All’interno della vastissima letteratura sul
fascismo possiamo individuare tre tesi
fondamentali: quella liberale e crociana
che considera il fascismo come una
malattia morale, alla quale spesso si
associa il concetto di fascismo come
parentesi; quella di matrice democratico-
radicale che definisce il fascismo come
inevitabile prodotto dello sviluppo storico
di alcuni paesi; quella di tradizione
marxista che considera il fascismo come
prodotto della società capitalistica e della
reazione antiproletaria. La prima tesi fu
formulata in Italia da Benedetto Croce,
antifascista fin dal ’25, nel 1943, ebbe
grande fortuna nel dopoguerra e fu ripresa
anche da Meinecke nel testo La catastrofe
della Germania. Secondo Croce il
“fascismo non fu escogitato nè voluto da
alcuna singola classe sociale, nè da una
singola di queste sostenuto”; esso fu “uno
smarrimento di coscienza, una depressione
civile e una ubriacatura prodotta dalla
guerra”. Esso non sarebbe quindi il
prodotto di una classe più di altre, ma della
crisi dei valori della società del primo
Novecento e quindi nemmeno un prodotto
esclusivo della storia italiana. Tale analisi
fu all’origine di una tradizione storiografica
feconda che portò alla pubblicazione da
parte di Chabod di alcuni saggi
interpretativi sul fenomeno del fascismo in
cui si passa ad una analisi storica più
attenta. In questa tradizione si inserisce
anche l’opera di Salvatorelli e Mira (Storia
d’Italia del periodo fascista 1952) che ha
punti di contatto con l’interpretazione
democratico-radicale. La seconda tesi si
affermò già durante gli anni della dittatura
e ricollega il fascismo allo sviluppo storico.
Tra i sostenitori di questa tesi ritroviamo
Rosselli e Gobetti. Quest’ultimo,
differenziandosi da Croce aveva spiegato
l’insorgere del fascismo non in un’ottica
etica, come una aberrazione e una
ubriacatura, ma in termini strettamente
storici. Secondo Gobetti il fascismo è la
logica conseguenza del particolare
sviluppo storico dell’Italia, del suo ritardo
nel raggiungimento dell’unificazione
nazionale, del suo scorretto sviluppo
economico, basato su una debole classe
borghese, che è ricorsa all’alleanza con i
conservatori per affermare il proprio
potere. Le indicazioni di Gobetti e di
Rosselli sono alla base di quell’esigenza
sentita soprattutto dalla storiografia
italiana ed inglese di un’analisi attenta del
fascismo entro il contesto storico
nazionale, i cui esiti più significativi sono
da in individuarsi nell’opera di Salvemini. È
da ricordare anche la polemica di Mack
Smith secondo cui “nella storia d’Italia dal
1861 in poi tutto conduce al fascismo”. La
terza tradizione di pensiero è quella
marxista. essa ha origine fin dagli anni
venti, è quella più antica, e trova esponenti
di spicco fra cui Tasca, Gramsci, Togliatti,
per giungere fino al secondo dopoguerra
con Dobb e Sweezy. Il fascismo viene
interpretato entro la struttura socio-politica
della società capitalistica del primo
dopoguerra, caratterizzata da gravi
contraddizioni di cui esso sarebbe la
manifestazione più chiara. Il fascismo
sarebbe così la reazione del capitalismo
alla forza acquisita del movimento
rivoluzionario europeo. La prima opera
sistematica sul fascismo venne pubblicata
da Tasca nel ‘38 a Parigi con il titolo
Nascita e avvento del fascismo: la sua
analisi è incentrata sulla crisi economica
capitalistica. La maggiore influenza fu però
esercitata dall’opera di Gramsci, per il
quale il fenomeno del fascismo rientra
nella peculiarità della storia italiana. Già
nel ‘21 egli afferma che “contro l’avanzata
della classe operai avverrà la coalizione di
tutti gli elementi reazionari dai fascisti ai
popolari ai socialisti”. Dobb ha segnato il
punto d’arrivo di questa tradizione; egli,
infatti ridimensiona il rapporto tra fascismo
e capitalismo affermando che il fascismo è
figlio di un tipo speciale di crisi: cioè una
crisi del capitalismo monopolistico.
Entrando in merito al dibattito attuale, De
Felice, in un’intervista rilasciata al
giornalista americano Ledeen, esprime la
convinzione, ripresa da Tasca, che definire
il fascismo sia anzitutto scriverne la storia.
In secondo momento, elabora una
distinzione tra “fascismo movimento”
(espressione dei ceti medi) e “fascismo
regime” (frutto del compromesso operato
da Mussolini con la classe dirigente
tradizionale ) .