AA - VV. - Storia - Storia Della Magia Vol.1 - La Magia Nel Mondo Antico
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Francesco Bacone sosteneva che la magia era tanto lontana dalla scienza
quanto la leggenda di re Artù era lontana dai Commentarii di Cesare (3); può
anche essere vero, ma converrete con noi che è ben più affascinante la saga
di Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda che non il resoconto della
guerra condotta dai Romani nelle Gallie, anche se fa parte della nostra
storia.
Dall'inizio degli anni Settanta c'è stato un vero e proprio revival del
paranormale; è cresciuto in proporzione geometrica il numero dei maghi,
degli astrologi, dei gruppi di studio, dei corsi di esoterismo. Questo termine
ha assunto un significato molto generico e vi si fanno rientrare le cose più
disparate: fatture e controfatture, lettura della mano, divinazione con la sfera
di cristallo, malocchio, spiritismo, ufologia, incontri con extraterrestri,
pranoterapia, rituali di sesso e sangue di cui abbonda un certo cinema, lettura
dei fondi di caffè, società segrete, usanze di tribù che vivono isolate dalla
civiltà, radiestesia, satanismo, filosofie orientaleggianti, amuleti, talismani e
molte altre cose ancora: il tutto mescolato in un informe groviglio a cui viene
appiccicata l'etichetta di articolo occulto.
Lo storico inglese Lawrence Stone ha detto che il ritorno in auge della magia
in questi ultimi anni è dovuto al fatto che viviamo "sul filo del rasoio di una
società tecnotronica, razionale, impersonale, governata dal computer,
efficiente, ma sterile, che non lascia spazio alle emozioni, all'amore, alla
compassione, né al senso del mistero e della meraviglia, che sono alla
radice di tutta la grande letteratura, dell'arte e della musica" (4).
Sono molti a credere che l'uomo, alienato dalla società industriale in cui
vive, si rivolga alla magia per modificare una realtà che gli è diventata
estranea e nella quale non si riconosce. Le scoperte scientifiche, che in
teoria dovrebbero eliminare la magia, sono invece costrette a coesistere con
la superstizione; gli scienziati passano la vita sostituendo la realtà
all'illusione, per cui l'eccesso di certezze deve in qualche modo essere
contrastato da un antidoto di natura fantastica.
Diodoro Siculo (5) scrisse che l'isola aveva dimensioni simili alla Sicilia;
era una terra fertile e feconda, dotata di un clima meravigliosamente
temperato, tanto da produrre due raccolti all'anno. Vi erano montagne
trasparenti come diamanti, regnava sempre un piacevole calore ed i fiori
profumavano l'aria; gli abitanti erano bellissimi e molto longevi. Alcuni
erano perfino dotati di chiaroveggenza, dono dato loro da Apollo, il dio
greco che gli Iperborei veneravano sopra ogni altro, che visitava l'isola ogni
diciannove anni, "quando si completa il ritorno delle stelle allo stesso posto
nella loro orbita", accolto con danze e canti dagli abitanti.
In Europa si sono trovati resti di individui del genere homo sapiens, risalenti
a 250.000 anni fa; ma l'uomo che più si avvicina a quello di concezione
moderna ha "soltanto" 40.000 anni. L'uomo preistorico, vissuto cioè nel
periodo che precede l'uso dei metalli, usava solo strumenti di pietra e sulla
pietra incideva e dipingeva. Organizzato in piccole tribù, la sua vita
dipendeva dalla caccia; era una vita nomade, poiché egli era costretto a
spostarsi per seguire le migrazioni degli animali che gli fornivano cibo per
nutrirsi e pelli per coprirsi. Il suo unico imperativo era la sopravvivenza di
se stesso, della propria prole e della propria tribù.
Le pitture rupestri di questo periodo rappresentavano scene di caccia. A che
scopo l'uomo del Paleolitico si prendeva la briga di dipingerle? Lo storico
dell'arte Arnold Hauser afferma che (6) la pittura era per l'uomo preistorico
"una prassi magica: nell'immagine da lui dipinta il cacciatore credeva di
possedere la cosa stessa; credeva che l'animale vero subisse l'uccisione
eseguita sull'animale dipinto".
L'inseguimento e la cattura della preda incisi sulle pareti della sua caverna
non erano altro che "l'anticipazione dell'effetto desiderato; l'avvenimento
reale doveva seguire il modello magico. Non si trattava, quindi, di
sostituzioni simboliche, ma di vere azioni dirette ad uno scopo, atti reali che
ottenevano effetti reali".
Col periodo Neolitico, 7000 anni avanti Cristo, l'uomo cominciò a darsi le
prime forme articolate di organizzazione sociale.
LA MAGIA EGIZIA
Il potere del faraone era assoluto, ma non tirannico; il paese poteva contare
sull'unità politica e su di un sistema burocratico capillare, che era un
modello di efficienza e di organizzazione, raggiungendo per mezzo di
corrieri ogni angolo del regno.
Gli stranieri non erano amati, ma comunque tollerati, purché rispettassero gli
dei dell'Egitto; avevano il beneficio di non pagare tasse. Coloro che
entravano in Egitto come profughi dovevano invece fare una sorta di servizio
civile, cioè lavoro obbligatorio per un certo periodo, in cambio del
privilegio di risiedere nel paese; venivano ripagati in natura, con pane,
carne, pesce e cereali. Gli Ebrei erano fabbricatori di mattoni, i Siriani
lavoravano nelle cave come tagliapietre o nei campi come braccianti, i
Fenici erano abili costruttori di templi. Tutti gli stranieri erano regolarmente
censiti.
L'Egitto commerciava con molti paesi ed aveva contatti costanti con persone
di varie nazionalità; una scuola di scribi interpreti redigeva documenti in
accadico (la lingua dei rapporti diplomatici e commerciali): atti di acquisto
e vendita di merci, relazioni, lettere, comunicazioni.
Abbiamo anche moltissime testimonianze circa il culto degli dei, sui riti
funerari e sulle credenze magico-religiose, e proprio la ricchezza del
materiale arrivato fino a noi ha alimentato la fama dell'Egitto come culla
della magia.
Era egiziano il più famoso mago di tutti i tempi, Ermete Trismegisto, che in
greco significa "tre volte grandissimo", possessore della conoscenza delle
tre parti dell'universo, con poteri sul cielo, sulla terra e sul mondo dei morti.
Il nome con cui è conosciuto gli fu dato dai Greci su modello del loro dio
della sapienza, Ermete, identificato col dio egiziano Thot, che aveva alcuni
compiti importantissimi: presiedeva alla pesata delle anime dei morti,
comunicando al defunto se il responso lo metteva nel numero dei giusti e
nella gloria eterna di Osiride; scandiva il tempo delle alluvioni del Nilo, da
cui dipendeva la sopravvivenza del paese; inoltre aveva il merito di aver
inventato la scrittura geroglifica. Ermete Trismegisto veniva considerato la
fonte di ogni primitiva sapienza iniziatica, poiché si credeva che avesse
ereditato le conoscenze segrete degli Atlantidei.
Oltre a questa nota opera, fu autore della Tavola di Rubino, molto meno
famosa ed ancora più ermetica, che in qualche modo rovescia e completa il
discorso della precedente tavola.
Chi visita un museo egizio può notare come gran parte dei reperti sia
costituita da oggetti religiosi e magici. La magia (4) era infatti un elemento
fondamentale della religione, della cultura, della vita sociale e della
politica; esisteva addirittura un dio della magia, Heka, molto importante
nelle prime dinastie, anche se in seguito divenne un dio di secondo piano. La
magia era un dono fatto agli uomini dal dio Ra, che l'aveva creata affinché
essi avessero un'arma a loro disposizione per tener lontano il braccio degli
avvenimenti.
Gli dei stessi ricorrevano spesso alla magia, per aiutarsi nei momenti critici;
mentre i Greci ed i Romani avevano un concetto del destino superiore a tutto,
il "Fato" a cui anche gli dei dovevano inchinarsi, per gli Egizi Shai, il
destino, era guidato dagli stessi dei: questo permetteva loro di liberarsi dalle
catene della predestinazione. Fu soprattutto questa particolare caratteristica
ad affascinare i Greci. La fede nella possibilità di smuovere il mondo a
proprio favore, influenzando anche il caso, spinse gli Egiziani verso la
magia, unica soluzione a tutti i problemi, poiché poteva incatenare al proprio
volere anche gli dei.
Per capire l'importanza della magia, si pensi che esistevano scongiuri magici
perfino per imbrogliare Osiride nel momento del giudizio delle anime,
confonderlo e fargli giudicare benevolmente il defunto.
I papiri erano conservati nelle "Case della vita"; esse avevano sede nel
tempio più importante o presso la reggia del Faraone ed avevano molteplici
funzioni: archiviazione di documenti importanti, scrittura di testi di magia,
istruzione degli scribi e dei sacerdoti, conservazione di testi di religione,
musica, filosofia. Tutti coloro che ne hanno parlato hanno affermato che le
"Case della vita" erano il centro motore del paese.
Nonostante le distruzioni compiute dal tempo e dagli uomini, molti papiri si
sono conservati fino ai giorni nostri, alcuni antichissimi, scritti in lingua
geroglifica, altri più recenti in lingua demotica, che era una forma abbreviata
e di più facile scrittura dei geroglifici; altri ancora in copto, risalenti
all'epoca romana.
Per mezzo loro possiamo ricostruire la storia della magia egizia, che si
suddivide in tre grandi periodi.
Nell'Antico regno, che arrivava circa fino al 2300 a. C., la magia era
conosciuta soprattutto attraverso i Testi delle Piramidi, incisi sulle pareti
delle camere interne di alcune piramidi.
Comprendevano testi religiosi e magici, nei quali si faceva cenno a miti che
in seguito sarebbero diventati notissimi, come quello di Osiride, ed anche ad
altri che sarebbero poi rimasti sconosciuti. I sacerdoti usarono questi rituali
per la protezione e la felicità del faraone e della sua famiglia nell'aldilà.
Nel Medio regno, dal 2200 al 1700 a. C. circa, ebbe grande risalto la magia
malefica, praticata dai sacerdoti contro i nemici e le avversità, in difesa del
faraone.
Poco tempo dopo fu scritto il papiro Ebers (databile attorno al 1600 a.C.),
che riportava consigli medici, ma cominciava ad eccedere nelle formule
magiche. Da questo momento la magia divenne l'elemento principale dei testi
di medicina; ad esempio, nel successivo papiro di Londra l'autore dimostrò
chiaramente di credere assai più negli scongiuri che non nella scienza
medica.
Poiché i Testi delle Piramidi erano ormai noti a tutti, nacque un nuovo
documento, il Libro di Amduat; come diceva la sua introduzione, il libro fu
scritto in un luogo segreto nell'aldilà e chi lo conosceva poteva aspirare ad
un destino eccezionale: il dio del sole sarebbe sempre stato compagno del
defunto. Per lungo tempo solo la famiglia reale potè scrivere questo
documento sul proprio sepolcro, mentre i Testi delle Piramidi venivano
scritti ormai su ogni tomba.
La cosa si rivelò più ardua del previsto: il faraone, malgrado il rispetto per
il dio e per i suoi sacerdoti, cercava di arginarne il potere, che rischiava di
diventare illimitato, dato che erano i sacerdoti ad interpretare il volere degli
dei, che doveva essere legge per tutti. Fu quindi permesso il culto di altre
divinità, tra le quali alcune straniere.
La svolta verso il monoteismo non ebbe fortuna: il faraone era sostenuto dal
ceto medio emergente, ma aveva contro il clero e l'aristocrazia, fortemente
decisi a non perdere i propri privilegi.
La lotta fra Aton ed Amon sfociò nel sangue di una guerra civile; il suo
successore designato, il genero Smenkhkare, marito della figlia maggiore,
governò per brevissimo tempo insieme ad Akhenaton, cercando col suocero
di sistemare il regno, che era nel caos più totale, ma morì dopo pochi mesi.
Akhenaton lo seguì quasi subito, avvelenato in una congiura di palazzo, e
dopo di lui venne Tutankhamen, marito della figlia minore, che ristabilì gli
antichi riti.
In pochi anni morirono tredici persone, fra quelle che avevano assistito
all'apertura della tomba, ed altri nove scienziati che si erano occupati del
lato scientifico della scoperta.
Morì anche la moglie di Lord Carnavon, punta da un insetto letale, poi il
segretario di Carter, trovato rigido sul suo letto alla mattina, mentre stava
benissimo la sera prima; suo padre, avuta la tragica notizia, si uccise
gettandosi dal settimo piano della sua casa londinese; mentre gli facevano il
funerale, il carro funebre investì ed uccise un ragazzo davanti al cimitero.
E' ovvio che, se guardiamo tutto con occhi scettici, ogni morte può essere
considerata normale: gli incidenti capitano dovunque; le febbri maligne non
erano una novità e colpivano spesso gli Europei in Africa; gli infarti
improvvisi in persone giovani sono rari, ma non impossibili; gli insetti
possono dare in persone allergiche violentissimi shock anafilattici, che
portano a morte. Però bisogna ammettere che ce n'era abbastanza perché
l'opinione pubblica prendesse sul serio la storia della maledizione.
Gli Egiziani erano convinti che l'anima avesse bisogno del corpo per
sopravvivere, per cui cercarono tecniche di imbalsamazione sempre più
raffinate per permettere al corpo di ricongiungersi all'anima nella sua forma
migliore: "Io esisterò fino alla fine con la mia carne e la mia anima", dice il
Libro dei morti.
Malgrado questo, Erodoto disse giustamente (6) che gli Egiziani erano i più
religiosi fra gli uomini, perché dotati di un intimo fervore, che li portava ad
osservare regole di comportamento morale non scritte, ma che tutti avevano
ben chiare.
Il più amato fra i numerosissimi dei era Osiride, dio della natura e signore
dell'universo; buono e pietoso, era stato ucciso dal malvagio fratello Seth.
La leggenda della sua morte, di origini popolari, ebbe un tale successo che fu
incorporata nella religione ufficiale: Osiride era adorato e rispettato, perché
era un dio di carne, che aveva sofferto per il tradimento di suo fratello,
aveva conosciuto la morte, era stato richiamato in vita dall'amore della sua
sposa e vendicato dal figlio. Era qualcuno in cui riconoscersi ed il popolo lo
venerò fino oltre l'epoca della dominazione romana.
Ma Osiride non era figlio unico: nel secondo giorno Nut partorì Horus (detto
"il vecchio" per distinguerlo dall'omonimo figlio di Osiride), nel terzo Seth,
nel quarto Iside e nel quinto Nephtys. In seguito Osiride sposò Iside e Seth
sposò Nephtys; non ci si deve scandalizzare per il matrimonio di una sorella
e di un fratello: era pratica comune tra i faraoni, allo scopo di mantenere
puro il sangue della razza destinata a dominare.
Ma questo destò l'odio del fratello Seth, che cospirò contro di lui con l'aiuto
di settantadue congiurati. Costruito un cofano a perfetta misura di Osiride,
durante un banchetto ve lo fece entrare con l'inganno e qui lo rinchiuse,
gettando poi il cofano nel Nilo.
Trovato il corpo di Osiride, Iside concepì con lui un figlio, mentre sotto
forma di sparviero volava sul corpo: nacque così Horus Arpocrate, che fu
subito nascosto dalla dea del Nord all'ira dello zio Seth, che voleva
ucciderlo.
Nel frattempo il cofano con il corpo del marito era arrivato, portato dalla
corrente, fino al mare della Siria. Qui Iside giunse a ritirarlo; avendolo
lasciato per qualche giorno, mentre si recava a trovare il figlio Horus, ospite
della dea del Nord, il malvagio Seth se ne impadronì e, fatto a pezzi il
cadavere, ne sparse i resti in molti posti.
Questo mito era anche alla base di molte feste popolari; ad esempio, quando
il Nilo cominciava la piena si celebrava una festa in onore di Iside: le acque
erano il simbolo delle lacrime della dea per la morte del suo sposo, che
cadendo nel fiume ne ingrossavano il corso. Nel periodo della semina, le
cerimonie avevano un tono luttuoso e triste: il corpo di Osiride, dio della
terra e del grano, veniva ferito dagli aratri ed il popolo egiziano partecipava
con le proprie lacrime al dolore del generoso dio.
Osiride divenne quindi un dio duplice, della natura ed insieme dei morti; gli
erano sacri il djed, albero stilizzato che simboleggiava la stabilità e
l'equilibrio, ed il bastone con un'estremità curva, detto "pastorale", emblema
della fertilità e simbolo del potere temporale.
Sua moglie Iside era protettrice delle donne, delle madri, della famiglia,
oltre che una maga, avendo appreso le conoscenze occulte dal dio Thoth; il
nome Iside significa "trono", per cui la dea era raffigurata con una corona in
testa a forma di trono. Il suo simbolo era la cosiddetta "fibbia di Iside",
simbolo del legame tra madre e figli. Le statue la raffiguravano coperta da un
velo, con sotto la seguente iscrizione: "Io sono Iside. Nessun mortale ha mai
sollevato il mio velo".
Seth, il malvagio fratello di Osiride, era rappresentato con i capelli rossi,
per cui il rosso venne considerato sempre un colore negativo nella magia
egizia ed associato a rituali malefici; egli era l'incarnazione delle forze del
caos e della distruzione, nemico della luce.
Nonostante fosse sua moglie, Nephthys lo abbandonò per aiutare Iside; era la
dea delle cose nascoste, dell'oscurità, della ricettività psichica, della
sensitività. Una leggenda antica dice che sedusse Osiride, all'insaputa di
Iside, partorendo poi Anubis, il dio dalla forma di sciacallo, che proteggeva
lo spirito quando usciva dal corpo.
Horus, figlio di Osiride e di Iside, era il dio della bellezza, della luce e
maestro delle profezie; aveva anche il potere di guarire dalle malattie
fisiche, mentre sua sorella Bast guariva da quelle mentali, facendosi aiutare
dai gatti sacri, suoi assistenti. Ai due dei era connesso un talismano, lo
Oudjat, che originariamente era detto occhio di Ra; il dio l'aveva donato a
Horus per guarire gli uomini ed egli a sua volta lo prestava alla sorella
quando ce n'era la necessità.
Il dio delle conoscenze magiche più elevate era Thoth, figlio primogenito di
Ra, il dio del sole progenitore di tutti gli dei. Egli non era solo il depositario
della sapienza occulta; era anche il dio della saggezza, patrono della storia,
conservatore degli archivi dell'umanità, messaggero degli dei ed era anche
colui che aveva insegnato agli uomini l'arte della costruzione. A lui era
connesso il "caduceo", una bacchetta con due serpenti intrecciati, simbolo
del controllo sugli istinti e sullo spirito, oltre che portatore di guarigione.
Con Ramsete XI finì il Nuovo Regno e l'Egitto entrò in quella che si chiama
Bassa Epoca, che vide l'inizio della lenta disintegrazione dello stato
egiziano. Sul trono, a reggere la corona bianca dell'Alto Egitto e la corona
rossa del Basso Egitto, sedettero sovrani deboli ed incapaci, molti dei quali
stranieri, etiopi, nubiani, libici, fino alla dominazione dei Persiani, che finì
con la conquista da parte di Alessandro Magno, salutato come un liberatore.
Si evocavano morti e vivi, spiriti e dei, si chiedeva il loro aiuto per liberarsi
dalle forze del male, dagli "operatori funesti che portano lutti e malattie". Se
nessuna misura di difesa funzionava, si poteva sempre andare a passare la
notte nel recinto di un tempio, aspettando che qualche dio benevolo
mandasse un sogno "per indicare la strada a chi non può vedere nel futuro".
Gli amuleti più comuni erano lo scarabeo, simbolo solare di vita, l'occhio di
Ra, tutela contro il malocchio, la stregoneria ed i morsi dei serpenti, le
statuette del dio nano Ptah-Pateco o di Bes, utilissime per le partorienti,
l'occhio di Horus, rimedio infallibile contro la febbre. Il materiale più usato
era la maiolica, oltre a pietre più costose come la corniola ed il diaspro; se
ne vendeva una tale quantità che i Greci costruirono una fabbrica di amuleti
a Naucratis, sul delta del Nilo, distribuendo poi i loro prodotti in tutta l'area
del Mediterraneo.
Grazie a questo commercio ed all'ammirazione dei Greci per tutto quel che
riguardava l'Egitto, si ebbe la diffusione dei culti egiziani a gran parte dei
paesi che si affacciavano sul mare. Medici, guaritori e stregoni, in trasferta
sulle coste greche ed italiane, portarono i loro amuleti, i loro dei, i loro
rituali e la loro farmacopea. Maghi ed astrologi operavano ufficialmente a
Roma, esercitando i loro poteri per il benessere della comunità. L'influenza
della cultura magica egizia resistette perfino alle successive persecuzioni
contro la stregoneria ed ebbe un costante successo fino alle soglie del
Medioevo.