Chiese di Verona
Le chiese di Verona sono i luoghi di culto cattolico che sono sorti
all'interno dei confini amministrativi del comune di Verona,
testimonianze delle alterne vicende che la città ha vissuto nella sua
storia.
Storia
Dalle origini al terremoto del 1117
Dei numerosi edifici sorti agli albori del cristianesimo a Verona
sono rimaste limitate testimonianze; tra le prime sono da Il duomo di Verona, chiesa
annoverare da basilica paleocristiana sorta nel IV secolo in cattedrale della diocesi di Verona
corrispondenza dell'attuale complesso della cattedrale veronese, di
cui sono sopravvissuti resti archeologici ancora visibili all'interno
della chiesa di Sant'Elena, in particolare degli interessanti pavimenti musivi. Tra gli altri indizi
archeologici vi sono anche le tracce rinvenute durante alcuni scavi che hanno permesso di ritrovare
un'abside concentrica nelle fondazioni della chiesa dei Santi Apostoli.[1]
Il sacello delle Sante Teuteria e Tosca, di cui ci è giunta gran parte
delle murature del V secolo, è l'edificio più antico pervenuto fino a
noi quasi integro. Adiacente all'abside della chiesa dei Santi
Apostoli, è una costruzione a croce greca con piccola cupola a
coprire la crociera, una tipologia di edificio che in età
paleocristiana veniva destinato a contenere la tomba di qualche
personaggio importante o, come in questo caso, di un santo. La
chiesa conserva ancora la sua essenza paleocristiana nonostante
Il piccolo sacello delle Sante
abbia subito nel tempo alcune trasformazioni, in particolare
Teuteria e Tosca, martyrion del V l'aggiunta di alcuni spazi nel XIV secolo, quando divenne cappella
secolo funeraria della famiglia Bevilacqua e assunse un impianto
planimetrico quadrato; [1]
Sempre alla stesso secolo appartengono vaste porzioni murarie della chiesa di Santo Stefano, che subì
comunque alcune trasformazioni in epoca altomedievale e romanica; questo edificio, edificato extra
moenia e incluso nelle mura di Verona solo più tardi, risulta particolarmente importante per la storia della
Chiesa veronese, in quanto fu quasi certamente sede vescovile dalla fine del V secolo fino al vescovado
di Annone, nell'VIII secolo. Si trattava, probabilmente, di un edificio preceduto da un quadriportico e con
una pianta ad aula unica terminante in un'abside; decisamente insolita la disposizione a navata unica
unica, visto che la maggior parte delle chiese paleocristiane erano caratterizzate da tre navate, anche se
trova diverse esempi in altre costruzioni religiose coeve in Lombardia e nel centro Europa.[1]
In epoca longobarda e franca sorsero numerose chiese e monasteri,
edifici per lo più conosciuti grazie a due importanti testimonianze
di quel periodo: il Versus de Verona, un componimento in prosa
ritmica databile al regno di Pipino, e l'Iconografia rateriana, una
mappa che il vescovo Raterio fece realizzare intorno alla metà del
X secolo. Questi importanti documenti scritti ci permettono di
conoscere quali chiese erano già esistenti all'epoca tra cui si
ricordano in particolare la chiesa di Santa Maria Matricolare, il
battistero di San Giovanni in Fonte, la chiesa di Sant'Elena e la
chiesa di Santa Maria Antica nel centro più antico, quindi la chiesa
di San Giovanni in Valle al di là dell'Adige e il monastero
benedettino di San Fermo nelle sue vicinanze. All'interno delle Il muro meridionale della chiesa di
mura i documenti ricordano anche la presenza dei monasteri di Santo Stefano, risalente al V secolo
Sant'Eufemia e la chiesa di San Lorenzo, mentre al di fuori i
monasteri dei Santi Nazaro e Celso e di Santa Maria in Organo,
quest'ultimo sotto la giurisdizione del patriarca di Aquileia. Tutti questi edifici, alcuni dei quali
gravemente danneggiati dall'invasione degli Ungari del 932, subirono nei secoli successivi trasformazioni
significative, per cui pochi resti materiali sono giunti inviolati fino ad oggi.[2]
Nel Versus de Verona, inoltre, vi fu il primo tentativo di descrivere
Verona come una piccola Gerusalemme; con l'intento di rendere
l'immagine della città il più possibile aderente all'ideale di purezza
della Gerusalemme celeste, nel testo si cercò di riscattare la
fondazione pagana di Verona volgendo grande attenzione alla
storia sacra dell'abitato.[3] Questo parallelismo tra le due città
venne celebrato, diversi secoli dopo, anche nel proemio agli
L'Iconografia rateriana, la più antica Statuti del Comune di Verona, scritti nel 1450 da Silvestro Lando,
rappresentazione della città di umanista erudito, e nello stesso sigillo della città approvato il 26
Verona che si conosca febbraio 1474, dove comparve l'iscrizione «Verona minor
Hierusalem di(vo) Zenoni patrono». Tornando all'alto medioevo,
era soprattutto l'immagine della città a dettare i termini di
paragone con Gerusalemme, e durante la rinascita carolingia fu in particolare l'arcidiacono Pacifico a dare
impulso al rinnovamento architettonico; fu quindi in quel momento che le venne attribuito il nome di
minor Hierusalem, trovando diverse analogie tra le antiche forme di Verona e Gerusalemme. Infatti, se a
Gerusalemme il torrente Cedron che scorre fuori dalle mura separava le colline del Calvario dal monte
Oliveto, similmente a Verona si vedeva l'Adige separare il monte Oliveto, dove sorge la chiesa della
Santissima Trinità, dal brullo monte Cavro, dove sorge la chiesa di San Rocchetto, detta in passato chiesa
del Santo Sepolcro e dove si ergevano tre croci.[4]
Momento di forte cesura fu il catastrofico terremoto di Verona del 1117, che provocò ingenti danni alla
maggior parte dei monumenti causando la sostanziale scomparsa dalla città della maggior parte delle
testimonianze altomedievali; questo fatto, a sua volta, lasciò lo spazio per un'ampia diffusione dello stile
romanico, utilizzato nella ricostruzione delle chiese colpite.[5] Questo evento fu così cruciale per la città
che la crisi economica e sociale che la attanagliò subito dopo il sisma offrì a una nuova classe cittadina
l'opportunità di prendere il potere, di instaurare una forma di governo locale autonomo e istituire a Verona
uno dei primi liberi Comuni italiani.[6]
La ricostruzione post-sisma: il romanico veronese
Il XII secolo fu quindi un periodo florido per l'architettura
veronese; sia l'alto numero di edifici chiesastici che le loro
peculiarità rendono l'architettura romanica di Verona tra le più
interessanti nonostante sia meno nota rispetto all'architettura
romanica lombardo-emiliana, probabilmente perché il romanico
veronese, con la sola eccezione dell'esuberante basilica di San
Zeno, presenta complessi edilizi discreti e severi, assenti da
decorazioni scultoree. Il linguaggio veronese, infatti, è solo in
parte legato a quello emiliano mentre trova alcuni elementi di
impronta veneziana: in particolare dalla laguna si possono trovare
somiglianze nell'adozione dell'impianto planimetrico basilicale,
nella quasi assenza delle volte e nell'utilizzo, invece, di ampie La facciata della chiesa di Santo
Stefano presenta diversi elementi
capriate lignee di copertura; le tipologie di piante trovano però
tipici del romanico veronese, come
alcuni riscontri anche nell'architettura cluniacense della Francia l'alternanza di corsi di tufo e di
settentrionale.[7] mattoni, l'utilizzo di contrafforti e di
cornici sottogronda
Tra le altre caratteristiche che si ritrovano nel romanico veronese
vi è la spiccata verticalità data dall'utilizzo esterno di lesene e
semicolonne (spesso con capitelli di ordine corinzio, quindi ripetizioni di elementi decorativi classici che
erano facili da ritrovare in città) addossate alla muratura oltre alla mancanza, nella maggior parte dei casi,
di elementi architettonici o decorativi orizzontali, se non per le cornici scolpite in tufo che coronano i
prospetti. Vi è poi la tecnica costruttiva delle pareti, che diviene per un lungo periodo di tempo una
costante, cioè l'utilizzo nella muratura di corsi in conci di tufo alternati a corsi in mattoni di laterizio, che
creano tra l'altro effetti cromatici vivaci.[7]
Tra gli esempi più suggestivi di questo fiorire di architetture
religiose vi è la chiesa di Santa Maria Antica, celebre soprattutto
perché i principi di Verona, i Della Scala, edificarono a fianco di
essa, divenuta loro cappella personale, un piccolo capolavoro
dell'architettura gotica, le cosiddette arche scaligere. L'interno
dell'edificio chiesastico si contraddistingue per la presenza di tre
navate separate da due file di colonne con capitelli piuttosto rozzi,
a forma di piramide rovesciata, con le navate laterali coperte da
volte a crociera e la navata centrale, originariamente, coperta da
Il suggestivo interno della chiesa di capriate lignee.[8]
Santa Maria Antica
Tra le più antiche costruzioni romaniche vi è la chiesa di San
Fermo Maggiore, la cui edificazione iniziò prima del terremoto e
terminò nel XII secolo. Il peculiare edificio prevedeva fin dall'origine la sovrapposizione di due chiese
identiche in pianta; se la chiesa superiore venne rifatta in stile gotico, quella inferiore presenta
sostanzialmente intatto l'aspetto originario, con le navate laterali separate dalla centrale da un'alternanza
di pilastrini quadrati e pilastri cruciformi (anche se la navata
centrale, per questioni tecniche, venne suddivisa
longitudinalmente da una serie di esili pilastrini), e un breve
transetto con absidi orientate nella stessa direzione delle tre absidi
maggiori, poste in corrispondenza delle navate. Lo spazio è infine
coperto da una fitta copertura a volte a crociera.[9]
Significativi per lo
sviluppo della città La cripta della chiesa di San Fermo
Maggiore, detta anche "chiesa
comunale furono due
inferiore"
complessi sorti sui fianchi
dell'antica via Postumia,
una strada che da porta Borsari si estendeva verso il contado: la
chiesa di San Lorenzo e quella, già citata, dei Santi Apostoli. La
prima presenta una pianta simile a quella della chiesa inferiore di
La chiesa di San Lorenzo con le due
San Fermo, con il transetto i cui corti bracci sono articolati in due
torri scalari in facciata
campate e dotati di absidi orientate. L'edificio presenta un esterno
severo e compatto, ritmato da massicci contrafforti e da due alte
torri scalari cilindriche che racchiudono la facciata a capanna; le due torri sono un elemento nuovo
nell'architettura padana e rimandano piuttosto alla tradizione nordica. Pure l'interno è estremamente
peculiare grazie alla presenza, unicum per l'architettura padana, di un matroneo che corre anche lungo la
controfacciata e non solo in corrispondenza delle navatelle laterali. Queste ultime sono separate dalla
navata centrale da archeggiature imposta su pilastri cruciformi alternati a colonne e sono coperte da una
teoria di volte a crociera, mentre la navata centrale è coperto da capriate lignee.[10]
La chiesa dei Santi Apostoli presenta una pianta tipica dell'architettura normanna e borgognone, con tre
navate che terminavano in tre absidi, di cui quella centrale molto profonda e quelle laterali ricavate nello
spessore del muro. La facciata monocuspidata è ritmata da quattro contrafforti simili a quelli di San
Lorenzo, tuttavia la chiesa fu sopraelevata e le navate ridotte ad una sola durante le trasformazioni che
l'edificio subì nel XVI secolo; le tracce della costruzione romanica sono comunque evidenti all'esterno, in
quanto la parte sopraelevata è stata intonacata mentre quella romanica è caratterizzata dal tipico
paramento a vista del romanico veronese, con corsi alternati di mattoni e di tufo.[11]
Passando sull'altra sponda dell'Adige, nel quartiere di Veronetta, si
trova la chiesa di San Giovanni in Valle, realizzata a partire dal
1120 sui resti di un edificio dell'VIII secolo: questa è una delle
opere più preziose del romanico maturo veronese, ove si legge
l'ormai raggiunto equilibrio tra pianta e alzato, l'uso della pianta
basilicale a tre navate separate da colonne alternate a pilastri, ma
con la rinuncia, all'esterno, dell'alternanza cromatica derivata
dall'uso di mattoni e tufo. In questo caso il decoro esterno è infatti
affidato all'utilizzo di conci regolari in tufo e al fregio classico che Il retro della chiesa di San Giovanni
corona alcuni prospetti. La maggiore sensibilità classica si legge in in Valle, con le absidi sporgenti
particolare nell'ampiezza delle masse emergenti delle absidi (di cui coronate da fregi classici e con
la settentrionale dotata di lesene coronate da capitelli corinzi quella di destra dotata di lesene con
finemente scolpiti), e si ripropone nella misura del campanile, capitelli corinzi
collegato all'edificio per mezzo di una grande arcata a tutto sesto
che ricorda il romano ponte Pietra, e nel ritmo delle arcatelle del chiostro, di cui però è sopravvissuto solo
un braccio. L'interno della chiesa possiede una linearità, data dalle tre semplici navate coperte da capriate
lignee, interrotta solo dal presbiterio rialzato, sotto il quale trova spazio la cripta, mentre la fioca
illuminazione naturale proveniente da strette monofore aperte sulla navata centrale ricreano l'originale e
suggestiva atmosfera.[12]
Un complesso di grande interesse è quello della Cattedrale, costituito,
oltre che dalla chiesa madre della diocesi di Verona, anche dal chiostro dei
Canonici, dal battistero di San Giovanni in Fonte e dalla Chiesa di
Sant'Elena, quest'ultima costruita sopra strutture di epoca romana. Questo
complesso divenne dall'età comunale un centro religioso dallo sviluppo
autonomo rispetto a quello civile, anche dal punto di vista urbanistico,
tanto che vide lo stratificarsi di numerose strutture nel corso dei secoli. Il
Duomo subì nel tempo diverse trasformazioni, tuttavia all'esterno
conserva ancora diversi aspetti della chiesa romanica, in particolar modo
nella parte bassa della facciata (sopraelevata nel XV secolo), lungo il
fianco meridionale e nella zona absidale. Assai pregevole il portale a
doppio protiro, opera dello scultore Niccolò, il quale forse partecipò anche
al disegno dell'edificio; imponente la zona absidale, geometricamente
Il portale del Duomo, opera
semplice, con il coro che si staglia sulla scenografia creata dal gioco di
del 1139 di Niccolò
navata centrale e navatelle laterali, e un slanciato verticalismo spinto
grazie alla mancanza di elementi orizzontali e dalla presenza di snelle
lesene con capitelli corinzi, decorati con teste di animali.[13]
Come anticipato, del complesso fanno parte altre due chiese ricostruite negli stessi anni: il battistero di
San Giovanni, consistente in una piccola chiesa a tre navate absidate separate da archeggiature su colonne
alternate a pilastri e coperte da capriate lignee, al cui centro si trova il monumentale fonte battesimale
ottagonale, opera attribuita a Brioloto de Balneo e alla sua bottega;[14] quindi la chiesetta di Sant'Elena, ad
aula unica coperta da capriate e illuminata da strette monofore, il cui sistema costruttivo riprende
l'alternanza di fasce di conci di tufo e corsi di mattoni.[15]
In posizione isolata (quando venne edificata) si trova invece la
chiesa della Santissima Trinità in Monte Oliveto, un angolo di
città pittoresco posto su una piccola altura che dà il nome
all'edificio, voluto dalla congregazione vallombrosana. La pianta è
piuttosto semplice anche se l'abside maggiore è affiancata da due
cappelle laterali absidate che vanno a formare uno
pseudotransetto, mentre la facciata è anticipata da un atrio coperto
ma aperto lungo due lati da una teoria di arcatelle impostate su
Il campanile e l'abside della chiesa
colonnine binate. La parte più caratteristica è però la torre della Santissima Trinità in Monte
campanaria, con il tipico paramento bicromo del romanico Oliveto
veronese e una divisione in tre ordini mediante tre filari di archetti
pensili in tufo, e una snella lesena che percorre tutto il fusto; sulla
cella campanaria, sormontata da una copertura conica, si aprono delle trifore con colonnine binate che
sostengono gli archi a doppia ghiera.[15]
Ritornando oltre l'Adige e alla già citata chiesa di Santo Stefano, il suo
ampliamento e le riparazioni di epoca romanica portò alla costruzione di
una nuova facciata dove si possono riscontrare tutti gli stilemi del
romanico veronese, mentre un unicum nel panorama di Verona è il tiburio
ottagonale, che si innesta sulla crociera del transetto con le navata, ingloba
una piccola cupola e si contraddistingue per la presenza di due ordini di
bifore; esso richiama evidentemente una tipologia di elemento presente
soprattutto nell'area lombarda.[16]
L'esempio più alto del romanico veronese è però rappresentato dalla
basilica di San Zeno, un edificio che va a chiudere adeguatamente il
capitolo su quest'epoca, espressione matura e anticipante alcuni motivi
Il tiburio, che richiama quelli
del romanico lombardo,
gotici, il cui delicato lessico rimanda chiaramente al linguaggio emiliano
della chiesa di Santo coevo piuttosto che a quello severo che aveva contraddistinto l'architettura
Stefano in città fino a quel momento. Essa venne costruita nell'arco di tutto il XII
secolo, anche se le origini sono anteriori e si rimandano alla la presenza
della ricca abbazia di San Zeno, tanto influente da provocare la nascita
dell'omonimo borgo fuori dalla cinta muraria romana e comunali di Verona.[17]
L'importanza dell'edificio principale dell'abbazia, che fronteggia
piazza San Zeno, racchiuso a sinistra dalla torre abbaziale e a
destra dalla romanica chiesa di San Procolo, si può intuire
ammirando il lungo fronte meridionale con gli spioventi
digradante a coprire le navate della chiesa. Al primo momento del
cantiere risale l'imponente torre campanaria che si staglia a
meridione di San Zeno, costruita in filari alterni di tufo e laterizio,
suddivisa in ordini da archetti pensili e coronata da un doppio
ordine di trifore, riproponendo quindi la tipologia di quello della La facciata della basilica di San
Zeno, espressione più alta del
Santissima Trinità ma in proporzioni ben diverse. La facciata a
romanico maturo veronese, di
salienti è l'elemento più celebre anche grazie alla presenza del
chiara derivazione emiliana
celebre portale bronzeo; essa venne realizzata in occasione del
prolungamento dell'edificio realizzato nel XIII secolo, costruita
con l'uso di tufo e marmi che creano un gioco cromatico più elegante rispetto a quello più vivace del
primo romanico cittadino. Viene interrotta da una fascia di bifore che la percorrono per tutta la lunghezza,
scandite da una serie di lesene, mentre al centro si apre la Ruota della Fortuna, ovvero il rosone opera del
maestro Brioloto de Balneo. Infine, l'interno, suddiviso in tre navate da archeggiature che si impostano su
massicce colonne e pilastri cruciformi, ha una vastità che non trova riferimento nelle altre chiese
romaniche cittadine. Chiara introduzione al gotico si riscontra nel chiostro, dove le arcatelle a doppia
ghiera sostenute da colonne in marmo sono, in due bracci, ad arco a sesto acuto, primo esempio
dell'utilizzo di questo elemento a Verona, così come nella torre abbaziale dove le finestre assumono
dimensioni maggiori e all'alternanza dei mattoni e del tufo si sostituisce l'utilizzo esclusivo della muratura
in cotto. Entrambe le strutture risalgono per lo più al Duecento secolo, quindi ad una fase ormai tarda e di
poco precedente a trasformazioni, in particolare politiche, che coinvolgeranno la città.[17]
Due e Trecento: il passaggio al gotico
Il passaggio ad un linguaggio gotico, come visto, avvenne a partire
dal XIII secolo, in un primo momento coinvolgendo non edifici
chiesastici quanto piuttosto relative pertinenze, dove il romanico
cominciò a lasciar posto a superfici più lisce e in cotto e a strutture
semplificate; in effetti l'architettura gotica veronese trova la sua
massima espressione nella fioritura di complessi e costruzioni
civili, nei castelli e nelle fortificazioni. Il rinnovamento delle
Il complesso di Santa Anastasia, strutture e tipologie chiesastiche avvenne in parallelo col fiorire
con l'omonima basilica sulla destra
edilizio durante la signoria scaligera, di cui l'edilizia religiose
e la chiesa di San Pietro Martire
sulla sinistra, due degli esempi più
riprese in parte il linguaggio e la tecnica. Tuttavia, se in età
importanti del gotico veronese; si romanica l'architettura religiosa aveva trovato un linguaggio locale
noti l'uso estensivo del cotto e di originale e portò alla realizzazione di un gran numero di chiese, in
alte finestre, oltre che di arcatelle epoca gotica, tra XIII e XV secolo, gli esempi si fecero meno
sottogronda, guglie e pinnacoli numerosi e importanti; le chiese che vengono edificate in questo
come elementi decorativi
periodo non hanno quindi caratteristiche così spiccatamente locali,
piuttosto presentano rimandi all'architettura coeva lombarda e le
tipologie di piante adottate sono spesso da ricercare nei riferimenti degli ordini religiosi che
commissionavano i lavori. E infatti il rinnovamento dell'architettura religiosa a Verona si deve in
particolar modo all'insediamento di nuovi ordini religiosi, che godettero del favore dei Della Scala,
principi di Verona, e della nobiltà.[18]
Il linguaggio gotico veronese è quindi il medesimo sia che venga utilizzato per l'edilizia religiosa che per
quella civile: le superfici murarie subiscono un'ulteriore semplificazione decorativa, arricchendosi però di
ghiere piattamente scolpite e di archetti decorativi sottogronda; il mattone di laterizio diviene materiale
quasi esclusivo delle murature, conferendo un colore caldo agli edifici che caratterizzano la città ancora
oggi; le aperture diventano di maggiori dimensioni, con archi a tutto sesto o alte bifore e monofore che in
altezza occupano l'intera parete; le coperture sono quasi sempre a capriate lignee su ampi vani,
solitamente non suddivisi in campate; il verticalismo viene ulteriormente accentuato, anche
nell'architettura civile; si fa uso frequente di guglie e pinnacoli sopra la linea di gronda.[19]
La domenicana basilica di Santa Anastasia fu l'avvenimento gotico
di maggiore portata a Verona, punto di riferimento fondamentale
su cui si baseranno l'edificazione delle altre chiese veronesi, non
solo grazie ai rinnovamenti apportati alla pianta, ma anche e
soprattutto per l'utilizzo della muratura in mattoni e per la nuova
tipologia adottata di campanile. Il cantiere del nuovo edificio si
avviò al termine del XIII secolo e le strutture fondamentali furono
terminate nel terzo decennio del XIV secolo, anche se i lavori di
L'interno della basilica di Santa
rifinitura proseguirono a lungo. Internamente la chiesa di Anastasia, caratterizzato dai grandi
caratterizza per la suddivisione in tre navate tramite poderose pilastri cilindrici con capitelli gotici e
colonne terminanti in capitelli gotici, da cui si dipanano archi e dalla grande spazialità e luminosità
volte a crociera a sesto acuto; l'ampio transetto termina con una dell'ambiente
teoria di cinque cappelle absidali, e in quella centrale si aprono
alte monofore che illuminano l'altare maggiore. Esternamente la
facciata è incompleta, tuttavia si può intuire come le murature esterne siano state concepite come una
pelle dello spazio interno, come se fosse una semplice scatola arricchita solo di archetti pensili e
sottolineata da grandi contrafforti, che riescono a convogliare a terra le spinte degli archi e delle volte
interne e che accentuano la verticalità della fabbrica. Come
anticipato il campanile, anch'esso in laterizio, introduce in città
una nuova tipologia che ebbe grande diffusione: la verticalità è
sottolineata da lesene angolari e intermedie che percorrono tutto il
fusto, diviso in ordini da eleganti cornici marcapiano, coperto non
più con la caratteristica pigna conica romanica ma da una guglia
costolonata.[20]
Lungo la piazza Santa Anastasia, inoltre, sorge, come se fosse Le volte a crociera che coprono la
navata centrale, con gli oculi che
quinta scenica, la chiesa di San Pietro Martire; una semplice
illuminano direttamente la navata
struttura in cotto ritmata da lesene e coronata da archetti pensili e centrale
guglie, mentre l'interno, ad aula unica, è diviso in due grandi e
ariose campate.[21]
Un altro ordine religioso che assunse grande importanza negli stessi anni, era quello dei serviti, posto
sotto il diretto protettorato dei Signori di Verona, da cui ottennero numerosi privilegi e donazioni, tra cui
il terreno su cui sarebbe poi sorta la chiesa di Santa Maria della Scala, che proprio dai principi veronesi
prende il nome. Dei primi decenni del XIV secolo, è di volumetria molto semplice ed era dotata di una
pianta a tre navate molto ampie; verso l'esterno, tutto in cotto, si aprivano ampie finestre in facciata e
nella zona absidale. L'edificio venne purtroppo quasi raso al suolo dai bombardamenti della seconda
guerra mondiale, dalla quale si salvarono solamente il campanile, le murature perimetrali e la pregevole
cappella Guantieri.[22]
Agli agostiniani si deve invece il rinnovamento della chiesa di
Sant'Eufemia, costruita al posto di un edificio precedente: i lavori
iniziarono nel 1275 e la chiesa fu consacrata nel 1331, anche se più tardi
la zona absidale venne ampliata e allungata grazie a un grosso lascito di
Diamante, moglie del condottiero Giacomo Dal Verme, che permise la
ricostruzione dell'abside maggiore nel 1361, mentre sul fianco di questa
dopo il 1390 venne aggiunta la cappella Spolverini Dal Verme, su disegno
di Nicolò da Ferrara. Il complesso era inoltre dotato di due chiostri, di cui
uno sopravvissuto fino ad oggi ma trasformato nel XVII secolo su
progetto di Lelio Pellesina. Esternamente la chiesa presenta ancora la sua
semplice veste gotica in cotto, con la facciata a capanna ritmata da due
La semplice facciata della basse lesene e coronata da archetti, e su cui solo più tardi vennero aggiunti
chiesa di Sant'Eufemia un portale e due bifore dal sapore ormai rinascimentale; sempre
all'esterno, infine, la zona absidale e il campanile richiamano
prepotentemente all'esempio di Santa Anastasia. L'interno venne invece
trasformato e rinnovato nel XVIII secolo per cui non presenta più i caratteri originali, se non la cappella
Spolverini Dal Verme, piccolo gioiello gotico dall'accentuata verticalità, dotata di una struttura decorativa
molto ricca, con paraste e costoloni nel catino absidale.[23]
Ai francescani, che presero il posto nel 1260 dei benedettini a seguito di alcune controversie, è infine
dovuto il rinnovamento in chiave gotica della chiesa superiore di San Fermo, uno dei principali
monumenti francescani dell'Italia settentrionale. Proprio per il proseguire delle controversie tra
benedettini e francescani, i lavori tardarono e presero avvio solamente nel Trecento, per cui le
trasformazioni attuate subirono decisamente l'influsso di un gotico maturo, che comunque evitò l'utilizzo
di elementi architettonici troppo complessi o articolati. I lavori apportarono numerose modifiche, per
esempio lo spazio venne ridotto ad un'unica navata in modo da
creare un ambiente arioso e solenne, motivo per cui furono pure
rialzati i muri perimetrali e l'aula coperta da una caratteristica ed
elegante controsoffittatura lignea a carena di nave rovesciata, di
gusto veneto. Inoltre venne stravolto l'aspetto luministico,
rialzando l'abside e aprendovi tre lunghe monofore, aprendo altre
alte finestre lungo la navate e realizzando una ampia quadrifora al
centro della facciata, da cui irrompe una grande quantità di luce.
All'esterno viene ristrutturata la facciata, dove si riprese la
tradizione veronese delle fasce alternate di tufo e di cotto, ma
soprattutto venne trasformata la zona absidale, dove le cornici si
fanno più elaborate e decorative, con uso di archetti pensili, La zona absidale della chiesa di
trafori, motivi a cerchi, e si innalzano un gran numero di cuspidi, San Fermo Maggiore, ricca di
cuspidi e pinnacoli
pinnacoli e guglie. Il retro assume quindi un elaborato stile
tardogotico, che trova numerose affinità nel complesso,
decisamente nordico e quasi fiabesco, delle arche scaligere.[24]
Poche, quindi, furono le nuove costruzioni degne di nota, rispetto
a quelle dell'età romanica. Ma al di là delle strutture chiesastiche,
la città acquistò in quei secoli un carattere gotico specialmente
grazie ai numerosi edifici militari, residenziali, ai palazzi pubblici
e a quelli privati. Nonostante questo nel XV secolo alcune
caratteristiche delle chiese gotiche continuarono a permanere,
Le elaborate cornici della stessa
specie nell'aspetto esteriore, con l'uso del mattone, di alte
chiesa
monofore e bifore e della stessa tipologia di campanile, che
andarono a mescolarsi con elementi e linguaggi
protorinascimentali, come nella chiesa di San Tomaso Cantuariense o nella facciata della chiesa di San
Bernardino.[25]
Quattrocento: i grandi cantieri di rinnovamento
Il XV secolo fu un secolo di grandi cambiamenti sia politici, a
causa della dedizione di Verona a Venezia, sia dal punto di vista
delle istituzioni religiose: l'inizio del secolo, con l'allontanamento
degli Scaligeri dai vertici delle gerarchie ecclesiastiche, non fu
semplice, a maggior ragione perché le maggiori istituzioni
andarono in commenda, compreso il vescovado, portando in
alcuni casi a situazioni di ancor maggiore degrado. Da questo
momento, quindi, vescovi e titolari delle abbazie non furono più
La rinascimentale facciata del
veronesi ma veneziani, o comunque persone appartenenti alle più
palazzo del Vescovado, fatta importanti famiglie aristocratiche venete. Ciononostante, dopo un
realizzare dal vescovo e cardinale inizio complesso, la situazione lentamente evolse e vi fu il rifiorire
veneziano Giovanni Michiel verso la di numerose istituzioni ecclesiastiche non solo dal punto di vista
fine del Quattrocento finanziario o spirituale, ma anche di quello del patrimonio
artistico, proprio grazie alla presenza del clero veneziano e
soprattutto delle congregazioni religiose venete. In particolare si
deve ai vescovi veneziani Guido Memo, Francesco Condulmer, Ermolao Barbaro e Giovanni Michiel, tra
il 1409 e il 1503, l'introduzione di queste nuove congregazioni, che rinnovarono dal punto di vista
edilizio gli edifici chiesastici già esistenti; essi inoltre si impegnarono personalmente nel rinnovamento
della Cattedrale e del palazzo del Vescovado.[26]
Tutta la prima parte del secolo fu quindi di assestamento e non
vide grandi novità sotto il profilo architettonico, mentre un forte
impulso di ebbe a partire dagli anni quaranta quando alcuni
monasteri abbandonati, o quasi, furono affidati alle citate
congregazioni, molto attive negli altri territori della Serenissima e
in attesa di poter trovare nuovo spazio a Verona: nel 1442 il
monastero dei Santi Nazaro e Celso fu affidato a quello di Santa
Giustina, una congregazione padovana; nello stesso anno il
monastero di San Giorgio in Braida venne assegnato alla L'interno, dal gusto tardo gotico,
della cattedrale di Verona,
congregazione veneziana di San Giorgio in Alga; il monastero di
caratterizzato dai pilastri a fascio e
Santa Maria in Organo, precedentemente dei benedettini e dalle volte a crociera costolonate
inizialmente dato in commenda ad Antonio Correr, nel 1444 fu
dato in concessione agli olivetani. Questi divennero così i
principali quattrocenteschi cantieri di rinnovamento dell'edilizia chiesastica di Verona, insieme a quelli
della Cattedrale, avviati nel 1144, e a quelli per la costruzione della chiesa e convento di San Bernardino,
del 1451.[27]
Per quanto riguarda il duomo di Verona, il progetto di trasformazione ebbe
in realtà origine nella seconda metà del XIV secolo ma venne realizzato
solo parzialmente tra il 1444 e il 1503, per cui dal punto di vista
architettonico la struttura risulta avere ancora un sapore gotico,
specialmente per la presenza di pilastri a fascio da cui si dipanano i
costoloni che si sovrappongono alle volte a crociera, in maniera molto a
simile a quella che si era sperimentata nella chiesa di San Petronio a
Bologna e che sarebbe stato successivamente sviluppato per il duomo di
Milano. Un linguaggio completamente diverso fu invece utilizzato nelle
sei cappelle aggiunte nell'ultima parte di cantiere, lungo i fianchi delle
navate laterali: queste conservano infatti degli elementi tipici di una
spazialità rinascimentale, data dalla presenza di un grande arco interno
La rinascimentale cappella inquadrato da due lesene sormontate da un accenno di trabeazione.[28]
Calcasoli al Duomo, Queste sono inoltre caratterizzate da un catino a forma di conchiglia e da
circondata dall'architettura
grandi architetture dipinte che le incorniciano, ritornate alla luce solo
dipinta di Gian Maria
Falconetto
durante il 1870. Furono poi previste due cappelle laterali di dimensioni
molto maggiori rispetto a quelle a cui si è appena accennato, una sul lato
meridionale e una su quello settentrionale, e poste subito prima del
presbiterio a far loro assumere il ruolo di transetto, e trasformando così la pianta della chiesa in croce
latina, in luogo di quella basilicale che caratterizzava l'edificio romanico.[29]
Altro edificio ancora manifestamente gotico è la chiesa di San Tomaso Cantuariense, come appare in
particolar modo dall'aspetto, seppur incompleto, esterno, nonostante pure questo cantiere fosse stato
avviato nella seconda metà del secolo. Neppure la chiesa di San Bernardino si può certo dire di gusto
rinascimentale, anzi l'interno, ad una sola navata, ha qualità architettoniche piuttosto scarse, forse dovute
alla modestia della committenza francescana, anche se sul finire del secolo la costruzione venne nobilitata
dalla realizzazione, lungo il fianco di destro, di alcune ricche
cappelle:[30] la cappella dei Medici, o di Sant'Antonio, e la
cappella Avanzi, o della Croce.[31] Contemporaneamente ai lavori
della chiesa, vennero portati avanti anche quelli sul convento,
organizzato attorno a tre grandi chiostri e uno di minori
dimensioni, diretti forse da Giovanni da Capestrano. Opera
pregevole fu in particolare il grande salone rettangolare che,
inizialmente adibito a biblioteca, fu svuotato e affrescato da
La chiesa di San Bernardino,
Domenico Morone, da cui prende il nome lo stesso ambiente.[32] caratterizzata ancora da un
linguaggio gotico se non per il
Il Rinascimento fece però il portale d'accesso
suo ingresso a Verona in
maniera più decisa con la
ricostruzione e il rinnovamento delle già citate chiese dei Santi
Nazaro e Celso, San Giorgio in Braida e Santa Maria in Organo,
dove le nuove congregazioni importano in città il nuovo
linguaggio architettonico rinascimentale. La parte più consistente
del cantiere della prima chiesa ebbe luogo tra il 1464 e il 1466,
La cappella di San Biagio nella
chiesa dei Santi Nazaro e Celso
tuttavia i lavori proseguirono probabilmente fino alla data della
sua consacrazione, nel 1483: da questo intervento ne risultò una
pianta a tre navate terminanti in altrettante absidi, con le navate di
sei campate ciascuna e divise tra di loro da pilastri dorici su alte basi, i quali sorreggono pilastri ionici su
cui si impostano le arcate di cintura delle volte. Si nota tuttavia ancora la presenza di arcate trasversali a
sesto acuto lungo le navate laterali, con copertura a volte a crociera.[33] In un secondo momento, a partire
dal 1488, ulteriori lavori riguardarono l'edificazione della cappella di San Biagio lungo la navata sinistra
della chiesa: si tratta di un ambiente a pianta centrale coperto da una cupola, con due nicchie laterali e
concluso da un'abside dotata di una volta a ombrello costolanata, questa di gusto tardo gotico e
probabilmente opera di Beltrame di Valsoda. In questo spazio vi fu l'esordio del giovane pittore Giovanni
Maria Falconetto, che rifiutò quella combinazione tra impianto centrale classico e abside gotica,
realizzando così una vera e propria architettura dipinta, di gusto rinascimentale e polemica verso l'abside
realizzata da Beltrame.[31]
L'interno della chiesa di San Giorgio in Braida fa invece
evidentemente riferimento ad architetture veneziane, come
veneziana è la congregazione che vi prese possesso; essa venne
iniziata nel 1477 forse da Antonio Rizzo, architetto che a Venezia
lavorò nei cantieri delle Procuratie e del Palazzo Ducale, al quale a
Verona venne tra l'altro chiesto, l'anno prima, di progettare la
loggia del Consiglio, sorta in piazza dei Signori.[34] Nel frattempo
si lavorò anche nel monastero, in particolare alla realizzazione di
un secondo chiostro di cui sono sopravvissute solo cinque arcate a L'interno della chiesa di San Giorgio
tutto sesto impostate su colonne di marmo rosso di Verona, visibili in Braida, una delle più importanti
presso l'abside della chiesa.[35] testimonianze rinascimentali in
Verona, anche per le numerose
Poco più tardi vi fu l'avvio dei lavori nella chiesa di Santa Maria opere d'arte che custodisce, tra cui il
in Organo dove vennero rinnovati in forme rinascimentali gli Martirio di San Giorgio del Veronese
interni, con la ricostruzione delle navate e delle cappelle laterali,
forse ad opera dell'architetto Biagio Rossetti, che negli anni
precedenti lavorò nel chiostro del convento di San Bartolomeo a
Rovigo e al campanile della chiesa di San Giorgio a Ferrara, tutti
monasteri appartenenti agli olivetani.[34] Essi non si limitarono a
rinnovare la chiesa, ma si impegnarono pure nell'annesso
monastero, dove è ancora possibile ammirare un pregevole
chiostro con colonne di marmo rosso veronese e capitelli
rinascimentali, ma coronato in alto da un fregio in terracotta
Il chiostro del monastero di Santa
Maria in Organo
ancora di gusto gotico. L'impegno dei committenti, che
proseguirono i cantieri anche nel secolo successivo (come avvenne
d'altro canto anche per altre fabbriche che si avviarono in questo
periodo), venne premiato da papa Eugenio IV che li esentò addirittura dal versare contributi per i
rifacimenti della Cattedrale.[32]
Come si è visto, questo periodo vide il moltiplicarsi delle cappelle nelle fiancate delle chiese, fenomeno
che era iniziato già nel XIV secolo, ma che a partire dal Quattrocento vide moltiplicare la domanda di
altari; molto spesso erano cappelle per uso privato da parte di ricche famiglie oppure di confraternite, che
vi collocarono i sepolcri dei propri congiunti e che fruivano di quegli spazi per i suffragi dei defunti, in
altri casi cappelle o altari venivano invece acquistati ed edificati dalle corporazioni delle arti e mestieri
che le dedicarono al culto dei propri patroni. Queste cappelle potevano essere dei semplici altari situati
entro nicchie ma in alcuni casi assumevano proporzioni molto maggiori, fino a diventare delle piccole
chiese poste ai fianchi della grande; fu un fenomeno che non "risparmiò" nemmeno le tre grandi chiese
edificate nel Trecento dagli ordini mendicanti, Santa Anastasia, San Fermo e Sant'Eufemia, dove man
mano si chiusero le alte monofore gotiche sui fianchi per potervi realizzare le nuove cappelle.[36]
Cinquecento: Sanmicheli e il rinascimento veronese
Se a Verona la seconda metà del XV secolo fu caratterizzato da un
rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche, il XVI portò la
riorganizzazione della vita religiosa, in particolare delle monache,
grazie alle Costitutiones emanate dal vescovo Gian Matteo Giberti
e alla successiva introduzione dei dettami del Concilio di Trento
da parte dei suoi successori; la nuova legislazione portò alcune
disposizioni per l'edilizia sacra per cui chiese, monasteri e
conventi si adattarono per rispondere alle nuove esigenze. Un
secondo fattore che portò grandi stravolgimenti nell'edilizia La pianta della città dopo la
cittadina fu l'esecuzione delle spianate: tra il 1517 e il 1518, realizzazione delle spianate fuori
infatti, il Senato veneto decise di rendere più sicura la città da dalle mura, che causarono il
trasferimento di chiese, conventi e
eventuali attacchi nemici, per cui furono completamenti demoliti
monasteri entro il perimetro della
tutti gli edifici, comprese le chiese, i monasteri e addirittura gli
cinta fortificata
alberi, situati entro un miglio dalle mura scaligere di Verona.
All'esterno della città sorgevano infatti diversi abitati, anche di
grosse dimensioni, che non consentivano di evitare eventuali accerchiamenti da parte dei nemici, che
infatti in passato erano riusciti ad arrivare alle porte della città, in particolare durante le fasi più difficili
della guerra della Lega di Cambrai, svoltasi tra 1508 e 1516. La realizzazione della cosiddetta "spianà"
attorno alla città, fu premessa per la ricostruzione di buona parte di questi monasteri e delle chiese
all'interno del perimetro delle mura cittadine.[37]
Nel frattempo nei grandi cantieri avviatisi nella seconda metà del
Quattrocento erano terminati i lavori principali sulle strutture
murarie, tuttavia le fabbriche proseguirono nel Cinquecento con
interventi di rifinitura e completamento; fu in questo momento che
entrò sulla scena il più noto tra gli architetti veronesi, Michele
Sanmicheli, il quale fu il terzo elemento di fondamentale
importanza per la storia dell'edilizia sacra di questo secolo per
Verona, insieme ai due già citati. Egli fu infatti attivo in diversi
cantieri, come nella chiesa di San Bernardino: nel mentre che si
stavano per concludere i lavori al convento, era in pieno
svolgimento l'edificazione di nuove cappelle sul lato destro
Il primo ordine della rinascimentale dell'edificio chiesastico, tra cui la monumentale cappella
cappella Pellegrini, opera Pellegrini, realizzata su progetto del Sanmicheli. Egli vi lavorò,
dell'architetto Michele Sanmicheli
probabilmente, a partire dagli ultimi mesi del 1527, traendo spunto
dalla sua ampia conoscenza dei modelli classici; la raffinata
cappella a pianta centrale venne addirittura descritta dal Vasari come la più bella d'Italia. Sicuro è che per
la prima volta a Verona, in questa struttura venne realizzata una cupola impostata su tamburo, elemento
caratterizzante l'architettura sanmicheliana che egli impiegò in diverse opere successive: nella chiesa di
San Giorgio in Braida, di cui realizzò solamente tamburo e cupola, nella chiesa della Madonna di
Campagna e nel tempio posto al centro del Lazzaretto di Verona.[38]
Qualche anno dopo nella Cattedrale, dove nel frattempo stavano
proseguendo i lavori di rinnovamento, venne commissionato a
Sanmicheli la progettazione del tornacoro, molto probabilmente
disegnato nel 1535 ed eseguito nel 1541. Si tratta di una versione
"estrema" di un'iconostasi, ovvero di un tramezzo pensato
dall'architetto come una struttura plastica in cui l'elemento di
tradizione veneta si rinnova adottando una planimetria
rinascimentale; egli ottenne così una struttura autonoma di pianta
ellissoidale, destinata a proteggere e allo stesso esaltare la
presenza eucaristica, precedentemente ospitata in un ripostiglio a Il sanmicheliano tornacoro a
lato del presbiterio. Sempre a lui, con l'assistenza nell'esecuzione sviluppo semicircolare nel Duomo di
del cugino Bernardino Brugnoli, si deve il disegno del campanile. Verona e sullo sfondo l'affresco di
La torre venne impostata sulle solide fondazioni del campanile di Francesco Torbido su disegni
preparatori di Giulio Romano
epoca romanica, che era stato per l'occasione demolito, tuttavia
sembra che durante la costruzione, in assenza dell'architetto, il
vescovo affidò la direzione dei lavori ad altri in modo da velocizzarne la realizzazione, tuttavia giunti alla
cella campanaria vi fu un crollo parziale della struttura. I lavori ripresero solo al ritorno di Sanmicheli,
che apportò alcune modifiche al disegno originario, purtroppo però l'edificazione terminò nel 1579 e il
suo progetto rimase incompiuto; la sopraelevazione della torre campanaria venne ripresa solo nel 1913 su
progetto dell'architetto Ettore Fagiuoli, il quale reinterpretò il linguaggio sanmicheliano, ma pure in
questa occasione non si riuscirono a terminare i lavori, lasciando in sospeso l'esecuzione della prevista
loggia coronata da una cuspide.[39]
Pure nella chiesa di San Giorgio in Braida il Sanmicheli intervenne in due momenti: prima nel 1540 ad
innestare l'ardita cupola sull'edificio ormai completo, e successivamente nel disegno del campanile, pure
qui coadiuvato dall'architetto Borelli e anche in questo caso rimasto, purtroppo, incompiuto.[40] Di
qualche anno precedente e di autore sconosciuto è invece la
realizzazione del chiostro rettangolare situato a lato della chiesa,
caratterizzato da un primo livello di colonne ioniche in pietra
calcarea veronese che, lungo il lato settentrionale, raddoppia in
altezza per la presenza di un loggiato con colonne di ordine
dorico, che hanno un passo lungo la metà rispetto a quello del
colonnato al livello inferiore. In basso esso presenta ancora, come
i chiostri medievali veronesi, lo stilobate in muratura intonacata
La chiesa di San Giorgio in Braida
con la prominente cupola del
sormontato da una semplice copertina in pietra, mentre in alto le
Sanmicheli colonne reggono, tramite dei peducci incastrati nella parete, le
volte a crociera che coprono i corridoi perimetrali; il chiostro
dimostra quindi un disegno semplice e ancora acerbo seppur ben
armonizzato con le strutture circostanti.[41]
Sanmicheli progettò poi la facciata della chiesa di Santa Maria in Organo,
il cui lavoro gli venne commissionato dall'abate Cipriani. Conclusa nel
1592 solo nella parte inferiore, il maestro veronese ideò una monumentale
facciata marmorea forse ispirata al tempio malatestiano di Rimini, con tre
grandi fornici a tutto sesto separati da colonne e massicci pilastri.[42] I
lavori nel monastero non si fermarono però alla facciata sanmicheliana,
che fu preceduta nel 1504 dalla realizzazione della nuova sagrestia che
pochi anni dopo venne arricchita delle celebri spalliere con gli intarsi
lignei di fra Giovanni da Verona, mentre al 1525 risale la ripresa dei lavori
al campanile, disegnato dallo stesso frate ma terminato dopo la sua morte
dal lapicida Francesco da Castello, che con ogni probabilità diresse anche La facciata di Santa Maria
i lavori di completamento dell'interno dell'edificio chiesastico e la in Organo con in basso
realizzazione nel 1517 del chiostro ionico, di cui sopravvivono solo le l'opera di Michele
tracce ma che può forse considerarsi la prima testimonianza nel Sanmicheli e in alto la parte
di origine romanica
Rinascimento veronese di assunzione di un modello romano e classico da
parte di un architetto.[43]
Infine l'ultimo edificio chiesastico disegnato dal genio veronese, la
chiesa della Madonna di Campagna, la cui edificazione iniziò nel
1559, anno della morte dell'architetto, e terminò nel 1589;[44] forse
proprio a causa della realizzazione postuma, l'edificio
effettivamente costruito potrebbe non rispecchiare in pieno i
disegni originali di Sanmicheli, o almeno il Vasari asserisce che vi
siano alcune differenze sostanziali.[45] La chiesa, a pianta centrale,
è circondata da un interessante porticato che Sanmicheli non volle
solo per fornire un riparo, ma anche per richiamare i templi
classici romani come ad esempio il tempio di Vesta a Roma e il
La chiesa della Madonna di
Campagna in una fotografia del tempio della Sibilla a Tivoli.[46] Distintivo, poi, il fatto che se
1972 di Paolo Monti l'esterno dello chiesa appare circolare (anche se in realtà più simile
ad un ovale) l'interno ha, inaspettatamente, pianta ottagonale.[47]
Infine si annota che in questo secolo, come in quello precedente,
molte chiese si dotarono di preziose cappelle; tra le più
interessanti, oltre a quella già citata della chiesa di San
Bernardino, è la cosiddetta cappella del Rosario, posta lungo la
navata sinistra della basilica di Santa Anastasia, opera di
Domenico Curtoni, nipote e allievo del Sanmicheli.[41]
L'intervento venne realizzato tra il 1585 e il 1596 grazie alle
donazioni raccolte dalla confraternita che vi aveva sede e che volle
La cappella del Rosario, opera di
quest'opera per celebrare la vittoria di Lepanto del 1571 a cui la Domenico Curtoni
città di Verona aveva partecipato con tre compagnie di soldati.[48]
La cappella si mostra come il primo monumento di un nuovo
linguaggio, ormai seicentesco, il cui completamento con l'aggiunta di affreschi, tele, statue e marmi
colorati fino a formare un'opera d'arte unitaria, dovette durare ancora alcuni anni.[41]
Seicento: tra tradizione classicista e rinnovamento barocco
Negli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo sorsero nuovi ordini
religiosi, tra cui i Gesuiti, i Teatini e i Cappuccini, che nello stesso periodo
si insediarono anche a Verona, dove edificarono nuove chiese e conventi
accanto a quelli già esistenti. Nel frattempo vennero introdotte nella
diocesi le disposizioni delle Instructiones fabricae redatte nel 1577 da san
Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano: si trattava dell'unico trattato
controriformista volto ad applicare in architettura i decreti del Concilio di
Trento, che inglobava quindi una grande sistemazione disciplinare
dell'iconografia e dell'architettura religiosa, la catechesi artistica e la
precettistica figurativa controriformistica. Tali disposizioni, che avrebbero
costituito per secoli il codice della Chiesa per l'arte sacra, furono
Il campanile della chiesa di probabilmente introdotte a Verona mentre il Borromeo era ancora in vita,
San Sebastiano, unico in quanto egli ebbe come vicario generale e collaboratore l'influente
elemento scampato alla relisioso veronese Nicolò Ormaneto e come amico il vescovo di Verona
seconda guerra mondiale
Agostino Valier.[49]
Inoltre il cardinale e vescovo Valier introdusse a Verona i Gesuiti nel
1577, che l'anno successivo riuscirono già ad aprire delle scuole in alcuni fabbricati situati lungo via
Cappello, ottenuti tramite un decreto poi confermato nel 1580 da papa Gregorio XIII. Nel 1591 ottennero
finalmente di costruire il loro tempio, la chiesa di San Sebastiano, tuttavia nel 1606 furono costretti a
lasciare Verona per colpa di un interdetto che colpì la repubblica di Venezia, e poterono tornarvi
solamente nel 1656, quando portarono a compimento la costruzione del complesso. Successivamente la
facciata, già iniziata, venne terminata: essa si caratterizzava da un'impeccabile simmetria classica, che
non lasciava immaginare invece l'opposto linguaggio barocco utilizzato negli spazi interni.[50] Di questo
edificio chiesastico, bombardato e quasi raso al suolo durante la seconda guerra mondiale, sopravvivono
solamente due elementi, il campanile e la facciata. Il campanile è stato l'unico elemento che riuscì a
salvarsi integralmente, così ancora oggi svetta nel pieno del centro storico di Verona con la sua quarantina
di metri di altezza, accanto alla biblioteca civica: sulla cella campanaria conserva l'emblema dei Gesuiti,
ovvero il simbolo "JHS" sormontato da una croce con i tre chiodi della passione, mentre lungo il fusto si
trova la grande statua di sant'Ignazio di Loyola, fondatore dell'Ordine.[51] La facciata invece venne
gravemente danneggiata, venne quindi smontata e ricollocata sul prospetto principale della chiesa di San
Nicolò all'Arena, che dal Seicento era rimasta incompiuta. Essa si
contraddistingue per le quattro colonne scanalate ioniche di ordine gigante
che sorreggono il timpano, suddividendo il prospetto in tre fasce verticali:
quella centrale, ove si apre il portale d'ingresso principale, e le due
laterali, che presentano due portali minori sormontati da due frontoni, e
sopra di essi delle nicchie sormontate a loro volta da piccoli riquadri
decorati con festoni classicheggianti.[52]
Nel 1602 Valier diede in
concessione ai Teatini la chiesa di
San Nicolò all'Arena, confermata
l'anno successivo da papa
La facciata, originariamente
Clemente VIII. Questi vi si della chiesa di San
stabilirono nel 1622 e solo nel Sebastiano, nel dopoguerra
1627 iniziarono i lavori di venne smontata e
ristrutturazione dell'intero edificio ricomposta di fronte ad un
L'area presbiteriale della chiesa di
chiesastico, che venne completato altro edificio seicentesco, la
San Nicolò all'Arena, con l'altare
piuttosto velocemente e consacrato chiesa di San Nicolò
maggiore di Guarino Guarini
all'Arena
nel 1697. Questa è una delle poche
testimonianze del periodo barocco
veronese, il cui disegno si deve all'architetto Lelio Pellesina e la direzione dei lavori al figlio Vincenzo;
essa ricalca lo schema controriformistico della navata unica con ampio transetto e cappelle laterali,
tuttavia anche in quest'opera, forse anche per la mancata realizzazione della cupola che gli avrebbe
donato più ampio respiro e teatralità, si mostra un linguaggio architettonico e decorativo legato a schemi
classici, con uno spazio interno elegantemente decorato da pilastri corinzi e diciassette nicchie nelle
pareti ove trovano collocazione diverse statue, se non nel progetto dell'altare maggiore di Guarino
Guarini, un oggetto dotato di una potente anima barocca caratterizzato da un tabernacolo mosso e
articolato da una sovrapposizione di colonne in cui la vista frontale viene sostanzialmente annullata. La
facciata, come anticipato, è stata posta solo dopo la seconda guerra mondiale, quando furono riutilizzati i
resti del prospetto principale della chiesa di San Sebastiano, reintegrata con le parti mancanti, salvando
così una parte del monumento destinato a scomparire.[53]
Altra chiesa barocca è Santa Teresa degli Scalzi, fatta edificare dai
Carmelitani a partire dal 1666, ma i cui lavori proseguirono a rilento, tanto
che la facciata venne conclusa quasi un secolo dopo. L'edificio, progettato
da Giuseppe Pozzo, fratello del più celebre architetto Andrea, è a pianta
centrale e più precisamente ottagonale, con l'aula coperta da un soffitto
piano sostenuto da un cornicione con mensole fortemente aggettante.
All'interno si trovano tre cappelle rettangolari dove si collocano dei
complessi e articolati altari, di cui l'altare maggiore, sempre dello stesso
Giuseppe Pozzo, ricorda quello ideato dal Guarini per la chiesa di San
Nicolò all'Arena e ne prosegue la ricerca.[54]
Altro interessante intervento fu la realizzazione del sagrato della chiesa
La chiesa degli Scalzi con
dei Santi Nazaro e Celso mediante l'edificazione di un recinto ellittico
l'altare barocco di Giuseppe
ideato nel 1688 dall'architetto Antonio Saletti. Al sagrato si accede tramite Pozzo
un ricco portale d'ingresso costituito da colonne binate sul cui fusto sono
legati dei drappi, secondo il gusto del tempo, e sulle quali insiste il timpano; lungo il prospetto interno del
recinto sono ricavate diverse nicchie che forse ospitarono delle statue, anche se non ci sono testimonianze
della loro passata presenza.[55]
Anche in questo secolo si continuarono a costruire, all'interno
delle chiese, cappelle private, dotate di autonomia spaziale e
figurativa rispetto ai templi stessi; i due esempi più importanti
sono cappella Varalli nella chiesa di Santo Stefano e la cappella
della Madonna in quella di San Fermo Maggiore. La prima venne
edificata tra il 1618 e il 1621, ideata come una struttura a
parallelepipedo sormontata da un cilindro finestrato, il cui interno
è finemente decorato con stucchi manieristici che ricordano quelli
La cupola della cappella Varalli nella
chiesa di Santo Stefano
della cupola del chiesa dell'Inviolata di Riva del Garda e della
basilica di Santa Maria delle Grazie di Brescia. Tra il 1610 e il
1630 venne invece trasformata, molto probabilmente su progetto
di Domenico Curtoni, la cappella della Madonna nella chiesa di San Fermo, rivestita di un nuovo
paramento architettonico. La decorazione ricorda quella della cappella del Rosario della basilica di Santa
Anastasia, dello stesso autore: pure questa, infatti, è rivestita di marmi colorati, anche se solo nella parte
inferiore, e questi riproducono delle piatte edicole al centro delle pareti laterali, mentre lungo il prospetto
principale di erge l'altare maggiore, di tipologia simile a quello presente in Santa Anastasia, con timpano
sostenuto da colonne leggermente sporgenti, ma semplificato.[56]
Nello stesso periodo vi furono numerosi altri interventi, alcuni andati perduti, come per esempio la chiesa
di San Fermo Minore, ricostruita nel 1626 su disegno di Lelio Pellesina, e altri ancora presenti, come la
trasformazione nel 1617 della chiesa di San Benedetto al Monte, che perse il suo carattere originario
antico, e l'ammodernamento partito nel 1656 della chiesa di San Luca.[56]
Settecento: tendenze rigoriste e neoclassiche
Dopo le grandi imprese edificatorie delle chiese di San Sebastiano e di
San Nicolò all'Arena del XVII secolo, a Verona non si registrarono più le
condizioni necessarie a dar vita a nuovi ambiziosi progetti di edifici
religiosi, ciò non solo a causa delle mutate condizioni di ordine religioso,
in particolare con l'affievolirsi del fervore controriformista, ma anche
economico e sociale. Inoltre, con la presenza consolidata dei grandi
impianti chiesastici realizzati tra XII e XIII secolo, momento di maggior
intensità edilizia religiosa in città, e con gli interventi di rinnovamento
realizzati tra XV e XVII secolo, il tessuto urbano cittadino poteva ormai
dirsi sostanzialmente saturo di architetture religiose: nel 1757 si
registravano addirittura 130 edifici sacri. Di questi, nel corso del XVIII
Ritratto di Scipione Maffei,
secolo solo una quindicina furono interessati da interventi di illustre umanista che
aggiornamento o ristrutturazione, e pochi furono quelli rilevanti. Oltre a influenzò il clima culturale
questo è da segnalare che diversi episodi portarono alla perdita di una della Verona settecentesca
buona parte di queste trasformazioni settecentesche: le soppressioni
napoleoniche, i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale e
alcuni interventi speculativi dell'immediato dopoguerra, come la demolizione dell'oratorio di San
Giacomo Maggiore, opera di Alessandro Pompei, nel 1956.[57]
Tuttavia gli interventi nell'edilizia religiosa del Settecento veronese non furono di scarso valore, infatti i
fermenti illuministi diffusi nella cultura locale dal grande umanista Scipione Maffei trovarono ampia
risonanza nell'ambito dell'architettura, con l'impegno a ristabilire i modelli classici che, tra l'altro, a
Verona non erano mai stati del tutto abbandonati grazie alla forte tradizione sanmicheliana. Grande
impegno in questo ambito vi fu da parte di Alessandro Pompei, amico e allievo del Maffei, che criticò
aspramente le poetiche barocche e nel 1735 pubblicò il trattato Li cinque ordini d’architettura civile di
Michel Sanmicheli, anticipando le tematiche dell'architettura neoclassica. Seguirono poi questa tendenza,
in particolar modo nell'edilizia civile, gli architetti Adriano Cristofali, Girolamo Dal Pozzo, Luigi Trezza
e, nel secolo successivo, Bartolomeo Giuliari, Giuseppe Barbieri e Francesco Ronzani.[58]
Prima dell'affermarsi delle tendenze illuministiche e neoclassiche,
all'inizio del secolo vi furono però altri episodi tardo barocchi di
rilievo. Nel 1739 per esempio venne rifatta la piccola chiesa di
San Matteo, situata in prossimità di porta Borsari, dai cui lavori ne
derivò un edificio di proporzioni aggraziate e decorazioni eleganti.
Vennero poi completati gli interni della già citata chiesa di San
Luca e della chiesa di Santa Maria del Paradiso, ultimata
nell'Ottocento con la realizzazione della facciata neoclassica. Tra
L'interno della chiesa di
Sant'Eufemia, rinnovata in forme
gli interventi più importanti vi furono poi quelli per la
barocche dal 1739 trasformazione della chiesa di Sant'Eufemia, i cui interni gotici
furono ridotti ad un'unica aula di gusto barocco, anche se
modifiche più tarde isolarono le inserzioni barocche di altari e
cappelli, aggiungendo decorazioni più neutre.[59]
Altro intervento interessante e che si contraddistingue per il linguaggio
tardo barocco è la chiesa di Santa Caterina alla Ruota, opera del bolognese
Giuseppe Montanari, allievo di Ferdinando Bibiena e sostenitore della
scuola del barocco bolognese, come dimostra pure il disegno della facciata
della chiesa, che provocò diverse polemiche e critiche in un ambiente,
quello veronese, fortemente rispettoso della tradizione locale. Le solide
competenze professionali gli consentirono tuttavia di realizzare
un'originale spartito architettonico, con un forte accento chiaroscurale
dato dall'arretramento della fascia centrale della facciata e dotato di un
esuberante plasticismo decorativo tipico dell'ultima fase del barocco, dato
dall'utilizzo di colonne d'angolo incassate e timpani spezzati: questi
elementi, ben orchestrati, riuscirono a creare una originale scenografia La chiesa di Santa Caterina
urbana.[60] alla Ruota, opera di
Giuseppe Montanari
Opera di grande rigore classicista fu invece la chiesa di San Giacomo
Maggiore, meglio conosciuta come San Giacometto, realizzata nel 1756
dal Pompei ma purtroppo demolita nel secondo dopoguerra; si trattava di un piccolo oratorio a pianta
quadrata con due nicchie laterali ove trovavano spazio altari minori e un ampio presbiterio rettangolare
terminante nel coro. L'interno era ritmato da lesene di ordine ionico su cui si impostava la trabeazione,
risolta in maniera ammirevole negli incastri d'angolo, infine lo spazio era coperto da un soffitto a crociera
e da quattro grandi arcate sovrastanti gli assi della costruzione. La facciata, dotata di un'essenzialità che
richiama il purismo classicista, si caratterizzava per la presenza di quattro paraste ioniche reggenti un
ampio frontone.[61] L'architetto riprese la stessa raffinata compostezza
classicista nel disegno del 1763 della facciata e degli interni della vicina
chiesa di San Paolo in Campo Marzio, la cui esecuzione venne completata
da altri con poche differenze.[62]
Architetto più prolifico fu Adriano
Cristofali che, tornato dal
soggiorno romano, lavorò a Verona
su diversi edifici religiosi e civili.
Fra le sue opere vi fu per esempio
la ristrutturazione della chiesa di
San Pietro Incarnario, edificata su
La facciata neoclassica
della chiesa di San Paolo,
preesistenze del X e del XV secolo.
opera di Alessandro Nell'edificio, già in costruzione nel
L'interno della chiesa di San Pietro
Pompei 1749, venne mantenuta l'originaria
Incarnario prima delle trasformazioni
zona absidale quattrocentesca su
novecentesche
richiesta della committenza,
innestandovi così il nuovo impianto ad aula unica con tre cappelle
per lato, incorniciate da una travata ritmica di ordine ionico; gli angoli dello spazio interno furono
eliminati raccordando le pareti tramite degli smussi obliqui su cui la travata ritmica proseguiva,
conferendo in tal modo una maggiore unità spaziale all'aula. L'interno venne coperto da una volta a botte
lunettata poggiante direttamente sulla trabeazione, con ampie finestre in corrispondenza delle cappelle.
La facciata, che invece non fu realizzata su disegno del Cristofali, è caratterizzata da un linguaggio
classicheggiante ma priva di elementi di rilievo.[63]
Tra gli altri edifici religiosi realizzati dal Cristofali vi furono: la chiesa di Santa Lucia, affacciata lungo
stradone Porta Palio, edificata tra il 1743 e il 1765 ma di cui rimane solamente la facciata, peraltro
alterata;[64] la chiesa di San Tomio, da lui rinnovata intorno al 1748 ma trasformata in teatro da Luigi
Trezza dopo le soppressioni napoleoniche, quindi ritrasformata in luogo di culto nel 1836 anche se ormai
alterata (tuttavia si conserva perfettamente integra la facciata realizzata dal Montanari);[65] l'ormai perduto
dormitorio del monastero di San Salvatore in Corte Regia, ammirato dai contemporanei e giudicato senza
eguali in tutta italia.[66]
L'episodio più significativo dell'architettura neoclassica veronese fu probabilmente la costruzione della
chiesa di San Fermo Minore di Brà, anche se si trattò di un intervento, un po' come quello del Montanari
a Santa Caterina alla Ruota, estraneo alla cultura architettonica cittadina. L'oratorio precedente era
ritenuto dai committenti troppo scomodo e angusto, così optarono per un radicale rinnovamento della
struttura, il cui progetto venne dato a Michelangelo Castellazzi. Ben presto egli venne sostituito
dall'architetto veneziano Andrea Camerata il quale, in un momento in cui in Veneto vi era stato un revival
dell'architettura di Andrea Palladio, propose, in una città che mai era stata sensibile al linguaggio del
famigerato architetto rinascimentale vicentino, un progetto che faceva evidentemente riferimento ad
alcune sue chiese veneziane. In particolare Camerata recuperò la facciata della basilica di San Giorgio
Maggiore e attinse alcune variazioni dalla basilica del Redentore e dalla chiesa di San Francesco della
Vigna. Nonostante egli si rifaccia a modelli precedenti dimostrando scarsa autonomia compositiva, riuscì
tuttavia a proporre per il nuovo prospetto un risultato elegante e dai rapporti proporzionali ben
congegnati. Meno fortunato fu il disegno dell'impianto planimetrico, in quanto longitudinalmente lo
spazio utilizzabile era limitato dal vicolo retrostante, dove non poteva
sporgere l'abside del coro: poté così ideare una pianta ad aula unica con
solo due cappelle per lato, perdendo la tensione che è caratteristica della
chiesa del Redentore, cui sembra ispirarsi anche negli schemi
decorativi.[67]
Con questo secolo si concluse sostanzialmente, per la città intra moenia,
la stagione edilizia religiosa, che nell'Ottocento proseguì solo con
interventi di restauro che riguardarono alcuni dei più antichi edifici
chiesastici. Non terminò invece l'edificazione di nuove chiese nei quartieri
che cominciarono a sorgere fuori dalle mura e nelle frazioni che furono
poi inglobate nel territorio del Comune di Verona.
La chiesa di San Fermo
Minore di Brà di Andrea
Camerata
Elenco delle chiese
Segue una lista delle chiese presenti a Verona, suddivise tra quelle intra moenia ed extra moenia, ovvero
tra quelle situate all'interno della cinta magistrale, nei quattro quartieri della Città Antica, di Veronetta,
della Cittadella e di San Zeno, e quelle invece poste esternamente ad essa.
Città Antica
Duomo di Verona, chiesa cattedrale della diocesi di Verona
Basilica di Santa Anastasia
Battistero di San Giovanni in Fonte
Chiesa dei Santi Apostoli
Chiesa di San Benedetto al Monte
Chiesa di Sant'Elena
Chiesa di Sant'Eufemia
Chiesa di Santa Felicita, sconsacrata in età napoleonica
Chiesa di San Fermo Maggiore
Chiesa di San Fermo Minore, demolita nel XIX secolo
Chiesa di San Fermo Minore di Brà
Chiesa di San Giovanni in Foro
Chiesa di San Lorenzo
Chiesa di Santa Maria Antica
Chiesa di Santa Maria in Chiavica, sconsacrata
Chiesa di Santa Maria Consolatrice, luogo di culto evangelico valdese
Chiesa di Santa Maria della Scala
Chiesa di San Matteo, sconsacrata in età napoleonica
Chiesa di San Nicolò all'Arena
Chiesa di San Pietro in Archivolto, adibita a sala polifunzionale
Chiesa di San Pietro Incarnario
Chiesa di San Pietro Martire, sconsacrata in età napoleonica
Chiesa di San Salvatore Vecchio, luogo di culto ortodosso russo
Chiesa di San Sebastiano, andata distrutta durante la seconda guerra mondiale
Chiesa delle Sante Teuteria e Tosca
Chiesa di San Tomio
Veronetta
Chiesa di Santa Chiara, sconsacrata in età napoleonica e nuovamente nel XX secolo
Chiesa di San Francesco di Paola, sconsacrata in età napoleonica
Chiesa di San Giorgio in Braida
Chiesa di San Giovanni in Valle
Chiesa della Madonna del Terraglio
Chiesa di Santa Maria del Paradiso
Chiesa di Santa Maria in Organo
Chiesa di Santa Maria della Vittoria Nuova, sopravvive solo il convento
Chiesa di Santa Maria della Vittoria Vecchia, sopravvive solo la facciata
Chiesa dei Santi Nazaro e Celso
Chiesa di San Paolo
Chiesa di San Pietro in Castello, demolita nel XIX secolo
Chiesa di San Pietro Martire
Chiesa dei Santi Siro e Libera
Chiesa di Santo Stefano
Chiesa di San Tomaso Cantuariense
Chiesa di Santa Toscana
San Zeno
Basilica di San Zeno
Chiesa di San Bernardino
Chiesa di San Procolo
Chiesa di San Zeno in Oratorio
Cittadella
Chiesa di Santa Caterina alla Ruota
Chiesa di San Domenico, luogo di culto evangelico luterano
Chiesa di San Luca
Chiesa degli Scalzi
Chiesa della Santissima Trinità in Monte Oliveto
Extra moenia
Chiesa di Sant'Andrea Apostolo
Chiesa di Sant'Antonio Abate
Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo
Chiesa di San Francesco d'Assisi
Chiesa di San Giovanni Battista
Chiesa di San Giovanni in Sacco, demolita nel XVI secolo
Chiesa di San Giuseppe Fuori le Mura
Chiesa di Santa Lucia Extra
Chiesa della Madonna di Campagna
Chiesa di Santa Maria Assunta
Chiesa di San Martino Vescovo
Chiesa di San Massimo
Chiesa di San Michele Arcangelo
Chiesa di Nostra Signora di Lourdes
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo
Chiesa di San Rocchetto
Chiesa di San Rocco
Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù
Tempio votivo
Note
26. ^ Borelli, p. 387.
1. Borelli, p. 347.
27. ^ Borelli, p. 388.
2. ^ Borelli, p. 350.
28. ^ Borelli, pp. 388-390.
3. ^ Puppi, p. 6.
29. ^ Borelli, pp. 394-395.
4. ^ Puppi, pp. 8-11.
30. ^ Borelli, p. 390.
5. ^ Solinas, p. 244.
31. Borelli, p. 395.
6. ^ Boschi, Comastri e Guidoboni, p. 100.
32. Borelli, p. 398.
7. Borelli, p. 353.
33. ^ Borelli, pp. 390-392.
8. ^ Borelli, p. 355.
34. Borelli, p. 392.
9. ^ Borelli, pp. 355-356.
35. ^ Borelli, p. 400.
10. ^ Borelli, pp. 356-360.
36. ^ Borelli, pp. 392-394.
11. ^ Borelli, p. 360.
37. ^ Borelli, p. 405.
12. ^ Borelli, pp. 361-364.
38. ^ Borelli, pp. 405-406.
13. ^ Borelli, pp. 364-367.
39. ^ Borelli, pp. 406-408.
14. ^ Battistero di San Giovanni in Fonte
<Verona>, su Le chiese delle diocesi 40. ^ Borelli, p. 408.
italiane, Conferenza Episcopale Italiana. 41. Borelli, p. 412.
URL consultato l'11 giugno 2020. 42. ^ Viviani, p. 213.
15. Borelli, p. 369. 43. ^ Borelli, pp. 408-412.
16. ^ Borelli, p. 371. 44. ^ Chiesa di Santa Maria della Pace
17. Borelli, pp. 371-374. <Verona>, su Le chiese delle diocesi
18. ^ Borelli, p. 374. italiane, Conferenza Episcopale Italiana.
URL consultato l'11 giugno 2020.
19. ^ Borelli, pp. 374-375.
45. ^ Davies e Hemsoll, p. 132.
20. ^ Borelli, pp. 376-378.
46. ^ Davies e Hemsoll, p. 141.
21. ^ Borelli, p. 380.
47. ^ Davies e Hemsoll, p. 130.
22. ^ Borelli, p. 378.
48. ^ Cipolla, pp. 80-82.
23. ^ Borelli, pp. 378-380.
49. ^ Borelli, pp. 418-420.
24. ^ Borelli, pp. 375-376.
50. ^ Borelli, p. 420.
25. ^ Borelli, p. 381.
51. ^ Il campanile scampato alle bombe, su 57. ^ Brugnoli e Sandrini, pp. 328-329.
borgotrentoverona.org. URL consultato il 3 58. ^ Borelli, pp. 429-430.
maggio 2020 (archiviato il 26 ottobre 2019).
59. ^ Borelli, p. 430.
52. ^ Chiesa di San Nicolò all′Arena <Verona>, 60. ^ Brugnoli e Sandrini, pp. 329-330.
su Le chiese delle diocesi italiane,
Conferenza Episcopale Italiana. URL 61. ^ Brugnoli e Sandrini, p. 333.
consultato il 5 aprile 2020. 62. ^ Borelli, p. 434.
53. ^ Borelli, pp. 420-423. 63. ^ Brugnoli e Sandrini, pp. 332-333.
54. ^ Borelli, p. 426. 64. ^ Brugnoli e Sandrini, p. 332.
55. ^ Borelli, pp. 426-429. 65. ^ Brugnoli e Sandrini, p. 331.
56. Borelli, p. 429. 66. ^ Borelli, pp. 434-436.
67. ^ Brugnoli e Sandrini, pp. 334-336.
Bibliografia
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Verona, 1980, SBN SBL0303338.
(EN) Enzo Boschi, Alberto Comastri e Emanuela Guidoboni, The "exceptional" earthquake of
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two lost earthquakes (lower Germany and Tuscany), in Journal of Geophysical Research,
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Pierpaolo Brugnoli e Arturo Sandrini, Architettura a Verona nell'età della Serenissima,
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Lionello Puppi, Ritratto di Verona: lineamenti di una storia urbanistica, Verona, Banca
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Giovanni Solinas, Storia di Verona, Verona, Centro Rinascita, 1981, SBN SBL0619693.
Giuseppe Franco Viviani, Chiese di Verona, Verona, Società cattolica di assicurazione,
2002, SBN VIA0098135.
Voci correlate
Verona
Monumenti di Verona
Diocesi di Verona
Parrocchie della diocesi di Verona
Altri progetti
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Collegamenti esterni
Diocesi di Verona, su diocesiverona.it.
Verona. Le chiese storiche, su chieseverona.it.
Verona Minor Hierusalem, su veronaminorhierusalem.it.
Portale Architettura Portale Cattolicesimo Portale Verona
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