Alla ricerca dell’anima
Vito Censabella
ALLA RICERCA DELL’ANIMA
narrazione
I
Alla ricerca dell’anima
Da sempre si parla di anima, a partire dai primi abitatori
della terra, ma malgrado gli sforzi che si sono compiuti,
neppure oggi si conosce cosa sia l’anima, dove si trovi e
quale funzione essa abbia nella vita degli esseri viventi,
specie nell’uomo.
L’ anima, come si dice, è il principio vitale che distin-
gue nella natura gli esseri viventi dalle cose inanimate.
Gli antichi non avevano un vero concetto di anima e,
come gli altri popoli, anche quello greco cominciò con
l’interpretare la natura nella forma di mito. Tutti i fatti
della natura che suscitavano curiosità, timore o speran-
za, erano interpretati dall’ingenua fantasia di quella gen-
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te come una manifestazione di un’anima delle cose o di
demone che abitava nelle cose. Ogni albero, ogni fonte,
ogni fiume, ogni alitare di vento ha la sua anima.
L’uomo si sente da ogni parte circondato da forze miste-
riose, che sono qualcosa d’indefinibile e quando pur fos-
se conoscibile, non potrebbe essere espresso con parole,
e quel che noi conosciamo, il sensibile, è così soggettivo,
che è assolutamente incomunicabile agli altri.
Si dovette arrivare a Platone per cominciare ad avere
un pallido concetto di anima.
Platone parte da una constatazione: è un fatto che noi
possediamo e usiamo concetti che non possono essere
tratti in alcun modo dagli oggetti sensibili e particolari;
concetti la cui origine in noi e il cui valore reale sono del
tutto indipendenti dall’esperienza. Tali sono tra gli altri
concetti morali ed estetici e i concetti matematici. Con i
primi noi giudichiamo se un’azione o cosa sia buona o
cattiva, bella o brutta. Questi giudizi presuppongono che
noi conosciamo già un “ ideale “ di bene e bello, il quale
non è mai pienamente attuato nella realtà. E’ un fatto
che la realtà risulti sempre inferiore all’ideale cui la
commisuriamo. Dunque, i concetti nei quali quest’ideale
si compendia, non possono essere frutto della realtà qua-
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le la sperimentiamo con i nostri sensi; è assurdo che
l’ideale di perfezione si riduca ad una vana immagine o
copia di ciò che è imperfetto.
E anche i concetti matematici non sono certo ricavati
dall’esperienza: un circolo o un triangolo quali sono de-
finiti dalla geometria, sono forme perfette che non han-
no riscontro esatto nella natura; i circoli o i triangoli rea-
li sono approssimazioni sempre imperfette rispetto a
quelle forme tipiche che sono l’oggetto della matematica.
Questi concetti, dunque, sono nella nostra anima, ma
non sono stati derivati dall’esperienza degli oggetti sen-
sibili. E, allora, conclude Platone, debbono provenire da
realtà o oggetti ideali del tutto diversi da quelli sensibili.
Se noi abbiamo conoscenza di “ essenze ideali”, univer-
sali, incorporee, eterne, intelligibili, dobbiamo anche
ammettere l’esistenza reale di esseri che abbiano appun-
to tali caratteri. Questi esseri Platone chiama “idee”. Le
essenze delle cose espresse dai concetti, sono realtà a sé
stanti, sono anzi la vera realtà, distinta da quella realtà
inferiore che è questo nostro mondo della natura.
Se questa è la realtà, divisa in due piani, quale posto
ha in essa l’uomo? E quali sono le condizioni che rendo-
no possibile quella ricerca della verità intorno al reale,
quel processo dell’apprendere che è il compito specifico
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dell’uomo?
Ed ecco il mito dell’anima quale è raffigurato da Pla-
tone. L’uomo è sì unione di corpo e anima, ma è
un’unione provvisoria e accidentale, che ha inizio con la
nascita e ha termine con la morte. Il fattore essenziale è
l’anima, che preesiste alla morte e sopravvive alla morte
dell’individuo; ingenerata e immortale attraverso il suc-
cedersi delle sue incarnazioni ( metempsicosi).
Platone piglia questo concetto dell’anima dalla tradi-
zione ortipitagorica, per cui l’anima di origine divina
s’incarna nel corpo come in una tomba o prigione, e sul-
la terra vive come una vita d’esilio.
Ma il concetto nuovo che Platone inserisce sotto una
veste mitica, è che l’anima, per sua natura è complessa;
ha una varietà di funzioni, per cui partecipa dell’uno e
dell’altro dei due piani della realtà. Principio di moto e di
vita può trasferirsi dall’uno all’altro di essi. Principio di
conoscenza,, è capace di vedere, cioè di “rispecchiare”
in sé tanto la realtà intellegibile con la sua parte ra-
zionale, quanto il fluire dell’esperienza con la sua parte
sensibile. L’anima è ragione, ma è anche concupiscenza-
sensoriale, attaccamento ai sensi, e intermedia tra l’una
e l’altra. E’ forza di volontà che può mettersi al servizio
dell’una e dell’altra delle due attività. L’anima è memoria,
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perché tutta la verità che faticosamente andiamo cer-
cando, la possediamo già dentro di noi. E’ vero, dice Pla-
tone, che il contenuto del nostro conoscere lo deriviamo
dall’esperienza, ma ciò per cui quello che sperimentiamo
fuori di noi ci risulta vero, lo deriviamo dall’intimo di
noi, da quel potere specifico che è in noi, e che diciamo
ragione. Senza la ragione tutta l’esperienza sarebbe cieca
e muta verità. L’anima è intelligenza.
I Sofisti avevano ridotto tutta la conoscenza a sensa-
zioni, e parecchi accoglievano questa tesi. Platone dimo-
stra con varie argomentazioni che la conoscenza non sa-
rebbe affatto possibile con le sole sensazioni, e che, per
attribuire anche alla sensazione un qualche valore cono-
scitivo, bisogna oltrepassare la sensazione stessa. Basta
pensare a questo: noi non apprendiamo mai le singole
qualità sensoriali isolatamente le une dalle altre, pur av-
vertendole attraverso organi di senso differenti e poi
vengono unificate e coordinate in modo da considerarle
come qualità di uno stesso oggetto ( ad esempio il colo-
re, il sapore, l’odore di un’arancia ); notiamo le somi-
glianze e dissomiglianze, il grado d’intensità, il numero
di esse. Ora,ciò non sarebbe possibile se non ci fosse in
noi un organo spirituale indipendente che conosce
l’arancia nel suo insieme, in tutte le sue qualità. Un or-
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gano spirituale che conosce l’oggetto, e proprio in quan-
to lo conosce, è capace di comprendere, ossia di “coglie-
re insieme “ le più differenti sensazioni, per riflettere in-
torno ad esse e così confrontarle e coordinarle.
Quest’organo di unità e coordinazione è l’anima,come at-
tività sopra sensibile che pensa in occasione delle sensa-
zioni; ed è dovuto a questo pensare, non al sentire stes-
so, la conoscenza di ciò che noi avvertiamo nel sentire.
Aristotele. Per Aristotele, gli esseri non viventi sono co-
stituiti da semplici combinazioni dei quattro elementi, e
soggetti dunque al movimento rettilineo e alla trasmuta-
zione propria degli elementi stessi. Gli esseri viventi, in-
vece, sono costituiti da parti conformate e ordinate tra
loro in modo che il moto di ognuna di esse è diretto ad
un dato fine e tutte cooperano al conseguimento di un
fine superiore, nel quale consiste la “ natura “ propria di
quel corpo. E per la funzione che vengono create le parti
( organi ): è il fine del tutto che presiede alla formazione
e regola il movimento delle parti. Il principio interno che
agisce determinando la costituzione e il moto del corpo
organico, servendosi delle sue parti, è l’anima. Questa è
la causa motrice e la causa finale del corpo: è la funzione
attraverso la quale l’essere organico attua lo scopo che è
proprio della sua natura. E’, dice Platone,l’atto primo di
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un corpo che ha la vita in potenza.
Secondo Aristotele, l’anima non può sussistere dopo la
morte, e niente di ciò che è in natura, può essere conosciu-
to se non attraverso l’ esperienza sensoriale. L’anima è o-
riginariamente una “ tabula rasa “, come una tavoletta
cerata liscia del tutto omogenea, sulla quale soltanto le
impressioni sensoriali tracciano via via dei segni, base
per l’anima di tutte le sue successive operazioni.
Secondo Aristotele, esistono tre specie di anime: 1)
quella vegetativa propria delle piante, capace di compie-
re le funzioni della nutrizione e della generazione ; 2)
quella sensitiva, che negli animali supera e assomma la
vegetativa e rende loro possibili le sensazioni e, correla-
tivamente, i piaceri e i dolori, le inclinazioni e il moto
spontaneo; 3) l’anima intellettiva o razionale, che
nell’uomo supera e assomma in sé le facoltà delle altre
due e le rende capace di conoscenza e di moralità.
Durante tutto il Medio Evo, la dottrina cristiana
dell’anima si sforza di mettere d’accordo l’aristotelismo
con il principio dell’immortalità, ma la filosofia del rina-
scimento dimostra la loro inconciliabilità.
Secondo la concezione religiosa-cristiana , la presenza
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l’anima è fondamentale per spiegare la presenza
dell’uomo in questa vita e la sua sopravvivenza dopo la
morte, e poiché essa rappresenta la nostra tradizione, è
necessario mettere in evidenza i punti fondamentali di
questo concetto.
La dottrina cristiana insegna che l’anima è una so-
stanza immortale, creata da Dio, che informa il corpo.
Ogni essere vivente è composto da due elementi: l’anima
e il corpo.
L’uomo si distingue dagli altri esseri viventi perché la
sua anima è ragionevole e intellettiva. L’eccellente nobiltà
dell’uomo dipende appunto dall’anima intellettiva che è
spirituale, libera, immortale. Questo significa provviden-
za, amore particolare che Dio non ha avuto né poteva
avere per gli altri esseri, perché solo con l’uomo Dio vuo-
le dialogare. Perciò l’amore di Dio di cui tutta la crea-
zione è un segno, raggiunge nell’uomo la sua massima
espressione. Egli è fatto a sua immagine e somiglianza e
rappresenta il ponte di unione tra lo spirito e la materia.
L’anima è una sostanza immateriale, spirituale, libe-
ra,immortale, creata da Dio, che informa il corpo. Vuol
dire che l’anima si unisce sostanzialmente al corpo, for-
mando con esso una sola natura, e ciò direttamente, non
mediante qualche altro principio, con la sua essenza e
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