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AA - VV. - Storia - Storia Della Magia Vol.1 - La Magia Nel Mondo Antico

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INTRODUZIONE ALLA

STORIA DELLA MAGIA

Che cos'è la magia?

Chi volesse consultare un qualsiasi dizionario troverebbe: "Arte che


pretende di scoprire forze occulte nella natura e di sottoporle al proprio
potere, allo scopo di dominare in modo diretto ed immediato il mondo fisico
e spirituale; si dice magia nera se esercitata con intenti malefici, bianca se
esercitata a scopi benefici" (Garzanti). Aleister Crowley, uno dei più noti
cultori di magia dei tempi moderni, l'ha chiamata "scienza ed arte di
provocare cambiamenti volontari nella coscienza" (1).

Comunque la si definisca, la magia ha costituito un potere fin dal suo primo


apparire; il concetto che il mago possieda la conoscenza dei rapporti fra
causa ed effetto ed abbia le capacità di usare questi rapporti per asservire la
natura, realizzando ciò che la gente comune non può fare, è rimasto inalterato
per millenni. Volendo, tutto quello che non si può spiegare razionalmente con
le conoscenze di un certo periodo storico potrebbe essere considerato un atto
magico: basta ricordare il terrore superstizioso dei nostri antenati per un
semplice fenomeno fisico come l'eclisse.

Cambiano i tempi, le scoperte scientifiche aprono nuovi orizzonti, ma il


fascino della magia resta intatto. Perché?

Lo storico Richard Cavendish ha detto che il pensiero magico "è un tipo di


pensiero prevalente per gran parte della storia d'Europa, che si stende dietro
vaste aree della religione, della filosofia e della letteratura e che costituisce
una delle principali guide verso le regioni del soprannaturale e dello
spirituale, sulle quali la scienza non ha nulla da dire. Non è necessario
accettarlo: ma è indubbio che esso fa squillare lontani segnali di richiamo
nelle profondità della mente" (2).

Francesco Bacone sosteneva che la magia era tanto lontana dalla scienza
quanto la leggenda di re Artù era lontana dai Commentarii di Cesare (3); può
anche essere vero, ma converrete con noi che è ben più affascinante la saga
di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda che non il resoconto della
guerra condotta dai Romani nelle Gallie, anche se fa parte della nostra
storia.

Ed infatti ci interessiamo di magia un po' tutti, per curiosità, per il bisogno di


trascendenza che c'è in ciascuno di noi, o perché siamo circondati da cose
che non riusciamo a capire, né tanto meno a controllare. Progrediamo
continuamente a livello tecnologico, ma sul nostro destino personale non
possiamo molto di più dei nostri antenati nelle caverne: continua a sembrarci
oscuro e a volte terribile.

La magia nasce proprio dal bisogno di appellarsi a qualcosa di superiore,


che può tutto; di fronte agli eventi spiacevoli della nostra vita, che sono
moltissimi (abbiamo solo l'imbarazzo della scelta), noi cerchiamo aiuto. In
ogni epoca l'uomo ha avuto sempre tre metodi per porre rimedio alla sua
paura di vivere; il primo è la religione, l'affidarsi alla Divina Provvidenza;
il secondo è tentare di controllare l'ambiente con mezzi tecnologici e
scientifici; il terzo è ricorrere alla magia. Giusto o no, quest'ultimo è quello
che ha avuto, nei secoli, maggior successo.

Quando siamo infelici possiamo rassegnarci alla sorte infausta, infuriarci,


lamentarci, piangere, anche pregare, se è vero che la fede smuove le
montagne. Ma se abbiamo paura che le nostre preghiere restino inascoltate?
A questo punto entra in gioco il mago: chi sa resistere alla tentazione di
diventare padrone del proprio futuro, quando il prezzo da pagare non è che
quello di un piccolo rituale? Il rituale magico ci protegge, ci aiuta, ci ridona
la salute perduta, ci riavvicina la persona amata, ci procura denaro e felicità.
E se non riesce a farlo, almeno ci regala la speranza e la forza di tirare
avanti ancora un po', magari finché le cose non si sistemano da sole.

Dall'inizio degli anni Settanta c'è stato un vero e proprio revival del
paranormale; è cresciuto in proporzione geometrica il numero dei maghi,
degli astrologi, dei gruppi di studio, dei corsi di esoterismo. Questo termine
ha assunto un significato molto generico e vi si fanno rientrare le cose più
disparate: fatture e controfatture, lettura della mano, divinazione con la sfera
di cristallo, malocchio, spiritismo, ufologia, incontri con extraterrestri,
pranoterapia, rituali di sesso e sangue di cui abbonda un certo cinema, lettura
dei fondi di caffè, società segrete, usanze di tribù che vivono isolate dalla
civiltà, radiestesia, satanismo, filosofie orientaleggianti, amuleti, talismani e
molte altre cose ancora: il tutto mescolato in un informe groviglio a cui viene
appiccicata l'etichetta di articolo occulto.

Lo storico inglese Lawrence Stone ha detto che il ritorno in auge della magia
in questi ultimi anni è dovuto al fatto che viviamo "sul filo del rasoio di una
società tecnotronica, razionale, impersonale, governata dal computer,
efficiente, ma sterile, che non lascia spazio alle emozioni, all'amore, alla
compassione, né al senso del mistero e della meraviglia, che sono alla
radice di tutta la grande letteratura, dell'arte e della musica" (4).

Sono molti a credere che l'uomo, alienato dalla società industriale in cui
vive, si rivolga alla magia per modificare una realtà che gli è diventata
estranea e nella quale non si riconosce. Le scoperte scientifiche, che in
teoria dovrebbero eliminare la magia, sono invece costrette a coesistere con
la superstizione; gli scienziati passano la vita sostituendo la realtà
all'illusione, per cui l'eccesso di certezze deve in qualche modo essere
contrastato da un antidoto di natura fantastica.

Ed è forse proprio per questi motivi che, anche se non lo vorremmo, ci


crediamo, perché la magia è più vicina al nostro cuore ed alla nostra mente
di quanto lo siano la logica e la ragione, quando lottiamo contro
l'impossibile, contro le avversità, quando rifiutiamo di sentirci sconfitti,
quando ci ribelliamo ad una sorte che sembra essere già segnata e
combattiamo con la sola forza della nostra volontà.

LA MAGIA NEL MONDO ANTICO

Narra una leggenda che migliaia di anni fa "Uomini di cristallo" scesero


dalle stelle per stabilirsi a Thule, una terra vicina al Polo Nord. Questi saggi
maestri furono l'elemento di equilibrio fra i primi abitatori della Terra; con
le loro conoscenze tecnologiche impedirono ai grandi cataclismi di
distruggere il pianeta e gli uomini che lo popolavano; per merito loro
l'umanità conobbe un'"età dell'oro".

Ma alcuni di questi saggi si lasciarono sedurre dalla magia nera e


convinsero gli indigeni a ribellarsi ai Maghi Bianchi: lo scontro distrusse
Thule e pose fine al periodo felice. I pochi sopravvissuti si rifugiarono in
un'isola chiamata Iperborea, nome che significa "al di là di Boreas", il vento
del Nord, posta fra l'Islanda e la Groenlandia.

Diodoro Siculo (5) scrisse che l'isola aveva dimensioni simili alla Sicilia;
era una terra fertile e feconda, dotata di un clima meravigliosamente
temperato, tanto da produrre due raccolti all'anno. Vi erano montagne
trasparenti come diamanti, regnava sempre un piacevole calore ed i fiori
profumavano l'aria; gli abitanti erano bellissimi e molto longevi. Alcuni
erano perfino dotati di chiaroveggenza, dono dato loro da Apollo, il dio
greco che gli Iperborei veneravano sopra ogni altro, che visitava l'isola ogni
diciannove anni, "quando si completa il ritorno delle stelle allo stesso posto
nella loro orbita", accolto con danze e canti dagli abitanti.

Un giorno terribile un'immane catastrofe spazzò via Iperborea: una meteorite


provocò un violentissimo e repentino raffreddamento, e quel paradiso
terrestre scomparve sotto i ghiacci.
La concezione di una razza primordiale venuta dalle stelle, portatrice di una
spiritualità trascendente e del bagaglio delle conoscenze "magiche", è
comune a molti popoli.

Atlantide, Thule ed Iperborea sono miti nati in Occidente, ma ce ne sono di


simili anche nella tradizione orientale, come Mu-Lemuria, il continente
scomparso situato fra l'Asia e l'America, del quale l'Australia, l'Isola di
Pasqua, le Hawai e la Polinesia sarebbero un residuo.

I racconti di terre misteriose, nascoste ai più o scomparse nella notte dei


tempi, si trovano nel folklore di vari paesi e con tratti inspiegabilmente
costanti, malgrado la diversità delle civiltà in cui si sono sviluppati: sono
tutti paradisi, terre ricchissime, che godono di un clima salubre e favorevole
allo sviluppo dell'agricoltura; gli abitanti sono tutti belli e longevi, dotati di
poteri mentali particolari; il governo è illuminato e vive in armonia ed in
pace con tutti.

Le leggende sui visitatori venuti migliaia di anni fa dalle stelle parlano


sempre dei buoni e timorosi indigeni che li hanno accolti con tutti gli onori e
considerati come dei. Ma quanti anni ha l'uomo?

In Europa si sono trovati resti di individui del genere homo sapiens, risalenti
a 250.000 anni fa; ma l'uomo che più si avvicina a quello di concezione
moderna ha "soltanto" 40.000 anni. L'uomo preistorico, vissuto cioè nel
periodo che precede l'uso dei metalli, usava solo strumenti di pietra e sulla
pietra incideva e dipingeva. Organizzato in piccole tribù, la sua vita
dipendeva dalla caccia; era una vita nomade, poiché egli era costretto a
spostarsi per seguire le migrazioni degli animali che gli fornivano cibo per
nutrirsi e pelli per coprirsi. Il suo unico imperativo era la sopravvivenza di
se stesso, della propria prole e della propria tribù.
Le pitture rupestri di questo periodo rappresentavano scene di caccia. A che
scopo l'uomo del Paleolitico si prendeva la briga di dipingerle? Lo storico
dell'arte Arnold Hauser afferma che (6) la pittura era per l'uomo preistorico
"una prassi magica: nell'immagine da lui dipinta il cacciatore credeva di
possedere la cosa stessa; credeva che l'animale vero subisse l'uccisione
eseguita sull'animale dipinto".

L'inseguimento e la cattura della preda incisi sulle pareti della sua caverna
non erano altro che "l'anticipazione dell'effetto desiderato; l'avvenimento
reale doveva seguire il modello magico. Non si trattava, quindi, di
sostituzioni simboliche, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che
ottenevano effetti reali".

Le immagini erano una specie di trappola in cui la preda era destinata a


cadere. Lo stesso scopo magico avevano le danze nelle quali i partecipanti
indossavano maschere d'animale e fingevano una cattura ed un'uccisione "in
effigie" della preda. La pittura del paleolitico viene chiamata naturalistica
per la sua aderenza con la realtà: avendo uno scopo magico, il modello
doveva avvicinarsi il più possibile a quello reale.

Col periodo Neolitico, 7000 anni avanti Cristo, l'uomo cominciò a darsi le
prime forme articolate di organizzazione sociale.

Scoperte le possibilità dell'agricoltura e dell'addomesticamento degli


animali a lui utili, decadde la necessità di spostarsi continuamente. I raccolti
consentirono di immagazzinare scorte; si divisero i compiti fra i membri del
clan, si ebbe il primo artigianato della ceramica.

Nacquero forme di culto più complesse, che abbisognavano di idoli e


suppellettili funerarie, di amuleti protettivi e di simboli sacri; si
svilupparono riti utili al gruppo, come quelli per aumentare la fertilità della
terra.
Il Neolitico viene considerato un enorme passo avanti compiuto in tempo
relativamente breve dall'uomo verso la civiltà; il Paleolitico medio, per
esempio, si protrasse per 70.000 anni, mentre il Neolitico ne durò solo
tremila, per sfociare nell'età del rame, la più antica delle età dei metalli.

Nell'area mediterranea furono i popoli della Mesopotamia che scoprirono e


padroneggiarono le tecniche della lavorazione dei metalli, quattromila anni
prima di Cristo. Il primo fu il rame nativo, che poteva essere lavorato a
freddo; vennero poi il bronzo ed il ferro. Con l'età del rame e con
l'invenzione dei primi tipi di scrittura (detta "pittografica" perché formata da
disegni indicanti l'oggetto descritto o il simbolo corrispondente) finisce la
preistoria, che è la storia dell'umanità intera, e comincia la storia dei popoli
e degli individui.

LA MAGIA EGIZIA

La civiltà egizia (1) si sviluppò nel corso di tremila anni e di trentuno


dinastie; essa fu favorita da un clima caldo e da un terreno che la piena
autunnale del Nilo rendeva fertile, con risorse più che sufficienti per far
vivere la popolazione, indipendente ma aperta al contatto con gli altri
popoli.

Erodoto chiamò l'Egitto "dono del Nilo": se guardiamo la sua carta


geografica possiamo renderci conto del perché. La valle del fiume va da
Assuan al delta, larga al massimo venti chilometri nella sua zona coltivabile,
e senza il fiume il paese sarebbe un grande deserto.

Il potere del faraone era assoluto, ma non tirannico; il paese poteva contare
sull'unità politica e su di un sistema burocratico capillare, che era un
modello di efficienza e di organizzazione, raggiungendo per mezzo di
corrieri ogni angolo del regno.

Gli stranieri non erano amati, ma comunque tollerati, purché rispettassero gli
dei dell'Egitto; avevano il beneficio di non pagare tasse. Coloro che
entravano in Egitto come profughi dovevano invece fare una sorta di servizio
civile, cioè lavoro obbligatorio per un certo periodo, in cambio del
privilegio di risiedere nel paese; venivano ripagati in natura, con pane,
carne, pesce e cereali. Gli Ebrei erano fabbricatori di mattoni, i Siriani
lavoravano nelle cave come tagliapietre o nei campi come braccianti, i
Fenici erano abili costruttori di templi. Tutti gli stranieri erano regolarmente
censiti.

L'Egitto commerciava con molti paesi ed aveva contatti costanti con persone
di varie nazionalità; una scuola di scribi interpreti redigeva documenti in
accadico (la lingua dei rapporti diplomatici e commerciali): atti di acquisto
e vendita di merci, relazioni, lettere, comunicazioni.

A questi stessi scribi dobbiamo interessanti traduzioni di miti babilonesi ed


anche di opere greche. Studiosi come Solone, Erodoto e Platone viaggiarono
per tutto il paese, senza problemi di lingua proprio per merito degli
interpreti; furono trattati tutti con benevolenza, anche se con un po' di
sufficienza, da un popolo il cui Faraone si riteneva un dio in terra e il
sovrano di tutto il mondo conosciuto.

La onnipresente burocrazia egiziana, che ammassava montagne di documenti


negli archivi, ci ha lasciato in eredità numerosi papiri, che hanno permesso
la ricostruzione di parte della storia dell'antico Egitto.

Abbiamo anche moltissime testimonianze circa il culto degli dei, sui riti
funerari e sulle credenze magico-religiose, e proprio la ricchezza del
materiale arrivato fino a noi ha alimentato la fama dell'Egitto come culla
della magia.

Era egiziano il più famoso mago di tutti i tempi, Ermete Trismegisto, che in
greco significa "tre volte grandissimo", possessore della conoscenza delle
tre parti dell'universo, con poteri sul cielo, sulla terra e sul mondo dei morti.

Un'antica tradizione lo colloca attorno al 1300 a. C.; un'altra lo identifica


con un mitico re vissuto per più di tremila anni, autore di ben trentaseimila
libri di magia. Lo storico Giamblico (III secolo d. C.) ridimensiona questo
numero assurdo a "soli" ventimila libri (2); Clemente Alessandrino, ben più
realisticamente, parla di una figura di saggio, poi mitizzato, autore dei
quarantadue libri sacri che venivano portati in processione al tempio di
Alessandria, una volta l'anno, in una solenne cerimonia rituale. Questi libri
erano divisi in sei sezioni: rituali per i templi, educazione dei sacerdoti,
medicina, astrologia, inni in onore degli dei ed istruzioni per i faraoni.

Il nome con cui è conosciuto gli fu dato dai Greci su modello del loro dio
della sapienza, Ermete, identificato col dio egiziano Thot, che aveva alcuni
compiti importantissimi: presiedeva alla pesata delle anime dei morti,
comunicando al defunto se il responso lo metteva nel numero dei giusti e
nella gloria eterna di Osiride; scandiva il tempo delle alluvioni del Nilo, da
cui dipendeva la sopravvivenza del paese; inoltre aveva il merito di aver
inventato la scrittura geroglifica. Ermete Trismegisto veniva considerato la
fonte di ogni primitiva sapienza iniziatica, poiché si credeva che avesse
ereditato le conoscenze segrete degli Atlantidei.

Ebbe un periodo di grande notorietà nel Rinascimento, quando fu tradotto il


Corpus Hermeticum (3) a lui attribuito; quando però si scoprì che il testo non
aveva migliaia di anni, come si supponeva, ma risaliva ad alcuni secoli dopo
Cristo, molti misero in dubbio la realtà dell'esistenza di Ermete Trismegisto.

Alcuni autori ne hanno parlato come di un uomo in carne ed ossa: Platone,


Diodoro Siculo, Tertulliano ed il famoso medico Galeno. Resta in ogni caso
una figura-simbolo delle conoscenze esoteriche più elevate; a lui dobbiamo
la Tavola di Smeraldo, un importantissimo testo che la leggenda dice essere
stato rinvenuto in una grotta fra le mani della mummia di Ermete.

Oltre a questa nota opera, fu autore della Tavola di Rubino, molto meno
famosa ed ancora più ermetica, che in qualche modo rovescia e completa il
discorso della precedente tavola.

Chi visita un museo egizio può notare come gran parte dei reperti sia
costituita da oggetti religiosi e magici. La magia (4) era infatti un elemento
fondamentale della religione, della cultura, della vita sociale e della
politica; esisteva addirittura un dio della magia, Heka, molto importante
nelle prime dinastie, anche se in seguito divenne un dio di secondo piano. La
magia era un dono fatto agli uomini dal dio Ra, che l'aveva creata affinché
essi avessero un'arma a loro disposizione per tener lontano il braccio degli
avvenimenti.

Gli dei stessi ricorrevano spesso alla magia, per aiutarsi nei momenti critici;
mentre i Greci ed i Romani avevano un concetto del destino superiore a tutto,
il "Fato" a cui anche gli dei dovevano inchinarsi, per gli Egizi Shai, il
destino, era guidato dagli stessi dei: questo permetteva loro di liberarsi dalle
catene della predestinazione. Fu soprattutto questa particolare caratteristica
ad affascinare i Greci. La fede nella possibilità di smuovere il mondo a
proprio favore, influenzando anche il caso, spinse gli Egiziani verso la
magia, unica soluzione a tutti i problemi, poiché poteva incatenare al proprio
volere anche gli dei.

Per capire l'importanza della magia, si pensi che esistevano scongiuri magici
perfino per imbrogliare Osiride nel momento del giudizio delle anime,
confonderlo e fargli giudicare benevolmente il defunto.

Per le necessità immediate del popolo c'erano i maghi da strada, dalle


funzioni molto simili a quelle delle odierne cartomanti; scopo dei loro
incantesimi era ottenere ciò che normalmente veniva considerato
irraggiungibile: l'amore non ricambiato, la salute scomparsa, il denaro
mancante.

Molto potente era la casta dei sacerdoti-maghi, Hekai, in particolare i


Lettori, che portavano i rotoli di papiro con i rituali del culto dei morti. Sia
Apuleio che Luciano ne danno un'accurata descrizione: testa rasata, mantello
bianco di tela e fascia posta in diagonale sul petto.

I papiri erano conservati nelle "Case della vita"; esse avevano sede nel
tempio più importante o presso la reggia del Faraone ed avevano molteplici
funzioni: archiviazione di documenti importanti, scrittura di testi di magia,
istruzione degli scribi e dei sacerdoti, conservazione di testi di religione,
musica, filosofia. Tutti coloro che ne hanno parlato hanno affermato che le
"Case della vita" erano il centro motore del paese.
Nonostante le distruzioni compiute dal tempo e dagli uomini, molti papiri si
sono conservati fino ai giorni nostri, alcuni antichissimi, scritti in lingua
geroglifica, altri più recenti in lingua demotica, che era una forma abbreviata
e di più facile scrittura dei geroglifici; altri ancora in copto, risalenti
all'epoca romana.

Per mezzo loro possiamo ricostruire la storia della magia egizia, che si
suddivide in tre grandi periodi.

Nell'Antico regno, che arrivava circa fino al 2300 a. C., la magia era
conosciuta soprattutto attraverso i Testi delle Piramidi, incisi sulle pareti
delle camere interne di alcune piramidi.

Comprendevano testi religiosi e magici, nei quali si faceva cenno a miti che
in seguito sarebbero diventati notissimi, come quello di Osiride, ed anche ad
altri che sarebbero poi rimasti sconosciuti. I sacerdoti usarono questi rituali
per la protezione e la felicità del faraone e della sua famiglia nell'aldilà.

Nel Medio regno, dal 2200 al 1700 a. C. circa, ebbe grande risalto la magia
malefica, praticata dai sacerdoti contro i nemici e le avversità, in difesa del
faraone.

Appartiene a questo periodo il papiro medico di Kahun, che riportava


formulari contro varie malattie, tra cui le parassitosi, molto comuni nei climi
caldi, accanto a scongiuri contro nemici e demoni. Il capo degli spiriti
malvagi che causavano malanni venne definito qui per la prima volta
l'Accusatore, nome che corrispondeva al greco diabolon, diavolo.

Poco tempo dopo fu scritto il papiro Ebers (databile attorno al 1600 a.C.),
che riportava consigli medici, ma cominciava ad eccedere nelle formule
magiche. Da questo momento la magia divenne l'elemento principale dei testi
di medicina; ad esempio, nel successivo papiro di Londra l'autore dimostrò
chiaramente di credere assai più negli scongiuri che non nella scienza
medica.

Questo squilibrio verso la magia si spiega con gli eventi socio-politici


mutati. Cacciati gli Hyksos, i feroci pastori guerrieri che avevano dominato
l'Egitto per più di un secolo, il Nuovo regno vide una casta sacerdotale
potentissima, che voleva ripristinare la posizione di privilegio del faraone
nell'aldilà.

Poiché i Testi delle Piramidi erano ormai noti a tutti, nacque un nuovo
documento, il Libro di Amduat; come diceva la sua introduzione, il libro fu
scritto in un luogo segreto nell'aldilà e chi lo conosceva poteva aspirare ad
un destino eccezionale: il dio del sole sarebbe sempre stato compagno del
defunto. Per lungo tempo solo la famiglia reale potè scrivere questo
documento sul proprio sepolcro, mentre i Testi delle Piramidi venivano
scritti ormai su ogni tomba.

La convinzione che ci fosse uno sfondo magico nell'aldilà fu rafforzata anche


dai sacerdoti del dio Amon, decisi a formare un sistema statale teocratico.

La cosa si rivelò più ardua del previsto: il faraone, malgrado il rispetto per
il dio e per i suoi sacerdoti, cercava di arginarne il potere, che rischiava di
diventare illimitato, dato che erano i sacerdoti ad interpretare il volere degli
dei, che doveva essere legge per tutti. Fu quindi permesso il culto di altre
divinità, tra le quali alcune straniere.

Queste affascinanti culture di altri paesi produssero un periodo di crisi


sociale ed ideologica, a cui diede grande impulso, attorno al 1370 a. C.,
l'eresia monoteista di Amenhotep, che cambiò il proprio nome in Akhenaton
e trovò nel culto del dio solare Aton il punto di unione di ogni religione.

Le altre divinità furono bandite, in particolare Amon ed i suoi sacerdoti. Il


faraone cancellò gli altri dei dalle iscrizioni, facendo scrivere sulle pareti
delle tombe, al posto dei sacri testi, elogi ad Aton ed al faraone; poi costruì
la nuova capitale "Orizzonti di Aton" (l'odierna Tell el Amarna) ed eliminò
la magia dal culto dei morti.

La svolta verso il monoteismo non ebbe fortuna: il faraone era sostenuto dal
ceto medio emergente, ma aveva contro il clero e l'aristocrazia, fortemente
decisi a non perdere i propri privilegi.
La lotta fra Aton ed Amon sfociò nel sangue di una guerra civile; il suo
successore designato, il genero Smenkhkare, marito della figlia maggiore,
governò per brevissimo tempo insieme ad Akhenaton, cercando col suocero
di sistemare il regno, che era nel caos più totale, ma morì dopo pochi mesi.
Akhenaton lo seguì quasi subito, avvelenato in una congiura di palazzo, e
dopo di lui venne Tutankhamen, marito della figlia minore, che ristabilì gli
antichi riti.

Questo faraone, sovrano di secondo piano, morto giovanissimo, il cui unico


intervento sullo stato fu di tornare al culto di Amon, è sicuramente quello più
famoso nel mondo per il ritrovamento della sua tomba, avvenuto nel 1922 ad
opera di Howard Carter e lord Carnavon, e per la leggenda della
maledizione che colpì gli scopritori.

Nell'anticamera della sua tomba fu rinvenuta una tavoletta di terracotta con


la seguente iscrizione: "La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il
sonno del faraone". La tavoletta, che aveva destato la paura superstiziosa
degli operai addetti allo scavo, fu fatta sparire, ma un'altra maledizione
comparve, sotto una figura magica, nella camera principale della tomba:
"Sono io che respingo con la fiamma del deserto i predoni delle tombe. Io
proteggo il sepolcro di Tutankhamen"; quando i partecipanti alla spedizione
cominciarono a morire, nacque la leggenda della maledizione (5) del
faraone, che aveva colpito i profanatori.

Lord Carnavon si ammalò all'improvviso di febbri altissime e morì in meno


di quindici giorni. Subito dopo l'archeologo americano Arthur Mace, che era
andato ad aiutare a buttar giù l'ultimo pezzo di muro della tomba, si mise a
letto, sentendosi esausto, cadde in coma ed in poche ore morì.

Il miliardario americano Gould, che aveva aiutato l'amico Carnavon con


sovvenzioni, appena giunto a Luxor per vedere la tomba fu colto dalla febbre
e spirò entro la sera stessa.

In pochi anni morirono tredici persone, fra quelle che avevano assistito
all'apertura della tomba, ed altri nove scienziati che si erano occupati del
lato scientifico della scoperta.
Morì anche la moglie di Lord Carnavon, punta da un insetto letale, poi il
segretario di Carter, trovato rigido sul suo letto alla mattina, mentre stava
benissimo la sera prima; suo padre, avuta la tragica notizia, si uccise
gettandosi dal settimo piano della sua casa londinese; mentre gli facevano il
funerale, il carro funebre investì ed uccise un ragazzo davanti al cimitero.

E' ovvio che, se guardiamo tutto con occhi scettici, ogni morte può essere
considerata normale: gli incidenti capitano dovunque; le febbri maligne non
erano una novità e colpivano spesso gli Europei in Africa; gli infarti
improvvisi in persone giovani sono rari, ma non impossibili; gli insetti
possono dare in persone allergiche violentissimi shock anafilattici, che
portano a morte. Però bisogna ammettere che ce n'era abbastanza perché
l'opinione pubblica prendesse sul serio la storia della maledizione.

Gli Egiziani attribuivano un'enorme importanza al mondo dei morti; la vita


terrena era considerata breve, la vita nell'oltretomba eterna. Per questo
l'Egiziano, per quanto miserabile potesse essere, si comprava il sepolcro,
pagava un sacerdote per i sacrifici da fare a se stesso una volta defunto, e
dotava la tomba di ogni comfort che permettesse una piacevole vita nel
mondo dei trapassati.

Sulle tombe venivano incise o dipinte maledizioni verso i profanatori,


preghiere di protezione per i parenti ancora vivi dei defunti, formule
magiche che permettessero le migliori condizioni di vita nell'aldilà al morto.
Nelle tombe si mettevano le Ushebti, statuette raffiguranti animali, che si
animavano per magia e servivano il defunto. La magia riforniva quindi i
morti di un ricco corredo: modellini di argilla e formule sostituivano gli
oggetti d'uso quotidiano.

Le Ushebti venivano anche usate in magia nera; si narra che Abaaner,


ufficiale della guardia del faraone, avesse scoperto che la moglie lo tradiva
con un giovane soldato. Essendo un mago molto esperto, Abaaner modellò
nella cera la statuetta di un coccodrillo e pronunciò un incantesimo. Diede
poi la statuetta ad un suo servo, che si recò sulla riva del Nilo e attese che il
soldato vi andasse, come tutti i giorni, per fare il bagno; appena il soldato si
fu immerso, il servo gettò nel fiume il coccodrillo di cera: questo si animò
per magia e divenne un grosso e vivissimo coccodrillo, che aggredì il
soldato e lo divorò.

Gli Egiziani erano convinti che l'anima avesse bisogno del corpo per
sopravvivere, per cui cercarono tecniche di imbalsamazione sempre più
raffinate per permettere al corpo di ricongiungersi all'anima nella sua forma
migliore: "Io esisterò fino alla fine con la mia carne e la mia anima", dice il
Libro dei morti.

Formule magiche ed amuleti proteggevano il corpo perché potesse unirsi ad


Osiride, che l'avrebbe protetto per l'eternità dai nemici e dagli spiriti
maligni. Ai defunti si chiedevano consigli e favori; per comunicare con loro
si scrivevano lettere o si incidevano le richieste sui vasi contenenti le offerte
da portare alle tombe. Chi li aveva offesi in vita scriveva loro per chiedere
perdono.

Il culto pubblico verso gli dei si svolgeva nei santuari, durante le


processioni e nei funerali solenni, ma il popolo partecipava solo dall'esterno
a gran parte delle cerimonie sacre.

Malgrado questo, Erodoto disse giustamente (6) che gli Egiziani erano i più
religiosi fra gli uomini, perché dotati di un intimo fervore, che li portava ad
osservare regole di comportamento morale non scritte, ma che tutti avevano
ben chiare.

Il più amato fra i numerosissimi dei era Osiride, dio della natura e signore
dell'universo; buono e pietoso, era stato ucciso dal malvagio fratello Seth.
La leggenda della sua morte, di origini popolari, ebbe un tale successo che fu
incorporata nella religione ufficiale: Osiride era adorato e rispettato, perché
era un dio di carne, che aveva sofferto per il tradimento di suo fratello,
aveva conosciuto la morte, era stato richiamato in vita dall'amore della sua
sposa e vendicato dal figlio. Era qualcuno in cui riconoscersi ed il popolo lo
venerò fino oltre l'epoca della dominazione romana.

Il mito di Osiride viene raccontato da vari autori, ma è forse Plutarco a


darcene la versione più completa ed organica (7). Osiride era frutto
dell'amore fra Geb, dio della terra, e Nut, dea del cielo. Quando il dio del
sole, Ra, si accorse del tradimento della moglie col dio della terra,
maledisse Nut, condannandola a non partorire in nessun mese e in nessun
anno. Ma il dio Thot ricorse ad un espediente per aiutarla e, giocando a
dama con la Luna, guadagnò un settantaduesimo di ogni giorno; con queste
frazioni fabbricò cinque nuovi giorni, da aggiungere ai 360 dell'anno
egiziano. Questi giorni aggiunti fuori dal calendario poterono sfuggire alla
vendetta di Ra e permisero a Nut di partorire Osiride.

Ma Osiride non era figlio unico: nel secondo giorno Nut partorì Horus (detto
"il vecchio" per distinguerlo dall'omonimo figlio di Osiride), nel terzo Seth,
nel quarto Iside e nel quinto Nephtys. In seguito Osiride sposò Iside e Seth
sposò Nephtys; non ci si deve scandalizzare per il matrimonio di una sorella
e di un fratello: era pratica comune tra i faraoni, allo scopo di mantenere
puro il sangue della razza destinata a dominare.

Affidato ad Iside il governo dell'Egitto, viaggiò per diffondere la civiltà per


il mondo; tornato in patria, fu onorato ed adorato come un dio.

Ma questo destò l'odio del fratello Seth, che cospirò contro di lui con l'aiuto
di settantadue congiurati. Costruito un cofano a perfetta misura di Osiride,
durante un banchetto ve lo fece entrare con l'inganno e qui lo rinchiuse,
gettando poi il cofano nel Nilo.

Quando Iside seppe l'accaduto, si vestì a lutto e cominciò a cercare il corpo


del marito. Nelle sue peregrinazioni l'accompagnavano sette scorpioni; un
giorno chiese asilo ad una donna che, impaurita dagli animali, non volle farla
entrare in casa. Uno degli scorpioni strisciò allora sotto la porta e punse il
figlio della donna; udendo i disperati pianti della madre sul figlio morente,
Iside si commosse e con potenti incantesimi magici gli ridiede la salute.

Trovato il corpo di Osiride, Iside concepì con lui un figlio, mentre sotto
forma di sparviero volava sul corpo: nacque così Horus Arpocrate, che fu
subito nascosto dalla dea del Nord all'ira dello zio Seth, che voleva
ucciderlo.
Nel frattempo il cofano con il corpo del marito era arrivato, portato dalla
corrente, fino al mare della Siria. Qui Iside giunse a ritirarlo; avendolo
lasciato per qualche giorno, mentre si recava a trovare il figlio Horus, ospite
della dea del Nord, il malvagio Seth se ne impadronì e, fatto a pezzi il
cadavere, ne sparse i resti in molti posti.

Iside dovette di nuovo rimettersi in cammino; ogni volta che trovava un


pezzo lo seppelliva, ed è per questo motivo che esistono in Egitto tante
tombe del dio (nel tempio di Denderah una lunga iscrizione le elenca tutte).
Mentre Iside piangeva sul marito, Ra si commosse e lo fece ritornare in vita,
per regnare in eterno nell'Amenti, il mondo dei morti.

Esistono molte variazioni ed aggiunte a questa leggenda; è certo che,


dall'introduzione del mito di Osiride, ogni defunto poteva identificarsi col
dio e risorgere dalla morte alla vita eterna.

Questo mito era anche alla base di molte feste popolari; ad esempio, quando
il Nilo cominciava la piena si celebrava una festa in onore di Iside: le acque
erano il simbolo delle lacrime della dea per la morte del suo sposo, che
cadendo nel fiume ne ingrossavano il corso. Nel periodo della semina, le
cerimonie avevano un tono luttuoso e triste: il corpo di Osiride, dio della
terra e del grano, veniva ferito dagli aratri ed il popolo egiziano partecipava
con le proprie lacrime al dolore del generoso dio.

Osiride divenne quindi un dio duplice, della natura ed insieme dei morti; gli
erano sacri il djed, albero stilizzato che simboleggiava la stabilità e
l'equilibrio, ed il bastone con un'estremità curva, detto "pastorale", emblema
della fertilità e simbolo del potere temporale.

Sua moglie Iside era protettrice delle donne, delle madri, della famiglia,
oltre che una maga, avendo appreso le conoscenze occulte dal dio Thoth; il
nome Iside significa "trono", per cui la dea era raffigurata con una corona in
testa a forma di trono. Il suo simbolo era la cosiddetta "fibbia di Iside",
simbolo del legame tra madre e figli. Le statue la raffiguravano coperta da un
velo, con sotto la seguente iscrizione: "Io sono Iside. Nessun mortale ha mai
sollevato il mio velo".
Seth, il malvagio fratello di Osiride, era rappresentato con i capelli rossi,
per cui il rosso venne considerato sempre un colore negativo nella magia
egizia ed associato a rituali malefici; egli era l'incarnazione delle forze del
caos e della distruzione, nemico della luce.

Nonostante fosse sua moglie, Nephthys lo abbandonò per aiutare Iside; era la
dea delle cose nascoste, dell'oscurità, della ricettività psichica, della
sensitività. Una leggenda antica dice che sedusse Osiride, all'insaputa di
Iside, partorendo poi Anubis, il dio dalla forma di sciacallo, che proteggeva
lo spirito quando usciva dal corpo.

Horus, figlio di Osiride e di Iside, era il dio della bellezza, della luce e
maestro delle profezie; aveva anche il potere di guarire dalle malattie
fisiche, mentre sua sorella Bast guariva da quelle mentali, facendosi aiutare
dai gatti sacri, suoi assistenti. Ai due dei era connesso un talismano, lo
Oudjat, che originariamente era detto occhio di Ra; il dio l'aveva donato a
Horus per guarire gli uomini ed egli a sua volta lo prestava alla sorella
quando ce n'era la necessità.

La moglie di Horus era Hathor, protettrice della bellezza femminile e patrona


dell'arte dell'astrologia; si diceva che avesse inventato il trucco per
migliorare l'aspetto delle donne. Aveva una duplice natura: quella di Hathor,
positiva e luminosa, e quella di Sekhmet, dea guerriera negativa e distruttiva,
simbolo del fatto che l'energia pu˜ essere usata sia per il bene che per il
male. Ad Hathor era connesso uno strumento magico, detto appunto
"specchio di Hathor": era uno specchio doppio, trasparente da un lato e
smerigliato dall'altro, che serviva per rimandare al mittente le onde
malefiche quando si era oggetto di malocchio.

Il dio delle conoscenze magiche più elevate era Thoth, figlio primogenito di
Ra, il dio del sole progenitore di tutti gli dei. Egli non era solo il depositario
della sapienza occulta; era anche il dio della saggezza, patrono della storia,
conservatore degli archivi dell'umanità, messaggero degli dei ed era anche
colui che aveva insegnato agli uomini l'arte della costruzione. A lui era
connesso il "caduceo", una bacchetta con due serpenti intrecciati, simbolo
del controllo sugli istinti e sullo spirito, oltre che portatore di guarigione.
Con Ramsete XI finì il Nuovo Regno e l'Egitto entrò in quella che si chiama
Bassa Epoca, che vide l'inizio della lenta disintegrazione dello stato
egiziano. Sul trono, a reggere la corona bianca dell'Alto Egitto e la corona
rossa del Basso Egitto, sedettero sovrani deboli ed incapaci, molti dei quali
stranieri, etiopi, nubiani, libici, fino alla dominazione dei Persiani, che finì
con la conquista da parte di Alessandro Magno, salutato come un liberatore.

Il disordine politico si riflettèé sulle pratiche magiche del periodo:


comparve la necromanzia, che consentiva di interrogare i defunti per
conoscere il futuro, ed ebbero grande diffusione gli incantesimi di bassa
magia, con il loro codazzo di filtri d'amore, veleni, elisir di lunga vita,
amuleti contro il malocchio.

Si evocavano morti e vivi, spiriti e dei, si chiedeva il loro aiuto per liberarsi
dalle forze del male, dagli "operatori funesti che portano lutti e malattie". Se
nessuna misura di difesa funzionava, si poteva sempre andare a passare la
notte nel recinto di un tempio, aspettando che qualche dio benevolo
mandasse un sogno "per indicare la strada a chi non può vedere nel futuro".

Gli amuleti più comuni erano lo scarabeo, simbolo solare di vita, l'occhio di
Ra, tutela contro il malocchio, la stregoneria ed i morsi dei serpenti, le
statuette del dio nano Ptah-Pateco o di Bes, utilissime per le partorienti,
l'occhio di Horus, rimedio infallibile contro la febbre. Il materiale più usato
era la maiolica, oltre a pietre più costose come la corniola ed il diaspro; se
ne vendeva una tale quantità che i Greci costruirono una fabbrica di amuleti
a Naucratis, sul delta del Nilo, distribuendo poi i loro prodotti in tutta l'area
del Mediterraneo.

Grazie a questo commercio ed all'ammirazione dei Greci per tutto quel che
riguardava l'Egitto, si ebbe la diffusione dei culti egiziani a gran parte dei
paesi che si affacciavano sul mare. Medici, guaritori e stregoni, in trasferta
sulle coste greche ed italiane, portarono i loro amuleti, i loro dei, i loro
rituali e la loro farmacopea. Maghi ed astrologi operavano ufficialmente a
Roma, esercitando i loro poteri per il benessere della comunità. L'influenza
della cultura magica egizia resistette perfino alle successive persecuzioni
contro la stregoneria ed ebbe un costante successo fino alle soglie del
Medioevo.

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