L'infanzia Di Gesù Secondo Il Vangelo Di Luca - La Civiltà Cattolica
L'infanzia Di Gesù Secondo Il Vangelo Di Luca - La Civiltà Cattolica
Luca
L'annuncio della nascita di Gesù
Giuseppe De Rosa
17 Gennaio 2009
QUADERNO 3806
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Negli stessi anni in cui Matteo redigeva il suo Vangelo (80-90 d.C.), Luca scriveva il
suo, senza che i due evangelisti conoscessero l’uno l’opera dell’altro. Il fatto curioso
è che i due Vangeli iniziano col raccontare, nei rispettivi primi due capitoli, i fatti
riguardanti l’infanzia di Gesù. Ma lo fanno in maniera assai diversa, tanto che non è
possibile ricavarne un racconto unitario.
Nei primi quattro versetti (Lc 1,1-4) Luca esprime la propria intenzione nello scrivere il
suo Vangelo. Egli si rende conto che la comunità cristiana del suo tempo sta
attraversando un periodo molto difficile: dopo la morte degli Apostoli c’è
un’incertezza dottrinale nella Chiesa a causa della presenza di tradizioni diverse —
quella giudaico-cristiana palestinese e quella ellenistico-paolina — e c’è il pericolo
che si infiltrino all’interno della comunità le tendenze sincretistiche dell’ellenismo. Il
rimedio a tale situazione per Luca è riproporre la «tradizione apostolica» (paradosis)
nella sua integrità e in tal modo attenuare la tensione e la contrapposizione tra i
diversi gruppi.
La «tradizione apostolica» era nei primi tempi anzitutto orale; presto però si sentì il
bisogno di fissarla per iscritto. Infatti Luca ricorda che sono stati «molti» (polloi)
quelli che hanno scritto resoconti attendibili di quanto Gesù aveva fatto e insegnato
fino alla sua ascensione al cielo e di quanto avevano testimoniato gli Apostoli,
divenuti «ministri della Parola» (Lc 1,2) dopo la risurrezione e l’ascensione di Gesù.
Ora egli vuole raccogliere tutto quello che i «molti» hanno scritto e tutte le tradizioni
orali che non sono state messe per iscritto, ma che appartengono alla «tradizione
apostolica». Perciò, dopo aver verificato attentamente e accuratamente (akribôs)
ogni cosa, cioè la totalità degli eventi (pasin), fin dall’inizio (anôthen), ha deciso di
scrivere un resoconto «ordinato (kathexès) di tutta la «tradizione apostolica», come
egli ha potuto conoscerla sia attraverso le opere dei «molti» che lo hanno
preceduto, sia attraverso la propria ricerca personale di tradizioni orali che gli sono
parse attendibili dopo un’accurata verifica.
Luca perciò si comporta non da «storico», che scrive per persone dubbiose, le quali
attendono prove storiche di quanto egli afferma, ma da «tradente» della paradosis
apostolica. Il suo scopo nel redigere la sua opera è anzitutto quello di fissare la
«tradizione apostolica» nella sua integrità e nella sua verità, in modo che sia
assicurata l’unità della fede e non si diffondano tra i fedeli dottrine esoteriche
contrarie alla «tradizione apostolica». Lo scopo particolare che lo ha indotto a
intraprendere un lavoro complesso e faticoso è quello di mostrare all’«illustre
Teofilo»[1] la fondatezza e la solidità (asphaleia) degli insegnamenti nei quali è stato
istruito nella catechesi battesimale e post-battesimale, fondata precisamente sulla
retta trasmissione della «tradizione apostolica». Perciò Luca «si presenta come
raccoglitore e trasmettitore normativo della paradosis apostolica», riuscendo «a
comporre insieme le più antiche tradizioni raggiungibili sulle parole e sui racconti di
Gesù provenienti dalle comunità sia giudeo-cristiane sia etnico-cristiane e a
presentarle alla Chiesa come un tutto canonicamente vincolante»[2].
«Preludio» al kerygma apostolico
Luca è consapevole che l’annuncio (kerygma) del «vangelo» di Gesù ha inizio con la
sua apparizione da adulto, sulla riva del Giordano per farsi battezzare da Giovanni e
con la prima predicazione del regno di Dio. La «tradizione apostolica», cioè,
considera come suo inizio la predicazione di Gesù nella Galilea, di cui gli Apostoli
possono testimoniare in quanto sono stati spettatori fin dall’inizio del suo ministero.
Perciò l’infanzia e l’adolescenza di Gesù non fanno parte della «tradizione
apostolica», non avendo avuto gli Apostoli come testimoni oculari.
Luca però ha trovato tradizioni attendibili, riguardanti la prima «venuta» di Gesù dal
Padre nel mondo come suo «inviato», che aiutavano a comprendere meglio il
mistero di Gesù adulto, partendo dalla sua «origine». Perciò ha pensato di
raccogliere queste tradizioni e premetterle come «preludio» al kerygma apostolico.
Così i capitoli primo e secondo del Vangelo di Luca, che trattano dell’infanzia di
Gesù, non sono un’aggiunta posticcia a questo Vangelo, ma ne sono parte
integrante. In realtà, questi due primi capitoli esprimono la fede cristiana primitiva e
fanno comprendere «chi è» (il Figlio di Dio) e «donde viene» (dal Padre) colui che, a
poco più di 30 anni, si presenta, annunciando, come è detto in Mc 1,15: «Il tempo è
compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo».
Perciò anch’essi fanno parte della testimonianza della Chiesa apostolica, seppure in
forma propria, che non è quella del resto del Vangelo di Luca. Infatti, «la
testimonianza di Lc 1-2 nella sua totalità ha più dell’omologesi [confessione di fede]
che del kerygma (per quanto pure il kerygma della venuta di Gesù sia in essa
“adombrato” e “riflesso”); essa è, in modo particolare, “confessione” di Cristo da
parte del fedele, non soltanto annuncio di Cristo (anche se le due realtà non
possono essere separate). […] Più che nei brani narrativi, l’evento di Cristo s’illumina
nelle voci profetiche e negli inni inframezzati. In questa confessione sembra che
Luca voglia sottolineare in maniera particolare la figliolanza divina di Gesù, che sta
alla base sia del suo “essere Signore” (cfr Lc 2,11) in quanto Figlio di Davide, sia anche
della sua funzione di sôtèr,salvatore (Lc 2,11). Propriamente intesa, l’omologesi
diventa tale soltanto quando di essa viene fatta memoria festosa nella celebrazione
liturgica»[3].
Ci si può chiedere se nei primi due capitoli del suo Vangelo, Luca abbia avuto un
interesse biografico. In realtà, tale interesse non manca, ma è secondario. Il suo
interesse essenziale è teologico. Egli è interessato alle notizie biografiche soltanto in
quanto aiutano ad accertare e garantire come tradizione attendibile l’annuncio
protocristiano che riguarda l’infanzia di Gesù. Quello che è importante sottolineare
è la necessità di distinguere attentamente il messaggio che i due primi capitoli di
Luca vogliono trasmettere dal suo rivestimento letterario. Soltanto così è possibile
discernere le tradizioni storiche che sono alla base del racconto dell’infanzia di
Gesù, quale si trova nei primi due capitoli del Vangelo di Luca.
Passando ora a parlare della nascita di Gesù come è presentata nel Vangelo di
Luca, rileviamo che al centro del racconto ci sono la nascita di Gesù a Betlemme,
l’adorazione dei pastori, la sua presentazione al Tempio di Gerusalemme, il suo
ritorno a Nazaret e infine la sua visita al Tempio all’età di 12 anni. Questo centro del
racconto è contenuto tutto nel secondo capitolo di Luca. Ma il tema della nascita di
Gesù è preparato — sarebbe meglio dire «precorso» — dalla nascita di Giovanni,
narrata nel capitolo primo.
Giovanni è dunque in funzione di Gesù; e questi appare sempre più grande di lui. Le
storie di Giovanni sono ogni volta una preparazione e una promessa di quelle di
Gesù. Giovanni è la promessa; Gesù è il compimento. Infatti ad ogni racconto che
riguarda Giovanni segue — ma su un piano molto più elevato — un racconto che
riguarda Gesù.
L’annuncio della nascita di Giovanni e l’inizio del suo compimento
Giovanni è di stirpe sacerdotale. Suo padre Zaccaria era un sacerdote della classe
di Abia, e sua madre era una discendente di Aronne. Essi, molto pii, non avevano figli
ed essendo avanzati in età non speravano più di averne. Zaccaria apparteneva
all’ottava delle 24 classi sacerdotali che officiavano nel Tempio di Gerusalemme a
turno, cosicché ad ogni classe toccavano due settimane all’anno di servizio
liturgico. In una di queste settimane toccò a Zaccaria l’incarico di offrire l’incenso.
Nel frattempo il popolo si radunava nell’atrio, dove accompagnava con la preghiera
l’oblazione dell’incenso e attendeva la benedizione sacerdotale. Zaccaria,
oltrepassata la cortina esterna, stava versando gli aromi sui carboni accesi
dell’altare dell’incenso quando ebbe una visione: gli apparve al lato destro
dell’altare dell’incenso un angelo del Signore. Egli ne fu impaurito, ma l’angelo gli
disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita, e tua moglie
Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai Giovanni» (Lc 1,13). Zaccaria, cioè, in quanto
padre, dovrà dare il nome al bambino che nascerà, ma è Dio che indica quale nome
gli dovrà dare: segno che il bambino appartiene a Dio in modo speciale.
La nascita di Giovanni sarà motivo di grande gioia non soltanto per lui, Zaccaria, ma
per «molti», non soltanto parenti e amici, ma anche per tutti coloro che per mezzo
della predicazione di Giovanni riceveranno il dono della salvezza. Questa gioia è
fondata sul fatto che Giovanni sarà «grande» dinanzi a Dio, sarà ripieno di Spirito
Santo fin dal seno di sua madre e sarà profeta, anzi più che profeta, perché dovrà
preparare tutto il popolo a colui che deve venire, il «Signore», che per Luca è Gesù.
Zaccaria non ritiene possibile quanto gli ha detto l’Angelo e chiede un segno, anche
se non ha nessuna ragione di dubitare, perché è Gabriele — l’angelo che «sta dinanzi
a Dio» — a portargli il messaggio celeste. Egli perciò avrà un segno, ma tale segno
sarà anche una punizione: Zaccaria, infatti, diventerà muto fino a quando si
compirà quanto l’Angelo gli ha preannunciato, perché non ha «creduto». In realtà
non si tratta soltanto di un segno «punitivo». Il suo mutismo dovrà anche significare
che l’uomo deve attendere il dono di Dio nel silenzio adorante.
Intanto il popolo, nell’atrio, attende che Zaccaria esca per impartire la benedizione.
Poiché l’attesa si prolunga, il popolo si meraviglia; quando poi si accorge che
Zaccaria non riesce a dire le parole della benedizione, pensa che abbia avuto una
visione. Terminata la sua settimana di servizio, Zaccaria lascia Gerusalemme per
tornare a casa sua. L’annuncio dell’angelo si compie subito: Elisabetta concepisce
un bambino, ma per la vergogna, tiene nascosta la sua gravidanza per cinque mesi.
Alla fine riconosce che la sua gravidanza è opera di Dio e lo loda perché le ha tolto il
disonore di essere senza figli.
Ma «chi» sarà questo figlio? L’angelo dice «Egli sarà grande e sarà chiamato figlio
dell’Altissimo»: cioè, sarà «grande» proprio perché «figlio di Dio, l’Altissimo». In forza
della sua figliolanza divina, egli riceverà il trono di Davide, suo padre, e il suo regno
non avrà fine: sarà dunque il Messia davidico, il cui regno avrà una durata eterna,
secondo la profezia di Nathan a Davide (2 Sam 7,16). A queste parole dell’angelo, a
differenza di Zaccaria, Maria crede, ma non comprende come possa verificarsi
quanto egli ha detto, perché essa dice: «Non conosco uomo». Con queste parole — il
verbo «conoscere» indica il rapporto sessuale — Maria vuol dire: «Come posso avere
un figlio, se non sono stata ancora introdotta nella casa di mio marito e non ho
avuto alcun rapporto sessuale»[8].
Alla perplessità di Maria l’angelo risponde: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque
santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Con queste parole l’angelo annuncia a
Maria che essa concepirà non per opera di un uomo, ma per l’azione creatrice di
Dio, Spirito Santo e Potenza onnipotente a cui nulla è impossibile: non si parla cioè di
procreazione divina, ma di creazione operata dall’onnipotenza di Dio. È la Potenza
di Dio che creerà nel seno di Maria il bambino, operando in lei il miracolo del
concepimento verginale. Le immagini dell’«adombramento» e della «discesa» di
Spirito Santo e Potenza (si noti che nel testo greco i due nomi sono senza articolo)
non hanno carattere sessuale, come alcuni ritengono[9], ma esprimono
figurativamente l’azione creatrice di Dio. Perciò l’origine del bambino sarà
totalmente e soltanto opera di Dio — del suo Spirito Santo e della sua Potenza — per
cui il figlio che nascerà da Maria sarà totalmente «Santo»: creato dallo Spirito Santo
nel seno di Maria, egli è «santo», non nel senso che è reso santo per grazia, come
Giovanni Battista, ma nel senso che è Santo per natura. Oltre che «Santo» il «nato»
da Maria sarà chiamato «Figlio di Dio». La figliolanza divina di Gesù, cioè, non sarà
opera dello Spirito Santo al momento del battesimo o al momento della risurrezione,
ma lo è già al momento del suo concepimento: l’uomo Gesù è Figlio di Dio dal primo
momento della sua esistenza umana. Il battesimo e la risurrezione «manifesteranno»
la sua natura di Figlio di Dio.
Maria ha chiesto soltanto una spiegazione, non un segno, come invece ha fatto
Zaccaria; e tuttavia a lei — e a coloro che ascolteranno la sua parola nel corso dei
secoli — è dato un segno che mostra la potenza miracolosa di Dio: Elisabetta,
«parente» di Maria e moglie del sacerdote Zaccaria, ritenuta sterile, per un
intervento miracoloso di Dio, è già al sesto mese di gravidanza, poiché niente —
quindi neppure il concepimento verginale di Gesù — è impossibile a Dio. La risposta
di Maria non si fa attendere: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me
quello che hai detto» (Lc 1,38). Con queste parole, Maria anzitutto si dichiara «la
schiava (hè doulè) del Signore», a lui totalmente dedicata e pronta a compiere tutto
ciò che Egli vuole da lei; poi dà il suo pieno assenso a quello che Dio vuole compiere
in lei con la sua onnipotenza creatrice: il concepimento umano del Figlio di Dio.
Dopo questo «sì» di Maria, l’angelo silenziosamente «parte da lei», così come
silenziosamente era venuto. D’ora in poi, tutto è affidato all’azione creatrice di Dio a
cui «nulla è impossibile». Il «sì» di Maria le ha aperto le porte[10].
Varcando la porta di casa di Elisabetta, Maria la saluta alla maniera orientale, con
molte parole. Il primo a rispondere al saluto di Maria è Giovanni, che fa un «balzo di
gioia» nel seno di Elisabetta per la presenza di Gesù e, in tal modo, fa conoscere a
sua madre che Maria porta in grembo il Messia. Giovanni ha da Dio la missione di
essere il primo ad annunciare Gesù, ed egli compie questa missione fin dal grembo
materno, sotto l’azione dello Spirito Santo di cui è ripieno. Così, appena ha ascoltato
il saluto di Maria, Elisabetta sotto l’azione dello Spirito Santo, che è Spirito profetico,
esclama a gran voce, rivolta a Maria: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto
del tuo grembo!» (Lc 1,42). Elisabetta cioè dice a Maria quello che Giovanni non può
dirle: che essa, in quanto è la madre del Messia, è «la più benedetta» fra le donne[11].
Si dice poi grandemente onorata della visita della madre del suo «Signore» [Gesù] e
del suo saluto, perché questo ha provocato il balzo di gioia di Giovanni nel suo seno
e l’ha riempita di Spirito Santo. La gioia provata da Giovanni non è soltanto il saluto
che egli dà a Gesù; è la gioia che porta con sé l’irrompere del tempo messianico che
si compie con la venuta di Gesù. Elisabetta, sotto l’azione dello Spirito, riconosce che
alla base di tutto c’è la «fede» di Maria, che, a differenza di Zaccaria, «ha creduto»
che si sarebbero compiute le cose che le erano stata dette dal Signore. Dichiara
perciò «beata» Maria, perché «ha creduto», divenendo in tal modo la «Madre della
fede», la «prima credente» dell’ordine nuovo inaugurato dall’incarnazione del Figlio
di Dio. Infatti, il suo «sì» all’angelo è stato il primo atto di fede del tempo
escatologico, che ha avuto inizio con Gesù.
A questo punto, inizia la seconda parte del Magnificat (Lc 1,51-55), che si apre su una
prospettiva non più personale, ma universale. Finora Maria ha lodato Dio come
«suo» salvatore, perché ha fatto «per lei» cose grandi; ora lo loda perché «con la
potenza del suo braccio» disperde i superbi, abbatte i potenti dai loro troni e
rimanda i ricchi a mani vuote, mentre innalza gli umili e riempie di beni coloro che
hanno fame. Maria canta in tal modo il rinnovamento messianico che crea ordine e
giustizia in un mondo disordinato e ingiusto. I verbi al passato — «ha deposto» i
potenti dai troni e «ha esaltato» gli umili — esprimono la certezza che Dio ribalterà
con la venuta del suo Regno l’attuale situazione ingiusta. Questa azione salvifica di
Dio riguarderà in particolare Israele povero e umiliato: Dio, ricordandosi della sua
misericordia, accoglierà Israele «suo servo», cioè l’Israele formato dai «timorati di
Dio» (phoboumenoi), dai piccoli (tapeinoi) e dagli «affamati» (peinôntes), che
pongono in Dio la loro fiducia. Compirà cioè la sua promessa fatta ad Abramo e alla
sua discendenza. Garante del compimento delle promesse di Dio è il Santo, Figlio di
Dio, che Maria porta in seno.
Il racconto della visita di Maria a Elisabetta si chiude con una semplice annotazione
di natura temporale: «Maria rimase con lei circa tre mesi», quindi fino a che ella non
ebbe dato alla luce Giovanni); «poi tornò a casa sua» (Lc 1,56), cioè dai suoi genitori,
segno che non era ancora stata introdotta in casa di Giuseppe.
Dopo questi due «annunci» di Giovanni e di Gesù, fatti alle loro madri, Elisabetta e
Maria, l’evangelista Luca può parlare delle loro «nascite». Tanto gli «annunci» quanto
le «nascite» devono essere trattati «insieme» perché sono l’uno la «profezia»
dell’altro.
[1] Non si sa se Teofilo sia stato una persona reale, a cui Luca dedica i suoi due libri —
il Vangelo e gli Atti degli Apostoli — oppure sia simbolo del credente, il quale è
«Teofilo» in quanto è «amato da Dio» e «ama Dio». È più probabile che si tratti di un
personaggio influente e ricco a cui, secondo l’uso del tempo, Luca dedica i suoi due
volumi, affinché, in segno di riconoscimento, se ne assuma le spese della
riproduzione e della diffusione.
[2] H. SCHÜRMANN, Il Vangelo di Luca. Parte prima, Brescia, Paideia, 1983, 81e 96.
[3] Ivi, 100 s. Si nota, in proposito, che è sorprendente il fatto che la Chiesa abbia
avuto bisogno di oltre 300 anni prima di cominciare a celebrare la festa del Natale,
come è proposta in Lc 1-2.
[4] La Galilea era detta «Galilea delle genti» con intenzione dispregiativa, per il fatto
di essere abitata da una popolazione mista, composta sia di giudei, sia di pagani, in
particolare egiziani, arabi, fenici e greci, come afferma Giuseppe Flavio nella sua
Vita (67).
[5] Nel mondo ebraico, l’età in cui una donna si sposava era di 15-17 anni. Il
matrimonio comportava che, prima che i due sposi andassero a vivere insieme,
dovesse passare un anno di «fidanzamento», durante il quale abitavano nella casa
dei genitori, pur essendo giuridicamente coniugi, tanto che ogni rapporto che essi
avessero con altre persone era considerato e punito come adulterio.
[7] Il saluto dell’angelo comprende — oltre al saluto vero e proprio («Ti saluto» o
«Rallegrati») — due affermazioni riguardanti Maria: essa è detta kecharitômenè
(participio perfetto passivo di charitoô, che ha a che fare con charis, grazia, favore,
benevolenza e che significa «fare grazia»). Trattandosi di un participio perfetto
passivo, cioè di un «passivo divino», si deve tradurre: Dio ti ha «colmata di grazia»,
affinché tu possa compiere la missione che Egli ora ti affida. L’angelo aggiunge: «Il
Signore (è, non sia) con te». Questa espressione ricorre nei racconti in cui Dio affida
un incarico a una persona: il Signore vuole incoraggiarla ad avere fiducia nella sua
«presenza» e nella sua «grazia».
[8] Alcuni esegeti cattolici, al seguito di alcuni Padri della Chiesa (i primi furono san
Gregorio di Nissa [PG 46, 1.140 s] e sant’Agostino [PL 38, 1.315 e passim] hanno
parlato di un «voto di verginità» fatto da Maria. Oggi sta crescendo sempre di più il
numero di esegeti che tentano una spiegazione delle parole di Maria «non conosco
uomo», senza far riferimento alla teoria del voto (H. SCHÜRMANN, Il Vangelo di
Luca, cit., 142-145).
[9] Non si parla di «procreazione divina», come avveniva nelle teogamie greco-
romane, nelle quali un dio — in molti casi Iuppiter — sotto forme animali si univa
sessualmente con una donna, dando origine a semidei. In Luca si tratta di un atto
«creatore» da parte di Dio-Spirito Santo. L’onnipotenza di Dio «creerà» un bambino
nel grembo di Maria. Non si può perciò far derivare la fede nel concepimento
verginale di Gesù dalle numerose concezioni mitiche di «semidei», di «uomini divini»
che certi dèi hanno generato sessualmente da donne umane.
[10] Certamente l’annuncio della nascita di Gesù può essersi ispirato all’annuncio
della nascita di Isacco, di Sansone, di Samuele, ma in nessuno di essi si parla di
«concepimento verginale». D’altra parte, nelle comunità protocristiane, la
consapevolezza dell’origine verginale di Gesù era più antica della redazione dei
Vangeli di Matteo e di Luca, poiché questi ne parlano senza che si conoscessero.
Data poi la delicatezza della materia, si sarà avuta notizia del fatto soltanto da
Maria e da Giuseppe con molta discrezione in ambito familiare, e da questo è stato
tramandato all’interno di piccoli gruppi di cristiani. È stato dunque necessario un
tempo piuttosto lungo prima che il concepimento verginale di Gesù divenisse
oggetto di tradizione nei grandi centri ecclesiastici.