5 Mura e Citta Nuovi Paesaggi Urbani Tra Memoria e Progetto PDF
5 Mura e Citta Nuovi Paesaggi Urbani Tra Memoria e Progetto PDF
005
in quanto essa non si riduce ad un semplice muro, una linea, uno
spessore, ma è un’integrazione di luoghi che ne diversificano e ne
accrescono il carattere di simbolo.
J. Le Goff
Angela Fiorelli
Técnica Superior de Arquitectura de Málaga (EAM). Ha inoltre lavorato
presso l’I_Lab SmartCitiesDesign del Centro Studi di Foligno. È socio
ordinario di CISDU - International Centre for Studies in Urban Design. In
particolare il suo lavoro approfondisce i temi del progetto architettonico
e della valorizzazione del patrimonio storico, del paesaggio e dello spazio
pubblico urbano. I suoi contributi scientifici sono pubblicati su volumi e
riviste nazionali e internazionali. Ancsa Documenti 2020
Angela Fiorelli
Comitato scientifico:
Marco Brizzi
Carlo Gasparrini
Franco Mancuso
Nicola Russi
Filippo Mario Stirati
Stefano Storchi
Fabrizio Toppetti
Mauro Volpiano
Grafica e Impaginazione:
Parco Studio
Stampa:
E. Lui Tipografia, Reggio Emilia
Nel frontespizio:
La muralla de la Macarena, Siviglia,
2017.
A pagina 132:
Puerta de la Macarena, ingresso della
Virgen de la Esperanza Macarena.
Foto d’epoca.
© ancsa 2020
isbn 978-88-941080-9-5
www.ancsa.org
indice
1 Mura e città
Nuovi paesaggi urbani
tra memoria e progetto
4 Una linea che segna e produce differenze
Prima parte
Le mura urbiche: da limite esterno a limite interno
8 Dal recinto alla città
11 Dalla città murata alla città aperta
Seconda parte
Per una strategia d’intervento: linee guida al progetto
32 Le mura come interfaccia urbana nella città contemporanea
44 Il progetto architettonico come verifica
52 Un dispositivo urbano permeabile
Terza parte
Limes tra città e paesaggio: il caso di Siviglia
56 Mura, città e storia
69 Mura, città e paesaggio
82 Dentro e fuori le mura
100 Il tratto murario della Macarena
123 Note
128 Bibliografia
Presentazione di Stefano Storchi
Il confine della città, il limite che la separa dalla campagna (in base
al noto dualismo marxiano) rappresentano per l’urbanistica un tema
classico di riflessione: dai primi rituali di fondazione fino alle più recenti
tecniche di delimitazione dei centri abitati a fini normativi e prescrittivi.
Oggi tuttavia la lettura del limite storico urbano si arricchisce di nuovi
valori; rappresenta cioè l’opportunità per introiettare e riprogettare
un segno della storia e della memoria urbana, rendendo evidente il
processo di costante ricomposizione che la città ha vissuto lungo i
secoli. In questo senso assume importanza e interesse il soffermarsi
sulle antiche mura, sulle antiche vestigia urbane: su quella che nel
tempo è stata una struttura funzionale – difensiva – e simbolica.
Leggerne il significato e le potenzialità nell’attuale assetto urbano
costituisce un’azione progettuale di primaria importanza.
La vicenda delle fortificazioni delle città ha vissuto un’alterna
fortuna: cortine e bastioni di capitali e di piazzaforti militari sono state
demolite, talora come “sfregio” a centri di governo che avevano perso
il loro ruolo o per neutralizzare la presenza di strutture militari scomode
e ingombranti per qualunque potere o per qualunque stato.
Quando le città conservano intatto il proprio assetto fortificato, ciò
testimonia la presenza di una struttura troppo forte per poter essere
espugnata (Palmanova ne è un esempio) o la presenza di mura “di
parata” ininfluenti sul piano militare (come nel caso di Sabbioneta).
Vi è poi la vicenda tardo-ottocentesca che vede la demolizione
delle antiche mura nello spirito di modernizzazione della città e
di superamento del limite che la conteneva “in antico”. Siamo al
passaggio dalla dimensione urbana storica alla nuova scala territoriale.
Di questi passaggi l’ANCSA ha – in qualche modo – rivissuto la
vicenda, facendosi luogo di analisi e salvaguardia dei centri storici,
per superarne poi il limite a favore della “città storica”, fino a integrare
quest’ultima nel concetto di “paesaggio storico”. Si è trattato, anche in
questo caso, di un progressivo “superamento del limite”; e ogni volta
la “terra di confine” si è trasformata in territorio da progettare, con
sfide e opportunità inedite sul piano tecnico e culturale. Le mura delle
città sono divenute, in questo modo, elemento di connessione e di
collegamento, anziché di chiusura e di cesura.
Di questo è testimone anche il percorso compiuto dal Premio
Gubbio che nel 1993 ha posto l’attenzione sulle esperienze in corso
di maturazione nel centro storico di Pisa, ponendo l’attenzione – fra
gli altri – sul progetto di recupero dell’area delle mura storiche, ma,
VII
ancor più, dello spazio verde che quell’intervento aveva restituito alla
città. Già allora si ribadiva come parlare di mura significasse parlare di
“interno” e di “esterno”; di collegare il centro storico con gli ambiti ad
esso contigui, attraverso un progetto capace di superare le barriere
fisiche e normative; di non trattare la città per parti separate, ma di
ritrovarne il senso continuo e complessivo.
Sulla stessa chiave di lettura si colloca il lavoro di Angela Fiorelli; per
questo l’ANCSA – venticinque anni dopo il premio assegnato a Pisa
– l’ha voluto valorizzare attraverso l’assegnazione del Premio Gubbio
dedicato alla Sezione Universitaria e ha deciso di pubblicare questo
volume che della tesi di dottorato estrae le parti più significative sul
piano metodologico e progettuale. Con l’auspicio che questo lavoro
serva da stimolo ad altri giovani ricercatori per investigare nuove
strade e nuovi strumenti per la rigenerazione dei centri e delle città
storiche.
VIII
Introduzione di Manuela Raitano
IX
percezione diffusa, gli elementi costitutivi del paesaggio italiano
sono due: l’ambiente naturale, da un lato; la città vista “dal di fuori”,
dall’altro. È una costruzione, questa, che vive di una tensione tra
opposti: creazione di Dio e creazione dell’uomo, solo insieme fanno
paesaggio, che è un costrutto concettualizzato. Ma la creazione
dell’uomo, la città, non interessa solo dal di dentro, nei suoi spazi
prosaici di vita, di mercato, di socialità. Interessa anche come forma-
figura, o meglio come forma-limite, percepibile dall’esterno come un
tutto, cioè come un intero dotato di senso compiuto. Di questa figura,
da cogliere nella sua interezza, le mura costituivano la linea di margine
diremmo oggi, ovvero il perimetro fisico racchiudente; esse non solo
erano utili perché invalicabili, ma necessarie perché definenti l’unità
fisica urbana, così ben ritratta nella pittura del Quattrocento italiano.
Argine all’insicurezza e presidio di controllo, le mura assolvevano
dunque, in passato, non solo un ruolo difensivo, ma anche un altro
compito, non meno importante per la psiche umana: quello di
definizione del limite; e dunque, quello di definizione della forma urbis.
Cosa succede invece, dal punto di vista semantico, quando la
città perde il suo limite? Cosa accade quando essa non si identifica
più con le sue mura, ma le scavalca, conquistando la dimensione
extra moenia? La città moderna, non murata, assomiglia più al
tipo dell’accampamento nomade che a quello dell’accampamento
fortificato, e rimanda a una forma più provvisoria del vivere, nella quale
la mobilità in entrata e in uscita non solo è possibile senza più alcun
controllo, ma è addirittura incentivata, perché è così che i mercati
funzionano. È dunque una forma fisica i cui margini tendono spesso
a svanire in dissolvenza, piuttosto che a manifestarsi nella durezza di
una linea di bordo, com’era in passato. Semmai, il ruolo che un tempo
avevano le mura lo hanno oggi, in altra forma, gli intricati raccordi
stradali che contornano le grandi città, e i caselli in entrata e in uscita
ne costituiscono i nuovi dazi. In questa condizione, cosa è accaduto
alle cinte delle antiche mura fortificate? In che modo il segno fisico
di questi manufatti si è fatto permanente, per usare la terminologia
rossiana, e strutturante?
Non più limite ma ostacolo interno, in molti casi (come nella città
di Roma) le mura sono tuttora in piedi, ma in non pochi casi questo
imponente manufatto difensivo è stato fisicamente cancellato nel
tempo e demolito, in tutto o in parte, per eliminare un impedimento
interno al corpo stesso della città. Eppure, la sua traccia continua a
strutturare i tessuti in forma di sedime, di tracciato regolatore lungo il
quale essi crescono e si dispongono.
Di questo tratta il libro di Fiorelli, della vita delle mura dopo le
mura. Della vita, cioè, di un’imponente costruzione umana dopo che
la sua funzione originaria è stata esaurita. E soprattutto, attraverso il
racconto specifico del caso studio di Siviglia, una città in cui la forma-
X
mura è una forma-assente, questo libro ci mostra in modo palese la
forza permanente di questo manufatto umano anche nel corpo delle
città contemporanee.
In più, questo lavoro dà anche un interessante contributo sul piano
della ricerca progettuale, mettendo in luce azioni volte a valorizzare
la presenza delle mura urbane e a risolvere i nodi e i punti di frizione
tra la città, che preme ormai sui due lati, e un manufatto che non
può né deve più separare, dovendo funzionare piuttosto come un
dispositivo di interfaccia nelle complesse dinamiche di sviluppo della
città contemporanea.
XI
Mura e città
di Angela Fiorelli
J. M. Aparicio Guisado
1
Mura Serviane, Piazza dei Cinquecento, Roma.
2
Porta alla Croce, Piazza Beccaria, Firenze.
3
Una linea che segna e produce differenze
4
demarcazione. Lungo la linea di margine necessariamente avviene lo
scambio e tale scambio per la città, come per ogni forma di vita, è uno
scambio osmotico e nello stesso tempo misurato che deve garantire il
nutrimento quanto determinare il cambiamento, poiché per sua natura
«il confine è quella linea mentale che segna e produce differenze»2.
Lo studio si concentra dunque sul tema delle mura urbiche come
limite. E si pone l’obiettivo di farlo con il preciso intento di affrontare tale
ricerca non solo, e non tanto, dal punto di vista storico o conservativo,
ma soprattutto dal punto di vista urbano e in particolar modo nell’ambito
del progetto contemporaneo. Le mura dunque intese non come oggetto
ma come soggetto attivo all’interno delle dinamiche di trasformazione
della città.
D’altro canto le mura non sono solo “rovine”, objects trouvés nel
panorama urbano, ma sono, ancora e prima di tutto, architetture e
come tali hanno il compito, e la propensione aggiungerei, di assolvere
ad una specifica funzione. Che questa funzione muti per necessità, e
per natura, all’interno delle complesse dinamiche della storia della città,
non è qui prioritario, ma è indiscutibile che l’utilizzo sia alla base della
sopravvivenza di un edificio, o di un apparato architettonico in questo
caso, e a tale inconfutabile premessa segue la liceità e l’urgenza di
progetto, pro jectum, per ciò che riceviamo dal passato e che abbiamo il
dovere di restituire al futuro, nel modo migliore, nel modo più autentico.
Le mura della città antica stabiliscono una relazione necessaria
col paesaggio urbano, esse costituiscono una sorta di DNA della città
poiché ne disegnano l’antica forma, ne descrivono i caratteri dominanti,
ne difendono l’identità, esse sono quindi monumento per eccellenza,
nel significato primo di questo termine e, nondimeno, nel rischio che
spesso la città associa a tale parola.
Ciononostante, pur se si è tentato in molti casi di esautorare gli
antichi circuiti murari delle nostre città dal loro incarico, essi in un modo
o nell’altro sono riusciti nel tempo a mantenere il loro presidio, come è
nella loro stessa natura, e anche se la città si è espansa notevolmente
oltre i loro confini, esse continuano a segnare un margine, quello della
città storica; e il loro segno è così forte che resta nel tempo, nonostante
l’avvento della città “aperta” e le numerose demolizioni ottocentesche.
Le mura restano, quasi a scherno di un’intramontabile resistenza che
le contraddistingue come opere militari, e restano anche nell’assenza.
5
Prima parte
Le mura urbiche:
da limite esterno a limite interno
Dal recinto alla città
8
di ogni insediamento umano sin dall’epoca preistorica. La linea del limite,
segno di separazione e traccia del confine, assume però nuovi significati
nel complesso processo di trasformazione della città pur mantenendone
sempre il carattere dominante e il significato originario. Come anche il
mito di Romolo ci ricorda, nell’atto di fondazione dell’Urbe, il solco a terra
dell’aratro segna il pomoerium, il perimetro. Per i latini l’atto di fondazione di
una città è un rito sacro e il limite di essa è dettato dalla volontà degli dei e
non dall’arbitrio umano. D’altra parte, sostiene Gurvitch:
Dal recinto dunque al muro, e quindi dal muro alle mura. Se è vero che il
recinto può essere qui inteso come il segno, l’impronta, la traccia che esprime
l’atto di separare, di misurare, il muro al contempo diviene quell’elemento
strutturale che rappresenta matericamente tale azione. L’architettura, come
suggerisce Aparisio Guisado, può considerarsi generata a partire dal
concetto di muro, una sorta di ars combinatoria muraria:
«Intendiamo per relazioni tra muri il dialogo che si stabilisce tra distinti
elementi murari e che lo fanno passare da essere recinto a essere
9
un’abitazione. I muri parlano di loro stessi e, nella loro assenza, dello spazio
che creano»9.
Aparicio Guisado infatti sostiene che è la permeabilità stessa del muro,
e quindi l’assenza, che conforma lo spazio architettonico, ma ciò che è più
importante è l’unità di questo spazio: l’unicum fisico che esso distingue
nella sua presenza quanto nella sua negazione corrisponde a una
distinzione concettuale. Sulla separazione semantica che il muro disegna
tra esterno e interno si annida il dittico inscindibile di luogo e comunità:
è dall’accordo tra uomini, che scelgono di condividere il medesimo luogo
fisico, misurato e costruito, che nasce la città.
Alla definizione dello spazio infatti consegue il riconoscimento di una
comunità all’interno di esso. Si può affermare pertanto che il muro diviene
l’elemento di passaggio tra la dimensione fisica e quella politica, assunto
che risiede in primis nella polis greca. Nell’etimologia infatti della parola
polis si estrae il fine di unificare, mettere insieme una pluralità di individui,
l’uomo in tal senso è l’aristotelico zôon politikòn, che per sua natura
sceglie di vivere in gruppo. Da questa derivazione viene infatti il termine
stesso di città, cioè civitas, non dunque dal luogo, ma dalla comunità che
in esso vive: «urbs e civitas unite, con una bella metafora che de Saussure
applicò al concetto di segno, unione di significante e di significato, si
intrecciano come il palmo e il dorso della mano»10.
È tuttavia importante precisare che se la città nasce dalla codificazione
di uno spazio finito, l’atto di cingere, che fonda l’abitare, non corrisponde
sempre a quello di chiudere e fortificare. La storia ci insegna che la città nel
corso dei secoli ha assunto infinite forme, disegnata tanto dalla geografia
quanto dalla politica territoriale, dalle trasformazioni morfologiche e da
quelle demografiche: l’antica Roma è l’esempio più alto di un organismo
urbano aperto, come è vero che il castrum è alla base degli insediamenti
latini. La città nasce o diviene murata a partire da una genesi ben precisa
o secondo un processo strutturato, risultato dell’interazione di specifiche
condizioni storiche, geopolitiche e socio-economiche.
10
Dalla città murata alla città aperta
12
significato sacro, simbolico e politico delle mura cede all’urgenza della
difesa e all’esigenza di una chiusura militare netta e essenziale per
contrastare le insidie esterne. Ai confini estremi si rende necessario
il rafforzamento dei perimetri urbani e dei valli di frontiera mentre via
mare a causa della pirateria si assiste a un progressivo arretramento
nell’entroterra a discapito dei fiorenti centri marittimi.
13
Da allora la convivenza con le ‘rovine’ del mondo antico rimane una
costante della civiltà europea e trasmette, oltre i modelli di un’architettura
altamente perfezionata, esemplare a molti secoli di distanza, il senso fisico
di un’altra civiltà incombente»19.
15
quando venivano calate le saracinesche e chiuse le porte, la città era
isolate al mondo esterno. Questi recinti contribuivano così a creare un
sentimento di unità oltre che di sicurezza»25.
16
identità della civitas, non esiste più poiché non è che l’immagine riflessa
di una collettività perduta. Protagonista indiscussa invece è l’architettura
urbana che a seguito della scoperta della prospettiva lineare si concentra
sullo spazio intra moenia, come espressione di un nuovo ordine intellettuale,
artistico e politico27.
Il dittico strutturale città-campagna della città medievale perde il carattere
fondante della rete territoriale e diviene un pretesto compositivo nella
progettazione del disegno urbano. Quel concetto di paesaggio, di cui Petrarca
è riconosciuto come lo scopritore estetico28, si insinua nell’architettura delle
città ideali in un graduale e misurato passaggio verso quello che d’ora in
poi possiamo chiamare panorama: ne sono esempi, direi perfetti, Pienza e
Urbino. D’altra parte, gli studi sulla città ideale, sia in campo ingegneristico
che filosofico (Utopia di Moro è del 1516), sviluppano un nuovo modo di
intendere lo spazio urbano e danno vita a una fiorente trattatistica in tale
ambito. Filarete, Francesco di Giorgio Martini, Fra Giocondo da Verona,
Michele San Micheli, i Sangallo, Rossetti, sono solo alcuni dei nomi più noti
tra i progettisti militari italiani. Nascono in questo periodo città modello di
nuova fondazione come Sabbioneta, Palmanova, la cittadella di Anversa o
Jaca. Dalla riformata arte bellica derivano tutte le nuove cinte murarie delle
città cinquecentesche, in Italia citiamo Milano, Ferrara, Lucca, ma in breve
tempo tutte le città europee di maggior importanza vengono bastionate. La
città ideale però «è una città compiuta, un ordigno militare, non la sede di una
comunità: […] perfetta come un cristallo, ma incapace di ogni adattamento,
essa è il simbolo del potere assoluto, non della democrazia comunitaria»29.
Questa la grande divergenza con la città murata medievale. Quella simbiosi
tra la cinta fortificata e la città, icona dello spazio fisico e della comunità, pur
se riecheggia ancora oggi nel forte potere evocativo di certi antichi perimetri,
è destinata a svanire. Quell’elemento che aveva costituito l’orgoglio di una
collettività libera inizia il suo graduale percorso verso quell’immagine, presto
ostile, di un’autorità tirannica e imposta.
17
che la guerra e le sue tecniche di difesa: la rivoluzione industriale. La città
si appresta a vivere trasformazioni epocali come la società che in essa
opera e vive. D’altro canto l’industrializzazione è il risultato di una revisione
totale dell’intero patrimonio culturale che porta a tutte le affascinanti
contraddizioni del Settecento prima e dell’Ottocento poi.
Dalle scoperte scientifiche e tecnologiche agli studi archeologici e
classici, dal pensiero illuministico allo storicismo romantico, dai nuovi
valori francesi al conservatorismo, dal progressismo allo stato di natura
di Rousseau, il pensiero della società industrializzata produce i più
contrapposti effetti di un ribaltamento repentino di cui protagonista è la
nascente classe borghese. Un impatto quello della Rivoluzione Industriale
che cambia le dimensioni e la visione di un vecchio mondo dai lenti
mutamenti, trasportando l’uomo in uno nuovo spazio e un nuovo tempo.
E tornando a parlare di mura, così come il mondo, anche la città
oltrepassa i suoi limiti. Gli stabilimenti industriali per esigenze di spazi si
spostano fuori della cinta muraria e con essi nascono disordinati e sconfinati
quartieri dove, nonostante le felici premesse teoriche, dimora l’alienazione
umana. Le città utopiche di Owen e Fourier del secondo ventennio del XIX
secolo possono essere infatti intese, pur se con le dovute riserve, come
il tentativo di fornire una risposta alle periferie degradate e fumose, figlie
dello sviluppo industriale.
Ma è dalla metà dell’Ottocento che il paesaggio urbano si appresta
a revisionare la sua forma. La città europea ottocentesca necessita di
un restyling, di un nuovo ordine, di una pianificazione concreta che sia
lo specchio del suo tempo. Protagonista assoluto di questo progetto
è Georges Eugène Haussmann, il Barone Prefetto di Parigi. In soli
diciassette anni la capitale francese muta radicalmente il suo volto: la città
viene servita da infrastrutture idrauliche e fognarie all’avanguardia, da un
nuovo piano per l’illuminazione a gas (Parigi era già stata la prima città a
realizzare un’illuminazione centralizzata nel 1825). La Ville Lumière è un
cantiere continuo di opere pubbliche, ospedali, scuole, servizi e viene dotata
di un’efficiente rete di trasporti pubblici. Tutto converge in un’immagine
moderna ed esemplare, ma in questo nuovo assetto c’è una discrepanza
evidente: quella tra la città dei grandi boulevard e la città storica.
18
associato alla rottura dei vincoli del passato, alla conquista dell’aria, della
luce, della libertà di movimento»31 Le mura storiche non sono soltanto
un impedimento all’igiene, ma sono un ostacolo alla città in espansione
del progresso positivista di fine secolo e, prima ancora, sono il simbolo
scomodo di un sistema da soverchiare, di una tradizione che non ha più
valore e, in molti casi, dei soprusi di un tirannico Ancien Règime sopportato
per troppo tempo. Con l’avvento dei trasporti pubblici e meccanizzati esse
sono una barriera ingombrante e antiquata e come dice Le Goff divengono
dei “vecchi ronzini”32, un retaggio da eliminare per modernizzarsi.
La distruzione del limite murario comporta, d’altro canto, una ferita
profonda nel tessuto edilizio la cui cicatrice però continua a marcare un
netto confine tra il nucleo antico e la città moderna.
Si ritiene di poter dire che è quindi dalla città industriale in poi che le
mura passano dall’essere un limite esterno all’essere un limite interno alla
città: non tanto perché nel passato non fossero state già protagoniste
di questo cambiamento (che sostanzialmente muta naturalmente con le
modificazioni dello sviluppo della città), ma piuttosto perché quello stesso
limite, che aveva costituito un elemento strutturale dell’organismo urbano,
viene meno a favore di una nuova immagine di città che è madre della città
diffusa contemporanea: la città aperta ottocentesca.
19
Il concetto di recinto come simbolo iconico
dell’architettura negli ideogrammi e
pittogrammi egizi e cinesi.
(città) (casa)
20
Annibale Carracci, Storie della fondazione di Roma,
Palazzo Magnani, Bologna, 1590.
21
Mura ciclopiche di Amelia, V- IV sec. a. C.
22
Il palazzo di Diocleziano a Spalato, 293-305 d. C.
23
Nordlingen, Germania.
Dall’immagine si nota il primo tracciato murario del X secolo e il secondo del 1327.
24
Taddeo di Bartolo, San Gimignano da Modena che tiene in mano la città,
Museo civico di San Gimignano, 1391.
25
Pienza, relazione della Piazza Pio II e del Palazzo Piccolomini con il paesaggio naturale fuori le mura, 1459.
26
Palazzo Ducale, Urbino, 1454 - 1560.
27
Cittadella di Jaca, Spagna, 1592.
28
Demolizione delle mura di Firenze secondo il piano Poggi, 1865-1869.
29
Seconda parte
32
I circuiti storici, pur avendo perso l’antica funzione militare e in molti
casi il valore simbolico-identitario della città, si mostrano all’immagine
urbana non più come baluardi inespugnabili, ma piuttosto come
affascinanti pezzi di storia incastonati nel tessuto edilizio, di cui però
l’antica presenza rivela ancor oggi un’innata attitudine alla trasmutazione
tra la dimensione architettonica e urbana. Questa flessibilità spaziale
è strettamente legata a un’altra importante considerazione: al di là
delle infinite sorti che queste opere possono aver avuto in relazione
all’evoluzione del perimetro antico, gran parte di esse presentano un
denominatore comune e cioè il loro nuovo posizionamento rispetto a
ciò che chiamiamo città.
Quello che emerge infatti non è tanto il come, ma il dove si trovano
oggi le mura nel contesto urbano. Le mura, che hanno disegnato
la forma della città per secoli poiché linea perimetrale del nucleo
insediativo, sono nell’epoca odierna un segno contenuto dalla e nella
città stessa. Il circuito murario infatti, pur se non stabilisce più un
limite ultimo, segna un limite interno: quello tra la città antica e la
città d’espansione. Assumere come dato primario tale fondamentale
divergenza rispetto al passato e considerare le conseguenze di questa
traslazione spaziale nel rapporto mura-città, è il punto di partenza per
un corretto indirizzo del progetto contemporaneo. Tale premessa è
imprescindibile ed è il concetto originario da cui muove l’intera ricerca.
Ciò detto, il procedimento utilizzato in una prima fase di indagine parte
dalla catalogazione di alcuni casi-studio, attraverso la compilazione di
schedature di opere contemporanee.
Al fine di circoscrivere temporalmente e geograficamente le opere
per procedere a una più valida comparazione, sono stati selezionati
progetti posteriori all’anno 2000 riguardanti l’area italiana e quella
iberica. Questa catalogazione iniziale ha messo in luce una prima
fondamentale differenza, quella tra circuiti integri e circuiti interrotti.
Dovendo qui sintetizzare in forma critica i risultati di questo primo lavoro
possiamo affermare che indiscutibilmente lo stato di conservazione
dell’intero circuito è il criterio primo per distinguere le differenti
tipologie di approccio al progetto contemporaneo sulle mura storiche.
33
anche per apparati militari più antichi: una menzione particolare in tal
senso meritano le Mura Aureliane di Roma, di origine tardo-imperiale,
per le quali è stato redatto nel 2003 all’interno del PRG di Roma
uno dei cinque ambiti di programmazione strategica: il progetto del
parco lineare integrato intorno alle mura è stato sviluppato con la
consulenza scientifica dell’Università di Roma La Sapienza.
In caso di cinte medievali invece, è interessante vedere come
mediamente il tessuto urbano extra moenia sia cresciuto più a
ridosso dell’apparato militare, pur se va premesso che ogni caso è a
sé e che i contesti storici e politici, la morfologia urbana e nondimeno
la dimensione della città stessa, nonché il rapporto tra il nucleo antico
e l’estensione urbana, possono concorrere a determinare numerose
varianti la cui descrizione meriterebbe uno studio a parte.
La morfologia territoriale ad esempio e la posizione, di pianura o di
altura, costituiscono un elemento determinante nella trattazione delle
fortificazioni. In molti casi, specie se si parla di centri minori d’altura, la
forma urbana medievale è ancora nettamente percepibile: qui i parchi
anulari intorno all’antico perimetro sono lo spazio fisico del dialogo tra
la città e il paesaggio.
Negli ultimi anni sono stati fatti molti concorsi di idee per la
riabilitazione di tali circuiti, per citarne alcuni, quello di San Gimignano
del 2012 in Toscana o quello di Alora in Andalusia nel 2015.
L’aspetto percettivo infatti è una componente strutturante
dell’architettura bellica e allo stesso tempo una caratteristica
preziosa, un apporto unico che tali manufatti donano tuttora alla
città. Quell’ampia prospettiva visiva che un tempo era strettamente
connessa alla strategia militare di controllo, diviene oggi occasione
per percorsi urbani panoramici. In tale direzione anche il ripristino
dell’antico cammino di ronda, come ad esempio nel caso del progetto
di Cittadella in Veneto, offre l’opportunità di rivitalizzare l’antica
architettura murata a fini turistici e culturali e restituire il vecchio
tracciato alla città e ai suoi abitanti.
In riferimento allo sviluppo anulare dei circuiti antichi, è necessario
introdurre una riflessione sul concetto di permeabilità di tali spazi. Il
perimetro fortificato assolve ancora alla funzione di accesso al nucleo
antico e questa caratteristica ha un’importanza vitale anche in ottica
di valorizzazione e rigenerazione dei centri storici. Questi infatti, pur
se nevralgici tanto spazialmente quanto storicamente, spesso sono
altro rispetto all’estensione urbana attuale e lo stato di estraneità
che li caratterizza concorre ad aggravare una condizione di pseudo-
isolamento.
Sicuramente, nella pluralità dei differenti casi, quello che accumuna
ogni perimetro murato è che le antiche porte sono ancor oggi entità
puntuali bifronti su cui si attestano i vettori generatori urbani e gli
assi territoriali. Questi nodi spaziali divengono così i punti di cerniera,
34
e quindi in senso lato di accoglienza, per la città storica. Nondimeno il
tema dell’accessibilità, inteso nel significato ampio del termine, risulta
potenziato dall’imprescindibile esigenza di adattare gli spazi pubblici
alla fruizione di tutte le utenze, incluse quelle diversamente abili.
L’introduzione di dispositivi per superare le barriere architettoniche
conduce a soluzioni di riabilitazioni di intere aree di città e di nuovi
accessi al centro storico, come nel caso dell’intervento di David
Chipperfield a Teruel (2003) o di quello di Carlos Enrich a Gironella
(2015).
Quando il circuito invece risulta demolito in diverse sue parti, se
la demolizione è tale da compromettere l’unità del perimetro murato,
possiamo considerare l’azione progettuale come un’operazione
capillare in cui lo stato di conservazione suggerisce differenti
interpretazioni dell’oggetto.
35
rovina proprio per indicare questa unità compatta e strutturata nella
forma»36.
36
ricalca l’antico perimetro e la resistenza di certe architetture rimane, ne sono
esempio le porte preservate a monumento di Firenze o la toponomastica
delle piazze in sostituzione dei vecchi varchi. Interessante in tal senso è il
recente progetto di Herzog & De Meuron per la Fondazione Feltrinelli di
Milano (2016) in cui è ben inteso il tipo di intervento sulla traccia. Il volume
segue il percorso delle cinquecentesche Mura Spagnole e il disegno degli
spazi e degli arredi pubblici ne rievoca la pianta lasciando in alcuni casi
riaffiorare il piano archeologico.
Quello che interessa di più, al di là di una breve descrizione degli
approcci possibili del progetto contemporaneo sulle cerchie murarie e sulle
fortificazioni, è la resistenza congenita di certe architetture che, nate per
la difesa della città, longeve tanto per la massività quanto per la flessibilità
della loro struttura, appaiono ancora oggi all’interno del tessuto urbano
e sono percepibili tanto nell’integrità quanto nell’assenza. Esse sono
l’espressione del tempo e l’immagine della storia urbana proprio perché
architetture del limite, linee di demarcazione e al contempo disegno della
forma antica della città.
Tuttavia, pur se esautorati dal loro vecchio incarico, questi dispositivi
urbani conservano la capacità di contenere un’unità, quella urbana, e
sono in grado di farlo anche nella traccia che lasciano a terra. Nondimeno,
le mura nella città contemporanea, non costituendo più un margine
perimetrale, rappresentano a livello urbano un’interfaccia tra la città storica
e quella consolidata.
Questa caratteristica ne esalta l’importanza come beni patrimoniali
poiché architetture direttamente coinvolte nel dialogo tra nucleo antico e
contemporaneità. Questo scambio che avviene sul piano urbano in una
consequenzialità fisica, si esprime a livello architettonico nel disegno dello
spazio pubblico attorno a tali manufatti. In tal senso è esigenza primaria
restituire le fortificazioni cittadine ad un uso contemporaneo e soprattutto
collettivo, come è nella natura stessa di un’opera pubblica.
Si potrebbe concludere dunque che recuperare i tracciati murari
antichi è in primis dotarli di un nuovo utilizzo, reintegrarli al fluire della vita
urbana, assumere queste architetture come tali e pertanto adattarle ad una
funzione (la cui specificazione è compito del progetto) in grado di riabilitarli
al contesto odierno.
37
Circuiti murari integri
Riqualificazione del circuito murario di Alora, Spagna, 2015.
38
Città murate e accessibilità
Carles Henrich, Accesso al centro storico di Gironella, Spagna, 2015.
39
Lacuna
Antonio Jiménez Torrecillas, Muralla Nazarí, Granada, Spagna 2006.
40
Frammento
Carrilho da Graça, museo del Castelo de São Jorge, Lisbona, Portogallo, 2008-2012.
41
Rovina
Comoco, Castelo Novo, Fundão, Portogallo, 2008.
42
Traccia
Herzog & De Meuron, Fondazione Feltrinelli, Milano, Italia, 2016.
43
Il progetto architettonico come verifica
44
la propensione naturale, proprio per la loro posizione marginale, a
riabilitare la città antica a partire dalla sua accessibilità. In tal senso, il
termine accessibilità indica il valore inclusivo dell’architettura in senso
lato e pone l’accento sulla valorizzazione dei centri storici attraverso la
connessione con la rete del patrimonio territoriale.
I circuiti murari pertanto costituiscono un’opportunità imperdibile
per la riqualificazione delle città, partendo dall’assunto che essi
segnano ancora un netto confine, quello tra il nucleo antico e la città
d’espansione extra moenia. Nell’intento di determinare le fasi e i
criteri di una strategia di azione per la rigenerazione urbana, le mura,
in questa istanza, sono state affrontate non tanto come oggetto di
restauro architettonico, ma come dispositivo permeabile, soggetto
attivo nello spazio urbano.
Cerchiamo di seguito di dare una risposta sistematica al processo
progettuale adottato in base al campo d’indagine scelto, ai criteri di
valutazione e alle fasi di studio.
45
1. Il circuito murario e lo sviluppo morfologico della città.
Dopo aver approfondito lo studio architettonico delle mura
in relazione agli aspetti tipologici e costruttivi, alla storia e
all’attuale stato di conservazione, lo studio dei perimetri antichi
viene indagato dal punto di vista urbano, ponendo a confronto
le trasformazioni della cinta muraria con lo sviluppo morfologico
della città. Questo aspetto risulta determinante per una corretta
lettura dell’evoluzione storica della cerchia fortificata in base allo
sviluppo della città intra moenia e, contestualmente, alle attuali
relazioni con l’estensione della città contemporanea.
46
le altre parti di città. Un aspetto questo che interessa fortemente
la rigenerazione dei centri storici proprio attraverso il tema della
loro attraversabilità.
Perché Siviglia
47
muta notevolmente nel tempo, in base all’evoluzione morfologica urbana
dei centri antichi e soprattutto in relazioni alle trasformazioni tecniche
difensive dell’ingegneria militare. Si pensi ad esempio all’introduzione
della polvere da sparo: la traiettoria di un cannone contempla un raggio
di azione molto più ampio e ha una capacità distruttiva immensamente
più grande delle catapulte o, nondimeno, l’invenzione del bastione
fortificato, di origine italiana, modifica radicalmente l’immagine del limite
della città (ne sono una dimostrazione le città di nuova fondazione del
tardo Cinquecento come Palmanova e Sabbioneta)39.
Quello che poi ha indirizzato la ricerca del caso studio è stata l’idea
di una comparazione tra le città murate italiane, quindi cristiane, con
quelle andaluse, di matrice araba. Infine la componente che si ritiene
decisiva nella scelta è stata quella dello stato di conservazione della
cinta muraria: Siviglia ha un circuito fortificato in gran parte demolito.
Una determinante insolita sembrerebbe ad una prima lettura, in realtà
invece, avendo già lavorato su circuiti in larga parte conservati, si è
ritenuto che un perimetro interrotto avrebbe potuto offrire numerosi
spunti di indagine: capire in primo luogo cosa e quanto resta di una
cerchia demolita, come essa vive e dialoga nella città contemporanea,
lavorare sul frammento e non sull’unità, comprendere il segno dei
tracciati e l’evidente presenza nell’assenza.
Allo stesso tempo era necessario scegliere una cinta muraria che,
pur se demolita, conservasse ancora parti significative, in quantità e in
qualità, per così dire. Insomma un perimetro che avesse le caratteristiche
necessarie, e strategiche, per fondare un lavoro di ricerca. Per questi
motivi quel circuito è stato Siviglia.
48
si preferisce sostituire quello di strategia. Ciò detto, di seguito si riporta
l’excursus operativo nei sui caratteri salienti e nelle diverse fasi tematiche
affrontate.
49
relazione alle risorse naturali e storico-artistiche del territorio provinciale
e regionale con particolare attenzione a quel turismo considerato di tipo
lento, quale quello pedonale e ciclabile.
Questa scelta è stata determinata da diversi fattori: sia per il
crescente sviluppo del turismo di tale tipo, sia per la sostenibilità
ambientale di questa viabilità, sia per i differenti tempi percettivi di visita.
In base all’analisi preventiva già citata e a quella dei differenti strumenti
urbanistici vigenti, sono stati indicati gli accessi principali di tali circuiti
territoriali in città e l’interazione di essi sia tra di loro che con il perimetro
murato.
50
ricerca dunque si sposta sul tracciato fortificato, cercando di mettere in
luce le potenzialità del circuito in base a ciò che si verifica lungo il suo
percorso. Vengono pertanto analizzati i luoghi del perimetro murato con
particolare attenzione allo spazio pubblico aperto e ai beni storico-artistici,
catalogati in base alla distanza dalla cinta. Di essi si individuano quelli a
200 metri di distanza, a 100 metri e sul circuito stesso, valutando la loro
configurazione spaziale rispetto al sistema lineare militare e l’interazione
con gli itinerari culturali della città.
51
Un dispositivo urbano permeabile
52
La proposta progettuale parte quindi dall’idea di connettere tramite
questo elemento gli antichi tracciati territoriali alla città, superando
il limite visivo di una periferia frapposta, e di più, di coinvolgere la
stessa periferia, spesso disordinata e incoerente, in un disegno
che unifica e raccorda. Il tal senso le antiche mura della Macarena
divengono la porta da nord di Siviglia in cui all’interno e nell’intorno
si susseguono differenti episodi.
Le mura si trasformano in uno strumento conoscitivo di sé stesse
oppure in uno spazio polifunzionale per la cittadinanza o in un punto
informativo turistico del territorio, ma ciò che conta non è tanto la
funzione qui suggerita quanto più il diritto, e il dovere, di restituire
loro la possibilità di essere vissute.
Poter attraversare l’oggetto architettonico, poterlo visitare nelle
sue parti, percepirlo nella sua totalità dall’esterno, scorgerlo come
una quinta prospettica dall’interno: queste operazioni divengono
l’occasione reale per creare nuove opportunità a partire dalle risorse
presenti nel territorio, nella convinzione che la valorizzazione del
patrimonio, messo a sistema, può essere la più valida azione per la
rigenerazione del centro storico e dell’intera città.
53
Terza parte
Cenni storici
56
L’epoca visigota (429 - 711)
Molto poco si sa su quello che potrebbe essere stata la città di Siviglia
sotto il regno visigoto. Si suppone che fosse una continuazione della
città romana e che avesse mantenuto l’antico circuito murario. Tale teoria
non ha però prove fondate, non essendovi alcuni resti di estensioni o
trasformazioni dell’antico recinto.
57
indipendente di Taifa sotto il controllo della famiglia dei Banu Abbad,
dinastia che mantenne il potere fino 1091. Muhammad Ibn Abbad Qadi
(1023-1042) cercò di emulare la grandezza di Cordova mentre il figlio e
successore Al-Mutadid (1042-1068) e in seguito il nipote Al-Mutamid
(1068-1091) allargarono i territori del regno sino a dominare quasi un
terzo del paese, facendo di Siviglia il più potente stato Al-Andalus.
Questo ha permesso uno sviluppo incredibile dell’estensione dello
spazio urbano di Ishbiliya (da cui deriva il nome attuale Siviglia) che vanta
uno dei più grandi nuclei storici delle città spagnole. Tra i molti edifici di
nuova costruzione, viene ampliato il perimetro dell’Alcázar verso ovest. É
l’inizio di un periodo molto fiorente per l’architettura di Siviglia che durerà
per gran parte del dominio musulmano.
Durante l’epoca tardo-Abbadi, periodo che costituisce il passaggio
dalla saturazione del tessuto intra moenia all’espansione oltre il recinto
fortificato (J. Navarro Palazòn, P. Jimenez, 2014), gli antichi confini della
città vengono superati e appaiono nuovi quartieri fuori le mura, anche se
va detto che questa crescita risulta sempre limitata dal fiume Guadalquivir
a ovest e dall’affluente Tagarete a sud e a est. Questo processo non sarà
completo fino al XII secolo quando il fiume sarà deviato verso ovest e ne
sarà bonificato l’antico tracciato lasciando spazio alla nuova città e alla
nuova cinta militare.
Fino al periodo tardo-Abbadi e Almoravide la città aveva superato
i confini del periodo omayyade, probabilmente più contenuti di quelli
dell’occupazione romana. Data la saturazione della popolazione all’interno
della città e i frequenti attacchi degli Almoravidi la città si estende
e fortifica. Ci sono poche testimonianze delle mura del regno di Taifa,
solo all’interno dell’Alcázar, sul lato sud-est, è stato certificato un resto
dell’antica cerchia interno alla costruzione del muro di Yahwar40.
58
che il perimetro attuale delle mura potrebbe essere almohade: per questo
motivo la crescita della città sarebbe stata condotta a nord-est, in quanto
non vi è la prova certa che il braccio del fiume sia stato bonificato nel
periodo almohade. Pertanto i confini della città in quel periodo potrebbero
essere stati simili a quelli del nucleo antico, anche se alcune teorie negano
l’estensione del circuito murario in relazione al percorso del Guadalquivir
e del Tagarete. Sicuramente l’urgenza di completamento e le risorse
economiche sono la causa della costruzione di un circuito murario non
lapideo, ma in terra battuta (tapial).
59
avvenne perché erroneamente confuso per un tratto murario di origine
romana. Il fatto è dichiarato in testi ufficiali41. La demolizione completa
delle mura di Siviglia avviene tra gli anni 1861 e 1869, in virtù di un
accordo stipulato dal Comune (22 ottobre 1861), per cui si ordina di
conservare solo il tratto tra la porta della Macarena e la porta di Cordova
e tra la Porta del Sol e Barqueta. Infine, nel 1909 anche questo ultimo
tratto viene abbattuto, conservando solo le mura della Macarena.
60
tempi in cui frequenti erano scorrerie e guerre tra i regni. Inoltre questo tipo di
materiale migliorava le sue prestazioni nel tempo aumentando la resistenza
e la compattezza. L’utilizzo del tapial è fondamentale per comprendere la
struttura tipologica delle mura islamiche. Il sistema difensivo era costituito da
una doppia cinta: la principale presentava un cammino di ronda sommitale
con merlature piramidali, una seconda, detta “barbacane”, era esterna e più
bassa con feritoie a doppia altezza.
Il barbacane costituiva di fatto un secondo circuito all’interno del quale
si trovava la liza, un’ampia trincea che, oltre ad essere un ulteriore baluardo
difensivo, permetteva il collegamento extra moenia delle torri. All’esterno del
sistema murario veniva poi costruito un fossato. Il recinto era caratterizzato
da torri generalmente a base quadrata, ma in alcuni casi, quelli di maggior
rilevanza, hanno un numero di lati maggiore.
Le torri della cintura di Siviglia hanno un’altezza variabile da venti a quaranta
metri circa e di esse possiamo distinguere tre tipologie: senza camera, con
una camera e con doppia camera. Gli ambienti presentavano coperture a
botte con arco ribassato e per accedere al cammino di ronda vi erano diversi
sistemi di collegamento verticale: nella prima tipologia una scala esterna,
nella seconda tipologia una scala a pioli collegata con una botola e nella
terza tipologia, la più complessa, un sistema di scale interne. Le porte della
città erano affiancate da doppie torri poste ai lati dell’ingresso, ma potevano
essere anche più semplici come ad esempio la torre-porta di Cordova, che
si vede nel tratto murario della Macarena di Siviglia. Interessante è il sistema
di ingresso detto en recodo, cioè attraverso un percorso che impediva un
accesso con corridoio a gomito. Le porte potevano anche presentare un
ingresso diretto, ma generalmente si prediligeva questa soluzione poiché
impediva la visuale e non consentiva all’invasore un passaggio ampio, ma
un pertugio angusto. Inoltre era pensato come un percorso che obbligava il
nemico ad assumere una posizione non frontale, ma laterale e a muoversi da
destra a sinistra in modo da esporre il braccio destro, cioè quello prevalente
per l’impugnatura dell’arma.
Nel caso delle mura di Siviglia, generalmente il tratto primitivo è di età
almoravide, il rialzo merlato con il cammino di ronda e il barbacane invece
sono almohadi. In alcuni tratti era presente anche il fossato difensivo. A
questo complessa struttura militare che circondava la città si aggiungevano
le torri albarranas, torri esterne alla cinta e collegate dalla coracha, una
ulteriore tratto murario che generalmente era collegatao all’alcázar. A
Siviglia la torre albarrana principale è la Torre de Oro, la corracha è stata
demolita, ma ne restano i segni nel piano archeologico ed è stato possibile
ipotizzare la sequenza di torri che portavano al palazzo reale: la torre de
Cilla, la torre Abd El Aziz, quella della Plata, e in fine quella de Oro, che era
di fatto il faro che scrutava il Guadalquivir, sono le albarranas di Siviglia cui
si suppone peraltro una progressione matematica data dal numero dei lati
(4, 6, 8, 12).
61
ll tapial. Va innanzitutto precisata la distinzione tra il termine tapia che
rimanda alla tecnica costruttiva di terra pressata e il termine tapial che
invece fa riferimento alla costruzioni di muri, attraverso cassaforme, di un
conglomerato composto di terra, sabbia, calce e inerti di varie dimensioni.
L’uso del tapial per i sistemi difensivi arabi nella penisola iberica deriva
dall’adattamento della tecnica di terra pressata utilizzata per la casa
islamica. Le sua conformazione e il conglomerato variano a seconda
dell’area geografica, ma è possibile desumerne le caratteristiche comuni.
Seguendo la classificazione di Graciani Garcia, si possono riscontrare
tre grandi macrocategorie di tapial: tapial semplice, tapial misto e tapial a
ricorsi orizzontali45.
Il primo tipo è dato dalla sovrapposizione di blocchi indipendenti senza
articolazioni di rinforzo. Il secondo inserisce nella sequenza muraria tratti
verticali in laterizio o pietra, prediligendo la continuità orizzontale dei blocchi
(questo sistema si sviluppa in epoca almohade, la Torre de Oro è un
esempio di questa tecnica nella variante lapidea) e infine la terza categoria,
successiva al XV secolo, caratterizzata oltre che da rinforzi verticali anche
da ricorsi orizzontali in laterizio.
Nella penisola iberica molti sono gli esempi di architetture militari
califfali o taifas, ma la maggior parte delle fortificazioni furono costruite
durante l’epoca delle dinastie nordafricane (almoravidi e almohadi) tra il XII
e il XIII secolo e successivamente durante la Reconquista Spagnola che
ne ereditò i caratteri costruttivi non certo senza la contaminazione delle
tecniche cristiane.46
Per quanto riguarda la cinta muraria di Siviglia prevale il primo e il
secondo tipo a seconda dell’epoca di costruzione del tratto: nel caso più
frequente il muro primitivo almoravide è costruito con tapial semplice e le
successive trasformazioni almohadi con tapial misto47.
In primo luogo va detto che la cinta muraria araba che resta superstite ai
nostri giorni è la più tarda, in quanto fu terminata in epoca almohade (XII-
XIII secolo). Attualmente il perimetro difensivo che si conserva è davvero
esiguo rispetto al tracciato originale e ciò è dovuto in larga parte alla
demolizione ottocentesca.
Il perimetro antico della cerchia muraria è approssimativamente di 16
Km e include un’area di 286, 56 ettari, il che ne fa il più grande perimetro
murato della penisola iberica e, alcuni sostengono, il terzo d’Europa. Ad
oggi si conservano circa 1800 metri lineari di mura senza tenere conto del
livello archeologico.
Di seguito si riporta una breve descrizione dei tratti murari:
Tratto Ovest. Corrisponde al tratto che parte dal postigo del Carbon fino alla
Porta de la Barqueta, nella gran parte le mura scampate alla demolizione
62
sono inglobate nel tessuto residenziale esistente per cui non si dispone
di una catalogazione completa. Sono visibili alcuni resti nell’antica Porta
Reale, al termine della Calle Alfonso XII, nella Calle de Goles e nello stesso
postigo del Carbon. Alcuni scavi archeologici hanno dimostrato che non
vi era presente in questo tratto il barbacane tranne che in corrispondenza
della Porta Reale (in riferimento agli scavi del 1995 ad opera di Ramírez
del Río).
Muralla de los Jardines del Valle. Questo tratto è lungo circa 200 metri; in
esso restano cinque torri di cui due sono a una camera. Il tratto che ripiega
a 90 gradi forma uno spazio aperto che è destinato a parco. Questo tratto
del circuito murario faceva parte del Convento del Valle ed è per questo che
è rimasto integro. Divenuto di proprietà comunale, fu approvato per questo
parte di mura un progetto di restauro nel 1985. Dagli scavi archeologici
è emerso che anche in questo tratto era presente il barbacane. Anche in
questo caso il rialzo è almohade. Il progetto di restauro non è stato ancora
completato.
Tratto Est. Procede dai Giardini del Valle fino a quelli di Murillo. Anche
in questo caso il tessuto residenziale ha inglobato parte delle mura, ma
alcuni scavi hanno permesso di poter affermare con certezza la presenza
del barbacane in gran parte del tratto e un posizionamento più chiaro
dell’antico tracciato.
Muro del Agua. Si estende dalla Porta della Carne alla Torre del Agua, è
stato ricostruito in epoca almohade, ma è di origine almoravide. Questa
parte delle mura era di supporto alla canalizzazione dell’acqua proveniente
dall’acquedotto di Carmona e ancora è possibile osservare le antiche
tubazioni inglobate nel tapial. Attualmente fa parte dei Giardini di Murillo e
dei 400 metri originari se ne matengono circa 300, non sempre integri. Ad
esso corrispondono cinque torri.
63
Real Alcázar e Casa de la Moneda. Fino al periodo almohade questo
terreno si trovava fuori le mura poiché in una zona esondabile tra il
Guadalquivir e l’affluente Tagarete. Successivamente, nel periodo califfale,
si ricostruì la cinta lungo il fiume a partire dall’antico tracciato almoravide
e si ampliò il recinto dell’Alcázar con un nuovo palazzo che diverrà poi la
Casa de la Moneda. Parte di queste mura non sono più visibili, ma alcune
sono ancora inglobate negli edifici. Il tratto è lungo circa 220 metri e a
seguito della demolizione del palazzo del Corral de las Herrerias nel 1985
sono venuti alla luce altri resti della cinta murata.
64
Sopra: Tapial almoravide con blocchi separati ( J.Canival, 2015).
Sotto: Tapial almohade a ricorsi continui ( J.Canival, 2015).
65
Il perimetro murato e la città storica
66
Il sistema difensivo : sviluppo morfologico e caratteri tipologici
67
Sopra: Sistema murario di Cordova (Calle Cairuan).
Sotto: Sistema murario di Siviglia (Muralla de la Macarena).
68
Mura, città e paesaggio
69
culturale si sovrappongono numerosi altri itinerari che abbracciano un
paesaggio variegato e complesso: i percorsi della Baetica romana,
l’antica Via Augusta e la Via Ab Emerita Asturicam, poi Via de la
Plata, le vie commerciali medievali di matrice araba, la rete dei percorsi
agricoli che collegano gli insediamenti rurali e quelli che segnano
l’asse del Guadalquivir. A questo sistema di reti territoriali, che affonda
le radici nell’antico disegno insediativo della regione, si unisce poi la
nuova viabilità carrabile e ferrata andalusa che ha modificato molti
equilibri secolari con la creazione di assi connettori interregionali (ad
esempio l’introduzione dell’alta velocità ferroviaria che lega Siviglia a
Madrid in poco più di due ore).
A livello provinciale il Plan de Ordinaciòn del Territorio de la
Aglomeración Urbana de Sevilla (2009) individua “tre paesaggi”
dalle caratteristiche omogenee che contraddistinguono il territorio di
influenza della città, definite con il nome di Unidades naturales: la
depressione fluviale del Guadalquivir con la grande pianura a nord
e la laguna a sud (confluente poi nel parco di Doñana), le creste
dell’Aljarate e Los Alcores e la campagna di Carmona e Gerena. A
nord poi la Sierra Norte collega la città al Parco Nazionale della Sierra
Morena50.
Queste unità territoriali costituiscono il supporto naturalistico che
mette a sistema la fitta rete di insediamenti urbani che circondano la
città, come la costellazione di pueblos rurales (borghi rurali) a ovest,
tra cui Olivares, Sanlucar de la Mayor, e Santiponce (che ospita le
rovine di Italica), quelli fluviali a nord-est e gli importanti centri di valore
storico-artistico lungo gli antichi assi di comunicazione, come Utrera,
Alcalà de Guillena, Carmona e Ecija.
In questa eterogeneità paesaggistica va ricordato che il territorio
sivigliano è cosparso di numerosi siti archeologici, alcuni tra i quali
di notevole importanza, e che di essi molti si trovano in prossimità o
all’interno di aree di notevole valore paesaggistico. Molte infatti sono le
riserve naturali nella provincia di Siviglia e ancora più le aree protette.
Come caso peculiare nell’area urbana della città e come asse portante
dell’intero territorio provinciale, va però distinto il fiume Guadalquivir, il
cui corso è stato dichiarato Sito di Interesse Comunitario (SCI–Site of
Community Importance). Esso non è solo l’elemento ambientale che
ha conformato la geomorfologia dell’area, ma è soprattutto il grande
asse che a livello naturalistico articola i flussi faunistici e regola l’intero
ecosistema del comprensorio sivigliano, non solo lungo il suo percorso,
ma anche attraverso i suoi numerosi affluenti.
All’interno di questo complesso e affascinante scenario, la ricerca si
è soffermata sull’analisi di quella rete di itinerari culturali che percorrono
il territorio, in quanto essi costituiscono la risorsa prima e principale
per la conoscenza, la promozione e la tutela di esso. Solo mediante
una progettazione strutturata dei percorsi turistici, tanto culturali
70
quanto naturalistici, e lo studio degli antichi tracciati, testimonianza
della trasformazione dell’impronta antropica e della strutturazione
del territorio nella storia, è possibile infatti ristabilire quel rapporto
simbiotico e dialettico tra la città antica e il suo comprensorio; rapporto
che nella città contemporanea risulta indebolito e depotenziato, ma
che, pur se sopito, non è affatto scomparso.
Si ritiene quindi imprescindibile ai fini dello studio dei centri antichi
comprendere l’impianto relazionale e insieme le gerarchie che essi
stabiliscono con il paesaggio a cui appartengono, chiave di lettura e
strategia indispensabile per la valorizzazione, mediante reti tematiche,
del patrimonio storico e paesaggistico di un determinato contesto
ambientale e culturale.
Andiamo quindi ad approfondire i sentieri nella provincia sivigliana
che sono stati selezionati come strutturanti e prioritari in base
all’importanza storica, alle risorse del patrimonio paesaggistico e
artistico e alle potenzialità di trasformazione e promozione territoriali,
nonché alla percorribilità ciclopedonale.
71
da Emerita (l’attuale Merida, fondata nel 25 a.C.) raggiungeva Asturica
(Astorga), attraversando verticalmente l’Hiberia, successivamente
estesa fino a Siviglia. Sul cammino sono presenti ancora molti miliarii
originari53. A distanza poi di 20 o 25 miglia romane (circa 30/35 km),
generalmente calcolati su una tappa giornaliera, c’erano le mansiones,
luoghi di accoglienza per il riposo e l’approvvigionamento. Ed è attorno
alle mansiones che sono nati numerosi nuclei abitativi, oggi borghi o
città che strutturano il territorio peninsulare.
Nella complessa rete viaria spagnola costruita dai romani,
sicuramente la Via ab Emerita Asturicam fu un asse di primaria
importanza data la direzionalità nord-sud, così come lo era la via
Augusta che collegava Roma alla regione Baetica. Hispalis, Siviglia,
si trovava proprio alla congiunzione tra queste due importanti vie di
comunicazione e ciò fece indiscutibilmente la fortuna della città in età
imperiale. Va ricordato infatti che insieme alla poco distante Italica,
fondata da Scipione l’Africano, Siviglia fu nominata da Giulio Cesare
Colonia Iulia Romula Hispalis54. Su queste due strade romane dunque
si fonda il cammino di pellegrinaggio di Santiago che, in coerenza
con i principali assi viari medievali europei, incarna la coincidenza
tra i percorsi di matrice religiosa con i principali corridoi commerciali
dell’epoca.
Dopo la caduta dell’impero la ruta cadde in stato di abbandono,
percorsa dalle scorrerie barbariche. Ciononostante la strada rimase
comunque attiva, tanto che fu l’asse principale di risalita della
conquista araba nell’Alto Medioevo. La scoperta della presunta tomba
dell’apostolo Giacomo a Compostela permise un nuovo sviluppo di
questo antico percorso sin dal secolo XI, divenendo al contempo
tracciato militare della Reconquista cattolica verso Sud.
L’attuale Cammino di Santiago è un insieme di ramificazioni che
condividono un tratto comune, l’antica Via ab Emerita Asturicam che
da Merida arriva a Granja de Moreruela, locatità situata a 40 Km da
Zamora. A sud si può accedere da Huelva e Zafra, da Malaga e Granada
passando per Cordova o, nel nostro caso, da Siviglia e Cadice. A nord
la via si biforca in due sentieri, quello che prosegue per l’antica strada
romana fino ad Astorga e quello che devia a est per Sanabria. La Ruta
de la Plata che parte da Siviglia ha una lunghezza di circa 700 km e di
1000 per arrivare a Santiago, mentre il tratto dell’antica Via Augusta
che unisce Cadice alla Cattedrale sivigliana è di circa 178 km. Questo
itinerario in prossimità di Siviglia presenta due varianti di percorso:
una per Dos Hermanas e l’altra per Alcalà de Guadaira. Il Cammino
dunque attraversa Siviglia a partire dagli antichi tracciati e richiede
circa un mese di tempo per arrivare a Santiago a piedi, il sentiero è
percorribile anche in bicicletta e attualmente è praticato tanto da un
turismo religioso quanto da un turismo culturale ed escursionistico.
72
Il cammino di Washington Irving
73
ferroviari dismessi. Vias Verdes, in italiano “strade verdi”, è un
progetto finanziato dall’Unione Europea iniziato nel 1993 che vede
la cooperazione del Ministero dell’Ambiente, le Regioni e differenti
amministrazioni locali, promosso e coordinato dalla Fundación de
los Ferrocarriles Españoles. Si tratta di un programma strategico di
sviluppo territoriale che riunisce, sotto un marchio di qualità registrato
e protetto, quegli itinerari escursionistici che si sviluppano a partire dal
recupero di vecchie infrastrutture ferrate dismesse.
Il concetto di Via Verde comprende non solo l’adeguamento
del tracciato ferroviario ad uso ciclistico e pedonale, ma anche la
ristrutturazione di stazioni come centri di servizi e di equipaggiamenti
supplementari. Attualmente esistono 2100 km operativi di Vias
Verdes in Spagna, dei quali in Andalusia oltre 500 km divisi in 23
itinerari, cioè circa il 22% dell’intera nazione.
La Ruta del Agua invece non fa parte delle Vias Verdes, ma è
un itinerario naturalistico protetto di grande interesse turistico, che
include anche un tratto ferroviario dismesso. Si sviluppa per 14 km
lungo gli invasi di El Gergal e Cala nel territorio di Guillena. Tra questi
percorsi paesaggistici si collegano alla città di Siviglia la Via Verde
de Italica, quella di El Ronquillo e quella della Campiña. La prima
in forma diretta poiché parte dall’isola de la Cartuja, mentre le altre
costituiscono interessanti potenzialità di ingresso alla città attraverso
un turismo crescente di tipo lento; El Ronquillo si connette attraverso
un tratto ferrato in disuso alla Ruta del Agua e quindi alla Ruta de la
Plata, mentre la Via Verde de la Campiña calca il tracciato dell’antica
viabilità romana da Cordova e del Cammino di Washington Irving.
Questi percorsi paesaggistici quindi, messi a sistema con quelli
storici e culturali, divengono validi assi territoriali in grado di fornire
nuovi accessi, e nuove letture, della stessa capitale andalusa in un
dialogo più osmotico tra città e territorio.
74
quanto locale, e sull’importanza dell’incremento di utilizzo di un
mezzo ecologico e sostenibile. A livello regionale il piano definisce
sei assi longitudinali e i relativi assi connettori trasversali al fine di
generare una rete territoriale estesa, ma suddivisa secondo criteri
tematici e caratteristiche omogenee. L’apparato viario si struttura a
partire dalla base dei domini territoriali avanzati dall’analisi del POTA,
piano territoriale andaluso. Gli ambiti naturali e il sistema urbano sono
determinanti nella definizione di tale rete.
Conseguentemente, a partire dalla programmazione a livello
regionale e per differenti scale, il piano entra in dettaglio approfondendo
la progettazione infrastrutturale per aree metropolitane e a livello
urbano nelle principale città andaluse.
La rete territoriale regionale si articola in otto assi che seguono
in prevalenza l’orientamento est-ovest. Di essi tre, che invece si
attestano in direzione nord-sud, consentono la possibilità di circuiti
tematici circolari.
Quanto al caso di Siviglia sono ben cinque gli assi che percorrono
il territorio provinciale e due nello specifico attraversano la città: l’asse
del Guadalquivir e quello che unisce la Sierra de Huelva a Gibilterra.
75
-- Il fiume Guadalquivir, che come asse portante da nord-est a sud-
ovest attraversa la città mettendola in connessione da un lato con
la grande valle e dall’altro con il paesaggio lagunare del Parco di
Doñana;
-- Il massiccio della Sierra Morena, che entra attraverso le pendici
della Sierra Norte nella capitale andalusa;
-- Le creste de Los Alcores, che tracciano un corridoio naturale a
sud-est toccando importanti centri come Carmona e Alcalá de
Guadaíra fino Dos Hermanas;
-- Le colline dell’Aljarate a ovest che si stagliano costellate di piccoli
nuclei abitativi dall’alto valore storico-artistico come Olivares,
Sanlúcar de la Maior e l’antica Italica, presso Santiponce;
-- Il paesaggio agricolo delle campagne di Carmona e Gerena
caratterizzato dalle colture di olivo.
76
ed è proprio al suo fiume che deve tanto del suo successo quanto della sua
decadenza nel Seicento. Siviglia è stata dunque per lungo tempo punto di
approdo e di partenza di merci e di genti e lo è tuttora, costituendo insieme
a Granada e Cordova il principale scalo turistico dell’Andalusia.
L’analisi territoriale qui condotta, che pone maggiore accento sugli
antichi assi viari, vuole ripercorrere mediante il territorio la storia, cercando
di trovare in essa una nuova chiave di lettura del nucleo originario e
del suo perimetro murato. Oggi l’estensione urbana della città può
confondere le tracce di un disegno così chiaro, ma non ad un occhio
attento. Ancora i tracciati storici sono ben leggibili nella forma urbana e,
come spesso accade, lungo gli assi antichi principali sono sorte le nuove
vie di comunicazione. Nondimeno i tracciati che derivano dal passato
costituiscono un grande potenziale per la valorizzazione della città, uno
strumento importante per stabilire equilibri più armonici o far riemergere
originarie relazioni oggi sopite.
La città storica di Siviglia, meta turistica a livello europeo e mondiale,
vive oggi una grande disparità tra il Sud e il Nord del centro storico; ciò
anche a seguito dell’ampliamento per l’Esposizione del 1929 che ha
contribuito a spostare il centro-città baricentricamente verso sud, creando
una netta spaccatura tra le due parti.
Gli assi viari del passato, che in tal caso corrispondono anche a importarti
percorsi culturali e turistici, mettono in luce invece un’omogeneità di
ingressi alla città e l’importanza di alcune strade che approdano proprio a
nord. Contestualmente gli itinerari naturalistici e escursionistici si collegano
alla città sia mediante il corso del fiume, proveniente da nord-est, sia
in direzione del Parco Naturale della Sierra Morena, anch’esso a nord.
Inoltre Siviglia vanta un’estesa viabilità ciclabile fruita da diverse tipologie
di utenze, tanto permanenti (cittadini residenti) quanto temporanee (turisti,
lavoratori, pendolari), che abbraccia l’intero centro storico attraverso una
struttura anulare che si propaga verso l’ hinterland.
Mettere a sistema questa complessa rete di percorsi, con particolare
attenzione alla viabilità lenta e sostenibile, può costituire, oltre che
una chiave di lettura corretta e un’analisi operativa efficace, anche un
apprezzabile potenziale per restituire unità al centro storico e potenziare
aree di esso che versano in stato di degrado.
77
Sistemi ambientali e antichi tracciati: il territorio provinciale di Siviglia
78
79
Il Cammino di Santiago da Sud o Via de la Plata
80
Città e paesaggio: rete antropica e naturale
81
Dentro e fuori le mura
«Il valore patrimoniale dello spazio pubblico nella città più antica non
risiede esclusivamente nella sua traccia, intesa come formazione, ma
anche nella qualità urbana e architettonica che lo configura così come
nella cultura immateriale che alberga in esso in forma di memoria collettiva
dei cittadini. La posta in valore dello spazio pubblico in base pertanto alla
denominazione di patrimonio storico urbano presuppone l’espressione
delle sue qualità più estrinseche. A Siviglia, la cerchia almohade e le sue
porte definirono una relazione con il territorio che ancora persiste, non
senza trasformazioni, in modo ben identificabile».
82
tanto religioso quanto culturale fa emergere numerose osservazioni
sull’assetto del centro storico e sulla continuità morfologica attuale
rispetto al processo evolutivo urbano. L’antico nucleo romano60 è ancora
percepibile nel tessuto edilizio come pure il recinto almohade che delinea
il perimetro del nucleo storico. Interessante è notare che il sistema
difensivo si percepisca in molti casi nell’assenza, mutando in assi viari
primari. Un’operazione quella della demolizione che non caratterizza solo i
grandi interventi ottocenteschi post-haussmaniani, ma che risiede anche
nel processo formativo della città. Il limite esterno antico viene inglobato
nel tessuto edilizio o lascia il segno del suo tracciato nelle nuove vie extra
moenia.
Nella tavola “Itinerari culturali e antichi tracciati” è riportata la viabilità
romana61 e gli assi territoriali rispetto ai collegamenti principali della
Regione Betica, di essi la Via Ab Emerita Asturicam e la Via Augusta
costituivano le principali vie di comunicazione verso est e verso nord.
L’attuale Cammino di Santiago ne calca il tracciato e con esso anche il
Cammino di Washington Irving, pur attestandosi su un percorso di matrice
araba, ne segue in parte il sentiero. Non meno importante è la via di
Carmona che prosegue per Cordova, capitale del Regno Nazarì. Ancora
visibili risultano gli assi del cardo e del decumano. La prosecuzione del
decumano poi fuori le mura romane delinea l’asse nord-sud anche della
città islamica, culminante poi nella Puerta de la Macarena, porta che ha
costituito per anni l’ingresso del corteo reale dei re cattolici dalla Castiglia.
Va ricordato che la città si sviluppa prevalentemente a sinistra del
percorso fluviale verso est, fenomeno che interessa anche l’evoluzione
urbana in epoca moderna, fatta eccezione per il quartiere di Triana che
fonda le sue origini in epoca almohade, anche se i primi cenni di espansione
in quella zona sono romani. Il tal senso l’attraversamento del fiume, pur se
barriera naturale e quindi sistema difensivo, diviene condizione necessaria
anche a seguito della fondazione di Italica nel 206 a.C., importante centro
insieme a cui Siviglia sotto Cesare fu Colonia Romana. La presenza del
Guadalquivir è indispensabile alla città e ne costituisce il fattore primo di
insediamento e di sviluppo nei secoli successivi.
Va sottolineato come la bonifica del primo braccio a est in epoca
islamica ha consentito un incremento consistente della superficie urbana
lasciando un segno indelebile nel tessuto edilizio. L’Alameda de Hércules,
Plaza Nueva e lo stesso impianto della Cattedrale sono la testimonianza
tangibile di questa trasformazione.
A conclusione di quanto approfondito in questa fase della ricerca,
si può constatare che gli itinerari culturali che attraversano la città
ripercorrono con sufficiente coerenza l’impianto morfologico antico nella
stretta relazione che sussiste tra esso e il territorio di appartenenza. Di
queste antiche tracce alcune hanno avuto per così dire più fortuna di
altre, specchio degli equilibri geopolitici che si sono susseguiti nel corso
dei secoli. Ciononostante la verifica sul piano urbano della persistenza
83
di certi segni costituisce tanto lo strumento primo per la comprensione
dell’assetto attuale, quanto un efficace potenziale su cui fondare strategie
d’azione per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, lo sviluppo e
l’ampliamento degli itinerari culturali nella città e la messa in rete di esso
con i circuiti turistici.
84
Tornando invece alla dimensione più puramente pubblica e urbana
numerose piazze sono dotate di verde, sia per una questione climatica
sia per gli interventi di arredo ottocenteschi.
Tra essi merita un cenno particolare l‘Alameda de Hércules, non
solo per l’estensione di superficie, ma soprattutto per l’importanza di
questo luogo nella memoria della città e nel disegno urbano. Si tratta di
un grande giardino lineare edificato sulla Laguna de la Feria nel 1574
lungo il tracciato dell’antico braccio del Guadalquivir. L’Alameda di Siviglia
è tra le più antiche della Spagna. Questo genere di parco urbano è
tipico nei centri storici andalusi, usato soprattutto per fornire refrigerio al
clima torrido estivo. L’Alameda de Hércules però nasce con un preciso
intento: «con essa si intendeva definire il primo monumento civile di
Siviglia convertendo la struttura urbana in un elemento geometricamente
ordinato di riferimento simbolico e emblematico». Questo parco è ancora
oggi un importante spazio pubblico della città fortemente vissuto. Inutile
dire che in una città di impianto islamico come Siviglia gli spazi pubblici
aperti costituiscano un oggetto di studio molto complesso ed eterogeneo
dato dalla varietà del tessuto edilizio.
Nella catalogazione intrapresa nella fase preliminare di ricerca relativa
alle piazze lungo gli assi primari su cui il centro storico si articola, sono
state individuate differenti tipologie in relazione al sistema viario:
- in base alla prevalenza dimensionale:
a. perpendicolari al percorso primario;
b. parallele al percorso primario;
- in base all’ intersezione con la rete viaria:
a. tangenti al percorso primario;
b. secanti il percorso primario;
c. percorsi senza uscita.
Quest’ultima categoria è molto presente nella città araba, numerosi
vicoli terminano infatti in piazze senza uscita e tale sistema si ritrova
anche reiterato in serie.
A queste tipologie bisogna necessariamente aggiungere come
categoria a sé quella dei cortili degli edifici di carattere pubblico o
comunque collettivo. In coerenza con la tipologia più diffusa nel tessuto
antico della città, la casa a patio sivigliana rappresenta uno spazio
suggestivo che si misura costantemente tra la dimensione pubblica
e quella privata e che spesso oltre che in pianta si sviluppa anche
verticalmente, in particolar modo nell’edilizia popolare residenziale, dove
le diverse unità abitative affacciano nel grande vuoto centrale. Nello
studio relativo agli spazi pubblici della città storica sono stati poi segnalati
sia il verde di risulta o ripariale, sia il verde di proprietà pubblica, ritendo,
in ovvia maniera, che essi costituiscano un importante potenziale per il
progetto della città contemporanea.
85
Itinerari culturali e antichi tracciati
86
Verde urbano e spazi pubblici aperti
87
Plano de Olavide, Siviglia 1771
Nel piano è visibile il circuito murato e le piazze risultanti dal prosciugamento
del braccio orientale del fiume Guadalquivir. Tra tutti spicca l’Alameda de Hércules.
88
Alameda de Hércules, J. Martinez del Maso, XVII sec.
89
Un turismo naturalistico in crescita, l’utilizzo dei mezzi ecologi:
nuovi itinerari e mobilità sostenibile
Siviglia vanta già un notevole afflusso turistico, con grandi benefici dal
punto di vista economico e un po’ meno dal punto di vista della vivibilità
del centro storico, problema comune a molte città d’arte. Cionondimeno
la città rivela una netta spaccatura tra la zona sud e la zona nord che
risulta abbastanza defilata rispetto all’altra con importanti ripercussioni
sul piano del degrado urbano. Tuttavia l’analisi dei circuiti turistici
naturalistici a livello territoriale mette in luce un quadro importante
in tal senso poiché gli ingressi alla città in relazione a questi itinerari
evidenziamo un’omogeneità di distribuzione rispetto al perimetro e tra
essi molti si attestano sul settore nord e nord-est.
Inoltre, data la conformazione della città e il recente investimento della
regione sull’apparato viario ciclistico, si è ritenuto essenziale verificare
in fase di analisi la compatibilità tra il sistema infrastrutturale ciclabile e
gli ingressi al centro storico dei principali itinerari territoriali a vocazione
rurale e paesaggistica nonché sportiva.
L’obiettivo è quello di creare una maggiore coesione tra la città e
tali percorsi al fine di valorizzare alcune “porte di accesso” ora poco
potenziate e di incrementare l’offerta turistica attraverso una più
variegata modalità di fruizione.
Nell’elaborato grafico “Itinerari naturalistici e mobilità sostenibile”
sono riportati i circuiti ciclabili in relazione al centro antico e alle aree
limitrofe, al patrimonio storico artistico e al verde urbano.
Inoltre in tale direzione, al fine della delineazione di un quadro più
completo anche nell’ottica di interscambio modale, è stata mappata la
mobilità collettiva e sostenibile allo stato attuale: le stazione dei bus
interregionali, le stazioni ferroviarie, le linee e le stazioni della tramvia
e della metropolitana, le aree pedonali e il battello panoramico lungo
il fiume.
È stato poi evidenziato il circuito ciclabile che lambisce il perimetro
antico, ad oggi interamente completato. Questo percorso anulare
costituisce un elemento fondamentale in relazione alla cinta murata
e fornisce un importante supporto connettivo per la valorizzazione
dell’intero centro storico e dei complessi equilibri al suo interno sia in
tema di turismo che in tema di accessibilità e fruibilità. I tracciati ciclabili
infatti intra moenia calcano gli itinerari culturali e si connettono all’area
pedonale in prossimità del nucleo centrale della città a sud. Inoltre
Siviglia è già provvista di un sistema diffuso di bike sharing di 260
stazioni per il centro-città63.
Gli itinerari naturalistici, oltre che essere una valida alternativa ad un
turismo consolidato all’interno della città, hanno un ruolo fondamentale:
mettere in connessione la realtà urbana con le risorse paesaggistiche
del territorio. Attraverso questi circuiti, in gran parte collegati tra loro,
90
Siviglia entra in diretto contatto con i sistemi naturalistici della provincia
e della regione: la Sierra Morena a nord, il Parco di Doñana a sud-
ovest, la campagna sub-betica, le creste de Los Alcores e di Aljarate
rispattivamente a est e ovest.
Una rete connettiva lenta e sostenibile dunque, che attarverso
sentieri ciclopedonali ma ugualmente percorribile in automobile,
potenzia la dimensione paesaggistica rafforzando, da un lato, un
turismo sempre crescente, quello naturalistico, e dall’altro, un legame
antico e necessario, quello tra città e paesaggio.
91
Itinerari naturalistici e mobilità sostenibile
92
Edifici di interesse storico-artistico e spazi pubblici aperti lungo le mura
93
Dall’analisi al progetto: le aree di permeabilità
94
Unitamente alla funzione prima di ingresso al centro storico, queste
“nuove porte di città” che, come la forma urbana suggerisce, sono
in gran parte le antiche, vogliono anche assolvere a un importante
compito: quello di completamento degli itinerari culturali individuati dal
Plan General.
Un’osservazione emersa sin da subito in questa fase di ricerca è
stata infatti quella che tali itinerari non accennano ad oltrepassare il
tracciato murario e soprattutto il tracciato non ne fa parte nonostante
il perimetro del conjunto histórico vada ben oltre la cinta muraria.
L’intenzione prima quindi a livello progettuale è quella di includere il
circuito anulare fuori le mura tra gli itinerari culturali del Plan General.
Una proposta questa che risulta imprescindibile sia per la valorizzazione
dei tratti murari conservati, sia per consentire un’unità più forte tra il
settore sud e il settore nord della città.
La ricchezza poi del patrimonio storico lungo tale percorso
fornisce un motivo più che valido alla liceità di tale intento. Le aree di
permeabilità dunque si attestano lungo la fascia fuori dalle mura, ma
entrano nella città fino a toccare gli assi principali della struttura urbana
ristabilendo maggiore coesione tra limite esterno e limite interno. Il
passaggio successivo sarà quello di designare degli ambiti strategici
di intervento che costituiscano il programma di azione e preludano al
progetto urbano.
95
Come si può notare tutti gli ambiti hanno il nome degli antichi accessi
al centro storico, questo di per sé costituisce già un programma interno
al progetto: creare cioè attraverso il circuito anulare fuori le mura
“nuove-vecchie” porte di città. Si intende infatti lavorare sul perimetro
della città antica a partire dalla funzione originaria della cinta fortificata
e cioè quella di accessibilità.
L’obiettivo dunque è duplice: la valorizzazione dell’oggetto
architettonico “mura”, per ciò che ne resta e per la traccia che lascia,
e la riqualificazione del nucleo antico nelle sue diverse parti attraverso
la progettazione strategica dei suoi bordi. Nel margine antico infatti
insistono ancora i principi significanti di un tempo: quelli di spazio
lineare che separa e dà forma, di filtro che misura uno contatto.
Nella determinazione degli ambiti sono stati riportati tre gradi di
approfondimento differenti, di cui solo i primi due sono di tipo operativo:
a. Le aree di permeabilità, che costituiscono di fatto le aree di
intervento primario;
b. Gli ambiti strategici di trasformazione, che indicano le aree
interessate direttamente dall’azione progettuale, ma che non
costituiscono necessariamente sito di progetto;
c. Gli ambiti di contiguità fisico-funzionale, che interessano quelle
aree che, pur se non coinvolte nel piano operativo, presentano
caratteri di omogeneità con le zone a e b.
96
nonché un cammino di ronda ancora oggi potenzialmente percorribile;
secondariamente si trovano nell’area nord della città, cioè nell’area
del centro storico che attualmente risulta più degradata e fortemente
depotenziata rispetto ai circuiti turistici urbani.
La presenza della Basilica della Macarena e del Parlamento
dell’Andalusia, come riportato anche nel Plan Especial de Protección,
fanno di questo comparto un polo strategico che potrebbe rilanciare
l’intero settore nord della città.
Da un punto di vista storico invece il tracciato di Calle San Luis,
che si protende fuori il disegno del perimetro romano a prosecuzione
dell’antico cardo, è un asse di primaria importanza, culminante proprio
nell’arco della Macarena.
Lungo lo stesso asse approdano poi i percorsi escursionistici del
Plan de Bicicleta e quelli naturalistici che si collegano alla Sierra
Morena e al sistema lineare del Guadalquivir. Proseguendo verso il
Guadalquivir infatti l’area aggancia il percorso fluviale consentendo una
continuità a livello anulare attorno al limite antico della città islamica. Il
potenziamento di questo sistema circolare attorno alle mura consente
una visione globale della città e restituisce l’originaria importanza
dell’accesso ad essa da nord, da cui passava il corteo dei re cattolici.
La presenza di numerosi edifici di interesse storico artistico e la
statua più venerata della città, quella delle Virgen de la Esperanza
Macarena, che è esposta nell’omonima chiesa, fanno di questo ambito
un interessante caso di studio costituendo un’imperdibile occasione
per restituire un equilibrio tra le due parti della città, settentrionale e
meridionale, oggi fortemente sbilanciate.
97
Circuito murario e possibili Aree di Permeabilità
98
Ambiti strategici di Trasformazione
99
Il tratto murario della Macarena
100
tessuto intra moenia: si segnalano in particolare gli orti che si trovano
lungo le mura della Macarena, Huertas de los Toribios. Questi orti
lasciano un segno nel tessuto edilizio che risulta ancora leggibile nella
conformazione degli isolati costruiti posteriormente. In ultimo l’area
segnalata dal Plan General relativa a Las Naves e catalogata come
ASE-DC-02, cioè area di integrazione dei servizi pubblici, ne occupa una
larga parte e rientra nell’ambito strategico di intervento qui approfondito.
101
Secondo Daniel Jimènez Maqueda le porte erano entrambe di origine
almoravide e presentavano un impianto tipologico similare ancora
visibile in quella di Cordova66. Questa porta, che segue lo schema della
Monaita de Granada, era caratterizzata da una torre rettangolare che,
sporgente rispetto alla linea fortificata, permetteva quindi un ingresso
laterale e un sistema di accesso en recodo, cioè secondo un percorso
indiretto. Si tratta dell’unica porta del recinto che non fu soggetta alle
opere di riforma della cinta muraria del XVI secolo, sebbene fu adattata
a cappella di preghiera nel Seicento e successivamente inglobata nella
chiesa di San Hermenegildo.
La porta della Macarena invece ha subito numerose modificazioni
nel corso del tempo fino ad assumere ora le attuali sembianze che sono
il frutto del massiccio intervento del 1588 e di quello del 1795. Questa
porta ebbe in passato, e ha tuttora, un ruolo centrale nell’assetto della
città poiché ne costituisce l’accesso nord: per essa passava infatti l’asse
romano che collegava Siviglia alle principali vie dirette a settentrione.
Per questo motivo fu oggetto di un programma di riforma almohade la
cui complessità le conferì il soprannome di El alcazarejo.
In base alle ricostruzione storiografica la porta era fiancheggiata
da due torri e presentava tre accessi, un primo arco merlato che
corrisponde al barbacane, mentre il secondo e il terzo che costituivano
un sistema di ingresso en recodo67.
Alla luce di quanto detto possiamo asserire che questo lungo
tratto che si conserva nell’area nord di Siviglia si mostra oggi a noi
come un “muro parlante”, che spiega nella sua fortunata integrità il
sistema difensivo arabo e il particolare rapporto di scambio, chiusura
e permeabilità che si istaura tra la città intra ed extra moenia. Come
usare dunque questo dispositivo urbano nella città contemporanea?
Che usi e significati può assumere rispetto al centro storico e alla città
d’espansione fuori le mura? Di seguito cercheremo di fornire a ciò un
programma d’intenti come risposta.
102
come ASE-DC-02 e cioè un’area di trasformazione urbana per la quale
si prevede la destinazione di servizi socio-culturali per la riqualificazione
della zona e la valorizzazione delle mura. A questo perimetro, che sta ad
indicare la superficie urbana di intervento primario, si aggiungono altre
quattro aree, strettamente connesse a quella cosiddetta di permeabilità,
che costituiscono un sottocomparto per un intervento secondario in
termini cronologici. A tale sottocomparto appartengono, l’area antistante
il Parlamento dell’Andalusia, l’area intorna alla chiesa di San Gil, Plaza
del Pumarejo e quella adiacente il Convento de Capuchinos.
Nell’assetto attuale dell’ambito, le antiche mura si ergono lungo
l’asse viario ad alto scorrimento come una linea continua che divide un
parco urbano, ricavato nell’area del fossato antistante da Calle de la
Macarena, dal resto della città: un oggetto architettonico dalla grande
imponenza che però si mostra come quasi estraneo alla città, si direbbe
quasi un objet trouvé con le sembianze di una rovina che funge da isola
spartitraffico tra due vie.
A conferma di ciò solo recentissimamente è stato approvato il progetto
di pedonalizzazione dell’area antistante la chiesa della Macarena (2017),
quando in realtà il Plan General del 2006 già inquadrava Calle de la
Macarena come zona verde, presupponendone la riduzione del traffico
stradale. Va detto poi che la chiesa della Macarena, se pur defilata
rispetto agli itinerari turistici della città più gettonati, contiene la statua
più venerata dai sivigliani.
Pur se certe informazioni non hanno un carattere propriamente
tecnico, credo che sia più che utile alla comprensione sapere che
questa Virgen dolorosa che si trova in tutti i negozi di souvenir della
città, come fosse una Tour Eiffel per Parigi o un Colosseo per Roma,
solo in pochi turisti sanno dove si trovi. Basta poco a capire dunque che
questa parte della città vive da sempre, per così dire, all’ombra dell’altra
nella zona sud, anche se questo aspetto le conferisce l’indiscutibile
fascino di un’area tra le più autentiche e pittoresche del centro storico. Il
Plan Especial de Protección e El Catálogo de Protección autónomo,
sector 1°–San Gil non a caso parla dell’importanza di questa zona
come area strategica per la valorizzazione dell’intera parte settentrionale
della città, individuando in questo preciso punto un polo urbano che
può controbilanciare l’area Sud, sia per la presenza del Parlamento
che della Chiesa della Macarena e, nondimeno, delle antiche mura.
Dall’analisi riportata, poi, quest’area si sviluppa a partire da un asse di
grande valenza storica della città, la Calle San Luis, che seguendo la
direzione del cardo romano arriva alla porta della Macarena, porta reale
da nord, e che, oltrepassata la quale, si estende nel territorio attraverso
antiche vie di cui abbiamo precedentemente trattato in relazione agli
itinerari escursionistici e culturali della regione. Il circuito ciclabile infine,
tangente al parco delle mura, è un elemento connettivo molto efficace
alla comprensione della città e del suo perimetro.
103
Secondo l’indagine approfondita riportiamo di seguito i principali
obiettivi che il programma d’intervento si propone:
1. Creare una maggiore continuità urbana, tanto fisica quanto
percettiva tra il Parlamento, la piazza della Macarena e il sistema
lineare delle antiche mura;
2. Riqualificare Piazza della Macarena e l’antico arco come porta
della città da nord, punto di scambio tra il centro storico e la città
d’espansione settentrionale con particolare attenzione agli itinerari
turistici culturali che qui approdano;
3. Valorizzare le mura antiche come dispositivo urbano contemporaneo;
4. Rigenerare Calle de la Macarena come spazio ad uso collettivo e
elemento connettivo tra il tessuto urbano intra moenia e la cinta
muraria;
5. Riqualificare il parco antistante le mura ristabilendo una maggiore
coesione tra l’area e la città storica;
6. Potenziare il sistema lineare di Calle San Luis sottolineando la
continuità di piazze in sequenza: Macarena, San Gil e Pumarejo;
7. Valorizzare la Puerta de Cordoba e la relativa area di pertinenza
come elemento di testa dell’asse di Calle de la Macarena e del
tratto murario.
104
Il tratto murario diviene qui un’occasione per assorbire quelle cesure
che si verificano nel tessuto urbano tra comparti isolati, restituendo
una contiguità spaziale e di significato tra i vari episodi della città. La
proposta progettuale intende in primo luogo ovviare a quelle criticità che
impediscono il dialogo tra la città antica e la cinta murata, restituendo
un’integrità percettiva e fisica alle componenti nel loro insieme.
A tal fine il primo intervento riguarda il piano urbano e, in particolare lo
spazio pubblico urbano. Si ipotizza dunque la pedonalizzazione di alcune
aree chiave, ovviando alla necessità di liberare dal traffico carrabile la
fortificazione araba (il progetto per la piazza della Macarena di recente
approvazione prevede già la trasformazione ad area pedonale della zona
circostante la chiesa).
Nello specifico, considerata la necessità di riqualificazione dall’interno
del quartiere nord-est di Siviglia e la sua difficoltà di rilancio, l’obiettivo è
quello di creare un nuovo polo urbano a nord. Si ritiene che la presenza
del Parlamento, dell’università e la chiesa della Macarena, unitamente
al nuovo intervento sulle mura antiche, possano offrire un’importante
risorsa per riqualificare il settore settentrionale della capitale andalusa.
La nuova piazza lineare che lambisce le mura dal lato posteriore,
trasforma Calle de la Macarena in un piccolo corso cittadino che si
estende tra due porte; così come infatti l’arco della Macarena, anche
la porta di Cordova e la chiesa di San Hermenegildo dall’altra parte
divengono elemento di testa di questo percorso longitudinale.
Per consentire l’accesso ai veicoli autorizzati e ai residenti degli isolati
retrostanti, solo un tratto di Calle de la Macarena viene indicato come
zona 30. La nuova viabilità stradale infatti segue il disegno del tessuto
urbano fino all’età ottocentesca.
Si vuole pertanto riportare alla luce il tracciato degli orti de los
Toribios, depotenziando il traffico automobilistico a favore della mobilità
ciclo-pedonale.
Allo stesso modo l’asse di Calle San Luis viene ripensato cercando
di sottolineare la continuità spaziale tra piazza del Pumarejo, San Gil,
fino all’arco della Macarena, prevedendo un ridisegno delle superfici,
degli arredi urbani e della vegetazione ove presente e proponendo una
priorità perdonale inserendo anche in questa via una zona 30.
Fuori le mura invece il parco viene messo in connessione con il nuovo
spazio cittadino in Calle de la Macarena vietando l’ingresso alle auto
negli accessi dei due postigos ottocenteschi. In corrispondenza di essi
si aprono due piccole piazze la cui la pavimentazione a terra penetra fino
al fronte intra moenia delle mura sottolineando la continuità tra le due
parti.
Per quanto riguarda invece la barriera che il grande viale di
circonvallazione costituisce, si avanza l’ipotesi di ridurre il numero delle
corsie almeno in corrispondenza dei giardini del Parlamento, mentre si
stabilisce, attraverso una progettazione del verde e delle alberature, una
105
maggiore connessione visiva. Si ritiene però che l’interramento del viale
e la creazione di un grande parco che connetta il Parlamento alla città,
considerata l’importanza civica di questo edificio, non sia una proposta
poi così azzardata.
Descritte nei tratti salienti le intenzioni per l’intera area, resta da capire
come rigenerare le antiche mura e come far sì che questo frammento
di storia possa interagire con la città. Il focus sta nel restituire a questo
oggetto un ruolo all’interno di essa.
Considerato lo stato di conservazione delle mura e tenuto conto
delle quote altimetriche del piano urbano in relazione al rilievo del
manufatto, si deduce un dato rilevante: l’accessibilità totale all’oggetto
architettonico. Alla luce di ciò si ipotizzano tre differenti usi delle mura
per diversi tipi di utenze.
Tenuto conto dell’estensione lineare del sistema murario si propone
la coesistenza di tre intenti progettuali:
a. le mura come elemento di accesso alla città;
b. le mura come oggetto conoscitivo dell’intero circuito demolito;
c. le mura come spazio pubblico urbano ad uso sociale e culturale.
106
L’ultimo intervento che giunge fino alla porta di Cordova, viene
destinato a spazio polifunzionale per la comunità, per attività di vicinato
e per la vita sociale del quartiere. Trattandosi di uno spazio dalla
prevalente direzionalità lineare, esso può assumere diversi significati
e differenti funzioni: l’altezza del barbacane consente come già detto
anche l’opzione di introdurre delle coperture e ricavare degli spazi
chiusi. Attraverso l’antica porta, percorrendo la liza, si giunge al postigo
uscendo sul parco antistante o entrando in Calle de la Macarena.
La lunga estensione del tratto, i differenti livelli di fruizione rispetto
al piano urbano, come la liza, il barbacane e la ronda, le porte della
Macarena e di Cordova, elementi di testa di un sistema lineare, le
otto torri, episodi puntuali lungo il percorso, fanno di questo oggetto
un’architettura unica nell’immagine della città.
Come una sorta di skyline che ne definisce la forma, la sua
collocazione spaziale la pone per definizione al limite della città antica e
ne esalta la grande capacità connettiva sia in senso trasversale al circuito
che in senso longitudinale. Il fatto inoltre di essere un frammento di un
tutto ormai perduto ne rafforza il potere evocativo e il significato iconico,
restituendo alla contemporaneità una memoria collettiva da preservare.
Il progetto contemporaneo dunque ha il dovere di rispettare e far
propri questi caratteri strutturanti e di trasmetterli alla città odierna
secondo le esigenze e le letture di cui essa necessita. Si ritiene pertanto
che un bene storico dalla indiscussa monumentalità come questo non
possa scadere in monumentalismo e che alla luce del suo significato,
venga restituito alla città come una parte di essa.
D’altro canto il fascino della rovina purtroppo spesso non coincide
con il concetto di sopravvivenza nel tempo e, come il passato insegna,
solo la trasformazione e l’adeguamento delle antiche architetture ci
consentono di averle ancora in vita, all’interno di un processo morfologico
eternamente in fieri quale quello urbano.
Il progetto contemporaneo sull’antico deve dunque tener conto di tutti
questi aspetti nella consapevolezza che l’unicità di certi episodi all’interno
del tessuto costituisce un’opportunità imprescindibile per conservare
un’identità e allo stesso tempo per proiettare al futuro l’immagine di
essa, attraverso l’accettazione del cambiamento nel continuum storico
che disegna la città.
107
Muralla de la Macarena, vista aerea del parco extra moenia.
Dentro le mura.
108
Muralla de la Macarena, Francisco Pacerisa, 1856.
109
Stato di fatto e Strategie di progetto
1. Mura della Macarena 2. Porta della Macarena3. Chiesa della Macarena 4.Chiesa di San Gil 5. Plaza del Pummarejo
6. Porta di Cordova7. Chiesa di San Hermenegildo8. Convento de Capichinos9. Parlamento dell’ Andalusia 10. Area di
trasformazione (Plan General ASE-DC-02).
110
Stato attuale, dentro e fuori le mura
111
Assonometria di progetto
112
Sezione di progetto A-A’
113
Sezione di progetto B-B’
114
Progetto del Museo de forticaciones àrabes - Pianta e Vista A
115
Nulla finisce, muta soltanto
116
Le mura come circuito chiuso: stato di conservazione e unità percettiva
117
L’importanza dei tracciati antichi nella rete del patrimonio culturale
urbano e territoriale
118
e i punti di intersezione di questi due sistemi sono proprio le porte della
città.
Il perimetro del nucleo antico diviene così il luogo della porosità
urbana, come suggerisce il progetto che individua ambiti strategici
di trasformazione e al loro interno aree di permeabilità. Queste parti
di città sono spazi dell’accessibilità in senso lato, dell’accoglienza e
dell’orientamento, che unendo l’ubicazione degli antichi varchi ai luoghi
della contemporaneità si mostrano come lo spazio urbano dove avviene
il passaggio, il contatto e quindi l’ingresso.
Riqualificare queste parti di città significa tanto riprogettare le
antiche porte, quanto costruirne delle nuove. In tale direzione le mura
antiche possono, come nella proposta suggerita, tornare ad esse dei
dispositivi urbani capaci di interazione lungo tutto il loro sviluppo lineare.
La prevalenza dimensionale di queste strutture infatti le rende elementi
infrastrutturali: «le mura sono sistemi lineari che possono agire sia come
elementi episodici puntuali che come sistemi di collegamento, cioè delle
vere e proprie infrastrutture»72.
Il limes diviene limen, cioè soglia urbana, e lo fa restituendo la
relazione profonda che connette il paesaggio territoriale e i vettori
dello spazio intra moenia. In senso metaforico è proprio sul limen che
i percorsi che disegnano il territorio si trasformano in strade di città e
generalmente le vie urbane che si attestano sulle porte sono gli assi
generatori del nucleo storico, ne sono esempio calzante il cardo e il
decumano romani.
Reintegrare gli itinerari culturali intra moenia al circuito anulare
murato fa del sistema fortificato un connettivo trasversale di tutti i
percorsi all’interno della città e quindi un involucro, una cintura, capace
di restituire unità e di operare in senso inclusivo.
119
loro essere margine la loro più grande risorsa. In riferimento a ciò, le
fortificazioni urbane esprimono a oggi un potenziale altissimo nella
valorizzazione dei centri storici.
Studiare dunque le cinte antiche non è solo materia di restauro o
di ingegneria bellica, ma è soprattutto progettazione architettonica e
urbana. In quest’ottica il progetto lungo i perimetri murati diviene un
momento tanto conoscitivo quanto di verifica, uno strumento di azione
e di riflessione sul patrimonio storico-artistico e sull’importanza della
tutela e della salvaguardia di certe architetture in chiave attiva.
Non basta infatti conservare, occorre utilizzare.
«Nulla finisce, muta soltanto», titolo di questo capitolo conclusivo, è
una celebre frase di Charles Chaplin che racchiude il semplice senso
della vita, senza esclusione per il costruito. La storia ci insegna infatti
che la morte degli edifici nasce dall’abbandono. Un pericolo costante
dunque per i beni patrimoniali consiste proprio nell’ingannevole
definizione di monumento. Cristallizzare non è garanzia di tramandare
alle generazioni future.
In tal senso la ricerca trova fondamento a partire dal concetto di
bene non come oggetto, ma come soggetto, non come scena, ma
come attore nel grande teatro della città.
Solo il progetto urbano può affrontare il tema dei circuiti antichi
con consapevolezza ed efficacia, poiché unica disciplina in grado di
misurarsi non solo con le architetture, ma con lo spazio che da esse
viene generato. Da qui la necessità di riqualificare le fortificazioni
a partire dalla loro collocazione spaziale e al contempo dal compito
che, come architetture, possono ancora assolvere a servizio della città.
D’altronde va ricordato che le mura non sono altro che architetture e
come tali per vivere, devono essere vissute.
A sostegno di ciò merita concludere con le parole di Giovanni
Michelucci sul perimetro di Firenze «Solo se le mura porteranno alla
città un loro contributo di vita, si salveranno»73.
120
Le Mura di Cittadella, Padova 2013.
121
NOTE
123
essa rappresentava la dea della floridezza e del destino della città. In tal senso è
evidente il principio per cui la prosperità e la durevolezza nel tempo di una città
fossero strettamente connesse a ciò che più potesse esprimere la sua solidità e
inespugnabilità, cioè le mura. Questa simbologia ancora si riflette negli stemmi
dei comuni italiani.
22 M. Romano, L’estetica della città: il problema dei confini, in G. Marinucci (a cura
di), I limiti della città. Il borgo e la metropoli, Seminario di Studi, Camerino 28
luglio – 4 agosto 1994. Sapiens edizioni, Milano 1995, p. 69.
23 F. Conti, F. Posocco, M. Potocnik, Come e perché un censimento, in AA.VV,
Mura da salvare, Arti grafiche Pizzi, Milano 2003, p. 4.
24 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, op. cit. p. 6.
25 L. Mumford, La città nella storia, Edizioni di Comunità, Milano 1963, pp. 384-
385. Op. cit. in M. Macera, Il progetto del margine della città contemporanea,
figure, declinazioni, scenari, tesi dottorale, Sapienza 2012.
26 “In tutto ciò appare sottintesa una dialettica di fondo, o meglio un dialogo
essenziale e nell’economia e nella società del Medioevo: il rapporto città
campagna che funziona in rapporto e attraverso le mura. Anche qui basta
osservare l’affresco di Lorenzetti (Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo
Governo, ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico di Siena,
1338-1339): da un lato il mercato, le case, la società urbana, dall’altro la
terra, i campi, il lavoro rurale, la natura, la passeggiata nella natura. La cinta
stabilisce tra città e campagna, più che una contrapposizione uno scambio.
Certo, il più delle volte tutto a vantaggio della città, le mura separano uno
spazio in due parti che non si equivalgono: all’interno uno spazio altamente
valorizzato e determinato, all’esterno uno spazio che, […] subordinato, vive
e lavora per la città, le prepara e le offre, o meglio è costretta a prepararle,
uomini, prodotti e paesaggi” J. Le Goff in J. Le Goff, Costruzione e distruzione
della città murata, op.cit. p. 7.
27 “La tendenza a comprendere e controllare il mondo delle forme visibili incontra
una risposta scientifica e definitiva, la prospettiva lineare che stabilisce una
corrispondenza precisa tra la rappresentazione artistica scolpita o dipinta e
la forma tridimensionale degli oggetti rappresentati che seleziona il mondo
delle immagini.” L. Benevolo in L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op.
cit., p. 89 -90.
28 Carlo Tosco mette in rilievo il ruolo fondante, seppur legato all’ambito storico
cui appartiene, svolto da Petrarca per la definizione del moderno concetto di
paesaggio e per una nuova considerazione dello spazio naturale e del contesto
territoriale. Si rimanda al libro: C. Tosco, Petrarca: paesaggi, città, architetture,
Quodlibet studio, 2012.
29 F. Posocco, La vicenda urbanistica, in AA.VV, Mura da salvare, Arti grafiche
Pizzi, Milano 2003, pag. 28.
30 L. Benevolo, La città nella storia d’Europa, op. cit., p. 183.
31 Ivi.
32 J. Le Goff, Costruzione e distruzione della città murata, in C. De Seta, J. Le
Goff, La città e le mura, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 9.
33 F. Miani Uluhogian, Dalla città “murata” alla città “funzionale”, demolizioni
delle mura ed espansione urbana, in C. De Seta, J. Le Goff, La città e le mura,
Laterza, Roma-Bari 1989,
p. 373.
34 G. Villa, Edifici città e paesaggio: l’architettura fortificata come chiave di
lettura e di valorizzazione dello spazio storico, in R. M. Dal Mas, R. Mancini ( a
cura di), Cinte murarie e abitati, Aracne, Roma 2015.
35 G. Simmel., Die Ruine, in Philosophische Kultur. Gesammelte Essays, Leipzig
1911, trad. it. di G. Carchia, in Rivista di Estetica, n. 8, 1981, pp. 121-127.
36 F. Speroni, La rovina in scena. Per un’estetica della comunicazione, Meltemi,
Roma 2002, p. 9.
37 Ivi.
38 Proposte relative l’opportunità di uno strumento normativo per i Paesaggi
Storici Urbani, UNESCO Conferenza Generale XXXVI Sessione, Parigi 2011,
36C/23 del 18/08/2011.
39 Per una descrizione del processo tipologico e costruttivo dei sistemi murari
urbici in base alle strategie di ingegneria militare si rimanda al testo: F. Posocco,
Mura da salvare, Arti grafiche Pizzi, Milano 2003.
40 J. Bosch Vilá riferisce che sotto il dominio di Al-Mutamid furono costruite le
mura e il ponte; in J. Bosch Vilá, La Sevilla Islámica, Universidad de Sevilla,
Sevilla 1984, p. 303.
41 J. García-Tapial, J. M. Cabeza Méndez, Restauración de la Murallas de la
124
Macarena, Boletín del Colegio Oficial de Aparejadores y Arquitectos técnicos
de Sevilla 1986, Vol. 20, p. 9.
42 Lo sviluppo di Siviglia può essere ricondotto alle quattro fasi dell’evoluzione
urbanistica delle città islamiche individuate da Navarro e Castillo: constitución,
expansión, saturación y desbordamiento Per un approfondimento si suggerisce
il seguente contributo: J. Navarro Palazón, P. Jiménez Castillo, Sobre la
ciudad islámica y su evolución. En Paisaje y naturaleza en Al-Andalus,
Coordinación Científica: Fátima Roldán Castro. Universidad de Murcia, Servicio
de Publicaciones, Granada 2014. Pp. 232-267.
43 J. Navarro Palazón, P. Jiménez Castillo, Sobre la ciudad islámica y su evolución.
En Paisaje y naturaleza en Al-Andalus, Universidad de Murcia, Servicio de
Publicaciones, Granada 2014, p. 337.
44 M. de Epalza Ferrer, Espacios y sus Funciones en la Ciudad Árabe. Convegno
Internazionale sulla Città Islamica, Institución Fernando el Católico, Zaragoza,
1991, p.16.
45 A. Graciani Garcia. La tecnica del tapial en Andalucìa occidental, in S. Marquez (a
cura di), Costruire en El-Aldaluz, Almeria 2009, p. 116.
46 J. Canivel, A. Graciani Garcia, Caracterización constructiva de las fábricas de
tapia en las fortificaciones almohades del antiguo Reino de Sevilla, Revista de
Archeologia de la Arquitectura, n°12, dic. 2015 p. 2.
47 La costruzione del muro almoravide avveniva attraverso la sovrapposizione di
blocchi indipendenti dello spessore di circa 180 cm, le fondazioni erano di pietra, ove
possibile sulla preesistenza romana. Le cassaforme avevano approssimativamente
una dimensione di 90 X 180 X 240 cm, esse venivano fissate con sostegni
lignei secondo un preciso processo costruttivo. Si procedeva al posizionamento
di pali di legno, generalmente di quercia, trasversali alla direzione del muro con
un passo di 60 cm. I pali di legno avevano una lunghezza pari a 100 cm ca e
spessore variabile da 3 a 7 cm, questi venivano poi ancorati attraverso cunei lignei
al blocco sottostate. Seguiva il fissaggio della cassaforma che avveniva attraverso
incastro tra i pali posti a 90° per garantire la perpendicolarità del muro. Una volta
fissata la cassaforma si procedeva alla colata del conglomerato. Esso era un
composto di sabbia, calce e inerti di media grandezza, ma la miscela poteva variare
notevolmente a seconda del materiale del luogo. In seguito venivano applicate
delle corde per regolare la tensione della compressione del composto in fase
di essiccamento. Una volta eliminata l’acqua, e con essa le sostanze organiche
presenti, veniva tolta la cassaforma e tagliate le cime dei pali inglobate nel blocco
murario. Da ciò si ripeteva il ciclo costruttivo per il ricorso successivo. In epoca
almohade invece si riduce lo spessore murario a circa 100 cm, ma in alcuni casi
lo si trova anche di ampiezza pari a 150 cm. Nella tecnica almohade, il processo
costruttivo, pur rimanendo fedele a quello almoravide, presenta alcune migliorie. Le
mura sono di spessore inferiore, ma di un conglomerato con maggior resistenza
meccanica. Ciò consente di utilizzare supporti lignei più lunghi che trapassano il
muro da lato a lato. Prima di procedere alla colata sono applicate delle pietre sopra
di essi o anche degli elementi in laterizio che, ad essiccatura avvenuta, permettono
di sfilare l’elemento e reimpiegarlo nel processo costruttivo riducendo il dispendio
di materiale e il tempo di edificazione.
48 |mia traduzione| “L’ambito dell’area di Siviglia conta un patrimonio culturale
particolarmente ricco e diversificato, frutto di una storia molto antica. La sua
posizione privilegiata come ultimo tratto transitabile del fiume Guadalquivir e
come punto di massima penetrazione di trasporto marittimo attrasse, sin dalla
Preistoria, la localizzazione di insediamenti umani ogni volta più complessi
e progressivamente integrati con le grandi vie di interscambio tra le culture
mediterranea e atlantica” Plan de Ordinaciòn del Territorio de la Aglomeraciòn
Urbana de Sevilla, Memoria de Informacion, p.19.
49 Los ejes principales de organizaciòn urbana de Andalucia, Plan general de
Sevilla, Memoria de Informacion, cap. III, El area de Sevilla nel contexto regional,
p. 5.
50 |mia traduzione| “Dentro l’ambito di agglomerazione urbana di Siviglia si possono
distinguere chiaramente tre grandi unità geografiche: la depressione fluviale del
Guadalquivir con la grande pianura nella metà nord del territorio provinciale e la
palude a sud, le creste dell’Aljarate e Los Alcores e la campagna di Carmona e
Gerena. Agli estremi nord e sud dell’area iniziano le propaggini montane della
Sierra Morena e della Sierra Sur. Tra queste si incontrano unità geografiche
di transizione che, insieme alle precedenti conformano il supporto fisico dello
spazio metropolitano”. Plan de Ordinaciòn del Territorio de la Aglomeraciòn
Urbana de Sevilla, Memoria de Informacion, p.14.
51 D. M. Muñoz Hidalgo, Sobre el Topónimo Camino de la Plata y el eje S/N-N/S
125
del occidente hispánico, El Nuevo Miliario, nº 1, dic. 2010, p. 5.
52 D. Bracco, Un recorrido a travès de la Via de la Plata, Andalucìa en la Historia,
anno V, n°15, gen. 2007, p. 96.
53 Secondo le norme costruttive romane ad ogni miglio di strada, che corrisponde
esattamente a 1481 metri, circa mille passi, veniva posto il miliarium, una
colonna di pietra alta circa un metro e mezzo con una base monolitica cubica
progressivamente numerata.
54 Tra le più antiche fonti scritte sulla Via de la Plata e la Via Augusta troviamo:
l’Itinerario di Antonino, del III sec. d.C (che fa un’attenta ricognizione delle vie
romane nella penisola iberica per un totale di 10.000 km), l’Anónimo di Rávena
(una ricapitolazione di città e viabilità databile al VII sec. d.C.), le Tavole di Astorga,
sempre del III sec. d.C. (che descrivono i percorsi della Spagna occidentale).
Tuttavia non si conservano mappe delle strade romane originali, solo la Tabula
Peutingeriana, una pergamena del XIII sec. d.C., probabilmente è l’unica che
ritrae una copia del III sec. d.C., va detto però che la parte più occidentale che
riguarda la Spagna è andata persa e fu ricostruita da Konrad Miller all’inizio
del 1887 (AA.VV, Atlas de la Historia del Territorio de Andalucía, Instituto
de Estadística y Cartografía de Andalucía, Graficas Varona, Salamanca 2009,
p. 156). Quanto alla Via Augusta la prima descrizione di cui si dispone è un
incisione nei Bicchieri di Vicarello, rinvenuti nei pressi del lago di Bracciano nel
1852. Datati al I secolo d.C., essi riportano sulla parte esterna l’itinerario via terra
da Gades (Cadice) a Roma (Itinerarium gaditanum), con l’indicazione della varie
stazioni intermedie (mansiones) e le relative distanze (AA.VV, Atlas de la Historia
del Territorio de Andalucía, Instituto de Estadística y Cartografía de Andalucía,
Graficas Varona, Salamanca 2009, p. 157). Per una più approfondita analisi delle
fonti storiografiche e cartografiche della Via de la Plata dal XIV sec. agli anni Venti
del Novecento si rimanda all’articolo Sobre el Topónimo Camino de la Plata y el
eje S/N-N/S del occidente hispánico, di D. M. Muñoz Hidalgo, El Nuevo Miliario,
nº 1, dic. 2010.
55 P. Plata Canovàs prefazione, in F. Olmedo, Ruta de Washington Irving, Gran
Itinerario Cultural del Consejo de Europa, Egondi artes graficas, Siviglia 2006
56 |mia traduzione|Plan Andaluz de la Bicicleta: PAB 2014-2020, Junta de
Andalucía. Consejería de Fomento y Vivienda, Egondi Artes Gráficas, Siviglia
2014, p. 149
57 |mia traduzione| Plan Especial de Protecciòn del Conjunto Historico de Sevilla,
in Nuovo Plan de Ordenaciòn urbanistìca cap. XIII. p.66.
58 1) Cattedral/ San Martin 2) Puerta de la Carne/ Plaza del Salvador 3) Puerta
de Carmona/ Plaza de la Alfaalfa 4) Puerta de Carmona/SantaCatalina 5)
Santa Catalina/ Puerta del Sol 6) Santa Catalina/ puerta de la Macarena 7)
Santa Catalina/ Plaza de la Europa 8) San Juan de la Palma/ Feria 9) Puerta
Osario/ San Marcos 10) Catedral/ Santa Catalina 11) Plaza del Duque/ Puerta
Real.
59 1)Puerta Jerez/Plaza Nueva 2) puerta e Osario/Plaza del Duque 3) Puerta de
Triana/ Plaza de Magdalena 4) Puerta de la Barqueta/Plaza Nueva 5) Puerta
de la Carne/ Puerta de la Barqueta.
60 La ricostruzione dell’antico tracciato romano trova pareri concordi in diversi studi
archeologici, si riporta di seguito il riferimento cartografico usato nel lavoro di
ricerca: M. A. Tabales, M. Alba, Guìa de paisaje històrico urbano de Sevilla.
Estudio tematico 4: La Ciudad somergida. Istituto Andaluz del patrimonio
histórico, Junta de Andalucía, Siviglia 2010, p. 32
61 Sul processo formativo urbano della città e i percorsi antichi si riporta il seguente
articolo che mette insieme numerosi studi condotti sulla conformazione urbana di
Siviglia e sull’evoluzione morfologica: D. Carboni, The urban modification and the
presence of Guadalquivir river like a mail factor of land variation: the example
of Sevilla in Espacio y tiempo, Revista de Ciencias Humanas, n° 22/2008 pp.
43- 66.
62 |mia traduzione| A. J. Albaldoneido Freire, Las trazas y costrucciòn de l
alameda de Hèrcules, Revista Laboratorio de Arte n° 11-1998, Siviglia 1988,
p. 135. L’autore aggiunge: “un luogo di grande dimensioni, dove la città vuole
mettere in scena un programma iconografico e allegorico per la grandezza
e la gloria di Siviglia ricordando la supremazia della città per mezzo di due
figure culturalmente ad essa legate” si riferisce a Ercole e Giulio Cesare a cui
corrispondono le immagini di Carlo V e Filippo II.
63 Tra gli ingressi alla città in direzione dei sentieri paesaggistici annoveriamo:
- Puerta de la Macarena a nord che accoglie l’Asse 2. Gualdalquivir, del Plan de
Bicicleta - Puente de la Barqueta, che attraverso l’area Expo 92 riprende l’Asse 2.
Sierra de Huelva e Gibraltar, sempre indicato nel PAB.
126
- Puente del Cachorro, che aggancia la Via Verde de Italica e quindi il Cammino
di Santiago e la Ruta del Agua da Guillena.
- Puerta Osario, che, oltre che essere il primo ingresso dalla stazione ferroviaria
alla città antica, costituisce l’accesso dal sentiero Asse 3. Campiña – Subbética
del PAB, la via verde de la Campiña, e di nuovo il Cammino di Santiago.
64 J. Navarro Palazón e P. Jimenez Castillo, Evolución del Paisaje Urbano andalucí.
De la medina dispersa a la saturada in AA.VV., Paisaje y naturaleza en Al-
Andaluz, Fundación El Legado Andalusí, Granada 2014
65 |mia traduzione| in J. M. Suárez Garmendia: Arquitectura y urbanismo en la
Sevilla del siglo XIX. Sevilla, 1986, pp. 202-203.
66 D. Jiménez Maqueda, La puerta de la Macarena. Un ejemplo de dispositivo
poliorcético almohade en la muralla almorávide de Sevilla, Revista Norba-Arte
XVI n° 16/1996, Universidad de Extremadura, edizione online, p. 11.
67 Per una descrizione dettagliata si rimanda all’articolo di Jiménez Maqueda di
cui riportiamo qui le conclusioni: “Pertanto, in virtù della ricostruzione della
porta della Macarena che propongo, mi è possibile supporre che in essa si
distinguano due strutture che obbediscono a due diversi momenti costruttivi: 1.
Un primo della seconda decade del XII secolo corrispondente alla costruzione
della cinta muraria almoravide e che consiste in un accesso en recodo unico.
2. Un secondo, della prima decade del XII secolo, nel quale gli Almohadi
dotarono la prima porta di due torri, entrambe elementi di congiunzione al
barbacane.” |mia traduzione| D. Jiménez Maqueda, La puerta de la Macarena.
Un ejemplo de dispositivo poliorcético almohade en la muralla almorávide
de Sevilla, Revista Norba-Arte XVI n° 16/1996, Universidad de Extremadura,
edizione online, p. 10.
68 Dal Dizionario Treccani: /’forma/ s. forma [lat. fōrma]. : “il modo in cui appare
esteriormente un oggetto. Quindi, aspetto.”
69 F. Miani Uluhogian, Dalla città “murata” alla città “funzionale”, demolizioni delle
mura ed espansione urbana, in C. De Seta, J. Le Goff, La città e le mura,
Laterza, Roma-Bari 1989, p. 373.
70 “Ancor più evidente è l’idea di microcosmo immobile implicita nella organizzazione
della città medievale murata, che forma con il contado un sistema economico
chiuso ed autosufficiente”. G. Astengo in G. Astengo, “Urbanistica”, Enciclopedia
Universale dell’Arte, vol. XIV, Venezia, Sansoni, 1966, p. 541.
71 Speroni, La rovina in scena. Per un’estetica della comunicazione, Meltemi,
Roma 2002, p. 9.
72 A. Del Monaco, Le mura urbane come elementi di continuità e cambiamento.
Roma, Pechino, New York, Tesi dottorale, Sapienza Università di Roma, p. 158.
73 F. Bandini, Su e giù per le mura antiche. Analisi storica per il recupero della
cinta muraria di Firenze e progetto di percorso attrezzato. Alinari, Firenze 1983
pag. 129.
127
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