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Le Condizioni Socio-Economiche Della Popolazione Italiana Tra Il XIX e Il XX Secolo

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Colombo Martino 5H

Le condizioni socio-economiche della


popolazione italiana a cavallo tra XIX e il XX
secolo
Nella penisola italiana tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 si presentarono molte
situazioni differenti. La disparità tra il nord e il sud era evidente e questa differenza
porto a un peggioramento ulteriore della situazione con l’emigrazione da parte di
molta popolazione.

Le disparità regionali:
Le disparità regionali in Italia erano già profonde e radicate, in gran parte dovute alle
differenti condizioni economiche e sociali che caratterizzavano il Nord e il Sud del
paese. Queste differenze non solo influenzavano la qualità della vita e le opportunità
della popolazione, ma gettavano anche le basi per una divisione che avrebbe segnato
l’Italia per decenni.
Nel Nord, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si sviluppò un'economia
industriale che favorì la nascita di fabbriche tessili, siderurgiche e meccaniche,
specialmente in città come Torino, Milano e Genova. Le industrie sfruttavano le risorse
naturali presenti, come l’acqua per l’energia idroelettrica, e beneficiavano di
investimenti stranieri e di una crescente domanda di beni industriali. Questa
industrializzazione creava occupazione, favorendo una crescente urbanizzazione e
offrendo alla popolazione opportunità economiche e di miglioramento sociale. Al
contrario, il Sud Italia rimaneva legato a un’economia prevalentemente agricola,
dominata dal sistema dei latifondi, che impiegavano una manodopera contadina
povera e sfruttata. Questa struttura agricola era poco produttiva e non permetteva
investimenti nel miglioramento delle condizioni di vita.
Queste differenze si resero ancora più evidenti con l’urbanizzazione e la costruzione di
edifici e strutture adibite al miglioramento della vita della popolazione. Infatti, le città
del Nord, grazie alla crescita industriale, cominciarono a sviluppare infrastrutture
moderne, come ferrovie, ospedali e scuole. I servizi pubblici miglioravano
gradualmente e favorivano un’aspettativa di vita più alta rispetto al Sud. Le regioni
settentrionali beneficiavano inoltre di una maggiore alfabetizzazione e di un sistema
scolastico più organizzato, con investimenti statali e locali che miravano a formare
lavoratori qualificati per le industrie. Nel Sud, invece, le condizioni di vita erano molto
più dure. La povertà era diffusa, l’analfabetismo era estremamente elevato, e i servizi
pubblici erano spesso assenti o inefficaci. Malattie come la malaria erano endemiche,
a causa delle scarse condizioni igieniche e dell’insalubrità delle aree rurali. La
mancanza di istruzione rendeva difficile per la popolazione meridionale migliorare le
proprie condizioni di vita, e l’assenza di infrastrutture adeguate (strade, ferrovie e reti
sanitarie) isolava ulteriormente il Sud dalle dinamiche di crescita del resto del paese.
Le disuguaglianze tra Nord e Sud crearono anche una frattura politica, con la
“questione meridionale” che emerse come un problema sociale e politico centrale. I
governi italiani, che spesso erano composti da élite settentrionali, faticavano a
comprendere e affrontare i problemi del Mezzogiorno, lasciando inascoltate le
esigenze della popolazione meridionale. L'unificazione italiana del 1861 non era
riuscita a unire il paese in termini di sviluppo economico e sociale, creando una forte
disillusione tra i meridionali.

L’emigrazione:
Alla fine del XIX secolo, l'Italia fu protagonista di uno dei maggiori flussi migratori della
storia moderna, con milioni di persone che lasciarono il paese in cerca di migliori
condizioni di vita. Questo fenomeno, che continuò fino agli inizi del XX secolo, ebbe
origine principalmente dalla povertà diffusa, dalla carenza di opportunità lavorative, e
dalle condizioni di vita precarie. Si stima che tra il 1876 e il 1915 più di 14 milioni di
italiani emigrarono, dirigendosi soprattutto verso le Americhe (Stati Uniti, Argentina e
Brasile) e altri paesi europei. La spinta all’emigrazione fu fortemente influenzata dalle
disuguaglianze socio-economiche che caratterizzavano il giovane Stato italiano. Molti
di questi italiani furono spinti a partire dalle difficoltà a cui andavano incontro nella
vita quotidiana: salari bassissimi, scarsità di terra coltivabile, e un sistema agricolo
dominato da latifondi nel Sud Italia, che rendevano impossibile il miglioramento delle
condizioni di vita.
Soprattutto all’inizio del movimento dell’emigrazione la maggior parte della
popolazione proveniva dal Nord, in particolare dal Piemonte. L’emigrazione
piemontese fu strettamente legata alla struttura geografica dello stato sabaudo, prima
e all’indomani dell’Unità d’Italia. La liberalizzazione commerciale, voluta anche da
Cavour, nel tempo provocò problemi legati alla non protezione dei prodotti piemontesi,
sia agricoli che industriali, che porteranno le piccole fabbriche o aziende agricole al
fallimento, costringendo gli operai ad emigrare. L’emigrazione verso la città si
trasformerà in emigrazione temporanea e poi permanente verso l’estero. Il Piemonte,
nel periodo 1850 – 1920, è stata la realtà, da cui sono partiti più immigrati. Dal 1876 al
1913 partirono 1.540.000 piemontesi, con una pausa durante il primo conflitto
mondiale, ed una ripresa dal 1920. Anche nel periodo tra le due guerre il Piemonte
continuò ad essere la prima regione di partenza. Successivamente, il flusso si indebolì
a favore delle correnti migratorie provenienti dal Sud. Vi fu uno spopolamento delle
vallate piemontesi: da quelle occidentali il 13,4% della popolazione, pari a 11.154
unità, emigrò dal 1871 al 1880, e negli anni successivi, fino al 1900, emigrarono
18.313 persone; dalle basse valli la perdita totale fu di 92.088 abitanti su una
popolazione media di 335.000 unità. Le due mete preferite erano, in Europa, la
Francia; ed oltre oceano l’Argentina, quella che per i piemontesi era “la Merica”.

Le condizioni igienico-sanitarie:
Le condizioni igienico-sanitarie in Italia erano estremamente precarie, anche se
variavano notevolmente tra le diverse aree del paese. Con la recente unificazione e la
conseguente costruzione dello Stato italiano, l'igiene pubblica e i servizi sanitari erano
considerati una priorità solo marginale, soprattutto nelle zone rurali e meridionali,
dove la povertà e l'isolamento rendevano quasi impossibili interventi di miglioramento.
Nelle città industriali del Nord, come Torino, Milano e Genova, la crescita rapida delle
fabbriche e l'afflusso di lavoratori dalle campagne portarono a un sovraffollamento
urbano. I quartieri operai erano spesso sovrappopolati e caratterizzati da abitazioni
anguste e insalubri, dove più famiglie condividevano lo stesso spazio. La mancanza di
reti fognarie efficienti e la scarsa disponibilità di acqua potabile causavano la
diffusione di malattie. Le condizioni igieniche all'interno delle fabbriche stesse erano
pessime, con ambienti poco ventilati e scarsamente illuminati, che facilitavano la
diffusione delle malattie tra gli operai. Tuttavia, in queste aree iniziarono a comparire i
primi interventi di igiene pubblica, come la costruzione di ospedali e di bagni pubblici,
anche grazie alle pressioni dei movimenti sindacali. Le campagne settentrionali
presentavano una situazione igienico-sanitaria diversa ma altrettanto critica. Molte
delle zone rurali, da cui proveniva gran parte degli emigranti, soffrivano di un forte
isolamento geografico e di carenze igieniche. Gli abitanti avevano un accesso
limitato all'acqua potabile, e la presenza di reti fognarie era praticamente assente. La
mancanza di medici e strutture sanitarie rendeva difficile il trattamento delle malattie,
e le pratiche agricole rudimentali contribuivano a mantenere la popolazione in
condizioni di arretratezza sanitaria. Non sorprende che, in cerca di condizioni migliori,
molti abitanti di queste aree abbiano scelto di emigrare. Nel Sud Italia, le condizioni
igienico-sanitarie erano ancora peggiori. Qui, l’assenza di infrastrutture, aggravata
dalla povertà diffusa e dalla scarsità di interventi statali, creava un ambiente
favorevole alla diffusione di malattie endemiche come la malaria, che colpiva
particolarmente le regioni costiere e paludose. L’analfabetismo diffuso ostacolava
anche la diffusione di pratiche igieniche di base, mentre le abitazioni erano spesso
fatiscenti e prive di sistemi igienici. L’accesso ai servizi medici era limitato, e solo i
pochi ricchi proprietari terrieri potevano permettersi cure mediche adeguate.

Fonti:
Bevilacqua P., De Clementi A. e Franzina E. (2001), Storia dell’emigrazione italiana,
Roma: Donzelli editore.
Giardina A., Sabbatucci G., Vidotto V., Mondi della storia. Le ragioni della storia vol. 3/
1900-ogggi, Zanichelli editore.
Libert G. (2009), L’emigrazione piemontese nel mondo una storia millenaria, Chivasso:
Acquattro Servizi Grafici, pp. 9-27, 195-205.

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