di intere aree di città e di nuovi
accessi al centro storico, come nel caso dell’intervento di David
Chipperfield a Teruel (2003) o di quello di Carlos Enrich a Gironella
(2015).
Quando il circuito invece risulta demolito in diverse sue parti, se
la demolizione è tale da compromettere l’unità del perimetro murato,
possiamo considerare l’azione progettuale come un’operazione
capillare in cui lo stato di conservazione suggerisce differenti
interpretazioni dell’oggetto.

I circuiti fortificati interrotti. La demolizione dei circuiti murari, pur se in


larga parte ci rimanda ai grandi sventramenti urbani di fine Ottocento,
è in realtà pratica di vecchia data.
A seguito delle conquiste dell’ingegneria bellica le vecchie cerchie
murarie potevano facilmente risultare inadeguate ai nuovi sistemi di
attacco. La demolizione o l’adeguamento, che comportava massicci
interventi sicuramente poco attenti alla conservazione dell’originale,
erano operazioni consuete. D’altra parte la crescita demografica e
l’espansione extra moenia della forma urbana ha spesso portato alla
costruzioni di nuovi perimetri fortificati e all’inglobamento degli antichi
tracciati murari nel tessuto edilizio, adattando gli originari apparati
bellici alle esigenze abitative. È dunque chiaro che queste grandi opere
pubbliche del passato sono giunte a noi in diverse forme e in molti casi
in modo frammentario. Ne consegue che l’operazione progettuale per
la valorizzazione e il recupero di certe strutture murarie risulta quindi
strettamente connessa a ciò che resta dell’antico organismo difensivo.
A sostegno di quanto detto, per una tassonomia a supporto della
ricerca introduciamo alcuni termini chiave che indirizzano ai diversi
approcci contemporanei individuati: la lacuna, il frammento, la rovina,
la traccia.
La lacuna è qui intesa come il pezzo mancante, laddove il tutto è
percepito nella sua totalità ed è evidente l’assenza di una parte.
Il frammento e la rovina invece sono, per così dire, ciò che resta di
un insieme di cui l’unità è andata perduta. Per distinguere il frammento
dalla rovina ci avvaliamo del commento di Franco Speroni a Simmel:

«La rovina conserva la tensione dell’unità dell’immagine perché tale


unità si offra ora, a differenza dell’unità dell’opera, ‘priva di resistenza
nei confronti di tutte le correnti e le forze provenienti da tutte le
direzioni della realtà’35. Pertanto nel nostro discorso utilizzeremo la

35
rovina proprio per indicare questa unità compatta e strutturata nella
forma»36.

Speroni però sottolinea una differenza sostanziale di significati, quello


di frammento da quello di rovina, intendendo per il primo una parte di un
tutto di cui si percepisce una consequenzialità mentre per la seconda «un
accidente assurdo»37 di cui si intuisci però un’esperienza formale unitaria.
La traccia invece è l’emblema dell’assenza, il segno, la memoria
attraverso il vuoto. La lettura delle tracce è quasi sempre visibile nel
tessuto urbano e spesso risulta incisa tanto nella forma quanto nella non
presenza, che è disegno della forma stessa.
Tutti (lacuna, frammento, rovina e traccia) esprimono un graduale
passaggio dalla presenza all’assenza, nella consapevolezza che anche la
mancanza è fondamentale alla comprensione e che spesso il vuoto può
rivelare la stessa efficacia comunicativa del pieno.
Al fine di una breve argomentazione, riportiamo di seguito solo alcuni
esempi tra quelli analizzati.
Dove la preesistenza è pressoché integra, l’azione contemporanea può
contemplare l’intervento sulla lacuna secondo differenti interpretazioni: un
esempio progettuale eccellente è quello della Muralla Nazarí di Antonio
Jiménez Torrecillas a Granada (2006) che sceglie la compensazione
dell’assenza. Il pezzo mancante è ricostruito attraverso un linguaggio
scarnificato capace di astrarre i caratteri costruttivi, portando il visitatore
ad un’esperienza intima, quasi mistica, attraverso giochi di luce ed ombra.
Barozzi e Veiga d’altro canto, nel progetto per il Consiglio Regolatore
D.O. Ribeira del Duero a Burgos (2010), scelgono di colmare la lacuna
accentuando l’assenza volumetrica, ma restituendo la forma originaria del
tracciato mediante l’uso misurato delle composizione e l’introduzione di
nuovi elementi.
Carrilho da Graça nel museo del Castelo de São Jorge a Lisbona (2008)
decide di trattare l’antica fortificazione come un frammento, un reperto
archeologico, come il museo che è chiamato a realizzare, completando
l’unità, ma lasciando l’evidenza del tempo, mentre invece nel progetto di
Comoco relativo al recupero del Castelo Novo a Fundão, la preesistenza
è letta come una rovina ruskiniana. In un’interpretazione quasi pittoresca,
gli architetti attuano un’operazione paesaggistica nell’intorno preservando
l’esemplare presenza di ciò che resta dell’antica cerchia.
La traccia del circuito murato invece, pur nell’assenza dei volumi
è in larga parte sempre leggibile a un occhio attento: è evidente negli
interventi di sventramento ottocenteschi dove i grandi viali si sostituiscono
all’apparato murario, come la si percepisce nelle vie tortuose dei centri
storici dove l’organismo urbano giunto a saturazione ha inglobato le
strutture murarie nel tessuto edilizio.
Qualsiasi sia la causa della perdita del vecchio circuito però possiamo
affermare che l’assenza ne disegna ancora l’immagine. La forma urbana

36
ricalca l’antico perimetro e la resistenza di certe architetture rimane, ne sono
esempio le porte preservate a monumento di Firenze o la toponomastica
delle piazze in sostituzione dei vecchi varchi. Interessante in tal senso è il
recente progetto di Herzog & De Meuron per la Fondazione Feltrinelli di
Milano (2016) in cui è ben inteso il tipo di intervento sulla traccia. Il volume
segue il percorso delle cinquecentesche Mura Spagnole e il disegno degli
spazi e degli arredi pubblici ne rievoca la pianta lasciando in alcuni casi
riaffiorare il piano archeologico.
Quello che interessa di più, al di là di una breve descrizione degli
approcci possibili del progetto contemporaneo sulle cerchie murarie e sulle
fortificazioni, è la resistenza congenita di certe architetture che, nate per
la difesa della città, longeve tanto per la massività quanto per la flessibilità
della loro struttura, appaiono ancora oggi all’interno del tessuto urbano
e sono percepibili tanto nell’integrità quanto nell’assenza. Esse sono
l’espressione del tempo e l’immagine della storia urbana proprio perché
architetture del limite, linee di demarcazione e al contempo disegno della
forma antica della città.
Tuttavia, pur se esautorati dal loro vecchio incarico, questi dispositivi
urbani conservano la capacità di contenere un’unità, quella urbana, e
sono in grado di farlo anche nella traccia che lasciano a terra. Nondimeno,
le mura nella città contemporanea, non costituendo più un margine
perimetrale, rappresentano a livello urbano un’interfaccia tra la città storica
e quella consolidata.
Questa caratteristica ne esalta l’importanza come beni patrimoniali
poiché architetture direttamente coinvolte nel dialogo tra nucleo antico e
contemporaneità. Questo scambio che avviene sul piano urbano in una
consequenzialità fisica, si esprime a livello architettonico nel disegno dello
spazio pubblico attorno a tali manufatti. In tal senso è esigenza primaria
restituire le fortificazioni cittadine ad un uso contemporaneo e soprattutto
collettivo, come è nella natura stessa di un’opera pubblica.
Si potrebbe concludere dunque che recuperare i tracciati murari
antichi è in primis dotarli di un nuovo utilizzo, reintegrarli al fluire della vita
urbana, assumere queste architetture come tali e pertanto adattarle ad una
funzione (la cui specificazione è compito del progetto) in grado di riabilitarli
al contesto odierno.

37
Circuiti murari integri
Riqualificazione del circuito murario di Alora, Spagna, 2015.

38
Città murate e accessibilità
Carles Henrich, Accesso al centro storico di Gironella, Spagna, 2015.

39
Lacuna
Antonio Jiménez Torrecillas, Muralla Nazarí, Granada, Spagna 2006.

40
Frammento
Carrilho da Graça, museo del Castelo de São Jorge, Lisbona, Portogallo, 2008-2012.

41
Rovina
Comoco, Castelo Novo, Fundão, Portogallo, 2008.

42
Traccia
Herzog & De Meuron, Fondazione Feltrinelli, Milano, Italia, 2016.

43
Il progetto architettonico come verifica

La città dentro le mura, le mura dentro la città

Lo studio prende avvio da una chiara constatazione, apparentemente


ovvia, ma affatto banale: traccia della forma della città, spazio misurato
e che misura, i circuiti murari, che per secoli hanno contenuto la
città, sono oggi contenuti all’interno della città stessa. La ricerca si
sviluppa dunque a partire dal mutato concetto di limite che nella città
aperta costituiscono le mura antiche. E conseguentemente, cerca di
comprendere che ruolo esse oggi assumono, o potrebbero assumere,
rispetto alla città contemporanea.
Questo complesso ambito di indagine porta con sé numerose
riflessioni sulla morfologia urbana e sugli aspetti strutturali e
significanti dell’oggetto mura. Ci si interroga infatti sulla funzione che
tale apparato architettonico ha avuto in passato, come linea di confine
tra esterno e interno e pertanto, nella complessità segnica che questo
manufatto assume, lo studio condotto cerca una risposta se ancora
e su come oggi può questo elemento essere il luogo di un osmotico
rapporto tra territorio e città. E parlare di osmosi è qui calzante poiché
le mura sono un elemento di filtro, una membrana, una pelle che
stabilisce la difesa da ciò che è esterno, da ciò che è altro e parimenti
sono il luogo del passaggio, del contatto. Pertanto, proprio come lo
si intende per una cellula in biologia, le mura sono indispensabili alla
sopravvivenza dell’organismo “città”.
Il progetto si mostra dunque come l’occasione per mettere a
sistema la dimensione territoriale e quella urbana, riabilitando in
chiave contemporanea la condizione prima delle mura nella città
medievale (in tal senso si rimanda al noto esempio di Allegoria ed
Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti a
Siena e al binomio città-campagna di cui ampiamente si è parlato nel
primo capitolo).
Questo taglio critico declina nella lettura della città come
paesaggio nel paesaggio, con evidenti rimandi alla definizione di
paesaggio storico urbano di Unesco38, e vuole essere il luogo, fisico
e teorico, per sperimentare la validità di un metodo. Le mura dunque
intese come architetture da recuperare e valorizzare, ma anche come
strumento operativo nella città.
Nel panorama contemporaneo infatti il noto dibattito sulla crisi dei
centri storici – questione ampiamente indagata – ancora oggi stenta
a trovare risposte. Si intende quindi fornire qui un piccolo contributo in
tale ottica, nella convinzione che certe architetture più che altre hanno

44
la propensione naturale, proprio per la loro posizione marginale, a
riabilitare la città antica a partire dalla sua accessibilità. In tal senso, il
termine accessibilità indica il valore inclusivo dell’architettura in senso
lato e pone l’accento sulla valorizzazione dei centri storici attraverso la
connessione con la rete del patrimonio territoriale.
I circuiti murari pertanto costituiscono un’opportunità imperdibile
per la riqualificazione delle città, partendo dall’assunto che essi
segnano ancora un netto confine, quello tra il nucleo antico e la città
d’espansione extra moenia. Nell’intento di determinare le fasi e i
criteri di una strategia di azione per la rigenerazione urbana, le mura,
in questa istanza, sono state affrontate non tanto come oggetto di
restauro architettonico, ma come dispositivo permeabile, soggetto
attivo nello spazio urbano.
Cerchiamo di seguito di dare una risposta sistematica al processo
progettuale adottato in base al campo d’indagine scelto, ai criteri di
valutazione e alle fasi di studio.

Criteri d’indagine: l’esperienza di San Gemini e di Viterbo

La collaborazione alla redazione di due progetti di ricerca del


Dipartimento di Progettazione Architettonica della Sapienza di Roma
– quello per il Masterplan del centro storico di Viterbo, città media
dell’alto Lazio, e quello relativa a San Gemini, centro minore della
regione Umbria – ha reso possibile la sperimentazione di un’indagine
sul campo necessaria alla definizione metodologica progettuale
adattota. In entrambi i casi è stato approfondito il tema della mura
medievali come limite tra città e territorio. La ricerca empirica applicata
ai due casi studio è stata fondamentale all’acquisizione degli strumenti
necessari per la codificazione di un metodo operativo sul terzo caso
studio, che verrà illustrato nell’ultimo capitolo di questo libro.
In primo luogo è opportuno specificare come i due centri urbani
indagati, pur manifestando inattese analogie (prima fra tutte la datazione
delle mura medievali), rivelano numerose divergenze, di cui la più
lampante è certamente quella dimensionale. Era dunque interessante
lavorare su più scale a partire da un’estensione superficiale differente
e allo stesso tempo porre a confronto due circuiti diversamente
conservati. Possiamo definire infatti quello di San Gemini un circuito
interrotto poiché in parte inglobato all’interno del tessuto edilizio e
in parte demolito in seguito all’ampliamento rinascimentale, ma per
buona parte conservato. Mentre invece la cinta muraria di Viterbo è un
fortunato esempio di anello fortificato integro.
Non è qui possibile descrivere le innumerevoli considerazioni di
uno studio comparato che è stato frutto di una ricerca di più di due
anni, ma è utile trarre invece le conclusioni che risultano essenziali alla
comprensione della ricerca proposta.

45
1. Il circuito murario e lo sviluppo morfologico della città.
Dopo aver approfondito lo studio architettonico delle mura
in relazione agli aspetti tipologici e costruttivi, alla storia e
all’attuale stato di conservazione, lo studio dei perimetri antichi
viene indagato dal punto di vista urbano, ponendo a confronto
le trasformazioni della cinta muraria con lo sviluppo morfologico
della città. Questo aspetto risulta determinante per una corretta
lettura dell’evoluzione storica della cerchia fortificata in base allo
sviluppo della città intra moenia e, contestualmente, alle attuali
relazioni con l’estensione della città contemporanea.

2. La scala territoriale: l’indagine sui tracciati antichi e gli itinerari


culturali.
Partendo dalla considerazione che le mura storicamente nascono
come elemento di limite che separa la città dal suo territorio, non
è sufficiente comprendere la sola struttura urbana, ma occorre
capire il dialogo originario tra città e paesaggio. Questa antica
relazione struttura la forma urbis e permette di inquadrare,
sul piano territoriale, la rete di interazioni che determinano la
geografia di un territorio. Questo ambito della ricerca è stato
fondamentale in entrambi i casi per mettere a sistema gli assi
territoriali con i vettori generatori all’interno della città attraverso
le porte della cinta murata.

3. I cammini storici come risorsa.


Nella valorizzazione della rete patrimoniale territoriale gli antichi
cammini costituiscono non solo gli itinerari culturali su cui insiste
buona parte del patrimonio storico, ma sono anche uno strumento
operativo efficace alla conoscenza del territorio e rappresentano
un turismo in crescita. Piccolo borgo d’altura, San Gemini sorge
lungo il tracciato antico della via Flaminia in un paesaggio rurale
di pregio. Viterbo invece, centro culturale e geografico della
Tuscia, è attraversata dal cammino della Via Francigena. Negli
studi intrapresi questi due assi territoriali si sono rivelati tanto
indispensabili a una coerente e consapevole lettura della città,
quanto centrali e strategici al programma progettuale adottato.

4. Il perimetro fortificato come interfaccia tra centro storico e città


consolidata.
Dall’analisi urbana e territoriale emerge quindi l’idea del circuito
murato come interfaccia urbana, luogo del contatto e del
passaggio, linea tra la città antica e quella contemporanea.
Questa riflessione porta con sé una lettura delle cinte murarie
come dispositivi urbani capaci di genare nuove relazioni e, nello
specifico, in grado di attivare nuovi rapporti tra il centro storico e

46
le altre parti di città. Un aspetto questo che interessa fortemente
la rigenerazione dei centri storici proprio attraverso il tema della
loro attraversabilità.

5. Gli ambiti strategici di intervento.


Premessa l’importanza di considerare l’involucro come unità, gli
ambiti strategici di intervento sono quei luoghi lungo il percorso
murato che unitamente agli spazi della contemporaneità si
rivelano centrali al progetto urbano. Queste aree sono gli spazi
di trasformazione e sono aree che presentano omogeneità sia
tematica che strutturale. La ricerca apporta un proprio contributo
in tale direzione individuando all’interno degli ambiti strategici, delle
aree dette di permeabilità. Questa scelta nasce dall’intenzione di
dichiarare sin da subito il programma interno del progetto e cioè
quello di un’operazione mirata alla porosità del tracciato murario.

6. Il progetto urbano come verifica.


La scelta di selezionare un ambito strategico di intervento per
approfondire il progetto a livello architettonico è l’azione concreta
di verificare la validità di un percorso metodologico prescelto.
Questo aspetto è indispensabile alla comprensione di un lavoro
condotto su più scale, poiché ne testa la capacità di controllare al
contempo la dimensione territoriale e quella architettonica.

Perché Siviglia

A completamento dell’indagine sviluppata nei due casi studio di Viterbo


e San Gemini, il caso di Siviglia nasce come l’occasione di verifica
individuale di una metodologia già sperimentata. L’esperienza spagnola
dunque si rivelava come l’opportunità di verificare una metodologia
d’indagine in un contesto non italiano.
La scelta del tema di studio scaturisce dalla valutazione di differenti
fattori, determinati da concomitanti divergenze e analogie. In primis
una diversa estensione della superficie della città antica rispetto ai
casi già affrontati – sviluppare cioè un progetto urbano per una città
di dimensioni medio-grandi (tenuto conto della media dimensionale
dei centri storici nel panorama europeo) – e secondariamente la
datazione delle mura stesse. Siviglia viene dotata del circuito murario
arabo negli stessi anni in cui si fortificano i due casi studio già indagati,
con particolare curiosità poi le datazioni riferite a Viterbo (1095-1270)
sono per così dire coeve a quelle della cerchia almohade (1107
-1240). Questo aspetto è stato un dato determinante poiché, dovendo
circoscrivere il campo d’indagine, si è optato per un approfondimento
sulle mura relativo a quelle di tipo medievale. Ciò va detto poiché,
come è chiaro supporre, il rapporto tra la città e il perimetro fortificato

47
muta notevolmente nel tempo, in base all’evoluzione morfologica urbana
dei centri antichi e soprattutto in relazioni alle trasformazioni tecniche
difensive dell’ingegneria militare. Si pensi ad esempio all’introduzione
della polvere da sparo: la traiettoria di un cannone contempla un raggio
di azione molto più ampio e ha una capacità distruttiva immensamente
più grande delle catapulte o, nondimeno, l’invenzione del bastione
fortificato, di origine italiana, modifica radicalmente l’immagine del limite
della città (ne sono una dimostrazione le città di nuova fondazione del
tardo Cinquecento come Palmanova e Sabbioneta)39.
Quello che poi ha indirizzato la ricerca del caso studio è stata l’idea
di una comparazione tra le città murate italiane, quindi cristiane, con
quelle andaluse, di matrice araba. Infine la componente che si ritiene
decisiva nella scelta è stata quella dello stato di conservazione della
cinta muraria: Siviglia ha un circuito fortificato in gran parte demolito.
Una determinante insolita sembrerebbe ad una prima lettura, in realtà
invece, avendo già lavorato su circuiti in larga parte conservati, si è
ritenuto che un perimetro interrotto avrebbe potuto offrire numerosi
spunti di indagine: capire in primo luogo cosa e quanto resta di una
cerchia demolita, come essa vive e dialoga nella città contemporanea,
lavorare sul frammento e non sull’unità, comprendere il segno dei
tracciati e l’evidente presenza nell’assenza.
Allo stesso tempo era necessario scegliere una cinta muraria che,
pur se demolita, conservasse ancora parti significative, in quantità e in
qualità, per così dire. Insomma un perimetro che avesse le caratteristiche
necessarie, e strategiche, per fondare un lavoro di ricerca. Per questi
motivi quel circuito è stato Siviglia.

Dimensione urbana e territoriale: un apparato sintattico a più scale

In primo luogo possiamo definire, in termini di ricerca, che la metodologia


qui adottata è stata di tipo induttivo, cioè si sviluppa a partire da
un’indagine empirica. Si tratta infatti dell’applicazione di un metodo
già provato al fine della validazione in un contesto differente. Va pur
detto che parlare di metodo in progettazione architettonica può risultare
fuorviante.
Tale argomento non appartiene all’indagine di questo testo, ma si
tiene a precisare che il progetto esula in realtà dalla codificazione di
una metodologia universale. Ciononostante, le variabili infinite che
caratterizzano l’oggetto di una ricerca di questo tipo, che si concretizzano
nell’unicità dei luoghi e nella impossibilità di canonizzare un programma
operativo assoluto, non sono incompatibili alla generale consequenzialità
di certe dinamiche che fondano il processo dell’abitare. Si ritiene pertanto
necessario aggiungere una premessa non strettamente inerente ai
fini dello studio – diciamo piuttosto una precisazione di coerenza di
pensiero – e cioè che, in base a quanto sopra, al termine metodologia

48
si preferisce sostituire quello di strategia. Ciò detto, di seguito si riporta
l’excursus operativo nei sui caratteri salienti e nelle diverse fasi tematiche
affrontate.

Fase 1. L’oggetto architettonico “mura”.


La ricerca parte dunque dallo studio conoscitivo dell’oggetto, dal
suo stato di conservazione e dal rapporto con il tessuto urbano della
città. Sono stati dunque approfonditi i temi tipologici e costruttivi della
fortificazione islamica, lo sviluppo morfologico della medina araba, per
poi procedere alla descrizione del caso studio specifico di Siviglia.
Dall’analisi della letteratura, delle fonti storiografiche e cartografiche, è
stato desunto il processo evolutivo della città in relazione al perimetro
murato. Successivamente è stato mappato il circuito in base allo stato di
conservazione sia fuori terra che a livello archeologico, ove verificato. Si è
pertanto proceduto alla ricerca sulla normativa vigente in materia di tutela
dei beni patrimoniali e da ciò si è desunto il quadro dello stato di fatto del
sistema anulare fortificato.
Rispetto all’apparato lineare del tracciato, particolare attenzione
è stata posta agli episodi puntuali lungo il percorso, quali le torri di
maggior rilevanza storico-artistica e le porte. Nell’ottica di comprendere
l’accessibilità al centro antico della città, le porte, elementi di continuità
e dialogo tra la città intra ed extra moenia, hanno costituito l’oggetto
centrale di indagine per le finalità sottese.
Questa prima fase della ricerca ha avuto come obiettivo, oltre al
doveroso conoscimento dell’oggetto architettonico dal punto di vista
storico-artistico, tipologico-costruttivo e, nondimeno, urbanistico, quello
di individuare i vari frammenti del sistema difensivo antico in relazione
tanto allo stato di conservazione quanto all’assetto attuale della città.

Fase 2. La città e il territorio: i tracciati storici e gli itinerari culturali e


naturalistici.
In secondo luogo l’analisi si è spostata, con un cambio di scala, dal livello
urbano a quello territoriale. Il taglio critico dato allo studio paesaggistico
rivela il programma progettuale interno: individuare cioè quella rete
dei tracciati antichi in grado di mettere a sistema le risorse naturali e
culturali regionali, o nazionali, cercando di comprendere la fruibilità
contemporanea degli antichi segni del territorio.
Comprendere infatti la struttura viaria di un paesaggio nelle sue
differenti fasi storiche significa capire la genesi di un territorio e
l’evoluzione dell’operazione antropica, la rete insediativa e le dinamiche
geo-politiche che hanno portato alla conformazione odierna dei luoghi.
Di questi antichi percorsi poi si è valutato l’attuale utilizzo e la
declinazione effettiva nel contesto contemporaneo in itinerari turistici di
tipo culturale e naturalistico. Il risultato atteso è stato quello di mettere
in evidenza le direttrici prime che strutturano tale rete, ponendole in

49
relazione alle risorse naturali e storico-artistiche del territorio provinciale
e regionale con particolare attenzione a quel turismo considerato di tipo
lento, quale quello pedonale e ciclabile.
Questa scelta è stata determinata da diversi fattori: sia per il
crescente sviluppo del turismo di tale tipo, sia per la sostenibilità
ambientale di questa viabilità, sia per i differenti tempi percettivi di visita.
In base all’analisi preventiva già citata e a quella dei differenti strumenti
urbanistici vigenti, sono stati indicati gli accessi principali di tali circuiti
territoriali in città e l’interazione di essi sia tra di loro che con il perimetro
murato.

Fase 3. La città intra moenia.


Conseguentemente all’analisi di tipo paesaggistico, il livello di indagine
torna al piano urbano con un intento preciso: verificare come l’impalcato
strutturale dei tracciati antichi e degli itinerari culturali e naturalistici a
livello territoriale si relaziona con la città, la intercetta e, parimenti, la
attraversa.
Questa terza fase intende comprendere come i vettori generatori che
costituiscono la morfologia urbana del nucleo storico dialogano con il
paesaggio regionale e declinano in percorsi culturali intra moenia.
In questo contesto è stato necessario procedere a una dettagliata
analisi del piano urbano cercando di capire le trasformazioni della città
rispetto al tessuto edilizio, le dominanti tipologiche dell’abitare e dello
spazio pubblico, l’espansione della città dopo la demolizione muraria
ottocentesca e il complesso rapporto di Siviglia con il fiume Guadalquivir.
La conformazione attuale della città è strettamente connessa al sistema
lineare di questo fiume che nel corso dei secoli ne ha determinato le
sorti, la fortuna e la decadenza. La stessa forma della capitale andalusa
è generata da esso e l’espansione attuale – che procede omogenea
verso est e capillare verso ovest – ne è la diretta conseguenza. Anche
all’interno della città il suo braccio prosciugato in epoca almoravide
lascia un segno netto di cui l’Alameda de Hercules ne è il più lampante
esempio.
Alla luce di numerose considerazioni quello che emerge è che la
città gravita da sempre verso sud, questo anche a causa delle frequenti
esondazioni fluviali a nord, e che la parte settentrionale di Siviglia, pur
costituendo la prima porta geografica dalla Castiglia, risulta ad oggi
totalmente in ombra rispetto al fulcro meridionale della città. L’analisi dei
tracciati storici però delinea un quadro differente, in cui l’egemonia del
settore sud rispetto a quello nord non appare tanto netta e il baricentro
sivigliano non risulta così sbilanciato.
Ne consegue che l’intervento sul perimetro murato, per sua natura
anello che racchiude e unifica le varie parti della città, si rivela come
un’importante risorsa a livello urbano per ristabilire antichi equilibri
e riproporzionare tale divario. Giunti a questo punto l’attenzione della

50
ricerca dunque si sposta sul tracciato fortificato, cercando di mettere in
luce le potenzialità del circuito in base a ciò che si verifica lungo il suo
percorso. Vengono pertanto analizzati i luoghi del perimetro murato con
particolare attenzione allo spazio pubblico aperto e ai beni storico-artistici,
catalogati in base alla distanza dalla cinta. Di essi si individuano quelli a
200 metri di distanza, a 100 metri e sul circuito stesso, valutando la loro
configurazione spaziale rispetto al sistema lineare militare e l’interazione
con gli itinerari culturali della città.

Fase 4. Le aree di permeabilità.


Ultimata questa fase della ricerca, lo studio prevede un ulteriore
passaggio che si identifica di fatto come una tappa di transizione tra
analisi e progetto. Va qui precisato un dato rilevante per la ricerca e cioè
che il tracciato murario non corrisponde a quello viario di circonvallazione
del centro storico come si supporrebbe dalla demolizione ottocentesca:
questa area, definiamola una sorta di buffer zone, diviene un elemento
centrale al programma progettuale, un pomerio contemporaneo si
direbbe, che si colloca tra due linee di confine, la cinta fortificata e la
viabilità carrabile fuori le mura.
Su questa linea, in base a quanto detto (cioè in relazione allo studio
dei percorsi culturali intra moenia, degli assi generatori urbani della città
antica, di ciò che resta del tracciato, delle antiche porte e delle direzionalità
principali della rete patrimoniale territoriale), sono state identificate delle
aree definite aree di permeabilità. Queste aree, la parola stessa lo dice,
sono dei connettori urbani tra esterno e interno e sono in concreto la
declinazione attuale degli antichi ingressi alla città.

Fase 5. Il progetto urbano come modello operativo.


La fase successiva pertanto è quella più propriamente operativa: lungo il
perimetro vengono stabiliti dei comparti che si definiscono ambiti strategici
di trasformazione e in funzione di essi si perimetrano delle aree, diciamo
di coerenza strutturale, chiamate ambiti di contiguità fisico-funzionale.
All’interno degli ambiti risiedono le aree di trasformazione, luogo effettivo
del progetto urbano. I comparti individuati lungo il perimetro antico sono
sette e di essi, a titolo esplicativo, è stato sviluppato il solo ambito Puerta
de la Macarena. La scelta dell’ambito è stata determinata da differenti
considerazioni, ma sicuramente merita qui ricordare che la selezione
riguarda questo comparto poiché è quello che presenta il tratto murario
più integro e che si colloca nei settori a nord del Conjunto Histórico.
Le soluzioni di progetto suggerite non hanno la finalità di una
restituzione formale del programma interno della ricerca, ma hanno
l’obiettivo di delineare delle strategie di azione, delle linee guida
all’intervento contemporaneo e pertanto vogliono essere un momento
di verifica di un iter operativo calato nel complesso disegno della città.

51
Un dispositivo urbano permeabile

A conclusione dell’indagine condotta sul campo, quello che emerge


è l’importanza che assume la riabilitazione dell’apparato murario
nelle dinamiche contemporanee della città: esso esprime la materica
densità della città antica, il corpo del nucleo storico, ne disegna la
forma e la proietta al di fuori.
Prima di avanzare una proposta progettuale, il tratto murario
interessato è stato ulteriormente approfondito dal punto di vista
storico attraverso la comparazione della cartografia antica con la
documentazione storiografica del settore del Conjunto Histórico
di riferimento, successivamente è stato verificato nelle sue
caratteristiche dimensionali e tipologiche, con particolare attenzione
alla conformazione d’origine e alle trasformazioni avvenute nel
tempo.
Il tratto si mostra in larga parte conservato nella sua forma
originaria, anche se non nella totale integrità, e le principali
modificazioni riguardano il disegno delle due porte.
Dalla trattazione storica, il tema urbano viene approfondito
con attenzione allo spazio pubblico aperto, o comunque collettivo,
nonché al tessuto edilizio di base, alle polarità dell’area e agli
edifici di valore storico artistico. Tematica centrale è stata la
prevalenza dimensionale della linearità del sistema fortificato e la
continuità spaziale e percettiva dei luoghi. Questo rapporto tra la
conformazione fisica dell’oggetto e quella del contesto offre una
lettura chiara dell’area da cui si deducono le principali criticità, ma
anche le numerose potenzialità dell’antico circuito.
Da queste componenti urbane nasce il progetto. Di esso si
procede alla trattazione nel capitolo successivo, ma se ne desume
qui invece il fine ultimo, il nuovo significato che assume l’antico
tracciato riabilitato. Le mura vengono reintegrate al continuum
urbano come parte di esso e recuperano l’antica dimensione di
limes tra città e territorio in una dimensione mutata quale quella
contemporanea.
Un’architettura così estesa nello spazio e nel tempo è la risorsa
prima per la valorizzazione dell’intero settore nord. Le mura, ancora
chiaramente percepibili nel disegno urbano, emergono nel progetto
come un frammento del tutto.
Questo frammento però, abbandona il suo significato di rovina,
pur se non ne perde le affascinanti sembianze, per essere restituito
alla città nel modo più semplice e ad esso più consono: quello di un
dispositivo urbano permeabile.

52
La proposta progettuale parte quindi dall’idea di connettere tramite
questo elemento gli antichi tracciati territoriali alla città, superando
il limite visivo di una periferia frapposta, e di più, di coinvolgere la
stessa periferia, spesso disordinata e incoerente, in un disegno
che unifica e raccorda. Il tal senso le antiche mura della Macarena
divengono la porta da nord di Siviglia in cui all’interno e nell’intorno
si susseguono differenti episodi.
Le mura si trasformano in uno strumento conoscitivo di sé stesse
oppure in uno spazio polifunzionale per la cittadinanza o in un punto
informativo turistico del territorio, ma ciò che conta non è tanto la
funzione qui suggerita quanto più il diritto, e il dovere, di restituire
loro la possibilità di essere vissute.
Poter attraversare l’oggetto architettonico, poterlo visitare nelle
sue parti, percepirlo nella sua totalità dall’esterno, scorgerlo come
una quinta prospettica dall’interno: queste operazioni divengono
l’occasione reale per creare nuove opportunità a partire dalle risorse
presenti nel territorio, nella convinzione che la valorizzazione del
patrimonio, messo a sistema, può essere la più valida azione per la
rigenerazione del centro storico e dell’intera città.

53
Terza parte

Limes tra città e paesaggio:


il caso studio di Siviglia
Mura, città e storia

Cenni storici

Dalle origini all’età romana (VII sec. a. C - 411 d.C)


L’origine della città non è documentata, ma è da attribuirsi al popolo
dei Turdetanos nel VIII sec. a.C. I Turdetanos o Tartesos, popolazione
autoctona andalusa sin dall’età del Bronzo, si insediarono sulle rive del
Guadalquivir in un primo villaggio chiamato Ispal. Successivamente i
Fenici e poi i Cartaginesi ne fecero un fiorente centro mercantile dal
nome Spalis.
Durante la seconda guerra punica, grazie alla vittoriosa campagna di
Scipione l’Africano la regione andalusa cadde sotto l’influenza di Roma. In
tale occasione venne fondata nel 206 a.C. Italica, città contigua a Siviglia
che in età imperiale darà i natali a Traiano e Adriano.
La città di Hispalis, polo commerciale dell’Iberia, acquisterà nel tempo
grande importanza e nel 49 a.C. Giulio Cesare la nominerà Colonia
Iulia Romula Hispalis. Sotto Giulio Cesare verrà costruita la prima cinta
muraria intorno alla città, che sostituirà la palizzata precedente di tronchi
e fango. Questo dimostra che prima dell’occupazione romana la città di
Ispal o Spalis era già in possesso di un recinto, di cui nulla è arrivato ai
nostri giorni.
Solo in alcuni punti specifici del muro, sul tratto dell’Alcázar, all’interno
del corpo di fabbrica costruito durante l’occupazione musulmana, sono
stati rinvenuti alcuni resti archeologici come pezzi di conci o fusti di
colonne che sono senza dubbio di origine preromana.
Di certo la costruzione della prima cerchia muraria fu opera di Giulio
Cesare. Anche Aulo Hirtio nel IV capitolo del De Hispaniensis bello
afferma che lo stesso Cesare non avesse dichiarato vendetta ai Lusitani
per paura che questi incendiassero la città e distruggessero le sue mura,
confermandone dunque l’attribuzione dell’opera.
Dell’antico tracciato però non si sa nulla di certo. Gli unici resti
provengono da altri studi relativi alla topografia della città che hanno
portato ad un ipotetico disegno del percorso murario. Tutto ciò che
rimane di queste mura sono alcuni blocchi di pietra calcarea di grandi
dimensioni che sono stati ritrovati in vari punti della città, ma mai tratti
completi. A riguardo di ciò si può citare lo scavo fatto nel 1952 in
occasione della ripavimentazione della Calle Orfila nella Plaza de Villasis
o nei lavori effettuati nella cappella del Sagrario della chiesa di Santa
Catalina. Sicuramente si può affermare che le mura furono ampliate in
epoca augustea a causa dell’incremento demografico della città.

56
L’epoca visigota (429 - 711)
Molto poco si sa su quello che potrebbe essere stata la città di Siviglia
sotto il regno visigoto. Si suppone che fosse una continuazione della
città romana e che avesse mantenuto l’antico circuito murario. Tale teoria
non ha però prove fondate, non essendovi alcuni resti di estensioni o
trasformazioni dell’antico recinto.

La prima fase dell’’epoca musulmana (711- 931)


L’origine e il destino delle mura di Siviglia è strettamente legato alla storia
della città. Sulla costruzione non si può ipotizzare nulla di certo, perché
non vi sono disponibili dati sufficienti.
È durante il periodo di occupazione musulmana della penisola iberica
che si potranno avere maggiori informazioni circa lo sviluppo di Siviglia e
della sua cintura difensiva, sia da fonti arabe scritte che dagli stessi reperti
che sono sopravvissuti fino ai giorni nostri.
È certo che vi sono prove della demolizione e ricostruzione del
vecchio perimetro murato dal periodo omayyade alla fase di occupazione
almohade, opera che potrebbe aver contemplato la riconversione della
cinta in pietra. Le fonti non sono chiare riguardo la fine del regno visigoto
di Siviglia.
Con certezza si sa che dal 711 o 712 d.C. inizia una nuova fase per la
città sotto l’influenza musulmana. Data l’importanza strategica acquisita
dalla città durante l’emirato omayyade della città di Cordova, la cinta
muraria viene rafforzata dopo l’844 d.C, anno dell’ invasione dei normanni
che, risalendo il Guadalquivir, rasero al suolo Siviglia.

Il periodo califfale (931-1023)


Nel complesso le tracce delle prime costruzioni musulmane precedenti al
XI secolo sono molto rare, sia per quanto riguarda le fonti scritte che in
relazione ai reperti materiali. Ciò può essere dovuto in gran parte al basso
tasso di costruzione di quegli anni. In questo primo periodo il Califfato
è impegnato sul fronte delle conquiste territoriali piuttosto che sulla
realizzazione di opere pubbliche, così gran parte degli edifici principali
sono adattati su ciò che resta dell’eredità visigota e romana.
Di edifici di nuovo impianto si possono annoverare la moschea Alhama
e l’imponente opera di ricostruzione e ampliamento delle mura che fece
della Siviglia di quell’epoca una città pressoché inespugnabile. Il nuovo
perimetro murario fu voluto da Abd al-Rahman II, ma fu completato da
Abdullah, figlio di Sinan il Siriaco. Per la nuova cinta furono utilizzati la
pietra e vario materiale di riporto.

Il periodo Taifa (1023-1091)


La città di Siviglia è stata per lungo tempo sotto il dominio di Cordova,
capitale del regno. Grazie però alla crisi e alla successiva suddivisione
del Califfato, Siviglia si affermerà nel 1009 come capitale del regno

57
indipendente di Taifa sotto il controllo della famiglia dei Banu Abbad,
dinastia che mantenne il potere fino 1091. Muhammad Ibn Abbad Qadi
(1023-1042) cercò di emulare la grandezza di Cordova mentre il figlio e
successore Al-Mutadid (1042-1068) e in seguito il nipote Al-Mutamid
(1068-1091) allargarono i territori del regno sino a dominare quasi un
terzo del paese, facendo di Siviglia il più potente stato Al-Andalus.
Questo ha permesso uno sviluppo incredibile dell’estensione dello
spazio urbano di Ishbiliya (da cui deriva il nome attuale Siviglia) che vanta
uno dei più grandi nuclei storici delle città spagnole. Tra i molti edifici di
nuova costruzione, viene ampliato il perimetro dell’Alcázar verso ovest. É
l’inizio di un periodo molto fiorente per l’architettura di Siviglia che durerà
per gran parte del dominio musulmano.
Durante l’epoca tardo-Abbadi, periodo che costituisce il passaggio
dalla saturazione del tessuto intra moenia all’espansione oltre il recinto
fortificato (J. Navarro Palazòn, P. Jimenez, 2014), gli antichi confini della
città vengono superati e appaiono nuovi quartieri fuori le mura, anche se
va detto che questa crescita risulta sempre limitata dal fiume Guadalquivir
a ovest e dall’affluente Tagarete a sud e a est. Questo processo non sarà
completo fino al XII secolo quando il fiume sarà deviato verso ovest e ne
sarà bonificato l’antico tracciato lasciando spazio alla nuova città e alla
nuova cinta militare.
Fino al periodo tardo-Abbadi e Almoravide la città aveva superato
i confini del periodo omayyade, probabilmente più contenuti di quelli
dell’occupazione romana. Data la saturazione della popolazione all’interno
della città e i frequenti attacchi degli Almoravidi la città si estende
e fortifica. Ci sono poche testimonianze delle mura del regno di Taifa,
solo all’interno dell’Alcázar, sul lato sud-est, è stato certificato un resto
dell’antica cerchia interno alla costruzione del muro di Yahwar40.

Periodo Almorávide (1091-1147)


Durante il governo dell’ultimo re Al-Motamid i territori del Regno Taifa
di Siviglia subiscono continui attacchi da parte di Alfonso VI di León.
Questo è il motivo per cui Al-Motamid è costretto due volte a chiedere
aiuto agli eserciti almoravidi dell’Africa. È quindi durante la seconda
incursione almoravide che il re viene detronizzato e viene istituita la nuova
dinastia Almoravide. Questa famiglia aveva origini dalla tribù berbera
del Lamtuna nel Nord Africa. Il loro carattere molto austero si scontrò
sin da subito con gli usi e costumi della cultura andalusa provocando
presto numerose ribellioni interne. Per quanto riguarda i riferimenti a testi
storici, si hanno diverse fonti circa la costruzione delle mura di Siviglia
per le quali si sostiene la paternità Almoravide, confermata anche dal
confronto di quest’opera con quella di Cordova. Si deve però notare
che le ipotesi circa le tempistiche della costruzione del muro sono varie
e talora molto contrastanti. Alcuni, basandosi su questioni relative al
tracciato e all’evoluzione del percorso del fiume Guadalquivir, sostengono

58
che il perimetro attuale delle mura potrebbe essere almohade: per questo
motivo la crescita della città sarebbe stata condotta a nord-est, in quanto
non vi è la prova certa che il braccio del fiume sia stato bonificato nel
periodo almohade. Pertanto i confini della città in quel periodo potrebbero
essere stati simili a quelli del nucleo antico, anche se alcune teorie negano
l’estensione del circuito murario in relazione al percorso del Guadalquivir
e del Tagarete. Sicuramente l’urgenza di completamento e le risorse
economiche sono la causa della costruzione di un circuito murario non
lapideo, ma in terra battuta (tapial).

Periodo almohade (1147-1248)


Fin dai tempi dell’Impero Romano non è noto a Siviglia uno sviluppo urbano
di tale importanza. Logicamente questo processo riguarderà anche le
opere difensive avendo un ruolo chiave per l’integrità e la sopravvivenza
della città ancora minacciata da più parti, in particolare dalla pressione
esercitata dai regni cristiani. Allo spostamento del braccio del fiume si
deve la crescita di Siviglia a ovest e a nord. Questa fase corrisponde alla
espansione per la quale la città antica, giunta alla massima densificazione
intra moenia, oltrepassa i suoi limiti e inizia ad occupare nuovi appezzamenti
di terreno nella valle generata dalla deviazione del fiume. Sotto la guida
di Yusuf nel 1169 furono ricostruite le mura accanto al Guadalquivir che
erano state distrutte a causa delle grandi inondazioni.
Nel 1171 Yusuf realizzò i fossati delle fortificazioni e il muro della porta
Chahuar. Nel 1221, durante il regno di Yusuf II, fu costruita la Torre del
Oro e fu completato il circuito perimetrale della città. Non è chiaro se
siano stati gli Almoravidi a tracciare il perimetro esterno o se invece, non
potendo gli Almoravidi costruire le mura a causa dell’antico tracciato del
fiume, il circuito murario sia interamente almohade. Sicuramente i risultati
di saggi diffusi lungo il circuito hanno dimostrato la possibilità che più di
una sezione delle mura almohade poggia su elementi preesistenti.

La Reconquista Spagnola (dal 1248)


Nel 1248 il re cristiano Fernando III conquista Siviglia e pone fine
all’occupazione musulmana. Questo stesso re è colui che descrive per
la prima volta la cinta muraria nella Primera Cronaca General de la
España. Nei secoli successivi la cinta muraria smette di avere il valore
difensivo militare che aveva acquisito secoli prima, per passare ad avere
una funzione protettiva contro le esondazioni del fiume.
Nel corso del tempo la trama urbana avvolge le mura stesse e molti
edifici vengono costruiti lungo il perimetro murato avvalendosi delle
possenti fortificazioni come supporto. Ma sarà nel XIX secolo che queste
mura, sopravvissute per secoli, saranno demolite in molti dei loro tratti e con
esse anche le loro porte, ritenendole un limite alla crescita, alla salubrità e
alla nuova viabilità. Solo il tratto della Macarena, a nord della città vecchia,
è volutamente salvato dalla demolizione e alcune fonti sostengono che ciò

59
avvenne perché erroneamente confuso per un tratto murario di origine
romana. Il fatto è dichiarato in testi ufficiali41. La demolizione completa
delle mura di Siviglia avviene tra gli anni 1861 e 1869, in virtù di un
accordo stipulato dal Comune (22 ottobre 1861), per cui si ordina di
conservare solo il tratto tra la porta della Macarena e la porta di Cordova
e tra la Porta del Sol e Barqueta. Infine, nel 1909 anche questo ultimo
tratto viene abbattuto, conservando solo le mura della Macarena.

Il recinto murato di Siviglia, caratteri tipologici e costruttivi

Il sistema difensivo islamico. La città islamica nell’età medievale


costituisce un centro economico, politico e militare evoluto e fortemente
strutturato che presenta al suo interno aree differenziate: l’alcazaba o
castello militare distinto dall’alcázar, palazzo-fortezza, la medina o città
vecchia nella quale si incontrano la aljama o mezquita mayor e il mercato
o zoco, nonché numerosi barrios, quartieri che si sviluppano intra moenia
o anche extra moenia, a causa dell’eccessiva densificazione entro la
cinta muraria. A tale proposito si rimanda alla teoria di “sbordamento”
di Navarro e Castillo relativa all’evoluzione urbana dell’antico nucleo
arabo42. La pianta della città araba è fortemente irregolare, con vicoli
stretti e non paralleli, organizzati secondo un tessuto residenziale che
privilegia la tipologia di casa a patio43. La città è circondata da possenti
mura collegate all’alcazaba e all’alcázar che generalmente si trovavano in
posizione strategica, possibilmente nella parte più alta della città.
Come osserva Mìkel de Epalza il recinto nella città islamica è un
“modello operativo” che si ripete a scala minore all’interno della città e
che ha tanto funzione di controllo quanto di ordine dello spazio urbano:
sono recinti lo zoco commerciale, la mezquita, i bagni e l’unità primaria,
la casa44.
Il sistema murario islamico è fondamentale alla sopravvivenza della
città e funge tanto da elemento difensivo militare quanto economico.
La distinzione infatti che intercorre tra porte e postigos nel caso di
Siviglia fornisce chiare indicazioni sul doppio ruolo delle mura: la porta
ha funzione militare (e di rappresentanza), mentre il postigo è adibito
all’esclusivo passaggio delle merci e delle vettovaglie, assolvendo ad
un utilizzo daziale e di servizio. I perimetri delle città fortificate medievali
andaluse a noi pervenuti sono in larga parte di impronta almohade, anche
se le origini sono almoravidi. La struttura tipologica delle mura può variare
notevolmente di area in area, ma presenta caratteri omogenei.
Occupandoci del caso di Siviglia si riporta una breve descrizione
degli elementi essenziali e ricorrenti del sistema di cinta andaluso. Le
mura sono costruite prevalentemente in tapial, un sistema costruttivo di
terra pressata composta da sabbia, calce e inerti di media dimensione.
L‘utilizzo di tale materiale consentiva un’esecuzione rapida dell’opera di
costruzione del recinto ed era efficace rispetto all’emergenza di difesa in

60
tempi in cui frequenti erano scorrerie e guerre tra i regni. Inoltre questo tipo di
materiale migliorava le sue prestazioni nel tempo aumentando la resistenza
e la compattezza. L’utilizzo del tapial è fondamentale per comprendere la
struttura tipologica delle mura islamiche. Il sistema difensivo era costituito da
una doppia cinta: la principale presentava un cammino di ronda sommitale
con merlature piramidali, una seconda, detta “barbacane”, era esterna e più
bassa con feritoie a doppia altezza.
Il barbacane costituiva di fatto un secondo circuito all’interno del quale
si trovava la liza, un’ampia trincea che, oltre ad essere un ulteriore baluardo
difensivo, permetteva il collegamento extra moenia delle torri. All’esterno del
sistema murario veniva poi costruito un fossato. Il recinto era caratterizzato
da torri generalmente a base quadrata, ma in alcuni casi, quelli di maggior
rilevanza, hanno un numero di lati maggiore.
Le torri della cintura di Siviglia hanno un’altezza variabile da venti a quaranta
metri circa e di esse possiamo distinguere tre tipologie: senza camera, con
una camera e con doppia camera. Gli ambienti presentavano coperture a
botte con arco ribassato e per accedere al cammino di ronda vi erano diversi
sistemi di collegamento verticale: nella prima tipologia una scala esterna,
nella seconda tipologia una scala a pioli collegata con una botola e nella
terza tipologia, la più complessa, un sistema di scale interne. Le porte della
città erano affiancate da doppie torri poste ai lati dell’ingresso, ma potevano
essere anche più semplici come ad esempio la torre-porta di Cordova, che
si vede nel tratto murario della Macarena di Siviglia. Interessante è il sistema
di ingresso detto en recodo, cioè attraverso un percorso che impediva un
accesso con corridoio a gomito. Le porte potevano anche presentare un
ingresso diretto, ma generalmente si prediligeva questa soluzione poiché
impediva la visuale e non consentiva all’invasore un passaggio ampio, ma
un pertugio angusto. Inoltre era pensato come un percorso che obbligava il
nemico ad assumere una posizione non frontale, ma laterale e a muoversi da
destra a sinistra in modo da esporre il braccio destro, cioè quello prevalente
per l’impugnatura dell’arma.
Nel caso delle mura di Siviglia, generalmente il tratto primitivo è di età
almoravide, il rialzo merlato con il cammino di ronda e il barbacane invece
sono almohadi. In alcuni tratti era presente anche il fossato difensivo. A
questo complessa struttura militare che circondava la città si aggiungevano
le torri albarranas, torri esterne alla cinta e collegate dalla coracha, una
ulteriore tratto murario che generalmente era collegatao all’alcázar. A
Siviglia la torre albarrana principale è la Torre de Oro, la corracha è stata
demolita, ma ne restano i segni nel piano archeologico ed è stato possibile
ipotizzare la sequenza di torri che portavano al palazzo reale: la torre de
Cilla, la torre Abd El Aziz, quella della Plata, e in fine quella de Oro, che era
di fatto il faro che scrutava il Guadalquivir, sono le albarranas di Siviglia cui
si suppone peraltro una progressione matematica data dal numero dei lati
(4, 6, 8, 12).

61
ll tapial. Va innanzitutto precisata la distinzione tra il termine tapia che
rimanda alla tecnica costruttiva di terra pressata e il termine tapial che
invece fa riferimento alla costruzioni di muri, attraverso cassaforme, di un
conglomerato composto di terra, sabbia, calce e inerti di varie dimensioni.
L’uso del tapial per i sistemi difensivi arabi nella penisola iberica deriva
dall’adattamento della tecnica di terra pressata utilizzata per la casa
islamica. Le sua conformazione e il conglomerato variano a seconda
dell’area geografica, ma è possibile desumerne le caratteristiche comuni.
Seguendo la classificazione di Graciani Garcia, si possono riscontrare
tre grandi macrocategorie di tapial: tapial semplice, tapial misto e tapial a
ricorsi orizzontali45.
Il primo tipo è dato dalla sovrapposizione di blocchi indipendenti senza
articolazioni di rinforzo. Il secondo inserisce nella sequenza muraria tratti
verticali in laterizio o pietra, prediligendo la continuità orizzontale dei blocchi
(questo sistema si sviluppa in epoca almohade, la Torre de Oro è un
esempio di questa tecnica nella variante lapidea) e infine la terza categoria,
successiva al XV secolo, caratterizzata oltre che da rinforzi verticali anche
da ricorsi orizzontali in laterizio.
Nella penisola iberica molti sono gli esempi di architetture militari
califfali o taifas, ma la maggior parte delle fortificazioni furono costruite
durante l’epoca delle dinastie nordafricane (almoravidi e almohadi) tra il XII
e il XIII secolo e successivamente durante la Reconquista Spagnola che
ne ereditò i caratteri costruttivi non certo senza la contaminazione delle
tecniche cristiane.46
Per quanto riguarda la cinta muraria di Siviglia prevale il primo e il
secondo tipo a seconda dell’epoca di costruzione del tratto: nel caso più
frequente il muro primitivo almoravide è costruito con tapial semplice e le
successive trasformazioni almohadi con tapial misto47.

Quello che resta della cinta muraria di Siviglia

In primo luogo va detto che la cinta muraria araba che resta superstite ai
nostri giorni è la più tarda, in quanto fu terminata in epoca almohade (XII-
XIII secolo). Attualmente il perimetro difensivo che si conserva è davvero
esiguo rispetto al tracciato originale e ciò è dovuto in larga parte alla
demolizione ottocentesca.
Il perimetro antico della cerchia muraria è approssimativamente di 16
Km e include un’area di 286, 56 ettari, il che ne fa il più grande perimetro
murato della penisola iberica e, alcuni sostengono, il terzo d’Europa. Ad
oggi si conservano circa 1800 metri lineari di mura senza tenere conto del
livello archeologico.
Di seguito si riporta una breve descrizione dei tratti murari:

Tratto Ovest. Corrisponde al tratto che parte dal postigo del Carbon fino alla
Porta de la Barqueta, nella gran parte le mura scampate alla demolizione

62
sono inglobate nel tessuto residenziale esistente per cui non si dispone
di una catalogazione completa. Sono visibili alcuni resti nell’antica Porta
Reale, al termine della Calle Alfonso XII, nella Calle de Goles e nello stesso
postigo del Carbon. Alcuni scavi archeologici hanno dimostrato che non
vi era presente in questo tratto il barbacane tranne che in corrispondenza
della Porta Reale (in riferimento agli scavi del 1995 ad opera di Ramírez
del Río).

Tratto della Macarena. È sicuramento il tratto meglio conservato dell’intero


perimetro, in cui si può distinguere la differente cronologia tra il muro
principale (che si può datare intorno alla seconda metà del secolo XII) e il
barbacane. Il rialzo merlato del muro e il fossato sono successivi, databili
intorno al XIII secolo. Questo tratto incorpora un totale di 8 torri delle quali
sette sono di pianta rettangolare e solo una (la Torre Blanca) è esagonale.
Il tratto si estende tra la Porta della Macarena, situata all’estremo ovest e
quella di Cordova; le altre aperture lungo il tratto sono del XX secolo.

Muralla de los Jardines del Valle. Questo tratto è lungo circa 200 metri; in
esso restano cinque torri di cui due sono a una camera. Il tratto che ripiega
a 90 gradi forma uno spazio aperto che è destinato a parco. Questo tratto
del circuito murario faceva parte del Convento del Valle ed è per questo che
è rimasto integro. Divenuto di proprietà comunale, fu approvato per questo
parte di mura un progetto di restauro nel 1985. Dagli scavi archeologici
è emerso che anche in questo tratto era presente il barbacane. Anche in
questo caso il rialzo è almohade. Il progetto di restauro non è stato ancora
completato.

Tratto Est. Procede dai Giardini del Valle fino a quelli di Murillo. Anche
in questo caso il tessuto residenziale ha inglobato parte delle mura, ma
alcuni scavi hanno permesso di poter affermare con certezza la presenza
del barbacane in gran parte del tratto e un posizionamento più chiaro
dell’antico tracciato.

Muro del Agua. Si estende dalla Porta della Carne alla Torre del Agua, è
stato ricostruito in epoca almohade, ma è di origine almoravide. Questa
parte delle mura era di supporto alla canalizzazione dell’acqua proveniente
dall’acquedotto di Carmona e ancora è possibile osservare le antiche
tubazioni inglobate nel tapial. Attualmente fa parte dei Giardini di Murillo e
dei 400 metri originari se ne matengono circa 300, non sempre integri. Ad
esso corrispondono cinque torri.

Muralla de la Calle de San Fernando. A seguito degli scavi per la


costruzione della metropolitana sono tornati alla luce i resti di questo
muro demolito nel 1869, di cui rimangono le fondamenta delle torri e del
barbacane.

63
Real Alcázar e Casa de la Moneda. Fino al periodo almohade questo
terreno si trovava fuori le mura poiché in una zona esondabile tra il
Guadalquivir e l’affluente Tagarete. Successivamente, nel periodo califfale,
si ricostruì la cinta lungo il fiume a partire dall’antico tracciato almoravide
e si ampliò il recinto dell’Alcázar con un nuovo palazzo che diverrà poi la
Casa de la Moneda. Parte di queste mura non sono più visibili, ma alcune
sono ancora inglobate negli edifici. Il tratto è lungo circa 220 metri e a
seguito della demolizione del palazzo del Corral de las Herrerias nel 1985
sono venuti alla luce altri resti della cinta murata.

Un circuito murario interrotto, un perimetro ancora integro

A seguito degli studi approfonditi in questa fase di analisi, si può affermare


con chiarezza che la cinta muraria islamica della capitale andalusa, pur
se in gran parte andata perduta, conserva ancora una forte presenza
seppure demolita nel XIX secolo. Questo manufatto architettonico infatti,
oltre a emergere nei tratti conservati, persiste al livello archeologico,
dove in molti casi risulta peraltro già verificato, ma soprattutto disegna
in modo inconfondibile la forma urbana e sancisce un limite ben distinto
tra il centro antico e l’espansione extra moenia. All’antica muralla araba
corrisponde ora un circuito viario anulare che fa da margine tra il centro
storico e la città moderna, eccezion fatta per il quartiere di Triana che
è l’unico esempio di espansione medievale fuori dal perimetro fortificato
insieme al caso isolato della Cartuja. Una sorte questa che a seguito dei
grandi interventi ottocenteschi è toccata a molte cinte difensive, rimaste
integre per secoli nonostante gli innumerevoli attacchi.
La possente presenza di certe architetture però, non stenta a
permanere anche nell’assenza, tanto nella fisicità della forma urbana
quanto nella memoria collettiva. Il fatto che, pur se distrutte, si conserva
ancora il nome delle porte negli slarghi che le hanno sostituite ne è
un’emblematica testimonianza.
Nondimeno si può affermare che non tutto è andato perduto e che
riportare alla luce questa parte di città è compito arduo, ma non impossibile.
L’importanza di questa linea di confine nella città odierna offre ancora
l’occasione di marcare un cambiamento netto del tessuto edilizio e si rivela
lo spazio della permeabilità e dell’accessibilità al nucleo antico. Il progetto
contemporaneo deve quindi intendere le mura delle città sia come oggetto
patrimoniale da conservare e recuperare che come elemento strategico
per la rivitalizzazione dei centri antichi.

64
Sopra: Tapial almoravide con blocchi separati ( J.Canival, 2015).
Sotto: Tapial almohade a ricorsi continui ( J.Canival, 2015).

65
Il perimetro murato e la città storica

66
Il sistema difensivo : sviluppo morfologico e caratteri tipologici

67
Sopra: Sistema murario di Cordova (Calle Cairuan).
Sotto: Sistema murario di Siviglia (Muralla de la Macarena).

68
Mura, città e paesaggio

La città e il territorio, sistemi naturali e antichi tracciati

Siviglia, capitale della Comunità Autonoma dell’Andalusia, riveste


da sempre un ruolo strategico e nevralgico per il Sud della Spagna,
conseguenza di una posizione geografica favorevole che ne fa il
principale centro della Valle del Guadalquivir.
La città infatti, sin dall’epoca romana fu nodo centrale di commerci
della regione Baetica; ciò grazie alla sua posizione lungo i due più
importanti assi viari e la prossimità al Lacus Ligustinus, la grande
insenatura marittima che costituiva la foce del fiume e che si estendeva
poco fuori le antiche colonne d’Ercole. La fortuna di Siviglia è
strettamente legata alla storia del Guadalquivir, grazie al quale divenne
il più fiorente porto fluviale del Siglo de oro, cerniera tra Vecchio e
Nuovo Mondo. Ancora oggi il fiume costituisce un legame indissolubile
con la città, ne caratterizza la forma antica e l’attuale, influenzandone
da sempre lo sviluppo urbano e l’odierna evoluzione metropolitana48.
Il POTA – Plan de Ordenación del Territorio de Andalucía, piano
territoriale vigente (2006), individua a livello regionale degli ambiti
territoriali determinati da caratteristiche paesaggistiche omogenee: il
complesso montano della Sierra Morena e Los Pedroches, la Valle del
Guadalquivir, las Sierras y Valles Beticas e la fascia litorale. All’interno
di questi ambiti il piano determina poi degli assi che rispondono ai
seguenti criteri tematici: connettori dei grandi e medi centri urbani,
grandi corridoi naturali o artificiali (come assi ferroviari o carrabili ad
alto scorrimento) e assi di omogeneità geofisica.49
La città di Siviglia si colloca all’interno del secondo ambito territoriale,
la depressione fluviale, ma in diretta relazione con il primo, il massiccio
della Sierra Morena, e si trova a fare da cerniera tra il sistema lineare
del Guadalquivir e quello per così dire triangolare che unisce la città
stessa alle realtà urbane di Huelva e Cadice. Questa correlazione
stretta tra le tre città, unitamente alla presenza del porto, fa della
capitale andalusa una città quasi marittima pur se geograficamente
collocata nell’entroterra.
Non di minor importanza, Siviglia fa parte di un’altra triade di città
che la connota agli occhi del mondo tra i centri artistici e culturali
europei più visitati: Siviglia infatti, Granada e Cordova costituiscono
per antonomasia le tre città ispano-arabe del Sud della Spagna. Mete
di un turismo sempre più crescente, sono i principali poli attrattori
della regione con un inestimabile patrimonio storico-artistico che
fonde la cultura mediorientale a quella occidentale. A questo triangolo

69
culturale si sovrappongono numerosi altri itinerari che abbracciano un
paesaggio variegato e complesso: i percorsi della Baetica romana,
l’antica Via Augusta e la Via Ab Emerita Asturicam, poi Via de la
Plata, le vie commerciali medievali di matrice araba, la rete dei percorsi
agricoli che collegano gli insediamenti rurali e quelli che segnano
l’asse del Guadalquivir. A questo sistema di reti territoriali, che affonda
le radici nell’antico disegno insediativo della regione, si unisce poi la
nuova viabilità carrabile e ferrata andalusa che ha modificato molti
equilibri secolari con la creazione di assi connettori interregionali (ad
esempio l’introduzione dell’alta velocità ferroviaria che lega Siviglia a
Madrid in poco più di due ore).
A livello provinciale il Plan de Ordinaciòn del Territorio de la
Aglomeración Urbana de Sevilla (2009) individua “tre paesaggi”
dalle caratteristiche omogenee che contraddistinguono il territorio di
influenza della città, definite con il nome di Unidades naturales: la
depressione fluviale del Guadalquivir con la grande pianura a nord
e la laguna a sud (confluente poi nel parco di Doñana), le creste
dell’Aljarate e Los Alcores e la campagna di Carmona e Gerena. A
nord poi la Sierra Norte collega la città al Parco Nazionale della Sierra
Morena50.
Queste unità territoriali costituiscono il supporto naturalistico che
mette a sistema la fitta rete di insediamenti urbani che circondano la
città, come la costellazione di pueblos rurales (borghi rurali) a ovest,
tra cui Olivares, Sanlucar de la Mayor, e Santiponce (che ospita le
rovine di Italica), quelli fluviali a nord-est e gli importanti centri di valore
storico-artistico lungo gli antichi assi di comunicazione, come Utrera,
Alcalà de Guillena, Carmona e Ecija.
In questa eterogeneità paesaggistica va ricordato che il territorio
sivigliano è cosparso di numerosi siti archeologici, alcuni tra i quali
di notevole importanza, e che di essi molti si trovano in prossimità o
all’interno di aree di notevole valore paesaggistico. Molte infatti sono le
riserve naturali nella provincia di Siviglia e ancora più le aree protette.
Come caso peculiare nell’area urbana della città e come asse portante
dell’intero territorio provinciale, va però distinto il fiume Guadalquivir, il
cui corso è stato dichiarato Sito di Interesse Comunitario (SCI–Site of
Community Importance). Esso non è solo l’elemento ambientale che
ha conformato la geomorfologia dell’area, ma è soprattutto il grande
asse che a livello naturalistico articola i flussi faunistici e regola l’intero
ecosistema del comprensorio sivigliano, non solo lungo il suo percorso,
ma anche attraverso i suoi numerosi affluenti.
All’interno di questo complesso e affascinante scenario, la ricerca si
è soffermata sull’analisi di quella rete di itinerari culturali che percorrono
il territorio, in quanto essi costituiscono la risorsa prima e principale
per la conoscenza, la promozione e la tutela di esso. Solo mediante
una progettazione strutturata dei percorsi turistici, tanto culturali

70
quanto naturalistici, e lo studio degli antichi tracciati, testimonianza
della trasformazione dell’impronta antropica e della strutturazione
del territorio nella storia, è possibile infatti ristabilire quel rapporto
simbiotico e dialettico tra la città antica e il suo comprensorio; rapporto
che nella città contemporanea risulta indebolito e depotenziato, ma
che, pur se sopito, non è affatto scomparso.
Si ritiene quindi imprescindibile ai fini dello studio dei centri antichi
comprendere l’impianto relazionale e insieme le gerarchie che essi
stabiliscono con il paesaggio a cui appartengono, chiave di lettura e
strategia indispensabile per la valorizzazione, mediante reti tematiche,
del patrimonio storico e paesaggistico di un determinato contesto
ambientale e culturale.
Andiamo quindi ad approfondire i sentieri nella provincia sivigliana
che sono stati selezionati come strutturanti e prioritari in base
all’importanza storica, alle risorse del patrimonio paesaggistico e
artistico e alle potenzialità di trasformazione e promozione territoriali,
nonché alla percorribilità ciclopedonale.

La Via Augusta e la Via de la Plata: il Cammino di Santiago da


Sud

Il Cammino di Santiago da Sud calca l’antico tracciato della Via de


la Plata, la principale via dei commerci che sin dall’epoca romana
collegava il Nord con il Sud della Spagna.
La Ruta ha inizio nella cattedrale di Siviglia, ciononostante il sentiero
di pellegrinaggio può essere percorso sin da Cadice, seguendo
l’itinerario della romana Via Augusta.
L’esistenza di un asse nord-sud passante per la parte occidentale
della penisola iberica è documentato già dall’epoca dei Tartessi (VII
secolo a.C.) grazie al ritrovamento di importanti tracce archeologiche51.
Sull’origine del nome Ruta de la Plata si avanzano numerose ipotesi
di cui le più accreditate sono due: Plata (dallo spagnolo: argento) intesa
come via del traffico di matalli preziosi, poiché lungo questo percorso
l’oro galiziano o lo stagno britannico venivano infatti scambiati con beni
provenienti dalle colonie del Sud; oppure Plata come derivazione dal
termine islamico al-Balath, in riferimento al selciato lapideo, una via in
pietra rispetto alle vie di terra battuta di tradizione araba52.
Certo è che la Ruta de la Plata non presenta un unico tracciato, ma
innumerevoli. Sin dall’antichità fino ad oggi infatti diversi condizionamenti
(politici, militari, commerciali, climatici, ecc.) hanno privilegiato alcune
varianti a discapito di altre. Non è facile dunque ricostruirne il percorso
effettivo a seconda dei periodi storici, ma sicuramente risulta più
semplice ipotizzare l’antica via romana grazie a ciò che resta del manto
stradale e dei miliari, che costituiscono un fondamentale riferimento. La
Ruta de la Plata segue il tracciato della Via ab Emerita Asturicam che

71
da Emerita (l’attuale Merida, fondata nel 25 a.C.) raggiungeva Asturica
(Astorga), attraversando verticalmente l’Hiberia, successivamente
estesa fino a Siviglia. Sul cammino sono presenti ancora molti miliarii
originari53. A distanza poi di 20 o 25 miglia romane (circa 30/35 km),
generalmente calcolati su una tappa giornaliera, c’erano le mansiones,
luoghi di accoglienza per il riposo e l’approvvigionamento. Ed è attorno
alle mansiones che sono nati numerosi nuclei abitativi, oggi borghi o
città che strutturano il territorio peninsulare.
Nella complessa rete viaria spagnola costruita dai romani,
sicuramente la Via ab Emerita Asturicam fu un asse di primaria
importanza data la direzionalità nord-sud, così come lo era la via
Augusta che collegava Roma alla regione Baetica. Hispalis, Siviglia,
si trovava proprio alla congiunzione tra queste due importanti vie di
comunicazione e ciò fece indiscutibilmente la fortuna della città in età
imperiale. Va ricordato infatti che insieme alla poco distante Italica,
fondata da Scipione l’Africano, Siviglia fu nominata da Giulio Cesare
Colonia Iulia Romula Hispalis54. Su queste due strade romane dunque
si fonda il cammino di pellegrinaggio di Santiago che, in coerenza
con i principali assi viari medievali europei, incarna la coincidenza
tra i percorsi di matrice religiosa con i principali corridoi commerciali
dell’epoca.
Dopo la caduta dell’impero la ruta cadde in stato di abbandono,
percorsa dalle scorrerie barbariche. Ciononostante la strada rimase
comunque attiva, tanto che fu l’asse principale di risalita della
conquista araba nell’Alto Medioevo. La scoperta della presunta tomba
dell’apostolo Giacomo a Compostela permise un nuovo sviluppo di
questo antico percorso sin dal secolo XI, divenendo al contempo
tracciato militare della Reconquista cattolica verso Sud.
L’attuale Cammino di Santiago è un insieme di ramificazioni che
condividono un tratto comune, l’antica Via ab Emerita Asturicam che
da Merida arriva a Granja de Moreruela, locatità situata a 40 Km da
Zamora. A sud si può accedere da Huelva e Zafra, da Malaga e Granada
passando per Cordova o, nel nostro caso, da Siviglia e Cadice. A nord
la via si biforca in due sentieri, quello che prosegue per l’antica strada
romana fino ad Astorga e quello che devia a est per Sanabria. La Ruta
de la Plata che parte da Siviglia ha una lunghezza di circa 700 km e di
1000 per arrivare a Santiago, mentre il tratto dell’antica Via Augusta
che unisce Cadice alla Cattedrale sivigliana è di circa 178 km. Questo
itinerario in prossimità di Siviglia presenta due varianti di percorso:
una per Dos Hermanas e l’altra per Alcalà de Guadaira. Il Cammino
dunque attraversa Siviglia a partire dagli antichi tracciati e richiede
circa un mese di tempo per arrivare a Santiago a piedi, il sentiero è
percorribile anche in bicicletta e attualmente è praticato tanto da un
turismo religioso quanto da un turismo culturale ed escursionistico.

72
Il cammino di Washington Irving

Questo itinerario percorre il cammino che nel 1829 seguì lo scrittore


romantico e diplomatico nordamericano Washington Irving, studioso
della cultura ispano-musulmana: un’arteria di comunicazione che nel
Basso Medioevo serviva come via commerciale tra il Sud peninsulare
cristiano e il regno Nazarì di Granada. Via che, come molte altre in
terra andalusa, date le complesse vicende storiche e il susseguirsi di
numerosi regni, rivestiva un marcato carattere di confine.
Dopo il trattato del 1244, per la prima volta, venne aperta una
via mercantile tra il regno di Granada e quello di Castiglia affinché i
Nazarí, in tempi di pace, potessero rifornirsi dei prodotti di sussistenza
in territorio cristiano. Attraverso essa arrivavano a Granada dalla
campagna sivigliana grano e prodotti agricoli, che venivano scambiati
con spezie, coloranti, stoffe e sete.
Nelle sue tappe l’itinerario attraversa luoghi di eccezionale valore
paesaggistico e storico-artistico, città e piccoli paesi dalle antiche
rievocazioni storiche e leggendarie; un cammino dunque che è facile
capire fornisse numerose suggestioni e grande fascino per gli studi
e i viaggi ottocenteschi. Il Cammino si articola tra Siviglia e Granada,
le due stazioni obbligatorie del gran tour romantico che dall’inizio del
XIX secolo proiettò l’immagine dell’Andalusia in Europa attraendo una
moltitudine di artisti, scrittori, appassionati e studiosi.
Il tracciato unisce le capitali delle “due Andalusie” tradizionali, la
bassa e l’alta, e le due grandi pianure, la Campiña e la Vega, separate
proprio da questo percorso. Washington Irving pare abbia tratto spunto
dal viaggio che il regnante e poeta musulmano Al-Mutamid intraprese
nell’ XI secolo tra Lisbona e Siviglia, «La via di Washington Irving –
scrive Plata Canovás – ebbe come precedente un viaggio suggerito
in omaggio al re poeta Al–Mutamid in cui lo scrittore nordamericano
scoprì il fascino per l’esotismo e la ricchezza della civiltà araba in
Spagna»55. È a questo itinerario che si deve il libro I racconti del
Alhambra scritto dal diplomatico americano durante il soggiorno a
Granada.
Questo cammino è lungo circa 400 km ed è percorribile in biciletta,
fa parte degli Itinerari dell’Eredità Andalusí ed è stato dichiarato
Grande Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa.

Gli itinerari naturalistici, Vias Verdes e Ruta del Agua

Nella provincia di Siviglia numerosi sono i percorsi naturalistici ed


escursionistici, grazie anche alla presenza di estesi parchi nazionali
e di importanti aree naturali protette nonché di corridoi paesaggistici
di collegamento. Vengono qui riportati i principali itinerari con
particolare attenzione a quelli che si attestano su antichi tracciati

73
ferroviari dismessi. Vias Verdes, in italiano “strade verdi”, è un
progetto finanziato dall’Unione Europea iniziato nel 1993 che vede
la cooperazione del Ministero dell’Ambiente, le Regioni e differenti
amministrazioni locali, promosso e coordinato dalla Fundación de
los Ferrocarriles Españoles. Si tratta di un programma strategico di
sviluppo territoriale che riunisce, sotto un marchio di qualità registrato
e protetto, quegli itinerari escursionistici che si sviluppano a partire dal
recupero di vecchie infrastrutture ferrate dismesse.
Il concetto di Via Verde comprende non solo l’adeguamento
del tracciato ferroviario ad uso ciclistico e pedonale, ma anche la
ristrutturazione di stazioni come centri di servizi e di equipaggiamenti
supplementari. Attualmente esistono 2100 km operativi di Vias
Verdes in Spagna, dei quali in Andalusia oltre 500 km divisi in 23
itinerari, cioè circa il 22% dell’intera nazione.
La Ruta del Agua invece non fa parte delle Vias Verdes, ma è
un itinerario naturalistico protetto di grande interesse turistico, che
include anche un tratto ferroviario dismesso. Si sviluppa per 14 km
lungo gli invasi di El Gergal e Cala nel territorio di Guillena. Tra questi
percorsi paesaggistici si collegano alla città di Siviglia la Via Verde
de Italica, quella di El Ronquillo e quella della Campiña. La prima
in forma diretta poiché parte dall’isola de la Cartuja, mentre le altre
costituiscono interessanti potenzialità di ingresso alla città attraverso
un turismo crescente di tipo lento; El Ronquillo si connette attraverso
un tratto ferrato in disuso alla Ruta del Agua e quindi alla Ruta de la
Plata, mentre la Via Verde de la Campiña calca il tracciato dell’antica
viabilità romana da Cordova e del Cammino di Washington Irving.
Questi percorsi paesaggistici quindi, messi a sistema con quelli
storici e culturali, divengono validi assi territoriali in grado di fornire
nuovi accessi, e nuove letture, della stessa capitale andalusa in un
dialogo più osmotico tra città e territorio.

Il Plan Andaluz de la Bicicleta

Il Plan Andaluz de la Bicicleta (PAB 2014-2020), approvato nel


2014, è uno strumento di pianificazione e promozione della viabilità
ciclabile in Andalusia.
È strutturato secondo tre scale (regionale, metropolitana e
urbana) e include la proposta di nuove vie ciclistiche che si sommano
alle precedenti con più di 5200 km di percorsi. Prevede inoltre la
coordinazione e la strutturazione di misure supplementari di progetto
come programmi di sostegno settoriali (in tema di turismo, ambiente,
educazione), sistemi di intermodalità (bike sharing e parcheggi), aree
di alimentazione per i mezzi elettrici, ecc.
Il piano fonda i suoi presupposti sul crescente utilizzo del mezzo
di trasporto in tutta Europa e anche in Spagna, tanto a livello turistico

74
quanto locale, e sull’importanza dell’incremento di utilizzo di un
mezzo ecologico e sostenibile. A livello regionale il piano definisce
sei assi longitudinali e i relativi assi connettori trasversali al fine di
generare una rete territoriale estesa, ma suddivisa secondo criteri
tematici e caratteristiche omogenee. L’apparato viario si struttura a
partire dalla base dei domini territoriali avanzati dall’analisi del POTA,
piano territoriale andaluso. Gli ambiti naturali e il sistema urbano sono
determinanti nella definizione di tale rete.
Conseguentemente, a partire dalla programmazione a livello
regionale e per differenti scale, il piano entra in dettaglio approfondendo
la progettazione infrastrutturale per aree metropolitane e a livello
urbano nelle principale città andaluse.
La rete territoriale regionale si articola in otto assi che seguono
in prevalenza l’orientamento est-ovest. Di essi tre, che invece si
attestano in direzione nord-sud, consentono la possibilità di circuiti
tematici circolari.
Quanto al caso di Siviglia sono ben cinque gli assi che percorrono
il territorio provinciale e due nello specifico attraversano la città: l’asse
del Guadalquivir e quello che unisce la Sierra de Huelva a Gibilterra.

«Siviglia, città molto adatta all’utilizzo della bicicletta per la sua


topografia, dispone della rete ciclistica più estesa dell’Andalusia e
della più alta adesione all’uso quotidiano di questo mezzo di trasporto
in tema di mobilità, come è dimostrato dall’incremento in questo
ultimo anno. […] La rete basica della città di Siviglia si appoggia su
un circuito esistente che ruota intorno al centro storico e stabilisce
percorsi radiali che si connettono ad est a Luis de Morales e Ronda del
Tamarguillo, a nord a Jeronimo e a sud fino a Bellavista, unitamente a
un asse tangente oltre il fiume che scorre dall’isola della Cartuja fino
a Triana e Los Remedios.»56

Il piano dunque sottolinea la naturale predisposizione della capitale


andalusa all’utilizzo dei percorsi ciclabili e l’importanza che essi hanno
nella connessione tra i sistemi territoriali e il centro storico, già dotato
di un circuito anulare che calca l’antico tracciato murario.

Siviglia, centro culturale, cerniera territoriale

Dall’analisi territoriale con particolare attenzione all’ambito provinciale


emerge un sistema articolato le cui differenti componenti si
sovrappongono a delineare un territorio ricco di risorse paesaggistiche,
artistiche e archeologiche.
Osservando le rielaborazioni grafiche di ricerca sono ben visibili le
principali unità omogenee che connotano il paesaggio sivigliano:

75
-- Il fiume Guadalquivir, che come asse portante da nord-est a sud-
ovest attraversa la città mettendola in connessione da un lato con
la grande valle e dall’altro con il paesaggio lagunare del Parco di
Doñana;
-- Il massiccio della Sierra Morena, che entra attraverso le pendici
della Sierra Norte nella capitale andalusa;
-- Le creste de Los Alcores, che tracciano un corridoio naturale a
sud-est toccando importanti centri come Carmona e Alcalá de
Guadaíra fino Dos Hermanas;
-- Le colline dell’Aljarate a ovest che si stagliano costellate di piccoli
nuclei abitativi dall’alto valore storico-artistico come Olivares,
Sanlúcar de la Maior e l’antica Italica, presso Santiponce;
-- Il paesaggio agricolo delle campagne di Carmona e Gerena
caratterizzato dalle colture di olivo.

Un patrimonio paesaggistico dunque complesso e variegato quello


di Siviglia, attraversato da cammini romani come la Ruta de la Plata o la
Via Augusta, sentieri di carattere escursionistico che seguono gli storici
percorsi della transumanza o le più recenti reti ferroviarie oggi in disuso.
Queste tracce che restano nell’assetto territoriale costituiscono i vettori
che mettono a sistema le risorse del paesaggio e possono ristabilire un
connubio antico, e forse a volte disperso, tra l’ambiente urbano e quello
rurale. Il disegno del territorio che oggi leggiamo e che ereditiamo dalla
storia è tanto l’artefice quanto la naturale conseguenza delle dinamiche
politiche ed economiche che si sono susseguite e stratificate nel tempo.
Il tal senso è fondamentale e imprescindibile comprendere l’impalcato
strutturale che stabilisce la rete insediativa dei luoghi e i principali vettori
di comunicazione che hanno causato la fortuna di alcuni centri quanto
la decadenza di altri. Comprendere la continuità di certe direzionalità
territoriali o l’interruzione e la trasformazione di queste nel tempo è
determinante per leggere gli equilibri attuali e l’articolata relazione tra
città e paesaggio.
Dall’analisi relativa ai percorsi culturali e naturalistici che attraversano
il territorio provinciale sivigliano emerge un quadro complesso, ma
altrettanto chiaro, che pone Siviglia, non a caso capitale, al centro
della regione come nodo nevralgico della struttura insediativa e della
complessa rete viaria.
Un’egemonia culturale e geografica che caratterizza la città tanto oggi
quanto lo ha fatto in passato. In posizione strategica alle pendici della
Sierra Morena e a poca distanza dal mare, Siviglia ha antichissime origini
sin dall’epoca tartessa. Colonia romana, è cerniera tra i due principali assi
viari della penisola iberica e raggiunge nel Medioevo sotto la dominazione
araba una vastissima estensione. Tra i più grandi di Europa, il suo centro
storico ne è la tangibile testimonianza. Diviene poi il più importante porto
mercantile del Siglo de Oro grazie alle profonde acque del Guadalquivir

76
ed è proprio al suo fiume che deve tanto del suo successo quanto della sua
decadenza nel Seicento. Siviglia è stata dunque per lungo tempo punto di
approdo e di partenza di merci e di genti e lo è tuttora, costituendo insieme
a Granada e Cordova il principale scalo turistico dell’Andalusia.
L’analisi territoriale qui condotta, che pone maggiore accento sugli
antichi assi viari, vuole ripercorrere mediante il territorio la storia, cercando
di trovare in essa una nuova chiave di lettura del nucleo originario e
del suo perimetro murato. Oggi l’estensione urbana della città può
confondere le tracce di un disegno così chiaro, ma non ad un occhio
attento. Ancora i tracciati storici sono ben leggibili nella forma urbana e,
come spesso accade, lungo gli assi antichi principali sono sorte le nuove
vie di comunicazione. Nondimeno i tracciati che derivano dal passato
costituiscono un grande potenziale per la valorizzazione della città, uno
strumento importante per stabilire equilibri più armonici o far riemergere
originarie relazioni oggi sopite.
La città storica di Siviglia, meta turistica a livello europeo e mondiale,
vive oggi una grande disparità tra il Sud e il Nord del centro storico; ciò
anche a seguito dell’ampliamento per l’Esposizione del 1929 che ha
contribuito a spostare il centro-città baricentricamente verso sud, creando
una netta spaccatura tra le due parti.
Gli assi viari del passato, che in tal caso corrispondono anche a importarti
percorsi culturali e turistici, mettono in luce invece un’omogeneità di
ingressi alla città e l’importanza di alcune strade che approdano proprio a
nord. Contestualmente gli itinerari naturalistici e escursionistici si collegano
alla città sia mediante il corso del fiume, proveniente da nord-est, sia
in direzione del Parco Naturale della Sierra Morena, anch’esso a nord.
Inoltre Siviglia vanta un’estesa viabilità ciclabile fruita da diverse tipologie
di utenze, tanto permanenti (cittadini residenti) quanto temporanee (turisti,
lavoratori, pendolari), che abbraccia l’intero centro storico attraverso una
struttura anulare che si propaga verso l’ hinterland.
Mettere a sistema questa complessa rete di percorsi, con particolare
attenzione alla viabilità lenta e sostenibile, può costituire, oltre che
una chiave di lettura corretta e un’analisi operativa efficace, anche un
apprezzabile potenziale per restituire unità al centro storico e potenziare
aree di esso che versano in stato di degrado.

77
Sistemi ambientali e antichi tracciati: il territorio provinciale di Siviglia

78
79
Il Cammino di Santiago da Sud o Via de la Plata

80
Città e paesaggio: rete antropica e naturale

81
Dentro e fuori le mura

I vettori dello sviluppo urbano, tracciati storici e itinerari culturali

«Il valore patrimoniale dello spazio pubblico nella città più antica non
risiede esclusivamente nella sua traccia, intesa come formazione, ma
anche nella qualità urbana e architettonica che lo configura così come
nella cultura immateriale che alberga in esso in forma di memoria collettiva
dei cittadini. La posta in valore dello spazio pubblico in base pertanto alla
denominazione di patrimonio storico urbano presuppone l’espressione
delle sue qualità più estrinseche. A Siviglia, la cerchia almohade e le sue
porte definirono una relazione con il territorio che ancora persiste, non
senza trasformazioni, in modo ben identificabile».

Il Plan Especial de Protección del Conjunto Histórico de Sevilla


mette in luce l’esigenza di porre in tutela lo spazio pubblico urbano come
soggetto chiave di una valorizzazione globale del patrimonio storico
artistico della città antica e a tal fine individua degli ambiti speciali di
protezione distinti in tre differenti categorie:
-- Enclaves históricos: spazi pubblici che costituiscono frammenti
inequivocabili della memoria storica e che hanno assunto un ruolo
propulsore nel processo di formazione della città. Il piano cataloga
trentasei enclaves;
-- Itinerarios históricos: itinerari storici che marcano lo sviluppo della
città fino alla conquista castigliana del 1248. Essi segnano una
rete di spazi lineari che hanno articolato nel corso dei secoli le
trasformazioni interne della città e di essa in relazione all’esterno fino
all’espansione oltre il Guadalquivir. Gli itinerari individuati dal piano
sono undici;
-- Conjuntos especiales del centro histórico: ambiti che hanno subito
grande trasformazioni in epoca moderna e che hanno rappresentato
importanti azioni sulla forma urbana della città incorporando
manufatti di notevole pregio architettonico. Gli ambiti sono cinque.

Negli elaborati di ricerca sono stati riportati Enclaves e Itinerarios


históricos in relazione a ciò che emerge da un’analisi dei tracciati antichi
condotta dallo studio cartografico e storiografico della città. Unitamente
a ciò sono stati riportati gli itinerari culturali individuati nel paragrafo
precedente, il Cammino di Santiago da Sud e la Via di Washington Irving.
Mettere a sistema questi assi direzionali che costituiscono i vettori del
processo di formazione della città con gli attuali percorsi di un turismo

82
tanto religioso quanto culturale fa emergere numerose osservazioni
sull’assetto del centro storico e sulla continuità morfologica attuale
rispetto al processo evolutivo urbano. L’antico nucleo romano60 è ancora
percepibile nel tessuto edilizio come pure il recinto almohade che delinea
il perimetro del nucleo storico. Interessante è notare che il sistema
difensivo si percepisca in molti casi nell’assenza, mutando in assi viari
primari. Un’operazione quella della demolizione che non caratterizza solo i
grandi interventi ottocenteschi post-haussmaniani, ma che risiede anche
nel processo formativo della città. Il limite esterno antico viene inglobato
nel tessuto edilizio o lascia il segno del suo tracciato nelle nuove vie extra
moenia.
Nella tavola “Itinerari culturali e antichi tracciati” è riportata la viabilità
romana61 e gli assi territoriali rispetto ai collegamenti principali della
Regione Betica, di essi la Via Ab Emerita Asturicam e la Via Augusta
costituivano le principali vie di comunicazione verso est e verso nord.
L’attuale Cammino di Santiago ne calca il tracciato e con esso anche il
Cammino di Washington Irving, pur attestandosi su un percorso di matrice
araba, ne segue in parte il sentiero. Non meno importante è la via di
Carmona che prosegue per Cordova, capitale del Regno Nazarì. Ancora
visibili risultano gli assi del cardo e del decumano. La prosecuzione del
decumano poi fuori le mura romane delinea l’asse nord-sud anche della
città islamica, culminante poi nella Puerta de la Macarena, porta che ha
costituito per anni l’ingresso del corteo reale dei re cattolici dalla Castiglia.
Va ricordato che la città si sviluppa prevalentemente a sinistra del
percorso fluviale verso est, fenomeno che interessa anche l’evoluzione
urbana in epoca moderna, fatta eccezione per il quartiere di Triana che
fonda le sue origini in epoca almohade, anche se i primi cenni di espansione
in quella zona sono romani. Il tal senso l’attraversamento del fiume, pur se
barriera naturale e quindi sistema difensivo, diviene condizione necessaria
anche a seguito della fondazione di Italica nel 206 a.C., importante centro
insieme a cui Siviglia sotto Cesare fu Colonia Romana. La presenza del
Guadalquivir è indispensabile alla città e ne costituisce il fattore primo di
insediamento e di sviluppo nei secoli successivi.
Va sottolineato come la bonifica del primo braccio a est in epoca
islamica ha consentito un incremento consistente della superficie urbana
lasciando un segno indelebile nel tessuto edilizio. L’Alameda de Hércules,
Plaza Nueva e lo stesso impianto della Cattedrale sono la testimonianza
tangibile di questa trasformazione.
A conclusione di quanto approfondito in questa fase della ricerca,
si può constatare che gli itinerari culturali che attraversano la città
ripercorrono con sufficiente coerenza l’impianto morfologico antico nella
stretta relazione che sussiste tra esso e il territorio di appartenenza. Di
queste antiche tracce alcune hanno avuto per così dire più fortuna di
altre, specchio degli equilibri geopolitici che si sono susseguiti nel corso
dei secoli. Ciononostante la verifica sul piano urbano della persistenza
83
di certi segni costituisce tanto lo strumento primo per la comprensione
dell’assetto attuale, quanto un efficace potenziale su cui fondare strategie
d’azione per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, lo sviluppo e
l’ampliamento degli itinerari culturali nella città e la messa in rete di esso
con i circuiti turistici.

Lo spazio pubblico nella città antica

La percezione paesaggistica degli spazi aperti e naturali nella città


di Siviglia è strettamente connessa al grande sistema fluviale che
costituisce senza dubbio l’asse lineare generatore della città e del suo
territorio.
A differenza di molti altri centri urbani attraversati da un fiume, Siviglia
ha la particolarità di aver mantenuto una dimensione molto naturalistica
oltre il percorso del fiume, ad eccezione per il quartiere di Triana e per
l’episodio isolato de La Cartuja (Certosa di Santa Maria de las Cuevas),
condizionando l’espansione della città in direzione est. Questo aspetto
ha un’interessante ripercussione sull’impianto urbano della capitale
andalusa che si sviluppa verso l’interno della regione e presenta un
sistema “satellitare” di piccoli centri oltre il fiume mantenendo una
dimensione più rurale.
A questo dirompente paesaggio che entra in città caratterizzandone
il profilo est, ritornando al conjunto histórico di Siviglia, oggetto della
ricerca, si aggiungono significativi episodi di verde all’interno della città.
In primo luogo i giardini storici che si attestano lungo il perimetro antico,
quelli del Real Alcázar e quelli di Murillo a sud, Los Jardines del Valle a
est, i giardini del Hospital de la Cinco LLegas, ora sede del Parlamento
de Andalucía. Insieme ad essi lambiscono la città antica i giardini
della Macarena a nord e il Parque De Los Perdigones, di più recente
costruzione a nord-ovest. Segue il parco lineare fluviale, in parte già
riqualificato, che si estende in direzione nord-sud fino al Parque Maria
Luisa.
Elemento di grande influenza sulla trasformazione della morfologia
urbana della città e sugli equilibri del centro storico è il parco
dell’Esposizione del 1929 che ha ampliato di fatto il perimetro del
centro storico determinando uno spostamento fisico del baricentro della
Siviglia araba. A questo sistema anulare poi fa seguito un verde urbano
intra moenia, che si incastra al tessuto edilizio e ne costituisce le forme
secondo differenti caratteri, stili e tipologie.
In primo luogo va segnalato l’alto pregio dei giardini storici nei palazzi
signorili: il palazzo a patio è spesso dotato di un giardino al suo interno
che secondo la tradizione islamica è curato in ogni particolare, opera
perfetta che simboleggia l’Eden, ridondante di colori, profumi e zampilli
d’acqua. Esempio primo su tutti il cortile del Real Alcázar, ma anche
quello della Casa de Pilato e molti altri non di minor valore.

84
Tornando invece alla dimensione più puramente pubblica e urbana
numerose piazze sono dotate di verde, sia per una questione climatica
sia per gli interventi di arredo ottocenteschi.
Tra essi merita un cenno particolare l‘Alameda de Hércules, non
solo per l’estensione di superficie, ma soprattutto per l’importanza di
questo luogo nella memoria della città e nel disegno urbano. Si tratta di
un grande giardino lineare edificato sulla Laguna de la Feria nel 1574
lungo il tracciato dell’antico braccio del Guadalquivir. L’Alameda di Siviglia
è tra le più antiche della Spagna. Questo genere di parco urbano è
tipico nei centri storici andalusi, usato soprattutto per fornire refrigerio al
clima torrido estivo. L’Alameda de Hércules però nasce con un preciso
intento: «con essa si intendeva definire il primo monumento civile di
Siviglia convertendo la struttura urbana in un elemento geometricamente
ordinato di riferimento simbolico e emblematico». Questo parco è ancora
oggi un importante spazio pubblico della città fortemente vissuto. Inutile
dire che in una città di impianto islamico come Siviglia gli spazi pubblici
aperti costituiscano un oggetto di studio molto complesso ed eterogeneo
dato dalla varietà del tessuto edilizio.
Nella catalogazione intrapresa nella fase preliminare di ricerca relativa
alle piazze lungo gli assi primari su cui il centro storico si articola, sono
state individuate differenti tipologie in relazione al sistema viario:
- in base alla prevalenza dimensionale:
a. perpendicolari al percorso primario;
b. parallele al percorso primario;
- in base all’ intersezione con la rete viaria:
a. tangenti al percorso primario;
b. secanti il percorso primario;
c. percorsi senza uscita.
Quest’ultima categoria è molto presente nella città araba, numerosi
vicoli terminano infatti in piazze senza uscita e tale sistema si ritrova
anche reiterato in serie.
A queste tipologie bisogna necessariamente aggiungere come
categoria a sé quella dei cortili degli edifici di carattere pubblico o
comunque collettivo. In coerenza con la tipologia più diffusa nel tessuto
antico della città, la casa a patio sivigliana rappresenta uno spazio
suggestivo che si misura costantemente tra la dimensione pubblica
e quella privata e che spesso oltre che in pianta si sviluppa anche
verticalmente, in particolar modo nell’edilizia popolare residenziale, dove
le diverse unità abitative affacciano nel grande vuoto centrale. Nello
studio relativo agli spazi pubblici della città storica sono stati poi segnalati
sia il verde di risulta o ripariale, sia il verde di proprietà pubblica, ritendo,
in ovvia maniera, che essi costituiscano un importante potenziale per il
progetto della città contemporanea.

85
Itinerari culturali e antichi tracciati

86
Verde urbano e spazi pubblici aperti

87
Plano de Olavide, Siviglia 1771
Nel piano è visibile il circuito murato e le piazze risultanti dal prosciugamento
del braccio orientale del fiume Guadalquivir. Tra tutti spicca l’Alameda de Hércules.

88
Alameda de Hércules, J. Martinez del Maso, XVII sec.

89
Un turismo naturalistico in crescita, l’utilizzo dei mezzi ecologi:
nuovi itinerari e mobilità sostenibile

Siviglia vanta già un notevole afflusso turistico, con grandi benefici dal
punto di vista economico e un po’ meno dal punto di vista della vivibilità
del centro storico, problema comune a molte città d’arte. Cionondimeno
la città rivela una netta spaccatura tra la zona sud e la zona nord che
risulta abbastanza defilata rispetto all’altra con importanti ripercussioni
sul piano del degrado urbano. Tuttavia l’analisi dei circuiti turistici
naturalistici a livello territoriale mette in luce un quadro importante
in tal senso poiché gli ingressi alla città in relazione a questi itinerari
evidenziamo un’omogeneità di distribuzione rispetto al perimetro e tra
essi molti si attestano sul settore nord e nord-est.
Inoltre, data la conformazione della città e il recente investimento della
regione sull’apparato viario ciclistico, si è ritenuto essenziale verificare
in fase di analisi la compatibilità tra il sistema infrastrutturale ciclabile e
gli ingressi al centro storico dei principali itinerari territoriali a vocazione
rurale e paesaggistica nonché sportiva.
L’obiettivo è quello di creare una maggiore coesione tra la città e
tali percorsi al fine di valorizzare alcune “porte di accesso” ora poco
potenziate e di incrementare l’offerta turistica attraverso una più
variegata modalità di fruizione.
Nell’elaborato grafico “Itinerari naturalistici e mobilità sostenibile”
sono riportati i circuiti ciclabili in relazione al centro antico e alle aree
limitrofe, al patrimonio storico artistico e al verde urbano.
Inoltre in tale direzione, al fine della delineazione di un quadro più
completo anche nell’ottica di interscambio modale, è stata mappata la
mobilità collettiva e sostenibile allo stato attuale: le stazione dei bus
interregionali, le stazioni ferroviarie, le linee e le stazioni della tramvia
e della metropolitana, le aree pedonali e il battello panoramico lungo
il fiume.
È stato poi evidenziato il circuito ciclabile che lambisce il perimetro
antico, ad oggi interamente completato. Questo percorso anulare
costituisce un elemento fondamentale in relazione alla cinta murata
e fornisce un importante supporto connettivo per la valorizzazione
dell’intero centro storico e dei complessi equilibri al suo interno sia in
tema di turismo che in tema di accessibilità e fruibilità. I tracciati ciclabili
infatti intra moenia calcano gli itinerari culturali e si connettono all’area
pedonale in prossimità del nucleo centrale della città a sud. Inoltre
Siviglia è già provvista di un sistema diffuso di bike sharing di 260
stazioni per il centro-città63.
Gli itinerari naturalistici, oltre che essere una valida alternativa ad un
turismo consolidato all’interno della città, hanno un ruolo fondamentale:
mettere in connessione la realtà urbana con le risorse paesaggistiche
del territorio. Attraverso questi circuiti, in gran parte collegati tra loro,

90
Siviglia entra in diretto contatto con i sistemi naturalistici della provincia
e della regione: la Sierra Morena a nord, il Parco di Doñana a sud-
ovest, la campagna sub-betica, le creste de Los Alcores e di Aljarate
rispattivamente a est e ovest.
Una rete connettiva lenta e sostenibile dunque, che attarverso
sentieri ciclopedonali ma ugualmente percorribile in automobile,
potenzia la dimensione paesaggistica rafforzando, da un lato, un
turismo sempre crescente, quello naturalistico, e dall’altro, un legame
antico e necessario, quello tra città e paesaggio.

Lungo l’antico tracciato del perimetro murato

A seguito delle considerazioni fino a qui svolte, l’attenzione si focolizza


necessariamente sull’oggetto d’interesse della ricerca: la cinta murata.
Siviglia conserva pochi frammenti dell’antico circuito, ma il disegno
urbano rivela come tale elemento, pur nell’assenza, rimane ben
percepito. La finalità di questa fase di studio è quella di mettere in luce
attraverso il progetto urbano ciò che resta di un patrimonio in gran
parte perduto, ma anche di ridefinire questo margine come bordo che
ancora conserva un ruolo specifico all’interno della città.
Occorre dunque comprendere cosa avviene lungo questa linea,
capire come ciò che rimane del tracciato storico dialoga con la città
contemporanea, come tratti di esso sono stati inglobati nel tessuto e
cosa ha sostituito il perimetro demolito. Unitamente a ciò è di rilevante
importanza sapere cosa si trova in prossimità del segno dell’antica
cinta, sia dentro che fuori le mura, e quali relazioni intercorrono tra il
nucleo antico e il suo intorno. È fondamentale mettere a sistema i vari
frammenti che compongono il quadro unitario.
In primis sono stati catalogati i beni di interesse storico-artistico che
si susseguono lungo il sistema anulare e la loro distanza dal tracciato.
Nello specifico sono stati indicati gli edifici che si collocano a 200 metri
dal circuito, a 100 metri dal circuito e quelli che invece intercettano il
circuito. Di tutti sono stati schematicamente indicati: la tipologia edilizia,
il periodo di edificazione e il grado di protezione in base all’anno di
catalogazione. Secondariamente sono stati riportati gli spazi pubblici
entro queste fasce dimensionali e la loro relazione con gli itinerari
culturali del Plan General all’interno del centro storico.
Dalla mappa emerge una fitta rete di attrattori urbani che si
sussegue lungo tutto il perimetro antico. Gli spazi aperti che si trovano
poi a ridosso del circuito, spesso intercettano tratti delle mura che, pur
non conservate, sono state già verificate a livello archeologico.

91
Itinerari naturalistici e mobilità sostenibile

92
Edifici di interesse storico-artistico e spazi pubblici aperti lungo le mura

93
Dall’analisi al progetto: le aree di permeabilità

Dalla sovrapposizione degli elaborati tematici e dall’analisi storiografica


e cartografica precedentemente illustrata, nonché dall’individuazione
delle principali direzionalità territoriali emerse dal quadro ambientale
e dallo studio degli itinerari culturali e naturalistici, si possono
dedurre chiaramente delle aree strategiche che, ubicate in prossimità
dell’antico circuito e caratterizzate da un buon grado di trasformabilità,
costituiranno di fatto gli spazi del progetto. Queste aree sono state
definite “aree di permeabilità”.
Il nome stesso allude all’intento primo di restituire maggiore
accessibilità al centro storico attraverso un dialogo più attivo tra nucleo
antico e città extra moenia. E in questa istanza il termine “accessibilità”
non assume soltanto il significato tecnico della parola, ma si rifà all’idea
più ampia di ripristinare uno “scambio biunivoco” tra la città storica e
l’espansione fuori mura, nelle diverse accezioni che questa relazione
comporta.
Tutte le aree di permeabilità sono inserite all’interno di uno spazio
ben preciso: l’ambito urbano compreso tra il tracciato della cinta
medievale e i viali di circonvallazione ottocenteschi. Ciò che abbiamo
infatti genericamente fino ad ora definito anello stradale intorno alle
mura, in realtà non è tale poiché notevole è lo scarto tra i due circuiti.
Come spesso accade in molte città fortificate, il perimetro murato
è anticipato da una fascia libera, spesso lasciata a verde, che è
risultante dell’antico sistema difensivo. Questo fa sì che molti interventi
contemporanei si attestino sull’idea della creazione di un parco anulare
che, là dove è possibile, si articola intorno alla cinta antica.
Nel caso di Siviglia questo spazio, probabilmente anche a causa
della demolizione ottocentesca, è stato in larga parte costruito.
Cionondimeno il nostro intervento tiene conto di questa area extra
moenia come eterogeneo spazio di lavoro, nella considerazione che,
pur se più variegato e complesso, rappresenta per noi oggi il canonico
anello esterno alle mura e offre, in ugual misura, numerose occasioni
di interscambio. In questa area si concentrerà il progetto proposto per
il caso studio di Siviglia.
I criteri utilizzati per l’individuazione di tali comparti sono:
- ubicazione rispetto ai tratti murari conservati o verificati sul piano
archeologico;
- ubicazione rispetto agli assi primari di comunicazione;
- ubicazione rispetto agli itinerari culturali intra ed extra moenia;
- ubicazione rispetto alle direzionalità degli itinerari naturalistici;
- trasformabilità dello spazio urbano in relazione al tessuto edilizio;
- presenza di spazi pubblici aperti.

94
Unitamente alla funzione prima di ingresso al centro storico, queste
“nuove porte di città” che, come la forma urbana suggerisce, sono
in gran parte le antiche, vogliono anche assolvere a un importante
compito: quello di completamento degli itinerari culturali individuati dal
Plan General.
Un’osservazione emersa sin da subito in questa fase di ricerca è
stata infatti quella che tali itinerari non accennano ad oltrepassare il
tracciato murario e soprattutto il tracciato non ne fa parte nonostante
il perimetro del conjunto histórico vada ben oltre la cinta muraria.
L’intenzione prima quindi a livello progettuale è quella di includere il
circuito anulare fuori le mura tra gli itinerari culturali del Plan General.
Una proposta questa che risulta imprescindibile sia per la valorizzazione
dei tratti murari conservati, sia per consentire un’unità più forte tra il
settore sud e il settore nord della città.
La ricchezza poi del patrimonio storico lungo tale percorso
fornisce un motivo più che valido alla liceità di tale intento. Le aree di
permeabilità dunque si attestano lungo la fascia fuori dalle mura, ma
entrano nella città fino a toccare gli assi principali della struttura urbana
ristabilendo maggiore coesione tra limite esterno e limite interno. Il
passaggio successivo sarà quello di designare degli ambiti strategici
di intervento che costituiscano il programma di azione e preludano al
progetto urbano.

Quadro sinottico degli ambiti strategici di trasformazione:


nuove porte di città

A seguito dell’analisi territoriale e urbana, dopo aver individuato le aree


di permeabilità in relazione al perimetro del centro storico (aree che
sostanzialmente hanno l’intento di mettere in connessione gli itinerari
culturali individuati già dalla programmazione urbanistica con l’anello
della città antica e i percorsi territoriali), la proposta progettuale intende
prioritariamente delimitare dei comparti urbani che in base ai criteri di
ricerca seguiti costituiscano delle potenziali zone di progammazione
progettuale definite ambiti strategici di trasformazione.
Gli ambiti individuati per Siviglia sono sette e a partire da nord in
senso orario sono stati così denominati:
- ambito 1. Puerta de la Macarena;
- ambito 2. Puerta de la Barqueta;
- ambito 3. Puerta Real;
- ambito 4. Puerta de Triana;
- ambito 5. Puerta de Jerez;
- ambito 6. Puerta de la Carne;
- ambito 7. Puerta de Osario.

95
Come si può notare tutti gli ambiti hanno il nome degli antichi accessi
al centro storico, questo di per sé costituisce già un programma interno
al progetto: creare cioè attraverso il circuito anulare fuori le mura
“nuove-vecchie” porte di città. Si intende infatti lavorare sul perimetro
della città antica a partire dalla funzione originaria della cinta fortificata
e cioè quella di accessibilità.
L’obiettivo dunque è duplice: la valorizzazione dell’oggetto
architettonico “mura”, per ciò che ne resta e per la traccia che lascia,
e la riqualificazione del nucleo antico nelle sue diverse parti attraverso
la progettazione strategica dei suoi bordi. Nel margine antico infatti
insistono ancora i principi significanti di un tempo: quelli di spazio
lineare che separa e dà forma, di filtro che misura uno contatto.
Nella determinazione degli ambiti sono stati riportati tre gradi di
approfondimento differenti, di cui solo i primi due sono di tipo operativo:
a. Le aree di permeabilità, che costituiscono di fatto le aree di
intervento primario;
b. Gli ambiti strategici di trasformazione, che indicano le aree
interessate direttamente dall’azione progettuale, ma che non
costituiscono necessariamente sito di progetto;
c. Gli ambiti di contiguità fisico-funzionale, che interessano quelle
aree che, pur se non coinvolte nel piano operativo, presentano
caratteri di omogeneità con le zone a e b.

I criteri da cui è stata desunta la perimetrazione degli ambiti


sono molteplici: la suddivisione dei settori del conjunto histórico,
l’omogeneità del tessuto edilizio in base alle fasi costitutive, la
continuità fisico-percettiva degli spazi, i principali flussi di percorrenza
(che costituiscono sistemi di attraversamento e di separazione) e il
grado di trasformazione delle aree interessate. Infine, sulla base
di questo studio, hanno un peso determinante nella definizione dei
comparti operativi i tracciati storici e gli itinerari culturali, nonché i
percorsi di tipo turistico-naturalistico e quelli ciclabili.
Per ogni ambito sono riportate le dimensioni superficiali in base ai
tre livelli suddetti a, b, c e quelle lineari del tratto murario interessato
con distinzione tra l’antico circuito demolito e quello attualmente
conservato.
Nello studio si è quindi approfondito lo sviluppo progettuale di un
ambito come modello di indagine per la definizione di una metodologia
di azione, nella consapevolezza che ogni caso costituisce una realtà
individua, eterogenea e complessa.
L’ambito qui selezionato è il numero 1. Puerta de la Macarena. La
scelta è stata determinata da diversi fattori concomitanti; in primis le
mura della Macarena sono il tratto maggiormente conservato dell’intero
circuito e possiedono tutti i caratteri tipologici e costruttivi originari

96
nonché un cammino di ronda ancora oggi potenzialmente percorribile;
secondariamente si trovano nell’area nord della città, cioè nell’area
del centro storico che attualmente risulta più degradata e fortemente
depotenziata rispetto ai circuiti turistici urbani.
La presenza della Basilica della Macarena e del Parlamento
dell’Andalusia, come riportato anche nel Plan Especial de Protección,
fanno di questo comparto un polo strategico che potrebbe rilanciare
l’intero settore nord della città.
Da un punto di vista storico invece il tracciato di Calle San Luis,
che si protende fuori il disegno del perimetro romano a prosecuzione
dell’antico cardo, è un asse di primaria importanza, culminante proprio
nell’arco della Macarena.
Lungo lo stesso asse approdano poi i percorsi escursionistici del
Plan de Bicicleta e quelli naturalistici che si collegano alla Sierra
Morena e al sistema lineare del Guadalquivir. Proseguendo verso il
Guadalquivir infatti l’area aggancia il percorso fluviale consentendo una
continuità a livello anulare attorno al limite antico della città islamica. Il
potenziamento di questo sistema circolare attorno alle mura consente
una visione globale della città e restituisce l’originaria importanza
dell’accesso ad essa da nord, da cui passava il corteo dei re cattolici.
La presenza di numerosi edifici di interesse storico artistico e la
statua più venerata della città, quella delle Virgen de la Esperanza
Macarena, che è esposta nell’omonima chiesa, fanno di questo ambito
un interessante caso di studio costituendo un’imperdibile occasione
per restituire un equilibrio tra le due parti della città, settentrionale e
meridionale, oggi fortemente sbilanciate.

97
Circuito murario e possibili Aree di Permeabilità

98
Ambiti strategici di Trasformazione

99
Il tratto murario della Macarena

Un breve quadro storico dell’area

Come già abbiamo visto in dettaglio precedentemente, la costruzione


del perimetro islamico, che inizia a partire dal XII secolo per opera
almoravide e si conclude nel XIII sotto gli Almohadi, amplia il precedente
di una superficie tre volte più grande. La parte nord-est viene inclusa
nel circuito murario come area meno densamente edificata con
grande prevalenza di zone libere. Lo dimostra la grandezza degli
isolati, confermando il modello morfologico Navarro-Jimènez64. Gli assi
ordinatori di questo nuova parte di città sono quello Buston Tavera-Calle
San Luis, che culmina nell’arco della Macarena come prosecuzione del
cardo romano, e Calle del Sol, terminante nell’omonima porta.
All’epoca dell’arrivo dei cristiani si suppone che il quartiere fosse
ancora poco costruito e probabilmente si trattava del barrio più povero
della città, condizione che ha sempre caratterizzato questa area.
L’Alameda de Hércules, denominata non a caso Laguna della Peste e le
aree prospicienti erano zone esondabili e insalubri, essendo il risultato
del prosciugamento del letto fluviale. Con probabilità il successo della
parte sud, dove risiede il potere politico e religioso, rispetto a quella
nord dipende proprio dal Guadalquivir e dalle sue continue esondazioni.
Questa distinzione tra area settentrionale e meridionale della città
caratterizzerà Siviglia fino all’età industriale e diverrà ancor più netta
con l’ampliamento delle rete ferroviaria e l’introduzione delle fabbriche.
La demolizione ottocentesca delle mura, che rientra in un
programma generale di ordinamento pubblico, lascia il posto ai grandi
viali di circonvallazione e alla rete ferrata, salvando il solo tratto che va
dalla porta della Macarena e quella di Cordova. Per alcuni le motivazioni
di questa scelta risiedono in un errore, quello cioè di aver considerato
questo tratto di origine romana; con sicurezza oggi possiamo invece
dire, come riporta Suárez Garmendia, che questo tratto ebbe una storia
diversa «per essere arabo, molto caratteristico, dall’aspetto pittoresco
e monumentale e per non essere d’ostacolo in alcuna maniera allo
sviluppo della città»65.
Dall’analisi storica cartografica si è potuto notare come l’area nord
fuori le mura sia stata per lungo tempo non urbanizzata ad eccezione
del Convento de Los Capuchinos, dell’Hospital de las Cinco Llagas,
attuale Parlamento de Andalucía, e del quartiere della Macarena a esso
prospiciente in direzione ovest.
Importante è aggiungere poi che le aree coltivate, pur se disposte
fuori del circuito murario, appaiono non di rado anche all’interno del

100
tessuto intra moenia: si segnalano in particolare gli orti che si trovano
lungo le mura della Macarena, Huertas de los Toribios. Questi orti
lasciano un segno nel tessuto edilizio che risulta ancora leggibile nella
conformazione degli isolati costruiti posteriormente. In ultimo l’area
segnalata dal Plan General relativa a Las Naves e catalogata come
ASE-DC-02, cioè area di integrazione dei servizi pubblici, ne occupa una
larga parte e rientra nell’ambito strategico di intervento qui approfondito.

Le mura della Macarena, come erano, come sono

Il tratto murario che va dalla Puerta de la Macarena alla Puerta


de Cordoba, è attualmente il tratto meglio conservato dell’antica
cinta fortificata di Siviglia. La sua estensione è pari a 536 metri e
ha un’altezza rispetto al piano urbano di 15 metri sul fronte esterno,
escluse le merlature, e di 6 su quello interno; ciò a causa del fossato
extra moenia. Il suo spessore murario è di 1,90 metri ed è preceduto
dal barbacane che è alto circa 3,6 metri al netto della linea merlata
con uno spessore di 1,45 metri, mentre la liza ha un’ampiezza di circa
3,5 metri. Il sistema difensivo militare presenta otto torri, disposte ogni
40–50 metri di forma quadrangolare con una larghezza tra i 4 metri e i
4,5 e un’altezza variabile che oscilla tra i 10 e 18 metri mentre tra tutte
svetta la Torre Blanca di circa 24 metri. Di forma poligonale, questa
torre presenta una distribuzione interna a doppia camera con copertura
voltata e scale interne. Le altre torri invece sono di tipologia semplice o
a camera unica. Le merlature del barbacane sono piane mentre quelle
del muro sono piramidate.
Il tratto si presentava massiccio e continuo fino alla fine del XIX
secolo, periodo in cui, a causa della lottizzazione degli orti de Los
Toribios, furono aperti i due postigos ad arco. Come si ipotizza per gran
parte dell’intero perimetro fortificato, il recinto principale fu costruito
sotto il regno del sultano Ali Ben Yusuf intorno al 1130 -1140, quindi
in epoca almoravide, e fu poi successivamente restaurato e modificato
dagli Almohadi circa un secolo più tardi per ordine di Abu al-Alá.
All’intervento almohade si deve il circuito della cerchia antemurale,
il barbacane, l’elevazione delle mura con l’introduzione delle merlature
piramidali, la fortificazione delle porte, il rafforzamento delle antiche torri
e l’introduzione di nuove.
Fu in epoca almohade che venne edificata la coracha nella parte
Sud di Siviglia e le torri albarranas, a cui appartengono la Torre de Oro
e quella de la Plata ancora conservate.
La datazione delle mura della Macarena a seguito del restauro
del 1987 ha fatto luce su molti aspetti della ricerca relativa all’intero
perimetro oltre che sulla conoscenza dell’oggetto architettonico stesso.
Il tratto è compreso tra due porte, quella di Cordova e quella della
Macarena.

101
Secondo Daniel Jimènez Maqueda le porte erano entrambe di origine
almoravide e presentavano un impianto tipologico similare ancora
visibile in quella di Cordova66. Questa porta, che segue lo schema della
Monaita de Granada, era caratterizzata da una torre rettangolare che,
sporgente rispetto alla linea fortificata, permetteva quindi un ingresso
laterale e un sistema di accesso en recodo, cioè secondo un percorso
indiretto. Si tratta dell’unica porta del recinto che non fu soggetta alle
opere di riforma della cinta muraria del XVI secolo, sebbene fu adattata
a cappella di preghiera nel Seicento e successivamente inglobata nella
chiesa di San Hermenegildo.
La porta della Macarena invece ha subito numerose modificazioni
nel corso del tempo fino ad assumere ora le attuali sembianze che sono
il frutto del massiccio intervento del 1588 e di quello del 1795. Questa
porta ebbe in passato, e ha tuttora, un ruolo centrale nell’assetto della
città poiché ne costituisce l’accesso nord: per essa passava infatti l’asse
romano che collegava Siviglia alle principali vie dirette a settentrione.
Per questo motivo fu oggetto di un programma di riforma almohade la
cui complessità le conferì il soprannome di El alcazarejo.
In base alle ricostruzione storiografica la porta era fiancheggiata
da due torri e presentava tre accessi, un primo arco merlato che
corrisponde al barbacane, mentre il secondo e il terzo che costituivano
un sistema di ingresso en recodo67.
Alla luce di quanto detto possiamo asserire che questo lungo
tratto che si conserva nell’area nord di Siviglia si mostra oggi a noi
come un “muro parlante”, che spiega nella sua fortunata integrità il
sistema difensivo arabo e il particolare rapporto di scambio, chiusura
e permeabilità che si istaura tra la città intra ed extra moenia. Come
usare dunque questo dispositivo urbano nella città contemporanea?
Che usi e significati può assumere rispetto al centro storico e alla città
d’espansione fuori le mura? Di seguito cercheremo di fornire a ciò un
programma d’intenti come risposta.

Area di permeabilità, strategie d’azione

Come già precedentemente detto, le aree di permeabilità individuate


nel quadro sinottico degli ambiti strategici d’intervento sono di fatto
le aree segnalate come comparti operativi di trasformazione urbana.
All’interno poi dell’ambito strategico di azione vengono individuati dei
perimetri strettamente connessi alle area di permeabilità che possono
riguardare un ulteriore approfondimento legato al programma interno
del progetto.
Come si vede dagli elaborati grafici che seguono, l’area di
permeabilità per l’ambito 1 si concentra intorno all’antico tratto murario
della Macarena includendo la retrostante Calle de la Macarena, la Plaza
de la Macarena e il vuoto urbano detto Naves, indicato nel Plan General

102
come ASE-DC-02 e cioè un’area di trasformazione urbana per la quale
si prevede la destinazione di servizi socio-culturali per la riqualificazione
della zona e la valorizzazione delle mura. A questo perimetro, che sta ad
indicare la superficie urbana di intervento primario, si aggiungono altre
quattro aree, strettamente connesse a quella cosiddetta di permeabilità,
che costituiscono un sottocomparto per un intervento secondario in
termini cronologici. A tale sottocomparto appartengono, l’area antistante
il Parlamento dell’Andalusia, l’area intorna alla chiesa di San Gil, Plaza
del Pumarejo e quella adiacente il Convento de Capuchinos.
Nell’assetto attuale dell’ambito, le antiche mura si ergono lungo
l’asse viario ad alto scorrimento come una linea continua che divide un
parco urbano, ricavato nell’area del fossato antistante da Calle de la
Macarena, dal resto della città: un oggetto architettonico dalla grande
imponenza che però si mostra come quasi estraneo alla città, si direbbe
quasi un objet trouvé con le sembianze di una rovina che funge da isola
spartitraffico tra due vie.
A conferma di ciò solo recentissimamente è stato approvato il progetto
di pedonalizzazione dell’area antistante la chiesa della Macarena (2017),
quando in realtà il Plan General del 2006 già inquadrava Calle de la
Macarena come zona verde, presupponendone la riduzione del traffico
stradale. Va detto poi che la chiesa della Macarena, se pur defilata
rispetto agli itinerari turistici della città più gettonati, contiene la statua
più venerata dai sivigliani.
Pur se certe informazioni non hanno un carattere propriamente
tecnico, credo che sia più che utile alla comprensione sapere che
questa Virgen dolorosa che si trova in tutti i negozi di souvenir della
città, come fosse una Tour Eiffel per Parigi o un Colosseo per Roma,
solo in pochi turisti sanno dove si trovi. Basta poco a capire dunque che
questa parte della città vive da sempre, per così dire, all’ombra dell’altra
nella zona sud, anche se questo aspetto le conferisce l’indiscutibile
fascino di un’area tra le più autentiche e pittoresche del centro storico. Il
Plan Especial de Protección e El Catálogo de Protección autónomo,
sector 1°–San Gil non a caso parla dell’importanza di questa zona
come area strategica per la valorizzazione dell’intera parte settentrionale
della città, individuando in questo preciso punto un polo urbano che
può controbilanciare l’area Sud, sia per la presenza del Parlamento
che della Chiesa della Macarena e, nondimeno, delle antiche mura.
Dall’analisi riportata, poi, quest’area si sviluppa a partire da un asse di
grande valenza storica della città, la Calle San Luis, che seguendo la
direzione del cardo romano arriva alla porta della Macarena, porta reale
da nord, e che, oltrepassata la quale, si estende nel territorio attraverso
antiche vie di cui abbiamo precedentemente trattato in relazione agli
itinerari escursionistici e culturali della regione. Il circuito ciclabile infine,
tangente al parco delle mura, è un elemento connettivo molto efficace
alla comprensione della città e del suo perimetro.

103
Secondo l’indagine approfondita riportiamo di seguito i principali
obiettivi che il programma d’intervento si propone:
1. Creare una maggiore continuità urbana, tanto fisica quanto
percettiva tra il Parlamento, la piazza della Macarena e il sistema
lineare delle antiche mura;
2. Riqualificare Piazza della Macarena e l’antico arco come porta
della città da nord, punto di scambio tra il centro storico e la città
d’espansione settentrionale con particolare attenzione agli itinerari
turistici culturali che qui approdano;
3. Valorizzare le mura antiche come dispositivo urbano contemporaneo;
4. Rigenerare Calle de la Macarena come spazio ad uso collettivo e
elemento connettivo tra il tessuto urbano intra moenia e la cinta
muraria;
5. Riqualificare il parco antistante le mura ristabilendo una maggiore
coesione tra l’area e la città storica;
6. Potenziare il sistema lineare di Calle San Luis sottolineando la
continuità di piazze in sequenza: Macarena, San Gil e Pumarejo;
7. Valorizzare la Puerta de Cordoba e la relativa area di pertinenza
come elemento di testa dell’asse di Calle de la Macarena e del
tratto murario.

Dal programma progettuale al disegno della città

Sulla base delle indicazioni sopra riportate, le linee guida al progetto


contemporaneo costituiscono, in questo contesto tematico, una
proposta di azioni strategiche per la riqualificazione delle mura antiche
e delle aree ad esse prospicienti. Il progetto, va detto, funge da verifica
di una metodologia intrapresa, più che consistere in una restituzione
formale. In relazione dunque agli obiettivi del paragrafo precedente si
intende delineare in termini di progettualità più che di disegno, una
risposta alle questioni indicate.
L’esigenza prima è quella di recuperare le antiche mura tanto a
livello architettonico quanto a livello urbano, riqualificare cioè questa
antica linea di confine riportandola non alla sua primitiva funzione, ma
al suo originario significato (o, per meglio dire, alla sua molteplicità di
significati). Persa la vocazione militare di sistema lineare di difesa, questo
manufatto appare ai nostri giorni come un frammento che costituisce,
oltre che un bene di grande valore storico-artistico, un’architettura
della memoria e, per la sua conformazione morfologica e collocazione
spaziale, un’enorme risorsa in ambito urbano. Parte integrante della
città più che affascinante rovina, le mura della Macarena vengono
rilette in chiave contemporanea come un dispositivo urbano bifronte
che, in quanto tale, assolve al ruolo di cerniera tra la città antica e quella
d’espansione.

104
Il tratto murario diviene qui un’occasione per assorbire quelle cesure
che si verificano nel tessuto urbano tra comparti isolati, restituendo
una contiguità spaziale e di significato tra i vari episodi della città. La
proposta progettuale intende in primo luogo ovviare a quelle criticità che
impediscono il dialogo tra la città antica e la cinta murata, restituendo
un’integrità percettiva e fisica alle componenti nel loro insieme.
A tal fine il primo intervento riguarda il piano urbano e, in particolare lo
spazio pubblico urbano. Si ipotizza dunque la pedonalizzazione di alcune
aree chiave, ovviando alla necessità di liberare dal traffico carrabile la
fortificazione araba (il progetto per la piazza della Macarena di recente
approvazione prevede già la trasformazione ad area pedonale della zona
circostante la chiesa).
Nello specifico, considerata la necessità di riqualificazione dall’interno
del quartiere nord-est di Siviglia e la sua difficoltà di rilancio, l’obiettivo è
quello di creare un nuovo polo urbano a nord. Si ritiene che la presenza
del Parlamento, dell’università e la chiesa della Macarena, unitamente
al nuovo intervento sulle mura antiche, possano offrire un’importante
risorsa per riqualificare il settore settentrionale della capitale andalusa.
La nuova piazza lineare che lambisce le mura dal lato posteriore,
trasforma Calle de la Macarena in un piccolo corso cittadino che si
estende tra due porte; così come infatti l’arco della Macarena, anche
la porta di Cordova e la chiesa di San Hermenegildo dall’altra parte
divengono elemento di testa di questo percorso longitudinale.
Per consentire l’accesso ai veicoli autorizzati e ai residenti degli isolati
retrostanti, solo un tratto di Calle de la Macarena viene indicato come
zona 30. La nuova viabilità stradale infatti segue il disegno del tessuto
urbano fino all’età ottocentesca.
Si vuole pertanto riportare alla luce il tracciato degli orti de los
Toribios, depotenziando il traffico automobilistico a favore della mobilità
ciclo-pedonale.
Allo stesso modo l’asse di Calle San Luis viene ripensato cercando
di sottolineare la continuità spaziale tra piazza del Pumarejo, San Gil,
fino all’arco della Macarena, prevedendo un ridisegno delle superfici,
degli arredi urbani e della vegetazione ove presente e proponendo una
priorità perdonale inserendo anche in questa via una zona 30.
Fuori le mura invece il parco viene messo in connessione con il nuovo
spazio cittadino in Calle de la Macarena vietando l’ingresso alle auto
negli accessi dei due postigos ottocenteschi. In corrispondenza di essi
si aprono due piccole piazze la cui la pavimentazione a terra penetra fino
al fronte intra moenia delle mura sottolineando la continuità tra le due
parti.
Per quanto riguarda invece la barriera che il grande viale di
circonvallazione costituisce, si avanza l’ipotesi di ridurre il numero delle
corsie almeno in corrispondenza dei giardini del Parlamento, mentre si
stabilisce, attraverso una progettazione del verde e delle alberature, una

105
maggiore connessione visiva. Si ritiene però che l’interramento del viale
e la creazione di un grande parco che connetta il Parlamento alla città,
considerata l’importanza civica di questo edificio, non sia una proposta
poi così azzardata.
Descritte nei tratti salienti le intenzioni per l’intera area, resta da capire
come rigenerare le antiche mura e come far sì che questo frammento
di storia possa interagire con la città. Il focus sta nel restituire a questo
oggetto un ruolo all’interno di essa.
Considerato lo stato di conservazione delle mura e tenuto conto
delle quote altimetriche del piano urbano in relazione al rilievo del
manufatto, si deduce un dato rilevante: l’accessibilità totale all’oggetto
architettonico. Alla luce di ciò si ipotizzano tre differenti usi delle mura
per diversi tipi di utenze.
Tenuto conto dell’estensione lineare del sistema murario si propone
la coesistenza di tre intenti progettuali:
a. le mura come elemento di accesso alla città;
b. le mura come oggetto conoscitivo dell’intero circuito demolito;
c. le mura come spazio pubblico urbano ad uso sociale e culturale.

Nel primo caso, l’arco della Macarena, che costituisce la porta


settentrionale della città, è attraversato dall’antico tracciato romano ed
accoglie gli itinerari culturali e naturalistici da nord. Considerato che la
merlatura del barbacane ha un’altezza di circa 3-3,5 metri rispetto al
piano di calpestio della liza, si prevede in questo primo tratto adiacente
la porta la possibilità di una copertura e l’inserimento di un punto di
accoglienza e di informazione per la città e il suo territorio. Questo spazio
inoltre, è un elemento di filtro che consente comunque la fruizione del
tratto retrostante ad uso pubblico che è parte del percorso murato.
In secondo luogo la presenza dell’area di trasformazione ASE-
DC–02, Las Naves, indicata dal Plan General, si mostra come
un’importante opportunità per la valorizzazione del tracciato fortificato.
Si prevede in questo spazio la realizzazione di un edificio museale,
didattico e conoscitivo sui sistemi difensivi islamici e sull’antico circuito
murario della città. Poiché che il livello di ronda si trova a circa 6 metri dal
piano urbano, è possibile consentire a questa quota un collegamento
tra il nuovo edificio e le mura, ripristinando il camminamento. Questo
consente la fruizione dell’intero itinerario anche ai portatori di handicap.
Il percorso didattico-museale giunge fino alla Torre Blanca che diviene
un punto focale della visita e che permette la discesa al cammino di liza
e quindi la circolarità del percorso fino al punto di partenza attraverso
il postigo ottocentesco. L’area retrostante il nuovo museo delle mura
viene recuperata come spazio pubblico cittadino. Si suggerisce la
possibilità di introdurre degli orti urbani (coerentemente al fatto che
l’area occupa la superficie di quelli storici, detti de los Toribios).

106
L’ultimo intervento che giunge fino alla porta di Cordova, viene
destinato a spazio polifunzionale per la comunità, per attività di vicinato
e per la vita sociale del quartiere. Trattandosi di uno spazio dalla
prevalente direzionalità lineare, esso può assumere diversi significati
e differenti funzioni: l’altezza del barbacane consente come già detto
anche l’opzione di introdurre delle coperture e ricavare degli spazi
chiusi. Attraverso l’antica porta, percorrendo la liza, si giunge al postigo
uscendo sul parco antistante o entrando in Calle de la Macarena.
La lunga estensione del tratto, i differenti livelli di fruizione rispetto
al piano urbano, come la liza, il barbacane e la ronda, le porte della
Macarena e di Cordova, elementi di testa di un sistema lineare, le
otto torri, episodi puntuali lungo il percorso, fanno di questo oggetto
un’architettura unica nell’immagine della città.
Come una sorta di skyline che ne definisce la forma, la sua
collocazione spaziale la pone per definizione al limite della città antica e
ne esalta la grande capacità connettiva sia in senso trasversale al circuito
che in senso longitudinale. Il fatto inoltre di essere un frammento di un
tutto ormai perduto ne rafforza il potere evocativo e il significato iconico,
restituendo alla contemporaneità una memoria collettiva da preservare.
Il progetto contemporaneo dunque ha il dovere di rispettare e far
propri questi caratteri strutturanti e di trasmetterli alla città odierna
secondo le esigenze e le letture di cui essa necessita. Si ritiene pertanto
che un bene storico dalla indiscussa monumentalità come questo non
possa scadere in monumentalismo e che alla luce del suo significato,
venga restituito alla città come una parte di essa.
D’altro canto il fascino della rovina purtroppo spesso non coincide
con il concetto di sopravvivenza nel tempo e, come il passato insegna,
solo la trasformazione e l’adeguamento delle antiche architetture ci
consentono di averle ancora in vita, all’interno di un processo morfologico
eternamente in fieri quale quello urbano.
Il progetto contemporaneo sull’antico deve dunque tener conto di tutti
questi aspetti nella consapevolezza che l’unicità di certi episodi all’interno
del tessuto costituisce un’opportunità imprescindibile per conservare
un’identità e allo stesso tempo per proiettare al futuro l’immagine di
essa, attraverso l’accettazione del cambiamento nel continuum storico
che disegna la città.

107
Muralla de la Macarena, vista aerea del parco extra moenia.

Dentro le mura.

108
Muralla de la Macarena, Francisco Pacerisa, 1856.

Puerta de la Macarena, vista da calle San Luis, cartolina 1903.

109
Stato di fatto e Strategie di progetto
1. Mura della Macarena 2. Porta della Macarena3. Chiesa della Macarena 4.Chiesa di San Gil 5. Plaza del Pummarejo
6. Porta di Cordova7. Chiesa di San Hermenegildo8. Convento de Capichinos9. Parlamento dell’ Andalusia 10. Area di
trasformazione (Plan General ASE-DC-02).

110
Stato attuale, dentro e fuori le mura

111
Assonometria di progetto

112
Sezione di progetto A-A’

113
Sezione di progetto B-B’

114
Progetto del Museo de forticaciones àrabes - Pianta e Vista A

115
Nulla finisce, muta soltanto

Contenitore e contenuto: il nuovo rapporto mura-città

Le mura delle città antiche, in quanto riconducibili ad una più ampia


categoria semantica, quella del muro, e prima ancora quella del recinto,
sono per loro natura architetture del limite e come tali, prima che
apparati militari di difesa a cui vengono a buona ragione comunemente
associate, esse sono l’espressione di un significato più strutturale e
cioè, in senso lato, sono la trasposizione fisica del segno. Le mura
rappresentano per così dire il contenitore nell’entità duale contenitore-
contenuto, esse sono l’immagine architettonica del concetto di forma68
ed è implicito che nel nostro caso tale forma si chiami proprio forma
urbis. Partendo da questo assunto, le mura non sono solo il dispositivo
bellico che ha garantito la difesa e quindi la sopravvivenza della città
per secoli, ma sono state l’astrazione sintetica e l’identità della città
stessa, la parte per il tutto, per usare una figura retorica, intesa come
significante iconico di un’unità tanto fisica quanto politica.
In tal senso Franca Miani Uluhogian parla di cinte come «geometria
dell’immagine»69 e lo fa sottolineando la valenza “estetica” che sottende
alla definizione. Tale premessa sposta la questione della trattazione
delle mura antiche non solo in relazione all’importante testimonianza
storica che questi beni patrimoniali rappresentano, ma sul più ampio
piano del dialogo che struttura da sempre il binomio perimetro-città.
Studiare i circuiti murati oggi significa assumere per valido un
ribaltamento semantico: possiamo affermare che se storicamente, in
larga parte, le mura sono state il contenitore della città, ora è la città
stessa a contenere le mura. Pertanto questa “rivoluzione copernicana”
porta con sé una complessa rete di mutamenti spaziali e relazionali a
cui la città, nel continuum metamorfico che la contraddistingue, deve
necessariamente adattarsi. Il modo in cui lo ha fatto e quello migliore in
cui può farlo è stato l’interrogativo strutturante di questo libro.
Quell’apparato architettonico che in età medievale aveva
caratterizzato l’osmotico rapporto tra città e campagna70, diviene oggi
un elemento di separazione tra città e centro storico, offrendo numerosi
spunti per una riabilitazione dei perimetri antichi come dispositivi urbani
per la valorizzazione della città intra moenia. Il tema della riqualificazione
di questo importante patrimonio storico non è quindi affrontato solo in
ottica di conservazione e valorizzazione del manufatto, ma si spinge
a considerare l’oggetto architettonico come uno strumento riabilitativo
dell’intera città storica a partire dall’innata capacità di certe architetture
di generare nuove relazioni, e nuove letture, dello spazio urbano.

116
Le mura come circuito chiuso: stato di conservazione e unità percettiva

Il progetto urbano delle mura di Siviglia nasce come occasione di verifica


di un metodo, anche se, in tema di progettazione architettonica, è forse
più corretto parlare di validità di una strategia d’azione. L’esperienza di
ricerca ha individuato nello stato conservativo del circuito una chiave
importante di lettura per valutare l’intervento contemporaneo sulle
cerchie fortificate. Dunque la capitale andalusa diventava, per così dire,
la traccia da seguire. E dico qui la traccia, perché delle mura di Siviglia
questo in larga parte rimane. Demolite alla fine dell’Ottocento, ciò che
resta delle fortificazioni almoravidi e almohadi sivigliane è ben poco.
Nella paradossale scelta di lavorare su un apparato murario dove la
distruzione è stata massiccia, era quindi interessante verificare l’unità di
tale circuito nonostante la rovinosa perdita e procedere poi al progetto
affrontando tanto il tema dell’assenza quanto quello del frammento.
A partire da una lettura critica dell’analisi di Franco Speroni a
Simmel71, ai fini della ricerca sono stati ricondotti allo stato conservativo
dell’oggetto “mura” quattro stadi di deterioramento a cui fanno
riferimento altrettanti approcci del progetto contemporaneo: la lacuna,
il frammento, la rovina e la traccia. Queste categorie tassonomiche,
chiamiamole così, sono strettamente connesse all’unità dell’organismo
fortificato.
La lacuna è qui la parte mancante di un tutto ancora presente, il
frammento è quell’elemento di cui l’unità persa è ancora percepibile,
mentre la rovina è quell’accidente assurdo, quel objet trouvé, che lascia
intuire un’unitarietà di cui perduta è l’immagine, mentre la traccia, al
contrario, si mostra in tal senso con l’opposto significato: un segno che
dà forma all’unità originaria a partire proprio dall’assenza.
Era pertanto molto affascinante capire se la mancanza del circuito
murario nella sua interezza potesse riemergere dallo studio della
morfologia urbana ed essere riportato in luce attraverso il progetto.
E la risposta a questo interrogativo si è rivelata affermativa, nella
consapevolezza che se si parla di limite urbano, la traccia (o il tracciato),
pur se il muro viene oltrepassato, e anche se viene abbattuto, persiste,
rimane. In tale direzione lo studio condotto si è spinto oltre e giunge
a considerare come l’integrità del perimetro murato è secondaria
all’integrità del tracciato che ne resta. Ne consegue che il progetto
urbano prefigura la necessità di verificare, e far riaffiorare, come
generatrice dello spazio lineare del limite, l’unità urbana delle cinte
murarie, indipendentemente dallo stato effettivo di conservazione. Una
riflessione questa che restituisce agli apparati murari la condizione
di involucro, di membrana parietale di un organismo, quello urbano
appunto, che da essi trae vita e scambio e che tramite essi può ancor
oggi attivare nuovi equilibri e nuove relazioni.

117
L’importanza dei tracciati antichi nella rete del patrimonio culturale
urbano e territoriale

La ricerca si è mossa dunque a partire dallo studio della cerchia fortificata


tanto in relazione all’evoluzione della città storica e della morfologia
urbana quanto, in parallelo, allo sviluppo antropico territoriale e lo ha
fatto secondo una precisa lettura critica: quella dei tracciati antichi.
L’impalcato viario romano e medievale infatti struttura il territorio
attraverso una rete di relazioni da cui si è originata la peculiare
conformazione del paesaggio europeo. È lungo questi assi che si
attesta gran parte del patrimonio storico artistico di un territorio.
Gli itinerari storici infatti, e nello specifico i cammini storici, oltre che
rappresentare un turismo lento e sostenibile, fortunatamente sempre
più in crescita, evidenziano l’impronta dell’uomo in un determinato
spazio geografico e sono infrastrutture già esistenti in grado di mettere
a sistema le risorse naturali con quelle culturali. Parimenti, questi
percorsi, proprio perché generatori dell’assetto territoriale, rivelano la
straordinaria capacità di riabilitare un rapporto fondante della logica
insediativa, un binomio oggi sopito, ma non per questo scomparso,
quello tra città antica e territorio.
Da sempre la “fortuna” di certi tracciati a discapito di altri determina
quegli equilibri, o disequilibri, che modificano il paesaggio urbano e
influenzano la crescita o la decadenza di una città. D’altro canto i profondi
mutamenti della città contemporanea sono il frutto dell’introduzione di
nuove infrastrutture a cui è spesso succeduto uno sviluppo edilizio
troppo disordinato e poco coerente, specie in prossimità dei nuclei
urbani principali.
In questo senso il radicale cambiamento del paesaggio urbano
ha determinato profonde alterazioni non solo nelle aree di nuova
edificazione, ma anche e soprattutto nelle dinamiche di trasformazione
della città antica e delle sue diverse parti. Il caso di Siviglia vuole mettere
in luce come un progetto consapevole sul limite del nucleo storico,
riabilitando antichi percorsi provenienti dal territorio, può costituire
un’opportunità reale di rilancio della città antica, secondo una corretta
lettura del paesaggio e della storia.
Ne consegue che il turismo dei cammini, o più in generale dei tracciati
antichi, si rivela uno strumento attivo e sostenibile per la rigenerazione
dei centri storici e stabilisce una rete possibile di relazioni, fondata su
antichi equilibri, atta alla tutela e alla salvaguardia di quelle dominanti
territoriali che strutturano da secoli il nostro paesaggio.

Da limes a limen: le aree di permeabilità

Sintetizzando geometricamente questo processo, la dimensione


anulare del circuito entra in relazione con quella radiale degli itinerari

118
e i punti di intersezione di questi due sistemi sono proprio le porte della
città.
Il perimetro del nucleo antico diviene così il luogo della porosità
urbana, come suggerisce il progetto che individua ambiti strategici
di trasformazione e al loro interno aree di permeabilità. Queste parti
di città sono spazi dell’accessibilità in senso lato, dell’accoglienza e
dell’orientamento, che unendo l’ubicazione degli antichi varchi ai luoghi
della contemporaneità si mostrano come lo spazio urbano dove avviene
il passaggio, il contatto e quindi l’ingresso.
Riqualificare queste parti di città significa tanto riprogettare le
antiche porte, quanto costruirne delle nuove. In tale direzione le mura
antiche possono, come nella proposta suggerita, tornare ad esse dei
dispositivi urbani capaci di interazione lungo tutto il loro sviluppo lineare.
La prevalenza dimensionale di queste strutture infatti le rende elementi
infrastrutturali: «le mura sono sistemi lineari che possono agire sia come
elementi episodici puntuali che come sistemi di collegamento, cioè delle
vere e proprie infrastrutture»72.
Il limes diviene limen, cioè soglia urbana, e lo fa restituendo la
relazione profonda che connette il paesaggio territoriale e i vettori
dello spazio intra moenia. In senso metaforico è proprio sul limen che
i percorsi che disegnano il territorio si trasformano in strade di città e
generalmente le vie urbane che si attestano sulle porte sono gli assi
generatori del nucleo storico, ne sono esempio calzante il cardo e il
decumano romani.
Reintegrare gli itinerari culturali intra moenia al circuito anulare
murato fa del sistema fortificato un connettivo trasversale di tutti i
percorsi all’interno della città e quindi un involucro, una cintura, capace
di restituire unità e di operare in senso inclusivo.

Le mura come… architetture

Che ruolo possono assumere oggi le mura antiche?


Questo è stato l’interrogativo alla base della ricerca e in relazione
ad esso si può validare la risposta attesa: le mura possono e devono
tornare ad essere un limite urbano. Per ruolo infatti non intendiamo
la destinazione d’uso adottata per il recupero di certi manufatti, ma il
“compito” che essi svolgono all’interno della città. E la funzione che
auspichiamo per la riqualificazione dei perimetri antichi si trova nella loro
stessa natura.
Pur se non più legate alla difesa militare, né tanto meno all’identità
collettiva e politica, le mura hanno ancora una mansione fondamentale
nella città antica: quello di contenerla. Questa caratteristica morfologica
e strutturale del circuito fortificato rende tale apparato architettonico
un dispositivo urbano permeabile, in grado di produrre relazioni o di
interromperne altre. Elementi lineari bidirezionali, le mura traggono dal

119
loro essere margine la loro più grande risorsa. In riferimento a ciò, le
fortificazioni urbane esprimono a oggi un potenziale altissimo nella
valorizzazione dei centri storici.
Studiare dunque le cinte antiche non è solo materia di restauro o
di ingegneria bellica, ma è soprattutto progettazione architettonica e
urbana. In quest’ottica il progetto lungo i perimetri murati diviene un
momento tanto conoscitivo quanto di verifica, uno strumento di azione
e di riflessione sul patrimonio storico-artistico e sull’importanza della
tutela e della salvaguardia di certe architetture in chiave attiva.
Non basta infatti conservare, occorre utilizzare.
«Nulla finisce, muta soltanto», titolo di questo capitolo conclusivo, è
una celebre frase di Charles Chaplin che racchiude il semplice senso
della vita, senza esclusione per il costruito. La storia ci insegna infatti
che la morte degli edifici nasce dall’abbandono. Un pericolo costante
dunque per i beni patrimoniali consiste proprio nell’ingannevole
definizione di monumento. Cristallizzare non è garanzia di tramandare
alle generazioni future.
In tal senso la ricerca trova fondamento a partire dal concetto di
bene non come oggetto, ma come soggetto, non come scena, ma
come attore nel grande teatro della città.
Solo il progetto urbano può affrontare il tema dei circuiti antichi
con consapevolezza ed efficacia, poiché unica disciplina in grado di
misurarsi non solo con le architetture, ma con lo spazio che da esse
viene generato. Da qui la necessità di riqualificare le fortificazioni
a partire dalla loro collocazione spaziale e al contempo dal compito
che, come architetture, possono ancora assolvere a servizio della città.
D’altronde va ricordato che le mura non sono altro che architetture e
come tali per vivere, devono essere vissute.
A sostegno di ciò merita concludere con le parole di Giovanni
Michelucci sul perimetro di Firenze «Solo se le mura porteranno alla
città un loro contributo di vita, si salveranno»73.

120
Le Mura di Cittadella, Padova 2013.

121
NOTE

1 L. Piccinato, La progettazione urbanistica. La città come organismo,


G. Astengo (a cura di), Marsilio editori, Venezia, 1988.
2 L. Benevolo, I confini del paesaggio umano, Editori Laterza Milano Bari 1994,
p. 6.
3 G. Strappa, Unità dell’organismo architettonico, Edizioni Dedalo, Bari 1995,
p.78.
4 L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 10
5 V. Gregotti, in AA.VV., Recinti, Rassegna, 1979 n. 1, p. 6.
6 G. Semper, I quattro elementi dell’architettura. in H. Quitzsch, La visione
estetica di Semper, Jaca Book, Milano, 1991.
7 P. Sica, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas, Edizioni Laterza, Milano-
Bari 1970. p. 24.
8 G. Di Domenico, L’idea di recinto. Il recinto come essenza e forma primaria
dell’architettura, Officina Edizioni, Roma 1998, p.64.
9 |mia traduzione|J. M. Aparisio Guisado, pref. K. Frampton, El Muro, Biblioteca
Nueva, Madrid 2006, p. 189.
10 M. Romano, L’estetica della città: il problema dei confini, in G. Marinucci
(a cura di) , I limiti della città. Il borgo e la metropoli, Seminario di Studi,
Camerino 28 luglio – 4 agosto 1994. Sapiens edizioni, Milano 1995, p. 69.
11 Negli studi sull’architettura militare G. Villa riconosce a P. Gazzola il merito di aver
suggerito una lettura delle fortificazioni come valore di documento nella storia
dei sistemi insediativi e delle interazioni tra paesaggio antropico e naturale e
a P. Marconi la riscoperta dei molteplici significati sottesi alla concezione delle
fortificazioni di età medievale e della prima età moderna. “A limitare lo sviluppo
ha contribuito il peso di una cospicua tradizione storiografica di matrice
ingegneristica, prevalentemente incentrata sulle peculiarità tecniche degli
apparati difensivi, ma anche la progressiva settorializzazione degli studi di
storia dell’architettura e della disciplina del restauro”, G. Villa, Edifici, città,
paesaggio: l’architettura fortificata come chiave di lettura e di valorizzazione
dello spazio storico in R. M. Dal Mas, R. Mancini (a cura di), Cinte murarie e
abitati, restauro, riuso e valorizzazione, Aracne editrice, Roma 2015, p. 158.
12 “Come il centro cosmico genera l’edificio-centro così le mura modellano
il piano della città. La stessa sequenza piramidale che si esprime nella
convergenza al punto centrale – le piramidi, le ziggurat, i templi indocinesi
– contempla una successione di spazi e di limiti orizzontali dal centro al
temenos” P. Sica in P. Sica, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas,
Edizioni Laterza, Milano-Bari 1970, p. 24.
13 Secondo Euripide, Strabone e Pausania sarebbero state costruite dai
ciclopi o erano state attribuite al mitico popolo pre-ellenico dei Pelasgi (def. da
Dizionario Enciclopedico Treccani, vers. online www.treccani.it).
14 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, in C. De Seta, J. Le
Goff, La città e le mura, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 3.
15 “La città greca, come è stato osservato molte volte, è una città aperta
che comprende legalmente e all’occorrenza ospita nelle mura anche la
popolazione rurale e si presenta come un paesaggio unitario, composto
di parti reciprocamente visibili e misurabili, sebbene diversi per funzione
e importanza. […] L’architettura diventa capace di dar forma e dignità
omogenea all’intero ambiente abitato dall’uomo”, L. Benevolo in L. Benevolo,
La città nella storia d’Europa, Edizioni Laterza, 2001, p. 11.
16 P. Sica, L’immagine della città da Sparta a Las Vegas, Edizioni Laterza; Milano-
Bari 1970. p. 50. - ἰσονομία (isonomia) trad. dal greco: uguaglianza civile o dei
diritti, alla base della democrazia ateniese.
17 L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op. cit., p. 13.
18 F. Posocco, La vicenda urbanistica, in AA.VV, Mura da salvare, Arti grafiche
Pizzi, Milano 2003, p. 19.
19 L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op. cit., p. 21 - 22.
20 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, in C. De Seta, J. Le
Goff, La città e le mura, Laterza, Roma-Bari 1989, p.7.
21 La corona muralis o corona turrita è un simbolo di età ellenistica, questa
corona cingeva il capo della dea Τύχη, (Týche) che personificava la fortuna,

123
essa rappresentava la dea della floridezza e del destino della città. In tal senso è
evidente il principio per cui la prosperità e la durevolezza nel tempo di una città
fossero strettamente connesse a ciò che più potesse esprimere la sua solidità e
inespugnabilità, cioè le mura. Questa simbologia ancora si riflette negli stemmi
dei comuni italiani.
22 M. Romano, L’estetica della città: il problema dei confini, in G. Marinucci (a cura
di), I limiti della città. Il borgo e la metropoli, Seminario di Studi, Camerino 28
luglio – 4 agosto 1994. Sapiens edizioni, Milano 1995, p. 69.
23 F. Conti, F. Posocco, M. Potocnik, Come e perché un censimento, in AA.VV,
Mura da salvare, Arti grafiche Pizzi, Milano 2003, p. 4.
24 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, op. cit. p. 6.
25 L. Mumford, La città nella storia, Edizioni di Comunità, Milano 1963, pp. 384-
385. Op. cit. in M. Macera, Il progetto del margine della città contemporanea,
figure, declinazioni, scenari, tesi dottorale, Sapienza 2012.
26 “In tutto ciò appare sottintesa una dialettica di fondo, o meglio un dialogo
essenziale e nell’economia e nella società del Medioevo: il rapporto città
campagna che funziona in rapporto e attraverso le mura. Anche qui basta
osservare l’affresco di Lorenzetti (Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo
Governo, ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico di Siena,
1338-1339): da un lato il mercato, le case, la società urbana, dall’altro la
terra, i campi, il lavoro rurale, la natura, la passeggiata nella natura. La cinta
stabilisce tra città e campagna, più che una contrapposizione uno scambio.
Certo, il più delle volte tutto a vantaggio della città, le mura separano uno
spazio in due parti che non si equivalgono: all’interno uno spazio altamente
valorizzato e determinato, all’esterno uno spazio che, […] subordinato, vive
e lavora per la città, le prepara e le offre, o meglio è costretta a prepararle,
uomini, prodotti e paesaggi” J. Le Goff in J. Le Goff, Costruzione e distruzione
della città murata, op.cit. p. 7.
27 “La tendenza a comprendere e controllare il mondo delle forme visibili incontra
una risposta scientifica e definitiva, la prospettiva lineare che stabilisce una
corrispondenza precisa tra la rappresentazione artistica scolpita o dipinta e
la forma tridimensionale degli oggetti rappresentati che seleziona il mondo
delle immagini.” L. Benevolo in L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op.
cit., p. 89 -90.
28 Carlo Tosco mette in rilievo il ruolo fondante, seppur legato all’ambito storico
cui appartiene, svolto da Petrarca per la definizione del moderno concetto di
paesaggio e per una nuova considerazione dello spazio naturale e del contesto
territoriale. Si rimanda al libro: C. Tosco, Petrarca: paesaggi, città, architetture,
Quodlibet studio, 2012.
29 F. Posocco, La vicenda urbanistica, in AA.VV, Mura da salvare, Arti grafiche
Pizzi, Milano 2003, pag. 28.
30 L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op. cit., p. 183.
31 Ivi.
32 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, in C. De Seta, J. Le
Goff, La città e le mura, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 9.
33 F. Miani Uluhogian, Dalla città “murata” alla città “funzionale”, demolizioni
delle mura ed espansione urbana, in C. De Seta, J. Le Goff, La città e le mura,
Laterza, Roma-Bari 1989,
p. 373.
34 G. Villa, Edifici città e paesaggio: l’architettura fortificata come chiave di
lettura e di valorizzazione dello spazio storico, in R. M. Dal Mas, R. Mancini ( a
cura di), Cinte murarie e abitati, Aracne, Roma 2015.
35 G. Simmel., Die Ruine, in Philosophische Kultur. Gesammelte Essays, Leipzig
1911, trad. it. di G. Carchia, in Rivista di Estetica, n. 8, 1981, pp. 121-127.
36 F. Speroni, La rovina in scena. Per un’estetica della comunicazione, Meltemi,
Roma 2002, p. 9.
37 Ivi.
38 Proposte relative l’opportunità di uno strumento normativo per i Paesaggi
Storici Urbani, UNESCO Conferenza Generale XXXVI Sessione, Parigi 2011,
36C/23 del 18/08/2011.
39 Per una descrizione del processo tipologico e costruttivo dei sistemi murari
urbici in base alle strategie di ingegneria militare si rimanda al testo: F. Posocco,
Mura da salvare, Arti grafiche Pizzi, Milano 2003.
40 J. Bosch Vilá riferisce che sotto il dominio di Al-Mutamid furono costruite le
mura e il ponte; in J. Bosch Vilá, La Sevilla Islámica, Universidad de Sevilla,
Sevilla 1984, p. 303.
41 J. García-Tapial, J. M. Cabeza Méndez, Restauración de la Murallas de la

124
Macarena, Boletín del Colegio Oficial de Aparejadores y Arquitectos técnicos
de Sevilla 1986, Vol. 20, p. 9.
42 Lo sviluppo di Siviglia può essere ricondotto alle quattro fasi dell’evoluzione
urbanistica delle città islamiche individuate da Navarro e Castillo: constitución,
expansión, saturación y desbordamiento Per un approfondimento si suggerisce
il seguente contributo: J. Navarro Palazón, P. Jiménez Castillo, Sobre la
ciudad islámica y su evolución. En Paisaje y naturaleza en Al-Andalus,
Coordinación Científica: Fátima Roldán Castro. Universidad de Murcia, Servicio
de Publicaciones, Granada 2014. Pp. 232-267.
43 J. Navarro Palazón, P. Jiménez Castillo, Sobre la ciudad islámica y su evolución.
En Paisaje y naturaleza en Al-Andalus, Universidad de Murcia, Servicio de
Publicaciones, Granada 2014, p. 337.
44 M. de Epalza Ferrer, Espacios y sus Funciones en la Ciudad Árabe. Convegno
Internazionale sulla Città Islamica, Institución Fernando el Católico, Zaragoza,
1991, p.16.
45 A. Graciani Garcia. La tecnica del tapial en Andalucìa occidental, in S. Marquez (a
cura di), Costruire en El-Aldaluz, Almeria 2009, p. 116.
46 J. Canivel, A. Graciani Garcia, Caracterización constructiva de las fábricas de
tapia en las fortificaciones almohades del antiguo Reino de Sevilla, Revista de
Archeologia de la Arquitectura, n°12, dic. 2015 p. 2.
47 La costruzione del muro almoravide avveniva attraverso la sovrapposizione di
blocchi indipendenti dello spessore di circa 180 cm, le fondazioni erano di pietra, ove
possibile sulla preesistenza romana. Le cassaforme avevano approssimativamente
una dimensione di 90 X 180 X 240 cm, esse venivano fissate con sostegni
lignei secondo un preciso processo costruttivo. Si procedeva al posizionamento
di pali di legno, generalmente di quercia, trasversali alla direzione del muro con
un passo di 60 cm. I pali di legno avevano una lunghezza pari a 100 cm ca e
spessore variabile da 3 a 7 cm, questi venivano poi ancorati attraverso cunei lignei
al blocco sottostate. Seguiva il fissaggio della cassaforma che avveniva attraverso
incastro tra i pali posti a 90° per garantire la perpendicolarità del muro. Una volta
fissata la cassaforma si procedeva alla colata del conglomerato. Esso era un
composto di sabbia, calce e inerti di media grandezza, ma la miscela poteva variare
notevolmente a seconda del materiale del luogo. In seguito venivano applicate
delle corde per regolare la tensione della compressione del composto in fase
di essiccamento. Una volta eliminata l’acqua, e con essa le sostanze organiche
presenti, veniva tolta la cassaforma e tagliate le cime dei pali inglobate nel blocco
murario. Da ciò si ripeteva il ciclo costruttivo per il ricorso successivo. In epoca
almohade invece si riduce lo spessore murario a circa 100 cm, ma in alcuni casi
lo si trova anche di ampiezza pari a 150 cm. Nella tecnica almohade, il processo
costruttivo, pur rimanendo fedele a quello almoravide, presenta alcune migliorie. Le
mura sono di spessore inferiore, ma di un conglomerato con maggior resistenza
meccanica. Ciò consente di utilizzare supporti lignei più lunghi che trapassano il
muro da lato a lato. Prima di procedere alla colata sono applicate delle pietre sopra
di essi o anche degli elementi in laterizio che, ad essiccatura avvenuta, permettono
di sfilare l’elemento e reimpiegarlo nel processo costruttivo riducendo il dispendio
di materiale e il tempo di edificazione.
48 |mia traduzione| “L’ambito dell’area di Siviglia conta un patrimonio culturale
particolarmente ricco e diversificato, frutto di una storia molto antica. La sua
posizione privilegiata come ultimo tratto transitabile del fiume Guadalquivir e
come punto di massima penetrazione di trasporto marittimo attrasse, sin dalla
Preistoria, la localizzazione di insediamenti umani ogni volta più complessi
e progressivamente integrati con le grandi vie di interscambio tra le culture
mediterranea e atlantica” Plan de Ordinaciòn del Territorio de la Aglomeraciòn
Urbana de Sevilla, Memoria de Informacion, p.19.
49 Los ejes principales de organizaciòn urbana de Andalucia, Plan general de
Sevilla, Memoria de Informacion, cap. III, El area de Sevilla nel contexto regional,
p. 5.
50 |mia traduzione| “Dentro l’ambito di agglomerazione urbana di Siviglia si possono
distinguere chiaramente tre grandi unità geografiche: la depressione fluviale del
Guadalquivir con la grande pianura nella metà nord del territorio provinciale e la
palude a sud, le creste dell’Aljarate e Los Alcores e la campagna di Carmona e
Gerena. Agli estremi nord e sud dell’area iniziano le propaggini montane della
Sierra Morena e della Sierra Sur. Tra queste si incontrano unità geografiche
di transizione che, insieme alle precedenti conformano il supporto fisico dello
spazio metropolitano”. Plan de Ordinaciòn del Territorio de la Aglomeraciòn
Urbana de Sevilla, Memoria de Informacion, p.14.
51 D. M. Muñoz Hidalgo, Sobre el Topónimo Camino de la Plata y el eje S/N-N/S

125
del occidente hispánico, El Nuevo Miliario, nº 1, dic. 2010, p. 5.
52 D. Bracco, Un recorrido a travès de la Via de la Plata, Andalucìa en la Historia,
anno V, n°15, gen. 2007, p. 96.
53 Secondo le norme costruttive romane ad ogni miglio di strada, che corrisponde
esattamente a 1481 metri, circa mille passi, veniva posto il miliarium, una
colonna di pietra alta circa un metro e mezzo con una base monolitica cubica
progressivamente numerata.
54 Tra le più antiche fonti scritte sulla Via de la Plata e la Via Augusta troviamo:
l’Itinerario di Antonino, del III sec. d.C (che fa un’attenta ricognizione delle vie
romane nella penisola iberica per un totale di 10.000 km), l’Anónimo di Rávena
(una ricapitolazione di città e viabilità databile al VII sec. d.C.), le Tavole di Astorga,
sempre del III sec. d.C. (che descrivono i percorsi della Spagna occidentale).
Tuttavia non si conservano mappe delle strade romane originali, solo la Tabula
Peutingeriana, una pergamena del XIII sec. d.C., probabilmente è l’unica che
ritrae una copia del III sec. d.C., va detto però che la parte più occidentale che
riguarda la Spagna è andata persa e fu ricostruita da Konrad Miller all’inizio
del 1887 (AA.VV, Atlas de la Historia del Territorio de Andalucía, Instituto
de Estadística y Cartografía de Andalucía, Graficas Varona, Salamanca 2009,
p. 156). Quanto alla Via Augusta la prima descrizione di cui si dispone è un
incisione nei Bicchieri di Vicarello, rinvenuti nei pressi del lago di Bracciano nel
1852. Datati al I secolo d.C., essi riportano sulla parte esterna l’itinerario via terra
da Gades (Cadice) a Roma (Itinerarium gaditanum), con l’indicazione della varie
stazioni intermedie (mansiones) e le relative distanze (AA.VV, Atlas de la Historia
del Territorio de Andalucía, Instituto de Estadística y Cartografía de Andalucía,
Graficas Varona, Salamanca 2009, p. 157). Per una più approfondita analisi delle
fonti storiografiche e cartografiche della Via de la Plata dal XIV sec. agli anni Venti
del Novecento si rimanda all’articolo Sobre el Topónimo Camino de la Plata y el
eje S/N-N/S del occidente hispánico, di D. M. Muñoz Hidalgo, El Nuevo Miliario,
nº 1, dic. 2010.
55 P. Plata Canovàs prefazione, in F. Olmedo, Ruta de Washington Irving, Gran
Itinerario Cultural del Consejo de Europa, Egondi artes graficas, Siviglia 2006
56 |mia traduzione|Plan Andaluz de la Bicicleta: PAB 2014-2020, Junta de
Andalucía. Consejería de Fomento y Vivienda, Egondi Artes Gráficas, Siviglia
2014, p. 149
57 |mia traduzione| Plan Especial de Protecciòn del Conjunto Historico de Sevilla,
in Nuovo Plan de Ordenaciòn urbanistìca cap. XIII. p.66.
58 1) Cattedral/ San Martin 2) Puerta de la Carne/ Plaza del Salvador 3) Puerta
de Carmona/ Plaza de la Alfaalfa 4) Puerta de Carmona/SantaCatalina 5)
Santa Catalina/ Puerta del Sol 6) Santa Catalina/ puerta de la Macarena 7)
Santa Catalina/ Plaza de la Europa 8) San Juan de la Palma/ Feria 9) Puerta
Osario/ San Marcos 10) Catedral/ Santa Catalina 11) Plaza del Duque/ Puerta
Real.
59 1)Puerta Jerez/Plaza Nueva 2) puerta e Osario/Plaza del Duque 3) Puerta de
Triana/ Plaza de Magdalena 4) Puerta de la Barqueta/Plaza Nueva 5) Puerta
de la Carne/ Puerta de la Barqueta.
60 La ricostruzione dell’antico tracciato romano trova pareri concordi in diversi studi
archeologici, si riporta di seguito il riferimento cartografico usato nel lavoro di
ricerca: M. A. Tabales, M. Alba, Guìa de paisaje històrico urbano de Sevilla.
Estudio tematico 4: La Ciudad somergida. Istituto Andaluz del patrimonio
histórico, Junta de Andalucía, Siviglia 2010, p. 32
61 Sul processo formativo urbano della città e i percorsi antichi si riporta il seguente
articolo che mette insieme numerosi studi condotti sulla conformazione urbana di
Siviglia e sull’evoluzione morfologica: D. Carboni, The urban modification and the
presence of Guadalquivir river like a mail factor of land variation: the example
of Sevilla in Espacio y tiempo, Revista de Ciencias Humanas, n° 22/2008 pp.
43- 66.
62 |mia traduzione| A. J. Albaldoneido Freire, Las trazas y costrucciòn de l
alameda de Hèrcules, Revista Laboratorio de Arte n° 11-1998, Siviglia 1988,
p. 135. L’autore aggiunge: “un luogo di grande dimensioni, dove la città vuole
mettere in scena un programma iconografico e allegorico per la grandezza
e la gloria di Siviglia ricordando la supremazia della città per mezzo di due
figure culturalmente ad essa legate” si riferisce a Ercole e Giulio Cesare a cui
corrispondono le immagini di Carlo V e Filippo II.
63 Tra gli ingressi alla città in direzione dei sentieri paesaggistici annoveriamo:
- Puerta de la Macarena a nord che accoglie l’Asse 2. Gualdalquivir, del Plan de
Bicicleta - Puente de la Barqueta, che attraverso l’area Expo 92 riprende l’Asse 2.
Sierra de Huelva e Gibraltar, sempre indicato nel PAB.

126
- Puente del Cachorro, che aggancia la Via Verde de Italica e quindi il Cammino
di Santiago e la Ruta del Agua da Guillena.
- Puerta Osario, che, oltre che essere il primo ingresso dalla stazione ferroviaria
alla città antica, costituisce l’accesso dal sentiero Asse 3. Campiña – Subbética
del PAB, la via verde de la Campiña, e di nuovo il Cammino di Santiago.
64 J. Navarro Palazón e P. Jimenez Castillo, Evolución del Paisaje Urbano andalucí.
De la medina dispersa a la saturada in AA.VV., Paisaje y naturaleza en Al-
Andaluz, Fundación El Legado Andalusí, Granada 2014
65 |mia traduzione| in J. M. Suárez Garmendia: Arquitectura y urbanismo en la
Sevilla del siglo XIX. Sevilla, 1986, pp. 202-203.
66 D. Jiménez Maqueda, La puerta de la Macarena. Un ejemplo de dispositivo
poliorcético almohade en la muralla almorávide de Sevilla, Revista Norba-Arte
XVI n° 16/1996, Universidad de Extremadura, edizione online, p. 11.
67 Per una descrizione dettagliata si rimanda all’articolo di Jiménez Maqueda di
cui riportiamo qui le conclusioni: “Pertanto, in virtù della ricostruzione della
porta della Macarena che propongo, mi è possibile supporre che in essa si
distinguano due strutture che obbediscono a due diversi momenti costruttivi: 1.
Un primo della seconda decade del XII secolo corrispondente alla costruzione
della cinta muraria almoravide e che consiste in un accesso en recodo unico.
2. Un secondo, della prima decade del XII secolo, nel quale gli Almohadi
dotarono la prima porta di due torri, entrambe elementi di congiunzione al
barbacane.” |mia traduzione| D. Jiménez Maqueda, La puerta de la Macarena.
Un ejemplo de dispositivo poliorcético almohade en la muralla almorávide
de Sevilla, Revista Norba-Arte XVI n° 16/1996, Universidad de Extremadura,
edizione online, p. 10.
68 Dal Dizionario Treccani: /’forma/ s. forma [lat. fōrma]. : “il modo in cui appare
esteriormente un oggetto. Quindi, aspetto.”
69 F. Miani Uluhogian, Dalla città “murata” alla città “funzionale”, demolizioni delle
mura ed espansione urbana, in C. De Seta, J. Le Goff, La città e le mura,
Laterza, Roma-Bari 1989, p. 373.
70 “Ancor più evidente è l’idea di microcosmo immobile implicita nella organizzazione
della città medievale murata, che forma con il contado un sistema economico
chiuso ed autosufficiente”. G. Astengo in G. Astengo, “Urbanistica”, Enciclopedia
Universale dell’Arte, vol. XIV, Venezia, Sansoni, 1966, p. 541.
71 Speroni, La rovina in scena. Per un’estetica della comunicazione, Meltemi,
Roma 2002, p. 9.
72 A. Del Monaco, Le mura urbane come elementi di continuità e cambiamento.
Roma, Pechino, New York, Tesi dottorale, Sapienza Università di Roma, p. 158.
73 F. Bandini, Su e giù per le mura antiche. Analisi storica per il recupero della
cinta muraria di Firenze e progetto di percorso attrezzato. Alinari, Firenze 1983
pag. 129.

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